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Riassunto Bonazzi.
Definita classicamente come: insieme di persone unite formalmente per raggiungere degli
obbiettivi comuni.
1. Persone.
Quante? Che caratteristiche hanno? Hanno un legame concreto? Una coppia, una folla in uno
stadio, passeggeri di un treno… sono organizzazioni?
2. Formalmente costituito.
Possiamo dire che sia una creazione artificiale, non sappiamo quando nasce, soltanto è possibile
formalizzarla.
3. Obbiettivi e fini.
Fine: stato futuro atteso. Quello delle imprese è stato tradizionalmente il profitto.
Cyert e March: le organizzazioni non hanno fini, ma sono gli individui chi ne hanno e ognuno ne
ha di diversi (manager, proprietario, operaio…) raramente esiste una congruenza di fini. Di solito
confondiamo i fini dell’organizzazione con quelli dei suoi attori più importanti
(manager/proprietario).
Se fossero tutte uguali basterebbe studiarne una per capire tutte, ma ognuna ha una
motivazione o leadership diversa: economica, legale, sociale…
Tratti distintivi:
Ogni individuo modifica il proprio comportamento a seconda del ruolo che ha: ogni ruolo
aspetta un comportamento, è una delle premesse di accesso all’organizzazione. Si deve capire
quanto influenza questo ruolo nel comportamento naturale dell’individuo a seconda della
necessità di differenziazione e integrazione dell’organizzazione. È anche importante capire
l’esistenza di legami tra ruoli e diversi gradi di interdipendenza dei quali J. Thompson ne
identifica tre:
Considerazioni finali.
Ferrante e Zan, definizione di organizzazione: forma di azione collettiva e reiterata basata sui
processi di differenziazione e integrazione tendenzialmente stabili e intenzionali (1998).
Atto formale di costituzione: non è necessario un documento, basta mettersi d’accordo, per
tanto basta che ci sia intenzionalità. L’evento che rende le organizzazioni diventare tali è la
previa deliberazione, infatti ci possono essere organizzazioni informali da non confondere con
collettività (per esempio la folla di uno stadio).
Fini organizzativi: Etzioni e Gross (1985) gli definiscono come il risultato della somma dei fini di
tutti i suoi membri e considerano che alcuni sono predominanti. Zan e Ferrante gli considerano
la funzione finale dell’organizzazione.
Sistema dei ruoli: deriva dalla differenziazione, è quel processo dove il manager deve essere
capace di dividere i ruoli e funzioni in un modo efficace (la persona giusta nel ruolo giusto).
L’integrazione che divide questi ruoli può presentarsi in modi diversi: gerarchia, norme…
Il pensiero organizzativo: insieme delle teorie sulle organizzazioni che includono ambiti
disciplinari diversi che guardano l’organizzazione con prospettive diverse. Ci sono due tipi di
contributi:
La OSL pensata da Taylor venne conosciuta come taylorismo. Analizzare oggi il sistema
tayloristico richiede tre punti preliminari.
1. Il successo del metodo ha fatto usare in modo corrente il termino taylorismo: le persone
ne hanno mostrato solo il lato oppressivo e non ne hanno apprezzato il lato
razionalizzatore e progressista. Taylor propone l’OSL nel 1911 dove studia i processi di
lavoro (giornata degli operai) in un contesto di grande potenzialità dell’industria ma con
metodi arcaici di gestione, dove la gerarchia intermedia (capi reparto) assumeva tanto
controllo mediante l’arbitrarietà in un sistema di contrattisti, manodopera poco
qualificata. Mancava la figura del manager e i proprietari erano all’oscuro.
2. L’abbandono delle forme più aspre di taylorismo si accompagna all’attenuarsi del
dibattito sul suo superamento.
3. Intendere che Taylor fosse un ingegnere impegnato in innovazioni tecnologiche che
sviluppò una teoria di management scientifico che non fu ideato soltanto da lui solo ma
da un intero movimento di manager che cercavano un metodo simile.
2. Contesto storico in cui nacque il taylorismo
Momento di contradizione tra le potenzialità produttive alle soglie della produzione di massa e
i metodi arcaici della sua conduzione. Il taylorismo segue tre obbiettivi interconnessi:
All’epoca di Taylor, nella fine dell’800 e inizio del 900, l’industria presentava i requisiti materiali
che permetterebbero la modernizzazione.
Fase matura del macchinismo industriale. Si distinguono tre dimensioni fondamentali per una
produzione industriale moderna: standardizzazione dei prodotti e i mezzi di produzione,
abbassamento dei prezzi per una produzione di larga scala e la specializzazione delle macchine
utensili.
La produzione di massa permetteva una riduzione di costo dei prodotti (e viceversa) consentiva
una espansione praticamente illimitata del mercato.
L’intera gestione del processo produttivo era delegata alle gerarchie intermedi, quasi sempre di
origine operaia (Nelson nel 1975 parla di impero dei capireparto), questi avevano la
La produzione si otteneva mediante il sistema drive system (sistema della spinta): controllo
stretto, abuso, irriverenza e minacce. Gli operai erano continuamente spinti a muoversi più in
fretta e lavorare più duramente.
Era anche molto diffusa la figura dei contrattisti, operai qualificati e di grande esperienza che
lavoravano all’interno delle officine con il doppio ruolo di dipendenti e piccoli imprenditori:
stabilità una quantità di denaro l’impresa forniva i materiali e l’energia mentre i contrattisti si
impegnavano a una quantità di lavoro ad un prezzo fisso ed entro una data stabilita.
Il metodo scientifico permette opporsi all’empiria dei capireparto visto che discende
direttamente dalla direzione generale che deve assumere l’iniziativa strategica di centralizzare
il potere, razionalizzare i metodi produttivi e stabilire una gerarchia.
La nuova concezione teorica riguarda la natura storica del rapporto che lega gli uomini al lavoro.
Finora l’attenzione si è rivolta alla divisione del surplus prodotto con il lavoro, ne deriva un
conflitto tra operai-imprenditori per la divisione di questo surplus. Taylor assicura che esiste la
possibilità di superare questa tensione seguendo la via che marca l’OSL. Trova l’essenza in una
completa rivoluzione mentale: entrambe parti si dimenticano della divisione surplus e
concentrano il loro interesse a aumentarlo tanto che diventerà cosi grosso da non essere più
necessario litigare per la sua divisione. L’abbondanza porterà la fine dei conflitti sociali. Ma per
aumentare la produttività ci vuole un aumento nel rendimento della manodopera e quindi
affidarsi all’OLS.
Taylor identifica tre cause per cui gli uomini non hanno compreso che la via del benessere e del
progresso passa attraverso la collaborazione tra le parti sociali:
A. Errata convinzione che l’aumento della produttività provochi la perdita del lavoro per
un numero notevole di persone.
B. I sistemi imperfetti di organizzazione che costringono a lavorare più lentamente al fine
di conservare i propri interessi. Imputa questo rallentamento all’ignoranza e natura
dell’uomo e agli inadeguati metodi organizzativi.
C. Inefficienza dei metodi empirici.
5. La scienza come via di salvezza. Elementi di un’antropologia tayloriana.
Taylor dichiara capire le ragioni operaie per rallentare la produzione e afferma che in certi casi
sia una forma legittima di difesa contro l’arbitrio sistematico della direzione, anche se dice che
se questi amassero il proprio impiego lavorerebbero con l’intensità necessario per non
costringere la direzione a prendere misure di pressione. Cerca convincere gli imprenditori che
ciò che lui propone è lo strumento più efficace per ottenere dagli operai produzione e consenso.
L’organizzazione può riscattare gli uomini dalla loro naturale pigrizia facendo leva sul desiderio
di maggiore guadagno. Come possiamo sapere che essi non subordineranno l’organizzazione?
Legittimazione etica del capitalismo: gli imprenditori conducono la propria impresa mediante
l’uso del metodo scientifico.
L’obbiettivo del taylorismo è conseguire un aumento della produzione tale de passare a un altro
ordine di grandezza rispetto agli standard precedenti. Quattro principi:
Formulazione originaria dell’MTM (misurare tempi e metodi), dove si misurava ogni azione del
processo produttivo e si analizzava il tempo per realizzarla per calcolare i movimenti inutili che
si mettevano in atto. Si voleva standardizzare il lavoro per progettare il task management e
premiare i lavoratori legando il salario all’esecuzione del lavoro o mediante ricompense
materiali.
Ogni giorno verrà stabilito un ammontare di lavoro esatto che verrà fatto seguendo il ritmo
ottimale di lavoro.
Massima importanza per la regola del “trovare l’uomo giusto pel posto giusto” mediante l’uso
di test psico-fisici che permettano selezionare operai di prima categoria che verranno
adeguatamente addestrati. Vuole evitare l’uso di giornalieri e degli uomini-bue.
Elemento chiave per l’andamento dell’OSL. Taylor fa una diagnosi delle fabbriche tradizionali:
L’unico modo di risolvere la scarsità di uomini con alte capacità di comando è organizzare
l’azienda in modo di restringere le responsabilità dei singoli, cioè aumentare il numero di quadri
intermedi per aumentare l’autorità e restringere i campi di competenza mentre ci si ancora le
prestazioni a norme e procedure prestabilite dalla direzione centrale.
La grande novità, però, è che la gerarchia di tipo militare viene sostituita dalla direzione
funzionale, cioè: gli operai ricevono ordini e sono controllati da diversi superiori, ciascuno dei
quali si occupa di un aspetto del lavoro. Ogni direttivo comunicherà al suo superiore come va
tutto, in modo che le novità/problematiche che arrivino al padrone della fabbrica siano già
filtrate mediante questo principio di eccezione o principio del filtro gerarchico. In questo modo
al livello più basso vi è l’esecuzione materiale della produzione, a livello intermedio l’analisi
dettagliata delle procedure lavorative e la ricerca di possibili miglioramenti tecnici e, il terzo
livello dove troviamo la massima dirigenza, deve occuparsi unicamente della scelta strategica.
Presume che per ogni problema esiste sempre una sola soluzione ottimale raggiungibile soltanto
con l’uso del metodo scientifico di ricerca che dà alla one best way autorità perché è una
soluzione neutrale diventando così un imperativo universale sia per lavoratori che dirigenti.
Fordismo viene usato per prima volta in Germania nel 1924, ispirato nel modello produttivo e
aziendale delle fabbriche Ford basate sul metodo proposto da Taylor (1911), ricercando la
massima efficacia. Ma mentre il taylorismo si fissa sul comportamento dell’individuo e la
meccanizzazione dei movimenti, il fordismo crede che l’abilità sia nella macchina e che l’uomo
agisce secondo i bisogni della macchina.
Il fordismo porta una nuova configurazione sociale con la creazione della società salariale
fordista eliminando l’alta mobilità della manodopera mediante il 5$ a day (specializzazione e
firm specific). Crea un rapporto di dipendenza tra capitale e lavoro, cioè, la sussistenza del
lavoratore dipende dal lavoro che, a sua volta, dipende dall’aumento di capitale.
1. Standardizzazione del prodotto: abbate i costi fissi di produzione, fatto che comporta la
produzione di scala per stimolare un aumento della domanda.
2. La produzione di massa porta un consumo di massa: gli operai diventano i consumatori
e produttori del prodotto. Con l’aumento di stipendio e la riduzione della giornata
lavorativa (8 ore) gli operai hanno le risorse e il tempo per godere del prodotto.
3. Controllo sociale: un nuovo mondo con l’accesso femminile in fabbrica.
4. Introduce il marketing e la pubblicità.
Il fordismo divenne così il sistema autoritario di produzione e si crea una nuova concezione di
fabbrica che modifica le relazioni sociali. Detta gli orari, funzioni e movimenti anche fuori dalla
fabbrica detta, tra altre cose, un nuovo ruolo femminile.
Critica del marxismo sviluppate nella corrente operaia della sociologia del lavoro che considera
il taylorismo un metodo per sfruttare il lavoratore. H. Braverman (1974) lo considera
l’espressione organica del capitalismo monopolistico che determina la tendenza storica verso la
progressiva degradazione tra lavoro umano che passa attraverso la crescente separazione tra
lavoro manuale e lavoro intellettuale. Dalla parte umanistica, G. Friedmann (1946), fondatore
della scuola francese del lavoro, la soluzione ai problemi umani causati dal taylorismo si trova
nella conquista del potere da parte della classe operaia. Tutte le forze imprenditoriali e sociali
devono operare perché il lavoro sia una triplice valorizzazione: intellettuale, morale e sociale.
Il ricorso eccessivo al metodo scientifico non contempla che gli uomini conservano margini non
controllabili di soggettività. M. Crozier (1963) ritiene che l’oggetto di analisi non debba essere
soltanto il lavoro operaio ma quello burocratico.
Punto fondato sulla storicità del movimento al cui vede come un episodio interno al più generale
sviluppo dell’industria e dell’impresa moderna: studia gli effetti che lo sviluppo tecnologico ha
sul lavoro operaio (A. Touraine, 1955), tra l’altro, nell’ambito della teoria della contingenza, si
critica l’esistenza di una sola one best way immutabile e universale.
Primariamente si criticano le lacune che derivano dalla mancata attenzione agli aspetti
psicologici del lavoro:
La seconda critica riferisce la semplicistica antropologia tayloriana che sta alla base dello
scambio tra semplice incentivo monetario ed esecuzione di un lavoro senza senso.
La pretesa di stabilire una soglia standard di fatica valida per tutti contrastava con la scoperta
che la reazione dei soggetti agli stessi sforzi è notevolmente differente. Queste scoperte portano
ad estendere l’analisi al problema della monotonia, intendendo che questa è legata alla fatica.
Wyatt, Fraser e Stock (1929) studiano gli effetti della monotonia è dimostrano che la noia può
evitarsi in due condizioni non etiche: quando il lavoro è provvisto di un alto significato e
responsabilità da concentrare la totale attenzione oppure quando il lavoro è talmente
meccanico da richiedere la minima attenzione. La noia è massima quando il lavoro richiede
attenzione ma è troppo ripetitivo. Propongono 5 metodi per evitare la noia:
Le prime ricerche, conformi allo spirito del scientific management sono un programma di studio
sperimentale sul grado di connessione esistente tra illuminazione e rendimento o produttività
dei lavoratori. Per ciò useranno due gruppi di operaie: uno sperimentale (aumento progressivo
dell’illuminazione) e uno di controllo (mantenendo le condizioni già esistenti). I risultati
disorientano i tecnici della Western: sebbene il gruppo sperimentale aumentò la produttività,
anche lo fece il gruppo di controllo, pel cui avevano dedotto che le operaie interpretavano la
diminuzione della luce come una sfida alle loro capacità. Il risultato di questi sperimenti viene
noto come “Effetto Hawthorne” e si comincia a ipotizzare la rilevanza di altri fattori oltre a quelli
di tipo materiale.
In questo periodo vengono effettuate tre ricerche: sui fattori che favoriscono il rendimento
operaio, sui motivi di lamentela e di soddisfazione, sui fattori di solidarietà o antagonismo
informale.
1. Primo esperimento: Fattori formali e informali nel rendimento operaio. Montaggio dei
relè.
Lo scopo fu accertare se i fattori più efficaci nello stimolare il rendimento operaio erano di natura
economica oppure di natura psico-sociale, cioè miglioramenti di natura psicosociale o delle
condizioni materiali. Il gruppo era stato formato da 6 operaie (cinque addette al montaggio e
una addetta al rifornimento dei materiali) che vennero spostate in un locale apposito con tavoli
di lavoro muniti di un congegno per la registrazione automatica dei relè prodotti, a loro ci si unì
una osservatrice in rappresentanza della direzione che aveva due funzioni: registrare quanto
avveniva nella sala e favorire un’atmosfera cordiale nel gruppo. Il cottimo venne modificato,
sarebbe stato calcolato sulla produzione. L’esperimento fu articolato in tredici periodi ognuno
caratterizzato da una modifica dell’orario.
Alla conclusione dell’esperimento gli esperti assicurano che la produzione media oraria sia
aumentata circa il 30% (passando da 2400 relè/settimana in condizioni normali a 3000 nella
dodicesima settimana) ma tale aumento era avvenuto in un modo lento e continuo senza
correlazione stretta alle modifiche introdotte. La spiegazione fornita dai ricercatori era che
l’elemento più capace di spiegare il maggior rendimento è la creazione di affiatamento tra le
operaie e la cooperazione tra esse e il supervisore, un secondo fattore era anche l’incentivo
economico del gruppo ha avuto certo effetto, anche se modesto, per ultimo l’effetto derivato
dall’introduzione delle pause di riposo fu positivo, ma non troppo importante.
Ci sono però importanti critiche al lavoro di Mayo dovuto a certe scorrettezze di metodo e
orientamento preconcetto: si sottovaluta la sostituzione iniziale di due operaie dopo otto mesi,
l’adozione di parametri e misurazione diversi, l’influenza di fattori esterni in forma di crisi
economica (1929) e l’orientamento preconcetto delle analisi (gli autori respingono le ipotesi non
gradite e accettano quelle predilette).
Dopo queste critiche si conclude che il 97% delle variazione di produzione vanno imputate (in
ordine di maggiore a minore importanza) a: gli interventi disciplinari del management, gli effetti
del crack del ’29, l’introduzione delle pause di riposo.
I risultati che ne derivano, però, sono poco utili per l’azienda dovuto alla prevalenza di commenti
negativi, specialmente relativi ai bassi salari, la stretta sorveglianza, gli orari e lo stato disagevole
degli armadietti, si verificano infatti sintomi di scarsa integrazione degli operai. Questo è stato
il motivo di critica al metodo, si intende che l’impresa soltanto cercasse le soddisfazioni.
Delle tre ricerche è quella più corretta a livello metodologico. Lo scopo della ricerca era verificare
le dinamiche informali di un piccolo gruppo di lavoro rispetto all’attività produttiva mediante
l’osservazione di un gruppo sperimentale di 14 operai addetti al montaggio dei quadri telefonici,
questo derivava dalle conclusioni dei primi due sperimenti che suggerivano l’importanza dei
gruppi informali che, peraltro, non ha sempre conseguenze positive per la produzione potendo
rallentare intenzionalmente la produzione stessa fissando la produttività dei singoli operai.
Scoprono che le attività dei lavoratori sono regolate da norme informali che prescrivevano
solidarietà interna:
Osservano anche che nello stesso gruppo ci sono sottogruppi: quello centrale, composto da
coloro che si uniformavano alla norma e uno marginale di operai che non riuscivano a tenere i
ritmi di produzione. I risultati che ne derivano di questo studio sono:
Mayo sottolinea la necessità di una visione più completa del rapporto uomo-azienda che
recuperi il fattore umano, cioè il complesso dei fattori psicologici latenti che condizionano il
comportamento manifesto dei soggetti. Molti aspetti della condotta umana non possono essere
spiegati in termini logici e richiedono il ricorso a fattori alogici, di natura emozionale. Partendo
da questa idea possiamo affermare che una maggiore attenzione dell’azienda alle esigenze
psicologiche dei soggetti può essere più efficace per il rendimento lavorativo che un aumento
della remunerazione, il fattore umano viene soddisfatto con la creazione di un ambiente di
lavoro socialmente gradevole.
L’uomo di Mayo non è un individuo isolato (come ipotizza Taylor) ma possiede una dimensione
sociale in cui si radica la struttura psico-emotiva della sua personalità.
Per Mayo la società industriale è turbata da crisi e tensioni (delinquenza, alcoolismo…) ossia
espressioni della medesima disgregazione sociale e morale che negli anni ’30 colpiva gli USA. Per
spiegare questi fenomeni si affida al concetto di anomia (Durkheim): condizione di allentamento
delle norme morali che regolano il funzionamento sociale, si manifesta quando il primitivo
ordine sociale viene alterato da fenomeni innovativi come la brusca introduzione di nuovi
metodi di produzione.
La società non anomica tipicamente è una comunità piccola dove i membri hanno una chiara
identità sociale, conoscono il proprio ruolo e le tappe che questo ha. In questo tipo di società gli
interessi individuali non contrastano con quelli generali. Questo modo di vivere è stato distrutto
con l’industrializzazione del mondo moderno, è stato il costo sociale e morale a pagare dovuto
alla visione degli imprenditori fissata nella finalità economica. Il rimedio che Mayo trova è quello
di tornare a istituzioni secondarie dotare di forti funzioni integratici (quella più tipica era la
fabbrica), scartando l’intervento pubblico statale. Bisogna impegnarsi in programmi sociali
destinati a allontanare gli operai da tentazioni conflittuali, permettendo sviluppare una
relazione emozionale con la fabbrica: attività integrative, servizi…
Con gli esperimenti nella Western Electric si apre l’interesse per precisare il significato e
connessione tra le principali variabili poste in luce dalle ricerche Hawthorne: il morale dei
dipendenti, le motivazioni al lavoro, le relazioni informali, i fattori psico-sociologici di
integrazione e conflitto. Più tardi, infatti, viene messa in crisi da successive indagini l’esistenza
di una connessione positiva tra morale e rendimento.
Nei decenni centrali del S.XX il progresso tecnologico si manifestò in processi di crescente
meccanizzazione intensiva, queste innovazioni portarono certi cambi nel controllo del lavoro
umano: aumentò la rigidità ed integrazione delle varie fasi del flusso produttivo con il
conseguente spostamento dell’attenzione al mantenimento della massima regolarità produttiva
e, in secondo luogo, il declino del cottimo individuale e la comparsa di cottimi collettivi di
squadra. Queste tendenze significano il superamento di due prescrizioni del taylorismo, cioè:
l’incorporazione nelle macchine di tempi e modi di esecuzione attenuava la necessità di ricorrere
alla pura disciplina gerarchica come mezzo di controllo; dall’altro lato il lavoro di squadra prevale
su quello solitario, fatto che andava d’accordo con la proposta umanistica di creare gruppi
armonici di lavoro.
Altro punto importante era l’insistenza sull’importanza dei rapporti informali, affinare la
sensibilità psicologica dei quadri intermedi per sapere ascoltare. Di fronte alla
spersonalizzazione del processo produttivo è urgente che il manager recuperi il consenso
operaio puntando sulla personalizzazione dei rapporti gerarchici di officina.
Barnard scrive nel 1938 La funzione del dirigente dove cerca mostrare, mediante la parabola del
masso, la transizione dallo sforzo individuale a quello cooperativo, ossia la creazione di
organizzazioni formali mettendosi una domanda: come è possibile che persone tra loro estranee
creino un’organizzazione?. L’uomo è caratterizzato dal fatto di proporsi degli scopi per
trasformare l’ambiente in cui vive ma che sperimenta continuamente l’esistenza di limiti, ma nel
momento in cui cominciano a cooperare per conseguire fini comuni, gli uomini entrano in una
realtà sociale qualitativamente diversa da quella definita dal loro agire isolato, entrano nelle
realtà di organizzazioni formali. L’ambizione di Barnard è sviluppare una teoria valida per
qualsiasi tipo di organizzazione: il fine organizzativo non è mai uguale alla somma dei movimenti
individuali, le nuove persone accetteranno di cooperare solamente se otterranno una
ricompensa maggiore.
La parabola del masso: «Un uomo sta viaggiando su una strada isolata. Ad un certo punto, egli
si imbatte in un grande masso che gli impedisce di proseguire il cammino. La prima soluzione
possibile è tentare di spostare il sasso da solo. Se il masso è talmente grande da non poterlo fare,
il nostro uomo potrebbe aspettare che arrivi qualche altro viandante per rimuoverlo insieme.
Potrebbe accadere che, nonostante siano arrivati altri individui, essi non riescano a spostare il
masso e qualcuno decida di tornare indietro senza proseguire. Dopo aver vagliato varie ipotesi,
alcuni decidono di chiedere aiuto ad un contadino che guida il trattore in un campo vicino. Egli,
però, non ha alcun interesse a spostare il masso, fino a quando i viandanti non decidono di
offrirgli una somma di denaro.»
Nel caso della parabola, l’elemento informale si distingue nella comunicazione tra le persone,
mentre quelli formali si verificano quando decidono cooperare. Se uniamo la comunicazione con
la cooperazione possiamo generare un’organizzazione mediante un sistema cooperativo.
Nel momento in cui il fine comune viene perseguite tramite l’organizzazione formale diventa il
fine organizzazione e da esso vanno analiticamente distinti i moventi per cui gli uomini
partecipano all’organizzazione. Strettamente parlando, per Barnard il fine dell’organizzazione
non ha alcun significato per l’individuo, ma a lui importa la relazione che ha con l’organizzazione,
questa deve incentivarlo per seguire il fine organizzativo.
Dalla distinzione tra fini organizzativi e movimenti individuali consegue che non si può limitare
a perseguire soltanto i fini impersonali dell’organizzazione, ma che vanno tenuti presenti anche
i movimenti dei singoli. Ogni singolo è dotato di una duplica personalità: quella organizzativa
(modalità delle sue prestazioni) e quella individuale (l’equilibrio tra il suo contributo
all’organizzazione e i benefici che ne ricava).
3. Efficacia ed efficienza.
Per efficacia intende la misura in cui l’organizzazione raggiunge i propri obbiettivi, definita dal
grado con cui essa coordina le risorse umane e tecnologiche per garantire quelle specifiche
prestazioni. Barnard non assume il profitto come fine ma la produzione di un dato bene o
servizio.
Con efficienza intende la misura in cui si soddisfano le motivazioni individuali a far parte di un
sistema cooperativo: retribuzioni, profitti, gratificazioni morali… che si traggono dal cooperare.
Efficienza ed efficacia sono due dimensioni del sistema cooperativo che non sono
necessariamente correlate, tra entrambe di solito ci sono tensioni e dilemmi.
Per prima volta si parla di incentivi, materiali e non, per motivare al lavoratore. Barnard infatti
da tanto valore a quelli non materiali (gratificazioni morali, stima…) per cambiare il desiderio dei
lavoratori mediante iniziative di persuasione fino che gli incentivi diventino adeguati.
Ricorre alla terminologia di “economia del rapporto tra contributi ed incentivi” (W. Pareto) che
stabilisce che le soddisfazioni che inducono un uomo a contribuire con i suoi sforzi ad una
organizzazione derivano dal confronto fra i vantaggi positivi e gli svantaggi che comporta”.
Non parla soltanto della gradevolezza psicologica dei rapporti informali, ma anche quella
fondata sulla dimensione morale dell’agire collettivo. Considera infatti che quando le necessità
sono soddisfatte, la pura forza degli incentivi materiali è estremamente debole, l’efficienza
significa dare denaro fino al punto in cui diventa di maggior valore per il datore di lavoro e di
minimo valore per il dipendente.
L’uomo di Barnard calcola, giudica e confronta, oggetto dei suoi giudizi, il significato complessivo
che ricava dalla cooperazione e i benefici materiali. Per affrontare l’obiezione che un sistema
cooperativo ha bisogno per sopravvivere ed espandersi di una somma di risorse il cui valore
economico sia superiore alla somma degli incentivi distribuiti, Barnard usa l’economia degli
incentivi.
5. La teoria dell’autorità.
Quanto più l’autorità è discreta, di basso profilo, conforme a procedure e rituali, maggiori sono
le sue probabilità di essere accettata e di raggiungere i suoi obiettivi. Non richiede l’uso di forza
o coercizione, deve essere capace di comunicare e comandare secondo un codice di valori
riconosciuti.
L’autorità non risiede nell’occupare una posizione gerarchicamente superiore ma nel fatto che i
sottoposti riconoscono un carattere di ordine alle comunicazioni che arrivano da certe posizioni.
Per essere efficace, gli ordini de parte dell’autorità devono essere:
• Le linee di autorità devono essere chiaramente stabilite per fare capire l’ordine.
• Il contenuto dell’ordine non deve contrastare con i fini generali.
• Il contenuto deve essere compatibile con gli interessi individuali.
• Gli individui a cui si dirige l’ordine devono essere in grado di seguirlo.
5.2. L’oggetto dell’autorità: estensione delle aree di disponibilità.
L’oggetto su cui si esercita l’autorità nella distinzione tra fini dell’organizzazione e moventi
dell’individuo. Il traguardo dunque è quello di gestire il rapporto tra contributi e incentivi in
modo tale che i sottoposti allarghino la sfera della propria disponibilità ad obbedire ai comandi
che servono agli scopi dell’organizzazione. Possiamo introdurre il concetto di area di
indifferenza, ovvero la disponibilità ad eseguire degli ordini in modo indiscutibile, più ampia è
più efficace rende al sistema di autorità, per tanto più ampia è l’efficienza, più ampia diventa
l’area di indifferenza.
Su questo versante Barnard si distingue dalla Scuola delle Relazioni Umane. Mentre la Scuola
afferma che la creazione di un clima sociale gradevole ha per scopo di ottenere l’adesione
emotiva dei dipendenti ai fini dell’impresa, Barnard elabora una teoria più sottile: l’agire
cooperativo si fonda sul primato degli incentivi morali; tale primato non conduce a sussumere i
movimenti individuali ai fini, bisogna riconoscere che gli individui hanno spazi privati e lealtà
molteplici, che si sottraggono alla dimensione esclusiva di un’organizzazione.
Assicurare che le comunicazioni fluiscano e costruire una struttura generale di ruoli e collocarvi
persone adatte a garantire il flusso ottimale delle comunicazioni.
Un buon dirigente è quello chiamato il dirigente in grigio: garantisce l’equilibrio attraverso atti
discreti e poco visibili con una personalità caratterizzata dal senso di responsabilità e coerenza
rispetto ai valori e principi dell’organizzazione.
Capiamo dunque per responsabilità direttiva la capacità dei leaders che li obbliga a legare la
volontà degli uomini alla realizzazione di fini che vanno oltre i loro fini immediati.
Barnard affronta anche l’avvento dei manager-non proprietari: mediatore tra proprietà e
lavoratori in ricerca di consenso piuttosto che di decisioni autocratiche, per potere scontrarsi
con entrambe parti ha bisogno di una legittimazione per portare avanti, con autonomia, le sue
decisioni.
LEZIONE 6. Max Weber (1864-1920): la burocrazia come apparato del potere legale.
Sociologo tedesco che scrive le sue opere più rilevanti tra 1903-1920. Il suo analisi è
contemporaneo a quello di Taylor ma in un ambiente sociale e culturale diverso, quello delle
scienze sociali europee. Il suo metodo consiste nell’elaborazione di tipi ideali, derivati
dall’osservazione dei fenomeni storici attraverso un processo di astrazione, e la loro
proposizione come modelli di riferimento per la conoscenza della realtà. Una seconda differenza
con Taylor l’ambito di applicazione: mentre il taylorismo osserva l’industria, Weber mette in
primo luogo l’organizzazione degli apparati amministrativi.
Lo scopo di fondo è la risposta che Weber da alla domanda “quale deve essere l’oggetto e lo
scopo di conoscenza delle scienze storico-sociali, e quale metodo devono adottare?”. I positivisti
sostenevano ricondurre le scienze sociali al grande modello delle scienze naturali in modo da
scoprire leggi universali. Gli storicisti, invece, sostenevano che tutto ciò non è possibile perché
non esistono leggi del divenire umano.
Di fronte a questo dibattito Weber rifiuta le tesi positiviste ma vuole riformulare radicalmente
quella delle tesi storicistiche. Non solo non esistono leggi universali della storia umana ma non
è neppure fondato privilegiare alcune sfere dell’attività umana indicandole come capaci di
spiegare in ogni caso ciò che avviene in altre sfere, come per esempio fa il marxismo con
l’economia.
Rifiuto al positivismo di Durkheim: secondo Durkheim la società va considerata come una realtà
morale che viene prima dei singoli individui, la sociologia deve studiare i fatti sociali come se
fossero esterni e indipendenti delle coscienze individuali.
Rifiuto delle conclusioni storiciste: affermano che il carattere irripetibile dei fenomeni umani
nega la possibilità di generalizzazioni e di confronti e negano alla sociologia uno spazio
autonomo rispetto alle discipline storiografiche.
Weber sostiene che sia possibile pervenire a delle conoscenze basate su generalizzazioni e
confronti sistematici e studiare le influenze, e connessioni, che esistano tra ogni fenomeno
sociale.
Oggetto della sociologia è l’agire dotato di senso: l’atteggiamento umano a cui l’individuo che
agisce attribuisce un suo senso soggettivo, in riferimenti all’atteggiamento di altri individui. La
sociologia deve essere una conoscenza scientifica, empiricamente verificabile e dotata di
significati generali cuoi scopo sia comprendere e spiegare l’agire sociale in modo da pervenire a
conclusioni il più oggettive possibili. Comprendere e spiegare devono integrarsi in un unico
processo di spiegazione comprendente facendo riferimento alle cause oggettive che possono
avere indotto gli individui ad agire in un dato modo e motivazioni soggettive che gli individui
danno al loro agire.
Non sono oggetto di interesse sociologico le azioni umane prive di senso intenzionato nei
confronti di altri individui. L’oggetto è l’agire sociale dotato di senso, Weber studia i fondamenti
di questo agire:
• L’agire razionale rispetto allo scopo: il soggetto agisce in un modo razionale al fine di
conseguire un determinato scopo nel mondo esterno. Lo scopo viene perseguito con
costanza e metodo, valutando i costi che comporta.
• L’agire razionale rispetto al valore: il soggetto è determinato dalla credenza consapevole
di un determinato valore in sé che viene testimoniato nell’agire indipendentemente
dalle conseguenze che ne possono derivare. Il soggetto agisce razionalmente
accettando tutti i rischi.
• L’agire affettivamente: determinato da impulsi, emozioni e stato d’animo per soddisfare
un bisogno.
• L’agire tradizionalmente: in base ad un’abitudine. Reazione a stimoli abitudinari.
Questi tipi di agire non formano una classificazione rigida, sono distinzioni analitiche: sono tipi
ideali. L’agire razionale rispetto allo scopo può essere anche del tutto irrazionale.
3. Il tipo ideale.
storico si presenta il compito di constatare in ogni caso singolo la maggiore o minore distanza
della realtà da quel quadro ideale.
Dobbiamo capire che il tipo ideale non è una media statistica, ma un concetto eminentemente
qualitativo, non serve a scopi classificatori e non è un modello morale.
Nella sua purezza concettuale questo quadro non può mai essere rintracciato empiricamente
nella realtà; esso è un’utopia, e al lavoro storico si presenta il compito di constatare in ogni caso
singolo la maggiore o minore distanza della realtà da quel quadro ideale.
• Potere carismatico: fa leva sulle emozioni, il carisma è una qualità eccezionale attribuita
ad una persona che viene riconosciuta come capo.
• Potere tradizionale: basata sulla storia e la tradizione. Il potere è una carica ereditata.
• Potere legale: il potere si legittima mediante la legge. Democrazia.
Questo modello viene favorito nelle società moderne dove lo sviluppo di una economia
monetaria e l’esistenza di problemi tecnici di carattere pratico ne hanno provocato la sua
necessità e utilità.
Merton studia tra 1940 e 1960 la società piuttosto che il singolo usando modelli alternativi a
quello democratico. È un funzionalista che non cerca teorie generali della società ma teorie di
mezzo raggio (Taylo ne cerca di breve e Weber di largo). Propone una limitata revisione del
funzionalismo: non crede che ci sia una funzione per una istituzione, ogni azione può avere varie
istituzioni. Si considera un funzionalista debole.
Durante il periodo tra 1940 e 1960 ci sono diversi studi sulle ambivalenze della burocrazia e sulle
sue conseguenze inattese. Queste analisi sono caratterizzate da un doppio revisionismo.
Il paradigma egemonico della sociologico nella sociologia nordamericana a metà del XX secolo,
il funzionalismo, ha le sue origini nell’opera di Durkheim (1895) che aveva teorizzato la necessità
di:
• Considerare i fatti sociali come cose dotate di potere di coercizione sulla condotta dei
singoli individui (oggettivizzazione della società).
• Distinguere tra la causa del fenomeno e la funzione sociale al di là delle intenzioni e dalle
rappresentazione dei soggetti.
• Concepire la società come un sistema: ogni mutamento in una parte si riverbera sulle
altre.
• Visione organicistica della società: un sistema sociale unitario composto da parti
interdipendenti, con un funzionamento in qualche modo assimilabile agli organismi
biologici.
Questo modello teorico consentiva considerare riti, cerimonie, religione… come componenti
organiche del sistema sociale necessarie per mantenerlo in vita con i suoi equilibri interni.
Talcott Parsons.
Opera una assunzione “debole” delle tesi funzionaliste, costruendo tesi di medio raggio formate
da una serie di ipotesi molto specifiche da verificare con metodo empirico su una gamma
limitata di fenomeni. Formulare ipotesi di medio raggio è porre l’analisi sul rapporto tra teoria e
ricerca empirica. Rifiuto di una teoria generale, ci deve essere sempre una interazione attiva tra
teoria e ricerca sul campo. La ricerca svolge quattro funzioni nei confronti della teoria: suscitarla,
riformularla, riorientarla e chiarificarla. La teoria invece retroagisce sulla ricerca fornendola di
ipotesi di lavoro da verificare sul campo.
Rifiuta l’unità funzionale della società che assume che le funzioni assunte da una data istituzione
sono sempre omogenee e diffuse nell’intero sistema sociale. Merton pensa che la società non
può considerarsi un organismo vivente in cui le parti sono tutte interconnesse, l’integrazione
varia col tempo.
Il secondo postulato è quello del funzionalismo universale secondo cui ogni istituzione
consolidata svolge necessariamente una funzione dentro della società. Non c’è sempre una
corrispondenza biunivoca.
Il terzo punto della critica di Merton proclama una corrispondenza necessaria e biunivoca tra
istituzioni e funzioni, ma uno stesso elemento o istituzione può avere diverse funzioni.
L’analisi delle funzioni manifeste delle organizzazioni sociali (come ad es. le istituzioni pubbliche)
caratterizza frequentemente gli studi commissionati allo scienziato sociale, che dà un
importante contributo nel mettere in luce e valutare le conseguenze di determinati fenomeni •
È però l’analisi delle funzioni latenti che caratterizza l’attività dell’intellettuale “libero”, e che
maggiormente può aiutare al miglioramento della società e del suo funzionamento: – Funzione
critica e illuministica: scoprire aspetti non noti della società e andare oltre il senso comune per
una costruttiva critica sociale e per un aumento della consapevolezza.
Le conseguenze note e volute sono le funzioni manifeste, quelle non volute e non note sono le
funzioni latenti.
Dice Merton: “sono funzioni manifeste quelle conseguenze oggettive che contribuiscono
all’adattamento e adeguamento del sistema, le quali sono volute e ammesse dai membri che
fanno parte del sistema. Correlativamente sono funzioni latenti quelle conseguenze oggettive
che non sono volute né ammesse”.
Il concetto di funzioni latenti serve a Merton per spiegare le disfunzioni della burocrazia:
2. Ritualismo burocratico (adesione alla regola fine a se stessa): fedeltà alla norma
perdendo il fine dell’organizzazione, il funzionario pensa che il fine dell’organizzazione
sia la norma stessa.
La funzione manifesta iniziale, cioè, l’adesione alle regole come mezzo per garantire
l’imparzialità di trattamento diventa fine a se stessa generando un processo di “trasposizione
delle mete”.
Secondo Weber i funzionari hanno coscienza che un destino comune gli unisce, con limitata
competizione interna e minima lotta interna. La funzione manifesta che ne deriva è che lo spirito
di corpo dovrebbe generare lealtà verso il proprio ufficio e verso l’organizzazione nel suo
complesso mentre l’orgoglio di mestiere dovrebbe scoraggiare atteggiamenti opportunistici e
spingere al servizio verso i cittadini. Le funzioni latenti possono essere suddivise in due:
• Spirito di corpo: i burocrati difendono i propri interessi piuttosto che assistere gli utenti.
• Orgoglio di mestiere: resistenza ai mutamenti della prassi stabilita percepiti come
imposti dall’esterno.
4. Contrastanti aspettative di burocrazia e utenza.
Gouldner si colloca nella corrente progressista e liberal della sociologia americana, adotta un
funzionalismo critico che lo rende sensibile ad individuare le funzioni latenti di provvedimenti,
norme e istituzioni. Rispetto a Merton, Gouldner da un passo avanti nel processo di revisione
critica del modello weberiano di burocrazia: non si limita a identificare e analizzare i limiti e
conseguenze inattese del modello ma cerca dimostrare che il modello unitario burocratico
weberiano è mina da una contraddizione insanabile tra i principi di disciplina e di competenza,
per cui conviene abbandonarlo e pervenire ad una pluralità di modelli. Il suo oggetto di indagine
sono una miniera e una fabbrica di gesso dove vengono studiati i rapporti tra minatori, operai,
gerarchia intermedia e dirigenza.
Secondo Weber l’efficacia delle norme significa che queste sono instaurate per imposizione
oppure per consenso. Me è proprio l’alternativa tra imposizione e consenso a determinare
regole differenti per ottenere l’efficacia delle norme e, quindi, produrre modelli diversi a quello
burocratico (Gouldner). Weber cercava di delineare un modello sui principi della gerarchia e la
competenza professionale, cosciente che la compresenza di entrambi può portare tensioni.
Gouldner crede che queste tensioni possano creare problemi interiori e conseguenze
sociologiche. Una persona preposta ad un ruolo che comporta alte competenze e responsabilità
tende a comportarsi con l’autonomia derivante, un intervento esterno sarà visto come una
interferenza che possa minacciare questa autonomia.
Non in tutte le organizzazione esiste il dilemma tra l’agire di propria iniziativa ed il seguire la
prescrizione non adeguata proveniente dal superiore gerarchico: situazioni caratterizzate da una
forte professionalità in cui il principio di competenza è istituzionalmente riconosciuto come
superiore a quello di disciplina (esempio: medicina). Questa differenza di situazioni lavorative
suggerisce l’opportunità di abbandonare l’ipotesi di Weber di un modello burocratico uniforme.
1948: azienda dove vi ci lavorano 225 persone (150 nei reparti di superficie e 75 nella miniera).
Gouldner vi ci arriva giusto dopo la morte del direttore Dough e con l’arrivo di un direttore
giovane chiamato Peele.
Dough: modello di indulgenza. Antico miniere senza titolo di studi che capiva come funzionava
la fabbrica e i suoi lavoratori: esisteva un ambiente sociale ristretto dove tutti si conoscevano.
Mai aveva licenziato nessuno, l’orario non andava rispettato (si lavorava per obbiettivi),
movimento dentro della stessa azienda a livello professionale… tutto era regolato da Dough
mediante un tratto amichevole. I risultati sono scadenti con perdite, ma non troppo elevate. La
sede centrale non conosce questo modello.
Peele: stabilisce orari, controllo del personale, richiamo disciplinare. È un modello burocratico e
stabislice, dunque, una gerarchia che provoca l’ostilità operaia (fronte comune) che provoca il
fallimento totale del modello. i
Dopo questi scarsi risultati Peele decide prendere una nuova strada, alterò i criteri di
promozione, in questo modo sapeva di crearsi altre inimicizie da parte delle persone scavalcata
ma, allo stesso tempo, la gratitudine e solidarietà dei beneficiati. L’occasione per allargare il
nucleo si presentò con l’arrivo di nuovo macchinario: col preteso delle nuove necessità derivate
dallo sviluppo tecnologico licenziò i capi più ostili.
Il successo della battaglia di Peele non fu completo. Verificò una sconfitta quando tentò di
burocratizzare la miniera perché le ragioni tecniche e sociali ne impedivano la razionalizzazione:
i minatori e gli operai formavano due gruppi sociali molto diversi, infatti i minatori disprezzavano
chi lavorava in superficie. I minatori erano un gruppo compatto in modo estremo con forte
solidarietà interna e una forte organizzazione informale. Diffidavano il progresso e avevano un
rispetto quasi mitico per i puntellatori, la gerarchia formale, pur essendoci, era ignorata: hanno
riti di iniziazione e prendono decisioni autonome sul suo orario e i giorni di lavoro (dopo 3-4
giorni di lavoro, si riposava uno). Sapevano essere gli unici con le conoscenze tecniche per
realizzare il suo lavoro.
Per raddirizzare la situazione, Peele pensò di adottare gli stessi metodi provati con successo in
superficie ma fallisce clamorosamente: i minatori promossi non accettarono la promozione
oppure non la contraccambiarono nel modo aspettato da Peele. I motivi furono chiari: le
competenze tecniche necessarie per realizzare quel lavoro gli davano un vantaggio essenziale,
la profonda solidarietà tra minatori e il disprezzo alle regole gerarchiche.
Gouldner esamina le situazioni diverse e perché il modello di Peele fallisce in uno scenario e ha
esito nell’altro arrivando a una conclusione: le norme non hanno funzioni e obiettivi universali,
ma possono richiedere l’esercizio di funzioni diverse in base alle diverse situazioni. Ricordiamo
che Gouldner rimarcava che nelle situazioni con forte professionalità (miniera) in cui le
competenze sono ufficialmente riconosciute prevale la competenza, mentre in quelle più povere
di contenuti professionali (fabbrica) il principio di gerarchia è quello che si impone.
Gouldner si pone la domanda: “in che modo una dirigenza può combattere l’apatia dei
dipendenti ed ottenere da loro la quantità e la qualità prevista dal lavoro? La risposta più
semplice è instaurare una rigida supervisione, ma questa non è sufficiente perché richiede un
controllo continuo e non farebbe che demotivare i dipendenti che la vedrebbero come una
punizione. Per rompere questo cerchio vizioso, si ricorre alle norme, stabilite con lo scopo di
garantire sufficiente certezza nell’esecuzione del lavoro subalterno. Le sue funzioni manifeste
sono:
1. Funzioni esplicative: sostituiscono con precisione gli ordini personali diretti. Rendono
esplicito il compito dei lavoratori e precisano il suo rapporto coi superiori.
2. Funzioni di schermo: evitano la ripetizione di ordini da parte dei superiori.
3. Funzioni di controllo a distanza: consentono di esercitare una supervisione indiretta e
pubblica, eliminando controlli personali che potrebbero essere arbitrari.
4. Funzioni di legittimazione delle punizioni: consentono di rendere prevedibili e
spersonalizzare le sanzioni inflitte in caso di infrazione.
Ponendo la distinzione tra norme operanti per coercizione e norme operanti per consenso con
la dicotomia tra dirigenza e dipendenti (capendo che e norme possono nascere anche su
iniziativa dei dipendenti oppure essere imposte da autorità esterne alla fabbrica), Gouldner
individua tre principali modelli normativi burocratici:
locali di lavoro. Questa indifferenza svolgeva due funzioni latenti: rafforzò la solidarietà
tra direzione ed operai ed una funzione di deriva per stare più attenti ad altre norme.
2. Burocrazia rappresentativa: quando dirigenti e operai concordano nell’osservare norme
determinate come, per esempio, la norme anti-infortunistiche, di conseguenza le
tensioni nascevano dalla mancata osservanza a queste norme da una delle due parti.
3. Burocrazia impositiva: si verifica quando le norme sono imposte da una parte contro
l’altra. È la situazione potenzialmente più conflittuale perché il rispetto della norma può
essere ottenuto soltanto attraverso sanzioni disciplinari (direzione), oppure la minaccia
di agitazioni (dipendenti).
8. Conclusioni. Modello razionale e modello naturale.
1. Versante del dibattito sulla burocrazia: sforzo per il superamento del paradigma di
Weber individuando una pluralità di modelli adeguati ad interpretare la crescente
complessità organizzativa.
2. Versante del dibattito industrialistico: il modello di Gouldner cerca di leggere
l’intrecciarsi di collaborazione e antagonismo nel quotidiano funzionamento di
un’organizzazione di diverse teorie (marxismo, scuola delle RU…) mediante un modello
parsimonioso spiegato ricorrendo alla molteplicità delle norme che regolano il lavoro
organizzato.
3. Pone le basi per una analisi che vada al di là del modello razionale meccanico, nel quale
l’organizzazione è strumento per raggiungere scopi in base a criteri di razionalità ed
efficienza. A questo verrà contrapposto il modello naturale sistemico nel quale la
realizzazione di scopi dichiarati è uno dei molti bisogni da soddisfare, ed il principio di
razionalità è solo una delle possibili risposte cumulative con cui il sistema si adatta
all’ambiente.
LEZIONE 10 E 11. Michel Crozier (1922-2013): sistema burocratico e strategie degli attori.
Crozier è un sociologo francese che fonda il Centre de Sociologie des Organisations, società di
grande importanza specialmente nei 1960’s. Nel 1963 pubblica Le phénomène bureaucratique,
un’analisi “clinica” di due importanti amministrazioni pubbliche durante gli anni ‘50- ’60: un
Istituto di contabilità del Ministero delle Finanze e un Monopolio di produzione dei tabacchi.
Non considera le disfunzioni della burocrazia solo come effetti inattesi di un modello, ma le vede
come componente fondamentale di un modello gestionale errato, statico e incapace di cambiare
Per capire i funzionamenti della burocrazia bisogna tener conto delle strategie dei soggetti
all’interno dell’organizzazione, una frase rivelatrice del suo pensiero è: “l’uomo non è soltanto
un braccio e non è soltanto un cuore. L’uomo è una mente, un progetto, una libertà.”
Crozier si domanda cosa significa dal punto di vista della logica dell’azione sociale il passaggio da
un mondo di piccoli imprenditori, dominato dall’incertezza, ad un mondo di grandi unità
economiche più stabili e capaci di previsioni a lunga scadenza. Si interessa in particolare alla
sicurezza, la regolarità, l’impersonalità del funzionamento. Per ciò sceglie organizzazioni dove
questi tratti sono sviluppati al massimo: enti della pubblica amministrazione. Allora si domanda:
come funzionano? Quali rapporti sociali esistono? Ci sono ambizioni, strategie? Possibilità di
cambiare e adattarsi alle novità della società esterna?
Il personale era quasi tutto femminile e il lavoro era estremamente regolare, omogeneo e
autonomo: ogni gruppo compie ogni giorno le stesse operazioni senza bisogno di cooperare con
altri gruppi e i carichi di lavoro sono definiti. I compiti della dirigenza sono molto limitati:
garantire la regolarità del servizio e far osservare la disciplina, ripartire i carichi di lavoro e
segnalare al Ministero le necessità dell’istituto. Il dominio delle regole impersonali, con poche
tensioni aperte ma anche poche occasioni di comunicazione e contatto sociale provocano:
L’intento di Crozier è costruire un modello teorico del fenomeno burocratico dove gli aspetti
presentati fossero il risultato tra i vincoli posti dal sistema e le logiche di azione dei soggetti.
Compie un’analisi in termini di potere dei rapporti sociali trovati nelle due organizzazioni.
L’esercizio di potere, distinto dall’autorità formale, è sempre personale. Il sistema dei
regolamenti crea inattesi rapporti tra le persone che vanno visti come termini di potere.
Per comprendere questo punto, partiamo dalle considerazioni di Crozier sul taylorismo. Il
taylorismo è un progetto razionalistico integrale in base al quale ogni gesto produttivamente
rilevante deve essere standardizzando secondo la one best way, il taylorismo si presenta come
la burocrazia perfetta. Ma è anche un’utopia: se ci fosse questa one best way il comportamento
di ogni membro diventerebbe del tutto prevedibile, non ci sarebbe nessun mezzo per farsi valere
nell’ambito dell’organizzazione, nessun mezzo per negoziare la sua partecipazione , neppure
rischio di essere obbligato a cedere alle pressioni (formali o informali). Se il taylorismo fosse
realizzato la discrezionalità sarebbe soppressa: ogni persona avrebbe un percorso
predeterminato da compiere, le scelte sarebbero abolite. Nella realtà esistono sempre margini
dovuti all’imponderabile, situazioni in cui le procedure previste non sono sufficienti e,
soprattutto, gli esseri umani non sono sempre riconducibili a comportamenti predeterminati.
Quanto avviene nel monopolio industriale (tabacchi) è significativo: da un lato regna l’ideologia
razionalistica di eliminare ogni rapporto di potere personale, regole precise; ma dall’altro nelle
aree come la manutenzione il comportamento degli addetti non è prevedibile e si è sviluppato
una rete di negoziazioni e pressioni interpersonali. Crozier fonda la possibilità di una sociologia
dell’iniziativa umana nelle grandi organizzazioni: imprevedibilità, liberta e anche potere. Più
rigida è la gabbia burocratica più quelli che sfuggono alla predeterminazione assumono libertà
e potere.
Questa definizione ha una rilevante conseguenza teorica: lascia alle spalle la concezione
weberiana di potere come possibilità legittimata di ottenere obbedienza. Il potere è
essenzialmente scelta, iniziativa, strategia, possibilità di condizionare il comportamento altrui al
di fuori delle regole previste.
La definizione di potere di Crozier consente di spiegare motivi e dinamiche delle lotte di potere
all’interno delle organizzazioni, ossia lotte per conquistare o mantenere il controllo delle forti di
incertezza. Quanto maggiore sia il livello di carenza di razionalizzazione maggiori saranno gli
scontri. Più incerta è la regolamentazione di un ruolo, maggiore è il potere del soggetto che
occupa quel ruolo. Queste lotte vengono avvengono in situazioni altamente strutturate, dove
esistono dei vincoli e regole sottointese, vincoli che attenuano l’asprezza delle lotte: quanto
meno un’organizzazione ha bisogno di competere per garantirsi la sopravvivenza meno
importanti sono le poste in gioco nelle lotte di potere.
Nella lotta per il controllo dei margini di incertezza si sviluppano condotte strategiche. Per
comprendere ciò che avviene non basta la scuola classica. L’analisi strategiche (mente, progetto,
libertà) è un’analisi adeguata delle condotte umane nelle organizzazioni.
Crozier osserva che l’incapacità di trasformarsi non è una conseguenza inattesa ma una
prerogativa accettata e intrinseca al modo di essere della burocrazia.
È costruita in modo da non avere al suo interno nessuno strumento istituzionale per potere
correggersi. Di conseguenza le pressioni per il cambiamento sono paradossalmente destinate a
provocare solo ulteriori rigidità, Il sistema burocratico tende a rispondere alle lotte di potere
tramite un aumento delle norme ed alimenta un circolo vizioso.
Circolo vizioso: inefficienza derivante da lotte interne di potere →aumento delle norme →
meccanismi di difesa della propria discrezionalità →inefficienza derivante da lotte interne di
potere→…
Per Crozier ci sono 4 aspetti costanti in ogni burocrazia pubblica, che provocano distacco,
frustrazione…:
La dirigenza non ha né gli strumenti né la cultura o potere per cambiare, rinvia i problemi a livelli
gerarchici superiori che conoscono il problema soltanto per via indiretta e reagiscono con nuove
norme contro ogni tipo di favoritismo. Nell’assenza di una politica che favorisca il
decentramento decisionale, le difficoltà di funzionamento del sistema sono sfruttate dagli
individui e dai gruppi per migliorare la loro posizione nella lotta per il potere all’interno
dell’organizzazione.
La risposta a questo problema è, dunque, che il cambiamento burocratico può arrivare soltanto
con l’avvenimento di una crisi traumatica e rara che paralizzi il funzionamento normale e che
liberi tensioni e inaspettati modelli di azione e di potere. Crozier considera la crisi il solo mezzo
per giungere gli adattamenti necessari.
Crozier si domanda se i risultati ottenuti hanno una validità generale oppure si limitano a
rispecchiare la specificità francese, si chiede, dunque, quali sono i rapporti tra organizzazione
burocratica e contesto culturale.
Selznick è un funzionalista critico, afferma che ogni organizzazione per sopravvivere deve
soddisfare alcuni bisogni fondamentali (avvicinamento a Parsons) e che il compito della
sociologia è quello di studiare le conseguenze inattese che si generano nel soddisfacimento di
questi bisogni (avvicinamento a Merton). Selznick si differenzia da Crozier nel fatto di individuare
le origini del processo degenerativo non nelle strategie dei singoli soggetti operanti all’interno
delle organizzazioni, bensì nell’azione di centri di potere esterni.
Tema centrale dell’opera di Selznick è lo studio dei meccanismi degenerativi nel funzionamento
delle organizzazioni , le scelte orientate alla tutela dello strumento piuttosto che al
perseguimento dei fini.
Per Selznick il contesto esterno è l’insieme dei centri di potere che condizionano le strategie.
Ricerca compiuta tra il 1942 e 1943 riguardante il successo e i limiti dell’azione compiuta dalla
Tennessee Valley Authority (TVA) nel programma di opere pubbliche nella valle del Tennesse,
esplorò il materiale disponibile negli archivi e fece interviste in profondità con diverse decine di
persone, dai dirigenti e dal personale della TVA ai maggiorenti locali. Questa è inserita nel new
deal del presidente Roosevelt per riprendere l’economia del paese dopo il crack del ’29. Nasce
investita di poteri pubblici ma provvista della flessibilità e dell’iniziativa di un’impresa privata,
aveva il fine di pianificare più adeguatamente la conservazione e lo sviluppo delle risorse naturali
del bacino di drenaggio del Tennessee e del territorio contiguo, per il benessere economico e
sociale della popolazione. Alla TVA fu affidata la costruzione di dighe, centrali elettriche,
produzione/distribuzione di fertilizzanti a basso prezzo, assistenza tecnica ed economica ad
agricoltori, promozione di scuole professionali e di centri di vita sociale. La TVA doveva
comportarsi con la libertà di una impresa privata ma senza assumere la massimizzazione del
profitto come criterio dominante della sua azione. Queste caratteristiche cosi specifiche si
ritenevano una concorrenza sleale da parte dei produttori locali di fertilizzanti. Nel suo intento
di realizzazione di opere pubbliche per il miglioramento delle condizioni di vita locali, la dirigenza
TVA si trovò nella necessità di sviluppare una strategia per superare le opposizioni e conquistare
la fiducia degli enti locali. Il suo manifesto ideologico, dunque, cercava la collaborazione in nome
degli interessi della popolazione.
La TVA decise perseguire una politica basata su due caposaldi: dare una grande autonomia
decisionale ai suoi dipartimenti interni decentralizzandone le strutture sul territorio e sviluppare
un fitto reticolo di relazioni con gli organismi locali. La collaborazione con le istituzioni legate alla
popolazione locale doveva diventare il manifesto ideologico della TVA: l’ente doveva adattarsi
non tanto alla popolazione in genere, quanto alle istituzioni effettivamente esistenti che hanno
il potere di spianarle o sbarrare le strade (Selznick), in altre parole, la TVA doveva scegliere con
chi schierarsi.
Mentre quella formale trova facile legittimazione in base ad elementi già rinvenibili
nell’ideologia dell’organizzazione, quella informale contraddice quasi sempre i valori e gli
orientamenti ideologici dichiarati. La distinzione tra cooptazione formale e informale è lo
strumento con cui Selznick sviluppa l’esame delle iniziative palesi e dei compromessi nascosti
che la TVA compì nella sua azione nel Tennessee. Non tardarono in prendere forza le cooptazioni
informali ad opera delle pressioni esercitate dalla lobby dei grandi proprietari terrieri
imponendo un’estensione minima all’ampiezza delle proprietà agricole da agevolare e di
conseguenza una soglia minima nel consumo di fertilizzanti.
I progressivi compromessi con le fonti locali di potere provocarono una tale involuzione della
TVA da porla in contrasto con altri enti federali. Mentre la parte tecnica fu compiuta secondo le
previsioni, quella sociale diede luogo a conseguenze impreviste: l’ideologia localista con cui la
TVA si preoccupò di legittimare la sua linea di condotta portò l’ente a mettersi in contrasto con
altri organi federali e vi fu un decentramento decisionale, per ultimo la difesa della democrazia
localista condusse a cooptazioni formali delle associazioni locali e cooptazioni informali delle
lobby.
Le risultanze dalla ricerca sulla TVA sono oggetto di riflessione teorica nel saggio Foundations of
theory of organizations (1948). In questo scritto Selznick presenta un modello teorico valido per
tutte le organizzazioni formali dotate di burocrazia interna. I passaggi fondamentali del
ragionamento sono:
1. Ipotesi di lavoro che tutte le organizzazioni formali sono plasmate da forze tangenziali
alle loro strutture razionalmente costruite per raggiungere determinati scopi. Le forze
tangenziali sono di duplice origine: interna all’organizzazione in quanto provengono dai
soggetti che vi lavorano e non vogliono essere usati come pezzi o esterna sviluppate da
enti e soggetti dell’ambiente circostante (quelle più comuni).
2. Analisi dell’organizzazione in termini strutturalfunzionali. Questo deve partire dal
presupposto che l’organizzazione per sopravvivere deve soddisfare alcuni bisogni
fondamentali dei quali Selznick ne identifica cinque:
a. Sicurezza dei confini dell’organizzazione nei confronti delle forze operanti
all’esterno.
b. Stabilità delle linee di autorità e di comunicazione.
c. Stabilità delle relazioni informali interne.
d. Continuità della politica e delle fonti che la definiscono.
e. L’omogeneità dell’immagine con riferimenti al significato e al ruolo della sua
azione.
3. L’adattamento dell’organizzazione va esaminato in rapporto al grado e al modo in cui
vengono soddisfatti i bisogni suddetti. Da un lato gli imperativi di sopravvivenza
impongono all’organizzazione un continuo processo di adattamento alle forze
tangenziali, dall’altro tale adattamento non può essere illimitato.
4. Una delle fonti più tipiche di tensioni si trova nella “recalcitranza dei mezzi di azione”.
L’organizzazione viene vista come uno strumento indispensabile per raggiungere un
obbiettivo, e al contempo come uno strumento imperfetto che deforma l’obbiettivo a
cui tende. La conseguenza di ciò è lo sviluppo di conseguenze inattese.
L’acquisto di una identità permette alle organizzazioni essere riconosciute come fonte diretta di
gratificazioni personali e come veicoli di integrazione di gruppo. tuttavia non sono due realtà
concrete che si contrappongono potendo coesistere nel medesimo ente concreto.
LEZIONE 14. Cultura, significato e risorse: approcci duri e approcci morbidi alle organizzazioni.
Verso le metà dei ’70 un senso di disagio cominciò a diffondersi nella comunità scientifica degli
studiosi di organizzazione. La teoria delle contingenze era divenuta il paradigma dominante
eppure i metodi si sofisticavano e il fronte delle indagini si allargava provocando che fosse
minore il valore aggiunto delle ricerche. Tendenza delle grandi imprese a passare da strumenti
di controllo classici (burocratici) a nuovi strumenti più raffinati basati sull’interiorizzazione e
adesione dei dispendenti ai valori e obiettivi delle aziende. Prime critiche ai risultati delle
ricerche basate sulle teorie delle contingenze: molti dati, ottime metodologie, ma le conoscenze
sui nessi tra struttura e ambiente non sempre chiare, Non tengono conto dei margini di
discrezionalità delle scelte manageriali.
Le ricerche sulle contingenze si erano sviluppate sul presupposto che fosse possibile individuare
delle connessioni strutturali “dure” e necessitate al di là delle strategie umane. Ma ora la
debolezza dei risultati raccolti obbligava a fare autocritica e riconoscere che anche i fattori a
prima vista più oggettivi sono in larga parte il prodotto di scelte e convinzioni umane (Child),
queste conclusioni ripropongono l’importanza della soggettività dell’azione.
Una seconda sfida agli approcci duri proveniva dai frequenti confronti tra le diverse culture
nazionali. Quanto più si sviluppa un processo di industrializzazione, tanto più le strutture
organizzative tendono a omogeneizzarsi in tutti i paesi. Questa tesi della convergenza
tendenziale accese un gran dibattito, è stata criticata decisamente da una ricerca di stabilimenti
di proprietà giapponese negli USA (Ouchi e Wilkins, 1985) dove risultava che tanto gli
stabilimenti con maggioranza di personale giapponese quanto quelli con maggioranza
americana avevano strutture organizzative simili.
Per disegnare la mappa di quel movimenti possiamo incrociare due dimensioni concettuali:
l’asse oggetto/soggetto distingue due sociologie: le prime cercano spiegare ordinamenti sociali
e condotte individuali partendo da un insieme di fattori sociali oggettivi. Le seconde invece,
ricostruire l’ordine sociale in cui i soggetti sono coinvolti partendo dal senso che i soggetti
conferiscono al proprio agire.
L’asse risorse/materiali è composto dalle sociologie che privilegiano i fattori materiali come
principale fonte di spiegazione dei fenomeni sociali e quelle che privilegiano invece i fattori
simbolici.
Sociologie che individuano nelle norme morali e culturali il fondamento dell’ordine sociale e la
spiegazione delle condotte individuali. Durkheim e Parsons. Pensiero organizzativo: attenzione
sulla cultura organizzativa vista come la principale fonte di spiegazione dei fenomeni
organizzativi.
Mettono al centro della riflessione l’attività del soggetto nella costruzione sociale della realtà e
nel conferimento di senso al proprio agire. Pensiero organizzativo: attenzione sui processi
cognitivi e sul conferimento di senso da parte dei soggetti.
Casella 3.
Sociologie che spiegano l’assetto della società in base ad alcune caratteristiche strutturali
(marxismo)
Casella 4.
Sociologie orientate alle scelte degli attori nel perseguire ciò che essi ritengono i propri interessi.
Possiamo chiamare approcci morbidi quelli che sono nelle caselle 1 e 2 in quanto centrati su
aspetti culturali e cognitivi e duri quelli nelle caselle 3 e 4 centrati su fattori e interessi materiali.
Schein (1984-1985) ha l’idea centrale che l’analisi di un’organizzazione consiste nello studiare la
sua cultura, questo consente spiegarne la struttura, strategie, reclutamento e la condotta dei
singoli. Siccome la cultura è creata dai leader, cultura e leadership possono vedersi come le due
facce della stessa moneta.
Schein fornisce alcune indicazioni di metodo su come andare alla scoperta degli assunti di base
di un’organizzazione. Queste riguardano campi come il rapporto con la natura :di sfruttamento,
di rispetto o di armonia. La percezione del tempo: ciclico, di continui ritorni su se stesso… gli
assunti si combinano variamente tra di loro dando luogo a dei sistemi di convinzioni articolati e
complessi. Un requisito fondamentale che devono soddisfare e quello della coerenza interna, le
incoerenze e contraddizioni portano a sfiducia, tensioni, scetticismo e cinismo, la coerenza
interna non significa che in un’organizzazione debba esistere un solo sistema di convinzione.
Una cultura non è fatta di idee astratte, ma di risposte a dei problemi concreti che occorreva
risolvere, inventando o scoprendo soluzioni che poi diventano oggetto di apprendimento da
parte dei nuovi membri del gruppo. la validità delle risposte non è data soltanto dall’efficacia
nel risolvere i problemi ma anche dal grado in cui riducono l’ansia dei membri, questo aiuta a
spiegare gli aspetti ritualistici e simbolici. Schein distingue due grandi categorie di problemi:
Questi problemi hanno la specificità che riflette la storia dell’organizzazione e l’ambiente in cui
opera. Per affrontarli l’organizzazione sviluppa degli assunti che devono funzionare abbastanza
bene da potere considerarsi validi, questi assunti formano la cultura dell’organizzazione e hanno
due aspetti vitali: la cultura è sempre il risultato finale di un processo basato sulla ripetizione del
successo e ciò porta a dare certe cose come scontate; e, in secondo luogo, gli assunti non
garantiscono un funzionamento perfetto e definitivo ma ricordando la razionalità limitata di
Simon : sono perfettibili e si evolvono continuamente.
Secondo Schein la cultura è continuamente in formazione perché è sempre in atto qualche tipo
di apprendimento. Si crea così una tensione tra l’esigenza di conservare il patrimonio degli
assunti formatisi con l’esperienza precedente e l’esigenza di verificarli e adattarli alle novità,
questa gestione deve essere compito del manager. La trasmissione può essere delicata e
complessa se i nuovi membri portano con se idee e valori già acquisiti in altre sperienze, in questi
casi i cambiamenti possono essere portati da questi nuovi membri. L’analisi della natura della
cultura dunque deve essere integrata da un approccio che metta a fuoco tre aspetti:
Le decisioni prese senza avere consapevolezza delle forze culturali in atto possono produrre
conseguenze inattese e indesiderate.
Qualche lezione di cultura da Atari, Apple, IBM, DEC, Procter & Gamble e Acme Insurance.
Caso Atari: nuovo CEO formatosi nel marketing. Crede che è necessario un sistema di incentivi
individuali e di avanzamento di carriera in un’impresa con un gruppo di ingegneri e
programmatori organizzati in modo generico il cui lavoro era così apparentemente
disorganizzato da rendere impossibile stabilire chi ricompensare per cosa. CEO impiantò chiare
responsabilità individuali e un sistema di premi; identificazione dell’impiegato del mese. Questo
provoca la demoralizzazione del personale e alcuni ingegneri abbandonano l’impresa: la
collaborazione non strutturata era l’essenza della creatività.
Caso Apple: John Sculley provò a ottenere il rispetto della cultura tecnica ma non vi riuscì. Caso
simile a quelli della Atari.
Caso Acme Insurance: conseguenze di un cambiamento tecnologico senza che si siano analizzati
i vincoli posti dalla cultura. . Una grande compagnia assicurativa decise di accrescere la propria
competitività divenendo rapidamente un'azienda paperless: tutte le maggiori transazioni
avrebbero dovuto essere eseguite, nel prossimo futuro, via computer. Per realizzare questo
cambiamento, venne assunta una manager del settore informatico. Aveva l’obbiettivo di
insegnare allo staff il nuovo sistema nel giro di un anno. non era al corrente del fatto che, allo
stesso tempo, la compagnia stava dando inizio a intensi sforzi produttivi, che mandavano ai
collaboratori il segnale che il lavoro dovesse essere svolto normalmente e che, in aggiunta,
dovessero anche riuscire a farsi carico della formazione. Il risultato fu che la formazione si svolse
fuori dalle ore lavorative, senza entusiasmo. Il risultato dopo un anno fu l’instaurazione del
modello paperless ma con uno staff talmente mal addestrato che necessita più tempo per usare
il computer che la carta.
Quando ci sono fusioni (o simili) in grandi organizzazioni il tema culturale è un problema a cui
prestare attenzione prima di creare la nuova organizzazione. Ci sono 3 strade possibili:
1. Culture separate.
Fare che le culture rimangano separate in conglomerati che permettono alle società controllate
di mantenere la propria identità specifica. Le culture devono essere allineata, lavorando con
obbiettivi che non siano opposti l’uno con l’altro.
2. Cultura dominante.
In alcuni casi è esplicito, per esempio quando un’impresa ne acquisisce un’altra. Una cultura è
sempre dominante, ma in realtà può rimanere nascosta per un certo tempo a causa della
retorica.
3. Commistione di culture.
Le giovani organizzazioni sono anche tipicamente sotto il controllo del proprio fondatore, il che
significa che la loro cultura è grosso modo il riflesso delle sue convinzioni e dei suoi valori.
Un’organizzazione di mezza età può essere pensata come se avesse avuto parecchie generazioni
di manager professionisti incaricati dai comitati esterni, i cui membri sono di solito in debito con
diversi azionisti. Con ogni probabilità una tale organizzazione evolve verso unità multiple basate
sulle funzioni, i prodotti, i mercati o le geografie e queste unità sviluppano verosimilmente le
loro subculture. Pertanto il problema della cultura nelle organizzazioni di mezza età è triplice:
1. Come mantenere quegli elementi della cultura che continuano a essere adattabili e collegati
al successo dell’organizzazione
3. Come identificare e cambiare quegli elementi culturali che potrebbero divenire via via meno
funzionali a causa del cambiamento delle condizioni dell’ambiente esterno.
Quando le imprese invecchiano, se non si evolvono, non si adattano e non cambiano gli elementi
della loro cultura, divengono via via meno adatte e la cultura diviene un limite all’imparare e al
cambiare. La dirigenza si aggrappa a quello che una volta ha avuto successo. Il processo di
trasformazione è sostanzialmente lo stesso nelle imprese di mezza età in salute, ma il tempo
richiesto e la quantità di cambiamenti necessari spesso affrettano il ricorso a misure drastiche
(svolte).
1. Artefatti.
Livello più immediato di osservazione quando si entra in un’organizzazione: quello che si vede,
si ascolta e si prova quando si va in giro. la cultura è molto chiara e ha un immediato impatto
emotivo. Ma non si sa veramente perché i membri dell’organizzazione si comportino in questo
modo e perché ogni organizzazione sia costruita così.
2. Valori dichiarati.
Scavare più a fondo significa cominciare a fare domande sulle cose che hanno valore per
l’organizzazione. Perché si agisce in un certo modo? Perché la Action crea spazi aperti negli uffici
mentre la Multi colloca tutti dietro porte chiuse? Valori, i principi, l’etica, la visione…
Per comprendere il livello più profondo, si deve pensare a queste organizzazioni con una
prospettiva storica. L’essenza della cultura è costituita da valori, convinzioni e assunti imparati
insieme che divengono comuni e dati per scontati mentre l’impresa continua ad avere successo
risultato di un processo congiunto di apprendimento che in origine erano soltanto nella mente
del fondatore e dei leader. Diventano comuni e scontati solo quando i nuovi membri
dell’organizzazione comprendono che sono state le convinzioni, i valori e gli assunti dei loro
fondatori a condurre al successo organizzativo, e che quindi devono essere “giusti”.
Ciò che realmente guida la cultura sono gli assunti acquisiti, condivisi e taciti su cui la gente basa
il proprio comportamento quotidiano. La vita diviene prevedibile e acquista un significato, ma
fare il percorso inverso è molto difficile: non si possono dedurre gli assunti solo dall’osservazione
del comportamento. Se davvero si vuole comprendere la cultura, si deve cominciare un processo
che comporta l’osservazione sistematica e il parlare con i dipendenti per poter rendere espliciti
gli assunti taciti.
Conclusioni.