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Gli attori, i tecnici e ricercatori: le caratteristiche I tecnici e i ricercatori corrispondono a quelle tipologie di attori organizzativi definibili come professionisti

(professionals), che li rendono simili a liberi professionisti, nonostante operino per o allinterno di unorganizzazione. La specificit di questi attori che, similmente ai manager, non hanno subito la degradazione capitalistica, e riescono a mantenere un certo grado di autonomia nella gestione del loro lavoro. Uno dei motivi che li pongono in una posizione parzialmente ambigua il fatto che sono i detentori del monopolio delle conoscenze scientifiche necessarie allo svolgimento dei compiti. La loro identit viene definita in base al gruppo professionale di appartenenza e solo in un secondo momento in riferimento allorganizzazione in cui lavorano. La conseguenza di questa loro ambiguit che tendono a privilegiare, nel loro lavoro, criteri scientifici condivisi nella comunit scientifica di riferimento con la conseguenza che gli standard connessi a questi criteri possono confliggere con quelli richiesti dalla gerarchia. Il lavoro richiede molte attivit di coordinamento tra le diverse specialities che non possono essere governate da norme e procedure codificate, ma da processi di interazione comunicativa. Ai tecnici e ai ricercatori vengono affidate responsabilit e i loro successi si riferiscono al raggiungimento degli obiettivi, ci inevitabile in quanto, spesso i professionals, hanno competenze pi elevate dei loro supervisori. Per quanto riguarda la carriera, questi attori organizzativi sono sensibili ai riconoscimenti che provengono dai gruppi di pari (interni o esterni allorganizzazione). A parit dei manager, per gli sviluppi di carriera, i professionals preferiscono strategie di mobilit sul mercato del lavoro.

La scuola contingentista Gli assunti del filone contingentista nello studio delle organizzazione si ricollegano alle debolezze dei programmi di ricerca di tipo universale della scuola funzionalista, e si focalizzano sulla ricerca dei fattori mutevoli e contingenti interni o esterni allorganizzazione, che influiscono significativamente sul loro funzionamento. Il programma contingentista poggia su due premesse: 1) vi possono essere molteplici forme organizzative, ognuna delle quali pi appropriata delle altre ad affrontare le contingenze; 2) accogliendo la proposta di Parson, le organizzazioni sono sistemi aperti in comunicazione con lambiente esterno, il sistema rappresentato da variabili osservabili, come lampiezza dei team, il numero dei livelli gerarchici, la proporzione di lavoratori diretti rispetto a quelli indiretti, ecc. Si colgono in questi elementi, caratteristiche gi prese in considerazione dalla scuola socio-tecnica del Tavistock Institute, secondo cui le variabili tecniche andavano analizzate con le variabili sociali per cercare unottimizzazione congiunta. La teoria delle contingenze organizzative vede tra i suoi maggiori esponenti Lawrence e Lorsch, e Thompson.

Lawrence e Lorsch concettualizzano lambiente esterno in termini di prevedibilit/imprevedibilit e partono dallassunto che quanto pi lambiente prevedibile, meno lorganizzazione sar formalizzata. Lambiente viene considerato per aree, quello della ricerca scientifica, quella commerciale e quella tecnico produttiva. Gli autori ipotizzano che nelle organizzazioni non esista ununica struttura omogenea, ma diverse strutture ognuna delle quali adatta a interagire con lambiente che cambia di grado, lungo il continuum prevedibilit/imprevedibilit. Thompson propone dio guardare allorganizzazione attraverso tre livelli di analisi: il livello interno, il livello esterno e il livello intermedio. Nel primo il nucleo tecnico opera secondo logiche di massima razionalit e condizioni di certezza; il livello esterno opera secondo logiche di adattamento e in condizioni di incertezza; al livello intermedio si hanno condizioni di mediazione tra gli altri due livelli.

Il funzionalismo Nella sociologia delle organizzazioni i due assunti su cui poggia la teoria funzionalista sono: 1) le organizzazioni sono entit analiticamente distinte dagli individui che le compongono, per cui le azioni e i bisogni da soddisfare sono anchessi distinti dagli individui; 2) in tutte le organizzazioni possibile individuare degli elementi comuni che possono essere considerati dei prerequisiti funzionali allesistenza delle stesse organizzazioni. Da questi assunti emerge il problema di come affrontare le differenze tra le diverse organizzazioni. Parson fu il primo a cercare di dare una risposta a questo quesito, distinguendo le organizzazioni in 4 tipologie basate sulla funzione o scopo istituzionale: le imprese, organizzazioni atte al reperimento e alladattamento delle risorse; gli organi di potere, organizzazioni che operano per il perseguimento e la definizione di scopi politici; la scuola, la chiesa e la famiglia, organizzazioni che hanno lo scopo di mantenere i modelli culturali; lapparato giudiziario, i sindacati e i partiti politici, che hanno funzioni di integrazione sociale mediante la ricomposizione dei conflitti. Blau e Scott fornirono una classificazione delle organizzazioni in base a chi beneficia del loro operato: le organizzazioni di mutuo beneficio, in cui i beneficiari sono i membri stessi dellorganizzazione (associazioni professionali); organizzazioni con fini di lucro, in cui i beneficiari sono i dirigenti (imprese); organizzazioni di servizio, in cui i beneficiari sono gli utenti (ospedali, scuole, trasporti); organizzazioni per il benessere pubblico i cui beneficiari sono i cittadini (pubblico) (ministeri, forze armate, polizia). Etzioni assume come criterio su cui fondare le differenze tra le organizzazioni, il tipo di controllo esercitato dalle organizzazioni sulle attivit dei propri membri e parte dallassunto che vi sia una congruenza tra il tipo di controllo organizzativo e gli atteggiamenti dei propri membri. Egli distingue le organizzazioni in: normative in cui il controllo di tipo morale e simbolico e limpegno dei membri di tipo etico; remunerative che si basano sul controllo economico e gli

atteggiamenti dei membri sono di tipo utilitaristico; coercitive in cui il controllo esercitato attraverso le sanzioni e le punizioni i cui membri rispondono con un atteggiamento alienativo. I limiti del paradigma funzionalista possono essere considerati, la mancanza di considerazione della differenza tra scopi ufficiali e scopi operativi dellorganizzazione e inoltre le organizzazioni vengono concepite come dei sistemi organici, analiticamente distinte dagli attori che le costituiscono e quindi dotate di bisogni e strategie proprie, distinte da quelle dei soggetti.

Teoria dei costi di transazione La teoria dei costi di transazione (Williamson 1975) riconosce nella scelta tra to make (produrre allinterno)/to buy (produrre allesterno), il dilemma delle imprese di produzione. Lautore individua nella gerarchia, nel mercato e nella scelta intermedia di contratti con terzi, le modalit di governo delle transazioni, che determinano gli scambi economicamente convenienti. Queste sono tra laltro, determinanti ai fini della definizione dei confini dellorganizzazione. Con la gerarchia, in una sola impresa vengono inglobare tutte le fasi del processo produttivo. Nel caso la scelta ricada nel to buy, si pu giungere al caso limite dellimpresa che vende con il proprio marchio, prodotti acquistati allesterno, senza che nessuna fase di produzione avvenga allinterno dellazienda stessa. La scelta di contratti con terzi riguardano le forme ibride di governo della transazioni, che si riferiscono al franchising o alle joint venture per un determinato progetto. Secondo Williamson, compito del management trovare la modalit pi adatta al governo delle transazioni che superi linstabilit del mercato e la rigidit della gerarchia. Ouchi individua unaltra forma di governo delle transazioni, il clan, che alla base di rapporti che legano limpresa madre a un gruppo di sub-fornitori. Si perviene al concetto di rete, che definisce pi imprese stabilmente legate tra loro, in senso funzionale. La rete una struttura organizzativa aperta e adatta a uneconomia ad alta tecnologia che richiede diffusione di informazioni e rapidit di adattamento.

Mintzberg le parti di unorganizzazione e lo snellimento organizzativo La forma funzionale caratterizzata da principi di specializzazione per funzioni e di delega attraverso listituzione di livelli intermedi (tra vertice e nucleo operativo) con responsabilit direzionali. Mintzberg(1979) ha proposto uno schema della struttura funzionale che vede il CDA e il consiglio di direzione al vertice strategico, al lato opposto dello schema, in basso il nucleo operativo, tra i due la linea intermedia, con diversi gradi gerarchicamente definiti, che operano da filtro tra vertice e nucleo operativo (coordinamento, gestione delle eccezioni, supervisione, valutazione delle prestazioni), le funzioni della linea intermedia si svolgono sia verso il basso che verso lalto. La linea intermedia si caratterizza per listituzione di organi specializzati che sono al di fuori della gerarchia manageriale, la tecnostruttura e gli staff di supporto.

La tecnostruttura ha compiti di controllo del sistema attraverso la standardizzazione, la programmazione e il controllo di sistema. Gli staff di supporto sono quelle unit che svolgono attivit non direttamente connesse coi processi di produzione (ufficio legale, pay roll, elaborazione dati, mensa, ecc.), quindi attivit abbastanza indipendenti dal ciclo produttivo. Fanno parte degli staff di supporto anche quelle unit che hanno il compito di monitorare lambiente esterno (marketing). In caso sia necessario un cambiamento della struttura organizzativa, non detto che sia utile procedere alla progettazione di forme differenti da quella funzionale, ma piuttosto si pu scegliere di operare attraverso delle innovazioni nella struttura organizzativa, per mantenere i punti di forza della forma funzionale, lefficienza tecnica e operativa. Uno snellimento della struttura funzionale che dovrebbe perseguire un miglioramento della componente servizio e della qualit del prodotto. Questo avviene in momenti di instabilit ambientale e di incertezze nei compiti. La parte pi interessata dal cambiamento la linea intermedia e questo produce un appiattimento della linea gerarchica, con lobiettivo di potenziamento dei meccanismo di integrazione. Lo snellimento della linea intermedia produce un ampliamento delle deleghe decisionale ai livelli inferiori grazie alla qualificazione professionale dei collaboratori; le forme di controllo sono basate pi sui risultati che sulla supervisione dei comportamenti. Lo snellimento maggiore della linea intermedia avviene per le posizioni appena sopra il nucleo operativo e quelli pi prossimi al vertice strategico; questo consente un taglio di qualifiche a livello di quadri o intermedie con un taglio di costi dal punto di vista numerico pi che unitario e un taglio di poche posizioni che hanno un costo unitario elevato. Lo snellimento elimina dalla linea intermedia dei filtri aggiuntivi che determinano un rallentamento nei processi decisionali e un controllo eccessivo sui subordinati. Oltre alla linea intermedia il cambiamento interessa la tecnostruttura che viene considerata in chiave strategica entrando in unottica di servizio, questunit deve creare valore per il cliente finale attraverso la soddisfazione delle esigenze del cliente interno, supportando la linea intermedia e il nucleo operativo. Pi radicale lintervento sullo staff di supporto, si tratta infatti di valutare costi e benefici del mantenere allinterno determinate posizioni, vista la possibilit di esternalizzare certe attivit. A fronte di unampia offerta di servizi da parte di terzi lazienda potrebbe concentrarsi maggiormente sul core business per acquistare maggiore competitivit. Queste dinamiche di cambiamento oltre che a modifiche strutturali portano a innovazioni nei processi di integrazione. A livello di vertice strategico la massima integrazione si persegue attraverso pratiche di lavoro in team (comitati, task force). La linea intermedia si integra per via orizzontale pi che verticale, con lobiettivo di permettere al manager di stare pi vicino ai processi, in unottica di servizio a favore dei clienti a valle.

La struttura divisionale vantaggi e svantaggi. A partire dagli anni 20 del secolo scorso, per certe organizzazioni, nasce lesigenza di operare attraverso una maggiore specializzazione e diversificazione. Lespansione dimensionale e la necessit di diversificare la produzione rispetto al prodotto/ mercato portano a delle conseguenze delle quali le pi importanti sono: le difficolt della struttura funzionale nel controllo delle

informazioni a fini decisionali; una riduzione delle economie di scala e un elevato livello di interdipendenza tra le sottounit. La GM e la Dupont furono i primi casi di organizzazione che crescendo dimensionalmente decisero di assumere una struttura M (multidivisionale), in cui ogni divisione ha le proprie funzioni operative e di conseguenza operano con notevole autonomia rispetto al prodotto/mercato. I vantaggi della struttura divisionale sono: un elevato orientamento al prodotto/mercato, che possono essere presidiati in modo pi specialistico; una relativa divisione tra conduzione strategica e attivit operativa. Gli svantaggi riguardano un alto costo per la moltiplicazione delle risorse e della struttura, ogni divisione ha, infatti, una struttura funzionale propria con a capo un responsabile divisionale. Un altro svantaggio lo sviluppo di conflitti intraorganizzativi tra divisioni per la spartizione delle risorse condivise, e conseguente costi per cercare di porre rimedio ai conflitti. La forma divisionale pu essere progettata a seconda del livello di decentramento organizzativo, del grado di autonomia e responsabilit economica di ogni divisione e in base alle scelte strategiche di integrazione, internalizzazione e diversificazione.

Forma divisionale: diversificazione, integrazione, attivit. La crescita dimensionale e la necessit di diversificare la produzione per prodotto/mercato/tipologia di cliente, hanno spinto le organizzazioni a dover superare la struttura funzionale in quanto insufficiente a gestire la complessit dei processi e della mole di informazioni che richiede una scomposizione del sistema decisionale complessivo, in sottosistemi indipendenti. La forma divisionale (M) si caratterizza per uno sviluppo dellautonomia orizzontale e verticale. Le varie divisioni hanno infatti una notevole autonomia e riportano verticalmente al vertice strategico, lautonomia orizzontale si sviluppa tra le diverse divisioni. La progettazione della forma M dipende da diverse variabili: il livello di decentramento organizzativo; il grado di autonomia e responsabilit economica delle unit divisionali (centri di risultato, di costo o centri di profitto?); le scelte di integrazione, internalizzazione e diversificazione. Per decentramento organizzativo si intende il processo di delega di autorit e responsabilit che pu variare a seconda del tipo di delega che si vuole attuare. La delega pu riguardare compiti semplici oppure parametri decisionali rispetto a certi ambiti. Lautonomia pu essere verticale, in base al grado di delega attribuito dallalta direzione alle unit divisionali, nellambito dellautorit e della discrezionalit decisionale; oppure orizzontale, secondo il grado di discrezionalit attribuito alle singole unit divisionali sul governo delle interdipendenze tra le divisioni in particolare nellattivazione di relazioni di cooperazione e competizione. Il massimo grado di autonomia orizzontale e verticale si ha nella forma M pura. La responsabilit economica attribuita a ciascuna divisione assegna loro un ruolo di centro di profitto che permette di analizzare, prima i processi decisionali e poi loperato dei responsabili.

Le scelte di integrazione vengono definite dalla decisione o meno di svolgere le attivit produttive e commerciali allinterno del perimetro aziendale piuttosto che affidarli allesterno. Mentre le scelte di diversificare rientrano nellambito delle decisioni di allargare la gamma di prodotti. Nelle forme a M integrata, la diversificazione omogenea, i processi sono basati sulla ricerca di sinergie cooperative, con forti livelli di interdipendenza tra le unit divisionali e un elevato accentramento decisionale. Mentre nelle forme a M conglomerate la diversificazione eterogenea, e le attivit si caratterizzano per la ricerca di sinergie finanziarie e manageriali, un livello inferiore di interdipendenza e minimi meccanismi di coordinamento interdivisionali.

La forma a rete Per organizzazione a rete si intende un modello stabile di transazioni cooperative tra attori individuali e collettivi che costituisce un nuovo attore collettivo (Pichierri, 1999). Le imprese a rete hanno origine per disaggregazione di unorganizzazione unitaria, oppure per aggregazione di attori autonomi. Le reti nascono principalmente per esigenze di presidio del mercato, che impone richieste di personalizzazione del prodotto a costi contenuti, velocit dazione da parte delle imprese nel promuovere nuovi prodotti, velocit nel rispondere alla concorrenza in termini di innovazione nel minor tempo possibile e in modo coerente con le richieste del mercato. Esempi di imprese N sono le filiere, imprese collegate tra loro in un ciclo produttivo; i distretti industriali, formati da imprese che condividono uno specifico insediamento territoriale; i parchi tecnologici che sono aree a alto livello di innovazione; consorzi o confederazioni di artigiani e cooperative di produzione, legati da vincoli associativi ma giuridicamente autonome. La rete composta normalmente da piccole e medie imprese, che sfruttano i vantaggi della forma semplice o funzionale, nessuna delle quali riuscirebbe a essere competitiva se concentrasse al proprio interno tutte le fasi della produzione, sia per la carenza di competenze sia per la mancanza di capitali. Attivando intensi processi di collaborazione e condividendo con altre aziende, risorse e competenze si cerca di accrescere lefficienza. Questa forma organizzativa si dimostrata la pi adatta a gestire contingenze quali il trasferimento di conoscenza, lincertezza, il rischio economico, lefficienza e la flessibilit. Queste variabili combinate a fattori ambientali quali la rapidit di innovazione tecnologica, le richieste dei clienti, , la variet e limportanza delle conoscenze trovano le migliori risposte nella forma a N. Limpresa a N, normalmente si articola su due livelli, quello dellimpresa focale e quello dellambiente transazionale composto dalle altre unit organizzative indipendenti in termini di propriet. Lelemento di congiunzione tra questi due elementi di tipo strategico, in quanto vengono identificati obiettivi comuni. Gli elementi costitutivi della rete sono i nodi, le connessioni, la struttura e le propriet operative. I nodi sono gli attori individuali e collettivi, che costituiscono un sistema di diverse dimensioni, sono vitali e capaci di operare autonomamente. Le connessioni sono quelle attivit di relazione tra i nodi che compongono la rete, possono essere attivit di

cooperazione, di esecuzione di disposizioni, transazioni economiche, attivit di comunicazione e di trasferimento di informazioni. Possiamo individuare una rete interna allimpresa focale ed una rete esterna che comunque ruota attorno allimpresa focale. La rete interna ha come caratteristiche una struttura gerarchica piatta e unorganizzazione dei processi basata su moduli autonomi la cui responsabilit affidata a i team, il coordinamento avviene attraverso un mix di autorit, mercato e fiducia. Il funzionamento della rete interna si svolge in parallelo consentendo lo sviluppo di un mercato interno, nel quale i moduli pi efficienti saranno quelli che riceveranno maggiori risorse. Le unit di confine della rete svolgono un ruolo importante, le unit ponte operano infatti per mettere in contatto linterno dellorganizzazione con lambiente esterno (clienti, aggregazione di attivit e competenze di unit organizzative specializzate per venire incontro alle esigenze dei clienti). La rete esterna ruota attorno alla centralit dellimpresa focale con una conseguente centralizzazione della rete esterna. Le connessioni sono fitte per permettere il controllo sociale e accrescere il grado di fiducia. Il ruolo delimpresa focale quello di broker tra le imprese della rete che sono carenti nelle connessioni, al fine di stimolare la variet, la ricchezza informativa e il cambiamento strategico. I meccanismi di coordinamento della rete esterna si basano su un mix di autorit, scambio e fiducia. La rete esterna viene gestita in modo integrato, per esempio limpresa focale pu mantenere il controllo di alcuni punti vendita e cedere altri attraverso contratti di franchising (es.: Benetton), in questo modo vengono facilitati i processi di controllo sulle prestazioni del franchisee e del trasferimento dellapprendimento da parte dellazienda focale.

Il modello sociotecnico Il modello sociotecnico ha origine dagli studi del Tavistock Institute di Londra, e appartiene alla concezione sistemica di organizzazione le cui componenti sono sia di natura sociale che tecnica che organizzativa. Lobiettivo dellanalisi socio tecnica quello di analizzare tutti questi fattori e individuare le varianze che ostacolano o rallentano i processi produttivi, e porvi rimedio a qualsiasi livello (sociale, tecnico, organizzativo). Questo modello di analisi e progettazione considera le persone, i processi, la tecnologia e la struttura, come variabili chiave da studiare. Gli obiettivi organizzativi sono quindi di tipo sociale, economico e tecnico, e il loro peso direttamente funzionale alle caratteristiche del sistema. Le persone sono concepite , vissute, formate e cambiate, dalle persone stesse che realizzano i processi, usano le tecnologie, formano la struttura e svolgono professioni. Le persone formano il sistema sociale che pi ampio del sistema formato dai soli dipendenti dellorganizzazione. La struttura concepita come linsieme di relazioni relativamente stabili tra le persone che fanno parte di unorganizzazione, linsieme dei ruoli e del come essi interagiscono tra di loro. I processi sono linsieme delle attivit svolte dalle persone per perseguire un obiettivo sociale, economico o tecnico; sono linsieme delle attivit lavorative indispensabili che occupano il tempo e lo spazio fisico dellorganizzazione.

La tecnologia per il modello sociotecnico linsieme delle infrastrutture tecnologiche (strumenti, metodi, macchine, applicazioni) indispensabili per la realizzazione dei processi. La tecnologia capace di accelerare o di ostacolare e frenare i processi organizzativi, ma non lelemento principale, sono le persone che in base alle loro conoscenze e capacit nellutilizzo della tecnologia, innovano e cambiano lorganizzazione.

Le alleanze Le alleanze possono essere definite come le leve organizzative risultanti dallaccordo tra due o pi imprese indipendenti, con lobiettivo di creare uno strumento di coordinamento congiunto, ovvero sono le forme attraverso cui due o pi soggetti organizzativi formano e sviluppano relazioni di collaborazione. Esistono diversi tipi di alleanze. Le alleanze equity (consorzi, joint venture); le alleanze contrattuali (franchising, licensing); le alleanze sociali (joint program, scambio di risorse). Le alleanze possono essere viste come una rete temporanea di imprese che si alleano per cogliere pi velocemente delle opportunit, una sorta di impresa virtuale attraverso la quale le aziende si ripartiscono i costi, le competenze, il mercato. Le caratteristiche chiave di questa forma organizzativa sono: lopportunismo le alleanze sono meno stabili di altre forme di aggregazione (merging) e possono tornare a dividersi quando le opportunit cessano di esistere; la fiducia, deve sussistere un alto grado di fiducia tra i partner, il destino del singolo partner dipende dal destino degli altri; lassenza di confini, il livello di cooperazione accentuato tra concorrenti, fornitori, clienti, rende difficile determinare dove inizia unimpresa e dove finisce laltra; la tecnologia, lICT permette a aziende anche distanti geograficamente di collegarsi e cooperare; leccellenza, che si pu raggiungere grazie allapporto di competenze specifiche da parte di ogni partner. I meccanismi di coordinamento si fondano su un mix di tre elementi che possono essere pi o meno accentuati: la natura della relazione; il valore di mercato degli scambi; lapplicazione di regole di organizzazione formale, questi tre elementi vanno a formare le tre forme di governo delle transazioni (Williamson): la gerarchia, il mercato e il clan (Ouchi). Quando si ha la prevalenza della gerarchia le relazioni vengono governate attraverso processi decisionali centralizzati, vi una riduzione della discrezionalit, un aumento della disponibilit di informazioni, e laccrescimento del commitment co-decisionale (joint venture, capital venturing ecc.). Il fondamento razionale alla base di questo meccanismo di integrazione, che vi siano delle conoscenze complementari, lesistenza di barriere dimensionali, esistenza di problemi di appropri abilit. Quando prevale il mercato, le forme contrattuali sono pi adatte a governare le transazioni (franchising, licensing, ecc.), questi risultano pi solidi e rendono formali le condizioni di scambio. Quando prevale il collettivo, vi una preponderanza delle relazioni, che si basano sulla forza della pressione relazionale, il clan il meccanismo di governo pi adeguato al governo di condizioni di scambio caratterizzate da ambiguit, elevata interdipendenza e longevit. Lalleanza come processo di costruzione di partnership, deve essere basato su un rapporto fiduciario, senza il quale difficile sviluppare ulteriori fasi di cooperazione.

La fase di avvio e progettazione sostenuta da condizioni di trasparenza degli obiettivi di ciascun partner, sufficiente conoscenza reciproca, affinit e compatibilit degli stili direzionali, disponibilit da entrambe le parti alla co-progettazione. La soddisfazione delle condizioni sopra citate, permette di arrivare alla fase di attuazione, in questa fase potrebbero sorgere delle difficolt che possono riguardare il mancato riconoscimento di uno o pi partner, di un modello di funzionamento organizzativo differente dal proprio; possono insorgere resistenze, spesso dovute a giochi di potere interni a ogni singolo partner; ci pu essere un insufficiente impegno cooperativo che compromette la quantit e la qualit della collaborazione di ciascun partner; unultima difficolt riscontrabile in questa fase la modalit di controllo che pu essere esercitata attraverso un minuzioso riferimento al contratto di cooperazione, piuttosto che privilegiare una gestione dei singoli eventi secondo condizioni ottimali. Poich lalleanza non pu basarsi solo su contratti spesso non esaustivi, utile operare una revisione costante del modus operandi, che possono comportare una profonda trasformazione dei contenuti dellalleanza stessa, imponendo una fase di ridefinizione che le permetta di sopravvivere. Affinch queste trasformazioni (variazioni delle strategie, nuovi sbocchi, variazioni del commitment cooperativo, ecc.) non nuocano alla stabilit dellalleanza necessario ridefinire alcune condizioni: 1) definire vincoli nel tempo che riducano le propensioni elusive delle parti; 2) identificare modelli di integrazione efficace che riducano le distanze interorganizzative; 3) ricercare una visione olistica delle manovre, ovvero promuovere la capacit dei partner di vedere gli effetti collaterali che lalleanza produce sul sistema di relazioni tra i partner e allinterno del singolo partner, cercando di avere una visione dinsieme nella ridefinizione dellalleanza; 4) avere la capacit di valorizzare le relazioni interpersonali sia nella struttura di cooperazione sia allinterno di ciascuna impresa partner. Lorganizzazione del lavoro nei servizi Lorganizzazione del lavoro nei servizi ancora in attesa di un quadro teorico da parte delle diverse discipline che si occupano di organizzazioni. La particolarit delle attivit richieste agli operatori back-office e front-line infatti differente rispetto alla classica produzione di beni materiali tipici della produzione industriale, in cui vi una separazione tra chi produce e il bene e chi lo consegna allutente/cliente. Nei settori produttivi, inoltre il bene viene consegnato al consumatore senza che la persona conosca chi lha costruito/prodotto, mentre nei servizi ci di cui beneficia lutente qualcosa di immateriale che prende corpo attraverso un processo di costruzione di senso. I processi di integrazione nei servizi avvengono nellarea della comunicazione e dellinterazione e riguarda le dimensioni strumentali, operative, razionali, affettive, comunicative, simboliche libidiche. Facendo riferimento al romanzo di Kafka, America, possibile individuare dei paradossi nei processi di erogazione del servizio, e soprattutto nel ruolo che ricoprono le persone che operano nel settore dei servizi. Nellerogazione del servizio richiesta una complessa organizzazione sia del back office che del front office, che cresce in rapporto al numero di clienti da soddisfare nellunit di tempo, ma nonostante tutto possa essere organizzato in modo perfetto, se fallisce la comunicazione tra front office e cliente, viene a mancare il servizio. Con la standardizzazione si cerca di rendere impersonale un servizio che altamente personalizzato, che allorigine di forte stress e che necessita il mantenimento di standard comunicativi elevati, nonostante le mansioni possano essere poco qualificate.

Il secondo paradosso del service management quello per cui mentre lorganizzazione del back office, degli standard, delle procedure stabilito dal management, lerogatore del servizio ha ampi margini di manovra per migliorare o peggiorare il servizio, questo trasforma laddetto di frontoffice in imprenditore, che pu essere buono o cattivo, per cui nel mondo dei servizi esistono elementi propri del lavoro autonomo. Il terzo paradosso quello secondo cui i simboli e i valori evocati dal servizio sono tanto importanti che prescindono dalla realizzazione efficiente o adeguata del servizio stesso. In questo caso il ruolo del management gioca un ruolo importante non solo nella preparazione del back office e degli standard della prestazione, ma ha il compito di definire e proteggere la prestazione, fornendo i supporti necessari, la partecipazione emotiva al processo comunicativo realizzato dalladdetto, il manager deve generare il senso del servizio. E evidente che le caratteristiche delle aziende di servizi sono totalmente differenti da quelle dellindustria, il concetto di efficienza nel servizio si esplicita in termini di qualit del servizio, comunicazione, visibilit, cooperazione tra addetto e utente, quindi difficile di parlare di produttivit come quantit di operazioni rispetto agli standard. Il concetto di consenso nel mondo dei servizi un termine inadeguato in quanto si interagisce con una rete complessa di nodi imprenditoriali e istituzionali che ricordano limpresa a rete, per cui pi opportuno parlare di partecipazione, co-progettazione da parte dei lavoratori dei servizi. Il settore dei servizi, almeno nelle aree di front-line ha bisogno di intraprenditorialit. Il task definito dallazienda, ma concretamente poi creato e gestito dal lavoratore di front-line attraverso le relazioni interpersonali. Nellazienda di servizi il valore economico si interseca con quella della visibilit, dellimmagine. Avere una buona immagine diventa un obiettivo e non pi uno strumento per il raggiungimento di un fine economico. Le microstrutture Per microstrutture si intendono le strutture di base di un soggetto organizzativo che concorrono a realizzare i processi operativi, in sintesi sono le organizzazioni operative che hanno il compito di fare le cose. Elementi delle microstrutture sono le unit organizzative di base (ufficio, negozio, gruppo di lavoro) che realizzano insieme di compiti omogenei; le unit di operazione svolte dalle singole persone che eseguono compiti pi o meno omogenei (postazioni di lavoro, ruoli, mansioni, ecc.). Dimensioni, forme, contenuti, composizione e funzionamento delle microstrutture sono influenzati da fattori relazionali, strutturali e biologici, antropologici, psicologici. Questi fattori impattano sulla dinamica dei rapporti sociali, sulla natura dei rapporti di produzione. Nellorganizzazione del lavoro possiamo individuare due paradigmi, il paradigma tradizionale di matrice tayloristica e il paradigma socio tecnico. Se il primo si basava sul principio che prima si costruiva la struttura e poi si decideva come fare le cose, il secondo prima individua le cose da fare e poi ci costruisce attorno la struttura pi adatta per farle. Si passa da una focalizzazione sullorganizzazione dei compiti di stampo tayloristico a una focalizzazione sul controllo dei processi della scuola sociotecnica.

La struttura semplice e funzionale Definizione di struttura La struttura organizzativa linsieme di specifiche modalit attraverso le quali lorganizzazione gestisce i processi di differenziazione e integrazione, determina lallocazione del potere e dellautorit, un sistema di norme e di regole che orientano e presidiano il comportamento lavorativo delle persone in un sistema organizzato. La struttura organizzativa formale resa visibile da organigrammi, mansionari, contratti di impiego, ordini di servizio, posizioni organizzative, procedure formalizzate ecc.

La struttura semplice si caratterizza per avere pochi livelli gerarchici, di norma il vertice coincide con la propriet che coordina e controlla i collaboratori, questo avviene soprattutto nellimpresa gerarchico-imprenditoriale. Esistono tre tipologie di strutture semplici o elementari, la forma gerarchico-imprenditoriale, lazienda artigiana e il gruppo di pari. Oltre alla scarsit di livelli gerarchici, nella struttura semplice gli organi specialistici sono scarsi o inesistenti, i meccanismi di coordinamento sono poco sofisticati e numerosi con un basso grado di formalizzazione, esistono poche regole e procedure formali. La struttura dei compiti varia, visto che le competenze professionali sono poco differenziate, vi una centralizzazione sul vertice strategico dei flussi informativi e decisionali. Questa struttura adatta a gestire organizzazioni in cui le attivit sono omogenee, i compiti professionali poco differenziati e di dimensioni ridotte. I limiti di questa struttura emergono qualora si decidesse di sfruttare le economie di scala, diversificare la produzione, risolvere problemi in ambienti dinamici e complessi. In questi casi necessario introdurre degli organi specialistici o dei livelli intermedi che facciano da filtro tra vertice e operatori; Quando oltre alle esigenze sopra citate si aggiunge una crescita dimensionale dellazienda, si rischia di generare una perdita di controllo a cui occorre porre rimedio con cambi di strategie e conseguenti strutture pi sofisticate capaci di presidiare i processi con funzioni specializzate.

Con la struttura funzionale si introducono innovazioni attraverso meccanismi di delega e specializzazione che comportano la creazione di un livello intermedio tra vertice strategico e nucleo operativo. I livelli gerarchici sono funzione delle dimensioni aziendali ma lelemento distintivo della forma funzionale lampiezza del controllo (span of control) che corrisponde al numero di subordinati che rispondono direttamente a un singolo capo. Unaltra particolarit della forma funzionale la costruzione di organi al di fuori della gerarchia manageriale: gli staff di progettazione degli assetti organizzativi (tecnostrutture) che definiscono le

condizioni e le modalit di svolgimento dei processi organizzativi, e gli staff di supporto o di servizio che si occupano di attivit di supporto indiretto, ovvero svolgono attivit non collegate direttamente ai processi produttivi (ufficio legale, payroll, ecc.). Questa struttura permette di sfruttare le economie di scala grazie alla spiccata specializzazione funzionale e al raggruppamento del lavoro per attivit omogenee. Da questi vantaggi possono sorgere anche i limiti di questa struttura, da momento che la specializzazione delle varie funzioni, la formalizzazione delle procedure, possono dare origine a fenomeni di burocratizzazione, per cui ogni area funzionale potrebbe focalizzarsi su obiettivi parziali perdendo di vista gli obiettivi generali dellorganizzazione. Un altro svantaggio potrebbe essere la lentezza di risposta in contesti ambientali turbolenti e alle richieste del mercato. La netta distinzione tra line e staff pu essere origine di conflitti che per essere appianati richiedono lintervento dei livelli gerarchici superiori. Questi problemi cresceranno proporzionalmente alla crescita dimensionale o alla maggiore diversificazione produttiva, cos da richiedere la creazione di organi di integrazione (comitati, gruppi di lavoro, task force, organi permanenti o temporanei come product manager o project manager) per favorire il coordinamento tra le diverse funzioni rispetto a ogni singola area di attivit.

Innovazione e snellimento della forma funzionale Mintzberg ha proposto una descrizione schematica della struttura funzionale, con il vertice strategico, la linea intermedia e il nucleo operativo, e gli organi di staff esterni alla gerarchia funzionale, la tecnostruttura e gli staff di supporto. La competenza tecnica e lefficienza operativa di questo tipo di struttura portano spesso le organizzazioni a mantenerla nonostante siano necessari dei forti cambiamenti organizzativi o ristrutturazioni. La rivitalizzazione della struttura funzionale passa attraverso un potenziamento dei meccanismi di integrazione al fine di contenere i limiti come la lentezza nelle risposte allambiente e leccesiva compartimentalizzazione. La componente di servizio assume unimportanza cruciale anche nelle imprese di produzione di beni materiali, che influiscono sulla qualit percepita dal cliente, per cui si arriva a implementare soluzioni tipiche di strutture ad alta differenziazione e integrazione. A livello strutturale gli interventi riguardano tutte le parti dellorganizzazione, la tendenza verso lo snellimento delle strutture. La parte pi colpita la linea intermedia con il taglio di alcuni livelli gerarchici con un conseguente appiattimento. Questo comporta un ampliamento delle deleghe decisionali ai livelli inferiori e forme di controllo basate sui risultati piuttosto che sulla supervisione dei comportamenti. Lo snellimento della linea intermedia interessa due aree, quella appena sotto il vertice strategico e quella appena sopra il nucleo operativo, le economie prodotte da questo taglio sono dovute al numero elevato di unit a costo medio delle qualifiche di quadro o intermedie, e al numero pi contenuto dei livelli pi vicini al vertice, che hanno per costi unitari pi alti. Riguardo allefficacia lo snellimento riguarda le attivit in parziale sovrapposizione che rappresentano un inutile filtro aggiuntivo che pu produrre un rallentamento del processo decisionale e un eccessivo controllo sulloperato dei subordinati.

Unaltra parte della struttura interessata dallo snellimento sono gli staff di supporto, esternalizzabili secondo una valutazione comparativa di costi e benefici, vista la loro scarsa rilevanza strategica. Le tecnostrutture vengono reinterpretate in chiave strategica e devono contribuire a creare valore per il cliente finale attraverso il supporto allazione della linea intermedia e del nucleo operativo (logica del cliente interno). Il vertice strategico viene ridefinito per perseguire la massima integrazione attraverso pratiche di lavoro in team (comitati, task-force) con lobiettivo di favorire la comunicazione e lo scambio di informazioni oltre che la socializzazione per conseguire coesione attorno agli obiettivi dellazienda.

Il modello giapponese Per modello giapponese si intende un nuovo paradigma nella produzione industriale che ha sostituito quello taylorfordista entrato in crisi per una serie di fattori contingenti riguardanti lambiente turbolento, la globalizzazione e altri fattori socio-economici, che il sistema si rivelato incapace di affrontare con successo. Se prima era la produzione a prevalere sul mercato, con il sistema giapponese il mercato che prevale sulla produzione. Questo modello si basa sui concetti di qualit totale, lean production e just in time. Con il modello giapponese il servizio assume unimportanza cruciale ai fini della soddisfazione del cliente e la produzione diventa personalizzata. Il concetto di qualit totale, produrre beni con zero difetti, lobiettivo primario anche rispetto al flusso produttivo, permettendo cos di ridurre sensibilmente gli scarti e soprattutto perseguire la soddisfazione dei bisogni del cliente (caratteristica che avvicina la produzione allerogazione di servizi).. Il processo produttivo mette al centro il team, con la responsabilizzazione del gruppo sul perseguimento degli obiettivi di qualit, alloperatore vengono insegnati gli allestimenti. Grazie al supporto di una rete di trasporti capillare e efficiente si potuto sviluppare il concetto del just in time, ovvero il materiale deve arrivare nel momento giusto in modo che la produzione sia allineata alla domanda. Quindi grande attenzione alla domanda e lean production, ovvero produzione snella che sappia adattarsi al mercato. Chi valle cliente di chi a monte, e la domanda la alimenta il cliente. Il sistema si basa su un forte coinvolgimento dei dipendenti nelle decisioni riguardanti la produzione, vi una forte collaborazione con i fornitori (rete di imprese). I limiti si possono riscontrare nella fragilit del sistema, molto efficiente se tutto gira al meglio, necessit di una collaborazione assoluta da parte di tutti gli attori, la forza lavoro fortemente responsabilizzata. Con la produzione supera i livelli di efficienza del fordismo come pure nei rapporti umani, anche se impone dei ritmi di produzione ossessivi. Il modello ormai presente a livello globale, anche se non si pu parlare di giapponesizzazione piena, sembra infatti difficile conseguire a un livello cos alto di giapponesizzazione soprattutto per le differenze culturali (collettivismo vs individualismo) e politico-economiche.

Il dibattito contingentista

Lantefatto teorico delle teorie contingentiste rappresentato dal modello socio-tecnico del Tavistock Institute di Londra, secondo cui le componenti sistemiche dellorganizzazione sono di natura sociale, tecnica e organizzativa. Lobiettivo delle teorie contingentiste quello di trovare i fattori contingenti, come lambiente, la tecnologia, la dimensione, che influiscono sulla struttura organizzativa. Lawrence e Lorsch (1967) con la teoria delle contingenze concettualizzano lambiente esterno in termini di prevedibilit/incertezza e partono dallassunto che quanto pi lambiente imprevedibile tanto meno le organizzazioni interne saranno formalizzate. Gli autori considerano lambiente formato da tre aree con gradi diversi di prevedibilit che corrispondono a tre diverse aree organizzative, larea della ricerca scientifica, quella commerciale e quella tecnico produttiva. Lipotesi centrale ritiene che quanto meno lambiente esterno prevedibile, tanto meno sar il grado di formalizzazione burocratica allinterno dellarea corrispondente. Quindi non esiste una sola struttura organizzativa, ma una pluralit di strutture, ognuna adatta a interagire con un ambiente a prevedibilit variabile. Il mondo dellarea tecnico produttiva quello pi formalizzato e burocratizzato, con procedure ricorrenti. Il mondo della ricerca e sviluppo quello pi flessibile e meno formalizzato e gerarchizzato. A un livello intermedio si pone larea commerciale.

Teoria dellazione organizzativa Thompson (1967) propone di risolvere la dicotomia tra modello razionale e modello naturale delle teorie organizzative, il suo intento quello di spiegare i molteplici criteri esistenti nelloperare delle organizzazioni attraverso una sintesi dei due modelli. Thompson vede lorganizzazione composta da tre livelli di analisi: interno, esterno e intermedio. Al primo appartiene il nucleo tecnico che opera secondo criteri di massima razionalit e in condizioni di certezza; il livello esterno quello in rapporto con lambiente e opera secondo logiche di adattamento in condizioni di incertezza; il livello intermedio opera una costante mediazione tra i due livelli precedenti. Loggetto dellanalisi diventa il come le organizzazioni rispondono tenendo conto dei fattori contingenti che variano da condizioni di certezza massima, in cui le azioni vengono decise secondo criteri di calcolo razionale, e condizioni di incertezza in cui le decisioni vengono prese secondo strategie di compromesso.

Il problema dei confini dellorganizzazione Il problema dei confini dellorganizzazione definisce fin dove un soggetto da considerarsi allinterno dellorganizzazione e da quale punto ne fuori. Secondo Pfeffer e Salancik (1978) la politica estera a dominare sulla politica interna delle organizzazioni, poich il rapporto tra organizzazione e ambiente, piuttosto che in termini di interscambio, pu essere vista come una dipendenza dalle risorse strategiche di fonte esterna; da qui ne consegue che le organizzazioni lottano continuamente per sopravvivere, e la loro sopravvivenza

dipende dalle loro abilit nellaccaparrarsi le risorse che sono limitate; le organizzazioni agiscono secondo una logica di ricerca di certezza nellacquisizione di queste risorse. Lorganizzazione non sottoposta a vincoli di sola efficienza economica ma deve anche ottenere lappoggio o la neutralit degli altri operatori (vincolo di efficacia). Quindi, ne consegue, che le organizzazioni cercano di controllarsi a vicenda con leffetto di produrre interdipendenze pi fitte, in questo contesto ci che occorre analizzare sono i comportamenti individuali che vengono identificate come le componenti dellorganizzazione.

Lambiente Lambiente come aggregato di sistemi pu essere sintetizzato isolando alcune variabili: i mercati input, i mercati di output, la tecnologia, le istituzioni, gli stakeholder. Nella progettazione organizzativa, lambiente una di quelle variabili che influiscono sugli obiettivi, sulle strategie e sulle attivit di unorganizzazione. Nelle concezioni tradizionali lambiente non ha alcuna rilevanza, lorganizzazione un sistema chiuso, i comportamenti e i risultati dipendono da ci che succede allinterno dellorganizzazione, ovvero le cause dei problemi e delle difficolt vanno ricercate internamente allorganizzazione, la stessa considerata autosufficiente. Lambiente esterno omogeneo e le differenze tra le organizzazioni dipendono dai metodi di gestione. Nella concezione sistemica attorno allambiente si sviluppano diverse teorie vista la rilevanza data a questa variabile in ambito organizzativo, le organizzazioni non sono pi considerate sistemi chiusi ma aperti e in continua interazione con lambiente esterno che ne condiziona il funzionamento, per cui occorre analizzare le condizioni ambientali in cui esse operano. Secondo le concezioni reticolari lambiente popolato da soggetti chiaramente identificabili Non basta tenere conto del generico rapporto tra organizzazione e ambiente ma bisogna analizzare le molteplici relazioni di scambio che una organizzazione intrattiene con le altre. La singola organizzazione rimane loggetto di studio e lesame delle relazioni in cui coinvolta diviene decisivo per spiegarne i comportamenti e i risultati. Le concezioni cognitiviste postulano che le organizzazioni possono creare il proprio ambiente e successivamente rimanere intrappolate dalle rappresentazioni e dalle creazioni che esse hanno contribuito a costruire. Si parla quindi di ambienti attivati enactment. Gli attori costruiscono, risistemano, individuano e demoliscono molti aspetti oggettivi dellambiente che li circonda rendendo meno casuali le variabili e inserendo un ordine che poi limita le possibilit di azione delle organizzazioni (Weick). Lambiente di una organizzazione non esiste indipendentemente dallorganizzazione ed continuamente costruito e ricostruito da chi raccoglie informazioni, prende decisioni, agisce.

Le teorie che possono essere menzionate che si rifanno alla concezione sistemica sono: i sistemi meccanici/organici (Burns e Stalker, (1961); il modello del tessuto causale (Emery e Trist, 1965); il modello delle contingenze (Lawrence e Lorsch, 1967); la teoria dellazione organizzativa (Thompson, 1967).

Il modello sei sistemi meccanici/organici concettualizza lambiente in termini di stabilit/mutevolezza. In ambienti stabili le organizzazioni operano come sistemi meccanici contraddistinti da verticalizzazione gerarchica, autorit, controllo, stratificazione sociale in base alla posizione occupata ecc.; in ambienti mutevoli lorganizzazione dovr operare come un sistema organico capace di adattarsi velocemente al mutamento del contesto. Il modello del tessuto causale (il grado di interdipendenza presente nellambiente) considera la forza delle connessioni ambientali e il tasso di cambiamento, cos da identificare 4 tipologie di ambiente che le organizzazioni dovranno affrontare in modo differente. Secondo il modello contingenze lambiente influisce sul profilo interno dellorganizzazione che in base al tasso di prevedibilit/imprevedibilit ambientale sar spinta a adottare strategie di differenziazione e integrazione adatte ad affrontare il contesto. Quanto pi unorganizzazione opera in condizioni di incertezza tanto maggiore sar la differenziazione e tanto pi elevato sar il bisogno di integrazione. Gli autori individuano tre aree dellorganizzazione che interagiscono con sottosistemi ambientali. Il modello dellazione organizzativa definisce lambiente in base alle scelte compiute dallorganizzazione, e quindi pu essere circoscritto a quellinsieme di processi di azione che possono essere rilevanti per lorganizzazione. Il concetto di task environment definisce lambiente non come unentit destrutturata ma popolata da altre organizzazioni che possono influire in modo positivo o negativo sulle azioni organizzative. Il task environment definito attraverso lincrocio di 4 dimensioni omogeneo/eterogeneo e stabile/mutevole.

Approcci di studio dellambiente Il problema organizzativo nasce dallesigenza di coordinamento delle diverse attivit specializzate sulla base della divisione del lavoro. Si tratta in pratica di riportare a unit ci che stato diviso per organizzare le attivit di produzione di beni/servizi. Lambiente uno dei tre assi attraverso i quali i diversi approcci allo studio della progettazione organizzativa cercano di risolvere il problema organizzativo.

Per ambiente si intende un aggregato di sistemi che pu essere sintetizzato isolando alcune variabili: la tecnologia, i mercati di input, i mercati di output, le istituzioni e gli stakeholder. Possiamo individuare tre approcci attorno ai quali si sono sviluppate varie teorie che concettualizzano lambiente in modo differente. Secondo lapproccio oggettivo lambiente assunto come dato rispetto allorganizzazione e agli attori che vi operano, lunica strategia possibile ladattamento, lambiente determina le organizzazioni e le strategie degli attori. Secondo lapproccio soggettivo, sebbene lambiente abbia delle sue caratteristiche intrinseche e autonome, viene attivato (enacted) ai fini organizzativi, diventano importanti quei segmenti con i quali le organizzazioni e gli attori, hanno deciso di entrare in relazione. Lapproccio interattivo considera lambiente n come dato n come esterno allorganizzazione, ma concettualizzato come rete di relazioni tra gli attori. Esso si configura come una situazione di razionalit intersoggettiva in cui lequilibrio si basa su meccanismi di stabilizzazione delle relazioni. E una visione evolutiva che pu avere caratteristiche morfogenetiche, in cui sistema e attori si condizionano a vicenda e la modifica del sistema porta a una ridefinizione del ruolo degli attori.

Le tecnologie nelle diverse teorie e approcci Per tecnologia si intende il complesso di condizioni tecniche e organizzative che presiedono i processi di trasformazione materiale, spaziale e temporale degli input produttivi. In questa definizione, ampia, di tecnologia processo tecnico e organizzativo risultano strettamente intrecciati. In sintesi la tecnologia non un mero dato di tipo tecnico ingegneristico (come vorrebbe il taylorismo) ma la sintesi di una serie complessa di rapporti che hanno un impatto particolare sul sistema organizzativo. Esistono due prospettive che analizzano la tecnologia da due punti di vista. La prospettiva oggettivistica e la prospettiva fenomenologica o emergente. Secondo la prospettiva oggettivistica, la tecnologia un insieme di mezzi e metodi volti alla trasformazione di risorse materiali e informative in prodotti/servizi intermedi o finali. Quindi la tecnologia considerata una variabile che si pu analizzare in modo oggettivo per prevederne limpatto sulle strategie, sulla struttura e sui processi produttivi, in particolare sulla professionalit dei lavoratori (skill), il tutto ai fini della progettazione organizzativa. La prospettiva fenomenologica interpreta la tecnologia come una catena di mezzi/fini socialmente costruita, per cui un elemento ambiguo declinato e attivato dagli stessi attori organizzativi. Secondo questa prospettiva non quindi possibile parlare di impatto della tecnologia in senso oggettivo, ma del senso che questa assume in base a come lorganizzazione linterpreta, e di come tale costruzione di senso influisce sulla progettazione e applicazione della tecnologia in un processo ricorsivo. In sintesi secondo Weick quando parla tecnologia ci si riferisce non solo a un insieme di macchine inanimate ma anche alla capacit umana di usarle, governarle e sfruttarne al meglio le potenzialit.

La prospettiva oggettivistica si occupata principalmente dellimpatto della tecnologia sulla struttura le strategie organizzative e sulle skill dei lavoratori che la utilizzano. Questa prospettiva fa capo soprattutto a teorici della scuola sociotecnica del Tavistock Institute di Londra. Bright(1958) aveva cercato di analizzare la tecnologia in base a tre dimensioni: il livello, ovvero fino a che punto unoperazione produttiva eseguita meccanicamente); lestensione (in che misura diffusa la meccanizzazione); la profondit (il grado di meccanizzazione delle operazioni secondarie e terziarie). La scala della complessit tecnologica di Bright cerca di invece di prevedere limpatto sullindividuo e sui processi produttivi della tecnologia a seconda delle sue caratteristiche. Per Thompson (1967) le tecnologie possono essere distinte sulla base del tipo di interdipendenza che le caratterizza, pertanto ci saranno tecnologie: sequenziali, dove i problemi di una unit si traducono in maggiore lavoro per quelle successive; intermediarie, dove le risorse prodotte vengono aggregate e rese disponibili a diversi utilizzatori; intensive, dove conoscenze, capacit e tecniche vengono combinate e aggiustate man mano in funzione del tipo di problema trattato. Queste caratteristiche influiranno sui meccanismi di coordinamento e sulla struttura organizzativa. Woodward (1965) distingue le imprese in base al grado di complessit della tecnologia utilizzata e individua: la produzione unitaria o a piccoli lotti; produzione di massa; produzione a processo continuo. Quanto maggiore la complessit tecnologica, tanto pi i processi di lavorazione sono predeterminati, e questo si riflette anche sulla struttura organizzativa. In particolare la Woodward aveva notato che allaumento della complessit tecnologica si associa: un aumento del numero medio di livelli gerarchici; un aumento dellampiezza del controllo dei manager; un aumento del rapporto numerico tra personale direttivo e operativo; un aumento del rapporto numerico tra lavoratori diretti e indiretti a favore di quelli indiretti. Per la prospettiva fenomenologica al pari delle strutture che vengono attivate la tecnologia come una struttura virtuale vincola e facilita al tempo stesso lazione che la plasma ed a sua volta da essa plasmata. Le tecnologie sono ambigue, non si tratta infatti solo di condurre o governare delle linee automatizzate ma di attivare un processo continuo di ricerca e sviluppo, uno sforzo mentale in cui gli agenti sono costretti a formulare le interpretazioni di ci che sta accadendo (sensemaking). Diventano centrali i processi di apprendimento fondamentali per lesplorazione di nuove interpretazioni e continue revisioni per far fronte al caos provocato dai sistemi complessi. Non si agisce pi solo sul processo ma diventa fondamentale agire con le altre persone, la necessit di interdipendenza e di interpretazioni collettive trasformano sempre di pi il lavoro in uno scambio di servizi di relazione per la costruzione di frames in grado di gestire sistemi complessi Le microstrutture Le microstrutture sono le strutture di base componenti un soggetto organizzativo, le organizzazioni operative che hanno il compito di fare le cose. Le tipologie di microstrutture includono unit di operazione svolte da singole persone che eseguono compiti specifici (postazioni di lavoro, ruoli ecc.) e unit organizzative costituite da pi persone o gruppi che svolgono un insieme di compiti omogenei.

Le microstrutture sono influenzate da variabili strutturali, processi di lavoro, struttura delle attivit, forme di coordinamento; da variabili relazionali, il contesto istituzionale e gli interessi delle persone che influenzano i principi di organizzazione del lavoro; da variabili biologiche, antropologiche, psicologiche: caratteristiche psicofisiche personali, differenze di genere, istruzione, che influenzano la dinamica dei processi di lavoro, le dinamiche dei rapporti sociali, e la natura dei rapporti di produzione tra soggetti con interessi diversi.

Le microstrutture tradizionali sono quelle che si rifanno a un approccio economico di tipo taylorista. I principi che guidano lorganizzazione del lavoro sono la ricerca della one best way; mettere le persone giuste al posto giusto; controllare, premiare, punire; gli organismi di staff hanno compiti di pianificazione e controllo. In questa concezione le microstrutture sono strutture operative e sociali derivanti dalle macrostrutture. Unit produttive, somme di mansioni omogenee rispetto al tempo, alla tecnologia, al territorio. Vi una focalizzazione sullorganizzazione dei compiti. Lintegrazione e il coordinamento avviene attraverso la gerarchia e procedure formalizzate senza il coinvolgimento delle persone impegnate nelle attivit che hanno semplici compiti di esecuzione. I limiti delle microstrutture tradizionali sono principalmente dovute allimpatto che hanno sullindividuo, alla caduta di motivazione, alle implicazione di natura psico-fisica, che si riflettono sul sistema produttivo generando rigidit, lentezza nei processi decisionali, scarsa capacit di far fronte alle eccezioni, elevati costi di coordinamento e controllo, insufficiente attenzione al mercato/cliente.

Limpatto negativo delle microstrutture tradizionali sui processi produttivi e sulle persone, unito a fattori strategici, come linnovazione tecnologica, la maggiore richiesta alla qualit del prodotto/servizio, la qualificazione della forza lavoro, ha creato le condizioni di turbolenza ambientale e competitivit, un aumento dellincertezza dei processi e una spinta al miglioramento continuo alla ricerca di qualit e innovazione, hanno messo in crisi la concezione tradizionale delle microstrutture. Le nuove microstrutture vengono progettate mettendo al centro le persone secondo la concezione dellorganizzazione come sistema sociotecnico. La microstruttura nel nuovo paradigma, diventa flessibile, adottano modalit operative che si adattano alle cose che si devono fare. Le microstrutture fondamentali diventano ruoli aperti con mansioni flessibili, caratterizzati da integrazione tra diverse tipologie di compiti operativi, di coordinamento, di regolazione e controllo dei processi; gli work team e le unit di lavoro autoregolate, sostenute dalla cooperazione tra i membri del gruppo. Vi una focalizzazione sul controllo del processo. Quindi nel nuovo approccio alla progettazione delle microstrutture, sistema sociale sistema tecnico divengono complementari, se nella concezione tradizionale il sistema sociale era un problema da gestire in modo informale, nel nuovo paradigma le persone, le loro relazioni e le loro caratteristiche professionali diventano il fulcro delle nuove forme di lavoro.

Il processo lattivit di trasformazione di un input in un output attraverso il supporto della tecnologia e del lavoro al fine di realizzare un obiettivo specifico. Il processo deve avvenire secondo due criteri: il criterio di economicit determina che loutput deve avere un valore superiore alle risorse immesse nel processo; il criterio di efficacia impone che loutput soddisfi specifiche esigenze e bisogni dei destinatari. Quindi il processo oltre a produrre una soddisfazione dei bisogni dei clienti/utenti (interni e esterni), deve condurre al raggiungimento degli scopi organizzativi. Esistono due livelli di processi, i processi fondamentali che attraversano tutta lorganizzazione per assicurare il raggiungimento della missione, emergono quando vengono progettati monitorati, ecc. e fanno parte delle macrostrutture; i processi operativi sono linsieme delle attivit che compongono le i processi fondamentali e ne garantiscono la realizzazione, sono scindibili in sottoprocessi, fanno parte delle microstrutture e sono regolati da norme e procedure di solito ben specificate.

Le attivit sono le componenti dei processi operativi. La struttura delle attivit definisce la tipologia prevalente o il mix di attivit che caratterizzano il processo. Ogni processo si scompone in attivit che possono essere: di trasformazione (manifatturiere, di servizio, di elaborazione professionale); di coordinamento e controllo e di mantenimento e informazione. Le tre componenti sono presenti in tutti i processi. Ai fini della progettazione delle microstrutture le attivit devono essere considerate in termini di qualit, quantit e distribuzione. Le relazioni di lavoro una seconda variabile rilevanti ai fini della progettazione delle microstrutture, queste si identifica con le modalit di coordinamento e cooperazione richieste dal lavoro. Il coordinamento definisce le interazioni tra azioni distinte fatte da individui diversi. Mintzberg(1985) individua tre forme di coordinamento. La supervisione diretta: coordinamento attraverso la gerarchia; la standardizzazione: il coordinamento attraverso luniformazione delle condizioni dellinput e dei metodi di conversione o delloutput; ladattamento reciproco: il coordinamento per integrazione diretta e orizzontale tra i componenti della stessa o di diverse unit organizzative. La collaborazione definisce la cooperazione tra persone impegnate in ununica azione, al termine della quale difficile riconoscere il contributo del singolo, il prodotto della collaborazione pi della somma delle parti. Le tipologie di collaborazione sono: operativa, informativa e creativa. Ladhocrazia organizzata in costellazioni di lavoro, con un decentramento selettivo del potere e con la possibilit di realizzare il coordinamento orizzontale intra e intercostellazione ricorrendo alladattamento reciproco (Mintzberg 1989). Riduce le distinzioni tra line e staff; combina simultaneamente criteri funzionali e di mercato per il raggruppamento delle attivit; forte enfasi sullexpertise professionale e i team. Opera in un contesto ambientale dinamico, turbolento e difficilmente prevedibile che richiede innovazioni di natura sofisticata che necessitano di una struttura organizzativa con elevati gradi di decentramento

Forti diversit nelle caratteristiche del personale, nelle procedure operative, nelle tecnologie il tutto per aumentare leterogeneit. Maggiore la diversit nellorganizzazione, maggiore la probabilit che emergano innovazioni La maggiore arma competitiva di queste organizzazioni la capacit di produrre innovazioni rapidamente e efficacemente, sia nelle fasi di progettazione, che di trasformazione E caratterizzata da bassa differenziazione verticale, la dimensione orizzontale estremamente sviluppata per la presenza di numerosi professionisti con elevato livello di esperienza, esiste una forte decentralizzazione dei processi decisionali I limiti consistono in decisioni che vengono affidate a persone con minore esperienza, i processi comunicativi e decisionali lunghi e complessi con diseconomie che riguardano le risorse umane e il tempo; aumenti dei livelli di conflitto e impiego di risorse per risolverli e gestirli. La struttura a matrice La forma a matrice cerca di integrare le dimensioni funzionali con le strutture orizzontali fondate su criteri di prodotto, progetto. In una matrice esistono due catene di comando, una lungo la linea funzionale e laltra lungo le linee di prodotto; invece di suddividere un progetto in fasi separate o creare un gruppo autonomo di lavoro, chi partecipa al progetto risponde, sia al responsabile funzionale, sia a quello di progetto. Le caratteristiche principali sono un sistema informativo manageriale integrato: forte negoziazione tra capi progetto e capi funzione che dispongono di risorse e informazioni differenti; insieme di soluzioni organizzative di gestione del personale: sistemi progettati per promuovere comportamenti cooperativi; meccanismi di soluzione dei conflitti: forti capacit negoziali (comitati, task force ecc.). Esistono diversi tipi di matrice: orientata funzionalmente: il bilanciamento dellautorit dipende dai responsabili di funzioni, mentre gli altri coordinano le attivit degli specialisti funzionali coerentemente con lo specifico prodotto; orientata ai progetti: al responsabile del progetto compete la responsabilit piena delle persone e delle attivit durante tutta la durata del progetto; bilanciata: il responsabile del progetto stabilisce il piano complessivo per lo svolgimento delle attivit e il responsabile funzionale decide lallocazione delle diverse risorse. I vantaggi di questa forma sono: un elevato orientamento al business e alla specializzazione funzionale; possibile elevata motivazione nelle attivit vista la richiesta di comportamenti cooperativi e partecipazione attiva degli attori; miglior utilizzo delle risorse. I limiti sono: lentezza delle decisioni; two boss manager; incertezza nellallocazione dei compiti; alto grado di conflitto organizzativo dovuta al dualismo che si crea tra linea funzionale e linea di prodotto. DM Le diversit nelle organizzazioni non un elemento positivo o negativo, la sua valenza legata al modo in cui la diversit viene gestita nelle organizzazioni. Nel mondo, il DM ha origine negli USA negli anni 90, ed definita come una nuova strategia manageriale, che negli ultimi anni si sta espandendo in Europa e in Italia, interessando le politiche comunitarie sulle pari opportunit.

Ma il DM va oltre queste politiche, che oltretutto hanno dimostrato di contenere molti limiti, e sarebbe auspicabile un intervento diretto sulle politiche del lavoro e un maggior coinvolgimento delle imprese. Queste non devono limitarsi a rispettare obblighi normativi o etico - morali, le politiche di inclusione delle diversit presenti nelle aziende, non devono essere viste come fini a s stesse, ma, secondo una logica del business case, come strumento per accrescere le performance interne ed esterne. Questa logica stata tradotta in Europa nelle a definizione delle Carte della Diversit, che hanno lo scopo di costruire una cornice di riferimento per le politiche di diversit e in particolare lo stato di attuazione delle politiche di DM in Europa; analizzare quali sono le aziende che le promuovono; verificare le modalit in cui le pratiche di DM stanno entrando a far parte delle strategie organizzative e individuare elementi di sviluppo e di criticit. Le Carte europee si rifanno alle politiche di pari opportunit, ma si differenziano da queste per una maggiore attenzione agli aspetti della qualit della vita e alla valorizzazione dellintegrazione dei diversi soggetti. Pi che tutelare le diversit, lo scopo quello di integrare e di far si che le diversit siano un valore aggiunto per le imprese, per quanto riguarda lo sviluppo, le conoscenze, le performance e il profitto e in generale la competitivit delle imprese.

Perch parlare di DM I notevoli cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni che hanno riguardato lo scenario socioeconomico, i flussi migratori, la gestione delle imprese, il mondo del lavoro e le prospettive dei singoli lavoratori, richiede la necessit di definire un nuovo modo di gestire le risorse umane. Il DM pu essere visto come uno scambio tra persone e organizzazione, un incontro tra i bisogni organizzativi e i bisogni dellindividuo, si tratta di conciliare le necessit organizzative di competitivit, flessibilit e innovazione con le esigenze individuali di crescita professionale, potenziamento e valorizzazione. La diversit si riferisce alle diverse categorie della forza lavoro che sperimentano la percezione di comunanza culturale allinterno di un contesto nazionale, e che impattano in modo positivo o negativo sulle opportunit lavorative, sul trattamento nellorganizzazione e sulle prospettive di promozione a parit di abilit e qualificazione professionale. Possiamo individuare delle diversit primarie o visibili (genere, etnia, orientamento sessuale, caratteristiche fisiche); e delle diversit secondarie (religione, istruzione, reddito, ruolo organizzativo ecc.). I due livelli di gestione delle diversit si differenziano per il contesto di applicazione. A livello macro si fa riferimento a politiche di pari opportunit attraverso strumenti giuridici e normativi che proteggano i soggetti svantaggiati e i principi di uguale trattamento per tutti. A livello micro lobiettivo soprattutto limpresa che deve essere capace di coniugare gli interessi dei singoli con quelle di business e competitivit. Definizione di DM Dalle definizioni di alcuni autori (Keil 2007 e Basset-Jones, 2005), si evince che i tratti distintivi dellapproccio del DM sono quelli di processo di cambiamento volto a costruire nuove culture aziendali, plurali e difficilmente imitabili. Se il primo autore fa riferimento a un processo che crea e

aggiunge valore per le imprese attraverso la gestione delle diversit, il secondo fa riferimento ai meccanismi di reclutamento e di trattenimento dei dipendenti con diversi background e abilit. Questa strategia oltre alla tutela e lintegrazione ha come fondamento la valorizzazione delle diversit di ognuno al fine di raggiungere gli obiettivi strategici dellimpresa.

Differenza tra azioni positive, politiche di pari opportunit e DM Nelle politiche di tutela dei gruppi deboli sia sul mercato del lavoro che nella societ in generale, si sono messe in pratica diverse strategie con obiettivi e motivazioni differenti: azioni positive, politiche di pari opportunit e DM. Le azioni positive si rifanno agli obblighi per le imprese di impiegare una percentuale di lavoratori appartenenti alle categorie svantaggiate, vi quindi un obiettivo di inclusione, con azioni di tipo legale indirizzate ai singoli gruppi. Le politiche di pari opportunit (valutazione delle differenze) sono rivolti a eliminare qualsiasi discriminazione e a promuovere luguaglianza tra tutti i lavoratori, con lobiettivo di far emergere valori etici e morali che facilitino laccettazione, si tratta di azioni di tipo etico morale che spingono verso un cambiamento culturale. Le politiche di DM: oltre alla tutela e lintegrazione ha come fondamento la valorizzazione delle diversit di ognuno al fine di raggiungere gli obiettivi strategici dellimpresa. Sono quindi azioni strategiche legate sia alla produttivit e competitivit delle imprese che al benessere dei lavoratori.

Modelli di DM Nella gestione delle diversit possiamo distinguere diversi modelli di intervento che possiamo raggruppare in tre diverse categorie: i modelli valutativi, i modelli prescrittivi o istituzionali, i modelli operativi o tradizionali. I modelli valutativi analizzano le diverse modalit con cui le aziende rispondono alla diversit demografica nella forza lavoro, forniscono degli step che le organizzazioni dovrebbero seguire per gestire in modo efficace le diversit. Attraverso questi modelli possibile tracciare un profilo delle aziende riguardo al loro atteggiamento nei confronti della diversit che vanno dal rifiuto alla conformit e rispetto delle norme di legge, fino a una integrazione consapevole. Una classificazione esaustiva quella fornita da Dass e Parker che distinguono 4 tipologie di strategie messe in atto dalle aziende e lequity continuum che permette di individuare il livello di equit raggiunto nellorganizzazione.

I modelli istituzionali o prescrittivi oltre a valutare il livello, vengono descritti i diversi step da seguire per lattuazione di programmi di DM, sono modelli che richiedono una forte leadership che guidi il processo e sostenga lintervento, partendo dai programmi di selezione fino ai programmi di formazione. Il modello a 7 fasi (Lab. Armonia, Bocconi, 2007) parte dallassunto che non esiste un metodo valido per tutte le organizzazioni. Lintervento ottimale dipende infatti dalla cultura, dalle caratteristiche di business, dalla fase che lorganizzazione sta attraversando e dalle risorse di cui pu disporre. La terza tipologia sono i modelli operativi che hanno lo scopo di analizzare i fattori specifici in ogni organizzazione, che influenzano le politiche di DM. Secondo il modello di Dass e Parker (2001) rivisto e adattato da Visconti (2007) le strategie di DM dipenderebbero da tre fattori, le pressioni interne, le pressioni esterne e le caratteristiche del management. Le pressioni interne si riferiscono alla profondit ovvero la distanza tra cultura dimpresa e soggetti portatori di diversit, alla ampiezza delle diversit (n. lavoratori portatori di diversit) la cultura aziendale (individualismo vs collettivismo); le pressioni esterne si riferiscono a normative, opportunit e caratteristiche del mondo del lavoro e dallimportanza del DM rispetto agli obiettivi aziendali; le caratteristiche del management si riferiscono alla presenza o meno al suo interno di rappresentanti di gruppi diversi e precedenti esperienze di DM. Caratteristiche delle Carte Europee I paesi che attualmente aderiscono al progetto europeo di DM sono 7 ai primi 5 (Francia, Germania, Bruxell, Spagna e Italia) si sono aggiunti nel 2010 Austria e Svezia. I dati disponibili sono esigui per poter costruire un quadro generalizzabile, ma possibile fare alcune considerazioni sulle differenze nellapplicazione delle linee guida. Prima di tutto vi da dire che il programma europeo ha come obiettivo di definire delle Carte di intenti con cui le imprese e le istituzioni si impegnano su base volontaria a promuovere e garantire principi di eguaglianza e inclusione delle diversit. Ladesione alla Carta un primo passo di un processo a lungo termine che coinvolge lintera organizzazione dal management fino allultimo anello della catena produttiva, questo richiede il pieno coinvolgimento di tutti i soggetti organizzativi. La Carta Tedesca che consiste in 6 principi, ha una connotazione pi manageriale e lobiettivo quello di includere tutti i soggetti potenzialmente discriminati in vista della realizzazione di maggiore competitivit. Quindi alla base vi la valorizzazione delle diversit, viste come un fattore chiave per il miglioramento della performance organizzativa. Seppure questi principi siano presenti in tutte le carte, quelle degli altri paesi sono improntate pi a principi di non discriminazione e di pari opportunit. Seppure in tutte le carte vi sia un riferimnento ai vantaggi intermini di business, le carte spagnola, italiana, francese e belga puntano a assicurare prima di tutto pari opportunit nel mercato del lavoro e a eliminare le discriminazioni presenti. Quindi tutti i paesi, ad eccezione della Germania hanno riservato maggiore attenzione alle fasce pi deboli. In particolare, F e B si riferiscono alle diversit etniche e culturali, mentre S e I pongono pi attenzione alle differenze di genere.

Per quanto riguarda gli interventi vi pressoch omogeneit, si evidenziano alcune particolarit nella carta S e I che richiamano a interventi che migliorino le politiche di work life balance, mentre quella F e B individuano nel dialogo coi sindacati un elemento importante ai fini dellimplementazione delle politiche di DM. La carta italiana quella che finora ha visto un basso coinvolgimento delle istituzioni sia a livello centrale che periferico e infatti anche la nazione che ha visto finora la minore adesione alla carta delle Diversit. La Carta stata promossa da un fondazione privata la Sodalitas, questi fattori ne hanno limitato la diffusione soprattutto tra le piccole e medie imprese che sono il tessuto produttivo maggiormente rappresentativo. La maggior parte delle aziende che hanno aderito sono di grandi dimensioni o multinazionali con filiali in Italia.

Vantaggi e limiti del DM I vantaggi possono essere schematicamente distinti in effetti sulle risorse umane ed effetti sull'organizzazione. I vantaggi per le risorse umane sono: miglioramento delle performances individuali e di gruppo; aumento della motivazione; aumento della job satisfaction; miglioramento del clima; identificazione e job involvement; riduzione dellassenteismo; aumento della creativit e dellinnovazione; maggiore coesione e comunicazione interna; maggiore problem solving di gruppo. I vantaggi per lorganizzazione: Diminuzione dei costi aziendali: costo del turn-over; costi relativi al mancato rispetto delle leggi sulle pari opportunit; costi legali contro lazienda Innalzamento della produttivit e dell'innovazione; Aumento delle vendite e delle quote di mercato; Miglioramento dellimmagine dellorganizzazione; Aumento della flessibilit. I limiti: Il tempo: il tempo gioca un ruolo determinante nelle politiche di DM. La criticit deriva dal fatto che a fronte di un impiego di risorse ed impegno a breve periodo si hanno gli effetti pi sostanziosi in un periodo pi lungo mentre le organizzazioni si muovono secondo una logica di tipo short time Diversit ed equit: non bisogna perdere di vista limportanza dellequit di trattamento. Unaltra minaccia, sul versante dellequit, pu essere la percezione che a godere dei vantaggi delle iniziative, volte alla valorizzazione e allo sviluppo delle differenze, sia unesigua minoranza della popolazione lavorativa e che, in prospettiva, gli investimenti siano dirottati solo verso queste particolari fasce di collaboratori, trascurando le altre. Le relazioni: anche lincomunicabilit tra persone e linconciliabilit di alcuni valori costituiscono un fattore di attenzione. Esistono infatti aspetti dellidentit individuale difficilmente armonizzabili nelle maglie della cultura organizzativa: la non comprensione delle diversit, poco sintoniche e funzionali alla cultura organizzativa, genera conflitti di comunicazione e di atteggiamenti difensivi che, a loro volta, determinano pesanti inefficienze dal punto di vista della performance aziendale.

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