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Metodi e Tecniche del Servizio Sociale II

Intervento Sistemico

CAPITOLO 1 L’APPROCCIO SISTEMICO RELAZIONALE

L'ambito del sociale è quello che maggiormente è sottoposto a mutamenti e trasformazioni


rapide che insieme alla nascita di nuove teorie hanno portato alla formulazione di nuovi
modelli di servizio sociale.

La difficoltà nel definire una teoria metodologica, nello specifico un metodo, sta nel fatto che
il servizio sociale ha un elevato contenuto pragmatico, non è sufficientemente legittimato dai
contesti organizzativi in cui l'AS è inserito e dall'elevata componente emotiva. A ciò si
aggiunge anche il problema legato al genere, nel senso che la professione dell'assistente
sociale è riconducibile alla figura femminile, la quale ha accentuato la pratica della
“disponibilità” e l'abitudine a non rappresentarsi.

Ci si può riferire al servizio sociale come una teoria operativa, non definita, ma che cresce
come capacità di riflettere sulla realtà sociale e sul lavoro, in base a certi principi e
indicazioni di metodo, in rapporto all'evoluzione della società e dei suoi bisogni.

Si può dire che il servizio sociale finalizza la conoscenza all'intervento, quindi si devono
impiegare elementi conoscitivi derivanti da altre discipline (filosofia, psicologia, sociologia).
Si parla quindi di un sapere complesso, non autonomo, di una disciplina che fornisce
strumenti per gli operatori.
Il servizio sociale è una scienza teorico pratica che si interessa di problemi che riguardano
l'individuo in rapporto al suo contesto sociale, non riguarda unicamente il campo dell'attività
pratica, ma presuppone:
 assunzione di criteri di riferimenti valoriali (deontologia) e conoscenze scientifiche
come fondamento del fare
 definizioni di scelte, che costituiscono mete da raggiungere e la previsione di esiti
dell'operare
 concatenazione logica di operazioni e predisposizione di idonei strumenti
 riflessione sulle esperienze condotte che favorisce evoluzione del costrutto
metodologico

Metodo → schema mentale che deve orientare, guidare il cammino per giungere al
conseguimento di uno scopo.

Il servizio sociale si occupa anche di relazioni sociali istituzionalizzate, storicamente


formalizzate.

Dagli anni '80 si è esplicitata la possibilità di utilizzare un metodo unitario come linea guida
dell'assistente sociale indipendentemente dal tipo di utenza o di problema con cui si trovi a
operare. Si parla di un metodo unitario, non curativo o dirigistico.
Il modello non si rifà ad un modello medico “studio – diagnosi – trattamento”, ma ha:
 fase conoscitiva descrittiva
 fase valutativo decisionale
 fase attuativa
 fase di verifica ed eventualmente conclusione dell'intervento
il procedimento metodologico resta invariato nella sequenza delle sue fasi,
indipendentemente dal tipo di attività sia nel lavoro con l'utenza singola, con la famiglia, con
i gruppi o nell'animazione di comunità.
Il processo si sviluppa con una logica circolare a spirale: vi è la possibilità di ritornare a fasi
precedenti per arricchirle di nuovi contributi.

1. Comparazione dei contenuti di ciascuna delle fasi in relazione alla tipologia di lavoro
del servizio sociale
2. individuazione e analisi a livello di ciascuna delle dimensioni in cui il servizio sociale
si articola

1.2 Rapporto Modello/metodologia

Modello: un oggetto o termine atto a fornire un conveniente schema di punti di riferimento


ai fini della riproduzione, dell'imitazione, talvolta dell'emulazione.

La teoria fornisce i presupposti sulla base dei quali si può costruire un modello per la pratica.
Il modello attraverso il richiamo agli aspetti teorici, offre la possibilità di codificare perché si
agisca in quel determinato modo rispetto a quella determinata situazione.
Risulta essere fondamentale per gli AS acquisire una metodologia di lavoro precisa e
puntuale per garantire scientificità del servizio sociale → procedimento metodologico.

Ciò per l'appunto favorisce una professionalità dell'intervento che si completa soltanto se,
all'intervento del processo metodologico, viene definito e seguito un modello teorico per la
prassi.
E' importante arrivare alla definizione di modelli per la pratica del SS che siano specifici e
utilizzabili nella realtà dei servizi in cui si opera. Metodo e metodologia sono fondamentali
nell'agire professionali.

Il processo metodologico rimane un elemento costante e immutabile, la scelta modello per


la pratica, che incorpora principi e valori del SS applicabili nella realtà operativa, può essere
influenzata da diversi fattori che riguardano il contesto dei servizi, la formazione di base
ricevuta e le opportunità di formazione permanente offerte.

E' necessario che l'AS scelga a quale modello far riferimento nell'operatività, in quanto non
si possono utilizzare più modelli perché risulta essere difficoltoso acquisire schemi di
pensiero diversi tra loro.

1.3 Verso la costruzione di un nuovo modello

Diversi sono i modelli nell'evoluzione storica del Servizio Sociale:


 Goldstein: parte da una considerazione generale ad una teorizzazione della prassi.
Afferma che l'AS dalla riflessione sulla sua operatività quotidiana, trova lo spunto per
ricercare nuove conoscenze che possono portarlo a una prassi più efficace. E'
dall'insoddisfazione per i risultati concreti ottenuti nel lavoro che si arrivan a nuove
chiavi di lettura e intervento. Ciò che proponeva l'autore però impediva di raggiungere
una teoria in grado di offrire una visione globale del problema sociale in oggetto, di
un operatore che tenesse presente il significo e l'impatto con i sistemi più ampi.
Secondo l'autore si potenzia l'approccio metodologico che viene definito come
processo di problem solving che porterà l'utente, non solo a risolvere il problema
manifestato, ma a sviluppare capacità necessarie a risolvere problemi durante la
propria vita.
 Pincus Minahan: il modello della pratica parte da una riflessione sui compiti propri
del servizio sociale e sulla necessità di superare l'idea che gli AS si specializzano
solo nella dimensione del sistema: individuo, piccolo gruppo o comunità. La pratica
del SS si concentra sulle interazioni tra persone e sistemi nel loro ambiente sociale.
La situazione problematica è da attribuire non alla persona, ma al frutto
dell'interazione tra gli elementi della situazione sociale in cui la persona vive.
Possibilità di utilizzo di più approcci teorici diversi.
 Maluccio: propone una prospettiva ecologica, l'AS si focalizza sull'interazione
individuo ambiente, soprattutto all'interno di una società che diventa più complessa.
SS deve utilizzare sia i fondamenti teorici dei campi tradizionali, ma anche nuovi
sviluppi di altre discipline. Maluccio afferma che la situazione della persona si deve
valutare considerando le esigenze e le capacità della persona, le risorse e carenza
della comunità, i punti di conflitto tra la persona e le strutture istituzionali. Questo
consiste nel valutare insieme alla persona il tipo di intervento. Tale teoria però risulta
essere teorica e astratta dato che ancora non se ne è verificata l'utilità sul campo
attraverso implicazioni pratiche.
 Germain: modello esistenziale si rifà alla prospettiva ecologica riprendendo il
concetto di adattamento tra organismo e ambiente. Adattamento: processo attivo e
creativo mediante il quale gli esseri umani modificano le loro condizioni ambientali
per renderle conformi ai loro bisogni e alle loro aspirazioni e cambiano attivamente
se stessi per adeguarsi alle richieste accettabili o immutabili. Gli autori si concentrano
sulle reti sociali e sulle organizzazioni burocratiche. Si attribuisce ai concetti di ciclo
vitale e di crisi come fattori che possono portare stress e spingere l'utente a rivolgersi
al servizio. AS attenta alle forze che hanno un impatto significativo sulla pratica e che
richiedono impegno professionale per influenzare l'organizzazione per arrivare al
cambiamento di strutture e pratiche che non soddisfano un bisogno.

1.4 Costruzione del modello sistemico

Valore centrale del SS: rispetto della persona umana nella sua dignità e libertà che si traduce
in atteggiamenti quali accettazione e autodeterminazione. L'AS secondo un'ipotesi
organizza le informazioni offerte dal sistema, non sostituendosi alla persona, ma facilitando
cambiamento e riorganizzazione del sistema stessa, rispettandone tempi, caratteristiche e
finalità.
 Neutralità, operatore privilegia un atteggiamento di non giudizio che consente di non
cadere in valutazioni legate a stereotipi o che non tengono conto del contesto
relazionale in cui il singolo è inserito.
 Particolarizzazione, viene confermato dal principio dell'equifinalità che sottolinea
come a condizioni finali uguali non corrispondono in maniera deterministica cause
uguali e viceversa.

L'as deve avere un atteggiamento di creatività, inventività e capacità di sperimentazione,


non fornire risposte standardizzate.

Secondo l'ottica sistemica si dà spazio al soggetto e alle sue relazioni, si potenzia la capacità
dell'AS di leggere il bisogno, non fermandosi semplicemente a quanto richiesto dall'utente
o selezionando la domanda in base a quello che il Servizio può offrire. L'ottica sistemica
favorisce un approccio globale sia nella dimensione individuale che in quella comunitaria e
la consapevolezza dell'interazione di più cause e sistemi stimola integrazione e
interdisciplinarietà tra i diversi operatori.
Importante è il concetto di cambiamento: uno degli elementi portanti del modello di
intervento.
 Cambiamento di tipo 1: eliminazione di un sintomo di disagio, senza modificare gli
schemi relazionali del sistema. Si mantiene l'equilibrio esistente
 cambiamento di tipo 2: conduce il sistema verso una trasformazione per il
raggiungimento di un nuovo equilibrio.

Contraddizione: evidenzia come in ogni situazione ci sono aspetti negativi ed altri positivi
a seconda della prospettiva.
Interdipendenza: teoria dei sistemi e assimilazione dell'individuo a un sistema aperto, per
cui ogni cambiamento che avviene ad una parte, per il principio di totalità, modificherò il
sistema nel complesso.
Equilibrio dinamico: principio dell'autoregolazione. Sistemi aperti scambiano informazioni
al proprio interno e con l'esterno sono continuamente sottoposti a sollecitazioni che
potranno o rafforzare equilibrio o spingere il sistema verso una trasformazione.

CAPITOLO 2 OTTICA SISTEMICA: CONCETTI INTRODUTTIVI, SVILUPPO STORICO,


NUOVE TENDENZE

All'interno della teoria generale dei sistemi di Von Bertalanffy vi è una corrente di tipo
matematico chiamata cibernetica e definita come scienza del controllo e della
comunicazione nell'animale e nella macchina che ha offerto utili spunti agli studiosi dei
sistemi umani, circa l'interazione tra gli individui.

Teoria generale dei sistemi di Von Bertalanffy

Il Sistema è un insieme di elementi che interagiscono tra di loro, presupponendo in questo


modo l'esistenza di un'interdipendenza tra le parti e la possibilità di un cambiamento,
attraverso la reversibilità della relazione.
I sistemi:
 chiuso: sistema che non ha relazione con ambiente, né in entrata né in uscita
 aperto: sistema che scambia con ambiente materiale, energia, informazione e che si
modifica sulla base di questi scambi.

Il concetto di sistema aperto si adatta allo studio degli organismi viventi.

Input: informazione che entra nel sistemare


output: in uscita

totalità: si intende che ogni parte del sistema è in rapporto con le altre che lo costituiscono
e che qualsiasi cambiamento provoca cambiamento in tutte le altre e nel sistema stesso.

Per questo Bertalanffy afferma che è importante risolvere i problemi che si trovano
nell'organizzazione e nell'ordine che unificano parti e processi.

Concetto di retroazione: alla base della circolarità, caratteristica dei processi interattivi,
tipici dei sistemi aperti. L'informazione che va da un emittente al ricevente comporta una
successiva informazione di ritorno da quest'ultimo all'emittente. Ogni informazione ha due
effetti:
 fa raggiungere e mantenere stabilità del sistema ed è quindi negativa al cambiamento
 provoca una perdita di stabilità e di equilibrio nel sistema, quindi è positivo al
cambiamento
Ogni informazione deve essere elaborata e confrontata con i modelli organizzativi che
potranno avere una conferma o una spinta alla trasformazione.
E' necessaria però autoregolamentazione altrimenti se vi sono troppi cambiamenti si arriva
alla dissoluzione del sistema viceversa un irrigidimento, sclerotizzazione del sistema che
così perde di flessibilità, fornendo risposte ripetitive e meno efficaci.

Equifinalità: indica che in un sistema aperto, circolare, autoregolantesi, i risultati, intesi


come modificazioni dopo un certo tempo, non sono determinati tanto dalle condizioni iniziali,
quanto dalla natura del processo. Gli stessi risultati possono avere origini diverse,
contrariamente a quanto accade per i sistemi chiusi, in cui sono le condizioni iniziali a
determinare i risultati.

2.2 Gli assiomi della comunicazione umana

La comunicazione è un processo fondamentale nella vita sociale di interazione che dà


origine a una relaziona significativa tra persone. Si può dividere in tre settori:
 sintassi: si occupa dei segni in quanto tali
 semantica: significato dei segni
 pragmatica: analizza il rapporto tra segni linguistici e chi li utilizza

tutti e tre fanno parte della semiotica, cioè della disciplina scientifica che studia il significato
dei segni nella comunicazione umana.

E' impossibile non comunicare:


 messaggio: singola unità di comunicazione
 interazione: serie limitata di messaggi scambiati
 modelli di interazione: unità di comunicazione di livello più elevato

Batson individua due aspetti:


 notizia: aspetto di contenuto
 comando: aspetto di relazione

La notizia è una metacomunicazione. Ogni comportamento è lo stimolo per ogni evento che
segue e la risposta o rinforzo per quello precedente. La punteggiatura organizza gli eventi,
ma non sempre è condivisa dall'altro in quanto varia a seconda di come viene gestita dal
comunicante.

Nella comunicazione umana ci sono due possibilità:


 nominare una cosa attraverso la parola (comunicazione verbale) o esprimere la cosa
in qualche modo che la richiami, che le somigli (comunicazione non verbale)

analogici: posizione del corpo, ritmo, cadenza della voce, ogni altra espressione non verbale
di cui l'organismo è capace. Ha una sua ambiguità però per la mancanza di indicatori e
qualificatori.

Una relazione si definisce complementare quando le due persone si trovano in una


condizione di disuguaglianza:
 one up
 one down (madre – neonato): c'è un'accettazione da una parte e un apprezzamento
delle differenze dall'altra
Una relazione è simmetrica quando due persone si comportano come se fossero in una
condizione paritaria: una delle due vanta il diritto di dare inizio all'azione, di criticare l'altra.

Haley → le comunicazioni strutturano interazioni tra i comunicanti e queste costituiscono


uno schema di rapporti. Quando questi scambi comunicazionali o eventi diventano ripetitivi,
è possibile costruire una mappa o modello tipico della struttura del sistema.

Ogni messaggio comunicativo riceve risposte sia livello di contenuto che a livello di relazione.

Rispetto alla comunicazione si possono individuare tre retroazioni possibili:


1. rifiutarla apertamente: pone il problema di scontrarsi con le regole inoltre. Rifiuto sui
contenuti indica anche un rifiuto
2. accettarla: anche l'accettazione della comunicazione conferma la relazione, può
creare problemi quando uno dei comunicanti vuole introdurre dei limiti per
un'eccessiva intrusività dell'altro. Porre dei limiti può incrinare la relazione.
3. Squalificarla: come tentativo di invalidare le proprie o altrui comunicazioni con
modalità contraddittorie, cambiando argomento, dire frasi incoerenti o incomplete.

Comunicazione disfunzionale

A meno che la comunicazione non sia già squalificata, a essa viene attribuita una
intenzionalità, volontarietà più o meno conscia e quindi un certo grado di responsabilità. La
squalifica non è una caratteristica del messaggio, ma una risposta – giudizio e se c'è vuol
dire che la comunicazione non ha raggiunto il suo obiettivo. La possibilità che ciò avvenga
è per la caratteristica flessibile e aperta della comunicazione, come processo che si modifica
in itinere sia per relazione che contenuto. “non mi sono spiegato bene”, “non hai capito”.
All'interno di una comunicazione distinguiamo anche paradossi e confusione.
Paradosso → contraddizione che deriva dalla deduzione corretta da premesse coerenti:
 logico matematici: ad esempio quando ci si trova a dover catalogare un'azione in sé
buona, ma compiuta per causa malvagia o viceversa
 definizioni paradossali: “mi è impossibile andare contro i miei principi senza andar
contro ai miei principi”, “in nome della tolleranza non tollero gli intolleranti”.
 paradossi pragmatici: chi riceve un messaggio del tipo “sii spontaneo” non può
ubbidirvi senza perdere proprio quella spontaneità che è prescritta e gli effetti variano
da lieve seccatura a vere tragiche trappole relazionali a seconda dell'importanza del
bisogno che esprimono. Altri paradossi pragmatici interviene su:
 percezioni: individuo che viene punito per la percezione che ha del mondo da
un'altra persona che lui ha contribuito a costruire come importante.
 Sentimenti: se una persona importante mostra di aspettarsi che l'altro provi
sentimenti diversi da quelli che realmente prova, questi si sentirà in colpa per
essere incapace di provare ciò che dovrebbe e che gli consentirebbe di ottenere
approvazione a cui tiene.
 Azioni: un diverso tipo di situazione paradossale insorge quando un individuo
riceve da un altro, per lui importante, degli ordini che chiedono e insieme
proibiscono alcune azioni. L'individuo così può obbedire solo se disobbedisce. “fai
come ti dico, non vorrei che tu facessi!”.

L'uso di comunicazioni paradossali avviene all'interno di una relazione considerata di vitale


importanza, definita da Bateson come doppio legame:
 situazione mamma bambino, dipendenza, amore, amicizia
 il messaggio da entrambi viene deciso sulla base degli schemi di pensiero o modelli
di classificazione
 in una relazione così co-costruita, l'individuo che riceve il messaggio non ritiene di
potere o essere in grado di uscire dallo schema del messaggio stesso, non può
commentarlo, chiedere chiarimenti su di esso, sia per la natura operante del
paradosso, sia per la definizione di ribellione attribuita a tale richiesta.

Bateson sottolinea come il contesto costituisce la matrice dei significati e senza


l'identificazione del contesto non si può capire nulla e non si può dire se l'azione osservata
debba essere classificata come gioco minaccia o altro.

2.5 Evoluzione della teoria

E' dalle riflessioni di Bateson sul contesto che si arriva alla ricerca sistematica e a riflettere
sul significato. Si definisce contesto come un contenitore non puramente statico
dell'interazione dinamica, ma che acquista dinamismo dai sistemi di significato dei soggetti
che in esso interagiscono e che dal contesto ricevono elementi che contribuiscono a
costruire le loro rappresentazioni mentali. Tra contesto e soggetti si instaura una relazione
complessa e articolata. Il singolo individuo non si dà mai fuori contesto, non esiste se
non dentro.

Nell'incontro con l'utente la complessità dei diversi livelli linguistici, con il carico emotivo,
vengono espressi nella relazione. I fatti della vita dell'utente come se li rappresenta l'AS
appartengono a 3 livelli:
 i fatti della vita: i fatti sono sempre interpretati. Noi non abbiamo mai di fronte cose o
fatti puri, ma fatti in cui l'evento è associato al senso.
 Linguaggio: idea del linguaggio della scienza viene abbandonata per l'analisi dei
molteplici mondi linguistici, la cui diversità rende impossibile che i significati delle
parole vengano stabiliti in linea generale
 osservatore: dare senso alle parole dell'altro è un'operazione connessa alle mappe
mentali dell'operatore, modelli di classificazione e attribuzione dei significati che
l'osservatore ha strutturato nel tempo.

E' importante che l'operatore affronti con curiosità il mondo mentale e relazionale dell'altro.
Sospendere il giudizio per provare curiosità per come l'altro costruisce i suoi sistemi di
significato.

Metacomunicazione → è l'informazione che indica come devono essere interpretate altre


informazioni e ogni confusione tra questi due livelli può costituire un grava disturbo della
comunicazione.

CAPITOLO 3 IL SERVIZIO COME SISTEMA

L'intervento dell'AS è definito come un processo di aiuto messo in atto da un professionista


collocato nel contesto di un sistema organizzato di servizi, per lo più di tipo pubblico. E'
necessaria quindi una conoscenza della situazione dell'utente che un'approfondita analisi
del contesto in cui si colloca l'operatore.

Organizzazione → coordinamento delle attività di un certo numero di persone al fine del


raggiungimento di uno scopo o di un obiettivo comune, mediante la divisione del lavoro e
delle funzioni e mediante una gerarchia di autorità e responsabilità. Questa definizione è
stata sostituita da un'altra che vede l'organizzazione come un sistema aperto, formato di
elementi interdipendenti, che ha un continuo scambio di informazioni in entrata e in uscita
con un ambiente dinamico (contesto) a cui il sistema organizzativo devono continuamente
adattarsi.

Approcci:
 approccio funzionale: vede organizzazione come sistema compatto che si può
suddividere in varie parti, a volte tra loro in contrasto, ma sempre con obiettivi comuni.
 Approccio strutturale: prende a modello la società nel suo complesso, per cui non si
può parlare di un solo obiettivo, ma di componenti tra loro diversi e spesso in lotta
per il raggiungimento di fini propri.

Quanto più un sistema tende a chiudersi tanto più rischi di irrigidirsi, di cristallizzarsi. A volte
gli obiettivi dell'organizzazione e quelli dei sottosistemi possono essere diversi e la difficoltà
sta nell'identificarli e nella modalità per raggiungerli. Altro problema è che ogni sistema o
sottosistema elabora una propria modalità di linguaggio comportamento. La retroazione a
un messaggio non chiaro sarà ambigua e risulta così difficile la comunicazione.

 Sistema: servizio a cui l'operatore appartiene


 Sovrasistema: organizzazione, servizi
 sottosistemi: singole parti in cui il servizio può esser scomposto

Ogni suddivisione dipende da:


 chi compie l'analisi da cosa ha stabilito di considerare intero e cosa parti dello stesso
 dal punto di osservazione dal quale l'analisi viene compiuta

l'assetto della struttura può mutare in funzione della posizione occupata dall'osservatore per
livello o ruolo gerarchico, in quanto la possibilità di ricevere informazioni e il significato delle
stesse sono a questi strettamente legate e si differenziano per quantità e qualità.
L'osservatore non è mai da considerarsi come esterno, anche se non è parte del sistema,
perché con la sua osservazione partecipa alla creazione di una nuova realtà →
sovrasistema osservatore – osservato.

L'analisi invece è sempre soggettiva, si considera una manipolazione della realtà:


 selezionare, estrapolare da un tutto confuso
 attribuire a esse un certo grado di significativa
 ricomporle, connettendole secondo un modello valido

Consiste in una serie di considerazioni personali, punteggiature su una parte della realtà
così interpretata da chi ha osservato.
Importante però tener presente che i sistemi non sono statici, ma dinamici e che quindi c'è
una differenza dalla realtà osservata a quella descritta che varia in relazione al modo e
tempo. Quindi l'osservatore dovrà utilizzare il “mi sembra così”, per esporre il concetto.

Nella professione dell'AS sono insiti i problemi della doppia committenza e del doppio
legame, complicato anche dalla tendenza negli enti di appaltare la gestione dei servizi. E'
importante conoscere la politica generale dell'ente, le richieste esplicite e quelle implicite
degli amministratori, l'evoluzione nel tempo e struttura dell'ente. Conoscere ciò permette
l'operatore di ampliare l'autonomia e la contrattazione. Importante anche capire dove si
colloca l'AS all'interno della rete dei sottosistemi, se vi è considerazione, se
l'amministrazione ha posto dei vincoli, che idea hanno, su quali alleanze può contare. E'
fondamentale che l'AS riconosca e valorizzi il proprio ruolo e funzioni, avere una solida
preparazione teorica e pratica, si presenti con un'identità chiara e si attivi per ridefinire la
sua posizione all'interno della propria organizzazione. E' importante anche conoscere
l'immagine che la popolazione ha del servizio e quando ciò contribuisce a indurre o
distorcere la domanda dell'utente.

3.1.2. L'assistente sociale e la propria organizzazione


Il primo problema che l'AS deve porsi è la conoscenza del contesto all'interno del quale è
inserito. Osservare l'organizzazione da un punto di vista sistemico significa considerarla
come un insieme di parti che operano in funzione dell'obiettivo globale dell'interno sistema
→ sistema aperto
Con questa chiave di lettura, l'org. diventa un ambito entro cui dirigere la professionalità e
il "sistema agente di cambiamento".
L'AS è un attore che co-costruisce la realtà organizzativa attraverso dei comportamenti-
comunicazione. Come attore libero può utilizzare sapere e metodologie all'interno di un
piccolo spazio disponibile in una logica di tipo circolare, considerando ciascun
comportamento interconnesso con quello degli altri attori.
Vediamo alcune implicazioni pratiche derivanti dalle proprietà dei sistemi:
 Principio di totalità: consente di analizzare l'org. come insieme di differenti
sottosistemi. Quanto si realizza nel singolo sottosistema è influenzato e introduce
influenzamenti in tutta l'org.
 Principio dell'omeostasi: le istituzioni all'interno delle quali è inserito il servizio
dovrebbero porsi come obiettivo quello di rispondere ai bisogni di cittadini ed essere
quindi particolarmente attenti agli input derivanti dal contesto ambientale. Il sistema
tende ad automantenersi, perchè i giochi organizzativi sono irrigiditi e gli attori
accomodati su mosse da cui traggono il loro equilibrio. Il rischio è di cambiare tutto
per niente, ovvero cambiare nome, attività e compiti ma mantenere inalterata la
logica, i giochi.
 Proprietà dell'equifinalità: è fondamentale costruire modelli d'intervento con
processi autonomi rapportati alla specificità della situazione.
Anche l'utilizzo della "metafora famigliare" può essere uno strumento che facilita la
comprensione di dinamiche e giochi organizzativi. L'org. si caratterizza come un gruppo
con storia in cui si identificano livelli di responsabilità analoghi a quelli generazionali.
Modificazioni istituzionali agiscono come eventi critici all'interno di una sorta di ciclo vitale
del sistema dei servizi. Può essere utile costruire al di là di un organigramma, una sorta di
"genogramma".
Interessante può essere l'individuazione di regole implicite ed esplicite presenti nei
rapporti all'interno di ciascun sottosistema. In ogni servizio ci sono delle regole esplicite
(orari, tipo di operatori presenti, prestazioni offerte, modalità di erogazione) che non
sempre sono conosciute dagli utenti e quindi vanno esplicitati, e regole implicite, che
attengono il modo di lavorare e le relazioni con altri sistemi significativi. Questi aspetti
hanno dei riflessi non piccoli sulla relazione che l'AS potrà instaurare con l'utente, di cui è
necessario essere consapevoli per poterli quanto meno controllare.
Un' altra osservazione riguarda le regole che l'org. stessa si dà per omogeneizzare gli
interventi e che si possono rivelare delle vere e proprie trappole. Ad esempio: non
prendere in carico utenti che non rispettano le procedure.
Qualora le dinamiche interne al servizio o fra più servizi e istituzioni siano disfunzionali
possono contribuire ad aggravare i problemi che la stessa org. si è deputata a risolvere.
Un altro aspetto particolarmente interessanti riguarda i miti: "un certo numero di opinioni
ben sistemizzate, condivise da tutti i componenti (della famiglia), concernenti i reciproci
ruoli (famigliari) e la natura della loro relazione".
Le funzioni difensive dei miti operano soprattutto all'interno del sistema e si verificano
quando i membri di un'org. distorcono in modo collusivo la realtà nel tentativo di tenere
lontani i conflitti e aspetti imprevisti e indesiderati.
Le funzioni protettive operano a livello di relazioni con l'esterno e servono a creare
confusione e disorientamento in chi non fa parte dell'org.
Alcuni tra i miti individuati: della "programmazione", una serie interminabile di gruppi che
continuano a discutere dei problemi producendo al massimo documenti, "difesa del
tecnicismo e della tecnocrazia" una mancata differenziazione di compiti e responsabilità.
Si aggiungono altri miti legati alla storia del servizio o alla singola equipe: miti di armonia e
accordo, di indifferenziazione, del "non è mia competenza", etc.
L'operatore che voglia portare dei cambiamenti all'interno della propria org. deve porre
molta attenzione a questo problema. Il mito, se sfidato, può portare a una coesione molto
forte degli operatori contro chi tenta di sottrarvisi. Può essere più utile operare piccoli
cambiamenti progressivi, vissuti come meno minacciosi.

3.2. La costruzione della rete


Collaborare significa "lavorare con", considerare l'altro come soggetto che presenta delle
potenzialità, in grado di autodeterminarsi, coinvolto in un progetto comune.
La necessità di costruzione di contesti collaborativi è strettamente collegata alla necessità
di integrazione imposta dalla presenza di elementi quali la complessità dei bisogni e delle
risorse nonchè la limitatezza e scarsità di queste ultime.
Sulla scena ci si trova di fronte ad una pluralità di soggetti, dal pubblico al privato.

3.2.1. I gruppi di lavoro e la realizzazione di contesti collaborativi


Per costruire contesti collaborativi nella propria org., oltre che una conoscenza specifica e
puntuale della stessa, è necessario individuare quali tipi di gruppo si strutturano. La teoria
del campo di Lewin e gli studi di Bion costituiscono un riferimento centrale e l'applicazione
del modello sistemico-relazionale è un ulteriore contributo significativo.
Il riferirsi a un gruppo come sistema implica definirne dei confini, separarlo dal contesto e
analizzarlo su più livelli. Si possono considerare: le relazioni tra i vari membri all'interno del
gruppo, le influenze dell'appartenenza al gruppo che ciascun membro sviluppa nel suo
contesto e viceversa, i rapporti del gruppo con gli altri sistemi.
La pluriappartenenza degli operatori a diversi contesti richiede la capacità di tenere conto
dei diversi destinatari di una stessa comunicazione, rendendo l'operazione di
comprensione più complessa.
Una serie di elementi significativi: la disposizione spaziale delle persone può dare segnali
di alleanza, coalizione, etc., la comunicazione non verbale (la funzione dell'ascolto e del
parlare, le emozioni, il livello di attenzione/stanchezza, la condivisione, l'accordo,
l'interesse, il conflitto, l'autorevolezza), la simmetria e complementarietà, la leadership, la
dipendenza/controdipendenza/interidpendenza, gli aspetti di contenuto e di relazione.
In molte realtà oggi si avverte la stanchezza per un lavoro di gruppo logoratosi nel tempo.
Manca per lo più negli operatori la preparazione e l'abitudine a lavorare in una dimensione
collettiva per uno scopo comune.
Per costruire una dimensione collaborativa è necessario che siano presiadiate 4
dimensioni fondamentali del gruppo:
 La dimensione reale, legata alle persone, ai compiti, agli obiettivi e risorse, in cui si
deve sviluppare integrazione e interdipendenza;
 La dimensione sociale delle relazioni del gruppo con altri gruppi;
 La dimensione rappresentata, l'immagine che il gruppo ha di sè;
 La dimensione intera che attiene a come i soggetti vivono nel gruppo;
E' necessario che queste 4 dimensioni siano armoniche e per favorire ciò:
 L'obiettivo deve essere chiaro, definito e condiviso;
 Le regole devono essere definite, costruite e accettate dal gruppo;
 I ruoli devono essere chiaramente delineati e riconosciuti dai membri;
 La leadership deve essere esercitata in maniera costruttiva e orientata al
raggiungimento dell'obiettivo comune;
 La comunicazione deve esercitarsi in maniera costruttiva;
 Il clima organizzativo buono;
 Una condivisione di sviluppo del gruppo orientata al futuro;

3.2.2. Il contesto collaborativo tra i servizi: la costruzione di una rete


Nella nostra organizzazione si vengono a costruire due ordini di servizi: quelli di base, più
aperti e quasi costretti a una disponibilità totale in quanto ricevono domande generiche
spesso complesse e intrecciate, i servizi specialistici, in grado di imporre le loro regole con
un campo più definito che selezionano l'utenza sulla base di un problema.
Spesso tra questi servizi possono crearsi dei veri e propri livelli gerarchici caratterizzati da
fenomeni di comunicazione disfunzionale che non danno risposte complete ai cittadini. In
modo particolare il momento dell'invio/segnalazione è un nodo strategico che può aiutare
accesso e presa in carico. Un altro aspetto sono le esperienze di scambio, possono
essere un punto di partenza per consolidare modalità operative tra operatori e/o servizi
che hanno funzionato per trasformarle in prassi. Può essere incentivata l'organizzazione di
incontri tra servizi per comunicare le attività/progetti in corso e informarsi reciprocamente.
Un esempio è il protocollo d'intesa, come documento formale. Un aspetto in grado di
facilitare i processi collaborativi è la formazione.
Ogni professione ha bisogno di spazi di riflessione, momenti di scambio tra pari per poter
aprirsi più serenamente a un confronto interprofessionale. E' necessario che venga
costruita una cultura multidisciplinare. In questa logica il contributo di ognuno diventa
fondamentale, a partire dalla specificità del ruolo rappresentato.
Il problema del linguaggio con i suoi sistemi di significato e della decodifica dei codici
specialistici è di fondamentale importanza per sviluppare una comunicazione funzionale.
Una formazione comune, condivisa, partecipata consente di sviluppare meccanismi di
comunicazione e integrazione funzionali, in modo da evitare fraintendimenti che possono
dare origine a problemi di carattere relazionale. Un altro risultato importante che la
formazione consente di raggiungere è la circolazione delle informazioni e l'accumulazione
del sapere.

3.2.3. La costruzione di contesti collaborativi nella comunità


Nella comunità sono presenti risorse o entità collettive in genere, non solo servizi/enti di
sicurezza sociale. Queste realtà svolgono ruoli e funzioni diverse: producono domanda
sociale, formulano progetti, assumono forme di rappresentanza, etc.
Il Serv. Soc. deve essere capace di dialogare e collaborare con queste istanze sociali per
rendere il contesto ambientale più recettivo ai bisogni e più accogliente.
Un buon livello di collaborazione consente anche di sviluppare una rete di supporto e di
orientamento, veicolando correttamente la domanda verso il pubblico.
In questo senso il primo passo è un'analisi corretta e approfondita della realtà esistente.
Vi sono però delle componenti pregiudiziali: si è infatti delineata nel tempo una
contrapposizione accompagnata da diffidenze connesse a diverse culture e approcci che
caratterizzano i sistemi, uno improntato all'impegno sociale e solidaristico, l'altro al lavoro
tecnico-professionale.
Un altro rischio è legato alla crisi del welfare, ed è l'uso opportunistico di queste risorse,
sussidiario a un ritiro di impegno dell'ente pubblico. Questa azione tende a scaricare sul
privato sociale compiti e competenze.
Il ruolo di collaborazione può trasformarsi in advocacy quando sia necessario
rappresentare davanti alla propria organizzazione di appartenenza interessi, bisogni,
culture degli utenti o dei gruppi che non sono sufficientemente rappresentati all'interno
delle istituzioni.
Questo incontro e collaborazione si trasformano in un processo costruttivo capace di
generare stimoli e incrementi qualitativi, innovando le prassi e migliorando il livello di
conoscenza dei problemi, realizzando forme di aiuto complesso e integrato in una
prospettiva ecologica che tiene conto della globalità del soggetto.

CAPITOLO 4 LE ORGANIZZAZIONI FAMILIARI


4.1. Famiglia o famiglie?
La famiglia negli ultimi decenni è stata oggetto di particolare attenzione da angolature
diverse. Certamente il gran parlare testimonia come questo nucleo di forme sociali
primarie sia di vitale importanza. Le ragioni di tale interesse possono essere ritrovate nel
fatto che la famiglia ha la proprietà di non essere mai uguale a se stessa. Ricerche più
recenti hanno documentato come all'interno di uno stesso contesto sociale si trovino
diverse forme di famiglia. Non solo, ma la famiglia si modifica nel corso della storia
modellandosi a seconda delle caratteristiche della società.
Ogni formazione storico-sociale è caratterizzata dalla compresenza di più forme famigliari,
alcune delle quali possono essere quantitativamente più incidenti, e in questo senso è
indubbio che attualmente la famiglia modale è la famiglia nucleare, ma è anche vero che
molteplici risultano essere le forme di organizzazioni del quotidiano che si esternano nella
famiglia.
Dal punto di vista della struttura, possiamo individuare la seguente "modulazione" nelle
forme famigliari:
- Famiglia unipersonale: un solo soggetto che occupa un'unità abitativa. E' una forma
famigliare, tipica della società industriale e destinata ad avere un'incidenza percentuale
sempre maggiore
- Famiglia di coppia
- Famiglia nucleare: un solo nucleo con relativi figli (coppia di genitori coniugati con figli
non emancipati, famiglie nucleari lunghe formate dai genitori con figli adulti già
indipendenti economicamente, famiglie monogenitoriali/famiglie incomplete, famiglie
nucleari ricostituite in cui si rivela sovente una difficoltà a stabilire confini e legami, indice
di un'identità più incerta e confusa)
- Famiglia complessa: ha subito una contrazione quantitativa. Essa può esprimersi sia in
forma multipla (compresenza di più nuclei completi di generazioni diverse) che in forma
estesa (dove a un nucleo si affiancano possibili ascendenti e collaterali)
Vi sono alcuni fenomeni presenti nel contesto attuale: forte flessione del tasso di natalità,
prolungamento della permanenza dei giovani in famiglia, elevamente dell'età al
matrimonio, aumento delle quote di celibi e nubili, aumento del numero di giovani adulti
che vivono soli, aumento delle convivenze, aumento dell'instabilità coniugale.
Non dobbiamo dimenticarci di tenere conto di una variabile in più: la presenza di etnie
diverse, che danno luogo a forme famigliari atipiche tra persone della stessa etnia,
famiglie di coppie di culture diverse (coppie miste), ricongiungimenti famigliari di famiglie
spezzate.
Si può quindi affermare che oggi sia opportuno non parlare più di famiglia, ma di famiglie,
assumendo una prospettiva pluralista che ha nella molteplicità delle specificità famigliari il
suo punto di riferimento. Tutto questo ha implicazioni notevoli da un punto di vista
operativo in quanto richiede un impegno non più solo in relazione a processi di svincolo,
enucleazione e individuazione, ma anche di intreccio, connessione e collegamento.

4.2. Alcune chiavi di lettura delle famiglie


La famiglia può essere considerata come un gruppo con storia, un sistema aperto
autoregolantesi e , come tale, sottoposto alle proprietà dei sistemi precedentemente
descritte.
Va però sottolineato come l'attenzione dell'osservatore non debba rimanere concentrata
solamente nel descrivere e analizzare la famiglia come unità. Il comportamento
interpersonale dei membri della famiglia non è dunque una semplice risposta a ciò che gli
altri fanno, ma una funzione dei significati che vengono autonomamente attribuiti a tali
azioni. A partire da questa considerazione si individuano tre livelli di analisi strettamente
interconnessi tra loro: il livello personale, il livello famigliare e il livello sociale. Ogni
componente della famiglia dà senso alla propria esperienza e agisce nelle relazioni con gli
altri a partire da un insieme di premesse e credenze personali che derivano dalla sua
specifica posizione nel gruppo, dalle esperienze vissute precedentemente o nei rapporti
con l'esterno, ma anche la famiglia sviluppa un sistema di premesse o credenze condivise
che costituiscono un contesto simbolico che dà senso all'esperienza individuale e coniuga
e organizza i comportamenti dei membri della famiglia sia all'interno che all'esterno.

4.2.1. La struttura della famiglia


La famiglia è l'unica organizzazione umana che si è mantenuta stabile nel tempo, si è
sempre mostrata in grado di rispondere a due obiettivi: uno interno, e cioè la protezione
dei suoi membri, l'altro esterno, e cioè la trasmissione della cultura stessa. L'obiettivo è
raggiunto attraverso il senso di appartenenza e il senso di differenziazione.
L'appartenenza dà identità e competenze, mentre la differenziazione consente di
sviluppare l'autonomia. Può accadere che alcune famiglie riescano a soddisfare il senso di
appartenenza e altre meglio quello di differenziazione.
Non ci sono, comunque, regole o momenti prestabiliti e nessuna di queste due funzioni
sarà mai completamente esaurita, perchè si potranno sempre ripresentare momenti nei
quali è necessario l'aiuto degli altri.
Facciamo alcune considerazioni di carattere generale...
Ogni famiglia instaura regole specifiche di funzionamento, che possono variare a seconda
del momento storico (tempo) che sta attraversando e del contesto nel quale sono inserite
(spazio). Queste norme "non" possono essere modificate, trasgredite senza ridefinire le
relazioni tra i membri. L'alleanza dell'intero nucleo nei confronti del mondo esterno
conferma le regole interne.
In alcune famiglie le regole possono essere nascoste sotto i "miti famigliari". I miti
favoriscono lo sviluppo di un meccanismo di difesa collettivo che ha l'effetto di ridurre al
minimo i cambiamenti del sistema. Il fatto che siano condivisi da tutti i membri della
famiglia dà luogo a rituali e offre alcune aree tranquille nelle quali l'accordo è automatico.
In questa prospettiva la lettura del mito è vista sempre come disfunzionale, in quanto
impedisce l'evoluzione del gruppo.
Una particolare applicazione di questa lettura riguarda le famiglie immigrate, dove la
costruzione di miti risponde alla necessità di ricompattare l'unità della famiglia e affermare
l'identità in relazione a un contesto sociale di approdo percepito come estraneo, ma nel
contempo serve a favorire l'adattamento. I miti sembrano, comunque, più evidenti e difficili
da cambiare, forse anche più numerosi e invadenti, nella famiglia in cui interno è presente
una disfunzione.
Come ogni sistema, anche la famiglia può essere suddivisa in sottosistemi: genitori, figli,
famiglia d'origine e così via. Tra i sottosistemi è opportuno che vi siano confini chiari e che
non si verifichino pesanti ingerenze.
La chiarezza dei confini è un utile parametro per la valutazione di un sistema famigliare,
che può, su queste basi, essere definito come: famiglie invischiare, le distanze
diminuiscono e i confini si confondono, famiglie disimpegnate, presentano tra i sottosistemi
lo sviluppo di confini eccessivamente rigidi.
Un altro elemento importante di comprensione delle interazioni famigliari è il concetto di
"alleanza". Alcune forme di alleanza: collusione, un'alleanza coperta e funzionale ad
arrecare danno a una terza persona o a perseguire uno scopo comune, coalizione,
l'alleanza di due membri contro un terzo. Il processo noto come "triangolazione" vede i due
genitori in competizione per ottenere l'alleanza con un figlio.

4.2.2. La metafora del gioco


Se è vero che il sistema struttura delle regole che vincolano il comportamento dei singoli,
è altrettanto vero che al singolo è lasciata la possibilità di scegliere tra strategie diverse
all'interno dello stesso gioco.
Ogni livello sistemico, anche quello individuale, ha un suo scopo, una sua strategia che
sono indissolubilmente interdipendenti con il gioco in atto ad altri livelli.
Il gioco famigliare viene definito come "l'insieme delle regole che, formatesi nel tempo,
strutturano l'organizzazione interna della famiglia". E' indispensabile tenere conto del
fattore tempo.
Risulta particolarmente utile, a questo proposito, considerare non solo le mosse che si
strutturano e vanno a produrre quel determinato gioco, ma anche il significato che dai
partecipanti viene dato allee mosse e al gioco stesso in funzione delle premesse mentali e
del filtro percettivo attraverso cui viene letta la realtà.

4.2.3. I cicli vitali


Il concetto di ciclo vitale della famiglia è stato elaborato a partire dagli anni 50, ma solo agli
inizi degli anni 60 si può ritrovare il suo impiego nella pratica clinica.
Viene adottata una prospettiva multigenerazionale per la spiegazione delle dinamiche
famigliari e la famiglia nucleare è vista come sottosistema che interagisce all'interno di un
più vesto sistema trigenerazionale.
L'affermare che sono in gioco almeno 3 generazioni porta a postulare "l'esistenza di un
asse verticale lungo il quale vengono trasmessi di generazione in generazione i modelli di
relazione e di funzionamento", e uno orizzontale che raccoglie gli "stress che la famiglia
incontra nel proprio cammino attraverso il tempo, adattandosi, più o meno attivamente, ai
cambiamenti e alle modificazioni provocate dal superamento dei vari stadi".
Questa analisi si colloca, dunque, all'interno di una prospettiva ecosistemica. Questo
modello è stato elaborato a partire da una tipologia di sviluppo famigliare che presuppone
una sequenza delle generazioni a intervalli regolari. Per la complessità e la pluralità delle
forme famigliari, tutto questo non sempre si verifica e si può assistere alla compresenza di
compiti di sviluppo diversi, in uno stesso momento.
Analizziamo le fasi principali che la famiglia attraversa nel suo ciclo di vita. Si tenga
presente che l"evento critico" consente di definire la scansione e di fronte a questo la
famiglia rivede le proprie modalità di funzionamento per integrare la nuova informazione
nel sistema. Iniziamo la sequenza dalla formazione della coppia (II gen.), che è quindi
preceduta da una famiglia d'origine (I gen.) e si proietta verso il futuro (III gen.).
- Costituzione della coppia (matrimonio/stabile convivenza): due soggetti di due famiglie
diverse, che hanno appreso nei loro contesti di appartenenza regole e modelli
comunicativi differenti. Un periodo di definizione di confini, di contrattazione di regole.
Compiti di sviluppo: formazione dell'identità di coppia, ridefinizione con le famiglie d'origine
e gli amici. Già in questa fase vi possono essere delle prime difficoltà.
- Famiglia con bambini: la nascita di un figlio è una rivoluzione di regole, sia nei rapporti
interni che esterni, per la coppia. Il sistema diviene più complesso. Se i figli sono più di
uno si creeranno dei nuovi sottosistemi. Un fattore di crisi può essere dovuto anche
dall'ingresso dei figli nelle strutture socializzanti, in cui avviene il primo confronto della
famiglia con l'esterno, il sistema sociale.
- Famiglia con adolescenti: è necessario che la famiglia aumenti l'elasticità dei proprio
confini, per consentire il progressivo svincolamento dei figli. Si consideri inoltre il
fenomeno della "lunga adolescenza del giovane adulto" tipico nel nostro contesto.
- Famiglia trampolino: l'evento critico è l'uscita di casa dei figli, che comporta l'accettazione
da parte dei genitori del compito di separarsi da questi. Il distacco viene preparato con un
costante aggiustamento reciproco e una crescente differenziazione. Ulteriore flessibilità è
richiesta per includere eventuali generi/nuore. Si colma la distanza generazionale tra
genitori e figli che arrivano a conoscersi in quanto uomo/donna, persone con un proprio
mondo interiore. E' sempre più importante la ridefinizione del rapporto di coppia. Viene
richiesto sempre maggiore impegno nel sostegno psicologico e materiale verso la I gen.
che si trova in fase di invecchiamento.
- Famiglia anziana: il pensionamento provoca un disequilibrio nella relazione di coppia,
richiede una rinegoziazione di regole interne, ridefinizione dei compiti e spazi individuali.
Aumenta la necessità di sostegno per lo stato di salute. Interessante notare che la
capacità di offrire questo sostegno da parte dei figli è collegata alla rapporto instaurato
nelle fasi precedenti.

4.3. Famiglie multiproblematiche


Il termine "multiproblematica" viene coniato negli anni 50 per definire "un gruppo che
attraverso i suoi vari componenti è in contatto con un'ampia varietà di servizi, agenzie e
istituzioni, enti della comunità, cui vengono richiesti interventi multipli e a lungo termine".
Alcuni tratti caratteristici:
- Contesto abitativo caratterizzato da situazioni precarie, condizione lavorativa di basso
livello. Appartenenza ad un'area economica culturale deprivata e marginale;
- Gli adulti presentano bassa scolarizzazione, scarsa preparazione professionale e
instabilità lavorativa. I figli presentano una motivazione allo studio carente, difficoltà di
apprendimento e/o comportamento. C'è una ridotta partecipazione dei genitori ai problemi
vissuti dai figli;
- La famiglia vive un profondo isolamento sociale, spesso accompagnato da una
mancanza di coesione interna al sistema famigliare;
- Il sistema famigliare sembra reggersi su equilibri precari e fragili;
- Ci sono una serie di configurazioni interne alla famiglia disorganizzate o sottorganizzate;
- Gli stili comunicativi interni sono caratterizzati da scarsa propensione all'ascolto con
tendenza a reagire in modo automatico e irriflessivo;
Non c'è un ordine nei ritmi di vita quotidiani, nè garanzia che i bisogni primari vengano
soddisfatti con continuità.
La famiglia multiprob. non riconosce la propria problematicità e in genere non avanza per
prima richiesta di aiuto se non di tipo economico.
I rapporti con il sistema di servizi presenti sul territorio sono spesso contrassegnati dalle
incapacità di avvalersi delle opportunità di cambiamento offerte. Si instaura quindi un
sistema aiutosostegno che sembra portare cronicizzazione e frustrazione nel sistema
famiglia e in quello socioassistenziale.
In queste situazioni si può ritrovare un duplice livello di patologia: sociale e psichico, in
misura prevalente disturbi affettivi e di personalità.

CAPITOLO 5 L'ANALISI DELLA SITUAZIONE


Per mettere in atto il processo d'aiuto in maniera corretta è necessario raccogliere
informazioni che riguardino i sistemi implicati nel problema e le loro relazioni. Vi sono
almeno 3 livelli: l'ambiente sociale, l'istituzione e l'utente. Importante, in una lettura
sistemica, porre attenzione costante all'ambiente sociale globalmente inteso, a livello
macro e micro, come elemento che contribuisce a definire le caratteristiche dell'utenza, dei
servizi e da forma alla relazione che si instaura tra questi.

5.1. L'ambiente sociale


Lo studio dell'ambiente è un aspetto fondamentale per l'AS. La conoscenza del territorio
facilità l'adozione di un approccio globale. E' questo il contesto di vita da cui proviene
l'utente, all'interno del quale la famiglia ha costruito la sua specificità organizzativa,
relazionale, l'ambito in cui sono maturati i problemi e risorse. Diversi livelli:
- Profilo territoriale: aspetti geografici e territoriali, nei suoi dati strutturali ma anche
semistrutturali (presenza di case degradate, edilizia popolare, spazi verde, aree di
aggregazione, in zone non urbane le concentrazioni di nuclei abitati e le casa isolate);
- Profilo demografico: i dati generali sui residenti (sesso, età, occupazione, provenienza,
numerosità famigliare), il movimento naturale della popolazione con i diversi tassi (natalità,
mortalità, nuzialità, etc.) e il movimento migratorio;
- Profilo occupazionale: il tipo di attività presenti, sbocchi lavorativi, dati sulle pensioni, sui
flussi migratori e attività sommerse;
- Profilo dei servizi: l'insieme dei servizi socio-educativi, socio-assistenziali e sanitari,
ricreativo-culturali, il privato sociale;
- Profilo istituzionale: il tipo di amministrazione presente nei Comuni, nelle ASL, le scelte di
politica sociale, le aree/fasce di problemi maggiormente coperte e quelle più trascurate, la
partecipazione e il tipo di risposta dei cittadini;
- Profilo psico-sociale: analizzare la comunità come un insieme di gruppi e delle loro
relazioni, cogliendone il grado di apertura/chiusura, il livello d interazione e integrazione, la
capacità di collaborazione;
- Profilo storico e antropologico culturale: la cultura della comunità e in particolare il
sistema dei valori e dei modelli;
Le caratteristiche dell'ambiente risentono di influenze riferibili a problematiche più generali,
di carattere regionale e/o nazionale.

5.3. L'utente
L'analisi della situazione si basa sulle informazioni che possono essere raccolte dall'utente
già dal momento in cui presenta la sua richiesta o in cui l'AS effettua il primo contatto.
L'analisi del sistema di appartenenza è un elemento fondamentale. L'attenzione è rivolta
prevalentemente al momento presente e alle relazioni che l'utente sta già sperimentando
all'interno del suo sistema o con altri sistemi significativi. Del passato sono ritenuti
significativi quei fatti che hanno introdotto differenza nella storia di ogni individuo o
sistema. L'elemento indicativo risulta essere non il fatto in sè, ma le retroazioni che il
sistema ha messo in atto e come in conseguenza di queste si è riorganizzato. Le
informazioni non dovranno riguardare perciò solo l'utente e il "suo" problema e
comprendere le relazioni tra il soggetto e il suo ambiente.
L'obiettivo è quello di giungere a una valutazione che consenta di definire e di mettere a
punto un progetto d'intervento.
Nell'analisi della situazione è possibile che l'operatore effettui colloqui con persone diverse
dall'utente e ne ricavi informazioni.
L'atteggiamento più corretto è quello di porsi come specchio che riflette diverse immagini
che l'utente offre in ambienti differenti. Rimettere dunque in circolo le diversità, come
momento di presa di coscienza e di crescita, connettendo le informazioni che si sono
ricevute.
La raccolta di informazioni pur costituendo un primo momento fondamentale nel processo
metodologico, è in realtà un'attività che ne accompagna tutto lo svolgimento.

5.4. La raccolta delle informazioni nel primo contatto con l'utente


Essendo l'AS un operatore inserito all'interno di un contesto organizzativo, si può trovare
di fronte a una serie di prassi che sono state costruite nel tempo dal servizio per
indirizzare la raccolta delle informazioni in relazione ad alcune variabili che vengono
ritenute significative per l'erogazione di una prestazione, spesso orientate a offrire
parametri di valutazione standardizzati per l'accesso a determinati servizi.
E' di fondamentale importanza che le prime informazioni relative all'utente vengano
raccolte nel momento in cui questi presenta la richiesta o è contattato su segnalazione.
Informazioni avute per vie diverse rischiano di compromettere o limitare le possibilità di
intervento, alimentando nell'AS pregiudizi, è quindi opportuno comunicarle all'utente, in
modo che possa esprimersi su esse.
Analoghi problemi sorgono quando un utente cerca di coinvolgere l'AS offrendo
informazioni su cui chiede di mantenere il segreto. Può essere utile in queste situazioni
tentare di bloccare l'utente prima che comunichi il "segreto" e cercare di scoprire come mai
l'utente ce lo voglia trasmettere.
L'obiettivo che ci si pone in questa ricerca è di scoprire le relazioni che individuo e
ambiente hanno strutturato, evidenziando quali sono funzionali, quali disfunzionali.
Ci si focalizzerà quindi più che sugli eventi reali (notizie) su quelli relazionali (informazioni),
cioè su quegli eventi che hanno provocato nel sistema differenze e retroazioni
significative.
L'operatore deve sapere cosa cercare, avere degli schemi di riferimento al cui interno
andranno a collocarsi, quasi automaticamente, le risposte alle sue domande, ma deve
anche essere empatico e flessibile nel compiere questa operazione, disponibile a rivedere
e modificare continuamente i suoi presupposti mentali.
Nella fase che definiamo di primo contatto e che può prevedere anche più di un incontro,
riteniamo fondamentale per l'AS riuscire a: realizzare un rapporto significativo con
l'utente, consentire l'esplicitazione della richiesta, individuare se è di pertinenza del SS,
comprendere se oltre alla richiesta palese ve ne sono altre non espresse, individuare
qual'è il nucleo minimo significativo coinvolto nel o sul problema, arrivare alla formulazione
di un'ipotesi di massima sul gioco in atto ora nella famiglia. Per raggiungere questi obiettivi
può essere utile suddividere la raccolta delle informazioni in aree. Le aree significative
sono: i dati anagrafici del richiedente e del suo nucleo famigliare, gli elementi relativi al suo
contesto ambientale e sociale, l'inviante, le informazioni sul problema e l'analisi della
richiesta.

5.4.1 I dati anagrafici


Si è visto che ogni famiglia funziona in base a regole relazionale. Ogni nuova fase
comporta la messa in discussione delle regole della fase precedente. Spesso i sintomi
compaiono quando c'è un'interruzione del normale susseguirsi delle fasi del ciclo vitale
della famiglia. Altre volte possono essere accadimenti esterni e assolutamente
imprevedibili.
Sulla base di queste considerazioni la conoscenza dei dati anagrafici può essere fonte di
importanti informazioni. Oltre a fornire indicazioni sullo status socio-economico della
famiglia, diventano spunti per ottenere informazioni sulle relazioni.
La conoscenza degli eventi passati che l'utente o i suoi famigliari ritengono
particolarmente rilevanti può rivelarsi utile per gli effetti relazionali prodotti da tali eventi. In
questo modo si ottengono indicazioni sulle modalità che la famiglia ha adottato per
affrontarli e si può meglio comprendere come mai la difficoltà presente viene ritenuta
insolubile con le sole risorse famigliari.
Ci sembra utile suggerire l'utilizzo di uno strumento quale il genogramma, una forma di
rappresentazione dell'albero genealogico che registra informazioni sui membri di una
famiglia e sulle loro relazioni nel corso di almeno tre generazioni. Può includere quelli che
noi chiamiamo "membri parafamigliari", cioè quelle persone che hanno rivestito nel ciclo
vitale della famiglia un'importanza affettiva e funzionale. Specialmente quando si opera
con struttura familiari complesse. Da questo può derivare una prospettiva evolutiva per la
famiglia.

5.4.2. Gli elementi relativi al contesto ambientale e sociale


Uno strumento utile per visualizzare le interazioni tra famiglia e ambiente è costituito
dall'ecomappa attraverso cui vengono rappresentati graficamente i sistemi significativi con
i quali la famiglia mantiene rapporti, evidenziando con un simbolo il tipo di relazione
esistente.

5.4.3. L'inviante
Possiamo definire "inviante" colui che invia al servizio l'utente perchè possa trovare una
risposta al suo bisogno-problema.
Le domande da porsi riguardano qual'è l'attuale posizione dell'inviante verso questo
utente; il tipo di relazione che vi è tra questi soggetti; oltre che con il servizio; il grado di
coinvolgimento/invischiamento dell'inviante nella situazione. Alcune tipologie di possibili
invianti:
- Disinteressato: colui che invia la persona al servizio perchè ha valutato l'esistenza di un
problema da questi risolvibile. Non è coinvolto nella situazione e il cercare di renderlo
partecipe, il chiedere collaborazione può provocare fastidio.
- Partecipe: è sinceramente interessato alla situazione e disponibile a collaborare.
- Meta: tende a porsi a un metalivello rispetto l'operatore/servizio e a controllarlo. Si tratta,
in genere, di persone che, trovandosi in posizione di livello gerarchico superiore, possono
consigliare o imporre all'operatore/èquipe obiettivi, metodi, progetti d'intervento,
controllando e interferendo con il lavoro svolto
- Antagonista: allo stesso livello dell'operatore/servizio a cui invia e non comunica
direttamente, ma attraverso l'utente, squalificando con lui sia il servizio, sia l'intervento
proposto.
- Invischiato: una persona così legata all'utente e così coinvolta nei suoi problemi da non
essere praticamente distinguibile dai membri della famiglia. Non è più in grado, da solo, di
offrire un aiuto efficace, è divenuto un membro omeostatico del sistema.
Modalità con cui viene attuato un invio disfunzionale:
- Aggressivo: proviene da persone che si trovano in posizione di up rispetto al servizio
- Colpevolizzante: l'inviante attribuisce all'utente inviato la "colpa" della situazione di
difficoltà in cui si è venuto a trovare
- Generica: all'utente non vengono esplicitate le motivazioni dell'invio.

5.4.4. Le informazioni sul problema


Uno degli obiettivi del primo contatto è quello di impostare un rapporto significativo con
l'utente, per cui anche l'ansia deve essere accolta. E' però necessario che l'AS non si lasci
sommergere da questi aspetti e riesca a formarsi un quadro complessivo del problema.
Perciò l'AS deve attivarsi, indirizzando il colloquio per ottenere quelle informazioni utili
all'analisi della situazione. Così facendo, incidentalmente, informa l'utente sulle proprie
modalità operative e gli prospetta un modo diverso per esporre il suo problema.
Un'attenzione particolare va posta nella decodifica della domanda e nell'individuazione dei
problemi significativi che dovranno essere affrontati nel progetto di intervento.
Nel primo contatto le informazioni che possono servire all'AS per elaborare un'ipotesi sulle
difficoltà relazionali, che in quel contesto si accompagnano al problema esposto,
riguardano la genesi e lo sviluppo del problema e il suo attuale modo di presentarsi.
E' importante, infine, cogliere eventuali incongruenze tra tono e contenuti, tra ciò che
l'utente dice e come lo dice.

5.4.5 L'analisi della richiesta e la definizione del contesto


Il ricorso ai servizi sociali da parte di individui e famiglie presuppone, generalmente, l'aver
compiuto un'analisi della situazione e aver compreso la propria incapacità di far fronte con
le proprie risorse alle difficoltà. Il fatto di aver riconosciuto il problema e di aver chiesto
sostegno suggerisce la capacità dell'utente a farvi fronte.
La richiesta esplicita, che è prioritaria rispetto ad altre implicite o sottese nella domanda,
permette all'utente di entrare in contatto con l'organizzazione dei servizi.
La domanda esplicita è spesso quella più semplice da porre senza sbilanciarsi troppo, ha
la funzione di sondare il terreno per verificare se sarà possibile, successivamente,
avanzare richieste più delicate.
In base alla richiesta dell'utente, si possono creare 4 tipi differenti di contesto:
1) Contesto informativo: presuppone una richiesta di notizie, indicazioni che l'operatore
può offrire, ma non di relazione stabile con esso (segretariato sociale). Può servire come
aggancio per iniziare un processo di aiuto, qualora l'AS individui che la richiesta di
informazioni è stato un modo per ingaggiare una relazione con il servizio;
2) Contesto consulenziale: è caratterizzato da una richiesta libera e autonoma,
indirizzata al servizio sociale con aspettative di collaborazione per la soluzione del
problema. La situazione dell'utente è ormai a un punto di rottura. L'operatore ha, a subito,
lo spazio e l'opportunità di avviare con la famiglia una relazione di tipo collaborativo;
3) Contesto assistenziale: la richiesta avviene sulla base di un problema/disagio più
strettamente materiale. Le richieste di questo tipo presentano, sovente, alcune
caratteristiche comuni:
 cronicità: l'omeostasi del sistema sembra salda, spesso non vi è né paziente né
sintomo, ma indizi notevoli di lunga durata che possono far pensare a una relazione
disfunzionale;
 il gioco relazionale è accuratamente coperto da bisogni di tipo pragmatico,
materiale che sono, da un lato, il sintomo e dall'altro la spiegazione unica e non
discutibile che la famiglia dà del proprio disagio;
 la molteplicità delle richieste;
 la disponibilità a soli cambiamenti apparenti;
Se l'AS si limita ad accettare la situazione così come la famiglia gliela presenta, finirà per
perdere il controllo della relazione, divenendo un mero esecutore delle richieste della
famiglia, che diverrà via via più insaziabile e incontentabile.
4) Contesto di controllo: la richiesta parte, in genere, da un altro ente. In questi casi ci si
trova di fronte a diversi ordini di difficoltà:
 la richiesta non proviene dall'utente che, sovente, subisce l'intervento;
 è impossibile non intervenire;
 l'intervento sulla situazione segnalata non può essere effettuato prescindendo da
un'analisi delle relazioni che il servizio ha con le istituzioni coinvolte.
5) Contesto valutativo: l'obiettivo dell'intervento dell'AS è di fornire una valutazione sulla
situazione, generalmente a un altro ente.
Due tipologie di valutazioni:
1. Risposta a una richiesta specifica di un'istituzione giudiziaria. Rispondono a questa
categoria 3 diverse tipologie di valutazioni:
- la valutazione di “idoneità” per le coppie aspiranti all'adozione o per i nubendi, o ancora
la relazione da presentare al giudice tutelare sulle opportunità di tenere all'oscuro i genitori
di un'adolescente che intende interrompere una gravidanza. In questi casi, l'utente non
viene al servizio spontaneamente, ma in ottemperanza a una prassi necessaria per poter
realizzare una sua scelta d vita.
- la richiesta di indagine sociale ai sensi degli artt 330 e 333 del codice civile
- la richiesta da parte del Tribunale ordinario di valutazione dell'idoneità a tenere in
affidamento i figli nell'ambito di separazione e divorzio o ancora la possibilità di accedere a
misure alternative sia al carcere sia a sanzioni amministrative. In questi casi è naturale
che da parte dei richiedenti vi sia un intento manipolatorio: è compito dell'AS trasformare
la relazione coattiva in collaborativa.
2. Valutazione di famiglie che si candidano all'affidamento familiare o di persone che si
offrono come risorsa per arrivare la custodia di un anziano/disabile, o per supporto
a minori in difficoltà.
In generale, è fondamentale per ogni operatore saper riconoscere il tipo di contesto in cui
apre la relazione, ma lo è in modo particolare saper “giostrare” con i contesti, per utilizzarli
all'interno della relazione con l'utente.
Si possono creare problemi particolari di definizione della relazione operatore/utente
laddove l'AS preferisca accentuare la valenza di sostegno della relazione sena esplicitare
chiaramente con l'utente che questa verrà esplicata all'interno di un contesto di controllo,
in quanto la situazione presenta degli elementi che lo richiedono. → in questo modo si
impedisce all'utente di capire il contesto, e di cogliere, quindi, anche la necessità di
attivarsi per evitare provvedimenti indesiderati.

CAPITOLO 6 DALLA VALUTAZIONE ALLA CONCLUSIONE DEL PROGETTO

La valutazione, secondo l'ottica sistemica, dovrà essere costruita collegando le


informazioni raccolte in maniera circolare, evidenziando le reciproche influenze tra i
sistemi coinvolti nel problema. Il prendere in esame e circoscrivere come contesto
significativo per la comprensione di un fenomeno un particolare sistema, sia esso la
famiglia per l'individuo o il sistema sociale per la comunità, non significa imputare a loro la
causa del sintomo o del disagio, bensì riconoscerli come coinvolti, partecipi sia alla
costruzione della situazione, sia alla soluzione.
Può essere utile, nel processo di costruzione della valutazione, tenere presenti alcuni
aspetti particolari. La famiglia spesso si presenta ai servizi in relazione a una presunta
disfunzionalità o a un maltrattamento “oggettivo”, per cui è importante chiedersi:
 chi ha definito questa condizione: è una percezione/convinzione della famiglia
stessa, è il cotesto sociale a definirla tale, vi è un etichettamento formale (es: invio
del T.M.), o è lo stesso operatore ad aver connotato la situazione come tale fin dal
primo incontro;
 quali sono le are in cui tale condizione si rende visibile, esplicita;
 che cosa impedisce il buon funzionamento del sistema (es: la patologia presente
nel singolo, nelle relazioni, il contesto sociale in cui è inserita, la cronicità in cui è
scivolata, ecc..);
 quali sono i meccanismi che consentirebbero alla famiglia di funzionare bene, su
quali aspetti si può far leva, chi può essere risorsa dentro la famiglia o nei sistemi
significativi in cui è inserita;
 attraverso quali fasi e tappe si può ottenere il buon funzionamento, quanto questi
passaggi sono coerenti con le risorse e il sistema di significati della famiglia;
 come agganciare il sistema per entrare in un accoppiamento comunicativo che
favorisca l'evoluzione.
Le informazioni che l'AS ha raccolto consentono di formulare ipotesi sul funzionamento
della famiglia. I particolare l'ipotesi può svilupparsi analizzando:
 la storia del sistema;
 la storia del problema letto in relazione agli adattamento operati dal sistema quando
questo è emerso;
 l'eventuale storia di relazione tra la famiglia e i servizi.
Queste ipotesi consentono di formulare una valutazione relazionale sul funzionamento
della famiglia. L'AS, attraverso un processo costante di formulazione di ipotesi parziali, di
verifica delle stesse, giunge alla costruzione di una spiegazione plausibile delle relazioni
osservate nella realtà.

Il progetto di intervento
L'AS perseguirà lo scopo di aiutare, facilitare, modificare, istruire, sostenere un individuo o
un gruppo familiare, ma anche questi ultimi da parte loro parteciperanno all'interazione
perseguendo gli obiettivi e gli scopi che li hanno portati a rivolgersi alle agenzie sociali:
entrambi daranno luogo a un processo comunicativo attraverso il quale negoziano la
definizione di se stessi, della loro relazione e della situazione in cui sono coinvolti.
L'AS deve porre una particolare attenzione al contesto: deve saper creare contesti che
favoriscano la comunicazione e all'interno di questi contesti sviluppare un linguaggio che
permetta di relazionarsi con i sistemi di significato dell'utente.
Pincus e Manahan individuano 4 sistemi in relazione ai quali l'AS svolge la sua attività e
che possono essere orientativi per la costruzione di un progetto:
 Sistema agente di cambiamento: ente o organizzazione in cui l'AS svolge la
propria attività e che influenza con il mandato sociale, ma anche con i vincoli e le
risorse che gli sono proprie, l'ipotesi di progetto;
 Sistema cliente: è colui che chiede l'intervento, con cui l'assistente sociale
stabilisce un contratto e che è il presunto beneficiario degli sfori che sono messi in
atto;
 Sistema bersaglio: sono le persone che devono essere influenzate per riuscire a
realizzare gli obiettivi di cambiamento definiti per il sistema cliente.
 Sistema d'azione: tutte le persone con cui l'assistente sociale lavora per
raggiungere gli obiettivi di cambiamento. In quest'ambito è assolutamente
necessario individuare con precisione, nel progetto di intervento, chi fa che cosa,
come e quando, e definire con chiarezza le relazioni, sviluppando collaborazione, in
modo da ridurre i rischi di un'eventuale esportazione, dalla famiglia al sistema di
azione, di giochi disfunzionali che hanno come effetto il rischio di introdurre
cronicità nel rapporto famiglia/servizi.
→genogramma e ecomappa aiutano a individuare i sistemi significativi e fare l'analisi
qualitativa delle relazioni.
Dal punto di vista sistemico, si ritiene utile sottolineare come un punto di partenza sia
considerare la famiglia come sistema cliente nel suo complesso, indipendentemente dal
fatto che la richiesta provenga da un solo membro, poiché le relazioni che la
caratterizzano ne fanno un sistema sempre significativo (anche quando sia assente o non
collabori).
É importante che l'operatore abbia ben chiaro quale sia la propria rappresentazione
mentale di famiglia, poiché questa può influenzare in maniera significativa il progetto di
intervento.
 Famiglia assente: il rapporto tra l'utente e la sua famiglia viene ignorato o
comunque ritenuto non rilevante
 Contiguità separata: l'operatore concepisce se stesso e la famiglia come due
soggetti separati, ognuno dei quali ha relazioni significative con l'utente. In questa
logica si perde l'idea di interdipendenza fra i vari contesti interattivi.
 Collaborazione unilaterale: si riconosce l'importanza della famiglia per l'utente, e la
si usa come “mezzo” per potenziare il proprio progetto di intervento.
 Sostituzione: la famiglia è considerata dall'AS in chiave negativa, come un soggetto
da contrastare e correggere mediante il proprio intervento.
 Co-evoluzione: questo è l'atteggiamento più coerente con l'approccio sistemico, in
quanto porta l'AS a interrogarsi sul significato che assume il proprio intervento con
un utente all'interno della relazione fra questi e la sua famiglia, e a organizzare il
suo intervento non semplicemente sulla base di che cosa ritiene utile ed evolutivo
per l'utente, ma sulla base di ciò che ritiene utile ed evolutivo per l'utente come
componente di un sistema familiare.

La costruzione del progetto:


Dato per scontato che a livello generale l'obiettivo dell'intervento è quello di produrre
cambiamento, bisogna a questo punto precisare quali siano gli obiettivi particolari,
specifici, attraverso cui può essere ottenuto un miglioramento della situazione. Si tratta di
un'operazione molto complessa, poiché è necessario tenere presenti le relazioni tra i vari
sistemi coinvolti, per poter mettere in atto strategie efficaci. Il successo o l'insuccesso
dell'intervento possono dipendere dall'aver trascurato o non correttamente valutato dati
importanti di un sistema (es: un piano fallisce perchè l'amministrazione destina
diversamente le risorse, perchè il vicinato si oppone all'entrata di quella specifica famiglia
nel caseggiato, perchè la carenza di posti di lavoro esclude la possibilità di inserire un
disabile).
Una volta definiti gli obiettivi che si intendono raggiungere per ogni sistema bersaglio
individuato, sarà opportuno precisare le strategie, gli strumenti, le tecniche e i tempi,
tenendo conto che dovranno esse congruenti con il modello teorico adottato.
Il servizio sociale può impiegare all'interno del progetto sia strumenti professionali specifici
(rapporto, colloquio, documentazione), sia una serie di prestazioni concrete e servizi. É
bene sapere che le prestazioni non sono il fine dell'intervento, ma uno strumento per
raggiungerlo: devono essere studiate e utilizzate strategicamente all'interno del progetto. I
questo modo si evita che l'AS divenga un dispensatore di prestazioni, e non più un agente
di cambiamento; cronicizzando quelle stesse situazioni che si propone di risolvere.

Gli interventi che si possono realizzare all'interno di un progetto di intervento sono


molteplici (Fruggeri):
 Interventi di facilitazione: essi sono utilizzati per integrare o amplificare le risorse
interne della famiglia che sta rispondendo a un evento critico della propria storia
familiare;
 Interventi di sostegno: rispondono a eventi critici inattesi, compensando una
carenza di risorse nel far fronte alla transizione innescata dall'evento stesso;
 Interventi di mediazione: si ratta di prestazioni di cui le famiglie possono usufruire
quando non riescono autonomamente a gestire i conflitti, in particolare nell'ambito
della separazione: hanno come presupposto la presenza di risorse nella famiglia e
l'obiettivo dell'intervento è di riattivarle, in quanto momentaneamente bloccate;
 Interventi di controllo e tutela: sono interventi attuati in presenza di situazioni che
fanno ipotizzare l'incapacità grave della famiglia nel prendersi cura dei suoi membri.
Prevedono sovente l'inserimento nel progetto di una segnalazione all'autorità
giudiziaria;
 Interventi terapeutici: rispondono a un disagio psico-patologico, sia in bambini che
in adulti. Si tratta di interventi che si inseriscono in progetti complessi, dove spesso
sono coinvolti diversi servizi. L'obiettivo è di modificare e creare nuove condizioni
relazionali, in cui le famiglie possano generare nuove risorse.
Si può osservare come, mentre nelle prime 3 tipologie, l'obiettivo di carattere generale è
quello di accompagnare i processi adattivi familiari, negli interventi di controllo e terapeutici
gli operatori devono aiutare le famiglie a interrompere la spirale di
disfunzionalità/sofferenza/impotenza in cui sono precipitate.

Il contratto:
Esso è un aspetto importante del processo di aiuto: è uno strumento attraverso cui si
possono definire con precisione e consapevolezza gli impegni reciproci che utente e
assistente sociale si assumono per realizzare il progetto di intervento. Il contratto deve
essere il frutto di una relazione equilibrata tra istituzione/operatore/utente, senza che si
verifichino sbilanciamenti, come alleanze e coalizioni, se non temporanei e con finalità
strategiche, tra due dei tre membri.
All'interno del contratto va prevista la durata globale dell'intervento, così che si invia
all'utente un messaggio di autonomizzazione, comunicandogli che sono temporaneamente
ha bisogno di essere affiancato dall'AS.
Riguardo la forma, il contratto può essere scritto, così che possa connotarsi come
documento ufficiale e che lasci meno spazio ai malintesi. Far firmare il contratto all'utente
gli rimanda una immagine di sé come “attore” dell'intervento, e non come destinatario
passivo.
Infine, anche se le precedenti fasi del processo metodologico sono state superate, non si
può dimenticare la circolarità del processo metodologico, e quindi la possibilità che si
verifichino imprevisti e retroazioni del sistema. Pertanto, è necessario mettere in atto un
processo circolare che permetta di:
 immagazzinare nuove informazioni
 collegarle alle precedenti e, se necessario, formulare nuove ipotesi
 tarare l'intervento alla luce della valutazione effettuata
Verificare il proseguimento del progetto, così come pattuito nel contratto, è un'operazione
trasversale a tutta la presa in carico.

CAPITOLO 7 IL COLLOQUIO

Durante un colloquio i due interlocutori si influenzano reciprocamente, e la relazione che si


instaura a partire da esso non è gestita solamente da uno dei due interlocutori, ma è co-
creata da entrambi e dal contesto in cui si realizza.
I contenuti del colloquio vengono definiti dall'AS in relazione a più elementi: richiesta
dell'utente, problema dell'utente, sue caratteristiche e aspettative, fase metodologica,
mandato istituzionale/sociale e modello teorico di riferimento.
Il comportamento dell'operatore dipende dal processo metodologico ed è in ogni caso
caratterizzato da professionalità. Per questo motivo il colloquio di servizio sociale può
essere svolto presso l'ufficio dell'operatore o, se necessario, presso il domicilio dell'utente.
Il fatto che il colloquio sia delimitato in un tempo e in un luogo specifico ne connota la
formalità, e lo distingue dalla conversazione occasionale, che si può verificare incontrando
l'utente per la città.
Nel caso in cui ciò avvenisse, è bene bloccare la persona che tenta di avere informazioni
legate al processo di aiuto in un colloquio occasionale, perchè si rischia di perdere il
controllo della relazione.

L'ascolto
Per poter ascoltare gli altri è necessario iniziare ad ascoltare se stessi.
SAPER ESSERE: è necessario sviluppare una serie di percorsi che consentano una
riflessione sul proprio sé professionale e l'individuazione di spazi e tempi in cui
approfondire questi aspetti, prima di tutto con l'abitudine di rileggere la propria azione
professionale, ma anche con gruppi di incontro guidati o la supervisione professionale.
In pratica lo specialista ascolta e si ascolta, nel senso di cercar di sentire e decodificare
moti intrapsichici che la relazione con l'utente gli provoca.
Nell'ascolto entrano:
 l'attenzione come atteggiamento, e quindi come indicatore della disponibilità di
offrire ascolto;
 la percezione del messaggio, che significa, da una parte riceverlo effettivamente,
cioè permettere allo stimolo di giungere al cervello attraverso le orecchie; e dall'altra
accettarlo a livello cosciente, cioè decodificare e comprendere il messaggio inviato
nei termini in cui è stato emesso. In questa operazione entrano in gioco aspetti
legati alla dinamica della relazione interpersonale, e si insinuano i rischi del
pregiudizio e dello stereotipo come elementi di possibile distorsione.
 l'elaborazione del messaggio, intesa come interpretazione dei segnali e attribuzione
di significato a livello del contenuto e della relazione interpersonale. Si deve sempre
tener conto delle risonanze emotive che i messaggi percepiti possono aver prodotto
in colui che ascolta per evitare interferenze incontrollate;
 la restituzione come segnale di conferma rispetto alla relazione con l'altro.
La relazione
L'assistente sociale nella relazione di aiuto si trova, nella fase iniziale, in una posizione
relazionale di tipo asimmetrico (complementare up) nei confronti dell'utente, in quanto
possiede delle competenze professionali specifiche cui l'utente fa riferimento per superare
la sua situazione di difficoltà.
L'asimmetria in termini di potere è anche legata al compito di guida e controllo del
processo che l'assistente sociale deve sviluppare per orientare il processo di aiuto,
facendosi però sempre guidare dai principi etici di riconoscimento del valore della persona
e del suo diritto ad autodeterminarsi. Questa condizione non richiama quindi un rapporto
all'alto al basso e può realizzare un clima di collaborazione che, poco alla volta, può
evolvere in una relazione, in cui l'utente venga aiutato a far crescere le sue capacità e la
sua autonomia.
La distanza professionale è un elemento fondamentale per osservare la situazione senza
invischiarsi e confondersi con essa, ma alo stesso tempo è necessario esprimere
attenzione, partecipazione, empatia per costruire un aggancio relazionale efficace e
sviluppare un rapporto di auto.

Le tappe del colloquio


1) Preparazione del colloquio. Si suddivide in più passaggi:
 Convocazione: se non si tratta di un primo contatto con l'utente, è importante
definire rispetto alla domanda o al problema presentato, o ancora alla fase del
processo di aiuto in cui ci si trova, chi convocare al colloquio. É necessario riflettere
su quali modalità impiegare per fare la convocazione: assume significato
relazionale diverso se viene utilizzata la persona chi si è rivolta al servizio per
chiedere aiuto, se si telefona o si manda una lettera a casa, o ancora se si ritiene
opportuno avvalersi di operatori di altre istituzioni come mediatori.
 Definizione degli obiettivi: va effettuata per ogni specifico colloquio, all'interno del
contesto generale del processo di aiuto.
(es: raccogliere/dare informazioni, analizzare più approfonditamente il problema, testare
una ipotesi valutativa, offrire sostegno, verificare la situazione, ecc..)
 Definire le aree da sondare: in base alle ipotesi che l'assistente sociale ha costruito.
(es: rapporto con le famiglie estese, rapporto di coppia o genitori-figli, integrazione con il
vicinato, situazione lavorativa, progressi realizzati, difficoltà incontrare nell'attuare il
progetto, ecc..)
 Definire le informazioni da ricercare: è utile definirle a priori perchè durante il
colloquio si può venire distratti dal discorso, le informazioni definite a priori servono
a non perdere di vista l'obiettivo.
 Definire le informazioni da dare: nel caso in cui ciò sia necessario, è bene
prepararsi con tutte le informazioni da dare, l'eventuale modulistica o materiale
illustrativo. In questo modo si trasmette all'utente una serie di messaggi significativi
a livello relazionale (ci si sta occupando della situazione) e educativo (gli impegni
presi vanno mantenuti).
 Definire gli aspetti relazionali: sulla base delle informazioni possedute, l'AS potrà
fare il punto dell'evoluzione del rapporto tra utente e servizio e riflettere su quale
atteggiamento sia più opportuno tenere.
 Scelta dell'ambiente: può essere definito in base agli obiettivi dati al colloquio:
-ufficio dell'operatore
-domicilio dell'utente
-altri ambienti (es: scuola, ospedale, carcere). In questi casi va analizzato il tipo di
influenza che l'ambiente può avere sulla relazione e sui contenuti da trattare.
 Definire il coinvolgimento di altre persone: va esplicitato all'utente se, oltre
all'assistente sociale, saranno presenti al colloquio altri operatori del servizio o
colleghi di altre istituzioni. Nell'ipotesi che non sia stato possibile informare l'utente
in tempo, va comunicato prima dell'inizio del colloquio, specificandone i motivi e
offrendo la possibilità di esprimere eventuali dubbi, problemi o disturbi determinati
da questa presenza.
 Definizione dei tempi (durata del colloquio)
 Predisposizione dei supporti: coerentemente con gli obiettivi e la situazione
specifica.
(es: cartella, scheda, blocco degli appunti, agenda, registratore, specchio unidirezionale,
telecamera, ecc..)
2) Svolgimento del colloquio
 Fase iniziale: Un primo passo da compiere è senza dubbio quello di “accogliere”
l'utente, nel significato più pieno del termine. Un secondo passo è quello di
esplicitare o riprendere gli obiettivi per cui si sta svolgendo il colloquio. La
definizione del contesto relazionale è poi fondamentale per mantenere un rapporto
di chiarezza con l'utente. Anche il riassunto di quanto precedentemente accaduto,
di informazioni raccolte da altre fonti, di passi svolti dall'operatore si rivela uno
strumento utile sia per mantenere la chiarezza nel rapporto con l'utente, sia per
garantire un atteggiamento di neutralità, evitando il sospetto di alleanze segrete.
 Corpo centrale: si trattano i contenuti che si è deciso di trattare rispetto agli obiettivi
precedentemente definiti per l'incontro;
 Conclusione: serve per ricapitolare quanto di significativo è emerso, per prendere
degli accordi sia riguardo a eventuali impegni, sia rispetto a un futuro incontro.
Nell'ipotesi non infrequente che proprio verso la fine del colloquio emergano tematiche
rilevanti, può essere opportuno ridefinirle come argomenti importanti che meritano tempo e
attenzione e che potranno essere trattati nell'incontro successivo. Si darà in questo modo
il messaggio di aver raccolto la comunicazione, ma contemporaneamente si ridefiniscono
le regole e il controllo della relazione. Se la conclusione è preparata bene, l'utente non
resterà con la sensazione di un discorso non finito o un rapporto freddo e burocratico.

All'interno della cartella vanno inseriti:


 i passi della preparazione del colloquio (obiettivi, ipotesi, aree da sondare,
informazioni da raccogliere, ecc..), in quanto consentono di avere elementi di
verifica rispetto a quanto nel colloquio stesso si è realizzato;
 lo svolgimento del colloquio, includendovi gli elementi che emergono “a caldo”,
appena si termina il colloquio (impressioni, sensazioni suscitate dall'utente
all'operatore)
 decisioni, accordi presi e conclusioni.

Il colloquio rispetto al processo di aiuto


L'analisi della situazione:
Si può differenziare il colloquio che si svolge durante il segretariato sociale, o primo
contatto, e il primo colloquio e colloqui successivi.
Primo contatto: nel ricevimento pubblico il rapporto con l'utenza si può caratterizzare
come segretariato sociale o come filtro; oppure può precludere a una presa in carico
successiva dell'utenza.
L'utilizzo del modello sistemico orienta anche il primo contatto e amplifica l'importanza di
questo incontro differenziandolo profondamente da un intervento di tipo
burocratico/amministrativo, in quanto richiede la capacità da parte dell'AS di raccogliere
quel minimo di informazioni sull'utente e sul suo problema che consentano di giungere a
una prima valutazione. Schematicamente, possiamo suddividere il primo contatto in 3 fasi,
che hanno implicazioni relazionali progressivamente di maggior intensità:
1. Comprende importantissime comunicazioni non verbali, intervallate dalla
presentazione reciproca, da un eventuale esplicitazione della richiesta da parte
dell'utente e dalla rilevazione, motivata, di dati da parte dell'AS. La cronica carenza
di tempo può portare l'operatore ad abbreviare troppo questa fase, trasformando un
momento importante per l'aggancio relazionale in un atto burocratico o addirittura
inquisitorio.
2. Mentre viene esplicitato il problema, vengono anche verificate sui contenuti le
impressioni reciproche inferite dalla comunicazione non verbale. Nel corso del
colloquio l'operatore non sarà recettore passivo di dati e notizie precedentemente
selezionate e giudicate importanti dall'interlocutore, ma solleciterà informazioni,
riformulerà e puntualizzerà con ulteriori domande i termini del problema. Tutto ciò in
vista della costruzione di un'ipotesi sistemica, che includa, cioè, tutti i membri del
sistema e fornisca una supposizione plausibile al funzionamento globale;
3. Nella fase conclusiva l'AS dovrà fare una proposta all'utente, e dovrà tenere conto
sia di come sia possibile intervenire rispetto alla situazione prospettata, sia rispetto
alla relazione operatore/utente che si è instaurata.
Primo colloquio: attraverso la raccolta di informazioni effettuata nel primo contatto, l'AS
avrà individuato qual'è l'ambito all'interno del quale si manifesta il problema, e avrà definito
chi è opportuno convocare al primo colloquio. La famiglia, in quanto sistema relazionale
significativo minimo in cui si colloca l'utente, è sempre il campo privilegiato da coinvolgere
e su cui effettuare l'osservazione e l'intervento.
Quindi, in un primo colloquio con il nucleo familiare, si dovrà:
 mettere a proprio agio tutti;
 presentarsi, specificare il ruolo ricoperto rispetto all'ente, il servizio di cui si fa parte
e lo stile di lavoro;
 comunicare da chi si è stati contattati e fare un breve riassunto di quanto è stato
detto nel primo incontro con il richiedente;
 ripercorrere e completare, direttamente con ognuno dei presenti, partendo dai più
anziani, i dati personali ottenuti nel primo contatto.
Alcune aree su cui orientare la formulazione delle domande:
 esplorazione dei motivi per cui i soggetti interpellati hanno accettato di venire al
colloquio e i loro punti di vista rispetto alla richiesta di aiuto;
 definizione del problema secondo i diversi interlocutori;
 valutazione delle possibili soluzioni al problema rispetto al presente e al futuro;
 analisi delle relazioni con altri sistemi sociali significativi;
 storia della famiglia;
 comprensione delle modalità con cui si prendono le decisioni.

La valutazione
Al termine della fase di analisi, l'operatore può iniziare a fase una valutazione della
situazione. A questo punto si rende necessario un colloquio il cui obiettivo specifico sia
quello di restituire all'utente la valutazione che l'operatore ha costruito e che potrà essere
la base di un'alleanza operativa che porterà alla costruzione del progetto.
Il colloquio in questa fase deve essere accuratamente preparato e deve essere il frutto di
un consistente lavoro di ipotizzazione e riflessione, rispetto al quale vanno controllate
accuratamente la correttezza e la coerenza, evitando atteggiamenti di giudizio. Come nelle
fasi precedenti, è necessario definire a priori a chi comunicare la valutazione e chi
convocare al colloquio. Inoltre, bisognerà esplicitare se la valutazione verrà inviata ad altri
servizi e specificare quali aspetti saranno resi noti e quali resteranno interni alla relazione
con l'operatore.
Il contratto
Una volta definito, al termine della valutazione, il progetto di intervento, utente e assistente
sociale sono chiamati a prendersi reciprocamente degli impegni, specificamente espressi
nel contratto.
Il contratto ha forma scritta e viene firmato dall'utente. Nel caso in cui il progetto di
intervento preveda una prestazione standardizzata (es: affido familiare, SAD, prestazioni
economiche e educative, ecc..) si fornisce all'utente il modulo apposito e gliene si lascia
una copia. Nel caso in cui si pattuisca un progetto non standardizzato, si scrivono su un
foglio nuovo gli impegni presi.

L'attuazione del progetto


Nell'attuazione del progetto saranno presenti, oltre a colloqui volti a mettere a punto
interventi specifici, basati su erogazione di risorse, anche colloqui di consulenza psico-
sociale. La valenza di questi colloqui è di tipo terapeutico, in quanto hanno l'obiettivo di
introdurre cambiamenti significativi nelle relazioni che il soggetto sperimenta,
nell'immagine che ha di sé, nei suoi atteggiamenti.

La verifica
Si tratta di prendere in mano il contratto e di verificare come sono stati mantenuti gli
impegni presi da entrambe le parti. L'AS dovrà arrivare a questo colloquio preparato,
avendo raccolto informazioni dagli eventuali altri operatori coinvolti nella situazione che
quanto era stato progettato sia stato realmente svolto e, nell'ipotesi questo non sia
avvenuto, dar conto all'utente delle motivazioni che hanno impedito che questo avvenisse.
É un momento delicato in cui l'AS può essere squalificato per inadempienze che non lo
toccano direttamente, ma che possono derivare dall'aver sottostimato le risorse presenti
nel servizio o nella comunità.

Conclusione
Il colloquio di conclusione è importantissimo: manda il messaggio all'utente che potrà
arrivare a uscire dalla situazione problematica e che non avrà bisogno per sempre
dell'assistente sociale. Il colloquio di conclusione è dunque il riconoscimento del percorso
fatto insieme e la convinzione che l'utente ha imparato, almeno in parte, ad aiutarsi. É
corretto comunicare la disponibilità a essere ancora di aiuto ma la convinzione che l'utente
potrà farcela da solo.

I colloqui con altri soggetti significativi


Ci sono 3 livelli rispetto ai quali può essere necessario ricorrere allo strumento del
colloquio con altri interlocutori:
1. Strettamente legato al caso: si realizza nelle diverse fasi del processo
metodologico, sia per ottenere, da soggetti significativamente connessi con la
situazione in esame, delle informazioni per completare l'analisi del caso; sia per
costruire o condividere con un collega la valutazione, o ancora per verificare il
possibile coinvolgimento di una risorsa formale o informale, all'interno di un progetto
d'intervento o valutarne l'andamento;
2. Necessità di sviluppare relazioni e comunicazioni in funzione di una progettazione
più globale, che tenga conto sia della dimensione organizzativa che territoriale in
cui il servizio è inserito.
(es: politici, responsabili di servizio, rappresentanti di risorse istituzionali e del privato
sociale, testimoni privilegiati della comunità);
3. Si riferisce a quei colloqui in cui l'assistente sociale chiede a un altro professionista
consulenza sul caso stesso o una vera e propria supervisione
La conduzione del colloquio in ottica sistemica
Il riferirsi ai presupposti dell'ottica sistemica relazionale porta a una diversa conduzione del
colloquio che richiede tecniche specifiche, ma soprattutto un atteggiamento mentale di
ricerca nuovo. Non si cerca la causa profonda del problema, ma il sistema nel quale
l'individuo o la famiglia vive o nel quale il comportamento problematico si manifesta. Il
colloquio non sarà neppure volto a ricercare la causa scatenante del problema, ma la
“logica operativa” di quel sistema per impostare i futuri interventi da questa e su questa.
Perché l'operatore possa sviluppare concretamente nel colloquio queste indicazioni di
impostazione mentale ci rifaremo ai concetti di ipotizzazione, circolarità e neutralità
elaborati da Selvini Palazzoli (1980), avvalendoci anche del contributo offerto da Karl
Tomm, calandoli nello specifico del servizio sociale (perchè originariamente sono stati
elaborati per il contesto della terapia familiare).

Ipotizzazione
L'utente, al momento della richiesta, ha già effettuato una sua valutazione del problema
utilizzando tra i dati a disposizione quelli ritenuti rilevanti, connettendoli secondo una
logica per lui corretta. Questa elaborazione l'ha portato alla conclusione che nella
situazione esiste un elemento da modificare, identificato come il problema da risolvere
affinché tutto torni a funzionare.
Se l'operatore si limita a cogliere la punteggiatura dell'utente, è estremamente probabile
che giunga alle stesse e analoghe conclusioni. Se l'AS invece inizia analizzando il modo in
cui l'utente ha selezionato e connesso le informazioni, può arrivare a scoprire quale logica
sia ritenuta appropriata da chi si è rivolto al servizio e dal sistema a cui appartiene.
L'ipotesi, nella conduzione del colloquio, è lo strumento per eccellenza in quanto
garantisce all'operatore di dirigere la sua ricerca seguendo un filo logico e gli impedisce
quell'atteggiamento di osservatore passivo che permette alla famiglia di imporre la sua
punteggiatura.
Attraverso l'ipotizzazione vengono attivate quelle operazioni cognitive che cercano
connessioni tra osservazioni, dati riferiti, esperienze personali e conoscenze precedenti, al
fine di formulare un meccanismo generativo che potrebbe spiegare il fenomeno.
Inoltre, l'operatore attraverso le domande introduce informazioni che permettono alla
famiglia di collegare gli eventi in modo nuovo, offrendole l'opportunità di uscire dalle
trappole delle vecchie spiegazioni e di attivarsi in un cambiamento di quella punteggiatura
che ha portato all'insuccesso.
Perché ciò sia possibile, l'ipotesi dovrà essere sistemica, dovrà cioè includere tutti i
componenti della famiglia e fornire una supposizione coerente circa il funzionamento
relazionale globale.
Per la costruzione dell'ipotesi Lerma suggerisce 3 tappe:
1. fare una riflessione accurata sui dati raccolti dall'AS durante un primo
contatto/segnalazione/invio. Già da questa ipotesi, certamente rudimentale e
provvisoria, è possibile individuare una serie di ambiti da indagare nel colloquio;
2. attraverso una raccolta orientata dei dati e la loro connessione in informazioni
significative, è possibile procedere all'esplorazione delle aree che risultano
significative (es: rapporti tra persone interne/esterne al nucleo, relazioni tra gli
eventi e il modo di percepirli/gestirli)
3. ideazione dell'ipotesi integrando i dati ottenuti con le informazioni raccolte a vari
livelli (relazionale, socio-economico, sanitario, educativo), e ideando una ipotesi che
spieghi sia le posizioni dei singoli membri nel sistema che la posizione di
quest'ultimo in relazione a sovrasistemi e sottosistemi con cui è in relazione.
7.5.2 Circolarità
Bisogna avere presenti due concetti:
 L’informazione è una differenza
 La differenza è un rapporto
Dati questi concetti, le domande dovranno essere formulate, necessariamente, fondandosi
sul principio della circolarità. Per circolarità si intende capacità dell’operatore di condurre
la sua investigazione basandosi sulle retroazioni della famiglia alle informazioni da lui
sollecitate in termini di rapporti, e quindi in termini di differenze e mutamento.
Allo stesso tempo si raggiunge l’obiettivo di immettere nella famiglia degli input, delle
connessioni tra eventi diversi, permettendole di acquisire una nuova visione del problema.
Condizioni:
1. Le domande devono essere triadiche, devono, cioè, invitare un membro a descrivere
la relazione tra gli altri due.
2. Si dovranno rivolgere le domande a tutti i membri della famiglia che, in questo modo,
troveranno, garante l’assistente sociale, lo spazio per esprimersi. È necessario
interpellare anche i bambini.
3. Ci si rivolgerà ai comportamenti e alle loro spiegazioni, senza dimenticare le
emozioni, i sentimenti che determinati eventi suscitano in alcuni diversamente da
altri.
4. Informazioni importanti si potranno ottenere dalla conoscenza del significato che i
membri della famiglia attribuiscono ai termini utilizzati.
5. Si dovranno cercare le differenze nei comportamenti entro rapporti specifici e non
presupposti, qualità, difetti propri del soggetto.
6. Rispetto a uno specifico comportamento si può procedere richiedendo a più membri
di fare una graduatoria per capire le diverse posizioni dei membri della famiglia.
7. Le domande possono indagare più comportamenti che siano indicativi di un
mutamento di rapporto, prima e dopo un avvenimento preciso.
8. È possibile fare domande che permettano di cogliere delle differenze rispetto a
condizioni ipotetiche, proiettate nel futuro. Tali domande conducono la famiglia a un
processo di “anteroazione” che consente di evocare le potenzialità di cambiamento.
I membri della famiglia possono acquisire il senso della propria capacità di
immaginare nuove soluzioni ai propri problemi e sbloccare i circuiti ripetitivi in cui
sono costretti.
Questo tipo di domande possono essere utilizzate come metodo di indagine per valutare
il problema. In questo modo l’assistente sociale potrà focalizzare la sua attenzione su
come ciascun membro definisce il problema, su come ha reagito e reagisce allo stesso,
su quali soluzioni sono state tentate, da chi e con quali risultati.
Questo procedimento metterà in moto un processo interattivo tra i vari membri della
famiglia che potranno reciprocamente commentare, chiedere spiegazioni, fare domande
proprio sulla base delle risposte che ciascuno ha fornito all’operatore.
L’assistente sociale riuscirà così a evitare di rimanere invischiato in un racconto che offre
molte notizie, e a mantenere un atteggiamento di equidistanza rispetto ai vari punti di
vista dei componenti della famiglia e di maggiore libertà rispetto ai pregiudizi o stereotipi
che potrebbero inconsapevolmente guidarlo.

7.5.3. Neutralità
Per neutralità dell’assistente sociale intendiamo un determinato effetto pragmatico che
l’insieme dei suoi comportamenti nella conduzione della seduta esercita la famiglia.
L’assistente sociale durante il colloquio intreccia delle alleanze: mediante la circolarità si
potrà evitare di considerare qualcuno come interlocutore privilegiato.
Chi si è rivolto all’assistente sociale può essere più motivato a un intervento che ripristini
all’interno del sistema una precedente condizione. Il fatto di aver trovato un contatto può
indurlo a credere di aver instaurato una coalizione con l’operatore e può farlo sentire in
diritto di considerarsi l’interlocutore più importante e informato della famiglia.
Alleandosi più o meno volontariamente con questa visione, l’assistente sociale si sarà
precluso la possibilità di conoscere il punto di vista degli altri familiari, i quali
percepiranno l’operatore come nemico.
Se chi prende il primo contatto può essere il committente per l’AS, non è detto che questo
rappresenti la famiglia; sarà opportuno chiedere chi ha deciso la scelta della persona
adatta a cercare una soluzione del problema, chi era d’accordo di partecipare all’incontro
e chi no.
Assumere un atteggiamento neutrale non vuol dire mettersi nell’impossibilità di
valutare. Vi sono alcuni colloqui che si devono condurre proprio in funzione di una
valutazione da offrire ad altre istituzioni. Sarà però una valutazione relazionale che terrà
presenti le possibili retroazioni dei vari componenti a un piano di intervento e alle spinte
al cambiamento che questa potrà innescare. Perciò un atteggiamento neutrale nella
conduzione del colloquio non significa neutralità nei confronti dei comportamenti adottati
dai singoli. Gli effetti di questi si ripercuotono spesso sui soggetti deboli, per la cui tutela
è stato richiesto l’intervento del servizio sociale. L’atteggiamento neutrale è funzionale
a comprendere come questi comportamenti si manifestano, che cosa li determina o li
sostiene e ad aiutare il sistema nel suo complesso a trovare un equilibrio meno
disfunzionale.

7.6. La visita domiciliare


La visita domiciliare è un colloquio svolto a casa dell’utente per approfondire la
comprensione diagnostica, come studio e osservazione dell’ambiente familiare.
L’assistente sociale si reca presso il domicilio dell’utente: egli si trova come ospite, in un
ambiente estraneo, se non talvolta poco confortevole o minaccioso e non può non essere
semplice mantenere il controllo della relazione di fronte a disturbi da lui non governabili
o a imprevisti.
È utile chiedersi chi ritiene utile e opportuno che si effettui una visita domiciliare. Può
essere molto diverso se è l’utente a chiedere all’AS di recarsi al proprio domicilio o se è
lo stesso operatore a proporlo.
Nel primo caso sarà importante valutare:
 Se la richiesta si riferisce a un primo contatto;
 Se è stata fatta direttamente dall’utente o se proviene da qualche altra persona;
 Quali sono le implicazioni di questa richiesta per la relazione fra utente e servizio.

7.6.1. La visita domiciliare come richiesta di apertura di una relazione di aiuto


La visita domiciliare può essere richiesta come mezzo per entrare in contatto con
l’assistente sociale sia dall’utente stesso sia da altri soggetti, che in questo caso svolgono
una funzione da segnalanti.
È preferibile aprire la relazione d’aiuto all’interno del servizio, in quanto questo può essere
già un segnale di motivazione e disponibilità dell’utente. Inoltre, il contesto
dell’organizzazione richiama più direttamente alla triadicità della relazione (AS-persona-
ente), facilitando la definizione dei ruoli.
Talvolta chi segnala non si rende conto di questa problematica, pertanto può chiedere all’AS
di recarsi a casa dell’utente senza che vi fosse un serio motivo. Vi sono però situazioni dove
la domanda nasce dall’impossibilità reale dell’utente di recarsi al servizio, ad esempio
quando si tratta di persone anziane, malate o con handicap, ma anche in situazioni di
inaccessibilità del servizio stesso rispetto a particolari situazioni territoriali. In questo caso
la richiesta deve essere accolta, prestando comunque attenzione a definire la relazione
professionale.
La scelta sarà comunque orientata da un’ipotesi che nasce dalla valutazione professionale
della domanda rispetto alla specificità della situazione.

7.6.2. La visita domiciliare durante il processo di aiuto


La visita domiciliare viene usata come strumento per rispondere a obiettivi diversi:
a) Raccogliere informazioni che rendano più completa l’analisi della situazione in vista
della costruzione del progetto d’intervento. La visita domiciliare consente di cogliere
la relazione fra l’utente e lo spazio che lo circonda e di esplorare le modalità
organizzative della famiglia. Inoltre permette di osservare le interazioni fra i membri
nella loro dimensione quotidiana, anche se la presenza degli operatori contribuisce
a renderle meno spontanee e naturali.
b) Svolgere una funzione di controllo rispetto a quelle situazioni in cui la relazione è
contrassegnata da un mandato derivante dall’autorità giudiziaria. In questo caso il
colloquio sarà strettamente legato alla verifica delle prescrizioni e dei compiti che
sono stati inseriti all’interno del progetto.
c) Rafforzare la relazione di sostegno che si è sviluppata all’interno del processo di
aiuto. Il colloquio a domicilio si caratterizza più come messaggio relazionale che
dimostra la disponibilità all’aiuto, la vicinanza dell’operatore rispetto a una condizione
o a un momento particolare che l’utente sta attraversando.
Può succedere che durante il processo di aiuto sia l’utente a richiedere all’AS di recarsi al
suo domicilio, ed è importante interrogarsi e riflettere sul significato della richiesta. L’utente
potrebbe voler portare a casa l’AS come alleato da mostrare a qualcuno, oppure offrire
all’operatorie delle informazioni che non riesce a verbalizzare, o fargli incontrare persone
che non riesce a far venire in ufficio. L’accettare o rifiutare la proposta senza un’accurata
analisi della richiesta può indurre in errore, cadere in trappole relazionali o invischiamenti
pericolosi.
La visita domiciliare può essere una “prassi burocratica” per ottenere alcune prestazioni,
oppure può rientrare in un protocollo operativo definito da un’altra istituzione (Tribunale).
Si ritiene indispensabile che ogni volta l’AS definisca:
 In che contesto relazionale si trova rispetto a quell’utente
 Quali sono gli obiettivi che vuole raggiungere con il colloquio a domicilio
 Qual è l’ipotesi che si è fatta della situazione
 Quali sono le aree da esplorare per ottenere informazioni.
Particolare attenzione sarà utile dedicare ai messaggi non verbali, agli agiti e
all’osservazione del contesto ambientale delle interazioni tra i soggetti presenti.
Se la visita domiciliare non è stata concordata precedentemente con l’utente, ma si è resa
necessaria per situazioni particolari, sarà importante scegliere la forma di preavviso migliore
in funzione del tipo di relazione che si è instaurato con l’utente.

CAPITOLO 8 – ALCUNI INTERVENTI TIPICI DEL SERVIZIO SOCIALE


8.1. La consulenza psico-sociale
La consulenza psico-sociale si caratterizza come il livello di interazione in cui le risorse
che l’operatore mette in gioco nel processo di aiuto all’utenza si concretizzano nella capacità
di utilizzare il colloquio a scopo di chiarificazione, di sostegno finalizzato al raggiungimento
di un nuovo equilibrio da parte dell’utente.
La consulenza psico-sociale è un compito specifico dell’AS e può rappresentare il livello
massimo di capacità professionale. Questo tipo di colloquio viene utilizzato nel servizio
sociale per affrontare problemi inerenti alle difficoltà da parte dell’utente o della intera
famiglia di far fronte a situazioni legate all’assunzione di nuovi e improvvisi ruoli sociali o
compiti esistenziali oppure dalle situazioni in cui un individuo deve cambiare il suo
atteggiamento nei confronti della società e delle sue norme oppure in situazioni in cui vi
siano difficoltà a livello delle relazioni interpersonali ecc.
8.1.1. L’intervento all’interno di un contesto consulenziale
Il passaggio da una concezione dei servizi sociali come risposta a problemi di
emarginazione ha incrementato una domanda più di tipo specificamente consulenziale,
ovvero un aiuto professionale per ricevere un “sostegno alla normalità” degli individui e delle
famiglie che si trovano sempre più esposti a difficoltà anche nell’assunzione dei ruoli e nelle
scelte quotidiane. L’intervento consiste nello sviluppare compiutamente la relazione di aiuto
come strumento per introdurre cambiamento e facilitare l’evoluzione, la crescita del soggetto
e della sua famiglia.
I colloquio di consulenza psico-sociale potranno rispondere a obiettivi di carattere
generale:
 Chiarificare i nodi problematici presenti nella situazione
 Supportare il soggetto nei processi di ridefinizione delle regole
 Favorire l’adempimento di compiti esistenziali da parte del soggetto e dei componenti
della famiglia
 Facilitare l’attivazione di risorse interne ed esterne
Il colloquio quindi è finalizzato al superamento di blocchi evolutivi e alla trasformazione di
quei modelli di interazione rigidi che possono essere fonte di gravi patologie.

8.1.2. Intervento di consulenza psico-sociale all’interno di altri contesti


Gli interventi di consulenza psico-sociale non possono mancare anche in contesti quali
quello assistenziale, di controllo o valutativo, dove questo tipo di colloqui, sono inseriti in
un progetto complesso che può prevedere sia i ricorso a interventi e prestazioni concrete,
sia l’utilizzo di specifici contributi di altri professionisti in una logica di integrazione delle
competenze.
Un aspetto particolare di cui tenere conto riguarda la dimensione dell’insuccesso o della
frustrazione legata al tentare di operare dei cambiamenti e non riuscire a realizzarli. È
importante lavorare su questi aspetti prima di proporre dei tentativi di cambiamento o
esplorare con attenzione quelle che sono le risorse dell’utente per poter inserire nel progetto
degli obiettivi che abbiano buone possibilità di essere raggiunti.
Soprattutto per i contesti assistenziali e di controllo è fondamentale che l’assistente sociale
individui e definisca chiaramente anche con l’utente una linea di demarcazione tra la
consulenza psico-sociale e gli altri tipi di intervento per evitare slittamenti che possono
ridurre all’impotenza l’operatore, cronicizzare il problema e rendere disfunzionale la
relazione con il “sistema di aiuto”.
8.1.3. Alcune indicazioni per la conduzione
Un prerequisito è quello di sviluppare una relazione empatica di ascolto nei confronti
dell’utente: si può trasmettere accettazione della persona e dei suoi problemi, interesse per
la specificità e gli aspetti di unicità con cui vive la sua situazione.
Aiutare a parlare partendo da quanto la persona spontaneamente offre orientandola a
connettere diverse informazioni secondo un’ipotesi che aiuti a intravedere nuove
opportunità, nuove possibilità e a costruire competenza nei soggetti, è una funzione
fondamentale nel colloquio di consulenza psico-sociale.
Sarebbe inoltre opportuno che si evitasse di porre domande che contengano in sé già delle
risposte implicite, in quanto restringono il campo delle opzioni e della personalizzazione
delle alternative e possono servire come scorciatoie al soggetto.
Poiché un obiettivo del servizio sociale è di costruire processi di autodeterminazione si
ritiene necessario non precostruire risposte ai problemi presentati o non cadere nella
trappola di offrire consigli, ma accompagnare il soggetto nella presa di decisione, attraverso
un percorso di chiarificazione rispetto alla propria situazione e alle alternative che possono
delinearsi nel processo di soluzione dei problemi.

8.2. La mediazione
Nel contesto sociale attuale vengono a mancare quelle modalità di mediazione interne alla
famiglia o tra soggetto e contesto sociale che hanno caratterizzato altre epoche.
Si evidenzia così la necessità di trovare un “terzo neutrale” a cui affidare questo spazio di
intervento.
Per mediazione si intende quindi un processo mirato a far evolvere dinamicamente una
situazione di conflitto aprendo canali di comunicazione che si erano bloccati: la mediazione
tende a far sì che le parti riprendano a comunicare tra loro in modo da trovare un accordo.
La mediazione può essere utilizzata in diversi ambiti:
 La mediazione familiare si configura come l’intervento di un professionista neutrale
nel conflitto che sovente accompagna il processi di separazione e divorzio. Il suo
utilizzo consente di ridurre la conflittualità e di raggiungere accordi concreti e stabili
nel tempo relativi all’affidamento dei figli e alle modalità di visita del genitore non
affidatario, alle scelte fondamentali in campo educativo, alla gestione del tempo
libero, agli aspetti patrimoniali.
 La mediazione penale tende a evitare il procedimento “contenzioso” con vincitori e
vinti sulla base dell’accertamento dei fatti e della loro ascrivibilità all’imputato per
pervenire alla condanna, ed è volta a individuare soluzioni consensuali e
responsabilizzanti. Il mediatore ha il ruolo di facilitatore della comunicazione tra le
parti, e l’obiettivo di ristabilire una relazione che l’evento-reato ha distrutto.
 La mediazione sociale e comunitaria si focalizza sui problemi di conflitto che si
verificano nell’ambito dell’ambiente di vita delle persone. È un intervento che può
essere svolto nei confronti di difficoltà legate alla relazione tra gruppi di diverse
generazioni all’interno di un quartiere.
 La mediazione culturale si è resa necessaria nella relazione con persone
provenienti da contesti geografici diversi e che hanno dovuto affrontare i problemi
legati all’immigrazione.
Una premessa fondamentale perché la mediazione possa essere efficace è la condivisione
dei presupposti fra le parti; se questo non avviene la mediazione, anche quella gestita dando
attenzione alla neutralità, rischia di naufragare, invischiando l’operatore nella dinamica di
due soggetti che tendono a far prevalere le ragioni dell’uno su quelle dell’altro.
Il modello sistemico-relazionale si pone come utile cornice teorica di riferimento che facilita
l’adozione di un punto di vista neutrale, evitando lo schieramento nei confronti di una delle
due parti in causa.
Il ruolo dell’operatore non si svilupperà individuando e proponendo direttamente la soluzione
migliore, ma attivando le risorse dei partecipanti, sollecitando nuovi punti di vista da cui
osservare la situazione.

8.3. La segnalazione e la relazione al TM


Nel contesto attuale avviene spesso che al giudice o agli operatori sociali arrivano bambini
ormai lesi nel più profondo dei loro diritti. All’AS viene richiesto quindi di attivare un contesto
di controllo, laddove valuti vi sia una situazione di pregiudizio per i minori.
Assume una grande importanza la costruzione di una rete tra i servizi e le diverse istituzioni
per poter sviluppare delle modalità operative che rendano più efficace e tempestivo il
riconoscimento di una situazione di pregiudizio per il minore.
L’AS si trova a confrontarsi con problematiche diversificate che richiedono una preparazione
e una professionalità specifiche; sono pertanto necessarie competenze sul piano personale,
organizzativo, specialistico e legale.
Differenza di funzioni:
 Il servizio sociale ha il compito di segnalare la situazione di pregiudizio per il minore;
 Al Tribunale per i Minorenni compete il compito di valutare gli elementi offerti,
disporre ulteriori accertamenti e emettere il decreto.
I feedback tra servizio sociale e magistratura avranno la funzione di permettere di coordinare
le condotte nei confronti dell’atteggiamento da tenere con i vari membri del sistema famiglia,
con i legali delle parti, e rendere più comprensibili i linguaggi specialistici.
Nella pratica il TM, attraverso i suoi interventi, indirizza l’attività dell’operatore e del servizio
e molte prescrizioni non sempre tengono in corretta considerazione le reali condizioni e
risorse del contesto in cui gli operatori sono costretti a muoversi.
La Magistratura per certi aspetti deve svolgere un compito contraddittorio: deve reprimere,
interrompere e allo stesso tempo deve ricorrere all’aiuto del sistema da lei condannato per
attivare azioni riparative.
È comprensibile che gli operatori si sentano confusi e disorientati di fronte alle difficili
decisioni da prendere nei singoli casi e in situazioni non conclamate, mancando spesso
rappresentazioni condivise, nel servizio di appartenenza e nel Tribunale, su quali
comportamenti debbano essere considerati abuso, trascuratezza, violenza e su quali
debbano essere le mosse più urgenti e opportune. La non definizioni genera equivoci e
lascia all’operatore il compito di definire il dubbio se sia più opportuno segnalare anche sulla
base di pochi indizi e se sia preferibile aspettare e raccogliere maggiori informazioni.
Laddove si tratti di una grave situazione di pregiudizio per un minore, della quale il servizio
è stato informato da soggetti esterni all’ente, all’operatore non è lasciata la discrezionalità
di stabilire, attraverso una sorta di pre-indagine, l’attendibilità delle notizie: la legge impone
di segnalare “senza ritardo”.È necessario che l’AS abbia l’incarico del magistrato per
approfondire la situazione: il TM potrebbe assegnare ad altri il compito di acquisire ulteriori
elementi.
La decisione di segnalare mette in moto la dimensione emotiva: dal momento che tutte le
emozioni influenzano il lavoro, è fondamentale che l’operatore abbia la consapevolezza
delle proprie reazioni emotive soprattutto essendo impegnato in un’attività che utilizza come
strumento prioritario il proprio coinvolgimento nella relazione. Sentimenti mettono
l’operatore in una posizione nella quale ogni decisione è carica di responsabilità. Trovarsi in
balia di queste emozioni equivale a pensare a soluzioni sempre parziali e orientate da una
visione ridotta del sistema e della complessità del problema.
Una via sovente praticata per destreggiarsi tra le scelte difficili è quella di utilizzare la
minaccia di segnalazione al Tribunale come spauracchio per indurre la famiglia a modificare
il proprio comportamento, mantenendo un apparente contesto assistenziale, in cui la
funzione di controllo, pur presente non viene dichiarata e assunta in modo esplicito. Quando
l’accordo mostra i suoi limiti, ognuno vede nell’altro il trasgressore del patto: l’operatore
imputa alla famiglia di averlo costretto a effettuare la segnalazione, mentre l’utente incolpa
l’AS di aver tradito la sua fiducia. La segnalazione rappresenta un punto di partenza:
intende la segnalazione come un fallimento professionale equivale a leggerla come delega
ad un altro livello, quello punitivo.
La segnalazione al Tribunale per i minorenni è la prima mossa per instaurare un rapporto di
“valutazione coatta” finalizzata a produrre un cambiamento, e si esplica in quella che viene
definita la relazione di inchiesta del servizio sociale. Questa è l’atto con il quale si segnala
o si illustra una situazione di pregiudizio del minore meritevole di tutela. La relazione deve
rispondere a un preciso obiettivo che è quello di fornire al giudice le informazioni necessarie
affinché possa prendere una decisione ed emettere un provvedimento. L’AS deve mettere
in condizione l’autorità giudiziaria di comprendere il proprio punto di vista, distinguendo
chiaramente i fatti e la valutazione su di essi, in modo che il giudice possa prendere una
decisione.
La struttura della relazione dovrebbe mettere in evidenza alcuni punti significativi:
 L’evento critico che ha portato la situazione alla conoscenza del servizio;
 La composizione del nucleo familiare
 La storia della coppia genitoriale e della famiglia, facendo riferimento alle
dinamiche relazionali che si sono sviluppate sia all’interno che con le famiglie estese;
 La presentazione di tutti i minori presenti nel nucleo e delle loro condizioni di vita;
 La storia del rapporto della famiglia con i servizi.
Nelle conclusioni l’AS deve far emergere l’ipotesi e le correlazioni tra le diverse informazioni
che hanno indotto a ritenere la situazione pregiudizievole per il minore, un’idea di
recuperabilità dei ruoli genitoriali, connessa a un’analisi delle condizioni del minore con
l’indicazione della proposta di un programma di intervento.
È compito del servizio riferire al TM se la famiglia sta attivandosi per modificare la situazione
pregiudizievole per il minore.
8.4 L’intervento economico
Questi fondi possono caratterizzarsi in due forme diverse:
 Interventi a integrazione del minimo vitale;
 Interventi economici straordinari.

8.4.1. Interventi a integrazione del minimo vitale


Negli ultimi anni si è cercato di offrire delle risposte che portassero al riequilibrio di situazioni
di grave ingiustizia sociale: queste risposte si strutturano in prestazioni di natura
economica, o sotto forma di sconto e tariffe agevolate, o sotto forma di veri e propri
sussidi. Sono prestazioni per accedere alle quali è necessario che l’utente si trovi in
determinate condizioni di reddito stabilite da tabelle e regolamenti, ed è questo criterio che
consente di sancire il diritto a usufruirne.
Si ritiene che l’assistente sociale debba studiare il modo migliore per utilizzare le risorse
messe a disposizione dal sistema sociale: se la partecipazione si limita a una presa d’atto
della richiesta dell’utente, ben poco della sua professionalità viene messa in gioco. Se però
l’AS assume un ruolo di segretario sociale, può essere uno strumento attraverso cui si
giunge a un rapporto diverso con l’utenza, cioè alla consulenza psico-sociale o all’intervento
socioassistenziale.
Spesso la richiesta d’aiuto economico maschera difficoltà di altro tipo che non emergono
subito, sia per l’incapacità dell’utente da definire con chiarezza il suo problema, sia
dall’immagine assistenzialistica che i servizi hanno indotto nella popolazione.
Le risorse possono essere utilizzate dall’AS nel progetto di lavoro che è stato definito nel
corso di un processo d’aiuto, se l’AS valuta che possano contribuire alla crescita e
all’autonomizzazione dell’utente. Queste facilitazioni, se da una parte si pongono come
finalità il riequilibrio dell’ingiustizia sociale, dall’altra possono innescare meccanismi che
confermano e mantengono una situazione di marginalità, soprattutto nel caso in cui
rispondono a una logica di tamponamento del bisogno che non stimola le persone.
Questo intervento presuppone un’attivazione su due fronti:
 Da una parte un significativo impegno promozionale sul versante del sistema sociale,
che si concretizza nell’attivazione di reti di servizi;
 Dall’altra, la costruzione di un progetto di inserimento lavorativo o sociale
individualizzato che preveda il coinvolgimento della famiglia.

8.4.2. Interventi economici straordinari


Il sussidio può essere considerato come un intervento integrativo di sostegno alla famiglia
o all’utente, una risorsa di cui l’AS dispone per raggiungere gli obiettivi definiti nel progetto
di intervento. Questo strumento viene utilizzato come intervento tampone a fronte di
situazioni che si presentano con le caratteristiche dell’urgenza, rinviando un’analisi più
approfondita della situazione a un tempo successivo.
L’aiuto economico può essere dato e può essere l’aggancio per coinvolgere l’utente in un
progetto di cambiamento più globale, solo se vengono rispettate alcune condizioni
fondamentali:
 Che vi sia un’approfondita analisi della situazione;
 Che si evidenzino le dinamiche della famiglia;
 Che il sussidio sia temporaneo e inserito in un più ampio progetto di lavoro con la
famiglia.
Un utilizzo più mirato di questo intervento può consentire un migliore impiego delle risorse
e un’ottimizzazione del rapporto costi-benefici, oltre a consentire all’AS di esplicare
correttamente la sia professionalità.
La valenza strategica di questo strumento sta nella possibilità di accogliere in modo
innovativo una vasta area di utenza “al limite” rispetto ai servizi tradizionali, offrendo
un’opportunità di sostegno in un momento particolare di crisi del percorso esistenziale.
È uno strumento che riconosce al cittadino capacità e competenza rispetto alla possibilità di
superare un momento di crisi che è considerato come passeggero e che introduce la
variabile nel tempo come elemento significativo nella definizione del piano di restituzione
che deve essere concordato con il destinatario del prestito.

Un altro intervento è l’assegno di cura, che è previsto come forma di sostegno economico
alla famiglia che decida di curare l’anziano non autosufficiente a domicilio. Si tratta di una
prestazione che va concessa non solo in relazione a parametri di carattere oggettivo
riguardanti la situazione psicofisica dell’anziano, ma tenendo in considerazione il quadro
familiare.
Non è ipotizzabile che l’erogazione di un contributo economico di per sé possa modificare
l’atteggiamento della famiglia nei riguardi del parente anziano. È quindi importante che
questo intervento venga contestualizzato attraverso la lettura delle modalità che la famiglia
adotta nell’affrontare la malattia di un suo componente. Occorre riflettere su come la
decisione di assumere un ruolo di caregiver, e poi il modo di portarlo avanti, si incardinando
nella storia della famiglia, nelle sue trame generazionali e nello scambio che la famiglia
mette in atto con il sistema dei servizi di cura.
Il contributo economico erogato in questa circostanza non deve essere letto soltanto come
una sorta di risarcimento per la fatica compiuta dal caregiver nel prestare assistenza al
proprio congiunto, ma deve essere visto come una risorsa all’interno di un progetto più
ampio, in cui sia la famiglia che i servizi sono coinvolti nella ricerca di modalità nuove per
curare l’anziano a domicilio.

8.5 L’aiuto domiciliare


L’obiettivo generale di questo intervento consiste nel favorire o supportare la permanenza
in famiglia o nel proprio contesto ambientale di anziani, handicappati, malati di mente, minori
attraverso l’intervento a domicilio di personale del servizio.

8.5.1. Assistenza domiciliare


L’assistenza domiciliare si caratterizza come prestazione di aiuto per il governo della casa
e per l’assistenza diretta alla persona anche allo scopo di favorirne l’autosufficienza. La
richiesta di questo tipo di intervento è solitamente formulata dall’interessato, da un membro
della famiglia, o da qualcuno ad esso vicino.
Si ribadisce la necessità che l’AS effettui una lettura corretta e completa della situazione e
una valutazione sui possibili effetti che l’intervento può generare nel sistema, ponendo alla
base del suo intervento la comprensione del significato relazionale sotteso alla domanda.
Possibili significati della richiesta:
a) Può evidenziare un fallimento di un membro della famiglia nel trovare soluzioni a una
particolare situazione;
b) Può essere un modo per inviare un potente messaggio a un membro assente:
a. Valore dimostrativo sulle capacità di trovare un nuovo alleato;
b. Essere una risposta precedente a un messaggio di sfida
c. Essere utilizzato come mezzo per colludere provocando in questo modo
retroazioni di boicottaggio.
Nel caso in cui l’assistenza domiciliare venga proposta dal servizio è implicito che
l’intervento sia collocato all’interno di un progetto in cui questi elementi sono già stati
attentamente valutati.

8.5.2. Appoggio domiciliare con finalità educative


L’appoggio domiciliare con finalità educative ha come obiettivo quello di evitare
l’istituzionalizzazione o comunque l’allontanamento del minore dalla famiglia.
Un primo errore da evitare è di centrare l’intervento solo su un minore in quanto questo
approccio porta a due grossi rischi:
 Nei confronti dei genitori può incrementare un processo di deresponsabilizzazione;
 Nei confronti del minore può istigarlo implicitamente contro i genitori.
L’operatore si deve adoperare al fine di rafforzare il legame del minore con i genitori.
L’obiettivo dell’intervento domiciliare dovrà quindi essere finalizzato in primo luogo alla
responsabilizzazione genitoriale delle figure parentali, e sarà quindi un intervento
centrato sulla famiglia e in secondo luogo a compattare la coppia dei genitori e di
neutralizzare quei parenti che risultino squalificanti e distruttivi nei confronti dei genitori.
La naturale conclusione di questa prima fase sarà la formulazione di un contratto in modo
da ovviare a quel “non detto” che spesso vincola tutto il lavoro futuro.
Fra i feedback che si hanno dai vari sistemi andranno considerati:
a) Il gioco in atto in quel momento nella famiglia. La presenza di un nuovo giocatore
rende necessaria la ridefinizione dei ruoli di tutti. È in questa fase, in cui ognuno prova
cosa l’altro rappresenta rispetto a se, che si decide buona parte del successo
dell’intervento. La risposta viene generalmente trovata nei comportamenti che
confermano, rifiutano, squalificano ruoli, conflitti e aspettative, poiché il ruolo
dell’operatore e le risorse della famiglia raramente permettono una
metacomunicazione;
b) La relazione tra l’operatore e la famiglia. La presenza dell’educatore se da un lato è
un indice dell’inadeguatezza, dell’incapacità della famiglia a svolgere certe funzioni,
dall’altro segnala ce il servizio ritiene la famiglia in grado di superare questi ostacoli
evolutivi, a patto che sia disposta a cambiare.
c) Le diverse visioni del problema che vengono a determinarsi tra gli operatori che
osservano la famiglia dall’interno e quelli che l’osservano dall’esterno. L’ambiguità
della posizione di questo operatore tende con il tempo ad aumentare invece che a
ridursi.
Il fallimento dell’intervento è paradossalmente facilitato dall’idea che debba esserci un punto
dell’organizzazione in grado di produrre un cambiamento e che non vi riesca perché
ostacolato da altre parti dell’organizzazione stessa.
Una delle ragioni spesso adottate per giustificare gli insuccessi dell’intervento è che il livello
professionale degli operatori non sempre è adeguato alla complessità del compito.
L’aiuto a domicilio con valenza educativa non può essere considerato uno strumento per
tamponare le urgenze, né tantomeno da usare indiscriminatamente in base a un non meglio
precisato bisogno.
Una volta che si è decisa la sua opportunità, deve strutturarsi tra AS e operatore domiciliare
un sistema costante di comunicazioni che consenta di leggere i feedback ricevuti e che
permetta di ricalibrare il progetto di intervento.
Il momento della verifica presenta alcuni aspetti peculiari:
a) Nel caso di un risultato positivo bisognerà considerare che cosa comporta togliere
l’elemento che ha favorito il cambiamento e come operare in modo che questo non
venga percepito come una punizione;
b) Nel caso in cui l’intervento non abbia modificato il funzionamento della famiglia, sarà
opportuno valutare quali cambiamenti ha portato nella sua storia-cultura-esperienza
e come il sistema famiglia è riuscito a neutralizzare il “potere” del servizio.
CAPITOLO 9 VERSO LA COSTRUZIONE DI PROCESSI VALUTATIVI NEL SERVIZIO
SOCIALE

Anche in Italia stanno emergendo riflessioni sulla qualità, sull’orientamento al cliente, sulla
necessità di sviluppare strategie che consentano di verificare non solo l’efficacia e
l’efficienza, ma anche di misurare il gradimento e la rispondenza dei servizi ai bisogni e alle
attese dei cittadini.
La legge 328/2000 prevede sia la partecipazione degli utenti alla valutazione della qualità
dei servizi, sia l’acquisizione, da parte del servizio sociale, di competenze relative ai processi
di accreditamento o alla valutazione della qualità dei servizi gestiti da altri soggetti.
Si devono definire gli standard minimi, a livello metodologico, che consentano all’operatore
non solo di avere una linea guida del proprio intervento, ma anche di difendere gli spazi di
professionalità che possono essere messi a rischio da decisioni organizzative strettamente
legate a una logica di risparmio e di risposta superficiale ai bisogni dei cittadini, poco coerenti
con i principi di rispetto della persona e dei processi di autodeterminazione e che si rivelano
anche anti economiche.
Nel settore dei servizi alle persone questo si complica, in quanto una variabile significativa
del processo di aiuto verso l’utente è la soggettività dell’operatore.
La logica da adottare, se si vuole sviluppare qualità, è di sollecitare apprendimento da parte
dei professionisti perché siano in grado di migliorare la propria professionalità, attivando dei
processi di valutazione non solo dall’esterno SUL servizio sociale, ma dall’interno NEL
servizio sociale.
L’autovalutazione è inoltre uno strumento che consente di mantenere attivo il rapporto
prassi-teoria-prassi durante l’esperienza lavorativa e può rendere più facile l’accreditamento
scientifico del proprio agire professionale.
Da qui l’AS, anche attraverso il confronto con i colleghi, può iniziare a individuare alcuni
parametri di qualità che possono offrire un contributo per migliorare i propri standard di
intervento professionale.

9.1. La documentazione
Un aspetto utile per sviluppare i processi orientati alla qualità riguarda la documentazione
che l’AS produce.
La struttura e l’utilizzo di una cartella di servizio sociale che possa accompagnare l’operatore
nel processo di aiuto, guidandolo non solo nel memorizzare le informazioni, ma anche nel
mettere in atto quel processo di autoriflessione o di riflessione condivisa per garantire la
correttezza dell’intervento professionale.
È importante che questa contenga:
 Tutti gli elementi elencati nell’analisi della situazione;
 Informazioni specifiche richieste dalla tipologia del servizio e necessarie a inquadrare
i problemi affrontati;
 Una parte in cui sia possibile evidenziare in sintesi la valutazione e il progetto;
 Il contratto
 Spazi non strutturati in cui registrare i colloqui;
 Un diario degli avvenimenti significativi e degli interventi messi in atto dal servizio.

9.2. L’analisi del processo e la conclusione dell’intervento


Un problema che il servizio sociale si trova ad affrontare riguarda la difficoltà nel portare a
conclusione il processo di aiuto. Il rispetto di alcune premesse può incidere positivamente
sulla possibilità di arrivare a concludere una situazione.
Alcuni aspetti nodali sono:
 Il processo di aiuto va gestito con correttezza metodologica e con coerenza
 Considerare l’utente, solo temporaneamente in una relazione complementare con
l’operatore. Il processo di aiuto deve essere finalizzato a far acquisire all’utente la
consapevolezza delle proprie competenze, a svilupparle e ad accompagnarle in un
percorso di autonomizzazione
 Instaurare una relazione che aiuti i soggetti ad apprendere la capacità di affrontare e
risolvere problemi
 Il progetto deve contenere obiettivi articolarti in maniera progressiva e affrontabili
dall’utente, momenti di verifica in cui si possa discutere dell’andamento del progetto
in modo da consentire l’uscita dal circuito dei servizi socioassistenziali
 L’accordo sul progetto deve essere esplicitato attraverso un contratto chiaro che
contenga anche la previsione della fine dell’intervento.

9.2.1 La revisione del processo metodologico


Il processo metodologico e il modello teorico costituiscono le basi di scientificità
dell’intervento professionale
VEDI SCHEMA PAG 221 222

9.2.2 L’analisi della situazione secondo il metodo della doppia descrizione


Di fronte al fallimento l’operatore può attribuire l’insuccesso o la problematicità alla famiglia
o alle sue caratteristiche. L’operatore può invece rivolgere lo sguardo su sé stesso,
interrogandosi su come la propria azione abbia contribuito a creare la situazione di impasse
e ripartire da lì per ipotizzare come si necessario modificare il proprio comportamento. Può
infatti capitare che si sviluppino dei pattern ridondanti che vengono agiti in maniera
automatica e posso contribuire a cronicizzare il rapporto famiglia-servizi. In queste situazioni
sembra quasi che l’operatore attenda il cambiamento dell’utente, per modificare il suo
comportamento costruendo così una relazione di dipendenza che porta ad una situazione
di impotenza rispetto alla propria responsabilità.
Nel sovrasistema AS-utente si possono infatti instaurare diverse modalità di interazione:
l’operatore può assumere una posizione rigida chiedendo al sistema utente di adattarsi alle
regole burocratiche del servizio e sviluppare atteggiamenti di rincorsa ai bisogni più o meno
nascosti dell’utente, credendo così di riuscire meglio a individuare ciò di cui ha bisogno.
La prima vede un utente super-efficiente, e allora non si capisce perché si sia rivolto al
servizio, la seconda ipotizza un utente completamente incapace, al quale si richiede di
emanciparsi e essere indipendente.
Si possono individuare alcuni tipi di interazione:
1. I sistemi comunicano tra loro, definendo e condividendo sia la reciproca relazione
che una serie di regole.
2. I sistemi cercano di mantenere, difendere e salvaguardare ognuno le proprie
specifiche peculiarità. La relazione sarà fredda e burocratica.
3. Il sistema faglia viene inglobato dal sistema servizi. Si crea un rapporto di dipendenza
totale della famiglia dai servizi, tanto che per quella sarà impossibile autonomizzarsi.
4. Il sistema servizi viene inglobato dalla famiglia. Si verifica un invischiamento del
servizio che avrà scarsissime responsabilità che avrà scarsissime possibilità di
produrre cambiamenti significativi.
Può essere utile, soprattutto in situazioni che sono in carico da lungo termine, strutturare la
storia complessa delle relazioni tra la famiglia e i servizi, collocando le varie mosse
all’interno di uno schema che consenta di avere una visione diversa della situazione,
prendendo le distanze da un eccessivo coinvolgimento emotivo o da una banalizzazione.
Innanzitutto va evidenziata la variabile tempo. Definire quando si sono verificati alcuni
eventi, partendo dall’inizio della relazione, può consentire di analizzare, se vi è stata una
regolarità e una continuità nel rapporto.
L’evidenziazione degli eventi critici è suddivisa in connessione ai due sistemi che entrano
in relazione diretta, la famiglia e il servizio. Si possono inserire in questo ambito anche gli
“agiti” particolari di alcuni membri della famiglia che attraverso sintomi di carattere
psicologico o sociale segnano una difficoltà, un disagio.
Anche il servizio può essere attraversato da criticità: il turn over o l’assenza prolungata per
motivi diversi degli operatori, i cambiamento organizzativi, l’introduzione di nuove normative,
i tagli nei bilanci sono tutti elementi che possono rendere difficile se non impossibile
garantire la continuità e la qualità del processo di aiuto.
Un’altra variabile importante è stata identificata nelle mosse che i vari membri della famiglia
possono compiere in relazione al servizio. Si possono identificare le mosse di apertura o
di rilancio del gioco relazionale, sia quelle che si possono leggere come risposta, come
feed-back alle proposte o agli interventi messi in atto dal servizio.
Con la stessa logica si possono descrivere e collocare le mosse dell’AS o di altri operatori
della stessa organizzazione.
L’ultimo aspetto riguarda i comportamenti significativi messi in atto da altri attori. Talvolta
questi attori sono responsabili dell’invio o della segnalazione, a taluni il servizio ha l’obbligo
di segnalare o relazionare periodicamente, con altri vi sono accordi, protocolli di intesa che
regolano i percorsi di collaborazione, altri ancora possono essere considerati come nodi
importanti della rete.
Se una situazione si è cronicizzata, non è la famiglia a essere divenuta cronica, ma la
relazione tra questa e il sistema dei servizi. L’unica possibilità di cambiamento che è offerta,
in una logica coevolutiva, è di rileggere questo percorso e riflettere su quali cambiamenti
può fare l’AS con il sistema dei servizi di cui è parte.

9.3. La supervisione
È uno strumento di crescita professionale estremamente importante che si realizza
attraverso una relazione individuale o di gruppo, con un professionista esperto che permette
all’operatore di acquisire una competenza complessa.
La supervisione può qualificarsi come uno spazio di pensiero in cui è possibile realizzare
una distanza equilibrata dall’azione e analizzare la realtà attraverso un punto di vista
“binoculare” che combini
a. L’osservazione sull’utente e sulle sue relazioni significative con
b. L’osservazione sulla relazione che si stabilisce fra l’operatore e l’utente, da un lato e
il suo sistema di appartenenza dall’altro.
L’AS è quindi aiutato a riflettere su tre aspetti:
- Sulle dinamiche relazionali in cui gli utenti sono coinvolti nel momento in cui entrano
in contatto con i servizi;
- Sulle proprie premesse, sulle proprie azioni e su come queste tendono a costruire la
relazione con l’altro
- Sui significati che il proprio intervento assume nel contesto delle relazioni dell’utente.
Risulta allora fondamentale organizzare una riflessione accurata sul caso che si vuole
presentare, per individuare quali sono i nodi problematici da portare alla discussione e per
strutturare in maniera funzionale le informazioni necessarie alla comprensione della
situazione.

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