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CAMPANINI- LA VALUTAZIONE NEL SERVIZIO SOCIALE:

CAP.1
1.1. Un po' di storia:
Il tema della valutazione è stato oggetto negli ultimi anni di un’attenzione crescente nell’ambito
delle scienze sociale e anche il servizio sociale sta guardando oggi con grande interesse a questa
materia. La valutazione è la dimensione che dovrebbe accompagnare il processo metodologico che
ha un proprio spazio scientifico, sia come premessa per la costruzione del progetto, dopo l'analisi
della situazione, sia come verifica intermedia e finale durante l'attuazione del progetto stesso. Per
ripercorrere la storia della valutazione faremo riferimento un saggio di Albaek che individua le
tappe più significative dell’evoluzione di questa attività. La prima traccia scritta di valutazione
secondo l'autore risale alla Bibbia, possiamo affermare che la valutazione è un aspetto
connaturato al genere umano in quanto “forse è caratteristica più decisiva che ci differenzia dalle
altre creature viventi non solo noi siamo consapevoli delle cose ma vi riflettiamo sopra e
attribuiamo adesso valore”. Sebbene la storia della valutazione a prenda le mosse da molto
lontano, è negli Stati Uniti intorno agli anni 60, che si è sviluppata in termini di campo d'azione
virgola di definizione delle sue basi teoriche e metodologiche oltre che di costruzione di una
disciplina professionale. Da questo contesto negli ultimi 30 anni le nazioni europee hanno
guardato gli Stati Uniti come orientamento per lo sviluppo di istituzionalizzazione della
valutazione. Gli anni 60 sono stati caratterizzati in America e in Europa da una crescita economica
tanto significativa da permettere di orientare le risorse verso la costruzione in un welfare state
caratterizzate dal sogno di sviluppare prosperità, benessere e giustizia sociale. In questo periodo ci
si rese conto che mancava una conoscenza ben radicata su cosa fare. Sono stati perciò sviluppati
metodi orientati dai paradigmi positivistici per rendere possibile la valutazione dell’efficacia e
dell’efficienza, oltre che offrire linee guide per sviluppare controllare le attività.
Negli anni 70 in concomitanza con la crisi petrolifera sia iniziato a parlare di crisi di welfare state
che ha comunque continuato a crescere e consolidarsi assumendo prospettive meno utopistiche.
In quell'epoca intorno alla valutazione sono maturati interessi di tipo accademico e professionali, i
quali si sono focalizzati sui processi di implementazione come precondizione di efficacia anche in
relazione alla sempre più evidente difficoltà di misurare gli output e all’impatto dei programmi
sociali. Emergeva la necessità da parte degli operatori sociali di conoscere quello che accadeva
intorno al processo, che cosa cioè porta a raggiungere gli effetti sperati. E così nella valutazione è
stata introdotta una dimensione di “ricerca formativa” e il ricercatore ha assunto il ruolo di
consulente. È stato altresì individuato nei processi decisori la presenza di diversi interessi talvolta
anche in conflitto tra loro, per cui sono stati messi a punto metodi che tenessero conto della
natura politica della valutazione. Si possono così trovare metodi che rifiutano di confrontarsi con il
problema degli scopi e degli interessi complessivamente intesi e metodi basati sugli stakeholder
che tengono invece conto in tutto o in parte dei diversi processi in gioco.
Gli anni 80 vedo la perdita del dinamismo del welfare state e l'avvento di un periodo caratterizzato
da riforme e tagli nel settore pubblico. La valutazione assume un orientamento top down che
sempre di più la incorpora dentro allo standard di controllo e procedure di budget. Nello stesso
tempo emergono considerazioni relative alla necessità di sviluppare autodeterminazione ed
empowerment nei clienti perché solo aiutandoli a formulare attivamente richieste sulla base dei
loro bisogni ed il loro per premesse, si ritiene di poter attivare un reale processo di soluzione dei
problemi.
Nel periodo che va dagli anni 90 a oggi, si continuano ad approfondire le difficoltà conseguenti alla
crisi del welfare istituzionale, si predispongono progetti volti a stabilire criteri e metodi che
consentiranno di valutare risultati monitorando in particolare l'efficienza amministrativa, la
produttività dei servizi e la loro capacità di mettere l'utente al centro dei processi di aiuto. Sulla
scena sociale si affacciano nuovi problemi con il passaggio a una società preindustriale, si
ipotizzano nuovi modelli di sviluppo sociale, il tema della complessità diviene il leitimotiv in diversi
campi di studio. Diversi attori devono essere messi in grado di dialogare tra loro e la valutazione si
fa meno oggettiva e più il più partecipata. I tagli alla spesa pubblica e la logica di aziendalizzazione
richiedono un' attenzione costante alla qualità affinché non prevalgano criteri puramente
economici che possono mettere in secondo piano le ragioni etiche e professionali. In molti paesi
nascono esperienze significative e si organizzano centri di studio e di ricerca per la valutazione.
Altre esperienze nascono con un forte radicamento nel contesto nazionale, come le unità di
ricerca e sviluppo dell’esperienza svedese. Si tratta di circa 30 equipe in cui sono presenti
ricercatori dell'università e assistenti sociali che provengono dal mondo di lavoro, finanziate sia dal
governo centrale che dalle province e dei comuni. Le unità operano a livello municipale e hanno
l'obiettivo di migliorare la qualità dei servizi. Coordinano diversi progetti di valutazione, sia su
indicazione degli enti locali, sia su richiesta degli operatori. Altrettanto interessante è l’esperienza
filandese che ha come obiettivo quello di sviluppare metodi per valutare i servizi sociali,
provvedere a ricerca valutative in questo settore, implementare la capacità valutative nei
professionisti di servizi sociali. Per quanto riguarda il contesto italiano dobbiamo ricordare
l'associazione italiana di valutazione che promuove i momenti di formazione e di scambio in cui
soci sono impiegati attivamente in progetti di valutazione a livello più generale di politiche ed i
servizi sociali, nonché la Fondazione Zancan che stanno affrontando con sempre maggiore
attenzione il tema della valutazione anche nel servizio sociale professionale.

1.2. Perché valutare:


La complessità della situazione attuale e i vertiginosi cambiamenti sociali rendono sempre più
difficoltoso sviluppare piani a lungo termine. Le organizzazioni hanno tentato di spogliarsi delle
vecchie logiche burocratiche e hanno sposato culture aziendalistiche basate sull’efficienza. In un
testo introduttivo alla valutazione nella pratica del servizio sociale si sottolinea la necessità che il le
organizzazioni e gli assistenti sociali, documentino l’impatto dei loro servizi non solo a livello di
programma ma anche a livello del singolo caso. Questi due distinti approcci devono essere
sviluppati in maniera integrata. Shaw suggerisce l’integrazione e l’interdipendenza tra percorsi di
valutazione orientati alla dimensione macro con quelli rivolti alla dimensione micro. Ricorda
l’utilità per lo sviluppo dei servizi sociali di effettuare valutazioni di carattere generale sulla
programmazione e sul funzionamento degli stessi e su servizio sociale nel suo complesso, pur che
questo non vada a discapito di una consapevolezza più sottile, quella relativa all'unicità per gli
operatori di valutare in modo auto critico e riflessivo i processi e i risultati del lavoro sul campo.
Nello specifico del lavoro si possono approfondire alcuni punti che si qualificano come buoni
motivi per cui è utile valutare.
- La valutazione aumenta la conoscenza di base: Un prerequisito fondamentale per aiutare
le persone ad aiutarsi è sapere cosa fare e questo implica il possesso di conoscenze
teoriche e di capacità operative. È noto che il servizio sociale si alimenti attraverso due
importanti vie; La teoria per la pratica e la teoria della pratica. Se la prima fornisce
orientamenti per l'individuazione dei percorsi, degli strumenti, delle tecniche più adeguate
per attuare nella pratica la filosofia del servizio sociale, la seconda arricchisce le
conoscenze teoriche attraverso riflessioni e generalizzazioni che possono derivare da
ricerche sul servizio sociale. Raccogliendo dati sul lavoro professionale per sviluppare
teorie relative ai diversi problemi sociali, sottoponendo a verifica le teorie elaborate della
pratica, costruendo interventi congruenti a queste, sperimentando le ipotesi di
trattamento nei setting reali, si potrà dare corso a quella circolarità del processo di
conoscenza/intervento del servizio sociale che va sotto il nome di prassi-teoria-prassi.
- La valutazione orienta la presa di decisione: la raccolta di informazioni che si realizza
attraverso i processi valutativi consente ai diversi attori sociali di prendere decisioni più
mirate e consapevoli. In particolare si segnalano come stakeholder, i politici, gli
amministratori, professionisti di organizzazioni che finanziano il pubblico in generale e i
clienti stessi dei servizi sociali. Tutti questi soggetti, seppur da diversi punti di vista, sono
interessati alla qualità dell’intervento e dei servizi e l'apprendimento derivante dalla
valutazione di esperienze pregresse diventa fondamentale per operare scelte più efficaci.
- La valutazione consente di dimostrare l'affidabilità: un ulteriore ambito in cui può essere
utilizzata la valutazione è quello relativo alla rendicontazione della gestione del denaro
pubblico in diversi campi.
- La valutazione assicura che gli obiettivi dei clienti siano raggiunti: la possibilità di definire
se i clienti ottengono quelle di cui hanno bisogno dall’intervento professionale rappresenta
un elemento molto importante per gli assistenti sociali. È importante che questa
valutazione compagni il processo di aiuto in modo da poter corregge l’intervento qualora si
dimostri non efficace.
- La valutazione aumenta la visibilità del lavoro professionale dell'assistente sociale: il
servizio sociale italiano presenta ancora problemi di identità e di riconoscimento nel
proprio ruolo all'interno della comunità, da parte dei colleghi e di altri professionisti e
anche delle organizzazioni. Lo sviluppo delle attività di valutazione del proprio operato
offre l'opportunità di presentarsi con maggiore chiarezza.

1.3. Alcune resistenze alla valutazione:


Permangono comunque alcune resistenze alla valutazione. Si ritiene che la valutazione non sia
applicabile in maniera utile e appropriata alla pratica del servizio sociale, considerata più come
un'arte che come una scienza. Un'altra resistenza deriva dal fatto che si vede la valutazione come
un controllo del proprio operato e quindi qualcosa di cui avere paura, in quanto non ci si sente
sufficientemente sicuri e si ha paura di venire giudicati. Sviluppare processi valutativi nel servizio
sociale comporta certamente alcune difficoltà. La complessità in tale ambito non dovrebbe però
scoraggiare a compiere ricerche in questa direzione, bensì incitare a scegliere le questioni
prioritarie e i metodi più adeguati. Il concetto di efficacia deriva da particolari modi di pensare e ha
senso solo in relazione al contesto in cui si sviluppa. Il concetti di efficacia avranno allora a che fare
con le domande dei cittadini o con il valore del denaro, con la responsabilità professionale,
piuttosto che con la soddisfazione per l'intervento.
Un primo nodo da affrontare concerne la definizione di che cosa si intenda per efficacia in una
logica di correlazione con i processi valutativi che si intendono attivare. Ciò implica tener conto dei
problemi legati non solo alla soggettività della definizione del valore di un'attività, ma anche la
possibilità che il processo attraverso cui si valuta sia più o meno oggettivo.
Un ulteriore problema deriva dalla capacità di esprimere gli obiettivi, i metodi e i risultati attesi da
parte del servizio sociale con un linguaggio che abbia un certo grado di precisione. In particolare gli
obiettivi e i risultati sono di difficile definizione quando questi vengono utilizzati nell’ambito del
servizio sociale. Sovente ci si preoccupa di creare potenzialità piuttosto che di raggiungere uno
stato finale, si lavora per aumentare nei clienti la consapevolezza della loro situazione, per
accrescere la capacità di utilizzo dei servizi, di per proteggerli da situazioni a rischio o da difficoltà o
per rendere più adeguato funzionamento della famiglia. Questi aspetti sono intangibili e pertanto
è difficoltoso determinare il loro raggiungimento. È quindi necessario scomporli, identificando una
serie di risultati che possono essere più facilmente misurabili, senza cadere nella banalizzazione.
Le finalità, i processi e gli effetti del servizio sociale sono diversi e può essere difficile inserire nella
terminologia in variabili standardizzate. Bisogna accettare di affrontare il problema della
valutazione dell’efficacia di servizio sociale avendo presente che ci si dovrà barcamenare con una
varietà di imprecisioni/ambiguità. Non va poi dimenticato che vi sono approcci metodologici
diversificati che possono essere utilizzati a seconda del tipo di valutazione che si vuole compiere. A
questo proposito risulta interessante il lavoro di Foss Hansen che di fronte alla varietà di proposte
valutative mette in evidenza alcuni criteri che possono orientare la scelta. Qual è il corpo della
valutazione? si vuole sviluppare apprendimento o si vuole rendere conto delle performance degli
operatori? quali sono le caratteristiche dell’oggetto da valutare? qual è il problema che l'oggetto
della valutazione deve risolvere? la risposta a questa domanda orienterà la scelta di un disegno
valutativo appropriato punto ancora l'autrice raccomanda di prendere in considerazione altre
variabili che attengono i processi di negoziazione che possono aprirsi tra i vari attori coinvolti.

1.4. Diversi modelli di valutazione:


Qureshi descrivi tra diversi modelli riscontrabili nella pratica:
1. la valutazione scientifica è condotta e controllata dall’esterno e disegnata per produrre
una conoscenza generalizzabile applicabile anche al di fuori del contesto originario. Si
avvale di metodi rigorosi, numeri adeguati di casi da considerare, misure precise e gruppi di
controllo. Nella valutazione scientifica si possono utilizzare metodi sia qualitativi che
quantitativi purché correttamente applicati. Non è un'attività di routine e difficilmente
conduce a cambiamenti nel contesto in cui viene svolta.
2. La valutazione processuale viene definita come un processo strutturato accuratamente in
cui un servizio della comunità analizza quanto gli sforzi correnti corrispondono alla propria
visione definita e ai valori. Il riferimento a un servizio per la comunità implica il
coinvolgimento degli stakeholder, di utenti e cargiver come soggetti significativi da cui
raccogliere informazioni e con cui sviluppare ampie consultazioni. È un'attività che può
essere ripetuta o continuativa. Sviluppa una ricaduta formativa offrendo un feedback per
l'azione e genera cambiamento all'interno del contesto in cui si svolge.
3. La valutazione manageriale è collegata a sistemi di controllo e si basa sulla convinzione che
esista la possibilità di individuare indicatori di performance. Il suo utilizzo viene
stigmatizzato in quanto più orientato a legittimare tagli e restrizioni che a sviluppare
interventi a favore degli utenti. Viene assimilata alla valutazione scientifica ma gli studiosi
affermano che in molti casi può essere descritta come un rituale messo appunto per
validare e mantenere le organizzazioni.
Queste tre forme di valutazione hanno in comune il fatto di mettere a fuoco con chiarezza gli
obiettivi, di sviluppare un approccio sistematico e di fondarsi su una conoscenza preesistente.
Non va dimenticato che nessuna di queste opzioni può dirsi neutrale in quanto viene sempre
richiesta una scelta rispetto a quale sia il punto di vista con maggiore rilevanza. Qureshi dopo
aver prodotto una definizione di valutazione, individua due tipologie di valutazione per il
servizio sociale, una valutazione interna e una dall'esterno. Afferma poi che in entrambe
queste modalità vi sono vantaggi e svantaggi. Se la valutazione opera dall'esterno può
garantire una visione più limpida e meno inquinata dall’esposizione dinamiche organizzative,
quella che si sviluppa dall’interno può avere maggiori possibilità, proprio per l'approfondita
conoscenza del contesto di individuare spazi di implementazione delle attività. Un'ulteriore
differenza si presenta rispetto ai tempi: mentre la valutazione del servizio sociale può essere
un episodio occasionale che richiede personale ad hoc e da tempi relativamente lunghi prima
di essere comunicata e utilizzata dei soggetti che vengono sottoposti a valutazione, nella
valutazione dall'esterno si ha la possibilità di attivare processi continuativi in cui sono gli
assistenti sociali e sviluppare percorsi valutativi che hanno una fruibilità immediata. La prima
dà luogo a report formalizzati che possono costituire la base di pubblicazioni scientifiche, la
seconda è meno visibile e resta molto spesso interna al servizio. La valutazione non è qualcosa
di esterno l'organizzazione ma integrata nelle attività di tutti i giorni e si caratterizza come un
processo di sviluppo.

1.5. I paradigmi teorici che orientano la valutazione nel servizio sociale:


Quello che si vuole sottolineare l'importanza che la valutazione in tre come parte integrante
dell'impegno professionale di ogni assistente sociale, sia come elemento costitutivo della pratica
professionale, sia come ricerca per sviluppare teoria e conoscenze.
Un aspetto importante da considerare riguarda l’orientamento teorico da cui la valutazione
prende le mosse. Come argomentato da Shaw e Crompton non è indifferente la scelta che viene
fatta. Se da una parte la teoria consente al valutatore di focalizzare la sua attenzione su alcuni
aspetti specifici e di facilitare la ricerca, dall'altra rischia di far trascurare quei risultati che non
sono coerenti con la con la teoria stessa. Bisogna poi prestare attenzione alla compatibilità nella
scelta di teorie macro e micro. Il tema dei paradigmi o dei modelli di riferimento è ampiamente
dibattuto e le classificazioni non sempre omogenee, presenteremo due proposte di articolazioni: la
prima di Guba e Lincoln, la seconda di Kazi.
Guba e Lincoln definiscono i paradigmi della ricerca come sistemi di pensiero o le visioni del
mondo che guidano il ricercatore, non solo nelle scelte di metodo ma anche negli aspetti
ontologici ed epistemologici. Essi prendono in considerazione:
- la questione ontologica che si riferisce alla forma e alla natura della realtà e che cosa il
ricercatore può studiare o su cosa può costruire conoscenza;
- La questione epistemologica che comprende la relazione tra il ricercatore e l'oggetto della
ricerca;
- La questione metodologica intesa come la scelta delle procedure che il ricercatore intende
adottare per raggiungere la conoscenza.
In relazione a queste variabili gli autori analizzano quattro opzioni paradigmatiche: positivismo,
post positivismo, la teoria critica e il costruttivismo.
- Il positivismo opera sotto una dimensione ontologica definibile in “realismo ingenuo” in cui
si suppone che esistano una realtà afferrabile e governata da leggi naturali e immutabili.
Dal punto di vista epistemologico questo approccio di ricerca compie un’assunzione di
oggettività attraverso le quali il ricercatore ritiene di poter conoscere come sono le cose e
come le cose funzionano. La metodologia si basa sulla verifica di ipotesi e si caratterizza
come sperimentale manipolativa.
- Il post positivismo si muove con un approccio ontologico di “realismo critico” che assume
anche su una realtà oggettiva, ma asserisce che questa può essere appresa solo in maniera
imperfetta e probabilistica. La realtà può essere avvicinata ma non compresa
completamente. La metodologia è caratterizzata da un approccio sperimentale modificato.
Attraverso l'incremento dell'uso di tecniche qualitative, è più orientata a falsificare che a
verificare le ipotesi. La ricerca è condotta in setting più naturali e sollecita il punto di vista
emico.
- La teoria critica procede con un approccio di “realismo storico”. Questa prospettiva tiene
conto dei fattori sociali, politici, culturali, economici, tecnici che contribuiscono a definire le
strutture che vengono considerate come reali e immutabili. Si postula un legame
interattivo tra colui che fa ricerca e l'oggetto della ricerca e si evidenzia il fatto che i valori
del ricercatore possono influenzare l'indagine. Nella teoria critica la distinzione tra
ontologia ed epistemologia lascia il posto a una visione in cui ciò che può essere conosciuto
è intrecciato con l’interazione tra quel particolare ricercatore e quello specifico gruppo
oggetto in studio.
- Il costruttivismo pratica un’ontologia fondata sull’assunto che l'oggetto in quanto tale non
esiste, presuppone che le realtà sociali siano multiple e talora anche conflittuali. La realtà è
frutto di costruzioni mentali. La realtà è considerata quindi come una costruzione, non vera
in senso assoluto, ma semplicemente più o meno informata e sofisticata. Transazionale e
soggettivo, il ricercatore costruttivista crea i propri risultati in un processo interattivo con il
contesto oggetto di studio. Anche qui scompare la distinzione tra dimensione ontologica ed
epistemologica, i metodi utilizzati si rifanno ad approcci dialettici ed ermeneutici. Il
ricercatore raggiunge una costruzione concentrata che è il prodotto della visione “emica”
ed “etica”.
Kazi propone un'articolazione delle prospettive più significative che orientano i processi di
valutazione, pur affermando che vi possono essere sovrapposizioni e contiguità. Evidenza quattro
approcci prevalenti:
Pratica empiricamente fondata; Pragmatismo o pluralismo metodologico; Approcci interpretativi
che includono anche la teoria critica, valutazione femminista e il costruttivismo sociale; Approccio
post positivisti come realismo scientifico.
Due sono le modalità attraverso cui questo approccio si sostanzia e che hanno dato vita in Gran
Bretagna a due diversi movimenti: “il disegno sperimentale a sistema singolo” e “il sistema delle
prove controllate ripartite con scelta casuale”.
Il disegno sperimentale a sistema singolo è definito dall’encyclopedia of social work come una
metodologia di ricerca che permette agli assistenti sociali di tracciare i loro progressi con i clienti.
La logica sottesa al SSD si basa sull’importanza di una verifica continua dei progressi del cliente
senza andare a ricercare le connessioni tra questi e l'intervento dell'assistente sociale. Diverse
sono le tipologie di disegno a cui ci può ricorrere. La più semplice o “AB design” individua nelle
situazioni dell'utente un comportamento da modificare, definito target dell’intervento. Sulla base
di una raccolta di informazioni svolta dall' operatore sul comportamento target nella fase iniziale,
si cerca di individuare se e quali differenze si sono verificate nello stesso comportamento presi in
esame dopo la realizzazione dell’intervento.
Una forma più complessa è quella definita “ABC design “o s”uccessive intervention design” che fa
seguire alla prima misurazione del cambiamento un ulteriore intervento con conseguenti
misurazione del comportamento target. Il processo può andare avanti aggiungendo tante fasi
successive per quante volte si ritenga necessario. Questo disegno si rivela utile quando l'intervento
svolto non ha prodotto gli effetti sperati e sia necessario implementare il progetto con un'attività
differente.
Una terza tipologia conosciuta anche come “reversal design” prevede la misurazione in una
sequenza ABAB. Definito nella fase A le caratteristiche del comportamento su cui intervenire, si
ripete la misurazione in concomitanza con un intervento, facendo poi seguire una raccolta di
informazioni sul comportamento target in assenza dell’intervento e ancora una successiva, in
presenza dell'erogazione dell’intervento. In questo modo è possibile testare l'utilità e l’impatto
sulla misurazione.
Il “multiple baseline design” si utilizza per monitorare l'effetto di uno stesso intervento su due o
più componenti target o due o più clienti o ancora due o più contesti diversi. È uno strumento di
valutazione che consente di esaminare l'efficacia di un intervento con maggiore sicurezza.
Pragmatismo o pluralismo metodologico: Questo approccio nasce dalla necessità di procedere
speditamente verso la strada della ricerca sull’efficacia del lavoro sociale e da una certa
insofferenza verso le disquisizione di tipo epistemologico che rischiano di rallentarel'attuazione di
processi valutativi. Il pluralismo metodologico si basa sulla considerazione che i diversi i metodi,
connessi ai rispettivi paradigmi teorici, presentano ognuno delle limitazioni e che
l'approssimazione alla realtà si raggiunge in meglio dove si combinano metodi qualitativi con
metodi quantitativi. Secondo il pluralismo metodologico è il criterio di fattibilità a orientare la
scelta dei metodi. Attraverso il processo di triangolazione, dati raccolti da fonti diversi o con
tecniche varie in tempi differenti, possono essere messi in relazione e consentire processi di
generalizzazione più attendibili.
Paradigmi interpretativi: comprendono sia il realismo critico sia il costruttivismo sociale che la che
la valutazione femminista. In realismo critico mette in discussione l'analisi causale in quanto
troppo mirata alla spiegazione del perché accadono determinati fatti, mentre al servizio sociale
interessa conoscere quello che sta dietro a un certo processo, per poterne influenzare il corso e
finalizzarlo al raggiungimento degli obiettivi che si pone. Il realismo critico è un paradigma
fortemente orientato sotto il profilo politico, che si propone di sviluppare consapevolezza sui livelli
di possibile oppressione presenti nello svolgimento dell’azione professionale. L’obiettivi è quello di
emancipare le persone. Su questa logica si colloca anche la valutazione femminista che inserisce la
prospettiva di genere come elemento specifico. Il costruttivismo sociale ammette che vi sia una
realtà esterna. Un elemento centrale di questi paradigmi sta nell’utilizzo di un approccio dialogico
che aiuti i partecipanti ad acquisire maggiore consapevolezza e capacità di autoriflessione. I
metodi qualitativi sono i preferiti e possono includere sia analisi di tipo empirico, sia un approccio
storico ermeneutico, mentre si ritiene che i dati quantitativi possano dare un aiuto poco
significativo per la comprensione della realtà.
Dullea e Mullender illustrano come la ricerca partecipativa e la valutazione femminista possano
intraprendere la filosofia del servizio sociale e offrano un modello di “valutazione trasformativa”
orientata a individuare e modificare i fattori sociali, politici ed economici che sostengono le diverse
forme di oppressione presenti nel sistema sociale, attraverso una valorizzazione delle persone che
aiuti a prendere il controllo della propria esistenza, comprendendo e fronteggiando le cause di
sopraffazione e ingiustizia.
Post positivismo. Mantiene in chiara la distinzione tra l'osservatore e il fenomeno osservato ma
sottolinea il fatto che la conoscenza della realtà sarà sempre parziale e incompleta per cui la
ricerca dell'oggettività richiede un confronto tra i ricercatori e la messa in relazione tra i risultati
ottenuti dalle conoscenze acquisite precedentemente. Un paradigma particolarmente interessante
che viene ricompreso in questo ambito e il “realismo scientifico”. Pawson e Tilley, Kazi ma anche
Moren e Blom ,sono tra gli autori più significativi che hanno sviluppato un'applicazione di realismo
scientifica alla valutazione del servizio sociale. L'attenzione si focalizzano sull’identificazione di
come funziona, per chi e in quali circostanze. Viene proposto un percorso circolare che parte dalla
considerazione di un modello di intervento usata dei professionisti, analizzando quanto questi
riflettono la realtà e come possono essere implementati per rispondere in maniera più efficace ai
bisogni dei cittadini. Si crea una sorta di interazione circolare in quanto ogni spiegazione richiede
ulteriori indagini e ulteriori spiegazioni.
Un tema affrontato dalla valutazione realista è quello della riproducibilità degli interventi che sono
risultati efficaci. L'attenzione ai presupposti che facilitano il buon risultato di un progetto rendono
possibile da una parte l'individuazione delle caratteristiche di riproducibilità, dall'altra la messa a
fuoco di quelle condizioni in cui emergono nuovi meccanismi. I programmi di intervento agiscono
come meccanismi generativi orientati ad apportare cambiamenti positivi, perciò la valutazione
deve approfondire la conoscenza di questi fenomeni. Valutazione non è solo investigazione sulle
connessioni empiriche tra interventi risultati, ma anche tentativo di affermare che cosa costituisce
queste connessioni per spiegare come e perché i risultati emergono da quegli interventi. Si entra
in quello che viene definito come White box, non solo rendendo evidente l'effetto dell'intervento
o mettendo in luce solamente alcuni elementi del programma, ma esplicitando attraverso quali
meccanismi le persone cooperano e fanno in modo che gli interventi funzionino attraverso
l'assunzione delle loro responsabilità.

CAP.7

La valutazione è considerata un processo di conoscenza necessario per assumere decisioni e


adottare comportamenti conseguenti. Decidere significa essenzialmente scegliere, e ogni scelta
implica letture, punti di vista, giudizio di valore poiché sono messi in gioco le preferenze di colui
che sceglie. Una parte hard dell'attività dell’assistente sociale riguarda l'attivazione di progetti di
intervento condivisi possibilmente con l'utente, che richiedono l'assunzione di valutazioni e
decisioni. La relazione tra la professionista del sociale e la persona con cui interagisce sebbene sia
basata su comunicazione, comprensione ed empatia appare assimetrica poiché le informazioni che
il professionista detiene sono diverse da quelle possedute dall’utente. La competenza
dell’assistente sociale è determinata da un insieme di conoscenze di tipo legislativo, relazionale,
valoriale, scientifico e comportamentale acquisiti nel corso della formazione e durante l'esperienza
operativa. Ogni professionalità, tanto più quelle di tipo sociale, è condizionata dalla soggettività
individuale, dal grado di conoscenza dei compiti connessi al proprio ruolo professionale, dare
mandato istituzionale, dalla pressione esercitata dall’utente ed alla sua famiglia. Appare evidente
che ogni processo decisionale è limitato razionalmente e quindi: non è possibile prendere in
considerazione tutti i possibili interventi alternativi relativi ai problemi evidenziati il; Le decisioni
appaiono condizionate temporalmente, sia nel senso che perseguire un obiettivo spesso indica
dover rinunciare a perseguirne un altro, sia nel senso che un obiettivo perseguito e raggiunto in un
certo momento può condizionare gli obiettivi successivi; Il condizionamento temporale è
determinato anche dalle scelte compiute in passato che hanno implicazioni sulle decisioni future.
Per superare questi ostacoli appare importante elaborare delle strategie. È necessario connettere
la flessibilità con altri meccanismi di integrazione. Dal punto di vista metodologico, costruire un
disegno di valutazione di un caso richiede spesso competenze analoghe a quelle utilizzati per
valutare servizi e politiche. Nei diversi ambiti è possibile effettuare una valutazione ex ante su
attività progettate ma non realizzate, per scegliere alternative o modalità diverse di esecuzione
dello stesso progetto. La valutazione in itinere può essere effettuata durante la realizzazione
dell’intervento per raccogliere elementi utili alla conferma o alla modifica delle scelte operative
ipotizzate a priori in modo da poter rivalutare l'intervento. La valutazione ex post può essere:
Di esito; Di risultato; Di impatto.
Nel primo caso la valutazione evidenza se le politiche e gli interventi professionali sono stati
realizzati, nel secondo caso se questi sono stati positivi e negativi, nell'ultimo caso si evidenzia se
gli interventi hanno effettivamente dato luogo ai benefici che ci si potevano ottenere.

7.1. L’Evidence Based Practice (EBP):


È un approccio che ha acquisito una grande rilevanza nel mondo sanitario sta interessando anche
le professioni sociali soprattutto al livello del mondo accademico mentre nel lavoro operativo non
rappresenta ancora riferimento teorico e metodologico riconosciuto. Consiste in un utilizzo
accurato esplicito e scienziato delle migliori evidenze empiriche disponibili da parte dei
professionisti chiamato a prendere decisioni in merito alla salute e al benessere del proprio
paziente utente punto tale utilizzo richiede e si basa su abilità specifiche che consentono di
valutare in modo e sistematico oggettivo sia evidenze esterne sia l'esperienza soggettiva
dell'interessato. L'evidence based medicine (EBM) e considerato un processo assolutamente
innovativo nel contesto dell’assistenza sanitaria anche di autoapprendimento in cui l'assistenza al
paziente stimola la ricerca di informazioni cronicamente rilevanti, il medico converte il bisogno di
informazione in quesiti ben definiti, ricerca le migliori evidenze disponibili e dopo aver valutato
criticamente validità interna e applicabilità clinica, le integra nelle proprie decisioni. Allo sviluppo
dell’EBM hanno contribuito lo sviluppo dell’epidemiologia clinica intesa come scienza che studia i
fattori determinanti, gli effetti delle decisioni cliniche e la progressiva affermazione della
sperimentazione clinica controlla e quale standard per valutare l'efficacia di un trattamento.
L'evidence based practices è presentato dai suoi sostenitori come fondamento necessario in una
pratica professionale, mentre secondo i suoi detrattori non costituisce un elemento innovatore
rispetto al passato e non è in grado di modificare il lavoro sulla base delle valutazioni che compie.
Nel lavoro sociale alcuni autori ne sottolineano gli aspetti innovatori. Il ricorso a una razionalità
tecnico-professionale e nello specifico le evidenze empiriche, in base a cui strutturare gli interventi
e le azioni professionali, può portare sia all’efficacia della pratica lavorativa quotidiana sia al
contenimento delle spese gestionali. L' approccio dell’EBP nell’ambito del lavoro sociale ha queste
caratteristiche fondamentali:
La pratica è basata su un'evidenza empirica che possa dare maggiore garanzia di successo; Si
riconosce una gerarchia delle evidenze; Si definisce un’ipotesi casuale da verificare circa il caso da
affrontare; Si presta attenzione agli effetti di un intervento.
Al vertice della gerarchia delle evidenze sta il disegno sperimentale classico incentrato sulla
randomizzazione e sul controllo delle variabili. Nell’approccio EBP si rifiuta il monopolio della
conoscenza del solo professionista in virtù del suo ruolo, e anzi si cerca di rispettare le opinioni di
tutti i soggetti coinvolti interessati. Il rischio è evidentemente quello di sovraccarico di dati, di
risultati e di ricerche che necessitano di essere discussi, confrontate, contestualizzate.
Nell’approccio appare necessario integrare competenze qualitative e quantitative di studio
derivanti anche dal coinvolgimento degli utenti e, secondo alcuni autori, le scelte dell’intervento
vanno discusse in base all’evidenza empirica riportata. L’EBP non può essere applicata
indistintamente a tutto il lavoro sociale poiché non prende sufficientemente in esame il fatto che
nei processi decisionali dei servizi sociali intervengono una molteplicità di fattori di influenze, quali
complesse dinamiche Intra organizzative tra i diversi stakeholder o riferimenti valoriali specifici.
Nel lavoro sociale è sempre più evidente l'importanza di strutturare buone prassi valutative poiché
queste permettono di evidenziare diversi step processuali necessari per attuare insieme all'utente
interventi significativi di miglioramento delle condizioni di disagio. Le buone prassi valutative
auspicate dall’approccio EBP, hanno come obiettivo quello di valutare anche gli esiti degli stessi
misurando effettivamente i cambiamenti intervenuti nelle situazioni.

7.2. il metodo Plan To Check Act (PDCA):


Questo metodo è considerato un'importante metodologia per affrontare in modo processuale la
messa a punto di un progetto della sua implementazione. L’acronimo sta per:
pianificazione (PLAN), esecuzione (DO), verifica (CHECK), sistematizzazione (ACT).
Tale metodo riportato nel lavoro sociale si articola in quattro fasi:
Fase PLAN: tenendo conto del contesto istituzionale è necessario identificare ed esplicitare
insieme all'utente i problemi individuati nelle situazioni, motivare il perché si decide di affrontare
quelli ritenuti prioritari, definire i diversi obiettivi del progetto di intervento e i possibili vantaggi.
Questa modalità di procedere permette di confermare o disconfermare l'avvenuta identificazione
del problema. È necessario costruire ipotesi che permettono di individuare una sequenza delle
azioni ritenute maggiormente opportune per l'attivazione di un progetto di aiuto e sulla base di
queste identificare le priorità di intervento.
Fase DO: Devono essere individuati gli operatori in grado di lavorare nel modo concordato e
predisponenti gli strumenti e le risorse per le attività previste e solo successivamente passare alla
loro realizzazione.
Fasi CHECK: Una volta realizzate le attività previste si verifica che queste siano state eseguite
secondo le modalità programmate e che vi sia congruenze tra gli obiettivi iniziali i risultati finali.
Fase ACT: si esplica attraverso due possibili modalità: se la fase check verifica raggiungimento
dell'obiettivo, la fase Act prevede la “standardizzazione” dell’intervento attraverso la messa a
punto di una procedura di prassi operative; se nella fase check si verifica il raggiungimento
dell'obiettivo è necessario ritornare alla fase plan, per impostare la pianificazione e ripetere il ciclo.
Ne sociale l'attuazione di questa processualità può essere resa complessa dalla compresenza di
diverse variabili che rendono più difficile effettuare una verifica e una valutazione sulla tenuta di
certi risultati.

7.3. L’analisi SWOT:


Da alcuni anni l'analisi SWOT, che origina dall’economia aziendale e in particolare dalle strategie di
marketing, è utilizzata come supporto di scelte di intervento pubblico con l'obiettivo di analizzare
scenari altri alternativi di sviluppo. Attualmente questa analisi è utilizzata nella valutazione di
fenomeni di interventi in ambito sociale in quanto permette di rendere immediatamente fruibili
informazioni fondamentali. L'acronimo SWOT deriva dalle chiavi di lettura utilizzate per
l'individuazione del fenomeno preso in esame: STREGHTS, punto di forza; WEAKNESSES, punti di
debolezza; OPPORTUNITIES, opportunità; THREATS, minacce.
Le prime due categorie riguardano i fattori endogeni e pertanto prendono in considerazione le
variabili che sono parte integrante del sistema stesso sulle qualità sulle quali è possibile
intervenire per perseguire gli obiettivi prefissati. In tal senso l'indicazione dei punti di forza e di
debolezza può essere agevolata dall'impiego di specifici indicatori sociali, territoriali, strutturali.
I fattori esogeni sono le variabili esterne al sistema in grado di controllarlo in senso negativo o
positivo, e si riferiscono rispettivamente alle categorie delle opportunità e delle minacce. In questo
caso l'intervento diretto di governo di fenomeno/progetto diventa quasi impossibile, tuttavia
l'individuazione delle caratteristiche dei fattori esogeni, della loro evoluzione e del relativo impatto
sul sistema stesso, può consentire la predisposizione di misure atte a prevenire o ridurre i
prevedibili effetti negativi e a sostenere e favorire quelli positivi. L'individuazione delle opportunità
e delle minacce, a differenza dei punti di forza e do debolezza, deriva da valutazioni con un certo
grado di incertezza che tuttavia possono essere suffragate da modelli di simulazione dell'impatto
dei fattori esogeni. La validità dell'analisi SWOT dipende dall’accuratezza dell’analisi preliminare di
fattori endogeni ed esogeni e rimane prevalentemente di carattere soggettivo. Il fenomeno o il
progetto che si va a valutare deve essere analizzato in modo approfondito con le finalità di
evidenziare le diverse caratteristiche strutturali e congiunturali sottolineando l'eventuale relazione
con altre situazioni che esulano dallo specifico oggetto di indagine, ma che sembrano essere
rilevanti nel contesto più allargato in cui esso si colloca. La metodologia SWOT risulta efficace nel
permettere di giungere a una lettura incrociata dei fattori individuali, tale da formulare indicazioni
per la definizione delle strategie di intervento. Soprattutto dall’analisi dei sistemi complessi, può
risultare utile procedere a una rappresentazione dei risultati che evidenzia le principali aree di
intervento e i fattori endogeni ed esogeni che la caratterizzano.
La metodologia SWOT si caratterizza per una classificazione dei risultati dell'analisi preliminare
all'interno di uno schema predefinito in grado di facilitare l'individuazione di priorità di intervento,
supportando i processi decisionali. In quest’ottica un'altra modalità di rappresentazione delle
analisi consiste nella cosiddetta matrice SWOT che, mettendo in diretta relazioni punti di forza e di
debolezza con le opportunità e le minacce, consente di enucleare le possibili strategie da
sviluppare per far leva sulle opportunità esogene e da attuare per contenere preventivamente
l'impatto di fattori di rischio.
Le strategie S-O hanno come obiettivo quello di sfruttare le opportunità endogene che investono
in modo diretto i punti di forza del sistema.
Le strategie W- O mirano a superare i punti di debolezza per sfruttare le opportunità.
Le strategie S-T individuano le modalità attraverso le quali utilizzare i punti di forza per accentuare
o eliminare le minacce esogene.
Le strategie W-T servono per individuare i piani di difesa per evitare che le minacce esterne
acuiscano i punti di debolezza.
La metodologia dell'analisi SWOT costituisce un utile strumento a sostegno delle attività valutative
in ambito operativo e decisionale anche per gli assistenti sociali.

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