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SOCIOLOGIA E ANALISI ORGANIZZATIVA

La sociologia dell’organizzazione soffre di un non chiaro rapporto tra teoria e ricerca empirica, poi ci sono
altre discipline come psicologia ed economia che hanno confusioni disciplinari, la sociologia è una scienza
giovane con leggi che erano immutabili e naturali, il positivismo di Comte afferma la sua razionalità umana
per la conoscenza della società. È una scienza comprendente le azioni individuali e fenomeni sociali
attraverso differenti tipologie ideali. Sono presenti dicotomie come: micro/macro, teoria/prassi,
qualità/quantità.
La disciplina madre è la sociologia mentre quella specialistica è quella dell’organizzazione. Ci sono 2
orientamenti prevalenti:
 approccio sistemico: privilegia gli aspetti strutturali delle organizzazioni (attore vs sistema);
 approccio fenomenologico: partire dal soggetto per l’agire concreto (soggetto vs struttura).
ANALISI DELLE ORGANIZZAZIONI
Le società contemporanee sono caratterizzate dalla proliferazione delle organizzazioni: entità sociale
costituita dagli uomini per raggiungere obiettivi determinati, con una struttura formale stabile e norme
interne. Serve per scopi che non si potrebbe raggiungere da soli. L’impresa mercantile offre i suoi prodotti
sul mercato in termini di efficienza economica che è diversa dall’organizzazione pubblica per perseguire
obiettivi per il soddisfacimento e tutela dei diritti universali del cittadino.
Ogni organizzazione ha dei sottosistemi operativi:
 degli obiettivi: dell’organizzazione privato-mercantile e pubblica;
 della divisione del lavoro: compiti specifici per ogni oggetto;
 di controllo e coordinamento;
 della struttura organizzativa: organigramma per le procedure, responsabilizzazione, progetti;
 informativo: processi di comunicazione;
 di gestione delle risorse umane: sistema retributivo.
Per quanto riguarda le teorie interpretative delle organizzazioni operanti in ambito economico sono:
 organizzazione scientifica del lavoro: management, taylorismo, fordismo, l’attività dei manager e
dipendenti è riorganizzata basata su one best way;
 il movimento delle human relations: corrente organizzativa tesa a recuperare gli aspetti umani e sociali,
motivazioni, relazioni;
 job design: superare la catena di montaggio per la job rotation e working group;
 modello giapponese: principio just in time.
STRUTTURA E CULTURA DELLE ORGANIZZAZIONI
La struttura è il sistema formalizzato dei ruoli, funzioni, potere, regole con un direttore amministrativo
coordinatore di aree in connessione tra loro ognuno con competenze e responsabilità. Sono presenti le unità
organizzative con funzioni istituzionali, direttive, di governo, intermedie, operative, di supporto, controllo e
sviluppo. Le relazioni tra loro sono in forma gerarchica (line) o funzionale (staff). Lo staff crea condizioni
per il funzionamento delle unità di line centrate sul risultato finale.
Gli aspetti culturali invece sono relativi all’azione per organizzare e sono costitutivi relativi alla regolazione
di rapporti che orientano al valore universalistico accessibile facendo riferimento a valori e norme che non
sempre sono riconosciuti dalle persone che vi operano portando a conflitti. Nelle organizzazioni più grandi ci
sono culture professionali diverse, settoriali, territoriali e ambiti di intervento.
Gli elementi delle culture sono: materiali (strumenti) e intellettuali (simboli, logo, motivazioni che
influenzano l’azione, linguaggio); riti organizzativi (riunioni) e ludico ricreative (socializzazione).
C’è una relazione costante tra struttura e cultura: così come tra:
 processi di specializzazione e standardizzazione;
 innovazione operativa e proceduralizzazione;
 indeterminatezza delle strategie dei soggetti e determinatezza dell’assetto organizzativo;
 componente burocratica e professionale.
Quindi c’è una differenza tra struttura dei ruoli (compiti) e struttura sociale (relazione tra persone/gruppi).
TECNOLOGIA COME VARIABILE ORGANIZZATIVA
La tecnologia:
 oggetti/strumenti fisici, metodi impiegati, competenze;
 serve a legare tra loro le parti, incontro tra prodotti intermedi e finali, trasformare elementi materiali e
non;
 viene considerata come elemento predeterminato che condiziona lo sviluppo e le scelte; come elemento
funzionale; come fattore organizzativo.
MECCANISMI OPERATIVI E PROCESSI ORGANIZZATIVI
I meccanismi operativi sono l’insieme delle modalità mediante cui le organizzazioni perseguono i loro
obiettivi. Nella dimensione processuale delle organizzazioni il progresso è l’aspetto qualificante, elemento
centrale di struttura e cultura, modalità di gestione, è una sequenza di attività legate fra loro con connessione
logica. I processi sono di 2 tipi: primari (legati al prodotto) e di supporto.
Gli aspetti sono: finalità, connessioni, risorse, strumenti, ruoli, prodotti-servizi. Le fasi invece sono: input,
soggetto inviante, responsabilità, collaborazione, azione, output, soggetto destinatario, modalità operative,
strumenti, tempo, durata e luogo.
AUTORITA’ E LEGITTIMAZIONE
Il potere è la capacità di imporre la volontà per uno scopo. Le fonti del potere si dividono in quelle stabilite
per legge e quelle per caratteristiche personali. Le situazioni che riguardano sono quella in cui chi subisce
accetta il potere legittimato e quella in cui non vi è un riconoscimento del potere, non legittimato.
Nell’analisi delle organizzazioni importante è la storia ovvero il percorso compiuto dall’organizzazione,
dinamiche di potere, meccanismi di produzione, dedurre indicazioni sulle culture.
È necessaria una prospettiva diacronica, come si modifica nel tempo, il cambiamento può esser graduale o
repentino. I fattori di cambiamento sono la pressione dell’ambiente, strategia direttiva. C’è una relazione tra
cambiamento e apprendimento infatti quest’ultimo può stimolare il cambiamento, le organizzazioni
dinamiche stimolano il cambiamento di comportamento favorendo la creazione di situazioni di
apprendimento.
RICOMPORSI DICOTOMIA TRA SOGGETTO E STRUTTURA
Sia Durkheim che Weber consideravano il rapporto reciproco tra individuo e società, Giddens afferma che le
azioni sono influenzate da caratteristiche strutturali, quindi sostiene che sono i processi di strutturazione a
costruire l’oggetto di studio. Bordeau sostiene che gli individui si confrontano in un campo sociale costituito
da relazioni e poteri, agiscono a partire dal loro habitus (abitudini, modi di fare).
Lo spazio sociale è l’insieme dei campi e in relazione tra loro gli individui si muovono nel tempo. C’è un
rapporto tra habitus e campo: l’habitus di cui è dotato un soggetto trova senso in un campo e al tempo stesso
l’habitus è collegato alle posizioni occupate all’interno di un campo. Bourdieu inoltre afferma che attraverso
le pratiche sociali concrete esprimono il loro habitus in un determinato campo di appartenenza.
Elias invece si concentra su come si generano le cose e non su come si sono prodotte, la natura e la struttura
dei rapportu umano formano una società perché gli individui legato la loro, si parla di una tessitura
relazionale continua e dinamica tra individui e società, tra soggetti e struttura.
La sociologia dell’organizzazione:
 è dinamica e processuale: insieme di azioni, pratiche, ecc…;
 la razionalità è limitata, alcuni fattori che limitano sono le informazioni disponibili, problemi, poche
capacità elaborative, ci sono vari tipi di razionalità (organizzativa, economica, tecnica);
 approcci soggettivistici (la realtà è una costruzione sociale prodotta dal significato dell’esperienza) e
oggettivistici (la realtà è un’entità accumulatasi nel tempo).
L’AZIONE ORGANIZZATIVA
L’azione organizzativa:
 è un’azione, strutturata e strutturante;
 è un processo di iterazioni che producono regole, interazioni in un contesto che a sua volta può essere
regolato, le soluzioni organizzative prevedono variabilità, imprevedibilità per le soluzioni alternative;
 può essere influenzata da scelte di tipo tecnico e o istituzionale;
 ha funzione selettiva verso l’ambiente;
 è autonoma e dipendente: subisce influenza delle tecniche e obiettivi ma dispone di meccanismi, decisioni
e quindi può stabilire modalità di scambio con l’esterno.
PRATICHE ORGANIZZATIVE
L’organizzazione è un processo di azioni e decisioni con dinamicità organizzativa. È costituita da pratiche
con la funzione di continuità fra mente e corpo per l’agire concreto. Si parla di comunità di pratiche
riferendosi alla condivisione di competenze e sapere che accomunano le persone come delle routine
organizzative.
In questo contesto ci si riferisce a pratiche organizzative e modalità concrete di produrre soluzioni
organizzative attraverso il rapporto tra azione organizzativa, meccanismi decisionali, campo di intervento e
habitus. Quindi si parla di pratiche organizzative perché è l’insieme di regole, valori, prassi, tecniche che
imprimono una direzione all’operatività ma allo stesso tempo sono modificate dall’azione, decisione, scelta
organizzativa dentro il campo nel quale opera il contesto nel quale agisce.
DALLA GERARCHIA ALLA RETE
La rete mette in relazione forme complesse, lascia spazio a soluzioni e permette la compenetrazione fra gli
elementi. Le reti costituiscono la nuova morfologia della società, aumenta il numero delle relazioni, cambia
la qualità delle interconnessioni, con un’elevata presenza di vincoli e opportunità tecnologiche che evolvono
alle relazioni sociali. Questa complessità crea opportunità ma anche problemi di coordinamento.
Si passa dall’organizzazione gerarchica a una rete di organizzazioni quando la costruzione di un prodotto non
è più il risultato di un’unica organizzazione ma di una rete dove le relazioni sono orizzontali e simmetriche.
Il modello divisionale crea un’unità e autonomia, le reti collaborano per un fine comune. I presupposti per il
modello a rete sono: considerare che le relazioni fra organizzazione e strutture relazionali sono molteplici a
seconda dell’appartenenza alle reti, le relazioni nascono in un territorio nel quale si radicano le
organizzazioni. Sono usate varie metodologie di ricerca come la network analysis per studiare le
organizzazioni e le sue fonti.
VERSO UN’ORGANIZZAZIONE A RETE
Il modello organizzativo a rete può essere considerata come modello con cui entità autonoma si sviluppano
tra loro riferito alla rete di organizzazioni ma anche come modelli di organizzazioni più grandi che
coordinano quelle minori. Tra i 2 tipi vale il primo. Poi c’è anche l’organizzazione esterna alla rete creata
dalle organizzazioni in rete per gestire alcune funzioni come commercializzazione e bandi.
Quindi l’organizzazione a rete è un insieme di meccanismi di coordinamento e cooperazione che legano
quelle autonome con scambi di elementi per un fine. I conflitti provengono dal profilo strutturale, culturale di
ogni entità autonoma ma condividono elementi che la rinsaldano. La costruzione della rete può avvenire per
scissione (attività di un’organizzazione vengono esternalizzate) o per aggregazione (attività messe insieme
per la necessità di mettere insieme risorse). La decisione è make or buy (fare in proprio o acquisire
dall’esterno).
Le condizioni nelle quali si creano le reti associative sono:
 disponibilità di risorse sul territorio per creare più relazioni;
 incertezza delle condizioni dell’ambiente, compromette il raggiungimento dell’obiettivo;
 complessità degli obiettivi che implica di mettere insieme diverse competenze.
Le modalità mediante cui si definisce e consolida l’insieme delle relazioni sono:
 formalizzazione dei rapporti: contratti, accordi;
 condivisione di valori: senso di appartenenza;
 condivisione di obiettivi;
 partecipazione continuativa ad attività congiunte.
ELEMENTI FONDAMENTALI
Gli elementi fondamentali dell’organizzazione a rete sono:
 nodi: singole organizzazioni che cooperano per raggiungere gli scopi, le connessioni tra i nodi sono stabili
e durature, distinguono le reti per la numerosità di connessioni, frequenza dei contatti e tempo;
 transazioni: scambi tra i nodi con un passaggio simmetrico di risorse quindi si parla di interdipendenze
simmetriche; possono variare per densità, intensità, ampiezza, durata, longevità, gli oggetti di scambio
sono risorse economiche, informazioni, beni materiali e servizi;
PAROLE CHIAVE
Le parole chiave per interpretare un’organizzazione di rete sono:
 processo organizzativo: valutazione della qualità del processo e del prodotto, valorizzazione della
flessibilità e adattamento del processo per un decentramento delle attività, ricerca di fattori organizzativi
per una continuità delle fasi, meccanismi che inducono la responsabilità;
 interdipendenza o coordinamento: il secondo deve stimolare la cooperazione/condivisione.
Ci sono varie forme di interdipendenza:
 generica: tra le organizzazioni mediata da un terzo soggetto;
 sequenziale: una direzione, un’organizzazione va verso un’altra che va verso un’altra ancora
(asimmetria);
 reciproca: relazione simmetrica e bidirezionale tra le organizzazioni (A e B; C e D);
 di gruppo: le organizzazioni sono connesse.
Altra parola chiave è l’empowerment: processo di attribuzione di potere agli individui, organizzazione delle
costituzioni, comunità per rafforzare le capacità, fondamentale è la responsabilità. Ad esempio si cerca di
ridurre la distanza tra soggetto e processi decisionali quindi partecipare concretamente. L’empowerment è
collegato agli stili di leadership, è un processo a 3 dimensioni per il rafforzamento delle capacità a livello
individuale, organizzativo e comunitario (individuale o di gruppo, organizzativo, comunitario).
Altra parola chiave è la comunicazione che ha un ruolo importante tra le reti, può essere verbale o non,
organizzativa (tra reti e con ambiente esterno), interna (fra componenti per finalità conoscitive, decisionali,
operative, ricreative, identitarie e può essere formale o informale) e verso l’esterno (verso la comunità di
appartenenza dell’organizzazione con coinvolgimento dei cittadini con una responsabilità verso la comunità.
Ad oggi i processi tecnologici hanno facilitato i processi comunicativi.
Altra parola chiave è il lavoro di gruppo, i gruppi possono essere formali o informali, hanno determinati
scopi, un sistema valoriale di compiti, dimensione numerica, omogeneità, struttura delle comunicazioni
interna verso l’esterno e presenza anche di sottogruppi. Le fasi sono: di incontro, rielaborazione, e di
operatività.
Altra parola chiave è la leadership che può essere autocratico/diretto o partecipativo/collaborativo. Ha la
capacità di influenzare e condurre i gruppi di lavoro a stimolare l’impegno del gruppo per il risultato, il
comportamento del leader può essere direttivo o di supporto per i collaboratori. Deve essere capace di
coordinare la situazione e agisce a partire dalla razionalità limitata e in una situazione di continua
evoluzione.
Altra parola chiave è l’apprendimento organizzativo, le organizzazioni si devono capire tra loro e
comprendere le diverse modalità di azione per poter condividere progetti e azioni. Avviene l’interpretazione
del cambiamento delle conoscenze individuali, si sviluppa in funzione del processo organizzativo e
decisionale. L’organizzazione apprende facilmente quando è capace di imparare dagli errori, favorisce
circolazione delle conoscenze, valutazione sistematica delle soluzioni e prevede un processo decisionale
partecipato.
LA RELAZIONE TRA ORGANIZZAZIONE E AMBIENTE
Nelle relazioni con l’ambiente ci può essere un sistema chiuso (limitare influenze esterne) e aperto
(interagendo con l’ambiente modifica struttura e cultura). Se l’ambiente influenza il modello anch’esso
influenza l’ambiente attraverso i risultati. Stabilire il modello organizzativo è difficile in quando sono
necessarie analisi delle diverse condizioni ambientali nelle quali opera e modalità per raggiungere gli
obiettivi.
C’è una distinzione tra gli ambienti in base all’attinenza diretta o indiretta che l’esterno ha con l’attività. Si
ha l’ambiente pertinente, operativo (estensione delle sue relazioni operative con utenti, fornitori), macro
ambiente (insieme dei fenomeni e fattori che intersecano in maniera indiretta le attività.
Classificando gli ambienti ci sono delle dicotomie:
 tranquillo/turbolento;
 stabile/dinamico;
 omogeneo/disomogeneo;
 connesso/disconnesso;
 organizzato/disorganizzato;
 prevedibile/imprevedibile;
 certo/incerto: l’incertezza è legata alla capacità di governare e creare modi per ridurla.
INTERPRETAZIONI DELLE RELAZIONI
Le relazioni tra organizzazione e ambiente si basato sull’adattamento della prima per sopravvivere ai
cambiamenti modificando le sue caratteristiche, è l’ambiente che seleziona le organizzazioni. Un’altra
interpretazione considera il contesto istituzione come fattore di influenza sull0rganizzazione. Un’altra
afferma che l’organizzazione definisce l’ambiente pertinente nei confini e nei livelli di incertezza a partire
dalle informazioni che cerca e di cui dispone per costruire l’ambiente con delle alleanze.
Nello studio dei ruoli e delle unità si parla di confini, i ruoli sono i primi interlocutori con i quali si
rapportano gli utenti. I confini nelle reti sono complessi infatti le organizzazioni ridefiniscono continuamente
i confini in base ai cambiamenti dei processi di esternalizzazione e di sviluppo.
IL TERRIORIO COME VARIABILE ORGANIZZATIVE
C’è anche un rapporto tra territorio e organizzazioni:
 fa parte della costruzione sociale e politica;
 è l’ambito in cui avvengono pratiche organizzative;
 avviene nella relazione tra le organizzazioni;
 c’è poi la variabile organizzativa, l’organizzazione è una rete radicata sul territorio che per produrre i
propri risultati attinge dalle risorse del territorio.
LA PROSPETTIVA DELLA PROGRAMMAZIONE
Rispetto al modello e alla programmazione ci sono 2 presupporti: relativo al soggetto programmatico e agli
obiettivi macro della programmazione. I 1 dibattiti nati sono il ritorno dell’etica e la critica del concetto di
sviluppo. Oggi c’è un sentimento di speranza che il ritorno all’etica possa prevenire le implicazioni negative
della società odierna fondata su insicurezza, relazioni asimmetriche, debolezza economica.
È necessaria una pluralizzazione degli interessi di tutti i soggetti operanti o incidenti su e nell’impresa per
avere un ritorno all’etica. La P.A: tenta di estendersi alle banche, consumatori e organizzazioni ma il
coordinamento è difficile in quando è necessaria una rivalutazione culturale ed economica più virtuosa. Il
programming si distingue dal planning (processo operativo).
La programmazione riguarda i programmi specifici tramite i principi generali, può essere: indicativa;
normativa tradizionale; normativa con legami nella società e nel mercato. Da quest’ultima nasce il carattere
democratico e partecipativo. Il pubblico potrà anche non gestire tutto ma dovrà crescere le proprie
responsabilità di coordinamento fra i sottosistemi economico, socioculturale e politico-amministrativo.
Il percorso programmatorio comprende:
 analisi qualitativa e quantitativa di bisogni e domande;
 analisi permanente delle risorse;
 definizioni delle priorità nell’incrocio dei 2 processi analitici;
 definizione della combinazione fra uso delle risorse e modalità organizzative;
 individuazione dei processi, azioni e protagonisti;
 verifica delle risorse;
 verifica sull’efficacia degli obiettivi.

Le fasi idealtipiche sono:


 formulare obiettivi per la comunità e scelta delle azioni
 individuare risorse, soggetti e istituzioni;
 individuare eventuali normative per ricompense;
 procedure e avvio processi;
 monitoraggio e verifica in progress;
 verifica finale di efficienza ed efficacia e in caso eventuale riformulazione.
IL NUOVO CONTESTO SOCIETARIO DEI SERVIZI
Nell’affrontare le trasformazioni del mondo del lavoro si fa una distinzione tra quelle oggettive (processo
globale, sviluppo del 3° settore, introduzione delle nuove tecnologie, nuovi lavori) e soggettive (richiesta da
parte dei lavoratori di creatività) e poi ci sono quelle con cui muta il rapporto vita-lavoro. Sono in atto grandi
cambiamento nel mondo dei servizi: famiglia, progressivo invecchiamento della popolazione, nuove forme
di povertà, migrazione interna e immigrazioni. La società è caratterizzata da incertezza con minacce della
propria identità quindi importante è attenuare la discontinuità attraverso una continuità dei diritti.
Compaiono nuove emergenze nel lavoro:
 richiesta maggiore della qualità del lavoro si scontra con una maggiore richiesta di occupazione;
 presa di coscienza che questa conciliazione non è facilmente raggiungibile;
 il mito della flessibilità lavorativa ha creato nuove debolezze sociali.
ORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI E MODELLI DI WELFARE
Il welfare state è un sistema sociale e politico-amministrativo con il quale lo Stato è garante di un livello
minimo di reddito disponibile e servizi indispensabili. Lo stato offre questi servizi grazie al prelievo fiscale
improntato dalla capacità contributiva. Il welfare riequilibra le disponibilità sociali ed economica. Si inizia a
parlare di welfare nell’800 nella fabian society il cui scopo era sensibilizzare la classe lavoratrice e farle
assumere il controllo per non dipendere dagli imprenditori.
I modelli di welfare sono promossi da Titmus (faceva parte della fabian society);
 residuale: lo Stato interviene quando il privato non riesce a rispondere ai bisogni, l’intervento è
provvisorio marginale (universalistico);
 meritocratico funzionale: simile al modello di Bismark, il cittadino deve essere in grado di soddisfare i
propri bisogni grazie al proprio lavoro, lo Stato interviene quando il cittadino non è più in grado di
lavorare;
 istituzionale redistributivo: lo Stato copre il soddisfacimento di qualsiasi bisogno espresso dal cittadino.
Andersen con l’interazione tra Stato, mercato e famiglia ha individuato tipi di Stato:
 liberale (UK, Irlanda): il mercato offre servizi;
 social democratico (Finlandia, Norvegia): lo Stato in modo universalistico offre servizi (cittadinanza);
 conservatore (Germania, Francia); c’è un legame tra posizione occupazionale dell’individuo e
prestazione;
 mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia): simile al 3° ma la famiglia ha più rilevanza. L’intervento dello
Stato è minimo, le politiche del lavoro favoriscono l’uomo;
 individualistico: pari accesso alla cittadinanza sociale, lo Stato si occupa di cure e politiche.
Nel welfare ci può essere anche crisi, le cause possono essere endogene (aumento del prelievo e servizi
uguali) o esogene (nuovi soggetti), bisogni, sovraccarico di domande. Il welfare mix è il coinvolgimento di
diversi attori sociali e la cittadinanza attiva quindi la partecipazione consapevole, assunzione di
responsabilità e potere nei confronti delle comunità di appartenenza. Il welfare mix trova le sue basi nel
welfare state, minore in quanto è un fatto di civiltà, ruolo del pubblico e terzo settore vanno tenuto in conto.
Polany sostiene che la società attuale è formata da sottosistemi che hanno influenze reciproche e devono
assumere la stessa rilevanza altrimenti quello economico prevale sugli altri a scapito delle politiche sociali.
Per superare la crisi del welfare devono avere la stessa rilevanza.
 economico: fondato sulla logica del guadagno;
 amministrativo: redistribuzione ed equità;
 socio-culturale: reciprocità, comprende il 3° settore.
ELEMENTI PER UN PERCORSO INTERPRETATIVO
Le parole chiave per il percorso interpretativo dell’organizzazione dei servizi in Italia sono: decentramento,
condivisione, promozione della qualità di vita. Nell corso degli anni c’è stata una tendenza a introdurre
elementi innovativi nei servizi pubblici che stimolano più flessibilità.
Gli aspetti sono:
 decentramento politico-amministrativo;
 separazione tra politica e amministrazione;
 riorganizzazione delle attività;
 privatizzazione di alcune attività della P.A;
 miglioramento delle capacità organizzative e gestionali;
 aumento del livello di efficacia/efficienza.
I passaggi sono:
 dall’assistenza alla promozione del benessere;
 dalla sanità alla salute;
 dalla partecipazione sociale allo sviluppo delle capacità;
 dall’universalismo all’universalismo selettivo;
 dalle prestazioni predefinite alla personalizzazione degli interventi;
 dalla verifica quantitativa delle prestazioni alla valutazione dell’adeguatezza degli interventi;
 dalla delega alla valorizzazione delle relazioni sociali;
 dalla spesa pubblica incontrollata alla razionalizzazione;
 dal centralismo al decentramento.
Elementi importanti sono la sussidiarietà: avvicinamento dei servizi alla comunità, può essere verticale
(Stato alle Regioni) o orizzontale (ente locale alle organizzazioni della società come associazioni), altro
elemento è l’esternalizzazione: processi produttivi di un’amministrazione pubblica che si trasferiscono
all’esterno. Si passa dal government (coinvolgimento di attori locali) alla governance (la comunità viene
coinvolta la sponsorizzazione). Importante è la pianificazione strategica che comprende la partecipazione
degli attori locali con il territorio e le modalità di costruire il territorio con relazioni integrative delle
organizzazioni e comunità.
SERVIZI SANITARI
Lo sviluppo del percorso delle organizzazioni dei servizi sanitari avviene in 3 momenti. Con la l.n. 833 del
’79 viene istituito il SSN per costruire un sistema omogeneo quindi diviene unitario e universalistico, c’è il
rapporto tra pubblico, privato e volontariato. Nasce il livello statale (competenze legislative), regionale
(pianificazione servizi locali) e locale (funzione gestionale). Dal punto di vista degli organi organizzativi
viene istituita l’unità sanitaria locale per gestire servizi sul territorio.
Il secondo momento si ha con i d.lgs. del ’92 e ’93. Vengono istituite le aziende sanitarie locali con un
direttore generale, sanitario e amministrativo. Le ASL aumentano le dimensioni avendo autonomia e
responsabilità, hanno più competenze, funzioni, livelli uniformi di assistenza. Il terzo momento si ha con il
d.lgs. del 2000 che ribadisce i principi del sistema: responsabilizzazione, governo delle ASL, flessibilità. Le
ASL sono dotate di autonomia organizzativa e integrazione socio-sanitaria. Il d.lgs. del ’99 dà una posizione
rilevante ai Comuni, modifica il sistema di finanziamento e alle Regioni la potestà legislativa (tutela della
salute).
Oggi quindi:
 lo Stato passa da gestore a garante;
 separazione tra acquisizione e produzione dei servizi;
 funzione assistenziale in 3 aree: assistenza sanitaria collettiva in ambienti di vita e lavoro, assistenza
distrettuale e ospedaliera.

I SERVIZI SOCIALI
Il percorso di evoluzione dei servizi sociale in Italia parte col dpr del ’77;
 i Comuni hanno competenze organizzative nell’erogare i s.s.;
 progressivo ritiro delle deleghe assegnate dai Comuni alle Asl per la gestione di servizi socio
assistenziali;
 leggi regionali: integrazioni dei s.s. locali con sanitari;
 politiche sociali: il Comune è titolare di funzioni relative ai servizi alla persona così come la Provincia;
 presenza del 3° settore nel sistema dei servizi alla persona;
 istituzione del fondo nazionale;
 decentramento amministrativo, il compito di erogazione spetta ai Comuni.
Infine con la legge 328/2000 (legge quadro) vengono introdotti interventi sulla formazione dei s.s.
sviluppando coordinamento e integrazione dei servizi. I principi sono sussidiarietà, cooperazione, efficacia
ed efficienza. La programmazione avviene col piano di zona, regionale e nazionale. Dopo questa legge ci
sono modifiche al titolo V per riconoscere la potestà legislativa alle Regioni nell’area dei s.s.. Il piano
nazionale degli interventi e dei s.s. 2001-2003 promuove lo sviluppo del welfare delle responsabilità
condivise.
PROGRAMMAZIONE E INTEGRAZIONE DEI SERVIZI
L’integrazione è il processo in cui le persone sono coinvolte attivamente nella vita della comunità ed è una
forma di cooperazione tra servizi. È necessaria per le attuali trasformazioni sociali tra i s.s., sanitari, politiche
del lavoro, istruzione. Le categorie di interventi sono prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, sociali a
rilevanza sanitaria e socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria. Le direzioni dell’integrazione sono
verticale (Europa, Stato, Regioni, Province, Comuni) e orizzontale (relazione tra soggetti).
Le dimensioni prevalenti nelle quali si produce integrazione sono:
 organizzativa: tra organizzazioni;
 gestionale: tra risorse;
 operativa: programmi e attività;
 professionale: relativa al lavoro e alla formazione degli operatori.
PIANI E INTEGRAZIONE
La programmazione è il procedimento decisionale con cui si valutano le risorse e obiettivi, le azioni si
traducono in interventi concreti attraverso il 3° settore si coinvolgono fatti politici e la cittadinanza. Alla base
c’è l’analisi qualitativa e quantitativa, delle risorse, azioni e progetti, efficacia ed efficienza. Sono presenti 3
livelli: nazionale, regionale e locale, così come 3 modelli di pianificazione:
 sinottico-razionale: obiettivi, fasi, risultati, bisogni risorse, si sviluppa a cascata dall’alto al basso (Stato-
Regioni), il controllo avviene dall’altro e c’è rigidità;
 evolutivo-incrementale: la società è in evoluzione continua, definendo ogni volta gli obiettivi dal basso,
dal livello locale, il risultato finale è disomogeneo;
 argomentativo-relazionale: problemi-soluzioni; flessibilità, adattamento, reti tra livelli e attori.
IL PROGRAMMA DELLE ATTIVITA’ TERRITORIALI
Il PAT è lo strumento del Distretto il quale assicura i servizi di assistenza primaria, coordina in ambito
ambulatorio e a domicilio, egli vengono assegnate risorse che a sua volta le assegna alle ASL o ai Comuni. Il
direttore del Distretto propone il PAT all’approvazione del direttore generale dell’ASL dopo aver raccolto il
potere del Comitato dei Sindaci del Distretto. È necessaria l’integrazione socio-sanitaria.
La legge 320/2000 dà ruolo ai Comuni coinvolgendo il 3° settore. Al pari del PAT per il Distretto, il PDZ per
i Comuni è lo strumento per l’integrazione dei servizi, responsabilizzazione, solidarietà a livello locale,
sviluppare cultura e riuscire a passare da un modo di pianificare sinottico-razionale a organizzativo-
relazionale.

L’ORGANIZZAZIONE DEI S.S.


QUADRO NORMATIVO IN EVOLUZIONE
La prima regolazione delle prestazioni sociali in Italia si ha con la l.n. 328 con cui nasce il piano sociale
nazionale, regionale, piani di zona. La competenza sociale e sanitaria spetta alle Regioni con la riforma del
titolo V e il piano sociale nazionale scompare così come il finanziamento che prima era dello Stato mentre
adesso degli enti regionali e locali. Dopo la riforma vari legislatori regionali hanno emanato proprie leggi di
s.s. (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Liguria, Puglia, Basilicata).
LE PRESTAZIONI SOCIALI
Le prestazioni sociali vengono erogate da più organizzazioni che sono:
 Comuni (centri affidi);
 ASL: l’ass.s. lavora nei SERT e nell’assistenza ai familiari;
 ministero della giustizia: area minori, settore carcerario;
 prefetture, gli ass.s. si occupano di tossicodipendenze;
 terzo settore: no profit, volontariato, cooperative, associazioni, fondazioni;
 l’ass.s. può operare anche come libero professionista.
COMUNI
La struttura politica dei Comuni è formata da:
 consiglio comunale: approva bilancio, regolamenti sulla cittadinanza e s.s.;
 sindaco: potere esecutivo;
 giunta: assessori hanno l’attività esecutiva, approvano i regolamenti di organizzazione interna.
La tecnostruttura invece è formata dai funzionari, direttori e ass.s.. I comuni di maggiori dimensioni sono
articolati in quartieri o municipi che erogano le competenze del sociale.
CONTABILITA’ PUBBLICA
L’ass.s. valuta le risorse finanziarie sufficienti. La contabilità degli enti locali dipende dalla struttura di base
della contabilità pubblica e i tentativi di introdurre elementi di contabilità direzionale. La contabilità è solo di
competenza ed è preventiva /autorizzativa. Le fasi della contabilità pubblica sono:
1. accertamento: previsione di entrata;
2. iscrizione a ruolo: chi deve pagare;
3. stanziamento: allocazione delle risorse;
4. impegno: allocazione bloccata perché impegnata di beni/servizi;
5. liquidazione: autorizzato il pagamento;
6. mandato al tesoriere: ordire al tesoriere di pagare.
Con i d.lgs. 77/95 e 286 si dà alla contabilità dell’ente locale un’impronta di tipo gestionale: concetto di
obiettivo, prodotto e di piano basato su degli obiettivi (PEG). Lo strumento è innovativo ma non riesce a
decollare perché manca una contabilità di cassa, struttura dell’organizzazione e del piano non coincidono, i
meccanismi incentivanti le produttività del personale si agganciano ad obiettivi diversi da quelli del PEG.
L’art. 7 del d.lgs. 77 riguarda il piano dei conti e livelli di spesa (titoli, funzioni, servizi, interventi):
 titoli: spese correnti, in conto capitale, rimborso prestiti, spese per servizi in conto di terzi;
 funzioni: generali, della giustizia, politica sociale, cultura, economia, turismo, ambiente;
 interventi: relativi alle spese, le risorse non possono passare da un intervento ad un altro senza
l’autorizzazione della giunta che deve modificare il PEG.
La struttura del piano dei conti sul versante della spesa si forma con:
1. missioni: obiettivi;
2. programmi;
3. titoli: natura finanziaria;
4. macro-aggregati: tipologia dei beni/servizi che si acquistano;
5. capitoli: unità elementari;
6. articoli.
CENTRI AFFIDI COMUNALI
In Italia dopo il 2001 l’affidamento è considerano un provvedimento temporaneo fino ai 18 anni in situazioni
di instabilità familiare, provvedimento del giudice, curato dai Comuni. Con le ASL c’è sanità territoriale di
zona e ospedaliera infatti ci sono le aziende ospedaliere universitarie. L’ass.s. ha l’obiettivo della
rieducazione e reinserimento dell’autore del reato. Il s.s. viene inserito anche nell’esecuzione penale degli
adulti, c’è una nuova visione della pena e del detenuto in una società di rapporti tra cittadini e Stato.
RIFORMA ORDINAMENTO PENITENZIARIO
Le pene devono coincidere col senso di umanità e rieducazione. La riforma fu per un cambiamento culturale
e ci fu un approccio per spiegare la scelta deviante come conseguenza di fattori esterni e interni. Lo Stato
superò la concezione liberale del laissez faire, per garantire benessere. Il sistema dell’esecuzione della pena
favorisce le presenze esterne consentendo l’uscita e contatti esterni del detenuto vedendoli come titolari di
diritti.
Nel ’75 c’è l’introduzione nel contesto penitenziario di ass.s., educatori, psicologi. Inizialmente gli ass.s.
trovavano molte difficoltà e si occupavano dei bisogni/diritti dei detenuti. Il mandato istituzionale può essere
definito come la cornice organizzativa nella quale sono inseriti i professionisti. Esso rappresenta la garanzia
della legalità anche mediante l’esecuzione della pena (modello riabilitativo).
Gli UEPE sono centri di servizio social per adulti e rappresentano il livello più periferico della struttura
deputata all’esecuzione delle pene. I compiti sono ass.s. con altre figure, anche gli psicologi devono
collaborare in ambito penitenziario ed esterno, svolgono indagini socio-familiari e mettono in atto
programmi di adattamento (detenzione domiciliare o messa alla prova).
MISURE ALTERNATIVE
Con la l.n. 354 si inseriscono misure alternative alla detenzione o comunità per bisogni del soggetto.
Coinvolge sia soggetti che devono scontare una pena di 3 anni, sia coloro che sono in stato di libertà ma non
hanno avuto esperienze detentive. La misura consiste nel seguire un progetto elaborato per coloro che sono
in stato di libertà, un programma di trattamento, l’ass.s. deve attivare un processo di aiuto e questo è difficile
nella gestione dell’affidamento dovendo conciliare le funzioni di controllo e aiuto.
La messa alla prova è un provvedimento giudiziario che non comporta la detenzione, fa dipendere
l’estinzione del reato dall’esito positivo della misura, mentre l’affidamento in prova al s.s. interviene dopo
una condanna definitiva disposta dalla magistratura. In comune hanno l’individuazione del programma di
trattamento individualizzato. Per l’adulto la messa alla prova prevede il lavoro di pubblica utilità non
retribuito, non meno di 10 giorni presso Stato, enti pubblici o 3° settore.
L’ASS.S. NEI SERT DEGLI ISTITUTI DI PENA
Il SERT interno a un istituto di pena è un’organizzazione dell’azienda sanitaria, garantisce ai detenuti
tossicodipendenti una presa in carico per un programma terapeutico e socio-riabilitativo e attività
multidisciplinare. C’è una collaborazione tra quello penitenziario e quello territoriale. Le Regioni
garantiscono funzioni sanitarie, cooperazioni tra aree sanitarie, del trattamento e della sicurezza.
L’ass.s. fa percorsi terapeutici e li favorisce in modo alternativo pe diminuire il sovraffollamento in carcere.
Al 1° colloquio cerca informazioni sociali, familiari, poi rileva risorse attivabili e si informa riguardo la
posizione giudiziaria, dopo l’iter valutativo coopera con gli uffici penitenziari, SERT territoriale, l’UEPE. Il
programma può essere ambulatoriale, semiresidenziale o residenziale, misto in base alla gravità. Dopo la
comunicazione del programma terapeutico il detenuto inizia a fare colloqui con operatori della comunità
terapeutica, tutti gli interventi sono registrati nella cartella del detenuto.
TERZO SETTORE
Il 3° settore è l’insieme di organizzazioni private senza fine di profitto per produrre beni per la società.
Quella no profit remunera la prestazione mentre in quelle di volontariato non remunera né l’investimento né
la prestazione. Sono organizzati con uno statuto in cui c’è lo scopo, natura, responsabilità, rischi e obblighi.
Appartenere alla categoria onlus porta ad agevolazioni fiscali, alcuni enti hanno una qualifica di onlus di
diritto, gli alti solo se ottengono l’iscrizione all’anagrafe delle onlus.

Ci sono 3 tipi di enti:


 cooperative sociali: persone gestiscono attività con scopi sociali;
 associazioni: persone per uno scopo comune senza fine di lucro;
 fondazioni: patrimonio preordinato per uno scopo, senza fine di lucro.
LE COOPERATIVE SOCIALI
Le cooperative sociali inizialmente dovevano avere un minimo di 9 persone mentre adesso anche solo 3 soci,
devono avere gli stessi diritti e hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità con la
gestione dei servizi socio-sanitari/educativi (tipo A) e inserimento lavorativo (tipo B):
 costituita con un atto pubblico: costitutivo (persone dichiarano lo scopo, chi sono i soci, modalità) e
statuto (caratteristiche, dell’ente, cariche sociali, responsabilità);
 le quote associative formano il capitale sociale (tra 24 e 500€);
 costituita dall’assemblea dei soci, consiglio di amministrazione e da un presidente;
 può assumere forma di srl (pochi soci) o spa (molti soci);
 deve iscriversi all’albo nazionali delle cooperative e all’albo nazionale degli enti cooperativi;
 deve sottostare a 2 controlli: vigilanza del dipartimento per le cooperative presso il ministero del lavoro e
regione e al controllo dell’assemblea nazionale a cui appartengono.
LE ASSOCIAZIONI
Sono formate da atto costitutivo (scritto) e statuto, Qualsiasi cambio deve essere comunicato alla prefettura
per la registrazione. Possono essere di volontariato e di promozione sociale. Quest’ultime riconosciute o non,
svolgono attività di utilità sociale nel campo turistico, culturale/educativo, socio-sanitario,
sportivo/ricreativo. Nello statuo è indicato l’oggetto sociale, denominazione, attribuzione legale, criteri per
l’ammissione, modalità di scioglimento. Hanno forza lavoro in forma di volontariato o con l’assunzione
come lavoratori o lavoro autonomo. L’iscrizione al registro nazionale delle APS porta agevolazioni
economiche e gestionali.
VOLONTARIATO E FONDAZIONI
L’attività di volontariato è personale, spontanea e gratuita per fini di solidarietà. Si possono trovare anche
organismi di volontariato organizzati sottoforma di una fondazione di origine associativa detta fondazione di
partecipazione. Gli atti sono quello costitutivo e lo statuto, ci deve essere l’iscrizione al registro, svolgono
un’attività gratuita e hanno solo il rimborso spese. Le fondazioni sono basate su un fondo (dotazione
patrimoniale) e hanno uno statuto. Devono essere riconosciute per la personalità giuridica. Possono esser
operative (gestiscono direttamente i programmi) o di erogazione (concedono finanziamenti).
AZIENDE DI SERVIZI ALLE PERSONE
Sono enti di diritto pubblico che si finanziano tramite i corrispettivi che ricevono per i servizi che erogano.
Gli organi sono: presidente, consiglio di amministrazione, collegio dei revisori, assemblea dei soci. L’ASP
ha sede in un comune il quale vigila e controlla l’azienda, contabilità e regolamento.
ASS.S. NELLE PREFETTURE
L’ass.s. lavora le Prefetto in caso di detenzione di sostanze stupefacenti, le prefetture ultimamente hanno una
propensione verso il sociale favorendo l’integrazione dell’azione statale, regionale e locale in ambito di
tossicodipendenza e immigrazione. L’ass.s. si informa con un colloquio, ci sono casi però in cui ci sarà solo
l’invito formale a non fare più uso di sostanze. Vengono attivate risorse e percorsi, tramite il colloquio viene
valutata la sanzione da applicare (sospensione/divieto di patente, porto d’armi, permesso di soggiorno o da 1
a 3 mesi se si tratta di sostanze leggere, da 2 mesi a 1 anno altre sostanze).
L’ass.s. quindi:
 ha autonomia tecnica;
 si occupa di norme, procedure e piano di intervento;
 indagini e promozione di servizi;
 colloqui e interviste;
 coordina gruppi e verifica gli obiettivi.
TIROCINIO
Il tirocinio serve per formare gli ass.s. Il tirocinante impara a mettere in atto ciò che è appreso in aula, il
supervisore approfitta per ripensare al suo operato, l’ente che lo ospita guadagna tempo. Il tirocinio porta ad
avere competenze sul sapere, saper fare e saper essere. Il tirocinante deve avere competenze di sensibilità e
umanistiche. In ogni ente deve conoscere differenza tra osservare, valutare e proporre un progetto.
Importante è la differenza tra colloquio e visita motivazionale e diagnostico. È necessario anche il saper
essere: rapporto con l’utente in modo non personale, interagire con colleghi, cultura del lavoro come
puntualità, ecc…
Il saper fare si divide in 3 fasi:
1. analisi, valutazione, diagnosi del caso: banche dati, individuare altri professionisti come psicologi,
colloquio diagnostico, indagine familiare, visita domiciliare;
2. progettazione dell’intervento: obiettivo, risorse finanziarie, tabella del reporting riguardo il progetto;
3. realizzazione dell’intervento: colloquio motivazionale, visita domiciliare motivazionale, relazione sullo
stato di progresso, rapporto con l’utente.
Gli attori sono:
 università: prepara il tirocinante, sottoscrive convenzioni (persona giuridica);
 ente ospitante: fornisce assistenza educativa (persona giuridica);
 tirocinante: fornito di saperi (persona fisica);
 supervisone: ass.s. (persona fisica);
 coordinatore di tirocini: intermediario tra tirocinante e il tutor (persona fisica).
MODELLI DI COMPORTAMENTO ORGANIZZATIVO
Gli ass.s. che operano in un’organizzazione, valutano se è tradizionale o moderna, in una tradizionale
l’azione mira più al mantenimento di uno status equo che al raggiungimento di certi obiettivi (istruzione,
reddito). Le attività di valutazione e controllo non hanno luogo a differenza di quelle moderne. Le
componenti sono:
 prodotti: output che realizza, ad es. in un’organizzazione comunale documenti, servizi e beni;
 procedure: il responsabile di struttura dopo aver stabilito i prodotti, si focalizza sugli obiettivi e le
operazioni quindi suddivisione del lavoro; in assenza di procedure è impossibile sfruttare lo strumento
informativo e c’è difficoltà di comunicazione, non si possono conoscere gli elementi che contribuiscono
alla realizzazione del prodotto finale o i costi del prodotto. Le procedure possono essere su più livelli:
macro (generale scomposizione dell’obiettivo) meso (successive specificazioni) e micro (singole
operazioni);

 struttura: nell’organizzazione avviene una spersonalizzazione, i membri sono inseriti in base alle loro
capacità funzionali, gli elementi sono: settori, servizi, unità operative complesse e semplici. L’insieme
delle mansioni forma il mansionario (strumento), la struttura è il trait d’union tra il singolo membro e la
risorsa umana, può essere dall’alto verso il basso (top down) o viceversa (bottom up);

 risorse umane: ogni dipendente è individuato da 2 variabili: relativa alla sua posizione gerarchica e alla
sua specializzazione professionale che è la competenza dei titolari del profilo. Il problema delle risorse
umane è individuare il fabbisogno personale, in base ad attività pianificate, in mancanza si pianifica in
base ai prodotti realizzati. Ad oggi si vede il personale non ancora come risorsa ma come un costo. Altro
problema è il body lending: pratica con cui l’organizzazione si fa prestare dipendenti di un’altra
organizzazione;

 normativa: può essere operazionale (chiara, non richiede interpretazioni, usate in un’organizzazione
matura che ha la funzione di riduzione della complessità decisionale e coordina le azioni dei singoli) o
orientata alla distribuzione dell’autorità (specifica solo chi ha autorità su che cosa);

 gerarchia: nella prima normativa i vertici gerarchici devono controllare tutto, i collaboratori istruiscono la
pratica, quando il numero dei casi da trattare aumenta, il vertice gerarchico diventa caotico e blocca il
processo decisionale, per questo deve passare a una normativa di tipo operazionale in cui i vertici
organizzativi svolgono funzioni di intervento sui casi diretti, supervisionano l’ufficio, verificano le tappe;

 burocrazia: attività primarie riguardano l’elaborazione e trasformazione dei materiali mentre le attività di
supporto burocratico avvengono negli uffici, elaborazioni dei simboli alfanumerici, hanno funzioni di
certificazione, rapporti tra ambiente e organizzazione, archivi, coordinare e supporto decisionale.
MODELLISTICA ORGANIZZATIVA
Le componenti possono essere variabili e le singole variabili assumono valori congruenti. Le attività possono
essere mature (organizzazioni lineari e reazionali), immature o intermedie. Le prime (numero elevato di
casi):
 procedure manuali;
 struttura con mansionario;
 risorse umane di alto livello specializzato;
 normative operazionali;
 gerarchia si occupa di poca attività;
 burocrazia c’è supporto decisionale.
Le attività immature sono invece di un numero limitato di casi:
 procedure orali;
 struttura senza mansionario;
 risorse umane di basso livello di specializzazione;
 gerarchia decide su tutto;
 burocrazia tralascia coordinamento e supporto decisionale.
Entrambi differiscono per i rapporti input/output con l’ambiente e utenza, nel modello patrimoniale questi
rapporti sono al vertice dell’organizzazione, nel modello lineare è possibile delegare la responsabilità della
firma. Nel modello patrimoniale i rapporti con l’utenza sono diritti, personalistici e gerarchizzati mentre in
quello lineare sono su una base di parità tra organizzazione e utenza.
L’ASS.S. PROFESSIONISTA
L’ass.s. è sempre a contatto con la burocrazia. Per Weber essa nasce con il processo di razionalizzazione
della società moderna, con la nascita di procedure sistematiche e razionali con lo scopo di gestire gli esseri
umani per l’obiettivo, divisione del lavoro, ordine gerarchico per il controllo. Tutto questo sembra positivo
ma la P.A. ha delle inadeguatezze: disgregata, fi propri e non collettivi, strumenti insufficienti e
coordinamento maldestro.
Tutto ciò porta a immobilismo, pessimismo e incertezze. Sia la P.A. che l’ass.s. hanno le proprie regole,
leggi, professione e cultura quindi la soluzione è sforzarsi di valorizzare l’ass.s. tramite il dialogo
mantenendo l’entità professionale solida, obiettivi e principi per un corretto agire. L’ass.s. ha delle
responsabilità quindi esistono 2 mandati che guidano le azioni: professionale (etico-deontologico-
metodologico) e istituzionale (obiettivi, funzioni, leggi. È l’ordine professionale a vigilare sulla
responsabilità deontologica.
Le violazioni portano a sanzioni: richiamo scritto, censura, sospensione, radiazione dall’Albo. L’ass.s. ha la
responsabilità decisionale riguardo la firma di documenti e dovere di difendere la propria autonomia, ha
anche compiti di direzione e deve sostenere formazione. Può svolgere funzione nel Comune o come
responsabile di servizio con autonomia gestionale o come dirigente con gestione finanziaria, tecnica e
amministrativa.
Il problema che può presentarsi è quello della rappresentatività esterna dell’ente, i documenti che escono
dall’ente devono avere la firma del responsabile di servizio o del dirigente, la firma dell’ass.s. stesso che l’ha
scritta. Un responsabile non può modificare una relazione dell’ass.s. a meno che non sia un ass.s. e ha la
possibilità di dare giudizi sull’operato. La firma di entrambi deve esserci nelle decisioni di servizio.
Se la relazione è firmata da 2 professionisti (ass.s. e psicologo) è meglio avere 2 relazioni. All’ass.s. viene
chiesto spesso di modificare un progetto per un cittadino, erogare soldi in base a ciò che aveva pensato ma
gli enti non possono imporre di modificare all’ass.s. (solo se è eccessiva e l’ente non può permetterselo).
Importante è che l’ass.s. sia flessibile e aperto con altri professionisti pur affermano la sua visione.
Il responsabile del procedimento è il garante a livello del procedimento, ha il compito di valutare i requisiti
per accertare i fatti (individuato dal dirigente e non può essere l’ass.s.). C’è una separazione tra politica e
amministrazione: gli organi di governo esercitano funzioni di indirizzo politico-amministrativo con obiettivi
e programmi mentre i dirigenti si occupano di atti e provvedimenti amministrativi.
Il PEG è un documento di contenuti finanziari, obiettivi di gestione, strumenti usti; ha la funzione di
autorizzare, la spesa è analitica, una certa cifra è assegnata dal PEG al responsabile di servizio e entro quella
cifra devono rientrare tutte le spese di servizio tra cui quelle dell’ass.s. La P.A. può impegnare le spese per:
 prestazioni integrative (servizio educativo, soggiorni estivi per disabili) e sostitutive (inserimento in casa
famiglia), se troppo richieste ci sono graduatori e requisiti per accedervi;
 prestazioni economiche: i contributi sono uno strumento che l’ass.s. può usare in un progetto di aiuto e ha
delle scadenze. Le fasi di liquidazione spettano dal personale amministrativo e non dall’ass.s.
Se il servizio arreca un danno patrimoniale se ne occupa la corte dei conti, ci deve essere: un soggetto legato
da un rapporto di servizio con la P.A., un comportamento contrario, negligenza, danno economico valutabile.
Le responsabilità sono presenti anche nelle equipes di lavoro: esistono equipe eterogenee e omogenee, è
importante chiarire i ruoli di ciascuno, doveri, leader, il singolo membro può decidere se avvalersi riguardo
la responsabilità della cooperazione dei colleghi o in caso rispondere da solo. Se invece un membro dissente
da un documento/decisione, non avrà nessuna colpa. L’ass.s. tuttavia rischia il burnout per tutte queste
attività.
IL SEGRETARIATO SOCIALE E IL DIRITTO ALL’INFORMAZIONE
Il segretariato sociale è una forma di comunicazione sociale istituzionale per garantire l’accesso ai servizi
socio-sanitari. Ha lo scopo di informare sull’organizzazione, promuovere l’immagine dell’istituzione, far
conoscere le norme, garantire l’accesso ai servizi, trasparenza die procedimenti, creare rapporto con i
cittadini. Fino agli anni ’90 la comunicazione istituzionale, dopo ci sono stati cambiamenti nel rapporto con
gli utenti.
Ci fu una legge sui principi di partecipazione e diritto all’informazione (diritto sociale) ponendo gli enti
pubblici in una posizione di dialogo con i cittadini con la libertà di comunicare ed essere informati. Con la
l.n. 150/2000 viene attribuita all’URP la funzione di garantire il diritto di informazione e accesso,
agevolazione all’accesso, ascolto dei cittadini, reciproca informazione tra gli uffici.
Con la 328 il segretariato sociale è previsto in ogni ambito territoriale per rispondere ai cittadini sui diritti di
cittadinanza sociale, disponibilità dei servizi, modalità di erogazione. La regione attiva i punti informativi per
fornire informazioni ai cittadini. Solamente attraverso la Costituzione la normativa può garantire il diritto
all’informazione. Il segretariato sociale serve come funzione operativa e servizio strutturato.
INTEGRAZIONE TRA SOCIALE E SANITARIO
I servizi vengono erogati dai Comuni i quali collaborano con l’ASL. L’ass.s. che opera in un Comune per la
prima volta a contatto con l’utenza deve porsi la domanda su quali s.s. l’utente ha diritto a ricevere. La
normativa prevede l’estensione di erogazione ad altri soggetti non residenti nel Comune solo in casi in cui il
minore ha diritti particolari, per bisogni primari che non ha disponibili nel suo Comune. La seconda
domanda da porsi è capire se il bisogno manifestato dall’utente è semplice o complesso. Il primo è di natura
sociale, il secondo è quando si aggiunge all’assistenza di natura sociale anche quella sanitaria.
Dopo la riforma del titolo V della Costituzione le risorse finanziarie passano dallo Stato alle Regioni usate
per l’erogazione dei s.s. mentre le ASL erogano le proprie risorse in casi a rilevanza sanitaria. ASL e Comuni
collaborano già dalla programmazione. Altre organizzazioni ad erogare sono quelle del 3° settore in cui c’è il
principio di sussidiarietà verticale e orizzontale.
L’IMPIANTO GIURIDICO
La legge 3/2001 definisce ripartizione delle competenze tra Stato ed enti locali distinguendo ambiti in cui lo
Stato legifera in modo esclusivo e gli ambiti sottoposti i cui le Regioni legiferano. Lo Stato ha competenza
dei principi dei livelli essenziali di assistenza per equità e le Regioni si occupano della tutela della salute. La
l.n. 40/2005 disciplina il servizio sanitario regionale, regolamenta il sistema integrati di interventi e servizi
per la tutela di cittadinanza sociale: zona distretto, gestione dei servizi sanitari.
La zona-distretto è l’ambito di valutazione dei bisogni sanitari e sociali della comunità. La programmazione
avviene a livello di zona attraverso lo strumento del piano integrato di salute. La Toscana ha integrano le
linee sociali contro la povertà e sostegno alle famiglie a favore di figli nuovi nati, famiglie numerose, con
persone disabili, lavoratori in difficoltà. I s.s. vengono finanziati dai Comuni e dai fondi regionali mentre
quelli sanitari sono finanziati da fondi regionali distribuiti alle ASL e al piano attuativo locale.

INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA
Dopo gli anni ’90 in ambito sanitario e sociale ci sono state nuove norme con la funzione di:
 prevedere integrazione tra istituzioni, strutture, operatori e prestazioni socio-sanitarie;
 individuare prestazioni sanitarie a rilevanza sociale e viceversa;
 stabilire la natura del bisogno-valutazione con finalità multiprofessionale per il progetto;
 definire come e dove si lavora;
 intensità e durata dell’intervento.
Le aree di integrazione sociosanitaria sono: disabili, anziani, materno-infantile, con dipendenze, disagi
psichiatrici, hiv, pazienti terminali. Se si tratta di un bisogno semplice la presa in carico avviene solo dal s.s.
o sanitario, al contrario la presa in carico è globale con un’equipe multiprofessionale e un progetto
personalizzato condividendo obiettivi, definizione della durata, distribuzione dei compiti e responsabilità.
COMUNE E ASL
L’ass.s. si troverà o in un Comune o in un’ASL e deve sapersi orientare. Nel Comune c’è una direzione
generale con settori che si articolano in servizi che a loro volta si articolano in unità operative. C’è la
direzione generale e ad un livello inferiore il s.s. alla persona, istruzione, cultura, sport, ecc… I Comuni
grandi si articolano in quartieri o municipi per il decentramento amministrativo.
L’ASL è formata dalla direzione generale e ad un livello inferiore la direzione sanitaria, amministrativa e il
coordinatore sociale. Le prime 2 svolgono attività ospedaliere mentre il 3° si occupa del s.s. aziendale.
L’ASL riguarda 3 livelli di organizzazione: centrale, livello ospedaliero e livello dei distretti. Con il passare
degli anni c’è un invecchiamento della popolazione e aumento delle persone non autosufficienti: persone che
hanno subito una perdita permanente, parziale o totale dell’autonomia, abilità fisiche e dipendono da età,
tempi, ecc…
IL PUNTO INSIEME
Il punto insieme è lo sportello a cui deve rivolgersi il parente dell’anziano, l’operatore accoglierà la
segnalazione e invierà alla PUA, poi c’è la valutazione dell’utente effettuata dall’ass.s. e infermieri che
terminerà con la formulazione di un piano assistenziale personalizzato dall’unità valutativa
multidimensionale.
La valutazione dell’UVM avviene in 3 fasi:
 valutazione della condizione di non autosufficienza;
 individuazione della gravità;
 progettazione del percorso.
I LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA
I LEA sono prestazioni sanitarie e sociosanitarie garantite dal s. sanitario mentre i LIVEAS sono i livelli di
assistenza sociale. L’ISEE è l’indicatore per il diritto alle prestazioni, comprende i redditi e il patrimonio del
nucleo familiare. La quota sanitaria è a carico dell’ASL mentre quella sociale a carico del Comune.
LE RESPONSABILITA’ DEL PRESCRITTORE
L’ass.s. prescrive percorsi e attività, di natura definiscono: destinatari, bisogno, situazione economica, limiti,
controllo, accesso e prestazioni. L’intervento è il criterio di appropriatezza, deve essere adeguato, idoneo, a
tappe e con verifica dei risultati. Le fasi di gestione di un bilancio pubblico sono: accertamento, stanziamento
e liquidazione. Nei Comuni con più di 5000 abitanti, l’ass.s. prescrittore deve riferirsi al piano esecutivo di
gestione con la quale le risorse si assegnano ai dirigenti. Le ASL invece, che hanno personalità giuridica,
controllano autonomamente la spesa sanitaria regionale con accertamento, stanziamento, prescrittore.
RISPOSTE PARTICOLARI PER PARTICOLARI CATEGORIE DI CITTADINI
Le Regioni hanno programmi per situazioni di fragilità: gravidanza, minori, anziani, disabilità, dopo di noi:
 progetto mamma segreta: offre a tutte le donne residenti in Toscana assistenza per partorire gratis;
 progetto affido: la Toscana mette a disposizione per tutti i Comuni sostentamento di affido familiare;
 interventi per anziani fragili: in Toscana sostegno all’assistenza sanitaria e supporto anziani con
interventi;
 favorire la vita indipendente: progetto per rendere indipendente disabili, autonomia in tutti gli ambiti;
 dopo di noi: i genitori di figli non autosufficienti; interventi con comunità alloggio e case famiglia;
Nel 2004 c’è stata una legge che ha introdotto l’amministratore di sostegno, istituto per persone
impossibilitate a provvedere ai propri bisogni. Il nomenclatore interregionale è uno strumento per la
mappatura degli interventi e s.s. per facilitare l’identificazione dei LIVEAS base per i s.s., è suddivisa in
macrotipologie: interventi e servizi; trasferimenti monetari; centri residenziali, semiresidenziali e diurni,
DIZIONARIO
ACCESSO
L’accesso è strettamente collegato al modello di politica sociale. Nel modello residuale dove la politica
sociale interviene per risolvere problemi della modernizzazione, si basa sul modello meritocratico-
particolaristico. Nel modello redistributivo, fornisce servizi sulla base del bisogno secondo le politiche del
benessere di tipo universalistico. Secondo la legge 328 promuove i diritti di cittadinanza sociale per tutte le
categorie.
L’accesso vuol dire entrare in un luogo ed eseguire operazioni per soddisfare il proprio bisogno. Può essere
limitato ad alcuni servizi o esteso alla rete di servizi rivolti a tutti gli individui in base alle condizioni
economiche. L’accesso è sia una possibilità soggettiva (libertà di azione e non in base a motivazioni
individuali) che oggettiva (legata agli aspetti strutturali della società nella quale l’individuo è inserito).
L’accesso è collegato alle modifiche che hanno caratterizzato il welfare. In quello attuale è presente una
differenziazione nei percorsi di accesso, da un lato il cittadino utente perde la funzione di destinatario e
diviene cliente, dall’altro la vulnerabilità dei soggetti li avvicina ai servizi ma è sempre più difficile capire il
bisogno.
CASE MANAGENET
È una metodologia di lavoro professionale degli operatori sociali che mira ad enfatizzare la capacità di
produrre beni assistenziali attraverso diverse prestazioni fornite da providers esterni non superando il budget.
La c.m. l’assistenza alle persone deboli con assistenza domiciliare o in strutture diurne o residenziali.
Quindi il sistema delle cure deve distaccarsi per fronteggiare tutte le prestazioni e agganciarsi quando
richiesto. Case management viene sostituito col care management. Le finalità originarie del c.c. quando era
ancora interno al case work erano: assicurare la continuità assistenziale, che le prestazioni siano rispondenti
al bisogno, aiutare gli individui ad accedere ai servizi, assicurare risposte adeguate. Il c.c. nasce in Gran
Bretagna con delle trasformazioni che interessano i s.s. con prestazioni, acquisto ed erogazione.
La letteratura presenta vari modelli per la pratica. Negli USA la funzione dei c.m. spetta all’operatore con il
più alto grado il quale ha il controllo e valuta i progressi dell’utente. Nel modello di mediazione invece c’è
più consapevolezza di applicare i diritti sociali dei disabili, qui il c.m. agisce come un agente di viaggio per
condividere le informazioni con utenti e famiglie. Il dibattito attuale riguarda l’orientamento dei modelli di
c.m. centrato su chi eroga, ma la troppa burocrazia fa perdere agli ass.s. la relazioni con l’utenza.
INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA
Si ha integrazione quando più centri di responsabilità condividono obiettivi e risorse. Il problema che nasce e
se nel caso di complessità di un caso è necessaria integrazione di responsabilità o risorse. Ci sono 4 livelli:
 istituzionale: responsabilità pubbliche;
 gestionale: tra responsabilità pubbliche e private;
 comunitaria: territorio degli enti;
 professionali: abilità.
Negli anni ’90 si sono sviluppati strumenti facilitatori come il PDZ valorizzando le collaborazioni. Con la
l.328 ci sono le funzioni di programmazioni ai Comuni e alle Regioni. L’integrazione sociosanitaria ha una
presa in carico multiprofessionale, sociosanitaria nelle aree materno infantili, disabilità, patologie
psichiatriche. Il dibattito attuale e le prospettive riguardano la gestione interprofessionale degli interventi e le
questioni etiche.
MODELLI DI SERVIZIO SOCIALE
Il modello è usato in molti ambiti, può essere usato come schema ipotetico, per semplificare un fenomeno
complesso o organizzare dati. È una posizione di difficile equilibrio tra una dimensione teoria e descrittiva.
Di fronte ad una situazione da analizzare dopo l’osservazione, analisi e ascolto, si procede con il modello che
funge da guida. Questo modello si va a confrontare con le idee, convinzioni e deduzioni.
Dopo il modello ipotizzato si verifica applicandolo alla realtà ed è possibile aggiungere modifiche.
Importante è sottoporre il modello a situazioni simili con modelli diversi per raggiungere delle
generalizzazioni, A volte una realtà non si può rappresentare quindi si utilizzano modelli parziali.
I modelli di s.s. nei Paesi angloamericani si occupavano della dimensione individuale:
 problem solving: ispirato alle teorie della psicologia costruttivista, cognitivista e umanistica;
 psicosociale: ispirato alla scuola diagnostica di orientamento psicoanalitico;
 funzionale: influenzato dalle teorie neofreudiane.
A partire dagli anni ’70 il primo modello è integrato dalle teorie sistemiche dando origine a modelli non più
incentivati alla dimensione individuale come quello integrato, esistenziale ed umanitario. Nel tempo sono
stati elaborati modelli per il lavoro di gruppo. Esso veniva usato per affermare i diritti così veniva usato per
risolvere problemi sociali orientati al compito, un altro modello è incentrato sulla crescita della persona.
Questo ha dato vita alla dimensione comunitaria per la promozione della società civile, della community
care, lavoro di rete.
Il processo di integrazione si è sviluppato in Europa e in Italia col welfare mix. Una particolare attenzione è
data al lavoro con la comunità orientata all’empowerment sotto 3 profili: individuale (per aiutare le persone);
collettivo (nei confronti dei gruppi); istituzionale (progetti di giustizia sociale). Agli inizi del s.s. in Italia
vennero riconosciuti modelli riguardanti il s.s. individuale. Ci furono grandi cambiamenti nel settore
assistenziale con interesse per la conoscenza di modelli unitari.
MODELLO DI INTERVENTO SULLA CRISI
Il s.s. nella pratica incontra persone in situazioni di crisi. Per questo il modello di intervento sulla crisi può
essere applicato a tutti gli ambiti. Questo modello coglie le difficoltà come opportunità. Ci sono 2 tipi di
crisi: di sviluppo (legata alla famiglia) e imprevedibile (fattori ambientali e sociali). Il modello si declina a
partire dalla psicologia dell’io per sviluppare un processo di aiuto. Le tecniche sono di sostegno e
chiarificazione.
La psicologia dell’io di Rapaport si focalizza sul funzionamento della persona sulla centralità della relazione
con il cliente, sull’autorevolezza e capire cosa ha scatenato il disequilibrio. Questo modello è attuale nelle
situazioni caratterizzate dal rischio. È attivo e direttivo, orientato al presente. Queste caratteristiche hanno
anche limiti. Si può sviluppare nelle catastrofi per ricevere soluzioni o nelle crisi economiche.
MODELLO PROBLEM SOLVING
Ha dato origine a diversi filoni orientati in modo specifico con la capacità di affrontare e risolvere situazioni
problematiche. Le crisi teoriche si ritrovano nella psicologia della cognitività-costruttività, nell’io
neofreudiano e nella psicologia umanistica. L’orientamento problem solving ha dato origine ad alcuni
principi:
 l’individuo ha una mente attiva;
 l’individuo costruisce un proprio progetto di vita sui propri sistemi motivazioni che tentano di
raggiungere obiettivi di sopravvivenza;
 il comportamento umano è guidato dalla propria percezione del mondo, dalle intenzioni, motivazioni,
capacità di problem solving.
Questo modello segue uno schema metodologico:
1. accettare e chiarire i fatti del problema;
2. capire una visione più chiara;
3. prendere decisioni;
4. attuare il piano;
5. valutare i risultati.
Il modello nasce per situazioni complesse riferite alle reti di sostegno. Recentemente si sta cercando di
instaurare una relazione di soluzione tra ass.s. e il sistema utente. Gli ass.s. cercano di orientare il problem
solving per la promozione di scambi, empowerment, apprendimento, cura.

MODELLO SISTEMICO RELAZIONALE


Si sviluppa in Italia negli anni ’80 in quando nel s.s. è nata l’esigenza di portare il problema del singolo
utente all’interno di un contesto più ampio. L’attenzione non è più centrata sul singolo ma sulle famiglie, rete
sociale e comunità, questo per cercare soluzioni. Il s.s. italiano si è evoluto per far coincidere teoria e valori
applicandolo nel contesto dei servizi. Le basi tecniche si ritrovano nella teoria generale dei sistemi, viene
creata una mappa mentale creando un’interdipendenza di diversi fattori.
Vi sono elementi che l’a.s. deve tenere a mente, variabili ambientali, politiche, antropologiche in cui l’ass.s.
opera. Secondo aspetto è la conoscenza del contesto. Terzo aspetto è in relazione al processo di aiuto che
segue il processo metodologico con fasi, tempi tecnici senza cadere nella routine. Le modalità di
accoglimento della domanda per raccogliere informazioni, cercando di entrare in contesti allargati per capire
meglio la situazione.
Le informazioni raccolte andranno collegati ad ipotesi, segue una valutazione con soggettività. Il controllo
pone attenzione sulla relazione ass.s.-utente. L’approccio sistemico relazionale offre supporto nel rispetto
della persona alla sua dignità traducibili in autodeterminazione. L’ass.s. non si sostituisce alla persona ma si
propone come stimolo per dei cambiamenti.
MODELLO U NITARIO CENTRATO SUL COMPITO
L’approccio unitario centrato sulle problematiche sociali nei loro aspetti individuali e collettivi inizia a
svilupparsi in Italia negli anni ’70 con la concezione basata sulla neutralità delle persone. L’ ass.s. ha una
mediazione attiva tra bisogni e domande sociali da un alto e risorse disponibili e attivabili. L’intervento
professionale è tridimensionale (persone, organizzazione, territorio). È composto da:
 elaborazione mentale in cui si inquadra l’azione professionale;
 progettazione;
 adottare elementi regolativi;
 definire e negoziare le responsabilità per poter mettere in atto un miglioramento.
Questo modello è basato su orientamenti teorici che consentono una lettura della realtà su vari livelli. Sposta
l’attenzione sul soggetto e mondo. Offre strumenti per estrarre dalle situazioni risorse, le difficoltà dei
soggetti sono legate all’ambiente. L’ass.s. opera secondo un’ottica bifocale: 2 soggetti anche diversi lavorato
come partner. Questo approccio vede l’elemento temporale come risore da investire e i limiti come fattori
incentivanti. Diversi ostacoli non permettono una corretta interpretazione di questo modello.
La divisione negativa porta ad aumentare interventi ingiustificati. Altri problemi sono la dicotomia tra
orientamenti adottati, un lavoro di rete collettivo e uno terapeutico per i singoli soggetti. Oggi c’è una
prospettiva più grande che è la complessità dei compiti senza uguali nelle situazioni che porta l’ass.s. a forme
illusorie di specializzazione o a trascurare la tridimensionalità.
INTERVENTO DI RETE
La rete definisce i sistemi di connessione, reti di comunicazione, strategie messe in atto. In campo
umanistiche viene coniato da Barnes: rete come insieme di legami (studio di un’isola per spiegare le
relazioni anche se non rientrano nel campo del lavoro e del vicinato). Bott fa ricerche sul nesso tra relazioni
coniugali e reti di riferimento, le coppie con una divisione dei compiti appartengono a reti a maglia chiusa, i
coniugi dipendono meno l’uno dall’altro e questa divisione era meno presente nelle reti a maglia larga.
In Italia c’è Di Nicola: la rete è le strategie per farsi carico dei problemi e per rispondere ai bisogni di una
persona in un momento della sua vita. Nelle reti sociali c’è un rapporto circolare tra rete primaria e
secondaria; centralità della famiglia e aspetti culturali.
L’intervento di rete si basa su 3 dimensioni:
 struttura: legami, nodi, questi determinano ampiezza, densità, vicinanza ecc…;
 funzioni: supporto sociale, effetti buffering;
 dinamica: è determinato da movimento.

L’operatore di rete è colui che si pone come guida accompagnando i singoli. I modelli di intervengono si
riferiscono a 4 indirizzi dei modelli a rete:
 lavoro di rete a indirizzo terapeutico, considerare la rete formale come una realtà curante;
 rete come risorse: istituzionali/servizi o naturali/rapporti, gruppi;
 il lavoro di rete che prende le risorse comunitarie, segue la logica dei problem solving;
 cambiamento nel rapporto tra reti primarie e secondarie.
Le pratiche di rete suscitano grande interesse, La 328 propone disegni di servizi di rete, ponendo al centro la
famiglia. Nel caso in cui la rete sia rigida con accordi fatti lo spazio operativo è influenzato dalla burocrazia,
libelli gerarchici e lascia poco spazio alla discrezionalità dei professionisti. Se invece si parla di rete in senso
strategico, si ha più flessibilità, orientamento alla produzione di benefici, ci sono margini di incertezza e
spazi di libertà per poter creare e sviluppare nuove forme di azione sociale.
LIVELLI ESSENZIALI
Sono variabili a seconda del settore: famiglia, cittadinanza, prestazioni. Sono erogazioni di beni e servizi per
rispondere ai bisogni tramite un’organizzazione. Nel settore sociale c’è il livello nazionale di prestazioni
monetarie mentre i servizi e prestazioni assistenziali vengono offerti nel tempo. In base al criterio di
universalità è responsabilità dello Stato occuparsi delle prestazioni per l’inclusione sociale per superare le
disuguaglianze ed è responsabilità delle Regioni garantire 5 macrolivelli:
 servizio sociale professionale e segretariato;
 pronto intervento sociale;
 assistenza domiciliare;
 strutture semiresidenziali e residenziali;
 centri di accoglienza residenziali, diurni, centri comunitari.
Con il d.lgs. 112/’98 lo Stato ha la competenza di determinati standard di servizi sociali essenziali per
adeguati livelli di vita. Con il d.lgs. 229/’99 vengono definite le aree in cui devono essere specificate le
prestazioni. La legge 328 enuncia i diritti da tutelare nel sistema degli interventi e nei servizi integrati. La
legge cost. 3 (2001 garantisce l’uniformità dei livelli essenziali di assistenza.
La definizione dei livelli diviene complessa nel campo sanitario e sociosanitario per differenze nei
finanziamenti, condizioni economiche. L’impegno economico varia pe ogni Regione, il decentramento delle
funzioni amministrative provoca ancora complessità ma il d.lgs. 216/2010 offre proposte sull’organizzazione
dei servizi. Un criterio per definire i livelli può essere quello di garantire una fascia uniforme sotto la quale
non si può scendere ma con la possibilità di recare miglioramenti alle condizioni sociali. Il processo di aiuto
inoltre può avere un costo superiore rispetto a quello delle prestazioni stesse.
SERVIZIO SOCIALE E ORGANIZZAZIONE
Vi sono influenze reciproche tra professionisti e organizzazione di appartenenza. L’organizzazione è uno
strumento capace di promuovere e attivare cambiamenti. Con il s.s. vengono elaborate strategie, assumere
responsabilità nell’individuare risorse, procedure, ordinare sistemi operativi, programmare, pianificare e
gestire servizi orientati al benessere sociale.
Le trasformazioni degli anni ‘60/’70 hanno segnato l’inadeguatezza dei vecchi sistemi di welfare.
L’organizzazione diventa per i s.s. una priorità, il mondo della sanità si apre a nuovi linguaggi, diversi modi
di pensare orientati alla persona. Gli anni ’90 promuovono nuove strategie metodologiche collegando le
gestioni aziendali a quelle locali. Con la 328 nascono nuovi sistemi di welfare orientati ai cittadini. Il s.s.
assume così un ruolo fondamentale su tutto il territorio nazionale.
L’organizzazione è sia un luogo dove sentirsi parte sia un’attività dove il professionista deve configurare un
apparato organico, sia come attitudine necessaria per importare delle procedure. C’è un’interconnessione tra
professionisti e organizzazione. Il rapporto interdipendente è asimmetrico, c’è un mandato istituzionale che
limita il percorso entro cui l’ass.s. deve conseguire gli obiettivi dell’organizzazione e allo stesso tempo
affermare i principi in un impegno etico, deontologico.

TERZO SETTORE
Comprende formazioni sociali diverse accomunate da 4 aspetti:
 intreccio nell’aspetto strutturale/organizzativo e motivazionale/culturale);
 altruismo, reciprocità (orienta la relazione), fiducia (legami affidabili), solidarietà (attivare relazioni);
 missione perseguita quindi la risposta ai bisogni sociali, negli obiettivi c’è la qualifica di no-profit;
 azioni concrete che formano beni concreti per la società.
Il 3° settore è un fenomeno che si modifica sia per cause endogene (sistema economico) sia in seguito a
trasformazioni sociali, emerge la riflessività identificabile sotto 3 livelli:
 differenziazione organizzativa: il 3° settore è costituito da molte organizzazioni distinguendo:
- volontariato: è il più radicato e si distingue per altruismo, reciprocità e centrità gratuita;
- cooperative sociali: azione solidaristica di tipo intersoggettivo, prestazioni socio-sanitarie ed
educative;
- associazioni: favoriscono azioni di reciprocità, svolgono attività in ambito culturale, sportivo, sociale;
- fondazioni: il patrimonio è l’elemento indispensabile operano in ambito culturale, sportivo;
- ong: organizzazioni senza scopo di lucro.

 differenziazione culturale: diverse culture associative;


 differenziazione relazionale: vi sono enti che scelgono di perseguire da soli un obiettivo e di perseguirlo
con altri soggetti, le partership sociali sono fondate su relazioni reciproche, stabilire per la regolazione dei
servizi e pratiche, nel costruire reti con altri soggetti per il perseguimento del benessere sociale.
AGIRE ETICAMENTE

L'impegno per il miglioramento delle condizioni di vita delle persone e delle comunità è un aspetto che resta
vivo nel tempo e continua a contraddistinguere il s.s.. La definizione internazionale di s.s. sottolinea
l'impegno per l'emancipazione e la liberazione dalle condizioni di oppressione: il s.s. è una professione e una
disciplina che promuove cambiamento sociale, sviluppo, coesione sociale, empowerment e liberazione delle
persone.

Questi motivi hanno portato diversi studiosi ad affermare che il s.s. è una value based profession, una
professione basata sui valori, evidenziando così il peso della componente ideale e valoriale della professione.
È lo specifico oggetto di lavoro a imporre un'attenzione alla dimensione etica. Occuparsi delle storture della
società, delle ingiustizie e delle sofferenze delle persone, dell'emarginazione, del dolore e delle fatiche porta
gli operatori a fare i conti con il proprio desiderio di giustizia.

Secondo Lorenz, il s.s. si trova in uno spazio intermedio tra i mondi vitali e il sistema, l'intreccio dei desideri
e problemi delle persone, si incontra con le risorse e delle strutture messe in campo dalla società. Evidenzia
come questa collocazione sia la specialità del s.s. e anche diverse teorie del s.s. convergono nel definire la
relazione tra la persona e l'ambiente come l'oggetto distintivo del s.s.

L’etica è l'insieme dei principi e dei valori a cui gli individui si ispirano per giudicare cosa è bene e cosa è
male dando un significato alle proprie azioni. Esiste poi una discussione in merito all'eventuale esistenza di
una differenza tra etica e morale, dato che sono spesso usati in modo intercambiabile. Tuttavia, con il
termine morale si indica un insieme di valori e doveri imposti dall'esterno, mentre con etica si intende
l'insieme dei valori e dei principi che fondano la condotta di ognuno.

PRINCIPI E VALORI

Ogni professione è caratterizzata da principi e valori che la identificano, solitamente esplicitati nei codici
deontologici. Questi costituiscono quella che Banks (2004) chiama l’etica esposta della professione, ovvero
dichiarata esplicitamente, in forma scritta e pubblica, distinta dall'etica professionale agita, espressa
nell’azione concreta e nei comportamenti considerati tipici di un gruppo professionale.

Vige inoltre una ulteriore differenziazione tra etica e deontologia, per etica si intende i valori e i principi
morali che caratterizzano quella professione, mentre per deontologia si intende il complesso dei doveri e
delle regole di comportamento che impegnano una professione e suoi professionisti nei confronti della
società e delle persone con cui entrano in relazione.

L’etica esposta nei codici rende espliciti i principi e le norme di comportamento dei professionisti anche allo
scopo di proteggere i cittadini dal rischio di abusi di potere. Alcune responsabilità danno agli ass.s. un potere
che i normali cittadini non hanno e implicano, di conseguenza, la possibilità di abusi. I codici etici e
deontologici hanno lo scopo di garantire che un simile potere sia limitato all'oggetto.

Reamer, uno studioso di etica del s.s., identifica periodi culturali nello sviluppo dell'etica del s.s.:
 nella fase nascente del s.s., l'accento è posto sulla dimensione morale e sull'impegno degli ass.s. nella
relazione con il cliente, mostrando un approccio individuale e un forte legame con la religione cattolica;
 successivamente si fa strada un'attenzione ai valori, che vengono esplicitati nei codici etici, e all'impegno
emancipatorio e per la giustizia sociale;
 più recentemente si diffonde un'idea di etica come rispetto degli standard, con l'applicazione di modelli
decisionali strutturati e la finalità di evitare i rischi.

LE ETICHE

Esistono diversi tipi di etiche. Una prima distinzione riguarda le etiche che considerano l'atto che si sta per
compiere o si è compiuto e le etiche che invece considerano non l'atto, ma le caratteristiche di chi agisce. Il
criterio adottato per giudicare ciò che è giusto o sbagliato si possa definire in base a un principio o un
dovere, o in base alla finalità e alle conseguenze dell'atto.

Nel primo caso, la qualità morale dell'azione dipende dalla giustezza dell'atto in sé, dal suo essere coerente
con un principio morale della persona. Questa concezione si riferisce all'etica deontologica perché si basa su
principi che indicano cosa si deve o non. Si fa una determinata cosa perché si seguono certi principi morali,
che devono essere seguiti anche se le conseguenze sono negative. Nel secondo caso invece, la qualità e la
bontà dell'atto dipendono dalle finalità e dalle conseguenze.

Nel s.s. entrambe le etiche sono presenti e intrecciate e sono tante le situazioni in cui l'ass.s. deve decidere se
agire in base a principi, conseguenze o finalità. Però, nessuna delle 2 si presenta o si applica allo stato puro.
È proprio questa capacità di contestualizzazione, di considerare i principi e le conseguenze nella specifica
realtà e di assumere le decisioni e i comportamenti più adeguati, che si manifesta la competenza etica.

DILEMMI ETICI

Il perseguimento dei principi del codice esita spesso in dilemmi. I dilemmi etici sono definiti da Banks come
situazioni in cui non è facile decidere quale strada prendere perché hanno degli esiti spiacevoli, ma il
dilemma si pone anche quando 2 principi sono ugualmente buoni che competono e tra i quali è difficile
scegliere. Kidder propone l'idea dei competing goods, della difficoltà di scegliere tra 2 principi ugualmente
importanti. Suggerisce anche una seconda situazione di competitività, tra il principio della verità e il
principio della lealtà.

La frequenza con cui si presentano i dilemmi etici e la difficoltà di fare le scelte ha portato alcuni studiosi a
mettere a punto il concetto della trasgressione etica, ovvero dell'inevitabilità di trasgredire alcuni principi
etici, a causa della natura del s.s., posto al crocevia di interessi e aspettative differenti. Secondo Weinberg la
possibilità di trasgredire è sempre presente ed è strutturalmente legata all'essere investiti dal duplice
mandato, da un lato, di sostenere le persone, e, dall'altro, di favorirne l'inserimento nella società.

Un 2° livello sul quale è accolto il concetto dell'inevitabilità della trasgressione etica è quello macro.
Accettare la possibilità di trasgressione etica riduce l'illusione che ci sia sempre una risposta giusta. Sul
versante sociale, questo può favorire lo sviluppo di una capacità critica in merito alle contraddizioni sociali e
alle disuguaglianze strutturali spingendo a prefigurare interventi che si collocano a un livello più alto rispetto
a quello della singola storia. Il crescente impegno degli ass.s. in questa direzione prende il nome di policy
practice.

Nell'intento di identificare criteri morali validi e al contempo non oppressivi, Habermas propone una
riflessione sull’uso del linguaggio. Sostiene che per identificare e declinare un interesse morale, sia
indispensabile prestare attenzione al discorso, a chi e come identifica e costruisce i valori morali e i principi
a cui attenersi. Per evitare che questi siano solo espressione di una classe dominante, bisogna prestare
attenzione al processo attraverso cui si costruiscono e si definiscono tali significati. Il processo deve essere
caratterizzato dal dialogo e dall'attenzione posta per garantire la partecipazione e la possibilità di esprimersi.

L'etica diventa dialogica, volta cioè a mettere in dialogo i diversi punti di vista e a far sì che attorno a valori
e criteri morali si costruisca un interesse morale e una visione e un impegno comuni. Perché ciò avvenga, e
per ridurre i rischi di un approccio prevaricante, il dialogo deve seguire tre principi cardine:
 non si esclude dal dialogo nessuno che manifesti interesse al problema;
 tutti gli interessati hanno lo stesso diritto di parola, senza essere condizionati;
 la conclusione è raggiunta collettivamente.

LE VIRTU’

Le virtù sono le buone abitudini dello spirito e della mente, essenziali per sviluppare un comportamento
etico; sono una disposizione interna della persona verso il bene e l'azione positiva che consente alla persona
di esprimere la propria pienezza. L’etica della virtù tende a orientare un modo di essere più che a dare
indicazioni su cosa fare. Per il s.s. rappresenta una prospettiva molto interessante, che estende il concetto
della felicità e della vita ben vissuta dal piano personale a quello professionale e sociale.

Questo approccio etico prende le mosse dagli studi della filosofa femminista Gilligan che ha osservato come
bambini e bambine affrontavano problemi morali con un diverso approccio. Mostra come nelle dispute i
bambini tendano ad adottare una morale più orientata al rispetto dei diritti, dell'uguaglianza e della
reciprocità, mentre le bambine stano più attente al contesto relazionale e a considerare eventuali situazioni di
debolezza o fragilità dei soggetti coinvolti nel problema. Gilligan definisce il primo approccio come etica
della giustizia, mentre al secondo attribuisce il nome di etica della cura.

È Banks ad aprire e sviluppare un filone di studi sull'etica professionale basato sull'analisi fenomenologica e
sui racconti degli ass.s.. Secondo Banks, il comportamento etico si sviluppa e si rende concreto nell'incontro
e nell'intreccio di tre fattori chiave:
 il contesto in cui si realizza l'azione;
 il carattere e le qualità morali che l'ass.s. ha o aspira ad avere;
 l'impegno, ovvero l'insieme dei valori e delle credenze personali e dei valori professionali, assunti e
rielaborati nella unica e originale interpretazione che la persona ne dà.

LAVORO ETICO

Banks ha coniato la locuzione lavoro etico, che sembra manifestarsi più frequentemente in termini più sottili,
meno visibili e molto meno espliciti di quanto non avvenga nelle situazioni esplicitamente dilemmatiche di
tensione tra opzioni contrastanti. Il lavoro etico è il lavoro invisibile di pensieri, riflessioni e azioni che gli
ass.s. fanno nello sforzo di agire eticamente e nel mantenere viva la loro aspirazione a essere dei buoni
professionisti. Esso prende le mosse dalla globalità della dimensione etica e si sviluppa sul piano della
concettualizzazione, della scelta, l’importanza delle relazioni e nell’impegno nel rappresentare l’identità
professionale

Un ultimo tipo di situazioni che generano dilemmi etici è costituito da quei contesti in cui l'ass.s. sa cosa
sarebbe giusto fare, ma non può farlo per vincoli provenienti dall'organizzazione. La letteratura sull'etica ha
definito queste situazioni come uno stress morale o moral distress. Il concetto si riferisce alle situazioni in
cui il soggetto sa qual è la cosa giusta da fare, ma ha vincoli istituzionali che rendono quasi impossibile
perseguire la linea di condotta che ritiene giusta.

MORAL DISTRESS

Il moral distress è diverso dal dilemma etico, perché in questo l'operatore non è indeciso, sa qual è la linea di
azione più giusta, ma non può metterla in pratica a causa di vincoli esterni. Diversi studi hanno mostrato che
tale situazione di sofferenza interiore può portare a serie conseguenze sul benessere dei professionisti, sulle
performance lavorative e sulle persone fragili, con perdita di empatia e smarrimento del senso di poter
aiutare.

L'avere uno spazio di discrezionalità e interpretazione delle regole, necessario per personalizzare i servizi, è
una prerogativa degli ass.s., ai quali la legge istitutiva della professione e il codice deontologico riconoscono
un'autonomia tecnico-professionale. Si tratta di uno spazio di implementazione che gli ass.s. possono
colmare con la propria competenza, proponendo interpretazioni e riempiendo spazi lasciati vuoti dalle
normative.

Weinberg propone alcuni studi per mostrare come tali spazi possono essere gestiti per espandere i servizi per
i cittadini. In uno di questi si pone lo sguardo sugli operatori ed evidenziano le microstrategie adottate nel
quotidiano per ampliare e piegare le regole dell'organizzazione, per rispondere alle esigenze delle persone.
L'operazione ha lo scopo di salvaguardare il senso di integrità morale dell'operatore.

CORAGGIO MORALE

Il coraggio morale è definito come l'espressione del «proprio punto di vista di fronte al dissenso e attraverso
il superamento della paura dell'ostracismo sociale e del rifiuto, per mantenere una integrità etica» (Papouli,
2019). Si riferisce all'avere la forza di fare ciò che è giusto di fronte alla resistenza o all'opposizione, e di
fronte al rischio di avere delle conseguenze dannose.

Il coraggio morale è necessario per mettere in pratica l'etica in circostanze difficili. Nel s.s. il coraggio
morale è strettamente legato ai valori della giustizia e al benessere comune. Si usa il coraggio morale per
correggere qualcosa di sbagliato, per prevenire un danno, per salvaguardare popolazioni vulnerabili e per
sostenere persone vittime di azioni dannose. Non sta nel non avere paure o timori ma nel riconoscerli ed
esserne consapevoli, affrontandoli e assumendo i rischi collegati.

Banks afferma che oggi, in un sistema di welfare sempre più caratterizzato da spinte managerialiste e
pratiche disumanizzanti, contrarie all'etica, il coraggio morale è una virtù sempre più necessaria. A esso si
associa la necessità di una resistenza etica. Per resistenza etica si intendono le azioni messe in campo per
resistere a comportamenti o norme che si ritengono eticamente scorrette, in particolare nei confronti delle
persone.

ESSERE CREATIVI

Quando si parla di idee buone o nuove, si entra nel campo degli studi alla creatività. Solitamente il termine
creatività è associato a manifestazioni artistiche come la poesia, il teatro o la musica, oppure alla tecnologia e
alla scienza. In realtà, la creatività è anche un tratto fondamentale delle pratiche di s.s. Ogni professione ha 2
elementi: tecnicalità (composta da conoscenze e competenze di natura specialistica) e indeterminatezza
(consiste in tutto ciò che si discosta dalle indicazioni tecniche o che rende le indicazioni tecniche
insufficienti o solo parzialmente adeguate ad affrontare i problemi).

Si può definire la creatività come la capacità di sviluppare idee, alternative e possibilità di intervento per
risolvere problemi in modo originale. Per essere creativi bisogna essere capaci di osservare le cose in modo
nuovo o da prospettive diverse da quelle consolidate. La creatività è inoltre un costrutto sociale: nell'ambito
degli studi sull'argomento della creatività è definita come prodotto della comunicazione, collaborazione e
interazione sociale. Relazioni e istituzioni sono elementi costitutivi del pensiero creativo. Le interazioni
sociali, le reti, le organizzazioni sono strutture e processi attraverso i quali i significati della realtà sono
continuamente negoziati e rinegoziati e vanno a costituire un materiale cognitivo e ideativo.

CONTESTI STANDARDIZZATI

La maggioranza degli ass.s. lavora oggi in contesti caratterizzati da un'alta presenza di norme e procedure.
Cataldi definisce questo come il prodotto di un managerialismo imperfetto che condensa l'ansia di
normazione, tipica delle burocrazie a ciclo maturo, con la standardizzazione dei processi. Per quanto
opprimenti le norme influenzano solo fino a un certo punto l'agire degli operatori. Essi infatti dispongono
sempre di un margine di discrezionalità e possono esprimere le idee per argomentare proposte diverse.

Il problema della creatività ha a che fare con l'influenza delle idee pregresse sul modo di pensare delle
persone. Quanto più la percezione della realtà è condizionata da assunti precedenti tanto più ristretti saranno
gli spazi cognitivi e mentali per esercitare l'esercizio creativo. Essere consapevoli che il pensiero è
vulnerabile a influenze che ostacolano la libertà immaginativa costituisce una condizione necessaria per
supportare la creatività. Per essere creativi è importante dunque fermarsi e allontanarsi dal conosciuto.
CREATIVITA’ COME PROCESSO MENTALE

Mednick ha teorizzato in modo analogo che le idee creative sono il risultato di un meccanismo mentale
basato sulla capacità di mettere insieme idee remote e non collegate tra loro. Se un individuo conosce molto
bene poche cose, la sua capacità immaginativa potrà arrivare fino a un certo punto, ma dopo si dovrà
fermare. Invece, quanto maggiore e diversificata è la conoscenza dei fenomeni, tanto più alta sarà la
probabilità che le nuove idee siano attivate attraverso diverse associazioni. La creatività implica uno sforzo
immaginativo continuo; una persona creativa non dovrebbe accontentarsi di un'unica soluzione per affrontare
un problema.

Spesso le soluzioni alle quali si ricorre sono le più conosciute ma talvolta quelle consolidate incorporano la
struttura del problema da affrontare. Invece di valutare una sola ipotesi, può essere importante non fermarsi e
cercare soluzioni alternative. La prima soluzione che si è portati a individuare è la più nota e sperimentata, la
seconda sarà più distante da quanto è conosciuto e la terza spingerà a forzare il proprio pensiero.

PENSIERO DIVERGENTE

Osservare un fenomeno e nominare un numero il più elevato possibile di utilizzi alternativi rispetto a quello
standard costituisce un classico esercizio per stimolare il cosiddetto pensiero divergente. Secondo Guilford il
pensiero divergente è una forma di pensiero che permette di creare più alternative possibili rispetto a un certo
problema e non prevederne una sola. Sono quattro gli elementi fondamentali:
 la flessibilità ideativa, che consiste nella capacità di lasciare gli schemi di pensiero e utilizzarne altri;
 la fluidità del pensiero nel rispondere a un problema attraverso più soluzioni;
 l'originalità nel fornire risposte non usuali;
 l'elaborazione, intesa come capacità di arricchire la prima soluzione con ulteriori idee e riformulazioni.

È altrettanto essenziale essere però consapevoli che ogni relazione intragruppo porta con sé sempre un
rischio di groupthink. Il termine groupthink è stato introdotto dallo psicologo sociale Janis, si riferisce a un
fenomeno che porta i membri di un gruppo sociale o professionale a cercare il consenso, evitando di andare a
fondo sulle questioni per scongiurare un eventuale conflitto. L'obiettivo della coesione del gruppo prevale di
conseguenza sull'autonomia critica e l'originalità del pensiero dei singoli membri.

PENSIERO DI GRUPPO

Gli individui che appartengono a uno stesso gruppo mettono in atto processi di influenza sociale reciproca
attraverso i quali sono enfatizzate le caratteristiche comuni che permettono di sviluppare una concezione
positiva del sé e di differenziarsi dagli altri. Queste caratteristiche tendono a essere più marcate in condizioni
di identificazione sociale rafforzata, come quelle rappresentate dalla minaccia di un out-group. Il pensiero di
gruppo costituisce una condizione sociale che non è garanzia di creatività e ideazione di nuove soluzioni.

Per promuovere la creatività ed evitare l'influenza del pensiero di gruppo degli studiosi hanno sottolineato
con forza l'importanza di forme di apertura verso l'esterno. L'apertura segue modalità differenziate con un
confronto e di una collaborazione con altri diversi da sé. Il significato del concetto di apertura va interpretato
come invito a ricercare un confronto oltre i tradizionali confini professionali e istituzionali del s.s., perché
più si riesce a portare fuori dai confini dell'in-group il processo di formulazione di ipotesi e di elaborazione
di soluzioni e maggiore è la probabilità di sviluppare idee nuove e originali.

COMUNICARE

Secondo Watzlawick, lo studio della comunicazione umana si divide in tre parti: sintassi, semantica e
pragmatica. Secondo la pragmatica non sono solo le parole, la morfologia e significato (sintassi e semantica)
costruiscono la realtà, ma l'intera sfera dei comportamenti in cui rientrano anche gli atti non tipicamente
verbali, il linguaggio del corpo, il contesto. La comunicazione si avvale dunque di un codice di regole che
danno come prodotto un tipo di comunicazione efficace o possono portano a una comunicazione difettosa.
Gregory Bateson definisce una forma di dialogo chiamata metalogo. Consiste nell’avvicendarsi una dopo
l'altra di domande che sono in grado di stimolare una risposta e l'operatrice può proporre un'altra domanda e
ricevere un'altra risposta e così via. Non domande qualsiasi, ma che mettono in comune un'idea e raccolgono
informazioni per far affiorare le contraddizioni. Il risultato è la riscrittura di una trama in cui coesistono sia le
conoscenze dell'ass.s. sia quelle della persona.

COMUNICAZIONE E RELAZIONI

L'adozione di un linguaggio semplice e accessibile diventa la premessa per instaurare una relazione di aiuto
equilibrata. A livello di relazione tra i partecipanti, lo scambio dev’essere improntato sul profondo rispetto
per l'altro che si emancipa, da soggetto da indottrinare a soggetto protagonista dell'interazione; infine, a
livello emotivo e simbolico, è indispensabile per il professionista fare i conti con l'urgenza quotidiana del
fare, che lascia poco spazio a una comunicazione di tipo emozionale con sé stessi e allo sviluppo di
consapevolezza rispetto alle proprie scelte e ai propri sistemi valoriali.

Il linguaggio non è solo una sequenza di parole, ma è un sistema di pensiero. E quando una cultura
professionale importa espressioni di un altro linguaggio, importa anche il corrispondente sistema di pensiero.
Il nesso con la cultura burocratica è evidente. Il linguaggio della standardizzazione dei punteggi delle schede
e il sistema di rendicontazione informatizzata delle cartelle non danno spazio all'umanizzazione degli
interventi, così i bisogni diventano numeri e i servizi diventano costi.

PLAIN LANGUAGE

Il plain language, cerca di contrastare l'incomunicabilità del linguaggio burocratico, non soltanto a livello di
forma ma in termini di raggiungibilità del messaggio per una vasta e diversa platea di destinatari. Tutto ciò
va nella direzione di testi semplificati e orientati non dall'intento di rimuovere gli ostacoli linguistici alla
comprensione. La cultura professionale passa anche attraverso il setting. Le norme sulla tutela della
sicurezza e della salute dei lavoratori hanno svolto un ruolo importante: se da un lato tali norme garantiscono
la salute degli ass.s., dall'altro possono rendere i luoghi di lavoro ambienti poco idonei alla comunicazione.

PROSSEMICA

La prossemica, introdotta da Hall riguarda lo studio dei microspazi che le persone hanno nella quotidianità.
Hall distingue quattro tipi di distanze:
 intima: lo spazio tra le persone che hanno una conoscenza e un rapporto intimo;
 personale: tra due persone che si conoscono ma non sono in confidenza;
 sociale: i rapporti fra le persone sono formali per motivi sociali o professionali;
 pubblica: persone non solo lontane, ma isolate.

COMUNICAZIONE EMPATICA

Un ostacolo alla comunicazione empatica si riferisce all'atto di immedesimarsi nell'altro. Per compiere un
atto empatico, è necessario che il professionista abbia una tale consapevolezza della propria identità e
interiorità da essere in grado di riconoscere quando si avvicina all'altro, per poi far ritorno a sé stesso,
arricchito di questa esperienza, ovvero di riconoscimento. Secondo Rogers, la parità della relazione sta nella
fiducia del professionista nei confronti della persona che va nella sua direzione, seguendo il proprio ritmo e
maniera.

Tra le competenze necessarie per praticare l’empatia nella comunicazione c’è l'ascolto attivo. Esistono
domande che producono effetti sia sullo sviluppo dello scambio comunicativo sia su quello della relazione:
le prime hanno a che fare con il tema, la cornice; le seconde con chi ha il diritto di porre tali interrogativi.
Chiaramente, la possibilità di dare origine a un dialogo è proporzionale allo spazio lasciato dal professionista
a tutto ciò che la persona potrebbe dire.

La verifica costante della comprensione è un concetto cardine della comunicazione empatica che dà vita a un
sistema circolare di interazioni fra emittente e ricevente in grado di modificare lo scenario comunicativo.
Una comunicazione completa, infatti, non può prescindere dalla risposta del destinatario: nonostante le teorie
di riferimento, i modelli e le convinzioni, per conoscere è necessario saper rinunciare a tutto ciò.

Un passaggio per definire quindi quali competenze è necessario possedere per comunicare sé stessi prevede
di prendere contatto con l’inconscio che, secondo lo psicoanalista Enriquez orienta il professionista nella
relazione con l'altro. I fantasmi sono:
 l'analista, che dà la forma perfetta a chi ha una forma inadeguata, facendo prendere coscienza di sé stessi;
 il militante, che desidera cambiare non solo il singolo, ma l'intera società;
 il trasgressore, che spinge gli altri a liberarsi dai vincoli e dai divieti per emanciparsi;
 il riparatore, che desidera riparare i danni subiti, assumendosi i problemi degli altri;
 il salvatore, che rivolge i suoi sforzi non solo a riparare i danni subiti, ma anche a far cambiare le persone;
 il maieuta, che favorisce la crescita di ciascuno, portandone alla luce il potenziale nascosto;
 il terapeuta, che desidera guarire l'altro;
 il distruttore, che vuol rendere consapevole l'altro anche se ciò vuol dire renderlo dipendente da sé.

Se il professionista aderisce senza riflettere a una o più di queste immagini, rischia di rimanere ingabbiato
dai propri desideri e aspettative arrivando a sacrificare sé stesso oa non riconoscere gli effetti nella relazione
di aiuto. È fondamentale per il professionista essere consapevole del fatto che anche il linguaggio del corpo
rappresenta un valido strumento per mettere a proprio agio l'interlocutore e trasmettere caratteristiche di
personalità ben precise, che vengono percepite dall'altro.

ESSERE RIFLESSIVI

L’introduzione del termine riflessività si deve a Dewey, pedagogista che aveva distinto tra routine action,
un'espressione che si riferisce a un'azione realizzata secondo schemi consolidati, e reflective action, intesa
come il fare che si sviluppa dall'attiva considerazione delle credenze, alla luce delle prove che le sorreggono
e delle conclusioni cui tendono». Mentre l'azione routinaria non chiama in causa un pensiero pensante, la
reflective action si confronta con la natura delle relazioni interpersonali, caratterizzate da elementi di
complessità e unicità tali da richiedere una costante vigilanza sul rapporto tra pensiero e pratica concreta.

Nel campo del s.s. significa che l'atteggiamento da seguire deve essere quello di domandarsi sempre perché
le cose stanno in un determinato modo, quali sono le ragioni per le quali siamo di fronte a un problema,
perché un'azione ha più senso e un'altra meno. Sono molto diffusi casi in cui i professionisti del s.s. si
trovano ad affrontare interrogativi inaspettati o ai quali non è facile dare risposta.

La scelta cognitiva che si pone in genere è se cercare di rispondere a queste domande oppure ricollocarle
all'interno di prassi consolidate, che non prevedono di essere messe in discussione. La seconda strada si
impone quando i professionisti lavorano sotto pressione, hanno scarso tempo per elaborare le nuove
formazioni e sono poco propensi a mettersi in discussione o semplicemente non ne hanno le capacità.
Diversamente da quanto ipotizzato dai sistemi burocratici e manageriali, il lavoro di s.s. necessita
un'elaborazione costante di conoscenze e pratiche da usare in situazioni che non sono mai identiche.

RIFLESSIVITA’

Praticare la riflessività può assumere diverse forme. Una distinzione è quella classica proposta da Schon tra:
 reflecting action: prende forma nell'atto di agire e può essere concepita come riflessività di primo livello
che mette in discussione la conoscenza nel momento in cui essa prende forma. Agire riflettendo implica
porre attenzione sulle dinamiche dell'agire, cogliendo i segnali di incongruenza e prendendo il tempo per
modificare il comportamento;

 reflection on action: è una riflessività di livello superiore, implica la riflessione sull'azione, sulle premesse
e sui processi attraverso cui la conoscenza è costruita. Riflettere sull'azione vuol dire cercare di ricostruire
il processo dell'azione, osservarne le componenti, individuare gli obiettivi, il modo in cui l'azione ha
interagito con il contesto. L'assunto di base di tale approccio è che gli schemi attraverso i quali gli esseri
umani osservano la realtà non fotografano i fenomeni in quanto tali, ma sono categorie interpretative che
esprimono convinzioni e punti di vista soggettivi e socialmente costruiti.

Una terza accezione del concetto di riflessività è introdotta da Van Manen che parla della funzione
anticipatrice del pensiero riflessivo. La riflessività non si limita a un pensiero durante e sull'azione, ma trae
anche conseguenze sulle azioni future che possono essere intraprese in presenza di situazioni simili, in base
alle considerazioni tratte dalla speculazione sulle diverse situazioni già affrontate.

L'esperienza riflessiva nasce in genere da un dubbio. Gli incidenti critici costituiscono un'esperienza comune
a molti professionisti quando si trovano di fronte a situazioni in cui perdono il riferimento alle proprie
certezze consolidate. In questi casi può prendere forma quella che Vergnaud definisce come prise de
coscience che permette di trasformare taciti schemi di pensiero e azione in operazioni riflessive. In altri
termini, gli eventi critici creano per le persone delle situazioni di dissonanza rispetto alle convinzioni
consolidate e costringono a sperimentare nuovi modelli elaborativi e interpretativi.

INTERPRETARE UN’AZIONE

Uno dei problemi dell'individuazione di un incidente critico consiste nel suo riconoscimento. Interpretare
un'azione come evento critico implica un giudizio di valore sull'azione medesima. I potenziali di
trasformazione, connessi all'accadimento di eventi emozionalmente provanti, traumatici o critici, sono delle
possibilità ma non una condizione sufficiente per comprendere e gestire il processo riflessivo, che spesso
necessita di altri elementi per essere attivato con successo.

Il problema della conoscenza che ignora le variazioni, o spinge a interpretare gli accadimenti attribuendoli a
cause imponderabili o fuori dal controllo degli attori, è definito come apprendimento superstizioso. Anche in
presenza di incidenti critici, le operazioni di riesame degli schemi interpretativi dell'azione possono risultare
limitate, se a compierle è un soggetto che si colloca all'interno di quella stessa cornice di significati.

PENSIERO INTERROGANTE

Una strategia che può favorire la capacità di analizzare gli accadimenti è il pensiero interrogante. Interrogare
nella tradizione socratica significa porre domande tese a decostruire le certezze su cui si fonda la conoscenza
tradizionale. Questa concezione della riflessività si avvicina al metodo pedagogico dell'auto-esame,
introdotto da Valverde che considera la riflessività come l'esito di un processo continuo e intenzionale di
auto-interrogazione. Allenarsi a porsi domande sul senso dell'agire permette di tenere vigile l'attenzione sugli
obiettivi e sulle ragioni delle azioni.

Naturalmente l'ass.s. deve dimostrare nei confronti dei propri utenti una competenza una conoscenza tese a
motivare, accogliere e sostenere il percorso di emancipazione delle persone più fragili. La riflessività è una
forma di pensiero resa più difficile dall'habitus mentale di ciascuno. L'habitus è definito da Bourdieu come il
principio non scelto di tutte le scelte, un costrutto attraverso il quale le strutture simboliche della società
formano negli individui disposizioni permanenti, esito di abilità e propensioni di pensiero apprese.

CATEGORIZZAZIONE

Il modo in cui i professionisti si rapportano alla burocrazia dipende da molti fattori, ma è in dubbio che
l'organizzazione e il lavoro degli ass.s. siano caratterizzati da una marcata tendenza alla categorizzazione.
Categorizzare significa definire delle cornici entro cui il lavoro è indirizzato e prende forma. Il problema
principale, per la riflessività, è rappresentato dal fatto che le categorie costituiscono una cornice all'interno
della quale si collocano le domande di senso nei confronti dell'azione.

Nel s.s. le tecniche narrative possono essere utilizzate per decostruire la rigidità del pensiero categoriale,
creando nuove possibilità di rappresentazione dei bisogni che rimettono al centro il vissuto delle persone.
Spesso il potere emancipatorio della narrazione è sacrificato a favore dei carichi di lavoro burocratico e a
causa della difficoltà di costruire relazioni significative e fiduciarie con utenti che si vedono per poco
tempo.7
TECNICA DELLO SPECCHIO

L'uso della narrativa come strumento per ampliare le cornici entro cui esercitare la riflessività è un esempio
tipico di gioco degli specchi. È la metafora del fatto che non può esserci riflessione senza un piano di
resistenza e la conseguente rifrazione che apre la possibilità del distacco tra osservatore e oggetto/azione
dell'osservazione. Attraverso la narrazione della realtà da parte di un soggetto esterno, all'osservatore è
messo a disposizione del materiale su cui il pensiero può esercitarsi in tutte le operazioni che la riflessione
comporta.

Questa tecnica si esercita nel s.s. attraverso il confronto con un mentore, identificato in un professionista
esperto e ha il compito di aiutare la riflessione individuale e di gruppo. La supervisione professionale è molto
importante per stimolare la riflessività, anche se nella pratica paga spesso una serie di limitazioni, che vanno
dalla focalizzazione della supervisione sulla gestione di stati d'animo negativi dei professionisti, alla
riduzione di risorse destinate a tale attività. La metafora del gioco degli specchi, tuttavia, rimanda a una
pluralità di superfici che circondano l'osservatore e quindi a soggetti con i quali avviare un confronto.

Un concetto chiave è quello di thick description, o descrizione densa, che in antropologia si distingue da thin
description, o descrizione superficiale. La prima implica che l'osservatore sia in grado di interpretare i
significati che gli individui attribuiscono ai comportamenti ed eventi. Il tema dell'autostima irrompe nel
vissuto di una professione che, da un lato, per essere svolta in modo corretto richiede una mole elevata di
impegno personale e, dall'altro, è alle prese con richieste di efficacia ed efficienza da parte dei responsabili
dei servizi.

RIFLESSIVITA’

La riflessività sfida la conoscenza, ma non può prescindere da essa. Se da un lato la riflessività non può
essere basata sulla conoscenza stabile, dall'altro riflettere significa trasformare conoscenza attraverso l'atto
stesso del conoscere. Se non esiste conoscenza pregressa, o se la conoscenza pregressa è limitata,
inevitabilmente anche l'atto riflessivo rischia di essere condizionato.

Le teorie rappresentano quello che Kuhn definiva come una promessa di successo nell'analisi di un
fenomeno. Il limite di ogni teoria è che tutto ciò che in essa non è contemplato come rilevante è destinato di
conseguenza a perdere rilevanza. Andrebbe invece valorizzato l'utilizzo in chiave interrogativa di molteplici
schemi teorici, a ciascuno dei quali affidare il compito di porre domande che forzano i confini cognitivi entro
cui i problemi vengono collocati.

È sufficiente che due chiavi di lettura siano affiancate, affinché la rappresentazione dei fenomeni appaia
completamente diversa, come differenti diventano le ipotesi di interventi possibili. Il carattere performativo
dell'incontro di piani di pensiero e approcci conoscitivi diversi è sintetizzato da Koestler con il concetto di
bisociazione, che si riferisce al processo di incontro di schemi di pensiero non comunicanti che fanno
scaturire una tensione cognitiva in grado di creare nuovi interrogativi e spunti di riflessione. Per supportare la
riflessività secondo le logiche bisociative, è importante avvalersi di schemi interpretativi e piani di
conoscenza multipli.

CONFRONTARSI CON LA DIVERSITA’

Per il s.s., la diversità è correlato ai principi del non giudizio, della giustizia sociale e della non
discriminazione. Significa anche prendere atto che l'ass.s. stesso è parte fondamentale dell'esperienza con
l'altro; significa riflettere su come la costruzione della relazione con l'altro sia influenzata da processi
cognitivi profondi, che appartengono all'individualità del professionista e fanno riferimento alla sua sfera di
esperienza personale quanto a quella sociale, formativa e professionale. Fiske elabora il modello del
contenuto degli stereotipi.
Lo schema è costruito incrociando le 2 dimensioni su cui si fonda la percezione
sociale secondo la psicologia sociale: il calore e la competenza. Esse sono
influenzate dallo status socioeconomico e il tipo di interdipendenza (cooperativa
o competitiva) che si genera fra intergroup (dominante) e outgroup (target). Alla
dimensione del calore sono associati gli aspetti di una persona che rispecchiano
fiducia, sincerità e disponibilità. La competenza invece riguarda gli aspetti
dell'intelligenza, la capacità di raggiungere un obiettivo, lo status.

AGEISM

Col termine inglese ageism. I predittori dei contenuti delle rappresentazioni stereotipiche costituiscono un
importante strument al fine di predisporre piani e interventi per la riduzione delle discriminazioni nei
confronti degli inter- gruppi. Quindi il rapporto dell'ass.s. con la diversità è influenzato da condizionamenti
interni e di una società che definisce status e ruoli. Come è possibile educare alla diversità? Ci sono 3
questioni.

La prima riguarda la necessità che i professionisti che si occupano di relazioni siano dotati di strumenti critici
per decostruire i modelli dominanti. La seconda contempla la possibilità di approcciare le differenze con
strumenti che permettono una lettura complessa della realtà e delle relazioni interpersonali e sociali. La terza
riguarda il sostenere un lavoro riflessivo su di sé, per mettere in discussione i propri modelli di riferimento.

I sostenitori dell'ageismo imputano la sua espansione alle istituzioni a cui gli anziani accedono e al sistema
formativo e professionale degli operatori, per la mancanza di progettualità e l'assenza di formazione
geriatrica. Molte delle pratiche dei s.s. oggi si basano sul pregiudizio paternalistico. La spiegazione teorica
risiede nel ritenere chi si trova in una condizione svantaggiata non in grado di avere dei desideri o di pensare
per sé.

Kitwood, professore di Psicologia gerontologica dell'Università di Bradford trovò 17 voci in grado di


riassumere le pratiche di personal detraction. Ad esempio: l'infantilizzazione, uso di nomignoli e al trattare
l'anziano in maniera condiscendente, oppure l'oggettivazione che consiste nel trattare la persona come se
fosse un oggetto. La conseguenza è la profezia che si auto-avvera un meccanismo cognitivo che porta il
gruppo vittima ad adottare comportamenti aderenti all'immagine negativa elaborata dal gruppo dominante.

DISABILI

Definire un’identità come disabile è l’esito del processo di selezione a priori delle qualità riconosciute. Ciò
porta a una riduzione di aspettative nei confronti del disabile che induce a ritenere una persona disabile priva
di desideri e interessi, o incapace di provare sentimenti. Ci sono vari i motivi per cui un’indicazione sulla
porta di un ufficio è in grado di etichettare il destino di chiunque arrivi. Alcuni sono imputabili alla difficoltà
di tenere insieme un pensiero che consideri il deficit o che riconosca la dignità di soggetto della sua vita.

Il punto di partenza per trattare la diversità non può essere che etico. È importante che l'ass.s. eserciti il
potere di fare dei diritti degli altri un dovere deontologico attraverso il sostegno al pieno diritto
all'autodeterminazione delle persone e alla promozione di azioni di advocacy, volte a superare logiche
paternalistiche che rendono tali azioni dipendenti da un parere altrui o dalla risposta del servizio. Quindi è
importante riconoscere quale elemento di sviluppo personale e professionale, la cultura della formazione e
dell'aggiornamento continuo.

Il sociologo Bennett ha elaborato il modello dello sviluppo della sensibilità interculturale. Presuppone un
miglioramento nel confronto con le differenze culturali, abbandonando
l’etnocentrismo iniziale in favore di un atteggiamento incline all'accettazione delle
differenze (etnorelativismo). In questa fase, le differenze generano curiosità e
interesse a sviluppare nuove categorie per leggere la realtà. Un interessante
contributo alla ricerca delle differenze è quello proposto dall'UNHCR che ha
elaborato una serie di schede operative volte alla pronta identificazione e alla
protezione delle persone con bisogni/ necessità specifiche.
POPULISMO E S.S.

Un altro esempio per comprendere quanto sia necessario esplorare le zone sensibili, piene di incomprensioni,
che si scoprono nell'incontro con l'altro, è offerto dai risultati di una ricerca che ha indagato il rapporto fra
populismo e s.s. (Fazzi, Nothdurfter). Partendo dal presupposto che l'identità sociale dei professionisti del
welfare si basa su principi etici e professionali in contrasto con il populismo, lo studio ha indicato come
anche tra questi lavoratori si possano sviluppare preferenze politiche ai programmi populisti di destra.

Lo studio intravede la reazione emotiva al tradimento, subito dagli intervistati, da parte di politiche che
hanno indebolito le strutture e le istituzioni che tenevano insieme il sistema politico e sociale e che hanno
portato al disconoscimento professionale. In questo contesto, il migrante diventa il capro espiatorio di
domande di senso, rispetto al proprio lavoro e alla propria appartenenza.

PENSARE ETICAMENTE

Il pensiero critico nell'ambito del s.s. riguarda la valutazione dell'azione tesa al processo di presa di coscienza
delle condizioni sociali, politiche ed economiche che contribuiscono a creare condizioni di svantaggio e
minorazione di coloro che richiedono l'intervento del s.s. La domanda che può essere posta è se il s.s. sia in
grado di intervenire sulle cause non individuali dell'esclusione sociale. Fenton nota come l'analisi strutturale
delle cause dell'esclusione sociale sia diventata meno rilevante negli studi e nella pratica del s.s., nonostante
il s.s. si è confrontato con i fattori sociali, politici, culturali ed economici che concausano l'emarginazione.

La burocratizzazione, l'iperspecializzazione e il managerialismo hanno contribuito a creare una cultura che


esalta più la dimensione tecnica del lavoro dei professionisti che non quella politica. Molti studiosi parlano
così di un processo di depoliticizzazione della professione che mette in secondo piano quella che Addams
chiamava la questione sociale come centro di attenzione del s.s..

Il tema dell'ass.s. impegnato ad assolvere ai propri compiti definiti per via normativa diventa problematico
nel momento in cui il sistema dei servizi incorpora le contraddizioni di una società in cui il numero dei
marginali cresce e dove le politiche legittimano concezioni dell'esclusione sociale che chiamano in causa la
responsabilità dei singoli. La carenza di pensiero critico rischia di essere deflagrante, con l'ascesa delle
politiche del welfare con cui i governi, dopo la crisi, hanno introdotto misure di selezione delle prestazioni in
base alla nazionalità.

GIUSTIZIA E INGIUSTIZIA

L'idea che colui che viola la legge sia l'uomo ingiusto è una tradizione di pensiero che arriva fino al sistema
dei diritti sociali. Un modo di concepire la giustizia che non tenga conto che le istituzioni coerenti con i
principi di giustizia rischia di dare luogo al problema paradossale dell'accettazione inconsapevole delle
ingiustizie, che prendono forma al riparo di quelle che Shklar definisce come istituzioni e leggi coerenti con i
valori di giustizia.

L'ingiustizia non si sviluppa solo in uno spazio di amoralità ma anche all'interno di sistemi sociali governati
da principi costituzionali e incentrati sull'idea dei diritti sociali. Nella logica della burocratizzazione e del
managerialismo l'ingiustizia può assumere anche forme banali, ma non per questo meno distruttive:
un'organizzazione del lavoro che non lascia spazio all'approfondimento della storia delle persone e che
rischia di trasformare la pratica dell'ascolto in un’attività burocratica incapace di rispondere alle complessità.

Nella tradizione giuridica moderna, sulla quale si basano anche gli edifici dei sistemi di welfare, il rischio è
che fissando l'attenzione alla norma, ciò che viene rimosso è il piano dell'attuazione della stessa in pratica,
che passa attraverso il comportamento delle persone e le azioni accettate. Per comprendere l'idea di giustizia
e porsi in una relazione proficua con essa, Sen propone di introdurre un comprehensive concept che analizza,
oltre ai principi e alle norme, anche i processi attraverso cui i risultati di giustizia sono raggiunti.

Il primo livello in cui l'esercizio della giustizia si concretizza nell'ambito del s.s. è quello delle relazioni di
aiuto. Come ha scritto Foucault, i rapporti di potere non avvengono solo tra aggregati sociali come le classi o
i ceti. Egli riprende l'intuizione di Nietzsche secondo cui il potere opera a ogni livello, attraverso la selezione
di ipotesi e spiegazioni tese a contrapporre il vero al falso. Foucault aggiunge che in ogni società e in ogni
forma di interazione sociale esisterebbero degli ordini di verità che fanno funzionare determinati discorsi
come veri.

Gli ass.s. si collocano in uno snodo per certi versi paradossale, nelle dinamiche di potere della società.
Spesso sono costretti a lavorare all'interno di sistemi che limitano la loro autonomia professionale attraverso
specifici mandati e regole organizzative. Esiste sempre il rischio concreto che l'esercizio del potere concorra,
in modo intenzionale o meno, ad aumentare o a stabilizzare la condizione di disagio ed emarginazione delle
persone.

GERARCHIA PROFESSIONALE

Diversi studiosi indicano come, a causa della rigidità organizzativa, della crescente burocratizzazione, della
carenza di risorse e della managerializzazione, i s.s. pubblici rischino di diventare le istituzioni più
problematiche. I professionisti, messi sotto pressione dai carichi di lavoro e dalla limitatezza delle risorse,
sono spinti a difendere il proprio spazio di resistenza psicologica attraverso l'applicazione della norma che è
l'ambito di azione professionalmente meno rischioso ed emotivamente meno coinvolgente.

Il primo campo di osservazione del pensiero critico deve essere il comportamento dei professionisti nei
confronti degli utenti. La concettualizzazione del potere nelle pratiche del s.s. deve tenere in considerazione
che una concezione gerarchica e sbilanciata del potere (power-over) rischia di riprodurre quella
diseguaglianza e quell'oppressione che il s.s. si propone di combattere. Per evitarlo è necessaria una
concezione di power-with. Il potere è considerato come un costrutto relazionale e negoziale, attraverso il
quale la conoscenza del s.s. si costituisce su verità provvisorie, situazionali, al fine di costruire una logica di
ascolto e collaborazione.

Il professionista è spinto a identificare il tipo di problema a cui corrisponde la prestazione e a raccogliere le


informazioni in forma di diagnosi. Biestek aveva descritto il tipo di processo nel quale la persona è spinta a
raccontare e a chiedere ciò che il professionista può trattare come dati. È vero che la persona ha potuto
esprimere una richiesta; ma la formulazione del bisogno si è adattata al sistema dell'offerta di prestazioni e la
struttura della domanda amministrativa, tesa a verificare la condizione di accessibilità al contributo
economico.

POLITICIZZAZIONE

In Italia gli studi sulla politicizzazione del s.s. sono quasi del tutto assenti. Il trend non è molto diverso da
quello rilevabile a livello internazionale, caratterizzato da un processo di marcata perdita di interesse di
comprendere le ragioni sistemiche della marginalità. Diversi autori hanno messo in luce una tendenza alla
depoliticizzazione dei nuovi professionisti che esprimono minore interesse alle condizioni e sembrano
adattarsi a un clima politico in cui il vecchio concetto di giustizia sociale è relativizzato e posto sotto
pressione.

Molti problemi sociali portati dagli utenti sono collegati a dimensioni e cause di oppressione esterne che
vanno debitamente analizzate e comprese. Per sviluppare il pensiero critico si deve essere in grado di
riconoscere le cause dei fenomeni di oppressione e ingiustizia. Ciò comporta che vi sia una curiosità e una
conoscenza dei fenomeni economici, politici e sociali che possono avere ricadute sulla condizione di
emarginazione.

Gli ass.s. possono tradurre in pratica il pensiero critico, unendo il micro con il macro. Strategie utilizzabili
dal s.s. per modificare le condizioni esterne di oppressione: il networking, il lavoro di comunità e
l'empowerment, attraverso lo sviluppo di risorse e competenze per aiutare i soggetti deboli a individuare gli
elementi che creano oppressione e ad agire per modificarli. A questi modi di esercitare il pensiero critico si
possono aggiungere anche la persuasione degli interlocutori attraverso l'argomentazione, l'advocacy e la
mobilitazione.

LA GIUSTIZIA
Per Kelsen quello di giustizia è un concetto che non può essere trattato solo in modo razionale. Secondo la
moderna teoria utilitarista, la giustizia si realizza quando un sistema istituzionale e sociale riesce a perseguire
la felicità del numero di persone più ampio possibile. Quali beni e servizi abbiano più valore degli altri e
quali meritino di essere soddisfatti sono interrogativi che possono essere affrontati solo attraverso un
richiamo a sistemi di valore. Kelsen dimostra che non sono sufficienti gli argomenti razionali per decidere e
che ci possono essere interpretazioni molto diverse del concetto di giustizia.

L'idea di ingiustizia e oppressione è inculcata in modelli culturali che portano ad arrivare in fretta a un
giudizio. Tuttavia, saper tracciare una linea tra giustizia e ingiustizia non può essere solo il risultato di una
reazione emotiva. Il cambiamento richiede anche una forza politica e progettuale che deriva dalla capacità di
stringere alleanze e mobilitare risorse ì. Per fare ciò, è indispensabile comprendere le complesse questioni di
giustizia e i fattori che le compongono e ne possono diventare leve di trasformazione.

Il messaggio centrale alla base del pensiero critico è la tensione a promuovere la giustizia sociale attraverso
la pratica del s.s. Questo obiettivo è caratterizzato da 4 aspetti principali:
 un riconoscimento che le condizioni macro influiscono su quelle micro dell'esclusione e del disagio sociale;
 l'adozione di un atteggiamento critico nella pratica del s.s.:
 un impegno a contrastare le pratiche autoritative a favore di quelle inclusive e partecipative;
 un lavoro con i soggetti oppressi per promuovere il cambiamento sociale.

STARE NELLE ORGANIZZAZIONI

Una competenza centrale per l'ass.s. è quella organizzativa. La sfida principale della competenza
organizzativa consiste nel maturare l'abilità di negoziare le pratiche ideali del s.s. con le pratiche reali dei
servizi, senza compromettere l'identità e i valori della professione. La competenza organizzativa è la capacità
di produrre risultati utilizzando come risorsa la variabilità del contesto. Il s.s. si svolge all'interno di ambienti
organizzati in base a regole e norme che influenzano il pensiero e il comportamento degli individui.

Gli ambiti di lavoro non sono solo spazi di applicazione di conoscenze acquisite: una parte di apprendimento
è promosso dall'insegnamento, un'altra parte avviene in forma situata, all'interno di ambienti nei quali gli
individui sono coinvolti in attività regolate da norme istituzionali e sociali, sia esplicite che tacite.

ARTEFATTI E STRUMENTI

Gli strumenti utilizzati dall'ass.s. sono gli artefatti. Norman lo definisce come un dispositivo artificiale ideato
dagli esseri umani al fine di gestire l’informazione. L’utilizzo implica sempre un indebolimento di una
capacità funzionale della mente umana. Allo stesso modo, l'uso di procedure e di strumenti di raccolta,
codificazione e valutazione dei dati muta l'approccio al mondo: tali strumenti cambiano i modi non solo di
acquisire ma anche di analizzare la conoscenza e di rappresentare i problemi.

Il punto è che l'utilizzo di uno strumento non è mai neutrale ma determina una mobilitazione delle strutture
cognitive che trasferiscono all'esterno operazioni del piano mentale interno. Contemporaneamente, però,
queste ultime si adattano e si modificano in relazione all'uso dello strumento.

CONTESTI ORGANIZZATIVI

I contesti organizzativi sono costruzioni sociali che mobilitano sistemi di influenzamento dei loro membri,
attraverso processi spesso sottovalutati, che incidono sul pensiero e sul comportamento. Un'altra dimensione,
che mostra come possano condizionare i modelli cognitivi delle persone, è il linguaggio. Ogni
organizzazione utilizza linguaggi specifici per definire i propri obiettivi e le proprie attività operative. Il
linguaggio incorpora significati di cui gli individui si appropriano senza esserne consapevoli.
Quanto più sono sostenuti da schemi e strumenti di lavoro predeterminati, da linguaggi e codici specialistici,
da routine e procedure, tanto più gli ambienti organizzativi svolgono un lavoro costante di ristrutturazione
cognitiva della conoscenza e delle forme di elaborazione e catalogazione della stessa da parte dei propri
membri. Ciò accade a livello visibile ma anche implicitamente, in modo più sottile e pervasivo, attraverso
pratiche, artefatti e linguaggi che modificano il modo di percepire e agire degli individui.

Crozier identifica 4 condizioni in base alle quali gli individui possono diventare attori sociali e attivarsi per
gestire l'incertezza in modo autonomo rispetto alle prescrizioni e ai vincoli delle organizzazioni:
 il possesso di una professionalità specializzata e non sostituibile per risolvere determinati problemi;
 il controllo delle relazioni con l'ambiente;
 la capacità di comunicazione della conoscenza e delle informazioni di cui si detiene il controllo;
 la conoscenza e la comprensione delle norme e delle regole organizzative.

Lipsky, definisce gli street level bureaucrats come i professionisti delle istituzioni pubbliche che lavorano a
contatto con le persone, come gli operatori dei s.s., che gestiscono la fase cruciale in cui le norme e le regole
delle organizzazioni sono tradotte in decisioni concrete per rispondere alla particolarità delle singole
situazioni. Non essendo tali situazioni prevedibili e standardizzabili a priori, e prevedendo una larga parte di
discrezionalità, la soluzione è demandata alle scelte di interpretazione e applicazione delle norme.

CONOSCENZA DI ALTO E BASSO LIVELLO

Le organizzazioni sono sistemi di relazioni. L'unità di base dell'analisi non può essere dunque il solo
comportamento individuale, ma il comportamento in un contesto relazionale. Le organizzazioni sono
costituite da processi e persone che interagiscono e si interfacciano per la soluzione di problemi. Di
conseguenza, nessun professionista, inserito in un'organizzazione complessa, è indipendente: ci possono
essere dei compiti svolti con maggiore autonomia, ma la relazione con il lavoro di altri colleghi è costante e
necessaria.

Bogenriedere e Nooteboom introducono il concetto di conoscenza di basso livello, riferito alle conoscenze
professionali considerate di alto livello. La locuzione di basso livello non assume una accezione di
svalutazione nei confronti della conoscenza specialistica: ha la funzione di ricordare che le conoscenze
basate su competenze professionali specifiche danno luogo a una distanza cognitiva che può essere sia
un'opportunità che ostacolo.

La distanza cognitiva si riferisce all'insieme degli schemi mentali e dei significati taciti ed espliciti attraverso
i quali i professionisti percepiscono i problemi e si approcciano a essi. Una distanza cognitiva è utile ai
professionisti per vedere con relativo distacco il modo di lavorare dei colleghi, cogliendone eventuali errori e
integrandone i limiti. Nelle organizzazioni ogni individuo deve collegare la propria azione a quella di altri.

La prospettiva delle organizzazioni come knowledge systems indica che la conoscenza è prodotta e
trasmessa attraverso interazioni sociali e quindi la conoscenza si colloca a livello di pratiche situate e
partecipate. La letteratura sulla collaborazione individua 3 requisiti per rendere efficace il lavoro comune: la
conoscenza della materia più allargata; la comprensione degli interessi e dei mandati in campo e
comunicazioni adeguate.

LA COLLABORAZIONE

La definizione dell'oggetto comune di lavoro e nella costruzione della visione condivisa può essere
realizzato: con un processo top-down oppure in termini più condivisi. La collaborazione è più efficace se
prende le mosse dalla condivisione dei problemi, si tratta della differenza tra un processo di problem setting,
in cui si delineano i problemi, si discutono i dati, ci si confronta sulle domande e le ipotesi, e il processo di
problem solving, in cui invece si discutono le soluzioni al problema senza essersi confrontati. Un secondo
fattore chiave della collaborazione riguarda la comprensione degli interessi e dei mandati delle persone con
le quali si lavora.

Il terzo fattore della collaborazione è relativo alla comunicazione e alla necessità di utilizzare linguaggi,
argomenti e atteggiamenti basati sulla comprensione reciproca, sul rispetto e sullo spirito di accettazione dei
punti di vista diversi dal proprio. Le rivendicazioni di ruolo non sono un modo di comunicare in grado di
favorire la collaborazione, perché mancano sia di un atteggiamento di ascolto nei confronti dell'altro che
delle argomentazioni necessarie a rendere accettabile e comprensibile la posizione avanzata.

Non è soltanto la competenza professionale e la capacità argomentativa degli ass.s. che può influire sulle
decisioni organizzative. Il reperimento e l'attivazione di risorse nuove rispetto a quelle disponibili, ovvero
contribuendo a creare nuove possibilità di scelta. Questa strategia ricorre ogni qual volta si recuperano
risorse per finanziare progetti che non sarebbero presi in considerazione dai decision makers.

Ragionare solo in termini di comunità professionale all'interno di un'organizzazione possa costituire una
grave limitazione, sia per il riconoscimento che per la valorizzazione della professione. È essenziale
ricordare che quando un individuo entra a far parte di un'organizzazione, l'appartenenza a una comunità
professionale non può esaurire o diventare predominante rispetto all'esigenza di sviluppare un senso di
appartenenza.

L'esistenza di una tensione tra queste due appartenenze, quella professionale e quella organizzativa, è stata
esplorata da diversi studi. Nel s.s. è stata configurata l'esistenza di un doppio legame, mentre oggi si tende a
sottolineare maggiormente l'importanza di tenere in equilibrio i due aspetti del senso di appartenenza
all'organizzazione e del senso di integrità professionale.

PRENDERSI CURA DI SE’

Ogni professione incorpora in sé elementi di stress e fatica. La cura del sé o self care è una competenza
essenziale per ridurre lo stress e migliorare il benessere delle persone implicate in impegni che si
protraggono nel tempo. Il burn-out è una condizione di malessere psicologico ed emotivo in cui ci sono
stress, frustrazione, senso di vuoto e di perdita di controllo della propria vita personale e lavorativo.

Questo concetto è stato introdotto da Freudenberger per descrivere cosa accade a un professionista sociale
che diviene inoperativo. L'esaurimento emotivo è prodotto dalla percezione di richieste eccessive rispetto
alle energie e alle risorse disponibili e causa uno svuotamento di forze e risorse psicologiche ed emotive,
generando la sensazione di non riuscire più a relazionarsi con gli altri, di essere incapaci.

La depersonalizzazione consiste nella messa in atto di atteggiamenti e comportamenti di distacco emotivo,


freddezza e ostilità nei confronti delle persone, delle quali non si riesce più a tollerare la sofferenza. Il ricorso
alle procedure burocratiche è un modo tipico per limitare il coinvolgimento emotivo e l'esito è la presa di
distanza dai bisogni e dalle richieste che dovrebbero essere destinatarie dell'impegno professionale.

Molti professionisti che soffrono di malessere sul posto di lavoro non riescono a sviluppare correttivi utili ad
aumentare i fattori di resilienza o a ridurre il carico emotivo e materiale. In nome del perseguimento degli
ideali, molti professionisti pretendono da sé stessi una dedizione e un sacrificio che può risultare non più
sostenibile. Oltre al senso del dovere, altri aspetti contribuiscono a rendere difficile una individuazione
precoce dei sintomi: la difficoltà di individuare segnali non sempre attribuibili al rapporto con il lavoro, la
mancanza di tempo materiale per pensare a sé stessi e le emergenze continue.

La letteratura individua i fattori correlati con il rischio di malessere. Il primo riguarda le caratteristiche delle
persone alle quali sono rivolti i servizi: lavorare con individui problematici è un fattore collegato ai rischi di
sviluppare malessere. I motivi sono da ricercare nel carico emotivo derivante dal rapportarsi con persone
sofferenti. La frustrazione e il livello di estraniamento tendono a salire anche quando i professionisti devono
rispondere a richieste provenienti da soggetti aggressivi: in questi casi il malessere professionale può
prendere la forma della selezione avversa, ovvero strategie per venire in contatto il meno possibile con i
soggetti.

Un secondo fattore di rischio riguarda le caratteristiche personali degli ass.s. Individui con alta autostima,
estroversione e stabilità emotiva sono meno vulnerabili a stress e burn-out rispetto ad altri. Il concetto di
adaptiveness indica la capacità individuale di ridurre gli stress o almeno di non aggravarli. La capacità
adattiva dipende dall'abilità personale di valutare la controllabilità degli eventi e si caratterizza per tre
dimensioni: giudizio, determinazione e autocontrollo.

Un terzo fattore di rischio è l'età lavorativa. I professionisti più giovani e con minore esperienza, in
particolare, tendono a presentare livelli più alti di burn-out. Il motivo è che, di fronte a problemi complessi,
essi dispongono di minor competenze ed esperienza per sviluppare risposte efficaci. Tuttavia, l'età lavorativa
può trasformarsi anche in un fattore di rischio, nei casi in cui gli ass.s. siano esposti per lungo tempo a
tipologie difficili.

Un quarto fattore è il livello di ambiguità di ruolo e le tensioni collegate alla frizione tra il mandato
professionale, che prevede di rispondere ai bisogni delle persone fragili, e i vincoli normativi e contrattuali,
che limitano l'autonomia decisionale. Un tipico esempio di collocazione di ruolo ambigua è rappresentato
dalla posizione degli ass.s. nei servizi sanitari in cui le logiche dell'organizzazione sanitaria sono
predominanti. In questi servizi, gli ass.s. esercitano un ruolo che richiede una responsabilità professionale e
lo svolgimento di funzioni di controllo che possono collidere con il mandato della professione.

Un'ultima causa di malessere è individuata nel contesto organizzativo. I fattori organizzativi che
contribuiscono a creare condizioni di malessere sono: i carichi di lavoro eccessivi, la carenza di risorse, gli
elevati livelli di turnover, un basso coordinamento e una ridotta comunicazione tra unità organizzative. Altri
elementi sono il clima organizzativo e il riconoscimento che l'organizzazione attribuisce al s.s.

Il clima organizzativo è relativo alle percezioni di benessere relative al sistema delle relazioni organizzative.
Il riconoscimento istituzionale e sociale è un fattore di malessere nella misura in cui i professionisti sentono
di impegnarsi e percepiscono indifferenza, disinteresse oppure mancata comprensione dei loro sforzi.

Tre dimensioni del malessere lavorativo:


 il malessere non prende forma all'improvviso, ma è l'esito di un processo di più lungo respiro;
 riguarda l'insieme di concause che svolgono un ruolo nel generare la condizione di malessere;
 la difficoltà di cogliere la natura del disagio, di dare un nome, nel momento in cui inizia a prendere forma.

I principali sintomi attraverso i quali si manifesta il malessere psicologico ed emotivo lavorativo soono:
 i sintomi fisici come insonnia, cambiamento delle abitudini alimentari, somatizzazioni varie, mal di testa;
 i sintomi psicologici come i cambiamenti di umore, la depressione, la bassa autostima, l'irritabilità;
 le reazioni comportamentali quali le assenze dal lavoro, l'evitamento dei compiti, la
deresponsabilizzazione;
 il cambiamento degli atteggiamenti nei confronti delle persone che chiedono aiuto.

In una prima fase, il malessere lavorativo inizia con la sensazione che recarsi al lavoro in alcuni giorni sia
più difficile che in altri. I sintomi più comuni sono: irritabilità, ansia, affaticamento, bassa attenzione. Nella
seconda i livelli di affaticamento diventano più ricorrenti e influiscono sulle motivazioni lavorative. I segnali
sono perdita di curiosità, bassa autostima, procrastinamento.

L'ultima fase del malessere psicologico ed emotivo è caratterizzata dalla cronicizzazione e acutizzazione dei
sintomi: ciò che in precedenza si riusciva a gestire pur con fatica, in questa fase diventa difficile da
affrontare. Operazioni semplici sembrano impossibili da svolgere e lo stato emotivo e psicologico delle
persone raggiunge un limite di tolleranza e richiede interventi urgenti per essere affrontato. Sintomi comuni
di questa fase sono: pessimismo, depressione, perdita di interesse, mal di testa.
CONTESTO LAVORATIVO

La scelta del posto di lavoro rappresenta un passaggio cruciale per la cura del sé. Alcuni posti di lavoro
richiedono lo svolgimento di compiti fortemente burocratici, altri presentano maggiori opportunità di
sviluppare idee creative; alcuni sono caratterizzati da una accentuata collaborazione tra figure professionali
diverse, mentre altri ancora richiedono un impegno più individuale.

Può succedere che un contesto di lavoro sia inadatto alle caratteristiche e alle motivazioni delle persone e di
questo fattore è opportuno tenere sempre conto per impostare una carriera professionale gratificante. Questo
implica che prima di intraprendere una scelta professionale occorre possedere consapevolezza in merito ai
propri bisogni e operare una valutazione realistica e informata su cosa i contesti lavorativi possano offrire.

Diverse rassegne di letteratura confermano che, tra i principali fattori di riduzione del malessere lavorativo
dei professionisti sociali, tre in particolare sono da annoverare:
 il supporto emotivo e psicologico;
 il sostegno alla capacità di elaborazione e alla riflessività, per dare senso al lavoro e ai problemi
incontrati;
 la qualità delle relazioni professionali e interpersonali

La figura chiave per ottenere supporto emotivo e psicologico è uno specialista che può offrire al soggetto in
stato di malessere chiavi di lettura per diventare consapevole della propria condizione.

Il supporto alla pratica riflessiva serve ad affrontare il senso di scarsa efficacia e di frustrazione, derivante
dal fatto di lavorare con risorse scarse e a contatto con persone fragili e bisognose di aiuto. Colleghi,
conoscenti, familiari sono tutte figure potenzialmente importanti per socializzare uno stato d'animo difficile,
ma per sortire effetti positivi è indispensabile che questi soggetti siano capaci di capire e aiutare le persone in
difficoltà.

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