Intervento Sistemico
La difficoltà nel definire una teoria metodologica, nello specifico un metodo, sta nel fatto che
il servizio sociale ha un elevato contenuto pragmatico, non è sufficientemente legittimato dai
contesti organizzativi in cui l'AS è inserito e dall'elevata componente emotiva. A ciò si
aggiunge anche il problema legato al genere, nel senso che la professione dell'assistente
sociale è riconducibile alla figura femminile, la quale ha accentuato la pratica della
“disponibilità” e l'abitudine a non rappresentarsi.
Ci si può riferire al servizio sociale come una teoria operativa, non definita, ma che cresce
come capacità di riflettere sulla realtà sociale e sul lavoro, in base a certi principi e
indicazioni di metodo, in rapporto all'evoluzione della società e dei suoi bisogni.
Si può dire che il servizio sociale finalizza la conoscenza all'intervento, quindi si devono
impiegare elementi conoscitivi derivanti da altre discipline (filosofia, psicologia, sociologia).
Si parla quindi di un sapere complesso, non autonomo, di una disciplina che fornisce
strumenti per gli operatori.
Il servizio sociale è una scienza teorico pratica che si interessa di problemi che riguardano
l'individuo in rapporto al suo contesto sociale, non riguarda unicamente il campo dell'attività
pratica, ma presuppone:
assunzione di criteri di riferimenti valoriali (deontologia) e conoscenze scientifiche
come fondamento del fare
definizioni di scelte, che costituiscono mete da raggiungere e la previsione di esiti
dell'operare
concatenazione logica di operazioni e predisposizione di idonei strumenti
riflessione sulle esperienze condotte che favorisce evoluzione del costrutto
metodologico
Metodo → schema mentale che deve orientare, guidare il cammino per giungere al
conseguimento di uno scopo.
Dagli anni '80 si è esplicitata la possibilità di utilizzare un metodo unitario come linea guida
dell'assistente sociale indipendentemente dal tipo di utenza o di problema con cui si trovi a
operare. Si parla di un metodo unitario, non curativo o dirigistico.
Il modello non si rifà ad un modello medico “studio – diagnosi – trattamento”, ma ha:
fase conoscitiva descrittiva
fase valutativo decisionale
fase attuativa
fase di verifica ed eventualmente conclusione dell'intervento
il procedimento metodologico resta invariato nella sequenza delle sue fasi,
indipendentemente dal tipo di attività sia nel lavoro con l'utenza singola, con la famiglia, con
i gruppi o nell'animazione di comunità.
Il processo si sviluppa con una logica circolare a spirale: vi è la possibilità di ritornare a fasi
precedenti per arricchirle di nuovi contributi.
1. Comparazione dei contenuti di ciascuna delle fasi in relazione alla tipologia di lavoro
del servizio sociale
2. individuazione e analisi a livello di ciascuna delle dimensioni in cui il servizio sociale
si articola
La teoria fornisce i presupposti sulla base dei quali si può costruire un modello per la pratica.
Il modello attraverso il richiamo agli aspetti teorici, offre la possibilità di codificare perché si
agisca in quel determinato modo rispetto a quella determinata situazione.
Risulta essere fondamentale per gli AS acquisire una metodologia di lavoro precisa e
puntuale per garantire scientificità del servizio sociale → procedimento metodologico.
Ciò per l'appunto favorisce una professionalità dell'intervento che si completa soltanto se,
all'intervento del processo metodologico, viene definito e seguito un modello teorico per la
prassi.
E' importante arrivare alla definizione di modelli per la pratica del SS che siano specifici e
utilizzabili nella realtà dei servizi in cui si opera. Metodo e metodologia sono fondamentali
nell'agire professionali.
E' necessario che l'AS scelga a quale modello far riferimento nell'operatività, in quanto non
si possono utilizzare più modelli perché risulta essere difficoltoso acquisire schemi di
pensiero diversi tra loro.
Valore centrale del SS: rispetto della persona umana nella sua dignità e libertà che si traduce
in atteggiamenti quali accettazione e autodeterminazione. L'AS secondo un'ipotesi
organizza le informazioni offerte dal sistema, non sostituendosi alla persona, ma facilitando
cambiamento e riorganizzazione del sistema stessa, rispettandone tempi, caratteristiche e
finalità.
Neutralità, operatore privilegia un atteggiamento di non giudizio che consente di non
cadere in valutazioni legate a stereotipi o che non tengono conto del contesto
relazionale in cui il singolo è inserito.
Particolarizzazione, viene confermato dal principio dell'equifinalità che sottolinea
come a condizioni finali uguali non corrispondono in maniera deterministica cause
uguali e viceversa.
Secondo l'ottica sistemica si dà spazio al soggetto e alle sue relazioni, si potenzia la capacità
dell'AS di leggere il bisogno, non fermandosi semplicemente a quanto richiesto dall'utente
o selezionando la domanda in base a quello che il Servizio può offrire. L'ottica sistemica
favorisce un approccio globale sia nella dimensione individuale che in quella comunitaria e
la consapevolezza dell'interazione di più cause e sistemi stimola integrazione e
interdisciplinarietà tra i diversi operatori.
Importante è il concetto di cambiamento: uno degli elementi portanti del modello di
intervento.
Cambiamento di tipo 1: eliminazione di un sintomo di disagio, senza modificare gli
schemi relazionali del sistema. Si mantiene l'equilibrio esistente
cambiamento di tipo 2: conduce il sistema verso una trasformazione per il
raggiungimento di un nuovo equilibrio.
Contraddizione: evidenzia come in ogni situazione ci sono aspetti negativi ed altri positivi
a seconda della prospettiva.
Interdipendenza: teoria dei sistemi e assimilazione dell'individuo a un sistema aperto, per
cui ogni cambiamento che avviene ad una parte, per il principio di totalità, modificherò il
sistema nel complesso.
Equilibrio dinamico: principio dell'autoregolazione. Sistemi aperti scambiano informazioni
al proprio interno e con l'esterno sono continuamente sottoposti a sollecitazioni che
potranno o rafforzare equilibrio o spingere il sistema verso una trasformazione.
All'interno della teoria generale dei sistemi di Von Bertalanffy vi è una corrente di tipo
matematico chiamata cibernetica e definita come scienza del controllo e della
comunicazione nell'animale e nella macchina che ha offerto utili spunti agli studiosi dei
sistemi umani, circa l'interazione tra gli individui.
totalità: si intende che ogni parte del sistema è in rapporto con le altre che lo costituiscono
e che qualsiasi cambiamento provoca cambiamento in tutte le altre e nel sistema stesso.
Per questo Bertalanffy afferma che è importante risolvere i problemi che si trovano
nell'organizzazione e nell'ordine che unificano parti e processi.
Concetto di retroazione: alla base della circolarità, caratteristica dei processi interattivi,
tipici dei sistemi aperti. L'informazione che va da un emittente al ricevente comporta una
successiva informazione di ritorno da quest'ultimo all'emittente. Ogni informazione ha due
effetti:
fa raggiungere e mantenere stabilità del sistema ed è quindi negativa al cambiamento
provoca una perdita di stabilità e di equilibrio nel sistema, quindi è positivo al
cambiamento
Ogni informazione deve essere elaborata e confrontata con i modelli organizzativi che
potranno avere una conferma o una spinta alla trasformazione.
E' necessaria però autoregolamentazione altrimenti se vi sono troppi cambiamenti si arriva
alla dissoluzione del sistema viceversa un irrigidimento, sclerotizzazione del sistema che
così perde di flessibilità, fornendo risposte ripetitive e meno efficaci.
tutti e tre fanno parte della semiotica, cioè della disciplina scientifica che studia il significato
dei segni nella comunicazione umana.
La notizia è una metacomunicazione. Ogni comportamento è lo stimolo per ogni evento che
segue e la risposta o rinforzo per quello precedente. La punteggiatura organizza gli eventi,
ma non sempre è condivisa dall'altro in quanto varia a seconda di come viene gestita dal
comunicante.
analogici: posizione del corpo, ritmo, cadenza della voce, ogni altra espressione non verbale
di cui l'organismo è capace. Ha una sua ambiguità però per la mancanza di indicatori e
qualificatori.
Ogni messaggio comunicativo riceve risposte sia livello di contenuto che a livello di relazione.
Comunicazione disfunzionale
A meno che la comunicazione non sia già squalificata, a essa viene attribuita una
intenzionalità, volontarietà più o meno conscia e quindi un certo grado di responsabilità. La
squalifica non è una caratteristica del messaggio, ma una risposta – giudizio e se c'è vuol
dire che la comunicazione non ha raggiunto il suo obiettivo. La possibilità che ciò avvenga
è per la caratteristica flessibile e aperta della comunicazione, come processo che si modifica
in itinere sia per relazione che contenuto. “non mi sono spiegato bene”, “non hai capito”.
All'interno di una comunicazione distinguiamo anche paradossi e confusione.
Paradosso → contraddizione che deriva dalla deduzione corretta da premesse coerenti:
logico matematici: ad esempio quando ci si trova a dover catalogare un'azione in sé
buona, ma compiuta per causa malvagia o viceversa
definizioni paradossali: “mi è impossibile andare contro i miei principi senza andar
contro ai miei principi”, “in nome della tolleranza non tollero gli intolleranti”.
paradossi pragmatici: chi riceve un messaggio del tipo “sii spontaneo” non può
ubbidirvi senza perdere proprio quella spontaneità che è prescritta e gli effetti variano
da lieve seccatura a vere tragiche trappole relazionali a seconda dell'importanza del
bisogno che esprimono. Altri paradossi pragmatici interviene su:
percezioni: individuo che viene punito per la percezione che ha del mondo da
un'altra persona che lui ha contribuito a costruire come importante.
Sentimenti: se una persona importante mostra di aspettarsi che l'altro provi
sentimenti diversi da quelli che realmente prova, questi si sentirà in colpa per
essere incapace di provare ciò che dovrebbe e che gli consentirebbe di ottenere
approvazione a cui tiene.
Azioni: un diverso tipo di situazione paradossale insorge quando un individuo
riceve da un altro, per lui importante, degli ordini che chiedono e insieme
proibiscono alcune azioni. L'individuo così può obbedire solo se disobbedisce. “fai
come ti dico, non vorrei che tu facessi!”.
E' dalle riflessioni di Bateson sul contesto che si arriva alla ricerca sistematica e a riflettere
sul significato. Si definisce contesto come un contenitore non puramente statico
dell'interazione dinamica, ma che acquista dinamismo dai sistemi di significato dei soggetti
che in esso interagiscono e che dal contesto ricevono elementi che contribuiscono a
costruire le loro rappresentazioni mentali. Tra contesto e soggetti si instaura una relazione
complessa e articolata. Il singolo individuo non si dà mai fuori contesto, non esiste se
non dentro.
Nell'incontro con l'utente la complessità dei diversi livelli linguistici, con il carico emotivo,
vengono espressi nella relazione. I fatti della vita dell'utente come se li rappresenta l'AS
appartengono a 3 livelli:
i fatti della vita: i fatti sono sempre interpretati. Noi non abbiamo mai di fronte cose o
fatti puri, ma fatti in cui l'evento è associato al senso.
Linguaggio: idea del linguaggio della scienza viene abbandonata per l'analisi dei
molteplici mondi linguistici, la cui diversità rende impossibile che i significati delle
parole vengano stabiliti in linea generale
osservatore: dare senso alle parole dell'altro è un'operazione connessa alle mappe
mentali dell'operatore, modelli di classificazione e attribuzione dei significati che
l'osservatore ha strutturato nel tempo.
E' importante che l'operatore affronti con curiosità il mondo mentale e relazionale dell'altro.
Sospendere il giudizio per provare curiosità per come l'altro costruisce i suoi sistemi di
significato.
Approcci:
approccio funzionale: vede organizzazione come sistema compatto che si può
suddividere in varie parti, a volte tra loro in contrasto, ma sempre con obiettivi comuni.
Approccio strutturale: prende a modello la società nel suo complesso, per cui non si
può parlare di un solo obiettivo, ma di componenti tra loro diversi e spesso in lotta
per il raggiungimento di fini propri.
Quanto più un sistema tende a chiudersi tanto più rischi di irrigidirsi, di cristallizzarsi. A volte
gli obiettivi dell'organizzazione e quelli dei sottosistemi possono essere diversi e la difficoltà
sta nell'identificarli e nella modalità per raggiungerli. Altro problema è che ogni sistema o
sottosistema elabora una propria modalità di linguaggio comportamento. La retroazione a
un messaggio non chiaro sarà ambigua e risulta così difficile la comunicazione.
l'assetto della struttura può mutare in funzione della posizione occupata dall'osservatore per
livello o ruolo gerarchico, in quanto la possibilità di ricevere informazioni e il significato delle
stesse sono a questi strettamente legate e si differenziano per quantità e qualità.
L'osservatore non è mai da considerarsi come esterno, anche se non è parte del sistema,
perché con la sua osservazione partecipa alla creazione di una nuova realtà →
sovrasistema osservatore – osservato.
Consiste in una serie di considerazioni personali, punteggiature su una parte della realtà
così interpretata da chi ha osservato.
Importante però tener presente che i sistemi non sono statici, ma dinamici e che quindi c'è
una differenza dalla realtà osservata a quella descritta che varia in relazione al modo e
tempo. Quindi l'osservatore dovrà utilizzare il “mi sembra così”, per esporre il concetto.
Nella professione dell'AS sono insiti i problemi della doppia committenza e del doppio
legame, complicato anche dalla tendenza negli enti di appaltare la gestione dei servizi. E'
importante conoscere la politica generale dell'ente, le richieste esplicite e quelle implicite
degli amministratori, l'evoluzione nel tempo e struttura dell'ente. Conoscere ciò permette
l'operatore di ampliare l'autonomia e la contrattazione. Importante anche capire dove si
colloca l'AS all'interno della rete dei sottosistemi, se vi è considerazione, se
l'amministrazione ha posto dei vincoli, che idea hanno, su quali alleanze può contare. E'
fondamentale che l'AS riconosca e valorizzi il proprio ruolo e funzioni, avere una solida
preparazione teorica e pratica, si presenti con un'identità chiara e si attivi per ridefinire la
sua posizione all'interno della propria organizzazione. E' importante anche conoscere
l'immagine che la popolazione ha del servizio e quando ciò contribuisce a indurre o
distorcere la domanda dell'utente.
5.3. L'utente
L'analisi della situazione si basa sulle informazioni che possono essere raccolte dall'utente
già dal momento in cui presenta la sua richiesta o in cui l'AS effettua il primo contatto.
L'analisi del sistema di appartenenza è un elemento fondamentale. L'attenzione è rivolta
prevalentemente al momento presente e alle relazioni che l'utente sta già sperimentando
all'interno del suo sistema o con altri sistemi significativi. Del passato sono ritenuti
significativi quei fatti che hanno introdotto differenza nella storia di ogni individuo o
sistema. L'elemento indicativo risulta essere non il fatto in sè, ma le retroazioni che il
sistema ha messo in atto e come in conseguenza di queste si è riorganizzato. Le
informazioni non dovranno riguardare perciò solo l'utente e il "suo" problema e
comprendere le relazioni tra il soggetto e il suo ambiente.
L'obiettivo è quello di giungere a una valutazione che consenta di definire e di mettere a
punto un progetto d'intervento.
Nell'analisi della situazione è possibile che l'operatore effettui colloqui con persone diverse
dall'utente e ne ricavi informazioni.
L'atteggiamento più corretto è quello di porsi come specchio che riflette diverse immagini
che l'utente offre in ambienti differenti. Rimettere dunque in circolo le diversità, come
momento di presa di coscienza e di crescita, connettendo le informazioni che si sono
ricevute.
La raccolta di informazioni pur costituendo un primo momento fondamentale nel processo
metodologico, è in realtà un'attività che ne accompagna tutto lo svolgimento.
5.4.3. L'inviante
Possiamo definire "inviante" colui che invia al servizio l'utente perchè possa trovare una
risposta al suo bisogno-problema.
Le domande da porsi riguardano qual'è l'attuale posizione dell'inviante verso questo
utente; il tipo di relazione che vi è tra questi soggetti; oltre che con il servizio; il grado di
coinvolgimento/invischiamento dell'inviante nella situazione. Alcune tipologie di possibili
invianti:
- Disinteressato: colui che invia la persona al servizio perchè ha valutato l'esistenza di un
problema da questi risolvibile. Non è coinvolto nella situazione e il cercare di renderlo
partecipe, il chiedere collaborazione può provocare fastidio.
- Partecipe: è sinceramente interessato alla situazione e disponibile a collaborare.
- Meta: tende a porsi a un metalivello rispetto l'operatore/servizio e a controllarlo. Si tratta,
in genere, di persone che, trovandosi in posizione di livello gerarchico superiore, possono
consigliare o imporre all'operatore/èquipe obiettivi, metodi, progetti d'intervento,
controllando e interferendo con il lavoro svolto
- Antagonista: allo stesso livello dell'operatore/servizio a cui invia e non comunica
direttamente, ma attraverso l'utente, squalificando con lui sia il servizio, sia l'intervento
proposto.
- Invischiato: una persona così legata all'utente e così coinvolta nei suoi problemi da non
essere praticamente distinguibile dai membri della famiglia. Non è più in grado, da solo, di
offrire un aiuto efficace, è divenuto un membro omeostatico del sistema.
Modalità con cui viene attuato un invio disfunzionale:
- Aggressivo: proviene da persone che si trovano in posizione di up rispetto al servizio
- Colpevolizzante: l'inviante attribuisce all'utente inviato la "colpa" della situazione di
difficoltà in cui si è venuto a trovare
- Generica: all'utente non vengono esplicitate le motivazioni dell'invio.
Il progetto di intervento
L'AS perseguirà lo scopo di aiutare, facilitare, modificare, istruire, sostenere un individuo o
un gruppo familiare, ma anche questi ultimi da parte loro parteciperanno all'interazione
perseguendo gli obiettivi e gli scopi che li hanno portati a rivolgersi alle agenzie sociali:
entrambi daranno luogo a un processo comunicativo attraverso il quale negoziano la
definizione di se stessi, della loro relazione e della situazione in cui sono coinvolti.
L'AS deve porre una particolare attenzione al contesto: deve saper creare contesti che
favoriscano la comunicazione e all'interno di questi contesti sviluppare un linguaggio che
permetta di relazionarsi con i sistemi di significato dell'utente.
Pincus e Manahan individuano 4 sistemi in relazione ai quali l'AS svolge la sua attività e
che possono essere orientativi per la costruzione di un progetto:
Sistema agente di cambiamento: ente o organizzazione in cui l'AS svolge la
propria attività e che influenza con il mandato sociale, ma anche con i vincoli e le
risorse che gli sono proprie, l'ipotesi di progetto;
Sistema cliente: è colui che chiede l'intervento, con cui l'assistente sociale
stabilisce un contratto e che è il presunto beneficiario degli sfori che sono messi in
atto;
Sistema bersaglio: sono le persone che devono essere influenzate per riuscire a
realizzare gli obiettivi di cambiamento definiti per il sistema cliente.
Sistema d'azione: tutte le persone con cui l'assistente sociale lavora per
raggiungere gli obiettivi di cambiamento. In quest'ambito è assolutamente
necessario individuare con precisione, nel progetto di intervento, chi fa che cosa,
come e quando, e definire con chiarezza le relazioni, sviluppando collaborazione, in
modo da ridurre i rischi di un'eventuale esportazione, dalla famiglia al sistema di
azione, di giochi disfunzionali che hanno come effetto il rischio di introdurre
cronicità nel rapporto famiglia/servizi.
→genogramma e ecomappa aiutano a individuare i sistemi significativi e fare l'analisi
qualitativa delle relazioni.
Dal punto di vista sistemico, si ritiene utile sottolineare come un punto di partenza sia
considerare la famiglia come sistema cliente nel suo complesso, indipendentemente dal
fatto che la richiesta provenga da un solo membro, poiché le relazioni che la
caratterizzano ne fanno un sistema sempre significativo (anche quando sia assente o non
collabori).
É importante che l'operatore abbia ben chiaro quale sia la propria rappresentazione
mentale di famiglia, poiché questa può influenzare in maniera significativa il progetto di
intervento.
Famiglia assente: il rapporto tra l'utente e la sua famiglia viene ignorato o
comunque ritenuto non rilevante
Contiguità separata: l'operatore concepisce se stesso e la famiglia come due
soggetti separati, ognuno dei quali ha relazioni significative con l'utente. In questa
logica si perde l'idea di interdipendenza fra i vari contesti interattivi.
Collaborazione unilaterale: si riconosce l'importanza della famiglia per l'utente, e la
si usa come “mezzo” per potenziare il proprio progetto di intervento.
Sostituzione: la famiglia è considerata dall'AS in chiave negativa, come un soggetto
da contrastare e correggere mediante il proprio intervento.
Co-evoluzione: questo è l'atteggiamento più coerente con l'approccio sistemico, in
quanto porta l'AS a interrogarsi sul significato che assume il proprio intervento con
un utente all'interno della relazione fra questi e la sua famiglia, e a organizzare il
suo intervento non semplicemente sulla base di che cosa ritiene utile ed evolutivo
per l'utente, ma sulla base di ciò che ritiene utile ed evolutivo per l'utente come
componente di un sistema familiare.
Il contratto:
Esso è un aspetto importante del processo di aiuto: è uno strumento attraverso cui si
possono definire con precisione e consapevolezza gli impegni reciproci che utente e
assistente sociale si assumono per realizzare il progetto di intervento. Il contratto deve
essere il frutto di una relazione equilibrata tra istituzione/operatore/utente, senza che si
verifichino sbilanciamenti, come alleanze e coalizioni, se non temporanei e con finalità
strategiche, tra due dei tre membri.
All'interno del contratto va prevista la durata globale dell'intervento, così che si invia
all'utente un messaggio di autonomizzazione, comunicandogli che sono temporaneamente
ha bisogno di essere affiancato dall'AS.
Riguardo la forma, il contratto può essere scritto, così che possa connotarsi come
documento ufficiale e che lasci meno spazio ai malintesi. Far firmare il contratto all'utente
gli rimanda una immagine di sé come “attore” dell'intervento, e non come destinatario
passivo.
Infine, anche se le precedenti fasi del processo metodologico sono state superate, non si
può dimenticare la circolarità del processo metodologico, e quindi la possibilità che si
verifichino imprevisti e retroazioni del sistema. Pertanto, è necessario mettere in atto un
processo circolare che permetta di:
immagazzinare nuove informazioni
collegarle alle precedenti e, se necessario, formulare nuove ipotesi
tarare l'intervento alla luce della valutazione effettuata
Verificare il proseguimento del progetto, così come pattuito nel contratto, è un'operazione
trasversale a tutta la presa in carico.
CAPITOLO 7 IL COLLOQUIO
L'ascolto
Per poter ascoltare gli altri è necessario iniziare ad ascoltare se stessi.
SAPER ESSERE: è necessario sviluppare una serie di percorsi che consentano una
riflessione sul proprio sé professionale e l'individuazione di spazi e tempi in cui
approfondire questi aspetti, prima di tutto con l'abitudine di rileggere la propria azione
professionale, ma anche con gruppi di incontro guidati o la supervisione professionale.
In pratica lo specialista ascolta e si ascolta, nel senso di cercar di sentire e decodificare
moti intrapsichici che la relazione con l'utente gli provoca.
Nell'ascolto entrano:
l'attenzione come atteggiamento, e quindi come indicatore della disponibilità di
offrire ascolto;
la percezione del messaggio, che significa, da una parte riceverlo effettivamente,
cioè permettere allo stimolo di giungere al cervello attraverso le orecchie; e dall'altra
accettarlo a livello cosciente, cioè decodificare e comprendere il messaggio inviato
nei termini in cui è stato emesso. In questa operazione entrano in gioco aspetti
legati alla dinamica della relazione interpersonale, e si insinuano i rischi del
pregiudizio e dello stereotipo come elementi di possibile distorsione.
l'elaborazione del messaggio, intesa come interpretazione dei segnali e attribuzione
di significato a livello del contenuto e della relazione interpersonale. Si deve sempre
tener conto delle risonanze emotive che i messaggi percepiti possono aver prodotto
in colui che ascolta per evitare interferenze incontrollate;
la restituzione come segnale di conferma rispetto alla relazione con l'altro.
La relazione
L'assistente sociale nella relazione di aiuto si trova, nella fase iniziale, in una posizione
relazionale di tipo asimmetrico (complementare up) nei confronti dell'utente, in quanto
possiede delle competenze professionali specifiche cui l'utente fa riferimento per superare
la sua situazione di difficoltà.
L'asimmetria in termini di potere è anche legata al compito di guida e controllo del
processo che l'assistente sociale deve sviluppare per orientare il processo di aiuto,
facendosi però sempre guidare dai principi etici di riconoscimento del valore della persona
e del suo diritto ad autodeterminarsi. Questa condizione non richiama quindi un rapporto
all'alto al basso e può realizzare un clima di collaborazione che, poco alla volta, può
evolvere in una relazione, in cui l'utente venga aiutato a far crescere le sue capacità e la
sua autonomia.
La distanza professionale è un elemento fondamentale per osservare la situazione senza
invischiarsi e confondersi con essa, ma alo stesso tempo è necessario esprimere
attenzione, partecipazione, empatia per costruire un aggancio relazionale efficace e
sviluppare un rapporto di auto.
La valutazione
Al termine della fase di analisi, l'operatore può iniziare a fase una valutazione della
situazione. A questo punto si rende necessario un colloquio il cui obiettivo specifico sia
quello di restituire all'utente la valutazione che l'operatore ha costruito e che potrà essere
la base di un'alleanza operativa che porterà alla costruzione del progetto.
Il colloquio in questa fase deve essere accuratamente preparato e deve essere il frutto di
un consistente lavoro di ipotizzazione e riflessione, rispetto al quale vanno controllate
accuratamente la correttezza e la coerenza, evitando atteggiamenti di giudizio. Come nelle
fasi precedenti, è necessario definire a priori a chi comunicare la valutazione e chi
convocare al colloquio. Inoltre, bisognerà esplicitare se la valutazione verrà inviata ad altri
servizi e specificare quali aspetti saranno resi noti e quali resteranno interni alla relazione
con l'operatore.
Il contratto
Una volta definito, al termine della valutazione, il progetto di intervento, utente e assistente
sociale sono chiamati a prendersi reciprocamente degli impegni, specificamente espressi
nel contratto.
Il contratto ha forma scritta e viene firmato dall'utente. Nel caso in cui il progetto di
intervento preveda una prestazione standardizzata (es: affido familiare, SAD, prestazioni
economiche e educative, ecc..) si fornisce all'utente il modulo apposito e gliene si lascia
una copia. Nel caso in cui si pattuisca un progetto non standardizzato, si scrivono su un
foglio nuovo gli impegni presi.
La verifica
Si tratta di prendere in mano il contratto e di verificare come sono stati mantenuti gli
impegni presi da entrambe le parti. L'AS dovrà arrivare a questo colloquio preparato,
avendo raccolto informazioni dagli eventuali altri operatori coinvolti nella situazione che
quanto era stato progettato sia stato realmente svolto e, nell'ipotesi questo non sia
avvenuto, dar conto all'utente delle motivazioni che hanno impedito che questo avvenisse.
É un momento delicato in cui l'AS può essere squalificato per inadempienze che non lo
toccano direttamente, ma che possono derivare dall'aver sottostimato le risorse presenti
nel servizio o nella comunità.
Conclusione
Il colloquio di conclusione è importantissimo: manda il messaggio all'utente che potrà
arrivare a uscire dalla situazione problematica e che non avrà bisogno per sempre
dell'assistente sociale. Il colloquio di conclusione è dunque il riconoscimento del percorso
fatto insieme e la convinzione che l'utente ha imparato, almeno in parte, ad aiutarsi. É
corretto comunicare la disponibilità a essere ancora di aiuto ma la convinzione che l'utente
potrà farcela da solo.
Ipotizzazione
L'utente, al momento della richiesta, ha già effettuato una sua valutazione del problema
utilizzando tra i dati a disposizione quelli ritenuti rilevanti, connettendoli secondo una
logica per lui corretta. Questa elaborazione l'ha portato alla conclusione che nella
situazione esiste un elemento da modificare, identificato come il problema da risolvere
affinché tutto torni a funzionare.
Se l'operatore si limita a cogliere la punteggiatura dell'utente, è estremamente probabile
che giunga alle stesse e analoghe conclusioni. Se l'AS invece inizia analizzando il modo in
cui l'utente ha selezionato e connesso le informazioni, può arrivare a scoprire quale logica
sia ritenuta appropriata da chi si è rivolto al servizio e dal sistema a cui appartiene.
L'ipotesi, nella conduzione del colloquio, è lo strumento per eccellenza in quanto
garantisce all'operatore di dirigere la sua ricerca seguendo un filo logico e gli impedisce
quell'atteggiamento di osservatore passivo che permette alla famiglia di imporre la sua
punteggiatura.
Attraverso l'ipotizzazione vengono attivate quelle operazioni cognitive che cercano
connessioni tra osservazioni, dati riferiti, esperienze personali e conoscenze precedenti, al
fine di formulare un meccanismo generativo che potrebbe spiegare il fenomeno.
Inoltre, l'operatore attraverso le domande introduce informazioni che permettono alla
famiglia di collegare gli eventi in modo nuovo, offrendole l'opportunità di uscire dalle
trappole delle vecchie spiegazioni e di attivarsi in un cambiamento di quella punteggiatura
che ha portato all'insuccesso.
Perché ciò sia possibile, l'ipotesi dovrà essere sistemica, dovrà cioè includere tutti i
componenti della famiglia e fornire una supposizione coerente circa il funzionamento
relazionale globale.
Per la costruzione dell'ipotesi Lerma suggerisce 3 tappe:
1. fare una riflessione accurata sui dati raccolti dall'AS durante un primo
contatto/segnalazione/invio. Già da questa ipotesi, certamente rudimentale e
provvisoria, è possibile individuare una serie di ambiti da indagare nel colloquio;
2. attraverso una raccolta orientata dei dati e la loro connessione in informazioni
significative, è possibile procedere all'esplorazione delle aree che risultano
significative (es: rapporti tra persone interne/esterne al nucleo, relazioni tra gli
eventi e il modo di percepirli/gestirli)
3. ideazione dell'ipotesi integrando i dati ottenuti con le informazioni raccolte a vari
livelli (relazionale, socio-economico, sanitario, educativo), e ideando una ipotesi che
spieghi sia le posizioni dei singoli membri nel sistema che la posizione di
quest'ultimo in relazione a sovrasistemi e sottosistemi con cui è in relazione.
7.5.2 Circolarità
Bisogna avere presenti due concetti:
L’informazione è una differenza
La differenza è un rapporto
Dati questi concetti, le domande dovranno essere formulate, necessariamente, fondandosi
sul principio della circolarità. Per circolarità si intende capacità dell’operatore di condurre
la sua investigazione basandosi sulle retroazioni della famiglia alle informazioni da lui
sollecitate in termini di rapporti, e quindi in termini di differenze e mutamento.
Allo stesso tempo si raggiunge l’obiettivo di immettere nella famiglia degli input, delle
connessioni tra eventi diversi, permettendole di acquisire una nuova visione del problema.
Condizioni:
1. Le domande devono essere triadiche, devono, cioè, invitare un membro a descrivere
la relazione tra gli altri due.
2. Si dovranno rivolgere le domande a tutti i membri della famiglia che, in questo modo,
troveranno, garante l’assistente sociale, lo spazio per esprimersi. È necessario
interpellare anche i bambini.
3. Ci si rivolgerà ai comportamenti e alle loro spiegazioni, senza dimenticare le
emozioni, i sentimenti che determinati eventi suscitano in alcuni diversamente da
altri.
4. Informazioni importanti si potranno ottenere dalla conoscenza del significato che i
membri della famiglia attribuiscono ai termini utilizzati.
5. Si dovranno cercare le differenze nei comportamenti entro rapporti specifici e non
presupposti, qualità, difetti propri del soggetto.
6. Rispetto a uno specifico comportamento si può procedere richiedendo a più membri
di fare una graduatoria per capire le diverse posizioni dei membri della famiglia.
7. Le domande possono indagare più comportamenti che siano indicativi di un
mutamento di rapporto, prima e dopo un avvenimento preciso.
8. È possibile fare domande che permettano di cogliere delle differenze rispetto a
condizioni ipotetiche, proiettate nel futuro. Tali domande conducono la famiglia a un
processo di “anteroazione” che consente di evocare le potenzialità di cambiamento.
I membri della famiglia possono acquisire il senso della propria capacità di
immaginare nuove soluzioni ai propri problemi e sbloccare i circuiti ripetitivi in cui
sono costretti.
Questo tipo di domande possono essere utilizzate come metodo di indagine per valutare
il problema. In questo modo l’assistente sociale potrà focalizzare la sua attenzione su
come ciascun membro definisce il problema, su come ha reagito e reagisce allo stesso,
su quali soluzioni sono state tentate, da chi e con quali risultati.
Questo procedimento metterà in moto un processo interattivo tra i vari membri della
famiglia che potranno reciprocamente commentare, chiedere spiegazioni, fare domande
proprio sulla base delle risposte che ciascuno ha fornito all’operatore.
L’assistente sociale riuscirà così a evitare di rimanere invischiato in un racconto che offre
molte notizie, e a mantenere un atteggiamento di equidistanza rispetto ai vari punti di
vista dei componenti della famiglia e di maggiore libertà rispetto ai pregiudizi o stereotipi
che potrebbero inconsapevolmente guidarlo.
7.5.3. Neutralità
Per neutralità dell’assistente sociale intendiamo un determinato effetto pragmatico che
l’insieme dei suoi comportamenti nella conduzione della seduta esercita la famiglia.
L’assistente sociale durante il colloquio intreccia delle alleanze: mediante la circolarità si
potrà evitare di considerare qualcuno come interlocutore privilegiato.
Chi si è rivolto all’assistente sociale può essere più motivato a un intervento che ripristini
all’interno del sistema una precedente condizione. Il fatto di aver trovato un contatto può
indurlo a credere di aver instaurato una coalizione con l’operatore e può farlo sentire in
diritto di considerarsi l’interlocutore più importante e informato della famiglia.
Alleandosi più o meno volontariamente con questa visione, l’assistente sociale si sarà
precluso la possibilità di conoscere il punto di vista degli altri familiari, i quali
percepiranno l’operatore come nemico.
Se chi prende il primo contatto può essere il committente per l’AS, non è detto che questo
rappresenti la famiglia; sarà opportuno chiedere chi ha deciso la scelta della persona
adatta a cercare una soluzione del problema, chi era d’accordo di partecipare all’incontro
e chi no.
Assumere un atteggiamento neutrale non vuol dire mettersi nell’impossibilità di
valutare. Vi sono alcuni colloqui che si devono condurre proprio in funzione di una
valutazione da offrire ad altre istituzioni. Sarà però una valutazione relazionale che terrà
presenti le possibili retroazioni dei vari componenti a un piano di intervento e alle spinte
al cambiamento che questa potrà innescare. Perciò un atteggiamento neutrale nella
conduzione del colloquio non significa neutralità nei confronti dei comportamenti adottati
dai singoli. Gli effetti di questi si ripercuotono spesso sui soggetti deboli, per la cui tutela
è stato richiesto l’intervento del servizio sociale. L’atteggiamento neutrale è funzionale
a comprendere come questi comportamenti si manifestano, che cosa li determina o li
sostiene e ad aiutare il sistema nel suo complesso a trovare un equilibrio meno
disfunzionale.
8.2. La mediazione
Nel contesto sociale attuale vengono a mancare quelle modalità di mediazione interne alla
famiglia o tra soggetto e contesto sociale che hanno caratterizzato altre epoche.
Si evidenzia così la necessità di trovare un “terzo neutrale” a cui affidare questo spazio di
intervento.
Per mediazione si intende quindi un processo mirato a far evolvere dinamicamente una
situazione di conflitto aprendo canali di comunicazione che si erano bloccati: la mediazione
tende a far sì che le parti riprendano a comunicare tra loro in modo da trovare un accordo.
La mediazione può essere utilizzata in diversi ambiti:
La mediazione familiare si configura come l’intervento di un professionista neutrale
nel conflitto che sovente accompagna il processi di separazione e divorzio. Il suo
utilizzo consente di ridurre la conflittualità e di raggiungere accordi concreti e stabili
nel tempo relativi all’affidamento dei figli e alle modalità di visita del genitore non
affidatario, alle scelte fondamentali in campo educativo, alla gestione del tempo
libero, agli aspetti patrimoniali.
La mediazione penale tende a evitare il procedimento “contenzioso” con vincitori e
vinti sulla base dell’accertamento dei fatti e della loro ascrivibilità all’imputato per
pervenire alla condanna, ed è volta a individuare soluzioni consensuali e
responsabilizzanti. Il mediatore ha il ruolo di facilitatore della comunicazione tra le
parti, e l’obiettivo di ristabilire una relazione che l’evento-reato ha distrutto.
La mediazione sociale e comunitaria si focalizza sui problemi di conflitto che si
verificano nell’ambito dell’ambiente di vita delle persone. È un intervento che può
essere svolto nei confronti di difficoltà legate alla relazione tra gruppi di diverse
generazioni all’interno di un quartiere.
La mediazione culturale si è resa necessaria nella relazione con persone
provenienti da contesti geografici diversi e che hanno dovuto affrontare i problemi
legati all’immigrazione.
Una premessa fondamentale perché la mediazione possa essere efficace è la condivisione
dei presupposti fra le parti; se questo non avviene la mediazione, anche quella gestita dando
attenzione alla neutralità, rischia di naufragare, invischiando l’operatore nella dinamica di
due soggetti che tendono a far prevalere le ragioni dell’uno su quelle dell’altro.
Il modello sistemico-relazionale si pone come utile cornice teorica di riferimento che facilita
l’adozione di un punto di vista neutrale, evitando lo schieramento nei confronti di una delle
due parti in causa.
Il ruolo dell’operatore non si svilupperà individuando e proponendo direttamente la soluzione
migliore, ma attivando le risorse dei partecipanti, sollecitando nuovi punti di vista da cui
osservare la situazione.
Un altro intervento è l’assegno di cura, che è previsto come forma di sostegno economico
alla famiglia che decida di curare l’anziano non autosufficiente a domicilio. Si tratta di una
prestazione che va concessa non solo in relazione a parametri di carattere oggettivo
riguardanti la situazione psicofisica dell’anziano, ma tenendo in considerazione il quadro
familiare.
Non è ipotizzabile che l’erogazione di un contributo economico di per sé possa modificare
l’atteggiamento della famiglia nei riguardi del parente anziano. È quindi importante che
questo intervento venga contestualizzato attraverso la lettura delle modalità che la famiglia
adotta nell’affrontare la malattia di un suo componente. Occorre riflettere su come la
decisione di assumere un ruolo di caregiver, e poi il modo di portarlo avanti, si incardinando
nella storia della famiglia, nelle sue trame generazionali e nello scambio che la famiglia
mette in atto con il sistema dei servizi di cura.
Il contributo economico erogato in questa circostanza non deve essere letto soltanto come
una sorta di risarcimento per la fatica compiuta dal caregiver nel prestare assistenza al
proprio congiunto, ma deve essere visto come una risorsa all’interno di un progetto più
ampio, in cui sia la famiglia che i servizi sono coinvolti nella ricerca di modalità nuove per
curare l’anziano a domicilio.
Anche in Italia stanno emergendo riflessioni sulla qualità, sull’orientamento al cliente, sulla
necessità di sviluppare strategie che consentano di verificare non solo l’efficacia e
l’efficienza, ma anche di misurare il gradimento e la rispondenza dei servizi ai bisogni e alle
attese dei cittadini.
La legge 328/2000 prevede sia la partecipazione degli utenti alla valutazione della qualità
dei servizi, sia l’acquisizione, da parte del servizio sociale, di competenze relative ai processi
di accreditamento o alla valutazione della qualità dei servizi gestiti da altri soggetti.
Si devono definire gli standard minimi, a livello metodologico, che consentano all’operatore
non solo di avere una linea guida del proprio intervento, ma anche di difendere gli spazi di
professionalità che possono essere messi a rischio da decisioni organizzative strettamente
legate a una logica di risparmio e di risposta superficiale ai bisogni dei cittadini, poco coerenti
con i principi di rispetto della persona e dei processi di autodeterminazione e che si rivelano
anche anti economiche.
Nel settore dei servizi alle persone questo si complica, in quanto una variabile significativa
del processo di aiuto verso l’utente è la soggettività dell’operatore.
La logica da adottare, se si vuole sviluppare qualità, è di sollecitare apprendimento da parte
dei professionisti perché siano in grado di migliorare la propria professionalità, attivando dei
processi di valutazione non solo dall’esterno SUL servizio sociale, ma dall’interno NEL
servizio sociale.
L’autovalutazione è inoltre uno strumento che consente di mantenere attivo il rapporto
prassi-teoria-prassi durante l’esperienza lavorativa e può rendere più facile l’accreditamento
scientifico del proprio agire professionale.
Da qui l’AS, anche attraverso il confronto con i colleghi, può iniziare a individuare alcuni
parametri di qualità che possono offrire un contributo per migliorare i propri standard di
intervento professionale.
9.1. La documentazione
Un aspetto utile per sviluppare i processi orientati alla qualità riguarda la documentazione
che l’AS produce.
La struttura e l’utilizzo di una cartella di servizio sociale che possa accompagnare l’operatore
nel processo di aiuto, guidandolo non solo nel memorizzare le informazioni, ma anche nel
mettere in atto quel processo di autoriflessione o di riflessione condivisa per garantire la
correttezza dell’intervento professionale.
È importante che questa contenga:
Tutti gli elementi elencati nell’analisi della situazione;
Informazioni specifiche richieste dalla tipologia del servizio e necessarie a inquadrare
i problemi affrontati;
Una parte in cui sia possibile evidenziare in sintesi la valutazione e il progetto;
Il contratto
Spazi non strutturati in cui registrare i colloqui;
Un diario degli avvenimenti significativi e degli interventi messi in atto dal servizio.
9.3. La supervisione
È uno strumento di crescita professionale estremamente importante che si realizza
attraverso una relazione individuale o di gruppo, con un professionista esperto che permette
all’operatore di acquisire una competenza complessa.
La supervisione può qualificarsi come uno spazio di pensiero in cui è possibile realizzare
una distanza equilibrata dall’azione e analizzare la realtà attraverso un punto di vista
“binoculare” che combini
a. L’osservazione sull’utente e sulle sue relazioni significative con
b. L’osservazione sulla relazione che si stabilisce fra l’operatore e l’utente, da un lato e
il suo sistema di appartenenza dall’altro.
L’AS è quindi aiutato a riflettere su tre aspetti:
- Sulle dinamiche relazionali in cui gli utenti sono coinvolti nel momento in cui entrano
in contatto con i servizi;
- Sulle proprie premesse, sulle proprie azioni e su come queste tendono a costruire la
relazione con l’altro
- Sui significati che il proprio intervento assume nel contesto delle relazioni dell’utente.
Risulta allora fondamentale organizzare una riflessione accurata sul caso che si vuole
presentare, per individuare quali sono i nodi problematici da portare alla discussione e per
strutturare in maniera funzionale le informazioni necessarie alla comprensione della
situazione.