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L’interesse della sociologia per la salute è una storia di diversi decenni. Elencare gli elementi che
hanno caratterizzato la sociologia nel suo interesse verso la salute rischia di trasformarsi in un
esercizio definitorio che manca di l’obbiettivo data la complessità dell’oggetto di studio. Per
questo motivo si ritiene che la specificità della sociologia possa emergere in modo più chiaro per
differenze, attraverso la critica la critica ad alcune prospettive che si tanno affermando in ambito
medico e sociale che rendono il contributo della sociologia sempre meno utile nei temi legati alla
salute e alla malattia.
Presentiamo brevemente le prospettive che sfidano il suo contributo, la prima trova sostegno nei
progressi della ricerca scientifica in ambito biologico e genetico, i cui risultati sono in grado di
identificare i fattori biologici responsabili delle malattie; il secondo fattore vede nelle condizioni di
salute la dimensione responsabile delle condizioni sociali in cui versano gli individui. Il terzo
elemento che mette in crisi la prospettiva sociologica è rappresentato dall’attenzione agli stili di
vita che rende la malattia responsabilità delle scelte individuali. A queste tre visioni se ne aggiunge
una quarta che potremmo definire postmoderna, secondo la quale il processo di
individualizzazione che caratterizzerebbe la nostra società renderebbe sempre meno rilevanti le
componenti strutturali che plasmano i comportamenti le credenze e i valori delle persone con la
conseguente perdita della dimensione sociale a favore della dimensione individuale nella
costruzione dei progetti di vita.
La visione secondo cui la ricerca delle malattie vada ricercata in fattori biologici è molto diffusa. La
ricerca scientifica apre la strada verso una comprensione sempre più chiara sui meccanismi
generativi delle malattie. Le cause genetiche sono ritenute responsabili di comportamenti e
pratiche culturali come omosessualità e consumo di droghe. I progressi delle tecnologie applicate
alla medicina hanno dato un impulso alla sperimentazione e contribuito a nuove scoperte
permettendo di trovare sia risposte sia di immaginare nuovi campi di indagine. La promessa della
ricerca genomica è quella di mettere a disposizione nuove informazioni in grado di trasformare il
sistema di cura attraverso diagnosi veloci, efficaci programmi di prevenzione e maggiore
precisione ne loro trattamento. Le scoperte sono state riprese dai mass-media che si sono fatti
portavoce degli studi scientifici presso il grande pubblico. La rappresentazione degli esiti delle
ricerche sta suscitando l’aspettativa che si sia un passo dalla soluzione di una serie di problemi di
salute che affliggono le società della parte più ricca e sviluppata del mondo, dall’alcolismo alla
malattia di Alzheimer, dall’obesità ai tumori e che attraverso interventi mirati su specifici geni la
qualità della vita degli individui possa migliorare. I passi in avanti compiuti in campo genetico nella
comprensione dei meccanismi che incidono sulla salute spinge a domandarsi quale ruolo possa
ricoprire la sociologia in questo campo. Non dovrebbe essere dimenticato che le malattie anche
cause sociali e ambientali e che qualsiasi attenzione alla variazione genetica individuale dovrebbe
sempre anche considerare gli effetti combinati dei fattori genetici, ambientali e sociali nella
patogenesi delle malattie. A questo riguardo la ricerca sociologica ha evidenziato che porre
l’attenzione sulla sola dimensione genetica sia limitante. Un numero consistente di studi, che
utilizzano diversi indicatori di salute, modelli supporta la prospettiva secondo la quale la
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dimensione sociale riveste un ruolo fondamentale nel determinare le condizioni di salute degli
individui. Una forte associazione è stata trovata tra un ampio range di esisti di salute e le misure di
posizione sociale individuale, tipicamente reddito, educazione, e collocazione nella gerarchia
occupazionale. Questa associazione prende la forma di quello che viene chiamato gradiente, ossia
la salute migliora incrementalmente più la posizione sociale occupata dall’individuo aumenta.
Braveman e Gottlieb individuano diversi meccanismi che spiegano l’impatto dei fattori sociali sulla
salute. Essi distinguono tra una via diretta e a rapida azione (inquinamento); oppure in via diretta
contribuendo al peggioramento di salute in tempi relativamente brevi. Le conseguenze dei fattori
sociali sulle condizioni di salute possono anche manifestarsi nel corso della vita dell’individuo,
come nel caso in cui la disponibilità dei prodotti freschi, con la presenza dei fast-food e scarse
opportunità ricreative, possa condurre a una pessima alimentazione e a una minore attività fisica, i
cui effetti negativi si possono riscontrare dopo diversi anni.
La relazione tra i fattori socioeconomici e la salute fisica possano riflettere anche nei percorsi più
complessi in cui il ruolo di mediatore può essere giocato dai comportamenti di salute. Tra i
meccanismi che legano i fattori sociali e la salute sono quelli che vedono la dimensione sociale
influire sugli aspetti biologici, in particolare nei processi epigenetici che regolano l’espressione o la
soppressione dei geni. l’epigenetica può rappresentare un ponte tra la genetica e l’ambiente. Le
condizioni sociali andrebbero a incidere su specifici comportamenti che a loro volta modificano
l’espressione dei geni con ricadute sulla salute.
I fattori sociali sembrano essere i responsabili dell’instabilità genetica.
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nell’utilizzo dei servizi sanitari connessi alle caratteristiche sociodemografiche ed economiche
degli individui.
La sfida per la sociologia della salute deve essere quella di descrivere e spiegare le iniquità in
termini più ambiziosi e proporre interventi che incidano sul gradiente di salute. È da qui che si
profila il secondo aspetto di grande rilievo, la policy. I mutamenti della nostra società mettono
in dubbio la capacità delle politiche sociali di agire tenendo conto dei cambiamenti in corso,
evitando di riproporre soluzioni pensate per contesti diversi. Oltretutto essi rappresentano una
sfida anche per la sociologia della salute che deve guardare ex novo concetti, per indagare in
modo adeguato le caratteristiche specifiche che contraddistinguono i gruppi sociali e gli
ambienti in cui agiscono.
Accanto al piano sostantivo, dal punto di vista più metodologico due sono le sfide con cui la
sociologia deve confrontarsi.
Il primo riguarda l’inclusione nella ricerca sociologica sulla salute delle informazioni che
derivano dai bio marcatori. Ciò non significa attribuire alla dimensione genetica/biologica un
ruolo esclusivo sugli esiti di salute ma anche in questo caso non è sensato disconoscere che
questi fattori siano importati per prevedere lo sviluppo di malattie o per essere utilizzati come
indicatori di rischio.
Sempre più indagini a livello internazionale raccolgono dati sui bio marcatori. Alcune
informazioni sono già presenti in diverse in indagini come l’indice di massa corporea (BMI)
nelle indagini ISTAT che permettere di valutare se un individuo sia sottopeso, normopeso o
obeso, e altri quali la pressione sanguigna, frequenza cardiaca..
Al di là delle rilevanti implicazioni etiche e delle difficoltà sul piano metodologico e
organizzativo che l’utilizzo dei dati biologici comporta, la sociologia della salute potrebbe
beneficiare di queste informazioni per studiare la relazione tra i fattori sociali e i marcatori
biologici, rendendo l’impatto che la dimensione sociale ha sullo stato di salute.
Un secondo tema nasce dall’interesse per una prospettiva di corso di vita per l’analisi degli esiti
di salute. È riconosciuto che lo stato di salute è condizionato da quanto avviene lungo la vita e
anche prima, da qui la necessità non solo di indagini longitudinali, ma anche di indagini che
copra l’intero arco della vita. L sociologia della salute dovrebbe focalizzare l’attenzione sulle
condizioni che garantiscono una buona partenza per la vita. Questo dignifica analizzare se è
adeguata la protezione sociale e di salute.. sostenere l’approccio sociologico non implica
negare che altre prospettive diano un contributo significativo alla comprensione dei temi della
sanità. Sottolineare che i fattori strutturali giocano un ruolo determinante nello strutturare le
scelte e gli esiti di salute non implica che la genetica sia irrilevante nello sviluppo delle
patologie.
Se la politica è una medicina su larga scala, allora la sociologia può diventare uno strumento
indispensabile per guidare e sostenere la politica nel prendere decisioni empiricamente
fondate sui temi della salute e della sanità. Così come la politica ha effetti sulla salute, la
conoscenza sociologica dei processi che governano gli esiti di salute può rappresentare la
chiave per comprendere quali risorse individuali/collettive si rivelano fondamentali per
migliorare la vita.
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struttura di classe di una società. L’interesse per la classe sociale deriva dal riconoscere che
essa è considerata una delle principali fonti di disuguaglianza sociale.
Le differenze di classe sociale sulla mortalità hanno dimostrato una dimensione fondamentale
della ricerca sulle disuguaglianze di salute. L’evidenza empirica mostra che tali differenze sono
molto ampie tra la popolazione.
La stratificazione sociale e la classe sociale si configurano come fattori strumentali
fondamentali per comprendere i processi attraverso i quali le iniquità di salute originano e
persistono nel tempo. Vi sono altri due fattori che incidono sulla salute: il genere e l’origine
etnica. Questi fattori agiscono sia come determinanti strutturali indipendenti, sia come fattori
che cin interazione con le variabili di stratificazione e di classe, possono modificare gli esiti di
salute. Si può affermare che il genere costituisce una fonte di discriminazione. La
discriminazione esclude/ ostacola le donne all’accesso al potere. Anche la discriminazione e
l’esclusione razziale hanno un impatto rilevante sulla salute, le persone che appartengono a un
gruppo etnico marginalizzato godono di minori opportunità durante la vita, ne discende uno
stato di salute spesso peggiore rispetto alla popolazione media. In particolare sono gli
svantaggi negli ambienti di vita e di lavoro a giocare un ruolo chiave facendo sperimentare ai
gruppi etnici discriminati tutte le forme di rischio per la salute tipiche degli strati sociali più
svantaggiati.
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principio trascura i differenziali nei bisogni di cura dovuti alle caratteristiche
sociodemografiche degli individui, discutibile che si possa parlare di equità.
b. Equità come accesso alle cure per bisogni uguali: definizione più impiegata nei documenti
ufficiali e in ambito scientifico. Richiede che sia soddisfatta la condizione per la quale coloro
con uguale bisogno abbiano le stesse opportunità/diritti di accedere al sistema sanitario. I
sistemi sanitari europei si basano sul principio di equità di accesso alle cure come parte dei
diritti umani. Per garantire questo diritto la maggior parte dei paesi europei prevede una
copertura universale dei costi di assistenza sanitaria per un insieme di servizi. Uguale
accesso non significa solo che tutti abbiamo gli stessi titoli di accesso a parità di bisogno ma
anche garantire una giusta distribuzione dei servizi in base ai bisogni presenti
territorialmente, significa rimuovere le barriere che sono di ostacolo. Il modo in cui è
organizzato il sistema sanitario può comportare variazioni nell’offerta dei servizi in termini
di:
- Disponibilità: nel caso alcuni servizi non siano disponibili ad alcuni gruppi o che i medici
dimostrino propensioni differenti a offrire lo stesso trattamento a parità di bisogni per
gruppi sociali diversi;
- Qualità: la qualità del servizio offerto possa variare tra i gruppi che ne benificiano;
- Costi: quando i costi imposti per l’accesso ai servizi variano tra i gruppi;
- Informazioni: quando il sistema sanitario fallisce nel comunicare a tutti i gruppi sociali
con la stessa qualità dell’informazione;
quando alcuni fattori non collegati a bisogno di cura impediscono l’uso dei servizi sanitari;
oppure quando le strutture e le risorse di cura sono distribuite in modo disuguale tale per
cui le realtà che soffrono le peggiori condizioni di salute sono anche quelli in cui i servizi
sanitari sono meno disponibili, o quando le risorse sono spese in modo prevalente in servizi
ad alta tecnologia di cui beneficiano piccoli gruppi di popolazione a fronte di una scarsa
fornitura di servizi per la maggior parte della popolazione, in questi casi possiamo parlare
di iniquità all’accesso al servizio sanitario. Focalizzare l’attenzione sull’iniquità verticale e
orizzontale implica far riferimento al bisogno come criterio sulla cui base sono distribuiti i
servizi offerti dall’assistenza sanitaria. Ma nulla è stato ancora detto su cosa si intenda per
bisogno del sistema sanitario. Questa difficoltà è messa alla luce da Curlyer e Wangstaff
che discutono tre usi del termine bisogno del sistema sanitario:
- Bisogno come condizione per conseguire un obbiettivo;
- Bisogno come cattiva salute;
- Bisogno come spesa che una persona dovrebbe sostenere per beneficiare di un
miglioramento di salute.
Quest’ultima definizione confligge con la prima definizione, fatta dai clinici, che dice che
più una persona è malata e più grande è il suo bisogno. È possibile che per arrivare a una
definizione operativa di bisogno sia necessaria una forma di sintesi che sappia generare
consenso.
c. Equità come uguale utilizzo per uguale bisogno: la maggior parte dei paesi come l’italia
offre almeno sul piano dei principi ispiratori, un sistema sanitario con copertura universale
per tutti. Questo però non si traduce in un uguale utilizzo dei servizi di assistenza. Molti
studi hanno dimostrato per persistono differenze nell’utilizzo dei servizi sanitari connessi
alle caratteristiche demografiche e socioeconomiche degli individui. Se alcuni gruppi
ricevono diversi livelli di cura a parità di bisogni, allora si può parlare di iniquità nell’uso dei
servizi sanitari, trovarsi in presenza di disparità nell’utilizzo del sistema sanitario a parità di
bisogno non necessariamente significa confrontarsi con differenze inique. Si deve
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riconoscere che ci possono essere ragioni accettabili per il diverso utilizzo dei servizi, tale
differenza può essere imputata a scelte individuali basate su motivazioni etiche o religiose.
Questa prospettiva fa sì che l’uso dei servizi è funzione della loro predisposizione che ne
favorisce/impedisce l’utilizzo e della loro necessità di cura. In questo contesto le
dimensioni a livello micro e i fattori a livello macro interagiscono per determinare l’utilizzo
dei servizi sanitari.
Anche il concetto di utilizzo presenta problematicità, ne segnaliamo due.
In primo luogo, l’utilizzo è operativizzato in termini di numero di contatti con un
professionista della sanità.
In secondo luogo, si deve riconoscere che il sottoutilizzo di un servizio non comporta
sempre un aspetto negativo, se esistono alternative altrettanto efficaci sul piano clinico,
che però sfuggono all’analisi empirica nel momento in cui questa si focalizza su una
procedura. Questo può diventare preoccupante sul piano dell’equità, se il sottoutilizzo di
un servizio riguarda i gruppi sociali più avvantaggiati che si indirizzano verso procedure di
efficacia superiore. Quando gli sudi che analizzano le disparità dell’utilizzo dei servizi
sanitari si basano su autodichiarazioni degli individui, il rischio è di incorrere in una bias di
memoria che distorce il reale uso dei servizi.
d. Equità come uguaglianza negli esiti di salute: se la salute è una condizione necessaria per
poter raggiungere i propri obbiettivi nella vita, la più equa distribuzione di salute è una
distribuzione egualitaria. Da ciò ne consegue che un’equa distribuzione dei servizi sanitari è
quella che dà origine a un’eguale distribuzione di salute. Questa prospettiva, visto che si
prefigge di rendere il livello di salute simile per tutte le aree o tra tutti i gruppi sociali
presenta alcune problematicità.
In primo luogo il conseguimento dell’uguaglianza può essere considerato un obbiettivo
irrealistico perché i sevizi sanitari sono solo uno dei molti fattori, in interazione fra loro,
responsabili delle iniquità di salute. Dall’altre parte, se anche questo fosse raggiungibile,
non necessariamente potrebbe essere considerato auspicabile, questo richiederebbe
troppe restrizioni ai modi in cui gli individui possono di scegliere le proprie vite.
Come sottolineato da Oliver e Massialos è eticamente discutibile che il sistema sanitario
debba essere utilizzato come strumento di redistribuzione degli esiti di salute. Ciò
implicherebbe che persone già ammalate e che hanno lo stesso bisogno dei servizi siano
trattate in modo disuguale, in virtù delle loro caratteristiche.
Gran parte degli studi empirici hanno indagato l’iniquità del sistema sanitario, iniquità
legate al reddito, al livello di istruzione, all’appartenenza a una determinata classe sociale,
o una combinazione di questi e altri fattori si sono basate su una definizione di equità
intesa come equità di utilizzo dei servizi sanitari a parità di bisogno. In realtà un numero
consistente di lavoratori dichiara di rifarsi al concetto di iniquità di accesso ai servizi,
sebbene poi impieghi non indicatori di accesso ma indicatori di utilizzo.
La risposta non può essere definitiva e assoluta. Per prima cosa bisogna riconoscere i limiti
insiti in ogni definizione di equità, pertanto, quale sia la definizione che di cui si intende
avvalersi, bisogna essere consapevoli che una definizione ideale non esiste e che ciascuna
definizione permette di rilevare alcuni aspetti del concetto di equità del sistema sanitario,
lasciandone in ombra altre. Due considerazioni meritano attenzione: una pratica, cioè che è
sempre opportuno esplicitare a quale definizione di equità del sistema ci si riferisca; l’altra,
è che il concetto di equità in campo sanitario dovrebbe essere considerato come un
concetto multidimensionale. Le differenti definizioni, potrebbero essere intese come
dimensione dello stesso concetto, il cui significato difficilmente si può cogliere con un
approccio unidimensionale. Muoversi in questa direzione richiede una riflessione che
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sappia coniugare gli aspetti teorici con la dimensione tecnica/operativa di costruzione di
una misura sintetica del concetto di e equità dell’assistenza sanitaria.
Una prima questione in termini di equità nasce nel momento in cui si esamina il budget del
sistema sanitario ripartito tra le regioni, che sono gli attori ai quali aspetta l’erogazione dei servizi
all’utenza. Fino al 2013 l’allocazione delle risorse tra le regioni avveniva in base al numero di
residenti di ogni regione, criterio temperato dalla valutazione della struttura per età della
popolazione regionale. Pertanto, regioni con una popolazione di età medio-alta hanno ricevuto
una quota pro capite superiore rispetto a regione in cui l’età media è più bassa. Sono
considerazioni che tengono conto della più alta assunzione di famaci da parte degli anziani. Dal
2013 il riparto dei trasferimenti alle regioni avviene sulla base dei costi standard, tenendo conto
dei dati di popolazioni disponibili, ossia la distribuzione per età. Sono individuate regioni virtuose
per efficienza e appropriatezza nell’erogazione dei servizi sanitari che fungono da benckmark. Sulla
base di dei costi standard si distribuiscono le risorse fra regioni.
La differenza nella distribuzione delle risorse fra le regioni in base alla loro struttura demografica
non è ingiusta. È chiaro che a fronte di una richiesta di servizi sanitari differenziata legata a ragioni
oggettive è sensato intervenire con un’allocazione di risorse che favorisca le regioni che devono
fornire più assistenza sanitaria. Ciò che rende la procedura di allocazione non equa dipende
dall’ignorare nell’ignorare fattori quali le condizioni di salute della popolazione, le caratteristiche
socioeconomiche che sappiamo avere un significato rilevante.
Riconoscere se si possono migliorare l’equità del sistema non significa disconoscere le difficoltà
politiche e tecniche di costruire una misura di fabbisogno accettabile dalle regioni. Una
distribuzione equa delle risorse non garantisce né la qualità né la quantità dei servizi offerti nelle
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differenti aree geografiche siano dello stesso livello né che gli esiti di salute derivanti
dall’intervento curativo attuato dai servizi. Nel caso italiano la disparità territoriale si realizza e
prende la forma di una frattura tra nord e sud. Questo divario può essere analizzato da diversi
punti di vista basandosi su una molteplicità di indicatori e tecniche di analisi. Le differenze rispetto
a tre dimensioni: a) la mobilità interregionale; b) la soddisfazione dei cittadini; c) la qualità dei
servizi sanitari regionali.
a. I cittadini italiani sono liberi di farsi curare in tutte le strutture pubbliche che operano sul
territorio nazionale. Quando un cittadino decide di spostarsi in una regione diversa da
quella in cui risiede per ricevere assistenza siamo difronte alla mobilità sanitaria. È quindi
possibili considerare la scelta del paziente di usare dei servizi in un’altra regione come
indicatore dell’efficacia e della qualità dei servizi sanitari. (da sud a nord)
b. Questo indicatore si basa sul giudizio espresso dai cittadini nei confronti del proprio
sistema sanitario. l’insoddisfazione è più marcata tra i pazienti delle regioni meridionali.
c. Oltre alla visione soggettiva è possibile valutare la qualità dei servizi sanitari attraverso la
costruzione di un indice sintetico di qualità che utilizzi un insieme di indicatori oggettivi di
tipo gestionale, finanziario, organizzativo, per arrivare a definire un ranking dei sistemi
sanitari. La qualità dei servizi sanitari è più alta nelle regioni del nord
Le evidenze empiriche confermano le forti disparità territoriali nei servizi offerti dai cittadini
delle diverse regioni, nonostante un finanziamento del sistema sanitario che alloca le risorse in
modo omogeneo tra le realtà territoriali, pur con i limiti evidenziati.
2. I poveri:
numerosi studi hanno documentato come i fattori strutturali e le tradizioni variabili di
stratificazione sociale (reddito, istruzione)sono centrali per dar conto al deterioramento della
condizione di salute. In questa prospettiva le risorse economiche sono la chiave.
Il non rispetto dei principi del SSN potrebbe incrinare l’equità del SSN e ampliare la disparità nelle
condizioni di salute tra i soggetti più svantaggiati e quelli che occupano i gradi più bassi della scala
sociale. Un a parte della popolazione potrebbe andare in contro a bisogni sanitari non soddisfatti, i
cittadini rinunciano alle cure per ragioni economiche o per limiti organizzativi del sistema sanitario.
Così pur in presenza di un sistema sanitario che si dice universalistico ed avere le risorse
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economiche adeguate permette di proteggere la propria salute di quanto non succeda per coloro
che incontrano difficoltà finanziare. Le risorse economiche consente: di pagare il contributo si costi
richiesto ai cittadini per poter beneficiare di alcune prestazioni; di ricevere cure necessarie per i
bisogni non coperti dal SSN; la possibilità di rivolgersi al settore sanitario privato tutte le volte che i
lunghi tempi di attesa per ricevere una prestazione minacciano di compromettere la salute.
Se le cose stanno così è possibile che la quota di famiglie e di individui sperimenti una condizione
di povertà sanitaria, nel senso che la scarsità di risorse economiche impedisce loro di accedere ai
farmaci e alle cure. La necessità di ottenere alcune prestazioni essenziali genera situazioni di
vulnerabilità sociale ed economica, nel momento in cui gli individui sono costrette a contrarre
debiti che hanno poi difficoltà a pagare, con gravi effetti quali la perdita dell’abitazione,
stigmatizzazione.. una contrazione delle spese in salute della famiglia, accentuato anche dalla crisi
economica, ha avuto una serie di conseguenze anche sulla salute degli individui. Secondo l’ISTAT
nel 2013 il 12% delle persone di 14 anni ha rinunciato a trattamenti odontoiatrici per motivi
economici. I motivi economici incidono per l’85,2%. Lo svantaggio del mezzogiorno è evidente: il
27,7% della popolazione di 3 anni ha fatto ricorso alle cure odontoiatriche; inoltre è più alta la
quota di persone che rinuncia per motivi economici. Nella stessa direzione vanno le visite per la
prevenzione o la pulizia dei denti: la quota di persone rilevata nel Meridione è la metà di quelle del
Nord, mentre è doppia rispetto al Nord la percentuale di coloro che non sono mai stati dal
dentista.
Sempre nel 2013 il 9% della popolazione ha rinunciato a visite specialistiche o interventi chirurgici
pur avendone bisogno. Si tratta di una generale vulnerabilità all’accesso alle cure che è legato alle
disponibilità economiche. Questi dimostrano che l’accesso alle cure mediche è più difficile con
persone con un reddito limitato, con conseguente aumento delle iniquità sanitarie.
Quanto detto nella ricerca empirica un’ulteriore conferma. Due studi incentrati sulla spesa
familiare per salute mostrano quanto sia stretta la relazione tra le risorse economiche e la
possibilità di acquistare beni e servizi sanitari. Nel primo studio analizzano la relazione tra povertà
e la spesa familiare in salute, prendendo in considerazione le variazioni regionali e tra i gruppi
sociali. L’attenzione è stata posta sulla dimensione finanziaria della povertà. Possedere scrasi
mezzi finanziari significa una mancanza di risorse che consentono di raggiungere i più alti standard
di vita e di partecipare alla società. Quando la salute è minacciata o quando i soggetti decidono di
intervenire per proteggerla gli individui possono impiegare una certa quantità di risorse
economiche per garantirsi il miglior livello di salute possibile. Questo quadro è distorto dalla
inequa distribuzione delle risorse economiche, così non tutte le famiglie hanno a disposizione lo
stesso ammontare di risorse per la salute. L’obbiettivo del lavoro ha preso le mosse dal ricooscere
questa condizione e dal voler comparare le capacità delle famiglie con mezzi finanziari differenti di
proteffere la propria salute in termini di spesa. Si è ipotizzato che come conseguenza della crisi
finanziaria la riduzione delle risorse economiche su cui una parte delle famiglie poteva contare
fosse stata più sensibile per i nuclei poveri rispetto a quelli ricchi, con la conseguenza di
costringere le famiglie povere a diminuire i loro consumi in ambito sanitario.
I risultati suggeriscono che le famiglie povere spendono per la salute meno dei soggetti benestanti
sebbene i differenziali del tempo siano stabili. A partire dal 2011 le stime dei modelli relativi alla
propensione a spendere per la salute sembrano indicare una diminuzione delle spese sostenute
dalle famiglie povere. Questo crescente divario tra famiglie povere e ricche è dovuto dall’effetto
ritardato della crisi economica. Dall’analisi emerge una differenza nel corso del tempo tra famiglie
ricche e povere in termini di orientamento a spendere per la salute, ma tale differenza non si
riscontra se si guarda alla cifra spesa. Questi risultati mostrano gli elementi di iniquità tra le
famiglie. Il perpetuarsi della crisi economica ha portato ad un aumento dei tassi di disoccupazione,
a uno slittamento verso la povertà e alla perdita del potere d’acquisto. Queste condizioni possono
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indurre alla rinuncia/differenziamento delle spese sanitarie, con il rischio che la decisione porti ad
un peggioramento delle condizioni di salute oltre a comportare un aumento degli oneri a carico
del sistema sanitario in futuro.
L’impatto della crisi ha avuto un ruolo decisivo nella contrazione delle spese per la salute delle
famiglie, ma non è stato l’unico fattore che ha influenzato la capacità di spesa delle famiglie che
hanno dovuto fare i conti con la crescita del contributo richiesto ai pazienti per la copertura dei
costi sanitari in virtù di politiche cost-sharing volte a reperire le risorse per finanziare l’offerta
pubblica di servizi sanitari in un contesto di forti vincoli di bilancio. La quota delle spese
farmaceutiche out of pocket sul totale delle spese di medicinali è aumentata del 6,6% nel 2006 al
18,3% nel 2013.
Gli effetti di tali scelte sugli esiti di salute degli individui, attraverso un indagine condotta qualche
anno fa sull’impatto dei ticket sanitari sul consumo di farmaci, prende le mosse prende le mosse
dall’idea che la difficoltà di affrontare una spesa sanitaria comporti un peggioramento delle
condizioni di salute he può interessare la parte più debole della società. Il punto di partenza
dell’indagine sta nel riconoscere che qualsiasi politica di compartecipazione alla spesa sanitaria
deve riuscire a limitare i fattori di distorsione dovuta a una richiesta inappropriata di servizi, senza
impedire l’accesso al sistema sanitario da parte di coloro che necessitano di cure, ma che non
possono permettersi il costo aggiuntivo di un ticket. Uno dei risultati più importanti sull’indagine
sugli effetti delle politiche cost sharing, il Rand Healt Insurance Experiment (RHIE) condotto negli
USA tra il 1974 e il 1982 ha mostrato che gli individui vulnerabili registravano peggiori su alcuni
indicatori si salute quando il livello di compartecipazione era alto. due aspetti sono rilevanti.
Da una parte il tentativo di stabilire se vi fossero differenze nella spesa per i farmaci tra le famiglie
ricche e povere; dall’altra capire se le differenze osservate fossero associate alla quota di
compartecipazione richiesta ai cittadini.
Dai risultati si evince l’esistenza di un chiaro gradiente tra ricchezza familiare e la spesa dei
medicinali. Le famiglie più povere, a parità di caratteristiche sociodemografiche tendono a
spendere meno in farmaci delle famiglie più benestanti. Ciò che è interessante è che a fronte dei
modelli di applicazione del ticket, l’aumento della compartecipazione alla spesa sembrerebbe aver
avuto un impatto simile nei diversi contesti regionali, in virtù delle disponibilità economiche su cui
possono fare affidamento le famiglie e del periodo in cui la compartecipazione è aumentata. Ne
periodo precedete alla crisi economica, a una maggior richiesta di compartecipazione sembra aver
fatto seguito una crescita della spesa in farmaci più attenuate per le famiglie più ricche. Al
contrario, dopo la crisi del 2008. Nei primi anni analizzati, a fronte di n incremento del ticket, le
famiglie più benestanti sembrano aver reagito spendendo di più rispetto alle famiglie più povere.
Le indagini suggerirebbero un effetto positivo del ticket, i termini di equità e di maggiori incassi per
il sistema sanitario. Infatti che si ritiene la contrazione delle spese per le famiglie più ricche con lo
scoppio della crisi non sia imputabile a una mancanza di risorse, quanto al taglio nell’acquisto di
medicinali non indispensabili.
Con l’avvio e il perdurare della crisi si è assistito a un decremento della spesa in medicinali delle
famiglie povere, questo farebbe pensare che l’innalzamento del ticket si sia ripercosso
negativamente anche sui consumi delle famiglie vulnerabili. Negli ultimi anni il ticket sembra ver
agito su una domanda di farmaci di tipo elastico gravando sulle famiglie con maggiori difficoltà,
inducendo una contrazione dei consumi non solo inappropriati ma anche di quelli necessari. le
conseguenze negative della povertà dovrebbero essere valutate anche sul piano degli esiti di
salute e di accesso/utilizzo del sistema sanitario.
3. Gli anziani:
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si tratta di un segmento della popolazione in costante aumento. La quota della popolazione
superiore ai 65 anni è cresciuta in UE e dal 2005 al 2015, l’UE -28 nel suo insieme ha realizzato un
aumento di 2,3 punti percentuali nella popolazione anziana. Questa crescita continuerà
modificando la distribuzione per età della popolazione. L’invecchiamento della popolazione ha
notevoli implicazioni sociali economiche e di salute. L’interesse scientifico nello studio
dell’invecchiamento e delle longevità è determinato dal peso sociale che l’aumento delle
dimensioni della popolazione anziana ha avuto e avrà nei paesi sviluppati. Poiché la vita lunga è
associata ad anni di cattiva salute, significa un aumento di individui che non sono autonomi e sono
affetti da patologie invalidanti. Gli individui sperimentano problemi di salute più frequentemente
negli ultimi anni di vita, quindi la spesa per l’assistenza medica e sociale è concentrata in questi
anni. Si assiste a una discussione pubblica e scientifica intorno al tema “dell’invecchiamento di
successo”, su cui si riconosce una genesi determinata da molteplici fattori e correlata a
determinati sociali, comportamentali biologici e genetici. I fattori genetici sarebbero responsabili
di circa un terzo della variazione dell’aspettativa di vita, pertanto la maggior parte delle differenze
sarebbe imputabile a fattori stocatici, sociali e ambientali. Da quado Rowe e Kahn hanno distinto
tra l’invecchiamento di successo (SA) e invecchiamento normale si è sviluppata un’attenzione ai
fattori che possono favorire un invecchiamento di successo. Rowe e Kahn hanno suggerito che la
SA consiste in una combinazione di tre elementi: una bassa probabilità di malattia e disabilità
correlata alla malattia; un’elevata capacità cognitiva e funzionale; un impegno attivo nella vita.
Tuttavia, si deve pensare che non è realistico pensare di essere totalmente liberi dalla malattia in
età avanzata e che quindi la SA dovrebbe essere intesa come un continuum di conquiste piuttosto
che uno status immutabile.
Molta letteratura si è interrogata sui fattori che aiutano le persone a invecchiare con successo o in
modo sano, confermando il carattere multidimensionale del processo di invecchiamento. I domini
inclusi nelle definizioni dell’invecchiamento sano sono la sopravvivenza a un’età specifica, l’essere
liberi da malattie croniche, l’autonomia, il benessere, la buona qualità della vita. Sebbene
l’invecchiamento possa aumentare alcuni problemi di salute, vi sono prove che la riduzione
dell’ingiusta distribuzione di risorse economiche e sociali può portare a migliori esiti di salute.
Nella letteratura scientifica grande attenzione è stata dedicata al ruolo degli stili di vita
nell’invecchiamento di successo. Artaud et al hanno individuato diversi fattori predittivi della
disabilità: una dieta povera, il fumo e l’inattività fisica. I risultati di Sabia et al forniscono prove che
questi stili di vita a basso rischio, sono associati a ridotta disabilità, a una buona funzionalità
cognitiva e fisica, oltre che a una buona salute mentale nella mezza età. I comportamenti di salute
agiscono da determinanti intermediari e sono influenzati dallo status socioeconomico degli
individui. I fattori socioeconomici sono stati determinati come centrali per la salute e la
vulnerabilità in età centrale evidenziando che coloro che sperimentano vantaggi sociali si trovano
a vivere in condizioni di benessere peggiori. Accanto allo status socioeconomico l’equità della
salute per la popolazione anziana può essere minacciata dall’esclusione sociale, dimensione
integrante del concetto di qualità della vita e si focalizza sulle relazioni fra l’individuo e strutture
istituzionali e sociali. Le persone potrebbero essere escluse socialmente se non partecipano alle
principali attività della società in cui vivono. Il concetto di esclusione si riferisce a un’estromissione
sistematica di individui, famiglie e gruppi dalle attività economiche, politiche e sociali fondamentali
per la vita. Come dimostra la letteratura alla vulnerabilità socioeconomica si accompagna spesso
un impoverimento delle reti sociali e coloro che occupano le posizioni sociali più basse hanno
meno probabilità di essere aiutati. L’inclusione sociale è considerata predittiva
dell’invecchiamento di successo e di una migliore salute negli anziani.
Questo quadro è ulteriormente complicato dalle difficoltà che gli anziani possono incontrare per
accedere all’assistenza sanitaria, tra gli elementi più rilevanti si segnala il basso reddito. Secondo la
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commissione europea le donne anziane sono esposte al rischio di incontrare barrire legate al
basso reddito quado accedono all’assistenza sanitaria. Le disuguaglianze di genere nel mercato del
lavoro, si trasformano in svantaggi in età avanzata. Un altro ostacolo all’accesso all’assistenza
sanitaria di questo gruppo è la bassa istruzione e la scarsa alfabetizzazione sanitaria. Queste
difficoltà potrebbero essere aggravate dal crescente utilizzo delle tecnologie impiegate nel settore
dell’assistenza sanitaria, ulteriori difficoltà possono nascere perché le persone anziane hanno
minori probabilità di possedere mezzi di trasporto privati e più difficoltà ad affidarsi ai trasporti
pubblici per accedere ai servizi.
Da questo quadro emerge che per la componente anziana si possa parlare di uno stretto legame
tra le condizioni di salute, le risorse disponibili e l’accesso ai servizi. Ci sono prove che la scarsità di
risorse è associata a diverse conseguenze negative sugli esiti di salute in tarda età, compresi i
disturbi fisici e mentali. Sono state condotte due ricerche empiriche che hanno messo in evidenza
il rapporto tra le risorse economiche e la salute e le relazioni tra l’istruzione e l’utilizzo dei servizi
sanitari. Il primo, guarda all’impatto che la condizione di vulnerabilità ha sugli esisti di salute e
qualità della vita di una popolazione composta di individui con 50 o più anni in 14 paesi europei. Si
analizza la relazione tra le condizioni economiche degli individui: operativizzante come
deprivazione materiale, e tre dimensioni di benessere: salute auto-percepita, sintomi di
depressione, qualità della vita. I risultati dimostrano che la deprivazione materiale gioca un ruolo
importante nel determinare le condizioni di salute. Rispetto agli individui con più risorse, le
persone materialmente deprivate hanno una peggiore salute auto-percepita e una qualità della
vita più bassa a fronte di un livello di depressione più elevato. Un elevato gradiente per tutti gli
indicatori considerati. L’analisi mostra che al crescere dell’età le condizioni registrate dei soggetti
tende a peggiorare. Ciò significa che la deprivazione materiale può rappresentare un problema per
quanto riguarda le conseguenze sulla salute. Si può presumere che le persone con maggiori risorse
siano più in grado di utilizzare i servizi di assistenza sanitaria proteggendo la loro salute. Un minore
utilizzo dei servizi può comportare uno stato di salute minore, le differenze nell’utilizzo deli servizi
aumentano il rischio di malattia e aumentano le disparità sociali e finanziarie. In un precedente
lavoro si è analizzata l’iniquità di utilizzo dei servizi sanitari da parte della popolazione anziana
confrontando 12 paesi europei. In questo lavoro l’attenzione è stata posta sulle iniquità associate
al livello di istruzione degli individui. Si sosteneva che i pazienti meno istruiti dovessero affrontare
barriere culturali e informative, e che questo spiegasse il loro minor utilizzo delle risorse rispetto
ad anziani con un più elevato livello di istruzione. I risultati dello studio confermano che ci si trova
in presenza di iniquità nell’uso dell’assistenza sanitaria, non si registrano invece grandi variazioni
per quanto riguarda le visite dal medico generico in base al livello di istruzione.
Al contrario le visite specialistiche mostrano un gradiente, con gli anziani più istruiti che utilizzano
tali servizi rispetto quelli meno istruiti, questi ultimi incontrano barriere dovute alla
comunicazione, un rapporto più formale rispetto a quello con il medico generico li fa sentire meno
sicuri di essere in grado di comunicare i loro bisogni a uno specialista. Il ruolo cruciale è svolto
dall’alfabetizzazione sanitaria, come definita dall’OMS, ossia il grado di capacità degli individui di
avere accesso, comprendere e utilizzare le informazioni con modalità utili a mantenere un buono
stato di salute. Le persone con più istruzioni hanno maggiori risorse che permettono loro di fare le
scelte più informate e intraprendere azioni più efficaci per conseguire i propri obbiettivi di salute.
4. Gli immigrati:
le nazioni unite stimano che in Europa i migranti sono passati da circa 65 milioni nel 2000 a oltre
72 milioni nel 2013, una crescita del 28,8%, in italia nel periodo del primo gennaio 2002/2016 la
popolazione residente immigrata è cresciuta di 1,3 milioni a 5 milioni e il 52,7% è formato da
donne. La condione dell’immigrato ha ripercussioni indivisuali e sociali che si declinano spesso
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come disuguaglianze pervasive e sistematiche in molti ambiti. Da questo punto di vista le iniquità
di salute sono una delle più rilevanti discriminazioni che nel contesto migratorio noj trovano
elementi di fronteggiamento ma al contempo tendono ad aggravarsi. La medesima forma di
disuguaglianza peggiora a causa delle condizioni sociali, economiche, relazionali tipiche della
migrazione. Forme di disuguaglianze si accumulano per le condizioni in cui vivono i migranti e il cui
impatto negativo è più significativo rispetto agli autoctoni, anche a parità di condizioni
socioeconomiche. Se si adotta la prospettiva dei determinati sociali di salute, l’etnia può essere
riconosciuta come un determinante strutturale degli esiti di salute.
Sono state identificate cinque spiegazioni per le differenze di salute tra i gruppi etnici: genetiche,
culturali, relative alla posizione socioeconomiche, legate alla storia dell’immigrazione a breve
termine, e connessa all’identità etnica. Tra i determinanti intermediari i diversi modelli di
prevalenza dei fattori di rischio sono in parte responsabili per le differenze di salute tra i migranti e
le popolazioni eutoctone.
Un punto di partenza per dar conto alle iniquità è riconoscere che i migranti occupano le posizioni
più svantaggiate della gerarchia sociale, questo comporta il trovarsi in pessime condizioni
abitative, disporre di un basso reddito, con ricadute sulle condizioni di salute. I comportamenti
quali fumo, abuso di sostanze.. possono essere conseguenze di quel processo definito di
acculturazione che vede l’immigrato adottare gli stili di vita del paese ospite. Gli immigrati sono
più esposti ai rischi ambientali e dal lavoro mentre sono particolarmente esposti a rischi
psicosociali dovuti a discriminazioni razziali. A ciò si aggiunge che i migranti risultano più
vulnerabili agli effetti sulla salute dei differenti fattori di rischio, sia per suscettibilità genetica o
acquisita. La malattia stessa può rendere i migranti più vulnerabili, date le conseguenze
economiche e sociali che essa comporta, quali l’impoverimento, la disoccupazione fino ad arrivare
a esisti estremi quali il mancato rinnovo del permesso di soggiorno a causa della perdita del lavoro.
Secondo l’assunto chiamato “effetto del migrante sano” le persone che emigrano per un progetto
di lavoto o studio sono mediamente più sane dei loro coetanei che non parto dal paese di origine.
Si ritiene che l’esperienza migratoria metta a dura prova la condizione di salute, quindi
difficilmente si intraprende questo percorso se si è già prima della partenza si ha una salute
compromessa. Per questo la salute degli immigrati al momento dell’arrivo è pregiudicata per
effetto dei processi di acculturazione e per gli svantaggi che si accumulano. D’altra parte, diversa è
condizione dei migranti che non decidono volontariamente di migrare. I migranti forzati possono
presentare dei profili di salute meno buoni. Di fronte a rischi che possono compromettere la
sopravvivenza la salute diventa un fattore secondario nella decisione di migrare. Allo stesso lo
modo le condizioni di salute possono essere meno buone per i migranti che decidono di immigrare
per ricongiungersi ai propri familiari. Un’attenzione particolare merita la salute delle seconde
generazioni per i quali i comportamenti di salute e le condizioni di vita sono molto simili a quelli
dei coetanei autoctoni con i rischi per la salute tipici di quelle fasce di età.
Le relazioni e i processi non devono essere interpretati in senso strettamente deterministico
perché è difficile giungere a generalizzazioni riguardo i bisogni di salute se si considera che entrano
in gioco un numero considerevole di fattori che possono modificare il quadro delineato. In
secondo luogo è evidente che per affrontare la questione delle condizioni di salute della
popolazione, non è sufficiente basarsi su dati puramente sanitari, ma è necessaria una prospettiva
più ampia che sappia cogliere le diverse dimensioni che incidono sulla salute.
Le dimensioni e i processi richiamati sono validi anche per lo studio della popolazione autoctona. I
fattori socioeconomici e culturali hanno un ruolo chiave nel determinare lo stato di salute. Sul
piano empirico diversi studi dimostrano che la disparità di salute costituisce una costante e che
all’interno di esse vi è una forte realizzazione ed etnicizzazione dell’iniquità di salute.
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Il fenomeno dell’etnicizzazione delle disuguaglianze di salute pur rappresentando una realtà
diffusa in molti paesi costituisce un fenomeno nuovo per l’italia. Sebbene anche nel nostro paese
gli studi iniziano ad evidenziare che gli immigrati sono destinati a svolgere lavori più insalubri e
pesanti, con i relativi effetti negativi sulla loro salute.
I migranti manifestano bisogni di salute più elevati rispetto alla popolazione autoctona perché
maggiori sono i rischi che affrontano a front di diritti parzialmente riconosciuti, peggiori condizioni
socioeconomiche. Differente cultura. Ciò ha messo sotto pressione la capacità dei sistemi sanitaria
di rispondere in modo adeguato ai bisogni della popolazione immigrata. Garantire ai migranti un
accesso equo alle cure significa favorire non solo una migliore salute, facilitare la loro integrazione
viste le limitazioni che la malattia comporta nella possibilità di partecipare ai diversi ambiti sociali.
Terraneo mostra che le minoranze etniche fanno minore ricorso ai programmi di screening mentre
si verifica un sovrautilizzo del pronto soccorso. Più incerti sono i risultati in merito alle visite al
medico generico e allo specialista, mentre un accordo emerge sulla mancanza di disparità tra
migranti autoctoni nel livello di ospedalizzazione. Nell’analisi della relazione tra immigrazione e
servizi sanitari un’attenzione particolare merita la dimensione di genere per le specificità che la
contraddistinguono. In primo luogo si deve considerare che le donne immigrate sono delle forti
utilizzatrici del sistema sanitario soprattutto dei servizi materno infantili. In italia le maggiori cause
di ricovero delle donne migranti di tutte le età sono legate alla gravidanza. Inoltre i ricoveri in Day
hospital sono prevalentemente a carico delle donne immigrate. Un’area sensibile per le donne
immigrate è quella della prevenzione. Come si evince dalla letteratura, le migranti ricorrono in
misura minore agli screening oncologici. Le conseguenze sono pesanti se si considera che tra le
donne immigrate la principale causa di morte è rappresentata dai tumori.
Le ricerche in questo campo hanno messo in luce come gli individui appartenenti a minoranze
etniche possano sperimentare una serie di barriere quando si apprestano a far uso di servizi
sanitari nei paesi che li ospitano. Scheppers e colleghi individuano tre livelli a cui le barriere
possono presentarsi: di paziente, di fornitore di servizi e di sistema. Alcune di queste barrire sono
tipiche dei differenti gruppi etnici e dipendono dalla minoranza etnica , in virtù della cultura/valori
che la contraddistingue, del contesto in cui gli immigrati sono inseriti, delle caratteristiche
individuali del paziente.
Al contempo altri autori distinguono tra barriere formali e informali per spiegare le difficoltà di
eccesso e utilizzo dei servizi sanitari dei soggetti immigrati rispetto agli autoctoni, tra le prime sono
riconosciuti come fondamentali l’organizzazione del sistema sanitario e le politiche per la salute,
come le restrizioni legate all’accesso ai servizi sanitari. Linguaggio, comunicazione, fattori
socioculturali e novità del sistema sanitario sono tutti aspetti che pongono al migrante ostacoli
non facili da superare e che rendono i servizi sanitari non sempre amichevoli.
Le donne immigrate sembrano sperimentare barriere di accesso o di utilizzo dei servizi sanitari che
le sono proprie e che vanno ad affiancarsi a quelle descritte per la popolazione immigrata nel suo
complesso. Le donne di alcune minorane etniche pensano che le cure prenatali siano necessarie
solo ne caso di problemi passanti o presenti nella gravidanza. A ciò si aggiunge che per molte
donne una diensione importante della loro vita è quella religiosa, un aspetto che se ignorato dagli
operatori sanitari può rappresentare una barriera.
L’organizzazione dei servizi sanitari ha ripercussioni significative sulla capacità del sistema di
rispondere ai bisogni di cura della popolazione immigrata, inoltre le pratiche organizzative messe
in campo dal sistema sanitario è in grado di facilitare o ostacolare la percezione che i migranti
hanno dei servizi, in termini di maggiore o minore accessibilità. Il secondo aspetto è il ruolo dei
professionisti che erogano i servizi di assistenza in diretta interazione con gli utenti e che agiscono
come facilitatori del processo di accesso. Questi soggetti godono di elevati livelli di discrezionalità
nello svolgimento dei propri compiti con la possibilità di incidere sulle chance che i destinatari
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hanno di beneficiare dei servizi offerti. L’azione di facilitazione incide positivamente sia sulla salute
degli utenti sia sulla loro condizione di inclusione sociale.
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Le politiche che potrebbero influenzare la stratificazione sociale includono l’accesso gratuito e
universale a un insieme di servizi; un fisco basato su una tassazione progressiva; le politiche attive
del lavoro. Sul piano di una strategia di tipo selettivo si dovrebbe prevedere schemi di sicurezza
sociale specifici per i gruppi in posizione svantaggiata.
Le seconda azione dell’approccio di Diderichsen mira a ridurre l’esposizione aspecifica a fattori
dannosi per la salute delle persone svantaggiate. Secondo gli autori oggi ci sono crescenti
interventi sulla salute che invece di prevedere un intervento generalizzato sull’intera popolazione
tengono conto della diversa esposizione al rischio tra i gruppi sociali in virtù della differente
posizione sociale. Si possono distinguere interventi a carattere universale o selettivo. Nel primo
caso si può pensare di attuare azioni volte a promuovere stili di vita più salubri o garantire
ambienti di lavoro sani e sicuri, favorendo l’accessibilità dei servizi, la disponibilità, lo stesso si può
dire se l’obbiettivo sono i gruppi svantaggiati, come ad esempio tramite programmi per il
miglioramento delle condizioni di lavoro per chi svolge professioni pericolose o usuranti.
Il terzo punto rsi focalizza su come le persone svantaggiate siano più vulnerabili agli effetti dannosi
per la salute. Le politiche pubbliche dovrebbero proteggere i gruppi sociali più svantaggiati da
specifici fattori di rischio e dovrebbero rafforzare la capacità degli individui di rispondere alle
condizioni sfavorevoli. Vanno in questa direzione le politiche che favoriscono la creazione di reti
sociali in creando di sostenere l’individuo nel momento del bisogno. Gli interventi selettivi possono
mirare a favorire il sostegno per rispondere ai bisogni degli individui materialmente deprivati o con
scarso reddito, attraverso trasferimenti in denaro o favorendo il loro accesso a determinati servizi.
I maggiori rischi e la più alta vulnerabilità possono comportare maggiori probabilità di cadere
malati. Pertanto è possibile immaginare politiche che favoriscano risorse aggiuntive che possano
facilitare il recupero delle persone svantaggiate e limitare le conseguenze disuguali della malattia.
Lo schema proposto da D. mostra l’ampio ventaglio di opzioni di cui dispone il decisore pubblico
per intervenire sulla salute degli individui e sulla possibilità di trovare soluzioni in grado di ridurre
le iniquità. L’azione pbblica deve sottostare a una serie di vincoli, ciò non toglie che vi siano degli
ampi margini per agire sui determinanti della salute, i cui benefici per la collettività sarebbero più
consistenti dei costi. La stessa UE impone di garantire che la salute sia protetta in tutte le politiche
e invita gli stati membri s collaborare per migliorare la sanità pubblica. Nel 2007 l’UE ha adottato la
prima strategia globale in materia di salute attraverso un quadro di azioni politiche coerente e
integrato. La strategia consiste in tre obbiettivi: migliorare la sicurezza sanitaria dei cittadini;
promuovere la salute e ridurre le disuguaglianze di salute; generare e diffondere informazioni e
conoscenze sulla salute. L’UE si impegna attivamente in una serie di azioni politiche al fine di
ridurre el iniquità di salute riconoscendo la necessità di affrontare o fattori chiave della
vulnerabilità. Il terzo programma dell’UE si pone 4 obbiettivi generali:
1- Promuovere la salute, prevenire le mattie e incoraggiare ambienti favorevoli a stili di vita
sani tenendo conto del principio “ la salute in tutte le politiche”.
2- Proteggere i cittadini dell’UE da minacce sanitarie transfrontaliere.
3- Contribuire alla creazione di sistemi sanitari innovativi, efficienti, sostenibili.
4- Facilitare l’accesso a un’assistenza sanitaria migliore e sicura per i cittadini dell’UE.
Nella stessa direzione si muove il documento tecnico “l’Italia per l’equità nella salute”. In questo
documento sono proposte tre categorie di azione per ridurre le disuguaglianze: quelle rivolte a
tutta la popolazione in modo proporzionale al bisogno; quelle strumentali finalizzate a far
funzionare le altre con dati, regole e processi; quelle selettive rivolte ai gruppi più vulnerabili.
Tra le prime gli autori individuano le seguenti azioni: rendere agibili in modo equo i diritti e le
risorse; moderare gli effetti disuguali delle barriere alle cure; promuovere l’equità nel governo
clinico; pomuovere equità nella prevenzione; adottare il bilancio sociale per valutare l’impatto
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sull’equità che dovrebbe favorire l’attuazione di azioni di contrasto alle disuguaglianze; sviluppare
azioni intersettoriali e multilivello.
La seconda categoria riguarda le azioni strumentali. Rientrano in questo gruppo le attività svolte
per migliorare le disuguaglianze di salute e dell’accesso ai servizi, attraverso la definizione di un
impianto metodologico e l’adozione di strumenti e indicatori condivisi, con lo scopo di favorire
l’azione di monitoraggio e valutazione delle politiche e del funzionamento dei servizi. Il documento
sottolinea la necessità di rendere più integrate le banche dati che contengono le informazioni utili
sulla salute e l’assistenza sanitaria e di mettere in campo tutti gli sforzi necessari per colmare le
lacune conoscitive che caratterizzano il nostro paese.
La terza categoria ha come obbiettivo interventi sui gruppi più vulnerabili. Si tratta di misure
selettive volte a intervenire nelle situazioni ad alto bisogno. Appartengono a questa categoria
quelli indirizzati a rafforzare: l’equità nei dispositivi non sanitari; rimuovere le barriere nell’accesso
alle cure dei gruppi non vulnerabili.
2.1. I poveri:
la partecipazone al mercato di lavoro o l’esclusione da esso ha un impatto rilevante sulle chance
delle persone durante tutto il corso della loro vita. La disoccupazione colpisce in modo disuguale i
vari gruppi sociali. Le azioni di contrasto alla povertà devono essere indirizzate ad accrescere le
risorse economiche per promuovere la propria salute. Vi è quindi la necessitò di garantire da un
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lato un sussidio alle persone in grave disagio economico, così dispongono delle risorse minime atte
a soddisfare i bisogni primari, dall’altra progettare azioni in grado di riportare al lavoro le persone
che ne sono fuori. Si tratta di due dei tre pilastri che l’UE sostiene debbano integrarsi per una
strategia di inclusione attiva delle persone estromesse dal mercato di lavoro: un adeguato
supporto economico; un mercato di lavoro inclusivo a cui poi si accompagna l’accesso a servizi di
qualità.
Per quanto riguarda il primo pilastro, la classica misura di inclusione sociale che si addotta prende
la forma di un sostegno economico alle persone in difficoltà, definito come Reddito Minimo.
Questo si configura come un intervento che dovrebbe rendere effettivo il diritto ad avere risorse
adeguate, in modo tale da assicurare che le persone possano vivere in modo dignitoso e
partecipare pienamente alla società nell’ambito di un di sistema universale di alta qualità.
All’interno dell’UE questi schemi variano in modo consistente quanto a copertura, completezza,
efficacia. Si rimanda a Franzier e Marlier per una rassegna degli attributi specifici degli schemi
applicati nei diversi paesi. La sola esistenza di un Reddito Minimo non assicura la sua sicurezza nel
garantire una vita decente come l’analisi degli stessi schemi europei che mette in evidenza. In
Italia è di recente introduzione il REI (reddito di inclusione) una misura di contrasto alla povertà si
stampo universale, condizionata alla valutazione della condizione economica del richiedente che
dal 1 gennaio sostituirà il SIA (sostegno per l’inclusione attiva) e L’ASDI (assegno di
disoccupazione). Il REI si compone di due parti, un beneficio economico erogato mensilmente e un
progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa volto al superamento
della povertà. Il REI tenta di combinare il pilastro del sostegno economico con quello delle
politiche attive, sia in ambito lavorativo sia in ambito sociale. Se ci si concentra sulle azioni che
fanno riferimento ai mercati del lavoro inclusivi, queste hanno lo scopo di incoraggiare lo sviluppo
di approcci personalizzati per le persone in grado di lavorare, in modo che chiunque possa essere
supportato nell’accedere a occupazioni decenti. Per sviluppare strategie di attivazione che
colleghino le persone ai lavori sono necessari tre elementi: motivazione, occupabilità e
opportunità. Nel primo si pone l’accento sul fatto che le persone senza lavoro sono desiderose di
trovare un lavoro ma alcuni potrebbero disilludersi di trovare un lavoro appropriato. Nei casi in cui
un rapido ritorno al lavoro è improbabile, è necessario un ulteriore supporto per aumentare le
opportunità. Avvicinare le persone al mondo del lavoro significa ampliare l’insieme delle
opportunità d lavoro disponibili. Ciò comporta il superamento degli ostacoli dal lato della
domanda attraverso il coinvolgimento e l’assistenza ai datori di lavoro nell’assumere e trattenere i
lavoratori, sia l’eliminazione degli ostacoli alla partecipazione grazie al superamento di un insieme
di problemi sociali. In questo quadro giocano un ruolo importante per collegare le persone ai
lavori i servizi pubblici per l’impiego. Questi attraverso diverse strategie di attivazione, possono
favorire la crescita dell’occupazione. L’OECD sostiene che i servizi per l’impiego possano facilitare il
raggiungimento di questo obbiettivo se: monitorano e verificano la ricerca del lavoro con un
impatto sui tassi di reinserimento; guidano l’assistenza alla ricerca di un lavoro attraverso
interviste di consulenze di alta qualità; forniscono servizi di alto profilo per i datori di lavoro;
puntano sulla digitalizzazione e le nuove tecnologie; sviluppano programmi attivi del mercato del
lavoro. La crisi finanziaria ha reso pressante la necessità di politiche che siano in grado di
mobilitare gruppi ai margini del mercato di lavoro, nell’ambito di una strategiia volta a rendere i
mercati del lavoro più inclusivi. Recenti ricerche mostrano che efficaci politiche attive per il
reintegro delle persone nella forza lavoro hanno un effetto protettivo sulla salute durante i periodi
di recessione economica.
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le azioni mirate a migliorare gli stili di vita delle persone anziane è ampiamente accettata dalla
comunità scientifica. Agire sui determinanti intermediari, quelli più prossimi alle condizioni di
salute, significa migliorare gli esisti di salute come avere un’aspettativa di vita più lunga. Per
migliorare i comportamenti legati alla salute delle persone è irrealistico pensare di poter innalzare
il loro livello di istruzione e la loro classe sociale. Si può pensare di incidere sui loro stili di vita
aumentando la conoscenza che essi hanno ei benefici che conseguono dall’adottare
comportamenti più sani. Due recenti visioni sistematiche della letteratura hanno dimostrato che le
caratteristiche dell’invecchiamento accelerato sono in gran parte associate a competenze
inadeguate legate alla scarsa alfabetizzazione sanitaria. L’alfabetizzazione sanitaria è riconosciuta
in entrambi i lavori come un mezzo valido per ridurre le iniquità di salute tra i gruppi vulnerabili,
dato quanto essa può fare per migliorare il controllo che gli individui hanno sulla loro salute. Con
l’aumento delle informazioni sanitarie online e i nuovi dispositivi digitali per l’automonitoraggio
della salute, gli sforzi rivolti all’alfabetizzazione sanitaria degli anziani diventano ancora più
rilevanti per sostenere la salute e il benessere generale. Come riconoscono Golinowska e colleghi
date le caratteristiche specifiche di questa popolazione, i programmi di promozione della salute
per gli anziani richiedono un maggior coinvolgimento dei promotori sanitari e approcci più
personalizzati. Essi sostengono che le strategie di promozione della salute hanno tra obbiettivi:
mantenere e aumentare la capacità funzionale; mantenere e migliorare l’autosufficienza;
stimolare la costruzione di una rete sociale. In riferimento a questo ultimo punto, la
partecipazione e l’integrazione sociale degli anziani sono fondamentali per mantenere una buona
qualità della vita in età avanzata. Vi sono ampie prove a sostegno dell’indicazione che i legami e le
attività sociali sono essenziali per un invecchiamento in buona salute. Le azioni di promozione
della salute devono sconcentrarsi sull’inserimento degli anziani nelle attività sociali, da quanto
emerge dalla ricerca sull’invecchiamento attivo e in buona salute, le seguenti azioni sembrano
rilevanti per migliorare e prolungare la qualità della vita nella vecchiaia: favorire l’apprendimento
permanente; dare alle persone la possibilità di lavorare più a lungo e andare in pensione più tardi;
incoraggiare le attività di volontariato.
Accanto a queste iniziative si deve segnalare che per soddisfare le necessità di assistenza sanitari e
sociale di persone con esigenze sanitarie complesse, sono fondamentali progetti e interventi di
cura centrati sulla persona al fine di fornire loro cure adeguate. Devono essere messe in capo un
ampio ventaglio di attività di accompagnamento per la realizzazione di questo obbiettivo. Tra le
possibili azioni da cui ci si aspetta ritorni positivi, che coinvolgono in modo diretto o indiretto il
sistema di assistenza sanitaria, si segnala: l’importanza di assumere nuovo personale e sviluppare
le competenze di quello in servizio, in questo modo la forza lavoro impiegata ne campo della
salute e dell’assistenza sociale potrà dirsi adeguata; realizzare strumenti anche di natura digitale
che forniscano un supporto attraverso il quale le persone anziane possano comunicare e
organizzare attività educative.
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a. Azioni sui determinanti sociali della salute, anche attraverso un processo che sappia
migliorare l’interdipendenza tra i settori le cui politiche hanno ricadute sulle condizioni di
salute dei migranti. Ad esempio azioni che possano incidere sulla povertà, sul limitare
opportunità educative.
b. Azioni sull’accesso alle informazioni e ai servizi sanitari. è richiesto uno sforzo per garantire
l’accesso all’assistenza sanitaria e le informazioni utili per tutti i migranti,
indipendentemente dal loro status giuridico, nel rispetto dei diritti umani. Questo significa
riconoscere il diritto alle cure, ma tradurre questo principio in azioni concrete che sappiano
superare le barriere all’accesso causate dal divario linguistico, culturale e socioeconomico
che colpiscono la popolazione immigrata, la disinformazione, la discriminazione e la
stigmatizzazione costituiscono un insieme di barriere che ostacolano il pieno il pieno
accesso ai servizi sanitari, riguardano anche il personale sanitario coinvolto nella fornitura
dei servizi, che ha il compito di offrire adeguata assistenza sanitaria. L’accesso alle
informazioni sanitarie e l’educazione sanitaria per i migranti, che include la prevenzione
delle malattie, l’alimentazione e la sicurezza, è riconosciuta come parte integrante e
fondamentale per il processo di empowerment. Un acceso equo ai servizi sanitari dovrebbe
essere indipendente dallo status giuridico dei migranti.
c. Azioni sull’assistenza sanitaria di qualità personalizzate per i migranti e per specifici
sottogruppi di migranti. Tra i sottogruppi che meritano più attenzione si segnalano: le
donne migranti; i giovani migranti; i migranti con problemi di salute mentale. La
dimensione di genere si dimostra significativa per l’analisi delle condizioni di salute della
popolazione immigrata. Le donne migranti sono forti utilizzatrici del sistema sanitario e
presentano specificità che devono essere prese in considerazione al fine di garantire loro
un accesso e un percorso di buona qualità all’interno dei servizi di assistenza sanitaria. Ciò
significa concentrarsi sulla loro salute riproduttiva, la pianificazione familiare, la
vaccinazione, vuol dire prendere in esame alcuni fenomeniche toccano da vicino la salute
delle donne immigrate, come la violenza di genere sessuale.
d. Una riflessione particolare dovrebbe essere dedicata alla salute dei bambini e degli
adolescenti che sono riconosciuti come bisognosi di protezione.
e. Il terzo punto riguarda la salute menatale dei migranti. Le circostanze di migrazione e d
insediamento sono spesso accompagnate da esperienze traumatiche di perdita e
separazione.. questi fattori possono incidere sulla salute mentale dei migranti, si tratta di
un aspetto critico che andrebbe tenuto in considerazione. Su questo piano garantire
un’assistenza sanitaria dovrebbe favorire i servizi di consulenza e di assistenza
psicoterapeutica, nonché gli interventi di riabilitazione per le vittime di torture/violenze.
Tra le azioni indirizzate al miglioramento delle condizioni di salute vanno anche annoverate le
strategie di riorientamento del modello di cura in modo tale che tengano conto delle
condizioni di vita e di lavoro delle persone a cui sono rivolti. I cambiamenti del modello di cura
che permettono di superare le barriere che alcuni migrati affrontano per accedere ai servizi
sanitar, così da migliorare la capacità di risposta ai loro bisogni
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