Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
PARTE 1
- Diritti e interesse del minore;
La costituzione non riserva una considerazione specifica ai diritti del minore ne contiene
l’enunciazione espressa di un divieto di discriminazione per ragioni di età; è vero però che
la titolarità delle diverse situazioni soggettive di vantaggio in cui si sostanzia il supremo
valore dell’auto- compimento individuale è riconosciuto alla persona in quanto tale e
dunque al minore non diversamente che all’adulto.
Il minore non è affatto compreso come protagonista attuale della sua vicenda
esistenziale. In ragione della sua presunta e permanente immaturità psicologica è
considerato piuttosto come un differenziato oggetto di tutela in vista di un protagonismo
futuro, ma nell’attesa del futuro i suoi diritti degradano a meri interessi affidati alla cura
discrezionale dei genitori. Si perde cos’ completamente di vista il potenziale
emancipatorio del progetto costituzionale.
Si afferma così che i limiti alla capacità di agire non avrebbero altra giustificazione se non
quella di consentire l’esercito di un controllo sciale sui minori volto alla normalizzazione
dei comportamenti e delle scelte del futuro adulto.
Il rischio è allora che, nonostante le migliori intenzioni, anche questa proposta finisca in
realtà per essere strumentale alle esigenze dl mercato.
Di qui l’esigenza di valorizzare l’autodeterminazione del minore in ordine alla sua sfera
personale.
L’idea che l’autodeterminazione del minore debba prevalere anche nei confronti dei
genitori sembra in realtà incompatibile con il disegno costituzionale: in oggetti nello
statuire che l’educazione dei figli è “dovere e diritto dei genitori” l’era.30 comma 1 cost.
Configura in capo ad essi un autentico manus privato.
Quella norma riconosce cioè ai genitori un potere che è strumentale non alla realizzazione
di un loro interesse ma all’adempimento del dovere imposto agli stessi genitori di farsi
carico della formazione morale, spirituale, sociale dei figli: un dovere che nel rispetto delle
norme personalistiche deve essere adempiuto dai genitori avendo di mira il pieno
sviluppo della persona completa del figlio.
Ma se l’educazione dei figli rimane un manus dei genitori, allora esci devono poter limitare
quelle manifestazioni. Di autonomia del figlio che appaiono idonee a compromettere un
progetto educativo ispirato alla promozione della sua persona.
Di conseguenza nel campo degli atti a contenuto personale del fiore capace di
discernimento la regola dovrebbe essere quella del concetto della volontà, anche tacito.
Non è certo esclusa l’eventualità del conflitto e del conseguente intervento del giudice
volto Ada eliminarlo: nella soluzione dl conflitto tra genitori e figlio il giudice è chiamato
risanare la relazione educativa rendendola di nuovo efficiente ed idonea a far si che il
minore possa sperimentare un’autonomia sempre maggiore in un contesto di permanente
sostegno da parte dei sui genitori.
Il ruolo del giudice non è mai sostitutivo, esso piuttosto chiamato a individuare il soggetto
di volta in volta più idoneo a realizzare l’interesse del minore.
Il paradigma della protezione del minore per il tramite di una relazione educativa dialettica
e non autoritaria sembra esser l’unico capace di dare sostanza alla carica emancipatoria
del progetto istituzionale.
Una relazione educativa di tipo del tipo indicato non configurabile se non nell’ambito di un
rapporto come quello che si da tra il minore e i suoi genitori. In virtù della gratuità che
dovrebbe conformarlo.
All’Interno di una relazione così fatta diviene possibile quella maturazione progressiva del
minore come persona libera e con ciò anche quella maturazione progressiva del suo
diritto inviolabile a essere protagonista di una storia individuale e collettiva.
In questa prospettiva il diritto a una relazione educativa con i propri genitori che sia
rispettosa del valore sovra-utilitaristico della persona, emerge allora come il primo e più
importanti diritto del minore.
Appare significativo per contrasto che la carta dei diritti fondamentali dell’unione europea
nel dedicare ai “diritti del minore“una norma apposita, disponga semplicemente che “i
minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere” e che “ i
minori hanno diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i
due genitori, salvo qualora sia ciò contrario al suo interesse”, senza fare alcuna menzione
del manus educativo dei genitori né del correlativo diritto del figlio nei loro confronti.
Rimangono solo diritti del minore, evidenziando ciò che la matrice antropologica astratta
individualista di qua documento normativo.
Il problema della condizione giuridica del minore è percepito in maniera riduttiva come un
semplice problema di non discriminazione e non come un problema di promozione
umana e sociale.
Nel preambolo della carta si afferma che l’unione si fonda su valori indivisibili e universali
della dignità umana, della libertà dell’uguaglianza e della solidarietà e che essa pone la
persona al centro della sua azione.
La “persona” di cui si parla sembra qui sembra però colta a prescindere da quella fitta
rete di relazioni in cui concretamente essa si svolge; così la persona si riduce ad una
semplice tensione verso il soddisfacimento di bisogni e quindi a pura autodeterminazione.
Non di meno a parte il fatto che la corte costituzionale può sembrare essere chiamata a
verificare se il dritto dell’unione europea contrasti con i principi supremi dell’ordinamento
costituzionale, bisogna comunque tenere presente che in base all’art.51 della carta le sue
disposizioni si applicano alle istituzioni dell’UE , mentre vincolano le istituzioni statali e i
loro atti solo i quanto tali istituzioni ed atti operano nell’attuazione del diritto dell’unione.
2
Poi bisogna considerare che l’art. 53 della carta precisa che “nessuna disposizione della
carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione delle costituzioni degli
stati membri”.
In nessun modo dunque l’art. 24 della carta potrebbe essere adatto per mettere in
discussione il manus educativo dei genitori, giacché questo ai sensi dell’art.30 comma 1
cost. Costituisce un loro diritto inviolabile.
Questa norma si apre con l’enunciazione del diritto del figlio al mantenimento,
all’istruzione e all’educazione nei confronti dei genitori cui segue l’ulteriore statuizione
secondo cui il figlio ha diritto di crescere in una famiglia; ciò allo scopo di mettere in
chiaro fin da subito che la famiglia è il luogo naturale in cui una relazione educativa
autenticamente rispettosa delle esigenze della norma personalista può e deve essere.
Nella cultura giuridica italiana la convenzione di New York ha potuto svolgere un ruolo
decisivo nel favorire la comprensione autentica dei principi costituzionali sulla condizione
giuridica del minore, promuovendo una presa di coscienza in ordine alla piena titolarità di
diritti in capo ad esso.
3
La convenzione non intente mettere in discussione non solo che il minore è titolare di
tutti i diritti civili e libertà fondamentali della persona ma neppure che un autentico
protagonismo sociale dell’individuo non può prescindere da un’opera educativa non
omologante oppressiva qual è quella naturalmente destinata ad esplicarsi nel contesto
amorevole della famiglia.
Conciò sembra già sufficientemente chiara la presa di distanza sella convenzione sia da
un prospetta ripiegata sule esigenze di tutela del minore affidate alla gestione degli adulti
sia dall’opposta prospettiva che lo riconosce senz’altro capace di un’autonomia che non
trova alcun limite nel manus educativo dei genitori.
Talora questo ruolo di guida dei genitori dell’esercizio delle libertà fondamentali del
minore è ribadito dalla stessa norma che gli riconosce un determinato diritto: altre volte
la norma si preoccupa invece di precisare che certe opinioni devono comunque essere
prese in considerazione tendendo conto dell’età e del grado di maturità di chi le ha
formulate.
Non c’è dunque nessuna mistificazione nel riconoscimento delle libertà fondamentali del
minore; certe libertà sussistono effettivamente anche in capo ad esso, ma possono
essere esercitate solo nei limiti posti dal rispetto delle finalità proprie del manus educativo
dei genitori.
Non si può obiettare dunque quindi che nella prospettiva autentica della convenzione e
contenuti del manus educativo rimangono indeterminati e che sono perciò rimessi a
un’arbitraria definizione da parte dei suoi titolari.
Al termine di questa analisi dei contenuti della convenzione di New York torniamo sul dato
del riconoscimento in capo al minore anche di una serie di diritti sociali accanto alle
tradizionali libertà fondamentali.
La convenzione riconosce al minore anche diritti non ascrivibili alla categoria dei diritti
civili, i quali sebbene non presentino la struttura tipica del diritto a prestazione, hanno pur
sempre di mira la realizzazione dell’imperativo della giustizia sociale, sicché anch’essi
posso essere qualificati come diritti sociali.
4
GLI STRUMENTI DI PARTECIPAZIONE DEL MINORE E LA CONVENZIONE DI
STRASBURGO:
La prospettiva fatta proprio sia dalla costituzione sia dalla convenzione di New York,
secondo cui i diritti e le libertà fondamentali del minore possono e devono realizzarsi
all’interno di una relazione educativa con i genitori che sia rispettosa della personalità del
minore e che esibisca perciò una struttura dialettica e non autoritaria, implica che il
minore debba sempre poter esprimere liberamente la sua opinione sulle diverse questioni
e procedure che lo riguardano nella misura in cui sia in grado di farlo.
Il diritto all’ascolto svolge un ruolo insostituibile in vista di una promozione autentica delle
persone in formazione.
L’ascolto del minore costituisce un criterio pedagogico decisivo, nel senso che, soltanto
laddove esso è garantito, la relazione educativa può dirsi davvero informata al rispetto del
valore utilitaristico della persona.
Il legislatore del 2012 ha previsto che il diritto l’ascolto debba senz’altro essere
riconosciuto al minore che abbia compiuto 12 anni di età mentre ha condizionato il diritto
del minore infra-dodicenne alla verifica in concreto delle sue capacità di discernimento.
Oggi il diritto all’ascolto è riconosciuto anche nella carta dei diritti fondamentali
dell’unione europea nella norma dedicata ai diritti del minore,
La convenzione di New York è stata determinante nel far sì che il diritto all’ascolto fosse
progressivamente compreso non solo quale corretta modalità di esercizio del manus
educativo, ma anche nella sua proiezione processuale nei diversi contesti patologici in cui
il minore può trovarsi coinvolto a diverso titolo, e dunque quale strumento funzionale a
consentire alla sua voce di raggiungere l’autorità giurisdizionale che si trovi a dover
decidere su questioni che possono incidere sui suoi diritti.
L’art.12 comma 2 della convenzione dispone infatti che deve essergli riconosciuta la
possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo
concerne.
A partire dall’indicato dato convenzionale tenendo conto anche delle disposizioni che
hanno favorito il consolidamento del diritto dell’ascolto nell’ordinamento interno, la
giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che l’ascolto del minore da parte dl
giudice deve essere garantito in tutti i giudizi i cui effetti si producono anche nella sua
sfera giuridica.
Il mancato ascolto darebbe luogo a nullità del provvediamo in quanto costituirebbe una
una violazione del principio del contraddittorio e dei principi che regolano il giusto
processo; non è però da intendersi nel senso che sussista una necessità incondizionata
di coinvolgere il minore nel processo.
5
La soluzione secondo cui il giuda non procede all’ascolto che appaia in contrasto con
l’interesse del minore o manifestatamente superfluo è del tutto coerente con una
concezione non oltranzista dell’autodeterminazione del minore.
Un discorso analogo deve valere poi anche con riferimento all’incidenza delle risultane
dell’ascolto sulla decisione del giudice, infatti la giurisprudenza è dell’avviso che il giudice
possa anche decidere in senso difforme rispetto all’opinione espressa dal minore,
dovendo però motivare adeguatamente in maniera tanto più approfondita quanto
maggiore sia stato considerato il grado di discernimento del minore.
Sulle modalità dell’ascolto dispongono ora con un certo dettaglio i commi 2 e 3 dell’art.
336 bis c.c.
Si dice innanzitutto che l’ascolto condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di
altri ausiliari e che i genitori, anche quando sono parti processuali del procedimento, i
difensori delle parti, il curatore speciale del minore e del pubblico ministero sono ammessi
a partecipare all’ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti
prima dell’inizio dell’adempimento.
Quando la salvaguardia del minore è assicurata con idonei mezzi tecnici quali l’uso di un
vetro specchio, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore ed il pubblico
ministero possono possono seguire l’ascolto dl minore in un luogo diverso da quello in
cui si trova senza chiedere l’autorizzazione del giudice.
Si esclude che l’ascolto possa realizzarsi in maniera indiretta ad esempio per il tramite
delle relazioni che gli operatori dei servizi sociali svolgono nell’ambito della loro attività.
Va da sè inoltre che il giudice deve essere in grado di entrare in una relazione di empatia e
di fiducia con il minore.
I diritti processuali del minore non sono destinati ad esaurirsi nell’ascolto, bisogna infatti
tener conto della diversità dei giudizi in cui può trovarsi coinvolto:
2. vi sono giudizi nei quali la necessità di riconoscere il minore la qualità di parte vera e
propria del giudizio.
Non di meno l’ascolto ha pur sempre la funzione di fornire informazioni su determinati fatti
da parte dello stesso minore e di contribuire alla determinazione del suo interesse, sicché
in nessun modo potrebbe essere considerato il mezzo attraverso cui si realizza la
presenza del minore nel processo con la pienezza dei poteri propri della parte.
A tal fine è necessario che al minore sia riconosciuta una rappresentanza tecnica distinta
da quella dei genitori e dunque la possibilità di nominare un avvocato.
Per quanto il minore sia parte del processo, deve escludersi che egli abbia anche la
capacità di stare in giudizio. Quest’ultima coincide co il libero esercizio dei diritti che si
fanno valere in giudizio e dunque con la capacità di agire (18 anni).
In ogni caso dovrebbero però stare in giudizio col ministero di un proprio difensore.
Tali disposizioni sono perlopiù intese nel senso che al minore deve essere anzitutto
nominato un curatore speciale.
Ciò non esclude che il diritto continui a presentare delle lacune: sorprende anzitutto che
anche dopo gli interventi del legislatore del 2012/2013 l’art. 336 c.c. dispone tuttora che i
procedimenti sulla responsabilità genitoriale siano addottati su ricorso dell’altro genitore,
6
dei parenti o dal pubblico ministero e anche del genitore interessato, senza contemplare
invece la possibilità che l’intervento del giudice sia sollecitato direttamente dal minore.
Una lacuna di un certo rilievo è rappresentato dal fatto che l giudice non possa dispone
d’ufficio la nomina di un curatore speciale del minore in casa di conflitto di interessi con i
genitori.
Questo problema sembra però essere stato risolto dalla giurisprudenza in via
interpretativa; a tal fine è stato decisivo il riferimento al sistema delle fonti internazionali,
con specifico riguardo ai diritti processuali del minore, integrato anche con la
convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori fatta a Strasburgo il 25/01/2003
n.77 .
Si chiarisce poi che quando il diritto interno priva i detentori della responsabilità
genitoriale, il minore ha diritto di richiedere personalmente o tramite altre persone od
organi la designazione di una rappresentante speciale nei procedimenti lo riguardano
dinanzi a un’autorità giudiziaria e che l’autorità giudiziaria deve riconoscersi il potere di
procedere d’ufficio alla designazione.
È chiaro il riferimento alla necessità che anche il minore laddove è parte in senso proprio,
possa stare in giudizio col ministero di un difensore personale.
Mentre nella convenzione di New York deve essere riconosciuta efficacia imperativa
nell’ordinamento interno: l’efficaci diretta della convenzione di Strasburgo nel diritto dei
singoli stati aderenti è espressamente limitata alle sole categorie di controversie familiari
indicati all’atto della ratifica.
Ai sensi dell’art. 3 comma 1 della convenzione di New York, in tutte le decisione relative ai
fanciulli, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.
Una situazione analoga si rinviene ora anche nell’art. 24 comma 2 della carta dei diritti
fondamentali dell’unione europea che sancisce il diritto del minore all’ascolto sulle diverse
questioni che lo riguardano in considerazione della sua età e maturità.
Il riferimento all’interesse superiore del minore ricorre poi anche in talune norme della
convenzione di Strasburgo.
Proprio in virtù di queste indicazioni che rinvengono nelle fonti internazionali i riferimenti
all’interesse del minore, qualificato come superiore, preminente, prioritario o esclusivo,
7
sono divenuti sempre più frequenti anche a livello della legislazione ordinaria, in special
modo nel codice civile.
Tenendo conto anche dell’art 117 comma 1 cost. Secondo cui la potestà legislativa deve
esser esercitata non solo nel rispetto della costituzione ma anche dei vincoli derivati
derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, è stato giustamente
osservato che l’interesse del minore è ormai divenuto un valore apicale di sistema,
avendo assunto il ruolo di nuovo principio sistematico organizzatore di tutto il diritto
minorile e si potrebbe dire di tutto il diritto di famiglia.
È solo nell’indicata prospettiva costituzionale del pieno sviluppo della persona del minore
all’interno della relazione educativa con i genitori che l’interesse del minore, senza
depotenziare i diritti dei minori, rimettendone la realizzazione all’arbitrio degli adulti, può
conservare un ruolo decisivo quale strumento necessario per la loro piena attuazione, e
dunque in funzione di supporto e di rafforzamento degli stessi.
Solo se si muove muove dell’assunto che anche il minore è titolare di diritti che può però
far valere solo insieme ai suoi genitori e comunque non in maniera pienamente autonoma,
l’interesse del minore può ancora svolgere un ruolo insostituibile quale criterio valutativo
dell’esercizio di u qualche diritto del minore.
Con ciò si comprende anche perché l’interesse del minore non può intendersi
correttamente né come un interesse generale ed astratto, individuabile a priori; né come
un interesse riferito unicamente al futuro.
Deve trattarsi piuttosto dell’interesse concreto del singolo minore nella precisa situazione
in cui si trova, e dunque un interesse individuabile solo a posteriori, sulla base di una
valutazione personalizzate e contestualizzata.
Si tratta infatti di promuovere il pieno sviluppo di una persona determinata, non di imporre
ad esso un astratta paradigma educativo.
L’interesse del minore non può darsi cioè che come nozione sfumata e dai contorni
indefiniti, affidata alla concretizzazione sapiente di un giudice equilibrato e
adeguatamente formato, consapevole che il suo compito è quello di risolvere al meglio il
caso specifico venuto alla sua attenzione e non quello di perseguire un qualsiasi
obbiettivo di rinnovamento sociale.
La discrezionalità del giudice non può comunque ritenersi priva di qualsiasi limite; in
nessun modo la concretizzazione giudiziale dell’interesse del minore potrebbe condurre
ad esiti contrastanti con i principi fondamentali dell’ordinamento e con le esigenze poste
dal rispetto del valore sovra-utilitaristico della persona.
Tantomeno non sembra in alcun modo ipotizzare che l’interesse del minore debba imporsi
senz’altro sui diritti fondamentali degli altri soggetti con i quali il minore entra in relazione
e sugli altri interessi in gioco.
Una simile idea non sembra trovare altro fondamento che in una traduzione
approssimativa della formula inglese “best interest of the Child” adottata dalla
convenzione di New York una traduzione per cui la formula “ i migliori interessi del
bambino” è stata resa sbrigativamente come “superiore interesse del fanciullo”
esprimendo così un’idea di comparazione tra gli interessi del minore e quelli di altri
soggetti, e di superiorità dei primi ai secondi.
Quella traduzione e quell’idea hanno finito per consolidarsi nell’uso del legislatore e della
giurisprudenza nazionale, offrendo così un comodo e inattaccabile argomento retorico
utile al fine di motivare interventi legislativi o singole decisioni giudiziali.
Infatti certe soluzioni più che essere argomentata in base a una rigorosa razionalità
assuntiva, trovano fondamento in un’interrogazione della giustizia condotta direttamente
dal giudice in piena libertà da ogni vincolo sistematico, segnatamente con il principio del
8
superiore interesse del minore, che viene fatto reagire direttamente sul fatto a prescindere
dalla mediazione della fattispecie, consentendo anzi il superamento di eventuali
configgenti prescrizioni legalinon più al passo con i tempi.
Sembra allora opportuno prendere sul serio la preoccupazione di una giurisprudenza che,
sicuramente massa dalle migliori intenzioni, attraverso il ricorso al principio del superiore
interesse del minore, intende scongiurare il rischio che il processo di costruzione delle
relazioni familiari, ad opera delle prassi sociali dia luogo a esiti contraddittori rispetto alla
prospettiva di un’autentica promozione umana.
Una cultura giuridica all’altezza delle sfide di questo tempio deve allora saper suscitare
nella giurisprudenza il dubbio che certe decisioni finiscono in realtà per assecondare una
progettualità sociale ispirata dalle logiche individualiste imperanti.
Dagli anni 0 ai 18, l’uomo gode di un’attenzione peculiare in ragione della sua
vulnerabilità, che interessa principalmente la sua libertà razionale; la quale matura man
mano che il soggetto cresce e si presume raggiunga pienamente cona la maggiore età,
che fa pure operare il pieno riconoscimento dell’autodeterminazione e dell’autonomia,
della “capacità” di compiere tutti gli atti per i quali non è stabilito vita diversa”.
La situazione di vulnerabilità di questo momento della vita dell’uomo non è una regola
rigida, essa non può che assumere un valore confermativo delle regole che presiedono
l’attività del soggetto minorenne, sia per via legislativa sia per via interpretativa.
Nei primi anni di vita il fanciullo necessita di essere cresciuto, di ricevere tutti quegli
stimoli e fattori educativi che gli consentano di farsi adulto.
Questa complessità della considerazione giuridica della minor età, la quale cambia a
seconda che si abbia dinnanzi un “minore piccolo” o “minore grande”, pare oggi
definitivamente recepita dal legislatore domestico, il quale non riconosce solamente dal
secondo il potere di compiere un serie di atti in un’età specifica, am nell’art.315 bis c.c.
gli accorda il diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo
riguardano, in ragione della sua capacità di discernimento: cioè idoneità a distinguere
cioè che conforme da ciò che è contrario al proprio interesse , e di operare le relative
scelte.
Una capacità che assume formalmente il carattere della flessibilità, ma in tutti i casi
aderente alle condizioni singolari in cui versa lo specifico soggetto interessato. La
dinamica espansiva del diritto di ascolto è amministrata dalla capacità di discernimento.
9
compimento, la sostituzione del rappresentante legale, quest’ultimo deve agire con
l’ascolto del minore interessato, recependo così il suo interesse al fine di realizzarlo.
In ragione della vulnerabilità che connota il soggetto minorenne, il legislatore intesse una
rete di protezione strettamente funzionali all’effettiva realizzazione del Best interest of the
Child.
Realizzare l’interesse del minore vuol dire offrire al minore un progetto di vita, un progetto
esistenziale che sia tale da renderlo consapevole del suo rapporto con la realtà che lo
circonda, un progetto che sia tale da sviluppare la personalità per modo da metterlo nelle
condizioni di esprimere le sue libertà, secondo le sue capacità, le sue aspettative e e sue
inclinazioni naturali.
Per quanto concerne i diritti personali del figlio a protezione si declina nella cura della
persona;
L’amministrazione invece si esprime nelle forme indicate dall’art. 320c.c. l’aspetto della
cura della persona coinvolge anche l’intero apparato pubblico chiamato prevedere
appositi interventi volti a sostenere le famiglie a rischio al fine di prevenire appositi
10
interventi volti a sostenere le famiglie a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di
consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia.
L’ampio raggio di azione della cura del soggetto minore di età si estende ulteriormente
all’insegna della cifra della solidarietà; è così prevista la possibilità che gli enti pubblici per
l’espletamento di tali funzioni, giungano a convenzioni con altri enti del terzo settore che
operano nel campo minorile.
Nella fase fisiologica delle relazioni private e pubbliche che interessano un minore,
l’autorità giudiziaria non può interferire coi i processi decisionali dei soggetti preposti alla
sua cura ed educazione.
Entro questi limiti, l’autonomia genitoriale risulta sindacabile, specie dal giudice il quale
non può sostituirsi ai genitori.
Si impone tuttavia una distinzione tra gli aspetti puramente patrimoniali dell’esercizio
della responsabilità genitoriale e quelle di carattere non patrimoniale.
Per gli aspetti di carattere no patrimoniale è escluso il sindacato del giudice il nome
dell’intangibilità dell’autonomia familiare.
Nei casi in cui la responsabilità genitoriale è esercitata nella forma della rappresentanza
per il compimento di atti puramente patrimoniali, il controllo del giudice si svolge invece in
via preventiva.
Nell’adempiere i doveri strettamente funzionali alla cura della persona, la libertà dei
genitori nell’addivenire alle scelte assume caratteri identitaria, e un’interferenza esterna si
tradurrebbe in privazione del connotato della famiglia, i nome di valori identitaria altri da
quelli dei genitori.
viceversa, con riguardo agi atti puramente patrimoniali, i processi valutativi si basano su
parametri oggettivi, che si prestano ad altrettante forme di controllo necessarie anche in
ragione dell’implicazione di interessi di terzi soggetti.
Tutti i provvedimenti, civili, amministrativi che incidono sulle relazioni che interessano un
minorenne hanno ragione di essere disposti quando si tratta di tutelare quel superiore
interesse e non quando si vuole punire il genitore o un altro soggetto per la condotta
11
tenuta; per raggiungere questa finalità sono altri gli strumenti giuridici appositamente
preposti.
Dinanzi a una situazione di disagio i cui versa un soggetto minore di età, la scelta del tipo
di rimedio deve essere ispirata a un criterio di gradualità, ordinato dal diritto fondamentale
del minore a vivere e crescere nella propria famiglia, ovvero dall’interesse a compiere il
percorso affettivo, formativo ed educativo all’interno del proprio nucleo familiare.
Diritto che sancito nella carta dei diritti fondamentali dell’UE, nella convenzione di Nwe
York, che assurge a principio ordinante, esigendo che tutti i provvedimenti che incidono
sulle relazioni primarie, d aut lato tendano a conservare il rapporto tra il minore e la
propria famiglia e dall’altro a turno ogni tentativo ritenuto idoneo a recuperare quel
rapporto.
Tant’è che questo diritto fondamentale deve essere garantito pure nell’ipotesi in cui il
genitore si trova in carcere; non infatti la non convivenza che possa di per sé giustificare
un provvedimento restrittivo del relativo legame. I giudici hanno chiarito che lo stato di
detenzione di un genitore non può di per sé determinare una pronuncia di decadenza
della responsabilità genitoriale; l’autorità giudiziaria sarà tenuta ad. Effettuare una verifica
nel caso concreto, in ordine alla sussistenza condotte pregiudizievoli poste in essere dal
genitore nei confronti dei figli tali da giustificare un pronuncia di decadenza.
Un eventuale divieto di intrattenere contatti con i figli posti nei confronti dei genitori in
stato detenzione, che mantenga una significativa relazione con i figli minori avendo inoltre
sempre adempiuto ai propri doveri genitoriali, determinerebbe non solo la violazione del
principio di uguaglianza nei riguardi di colui il quale si trovi in stato di detenzione che
verrebbe ingiustificabilmente limitato nel suo diritto di essere parte della vita dei figli, ma
anche nei confronti dei figli minori che assisterebbero a un’illegittima compressione dei
propri diritti.
I provvedimenti che sospendono o che recidono la relazione genitore- figlio non possono
che assumere un carattere estremo, essere cioè adottati soltanto dopo che risulti fallito
ogni tentativo di recupero o che venga accertata l’impossibilità di esperirlo.
Il diritto di vivere e crescere nella propria famiglia deve essere innanzitutto realizzato dai
genitori, il loro compito è cogliere l’interesse del figlio, nel rispetto della sua d’entità e di
assisterlo moralmente.
Lato esterno: i apporti instaurati dai genitori con terzi soggetti e che hanno ricadute nella
sfera giuridica patrimoniale del figlio.
12
figlio, il giudice può limitarsi con ampio margine di discrezionalità a regolare
l’amministrazione fissando le condizioni alle quali devono attenersi i genitori nel
compimento di singoli atti; oppure nei casi più gravi può rimuovere il genitore che mala
amministra il patrimonio del figlio nonché privarlo in tutto o in parte all’usufrutto legale dei
beni.
Anche rispetto a tali misure, l’accertamento va condotto avendo riguardo rispetto allo
specifico interesse del minore titolare di quel patrimonio, non solo valutando le capacità
amministrative dei genitori.
La capacità genitoriale e l’interesse del figlio vanno valutati l’una in funzione dell’altra, ciò
che può riversi pregiudizievole per un minorenne non può esserlo per un altro. No è quindi
un giudizio sulla colpevolezza dei genitori quali che dovrà essere condotto, bensì sulla
presenza di una situazione pregiudizievole per il figlio discendente dal comportamento dei
genitori .
Allora dovranno essere altri i provvedimenti da adottare: quelli che incidono sulla
responsabilità genitoriale nell’incertezza e nella complessità dei suoi contenuti.
Il superiore interesse del minore funge da criterio guida sia per testare la sussistenza dei
presupposti ai auqli l’art. 334c.c. subordina i provvedimenti ablativi o regolativi
dell’amministrazione del patrimonio del figlio, sia quando si tratta di adottare i
provvedimenti di riammissione dell’esercizio dell’amministrazione patrimoniale e nel
godimento dell’usufrutto legale.
Analizzando il disagio del figlio minorenne discendente dal lato interno della
responsabilità genitoriale, ovvero dalle condotte dei genitori che hanno ricadute sulla
sfera personale del figlio, anche se prevedono il coinvolgimento di terzi soggetti; diversi
sono i fattori che lo possono generare e i rimedi attivabili:
A) il sereno e piano sviluppo della personalità del minore di età può essere minacciato
dal disaccordo dei genitori relativamente a delle scelte importanti che interessano il
figlio: essi non addivengono ad un decisone concordata poiché la posizione dell’uno
è antagonista rispetto alla posizione dell’altro. La tutela del best interest del figlio,
macchiato dall’antagonismo concerne scelte fondamentali per la sua crescita, è
perseguita dal legislatore con un aforma di intervento conciliativo del giudice
ordinario, disciplinata dell’art. 316c.c., rispettosa dell’autonomia della famiglia in
nome della tutela dell’interesse del figlio minore. L’intervento del giudice è consentito
solamente quando il disaccordo riguarda questioni di particolare importanza: quando
la mancata soluzione del conflitto sia pregiudizievole per i figli. Il supporto del giudice
può esser domandato soltanto da uno dei genitori e non da altri soggetti, inoltre il
genitore che si rivolge al giudice deve indicargli la scelta che gli ritiene idonea a
soddisfare l’interesse del figlio. Il giudice dovrà quindi porsi in dialogo con gli
interessati, sentire i genitori e ascoltare il figlio minuto di capacità di discernimento,
per poi limitarsi a suggerire la scelta che egli reputa più conforme all’interesse del
figlio. Nell’ipotesi in cui il contrasto permanga il giudice attribuisce il potere
13
decisionale a quello dei genitori che nello specifico caso ritiene più idoneo a curare
l’interesse del figlio. Un giudizio di idoneità che dovrà condursi non tanto con
riguardo ai contenuti della scelta in sé, bensì delle capacità del genitore di orientare la
scelta alla dimensione identitaria del figlio; un’ascella all’insegna di un criterio di
vicinanza all’identità del figlio, che meglio consente di cogliere il suo interesse.
Diversamente strutturato è invece il rimedio all’antagonismo genitoriale quando la
coppia è divisa e in regime di affidamento: il terzo comma dell’art. 337 ter sancisce
che in caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice, e non al genitore che il
giudice ritenga idoneo.
B) In altri casi il disagio del figlio può discendere dalla condotta pregiudizievole di uno o
di entrambi i genitori. In questi casi la tutela dell’interesse del figlio può esigere un
provvedimento che incida sulla responsabilità genitoriale. Il rapporto di filiazione entra
nel momento patologico che fa retrocedere il principio di intangibilità dell’autonomia
familiare, giustificano l’intervento del giudice nel rapporto genitore-figlio. Al giudice è
data un’ampia gamma di interventi, la cui intensità va calibrata in funzione del
superiore interesse del filgio, stando al principio di gradualità: dai provvedimenti meno
gravi, che si limitano a correggere l’esercizio della responsabilità genitoriale, ai
provvedimenti più gravi, di carattere ablativo, che comporta la decadenza del genitore
dalla responsabilità genitoriale . Presupposti comuni a questi provvedimenti correttivi
o ablativi sono:
DOVERI: quelli che discendono direttamente dal fatto della procreazione, i quali
incombono sui genitori in quanto tale.
L’esercizio della responsabilità genitoriale , nei suoi doveri e nei suoi poteri, è demandato
all’autonomia insindacabile dei genitori sin tanto che essi ne fanno un uso effettivamente
conforme alla funzione per la quale quella responsabilità è oro accordata, ovvero
realizzare l’interesse del figlio.
È dunque necessario che dalla violazione dei doveri e/o dall’abuso dei poteri genitoriali
segua il pregiudizio del figlio.
Il pregiudizio non è circoscritto alla sfera psicofisica , può riguardare la sfera morale,
personale, identitaria o la sicurezza del minorenne.
Se il giudice non ravvisa quel livello di gravità che impone senza alternative di ricorrere
alla misura ablativa, egli potrà adottare altri provvedimenti convenienti che comunque
incidono, limitandolo, sull’esercizio della responsabilità genitoriale. Il provvedimento dovrà
attenersi alla personalità individuale del minore, soprattutto tramite il suo ascolto, se
munito di capacità di discernimento.
In questo senso l’art. 333 c.c.funge pure da strumento per tutelare la capacità di
discernimento del minore, ogniqualvolta i genitori ostacolino irragionevolmente le sue
scelte.
Codeste misure ablative e limitative possono esser disposte anche nei riguardi del
genitore separato o divorziato quando, nell’esercizio della responsabilità genitoriale in
regime di affido, tenga una condotta pregiudizievole nei confronti dell’interesse del figlio.
La differente portata degli interessi implicati nella fattispecie ora considerate rispetto a
quando il disagio del monte non è generato dalla condotta omissiva o abusiva di uno o di
entrambi i genitori bensì dal disaccordo degli stessi relativamente a scelte che
interessano il figlio, la si coglie anche sul piano della legittimazione ad agire.
La situazione a cui si riferisce l’art. 316 c.c., concerne il lato interno della responsabilità
genitoriale. Il problema dunque assume un rilievo essenzialmente privatistico; perciò la
legittimazione ad agire spetta soltanto a uno o a entrambi i genitori, a i quali è data la
possibilità di superare l’antagonista decisione demandando al giudice il compito di
dirimere il conflitto suggerendo la soluzione migliore o indicando chi dei due genitori sia
più idoneo a individuarla.
Viceversa, se il genitore cui non è attribuito il potere decisionale si oppone alla scelta
dell’altro genitore, arrecando un pregiudizio al figlio, il conflitto eccede il mere rapporto
genitoriale. I diritti del figlio assumono una rilevanza assiologica sistematica, che
trascende il singolo rapporto privatistico: la tutela del prevalente interesse del minore è un
principio generale che conforma la struttura dell’ordinamento, rientrante quindi nell’ordine
pubblico.
15
Si comprende pure il potere ufficiosi accordato al giudice dal comma 3 art. 336 di
adottare i provvedimenti temporanei nell’interesse del figlio.
La tutela del best interest of the child può anche esigere un provvedimento che si spinga
a sacrificare il diritto fondamentale del minore di vivere e crescere nella sua famiglia,
specie in quei casi in cui la condotta del genitore compromette l’integrità psicofisica e/o
morale del figlio.
Tanto l’art. 330 quanto il 333 prevede che in presenza di gravi motivi possa essere
disposto l’allontanamento del figlio dalla casa familiare oppure l’allontanamento del
genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. È il principio di gradualità che
deve guidare il giudice nella definizione delle coordinate tra i diritto del minore alla
sicurezza e il diritto a credere e vivere nella propria famiglia.
La misura del sacrificio dell’uno non può che dipendere dall’espansione dell’altro.
Se si ritiene che sia nell’interesse del minore non abitare più con il genitore autore della
condotta pregiudizievole, si dovrà anzitutto cercare di allontanare dalla residenza familiare
il genitore destinatario del provvedimento ablativo limitativo, facendo permanere il figlio
nel suo ambiente domestico relazionale. Viceversa, soltanto quando la permanenza nella
residenza familiare contrasti oggettivamente con lo sviluppo della personalità del figlio e
con la sua incolumità, si potrà provvedere alla sua sistemazione in un altro luogo.
Uno strumento ulteriore è l’affidamento ai servizi sociali, il quale può risultare confacente
sia all’ipotesi in cui il figlio venga fatto permanere all’interno della residenza familiare, sia
quando il figlio si sta allontanando da entrambi i genitori. Di esso può essere destinatario
il minorenne che da manifeste prove di irregolarità della condotta o del carattere, oppure
il minore che si trovi nella condizione prevista dall’art.33 c.c. l’affidamento ai servizi sociali
non può tradursi in una sorta di delega in bianco del giudice ai servizi.
Nel caso poi in cui venga disposto l’allontanamento dalla casa familiare, nel verbale deve
essere indicato il luogo in cui il minore deve vivere e la persona o l’ente che si prende
cura del suo mantenimento/educazione.
16
del servizio sociale cui è affidato il minorenne non è libero bensì vincolato alle indicazioni
specifiche o alle direttive impartire dal giudice; e dell’osservanza di questi vincoli e di ogni
altra iniziativa, il servizio sociale dovrà rendere conto al tribunale, esponendosi in caso di
violazione.
Può accadere che un provvedimento ex. art. 330,333,336 c.c. disponga l’affidamento ai
servizi sociali; il quale risulterà del tutto atipico nell’ipotesi in cui il giudice si limiti a
disporre una sorta di delega in bianco.
Con il risultato che il servizio affidatario venga posto nella condizione di poter ricoprire
diversi ruoli andando a interferire con situazioni giuridiche soggettive.
In ogni caso spetterà al giudice indicare al servizio il percorso educativo che dovrà essere
fatto seguire al minorenne interessato nonché le direttive all’insegna delle quali dovrà
svolgersi l’assistenza; in questo modo, regolando ex ante l’affidamento al servizio sociale,
potrà essere facilmente indirizzato il controllo giudiziario ex post dell’operato. Viceversa,
una delega in bianco ai servizi, senza regole e senza alcuna forma di controllo
dell’operato, pone seri dubbi di legittimità ; perché condurrebbe non soltanto alla
destabilizzazione del sistema di protezione del soggetto minore di età, ma anche una
grave esposizione della sua persona, dei suoi diritti fondamentali, a effetti pregiudizievoli
con un evitabile esito di eterogenesi dei fini.
Come tutto nasce da una forma di cooperazione tra giudice e servizi, è garanzia
fondamentale di legittimità che il tutto si svolga all’insegna di quella stessa cooperazione
per il tramite degli strumenti della consultazione e della rendicontazione.
I provvedimento ex. Art. 330 e 330 sono emanati rebus sic stantibus e possono essere
revocati in ogni momento in cui venga accertata la cessione delle ragioni che hanno
condotto ad assumerli; e deve essere prodigato ogni sforzo idoneo a recuperare un
ambiente familiare confacente allo sviluppo della personalità del figlio. A tal fine, i servizi
dovranno articolare un piano assistenziale non frammentato, bensì concepito in termini
sistemici, rivolto al minorenne interessato, alla sua famiglia e agli ambienti sociali che egli
frequenta. Soltanto se successivamente al provvedimento di decadenza della
17
responsabilità genitoriali, l’ambiente familiare risulti assolutamente irrecuperabile, allora si
potrà dare ingresso alle misure di protezione estreme, volte a procurare al minore un’altra
famiglia confacente alla sua cura, che è il presupposto della dichiarazione di adottabilità.
Una situazione di disagio minorile può avere origine all’interno dell’ambiente familiare
domestico, man non per effetto della condotta omissiva o abusiva degli esercenti la
responsabilità genitoriale, ma da un altro componente del gruppo familiare, a prescindere
quindi da un legame di parentela o affinità.
Tenendo conto delle circostanze del singolo caso, il giudice può attivare l’intervento non
soltanto dai servizi sociali ma pure della rete di enti che abbiano come fine statutario il
sostegno e l‘assistenza di soggetti vittime di abusi, compresi i minori. A queste misure di
carattere strettamente personale, possono aggiungersene altre di carattere patrimoniale,
quali il pagamento di un assegno periodico a favore delle persone conviventi che a
seguito dell’ordine di protezione siano rimaste prive di mezzi adeguati.
Non è escluso che le misure disposte dagli art. 342 bis e ter c.c., possano essere
disposte a protezione della vittima minorenne convivente.
Occorre infatti considerare che la misura dell’allontanamento prevista dagli art. 330 e 333
ha evidentemente carattere accessorio a quella che incide sulla responsabilità genitoriale;
sì che senza un provvedimento ablativo o restrittivo della responsabilità genitoriale, non
regge l’ordine di allontanamento o convivente ivi previsto.
Solo se la condotta del genitore, o altro opponente del gruppo familiare, espone
pregiudizio il minore si da rende necessaria una misura ablativa o limitativa della
responsabilità genitoriale, la tutela del minore viene affidata all’operatività degli
art.330/333.
Il grave pregiudizio allo sviluppo della personalità del convivente minorenne può ritenersi
integrato non solo nei casi in cui egli sia la vittima diretta della condotta abusiva, am pure
in tutte le situazioni di valenza assistita od obliqua, quando cioè i comportamenti
vessatori non sono rivolti direttamente al minore ma lo coinvolgono come spettatore.
Un rischio discendente anche dal diverso regime di competenza giudiziaria, che vede il
giudice ordinario impegnato a decidere l’ordine di protezione e il giudice minorile
orientato alla tutela fra best interest.
La protezione della vittima minorenne passa insieme a quella dell’adulto per l’art. 342 bis
e ter nel caso in cui il comportamento del genitore che subisce l’abuso oche assiste alle
18
condotte pregiudizievoli di altro convivente risulti ineccepibile sul piano della della
responsabilità genitoriale.
viceversa, solo se la condotta del genitore integri delle commissioni dei doveri o abuso
dei poteri genitoriali, nei confronti di quest’ultimo si darà ingresso alle misure di
protezione di cui gli art. 330,333,336 che incidono sulla responsabilità genitoriale.
A tale misura d protezione può ricorrere l’autorità amministrativa, come le forze di polizia
o assistenti sociali.
L’urgenza assurge pure a cifra della ragionevole durata del collocamento del minore, che
deve limitarsi allo stretto necessario per ottenere un provvedimento del giudice; in
sostanza, non oltre i tempi tecnici necessari per portare l’autorità giudiziaria a
conoscenza dei fatti e consentire alla stessa di assumere con immediatezza le decisioni
del caso, con provvedimento urgente e immediatamente esecutivo ex art. 333,336
comma terza c.c. se la situazione di pericolo viene a cessare di per sé, gli effetti del
provvedimento cesseranno.
Altrettanto, chi ha provveduto a norma all’art. 403 c.c. deve segnalare la situazione alla
procura della repubblica pressi il tribunale per i minorenni, affinché all’esito delle indagini,
valuti se e quali provvedimenti protettivi chiedere al giudice minorile. Pur trattandosi di
una misura amministrativa, essa non è il frutto dell’attività discrezionale dell’organo che la
dispone, ma rappresenta uno strumento di attuazione del suo dovere di protezione nei
confronti dei minori, che incide su specifiche situazioni giuridiche soggettive, ragion per
cui la competenza in ordine a tali provvedimenti non è del giudice amministrativo.
Tale ambito di incidenza comporta che l’illegittimità del provvedimento per mancanza dei
presupposti, espone l’autorità amministrativa che l’ha adottato alla responsabilità civile
extracontrattuale per lesione dei diritti fondamentali costituzionalmente protetti.
19
al giudice , in presenza dei relativi presupposti, un provvedimento che incida sulla
responsabilità genitoriale.
L’art. 709 ter c.p.c. introdotto dall’art 2, legge 54/2006 prevede che in presenza di gravi
inadempienze o di atti che arrechino pregiudizi al minore od ostacolino il corretto
svolgimento dell’affidamento, il giudice oltre a modificare i provvedimenti assunti in sede
di affidamento può anche congiuntamente:
- Disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti del minore.
- Dispare il risarcimento dei danni a carico di un dei genitori nei confronti dell’altro.
Il senso sotteso a questa forma di intensificazione della tutela del figlio minorenne è da
ravvisasi nell’esigenza di garantire affettività al principio della possibile insensibilità del
rapporto di filiazione alle vicende della coppia, che si esprime nel diritto del figlio alla
genitorialità, un principio e un diritto che prima i genitori e poi il giudice devono affermare,
gli uni nell’esercizio della responsabilità genitoriale, gli altri nella disciplina
dell’affidamento.
Il senso e il significato dell’art. 709 ter c.p.c. devono essere intesi alla luce del principio
della bigenitorialità, particolarmente a rischio nella fase patologica della coppia e perciò
supportato da un apposito apparato rimediale. Tant’è che nell’ipotesi in cui la condotta
del genitore abbia comportato una pronuncia ex. Era. 333 c.c., questo sistema di rimedi
può aggiungersi ai “provvedimenti convenienti” e alle possibili misure di allontanamento
ivi previste, ma anche altri rimedi di carattere risarcitorio-compensativo.
Questa declinazione della responsabilità civile trova comunque i suoli limiti operativi nella
disciplina generale dell’illecito civile e in quella estrapolata dai principi generali della
giurisprudenza. La quale, con riguardo al risarcimento del danno non patrimoniale, esige
che il diritto sia inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio.
Al suddetto apparato rimediale, l’art. 709 ter c.p.c. aggiunge la possibile irrogazione di
una sanzione amministrativa pecuniaria sul modello di quanto poi operato dal nostro
legislatore nell’art 614 bis c.p.c. relativamente all’adempimento di obbligo di fare
infungibile e/o di non fare. Ne discende che anche al di fuori dell’ambito problematico
considerato dall’art 709 ter c.p.c. qualora in un provvedimento ex art 333 c.c. il giudice
abbia disposto degli obblighi di fare infungibile e/o di non fare può aggiungersi come
deterrente la fissazione di una somma di denaro.
Sono casi che riguardano “un minore grande” in età desiderosa di operare scelte
autonome rispetto alle indicazioni dei genitori, i quali, sono comunque chiamati a
controllare che l’esercizio del potere di autodeterminazione del figlio avvenga con
capacità di discernimento, la funzione genitoriale di cura, nella fase in cui matura nel figlio
alla capacità di discernimento si traduce in assistenza. Un’assistenza che nel momento
in cui ravvisa una. Situazione pregiudizievole al best interest del figlio, si esprime nel
dovere di attivarsi con ogni mezzo per proteggerlo.
20
A fronte delle difficoltà o incapacità dei genitori di porre rimedio alla situazione del figlio,
gli strumenti di protezione, sono altri rispetto a quelli sin qui considerati. Qui il caso
diventa “sociale” ed entrano in gioco le misure di carattere amministrativo a ciò preposte.
Sul piano ministrato è possibile attivare anche su iniziativa degli stessi genitori, i servii
sociali, affinché pongano in essere un piano di assistenza specializzata, educativa,
rieducazionale.
Il tutto si inserisce nel compito generale della repubblica, di proteggere “la maternità,
l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”, declinato poi nel
dover assicurare “ alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi
sociali”, prevenire, eliminare o ridurre le condizioni di “ bisogno e di disagio individuale e
familiare”. Ovviamente anche il giudice qualora non ravvisi la sussistenza dei presupposti
richiesti per giungere a una decisione ablative o limitativa della responsabilità genitoriale,
può limitarsi ad attivare i servizi sociali.
Ora i comuni nel momento in cui operano a protezione di un minore, non si pongono
come sostituti della famiglia ma come fornitori obbligati di servizi e interventi sociali
adeguati alle famiglie in difficoltà o direttamente a bambini/ragazzi in difficoltà. Per
questo e in virtù del principio secondo il quale l’intervento dello stato negli affari familiari
deve essere ridotto al minimo, è necessario che l’ente, in nome del principio di
cooperazione, ricerchi e ottenga il consenso dei genitori e del minorenne interessato
all’attuazione dello specifico programma.
Solamente quando, non sia stato possibile acquisire tale consenso, allora si renderà
necessario l’intervento del giudice affinché possa imporre tale programma ai genitoriper il
tramite e a seguito della pronuncia di un provvedimento ex art 330 e 333c.c. se il giudice
riscontra l’ostilità dei genitori al supporto ai servizi potrà disporre l’allontanamento del
minore dalla residenza familiare, delegando agli stessi servizi la scelta della sua migliore
collocazione. Rimane comunque salva la libertà del minore interessato di collaborare o
meno.
PARTE 2
IL MINORE E LA SALUTE ( capitolo a scelta)
Il tema dei rapporti tra minore età e diritto alla salute necessità di qualche chiarimento in
ordine sia al significato sia alla stessa evoluzione di senso dei due termini di riferimento.
Quanto a questi ultimi dovere rilevarsi una sostanziale corrispondenza del correlativo
processo evolutivo. Rispetto alla minore età è già stata segnalata la necessaria tensione
verso tale esito, evidenziandosi al riguardo che, attraverso un lungo e non ancora
concluso processo di sviluppo, si è compiuto un graduale percorso di individuazione della
persona minorenne, inteso quale soggetto altro da coloro dai quali egli può dipendere;
Rispetto alla salute il relativo concetto è oggi inteso quale stato di completo benessere
fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia, comunque non mancano
critiche sul versante medico a tale definizione.
È ora possibile meglio ricusare che l’ambito da indagare, riferibile al rapporto tra volontà
del minore e la scelta delle cure mediche e alla misura della rilevanza della determiniate
volitiva del destinatario del trattamento sanitario sin quanto minorenne.
In ordine alla tematica delle vaccinazioni obbligatorie, il relativo dibattito si è acceso dalla
recente disciplina contenuta nella l. 31 luglio 2017 con modificazioni del d.l. 7 giugno
2017, recanti disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, con cui il legislatore
ha disposto dieci vaccinazioni obbligatorie per i minori di età compresa tra i 0 e i 16 anni
21
e per i minori stranieri non accompagnati, ai quali si aggiungono altre quattro non
obbligatorie ma raccomandate; la mancata osservanza della prescrizione della legge
impedisce l’iscrizione agli asili nido e alle scuole materne, mentre l’inosservanza per le
scuole dell’obbligo comporta l’irrogazione di una sanzione pecuniaria. La regione veneto
ha impugnato la nuova regolamentazione, rilevando l’irragionevolezza e la sproporzione
della sesta statale di imporre, in modo immediato, il passaggio da una stratega vaccinale
basata sulla convinzione a una basata sula coercizione. In ordine alle trasfusioni di
sangue, qui l’ordine di problemi è rappresentato dalla legittimità del diniego da parte dei
genitori rispetto al prospettato trattamento sanitario e correlativamente, dalla legittimità
della richiesta di uno specifico trattamento sanitario estraneo alla medicina tradizionale.
La tutela del saluta in materia di minore età è ben presente in tutte le carte fondamentali
continenti le c.c.d. dichiarazioni di principio, in ordine alle misure di protezione sociale; in
alcun di esse l’accento è posto sul riconoscimento della situazione giuridica soggettiva
relativa al bene salute, mentre non risulta affrontata la questione della rilevanza della
volontà individuale quanto alle eventuali scelte. Tale modello appare comprensibile in
ragione del carattere programmatico del documento, il cui obiettivo è la proclamazione
del diritto.
Questo è il caso della dichiarazione universale dei diritti umani, il cui art. 25 riconosce a
ciascun individuo il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute, con
particolare riguardo alle cure mediche, con una particolare attenzione all’infanzia.
Similmente è riscontrabile nella dichiarazione universale dei diritti del fanciullo. La
prospettiva muta in tempi più recenti accanto alle dichiarazioni di principio, contenenti
l’affermazione declamatoria del principio generale, anche indicazioni dirette e tenere in
considerazione la specifica posizione del titolare della situazione giuridica soggettiva,
riconoscendogli una posizione di rilievo in ordine alla propria volontà.
Emerge, pertanto, la rilevanza della persona e della volontà del minore, la cui
manifestazione deve essere adeguatamente sollecitata e necessariamente acquisita al
fine di assicurare l’effettività alle stesse dichiarazioni di principio.
Ulteriore testimonianza dell’attenzione alla situazione concreta del minore costituita dal
recente regolamento UE relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro, che, con
riferimento ala libera e consapevole scelta quanto alla partecipazione agli studi delle
prestazioni appronta apposite specifiche discipline quanto agli studi delle prestazioni sui
soggetti incapaci rispetto agli studi delle prestazioni sui minori.
Con riguardo a questi ultimi la conduzione del relativo studio è consentita ove ricorrano
anche quella relativa all’informazione del minore in una forma adeguata all’età e alla
maturità intellettiva. Evidente appare la diversa considerazione del minore rispetto al
22
soggetto incapace, traducendo la condizione de primo quella di un soggetto necessario
partecipe a tutti gli effetti alla procedura di legge; ciò a differenza di quanto disposto per
l’incapace, rispetto al quale, è previsto che esso partecipi il più possibile alla procedura di
acquisizione del consenso informato quale fattuale attuazione dell’indaco procedimento.
Proprio in ragione ciò si prenderanno allora le mosse da precedenti regole di settore per
poi passare all’analisi della introdotta normativa generale, traducendo le prime in modelli
che appaiono in linea con la valorizzazione della dimensione personale, da rapportare a
quanto più recentemente statuito in termini generali.
Nell’ordine si deve alla legge 22 maggio 1978 n.194, contenente norme perla tutela
sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, l’introduzione del
lecito ricorso all’aborto, consentito solo nelle ipotesi e nelle modalità Ive prescritte. Viene
in considerazione il disposto dell’art.12 comma 1, ossia il generale principio secondo cui “
la richiesta di interruzione di gravidanza è fatta personalmente dalla donna” non
operandosi alcuna distinzione di età; laddove poi la vicenda riguardi la minore di età,
l’ordinamento predispone distinte opzioni dirette ad assicurare il bilanciamento degli
interessi coinvolti. Il ritenuto irrinunciabile diritto delle donne all’autodeterminazione viene
dal legislatore variamente declinato nella comune rilevanza però della condizione del
minore, in particolare a tutela della salute o a tutela della vita e della salute.
Nel caso di specie la volontà della donna deve essere integrata dal necessario assenso di
chi esercita sulla donna la stessa responsabilità genitoriale o tutela, a cui è possibile
sostituire l’autorizzazione del giudice tutelare laddove nei primi 90 giorni sussistano “seri
motivi che impediscono la consultazione delle persone esercenti la responsabilità
genitoriale o la tutela oppure queste, interpellate, rifiutino il loro assenso o esprimano
pareri fra loro difformi.
Non è necessaria l’eventuale autorizzazione del giudice tutelare allorchè il medico “accerti
l’urgenza dell’intervento a causa di un grave pericolo per la salute del minore di anni 18.
Provvedendo egli stesso a rilasciare lareoativa certificazione che “ costituisce titolo per
ottenere in via d’urgenza l’intervento e se necessario il ricovero”.
Quanto al ruolo del giudice tutelare, al quale nel casi di interruzione volontaria della
gravidanza nei primi 90 giorni il consultorio o la struttura sanitaria o il medico di fiducia,
espletanti compiti previsti dall’art. 5 rimettono entro 7 giorni dalla richiesta una relazione,
corredata dal proprio parere”. Al riguardo in un lasso di tempo molto breve “ sentita la
23
donna e tenuto conto della sua volontà può autorizzare la donna a decidere l’interruzione
di gravidanza” deve evidenziarsi che il relativo provvedimento ha carattere di mera
integrazione della volontà della minore, rimanendo del tutto esterno al riscontro in
concreto delle condizioni di fatto normativamente previste per consentire l’interruzione
volontaria della gravidanza. Più specificatamente il giudice tutelare non dispone di un
potere codecisionale concernente in merito di una scelta che il legislatore ha inteso
lasciare alla donna quale unica responsabile della decisione, rispetto a cui l’autorizzazione
del giudice tutelare costituisce esclusivamente condizione di garanzia della
consapevolezza della minore circa i beni coinvolti nella richiesta interruzione della
gravidanza, delle procedure nonché della serietà della relativa valutazione e del rispetto
delle procedure di legge.
Sono quasi 41000 gli studenti che hanno riferito di aver assunto una o più sostanze senza
sapere cosa fossero: per il 58,5% si è trattato di un’esperienza circoscritta a una/due
volte, mentre il 23,5% ha fatto uso di sostanze di cui ignorava la composizione per oltre
dieci volte.
Pertanto il minore di età che voglia sottoporsi ad accertamenti diagnostici e/o voglia
iniziare programmi terapeutici e socio-riabilitativi può personalmente effettuare la relativa
richiesta. Una scelta che dunque può essere compiuta in via esclusiva dal minore di età.
La legge d’altro canto riconosce agli interessati di poter “beneficiare dell’anonimato nei
rapporti con i servizi, i presidi e le strutture delle aziende unità sanitarie locali e con le
strutture private autorizzate nonché con i medi, gli assistenti sociali e tutto il personale
addetto o dipendente”.
24
s’innesta all’interno di un dibattito più ampio che coinvolge talune categorie tradizionali
del diritto privato.
L’iniziativa assunta non ha poi però avuto seguito. Nell’ordine, con riferimento alla prima
previsione si stabilisce che i medico deve garantire “al minore elementi di informazione
utili perché comprenda la sua condizione di salute e degli interventi diagnostici-
terapeutici programmati al fine di coinvolgerlo nel processo decisionale”.
In questo contesto si inseriscono la riforma della filiazione a cui sii deve l’introduzione
della responsabilità genitoriale ai sensi dell’art. 316 , traducendo ciò in una inversione di
prospettiva ossia , la parte “attiva” passa ai figli mentre quella “passiva” ai genitori.
La disciplina in esame “ tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e
all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento può essere
inviato o proseguito se privo del consenso libero della persona interessata, tranne nei casi
previsti dalla legge”.
Appare difficile immaginare che a fronte del riconosciuto diritto all’informazione debba poi
negarsi la rilevanza del successivo momento decisionale, la cui attuazione è resa
impossibile in termini funzionali proprio dall’informazione resa e ricevuta.
Alla stessa maniera non deve ritenersi inappropriata la scelta normativa che affida
all’esercente la responsabilità genitoriale la manifestazione del volere nei confronti del
personale medico, atteso che tale soluzione trova giustificazione in condivisibili ragioni di
certezza del diritto, soprattutto con riferimento al destinatario della stessa. L’esercente la
responsabilità genitoriale sarà chiamato a rendere una dichiarazione che esprime una
volontà non propria ma del diretto interessato appropriatamente rilevandosi che a tale
conclusione si perviene “ riconoscendo al soggetto la indispensabile autonomia nello
svolgimento della sua personalità, anche quando lo strumento sia un atto negoziale,
senza dover necessariamente rimanere ancorati a costruzioni dogmatiche di
qualificazione del “ consenso informato” come atto non negoziale, per il quale necessaria
la capacità di intender e di volere anziché la capacità d’agire generalmente richiesta per
gli atti negoziali”.
La funzione del rappresentante legale sarà quella “non di sostituire l’interessato nella
scelta, bensì di concorrere con lui nella medesima”. Nel caso del minore di età capace di
discernimento il relativo consenso deve ritenersi informato, partecipato e sostanziale;
mentre nel caso di incapacità di discernimento , richiederà che al minore venga
comunque garantita, l’inclusione al momento informativo e a quel valutativo , rimanendo
escluso solamente il momento decisionale che verrà affidato agli esercenti la
responsabilità genitoriale.
Il nostro ordinamento anche nell’ipotesi in cui il minore di età sia capace di discernimento,
la corrispondente autodeterminazione risulterà “debole” almeno dal punto di vista
formale, nel senso che la relativa manifestazione all’esterno sarà di competenza
dell’esercente la responsabilità genitoriale, diversamente da quanto previsto in altri
ordinamenti che hanno optato per un autodeterminazione “in senso forte”, quale diritto
cioè del minore di manifestare formalmente il proprio consenso informato all’atto medico.
26
PARTE 3
Il ruolo del minore nel processo:
- Il minore nel sistema processuale civile, fonti sovranazionali e nazionali:
Solo negli ultimi decenni l’ordinamento giuridico ha riconosciuto al minore la titolarità di
un’ampia gamma di diritti, operando la trasformazione del bambino da oggetto a
soggetto.
È stata una trasformazione culturale e sociale non ancora totalmente compiuta, iniziata in
ambiente internazionale nei primi del ‘900 sotto la spinta di movimenti nati principalmente
in ambiente anglosassone.
Centrale è la convenzione delle nazioni unite sui diritti del fanciullo, adottata nel 1989
dall’assemblea generale delle nazioni unite e i suoi tre protocolli facoltativi.
Nel 1999 l’Italia ed altri 195 paesi membri delle nazioni unite hanno ratificato e convertito
in legge sia la convenzione sia i tre protocolli opzionali, pertanto i suoi principi e le sue
norme sono parte integrante del diritto interno r sono operative.
Gli strumenti internazionali dedicati al minore non definiscono però il principio del
superiore interesse del minore, lasciando alla discrezionalità dell’interprete il compito di
riempire di contenuto la formula; tale nozione resta sfumata e rischia di diventare “ una
sorta di passe-partout discrezionale in norme del quale da un capo all’altro della penisola
sono prese quotidianamente, attingendo al soggettivismo e alla discrezionalità.
Esiste un real pericolo di interpretazioni fuorvianti del principio del preminente interesse
del minore, ed è per questo che diventa essenziale che il giudice chiamato a risolvere i
problemi minori sia un giudice specializzato e che sia affiancato da professionisti con
competenze specifiche in modo che vengano utilizzati anche altri saperi.
All’interno delle fonti di diritto europeo è importante ricordare una seria di atti addottati
dagli organi del consiglio d’Europa e dell’unione europea; la convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e la convinzione europeo
sull’esercizio dei diritti dei fanciulli.
Quanto al ruolo dell’autorità giudiziaria viene stabilito che prima di assumere qualunque
tipo di decisione dovrà essere certa di disporre di informazioni sufficienti; nel caso di
fanciulli dotati di sufficiente discernimento, l’autorità giudiziaria dovrà assicurarsi che il
27
fanciullo abbia ricevuto informazioni pertinenti, consentirgli di esprimere la sua opinione e
di tenerne debitamente conto. Vengono poi disciplinati l’obbligo di agire con prontezza, la
possibilità di procedere d’ufficio e di designare un rappresentante. Il ruolo dei
rappresentanti sarà quello di fornire informazioni e spiegazioni di determinare la sua
opinione e di informare l’autorità giudiziaria.
Più recentemente il comitato dei ministri del consiglio d’Europa h approvato le linee guida
per una giustizia a misura di minore, un sistema che presta ascolto, tiene in
considerazione la loro opinione e si assicura che siano protetti anche gli interessi di
coloro che non possono esprimersi.
vi sono poi per altre singole materie altri atti internazionali, il più importante dei quali è la
convenzione dell’Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori. Il
quadro dell’ordinamento internazionale è stato percepito da molti paesi europei attraverso
l’emanazione di molteplici riforme di diritto processuale minorile. In italia vi è una vera e
propria resistenza ad adeguarsi ai parametri indicati dalle convenzioni e dai trattati e
persino alle linee guida.
Per passare alle foti nazionali esiste una sempre più ampia giurisprudenza che applica
direttamente la convenzione ONU per interpretare le norme di diritto minorile. Al corte
ricava il principio della tutela dell’interesse del minore anche da norme di rango
costituzionale.
- Legge n.219 del 2012, con il successivo decreto attuativo che ha parificato i figli nati
dentro e fuori dal matrimonio e che ha unificato anche la disciplina della responsabilità
genitoriale.
- Corte d’appello: questioni relative ai reclami immediati che possono essere proposti
per la modifica dei provvedimenti provvisori emessi dopo l’udienza presidenziale e
destinati a regolamentare la crisi familiare fine alla fine de processo oppure in sede di
appello contro la sentenza di separazione/divorzio.
- Giudice tutelare: presente presso ogni tribunale ordinario è organo per lo più
monocratico e si occupa delle tutele e delle curatele, emette provvedimenti urgenti per
i minori stranieri non accompagnati, esercita vigilanza sui provvedimenti emessi dal
tribunale ordinario/per i minorenni, rende esecutivi gli affidamenti, autorizza
l’interruzione volontaria di gravidanza della minorenne, nomina l’amministratore di
sostegno.
28
assegnati da consiglio superiore della magistratura la vigilanza è del presidente della
corte d’appello, la procedura adottata è quella ordinaria.
La legge n.2019 del 2012 è intervenuta eliminando ogni disparità di trattamento tra figli
legittimi, legittimati e naturali e così ha reso indefettibile la modifica dell’art. 38 delle
disposizione di attuazione del codice civile. Tuttavia ancora oggi la tutela processuale non
è la stessa. La legge di riforma ha lasciato la dualità tra tribunale ordinario e tribunale per i
minorenni.
Alla vigilia dell’entrata in vigore della legge di riforma, il quadro in ordine al riparto di
competenza era articolato e dava luogo ad alcune difficoltà. La nuova formulazione
dell’art. 38 da un alato riduceva le materie di competenza del tribunale per i minorenni e
dall’altro introduce un limite qualora sia in corso giudizio di separazione/divorzio/giudizio
ai sensi dell’art. 316 in questi casi la competenza è del giudice ordinario.
In base alla nuova formulazione dell’art.38 “ sono di competenza del tribunale per i
minorenni i provvedimenti contemplati all’art. 84,90,330,333,334,335,371, ultimo comma
del codice civile.
Anche dopo la riforma permane una disparità di trattamento processuale tra figli legittimi
e naturali, soggetti a due riti diversi.
A seguito della riforma dell’art.111 della costituzione i principi del giusto processo hanno
iniziato influenzare anche il processo minorile. Il servizio sociale non ha invece
legittimazione attiva e quindi le segnalazioni non sono dei ricorsi ma sono trasmesse al
PM per le determinazioni del caso.
29
I dirigenti delle strutture ospitanti hanno obbligo di relazione sul percorso del minore e il
suo ambiente di vita e informarne il tribunale per i minorenni.
Il tribunale deve svolgere un’indagine sulla personalità del minore e decidere in camera di
consiglio alla presenza del minore e di chi ne ha la responsabilità genitoriale.
Oggi vi è un forte ripensamento del ruolo e della figura del pm nelle procedure civili
minorili. Al pm minorile tuttavia il minore può rivolgersi direttamente mentre non è
legittimato ad invocare la tutela del tribunale per i minorenni in via diretta.
Il pm minorile è una delle parti che più formulare richieste al giudice che agisce nei
procedimenti minorili mediante l’attivazione dell’azione civile senza alcun potere decisorio
nemmeno urgente o cautelare. È imparziale perché deve muoversi per un interesse
pubblico e non particolare.
Nella prassi questo ruolo nodale del pm non è ancora così chiaro e attuato.
Con la riforma dell’art. 38 l’esigenza di coordinare il ruolo attivo del pm si è resa ancora
più evidente. La nuova disciplina non ha ampliato l’azione del pm ordinario.
Una valorizzazione del ruolo del pm è stata con la legge n. 162 del 2014 che ha indotto
nel nostro ordinamento la c.d. negoziazione assistita, applicabile ai sensi dell’art. 6 della
normativa. Le coppie che intendono ricorrere a questo nuovo istituto sottoscrivono una
convenzione, assistiti ognuno da un avvocato, con la quale si impegna a cooperare tra
loro con buona fede e lealtà, osservando il dovere di riservatezza. Tale convenzione,
redatta i forma scritta, disciplina lo svolgimento della negoziazione che porterà ad un
accordo tra i coniugi. Dopo la sottoscrizione dell’accordo, dia questo che la convenzione
devono esser trasmessi al procuratore della repubblica presso il tribunale ordinario
affinché possa apporre il nulla osta.
Un ruolo particolare ricopre il pm minorile anche nella procedura prevista dall’art. 403c.c.
dettata per l’ipotesi di intervento della pubblica autorità a favore dei minori. Tale norma
30
prevede che la pubblica autorità a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia lo
collochi in un luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua
protezione.
Di fatto l’intervento ex art. 403 c.c. viene attuato o dal sindaco o dalle forze di polizia, am
deve essere formalizzato in un provvedimento motivato che descriva la situazione di
pericolo e i rimedi attuati. Post il minore in un luogo sicuro l’autorità deve avvisare il pmm
che trasmetterà gli atti al tribunale per i minorenni per i provvedimenti.
La segnalazione al pmm è necessaria anche per i casi di collocamento del minore insieme
ad uno dei genitori o in ipotesi di collocamento in struttura su richiesta di un genitore per
questioni di indigenza.
Tale norma esige infatti che ogni processo si svolga nel contraddittorio delle parti,
garantisca un giudice terzo e una ragionevole durata del processo.
Ognuno di questi principi andrebbe declinato nel processo minorile con una duttilità che
attualmente si scontra con norme ancora molto rigide e adultocentriche.
Il principio del contraddittorio nel processo minorile non può essere applicato rigidamente
ma deve adattarsi a caso concreto; ciò che va perseguita è la verità sostanziale.
Quanto alla terzietà del giudice, essa è stata valorizzata nei procedimenti per la
dichiarazione di adottabilità, e la necessità per la difesa tecnica per genitori e minore,
stante l’eliminazione della possibilità per il giudice di assumere iniziative d’ufficio ora
riservate al pm.
Quanto alla ragionevole durata del processo, la delicatezza delle questioni giuridiche
affrontate nel processo impongono all’autorità giudiziaria di agire con estrema celerità.
In tal senso vanno già richiamate le linee guida sulla giustizia minorile adottate nel 2010
dal consiglio d’Europa che indicano l’urgenza quale principio caratterizzante ogni
procedimento che riguarda un minore e che dovrebbe sempre essere applicato per fornire
una risposta rapida per proteggerlo al meglio nel rispetto della legge.
Nel processo minorile non avrebbe esserci una dualità di procedimenti poiché, trattandosi
di situazioni sempre in itinere la fase di attuazione del procedimento dovrebbe essere
eseguita dallo stesso giudice che ha pronunciato il provvedimento.
A tale visone è ispirata la regola di cui l’art. 337 ter che ha trasferito nel codice civile la
disposizione già contenuta nell’art. 6 della legge sul divorzio rendendola così applicabile
anche alle separazioni e ai provvedimenti dettati per la regolamentazione dei figli nati fuori
dal matrimonio. Il legislatore quindi dovrebbe dare unità di rito flessibile specializzato e
volto a superare l’ibrida figura del giudice.
31
- La qualità di parte del minore di età:
Appare evidente come la partecipazione del minore ai procedimenti che coinvolgono i
suoi diritti esistenziali non sia più solo una mera utopia ma una necessità che debba
trovare attuazione non solo come soggetto che va ascoltato ma i cui interessi debbano
essere difesi e rappresentati.
La disciplina processuale nonna però dettate norme generali che stabiliscano le forme di
partecipazione del minore ai giudizi che lo riguardino. Anche in questo caso la
stratificazione di norme non hanno rispettato l’esigenza di unitarietà della tutela del
minore. I procedimenti che riguardo il minore possono rientrare in 2 categorie:
Nel primo tipo il minore è parte necessaria e trova adeguata tutela, nella seconda è
destinatario ed è dubbia la sua qualità di parte processuale oltre che sostanziale.
Il minore può rivestire sia il ruolo di parte in senso sostanziale e in senso processuale,
nonostante gli sia negata la qualificazione di soggetto degli atti perché privo della
capacità di rivestire la qualità di parte in senso formale. La qualità di parte processuale è
negata al minore perché incapace di disporre del libero esercizio dei propri diritti coinvolti
nella diatriba familiare.
Il riconoscimento del ruolo di parte processuale di parte processuale del minore è stato
confermato anche in tempi più recenti della corte costituzionale nel 2009 e nel 2011.
- L’ascolto:
La configurazione dl minore come parte processuale va ricondotta allo schema del giusto
processo, ance se l’ascolto attiene alla necessità di prendere in considerazione l’opinione
del minore capace di discernimento attraverso la sua audizione, mentre l’attribuzione al
minore della qualità parte deriva della diversa esigenza di garantire loro la partecipazione
al processo in ipotesi anche in posizione conflittuale con i propri genitori.
L’obbligo di procedere all’ascolto del minore non presuppone che esso sia parte del
procedimento. La nozione di ascolto richiama il prestare attenzione, ed è nuova per il
mondo giuridico.
Questo percorso ha riscontrato dei conflitti da parte delle prassi dei tribunali e dei singoli
magistrati che hanno reso necessario l’intervento dei supremi organi. L’ascolto non
costituisce mezzo di prova né una forma di interrogatorio libero, esso è invece strumento
di tutela del minore finalizzato a far sentire la sua voce nel processo. Le dichiarazioni del
minore mirano a formare il convincimento del giudice e lo svolgimento di tale attività è
32
regolata da una serie di disposizioni sul tempo e le modalità volte a garantire la funzione
dell’ascolto, ed è in questo modo che l’ascolto viene riconosciuto come vero e proprio
diritto processuale del minore.
Dar voce al minore nel processo consente al giudice di approfondire la sua personalità.
Nell’ambito internazionale ed europeo l’ascolto del minore è un passaggio obbligatorio
sicché la sua omissione si tramuta in una causa ostativa al riconoscimento del
provvedimento negli altri stati impedendone la libera circolazione nello spazio giuridico
europeo; anche le linee guida del consiglio d’Europa attribuiscono all’ascolto del minore
un fondamentale importanza come forma di espressione del suo diritto alla
partecipazione al processo e ne descrivono le modalità.
Tali linee guide hanno inciso molto come strumento interpretativo indirizzando la
giurisprudenza e le prassi dei tribunali e condizionando la nuova disciplina del 2012 con
cui finalmente la legislazione italiana ha recepito il principio sovranazionale dell’ascolto.
Le norme codicistiche in materia di ascolto sono state ridotte ad unità nel 2013.
Speculare è la noma processuale che ne disciplina le modalità di ascolto.
Molti tribunali si sono dotati di protocolli di intesa con gli avvocati sulle modalità ascolto.
Va però rilevato che nella prassi il diritto del bambino ad essere ascoltato subisce un vero
e proprio azzeramento laddove si tratti di procedimenti non contenziosi o che si chiudano
con un accordi consensuale. Di fatto si è sempre ritenuto che in questo caso l’ascolto sia
superfluo.
Inoltre, tenuto conto dello spazio giuridico europeo, l’omesso ascolto nei procedimenti
non contenziosi andrà motivato, ad evitare che i provvedimenti non possano essere poi
eseguiti al di fuori del nostro paese.
Speculare a quanto detto è il diritto del minore a non essere ascoltato, è giusto
domandarsi se sia necessario ottenere il consenso del minore all’espletamento di questo
incombente. L’audizione deve in ogni caso essere condotta in modo tale che egli possa
esprimere le proprie opinioni ed esigenze libero da interferenze.
- La rappresentanza processuale:
Il diritto del minore a partecipare al processo che coinvolga suoi diritti esistenziali non si
ferma all’ascolto ma dovrebbe portare ad una vera e propria tutela processuale se non ad
un potere di azione, quantomeno ad una difesa effettiva e alla rappresentanza.
33
Nel nostro ordinamento non vi è una disciplina unitaria che disciplini il diritto all’autonomia
del bambino/adolescente, ma il legislatore è intervenuto senza una ratio, individuando
possibili età diverse per compiere determinati atti. vi sono quindi una serie di categorie in
cui l’autonomia è stata riconosciuta ed altre in cui è stata ricavata in via interpretativa.
vi è quindi un’area legislativa abbastanza ampia che riguarda la salute e gli atti di
disposizione del proprio corpo e della propria personalità in cui si assiste ad
un’anticipazione della capacità di agire.
La tendenza del legislatore a staccare il dato della compiutezza del processo maturativo
del mero dato anagrafico è sempre più forte. Ma il minore di età benché sia parte del
processo, è incapace di parteciparvi personalmente a tutela dei propri diritti, in quanto
sarebbe privo della capacità di agire.
Il soggetto minore di età benché dotato della legittimatio ad causa, è privo della capacità
processuale, ovvero della legittimatio ad processum, potendo agire in giudizio o compiere
atti processuali solo se legalmente rappresentato.
Quando vi sia conflitto tra genitori e figlio o tra tutore e minore si applicano le norme
relative al curatore speciale. Nel sistema vigente il curatore speciale è la persona
nominata quale rappresentante del minore nei casi di conflitto con i genitori anche in caso
di disinteresse/inerzia.
Il curatore può avere come funzione quella di compiere uno o più atti o di dover instaurare
o partecipare ad un processo. Anche per la figura speciale del minore, la normativa è
polverizzata in una serie di norme disseminate nel codice civile, ma la convenzione di
strasburgo ha fatto ordine richiamando l’attenzione sulla necessità che il fanciullo sia
rappresentato in ogni processo che lo riguardi. Anche le linee guida adottate dal comitato
dei ministri del consiglio d’Europa contengono indicazioni circa la rappresentanza del
minore nel caso di conflitto di interessi. Dalla lettura della normativa sovranazionale e dai
principi che la ispirano non sembrerebbe esserci dubbi che tale tutela debba essere
estesa a qualunque procedimento che riguardi il minore. Ma la realtà invece è diversa e le
lacune sul piano positivo sono enormi il che porta ad una grave discriminazione dei diritti
del minore nonostante le norme procedurali diano al giudice l’obbligo dii verificare
d’ufficio l’osservanza del contraddittorio e gli eventuali difetti di rappresentanza/
assistenza/autorizzazione, un ruolo importante potrebbe svolgerlo il pm che può in ogni
caso porre rimedio, per mezzo della richiesta di nomina di curatore speciale all’autorità
giudiziaria qualora ravveda un conflitto.
In quanto tale si è inserita la legge n.149 del 2001 che ha previsto la figura del difensore
del minore nei procedimenti relativi ai diritti relazionali. Tale legge ha previsto l’obbligo
dell’assistenza del difensore nelle procedure di adottabilità e nelle procedure de potevate.
L’entrata in vigore risale la 2007. La nomina di un avvocato per la difesa tecnica del
minore spetta al rappresentante legale o ad un curatore speciale, il quale, rimane distinto
dal difensore anche se cumulabili nelle stessa persona. Il difensore del minore dovrebbe
avere una particolare capacità ed attitudine a comprendere bisogni e le esigenze di un
soggetto in evoluzione e di rappresentarlo nella dialettica processuale.
34