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DIRITTO CIVILE E MINORILE

PARTE 1
- Diritti e interesse del minore;

La costituzione non riserva una considerazione specifica ai diritti del minore ne contiene
l’enunciazione espressa di un divieto di discriminazione per ragioni di età; è vero però che
la titolarità delle diverse situazioni soggettive di vantaggio in cui si sostanzia il supremo
valore dell’auto- compimento individuale è riconosciuto alla persona in quanto tale e
dunque al minore non diversamente che all’adulto.

Nella prospettiva costituzionale anche il minore è pienamente persona e deve esser


perciò riconosciuto come titolare di diritti inviolabili.

Certe affermazioni rischiano di rimanere vuote declamazioni finché l’interprete continua a


fare propria una lettura superficiale della norma secondo cui “con la maggior età si
acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa”.

Il minore non è affatto compreso come protagonista attuale della sua vicenda
esistenziale. In ragione della sua presunta e permanente immaturità psicologica è
considerato piuttosto come un differenziato oggetto di tutela in vista di un protagonismo
futuro, ma nell’attesa del futuro i suoi diritti degradano a meri interessi affidati alla cura
discrezionale dei genitori. Si perde cos’ completamente di vista il potenziale
emancipatorio del progetto costituzionale.

Potrebbe allora sembrare degna di considerazione l’idea secondo cui l’ambito di


operatività di una regola come quella enunciato dall’art. 2 comma 1c.c. andrebbe
circoscritta ai soli atti a contenuto patrimoniale, mentre con riferimento all’esercito dei
diritti e delle libertà della persona la capacità di agire andrebbe senz’altro riconosciuta al
minore sempre che risulti che abbia acquisito sufficiente capacità di giudizio.

Si afferma così che i limiti alla capacità di agire non avrebbero altra giustificazione se non
quella di consentire l’esercito di un controllo sciale sui minori volto alla normalizzazione
dei comportamenti e delle scelte del futuro adulto.

Una soluzione così radicale, anche al di là di una certa impostazione conflittuale è in


realtà tributaria dello stesso pensiero individualista già riconosciuta al fondo della
prospettiva paternalista tradizionale. Anche in quest’ottica il minore finisce per essere
considerato come una risorsa da sfruttare.

Il rischio è allora che, nonostante le migliori intenzioni, anche questa proposta finisca in
realtà per essere strumentale alle esigenze dl mercato.

Di qui l’esigenza di valorizzare l’autodeterminazione del minore in ordine alla sua sfera
personale.

L’idea che l’autodeterminazione del minore debba prevalere anche nei confronti dei
genitori sembra in realtà incompatibile con il disegno costituzionale: in oggetti nello
statuire che l’educazione dei figli è “dovere e diritto dei genitori” l’era.30 comma 1 cost.
Configura in capo ad essi un autentico manus privato.

Quella norma riconosce cioè ai genitori un potere che è strumentale non alla realizzazione
di un loro interesse ma all’adempimento del dovere imposto agli stessi genitori di farsi
carico della formazione morale, spirituale, sociale dei figli: un dovere che nel rispetto delle
norme personalistiche deve essere adempiuto dai genitori avendo di mira il pieno
sviluppo della persona completa del figlio.

Ma se l’educazione dei figli rimane un manus dei genitori, allora esci devono poter limitare
quelle manifestazioni. Di autonomia del figlio che appaiono idonee a compromettere un
progetto educativo ispirato alla promozione della sua persona.

Sembra dunque preferibile un’impostazione secondo cui l’autodeterminazione del minore


pur non essendo priva di rilevo trova un limite nel manus educativo dei genitori, il quale,
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nel rispetto delle norme personalistiche, deve presentare una struttura dialettica non
autoritaria.

Di conseguenza nel campo degli atti a contenuto personale del fiore capace di
discernimento la regola dovrebbe essere quella del concetto della volontà, anche tacito.

Non è certo esclusa l’eventualità del conflitto e del conseguente intervento del giudice
volto Ada eliminarlo: nella soluzione dl conflitto tra genitori e figlio il giudice è chiamato
risanare la relazione educativa rendendola di nuovo efficiente ed idonea a far si che il
minore possa sperimentare un’autonomia sempre maggiore in un contesto di permanente
sostegno da parte dei sui genitori.

Il ruolo del giudice non è mai sostitutivo, esso piuttosto chiamato a individuare il soggetto
di volta in volta più idoneo a realizzare l’interesse del minore.

Il paradigma della protezione del minore per il tramite di una relazione educativa dialettica
e non autoritaria sembra esser l’unico capace di dare sostanza alla carica emancipatoria
del progetto istituzionale.

Una relazione educativa di tipo del tipo indicato non configurabile se non nell’ambito di un
rapporto come quello che si da tra il minore e i suoi genitori. In virtù della gratuità che
dovrebbe conformarlo.

All’Interno di una relazione così fatta diviene possibile quella maturazione progressiva del
minore come persona libera e con ciò anche quella maturazione progressiva del suo
diritto inviolabile a essere protagonista di una storia individuale e collettiva.

In questa prospettiva il diritto a una relazione educativa con i propri genitori che sia
rispettosa del valore sovra-utilitaristico della persona, emerge allora come il primo e più
importanti diritto del minore.

Appare significativo per contrasto che la carta dei diritti fondamentali dell’unione europea
nel dedicare ai “diritti del minore“una norma apposita, disponga semplicemente che “i
minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere” e che “ i
minori hanno diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i
due genitori, salvo qualora sia ciò contrario al suo interesse”, senza fare alcuna menzione
del manus educativo dei genitori né del correlativo diritto del figlio nei loro confronti.

Questa relazione non è evidentemente percepita come luogo in cui si incontrano e si


realizzano i diritti educativi concorrenti.

Rimangono solo diritti del minore, evidenziando ciò che la matrice antropologica astratta
individualista di qua documento normativo.

Il problema della condizione giuridica del minore è percepito in maniera riduttiva come un
semplice problema di non discriminazione e non come un problema di promozione
umana e sociale.

Nel preambolo della carta si afferma che l’unione si fonda su valori indivisibili e universali
della dignità umana, della libertà dell’uguaglianza e della solidarietà e che essa pone la
persona al centro della sua azione.

La “persona” di cui si parla sembra qui sembra però colta a prescindere da quella fitta
rete di relazioni in cui concretamente essa si svolge; così la persona si riduce ad una
semplice tensione verso il soddisfacimento di bisogni e quindi a pura autodeterminazione.

È un orizzonte assiologia profondamente diverso da quello della costituzione


repubblicana, ma quota diversità di impostazione di fondono non sembra dover
preoccupare oltremodo l’interprete, infatti l’art. 6 del trattato sull’union europea attribuisce
alla carta “ lo stesso valore giuridico dei trattati.”

Non di meno a parte il fatto che la corte costituzionale può sembrare essere chiamata a
verificare se il dritto dell’unione europea contrasti con i principi supremi dell’ordinamento
costituzionale, bisogna comunque tenere presente che in base all’art.51 della carta le sue
disposizioni si applicano alle istituzioni dell’UE , mentre vincolano le istituzioni statali e i
loro atti solo i quanto tali istituzioni ed atti operano nell’attuazione del diritto dell’unione.

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Poi bisogna considerare che l’art. 53 della carta precisa che “nessuna disposizione della
carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione delle costituzioni degli
stati membri”.

In nessun modo dunque l’art. 24 della carta potrebbe essere adatto per mettere in
discussione il manus educativo dei genitori, giacché questo ai sensi dell’art.30 comma 1
cost. Costituisce un loro diritto inviolabile.

La logica promozionale e relazionale nell’approccio al problema della condizione giuridica


del minore è stata fedelmente tradotta dal legislatore ordinario nella formula secondo cui i
compiti educativi dei genitori devono essere assolti nel rispetto delle capacità,
dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. una formula originariamente dettata
dalla riforma del diritto di famiglia dl 1975 con riferimento al dovere educativo dei genitori
(coniugati) nei confronti dei figli e poi riproposta dalla legislatore della recente riforma
della filiazione del 2012 con riferimento al correlativo diritto dei figli nei confronti dei
genitori all’interno di una nuova norma intitolata “diritti e doveri del figlio” e contenente
una verde proprio statuto unitario del rapporto genitori-figli.

Questa norma si apre con l’enunciazione del diritto del figlio al mantenimento,
all’istruzione e all’educazione nei confronti dei genitori cui segue l’ulteriore statuizione
secondo cui il figlio ha diritto di crescere in una famiglia; ciò allo scopo di mettere in
chiaro fin da subito che la famiglia è il luogo naturale in cui una relazione educativa
autenticamente rispettosa delle esigenze della norma personalista può e deve essere.

IL PROBLEMA DEI DIRITTI DEL MINORE NELLA CONVENZIONE DI NEW YORK:

L’approccio costituzionale alla problematica della condizione giuridica del minore ha


trovato un riscontro chiaro nelle norme della Convenzione di New York sui diritti del
fanciullo, adottata all’assemblea generale delle nazioni unite il 20/11/1989 e ratificata
all’Italia con legge 27/05/1991 n. 176.

Nella cultura giuridica italiana la convenzione di New York ha potuto svolgere un ruolo
decisivo nel favorire la comprensione autentica dei principi costituzionali sulla condizione
giuridica del minore, promuovendo una presa di coscienza in ordine alla piena titolarità di
diritti in capo ad esso.

La convenzione di New York è un testo molto articolato e vario di contenuti. Consta di un


preambolo di ben 54 articoli, suddivisi in tre parti distinte, la prima delle quali è
specificamente dedicata alla trattazione di questioni anche molto diverse per quanto pur
sempre connessi alla tutela del minore: non c’è solo l riconoscimento di diritti civili libertà
fondamentali, c’è anche la previsione di diritti sociali e l’enunciazione di criteri direttivi
destinati a orientare interventi dei welfare e politiche per l’infanzia e l’adolescenza.

Anche in un testo così complesso ed eterogeneo è possibile ravvisare un’ispirazione di


fondo, che non sembra distante dall’approccio personalista della costituzione.

La critica rivolta alla convenzione di aver mantenuto un atteggiamento ambiguo tra la


tradizionale posizione paternalista e la posizione di chi esalta invece l’autodeterminazione
del minore, proviene da ambiti culturali polarizzati su quelle visioni antagoniste e perciò
indisponibili a riconoscere l’attitudine dell’approccio personalista nel tenere insieme le
istanze della protezione e quelle dell’autonomia all’intero di una prospettiva di autentica
promozione umana. La tesi di una sostanziale omogeneità di ispirazione tra la
costituzione e la convenzione di New York trova conferma nel sistema dei principi e dei
valori di fondo che si ricava dalla lettura del preambolo.

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La convenzione non intente mettere in discussione non solo che il minore è titolare di
tutti i diritti civili e libertà fondamentali della persona ma neppure che un autentico
protagonismo sociale dell’individuo non può prescindere da un’opera educativa non
omologante oppressiva qual è quella naturalmente destinata ad esplicarsi nel contesto
amorevole della famiglia.

Conciò sembra già sufficientemente chiara la presa di distanza sella convenzione sia da
un prospetta ripiegata sule esigenze di tutela del minore affidate alla gestione degli adulti
sia dall’opposta prospettiva che lo riconosce senz’altro capace di un’autonomia che non
trova alcun limite nel manus educativo dei genitori.

Appare anzitutto significativa la compresenza nel medesimo testo normativo del


riconoscimento anche in capo al minore dei principali diritti di libertà e dell’impegno degli
stati a rispettare la responsabilità, diritti e doveri dei genitori intesi ad assicurare in
maniera coerente con lo sviluppo delle capacità del fanciullo un’appropriata direzione e
guida nell’esercizio dei diritti riconosciuti dalla convenzione.

Talora questo ruolo di guida dei genitori dell’esercizio delle libertà fondamentali del
minore è ribadito dalla stessa norma che gli riconosce un determinato diritto: altre volte
la norma si preoccupa invece di precisare che certe opinioni devono comunque essere
prese in considerazione tendendo conto dell’età e del grado di maturità di chi le ha
formulate.

Proprio certe disposizioni evidenzierebbero la tensione irrisolta nel testo della


convenzione fra la prospettiva dell’autonomia e quelle della tutela. In realtà sembra
piuttosto che certe norme intendono evidenziare come inuma relazione educativa la
struttura dialogica, le posizioni di partenza contrapposti dei genitori e del figlio in ordine
ad una determinata scelta personale devono tendere a conciliarsi secondo la regola
indicata dal concetto della volontà degli uni e dell’altro.

Non c’è dunque nessuna mistificazione nel riconoscimento delle libertà fondamentali del
minore; certe libertà sussistono effettivamente anche in capo ad esso, ma possono
essere esercitate solo nei limiti posti dal rispetto delle finalità proprie del manus educativo
dei genitori.

Non si può obiettare dunque quindi che nella prospettiva autentica della convenzione e
contenuti del manus educativo rimangono indeterminati e che sono perciò rimessi a
un’arbitraria definizione da parte dei suoi titolari.

Ai genitori è affidata l’attuazione di un preciso “programma pedagogico” riconducibile alla


formula già impiegata del rispetto per il valore sovra-utilitaristico della persona.

Al termine di questa analisi dei contenuti della convenzione di New York torniamo sul dato
del riconoscimento in capo al minore anche di una serie di diritti sociali accanto alle
tradizionali libertà fondamentali.

La convenzione riconosce al minore anche diritti non ascrivibili alla categoria dei diritti
civili, i quali sebbene non presentino la struttura tipica del diritto a prestazione, hanno pur
sempre di mira la realizzazione dell’imperativo della giustizia sociale, sicché anch’essi
posso essere qualificati come diritti sociali.

Il riconoscimento anche di certi diritti da parte della convenzione è un dato significativo


alfine di chiarire ulteriormente l’ispirazione nell’approccio alla problematica dei diritti dei
minori; certe norme contribuiscono contribuiscono infatti a marcare la distanza che
separa il sistema della convenzione di New York da quelle prospettive culturali che
enfatizzano oltre modo il ruolo dei diritti civili e dell’autodeterminazione individuale,
tendono a privatizzare la questione minorile, facendo perde completamente di vista che
essa deve essere piuttosto fronteggiata attraverso opportune politiche per l’infanzia e
l’adolescenza che dovrebbero essere capaci di mobilitare le migliori risorse della società
civile.

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GLI STRUMENTI DI PARTECIPAZIONE DEL MINORE E LA CONVENZIONE DI
STRASBURGO:

La prospettiva fatta proprio sia dalla costituzione sia dalla convenzione di New York,
secondo cui i diritti e le libertà fondamentali del minore possono e devono realizzarsi
all’interno di una relazione educativa con i genitori che sia rispettosa della personalità del
minore e che esibisca perciò una struttura dialettica e non autoritaria, implica che il
minore debba sempre poter esprimere liberamente la sua opinione sulle diverse questioni
e procedure che lo riguardano nella misura in cui sia in grado di farlo.

A tal fine al minore è riconosciuto un vero e proprio diritto di essere ascoltato,


espressamente previsto dalla stessa norma che ne enuncia anche il diritto al
mantenimento, all’istruzione e all’educazione nei confronti dei genitori e il diritto di
crescere in famiglia.

Il diritto all’ascolto svolge un ruolo insostituibile in vista di una promozione autentica delle
persone in formazione.

L’ascolto del minore costituisce un criterio pedagogico decisivo, nel senso che, soltanto
laddove esso è garantito, la relazione educativa può dirsi davvero informata al rispetto del
valore utilitaristico della persona.

Il legislatore del 2012 ha previsto che il diritto l’ascolto debba senz’altro essere
riconosciuto al minore che abbia compiuto 12 anni di età mentre ha condizionato il diritto
del minore infra-dodicenne alla verifica in concreto delle sue capacità di discernimento.

Oggi il diritto all’ascolto è riconosciuto anche nella carta dei diritti fondamentali
dell’unione europea nella norma dedicata ai diritti del minore,

Tuttavia llaszcoltodel minore assume un ruolo completamente diverso nella prospettiva


antagonistica dell’autodeterminazione assoluta in quella personalistica della promozione
della persona del minore nella relazione educativa con i suoi genitori.

La convenzione di New York è stata determinante nel far sì che il diritto all’ascolto fosse
progressivamente compreso non solo quale corretta modalità di esercizio del manus
educativo, ma anche nella sua proiezione processuale nei diversi contesti patologici in cui
il minore può trovarsi coinvolto a diverso titolo, e dunque quale strumento funzionale a
consentire alla sua voce di raggiungere l’autorità giurisdizionale che si trovi a dover
decidere su questioni che possono incidere sui suoi diritti.

L’art.12 comma 2 della convenzione dispone infatti che deve essergli riconosciuta la
possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo
concerne.

A partire dall’indicato dato convenzionale tenendo conto anche delle disposizioni che
hanno favorito il consolidamento del diritto dell’ascolto nell’ordinamento interno, la
giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che l’ascolto del minore da parte dl
giudice deve essere garantito in tutti i giudizi i cui effetti si producono anche nella sua
sfera giuridica.

Il mancato ascolto darebbe luogo a nullità del provvediamo in quanto costituirebbe una
una violazione del principio del contraddittorio e dei principi che regolano il giusto
processo; non è però da intendersi nel senso che sussista una necessità incondizionata
di coinvolgere il minore nel processo.

La stessa giurisprudenza h infatti riconosciuto da tempo che l’ascolto rappresenta una


tappa obbligatoria dell’iter processuale solo nella misura in cui non sia utile né
potenzialmente pregiudizievole per il minore esponendolo a un’esperienza che potrebbe
essere traumatica.

Sussiste perciò un margine di discrezionalità giudiziale nella valutazione di eventuali


circostanze ostativi all’ascolto. In ogni caso l’opzione negativa deve essere
adeguatamente motivata, dimostrandone il contrasto con l’interesse del minore.

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La soluzione secondo cui il giuda non procede all’ascolto che appaia in contrasto con
l’interesse del minore o manifestatamente superfluo è del tutto coerente con una
concezione non oltranzista dell’autodeterminazione del minore.

Un discorso analogo deve valere poi anche con riferimento all’incidenza delle risultane
dell’ascolto sulla decisione del giudice, infatti la giurisprudenza è dell’avviso che il giudice
possa anche decidere in senso difforme rispetto all’opinione espressa dal minore,
dovendo però motivare adeguatamente in maniera tanto più approfondita quanto
maggiore sia stato considerato il grado di discernimento del minore.

Sulle modalità dell’ascolto dispongono ora con un certo dettaglio i commi 2 e 3 dell’art.
336 bis c.c.

Si dice innanzitutto che l’ascolto condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di
altri ausiliari e che i genitori, anche quando sono parti processuali del procedimento, i
difensori delle parti, il curatore speciale del minore e del pubblico ministero sono ammessi
a partecipare all’ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti
prima dell’inizio dell’adempimento.

Quando la salvaguardia del minore è assicurata con idonei mezzi tecnici quali l’uso di un
vetro specchio, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore ed il pubblico
ministero possono possono seguire l’ascolto dl minore in un luogo diverso da quello in
cui si trova senza chiedere l’autorizzazione del giudice.

Si esclude che l’ascolto possa realizzarsi in maniera indiretta ad esempio per il tramite
delle relazioni che gli operatori dei servizi sociali svolgono nell’ambito della loro attività.

Va da sè inoltre che il giudice deve essere in grado di entrare in una relazione di empatia e
di fiducia con il minore.

I diritti processuali del minore non sono destinati ad esaurirsi nell’ascolto, bisogna infatti
tener conto della diversità dei giudizi in cui può trovarsi coinvolto:

1. vi sono dei giudizi in cui egli è solo parte sostanziale.

2. vi sono giudizi nei quali la necessità di riconoscere il minore la qualità di parte vera e
propria del giudizio.

L’esigenza di assicurare la partecipazione del minore al giudizio che lo riguarda è meno


intensa nelle prime ipotesi che nelle seconde.

Nelle prime l’ascolto è certamente uno strumento capace di garantire le esigenze di


partecipazione del minore.

Nell’ipotesi in cui il minore è parte in senso proprio, l’ascolto è destinato a svolgere un


ruolo molto importante, si tratta dell’unico modo in cui arriva al giudice la voce autentica
del minore.

Non di meno l’ascolto ha pur sempre la funzione di fornire informazioni su determinati fatti
da parte dello stesso minore e di contribuire alla determinazione del suo interesse, sicché
in nessun modo potrebbe essere considerato il mezzo attraverso cui si realizza la
presenza del minore nel processo con la pienezza dei poteri propri della parte.

A tal fine è necessario che al minore sia riconosciuta una rappresentanza tecnica distinta
da quella dei genitori e dunque la possibilità di nominare un avvocato.

Per quanto il minore sia parte del processo, deve escludersi che egli abbia anche la
capacità di stare in giudizio. Quest’ultima coincide co il libero esercizio dei diritti che si
fanno valere in giudizio e dunque con la capacità di agire (18 anni).

Di conseguenza o il minore sta in giudizio in virtù della rappresentanza dei genitori,


oppure in virtù della rappresentanza di un curatore speciale nominato dal giudice.

In ogni caso dovrebbero però stare in giudizio col ministero di un proprio difensore.

Tali disposizioni sono perlopiù intese nel senso che al minore deve essere anzitutto
nominato un curatore speciale.

Ciò non esclude che il diritto continui a presentare delle lacune: sorprende anzitutto che
anche dopo gli interventi del legislatore del 2012/2013 l’art. 336 c.c. dispone tuttora che i
procedimenti sulla responsabilità genitoriale siano addottati su ricorso dell’altro genitore,
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dei parenti o dal pubblico ministero e anche del genitore interessato, senza contemplare
invece la possibilità che l’intervento del giudice sia sollecitato direttamente dal minore.

Una lacuna di un certo rilievo è rappresentato dal fatto che l giudice non possa dispone
d’ufficio la nomina di un curatore speciale del minore in casa di conflitto di interessi con i
genitori.

Questo problema sembra però essere stato risolto dalla giurisprudenza in via
interpretativa; a tal fine è stato decisivo il riferimento al sistema delle fonti internazionali,
con specifico riguardo ai diritti processuali del minore, integrato anche con la
convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori fatta a Strasburgo il 25/01/2003
n.77 .

In particolare la convenzione di Strasburgo precisa che i procedimenti giudiziari,


all’interno dei quali ci si propone di rendere più agevole l’esercizio dei diritti dei minori,
facendo in modo che possano essere informati e autorizzati a partecipare, sono
essenzialmente tutti procedimenti in materia di famiglia.

Si dispone dunque che in questi procedimenti al minore capace di discernimento


spettasse il diritto di ricevere ogni informazione pertinente, di essere consultato e di
esprimere la propria opinione, di essere informato delle eventuali conseguenze che tale
opinione comporterebbe nella pratica e delle eventuali conseguenze di qualunque
decisione.

Si chiarisce poi che quando il diritto interno priva i detentori della responsabilità
genitoriale, il minore ha diritto di richiedere personalmente o tramite altre persone od
organi la designazione di una rappresentante speciale nei procedimenti lo riguardano
dinanzi a un’autorità giudiziaria e che l’autorità giudiziaria deve riconoscersi il potere di
procedere d’ufficio alla designazione.

Ai minori si riconosce anche il diritto di chiedere di essere assistiti da una persona


appropriata, di loro scelta, che li aiuti ad esprimere la loro opinione, di chiedere la
designazione di un rappresentate distinto nei capi opportuni un avvocato.

È chiaro il riferimento alla necessità che anche il minore laddove è parte in senso proprio,
possa stare in giudizio col ministero di un difensore personale.

Mentre nella convenzione di New York deve essere riconosciuta efficacia imperativa
nell’ordinamento interno: l’efficaci diretta della convenzione di Strasburgo nel diritto dei
singoli stati aderenti è espressamente limitata alle sole categorie di controversie familiari
indicati all’atto della ratifica.

La giurisprudenza di legittimità è dell’avviso che le norme della convenzione di Strasburgo


devono comunque ritenersi suscettibili di influenzare il lavoro dell’interprete anche aldilà
dell’ambito ristretto indicato, orientando il senso della disposizione di cui il giudice è
chiamato a fare applicazione.

L’INTERESSE DEL MINORE:

Gl strumenti di partecipazione del minore ai giudizi che possono coinvolgerlo,


garantiscono al minore in essi coinvolto il massimo benessere possibile.

Ai sensi dell’art. 3 comma 1 della convenzione di New York, in tutte le decisione relative ai
fanciulli, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.

Una situazione analoga si rinviene ora anche nell’art. 24 comma 2 della carta dei diritti
fondamentali dell’unione europea che sancisce il diritto del minore all’ascolto sulle diverse
questioni che lo riguardano in considerazione della sua età e maturità.

Il riferimento all’interesse superiore del minore ricorre poi anche in talune norme della
convenzione di Strasburgo.

Proprio in virtù di queste indicazioni che rinvengono nelle fonti internazionali i riferimenti
all’interesse del minore, qualificato come superiore, preminente, prioritario o esclusivo,

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sono divenuti sempre più frequenti anche a livello della legislazione ordinaria, in special
modo nel codice civile.

Tenendo conto anche dell’art 117 comma 1 cost. Secondo cui la potestà legislativa deve
esser esercitata non solo nel rispetto della costituzione ma anche dei vincoli derivati
derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, è stato giustamente
osservato che l’interesse del minore è ormai divenuto un valore apicale di sistema,
avendo assunto il ruolo di nuovo principio sistematico organizzatore di tutto il diritto
minorile e si potrebbe dire di tutto il diritto di famiglia.

Il ruolo che un simile principio è chiamato a svolgere è tuttavia destinato a mutare in


maniera significativa a seconda della tipologia di approccio di fondo dell’interprete della
questione minorile.

È solo nell’indicata prospettiva costituzionale del pieno sviluppo della persona del minore
all’interno della relazione educativa con i genitori che l’interesse del minore, senza
depotenziare i diritti dei minori, rimettendone la realizzazione all’arbitrio degli adulti, può
conservare un ruolo decisivo quale strumento necessario per la loro piena attuazione, e
dunque in funzione di supporto e di rafforzamento degli stessi.

Solo se si muove muove dell’assunto che anche il minore è titolare di diritti che può però
far valere solo insieme ai suoi genitori e comunque non in maniera pienamente autonoma,
l’interesse del minore può ancora svolgere un ruolo insostituibile quale criterio valutativo
dell’esercizio di u qualche diritto del minore.

Con ciò si comprende anche perché l’interesse del minore non può intendersi
correttamente né come un interesse generale ed astratto, individuabile a priori; né come
un interesse riferito unicamente al futuro.

Deve trattarsi piuttosto dell’interesse concreto del singolo minore nella precisa situazione
in cui si trova, e dunque un interesse individuabile solo a posteriori, sulla base di una
valutazione personalizzate e contestualizzata.

Si tratta infatti di promuovere il pieno sviluppo di una persona determinata, non di imporre
ad esso un astratta paradigma educativo.

L’interesse del minore non può darsi cioè che come nozione sfumata e dai contorni
indefiniti, affidata alla concretizzazione sapiente di un giudice equilibrato e
adeguatamente formato, consapevole che il suo compito è quello di risolvere al meglio il
caso specifico venuto alla sua attenzione e non quello di perseguire un qualsiasi
obbiettivo di rinnovamento sociale.

La discrezionalità del giudice non può comunque ritenersi priva di qualsiasi limite; in
nessun modo la concretizzazione giudiziale dell’interesse del minore potrebbe condurre
ad esiti contrastanti con i principi fondamentali dell’ordinamento e con le esigenze poste
dal rispetto del valore sovra-utilitaristico della persona.

Tantomeno non sembra in alcun modo ipotizzare che l’interesse del minore debba imporsi
senz’altro sui diritti fondamentali degli altri soggetti con i quali il minore entra in relazione
e sugli altri interessi in gioco.

Una simile idea non sembra trovare altro fondamento che in una traduzione
approssimativa della formula inglese “best interest of the Child” adottata dalla
convenzione di New York una traduzione per cui la formula “ i migliori interessi del
bambino” è stata resa sbrigativamente come “superiore interesse del fanciullo”
esprimendo così un’idea di comparazione tra gli interessi del minore e quelli di altri
soggetti, e di superiorità dei primi ai secondi.

Quella traduzione e quell’idea hanno finito per consolidarsi nell’uso del legislatore e della
giurisprudenza nazionale, offrendo così un comodo e inattaccabile argomento retorico
utile al fine di motivare interventi legislativi o singole decisioni giudiziali.

Infatti certe soluzioni più che essere argomentata in base a una rigorosa razionalità
assuntiva, trovano fondamento in un’interrogazione della giustizia condotta direttamente
dal giudice in piena libertà da ogni vincolo sistematico, segnatamente con il principio del
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superiore interesse del minore, che viene fatto reagire direttamente sul fatto a prescindere
dalla mediazione della fattispecie, consentendo anzi il superamento di eventuali
configgenti prescrizioni legalinon più al passo con i tempi.

Sembra allora opportuno prendere sul serio la preoccupazione di una giurisprudenza che,
sicuramente massa dalle migliori intenzioni, attraverso il ricorso al principio del superiore
interesse del minore, intende scongiurare il rischio che il processo di costruzione delle
relazioni familiari, ad opera delle prassi sociali dia luogo a esiti contraddittori rispetto alla
prospettiva di un’autentica promozione umana.

Una cultura giuridica all’altezza delle sfide di questo tempio deve allora saper suscitare
nella giurisprudenza il dubbio che certe decisioni finiscono in realtà per assecondare una
progettualità sociale ispirata dalle logiche individualiste imperanti.

CAPITOLO 2: “LE MISURE DI PROTEZIONE DELL’INTERESSE DEL MINORE TRA


AUTONOMIA ED ETERONOMIA”

1- LA CONSIDERAZIONE GIURIDICA DELLA MINORE ETA’:

Dagli anni 0 ai 18, l’uomo gode di un’attenzione peculiare in ragione della sua
vulnerabilità, che interessa principalmente la sua libertà razionale; la quale matura man
mano che il soggetto cresce e si presume raggiunga pienamente cona la maggiore età,
che fa pure operare il pieno riconoscimento dell’autodeterminazione e dell’autonomia,
della “capacità” di compiere tutti gli atti per i quali non è stabilito vita diversa”.

La convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989 istituisce un


regime speciale di protezione degli interessi del minore e precisa che per Child si intende
ogni essere umano avente età inferiore ai 18 anni, salvo se abbia raggiunto prima la
maturità in virtù della legislazione applicabile.

La situazione di vulnerabilità di questo momento della vita dell’uomo non è una regola
rigida, essa non può che assumere un valore confermativo delle regole che presiedono
l’attività del soggetto minorenne, sia per via legislativa sia per via interpretativa.

Nei primi anni di vita il fanciullo necessita di essere cresciuto, di ricevere tutti quegli
stimoli e fattori educativi che gli consentano di farsi adulto.

Successivamente lo sviluppo della razionalità e del discernimento del soggetto alimenta


l’identità individuale, che va definirsi e con essa l’interesse dell’autonomia e
dell’autodeterminazione. Interesse che va tutelato sotto il controllo, graduato, di chi ha la
cura dell’infra-diciottenne.

Questa complessità della considerazione giuridica della minor età, la quale cambia a
seconda che si abbia dinnanzi un “minore piccolo” o “minore grande”, pare oggi
definitivamente recepita dal legislatore domestico, il quale non riconosce solamente dal
secondo il potere di compiere un serie di atti in un’età specifica, am nell’art.315 bis c.c.
gli accorda il diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo
riguardano, in ragione della sua capacità di discernimento: cioè idoneità a distinguere
cioè che conforme da ciò che è contrario al proprio interesse , e di operare le relative
scelte.

Una capacità che assume formalmente il carattere della flessibilità, ma in tutti i casi
aderente alle condizioni singolari in cui versa lo specifico soggetto interessato. La
dinamica espansiva del diritto di ascolto è amministrata dalla capacità di discernimento.

È innanzitutto l’esercente la responsabilità genitoriale che è chiamato a mettersi in ascolto


del figlio minorenne per garantirgli l’effettività della tutela del suo superiore interesse. Nel
momento in cui in capo al figlio matura la capacità di discernimento, la rappresentanza
genitoriale va incontro a una rimodulazione: per gli atti personali e per quelli patrimoniali
della vita corrente compiuti con mezzi messi a disposizione dell’interessato, essa deve
arretrare al ruolo di assistenza. Laddove per previsione di legge sia necessaria, per il loro

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compimento, la sostituzione del rappresentante legale, quest’ultimo deve agire con
l’ascolto del minore interessato, recependo così il suo interesse al fine di realizzarlo.

Ne discende che ad essere interessati dei meccanismi di riorganizzazione e ridefinizione


deontica sono i contenuti della responsabilità genitoriale, la quale andrà di conseguenza
diversamente giudicata a seconda del momento narrativo del rapporto di filiazione e della
personalità del figlio, da definirsi in modo singolare.

La capacità di discernimento assume criterio di graduazione dell’autodeterminazione e


dell’autonomia dell’intra-diciottenne. In tal senso l’art. 2 c.c. che sancisce che al
compimento del 18mo anno di età l’acquisto della capacità di compiere tutti gli atti per i
quali non sia stabilità un’età diversa, si dispone a una lettura in positivo: il minorenne
capace di discernimento può compiere gli atti che costituiscono esplicazione dello
sviluppo della propria personalità, pur essendo rinviata al momento della maggiore età
l’espansione di tale idoneità ogni tipologia di atto. Un aspetto di novità di questa lettura è
ravvisabile nello scardinamento della rigida distinzione tra atti patrimoniali e non.

-IL SISTEMA DEI MEZZI DI PROTEZIONE NELLO SPAZIO CONSENTITO


ALL’INTERVENTO DEL GIUDICE:

In ragione della vulnerabilità che connota il soggetto minorenne, il legislatore intesse una
rete di protezione strettamente funzionali all’effettiva realizzazione del Best interest of the
Child.

Una disciplina da intendersi all’insegna di una prospettiva antropologia, non


individualistica bensì personalistica; l’architettura dei mezzi di protezione trova il suo
ordine assiologico costituzionale del sistema degli art. 2,3,31 cost; sicché il compito
assegnato allo stato di sostenere l’assolvimento dell’ufficio genitoriale e proteggere
l’infanzia e la gioventù, deve legarsi in funzione promozionale della personalità del figlio
minorenne ovvero dei suoi diritti fondamentali.

In questa cornice assiologica, proteggere il minore di età e realizzare il suo superiore


interesse, non significa assecondare ogni suo desiderio, bensì tutelare i suoi diritti
inviolabili e gli interessi che si esprimono.

Realizzare l’interesse del minore vuol dire offrire al minore un progetto di vita, un progetto
esistenziale che sia tale da renderlo consapevole del suo rapporto con la realtà che lo
circonda, un progetto che sia tale da sviluppare la personalità per modo da metterlo nelle
condizioni di esprimere le sue libertà, secondo le sue capacità, le sue aspettative e e sue
inclinazioni naturali.

L’ufficio della responsabilità genitoriale è la prima forma di protezione di natura


relazionale, di tale soggetto.

Questa protezione si atteggia in modo differente in base al carattere, personale o


patrimoniale dell’interesse tutelato.

Per quanto concerne i diritti personali del figlio a protezione si declina nella cura della
persona;

Per quanto riguarda i diritti patrimoniali essa si declina nell’amministrazione del


patrimonio della stessa.

La cura si attua per il tramite dell’assolvimento dei doveri di mantenimento, istruzione,


educazione, assistenza morale dei figli, nonché dei poteri di controllo e decisione in
ascolto della personalità individuale, ovvero nel rispetto delle capacità e inclinazioni
naturali del figlio.

L’amministrazione invece si esprime nelle forme indicate dall’art. 320c.c. l’aspetto della
cura della persona coinvolge anche l’intero apparato pubblico chiamato prevedere
appositi interventi volti a sostenere le famiglie a rischio al fine di prevenire appositi

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interventi volti a sostenere le famiglie a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di
consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia.

L’ampio raggio di azione della cura del soggetto minore di età si estende ulteriormente
all’insegna della cifra della solidarietà; è così prevista la possibilità che gli enti pubblici per
l’espletamento di tali funzioni, giungano a convenzioni con altri enti del terzo settore che
operano nel campo minorile.

Nella fase fisiologica delle relazioni private e pubbliche che interessano un minore,
l’autorità giudiziaria non può interferire coi i processi decisionali dei soggetti preposti alla
sua cura ed educazione.

Cos’, nel rapporto di filiazione l’esercizio della responsabilità genitoriale è demandato


all’accordo dei genitori, raggiunto nella loro autonomia proprio in ragione della
responsabilità loro attribuito dall’ordinamento. In sostanza i genitori pur non essendo
liberi rispetto al se educare, istruire, mantenere, assistere moralmente, lo sono riguardo al
come, la cui definizione è demandata alla discrezionalità degli stessi, sussistendo il solo
limite di non arrecare pregiudizio all’interesse superiore del figlio.

Un limite con riguardo al “minore piccolo”, la cui personalità e formazione, è


rappresentato dalla dignità umana, con riferimento invece al “grande minore”, la cui
personalità si è già definita, il limite è rappresentato dalla sua identità.

Entro questi limiti, l’autonomia genitoriale risulta sindacabile, specie dal giudice il quale
non può sostituirsi ai genitori.

Si impone tuttavia una distinzione tra gli aspetti puramente patrimoniali dell’esercizio
della responsabilità genitoriale e quelle di carattere non patrimoniale.

Per gli aspetti di carattere no patrimoniale è escluso il sindacato del giudice il nome
dell’intangibilità dell’autonomia familiare.

Nei casi in cui la responsabilità genitoriale è esercitata nella forma della rappresentanza
per il compimento di atti puramente patrimoniali, il controllo del giudice si svolge invece in
via preventiva.

Nell’adempiere i doveri strettamente funzionali alla cura della persona, la libertà dei
genitori nell’addivenire alle scelte assume caratteri identitaria, e un’interferenza esterna si
tradurrebbe in privazione del connotato della famiglia, i nome di valori identitaria altri da
quelli dei genitori.

viceversa, con riguardo agi atti puramente patrimoniali, i processi valutativi si basano su
parametri oggettivi, che si prestano ad altrettante forme di controllo necessarie anche in
ragione dell’implicazione di interessi di terzi soggetti.

Anche le politiche di settore si aprono all’insegna di un principio di autonomia dei soggetti


preposti; soltanto quanto tali azioni si estrinsecano in forme di intervento che incidono sui
diritti fondamentali di un minore, senza il consenso degli interessati, allora il giudice dovrà
intervenire a garanzia di tale libertà.

In particolare, l’intervento dell’autorità giudiziaria competente può rendersi necessario


quando vi è un minorenne che versa in una situazione di disagio, il cosiddetto “minore a
rischio”: linfa-diciottenne che versa in una situazione di disagio familiare e o sociale,
generato dal comportamento di uno o di entrambi i genitori oppure d circostanze
estranee alla condotta di quest’ultimi . Il disagio in cui si discorre consiste in una
situazione, da valutarsi in concreto, di pregiudizio superiore interesse del minore poiché
vengono violati i suoi diritti fondamentali, impedendo il pieno e sereno sviluppo della
personalità; esso non può dedursi della mera condizione del soggetto che è in relazione
con il singolo minorenne, tant’è che i provvedimenti di protezione del minore non hanno
alcuna funzione sanzionatoria o punitiva nei riguardi dell’autore del comportamento
pregiudizievole.

Tutti i provvedimenti, civili, amministrativi che incidono sulle relazioni che interessano un
minorenne hanno ragione di essere disposti quando si tratta di tutelare quel superiore
interesse e non quando si vuole punire il genitore o un altro soggetto per la condotta
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tenuta; per raggiungere questa finalità sono altri gli strumenti giuridici appositamente
preposti.

3- LA GRADUALITA’ DELLE MISURE DI PROTEZIONE IN RAGIONE DEL DIRITTO


DEL MINORE DI VIVERE E CRESCERE NELLA PROPRIA FAMIGLIA.

Dinanzi a una situazione di disagio i cui versa un soggetto minore di età, la scelta del tipo
di rimedio deve essere ispirata a un criterio di gradualità, ordinato dal diritto fondamentale
del minore a vivere e crescere nella propria famiglia, ovvero dall’interesse a compiere il
percorso affettivo, formativo ed educativo all’interno del proprio nucleo familiare.

Diritto che sancito nella carta dei diritti fondamentali dell’UE, nella convenzione di Nwe
York, che assurge a principio ordinante, esigendo che tutti i provvedimenti che incidono
sulle relazioni primarie, d aut lato tendano a conservare il rapporto tra il minore e la
propria famiglia e dall’altro a turno ogni tentativo ritenuto idoneo a recuperare quel
rapporto.

Tant’è che questo diritto fondamentale deve essere garantito pure nell’ipotesi in cui il
genitore si trova in carcere; non infatti la non convivenza che possa di per sé giustificare
un provvedimento restrittivo del relativo legame. I giudici hanno chiarito che lo stato di
detenzione di un genitore non può di per sé determinare una pronuncia di decadenza
della responsabilità genitoriale; l’autorità giudiziaria sarà tenuta ad. Effettuare una verifica
nel caso concreto, in ordine alla sussistenza condotte pregiudizievoli poste in essere dal
genitore nei confronti dei figli tali da giustificare un pronuncia di decadenza.

Un eventuale divieto di intrattenere contatti con i figli posti nei confronti dei genitori in
stato detenzione, che mantenga una significativa relazione con i figli minori avendo inoltre
sempre adempiuto ai propri doveri genitoriali, determinerebbe non solo la violazione del
principio di uguaglianza nei riguardi di colui il quale si trovi in stato di detenzione che
verrebbe ingiustificabilmente limitato nel suo diritto di essere parte della vita dei figli, ma
anche nei confronti dei figli minori che assisterebbero a un’illegittima compressione dei
propri diritti.

I provvedimenti che sospendono o che recidono la relazione genitore- figlio non possono
che assumere un carattere estremo, essere cioè adottati soltanto dopo che risulti fallito
ogni tentativo di recupero o che venga accertata l’impossibilità di esperirlo.

Il diritto di vivere e crescere nella propria famiglia deve essere innanzitutto realizzato dai
genitori, il loro compito è cogliere l’interesse del figlio, nel rispetto della sua d’entità e di
assisterlo moralmente.

Ma la tecnica dell’accordo, che presiede l’esercizio della responsabilità genitoriale, non


giustifica di per sé ogni scelta dei genitori; l’accordo infatti deve risultare a sua volta
conforme al best interest, poiché è a tale fine che sono accordati i poteri ai genitori.

Se la decisione d’aggiunta di comune accordo persegue altri interessi, si degnerà


nell’abuso del diritto. A fronte di una situazione di disagio minorile pregiudizievole, non
superabile per il tramite dell’accordo comune dei genitori, eventualmente indirizzata
anche alla richiesta di ausilio da parte dei servizi sociali, il legislatore mette a disposizione
una serie di strumenti volti a proteggere l’interesse del minore. occorre innanzitutto
distinguere il lato esterno dalla responsabilità genitoriale da quello interno:

Lato esterno: i apporti instaurati dai genitori con terzi soggetti e che hanno ricadute nella
sfera giuridica patrimoniale del figlio.

Lato interno: rapporti che si consumano esclusivamente nell’ambito del rapporto


genitore-figlio anche se richiedono l’intervento di un terzo soggetto.

Le misure di protezione concernenti all’ambito esterno problematico del rapporto di


filiazione, in cui la situazione di disagio si consumi esclusivamente sul piano patrimoniale,
sono disposti gli art. 334 e 335 c.c. in presenza di una mala gesto del patrimonio del

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figlio, il giudice può limitarsi con ampio margine di discrezionalità a regolare
l’amministrazione fissando le condizioni alle quali devono attenersi i genitori nel
compimento di singoli atti; oppure nei casi più gravi può rimuovere il genitore che mala
amministra il patrimonio del figlio nonché privarlo in tutto o in parte all’usufrutto legale dei
beni.

Anche rispetto a tali misure, l’accertamento va condotto avendo riguardo rispetto allo
specifico interesse del minore titolare di quel patrimonio, non solo valutando le capacità
amministrative dei genitori.

La capacità genitoriale e l’interesse del figlio vanno valutati l’una in funzione dell’altra, ciò
che può riversi pregiudizievole per un minorenne non può esserlo per un altro. No è quindi
un giudizio sulla colpevolezza dei genitori quali che dovrà essere condotto, bensì sulla
presenza di una situazione pregiudizievole per il figlio discendente dal comportamento dei
genitori .

Trattandosi dal lato esterno della responsabilità genitoriale, quando si presenta la


necessità di adottare questi provvedimenti non è in discussione l’idoneità dei genitori di
assolvere i loro doveri di cura della persona del figlio, ma soltanto quelli di
amministrazione dei beni. Se la cattiva amministrazione ha ricadute anche sul lato interno
della responsabilità genitoriale, ovvero sulla cura dei figli, l’idoneità genitoriale si rivela
con riguardo entrambi gli aspetti, sia quello interno sia quello esterno.

Allora dovranno essere altri i provvedimenti da adottare: quelli che incidono sulla
responsabilità genitoriale nell’incertezza e nella complessità dei suoi contenuti.

Il superiore interesse del minore funge da criterio guida sia per testare la sussistenza dei
presupposti ai auqli l’art. 334c.c. subordina i provvedimenti ablativi o regolativi
dell’amministrazione del patrimonio del figlio, sia quando si tratta di adottare i
provvedimenti di riammissione dell’esercizio dell’amministrazione patrimoniale e nel
godimento dell’usufrutto legale.

4- IL DISAGIO DISCENDENTE DAL LATO INTERNO DELLA RESPONSABILITA’


GENITORIALE: ANTAGONISMO DECISIONALE E CONDOTTE PREGIUDIZIEVOLI DI
UNO O DI ENTRAMBI I GENITORI.

Analizzando il disagio del figlio minorenne discendente dal lato interno della
responsabilità genitoriale, ovvero dalle condotte dei genitori che hanno ricadute sulla
sfera personale del figlio, anche se prevedono il coinvolgimento di terzi soggetti; diversi
sono i fattori che lo possono generare e i rimedi attivabili:

A) il sereno e piano sviluppo della personalità del minore di età può essere minacciato
dal disaccordo dei genitori relativamente a delle scelte importanti che interessano il
figlio: essi non addivengono ad un decisone concordata poiché la posizione dell’uno
è antagonista rispetto alla posizione dell’altro. La tutela del best interest del figlio,
macchiato dall’antagonismo concerne scelte fondamentali per la sua crescita, è
perseguita dal legislatore con un aforma di intervento conciliativo del giudice
ordinario, disciplinata dell’art. 316c.c., rispettosa dell’autonomia della famiglia in
nome della tutela dell’interesse del figlio minore. L’intervento del giudice è consentito
solamente quando il disaccordo riguarda questioni di particolare importanza: quando
la mancata soluzione del conflitto sia pregiudizievole per i figli. Il supporto del giudice
può esser domandato soltanto da uno dei genitori e non da altri soggetti, inoltre il
genitore che si rivolge al giudice deve indicargli la scelta che gli ritiene idonea a
soddisfare l’interesse del figlio. Il giudice dovrà quindi porsi in dialogo con gli
interessati, sentire i genitori e ascoltare il figlio minuto di capacità di discernimento,
per poi limitarsi a suggerire la scelta che egli reputa più conforme all’interesse del
figlio. Nell’ipotesi in cui il contrasto permanga il giudice attribuisce il potere

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decisionale a quello dei genitori che nello specifico caso ritiene più idoneo a curare
l’interesse del figlio. Un giudizio di idoneità che dovrà condursi non tanto con
riguardo ai contenuti della scelta in sé, bensì delle capacità del genitore di orientare la
scelta alla dimensione identitaria del figlio; un’ascella all’insegna di un criterio di
vicinanza all’identità del figlio, che meglio consente di cogliere il suo interesse.
Diversamente strutturato è invece il rimedio all’antagonismo genitoriale quando la
coppia è divisa e in regime di affidamento: il terzo comma dell’art. 337 ter sancisce
che in caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice, e non al genitore che il
giudice ritenga idoneo.

B) In altri casi il disagio del figlio può discendere dalla condotta pregiudizievole di uno o
di entrambi i genitori. In questi casi la tutela dell’interesse del figlio può esigere un
provvedimento che incida sulla responsabilità genitoriale. Il rapporto di filiazione entra
nel momento patologico che fa retrocedere il principio di intangibilità dell’autonomia
familiare, giustificano l’intervento del giudice nel rapporto genitore-figlio. Al giudice è
data un’ampia gamma di interventi, la cui intensità va calibrata in funzione del
superiore interesse del filgio, stando al principio di gradualità: dai provvedimenti meno
gravi, che si limitano a correggere l’esercizio della responsabilità genitoriale, ai
provvedimenti più gravi, di carattere ablativo, che comporta la decadenza del genitore
dalla responsabilità genitoriale . Presupposti comuni a questi provvedimenti correttivi
o ablativi sono:

- violazione o trascuratezza dei doveri inerenti la responsabilità genitoriale o l’abuso dei


poteri.

- Il pregiudizio del figlio

Considerando il carattere flessibile dei "provvedimenti convenienti”, rispetto ad essi il


primo presupposto va inteso in termini altrettanto elastici; sì che più al necessità di
accertare la violazione di uno specifico dovere, tale presupposto potrà ritenersi integrato
in tuti i casi di condotte oggettivamente idonee ad arrecare pregiudizio al figlio minorenne.

Le previsioni normative che disciplinano l’intervento del giudice nell’esercizio della


responsabilità genitoriale delimitano pure l’ambito di insindacabilità dell’autonomia dei
genitori nell’operare le scelte peri figlio minorenne.

Doveri e poteri inerenti la responsabilità genitoriale:

DOVERI: quelli che discendono direttamente dal fatto della procreazione, i quali
incombono sui genitori in quanto tale.

POTERI: appartengono al genitore in quanto titolare dell’ufficio della responsabilità


genitoriale.

Nell’ordine di una prospettiva ermeneutica personalistica, la linea di confine tra


adempimento e inadempimento dei doveri, tar uso e abuso dei poteri non può essere
tracciata in termini rigidi e astratti, ma va definita divolga in volta in ragione dell’interesse
singolare del figlio e della sua identità.

Il percorso valutativo non dovrà quindi riguardare la consapevolezza dell’autore del la


condotta, bensì , da un lato l’adeguatezza dell’educazione, il mantenimento ,
dell’assistenza morale all’interesse del figlio; dall’altro l’esclusiva aderenza al best interest
of the Child.

L’esercizio della responsabilità genitoriale , nei suoi doveri e nei suoi poteri, è demandato
all’autonomia insindacabile dei genitori sin tanto che essi ne fanno un uso effettivamente
conforme alla funzione per la quale quella responsabilità è oro accordata, ovvero
realizzare l’interesse del figlio.

È dunque necessario che dalla violazione dei doveri e/o dall’abuso dei poteri genitoriali
segua il pregiudizio del figlio.

La situazione pregiudizievole del minorenne è tale da poter giustificare un provvedimento


che invia sulla responsabilità genitoriale quando è legata non a un singolo, isolato,
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inadempimento o abuso ma a un quadro complessivo di condotte idonee a esprimere
l’inadeguatezza del genitore a prendersi cura del figlio.

Il pregiudizio non è circoscritto alla sfera psicofisica , può riguardare la sfera morale,
personale, identitaria o la sicurezza del minorenne.

5- PROVVEDIMENTI ABLATIVI E RESTRITTIVIDELLA RESPONSABILITA’


GENITORIALE.
Quando il pregiudizio reale o obiettivamente potenziale è connotato dalla gravità, da
valutarsi considerando la specifica situazione identitaria del figlio, il giudice può giungere
a dichiarare la decadenza dalla responsabilità genitoriale e lo farà quando appare essere
l’unica soluzione alla situazione di disagio. Da quanto provvedimento consegue a perdita
delle funzioni tipiche della responsabilità genitoriale, permanendo invece i dovere inerenti
alla responsabilità di procreazione, che incombono in capo ai genitori per il solo fatto di
aver procreato. Alla pronuncia di decadenza della responsabilità genitoriale possono
sortire effetti di grande rilievo anche sul piano patrimoniale quali l’indegnità a succedere al
figlio da parte del genitore che sia decaduto dalla responsabilità genitoriale e non risulti
reintegrato al momento dell’apertura della successione. A ciò si aggiunge la perdita del
diritto del genitore agli alimenti verso il figlio.

Se il giudice non ravvisa quel livello di gravità che impone senza alternative di ricorrere
alla misura ablativa, egli potrà adottare altri provvedimenti convenienti che comunque
incidono, limitandolo, sull’esercizio della responsabilità genitoriale. Il provvedimento dovrà
attenersi alla personalità individuale del minore, soprattutto tramite il suo ascolto, se
munito di capacità di discernimento.

In questo senso l’art. 333 c.c.funge pure da strumento per tutelare la capacità di
discernimento del minore, ogniqualvolta i genitori ostacolino irragionevolmente le sue
scelte.

Codeste misure ablative e limitative possono esser disposte anche nei riguardi del
genitore separato o divorziato quando, nell’esercizio della responsabilità genitoriale in
regime di affido, tenga una condotta pregiudizievole nei confronti dell’interesse del figlio.

La differente portata degli interessi implicati nella fattispecie ora considerate rispetto a
quando il disagio del monte non è generato dalla condotta omissiva o abusiva di uno o di
entrambi i genitori bensì dal disaccordo degli stessi relativamente a scelte che
interessano il figlio, la si coglie anche sul piano della legittimazione ad agire.

La situazione a cui si riferisce l’art. 316 c.c., concerne il lato interno della responsabilità
genitoriale. Il problema dunque assume un rilievo essenzialmente privatistico; perciò la
legittimazione ad agire spetta soltanto a uno o a entrambi i genitori, a i quali è data la
possibilità di superare l’antagonista decisione demandando al giudice il compito di
dirimere il conflitto suggerendo la soluzione migliore o indicando chi dei due genitori sia
più idoneo a individuarla.

Il rilievo privatistico è accentuato dalla circostanza che si versa in quell’ambito di


intangibilità dell’autonomia genitoriale: al giudice non compete alcun potere di scelta
finale, in modo che il presupposto rimanga l’accordo tra i genitori.

Viceversa, se il genitore cui non è attribuito il potere decisionale si oppone alla scelta
dell’altro genitore, arrecando un pregiudizio al figlio, il conflitto eccede il mere rapporto
genitoriale. I diritti del figlio assumono una rilevanza assiologica sistematica, che
trascende il singolo rapporto privatistico: la tutela del prevalente interesse del minore è un
principio generale che conforma la struttura dell’ordinamento, rientrante quindi nell’ordine
pubblico.

Si spiega allora che legittimati a ricorrere al giudice per ottenere un provvedimento


ablativo o restrittivo della responsabilità genitoriale, sono, oltre all’altro genitore, i parenti
e il pm.

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Si comprende pure il potere ufficiosi accordato al giudice dal comma 3 art. 336 di
adottare i provvedimenti temporanei nell’interesse del figlio.

Il ruolo nel procedimento del figlio minorenne va ricostruito in chiave sistematica,


coordinando l’art. 336 c.c., con le norme del codice civile che prevedono la possibilità di
nominare un curatore speciale del minore, con quale altre previsioni normative che lo
vedono parte del processo e adeguando la regola ai principi espressi dalle convenzioni
internazionali poste a presidio dei diritti del soggetto minore. Ne discende che il minore
interessato non solo sia da considerarsi parte necessaria del processo ma pure da
annoverare tra i legittimati ad agire.

6- L’ALLONTANAMENTO DEL FIGLIO DALLA RESIDENZA FAMILIARE E LE IPOTESI


DI AFFIDAMENTO:

La tutela del best interest of the child può anche esigere un provvedimento che si spinga
a sacrificare il diritto fondamentale del minore di vivere e crescere nella sua famiglia,
specie in quei casi in cui la condotta del genitore compromette l’integrità psicofisica e/o
morale del figlio.

Tanto l’art. 330 quanto il 333 prevede che in presenza di gravi motivi possa essere
disposto l’allontanamento del figlio dalla casa familiare oppure l’allontanamento del
genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. È il principio di gradualità che
deve guidare il giudice nella definizione delle coordinate tra i diritto del minore alla
sicurezza e il diritto a credere e vivere nella propria famiglia.

La misura del sacrificio dell’uno non può che dipendere dall’espansione dell’altro.

Se si ritiene che sia nell’interesse del minore non abitare più con il genitore autore della
condotta pregiudizievole, si dovrà anzitutto cercare di allontanare dalla residenza familiare
il genitore destinatario del provvedimento ablativo limitativo, facendo permanere il figlio
nel suo ambiente domestico relazionale. Viceversa, soltanto quando la permanenza nella
residenza familiare contrasti oggettivamente con lo sviluppo della personalità del figlio e
con la sua incolumità, si potrà provvedere alla sua sistemazione in un altro luogo.

In quest’ultima ipotesi, si dovrà pure dar luogo all’affidamento eterofamiliare , cercando


anzitutto di procurare un affidamento endo-familiare ( nucleo familiare facente parte della
famiglia allargata del minore) o una di carattere extra-familiare ( a un nucleo familiare
estraneo alla famiglia allargata del minore) o un’affidamento a una comunità di tipo
familiare.

Uno strumento ulteriore è l’affidamento ai servizi sociali, il quale può risultare confacente
sia all’ipotesi in cui il figlio venga fatto permanere all’interno della residenza familiare, sia
quando il figlio si sta allontanando da entrambi i genitori. Di esso può essere destinatario
il minorenne che da manifeste prove di irregolarità della condotta o del carattere, oppure
il minore che si trovi nella condizione prevista dall’art.33 c.c. l’affidamento ai servizi sociali
non può tradursi in una sorta di delega in bianco del giudice ai servizi.

Viceversa il provvedimento che lo dispone deve pure disciplinarlo: all’atto dell’affidamento


deve essere redatto il verbale nel quale vengono indicate le prescrizioni che il minore
dovrà seguire, a seconda dei casi, nonché delle linee direttive all’assistenza, alle quali egli
deve essere sottoposto.

Nel caso poi in cui venga disposto l’allontanamento dalla casa familiare, nel verbale deve
essere indicato il luogo in cui il minore deve vivere e la persona o l’ente che si prende
cura del suo mantenimento/educazione.

Si precisa inoltre che le prescrizioni e le direttive sono date da un componente del


tribunale designato dal presidente alla presenza di un rappresentante l’ufficio distrettuale
di servizio sociale minorile e delle altre persone interessate all’atto. Si evince che il ruolo

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del servizio sociale cui è affidato il minorenne non è libero bensì vincolato alle indicazioni
specifiche o alle direttive impartire dal giudice; e dell’osservanza di questi vincoli e di ogni
altra iniziativa, il servizio sociale dovrà rendere conto al tribunale, esponendosi in caso di
violazione.

A questi adempimenti si affiancano le funzioni generali di controllo e sostegno che


competono all’ufficio di servizio sociale minorile e che deve svolgere mettendosi in
relazione con la sua famiglia e con gli altri suoi ambienti di vita.

Può accadere che un provvedimento ex. art. 330,333,336 c.c. disponga l’affidamento ai
servizi sociali; il quale risulterà del tutto atipico nell’ipotesi in cui il giudice si limiti a
disporre una sorta di delega in bianco.

Con il risultato che il servizio affidatario venga posto nella condizione di poter ricoprire
diversi ruoli andando a interferire con situazioni giuridiche soggettive.

L’ulteriore punto critico di un provvedimento generico dell’affidamento ai servizi sociali, si


ravvisa quando il giudice, una volta emesso il decreto di affidamento si ritrae dalla scena
e lascia che il servizio sociale operi in piena libertà e autonoma. Occorre peraltro prendere
atto che frequentemente, nonostante i provvedimenti giudiziari si esprimano in termini di
affidamento ai servizi sociali, il significato che intendono comunicare è differente da
quello tipico, volendo in realtà incaricare i servizi affinché prendano in carico il caso,
attuino un programmati recupero delle relazioni sociali e dell’ambiente familiare, tenendo
conto delle indicazioni del giudice.

In questo ampio significato è emersa una categoria dell’affidamento ai servizi sociali


nuova che ricopre un ruolo di grande importanza tra gli strumenti di protezione del
minorenne che versa in una situazione di disagio.

Tale affidamento si presta a essere disposto in caso di decadenza di uno o entrambi i


genitori dalla responsabilità genitoriale, ma anche in presenza di un provvedimento
restrittivo e non ablativo, tanto nell’ipotesi di permanenza del figlio nella residenza
familiare quanto di affidamento a terzi.

In ogni caso spetterà al giudice indicare al servizio il percorso educativo che dovrà essere
fatto seguire al minorenne interessato nonché le direttive all’insegna delle quali dovrà
svolgersi l’assistenza; in questo modo, regolando ex ante l’affidamento al servizio sociale,
potrà essere facilmente indirizzato il controllo giudiziario ex post dell’operato. Viceversa,
una delega in bianco ai servizi, senza regole e senza alcuna forma di controllo
dell’operato, pone seri dubbi di legittimità ; perché condurrebbe non soltanto alla
destabilizzazione del sistema di protezione del soggetto minore di età, ma anche una
grave esposizione della sua persona, dei suoi diritti fondamentali, a effetti pregiudizievoli
con un evitabile esito di eterogenesi dei fini.

Se il senso dell’affidamento ai servizi sociali è: prendersi cura di specifici ambiti di


interesse del minore, nei termini e nei limiti indizi dal giudice e assistere il minore in
relazione all’insegna delle direttive sempre impartite dal giudice ordinante al best interest;
il suo ruolo si riduce, da un lato nell’esecuzione di ordini del giudice che si traducono in
restrizioni all’esercizio della responsabilità genitoriale, dall’altro nell’affiancarsi a chi ha la
cura del minore per controllare il loro operato.

Come tutto nasce da una forma di cooperazione tra giudice e servizi, è garanzia
fondamentale di legittimità che il tutto si svolga all’insegna di quella stessa cooperazione
per il tramite degli strumenti della consultazione e della rendicontazione.

I provvedimento ex. Art. 330 e 330 sono emanati rebus sic stantibus e possono essere
revocati in ogni momento in cui venga accertata la cessione delle ragioni che hanno
condotto ad assumerli; e deve essere prodigato ogni sforzo idoneo a recuperare un
ambiente familiare confacente allo sviluppo della personalità del figlio. A tal fine, i servizi
dovranno articolare un piano assistenziale non frammentato, bensì concepito in termini
sistemici, rivolto al minorenne interessato, alla sua famiglia e agli ambienti sociali che egli
frequenta. Soltanto se successivamente al provvedimento di decadenza della
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responsabilità genitoriali, l’ambiente familiare risulti assolutamente irrecuperabile, allora si
potrà dare ingresso alle misure di protezione estreme, volte a procurare al minore un’altra
famiglia confacente alla sua cura, che è il presupposto della dichiarazione di adottabilità.

7- ABUSI FAMILIARI NEI CONFRONTI DI UN COMPONENTE MINORENNE:

Una situazione di disagio minorile può avere origine all’interno dell’ambiente familiare
domestico, man non per effetto della condotta omissiva o abusiva degli esercenti la
responsabilità genitoriale, ma da un altro componente del gruppo familiare, a prescindere
quindi da un legame di parentela o affinità.

In queste situazioni si pone un problema di coordinamento di misure di protezione finora


analizzate e quelle previste dagli art. 342 bis e 342 ter c.c., o più in generale dalla legge n
154/2001; il cui presupposto è pure l’espiazione della vittima a un grave pregiudizio alla
sua integrità fisica o morale o alla sua libertà, ovvero il suo best interest. Le misure
disposte dall’art. 342 ter vanno dall’ordine di cessazione della condotta,
all’allontanamento dalla casa familiare del soggetto autore del comportamento
pregiudizievole, irrigidito se necessario da prescrizioni relative alla libertà circolazione.

Tenendo conto delle circostanze del singolo caso, il giudice può attivare l’intervento non
soltanto dai servizi sociali ma pure della rete di enti che abbiano come fine statutario il
sostegno e l‘assistenza di soggetti vittime di abusi, compresi i minori. A queste misure di
carattere strettamente personale, possono aggiungersene altre di carattere patrimoniale,
quali il pagamento di un assegno periodico a favore delle persone conviventi che a
seguito dell’ordine di protezione siano rimaste prive di mezzi adeguati.

Il problema del coordinamento si pone specialmente dopo che la legge 149/2001 ha


introdotto sia l’art. 330 sia nel 333 la possibilità che il giudice disponga l’allontanamento
del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore, similmente a quanto dispone
l’art.342 ter c.c., sì che alcuni hanno posto due norme in rapporto di specialità, facendo
operare:

- in tutti i casi in cui la vittima sia un minorenne.

- Nei casi in cui la vittima sia un altro familiare convivente adulto.

Non è escluso che le misure disposte dagli art. 342 bis e ter c.c., possano essere
disposte a protezione della vittima minorenne convivente.

Occorre infatti considerare che la misura dell’allontanamento prevista dagli art. 330 e 333
ha evidentemente carattere accessorio a quella che incide sulla responsabilità genitoriale;
sì che senza un provvedimento ablativo o restrittivo della responsabilità genitoriale, non
regge l’ordine di allontanamento o convivente ivi previsto.

Solo se la condotta del genitore, o altro opponente del gruppo familiare, espone
pregiudizio il minore si da rende necessaria una misura ablativa o limitativa della
responsabilità genitoriale, la tutela del minore viene affidata all’operatività degli
art.330/333.

Il grave pregiudizio allo sviluppo della personalità del convivente minorenne può ritenersi
integrato non solo nei casi in cui egli sia la vittima diretta della condotta abusiva, am pure
in tutte le situazioni di valenza assistita od obliqua, quando cioè i comportamenti
vessatori non sono rivolti direttamente al minore ma lo coinvolgono come spettatore.

Qui si prospetta la possibile sovrapposizione tra provvedimenti a tutela dell’adula vittima


dell’abuso familiare e quelli volti a porre rimedio alla situazione pregiudizievole del minore.

Un rischio discendente anche dal diverso regime di competenza giudiziaria, che vede il
giudice ordinario impegnato a decidere l’ordine di protezione e il giudice minorile
orientato alla tutela fra best interest.

La protezione della vittima minorenne passa insieme a quella dell’adulto per l’art. 342 bis
e ter nel caso in cui il comportamento del genitore che subisce l’abuso oche assiste alle

18
condotte pregiudizievoli di altro convivente risulti ineccepibile sul piano della della
responsabilità genitoriale.

viceversa, solo se la condotta del genitore integri delle commissioni dei doveri o abuso
dei poteri genitoriali, nei confronti di quest’ultimo si darà ingresso alle misure di
protezione di cui gli art. 330,333,336 che incidono sulla responsabilità genitoriale.

8- LE MISURE AMMINISTRATIVE DI URGENZA:

La condizione di abbandono moral o materiale in cui può essere rinvenuto un onore, o la


sua collocazione in luoghi che costituiscono pericolo, o l’incapacità delle persone
preposte alla sua cura, qualora sia connotata dall’evidenza nonché dall’urgenza di
provvedere, può giustificare un intervento protettivo norma dell’art. 403c.c.; il quale
considera un quadro problematico tanto grave da non poter essere consegnato ai tempi
di segnalazione e di un provvedimento giudiziario.

A tale misura d protezione può ricorrere l’autorità amministrativa, come le forze di polizia
o assistenti sociali.

Essa costituisce un deroga al principio per il quale l’interferenza nell’esercizio della


responsabilità genitoriale dei soggetti pubblici preposti alla tutela dei minori è subordinata
al consenso dei genitori o alla decisione del giudice; ragione per cui la misura
amministrativa in considerazione può giustificarsi soltanto alla luce luce del carattere
dell’urgenza di garantire all’interessato protezione e sicurezza, collocandolo in un luogo
sicuro, un ambiente che garantisce un’atmosfera familiare , confacente alla sua persona.

L’urgenza assurge pure a cifra della ragionevole durata del collocamento del minore, che
deve limitarsi allo stretto necessario per ottenere un provvedimento del giudice; in
sostanza, non oltre i tempi tecnici necessari per portare l’autorità giudiziaria a
conoscenza dei fatti e consentire alla stessa di assumere con immediatezza le decisioni
del caso, con provvedimento urgente e immediatamente esecutivo ex art. 333,336
comma terza c.c. se la situazione di pericolo viene a cessare di per sé, gli effetti del
provvedimento cesseranno.

Urgenza e gravità vanno attestate e adeguatamente motivate dall’organo che interviene,


benché non abbia di per sé potere di indagine e istruttoria sul singolo caso, per iscritto, al
fine di consentire il controllo di legittimità sullo stesso.

Altrettanto, chi ha provveduto a norma all’art. 403 c.c. deve segnalare la situazione alla
procura della repubblica pressi il tribunale per i minorenni, affinché all’esito delle indagini,
valuti se e quali provvedimenti protettivi chiedere al giudice minorile. Pur trattandosi di
una misura amministrativa, essa non è il frutto dell’attività discrezionale dell’organo che la
dispone, ma rappresenta uno strumento di attuazione del suo dovere di protezione nei
confronti dei minori, che incide su specifiche situazioni giuridiche soggettive, ragion per
cui la competenza in ordine a tali provvedimenti non è del giudice amministrativo.

Tale ambito di incidenza comporta che l’illegittimità del provvedimento per mancanza dei
presupposti, espone l’autorità amministrativa che l’ha adottato alla responsabilità civile
extracontrattuale per lesione dei diritti fondamentali costituzionalmente protetti.

9- ULTERIORI MISURE DETERRENTI: DAL RISARCIMENTO CON FUNZIONE


PUNITIVA ALL’ASTREINTE

Le misure di protezione conoscono un peculiare inasprimento nel caso in cui esse


intervengono nei confronti di un genitore dopo che lo stesso sia stato destinato di un
provvedimento di affidamento delle prole minorenne a norma degli art. 337 ter e ss c.c..
Può accadere che, provveduto in ordine all’affidamento, sorge un contrasto tra i genitori
sulle modalità di esercizio della responsabilità genitoriale; in tal caso può essere chiesto

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al giudice , in presenza dei relativi presupposti, un provvedimento che incida sulla
responsabilità genitoriale.

L’art. 709 ter c.p.c. introdotto dall’art 2, legge 54/2006 prevede che in presenza di gravi
inadempienze o di atti che arrechino pregiudizi al minore od ostacolino il corretto
svolgimento dell’affidamento, il giudice oltre a modificare i provvedimenti assunti in sede
di affidamento può anche congiuntamente:

- ammonire il genitore inadempiente.

- Disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti del minore.

- Dispare il risarcimento dei danni a carico di un dei genitori nei confronti dell’altro.

- Condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione pecuniaria.

Il senso sotteso a questa forma di intensificazione della tutela del figlio minorenne è da
ravvisasi nell’esigenza di garantire affettività al principio della possibile insensibilità del
rapporto di filiazione alle vicende della coppia, che si esprime nel diritto del figlio alla
genitorialità, un principio e un diritto che prima i genitori e poi il giudice devono affermare,
gli uni nell’esercizio della responsabilità genitoriale, gli altri nella disciplina
dell’affidamento.

Il senso e il significato dell’art. 709 ter c.p.c. devono essere intesi alla luce del principio
della bigenitorialità, particolarmente a rischio nella fase patologica della coppia e perciò
supportato da un apposito apparato rimediale. Tant’è che nell’ipotesi in cui la condotta
del genitore abbia comportato una pronuncia ex. Era. 333 c.c., questo sistema di rimedi
può aggiungersi ai “provvedimenti convenienti” e alle possibili misure di allontanamento
ivi previste, ma anche altri rimedi di carattere risarcitorio-compensativo.

Questa declinazione della responsabilità civile trova comunque i suoli limiti operativi nella
disciplina generale dell’illecito civile e in quella estrapolata dai principi generali della
giurisprudenza. La quale, con riguardo al risarcimento del danno non patrimoniale, esige
che il diritto sia inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio.

Viceversa, nell’ambito problematico l’eventuale condanna al risarcimento dei danni,


disposta a favore dell’altro genitore e/o del figlio minorenne, assume caratteri
sanzionatori, evocando l’esperienza dei punitive dameges con effetto deterrente. Si tratta
allora i un rimedio risarcitorio a fattispecie predeterminata dalla legge secondo il principio
di tipicità e piegato a una funzione sanzionatoria.

Al suddetto apparato rimediale, l’art. 709 ter c.p.c. aggiunge la possibile irrogazione di
una sanzione amministrativa pecuniaria sul modello di quanto poi operato dal nostro
legislatore nell’art 614 bis c.p.c. relativamente all’adempimento di obbligo di fare
infungibile e/o di non fare. Ne discende che anche al di fuori dell’ambito problematico
considerato dall’art 709 ter c.p.c. qualora in un provvedimento ex art 333 c.c. il giudice
abbia disposto degli obblighi di fare infungibile e/o di non fare può aggiungersi come
deterrente la fissazione di una somma di denaro.

10- LA PROTEZIONE DEL MINORENNE DAL DISAGIO SOCIALE


Il disagio del sonettò minorenne può discendere anche da fattori estranei al
comportamento dei genitori, radicati nel sistema di relazioni sociali in cui il monte è
inserito. Può anche derivare da singole condotte dei genitori non conformi al superiore
interesse del figlio, ma che, non possono dare luogo a provvedimenti che incidano sulla
responsabilità genitoriale.

Sono casi che riguardano “un minore grande” in età desiderosa di operare scelte
autonome rispetto alle indicazioni dei genitori, i quali, sono comunque chiamati a
controllare che l’esercizio del potere di autodeterminazione del figlio avvenga con
capacità di discernimento, la funzione genitoriale di cura, nella fase in cui matura nel figlio
alla capacità di discernimento si traduce in assistenza. Un’assistenza che nel momento
in cui ravvisa una. Situazione pregiudizievole al best interest del figlio, si esprime nel
dovere di attivarsi con ogni mezzo per proteggerlo.

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A fronte delle difficoltà o incapacità dei genitori di porre rimedio alla situazione del figlio,
gli strumenti di protezione, sono altri rispetto a quelli sin qui considerati. Qui il caso
diventa “sociale” ed entrano in gioco le misure di carattere amministrativo a ciò preposte.

Sul piano ministrato è possibile attivare anche su iniziativa degli stessi genitori, i servii
sociali, affinché pongano in essere un piano di assistenza specializzata, educativa,
rieducazionale.

Il tutto si inserisce nel compito generale della repubblica, di proteggere “la maternità,
l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”, declinato poi nel
dover assicurare “ alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi
sociali”, prevenire, eliminare o ridurre le condizioni di “ bisogno e di disagio individuale e
familiare”. Ovviamente anche il giudice qualora non ravvisi la sussistenza dei presupposti
richiesti per giungere a una decisione ablative o limitativa della responsabilità genitoriale,
può limitarsi ad attivare i servizi sociali.

Ora i comuni nel momento in cui operano a protezione di un minore, non si pongono
come sostituti della famiglia ma come fornitori obbligati di servizi e interventi sociali
adeguati alle famiglie in difficoltà o direttamente a bambini/ragazzi in difficoltà. Per
questo e in virtù del principio secondo il quale l’intervento dello stato negli affari familiari
deve essere ridotto al minimo, è necessario che l’ente, in nome del principio di
cooperazione, ricerchi e ottenga il consenso dei genitori e del minorenne interessato
all’attuazione dello specifico programma.

Solamente quando, non sia stato possibile acquisire tale consenso, allora si renderà
necessario l’intervento del giudice affinché possa imporre tale programma ai genitoriper il
tramite e a seguito della pronuncia di un provvedimento ex art 330 e 333c.c. se il giudice
riscontra l’ostilità dei genitori al supporto ai servizi potrà disporre l’allontanamento del
minore dalla residenza familiare, delegando agli stessi servizi la scelta della sua migliore
collocazione. Rimane comunque salva la libertà del minore interessato di collaborare o
meno.

PARTE 2
IL MINORE E LA SALUTE ( capitolo a scelta)
Il tema dei rapporti tra minore età e diritto alla salute necessità di qualche chiarimento in
ordine sia al significato sia alla stessa evoluzione di senso dei due termini di riferimento.
Quanto a questi ultimi dovere rilevarsi una sostanziale corrispondenza del correlativo
processo evolutivo. Rispetto alla minore età è già stata segnalata la necessaria tensione
verso tale esito, evidenziandosi al riguardo che, attraverso un lungo e non ancora
concluso processo di sviluppo, si è compiuto un graduale percorso di individuazione della
persona minorenne, inteso quale soggetto altro da coloro dai quali egli può dipendere;

Rispetto alla salute il relativo concetto è oggi inteso quale stato di completo benessere
fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia, comunque non mancano
critiche sul versante medico a tale definizione.

Quanto ai riferiti principi di autonomia e autodeterminazione, con il primo termine deve


ritenersi indicata l’indipendenza valutativa che si traduce in una manifestazione di volontà
personale e libera. Nel secondo caso, può ravvisarsi il risultato decisionale frutto di una
consapevole scelta. L’autonomia dunque consente l’autodeterminazione.

È ora possibile meglio ricusare che l’ambito da indagare, riferibile al rapporto tra volontà
del minore e la scelta delle cure mediche e alla misura della rilevanza della determiniate
volitiva del destinatario del trattamento sanitario sin quanto minorenne.

In ordine alla tematica delle vaccinazioni obbligatorie, il relativo dibattito si è acceso dalla
recente disciplina contenuta nella l. 31 luglio 2017 con modificazioni del d.l. 7 giugno
2017, recanti disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, con cui il legislatore
ha disposto dieci vaccinazioni obbligatorie per i minori di età compresa tra i 0 e i 16 anni

21
e per i minori stranieri non accompagnati, ai quali si aggiungono altre quattro non
obbligatorie ma raccomandate; la mancata osservanza della prescrizione della legge
impedisce l’iscrizione agli asili nido e alle scuole materne, mentre l’inosservanza per le
scuole dell’obbligo comporta l’irrogazione di una sanzione pecuniaria. La regione veneto
ha impugnato la nuova regolamentazione, rilevando l’irragionevolezza e la sproporzione
della sesta statale di imporre, in modo immediato, il passaggio da una stratega vaccinale
basata sulla convinzione a una basata sula coercizione. In ordine alle trasfusioni di
sangue, qui l’ordine di problemi è rappresentato dalla legittimità del diniego da parte dei
genitori rispetto al prospettato trattamento sanitario e correlativamente, dalla legittimità
della richiesta di uno specifico trattamento sanitario estraneo alla medicina tradizionale.

- Le dichiarazioni di principio sovranazionali:

La tutela del saluta in materia di minore età è ben presente in tutte le carte fondamentali
continenti le c.c.d. dichiarazioni di principio, in ordine alle misure di protezione sociale; in
alcun di esse l’accento è posto sul riconoscimento della situazione giuridica soggettiva
relativa al bene salute, mentre non risulta affrontata la questione della rilevanza della
volontà individuale quanto alle eventuali scelte. Tale modello appare comprensibile in
ragione del carattere programmatico del documento, il cui obiettivo è la proclamazione
del diritto.

Questo è il caso della dichiarazione universale dei diritti umani, il cui art. 25 riconosce a
ciascun individuo il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute, con
particolare riguardo alle cure mediche, con una particolare attenzione all’infanzia.
Similmente è riscontrabile nella dichiarazione universale dei diritti del fanciullo. La
prospettiva muta in tempi più recenti accanto alle dichiarazioni di principio, contenenti
l’affermazione declamatoria del principio generale, anche indicazioni dirette e tenere in
considerazione la specifica posizione del titolare della situazione giuridica soggettiva,
riconoscendogli una posizione di rilievo in ordine alla propria volontà.

Il riferimento è alla convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, in relazione a


quanto diposto dagli art. 12 e 24. Di particolare rilievo appare la convenzione per la
protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti delle
applicazioni della biologia e della medicina sui diritti dell’uomo: convenzione sui diritti
dell’uomo e la biomedicina, fatta da Oviedo e ratificata dall’Italia.

Emerge, pertanto, la rilevanza della persona e della volontà del minore, la cui
manifestazione deve essere adeguatamente sollecitata e necessariamente acquisita al
fine di assicurare l’effettività alle stesse dichiarazioni di principio.

La rappresentata ricostruzione consente di evidenziare la diversità dell’approccio in


attuazione del condiviso principio della particolare considerazione della persona del
minore che tiene conto delle opzioni legislative del singolo paese e del rapporto tra il
criterio generale legale e il criterio specifico fattuale. Si tratta di una mutata prospettiva
con ricadute applicative, considerato che è compito dei singoli ordinamenti individuare e
predisporre gli strumenti appropriati, onde rendere effettivo il principio enunciato in
termini generali dai documenti sovranazionali, assicurando il concreto esercizio della
posizione giuridica riconosciuta in titolarità sl minore di età.

Ulteriore testimonianza dell’attenzione alla situazione concreta del minore costituita dal
recente regolamento UE relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro, che, con
riferimento ala libera e consapevole scelta quanto alla partecipazione agli studi delle
prestazioni appronta apposite specifiche discipline quanto agli studi delle prestazioni sui
soggetti incapaci rispetto agli studi delle prestazioni sui minori.

Con riguardo a questi ultimi la conduzione del relativo studio è consentita ove ricorrano
anche quella relativa all’informazione del minore in una forma adeguata all’età e alla
maturità intellettiva. Evidente appare la diversa considerazione del minore rispetto al
22
soggetto incapace, traducendo la condizione de primo quella di un soggetto necessario
partecipe a tutti gli effetti alla procedura di legge; ciò a differenza di quanto disposto per
l’incapace, rispetto al quale, è previsto che esso partecipi il più possibile alla procedura di
acquisizione del consenso informato quale fattuale attuazione dell’indaco procedimento.

- Le regole di settore nella legislazione interna; l’accesso all’interruzione volontaria


di gravidanza:
Solo di recente il nostro ordinamento, attraverso la l. 22n.219, recante norme in materia di
consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, si è dotato di una
disciplina che presenta tratti di generalità e solo qualche anno dopo ha in una certa
misura recepito le istanze provenienti dalla dottrina quanto al cambio di paradigma nei
rapporti tra minori e adulti, i quali non hanno più la potestà ma la responsabilità.

Proprio in ragione ciò si prenderanno allora le mosse da precedenti regole di settore per
poi passare all’analisi della introdotta normativa generale, traducendo le prime in modelli
che appaiono in linea con la valorizzazione della dimensione personale, da rapportare a
quanto più recentemente statuito in termini generali.

Due i contesti settoriali di riferimento ove viene in specifica considerazione la posizione


del minore di età, ossia l’accesso all’interruzione volontaria della gravidanza e la richiesta
di intervento per tossicodipendenza.

Nell’ordine si deve alla legge 22 maggio 1978 n.194, contenente norme perla tutela
sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, l’introduzione del
lecito ricorso all’aborto, consentito solo nelle ipotesi e nelle modalità Ive prescritte. Viene
in considerazione il disposto dell’art.12 comma 1, ossia il generale principio secondo cui “
la richiesta di interruzione di gravidanza è fatta personalmente dalla donna” non
operandosi alcuna distinzione di età; laddove poi la vicenda riguardi la minore di età,
l’ordinamento predispone distinte opzioni dirette ad assicurare il bilanciamento degli
interessi coinvolti. Il ritenuto irrinunciabile diritto delle donne all’autodeterminazione viene
dal legislatore variamente declinato nella comune rilevanza però della condizione del
minore, in particolare a tutela della salute o a tutela della vita e della salute.

Nel caso di specie la volontà della donna deve essere integrata dal necessario assenso di
chi esercita sulla donna la stessa responsabilità genitoriale o tutela, a cui è possibile
sostituire l’autorizzazione del giudice tutelare laddove nei primi 90 giorni sussistano “seri
motivi che impediscono la consultazione delle persone esercenti la responsabilità
genitoriale o la tutela oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano
pareri fra loro difformi.

Non è necessaria l’eventuale autorizzazione del giudice tutelare allorchè il medico “accerti
l’urgenza dell’intervento a causa di un grave pericolo per la salute del minore di anni 18.
Provvedendo egli stesso a rilasciare lareoativa certificazione che “ costituisce titolo per
ottenere in via d’urgenza l’intervento e se necessario il ricovero”.

A quest’ultima ipotesi va equiparata l’interruzione volontaria di gravidanza della minore di


età dopo i 90 giorni.

Nel sistema è sempre salvaguardata la scelta personale della gestante, anche se di


minore età, quantunque sia stata appropriatamente rilevata l’esistenza della lacuna
relativa “alla mancata previsione di un limite minimo di età per la rilevanza della decisione
abortiva di un minore”. Proprio al fine di colmare la suddetta lacuna si è proposto di
rimandare a quanto prospettato in ipotesi di incapacità di agire, rispetto a cui si distingue
tra situazioni caratterizzate allo stato di necessità e situazioni che non sian tali.

Quanto al ruolo del giudice tutelare, al quale nel casi di interruzione volontaria della
gravidanza nei primi 90 giorni il consultorio o la struttura sanitaria o il medico di fiducia,
espletanti compiti previsti dall’art. 5 rimettono entro 7 giorni dalla richiesta una relazione,
corredata dal proprio parere”. Al riguardo in un lasso di tempo molto breve “ sentita la

23
donna e tenuto conto della sua volontà può autorizzare la donna a decidere l’interruzione
di gravidanza” deve evidenziarsi che il relativo provvedimento ha carattere di mera
integrazione della volontà della minore, rimanendo del tutto esterno al riscontro in
concreto delle condizioni di fatto normativamente previste per consentire l’interruzione
volontaria della gravidanza. Più specificatamente il giudice tutelare non dispone di un
potere codecisionale concernente in merito di una scelta che il legislatore ha inteso
lasciare alla donna quale unica responsabile della decisione, rispetto a cui l’autorizzazione
del giudice tutelare costituisce esclusivamente condizione di garanzia della
consapevolezza della minore circa i beni coinvolti nella richiesta interruzione della
gravidanza, delle procedure nonché della serietà della relativa valutazione e del rispetto
delle procedure di legge.

- La richiesta di intervento per tossicodipendenza:


Secondo l’ultima relazione al parlamento sul fenomeno della tossicodipendenza in italia,
presentata per l’anno 2018 sulla base dei dati disponibili per l’anno 2017, che
annualmente viene predisposta secondo quanto previsto dall’art. 131 d.P.R. 9 ottobre
1990, n.309 il 34,2% del studenti hanno riferito di aver utilizzato almeno una sostanza
psicoattiva illegale nel corso della propria vita. Il 26% ha invece riportato di averne fatto
uso nel corso dell’ultimo anno. Tra questi ultimi, l’89,5% ha assunto una sola sostanza
illegale e il restante 10,5% è definibile “poliutilizzatore” avendo assunto due e più
sostanze. Il 16,7% degli studenti ha utilizzato sostanze psicoattive illegali nel mese in cui
è stato condotto lo studio e il 3,9% ne ha fatto uso frequente.

Sono quasi 41000 gli studenti che hanno riferito di aver assunto una o più sostanze senza
sapere cosa fossero: per il 58,5% si è trattato di un’esperienza circoscritta a una/due
volte, mentre il 23,5% ha fatto uso di sostanze di cui ignorava la composizione per oltre
dieci volte.

Un analitico commento dei dati riportati appare superfluo testimoniando la misura


numerica un andamento davvero allarmante, la cui gravità viene oltremodo evidenziata da
un’ulteriore indagine condotta attraverso l’utilizzo degli indici di “frequenza globale del
consumo delle sostanze psicoattive” e di “misura del danno globale” i quali permettono di
misurare gli effetti dannosi causati dall’uso di droghe.

A fronte di ciò il legislatore ha previsto la possibilità di interventi preventivi, curativi,


riabilitativi, introdotti proprio dalla disciplina contenuta nel d.p.r. n.309/19990. Il relativo
art.120 dispone al comma 1 che “chiunque fa uso di sostante stupefacenti e di sostanze
psicotrope può chiedere al servizio pubblico per le dipendenze o ad una struttura privata
autorizzata ai sensi dell’art. 116 e specificamente per l’attività di diagnosi di essere
sottoposto ad accertamenti diagnostici e di seguire un programma terapeutico e socio-
riabilitativo.

Pertanto il minore di età che voglia sottoporsi ad accertamenti diagnostici e/o voglia
iniziare programmi terapeutici e socio-riabilitativi può personalmente effettuare la relativa
richiesta. Una scelta che dunque può essere compiuta in via esclusiva dal minore di età.
La legge d’altro canto riconosce agli interessati di poter “beneficiare dell’anonimato nei
rapporti con i servizi, i presidi e le strutture delle aziende unità sanitarie locali e con le
strutture private autorizzate nonché con i medi, gli assistenti sociali e tutto il personale
addetto o dipendente”.

- La disciplina di carattere generale nella recente regolamentazione del consenso


informato:
Il tema della appropriata valorizzazione della volontà del minore di età in ordine alle scelte
nel campo della salute è oggetto di particolare attenzione della dottrina. Tale questione

24
s’innesta all’interno di un dibattito più ampio che coinvolge talune categorie tradizionali
del diritto privato.

Il disegno di legge d’iniziativa di alcioni settori della repubblica è composto di un unico


articolo suddiviso in tre commi, diretto a prevedere l’abbassamento ai 16 anni della
capacità legale di prestare consenso informato ai trattamenti sanitari con ultrice possibile
abbassamento dell’età in relazione alla sussistenza in concreto della capacità di
discernimento; viene infine affermato che tutti i minori devono essere ascoltati in relazione
ai trattamenti sanitari che li riguardano e devono essere informati in modo adeguato alle
loro capacità. Nella relazione al disegno di legge si rappresenta che ai fini della
valutazione della capacità di discernimento, occorre parlare con questi assicurandogli
un’adeguata informazione sulla malattia, sulla cura e sulle possibili conseguenze. Si
aggiunge che la capacità di autodeterminazione nel trattamento sanitario è direttamente
collegata all’abilità che le diverse figure coinvolte possiedono nel comunicare al minore le
informazioni in misura proporzionale alla capacità di comprensione.

L’iniziativa assunta non ha poi però avuto seguito. Nell’ordine, con riferimento alla prima
previsione si stabilisce che i medico deve garantire “al minore elementi di informazione
utili perché comprenda la sua condizione di salute e degli interventi diagnostici-
terapeutici programmati al fine di coinvolgerlo nel processo decisionale”.

Quanto al secondo al secondo disposto (consenso/dissenso informato) una volta affidato


al medico il compito, in caso di paziente minore o incapace, di acquisire ” dal
rappresentate legale il consenso e l dissenso informato alle procedure diagnostiche e/o
interventi terapeutici”, si onera il medico medesimo di segnalare “ all’autorità competente
l’opposizione da parte del minore informato e consapevole o di chi ne servita la potestà
genitoriale a un trattamento ritenuto necessario” dovendosi comunque procedere
tempestivamente alle cure indispensabili. Da un lato, il coinvolgimento nel processo
decisionale è possibile solo se il minore ha a disposizione elementi di informazione utili;
dall’altro, la presa in carico da parte del medico della opino espressa dal minore deve
essere tenuta in considerazione.

La previa acquisizione dal rappresentante legale del consenso/dissenso pone il problema


del coordinamento all’interno di una complessa disciplina della varie figure coinvolte, a
diverso titolo e con differenti modalità.

In questo contesto si inseriscono la riforma della filiazione a cui sii deve l’introduzione
della responsabilità genitoriale ai sensi dell’art. 316 , traducendo ciò in una inversione di
prospettiva ossia , la parte “attiva” passa ai figli mentre quella “passiva” ai genitori.

La disciplina in esame “ tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e
all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento può essere
inviato o proseguito se privo del consenso libero della persona interessata, tranne nei casi
previsti dalla legge”.

Al minore di età è dedicata una specifica regolamentazione. Si prevede in una singolare


rappresentazione unificante della condizione della persona minore di età o incapace, che
questa nel rispetto del principio generale “ ha diritto alla valorizzazione delle proprie
capacità di comprensione e di decisione” e che deve ricevere “informazioni sulle scelte
relative alla propria salute sin modo consono alle proprie capacità per essere messa nella
condizione di esprimere la sua volontà”. Dal punto di vista operativo, “il consenso
informato al trattamento sanitario del minore deve essere espresso e/o rifiutato dagli
esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della
persona minore, in relazione alla sua età e grado di maturità e avendo come scopo la
tutela della salute psicofisica del minore nel pieno rispetto della sua dignità”.

Il dettato normativo fa applicazione di una serie di previsioni che riconoscono al minore il


proprio esser persona “altra” dagli esercenti la responsabilità genitoriale. Per certi altri a
fronte della riportata valorizzazione della volontà del minore, affida l’espressione al
consenso informato al trattamento sanitario agli esercenti la responsabilità genitoriale o
25
dal tutore. Si è correttamente rilevato come il legislatore del 2017 sembra non aver colto
le opportunità di rinnovamento. La l. 219/2017 continua ad utilizzare le tradizionali
categorie generali e astratte giustapponendole a quelle di più recente emersione della
capacità di discernimento o di autodeterminazione.

- Il consenso del minore di età capace di discernimento:

La rilevata criticità induce d interrogarsi se debba effettivamente ritenersi affidato il criterio


della scelta del trattamento sanitario alla tradizionale capacità di agire, escludendo così il
minore di età da tale possibilità; oppure se debba preferirsi un’opzione interpretativa che
appaia in linea con il mutato assetto emergente dalla stessa regolamentazione di
carattere generale contenuta nella riforma della filiazione che individua nella concreta
capacità di discernimento del minore il criterio della rilevanza della volontà nel processo
di autovalutazione del proprio interesse nelle situazioni di natura esistenziale.

In quest’ultima direzione sembrerebbe orientato lo stesso legislatore laddove dispone che


“nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso
libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi previsti dalla legge”.

Appare difficile immaginare che a fronte del riconosciuto diritto all’informazione debba poi
negarsi la rilevanza del successivo momento decisionale, la cui attuazione è resa
impossibile in termini funzionali proprio dall’informazione resa e ricevuta.

Alla stessa maniera non deve ritenersi inappropriata la scelta normativa che affida
all’esercente la responsabilità genitoriale la manifestazione del volere nei confronti del
personale medico, atteso che tale soluzione trova giustificazione in condivisibili ragioni di
certezza del diritto, soprattutto con riferimento al destinatario della stessa. L’esercente la
responsabilità genitoriale sarà chiamato a rendere una dichiarazione che esprime una
volontà non propria ma del diretto interessato appropriatamente rilevandosi che a tale
conclusione si perviene “ riconoscendo al soggetto la indispensabile autonomia nello
svolgimento della sua personalità, anche quando lo strumento sia un atto negoziale,
senza dover necessariamente rimanere ancorati a costruzioni dogmatiche di
qualificazione del “ consenso informato” come atto non negoziale, per il quale necessaria
la capacità di intender e di volere anziché la capacità d’agire generalmente richiesta per
gli atti negoziali”.

Il sistema si fonderebbe su un duplice ordine di regole, quello deputato a disciplinare il


consenso informato della persona maggiore di età e quello diretto ad acquisire il
consenso della persona minore di età per il tramite dell’esercente la responsabilità
genitoriale in presenza di verificata capacità di discernimento all’esito del necessario
coinvolgimento del diretto interessato a protezione della sua individualità. Sarà proprio la
capacità di discernimento a definire il “ perimetro dell’idoneità del minorenne a operare le
scelte in ordine al trattamento sanitario proposto”.

La funzione del rappresentante legale sarà quella “non di sostituire l’interessato nella
scelta, bensì di concorrere con lui nella medesima”. Nel caso del minore di età capace di
discernimento il relativo consenso deve ritenersi informato, partecipato e sostanziale;
mentre nel caso di incapacità di discernimento , richiederà che al minore venga
comunque garantita, l’inclusione al momento informativo e a quel valutativo , rimanendo
escluso solamente il momento decisionale che verrà affidato agli esercenti la
responsabilità genitoriale.

Il nostro ordinamento anche nell’ipotesi in cui il minore di età sia capace di discernimento,
la corrispondente autodeterminazione risulterà “debole” almeno dal punto di vista
formale, nel senso che la relativa manifestazione all’esterno sarà di competenza
dell’esercente la responsabilità genitoriale, diversamente da quanto previsto in altri
ordinamenti che hanno optato per un autodeterminazione “in senso forte”, quale diritto
cioè del minore di manifestare formalmente il proprio consenso informato all’atto medico.

26
PARTE 3
Il ruolo del minore nel processo:
- Il minore nel sistema processuale civile, fonti sovranazionali e nazionali:
Solo negli ultimi decenni l’ordinamento giuridico ha riconosciuto al minore la titolarità di
un’ampia gamma di diritti, operando la trasformazione del bambino da oggetto a
soggetto.

È stata una trasformazione culturale e sociale non ancora totalmente compiuta, iniziata in
ambiente internazionale nei primi del ‘900 sotto la spinta di movimenti nati principalmente
in ambiente anglosassone.

Il pensiero di Korcza fu un pensiero rivoluzionario per l’epoca in cui visse perché


capovolse l’errata attitudine dell’adulto nei confronti del bambino. Dal riconoscimento del
famino com persona discente necessariamente il riconoscimento anche a lui dei diritti
fondamentali. Già nel 1920 Korcza rivendica una magna carta perché vengano
riconosciuti anche ai bambini alcuni diritti. Questa visione così centrata sulla personalità
dell’individuo in formazione e i suoi bisogni sono stati il cuore pulsante di tutte le
Dichiarazioni Internazionali, dei patti o convenzioni tra stati che si sono succedute dai
primi del ‘900 ai giorni nostri.

Centrale è la convenzione delle nazioni unite sui diritti del fanciullo, adottata nel 1989
dall’assemblea generale delle nazioni unite e i suoi tre protocolli facoltativi.

Essa è chiamata anche trattato delle quattro p, in quanto promuove la protezione e la


partecipazione in materia minorile degli stati firmatari.

Nel 1999 l’Italia ed altri 195 paesi membri delle nazioni unite hanno ratificato e convertito
in legge sia la convenzione sia i tre protocolli opzionali, pertanto i suoi principi e le sue
norme sono parte integrante del diritto interno r sono operative.

Nell’art. 3 della convenzione viene espresso il principio fondamentale, il quale, è stato


richiamato anche dalle normative e dalla giurisprudenza a livello internazionale ed è ormai
entrato a pieno titolo nel nostro sistema giuridico interno.

Gli strumenti internazionali dedicati al minore non definiscono però il principio del
superiore interesse del minore, lasciando alla discrezionalità dell’interprete il compito di
riempire di contenuto la formula; tale nozione resta sfumata e rischia di diventare “ una
sorta di passe-partout discrezionale in norme del quale da un capo all’altro della penisola
sono prese quotidianamente, attingendo al soggettivismo e alla discrezionalità.

Esiste un real pericolo di interpretazioni fuorvianti del principio del preminente interesse
del minore, ed è per questo che diventa essenziale che il giudice chiamato a risolvere i
problemi minori sia un giudice specializzato e che sia affiancato da professionisti con
competenze specifiche in modo che vengano utilizzati anche altri saperi.

All’interno delle fonti di diritto europeo è importante ricordare una seria di atti addottati
dagli organi del consiglio d’Europa e dell’unione europea; la convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e la convinzione europeo
sull’esercizio dei diritti dei fanciulli.

Il secondo capitolo di quest’ultima si occupa dei diritti procedurali spettanti al fanciullo e


delle misure necessarie a promuovere l’esercizio dei diritti medesimi. Viene poi conferito il
diritto di chiedere la designazione di un rappresentante speciale in caso di conflitto di
interessi con coloro che hanno la responsabilità genitoriale ed è altresì prevista la
possibilità di concedere diritti procedurali ulteriori su richiesta.

Quanto al ruolo dell’autorità giudiziaria viene stabilito che prima di assumere qualunque
tipo di decisione dovrà essere certa di disporre di informazioni sufficienti; nel caso di
fanciulli dotati di sufficiente discernimento, l’autorità giudiziaria dovrà assicurarsi che il
27
fanciullo abbia ricevuto informazioni pertinenti, consentirgli di esprimere la sua opinione e
di tenerne debitamente conto. Vengono poi disciplinati l’obbligo di agire con prontezza, la
possibilità di procedere d’ufficio e di designare un rappresentante. Il ruolo dei
rappresentanti sarà quello di fornire informazioni e spiegazioni di determinare la sua
opinione e di informare l’autorità giudiziaria.

Tra le misure disciplinate la mediazione per prevenire e risolvere i conflitti ed evitare


procedure che coinvolgono il fanciullo innanzi l’autorità giudiziaria. L’applicazione del
patrocinio legale o della rappresentanza giuridica del fanciullo innanzi ad un’autorità
giudiziaria qualora tali istituti siano esistenti nel diritto interno.

Più recentemente il comitato dei ministri del consiglio d’Europa h approvato le linee guida
per una giustizia a misura di minore, un sistema che presta ascolto, tiene in
considerazione la loro opinione e si assicura che siano protetti anche gli interessi di
coloro che non possono esprimersi.

vi sono poi per altre singole materie altri atti internazionali, il più importante dei quali è la
convenzione dell’Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori. Il
quadro dell’ordinamento internazionale è stato percepito da molti paesi europei attraverso
l’emanazione di molteplici riforme di diritto processuale minorile. In italia vi è una vera e
propria resistenza ad adeguarsi ai parametri indicati dalle convenzioni e dai trattati e
persino alle linee guida.

Per passare alle foti nazionali esiste una sempre più ampia giurisprudenza che applica
direttamente la convenzione ONU per interpretare le norme di diritto minorile. Al corte
ricava il principio della tutela dell’interesse del minore anche da norme di rango
costituzionale.

In attuazione della carta costituzionale, delle dichiarazioni internazionali, delle


convenzioni, negli ultimi 30 anni sono state approvate alcune leggi speciali tra cui:

- quella sull’adozione n.184 del 1983.

- Legge n.219 del 2012, con il successivo decreto attuativo che ha parificato i figli nati
dentro e fuori dal matrimonio e che ha unificato anche la disciplina della responsabilità
genitoriale.

- Organi giudiziari con competenza in materia di tutela minorile:


Nel nostro ordinamento assistiamo ad una vera e propria diaspora di competenze in
materia minorile, in quanto il sistema non attribuisce ad un unico organo giudiziario la
materia minorile ma la suddivide in capo ad una pluralità di organi.

- Tribunale ordinario: competente in materia di separazione e di divorzio e del


conseguente affidamento dei figli minori, e della regolamentazione del diritto di visita
del genitore non collocatario. È competente per le questioni patrimoniali,
regolamentazione dell’affidamento e del diritto di visita dei figli nati fuori dal
matrimonio.

- Corte d’appello: questioni relative ai reclami immediati che possono essere proposti
per la modifica dei provvedimenti provvisori emessi dopo l’udienza presidenziale e
destinati a regolamentare la crisi familiare fine alla fine de processo oppure in sede di
appello contro la sentenza di separazione/divorzio.

- Giudice tutelare: presente presso ogni tribunale ordinario è organo per lo più
monocratico e si occupa delle tutele e delle curatele, emette provvedimenti urgenti per
i minori stranieri non accompagnati, esercita vigilanza sui provvedimenti emessi dal
tribunale ordinario/per i minorenni, rende esecutivi gli affidamenti, autorizza
l’interruzione volontaria di gravidanza della minorenne, nomina l’amministratore di
sostegno.

- Tribunale per i minorenni: organo della giustizia ordinaria specializzata. È un organo


collegiale con un numero di componenti pari a formazione mista. Tutti gli organi sono

28
assegnati da consiglio superiore della magistratura la vigilanza è del presidente della
corte d’appello, la procedura adottata è quella ordinaria.

Quando i servizi sono a conoscenza che il provvedimento è stato impugnato le relazioni di


aggiornamento devono essere contemporaneamente inviate sia alla corte che al tribunale
per i minorenni.

La legge n.2019 del 2012 è intervenuta eliminando ogni disparità di trattamento tra figli
legittimi, legittimati e naturali e così ha reso indefettibile la modifica dell’art. 38 delle
disposizione di attuazione del codice civile. Tuttavia ancora oggi la tutela processuale non
è la stessa. La legge di riforma ha lasciato la dualità tra tribunale ordinario e tribunale per i
minorenni.

Anteriormente alla riforma i genitori coniugati potevano rivolgersi al tribunale ordinario


trovando un sistema unitario di giustizia, i genitori non coniugati dovevano
necessariamente rivolgersi al tribunale ordinario o al tribunale per i minorenni a seconda
del tipo di tutela che cercavano.

Alla vigilia dell’entrata in vigore della legge di riforma, il quadro in ordine al riparto di
competenza era articolato e dava luogo ad alcune difficoltà. La nuova formulazione
dell’art. 38 da un alato riduceva le materie di competenza del tribunale per i minorenni e
dall’altro introduce un limite qualora sia in corso giudizio di separazione/divorzio/giudizio
ai sensi dell’art. 316 in questi casi la competenza è del giudice ordinario.

In base alla nuova formulazione dell’art.38 “ sono di competenza del tribunale per i
minorenni i provvedimenti contemplati all’art. 84,90,330,333,334,335,371, ultimo comma
del codice civile.

La ratio della norma è chiara: favorire il simultaneus processor, ad evitare decisioni


contrastanti riducendo la competenza del tribunale per i minorenni in favore del giudice
ordinario che potrà emanare ogni provvedimento che riterrà opportuno e connesso al
procedimento in corso. Con la riforma il giudice ordinario è competente per la
determinazione delle condizioni di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal
matrimonio al fine di garantire la concentrazione delle tutele e la certezza del diritto.
Tuttavia il resto dell’art.38 ha creato altri dubbi relativi ai contenziosi non essendo chiaro
se la competenza attrattiva del tribunale ordinario riguardi solo i provvedimenti limitativi
responsabilità genitoriale o anche quelli ablativi previsti per gli abusi più gravi e la fine di
garantire la tutela al minore in alcuni distretti si sono sottoscritti dei protocolli di intesa tra
tribunale ordinario e tribunale per i minorenni ad evitare conflitti di competenze con
conseguenti ritardi giudiziari.

Anche dopo la riforma permane una disparità di trattamento processuale tra figli legittimi
e naturali, soggetti a due riti diversi.

Il tribunale per i minorenni provvede sempre in camera di consiglio e normalmente sono


procedimenti di volontaria giurisdizione che portano ad un decreto. La volontaria
giurisdizione non garantisce il contraddittorio pieno, né la difesa tecnica, lascia ampi
spazi di officiosità al giudice, ha tendenza inquisitoria, limitata impugnabilità dei
provvedimenti.

A seguito della riforma dell’art.111 della costituzione i principi del giusto processo hanno
iniziato influenzare anche il processo minorile. Il servizio sociale non ha invece
legittimazione attiva e quindi le segnalazioni non sono dei ricorsi ma sono trasmesse al
PM per le determinazioni del caso.

Il tribunale per i minorenni ha tuttora una competenza in materia di rieducazione dei


minori che diano manifeste prove di irregolarità della condotta.

Presupposto per l’applicazione della misura rieducativa è la sussistenza di manifesta


prova di irregolarità del carattere della condotta. Le misure applicabili sono:

- affidamento al servizio sociale.

- Collocamento in una casa di rieducazione o in un istituto medico-psico-pedagogico.

29
I dirigenti delle strutture ospitanti hanno obbligo di relazione sul percorso del minore e il
suo ambiente di vita e informarne il tribunale per i minorenni.

La facoltà di ricorrere al tribunale per i minorenni per chiedere l’applicazione di queste


misure spetta al PM, al servizio sociale, tutore, organismi per la protezione dell’infanzia.

Il tribunale deve svolgere un’indagine sulla personalità del minore e decidere in camera di
consiglio alla presenza del minore e di chi ne ha la responsabilità genitoriale.

Queste misure possono intervenire anche in aiuto e a sostegno dei genitori.

- Pubblico Ministero minorile:


Per ogni tribunale per i minorenni è istituito un ufficio autonomo delle pm che, rivestiva un
ruolo molto simile a quello del pm presso il tribunale ordinario, limitato cioè ad un
intervento formale e poco partecipativo.

Oggi vi è un forte ripensamento del ruolo e della figura del pm nelle procedure civili
minorili. Al pm minorile tuttavia il minore può rivolgersi direttamente mentre non è
legittimato ad invocare la tutela del tribunale per i minorenni in via diretta.

Il pm minorile è una delle parti che più formulare richieste al giudice che agisce nei
procedimenti minorili mediante l’attivazione dell’azione civile senza alcun potere decisorio
nemmeno urgente o cautelare. È imparziale perché deve muoversi per un interesse
pubblico e non particolare.

I principali settori in sui si muove sono quelli dell’abbandono, decadenza o limitazione


della responsabilità genitoriale. Il ruolo del pm minorile è stato modificato dalla legge
149/2001 cha ha stabilito una concentrazione in capo al mmm di tutte le segnalazioni
relative ai minori in stato di abbandono. Sia i pubblici ufficiali che gli incaricati al pubblico
servizio devono segnalare situazioni che ritengono gravi unicamente al procuratore della
repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo in cui si trova il minore.

Questa disciplina è valida anche per i procedimenti che controllano la responsabilità


genitoriale. Tute queste segnalazioni andranno filtrate e istruite verso un’indagine più
approfondita che porti ad interessare il tribunale per i minori solo quando ciò sia
veramente necessario per intervenire sulla responsabilità genitoriale tutela del minore.

Nella prassi questo ruolo nodale del pm non è ancora così chiaro e attuato.

Con la riforma dell’art. 38 l’esigenza di coordinare il ruolo attivo del pm si è resa ancora
più evidente. La nuova disciplina non ha ampliato l’azione del pm ordinario.

Laddove alla domanda di tutela di minore abbiano provveduto o i genitori o il tutore o i


parenti del minore, il pm ha l’obbligo di intervenire nel processo affinchè l’interesse del
minore sia salvaguardato.

Il pm è chiamato ad intervenire nelle cause riguardanti la capacità e gli status personali


relativi alla cittadinanza e alla protezione internazionale, all’affiliazione, all’adozione. La
legge n. 47 del 2017 ha attribuito al pm ulteriori specifiche competenze in materia di
protezione dei minori stranieri non accompagnati.

In concreto, la mancata partecipazione del pm continua ad esser ritenuta rilevante sul


piano processuale.

Una valorizzazione del ruolo del pm è stata con la legge n. 162 del 2014 che ha indotto
nel nostro ordinamento la c.d. negoziazione assistita, applicabile ai sensi dell’art. 6 della
normativa. Le coppie che intendono ricorrere a questo nuovo istituto sottoscrivono una
convenzione, assistiti ognuno da un avvocato, con la quale si impegna a cooperare tra
loro con buona fede e lealtà, osservando il dovere di riservatezza. Tale convenzione,
redatta i forma scritta, disciplina lo svolgimento della negoziazione che porterà ad un
accordo tra i coniugi. Dopo la sottoscrizione dell’accordo, dia questo che la convenzione
devono esser trasmessi al procuratore della repubblica presso il tribunale ordinario
affinché possa apporre il nulla osta.

Un ruolo particolare ricopre il pm minorile anche nella procedura prevista dall’art. 403c.c.
dettata per l’ipotesi di intervento della pubblica autorità a favore dei minori. Tale norma
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prevede che la pubblica autorità a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia lo
collochi in un luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua
protezione.

Tale norma è rimasta immodificata e spesso è lo strumento utilizzato per un intervento


immediato, per intervenire in situazioni i cui il minore versi in una situazione di grave
pregiudizio che richieda un allontanamento immediato dalla famiglia. In questi casi la
pubblica autorità ha l’obbligo di intervenire a tutela del minorenne collocandolo in un
luogo sicuro.

Di fatto l’intervento ex art. 403 c.c. viene attuato o dal sindaco o dalle forze di polizia, am
deve essere formalizzato in un provvedimento motivato che descriva la situazione di
pericolo e i rimedi attuati. Post il minore in un luogo sicuro l’autorità deve avvisare il pmm
che trasmetterà gli atti al tribunale per i minorenni per i provvedimenti.

La segnalazione al pmm è necessaria anche per i casi di collocamento del minore insieme
ad uno dei genitori o in ipotesi di collocamento in struttura su richiesta di un genitore per
questioni di indigenza.

- Riti e giusto processo:


Da questo excursus è agevole rivelare che il processo civile minorile è negativamente
caratterizzato da una pluralità di riti. In realtà con la riforma del 2012 si era spera
nell’introduzione di un nuovo rito a tutela del minore coinvolto nel conflitto familiare. Così
non è stato e le controversie relative a minori seguono il rito camerale in forza del
richiamo generale operato dall’art. 38 comma 3, con ciò non garantendo al minore
l’effettiva protezione.

Proprio la normativa costituzionale ha messo ancora più in crisi l’esistente sistema.

Tale norma esige infatti che ogni processo si svolga nel contraddittorio delle parti,
garantisca un giudice terzo e una ragionevole durata del processo.

Ognuno di questi principi andrebbe declinato nel processo minorile con una duttilità che
attualmente si scontra con norme ancora molto rigide e adultocentriche.

Il principio del contraddittorio nel processo minorile non può essere applicato rigidamente
ma deve adattarsi a caso concreto; ciò che va perseguita è la verità sostanziale.

Quanto alla terzietà del giudice, essa è stata valorizzata nei procedimenti per la
dichiarazione di adottabilità, e la necessità per la difesa tecnica per genitori e minore,
stante l’eliminazione della possibilità per il giudice di assumere iniziative d’ufficio ora
riservate al pm.

Quanto alla ragionevole durata del processo, la delicatezza delle questioni giuridiche
affrontate nel processo impongono all’autorità giudiziaria di agire con estrema celerità.

In numerose pronunce la corte europea dei diritti dell’uomo ha posto in rilievo


l’importanza del fattore tempo, con la conseguente necessità di adottare in tempi brevi le
decisioni che li riguardano pena gravi rischi nel loro sviluppo. Da ciò la necessità durante
il processo di avere provvedimenti interlocutori.

In tal senso vanno già richiamate le linee guida sulla giustizia minorile adottate nel 2010
dal consiglio d’Europa che indicano l’urgenza quale principio caratterizzante ogni
procedimento che riguarda un minore e che dovrebbe sempre essere applicato per fornire
una risposta rapida per proteggerlo al meglio nel rispetto della legge.

Nel processo minorile non avrebbe esserci una dualità di procedimenti poiché, trattandosi
di situazioni sempre in itinere la fase di attuazione del procedimento dovrebbe essere
eseguita dallo stesso giudice che ha pronunciato il provvedimento.

A tale visone è ispirata la regola di cui l’art. 337 ter che ha trasferito nel codice civile la
disposizione già contenuta nell’art. 6 della legge sul divorzio rendendola così applicabile
anche alle separazioni e ai provvedimenti dettati per la regolamentazione dei figli nati fuori
dal matrimonio. Il legislatore quindi dovrebbe dare unità di rito flessibile specializzato e
volto a superare l’ibrida figura del giudice.

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- La qualità di parte del minore di età:
Appare evidente come la partecipazione del minore ai procedimenti che coinvolgono i
suoi diritti esistenziali non sia più solo una mera utopia ma una necessità che debba
trovare attuazione non solo come soggetto che va ascoltato ma i cui interessi debbano
essere difesi e rappresentati.

La disciplina processuale nonna però dettate norme generali che stabiliscano le forme di
partecipazione del minore ai giudizi che lo riguardino. Anche in questo caso la
stratificazione di norme non hanno rispettato l’esigenza di unitarietà della tutela del
minore. I procedimenti che riguardo il minore possono rientrare in 2 categorie:

1. Quelli diretti ad accettare/negare l’esistenza della titolarità di veri status.

2. La crisi di famiglia che va ad incidere su diritti personali o patrimoniali di cui il minore


è titolare e sul loro esercizio.

Nel primo tipo il minore è parte necessaria e trova adeguata tutela, nella seconda è
destinatario ed è dubbia la sua qualità di parte processuale oltre che sostanziale.

Il concetto di parte sostanziale del procedimento è strettamente correlata con la capacità


giuridica, ma mentre è sempre stato abbastanza agevole riconoscere questa capacità
anche in capo ia minori di età con riferimento ai loro diritti patrimoniali nei confronti dei
terzi, rimane ancora difficile il passaggio del riconoscimento per la tutela dei diritti del
minore e dei suoi diritti patrimoniali coinvolti nella crisi familiare.

Il minore può rivestire sia il ruolo di parte in senso sostanziale e in senso processuale,
nonostante gli sia negata la qualificazione di soggetto degli atti perché privo della
capacità di rivestire la qualità di parte in senso formale. La qualità di parte processuale è
negata al minore perché incapace di disporre del libero esercizio dei propri diritti coinvolti
nella diatriba familiare.

Si avverte in questa ricostruzione la debolezza della posizione del minore al quale la


costituzione riconosce, diritti, ma il cui effettivo esercizio non viene garantito
dall’ordinamento processuale interno. Sul piano teorico la debolezza del minore che vien
coinvolto nella crisi familiare trova un supporto nel ruolo del pm minorile al quale è
riconosciuta una forma straordinaria di tutela.

Il pm sopperisce all’incapacità del minore rendendosi promotore dell’azione dinanzi


all’autorità giudiziaria. La qualità di parte del minore è stata compiutamente riconosciuta
dal giudice delle leggi con la pronunzia n. 1 del 2002 che ha affermato che in ogni
procedimento dove il minore è coinvolto è necessario nominargli un curatore e un
difensore.

Il riconoscimento del ruolo di parte processuale di parte processuale del minore è stato
confermato anche in tempi più recenti della corte costituzionale nel 2009 e nel 2011.

- L’ascolto:
La configurazione dl minore come parte processuale va ricondotta allo schema del giusto
processo, ance se l’ascolto attiene alla necessità di prendere in considerazione l’opinione
del minore capace di discernimento attraverso la sua audizione, mentre l’attribuzione al
minore della qualità parte deriva della diversa esigenza di garantire loro la partecipazione
al processo in ipotesi anche in posizione conflittuale con i propri genitori.

L’obbligo di procedere all’ascolto del minore non presuppone che esso sia parte del
procedimento. La nozione di ascolto richiama il prestare attenzione, ed è nuova per il
mondo giuridico.

Questo percorso ha riscontrato dei conflitti da parte delle prassi dei tribunali e dei singoli
magistrati che hanno reso necessario l’intervento dei supremi organi. L’ascolto non
costituisce mezzo di prova né una forma di interrogatorio libero, esso è invece strumento
di tutela del minore finalizzato a far sentire la sua voce nel processo. Le dichiarazioni del
minore mirano a formare il convincimento del giudice e lo svolgimento di tale attività è

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regolata da una serie di disposizioni sul tempo e le modalità volte a garantire la funzione
dell’ascolto, ed è in questo modo che l’ascolto viene riconosciuto come vero e proprio
diritto processuale del minore.

Dar voce al minore nel processo consente al giudice di approfondire la sua personalità.
Nell’ambito internazionale ed europeo l’ascolto del minore è un passaggio obbligatorio
sicché la sua omissione si tramuta in una causa ostativa al riconoscimento del
provvedimento negli altri stati impedendone la libera circolazione nello spazio giuridico
europeo; anche le linee guida del consiglio d’Europa attribuiscono all’ascolto del minore
un fondamentale importanza come forma di espressione del suo diritto alla
partecipazione al processo e ne descrivono le modalità.

Tali linee guide hanno inciso molto come strumento interpretativo indirizzando la
giurisprudenza e le prassi dei tribunali e condizionando la nuova disciplina del 2012 con
cui finalmente la legislazione italiana ha recepito il principio sovranazionale dell’ascolto.

Le norme codicistiche in materia di ascolto sono state ridotte ad unità nel 2013.
Speculare è la noma processuale che ne disciplina le modalità di ascolto.

Il riconoscimento dell’effettività di questo diritto è stato lento e ha trovato molta resistenza


tant’è che anche nel 2019 vi sono sentenze della cassazione che cassano con rinvio
pronunce di merito proprio per aver omesso l’ascolto.

La presunzione della capacità di discernimento impone al giudice di provvedere una


scansione procidementale dedicata all’ascolto stesso da svolgersi secondo le modalità
stabilite dall’art. 336 bis. All’interno delle quali spiccano l’obbligatorietà della conduzione
e la preventiva informazione del minore sulla natura del procedimento e sugli effetti
dell’ascolto, l’ingiustificata mancata audizione rende nullo il procedimento.

Con riferimento, all’ascolto del minore infradodicenne capace di discernimento


costituisce adempimento previsto a pena di nullità.

I principi però indiscutibili sono i seguenti:

- l’ascolto è un diritto del minore.

- Va svolto in via diretta sempre dal giudice.

- Il minore va informato della natura del procedimento.

- Dell’adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del


minore.

- L’obbligo si estende a tutti i procedimenti che coinvolgono il minore.

Molti tribunali si sono dotati di protocolli di intesa con gli avvocati sulle modalità ascolto.

Va però rilevato che nella prassi il diritto del bambino ad essere ascoltato subisce un vero
e proprio azzeramento laddove si tratti di procedimenti non contenziosi o che si chiudano
con un accordi consensuale. Di fatto si è sempre ritenuto che in questo caso l’ascolto sia
superfluo.

Ma la superfluità è stata letta in chiave adulticentrica, mentre il minore avrebbe qualcosa


da dire anche in relazione ad un accordo che parla di lui e che prevede una
regolamentazione che lo riguarda.

Inoltre, tenuto conto dello spazio giuridico europeo, l’omesso ascolto nei procedimenti
non contenziosi andrà motivato, ad evitare che i provvedimenti non possano essere poi
eseguiti al di fuori del nostro paese.

Speculare a quanto detto è il diritto del minore a non essere ascoltato, è giusto
domandarsi se sia necessario ottenere il consenso del minore all’espletamento di questo
incombente. L’audizione deve in ogni caso essere condotta in modo tale che egli possa
esprimere le proprie opinioni ed esigenze libero da interferenze.

- La rappresentanza processuale:
Il diritto del minore a partecipare al processo che coinvolga suoi diritti esistenziali non si
ferma all’ascolto ma dovrebbe portare ad una vera e propria tutela processuale se non ad
un potere di azione, quantomeno ad una difesa effettiva e alla rappresentanza.

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Nel nostro ordinamento non vi è una disciplina unitaria che disciplini il diritto all’autonomia
del bambino/adolescente, ma il legislatore è intervenuto senza una ratio, individuando
possibili età diverse per compiere determinati atti. vi sono quindi una serie di categorie in
cui l’autonomia è stata riconosciuta ed altre in cui è stata ricavata in via interpretativa.

vi è quindi un’area legislativa abbastanza ampia che riguarda la salute e gli atti di
disposizione del proprio corpo e della propria personalità in cui si assiste ad
un’anticipazione della capacità di agire.

La tendenza del legislatore a staccare il dato della compiutezza del processo maturativo
del mero dato anagrafico è sempre più forte. Ma il minore di età benché sia parte del
processo, è incapace di parteciparvi personalmente a tutela dei propri diritti, in quanto
sarebbe privo della capacità di agire.

Il soggetto minore di età benché dotato della legittimatio ad causa, è privo della capacità
processuale, ovvero della legittimatio ad processum, potendo agire in giudizio o compiere
atti processuali solo se legalmente rappresentato.

Tale rappresentanza spetta ai genitori mentre quando i genitori non ci sono al


rappresentanza è devoluta al tutore nominato da giudice tutelare.

Quando vi sia conflitto tra genitori e figlio o tra tutore e minore si applicano le norme
relative al curatore speciale. Nel sistema vigente il curatore speciale è la persona
nominata quale rappresentante del minore nei casi di conflitto con i genitori anche in caso
di disinteresse/inerzia.

Il curatore può avere come funzione quella di compiere uno o più atti o di dover instaurare
o partecipare ad un processo. Anche per la figura speciale del minore, la normativa è
polverizzata in una serie di norme disseminate nel codice civile, ma la convenzione di
strasburgo ha fatto ordine richiamando l’attenzione sulla necessità che il fanciullo sia
rappresentato in ogni processo che lo riguardi. Anche le linee guida adottate dal comitato
dei ministri del consiglio d’Europa contengono indicazioni circa la rappresentanza del
minore nel caso di conflitto di interessi. Dalla lettura della normativa sovranazionale e dai
principi che la ispirano non sembrerebbe esserci dubbi che tale tutela debba essere
estesa a qualunque procedimento che riguardi il minore. Ma la realtà invece è diversa e le
lacune sul piano positivo sono enormi il che porta ad una grave discriminazione dei diritti
del minore nonostante le norme procedurali diano al giudice l’obbligo dii verificare
d’ufficio l’osservanza del contraddittorio e gli eventuali difetti di rappresentanza/
assistenza/autorizzazione, un ruolo importante potrebbe svolgerlo il pm che può in ogni
caso porre rimedio, per mezzo della richiesta di nomina di curatore speciale all’autorità
giudiziaria qualora ravveda un conflitto.

In quanto tale si è inserita la legge n.149 del 2001 che ha previsto la figura del difensore
del minore nei procedimenti relativi ai diritti relazionali. Tale legge ha previsto l’obbligo
dell’assistenza del difensore nelle procedure di adottabilità e nelle procedure de potevate.
L’entrata in vigore risale la 2007. La nomina di un avvocato per la difesa tecnica del
minore spetta al rappresentante legale o ad un curatore speciale, il quale, rimane distinto
dal difensore anche se cumulabili nelle stessa persona. Il difensore del minore dovrebbe
avere una particolare capacità ed attitudine a comprendere bisogni e le esigenze di un
soggetto in evoluzione e di rappresentarlo nella dialettica processuale.

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