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Esame completo Economia e

Gestione delle Imprese


Economia e Gestione Delle Imprese
L'Università degli Studi di Napoli Parthenope
110 pag.

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Impresa

L’impresa può definirsi ‘’un sistema socio-tecnico di tipo aperto’’.Ma che cos’è un
sistema?
La prima cosa è che dobbiamo distinguere il concetto di sistema dal concetto di insieme,
perché l’insieme è un aggregato di elementi.L’insieme può essere costituito anche da un
unico elemento, quindi o da 0 o da 1 o più elementi, ma l’insieme è un semplice aggregato di
elementi.Quello che fa di un insieme un sistema è:
1.Quando abbiamo una pluralità di elementi, che nell’impresa sono l’elemento umano e i
mezzi tecnici;
2.L’interazione e la comunicazione tra le parti, c’è quindi una relazione di interdipendenza
reciproca tra queste componenti;
3.Interagiscono perché questa interazione è finalizzata al conseguimento di fini comuni,
stabiliti da un centro decisionale.
La cosa fondamentale è che il sistema deve necessariamente avere dei fini comuni
altrimenti avremo un sistema in disequilibrio poiché perderebbe il suo carattere di
sistematicità.
Perchè è aperto? Perché interagisce con un ambiente di riferimento.Il sistema chiuso è un
sistema che non interagisce con l'ambiente esterno e trova al suo interno le ragioni di
legittimazione e le modalità di sussistenza al proprio interno, non ha bisogno di trarre nulla
dall’ambiente esterno e di fare scambi con l’ambiente esterno.
Quindi è un sistema che interagisce con un ambiente di riferimento,quindi l’impresa è un
sistema aperto perché ha una serie di interazioni.Interazioni significa avere input ma anche
fornire input, quindi un reciproco condizionamento.
Che cos’è l’ambiente esterno all’impresa?
L’ambiente esterno sono tutte le condizioni, i soggetti e le forze che sono all’esterno
dell’impresa però lo distinguiamo in macroambiente (detto anche generale) e microambiente
(detto anche transazionale o competitivo).
L’ambiente esterno al livello macro è l’insieme di condizioni sociali, demografiche,
politiche e sociali a contorno all’attività dell’impresa.
L'ambiente micro è invece più a diretto contatto e controllo con l’attività dell’impresa e che
poi più incide sulla redditività dell’impresa perché all’interno del microambiente ci sono
soggetti e forze che incidono più direttamente sull’attività dell'impresa, sulle quali l'impresa
ha la possibilità di avere un rapporto molto più dialettico, di interdipendenza e di
condizionamento reciproco, diversamente dal macroambiente generale dove l'impresa è
certamente meno possibilitata ad incidere su questi elementi.

L’approccio sistemico viene definito come:’’ terza via tra riduzionismo ed olismo’’.Per
capire questo lo facciamo attraverso una rappresentazione grafica (slide).In cui abbiamo 2
rappresentazioni grafiche di 2 sistemi (a e b).Dal punto di vista grafico la differenza è che i
singoli componenti sono in grassetto mentre invece le relazioni o i legami sono con la linea
tratteggiata.Nel sistema b vediamo che non c’è più il tratteggio nei legami tra i singoli
componenti ma sono tutte linee marcate, il tratteggio invece lo troviamo nell’identificazione
dei singoli componenti.Che cosa vuole dire questa rappresentazione grafica?
Secondo un approccio riduzionistico o analitico, il nostro scopo è quello di ottimizzare i
singoli componenti.Secondo una visione Olistica significa vedere il complesso nel suo
insieme,vedere con una prospettiva più ampia l’intero sistema.

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Perché l'approccio sistemico è una terza via? Significa che una soluzione compromissoria,
che non disdegna né una visione analitica delle singole componenti e neanche una visione
del complesso, del suo insieme.
Quindi secondo l’approccio analitico riduzionistico ognuno di queste funzioni mira ad
ottimizzare sé stessa, secondo invece l’approccio sistemico è che per ottimizzare l'impresa
noi non possiamo sempre cercare di ottimizzare anche le sue singole componenti perché
ottimizzare il sistema nel suo complesso potrebbe anche portarci a allontanarci dalle
condizioni di ottimizzazione delle singole componenti, e l’ottimizzazione di un sistema nel
suo complesso è sempre la somma di ottimizzazioni parziali?
No, non sempre.Quando ciò accade è favorevole questa situazione perché significa che per
ottimizzare il tutto massimizzare i risultati del sistema posso passare attraverso la
massimizzazione dei risultati e delle sue singole componenti, ma certe volte non è possibile
perché questi trade-off sono naturali.
Allora cosa dobbiamo cercare?
Ottimizzare l’impresa nel suo complesso alcune volte significa non riuscire ad ottimizzare
totalmente le singole componenti, quindi dobbiamo trovare un punto di equilibrio tra
esigenze contrapposte, quindi guidare un sistema significa guidare le relazioni che esistono
tra questi soggetti, ciò implica che noi possiamo anche allontanarci da una ottimizzazione
parziale delle singole componenti.

Che tipo di sistema riusciamo ad individuare nell’impresa?


Individuiamo 4 tipi di sistema all’interno dell’impresa, l'impresa è al contempo tutte queste 4
cose.
-E’ innanzitutto un sistema economico, l’impresa è rivolta al soddisfacimento di bisogni
umani attraverso una trasformazione economica di risorse limitate;
-Un sistema sociale, perché è un sistema che distribuisce ricchezza tra tutti i soggetti che
partecipano all’attività dell’impresa (esempio lavoratori,finanziatori,fornitori ecc…).E’ un
sistema sociale anche perché concorre allo sviluppo della società, ad accrescere il
benessere sociale ed ambientale, ad affermare determinati valori etici condivisi;
-Sistema patrimoniale, ossia un complesso di beni organizzato al fine di produrre un reddito
che remuneri l'investimento di capitali e l’assunzione del rischio imprenditoriale.
-Sistema culturale , l’impresa contribuisce all'accrescimento delle conoscenze ed incide sui
modelli di vita, sui modelli culturali di un popolo.
La cosa importante però è che l’impresa non è creatrice di ricchezza non soltanto a favore
dell’imprenditore, ma l’impresa è un'entità organizzata di un sistema economico e sociale e
quindi tutti quelli che partecipano a questa attività dell’impresa hanno un'aspettativa legittima
di avere remunerato e di partecipare alla distribuzione della ricchezza creata alla quale loro
hanno contribuito a determinare.
Quindi l’impresa la possiamo definire come:’’L’impresa può definirsi come
l’organizzazione economica, costituita da un complesso di interlocutori interni ed
esterni e realizzano beni e servizi allo scopo di creare e distribuire valore per tutti i
suoi partecipanti’’.

Equilibrio d’impresa
Quando parliamo di equilibrio d’impresa parliamo di equilibrio economico, equilibrio
finanziario ed equilibrio organizzativo.
-Quando parliamo di equilibrio economico, si ha un profitto che non solo copre tutti i costi
ma mi remunera anche dal rischio imprenditoriale che ho assunto.Questo profitto deve

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essere tale certamente da remunerare tutti i fattori di produzione (i costi), ma anche da
remunerare il compenso per l’assunzione del rischio imprenditoriale e anche per l’attività
imprenditoriale.Ma anche di trattenere (una parte di questa ricchezza creata) per le esigenze
di sviluppo, di prosecuzione, di reinvestimento all’interno dell’azienda per quell’attività per
svilupparla e per migliorarla.
-Equilibrio finanziario posto che noi per finanziare l’attività o ricorriamo a capitale proprio o
a capitale di terzi, dobbiamo avere un rapporto tra capitale proprio e capitale di terzo che sia
coerente con il tipo di investimenti che facciamo.Quindi il concetto di equilibrio finanziario è
la più adeguata composizione tra le fonti e gli impieghi.Gli impieghi possono essere
consolidati (immobilizzazioni) oppure correnti, anche le fonti possono essere o consolidate o
correnti.Nel concetto di equilibrio finanziario c’è anche un concetto di equilibrio monetario,
monetario fa riferimento semplicemente ad entrate ed uscite, flussi in entrata e flussi in
uscita;
-Equilibrio organizzativo significa quando l'organizzazione è in equilibrio.L’organizzazione
fa riferimento alle funzioni, ai soggetti, agli uomini, alle relazioni tra gli uomini quindi da un
punto di vista organizzativo noi possiamo far riferimento o alle funzioni o alle attività che si
svolgono oppure alle risorse umane e alle relazioni tra i soggetti tra le risorse umane.Prima
ancora di poter pensare e conseguire un equilibrio economico e finanziario noi dobbiamo
garantirci che la nostra organizzazione sia una situazione di equilibrio.
Perché se la nostra organizzazione intesa sia come attività funzioni, sia come soggetti e
quindi dinamiche sociali interpersonali tra gli uomini non stanno in equilibrio noi non avremo
mai efficienza, efficacia, capacità di rispondere ai mercati, di produrre beni, di sopportare
costi bassi, di ottimizzare i processi.Quindi se non abbiamo un equilibrio da un punto di vista
dell’organizzazione, noi non avremo neanche grandi chance di avere ottimi risultati da un
punto di vista economico e finanziario.

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Decisioni Aziendali
Quando si parla di decisioni aziendali bisogna fare una distinzione tra decisioni strategiche e
decisioni operative.La parola strategico nel linguaggio comune ha un'accezione quasi di
sinonimo di ‘’importantissimo’’, ma in realtà non è proprio così nel linguaggio manageriale
perché non è sinonimo di importantissimo.Ma strategico non significa molto rilevante, molto
importante perché lo sono altrettanto le decisioni operative, anzi non bisogna mai
sottovalutare quanto sia importante tutto quello che succede nell’operatività, nel quotidiano,
nelle procedure, nei processi e nelle decisioni che si vengono a prendere in vista del
conseguimento delle strategie.Quindi da un punto di vista manageriale le decisioni
strategiche hanno un contenuto, una finalità, un orizzonte temporale diverso alle decisioni
operative.

Decisioni strategiche
‘’Le decisioni strategiche sono finalizzate al raggiungimento di obiettivi di lungo periodo e a
determinare la direzione, il verso, l’intensità del vettore di crescita dell’impresa;esse sono un
mezzo per determinare lo scopo dell’impresa in termini di obiettivi, programmi di azione e
priorità di allocazione delle risorse’’.
Quindi in questa definizione troviamo che innanzitutto abbiamo un orizzonte temporale ben
preciso, decisioni strategiche hanno a che fare con un orizzonte di medio e lungo periodo, le
decisioni operative invece sono decisioni di breve periodo.
Con le decisioni strategiche noi che cosa definiamo? Definiamo direzione, verso, intensità
del vettore di crescita dell'impresa cioè del nostro sviluppo futuro, dove vogliamo
andare?,Come ci immaginiamo?,Cosa vogliamo essere nel medio/lungo periodo?Qual è la
nostra meta che vogliamo raggiungere?.
Tale strategia significa avere un disegno preordinato della propria evoluzione, tutti questi
sono mezzi per determinare lo scopo dell’impresa in termini di obiettivi di lungo
periodo.Ovviamente programmi di azione e priorità di allocazione delle risorse è collegato a
questo, perché se io voglio laurearmi in 3 anni o 4 con 110 e lode è chiaro che delle rinunce
devo farle, devo dare anche delle priorità di allocare le risorse (in questo caso risorse
temporali) e quindi in questo in caso se sto facendo agonismo devo fare una scelta ossia se
continuare a fare sport agonistico oppure dedicarmi all’università con quest’obiettivo.Tutti gli
obiettivi sono leciti,purché sia consapevole la scelta di allocare le proprie risorse
(tempo,energie,soldi) in vista di un raggiungimento di un obiettivo.
Le decisioni strategiche presentano alcune caratteristiche fondamentali:
-La prima è che, come abbiamo già detto, si collocano in un orizzonte temporale di
medio/lungo periodo;

-Sono centralizzate, nel senso che vengono assunte da un numero circoscritto di attori,
questo numero di attori dipende da impresa a impresa.La cosa importante da dire è che le
decisioni strategiche non è che si può dire a priori chi le prende, ma da impresa a impresa ci
sono soggetti che partecipano al processo di formulazione delle strategie, altre imprese
dove le strategie sono in più pochi uffici o persone, altre imprese coinvolgono molto più altri
livelli gerarchici (i direttori di produzione), e poi dipende anche da quanto i singoli soggetti
sono rilevanti e hanno capacità di incidere sulla formulazione delle strategie;

-Le decisioni strategiche scaturiscono in condizioni di incertezza.’’La strategia è la


definizione dei rapporti con l’ambiente esterno’’.E’ una definizione molto ampia, e cioè cosa
vogliamo essere nell’ambiente rispetto all’ambiente esterno? Come posizionarsi? Che ruolo

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anche vogliamo svolgere?.Ovviamente le decisioni strategiche hanno proprio a che fare con
la nostra identità, il nostro modo di essere, i nostri obiettivi di lungo periodo ovviamente
risentono delle condizioni di incertezza del nostro ambiente.Oggi il nostro ambiente
economico è molto incerto, è un ambiente turbolento perché è molto vario, molto variabile,
complesso.Complesso da un punto di vista di varietà degli elementi che lo compongono e
variabilità nel tempo.
(questo è il continuo della frase iniziale), in quanto sono volte a cogliere i segnali deboli che
emergono nell’ambiente di riferimento e che, non avendo un pieno riscontro con gli eventi
del passato, possono presentare livelli più o meno elevati di rischio.Quindi è chiaro che la
nostra decisione strategica è per sua definizione una definizione soggetta a incertezza con
rischio ovviamente, perché è presa sulla base di quello che noi interpretiamo di quello che
noi pensiamo possa succedere, ma non è detto che poi succeda.
In questa frase c’è un elemento molto importante (quella evidenziata).Volte a cogliere i
segnali deboli che emergono nell’ambiente di riferimento significa dall'ambiente economico,
sociale, demografico, culturale, tecnologico.Cogliere i segnali deboli che emergono
nell’ambiente di riferimento significa capire che quei segnali che vengono dall’ambiente
esterno ma che sono ancora deboli e quindi cercare di anticipare questi eventi futuri;

-Non sono ripetitive e non sono, quindi, risolvibili attraverso un confronto tra decisioni
alternative e con quelle formulate nel passato.Non sono ripetitive perché l’ambiente esterno
non è ripetitivo, le condizioni esterne son sempre nuove ogni momento è diverso dal
precedente, ogni futuro che noi ipotizziamo è diverso dallo stato attuale;

-Le decisioni strategiche richiedono un giusto trade off tra la razionalità del ragionamento
scientifico e l’intuizione propria della creatività manageriale.Alcune attitudini bisogna averle,
però c’è molta parte di razionalità nella gestione di un impresa quindi sia nel ruolo di
imprenditore sia nel ruolo manageriale.
D’altro canto la formazione manageriale per gli imprenditori è un business perché gli
imprenditori hanno bisogno di cultura manageriale, di questo modo di leggere le cose perché
li aiuta tantissimo nelle decisioni, nell’operativo nel decidere cosa fare.

Decisioni operative
‘’Le decisioni operative sono finalizzate, invece, ad implementare decisioni strategiche
attraverso un uso ottimale delle risorse disponibili o acquisibili: gli effetti di queste decisioni
si manifestano nel breve periodo e non incidono in modo significativo sul rapporto tra
l'impresa e il suo ambiente di riferimento’’.
Le risorse sono disponibili, ma se non sono disponibili sono acquisibili cioè renderle
disponibili per il mio business. Quindi sono risorse che ho attualmente, ma se non lo sono le
vado a procurare da soggetti terzi.
Gli effetti delle decisioni operative si manifestano nel breve periodo finalizzate
all’implementazione delle decisioni strategiche e non incidono in modo significativo sul
rapporto tra l’impresa e il suo ambiente di riferimento.
Cos’è che incide in modo significativo sul rapporto impresa-ambiente di riferimento?
La decisione strategica, è la decisione che incide significativamente sul rapporto che c’è tra
impresa e il suo ambiente di riferimento.
Si tratta di decisioni programmate, il cui processo decisionale è vincolato al rispetto di
procedure, regole, e programmi predefiniti. Inoltre, realizzandosi in soluzioni ai problemi
operativi, come risposta al quesito di ricercare la via ottimale per operare, possono tradursi

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in routine attraverso il consolidamento nell’impresa delle azioni sperimentate con successo
nel passato.
Routine organizzativa significa un modo di lavorare, un modo di fare le cose che si
consolida, che diventa modus operandi, che diventa una procedura consolidata.Le nostre
routine organizzative sono una serie di processi che vengono fatti in un modo codificato con
delle regole che sono il frutto del fatto che quelle cose che funzionano bene, e quindi si
consolidano nell’attività quotidiana nel nostro modo di operare.Ossia qualcosa che viene
ripetuta, che viene proceduralizzata, che viene regolata in un determinato modo e che quindi
si consolida all’interno dell’impresa.
Queste routine hanno a che fare con l’operatività, ma non si può rendere routine una
decisione strategica.Perché per sua definizione una decisione strategica non è
proceduralizzabile, non è codificabile perché la decisione strategica è una decisione che si
prende sempre in condizione di incertezza, non c’è un pieno riscontro con gli eventi del
passato, è un adattamento all’evoluzione dell’ambiente esterno e quindi non c’è una
possibilità di dare al processo di decisione strategica una procedura, una regola, un modo di
operare in un determinato modo. Quindi quello che io posso mettere in forma di routine sono
dei processi operativi, il modo di fare di determinate cose.

Relazione tra decisioni strategiche e decisioni operative


In ogni caso esiste una stretta connessione tra decisioni strategiche e decisioni operative
perché sono funzionali, strumentali al conseguimento degli obiettivi strategici.
Quindi esiste una stretta connessione circolare tra decisioni strategiche e operative perché
anche le modalità di implementazione delle scelte strategiche possono far rivisitare a
posteriori le decisioni intraprese. Cioè significa che io posso anche decidere una cosa ma
poi la devo realizzare, devo perseguirla, e quindi operativamente prendo delle decisioni
strumentali un determinato obiettivo.
Ma in questa fase di implementazione delle scelte strategiche io posso avere delle difficoltà,
degli input che possono anche farmi rivedere quella decisione strategica che ho preso,
potrei per esempio rendermi conto che il mio obiettivo strategico nel momento in cui lo vado
a perseguire, non è poi così facilmente raggiungibile perché vorrei fare questo ma poi lo farò
esattamente come ce l’ho in mente?
Quindi non c’è dubbio che le decisioni strategiche condizionano quelle operative, però quello
importante da sottolineare è recuperare non questo rapporto di stretta sequenzialità, linearità
ma una connessione circolare ossia una relazione dove uno condiziona l’altro
reciprocamente.
Infatti per Mintzberg (1985), devono coesistere sia l’aspetto deliberato, che deriva da
decisioni derivanti da un processo razionale, sia quello emergente, che nasce
dall’esperienza e dalla capacità creativa delle persone di rapportarsi ai cambiamenti del
contesto di riferimento.
Cioè se noi decidiamo una cosa in base al processo razionale quindi vogliamo fare questo
perché abbiamo fatto un'analisi, prendo la mia decisione e poi la devo realizzare nel
momento in cui la realizzo io tocco con mano tutto quello che avevo pensato a tavolino.
Quindi tocco con mano anche tutte quelle condizioni ambientali che avevo ipotizzato ma che
poi vado a toccarle, vado a verificare se è vero o non è vero quello che avevo pensato e
probabilmente questo mi diverge rispetto a quello che inizialmente avevo pensato.
Quindi per Mintzberg la pianificazione strategica non deve essere una gabbia cioè
prigioniero di quello che è scritto nero su bianco che hai deliberato, ma devi essere disposto
anche a cambiare questa pianificazione in corso di svolgimento perché quando la

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implementi tu hai esperienza, input, informativi, condizioni di effettiva realizzabilità di quelle
cose che ti possono anche far divergere e ti devi rendere disponibile a discostarsi o a
rivedere quello che avevi scritto inizialmente nel tuo documento di deliberazione.

Gli approcci teorici al governo dell’impresa:evoluzione storica


Gli approcci storici che si sono succeduti nel tempo al governo dell’impresa, lo scopo è
quello di mettere in evidenza 4 step importanti in quest’analisi evolutiva storica.Questi 4
approcci sono:la pianificazione finanziaria, la pianificazione a lungo termine, pianificazione
strategica e management strategico.

Pianificazione finanziaria
1.Intorno agli anni ‘30 comincia a nascere una pianificazione per la prima volta.La
dimensione con la quale il processo di pianificazione si comincia ad affermare è quella
finanziaria.Quindi sono gli anni in cui nascono le tecniche di budgeting, sono gli anni in cui
nasce il metodo dei flussi di cassa attualizzati per valutare i progetti di investimento a
supporto della crescita aziendale.
Con la pianificazione finanziaria noi abbiamo come scopo, come oggetto l’analisi di
previsione di costi e ricavi e il miglioramento della gestione di cassa.Quindi negli anni 30 si
inizia a strutturare questo processo di analisi e previsione dei costi, di ricavi e migliorare
anche la gestione di cassa attraverso queste tecniche di budgeting e di valutazione degli
investimenti sulla base dei flussi di cassa attualizzati (significa rendere attuale il suo valore,
quanto valgono adesso 1000 euro che saranno disponibili tra 8 anni).
Il budget è uno strumento di programmazione previsionale di quello che dovrà succedere,
quindi attraverso strumento noi cerchiamo di dare un ordine una strutturazione a quello che
dovrà accadere e quindi pianifichiamo quello che dovrà accadere.
Il metodo dei flussi di cassa è un metodo per valutare i progetti di investimento a supporto
della crescita aziendale.

Pianificazione a lungo termine


2.Intorno agli anni ‘50 qui abbiamo un quadro ambientale positivo, cioè tendenza di crescita
molto sostenute, un andamento stabile dei mercati valutari e finanziari e qui si comincia a
parlare di pianificazione a lungo termine non soltanto relativa all’aspetto finanziario ma
pianificazione a lungo termine dell’impresa.
Le decisioni di lungo periodo sono prese sulla base di previsioni basate su tecniche di
estrapolazione dei trend del passato con utilizzo di tecniche di regressione e di modelli
econometrici.
Il punto centrale è che quando io pianifico a lungo termine mi baso su estrapolazioni dei
trend del passato, cioè mi baso su quello che è successo fino ad oggi faccio un
estrapolazione del trend e lo proietto nel lungo termine.Estrapolazione del trend significa che
faccio affidamento sul fatto che nel futuro si ripresentano le stesse condizioni che sono state
quelle fino ad oggi dell’ambiente.

Pianificazione strategica
3.Negli anni ‘70 quando l’ambiente comincia a presentarsi più complesso (nel senso che
comincia a diventare più ricco di elementi incidenti, di fattori che condizionano e sanciscono
successo insuccesso e redditività) però resta ancora fondamentalmente prevedibile nella

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sua evoluzione.Cioè io so che cambierà però riesco ancora a prevedere questa sua
evoluzione.
Rispetto a prima è cambiato che mentre prima io facevo affidamento su una costanza, su
una riproposizione delle stesse condizioni ambientali di oggi e le proietto nel futuro e quindi
mi aspetto si ripropongano, oggi io so che non si riproporranno le stesse condizioni di oggi
però riesco a catturarle a prevederle.
Però il campo di indagine si sposta dall’analisi retrospettiva dei fenomeni passati all’analisi
prospettica delle tendenze ambientali future.Cioè per pianificare cosa devo fare, non posso
più basarmi su quello che è successo fino ad oggi ma devo tenere in conto che l’ambiente
comincia a cambiare, comincia ad essere più complesso ed io devo riuscire a prevedere
quest’evoluzione.
Quindi nasce il concetto di pianificazione strategica proprio per dire non dobbiamo pensare
che il contesto sia lo stesso, dobbiamo anticipare i fenomeni, dobbiamo pianificare e
pensare strategicamente attraverso un fenomeno di anticipazione di analisi prospettica di
quale saranno le tendenze ambientali future, non mi posso basare più sull’analisi
retrospettica (il passato).
Successivamente succede che questo processo di pianificazione strategica entra in crisi nel
momento in cui l’ambiente non è neanche più tanto prevedibile, perché io posso fare questo
approccio di pianificazione strategica quindi decidere cosa fare nel medio/lungo periodo
basandomi sulla previsione però questo se l'ambiente è prevedibile va bene, è attendibile la
mia scelta e la mia previsione e quindi ha un senso che io mi basi sulla previsione.Ma se io
invece prendo consapevolezza del fatto che io non posso neanche prevedere di quello che
succederà nel futuro allora ecco che il modello di pianificazione strategica entra in crisi
perché siccome si fonda sull’analisi prospettica questo mi viene meno, e mi viene meno la
prevedibilità dell’evoluzione del contesto esterno.
Quindi con la crescente complessità, turbolenza ed imprevedibilità cambiano i presupposti
che davano validità alla pianificazione strategica e quindi il punto centrale è che da un certo
punto in poi l’impresa non è neanche più in grado di anticipare bene questo futuro con una
sufficiente attendibilità.

Management strategico
4.Mintzberg però a un certo punto ci ha detto attenzione che avere questa fede nella vostra
capacità previsionale e quindi sulla base di questa capacità previsionale fondare una
pianificazione strategica questo significa avere tranelli e inganni.Che derivano dal fatto che
non bisogna pensare e fare affidamento sulla possibilità di prevedere il futuro, cioè
l’incertezza e la variabilità dell’ambiente esterno diventa così elevata ci deve far stare molto
attenti.
Ecco perché anche questo approccio di pianificazione strategica entra in crisi e si afferma un
nuovo paradigma che è quello del management strategico che prende pienamente
coscienza della difficoltà di gestire un ambiente esterno turbolento, complesso, vario,
variabile, difficilmente prevedibile.
La prima cosa è che i processi di pianificazione si ponevano orizzonti temporali di analisi di
più breve respiro, quindi mentre prima per esempio avevamo processi di pianificazione
strategica a 10 anni, a 7, a 5 nella fase in cui l’ambiente esterno comincia a diventare
difficilmente prevedibile l’orizzonte temporale di questa pianificazione comincia a ridursi e
quindi pianificazione non più di 5 anni o di 7 anni ma magari di 3 di 2 anni perché la
prevedibilità diventa sempre più bassa.

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Ma soprattutto succede che io devo formulare il processo di pianificazione strategica in un
modo che mi consenta una maggiore rapidità di reazione ai cambiamenti ambientali che per
quanto io possa prevederli ma devo sempre stare pronto a capire che la mia capacità di
previsione sta progressivamente diminuendo.
Quindi si mette a posto questo management strategico, quest’approccio in cui si parla di
approccio globale.
In cui innanzitutto si parla di inscindibilità del momento della formazione e attuazione della
strategia e necessità di integrare la gestione strategica e gestione operativa.Non c’è più
questa rigida sequenzialità ma al momento della formazione della strategia e quello
dell’attuazione sono 2 momenti inscindibili, sono 2 momenti che dialogano tra di loro ed ecco
quindi che la strategia che viene fuori è in parte deliberata ed in parte adattata emerge nel
processo di reazione ai cambiamenti dell’ambiente esterno.
In questo approccio di management strategico diventa molto importante la capacità di saper
ridefinire le strategie allorquando si verificano cambiamenti significativi e ambientali.
Altra cosa importante di questo approccio è condividere gli obiettivi strategici all’interno
dell’organizzazione che non devono risultare imposti.Cioè condividere gli obiettivi perché poi
nel momento in cui dobbiamo realizzarli e dobbiamo anche cambiarli se io ho condiviso gli
obiettivi, tutti sanno quali sono i nostri obiettivi e tutti hanno partecipato a questo processo
saranno tutti più rapidi, più in grado di reagire, di modificarsi quando ci saranno le esigenze
di modificarsi e reagire ai cambiamenti dell’ambiente esterno.Inoltre una maggiore
interazione tra le decisioni a livello corporate e le decisioni a livello di business, cioè ci vuole
molto più coordinamento, molta più interazione tra quello che si decide a livello aziendale
complessivo e quello che si decide a livello delle singole unità di business nei quali l'impresa
opera.
In tutto questo ambito si dà grande centralità alle risorse immateriali (rispetto a quelle
materiali) e le competenze delle capacità che ci possono dare vantaggio competitivo, quindi
nell’approccio management strategico grande centralità di conoscenza e di competenze
dell’impresa.Quindi risorse e competenze diventano elementi fondamentali per avere un
vantaggio competitivo, una posizione unica, distintiva, rispetto ai concorrenti.Quest’ottica si
chiama resource-based, ossia basata sulle risorse e sulle competenze.

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La catena del valore
La catena del valore è uno strumento proposto da Porter, essa serve per classificare risorse
e competenze, quando la finalità di analisi di questo strumento è quello di riflettere sulle
risorse e le competenze, analizzarle e capire come siamo messi rispetto alle singole attività
dell’impresa, quali sono le nostre risorse, quali sono le nostre competenze, quali sono i
nostri punti di forza, i punti di debolezza, come possiamo migliorare le nostre cose.
La catena del valore, quindi, è uno strumento di analisi dell’ambiente interno, delle attività
che svolge l’impresa.
La catena del valore è un rappresentazione grafica dell’impresa, dell’attività che svolge
l’impresa suddivise in un determinato modo individuato nelle attività di supporto e attività
primarie finalizzate al conseguimento di un margine.
Il margine è il valore totale dell’output meno il costo complessivo delle attività, mentre il
valore è la somma che i compratori sono disposti a pagare per l’output aziendale.
Quando parliamo di valore per un'impresa for profit va bene definirlo come: ’’somma che i
compratori sono disposti a pagare per l’output aziendale’’, se invece estendiamo la nostra
analisi ad imprese non for profit il valore creato è un termine che deve inglobare anche tutte
le altre utilità che sono state create con determinate prestazioni.
Quindi la parola valore non deve essere confinata soltanto all’aspetto economico perché
oggi l’impresa si legittima non solo come un'organizzazione che crea ricchezza da un punto
di vista economico, ma anche che crea valore sociale.
La catena del valore ci presenta attività primarie e attività di supporto in questo processo di
creazione di valore finalizzato all’ottenimento di un margine, creazione di valore cioè noi
dobbiamo creare qualcosa che agli occhi del consumatore abbia utilità, sia in grado di
soddisfare i suoi bisogni e questo valore il consumatore ce lo restituisce nella somma di
danaro che è disposto a pagare.
Le attività primarie è il processo basico, quindi produzione e commercializzazione.Esse
sono: la logistica in entrata; la produzione; la logistica in uscita; marketing e vendite; servizi
post vendita (assistenza,garanzia,ricambio).
Le attività di supporto sono tutte quelle attività a supporto delle attività primarie, cioè che
sono funzionali strumentali per la creazione del valore, e hanno una caratteristica di
trasversalità rispetto a processi basici che sono di produzione e di commercializzazione.
Le attività di supporto sono: attività di infrastruttura; finanza; approvvigionamenti; ricerca e
sviluppo; gestione e sviluppo risorse umane e quindi tutto quello che serve come attività
strumentali per lo svolgimento delle attività primarie.
Tutto questo ci serve per capire: Qual è il nostro bagaglio di risorse e competenze? e in
particolare quindi classificare risorse e competenze delle singole attività ma per capire cosa?
Per capire dove siamo forti, dove siamo deboli, cosa possiamo migliorare, i nostri
concorrenti come sono messi rispetto a noi.
La catena del valore è quindi uno strumento:
-E’ uno strumento descrittivo,che quindi ci descrive quali sono le nostre attività che
svolgiamo;
-E’ uno strumento che ci serve per fare anche pianificazione strategica perchè essendo uno
strumento di analisi delle risorse e delle competenze abbiamo detto che il nostro processo di
pianificazione strategica non può prescindere dall’analisi di risorse e competenze;
-E’ anche uno strumento di valutazione della strategia, se la nostra strategia ha avuto un
impatto migliorativo o peggiorativo nella nostra capacità di creare valore, quindi qual è stato
il contributo della strategia, che risultato abbiamo da quella strategia in termini di creazione
di valore oppure no.

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Se la strategia è una strategia di successo abbiamo visto bene, la nostra capacità di creare
valore sarà maggiore e di conseguenza possiamo puntare ad un margine maggiore perché
abbiamo creato un valore maggiore.
Inoltre la catena del valore è un modo per riclassificare il conto economico, questo è
importante perché il margine abbiamo detto che è la differenza tra valore totale dell’output
meno costo complessivo delle attività, quindi il profitto, l’utile.E quindi un’analisi di tutte le
singole attività primarie e di supporto con le componenti positive e negative di questo
margine, quindi quali sono le diverse voci e qual è il contributo che ciascuna attività
elementare da al conseguimento del margine.
Per quanto riguarda la catena dei valori, la prima attività è la Logistica in entrata, la logistica
in entrata e la logistica in uscita sono accorpate perché la logistica è un unico sistema, è un
sistema logistico (si parla di supply chain).
La logistica come attività, è un attività che si occupa del trasferimento fisico dei materie
prime,di semi componenti,di prodotti finiti, di informazioni che poi gestiscono perché i flussi
informativi della logistica sono flussi fisici ma anche informatica.
-Le attività sono attività di ricevimento;magazzinaggio;di distribuzione;
-I costi di gestione depositi sono i fitti passivi o ammortamento se ad esempio il capannone è
nostro o non è nostro.Poi spese di manutenzione,di riparazione;
-I costi di gestione dei materiali sono:la gestione delle scorte;gestione degli ordini;layout di
magazzino;programmazione uscite dal magazzino;
-I costi di distribuzione sono:il trasporto;ammortamento/fitti passivi automezzi;spese di
riparazione e di manutenzione;
-Costo del personale

Attività operative
-Costi variabili di produzione (compreso i costi di acquisto dei semilavorati)
-Costi di collaudo e di controllo qualità (personale, materiali, procedure informatiche, servizi
acquisiti da terzi)
-Costi di gestione e manutenzione impianti (compreso i costi di acquisto di licenze,
brevetti,..)
ecc….

Quindi la catena del valore ci consente di capire qual è il contributo che ciascuna attività
apporta alla determinazione del profitto.

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Critiche al modello tradizionale
Il modello tradizionale fatto Porter negli anni ‘80 è stato oggetto di numerose critiche ed è
stato oggetti di 5 critiche.
1.Si fonda sui caratteri di distinguibilità.
Il vantaggio competitivo non deriva dalla bravura a svolgere le singole attività, ma dalla
capacità di combinare le risorse e tradurle in competenze distintive.
La prima critica è che quando noi parliamo di distinguibilità, quando facciamo queste analisi
parziali è come se ci focalizzassimo nell’una e nell’altra come se fossero delle cose
separate.Quindi la prima attenzione che dobbiamo dire è che il vantaggio competitivo non si
fonda sul fatto che tu sei bravo a svolgere ogni singola attività, ma combinare le risorse e
tradurle in competenze distintive tenendo conto della interdipendenza di queste attività.
2...e sequenzialità
La creazione del valore segue logiche di circolarità e non di sequenzialità.Logica di
sequenzialità significa sequenza questo, poi questo e così via, ma se ragioniamo in questo
modo ci sfuggono le interdipendenze, questo rapporto di reciprocità questo rapporto di
influenza dell’una rispetto all’altra.Invece la circolarità di consente di recuperare questo
legame di interdipendenza che esiste tra le varie variabili.
3.Circa la definizione delle attività
-Critiche sono state fatte sulla collocazione delle attività tra primarie e di supporto, una critica
è stata fatta perché la funzione primaria sembra per alcuni riduttiva considerarla di supporto
ma in certi casi è un'attività primaria nella creazione del valore.
-Altra considerazione sulla tecnologia, ma la tecnologia solo ricerche e sviluppo nel senso
che sembrerebbe che nella catena del valore l’innovazione e la tecnologia provenga da
questi reparti, uffici di ricerca e sviluppo trascurando che invece il concetto di innovazione
sia tecnologica che anche di processo vengono fuori dal contributo di tutte le aree e possono
venir fuori da ogni punto dell’azienda.Quindi attenzione a non considerare che la tecnologia
sia il risultato di un'attività concentrata, polarizzata nell’ambito delle ricerche e sviluppo, ma
attenzione c’è un contributo all’innovazione tecnologica che può venire da tutti quanti.
-Marketing: visione troppo operativa e poco strategica.La critica è stata fatta perché qui
sembrerebbe che il compito del marketing sia quello di vendere,pubblicizzare,quale prezzo
comunicarlo,come distribuirlo ecc.. dei nostri output, quindi è come se venisse prima il
processo di produzione con le sue esigenze di ottimizzazione poi dopo marketing e vendite
(e quindi gli si chiederebbe più un ruolo operativo ossia vendi i miei prodotti).Mentre invece
la logica di una impresa marketing oriented è una logica dove queste attività sono invertite,
cioè c’è prima il marketing poi dopo la produzione cioè la produzione diventa strumentale al
marketing e non viceversa.
4.Sua natura statica
E’ uno strumento di valutazione ex-post piuttosto che ex-ante della strategia da adottare e
non considera adeguatamente le risorse immateriali, né le possibili risposte dei
concorrenti.Quindi in questo senso per decidere ex ante dobbiamo anche tener conto le
risorse immateriali che non sono adeguatamente considerate, le possibili risposte ai
concorrenti e quindi dire sì analisi dell’ambiente interno però teniamo conto anche quali
possono essere le risposte dei nostri concorrenti.Quindi la visione dinamica è una visione
che ingloba più variabili.
5.Riproduce una logica ‘’sbilanciata’’
E’ troppo focalizzata sull’ambiente interno e quindi commette, al contrario, lo stesso errore di
considerare l’ambiente esterno quale determinante del vantaggio competitivo.

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Uno dei rischi che è stato molto ben sintetizzato nell'analisi SWOT, è attenzione a formulare
una strategia basandomi sull’ambiente esterno ma tenete conto dell’ambiente interno, delle
risorse delle competenze, capacità, vocazione ecc..
Qui il rischio è attenzione però non facciamo l’errore opposto, cioè non diamo troppa enfasi
alle risorse e alle competenze e a questa analisi che è un'analisi interna ma teniamo conto
come si integra questa catena del valore con l’ambiente esterno.E quindi ciò che conta, ai
fini del vantaggio economico, è come si integra la catena del valore con l’ambiente esterno.
Quindi attenzione non la viviamo come la fonte delle nostre decisioni strategiche, come la
fornitrice delle informazione per assumere strategie altrimenti commettiamo lo stesso errore
ma all’opposto.

Logistica
Se facciamo riferimento alla catena del valore, il testo analizza in sequenza ogni singola
attività partendo proprio dalla logistica, poi produzione, poi marketing e poi alle attività di
supporto.
‘’La logistica implementa, controlla e gestisce il flusso e lo stoccaggio di materie prime,
semilavorati e prodotti finiti e delle relative informazione che attraversano l'impresa’’.
La logistica gestisce flussi fisici e flussi informativi che sono oggetto della logistica.
La missione della logistica è pianificare e coordinare tutte le attività necessarie per
raggiungere il livello di servizio desiderato al minor costo possibile.Il servizio logistico come
capacità di rendere disponibile il prodotto al posto giusto, al momento giusto nelle
caratteristiche giuste e nelle quantità giuste, e al costo giusto.
Quindi l’ottimizzazione che dobbiamo ottenere è il giusto compromesso tra livello di servizio
elevato e massimo livello servizio possibile però al minor costo possibile.E’ chiaro che io
potrei aumentare moltissimo il livello di servizio però tutto questo mi ha un impatto sui costi
molto alto, quindi il servizio logistico è la capacità di rendere disponibili il prodotto al posto
giusto al momento giusto, nelle quantità giuste, nelle caratteristiche giuste ovviamente tutto
al costo giusto.
Per quanto riguarda i costi, i costi logistici sono distinti i 5 categorie:
-Costi di mantenimento delle scorte
-Costi di magazzinaggio
-Costi di trasporto e distribuzione
-Costi inerenti ai lotti
-Costi di processazione ordini e dei sistemi informativi.
Si possono classificare i depositi in funzione del ruolo occupato dal deposito stesso nella
supply chain.Si parla allora di depositi di fabbrica distinguendoli dai depositi distributivi.
I depositi di fabbrica, a loro volta in: depositi di materie prime, in attesa che vengano
utilizzate dal processo produttivo; i magazzini interoperazionali, sono depositi che vengono
collocati fra due fasi successive del processo produttivo, rispondono a esigenze di controllo
delle scorte dei semilavorati e di disaccoppiamento dei flussi produttivi.
Tra queste due fasi successive del processo produttivo ci sono questi 2 magazzini
interoperazionali cioè tra 2 operazioni di carattere produttivo.
La finalità del disaccoppiamento significa cercare di rendere più indipendente ogni fase
rispetto alla precedente, in questo senso disaccoppiare il processo produttivo.

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Logistica
La logistica gestisce il flusso fisico e il flusso informativo di materie prime, semilavorati e
prodotti finiti dal fornitore fino al cliente finale.Una cosa che abbiamo messo bene in
evidenza è che la missione della logistica è quella di raggiungere il livello desiderato di
servizio al minor costo possibile.
Il livello desiderato di servizio significa raggiungere il massimo livello di servizio logistico al
minor costo possibile, per livello di servizio logistico si deve intendere il fatto che il servizio
logistico è quella capacità di rendere disponibile il prodotto al posto giusto, al momento
giusto, nelle quantità giuste, nelle qualità giuste, nelle caratteristiche giuste ovviamente tutto
questo al minor costo possibile.
Quindi lo scopo della logistica è quello di ricercare il giusto trade off tra livello di servizio da
un lato e costo dall’altro, naturalmente livello di servizio desiderato si riferisce al rendere
disponibile il prodotto mac non è solo il prodotto ma anche materie prime,semi
componenti,semilavorati quindi tutto ciò che è materia fisica.
Noi troviamo nel nostro testo 2 logiche del sistema logistico, una prima logica di tipo push,
l’altra logica di tipo pull.

Logica di tipo push


Una logica tradizionale di tipo push (di spinta) è una logica tipica dei sistemi ‘production
oriented’ ossia orientati alla produzione e cioè quei sistemi che innanzitutto cercano il
minimo costo di produzione attraverso grandi lotti produttivi.Questo significa che noi
abbiamo l’enfasi e l’obiettivo primario quello di ottimizzare il processo di produzione, e quindi
lo scopo finale è ottimizzare il processo di produzione significa ricercare il minor costo
possibile questo avviene generalmente attraverso grandi lotti produttivi anche con dei tempi
di produzione quanto più costanti possibile.
Questo ci determina una produzione ‘’per magazzino’’, questo significa che tutti questi
prodotti realizzati in grandi lotti produttivi con questo scopo vengono poi messi a scorta in
attesa vengono messi a scorta in magazzini in attesa di essere venduti.Quindi la logica è
produrre per il magazzino e produco 1000 per esigenze del processo di produzione perché
se produco 1000 riesco ad ottimizzare il processo di produzione, cioè riesco ad ottenere il
costo unitario di produzione più basso.
Ovviamente può accadere che tali lotti, se eccedenti la domanda, quindi noi produciamo per
ottimizzare la produzione ed ottenere il costo unitario più basso e manteniamo in scorta
questi prodotti in attesa che vengano venduti.Per i magazzini era la priorità la capacità di
stoccaggio rispetto alla distribuzione.
Questo significa che con questa logica noi abbiamo un sistema logistico di depositi, di
magazzini molto imponente molto significativo perché stiamo producendo in grandi quantità
proprio per ottimizzare il processo di produzione sganciandosi dall’esigenza della domanda.

Logica di tipo pull


La logica invece pull è l'opposto nel senso che noi abbiamo, non una produzione decisa ex
ante per il magazzino, ma il processo di produzione e tutta la filiera logistica si mette in moto
nel momento in cui abbiamo una richiesta da parte del mercato oppure una previsione di
quanto poi ci serve effettivamente.E quindi mentre nel sistema di tipo push le informazioni
vanno dall’alto verso il basso, qui le informazioni risalgono al ritroso nel sistema distributivo.
I punti vendita emettono ordini ai pochi depositi o direttamente a quelli centrali, i quali
vengono riforniti da un sistema produttivo più flessibile.

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Quindi significa che qua il sistema logistico si attiva nel momento in cui i punti vendita
emettono degli ordini e mentre prima abbiamo detto che qui il sistema è pieno di capacità di
magazzinaggio quindi con una grande imponenza dei nodi logistici in termini di depositi e
magazzini, qui la cosa più importante non è tanto la capacità produttiva dei magazzini ma la
capacità di smistamento e di distribuzione cioè la capacità di gestire al meglio questi flussi
informativi che risalgono al ritroso nel sistema distributivo cioè dal punto finale (dalla
richiesta o dalla previsione di domanda) fino all’inizio e quindi il sistema si mette in moto
quando c’è questo.
Lo stesso servizio logistico o addirittura un servizio migliore lo posso garantire attraverso un
efficienza del processo, dei flussi di materiali e di informazioni attraverso la rete, piuttosto
che tramite di livelli di scorte elevati in grado di far fronte alle richieste del cliente.
Cioè io posso invece di fare questa logica di tenere depositi di roba, organizzare e
ottimizzare la gestione e quindi i flussi di informazione innanzitutto e le operazioni che
servono per far sì che io non sia mai privo di qualcosa.
L’adozione di una logica di tipo pull comporta (quindi con un po di rinuncia a questo gonfiare
i magazzini e il sistema logistico) un dimagrimento della rete, quindi significa una rete
logistica molto più snella con riduzione delle giacenze e quindi con riduzione dei tempi in cui
i singoli componenti giacciono nei depositi, e poi un cambiamento di ruolo dove diventa
fondamentale la capacità di coordinamento, smistamento e distribuzione della merce
piuttosto che la capacità di stoccaggio.
Quindi il focus, l’enfasi, è l’ottimizzazione sul processo e sul coordinamento, smistamento e
distribuzione della merce e non tanto sulla capacità di stoccaggio quindi con questo ci
assicuriamo il massimo livello di servizio logistico.Ecco perché il sistema logistico è un
sistema integrato perché tutto deve funzionare in maniera coordinata per garantire al
massimo questo livello di servizio logistico che ci serve dal fornitore fino al cliente finale in
tutte le fasi, in tutte le movimentazioni, in tutti i passaggi per rispetto a tutte le componenti,
dalle materie prime ai semi-componenti e prodotto finito.
Anche un cambiamento di ruolo si riferisce ai depositi, soprattutto ai depositi periferici ancor
più dei depositi centrali perché in questa cura dimagrante i primi che vengono eliminati o
riprodotti sono i depositi periferici.
Quindi oltre alla già citata riduzione in numero (cioè numero di depositi che abbiamo) anche
una diminuzione della loro capacità, quindi sono meno numerosi, sono più piccoli, e poi
hanno un ruolo diverso facendolo evolvere verso la struttura del transit point.
Transit point significa è un punto di passaggio che se tutto funzione bene, è coordinato ed
efficiente, consente che la merce sta in questi punti di transito il tempo che è necessario per
poi proseguire nel loro percorso.
E quindi i transit poi sono dei CEDI (centri di distribuzione) in cui viene meno la funzione di
stoccaggio, o si riduce molto, ma rimangono solamente le funzione di smistamento e di
distribuzione.Cioè queste merci devono stare là dentro solo il tempo necessario per il loro
smistamento e per essere poi spedite verso le diverse destinazioni.
Quindi la differenza tra il transit point e il CEDI sta nel fatto che: mentre il CEDI è un centro
di distribuzione però nella logica di grandi volumi e grande capacità di stoccaggio, il transit
point è molto più piccolo e serve soltanto per far transitare le merci in questo processo molto
più coordinato ed integrato.

La gestione delle scorte


Le scorte assumono un ruolo importante nella supply chain perché garantiscono il regolare
svolgimento dei processi di acquisto, di trasformazione e di distribuzione delle produzioni

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realizzate.Quindi la funzione economica delle scorte è quella di garantire il funzionamento
dei processi di acquisto, di trasformazione fisica, di distribuzione dei prodotti realizzati.

Classificazione delle scorte:


-Scorte di materie prime, servono per separare le rigide necessità sia in termini temporali
che di quantità dei reparti di produzione rispetto alle irregolarità di consegna dei fornitori.La
funzione economica della scorta di materia prima è quella di avere sempre materie prime e
quindi renderti meno vulnerabile rispetto alle irregolarità e i problemi di consegna da parte
dei fornitori;
-Scorte di semilavorati, servono per isolare il singolo centro di lavoro rispetto alle fasi a
monte e a valle, affinché questo possa essere programmato in modo sostanzialmente
autonomo e possa funzionare per un certo lasso di tempo senza risentire dell’influenza dei
flussi in entrata e in uscita.Quindi rendere un po’ più indipendenti queste fasi di produzione e
per un certo lasso di tempo garantire funzionalità anche se ci sono stati dei problemi e
disfunzionalità nelle altre parti del sistema;
-Scorte di prodotto finito, servono sempre per fronteggiare la variabilità nel tempo e nello
spazio delle esigenze dei clienti dai vincoli del ciclo produttivo.Vincoli del ciclo produttivo
perché le esigenze di consumo sono diverse sia dal punto di vista temporale, sia dal punto
di vista spaziale e dal punto di vista delle quantità.E quindi i vincoli del ciclo produttivo, che
derivano dall’ ottimizzazione del ciclo produttivo, vengono fronteggiati e in qualche modo
attenuati dalla disponibilità delle scorte di prodotto finito che ci consente di avere un
cuscinetto per fronteggiare questa diversità di tempo di spazio e di quantità delle esigenze
dei clienti rispetto all’andamento del ciclo produttivo.

Classificazione in base alla funzione delle scorte:


-Scorte di transito: si generano perché c’è un tempo necessario per trasferire un bene da
uno stadio di fabbricazione o da un punto di stoccaggio a un altro punto.Quindi sono quelle
scorte che viaggiano per spostarsi da un punto all’altro;
-Scorte di ciclo (o di partita): si generano quando si produce in misura maggiore rispetto a
quanto serve per il fabbisogno immediato, quindi abbiamo una rimanenza;
-Scorte di sicurezza: servono a far fronte a delle incertezze e irregolarità che caratterizzano i
flussi all’interno della catena logistica.In ogni scelta di dimensionamento della gestione delle
scorte noi vedremo quelle scorte di sicurezza, che è quella soglia di scorte al di sotto della
quale noi non vogliamo mai scendere e dobbiamo costituire queste scorte di sicurezza
esclusivamente per far fronte a incertezze, irregolarità della catena logistica.
-Scorte di disaccoppiamento: servono a fornire una certa indipendenza a ogni stadio della
catena logistica rispetto allo stadio a monte e a valle;
-Scorte stagionali: servono per l’andamento stagionale dei mercati e la diversità che c’è tra
cicli temporali di produzione e cicli temporali di consumo.

Elementi di economia della gestione delle scorte


Quando parliamo di gestione scorte queste cose ci devono venire subito alla mente. ossia
la prima cosa è che gestione delle scorte è un’attività che costa e quindi:
-Costi di natura logistica per movimentazione e stoccaggio, quindi può scorte c’ho più vado
incontro a costi elevati per la gestione scorte;
-Poi bisogna considerare che sono sempre un capitale immobilizzato, quindi costi finanziari
per immobilizzo di capitale li devo considerare nella mia scelta perché un conto che c’ho un

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magazzino che vale X milioni di euro e un conto che c’ho un magazzino che vale molto
meno.
Devo anche però considerare sempre, come elementi da un punto di vista economico,
anche altri fenomeni che incidono nella mia scelta devo tener conto:
-Dei rischi di obsolescenza, dei rischi di deterioramento, i rischi di perdite, di furti
-E naturalmente devo tener conto dell’entità e della variabilità della domanda.

I motivi per la costituzione delle scorte


-Far fronte alla variabilità della domanda;
-Far fronte alla variabilità dei tempi di riapproviggionamento oltre che della domanda;
-Contenere i costi di acquisto (trarre vantaggio dagli sconti di quantità);
-Fronteggiare le fluttuazioni o la speculazione sui prezzi, quindi le scorte si possono
costituire anche in misura maggiore anche in previsione di inflazione e quindi mi
approvvigiono prima di una reale esigenza;
-Creare un ‘’disaccoppiamento’’ tra le fasi sia di produzione che di distribuzione, cioè tra
esigenze di produzione ed esigenze di consumo.

Tecniche di gestione delle scorte


I modelli ‘’tradizionali’’ di gestione delle scorte sono essenzialmente riconducibili a 2 filosofie
di fondo:
-La modalità ‘’stock control’’ o ‘’look back’’ ossia guardare l’andamento passato, storico;
-La modalità ‘’flow control’’ o ‘’look ahead’’,guardare in avanti,guardare in funzione delle
previsioni.

La differenza tra le logiche ‘’stock control’’ o ‘’look back’’ e le ‘’flow control’’ o ‘’look ahead’’
Nel caso delle ‘’stock control’’ o ‘’look back’’ la scorta viene reintegrata ogni qualvolta si
arriva a un certo punto ritenuto fisiologico,quindi quando la scorta scende al di sotto di un
certo livello di scorta ritenuto fisiologico.
Quindi è una logica reattiva, nel senso che aspetto che si arrivi a questo livello che si
realizza predisponendo scorte che anticipano il manifestarsi del fabbisogno.E quindi il
fabbisogno non viene previsto a quanto può manifestarsi nel futuro, ma è stimato in funzione
della storia più o meno recente che caratterizza quell’articolo di cui stiamo parlando.
Le tecniche che si rifanno all’approccio ‘’stock control’’ sono:
-Tecniche a quantitativi fissi, significa che l'approvvigionamento avviene sempre in quella
quantità quindi con un tempo variabile;
-Tecniche a intervalli fissi, in questo caso avviene in quantità diverse ma con un intervallo
fisso.
Per prodotti con domanda non troppo regolare nel tempo si privilegia il modello a quantità
fisse (per vedere formule vedere slide ‘’Slide su Logistica’’ pag 29/30).
Per i prodotti invece con domanda regolare nel tempo si privilegia il modello ad intervallo
fisso (per le formule vedere libro pag. 44/45).
Nel caso invece nelle modalità ‘’flow control’’ o ‘’look ahead’’, qui non si costituisce una
scorta a priori in base agli andamenti storici e passati, ma la programmazione dei flussi
avviene rispettando i fabbisogni calcolati in base alla richiesta finale effettiva o in funzione di
previsioni attendibili della richiesta finale.

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Il LEAD TIME (tempo guida) è composto da 3 tempi:
-Innanzitutto il tempo necessario per spiccare l’ordine (avvio della procedura
amministrativa,consultazione dei fornitori,autorizzazioni all’acquisto,emissione dell’ordine
etc..);
-Il tempo occorrente per l’arrivo della merce;
-Il tempo necessario per la messa a disposizione della merce (atti di
ricevimento,controllo,assunzione in carico,etc..), e cioè quando la merce mi arriva io la devo
sottoporre ad atti di ricevimento,al controllo quindi la disponibilità o per l’attività di produzione
o per i consumi.
Il LIVELLO DI RIORDINO è funzione di 3 elementi:
-Il lead time, perché è chiaro che se il lead time sono 15 giorni io lo so prima e devo tener
conto di aspettare 15 giorni, se il lead time è 3 giorni io posso permettermi di spiccare
l’ordine non a 500 ma quando arrivo più giù a 400, quindi posso abbassare questa asticella
di riordino un po’ più giù;
-Il consumo nell’unità di tempo, corrisponde a quelle diverse pendenze perché è chiaro
abbiamo tempi diversi quindi consumi nel tempo diverso e quindi chiaramente devo tener
conto di questo, il problema me lo pongono quei momenti di maggiore intensità di utilizzo
dove non posso correre il rischio di andare sottoscorta;
-La scorta di sicurezza, dipende dalla disponibilità che noi abbiamo di correre o meno rischi.

Lotto economico d’acquisto


Il quantitativo fisso ha un nome preciso, lotto economico d’acquisto (Economic Order
Quantity).Si chiama lotto economico d’acquisto perché scaturisce ragionamento economico
quindi da un’ottimizzazione dei costi, abbiamo due tipologie di costi:
1-Costo di mantenimento delle scorte, perché noi dobbiamo tener conto che io più chiedo
più aumento questo lotto economico d’acquisto più vado incontro al costo di mantenimento
scorte, a causa dei:
-interesse sui capitali immobilizzati;
-costo di funzionamento del servizio magazzino;
-ammontare delle perdite per sciupi, deterioramenti, furti;
-costo dell’obsolescenza
2-Costo di ordinazione delle merci
-costo di funzionamento dei servizi d’acquisto;
-spese postali e telefoniche;
-spese di trasferta degli agenti d’acquisto;
-costo di ricevimento,controllo ed analisi delle merci;

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Lotto economico d’acquisto
Lotto economico d’acquisto si chiama economico d’acquisto perché naturalmente scaturisce
da un ragionamento di natura economica, di convenienza, di costo, qual è la soluzione più
economica nella scelta del lotto economico d’acquisto.
Abbiamo parlato di 2 tipologie di costi: costi di mantenimento scorte e costi di ordinazione
delle merci.Sono 2 costi che hanno un andamento diverso perché i costi di mantenimento
delle scorte:
-interesse sui capitali immobilizzati;
-costo di funzionamento del servizio magazzino;
-ammontare delle perdite per sciupi, deterioramenti, furti;
-costo dell’obsolescenza.
Quindi è chiaro che più aumentano le scorte più incorro in questo tipo di costi, quindi nello
scegliere il lotto economico d’acquisto io ho maggiori costi di mantenimento scorte.
D’altro canto però esistono degli altri costi che sono quelli di ordinazione delle merci, e
quindi ogni volta che io faccio un ordine io sostengo dei costi.E’ chiaro quindi che se
aumento il lotto economico d’acquisto da un lato il costo di mantenimento aumenta ma
dall’altro diminuisce il costo di ordinazione delle merci perché io farò un numero minore di
ordinazioni per avere le merci che mi servono.
Come si determina analiticamente questo lotto economico d’acquisto?
Il lotto economico d’acquisto si determina analiticamente con questa formula che scaturisce
da un ragionamento:
Cm (costo di mantenimento)= c x (Q a)/2 dove c è il costo unitario di conservazione
calcolato come % del valore medio di giacenza); a è il costo di acquisto di un’unità di merce;
Q è la quantità da acquistare (lotto economico d’acquisto);(Q a)/2 scaturisce da un
ragionamento di costanza di utilizzo.
Co (costo di ordinazione)= K x F/Q dove K è il costo di una singola ordinazione per
il numero delle ordinazioni; F è il fabbisogno complessivo nell’unità di tempo cioè quante me
ne servono; Q è la quantità di volta in volta che vado a richiedere.
Il costo di mantenimento è un costo che aumenta al crescere delle quantità in scorta, il costo
di ordinazione è un costo invece che diminuisce perché naturalmente più faccio ordinazioni
più sostengo questo costo e meno numero di ordinazioni faccio minore è questo costo.
Il costo di ordinazione, invece, è un costo che diminuisce all’aumentare della quantità perché
io se sostengo quel costo di ordinazione poi lo vado a spalmare su un numero maggiore di
quantità, di unità richieste e quindi sono 2 costi che hanno un andamento diverso.
Il lotto economico d’acquisto risulta così determinato dall’uguaglianza delle due funzioni di
costo, quindi se uguagliamo Cm con Co avremo:
Q=rad(2FK/ac)
Quindi il lotto economico è il punto di minimo della curva del costo totale.

Il quantitativo che di volta in volta vado ad ordinare sarà quello che in quel momento c’ho,
quindi vado a calcolare questa quantità che vado ad ordinare semplicemente sottraendo
dalla scorta massima (S max) meno Sd che è la scorta disponibile in quel momento.
Questa formula ci indica la quantità di riordino di volta in volta che dobbiamo fare.
Dove Sd (scorta disponibile)= scorta in mano + scorta ordinata - scorta impegnata
-Scorta in mano= scorta che fisicamente è presente all’interno del sistema logistico nei
diversi depositi e quindi immediatamente utilizzabile;
-Scorta ordinata= quantità che pur essendo già stata ordinata non è ancora giunta all’interno
del sistema logistico e quindi non è ancora dichiarabile come disponibile;

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-Scorta impegnata= quantità di merce che risulta già ordinata ed attribuita ad un cliente ma
che per varie ragioni è fisicamente ancora presente nel sistema logistico.
La scorta massima include la domanda futura prevista durante l’intervallo di riordino T e il
tempo di reintegro e un quantitativo a titolo di scorta di sicurezza.
Il tempo di reintegro è una variabile importante nella negoziazione della fornitura perché è
chiaro che se un fornitore mi dice 15g e un altro fornitore mi dice in 3 giorni ti servo,
chiaramente cambia molto perché poi ogni elemento c’ha la sua ripercussione in termini
economici.
Un fornitore che riesce a dare celerità di consegna chiaramente sta offrendo un elemento di
valore importante perché significa avere la possibilità di abbassare la scorta massima, ma
possiamo abbassare anche il livello di riordino.
L’intervallo di approvvigionamento fisso T scaturisce da un semplice ragionamento: io ho un
fabbisogno annuo e devo capire qual è l’intervallo che è più conveniente, ossia se fare un
riordino ogni mese, ogni 2 mesi, ogni 4 mesi etc..
Il ragionamento si fa sempre tenendo conto di un'attività che devo valutare in termini di costo
di mantenimento e costo di ordinazione, quindi il ragionamento è il fabbisogno annuale sta ai
360 giorni come il mio lotto economico d'acquisto sta all'incognita T (l’intervallo di
approvvigionamento):
F:360=EOQ:T
dove T=360 x {rad(2K/Fac)}

Per prodotti con domanda irregolare e/o estremamente contenuta le aziende, in genere
utilizzano il modello a ripristino.
Tale modello prevede l’ordinazione di un lotto (minimo) di acquisto costante ogni volta che la
scorra disponibile ha raggiunto un livello minimo prefissato.
So tratta quindi di un modello analogo a quello a punto d’ordine dal quale però differisce per
i seguenti aspetti:
-Il punto d’ordine è estremamente contenuto (in genere 0) e viene fissato senza tener conto
della domanda nel tempo di riordino ma con il semplice obiettivo di ridurre quanto più
possibile il livello di scorte.Quindi il mio livello di riordine è molto basso, quasi prossimo allo
0 o in genere 0 ;
-Il lotto economico viene sostituito con il lotto minimo d’acquisto imposto dal fornitore, e cioè
esso non tiene conto quindi né dell’entità della domanda né dei costi connessi alla gestione
delle scorte.
Quindi sostanzialmente modello a ripristino significa quando è finito te lo compri, poi quanto
me ne compro lo decide il fornitore perché ha il lotto minimo il fornitore, meno di un
quantitativo non lo si può comprare.

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Produzione
Il nostro libro di testo si occupa di imprese for profit e si occupa di imprese manifatturiere
quindi imprese che producono output materiali.
Le imprese sono anche di altro tipo, ci sono imprese di servizi, imprese non for profit (tutto il
campo delle attività sociali, assistenziali, pubbliche) e di queste cose noi non ne parliamo al
nostro corso ma anche queste sono imprese.

Distinzione tra produzione di beni e produzione di servizi


Tutte le imprese, siano esse produttrici di beni oppure di servizi, svolgono, al centro del loro
percorso di creazione del valore, un'attività di trasformazione di risorse, che costituiscono gli
‘’input’’ del processo produttivo, in altre risorse (‘’output’’) aventi diverse caratteristiche e
funzionalità.
Quindi qui inglobiamo ovviamente produzione di beni e produzione di servizi parlando di
un’attività di trasformazione di risorse in senso molto lato, alcune di queste risorse sono
materiali altre sono immateriali e questi sono gli input del processo di produzione.
Quindi anche nella produzione di servizi puri noi abbiamo una trasformazione di input in
output, ad esempio un avvocato offre un servizio utilizza la sua conoscenza la sua
esperienza e ci produce un output che è la sua consulenza, il suo parere.
1.La principale differenza tra la produzione di beni e quella di servizi consiste nella
possibilità di trasportare ed immagazzinare i beni materiali ottenuti nel primo caso mentre ciò
non è possibile per i servizi.Quindi noi non possiamo né trasportare né immagazzinare i
servizi, possiamo farlo per i beni ma non è possibile trasportare ed immagazzinare i servizi.
Nella produzione di beni noi abbiamo fasi che sono disgiunte, c’è un momento di produzione
poi c’è un momento di distribuzione, poi c’è un momento di erogazione potremo aggiungere
anche un momento di acquisto, e poi di consumo di un bene.
Nel caso dei servizi invece queste attività si svolgono in maniera simultanea, quindi un
servizio viene prodotto nello stesso momento, viene distribuito nello stesso momento, viene
acquistato nello stesso momento.
L’impossibilità di accumulare scorte impone alla produzione di variare in funzione della
domanda causando notevoli problemi di dimensionamento della capacità produttiva.Ciò
determina inevitabilmente un sistematico sottoutilizzo della capacità produttiva, perché la
capacità produttiva sarà tutta impiegata nei punti massimi della domanda ma sarà
largamente inutilizzata nei minori intensità di domanda.
2.Un’altra differenza che c’è tra beni e servizi sta nella gestione della qualità e consiste
che: nelle produzioni industriali, quindi nel caso della produzione di beni, noi possiamo
realizzare un controllo preventivo della qualità dei prodotti mediante collaudi prima della loro
commercializzazione.Questo consente di provvedere alla riparazione o alla sostituzione dei
prodotti difettosi prima di effettuare la consegna al cliente, con evidenti riduzioni dei costi,
con evidenti riduzioni di disservizi, con evidenti riduzioni di lamentele e di reclami.
Quest’attività (il controllo preventivo della qualità) con il bene io posso farlo, quindi prima di
commercializzare un bene io verifico le sue caratteristiche se è difettoso lo ritiro, lo modifico,
lo aggiusto e non lo immetto in un processo di commercializzazione.
Nel caso dei servizi non è possibile perchè produzione, distribuzione, acquisto e consumo
sono momenti contestuali ossia non ho la possibilità di testare un servizio difettoso e poi
ritirarlo dal mercato.
Quindi nella produzione di servizi la simultaneità tra produzione e consumo impedisce la
realizzazione di qualsiasi controllo preventivo.Il servizio deve sempre espletarsi in modo
corretto, se ciò non avviene l’impresa è costretta a qualunque intervento correttivo

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successivo indipendentemente dal suo costo, per evitare danni di immagine e la possibile
perdita del cliente.
3.Un’altra differenza è la misura delle prestazioni.Nei servizi abbiamo la difficoltà di
codificare ex-ante l’output del processo in modo soddisfacente rende difficile l’applicazione
di criteri di valutazione oggettivi in quanto si devono lasciare ampi margini di adattabilità alle
esigenze individuali dei clienti ed all’intensità di erogazione imposta dalla domanda.
Questo è chiaro perché io posso misurare una prestazione in termini oggettivi nel caso di un
bene, ma in un caso di un servizio come posso fare una valutazione oggettiva perché la
valutazione nel caso di un servizio è inevitabilmente una valutazione soggettiva.
Quindi la qualità di un servizio è innanzitutto un concetto soggettivo, la qualità del servizio è
legata alla soddisfazione del cliente ma la soddisfazione dipende da quando il servizio
risponde a tutte le nostre esigenze.
Il concetto di qualità del servizio nella prospettiva del cliente è quando c’è perfetta
corrispondenza tra la qualità attesa (le mie aspettative) e qualità percepita, e quindi ci sarà
soddisfazione da parte del cliente.

Tipologie di processi produttivi


La più nota classificazione di processi produttivi individua 3 tipologie: produzione continua(di
processo); produzione in serie (grande,media,piccola); produzione unitaria.
Questa classificazione si basa sulla produttività, che può essere definita come ‘’il flusso
fisico di beni che si intende raggiungere (produttività ex ante) o quello effettivamente
raggiunto (ex-post) in un determinato intervallo di tempo’’ e sulla varietà (effettiva o
potenziale) della produzione.
Quest’ultima può essere a sua volta definita come il numero di famiglie di prodotti diversi che
l’impresa è in grado di realizzare nello stesso intervallo di tempo.
Esempi di produzioni continue: raffinazione del greggio petrolifero, produzione della carta,
del nylon ecc
Esempio dell’estremo opposto: le produzioni artigianali perché l’output della produzione
artigianale è un prodotto ‘’unico’’ (non ripetibile, in quanto le singole parti componenti non
sono standardizzate); ed è personalizzato e/o personalizzabile in base alle specifiche
richieste del cliente, per effetto della elevata flessibilità produttiva (intesa come capacità di
adeguare la produzione alle esigenze ed alle attese dei propri clienti).

Diverse strutture di costo tra produzione continua e produzione artigianale


Quando si parla di strutture di costo non si parla di livello di costo, il costo può essere
strutturato in costi fissi oppure costi variabili.Quindi quando parliamo di struttura di costo noi
stiamo parliamo del rapporto che c’è tra costi fissi e costi variabili.
Nel caso della produzione continua prevalgono i costi fissi (ad esempio impianti) rispetto ai
costi variabili (manodopera).
Nel caso della produzione artigianale i costi fissi sono più bassi e quello che prevale sono i
costi variabili di produzione, cioè quei costi che variano in funzione della quantità.

E’ intuitivo come tra produttività e varietà esista una relazione inversa (trade-off), cioè che
all’aumentare della varietà la produttività necessariamente diminuisce.
Perché al crescere della varietà diminuisce la produttività?
Perché ad esempio produrre in un giorno 100 lavatrici tutte uguali (quindi con un processo
produttivo che procede senza interruzioni) oppure 10 modelli diversi in numero di dieci

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(processo interrotto per dieci volte per riprogrammare e/o riattrezzare gli impianti , con
conseguente perdita di tempo e dunque di produttività.
Altre classificazioni che troviamo nel nostro testo, un conto sono:
-I processi di fabbricazione e di assemblaggio.Anche l’assemblaggio è un momento di
produzione, fa parte dell’attività di produzione significa appunto comporre poi il prodotto
finale avendo a disposizione tutti i semi-componenti tutte le parti che lo devono realizzare.
-In base al grado di flessibilità, abbiamo detto che è la capacità del sistema di apportare
delle variazioni, di adattarsi e lo abbiamo legato alla finalità dell’impresa di poter offrire un
output personalizzato cioè fatto in base alle esigenze dei consumatori.

La distinzione dei sistemi produttivi è tra ‘’sistemi rigidi’’,’’sistemi flessibili’’ e ‘’sistemi


tendenzialmente flessibili’’.
Quindi i sistemi rigidi o poco flessibili sono le produzioni continue e produzioni di grande
serie;
I sistemi tendenzialmente flessibili sono quelli per le produzioni di media serie, in cui
coniughiamo sia la produttività che la varietà;
I sistemi flessibili sono quelli in cui le singole apparecchiature sono tra loro disconnesse,
sono idonei a trattare i problemi posti dalle produzioni di piccola serie o su commessa, e
quindi potendo realizzare un'offerta personalizzata quindi una capacità di adattarsi ad
esigenze differenziate del mercato.
Quindi nel breve periodo noi possiamo modificare la produttività, ma non la capacità
produttiva.
Quando si parla di produzione breve periodo, medio periodo, lungo periodo non si fa
riferimento al tempo, cioè il concetto di breve, medio e lungo periodo non sono legati ad
una misura del tempo (un anno, tre anni,ecc..) ma alle ipotesi che possono essere formulate
sulla possibilità dell’impresa di modificare la dimensione dell’impianto.
I costi variabili sono quelli che vanno in funzione della quantità e produzione, i costi fissi
invece sono quelli che non variano al variare della quantità.
I costi fissi sono costituiti principalmente dalle quote di ammortamento di terreni, fabbricati,
macchinari ecc.. utilizzati per la produzione e dagli interessi passivi sui mutui (debiti a medio
e lungo termine) contratti per sostenere le ingenti spese di investimento necessarie per la
realizzazione degli impianti.
I costi variabili sono quelli derivanti dall’utilizzo dei fattori di flusso della produzione
(materie prime, semilavorati, lavoro diretto ecc..) e variano al variare del grado di utilizzo
dell'impianto mentre risultano pari a zero in assenza di produzione.

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Processi produttivi
Oggi tutti i processi produttivi hanno un elevatissimo grado di automazione, quindi questo
trade off che abbiamo analizzato tra produttività e varietà è un trade off che sicuramente in
passato era molto più significativo, molto più inteso come relazione, perché la
differenziazione e l’apporto di varianti ai prodotti aveva un costo certamente più elevato
perché avevamo sistemi produttivi dove quella riprogrammazione e riprogettazione
comportava un certo tempo e soprattutto un certo costo.
Col passare del tempo è successo che c'è stata un'evoluzione tecnologica non da poco,
quindi i processi di produzione si sono sempre più automatizzati e quindi oggi i sistemi di
produzione sono tutti gestiti e governati da software, oggi riprogrammare gli impianti e i
sistemi di produzioni è molto più facile rispetto a prima essendoci un automazione molto
pinta.
E quindi certamente questa relazione di trade off era molto più valida in passato che non
oggi, sicuramente possiamo affermare che prima la varietà aveva un costo più elevato per
l’impresa cioè offrire varianti aveva un costo più elevato di quanto non sia oggi.
Quando parliamo di automazione parliamo di:
-Apparecchiature per la progettazione dei prodotti e dei processi produttivi;
-Di sistemi di governo del processo produttivo;
-Di apparecchiature per le lavorazioni;
-Di sistemi a supporto dell’attività di programmazione e controllo.

Dimensionamento della capacità produttiva


Dimensionamento sostanzialmente significa come devo dimensionare la mia capacità
produttiva, se viene dotata di un impianto di 100, 200 o di 1000 e in base a quali sono gli
elementi che devo prendere in considerazione per poter fare scelte sul dimensionamento
della capacità produttiva.
Innanzitutto determinare la struttura e quindi la capacità produttiva dell’impresa è una delle
decisioni più importanti, non solo perché definisce una caratteristica permanente almeno nel
breve periodo ma anche per l’entità del capitale investito.
Innanzitutto il concetto di capacità produttiva e di produttività, il concetto di produttività
l’abbiamo già visto mentre il concetto di capacità produttiva è ‘’il flusso fisico di beni o
servizi ottenibili in un determinato intervallo di tempo’’.
Quindi mentre prima la produttività l’abbiamo definita come ‘’il flusso fisico di beni che si
intende raggiungere (ex-ante) o quello che è stato effettivamente raggiunto (ex-post) in un
determinato intervallo di tempo’’.
Per quanto riguarda la capacità produttiva abbiamo una distinzione:
-capacità teorico-nominale, è quella che viene dichiarata dal produttore ( ad esempio la
velocità massima delle auto non sarà mai 220,230 e così via);
-capacità teorico-effettiva, è quella effettivamente realizzabile;
-capacità ottimale o economica.
La capacità produttiva è un valore che rende conto della fondamentale caratteristica
dell’impianto costituita dalla sua dimensione, la produttività è invece un valore variabile tra
0 e la capacità produttiva teorico-effettiva massima raggiungibile e dipende dal grado di
utilizzo dell’impianto stesso.
E’ opportuno evidenziare che i concetti di breve, medio e lungo periodo non sono legati ad
una misura dell’estensione temporale considerata (un anno, tre anni,ecc.) bensì alle ipotesi
che possono essere formulate sulla possibilità dell’impresa di modificare la dimensione
dell’impianto.

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Nel breve periodo infatti si assume che possa variare la quantità prodotta soltanto
modificando le quantità di input dei fattori variabili (costi variabili);nel lungo periodo, invece,
l’impresa può modificare la capacità produttiva effettuando investimenti in nuovi impianti
(costi fissi).
Nel breve periodo non è possibile variare i costi fissi, mentre nel lungo periodo possono
considerarsi variabili sia i costi fissi che i costi variabili.
Vedere sul libro andamento dei costi in funzione del grado di utilizzo dell’impianto e gli altri
grafici (da pag.71)

Economie di impianto o di funzionamento


Economie di impianto o di funzionamento bisogna distinguerle dalle economie di scala,
economie di impianto significa quel risparmio di costo che noi possiamo ottenere attraverso
l’individuazione di un grado di sfruttamento dell’impianto che ci ottimizza quel costo, quindi
ottimale da un punto di vista economico perché riusciamo ad avere il costo unitario totale più
basso sfruttando l’impianto in un grado inferiore alla sua massima potenzialità.

Economie di scala
Con il concetto di economia di scala noi parliamo del concetto di dimensione ottima
dell’impianto, mentre prima parlavamo del grado di sfruttamento ottimale dell’impianto qui
parliamo di dimensione ottima dell'impianto.
Quindi il concetto di economie di scala, invece, è legato alle economie eventualmente
ottenibili al variare della dimensione dell’impianto, possibile nel lungo periodo.
Perché nel lungo possiamo naturalmente cambiare la nostra capacità produttiva, la nostra
dimensione dell’impianto e quindi sostenere costi fissi doppi o tripli.
All’aumentare delle dimensioni dell’impianto si verificano anche significativi effetti sui costi
variabili unitari:
-sconti ottenibili presso i fornitori per l’acquisto di quantità maggiori di materie prime,
semilavorati, componenti, è un costo variabile ma non è costante.Perché se io ordino 100, il
costo variabile di queste materie sarà X ma se invece ordino al mio fornitore ordino 300 il
costo variabile non sarà X ma qualcosa in meno perché ci sarà uno sconto perché sto
incrementando il mio acquisto;
-una divisione del lavoro più spinta, che consente tempi di apprendimento più rapidi.Quindi
una maggiore specializzazione su una cosa che potrebbe avere un effetto positivo sui tempi
di apprendimento di quell’attività ;
-minori costi di coordinamento per lo sfruttamento più razionale della capacità di
supervisione dei manager, ecc.
Le economie di scala possono dunque essere definite come una riduzione del costo medio
unitario del prodotto o servizio derivante dall’aumento della dimensione dell’impianto.

Le condizioni ambientali e tecnologiche come determinanti della dimensione degli


impianti
La tendenza delle imprese a raggiungere una dimensione tecnico produttiva ottima minima è
riscontrabile generalmente in condizioni di mercato connotate da un tipo di domanda stabile
ed omogenea, in mercati guidati dall’offerta (mercati del venditore).
Perché io potrei dire a questo punto, se c’ho questo effetto di economie di scala raddoppio e
mi costa di meno, triplico e mi costa di meno, quadruplo e mi costa di meno ma allora questo
processo è indefinito?

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Certamente no, questa tendenza dell’impresa a crescere di dimensioni va valutato in
funzione di due cause fondamentali:
-il vincolo tecnico-economico che ci impone di non superare una determinata soglia
altrimenti abbiamo diseconomie e non economie;
-il vincolo imposto dal mercato: l’impresa deve valutare il tasso di crescita della
domanda,quindi bisogna valutare questa crescita dimensionale;
Nell’attuale contesto ambientale, certamente le imprese non abbracciano più questo modello
indiscriminato di crescita dimensionale descritto alla ricerca di queste economie di scala, ma
anzi sta aumentando il peso percentuale di settori e di imprese che tendono più ad una
crescita esterna più che una crescita interna con investimenti,raddoppio o triplicazione della
capacità produttiva basata sostanzialmente su realizzazioni di accordi con altre imprese
oppure su rapporti contrattuali di subfornitura.
Cioè invece di investire con risorse interne e di crescere dimensionalmente io faccio ricorso
ad accordi con altre imprese oppure ho dei rapporti di subfornitura, lo faccio produrre ad
altri, ma non dimensiono non mi raddoppio non aumento la mia capacità produttiva.
A tal proposito oggi le imprese hanno abbandonato questi criteri tradizionali criteri basati
sull’orientamento alla produzione cioè finalizzata all’abbassamento dei costi medi unitari e
invece tendono a soddisfare le esigenze di mercato attraverso un’organizzazione più
elastica e flessibile della funzione di produzione (orientamento al marketing).

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Marketing
Il marketing viene definito come un complesso di decisioni, di attività, il cui obiettivo è
massimizzare l'efficienza e l'efficacia del processo di trasferimento del valore generato
dall’impresa ai clienti finali.
Quindi la parola prodotto nel marketing è veramente poco utilizzata, perché il prodotto (il
bene o il servizio) sono solo delle soluzione ad un problema.Quello che noi trasferiamo ai
nostri mercati è un valore complessivo che sicuramente include il prodotto, però include tutto
quello che è benefico che noi riusciamo a creare per il nostro consumatore.
Quindi marketing è anche la gestione di tutto questo, la creazione di tutte quelle condizioni
che possono agevolare la vendita e quindi la massimizzazione di questo risultato, però
include tutto quello che noi possiamo fare per agevolare questo trasferimento di valore
generato dall’impresa ai clienti finali.
Valore anche sociale perché molto spesso oggi le imprese offrono ai clienti soluzioni ai loro
bisogni, ma offre anche valore sociale e valore ambientale (quindi materiali, immateriali,
beni, servizi ma anche valori, comportamenti dell’azienda, esperienze che l’azienda ci
propone).
Quindi le imprese anche attraverso queste componenti del loro valore perseguono una
differenziazione e una ricerca di una identità diversa, distintiva rispetto ai concorrenti.
Quando si parla di marketing come un processo di trasferimento di valore generato
dall’impresa e poi si aggiunge ai clienti finali, questo ai clienti finali è riduttivo perché il
marketing non è soltanto finalizzato ai clienti a quelli che poi comprano ma a tutti gli
stakeholder, tutti gli interlocutori dell’impresa.Quindi il marketing nelle concezioni più evolute,
più moderne, è un’insieme di attività che serve a trasferire il valore generato dall’impresa.
L’importanza e la natura di tale attività è cambiata nel tempo:
1-orientamento alla produzione, è quel l'enfasi data al processo di produzione finalizzato ad
ottimizzare il processo di produzione.Come si ottimizza il processo di produzione?
Essenzialmente con un costo unitario di produzione minimizzato, quindi alla ricerca di un
costo unitario più basso possibile.Orientamento alla produzione l’abbiamo associato
all’epoca e al paradigma della produzione di massa, cioè una produzione che è incentrata
su prodotti omogenei standardizzati finalizzati a tenere il costo unitario di produzione più
basso possibile;
2-orientamento alle vendite, l’evoluzione dell'ambiente esterno ci porta ad altri orientamenti,
perché gli orientamenti precedenti cominciano ad essere non più coerenti rispetto alle
condizioni dell’ambiente esterno.E quindi il paradigma della produzione di massa entra in
crisi nel momento in cui questi bisogni si spostano dal bisogno primario ai bisogni secondari,
terziari e così via cioè quando si ha una specializzazione, una alta differenziazione del
bisogno per cui bisogni non avvertiti più in maniera omogenea ma avvertiti in maniera molto
diversa dai consumatori. Un orientamento anche dal punto di vista evolutivo viene
successivamente alla produzione, perché quando le imprese hanno cominciato a svilupparsi
e ad evolversi secondo il modello della crescita dimensionale.Quindi con questa ricerca di
economie di scala che significa volumi elevati di produzione, significa quindi poi un problema
di dover venderli e allora l’orientamento alla produzione con gli elevati volumi di produzione
che ne conseguono va bene quando l’ambiente esterno (la domanda in particolare) ha un
tasso di crescita talmente elevato che non crea nessuna difficoltà e rischio di non collocare i
prodotti sul mercato.Quando invece la domanda ha cominciato a non crescere in maniera
così elevata, significativa, ma ha cominciato ad avere dei tassi di minore crescita sorge il
problema delle vendite;

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3-orientamento al marketing, nasce quando è iniziato un problema di mercato, di
collocazione di prodotti sul mercato.Prima non c’era nessuna esigenza di andare a
coccolare il cliente, di andare a vedere cosa voleva, di assecondare le sue esigenze, di
preoccuparsi della sua soddisfazione, di capire come migliorare questa nostra soddisfazione
quindi come migliorare la nostra offerta rispetto ai concorrenti.La competizione è cominciata
a diventare sempre più ipercompetizione e quindi significa che mentre prima nel rapporto tra
domanda e offerta noi avevamo una domanda che riusciva ad assorbire tutta l’offerta, nel
tempo questo rapporto si è invertito e quindi (attualmente) c’è stato un eccesso di offerta
rispetto alla domanda e quindi si crea una competizione tra gli offerenti perché il mercato
comincia a diventare una risorsa scarsa perché cominciano ad esserci problemi di
collocazione dei nostri prodotti sul mercato.

5 motivi per cui le persone non comprano

1.No need
Il primo motivo è il bisogno, il bisogno è quello che muove il nostro atto di acquisto senza il
bisogno perdiamo tempo perché se non c’è un bisogno non c’è nulla da fare.Mentre invece
sul bisogno basso qualcosa si può fare perché basso significa che potrebbe aumentare.
Quindi il marketing non può creare artificialmente un bisogno, ma può lavorare sul bisogno
latente o su un bisogno avvertito in maniera molto contenuta.

2.No urgency
No urgenza, questo perché il mercato è in continua evoluzione ed è sempre più difficile più
critico per le imprese quindi bisogna intervenire anche su questo aspetto per incrementare le
vendite.Quindi ti inducono chiaramente ad acquistare perché altrimenti si perde
quell’occasione.

3.No desire
A differenza di ‘’no need’’ qui sostanzialmente non si ha il bisogno di una cosa però la si
desidera e allora qui il desiderio sulla categoria desiderio è quello che apre la strada e apre
un mondo del marketing.Ma a volte anche la genesi di quel desiderio scaturisce
dall’esistenza di un bisogno di cui magari non si ha nemmeno piena consapevolezza.Quindi
il marketing attraverso un meccanismo di induzione, di desiderio di volere quella roba, ti da
dei motivi per cui quella roba tu la vuoi.

4.No money
No money non significa non ho il denaro, ma non vedo il valore quindi non sono disposto a
comprare quella cosa perché non è corrispondente al valore che io percepisco.Quindi il
prezzo si realizza quando io ci sto riconoscendo valore, quindi il compito del marketing di
indurre a dare valore (con dei motivi) anche laddove magari non c’è (valore).

5.No trust
No fiducia, quindi bisogna usare gli altri consumatori cioè qualche espediente che possa far
superare questo problema della fiducia in quello che si sta facendo (nei prodotti o nella
stessa azienda).

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La gestione del marketing e delle vendite
C’è una distinzione tra 2 livelli, che sono:
-Livello analitico-strategico
-Livello operativo
Il marketing strategico è un marketing che innanzitutto è un marketing di analisi e poi di
decisioni di carattere strategico, quindi non c’è strategia se non c’è analisi (del contesto,
delle condizioni ambientali interne, esterne, dei concorrenti ecc..).
Quindi quando parliamo di processo di marketing distinguiamo 5 fasi, di cui 4 relative al
marketing strategico e 1 relativa al marketing operativo:
1-Definizione del mercato, dobbiamo innanzitutto definire il mercato e analizzare il
mercato.Dobbiamo innanzitutto definire il mio mercato potenziale di riferimento, quindi qual è
il mio business, cosa intenderei fare, dove opero;
2-Segmentazione del mercato, dopo averlo definito il mercato noi dobbiamo analizzarlo
attraverso questo processo che si chiama segmentazione del mercato.Questo significa
creare delle sottoclassificazioni, una suddivisione, del mercato in segmenti.Ossia un insieme
di consumatori, e quindi per ogni mercato noi abbiamo un segmento A, un segmento B, un
segmento C perché sono gruppi di consumatori che sono diversi.E qual è il presupposto del
processo di segmentazione del mercato? che il mercato non è un tutt'uno, non è qualcosa di
indistinto il mercato, ma nel mercato ci sono consumatori che avvertono anche le stesse
categorie di bisogno in maniera molto diversa, e quindi cercano cose diverse per soddisfare
lo stesso bisogno o bisogni che avvertiti in maniera diversa;
3-Scelta dei segmenti obiettivo, dopo che io ho capito il mercato come si segmenta, com’è
composto, io faccio la scelta dei segmenti obiettivo.E’ la mia scelta imprenditoriale del mio
modello di business.
Le scelte di marketing strategico possono essere di 3 tipi:
Marketing indifferenziato, cioè io prescindo dalla diversificazione del mercato, prescindo
dalla segmentazione e mi rivolgo in maniera indifferenziata con un prodotto indifferenziato
per tutti;
Marketing differenziato, significa che io modifico, adatto, la mia offerta in base alle esigenze
specifiche dei diversi segmenti di mercato.
Marketing di nicchia o concentrato, significa che io sto servendo solo una fascia precisa di
mercato (imprese che nasce come bio e non vuole fare nient’altro che cose bio).
4-Posizionamento del prodotto, significa come il prodotto viene percepito dal mercato, e qual
è la collocazione del prodotto nella mente del consumatore.Perché la parola posizionamento
è una parola che nel campo marketing riferita ad un prodotto o brand significa come viene
percepito uel brand.Ad esempio qual è il posizionamento di Apple nella nostra mente?
Costoso,affidabilità,innovazione ecc..
Queste 4 decisioni sono decisioni di marketing strategico, sono quelle decisioni di base
fondamentali che danno l’identità al business,all’impresa.
Conclusa la parte del marketing strategico, poi c’è la parte del marketing operativo:
5-Progettazione e implementazione di azioni di marketing (leve di marketing mix), che
significa progettare e implementare azioni di marketing nella realizzazione di questi scopi
che noi abbiamo definito prima.Cioè come chi servire, come servirlo, e in che modo noi
intendiamo essere in quel business, come costruiamo il valore attraverso le leve del
marketing mix.
Le leve del marketing mix sono 4, e in particolare sono products, price, place (inteso come
modo di distribuire il nostro prodotto) e promotion (intesa come comunicazione).

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Quindi il marketing operativo è l'implementazione, la realizzazione, di quegli obiettivi che
dobbiamo raggiungere.
La cosa più importante della parola mix è che non è soltanto un insieme di,un aggregato
di,mix indica la coerenza interna e la coerenza esterna.La coerenza interna tra le 4 leve e la
coerenza esterna rispetto agli obiettivi strategici che vogliamo realizzare, tutto deve
funzionare, deve essere coerente questo disegno.

Brand awareness (consapevolezza)


Brand recognition (riconoscimento di un brand), il riconoscimento di un brand è quando io ho
uno stimolo visivo di un logo, di qualcosa, e riconosco questo stimolo visivo e lo associo al
brand.
Brand recall (richiamo di un brand), il richiamo di brand cioè quando non abbiamo una
sollecitazione visiva o uditiva ma si chiede ad esempio se pensiamo ad una marca di jeans
noi pensiamo a Levis.

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La segmentazione del mercato
Abbiamo detto che segmentazione è una suddivisione, una frammentazione,dei consumatori
di un’area di prodotto/mercato in gruppi, in funzione delle loro caratteristiche intrinseche o
comportamentali in base a dei criteri (che vedremo in fase di micro-segmentazione).
Dobbiamo fare una distinzione tra momento di macro-segmentazione e momento di
micro-segmentazione, quindi significa che c’è un primo livello di segmentazione che ha un
carattere più generale e poi la microsegmentazione è molto più specifica e ci porta poi al
risultato finale che desideriamo, cioè quello di individuare quali sono i diversi segmenti di
quell’area prodotto/mercato.
La macro-segmentazione è la scomposizione del mercato di riferimento in prodotti-mercati
(o business units) in base a 3 variabili: bisogni, acquirenti, tecnologie.
Poi all’interno di questi prodotti-mercati così identificati facciamo una
micro-segmentazione, cioè scomponiamo questi prodotti-mercati che abbiamo individuato
e li analizziamo poi in dettaglio la diversità dei bisogni, le esigenze e quali sono i segmenti
che stanno all’interno di quel prodotto-mercato.
Quindi innanzitutto dobbiamo utilizzare queste 3 variabili (bisogni, acquirenti, tecnologie),
cioè significa la prima domanda che dobbiamo porci è (a livello di macro) chi sono i nostri
acquirenti? quali sono i bisogni che manifestano questi acquirenti? e quali sono queste
tecnologie, cioè quali sono le modalità attraverso le quali noi cerchiamo di soddisfare questi
bisogni di questi acquirenti.
Quindi a livello macro innanzitutto dare una risposta di qual è il mio business, qual è questo
binomio prodotto-mercato, cioè cosa offriamo a chi e perché?.
E poi un livello micro in cui avviene una individuazione puntuale ,analitica di dettaglio,
all'interno del business di come sono avvertiti diversamente quei bisogni e quali sono le
diverse esigenze all’interno di quel binomio prodotto-mercato.
La micro-segmentazione consiste nel suddividere, quindi, il prodotto-mercato in sottoinsiemi
di clienti omogenei nel modo di avvertire un determinato bisogno.
1.Analisi della segmentazione, suddivisione del prodotto-mercato in segmenti omogenei;
2.Scelta dei segmenti-target, selezionare uno o più segmenti-target, da avvicinare con un
prodotto e un programma di vendita adatti;
3.Scelta di posizionamento, significa posizionarsi all’interno di quel segmento in base alle
attese degli acquirenti e anche in base alle posizioni occupate dalla concorrenza;
4.Programma di marketing mirato, consiste nello sviluppo di un programma adattato di
prodotto,prezzo, distribuzione e comunicazione.

Quali sono questi criteri di suddivisione dei clienti omogenei?


-Criteri che hanno una natura socio-demografica, cioè usiamo criteri di carattere
socio-demografico del tipo:età, sesso, localizzazione, livello di istruzione ecc..
-Criteri che hanno una natura comportamentale, parliamo di segmentazione
comportamentale quando utilizziamo dei criteri che fanno riferimento al comportamento del
consumatore, ad esempio il tasso di utilizzazione del prodotto o il tasso di fedeltà ecc..
-Criteri che hanno una natura in base al beneficio ricercato, e quindi qui entriamo nell’analisi
di quali sono i benefici primari e secondari.
La segmentazione socio-demografica è una segmentazione che ha come presupposto
che diversi profili socio-demografici hanno diversità che i vantaggi che i consumatori cercano
nel prodotto, cioè che le diversità di quello che io cerco nel prodotto sia riconducibile ad un
profilo socio-demografico.Quindi che dalla diversità dei profili socio-demografici che
scaturisce la diversità dei vantaggi che i consumatori cercano nel prodotto.

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I vantaggi di questo metodo è che questa è una prassi molto utilizzata per facilità di
misurazione e di accesso diretto alle informazioni, quindi non è difficile utilizzare questi dati,
trovare ed avere questi dati.
Il limite di questo metodo è che è una segmentazione a posteriori, cioè pone l’accento sulla
descrizione degli individui che compongono il segmento ma non tanto sui fattori che
spiegano la formazione di quel segmento, cioè non mi interrogo sul perché.
Anche la segmentazione comportamentale è un metodo di segmentazione descrittivo e
ex-post, perché andiamo a descrivere ex post il comportamento dei consumatori cioè vado a
rilevare qual è il comportamento dei consumatori e vado a differenziarli in base al loro
comportamento di acquisto.
E questi criteri possono essere:
-Il tipo di cliente, clienti potenziali, non clienti, clienti al primo acquisto, clienti regolari o
occasionali;
-Il tasso di utilizzazione dei prodotto, questo criterio mira ad identificare il 20 o il 30% di
clienti che realizza il 70 o 80% del volume d’affari.Ciò significa che in alcuni casi il 70% o
80% del volume d’affari io lo faccio con pochi clienti (cioè solo col 20 o 30% dei clienti),
mentre il restante 20% lo faccio col restante 70 o 80%;
-Fedeltà del cliente, fedeltà incondizionata, non esclusiva e i clienti infedeli;
-Sensibilità agli elementi del marketing, clienti sensibili al prezzo o sensibili alla qualità o
sensibili alle offerte speciali.
Segmentazione in basi ai vantaggi perseguiti, e cioè qui quello che noi andiamo a
cercare di capire è qual è il sistema di valori dei diversi consumatori e cioè il valore o il
vantaggio perseguito in un prodotto che diventa il fattore esplicativo da individuare per la
formazione del segmento.(Ad esempio nell’auto la sicurezza, la sicurezza è un fattore
esplicativo che mi consente di individuare un segmento che è molto sensibile, molto
esigente su questo aspetto che è quello della sicurezza).
Variabili di segmentazione: Il modello comportamentale qui è il modello <<del paniere di
attributi>>.Qualsiasi prodotto è un insieme di attributi, perché a noi interessa in ottica di
marketing farla questa individuazione precisa (di quali sono tutti gli attributi di un prodotto)
perché questo poi diventa la base della segmentazione.
Il vantaggio di questa segmentazione è che questo tipo di segmentazione si concentra sulle
differenze tra i sistemi di valore degli acquirenti, cioè quali sono i valori, i vantaggi, perseguiti
in maniera primaria che io in un prodotto vado a cercare.
Per quanto riguarda i limiti rispetto agli altri, abbiamo detto che mentre gli altri sono molto più
facili e sono descrittivi.Questo non è descrittivo ex post, questo ci fa capire proprio come si
forma quel segmento, come si formano quelle preferenze, a prescindere dall'età, dal reddito
,dal sesso e da altri parametri comportamentali.Qui il segmento non è condizionato da quegli
altri elementi ma è composto e si individua in base a questa gerarchia di priorità che io do ai
diversi attributi.
Il limite sta nella difficoltà nell'individuare gli attributi da privilegiare e l’elevato costo nella
raccolta di dati primari direttamente dal mio mercato, e capire quali sono le preferenze del
mercato e fare quelle mie scelte di segmento.

La segmentazione è sempre efficace?


Quando noi facciamo questa segmentazione noi dobbiamo avere:
-Innanzitutto una risposta differenziata, una segmentazione è efficace quando ci consente
di avere una risposta differenziata tra i diversi segmenti.E cioè quando sono rispettate una
condizione di eterogeneità tra i segmenti e una condizione di omogeneità all’interno del

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segmento.Condizione di eterogeneità tra i segmenti significa che il segmento A deve essere
molto diverso, molto diverso da C, molto diverso da D.E quindi una segmentazione è
efficace se la nostra analisi ci porta a dei segmenti che sono effettivamente uno diverso
dall’altro, significativamente A diverso da B, da C, da D e così via quindi c’è una condizione
di eterogeneità tra i segmenti.La condizione di omogeneità all’interno del segmento significa
che all’interno di quel segmento devo avere la massima omogeneità dei consumatori
all’interno del segmento.
Quindi questo significa massima omogeneità all’interno dei segmenti ma massima
eterogeneità tra i diversi segmenti, perchè altrimenti avrei se non rispettano la condizione di
eterogeneità significa che il segmento A e il segmento B sono un po sovrapponibili e non è
chiaro il confine tra A e B vuol dire che questa segmentazione non è stata particolarmente
efficace.
-Dimensione sufficiente, un segmento deve avere un potenziale tale da giustificare lo
sviluppo di una strategia di marketing specifica.Questo è chiaro, il segmento è composto da
2-3 persone e per servire quelle 2-3 persone in maniera diversa mi costa tanto, ovviamente
non mi giustifica l’impegno di differenziare e di definire una strategia di marketing specifica
per un segmento che è piccolissimo.
-Misurabilità, il segmento deve essere misurabile e deve essere possibile determinare la
dimensione (da quanti sono composti), dal loro potere d’acquisto, le caratteristiche in termini
di comportamento, cioè deve essere in qualche modo misurabile cioè identificabile.
-Accessibilità, cioè deve significare che devo poter raggiungere quel segmento in un
determinato modo, cioè deve essere un segmento che io posso raggiungere con una certa
politica di marketing.
La cosa da dire è che non ci sono delle regole sulla segmentazione, nel senso che la
segmentazione è un’attività molto molto creativa perché io c’ho uno spettro di variabili da
considerare numerose e differenziate.
Quale di queste uso e come faccio a capire se per il mio prodotto è più adeguato un criterio
basato sull’ambito socio-demografico, comportamentale o in base al beneficio ricercato?
Questo è difficile noi possiamo solo rappresentare quali sono i criteri, come si affronta il
problema, però poi ogni problema sarà diverso e quindi per alcuni prodotti io devo capire
qual è la variabile o le variabili e devo capire per quel prodotto quali sono le variabili che più
di altre mi possono spiegare le differenze all’interno del mercato.

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Posizionamento
Siamo ancora nella fase del marketing strategico, ed è un’altra scelta molto importante che
dobbiamo assumere perché significa decidere il modo in cui io voglio essere percepito dai
miei consumatori.Quindi qual è lo scopo finale del posizionamento?
Quello di creare una preferenza stabile nei confronti della mia offerta rispetto a quella dei
concorrenti.Le tre condizioni di un processo di posizionamento sono:
1-Innanzitutto creare un sistema d'offerta che siano una fonte di valore d’uso per il
segmento obiettivo.Quindi è evidente che dobbiamo creare qualcosa che sia fonte di
valore, d’uso, che serva a soddisfare qualche esigenza, che dia qualche utilità al nostro
consumatore.Quindi il prezzo non è altro che la quantificazione monetaria del valore che io
attribuisco a quel bene o quel servizio.Quindi l’impresa deve essere brava innanzitutto a
definire il valore d’uso di questo bene o servizio per il nostro target (per il nostro segmento
obiettivo), ma deve essere brava anche a trasferirlo perché deve essere brava al
trasferimento del valore ai nostri clienti finali;
2-Creare una proposta di valore che deve essere diversa rispetto a quella dei
concorrenti.Cioè far si che quello che noi proponiamo abbia degli elementi di distintività (al
limite di unicità se questo processo funziona bene) rispetto all’offerta dei concorrenti;
3-Creare un'immagine della proposta di valore riconoscibile e memorizzabile, e cioè un
sistema di offerta che sia fonte d’uso sia riconoscibile e memorizzabile da parte del
consumatore e quindi qui c’è quel processo di trasferimento, quindi creare un’immagine
positiva del prodotto.
Quindi abbiamo come obiettivo quello di creare una preferenza stabile della parte del
mercato verso il mio prodotto rispetto a quello dei concorrenti, quindi dobbiamo cercare di
differenziarci dai concorrenti e convincere che il nostro prodotto sia migliore per qualche
aspetto, che abbia un valore maggiore rispetto a quello dei concorrenti.
Il processo di posizionamento si distingue in 2 momenti:
-Determinazione dell’immagine del prodotto o della marca dell’impresa e dei concorrenti
nella ‘’mente’’ del segmento di mercato rispetto agli attributi principali utilizzati nel processo
di acquisto;
-Valutare qual è il posizionamento percepito, perché l’impresa fa delle scelte di
posizionamento, progetta un suo posizionamento in quel segmento però poi bisogna
verificare se quel segmento passa, si trasferisce, e quindi qual è poi effettivamente la vera
percezione del consumatore rispetto al mio prodotto.Quindi quando questo accade ci sono
eventuali azioni correttive di questo gap percepito, perché se mi accorgo che il mercato ha
una percezione del mio prodotto diversa da quella che io vorrei ovviamente devo fare
qualcosa per correggere e superare questo gap di percezione.
E cioè significa che nel primo punto io determino progetto qual è l’immagine che deve avere
il mio prodotto e come voglio sia collocato nella mente del segmento di mercato a cui mi sto
rivolgendo.Questo posizionamento deve essere fatto sugli attributi principali utilizzati nel
processo di acquisto, cioè devo anche capire che cos’è che è più importante nel processo di
acquisto per i consumatori nel momento in cui devono scegliere un prodotto A ed un
prodotto B, quindi devo fare delle scelte di posizionamento per far si che quegli attributi
principali (che sono assunti nel processo di acquisto) siano direzionati in un modo o in un
altro e che diano quindi una immagine precisa e distinta rispetto a quella degli altri
concorrenti.

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Mappa di posizionamento (che serve per fare queste scelte e capire cosa sta succedendo in
termini di posizionamento e che differenza c’è eventualmente tra posizionamento progettato
e posizionamento ricercato)
1-La prima riflessione da fare è eventualmente capire se esiste quel gap tra posizionamento
progettato e posizionamento percepito effettivamente dai consumatori, quindi il gap tra
quello di come vorrei essere visto e come invece sono effettivamente visto (percepito dal
mercato);
2-La seconda utilità di questa mappa è di confrontarmi con la concorrenza, e quindi dire ad
esempio perché A viene considerato tanto più sicuro di me, oppure anche chiedermi ma
perché il mercato dice che A è sullo stesso livello di comodità del mio prodotto?
Quindi possiamo capire anche dove io posso migliorare, in quale aspetto;
3-Inoltre questa mappa ci dà l'idea di quali sono i miei concorrenti più diretti e quelli meno
diretti, e questa è un'informazione importante perché capisco per esempio che per me quali
sono i concorrenti, quali sono quelli che devo temere?.
Di conseguenza avendo queste informazioni posso scegliere di modificare l’identità del mio
prodotto (scelta strategica), perché ad esempio voglio aumentare la comodità, voglio
aumentare la sicurezza ecc., cioè voglio pormi nel mio segmento in maniera diversa.
All’interno di questa mappa, dal punto di vista del cliente, possiamo mettere in evidenza la
differenza tra elementi che afferiscono alla sfera tecnica, prestazionale (ad esempio in una
macchina: il motore, il consumo, i sistemi di sicurezza ecc..), dagli elementi che afferiscono
invece alla sfera simbolica, espressiva, relazionale, sociale (ad esempio in una
macchina:marca,status ecc..).
E quindi l’insieme delle marche viene valutato in base alla maggiore o minore rispondenza ai
diversi attributi, così come li percepisce il singolo consumatore o i singoli consumatori
aggregati in segmenti di mercato.

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Marketing operativo
Abbiamo concluso la parte riguardante il marketing strategico ed entriamo nel marketing
operativo, e in particolare entriamo nelle politiche del marketing mix.Politiche o leve del
marketing mix sono le 4 P (prodotto, prezzo, distribuzione, comunicazione commerciale).

Prodotto
Le politiche del prodotto ha a che fare con tutte quelle decisioni che riguardano la messa a
fuoco di tutti gli elementi, tutti gli attributi, di questo prodotto, quindi la giusta combinazione
delle caratteristiche del prodotto/servizio.
Le caratteristiche e gli attributi del prodotto devono generare un utilità per l’acquirente,
perché deve dare dei benefici che siano legati agli aspetti tecnici prestazionali o che siano
legati anche ad altre dimensioni del prodotto.
I 3 segreti per vendere qualcosa a chiunque:
1-Le persone comprano secondo emozioni e poi successivamente giustifica con la logica;
2-Le persone spesso comprano per uscire da un problema, per risolvere un problema che
hanno.E quindi bisogna comprendere in profondità quali sono i problemi del mercato dei
consumatori;
3-Le persone non comprano prodotti e servizi, ma comprano storie che lo catturino in
qualche modo.
Le categorie di beni possono essere individuate in funzione del livello di informazione e del
rischio:
-Beni convenience e preference, sono i beni di largo e generale consumo.
I beni convenience sono beni beni di largo e generale consumo non di marca, mentre i beni
preference sono beni di largo e generale consumo di marca.
Beni di largo e generale consumo sono beni che noi acquistiamo con una elevata frequenza
che hanno un prezzo di vendita contenuto e che non richiede un particolare processo di
acquisizione di informazioni o di valutazione comparativa tra le diverse offerte del mercato.I
beni convenience sono beni che costano poco e che acquistiamo con grande frequenza e
quindi per i quali noi non siamo neanche disposti a perdere tanto tempo per fare un’analisi di
mercato, di tutte le offerte che ci sono, metterle in comparazione e fare un processo più
articolato di scelta razionale sulla base di una comparazione di questi elementi.
-Beni shopping sono i beni che hanno un prezzo più elevato, una frequenza di acquisto
molto meno ricorrente rispetto ai beni convenience e sono i classici beni che noi compriamo
però dopo aver effettuato un minimo di analisi, dopo aver avvertito l’esigenza di acquisire
delle informazioni sui prodotti che ci sono;
-Beni specialty sono i beni che acquisto molto di rado, che hanno un costo molto elevato e
quindi lì il processo e la mia necessità di informazione è molto maggiore rispetto ai beni
shopping.Ad esempio un bene specialty è un automobile, un bene che io acquisto molto
raramente e che soprattutto ha un prezzo elevato e quindi la mia ricerca di informazione
sarà sicuramente problematica, difficoltosa, onerosa perché mi toglie tempo e mi toglie
energie perché devo dedicarmi a questo acquisto.
Il rischio collegato a questi acquisti è ben diverso, nei beni convenience è un rischio molto
basso, ci interessa molto poco dover fronteggiare questo rischio ecco perché il livello di
informazione che noi andiamo ad acquisire è basso perché il rischio di acquisto è basso.
Nei beni shopping il rischio di acqusito è più alto e qui è chiaro che comunque stiamo
parlando di beni che hanno un prezzo più o meno elevato ma comunque un prezzo che mi
giustifica una esigenza e una ricerca di informazione perché ad esempio se sbaglio
telefonino ho un rischio di acquisto.

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Il rischio dei beni specialty naturalmente è molto elevato proprio perché stiamo parlando di
beni con alto prezzo è chiaro che il rischio di acquisto è molto alto
Come si fronteggia il rischio?
Informandosi quindi il livello di informazione e il livello di rischio sono 2 elementi strettamente
connessi perché al crescere del rischio di acquisto cresce il fabbisogno di informazione,
quando il rischio di acquisto è elevato ovviamente è elevato anche il fabbisogno di
informazione, la necessità che io ho di fronteggiare il rischio.

Le scelte di prezzo
L’altra P è il prezzo, esso è:
-Un parametro di riferimento primario, è un elemento che comunque noi prendiamo in
considerazione;
-E’ la quantificazione monetaria del valore assegnato al prodotto, il prezzo non è altro che la
quantificazione monetaria del valore che noi attribuiamo a quel prodotto.
Gli elementi che devono essere presi in considerazione per la fissazione di un prezzo sono: i
costi di produzione di quel prodotto; elasticità della domanda cioè la sua reazione a diverse
ipotesi diverse di prezzo (e quindi devo tener conto della disponibilità della domanda ad
accettare un prezzo più alto e fino a che punto la domanda mi mostra disponibilità ad
accettare un prezzo più alto); i concorrenti perché è chiaro che io non posso prescindere dal
prezzo dei concorrenti perché bisogna sempre tener conto dei prezzi dei concorrenti.
-E’ un aspetto critico nel caso di ingresso di un nuovo prodotto per il mercato e qui abbiamo
2 opzioni fondamentali:
La prima si chiama scrematura del mercato e la seconda penetrazione del mercato, quando
si parla di penetrazione del mercato si intuisce che si parla di un prezzo basso per avere un
obiettivo di sviluppo rapido, cioè in tempi stretti raggiungere un certo volume di vendita.
La scrematura è l’opposto, cioè significa fissare il prezzo alto e necessariamente scremare il
mercato perché saranno meno i consumatori disposti a comprare ad un prezzo elevato.Un
caso tipico di scrematura del mercato è quello per tutti i prodotti tecnologici perché tutti i
prodotti molto innovativi sono apparsi sul mercato ad un prezzo stratosferico in certi casi.

Distribuzione
La terza P è il canale distributivo, il canale distributivo non è altro che l’insieme dei soggetti
che svolgono funzioni di intermediazione commerciale.La distribuzione è un insieme di
attività, è tutto l’insieme di attività che servono per trasferire fisicamente i prodotti dal
produttore al consumatore, il canale distributivo è l'insieme dei soggetti che svolgono le
funzioni distributive e che quindi consentono che i prodotti si trasferiscono dai luoghi di
produzione ai luoghi di consumo.
Questi soggetti possono essere più o meno numerosi, possono esistere e possono anche
non esistere, e quindi i canali distributivi possono innanzitutto distinguersi in canali diretti e
canali indiretti:
Un canale diretto di distribuzione è quando non abbiamo intermediari commerciale e
quando il produttore si collega in maniera diretta ai suoi consumatori (ad esempio
e-commerce).
Il canale indiretto invece significa quando questo collegamento tra produzione e consumo è
mediato dalla presenza degli intermediari commerciali, e cioè da tutte quelle figure
professioniste delle funzioni di distribuzione che sono tipicamente i grossisti, i dettaglianti, i
rappresentanti, gli agenti di vendita, ossia tutte quelle figure di intermediazione commerciale.

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Il canale quindi indiretto prevede la presenza di soggetti della intermediazione commerciale
che svolgono alcune delle funzioni di distribuzione, alcuni svolgono funzione di distribuzione
di commercio all’ingrosso, altri svolgono le funzioni di commercio al dettaglio (i punti vendita)
e altri svolgono delle funzioni di raccordo tra i diversi stadi del canale distributivo
(rappresentanti,agenti di vendita,broker).
Il canale indiretto a sua volta lo distinguiamo in lungo e breve in base alla numerosità di
questi soggetti, quindi un canale indiretto lungo è il canale classico che prevede produzione,
grossista, dettagliante, consumatore.
Il canale indiretto breve è un canale dove possiamo avere produttore, dettagliante,
consumatore, oppure produttore, grossista/dettagliante cioè che svolge funzioni sia di
commercio all’ingrosso che commercio al dettaglio.
In linea generale i prodotti convenience vengono commercializzati attraverso canali indiretti
lunghi, cioè i prodotti convenience di solito seguono la trafila (produttore, grossista,
dettagliante, consumatore) e quindi con una presenza significativa di soggetti.
Un canale più breve lo possiamo trovare per i beni shopping, mentre un canale diretto tipico
è nel settore B2B (business to business) dove cioè non abbiamo intermediazione ma
abbiamo un collegamento diretto tra consumatori e produttori.
Una cosa importante collegata anche qui alla tipologia di bene di cui stiamo parlando è
quella della pressione distributiva.Cioè la pressione distributiva significa definire il numero
di punti vendita che trattano la stessa categoria di prodotti nei quali in cui l’impresa vuole
essere presente, scegliere una pressione distributiva significa scegliere quali sono i punti di
vendita dove io voglio che il mio prodotto sia presente, dove voglio commercializzare il mio
prodotto.
Questa è una parte della politica distributiva importante perché abbiamo detto che il modo di
distribuire, di commercializzare i miei prodotti non è neutrale rispetto ai miei obiettivi di
marketing e quindi in funzione del tipo di prodotto e in funzione di obiettivi di marketing che
io ho, scelto una determinata pressione distributiva e cioè scelgo i numeri di punti vendita
dove deve stare il mio prodotto.A questo punto si distinguono 3 diverse politiche distributive:
-Una distribuzione intensiva o anche detta estensiva, significa che il mio obiettivo principale
è quello di essere presente nel maggior numero possibile di punti vendita, quindi voglio
avere una presenza capillare sul mercato e voglio che il mio prodotto sia distribuito in
maniera intensiva;
-Una distribuzione selettiva, significa che in questo caso il mio obiettivo non è quello di
essere presente ovunque con uno scopo di essere capillarmente e diffusamente presente,
ma quello di essere presente in punti di vendita selezionati in base a dei criteri;
-Una distribuzione esclusiva, significa che io individuo dei punti vendita che in maniera
esclusiva possono vendere il mio prodotto, quindi è la massima espressione di selettività.

Comunicazione
L’ultima delle P è la promotion, ma non è per noi quella che intendiamo promozione ma la
traduciamo come comunicazione per intendere un insieme di strumenti che sono:
-Pubblicità, la comunicazione è innanzitutto pubblicità perché la prima cosa a cui pensiamo
quando pensiamo alla comunicazione di marketing pensiamo alla pubblicità.Ma certamente
il fatto che sia la principale non significa che sia l'unica;
-Direct marketing, quindi un collegamento diretto tra i venditori e il consumatore;
-Pubbliche relazioni, ossia le public relation che fanno le aziende per avere visibilità, per
partecipare alla vita della collettività, per avere consenso diffuso, per avere partner che in
qualche modo aiutino all’immagine e al valore di quell’azienda;

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-Sponsorizzazioni, è un veicolo di presenza e quindi si lavora sull’immagine, sul fatto che c’è
il nome o logo e quindi è un modo di promuovere l'immagine o l’azienda;
-Promozioni, le promozioni sono quelle politiche che sono fatte di breve periodo che servono
per aiutare le vendite di breve periodo (quindi ad esempio le classiche promozioni 3x2 o i
volantini che vengono fatti dalla grande distribuzione ecc..).
Quindi in sintesi la comunicazione commerciale ha come finalità offrire informazioni inerenti
la differenziazione dell’offerta, ma è un po riduttivo perché non è soltanto informazioni, ma
oltre che fornire informazioni c’è anche uno scopo di orientamento e di attrazione.
Gli obiettivi della comunicazione sono:
-Attenzione, quindi si vuole creare attenzione sul mio prodotto;
-Interesse, dopo l’attenzione bisogna dare degli elementi affinché comincia a nascere un
interesse;
-Desiderio, questo interesse deve tradursi poi in desiderio, di avere quel prodotto;
-Azione e poi dal desiderio c’è l’azione, cioè l’acquisto di quel prodotto.

Servizi di assistenza post-vendita


Questi servizi supplementari oggi aggiungono molto valore al prodotto, e innanzitutto sono
servizi di assistenza, la manutenzione, il ricambio, cioè tutto quello che viene dopo la vendita
del prodotto.Anche questo quindi in ottica di marketing relazionale è molto importante
perché significa che la relazione con i clienti non finisce nel momento in cui i consumatori
comprano, c’è poi una vita successiva all’acquisto ed è appunto tutto quello che avviene
dopo la vendita che fa parte delle preoccupazioni sempre del marketing e anche li attività di
marketing che riguardano come gestire al meglio il prosieguo del contatto attivato con un
certo consumatore.
Le determinanti sottese all’importanza di quei servizi di assistenza post-vendita:
-Contrazione della domanda;
-Dilatazione dell’offerta;
Contrazione della domanda e dilatazione dell’offerta impongono alle imprese di pensare a
tutto quello che è possibile poter pensare in vista della massimizzazione del proprio
vantaggio competitivo
-Difficoltà di mantenere i vantaggi competitivi, è la conseguenza di questa situazione di iper
competizione della domanda.Il vantaggio competitivo nei confronti di un mio concorrente lo
posso ottenere in tantissimi modi, posso lavorare sul prodotto in se, posso lavorare sul
prezzo. Posso differenziarmi da un punto di vista economico, ma io posso differenziare il mio
prodotto anche su tutti quegli elementi che abbiamo detto essere immateriali, simbolici,
espressivi e relazionali.Terza area su cui io posso differenziarmi rispetto ai concorrenti è
proprio l’area di assistenza post- vendita, di quello che succede dopo la vendita anche
questo è un elemento di differenziazione che può indurre i consumatori di preferire a rispetto
a b.
Quindi sostanzialmente quali sono i vantaggi di questa attività si assistenza post-vendita?
-Sono una leva per la fidelizzazione del cliente, perché parliamo di uno strumento di
marketing relazionale cioè gestire al meglio la relazione con il cliente e naturalmente gestire
al meglio significa proiettare una relazione nel medio/lungo periodo, che non sia una
relazione di transazione ma che sia una relazione che si proietta nel medio/lungo periodo;
-Sono una fonti di vantaggio competitivo, perché è un'area dove io mi vado a differenziare
rispetto ai concorrenti e quindi la devo inquadrare come fonte di vantaggio competitivo;
-Possono costituire un business autonomo ad elevata redditività.

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La Finanza
Ci sono 3 fasi individuabili nel ruolo della finanza nel governo dell’impresa:
-Finanza subordinata
-Finanza integrata
-Finanza strategica collegata al modello del valore
La finanza subordinata, il compito più antico e tradizionale della finanza era quello di
reperire mezzi di finanziamento per il fabbisogno finanziario collegato alle politiche di
investimento, cioè significa che noi abbiamo degli investimenti e dobbiamo trovare come
finanziare questi investimenti.
E quindi in questo senso la fase della finanza subordinata evoca una fase in cui la finanza è
un semplice mezzo di collegamento tra i bisogni generati dalle scelte strategiche tradotti in
progetti di investimento e i mercati dei capitali, per cui c’era un momento di definizione delle
strategie, delle scelte strategiche, scelte strategiche che si traducono in politiche di
investimento cui dobbiamo far fronte attraverso il reperimento di adeguati mezzi di
finanziamento.
Quindi questo compito subordinato rispetto alle politiche di investimento e quinde alle
strategie, alle scelte strategiche perché aveva soltanto il compito di trovare le condizioni
migliore per poter finanziare un progetto di investimento, progetti di investimento che
scaturiscono dalle scelte strategiche.
Nella fase successiva noi parliamo di finanza integrata o allargata, già da queste parole si
capisce che chiediamo alla finanza qualcosa in più cioè non quel semplice collegamento tra
fabbisogni legati alle politiche di investimento scaturenti dalle scelte strategiche e i mercati
dei capitali dall'altro, ma si chiede qualcosa in più.E questo fa riferimento all'ampliamento
della funzione anche alle decisioni relative all’efficace impiego del capitale.
Cioè non solo reperire i mezzi di finanziamento ma anche decidere qual è il modo migliore di
impiegare questo capitale, ecco perché la finanza qui assume un carattere più decisionale e
amplia le proprie competenze non solo sull’acquisizione ma anche sull’impiego delle risorse
finanziarie, in questo senso si parla di finanza integrata perché è andata al di là del mero
compito di acquisire sui mercati del capitale le risorse ma di valutare qual è l’impiego delle
risorse finanziarie quindi di valutarli questi progetti d’investimento.
Questa fase allargata, integrata, è sostanzialmente la fase di sviluppo di tutte le tecniche di
valutazione dei progetti e di investimento, quindi la finanza allargata sviluppa tecniche per
valutare la convenienza economica dei diversi progetti d’investimento e qual è lo scopo
fondamentale? quello di tutelare le condizioni di equilibrio finanziario e cioè la finanza che
comincia ad avere un carattere decisionale cioè entra in un progetto decisionale
manifestando quali sono le esigenze di equilibrio finanziario e quindi di dire attenzione
questo investimento non va bene, questo investimento è preferibile a quest’altro, ma questo
ci porta in una situazione di disequilibrio.
Allora ecco che la finanza assume un ruolo decisionale, cioè ha una dimensione decisionale,
influisce sulle decisioni perché ci fornisce degli input delle informazioni che prima non ci
forniva, essendo la prima fase subordinata.
Terza fase è la finanza strategica, questa terza fase di finanza strategica è derivata
dall’affermazione del modello del valore, modello del valore in base al quale ogni decisione
aziendale deve essere presa in considerazione del valore che essa è capace di creare per
gli azionisti, cioè questa cosa la facciamo se gli azionisti ci guadagnano.
Qui è ancora maggiore questo ruolo decisionale e questo entrare nel processo a questo
punto non solo di scelta nell’impiego dei capitali, ma addirittura delle scelte strategiche che
sono a monte che generano quei progetti di investimento.

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E quindi la finanza strategica diventa una funzione a supporto delle strategie aziendali,
quindi un avvicinamento e ad un'interazione tra strategie e finanza non più finanza
subordinata rispetto alla strategia, ma finanza che interagisce con la strategia.
Come si misura questo valore degli azionisti, da cosa è composto?
Tale valore (per gli azionisti) generalmente viene calcolato attraverso la somma dei dividendi
percepiti e dal guadagno in conto capitale derivante dall'aumento del prezzo delle azioni sul
mercato dei capitali.

Quindi i compiti per la finanza oggi sono:


1. Predisporre le regole e gli strumenti da utilizzare per la valutazione degli investimenti
e delle strategie;
2. Decidere qual è la struttura finanziaria di copertura e il reperimento delle fonti di
finanziamento, significa quel concetto di equilibrio finanziario di cui parlavamo e cioè
avere un rapporto equilibrato tra fonti e impieghi di capitale.Quindi reperire le fonti di
finanziamento in modo da salvaguardare l’equilibrio finanziario, e quindi il compito
della finanza è quello di presidiare che nella scelta delle nostre fonti di finanziamento
noi riusciamo sempre a salvaguardare un concetto di equilibrio finanziario;
3. Gestire la Tesoreria;
4. Co-definire politiche di distribuzione dei dividendi;
5. Gestire i rischi (risk management), quest’area negli ultimi 15 anni ha avuto una
importanza crescente molto importante.La figura del risk manager è una figura
professionale che in azienda prima non esisteva che invece è cominciata a esistere
che si occupa di gestire i rischi di tutti i tipi dell’azienda e trovare chiaramente il modo
migliore per fronteggiare i rischi.

Valutazione degli investimenti


A.Quali sono le tecniche per valutare gli investimenti? Nel nostro testo troviamo:
1.Criteri finanziari di valutazione degli investimenti basati sul discounted cash flow
(flusso di cassa scontato)
-Valore attuale netto (VAN)
-Tasso interno di Rendimento (TIR)
2.Criteri non finanziari di valutazione degli investimenti
-Tempo di recupero (payback period)
Innanzitutto la differenza tra questi 2, criteri finanziari di valutazione degli investimenti basati
sul discounted cash flow significa, flussi di cassa scontati significa che se io ho 1000 euro
oggi non valgono 1000 euro tra 6 anni, cioè 1000 euro che io avrò tra 6 anni non sono
certamente comparabili e non hanno lo stesso valore di 1000 euro che però c’ho
subito.Quindi capire oggi qual’è il valore di 1000 euro per me disponibil tra 5 anni
Ed occi allora il VAN (valore attuale netto), ossia quanto vale oggi tutta questa sequenza di
flussi in entrata e in uscita, naturalmente se il gioco è positivo e quindi se tra tutto quello che
caccio e quello che mi entra ho convenienza lo faccio, ma le cifre che devo confrontare
devono essere confrontabili devono essere omogenee.
L’altro criterio il TIR (tasso interno di rendimento) è un altro criterio che si basa sempre sul
flusso di cassa scontato cioè sempre su questo concetto e il valore nel tempo dei flussi di
cassa in uscita e in entrata cambia, e quindi che 1000 euro in uscita e in entrata che sia non
vale 1000 euro (di oggi) non vale 1000 euro tra 3 anni.
Il tempo di recupero (payback period) non tiene conto invece dei flussi di cassa scontati,
cioè non li sconta, ma li somma senza scontarli perché l’informazione che mi da questo

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metodo è quella di dire in quanto tempo io recupero l’investimento però la differenza rispetto
ai precedenti è che io questi flussi in entrata non li vado a scontare.

Come si calcola il VAN


Il VAN (valore attuale netto) è la differenza tra i flussi di cassa in entrata e i flussi di cassa in
uscita però attualizzati, perché stiamo parlando di criteri finanziari che tengono conto di
questo.
VAN= ∑(Ei-Ui) (1+c)^-i
Ei=entrate monetarie al tempo i
Ui=uscite monetarie al tempo i
C=costo medio ponderato del capitale (tasso di attualizzazione)
[(1+c)^-i]= fattore di attualizzazione
Il costo medio ponderato scaturisce dal modo in cui mi sto finanziando il mio investimento,
come lo posso finanziare? o con capitale proprio o con capitale a debito.
E ovviamente il costo medio ponderato viene utilizzato come tasso soglia di accettazione di
un investimento, cioè significa quel valore oltre il quale l’investimento non conviene perché
se l'investimento mi da meno di quanto mi costa per finanziarlo certamente non ha senso
farlo.
Il TIR (tasso interno di rendimento) è quel tasso che mi rende uguale i flussi positivi e i flussi
negativi dell’investimento e quindi mi dice sostanzialmente se questo investimento mio è ad
esempio 6%, 7%, 4%.
Questo tasso interno di rendimento si calcola andando a porre la formula del VAN=0, quindi
quel tasso che mi rende pari a 0 il valore attuale netto, in formula:
∑(Ei-Ui) (1+x)^-i=0
x=tasso interno di rendimento
Se tale tasso è superiore al tasso soglia di accettazione l’investimento sarà accettabile.
Il payback period è un criterio non finanziario di valutazione degli investimenti, prevede una
stima del tempo necessario affinché il flusso di cassa cumulato imputabile al progetto
eguagli il valore del capitale investito.Quindi sostanzialmente io oggi investo 10.000 in
questo progetto di investimento che mi è stato proposto, quanto tempo occorre per rientrare
in questi 10.000? quindi il payback period mi dice in quanto tempo io rientro
nell’investimento fatto, quindi misura l’esposizione dell’investimento.
Soltanto nel caso in cui gli incassi sono costanti si calcola facendo il rapporto tra capitale
investito e media annuale degli incassi.
Nel caso di investimenti alternativi, sarà preferito quello che presenta un payback period
inferiore perché conviene rientrare quanto prima nell’investimento a pari di condizioni.
L’analisi del singolo investimento non considera il fatto che gli investimenti rappresentano in
realtà un insieme unitario e coordinato di azioni che fanno capo a scelte strategiche, cioè
che analizzare un singolo investimento non è sufficiente per poter dire lo faccio o non lo
faccio ma anche qui dobbiamo inserire quell’investimento in un disegno strategico nel
coordinamento tra quell’investimento ed altri investimenti, perché qui facciamo una
valutazione di tipo economico, di rendimento, ma non è sufficiente dire che se il VAN è
positivo o l’investimento mi conviene farlo, se il tasso interno di rendimento è molto
maggiore rispetto al tasso soglia di accettazione mi conviene farlo, no questa è
un'informazione dal punto di vista economico ma per valutare un investimento io devo fare
una valutazione più ampia e innanzitutto considerare che un investimento può far parte di un
insieme unitario e coordinato di investimenti e poi comunque fanno capo a scelte
strategiche, quindi devo valutarne non singolarmente il rendimento ma devo valutarlo alla

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luce dell’insieme degli investimenti e soprattutto dell’insieme del disegno strategico che sto
cercando di perseguire.
Questo è il fondamento della teoria del valore (shareholder value approach), cioè l’esigenza
di valutare complessivamente una strategia aziendale stimata sulla base del contributo che
essa fornisce alla creazione di valore per l’azionista, e quindi sostanzialmente è una
valutazione molto più ampia e poi alla fine misurarla attraverso quest’approccio di valore che
noi riusciamo a creare per l’azionista.
Tale valore viene generalmente calcolato attraverso la somma dei dividendi percepiti ma
anche dal guadagno in conto capitale che mi deriva dall’aumento del prezzo delle azioni sul
mercato dei capitali.

Reperimento delle fonti di finanziamento


B.Secondo compito della finanza è il reperimento delle fonti di finanziamento, quindi noi
abbiamo un fabbisogno finanziario che deriva da un divario temporale tra l’uscita monetaria
per acquisire risorse e poi le entrate future che sono generate da questa risorsa.E questo è
quello che si chiama ciclo finanziario, cioè il divario temporale che esiste tra uscite
monetarie ed entrate monetarie.
Questo fabbisogno finanziario è un fabbisogno che noi abbiamo per finanziare disponibilità
da un lato e immobilizzazioni dall’altro.
Le fonti di finanziamento sono:
-Fonti esterne vengono classificate di solito in: oltre il capitale di credito (medio e lungo
termine) anche il capitale proprio;
-Fonti interne vengono classificate in: autofinanziamento e disinvestimenti.
Approssimativamente ad ogni posta attiva deve contrapporsi una fonte avente la stessa
scadenza, cioè che se io ho un impiego a lungo termine lo devo finanziare con una fonte a
lungo termine, mentre se c’ho un impiego a breve termine lo devo finanziare con una fonte a
breve termine.
L’equilibrio finanziario prevede che la parte del fabbisogno complessivo che si dimostra
persistente nel tempo (quindi la parte dell’investimento consolidato) sia coperta con mezzi
finanziari durevoli propri o di terzi.Mentre invece la parte fluttuante con finanziamenti a breve
termine (quindi specularmente impieghi a breve finanziati con fonti a breve).
In secondo luogo nel concetto di equilibrio finanziario c’è che anche una parte del capitale
circolante sia finanziata con debiti a medio-lungo termine o capitale netto, cioè fonti
consolidate.

C.Ultimo compito della finanza è la gestione della Tesoreria, cioè il controllo dei flussi in
entrata e in uscita e del presidio del saldo di cassa.
Quindi qui ragioniamo in aspetti monetari, quindi stiamo parlando di un equilibrio monetario
tra flussi in entrata e flussi in uscita.
L’unico problema che possiamo avere è tra scegliere il contante e le numerose possibilità di
investimento in titoli a breve termine, quindi ad esempio io c’ho 10.000 euro e posso
decidere se tenerli nel mio cassetto oppure magari vado in banca e faccio un investimento in
un titolo a breve termine come ad esempio cambiali finanziarie, certificati di depositi, Buoni
Ordinari del Tesoro, operazioni pronti contro termine.
Quindi il problema della gestione del saldo di cassa è solo un problema di dire fino a che
punto mi conviene avere questa cassa gonfia oppure pochi soldi in cassa? cioè la mia
liquidità quanto deve essere?

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L’unico ragionamento su cui riflettere che devo fare per poter dire quanto mi conviene avere
come saldo di cassa, è quello che esiste un trade-off tra avere un elevato livello di liquidità e
un basso livello di liquidità.Perché un elevato livello di liquidità significa perdita di interessi
perché c’ho un capitale infruttuoso, però avere bassi livelli di liquidità significa che ho una
vendita ripetuta di piccoli titoli per far fronte ai fabbisogni e cioè elevate spese
amministrative, cioè non mi fa perdere gli interesse ma mi espone a dei costi amministrativi
per operazioni di carattere amministrativi per smobilitazione, di liquidazione di certe poste
per poter far fronte e pagare ai fornitori, alle banche ecc..

Organizzazione
L’organizzazione azienda e la funzione organizzazione si occupa di definire i compiti,
individuare le responsabilità, le relazioni tra le risorse umane presenti nell’impresa.Quindi qui
vediamo già come prima definizione di funzione organizzazione come è inclusa anche una
parte molto importante ossia le relazioni tra le risorse umane.
La gestione delle risorse umane è una delle attività più critiche che esiste in un’impresa
qualsiasi essa sia (piccola, media, grande), qualsiasi essa sia la finalità, perché gestire le
risorse umane non è una cosa affatto semplice nel momento in cui ci siamo sganciati dalla
concezione dove l’uomo era una macchina, era un ingranaggio di un orologio, e chiaramente
all’epoca quando si pensava e si ragionava in questi termini la risorsa umana non esisteva
ma non esisteva proprio il concetto delle risorse umane.Veniva considerata un’attrezzatura,
un impianto, un ingranaggio di un orologio.
Quindi mentra prima si parlava di gestione del personale, oggi si parla da almeno 20 anni di
gestione delle risorse umane, quindi già il fatto di parlare di risorse umane e non più di
personale ha una sua importanza perché prima c’erano i responsabili della gestione del
personale e responsabili della gestione delle risorse umane, due cose diverse.
L’uomo è la risorsa più difficile da gestire, è molto più facile gestire risorse finanziarie, molto
più facile risorse di impianti, di macchinari, di tecnologie, la risorsa umana è complicata
perché è portatrice di elementi di criticità importanti ed ha un potenziale enorme ma così
come anche in positivo ma così come anche un potenziale enorme in termini di
disfunzionalità e di negatività.
E allora ecco com’è importante mettere subito a fuoco questo aspetto ossia le relazioni tra le
risorse umane, quindi il compito della gestione è gestire si la singola risorsa umana (quindi
al meglio) attraverso motivazione, partecipazione ecc.. ma la cosa importantissima è anche
gestire le relazioni che si sviluppano tra le persone.
Quindi il gestore delle risorse umane deve predisporre meccanismi operativi formali e
informali che creino le condizioni migliori per poter far si che le persone esprimano il loro
potenziale lavorativo al meglio, che riescono a produrre valore riuscendo a contemperare
non soltanto il perseguimento degli interessi dell’impresa ma anche il perseguimento delle
persone, perché gli imprenditori illuminati capiscono che gli interessi dell’impresa passa
attraverso il soddisfacimento delle esigenze e degli interessi delle persone.

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La funzione organizzativa
La funzione organizzativa si sostanzia, nel definire:
-I centri decisionali, di controllo ed esecutivi da istituire nell’impresa, cioè i centri
decisionali ossia chi deciderà sostanzialmente, che tipo di decisioni dovranno essere prese
e quindi il primo compito dell’organizzazione è distinguere tra chi deve decidere e chi deve
seguire e chi deve controllare.Quali sono i ruoli organizzativi a cui viene chiesto di eseguire
soltanto oppure a chi viene chiesto di decidere e che tipo di decisioni da assumere, e unità
organizzative che hanno lo scopo di controllare;
-Autorità e responsabilità da attribuire ad ognuno di questi centri, questa è una cosa
molto importante perché è una cosa che spesso non è proprio così messa a fuoco
nell'ambito delle organizzazioni, cioè c’è una stretta corrispondenza, coerenza, tra il sistema
di autorità e il sistema di responsabilità.Quindi dobbiamo comprendere che autorità e
responsabilità sono 2 facce della stessa medaglia, perché se io attribuisco dei compiti e
rendo responsabile di una determinata attività, di un determinato risultato, ogni singola
persona dell’organizzazione io devo però anche conferire a questi centri o queste persone, a
queste unità organizzative, che sto rendendo responsabili su un risultato, su un’attività devo
conferire anche un'autorità corrispondente alla responsabilità che io gli sto conferendo.
Questo può sembrare banale ma in verità accade che certe volte non c’è un perfetto
allineamento tra l'autorità e la responsabilità, ed è certamente un elemento di
malfunzionamento di disequilibrio organizzativo da un punto di vista funzionale perché può
capitare che io sono responsabile di una cosa però non ho l'autorità esattamente
corrispondente a ciò di cui sono responsabile, ovvero di non poter incidere totalmente da
solo su qualcosa sulla quale io sono responsabile.
Allora il principio corretto di perfetto allineamente è che se sono responsabili di un risultato di
un’attività, io devo avere le leve di gestione e l’autorità decisionale per incidere su quei
risultati sui quali mi stai rendendo responsabile.Ma se sono resposabile e non è tutto nel mio
dominio, non è tutto nel mio sistema di autorità, questo può rappresentare un elemento di
disequilibrio perché posso soffrire e subire che la mia responsabilità non è parimente
accompagnata dall’autorità.
Questo però vale anche viceversa perché se io ti conferisco autorità, ti do dei poteri
decisionali, di governo di certe leve devo anche renderti responsabile, cioè tu devi essere
responsabile nei confronti di qualcuno, di qualcosa, di qualche soggetto, di qualche unità
organizzativa, devi essere responsabile sull'uso che tu fai di queste leve e di questa autorità
che io ti ho riconosciuto;
-Relazioni formali da attivare tra i vari centri, sono relazioni formalizzate cioè sono dei
modi codificati di relazionarsi tra i diversi centri di unità organizzative.Anche qui c’è un
importanza cruciale che ha l’informalismo rispetto al formalismo, e quindi si relazioni ma
formali ma un ‘altro ambito che qui non viene segnalato e che andrebbe segnalato sono
relazioni informale.
Perché l’informalismo è una dimensione molto strutturante di un'organizzazione non meno
strutturante del formalismo.Tutto quello che informalmente accade nell’organizzazione è
fondamentale, è molto importante, i meccanismi informali sono meccanismi che incidono
tantissimo sul comportamento, sulle dinamiche, sui risultati, sui modi di lavorare, al di là
delle relazioni formalizzate (cioè quello che è scritto) ma c’è tutto quello che non viene scritto
che è molto incidente sull’efficacia e l’efficienza sul modo di lavorare e sui risultati.

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Questa è una cosa che cambia da organizzazione a organizzazione, alcune imprese le
troviamo molto più formalizzate cioè dove questa parte di procedure di schemi codificati di
funzionamento prevale rispetto alla parte di informalismo spontaneo, cioè alcune imprese
sono molto burocratizzate;
-Procedure di decisione, di informazione e di esecuzione necessarie per l'ordinato
svolgimento della gestione.Quindi parliamo di quella parte che viene codificata e
formalizzata, le procedure, cioè come si realizza il processo decisionale come si decide,
come si producono, come si distribuiscono e si elaborano le informazioni, come si eseguono
i compiti e le attività.
Quindi c’è una parte in cui noi dobbiamo dare per un ordinato svolgimento della gestione,
dobbiamo dare un certo ordine, un certo grado di codificazione e di formalizzazione.
La scelta della configurazione organizzativa è influenzata anche dall’ambiente in cui
l’impresa opera, richiedendo assetti ora flessibili, ora più o meno rigidi.
La varietà e il dinamismo ambientali esercitano notevole pressione sui ‘tipi’ e sulle ‘modalità’
organizzative, in quanto inducono adeguamenti negli assetti e nei processi organizzativi, in
ragione delle finalità strategiche dell’impresa.
Quindi questo indica la coerenza che deve esserci tra scelte di organizzazione, ambiente
esterno e strategie che sono esattamente legate alle condizioni dell’ambiente esterno, quindi
la varietà e il dinamismo ambientale hanno una notevole incidenza sulle scelte organizzative
e una notevole incidenza ha l’ambiente esterno, perché l’ambiente esterno ce l’ha
l'ambiente esterno perché l’ambiente esterno ce l’ha sulle strategie e ce l’ha sulle strategie
ma anche sull’organizzazione perché l’organizzazione deve essere anche lì coerente con le
strategie.

La scelta della struttura organizzativa


Quindi la scelta della configurazione organizzativa è sia condizionata dalla strategia ma è
anche condizionante la strategia, perché anche la strategia va formulata in funzione delle
potenzialità che la struttura organizzativa ha di realizzare bene quella strategia, quindi c’è
una relazione di interdipendenza.
L’impresa seleziona la configurazione organizzativa in ragione delle ‘‘indicazioni’’
dell’ambiente esterno, in funzione delle finalità strategiche e nel rispetto dei ‘‘limiti’’ interni.
Quindi la configurazione organizzativa deve rispondere a queste 3 coerenze, e subire
chiaramente gli input che vengono dall’ambiente esterno, dalle finalità strategiche e anche
rispettare i limiti interni.
I criteri di valutazione per valutare le scelte organizzative, soprattutto nella sua dimensione
di coerenza rispetto a queste indicazioni di carattere esterno, sono:
-Innanzitutto coerenza tra obiettivi strategici e fattori critici di successo, quindi la prima cosa
per valutare una struttura organizzativa, per giudicarne l’adeguatezza o meno è capire se c’è
coerenza tra gli obiettivi strategici e i fattori critici di successo di quel particolare business;
-Qual è l’impatto della struttura dei costi, ogni organizzazione c’ha una struttura dei costi
diversa.Ci sono scelte organizzative che costano tanto che potrebbero essere molto efficaci
ma sono anche molto costose;
-Qual è il livello di autonomia o di integrazione tra le diverse unità;
-Il numero di livelli gerarchici, ogni organizzazione è più o meno piatta, più o meno verticale,
quindi la possiamo vedere molto verticalizzata oppure più piatta.La tendenza sicuramente
nel corso degli anni è avere delle organizzazioni meno verticistiche ossia meno articolate ma
un po più piatte, quindi meno livelli gerarchici;

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-L’elasticità della struttura, è intesa come la capacità della struttura di modificarsi , di
adeguarsi rispetto ai cambiamenti ambientali;
-La capacità di reazione ed adattamento all’evoluzione dell’ambiente;
Questo è importante perché noi abbiamo diverse condizioni in cui si svolge la gestione e
quindi la progettazione di strutture organizzative ci da un grado diverso in termini di risposta
rispetto all’ambiente esterno, noi possiamo avere una gestione che si svolge in condizioni di:
1.Stabilità, cioè il tipo e il livello di prestazione tendono a mantenersi costanti nel tempo;
2.Elasticità operativa, è quando noi dobbiamo modificare le caratteristiche qualitative e
quantitative della produzione, quindi ad esempio dobbiamo modificare le quantità cioè
dobbiamo avere la capacità ad adattarci ad esigenze di quantità diversa.L’elasticità
operativa può essere ricondotta anche all’aspetto qualitativo della produzione, quindi è
l’esigenza ad esempio di adattamento dei nostri prodotti rispetto ai gusti del consumatore,
dei mercati, rispetto a una differenziazione dei bisogni dei nostri consumatori.
3.Elasticità strategica, invece è la capacità di adattarsi a mutamenti dell'ambiente esterno i
quali richiedono un cambiamento della strategia adottata, quindi l’elasticità strategica deve
essere la nostra capacità di modificare anche rapidamente e tempestivamente la strategia
rispetto a delle condizioni nuove, diverse, rispetto a quelle che c’erano in precedenza e
quindi rispetto al cambiamento dell'ambiente esterno;
4.Elasticità strutturale, i cambiamenti della strategia devono trovare immediato riscontro
nell’evoluzione della struttura organizzativa, cioè che la struttura segue la strategia quindi se
io cambio la strategia devo avere un immediato riscontro anche nel cambiamento della
struttura organizzativa.Cioè la capacità dell'azienda di cambiare tempestivamente la sua
struttura organizzativa.

Configurazioni organizzative
Abbiamo 5 organizzazioni configurative, 5 strutture organizzative oppure modelli
organizzativi, in realtà 4 perché tra struttura divisionale e multidivisionale non c’è nessuna
differenza (secondo il professore):
1.Struttura elementare o semplice;
2.Struttura funzionale;
3.Struttura divisionale;
4.Struttura multidivisionale;
5.Struttura matrice;

Struttura elementare
1.Struttura elementare o semplice è una struttura tipica dell’imprenditore proprietario della
piccolissima impresa dove l'imprenditore è anche il proprietario, fa tutto lui e ha pochi
collaboratori (piccoli negozi, piccole fabbriche) dove c’è il capo, l'imprenditore che è anche il
proprietario e poi ci sono dei collaboratori.
E’ una struttura dove l’organigramma (la rappresentazione grafica della struttura
organizzativa) viene rappresentata la parte formale dell’organizzazione cioè ciò che è
formalizzato, che è codificato, e anche le relazioni che noi vediamo gerarchiche tra i diversi
livelli sono quelle relazioni formalizzate chiaramente.
Ci sono 2 dimensioni le dimensioni verticali e le dimensioni orizzontali, la dimensione
verticale ci indica le relazioni di linea cioè gerarchiche (quindi i livelli gerarchici), quelle
orizzontali sono invece le relazioni di staff che sono fuori dalla linea gerarchica ma sono
organi di staff che servono per supporto delle attività di quella persona, di quell’unità
organizzativa, rispetto al quale sono previste.

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Quindi l’organigramma rappresenta solo quella parte formale dell’organizzazione, non c’è la
rappresentazione grafica dell’informalismo ma c’è la rappresentazione grafica di ciò che è
stabilito come previsione di unità organizzative come legami e relazioni tra queste.
Caratteristiche della struttura elementare
Più che vantaggi e svantaggi dobbiamo parlare di caratteristiche di funzionamento, cioè se
per quel tipo di attività per quel tipo di strategie adeguati o non adeguati.
Per quanti riguarda i vantaggi in questo tipo di struttura abbiamo:
-Un elevato livello di flessibilità;
-Abbiamo un basso livello di specializzazione e di divisione del lavoro;
-La disponibilità a svolgere, in condizioni di emergenza, una pluralità di compiti perché c’è
una pluralità di compiti che di solito vengono assolti da un’unica figura organizzativa quindi
non c’è una specializzazione forte soltanto su una cosa;
-I meccanismi di integrazione tra queste persone sono più basate su relazioni personali
naturalmente perché è molto più facile integrarsi, coordinarsi, in questo tipo di realtà.
Per quanto riguarda gli svantaggi invece abbiamo:
-Una scarsa formalizzazione dell’organizzazione, perché il grado di formalizzazione è molto
basso;
-Processi decisionali poco strutturati, ma accentrati in capo ad un unico soggetto
(l’imprenditore/proprietario);
-Stile di direzione autoritario e paternalistico, generalmente uno stile di leadership o molto
autoritario oppure molto paternalistico dipende dalle situazioni che di volta in volta esistono.

Struttura funzionale
2.Struttura funzionale significa che è una struttura che viene fuori dall'adozione di un criterio
di ripartizione del lavoro fondato sulla omogeneità delle attività che si svolgono, e cioè
quando si legge specializzazione per ‘’gruppi di processi ‘’ della medesima specie
economico-tecnica significa che io sto accorpando nell’ambito di una unità organizzativa
tutte quelle attività che sono della stessa specie economico-tecnica, e questa unità
organizzativa quindi si occuperà di una funzione specifica dove vengono accorpate tutti i
compiti e le attività della stessa natura.
Quindi c’è una articolazione delle unità organizzative in base alle funzioni aziendali.
Funzione A, funzione B, funzione C sono funzioni aziendali quindi può essere per esempio
la funzione A produzione, la funzione B marketing, la funzione C finanza, la funzione D
gestione risorse umane, la sezione E ricerca e sviluppo, e a loro volta ogni unità
organizzativa (A,B,C) si possono scomporre, contiene tutte le attività che fanno parte di
quella funzione (sottocategorie in poche parole quindi che riguardano sempre la medesima
specie).Ciò significa che io sto creando unità organizzative dove vado a mettere insieme
tutto quello che si svolge in relazione ad una certa funzione quindi nella unità organizzativa
A io ci vado a mettere tutto quello che riguarda la funzione produzione.
Ecco perché prende il nome di struttura funzionale, perché è una struttura organizzativa in
base alle funzioni aziendali.
Questa struttura funzionale è caratterizzata:
-Da una suddivisione orizzontale del lavoro ai livelli alti (direzionali) tra responsabili di
funzioni, quindi la suddivisione del lavoro viene fatta sulla base di funzioni aziendali.Quindi l
lavoro viene specializzato per funzioni, nella unità organizzativa A tutto quello che è
produzione, nella unità B tutto quello che è marketing si specializza per marketing, l’attività C
ecc…;

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-E’ una struttura tipica di situazioni di gestione abbastanza stabile, cioè chiedono minore
elasticità dai punti di vista o strutturale o strategica o operativa.

La struttura funzionale si qualifica per 3 livelli:


-Direzione generale, quindi a capo di questa struttura (al livello gerarchico superiore) la
direzione generale che ha il compito di coordinare tutte le diverse aree funzionali;
-Direzione delle aree, ossia ogni area è specializzata in una certa attività;
-Unità operative, e poi all'interno delle aree, delle funzioni, ci sono le unità operative con i
compiti esecutivi che si svolgono all’interno delle aree.

Caratteristiche struttura funzionale


Per quanto riguarda le caratteristiche della struttura funzionale (vantaggi) sono:
-Una specializzazione delle risorse con sviluppo di conoscenze, quindi c’è specializzazione
ogni area, ogni unità, fa una cosa separata e diversa dalle altre unità organizzative;
-Una maggiore efficienza ed economicità dal punto di vista tecnico, quindi io rendo il
processo produttivo ai massimi livelli di efficienza possibile;
-Ci dà l'opportunità di migliorare prodotti e processi;
-Una maggiore efficienza della direzione;
Questo modello comincia a manifestare un po’ di limiti quando (svantaggi):
-Difficoltà di coordinamento e comunicazione dovuti alla crescita dimensionale;
-Difficoltà nella gestione di più linee di prodotti, perché questa è una struttura che va molto
bene quando ci sono imprese monobusiness o mono prodotto cioè quando non fa molte
cose diverse l’una dall’altro.Quando abbiamo più linee di prodotti abbiamo delle
inadeguatezze, e questa inadeguatezza, questa difficoltà nella gestione di più linee di
prodotti è tanto maggiore quanto più differenziate sono le linee di prodotto, quante più
diverse sono queste linee di prodotto tra loro.Maggiore è la diversità tra le linee di prodotto,
maggiori saranno anche le difficoltà di gestirle con questo tipo di struttura;
-Lentezza di risposta ai cambiamenti ambientali a causa della struttura tendenzialmente
rigida, sicuramente si avrà una risposta più lenta perché certamente è una struttura che
tendenzialmente è più rigida rispetto invece a strutture divisionali.

Struttura divisionale
3.Nella struttura divisionale scindiamo prodotto mercato X e prodotto mercato Y, perché
sono 2 aree di attività diverse e quindi la divisionalizzazione è un'esigenza che scaturisce
quando io ho diversità nel mio portafoglio attività, nel mio portafoglio business.
All’interno della divisione poi abbiamo le diverse funzioni, la funzione A, B, C che non altro
sono la funzione produzione, funzione marketing, funzione ricerca e sviluppo e quindi
all’interno della divisione noi abbiamo l'articolazione funzionale per funzioni.
Quindi sotto la direzione generale noi non abbiamo le funzioni, cioè ad esempio sotto la
direzione non c’è il direttore marketing o il direttore produzione, ma sotto la direzione
generale c’è il direttore della divisione A e il direttore della divisione B.
Quindi da quest’organigramma capiamo che c’è un direttore generale e sotto la direzione
generale, il livello gerarchico direttamente sottoposto sono le responsabilità di divisione X, Y,
Z e all'interno di una divisione c’è tutta l'articolazione per funzioni (produzione, marketing,
ecc..).
Le responsabilità qui sono assegnate per prodotto, per area geografica o per mercato.

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Questi sono i 3 criteri di divisionalizzazione, cioè di che cosa si occupano queste diverse
divisioni che si vengono a costituire al’interno dell’impresa.Lo scopo è quello di avere una
possibilità di adattarsi meglio alle evoluzioni dei mercati che sono diverse per prodotto, per
area geografica o per segmento di clientela e quindi dare delle risposte più calibrate, più ad
hoc, creando unità organizzative che si occupano soltanto di quel prodotto, di quell’area
geografica o di quel mercato.
All’interno della struttura divisionale quindi si vengono a creare delle piccole imprese
all’interno dell’impresa, e infatti molto spesso queste divisioni acquistano autonomia anche
da un punto di vista giuridico cioè si sganciano da un punto di vista giuridico, cioè si
costituiscono come società a sè separate da quella che diventerà poi la casa madre.
Quindi all'interno di questa struttura le divisioni sono delle unità organizzative dotate di
ampia autonomia strategica, decisionale, operativa, ma non anche autonomia giuridica
perché sono delle unità organizzative all’interno di quell’impresa.Può succedere però che
una divisione diventi società a sé, e cioè può accadere che la struttura divisionale metta in
atto una societarizzazione delle proprie divisioni.
In questo caso questa divisione A che è diventata società a sé diventa una figlia della madre
che l’ha generata, e questa struttura divisionale evolve in una holding ossia in una struttura
di gruppo aziendale.Infatti le holding sono spesso ex imprese divisionalizzate cioè imprese
che avevano una struttura divisionale che poi nel tempo è cambiata e si è trasformata in una
holding, in un gruppo di società dove abbiamo sempre la società madre e le società figlie
che hanno però una massima autonomia contabile, giuridica, gestionale e strategica
(ovviamente una autonomia strategica sempre però condizionata all'appartenenza ad un
gruppo).
La struttura divisionale prevede 5 livelli:
1.Direzione generale, il primo livello gerarchico è la direzione generale dove appunto c’è il
processo strategico centralizzato, quindi cosa produrre, per quali mercati, quali risorse
assegnare ecc..);
2.Staff centrali, sono specialisti con funzioni di supporto e/o di consulenza alla direzione
centrale;
3.Divisioni, con responsabilità diretta di gestione o su un prodotto o su un'area geografica o
su un segmento di mercato di clientela;
4.Aree funzionali, all’interno di ogni divisione c’è la produzione, c’è il marketing, c’è la
finanza, ci sono le risorse umane, che hanno competenze specializzate di funzione;
5.Unità operative, e poi all’interno delle funzioni abbiamo le unità operative con compiti
esecutivi (attività X e attività Y all’interno di una funzione).
Tra questi 5 livelli (secondo il Professore) non si può mettere lo staff perché non è rigoroso
questo perché i livelli gerarchici sono 3 e poi all’interno delle funzioni le unità operative
(quindi 4).Queste funzioni di staff non fanno parte della struttura gerarchica cioè non sono
relazioni verticali (line) ma sono strutture di staff e graficamente sono messe in maniera
orizzontale.

Caratteristiche struttura divisionale


Per quanto riguarda le caratteristiche della struttura funzionale (vantaggi):
-Capacità di gestire e coordinare imprese diversificate, cioè questa struttura funziona bene
quando l’impresa è un’impresa diversificata cioè fa molte cose diverse l’uno dall’altra e
quanto più sono diverse queste cose tanto più è conveniente una diversificazione cioè la
creazione di unità organizzative che sono responsabili della gestione specifica di quella cosa
e non di tutto.Quindi è una struttura che spesso noi troviamo come conseguenza di una

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strategia di sviluppo diversificato, cioè un’impresa monobusiness che poi comincia a
diversificarsi cioè a fare anche altre cose.Questa attività nuova può essere completamente
un’altra cosa rispetto alla precedente oppure può avere delle affinità rispetto alla precedente
attività.
La divisionalizzazione è una conseguenza ed è la struttura organizzative che spesso segue
la strategia (structures follows strategy) ma nel momento in cui la diversificazione è di tipo
conglomerale, cioè il nuovo business non ha legami col vecchio business allora la struttura
organizzativa più adeguata, più coerente è la divisionale.Ma se il processo di
diversificazione è un processo non conglomerale ma un processo correlato o laterale quindi
il nuovo business ha dei punti i contatto con il precedente non è detto che io debba passare
ad una struttura da funzionale a divisionale ;
-Maggiore motivazione e responsabilizzazione dei dirigenti di divisione;
-Adeguatezza ai rapidi cambiamenti dell’ambiente esterno;
-Soddisfazione del cliente, come conseguenza di una risposta calibrata rispetto alle
esigenze dello specifico business;
-Alto grado di coordinamento tra le funzioni, perché c’è un dirigente di divisione che si
occupa del coordinamento di tutto quello che succede all’interno della sua divisione;
-Maggiore adattamento delle unità a differenze di prodotto, geografiche, ad un segmento di
mercato di clientela.
Per quanto riguarda i limiti della struttura divisionale (svantaggi):
-Minore efficienza, perché aumentando la divisione abbiamo una duplicazione di funzioni e
di attività e quindi perdiamo in termini di efficienza;
-Difficoltà di reperimento di manager competenti, ma questo non è tanto alla struttura
organizzativa ma più al mercato del lavoro cioè è chiaro che io avrò più facilità a trovare
manager generalisti rispetto a manager molto specializzati su quell’area geografica, su quel
prodotto o su quel tipo di cliente;
-Possibile conflittualità tra i responsabili di divisione, perché la conflittualità che si può
innescare è nell’assegnazione del budget, nell’assegnazione delle risorse.Perché quando io
sono a capo come direttore generale di una struttura divisionale di tante piccole imprese, io
devo dare anche budget e risorse alla divisione A, alla divisione B, alla divisione C.
E quindi la conflittualità che si sviluppa tra queste divisioni è una competizione (che tra l’altro
può portare a massimizzare i risultati dell’intero sistema impresa) nell’assegnazione delle
risorse.E quindi ogni direttore di divisione ovviamente cercherà di avere dall’azienda quante
più risorse possibili perché cercherà di voler sviluppare il proprio business, di poter
sviluppare la propria area geografica o voler sviluppare il proprio segmento di mercato.
Una competizione esiste anche perché siccome ogni dirigente di divisione è un po come il
capo della propria impresa esso è molto motivato;
-Riduzione economie di scala nelle unità funzionali, perché io sto frazionando sto duplicando
funzioni e attività, cioè sto creando tante imprese all’interno della stessa impresa;
-Scarso coordinamento tra le linee di prodotto, ma questo dipende se esiste o non esiste un
esigenza di coordinare le linee di prodotto.Questa esigenze esiste quando le linee di
prodotto sono continue, sono affini, allora le devo coordinare in qualche modo;
Efficienza ed efficacia sono 2 termini che vanno innanzitutto associati a queste 2 strutture
(funzionale e divisionale), la struttura funzionale proprio perché accorpa tutto all’interno della
stessa unità organizzativa naturalmente raggiunge un livello di efficienza maggiore perché i
costi sono sicuramente ridotti, c’è una maggiore efficienza dovuta ad una specializzazione e
al fatto che possiamo avere economie di scala sia produttive che gestionali.

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Rappresentazione grafica della struttura divisionale
Un’altra ipotesi di configurazione di struttura divisionale viene indicato attraverso una linea
marcata il legame gerarchico tra Direzione Generale e Divisione A e Divisione B.La
Divisione A ha all’interno:pianificazione, marketing, personale, ricerca e sviluppo, cioè tutte
le funzioni sostanzialmente, la Divisione B avrà la stessa articolazione della Divisione A.
Però notiamo in particolare che in questa rappresentazione sotto la Direzione Generale
abbiamo il livello pianificazione, marketing, personale, ricerca e sviluppo, cioè le stesse
funzioni che troviamo all’interno della divisione li troviamo sopra la divisione e sotto la
Direzione Generale.
Però questa duplicazione che noi vediamo ci sono comunque degli elementi in comuni tra le
diverse divisioni che vengono quindi tolte dalla divisionalizzazione e lasciate a un livello
centralizzato.Quindi significa che pianificazione, marketing, personale, ricerca e sviluppo,
questo significa che comunque nella pianificazione ad esempio io riesco ad individuare
qualcosa che è comune a tutte le divisioni (quindi lo gestisco centralmente) e qualcosa che
invece va decentrato, cioè frazionato, scomposto e affidato singolarmente alle singoli
divisioni.
Quindi vuol dire che c’è un'esigenza di coordinamento (da un punto di vista pianificatorio,
produttivo, da un punto di vista del marketing, da un punto di vista del personale, da un
punto di vista della ricerca e sviluppo) sicuramente e ci sono delle cose che non avrebbe
senso spezzettare, frazionare, all’interno delle divisioni ma che possono e devono essere
gestite in maniera coordinata un livello superiore rispetto a quello delle divisioni.

Struttura matrice
4.La struttura matrice è una struttura sintesi di tutte e due gli schemi, sia quella funzionale e
sia quella divisionale.Cioè abbiamo un doppio livello di unità organizzative sottoposte alla
direzione generale, uno è il livello orizzontale e uno è il livello verticale e cioè sotto la
direzione generale noi qui abbiamo funzione A, funzione B e funzione C (quindi produzione,
marketing, finanza ecc..), poi però abbiamo anche in verticale progetto X, progetto Y e
progetto Z quindi delle strutture che tagliano trasversalmente delle funzioni dove c’è una
organizzazione per progetti che va a sovrapporsi ad una organizzazione per funzioni.
Quindi nella struttura matrice restano ferme le diverse funzioni (produzione, marketing,
finanza ecc..) quindi c’è un direttore produzione, un direttore marketing, un direttore finanza,
però abbiamo istituzionalizzazione di un lavorare per progetti quindi questa struttura matrice
è la classica struttura di un’impresa per progetti.
Perché ogni progetto X, Y, Z si avvale poi della funzione A, funzione B, funzione C, progetto
significa avere un compito tempificato e un obiettivo preciso con cui si costituierà un gruppo
di progetti.Ci sarà un leader, un capo di questo progetto e questo team sarà composto da
qualcuno che verrà da questa funzione produzione, qualcuno che verrà da questa funzione
marketing, qualcuno che verrà dalla funzione finanza e qualcuno che verrà dalla funzione
ricerca e sviluppo ecc..
Quindi il team di progetto che è un modo di organizzare il lavoro (soprattutto per le imprese
che lavorano per progetti) è un team multifunzionale guidato da una persona che è il
direttore del progetto ed è un team che è composto da qualcuno che viene dalla produzione,
qualcuno, da un uomo di marketing, un uomo di finanza, che sono allocati a questo progetto.

Questa struttura matrice si caratterizza per:


-L’integrazione delle due dimensioni organizzative principali, sia quella funzionale e sia
quella per prodotto mercato;

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-E’ tipica di imprese che lavorano su progetti, quindi per attività di carattere progettuale;
-Ogni responsabile, ai livelli inferiori, è alle dipendenze del direttore di linea e di quello di
prodotto o di progetto.

Nelle strutture a matrice esistono due gruppi di manager:


-Responsabili funzionali sono quelli ad esempio responsabile produzione, responsabile
marketing, responsabile finanza ecc..(responsabili X, Y, Z);
-Responsabili di progetto (project manager);
Queste 2 dimensioni si intersecano ed ecco che è un modello valido per prodotti con breve
ciclo di vita o per imprese che operano su commessa, cioè su qualcosa che ha un orizzonte
temporale definito ossia qualcosa che è destinata a morire in un certo arco di tempo.

Caratteristiche della struttura matrice


Per quanto riguarda i ‘’vantaggi’’:
-Condivisione flessibile delle risorse umane tra i progetti in una logica di lavorazione su
commessa, o anche di prodotti però con breve ciclo di vita;
-Adatta a decisioni complesse e cambiamenti in un ambiente instabile;
-Opportunità per lo sviluppo di competenze sia funzionali sia di prodotto/progetto, perché se
ad esempio sono io l’uomo di finanza che sono stato attribuito ad un determinato progetto a
quel punto svilupperò competenze funzionali legate alla mia funzione ma anche competenze
su quel progetto.
Per quanto riguarda i limiti (gli svantaggi):
-Rischio di duplicazioni di funzioni, perché potrebbe capitare che magari ad esempio che
quello che fa la persona che sta sul progetto X è probabile che alcune cose sono le stesse
che fa il soggetto che sta nel progetto Y;
-Conflitti gestionali inevitabili a causa di sovrapposizioni tra capi, perché ad esempio l’uomo
di finanza ha sia il capo del direttore di finanza ma ha anche il capo del direttore di progetto;
-Richiesta di notevoli sforzi per garantire un bilanciamento del potere tra le funzioni e i
progetti.

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Analisi dell’ambiente
Noi abbiamo 2 accezioni del concetto di ambiente, un ambiente generale o macroambiente
e un ambiente competitivo o microambiente.Quindi la prima cosa importante che dobbiamo
acquisire è che quando si parla di ambiente esterno non si parla di ambiente naturale ma si
parla di tutte quelle condizioni che contornano l’attività dell’impresa, e nelle quali l’impresa
opera.
Quindi l’ambiente esterno dell’impresa è un insieme di forze, di soggetti, di condizioni, che
influenzano l’attività dell’impresa e che ne caratterizzano il contesto operativo.Quindi ogni
impresa ha un suo ambiente esterno anche se lavora nello stesso Paese, nella stessa città,
si rivolge agli stessi mercati, ma un ambiente esterno di un'impresa è qualcosa di specifico,
di strettamente legato al suo business, a quello che fa l’azienda..
Analisi strategica dell’ambiente esterno significa raccogliere, selezionare, elaborare
informazioni che consentono al decisore di disporre di un quadro attuale e prospettico
dell’ambiente esterno rilevante per l’impresa, ossia che rileva per quella specifica impresa.
Perché si chiama analisi strategica?
Perché ci serve come passo preliminare indispensabile, necessario, per poter formulare
quella strategia.Quindi prima della formulazione della strategia c’è l’analisi dell’ambiente
esterno, in ogni documento strategico, in ogni piano strategico, bisogna fare un’analisi delle
condizioni esterne ed anche interne ma che sono i presupposti per poter decidere una cosa
rispetto ad un’altra.
Quindi per poter decidere io assumo decisioni che sono fondate su informazioni che ho
raccolto e elaborato e interpretato, gestito, secondo anche le mie capacità cognitive,
secondo la mia sensibilità, secondo la mia capacità di imprenditore o di manager, e che mi
servono per decidere cosa fare.
-L’ambiente generale o macro ambiente, viene definito come l’insieme delle forze, dei
fenomeni e delle tendenze di carattere generale che condizionano o influenzano le scelte e i
comportamenti dell’impresa e di tutti gli attori del sistema competitivo.
Quindi sono tutte quelle condizioni di carattere generale a contorno che condizionano e
influenzano le scelte dell’impresa e di tutti gli altri soggetti che stanno nello stesso ambito
competitivo della nostra impresa focalizzata.
-L’ambiente competitivo o microambiente, invece, è l’insieme delle forze che
determinano l’intensità della concorrenza e influenzano le prospettiva di redditività dell’area
strategica d’affari in cui l’impresa opera, quindi una dimensione dei confini più ristretti e più
vicini all’impresa quindi con cui l’impresa viene in più diretto contatto e che sono
naturalmente più incidenti rispetto a delle condizioni ambientali esterne.

Cosa significa fare analisi strategica del macroambiente?


1.Significa monitorare le forze e le tendenze del macroambiente, quindi innanzitutto capire
quali sono queste forze e quali sono queste tendenze e quali sono le condizioni del
macroambiente sotto tutti i profili (da un punto di vista economico, demografico, tecnologico
ecc..).Quindi prima di tutto è un'attività di monitoraggio che significa conoscenza,
rilevazione, comprensione, perché non sono mai dati oggettivi si basano certamente su dei
dati oggettivi ma la difficoltà sta nel comprendere quali sono queste tendenze, queste
condizioni.
2.Individuare i probabili scenari futuri di tali fenomeni ambientali, questo è molto importante
perché fare analisi del macroambiente non significa solo fare fotografie delle condizioni di
oggi da tutti i punti di vista, ma quello che è importante e che è anche un po difficile è
cercare di capire quali sono gli scenari possibili, i futuri probabili scenari di tutti questi

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fenomeni ambientali (dove andrà l’economia, dove andrà l'aspetto politico-istituzionale, quali
sono i fenomeni sociali demografici più incidenti ecc..).Quindi non solo uno stato attuale, ma
anche uno stato prospettico;
3.Interpretare poi qual è l’impatto che lo stato attuale e prevedibile delle forze del
macroambiente può avere sulla condotta strategica e sulla posizione competitiva
dell’impresa.E cioè io imprenditore che faccio questa analisi strategica devo capire tra tutte
queste forze, e quali tra queste forze, tendenze o evoluzioni, sono quelle che più avranno
incidenza sulla condotta strategica e sulla posizione competitiva della mia impresa.
Questo punto ossia capire l’impatto che stato attuale e prospettico del macroambiente che
ha sulla mia impresa cambia da ambiente a ambiente, perché una stessa cosa può essere
un'opportunità per un'impresa e una minaccia per un’altra impresa.

Le principali forze del macro ambiente, quindi quali sono le principali condizioni esterne
all’impresa di carattere generale che compongono il macroambiente o ambiente generale:
-Ambiente economico;
-Ambiente demografico;
-Ambiente politico-istituzionale;
-Ambiente socio-culturale;
-Ambiente tecnologico di base;
-Risorse dell’ambiente naturale (come uno degli ambienti che compongono l’ambiente
esterno);
-Ambiente strutturale nazionale, cioè un insieme di condizioni che caratterizzano un sistema
paese, ossia tutte quelle condizioni che caratterizzano un determinato contesto.

Ambiente economico
L’ambiente economico è il primo sistema sub sistema importante dell’ambiente esterno a
livello macro, l’analisi dell’ambiente economico dovrebbe sostanzialmente rispondere a
domande:
-Quali sono le prospettive economiche del sistema economico nazionale? Siamo in una fase
di recessione o di espansione? Cioè che cos’è in quel momento (fa riferimento all fotografia
del 1 punto sopra citato)
-Qual è l’evoluzione degli investimenti del sistema del risparmio delle famiglie? (fa
riferimento alla proiezione futura del 2 punto sopra citato)
-Quali eventi e trend economici possono influenzare la nostra impresa? Cioè quali sono tra
questi elementi quelli che sono più incidenti e che possono maggiormente influenzare (in
senso positivo o in senso negativo) la nostra attività d'impresa (fa riferimento all’influenza del
3 punto sopra citato).
Ecco perché oggi c’è una elevata difficoltà, perché non è solo contingente ma è un problema
di proiezione nel medio/lungo termine, cioè c’è un incognita che mi impedisce di rispondere
al 2 punto e automaticamente anche al punto 3
Una serie di complessi indicatori dell’ambiente economico per esempio possono essere:
-le diverse tipologie di produzione;
-il reddito disponibile delle famiglie;
-i consumi nazionali per tipologie di prodotto e per aree geografiche;
-gli investimenti;
-i tassi di cambio
-i tassi di inflazione
-l’andamento dei prezzi interni;

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-il risparmio.

Ambiente demografico
L’analisi dell’ambiente demografico dovrebbe rispondere a domande quali:
-Quali sono i trend demografici che si presenteranno, questi rappresentano opportunità o
una minaccia?
-Quali cambiamenti demografici influenzeranno le dimensioni della domanda del settore?
Ad esempio i principali fenomeni socio-demografici che si sono verificati in Italia negli ultimi
decenni sono:
-riduzione del tasso di crescita della popolazione;
-riduzione del numero medio dei componenti per famiglia e diminuzione dei matrimoni;
-aumento del tasso di sopravvivenza e invecchiamento;
-cambiamento della direzione dei flussi migratori;
ecc….

Ambiente politico-istituzionale
Le domande da porsi in questa analisi strategica sono:
-Quali sono i provvedimenti fiscali o monetari previsti, in che misura potranno influenzare il
comportamente dell’impresa?
-Quali sono i più prevedibili cambiamenti nella politica economica del paese?
-Quali sarà il loro impatto sui singoli settori industriali?
Quando parliamo di ambiente politico istituzionale intendiamo tutto l’insieme di regole, di
meccanismi, di regolamentazione delle attività economiche e tutti gli istituti che un paese in
un certo momento e in una certa epoca storica si da.
Tutta una serie di materie che sono ad esempio:
-il grado di regolamentazione o deregolamentazione di alcuni settori;
-leggi ambientali;
-fiscalità e tassazione;
-norme a tutela della concorrenza;
-diritto dei lavoratori;

Ambiente socio culturale


L’analisi dell’ambiente socio culturale dovrebbe rispondere a domande, quali:
-Quali sono i trend attuali ed emergenti negli stili di vita, nelle mode e nella cultura, nei
valori?
-Perché si stanno verificando?
-Quali sono le loro implicazioni per la condotta attuale e futura dell’impresa?
Alcuni fenomeni socio-culturali verificatisi in Italia negli ultimi decenni:
-ecologismo, l’affermazione di una sensibilità, di un valore, di ecologismo ha modificato
innanzitutto i modelli di consumo del mercato, ma poi i comportamenti dell’impresa, i
processi di produzione, i processi di produzione, i processi di distribuzione;
-edonismo, la ricerca sempre di piacere anche attraverso i nostri processi di consumo;
-salutismo;
-standardizzazione dei modelli di consumo, modelli di consumo significa innanzitutto quali
sono i beni e i servizi principalmente richiesti.Quindi a quali beni e servizi si rivolge la
domanda essenzialmente, quali sono le modalità dei processi di acquisto;
-ricerca di maggiore tempo libero, quindi tutte le attività e i servizi di impiego del tempo
libero;

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-individualismo/collettivismo, ma questo dipende da settori a settori perché in certi casi il
nostro acquisto ha più una funzione di distinzione in altri casi invece c’è una prevalenza di
appartenenza e quindi di omologazione di certi beni o servizi.

Ambiente tecnologico di base


L’analisi dell’ambiente tecnologico dovrebbe rispondere a domande, quali:
-Quali nuove tecnologie stanno emergendo?
-Quale sarà l’impatto sulle tecnologie tradizionali e sul mercato?
-In quale fase del ciclo vitale (cioè siamo in presenza di tecnologie in una fase di sviluppo, in
una fase di introduzione, in una fase di maturità) si collocano le tecnologie che dominano il
mercato?

Ambiente naturale
Qui facciamo riferimento all’ambiente come contesto naturale, quindi uno dei 7 subsistemi
ambientali, che dovrebbe rispondere a domande quali:
-Quali sono le risorse necessarie per il ciclo produttivo dell'impresa che l’ambiente naturale è
in grado di offrire?
-Quale sarà l’impatto dell’attività dell’impresa sull’ambiente naturale (problemi di
responsabilità sociale e di tutela della salute pubblica)?
Qui vediamo in pieno la bidirezionalità (ossia quanto impatta l’attività dell’impresa
sull’ambiente esterno) di un rapporto con un subsistema ambientale che ci fornisce
certamente risorse, ma che riceve da noi tutto l’impatto della nostra attività e quindi con tutti i
problemi conseguenti che ci dobbiamo porre in termini d’impresa.

Ambiente strutturale nazionale


Variabili significative:
-dotazione di infrastrutture fisiche e immateriali;
-natura e qualità della formazione;
-investimenti in ricerca e sviluppo;
-costo e produttività dei fattori;
-condizioni della domanda;
-diffusione della tecnologia;
In termini di analisi strategica ci poniamo le domande:
-Quali sono le caratteristiche del sistema-paese in cui l’impresa opera o intende operare?
-Quale sarà l’impatto dell’attività dell’impresa sull’ambiente strutturale nazionale?
-Quali sono i più prevedibili interventi destinati a mutare l’assetto strutturale del paese?
-Quale sarà il loro impatto sui singoli business industriali?

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Microambiente
Abbiamo detto che il macroambiente o ambiente generale lo abbiamo definito come tutte le
forze, tutte quelle condizioni rappresentative a contorno e che caratterizzano un determinato
contesto territoriale in un determinato momento storico e che sono quelle condizioni che
caratterizzano l’operatività di tutte le imprese che operano all’interno di un paese, all’interno
di quel settore, condizioni che sono tendenzialmente dati esogeni rispetto alla singola
impresa perché su questo la singola impresa ha poche possibilità di poter incidere su queste
condizioni (sociali, demografiche, tecnologiche, economiche).
Diversamente da un microambiente dove invece sono tutte quelle forze, quei soggetti,
che operano in un contesto specifico di attività dell’impresa e quindi qui l’impresa ha
una possibilità ben più ampia di interagire e di partecipare alla formazione di queste
forze e delle dinamiche che si sviluppano all’interno di un contesto produttivo.
Il rapporto corretto con l’ambiente esterno va visto in un'ottica reciproca di interdipendenza e
bidirezionalità e quindi un rapporto dialettico, dove non vede subire l’impresa passivamente
esclusivamente senza poter far nulla alle condizioni dell’ambiente esterno ma dove invece
l’impresa può esercitare un suo grado di controllo e di influenza sulla configurazione di
queste forze e di queste dinamiche dell’ambiente nel quale esso opera.
L’ambiente competitivo o microambiente noi lo identifichiamo come insieme delle forze e dei
soggetti che operano all’interno di uno specifico campo di attività dell’impresa con cui essa
interagisce.
Questi fattori dell’ambiente competitivo hanno implicazioni dirette, immediate, sulle strategie
e sulle performance dell'impresa e i suoi concorrente, queste forze e questi soggetti quindi
determinano l'intensità della concorrenza e influenzano le prospettive di redditività
dell’impresa e dei suoi concorrenti.
Prospettive di redditività significa la possibilità di fare reddito, di fare profitto e da cosa
dipende la redditività di uno specifico campo di attività?
Dipende da qual è l’intensità di queste forze competitive, e le conseguenti dinamiche che si
sviluppano e quindi la nostra analisi dell’ambiente competitivo ci serve per identificare quali
sono queste forze e soggetti che incidono sulle strategie e sulla performance dell’impresa, e
capire quindi quali sono le prospettive di redditività dell’impresa e dei concorrenti sempre
naturalmente di quell’area di attività, campo di attività.

Le fasi dell’analisi del microambiente sono:


1.Innanzitutto definire il campo di indagine, cioè qual'è questo contesto competitivo che noi
mettiamo a fuoco per poter poi procedere all’analisi più dettagliate di cosa succede in questo
contesto competitivo, quindi innanzitutto perimetrare il nostro oggetto di studio, il nostro
oggetto di indagine.Noi utilizzeremo per identificare il nostro business utilizzeremo lo
strumento di definizione dell’area strategica d’affari (ASA) ;
2.Dopo aver definito il campo di indagine, identificato, bisogna andare a vedere quali sono le
caratteristiche strutturali e le dinamiche che si sviluppano all'interno di quest’area strategica
d'affari ASA;
3.Individuare poi nell'ambito competitivo che abbiamo messo a fuoco quali sono i principali
raggruppamenti strategici.
Sia il punto 2 che il punto 3 affrontiamo attraverso l’analisi di 2 modelli che ci ha proposto
Michael Porter, per analizzare le caratteristiche strutturale e le dinamiche concorrenziali
utilizzeremo il modello della concorrenza allargata o il modello delle 5 forze competitive di
Porter, e per studiare quali sono all’interno di quell’ambito competitivo le dinamiche
strategiche utilizzeremo il modello dei raggruppamenti strategici di Porter.

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Confini settoriali
Prima di poter parlare del concetto di area strategica d’affari (ASA) dobbiamo parlare del
concetto del settore.
Come si possono definire i confini di un settore?
Noi abbiamo essenzialmente 2 criteri:
1.Il primo criterio è quello della sostituibilità dal lato dell’offerta cioè il settore è costituito
da tutte quelle imprese che offrono prodotti e servizi che hanno le stesse caratteristiche
merceologiche o si avvalgono delle stesse caratteristiche produttive, ricorrono agli stessi
mercati d’acquisto e di vendita.
Quindi qui abbiamo un criterio di individuazione del settore che è fondato sull’omogeneità
delle imprese che operano, quindi ad esempio è evidente che nel settore dei trasporti il
concorrente di Trenitalia è Italo.
2.Noi abbiamo anche un’altra possibilità di individuare il settore ricorrendo al criterio della
sostituibilità non dal lato dell’offerta ma dal lato della domanda (sostituibilità dal lato della
domanda) e cioè qui andremo ad individuare un settore composto da tutte quelle imprese
che offrono prodotti e servizi intercambiabili, anche indipendentemente dalla loro affinità
merceologica.
Quindi significa che se io adotto la sostituibilità del bene o del servizio offerto io sto facendo
riferimento al bisogno che viene soddisfatto attraverso quel bene o quei servizi, e quindi
l’individuo tutte quelle imprese che concorrono nel soddisfacimento dello stesso bisogno
anche se lo fanno con beni o servizi merceologicamente diversi.Quindi sostanzialmente che
incorrono allo stesso bisogno anche con prodotti totalmente differenti (ad esempio il
concorrente di italo è anche flixbus).

L’area strategica d’affari ASA


Il settore in tutti e 2 i criteri che utilizziamo però è un dato un po’ oggettivo nel senso che non
è un qualcosa riferito alla specifica impresa perché ogni specifica impresa poi dovrà andare
a vedere qual'è il confine competitivo, il suo confine competitivo in funzione di quello che fa.
Quindi l’ambiente competitivo rilevante per l’impresa deve essere quello che scaturisce dalle
scelte strategiche della specifica impresa, della singola impresa, e quindi deve essere un
concetto che è strettamente legato all’impresa alfa, all'impresa beta.
E quindi il concetto di area strategica d'affari che è sinonimo di identificazione del business
(del mio business) sono i clienti a cui mi rivolgo, i bisogni a cui mi rivolgo, che possono
essere alcuni ma non tutti per esempio solo i bisogni di mobilità a breve raggio e non anche
a medie lunghe distanze.
Ed ecco che passiamo dal concetto di settore che è poco calibrato sulla specifica impresa e
anche poco utile ai fini operativi e concreti per definire quali sono le mie strategie di prezzo,
di prodotto, di distribuzione, di comunicazione, e passiamo a questo concetto di area
strategica d'affari che è invece quell’ambiente competitivo frutto delle scelte strategiche
dell’impresa.
Questo concetto lo mettiamo a fuoco e delimito i confini basandomi su queste 3 variabili che
sono:
-I clienti;
-I bisogni espressi dai clienti;
-Le tecnologie utilizzate per soddisfare i bisogni di questi clienti.
Quindi l’area strategica d’affari ASA è quella perimetrazione del settore dove io mi vado a
collocare, che è frutto delle decisioni strategiche che le imprese di volta in volta adotta e

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quindi è qualcosa non di oggettivo ma di soggettivo perché è legato alle scelte che l’impresa
fa rispetto a queste 3 variabili (clienti, bisogni, tecnologie).

Modello della concorrenza allargata di Porter o modello delle 5 forze competitive


A questo punto andiamo a vedere le caratteristiche strutturali e delle dinamiche
concorrenziali che si sviluppano in questa area strategica d’affari ASA.
Quindi ci avvaliamo di un modello analitico proposto da Porter, modello che si chiama
modello della concorrenza allargata di Porter oppure modello delle 5 forze competitive dove
è appunto un modello che prende in considerazione 5 forze competitive che operano
all’interno dell’ASA e che incidono sulla redditività di quell’ASA.
Queste 5 forze competitive sono:
1. Modello di concorrenza allargata perché ci siamo spostati, abbiamo accolto questo
concetto di concorrenza riferita non al bene o servizio ma riferita al bisogno che si
soddisfa e quindi ci mettiamo dentro tutti i prodotti sostitutivi, soluzioni alternative
ancorché merceologicamente molto diverse per soddisfare lo stesso bisogno, ecco
che siamo nel concetto non stretto ma allargato;
2. Lo allarghiamo questo concetto di concorrenza ancor di più perché ci mettiamo dentro
anche quelli che sono i potenziali concorrenti, in un'analisi competitiva ci dobbiamo
preoccupare anche dei potenziali concorrenti o dei nuovi entranti possibili perché
un conto è operare in un business dove è difficile entrarci, un conto è operare invece
in un business dove è molto facile entrare;
Facile o difficile significa che esistono o non esistono delle barriere all'ingresso o
all'uscita all’interno di questo business, e quindi io qualsiasi scelta che faccio devo
pensare sempre al fatto che però il mio business è un business aperto (dove possono
buttarsi tutti) e quindi devo prendere le mie decisioni già in considerazione di questo,
decisioni che invece sono diverse se opero in un business che è un business chiuso, dove ci
sono delle barriere per i potenziali nuovi entranti;
3. Poi ci sono i concorrenti effettivi ossia quei concorrenti che fanno la stessa cosa
che faccio io ed è chiaro che la rivalità tra i concorrenti esistenti è al centro di questo
modello;
4. e 5.Poi ci sono il potere dei fornitori e il potere dei clienti, che hanno la qualifica di
forze competitive che concorrono nella distribuzione del valore, nell’appropriarsi, del
valore che si crea all’interno di questo business.Perché se io ho dei fornitori molto
potenti quindi se il potere dei fornitori è elevato significa che io devo un po’ subire
questo potere dei fornitori, quindi sono loro che dettano le condizioni e se mi dicono
che la fornitura vale 100 io posso fare poco.Lo stesso discorso vale per i clienti, clienti
che hanno molto potere si approprieranno di una quota di valore maggiore e io coi
clienti molto potenti posso negoziare fino a un certo punto.
Il potere dei fornitore e dei clienti quindi è una forza competitiva nei miei confronti che mi va
a condizionare le prospettive di redditività.
Perché queste considerazioni di fornitori e clienti sono importanti?
Perché lo scopo analitico di questo modello della concorrenza allargata delle 5 forze
competitive di Porter, è quello di capire qual è l’attrattività di questo business.Perché
attrattività=potenzialità di redditività all’interno di questo business.

Quindi l'attrattività ossia la capacità di fare profitti elevati, dipende da:

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Non solo i concorrenti che esistono, ma anche da quali sono i prodotti sostitutivi, quali sono
le minacce di nuovi entranti, che potere contrattuale hanno i fornitori, e chi sono i clienti di
questo business che poteri esprimono nei confronti dell’impresa.
I fattori strutturali della concorrenza e della redditività secondo Porter
Per quando riguarda 1. l’intensità della rivalità dei concorrenti
La prima cosa che è intuitiva è che quanto maggiore è il grado di rivalità tra le imprese, tanto
minori sono le prospettive di redditività nel lungo periodo, perché se c’è un'intensa
concorrenza quindi è chiaro che le aspettative sono più basse.
La rivalità si esprime in:
-Guerre di prezzo, quando abbiamo un grado di rivalità tra i concorrenti molto alta noi
abbiamo in questo contrasto molto forte, competitivo, noi abbiamo frequenti e ricorrenti
guerre di prezzo.Con conseguente riduzione dei margini di profitto per tutte le imprese,
quindi un sacrificio della marginalità di tutta l’ASA.Cioè il prezzo è un elemento importante di
competizione e quinci chiaramente significa che i margini, i profitti su ogni vendita
diminuiscono e addirittura quando queste guerre di prezzo sono molto forti addirittura
possono spingere il prezzo al di sotto dei costi con tutte le perdite per le impresa dell’ASA;
-Aumento degli investimenti in innovazione di prodotto e di pubblicità, perché è chiaro
che anche questo mi riduce la redditività perché significa che un’intensa rivalità mi
costringerà a fare investimenti nell’innovazione di un prodotto, mi costringerà a tenere molto
alti gli investimenti in pubblicità e quindi settori molti competitivi con elevata intensità di
concorrenza hanno anche un'elevata intensità di investimenti pubblicitari.

L’intensità della concorrenza diretta dipende da:


-Concentrazione, significa quante sono le imprese concorrenti.Quindi ci sono mercati o
business molto concentrati cioè dove ci sono poche imprese grandi oppure business dove
c’è molta frammentazione ossia dove ci sono tantissimi ma piccoli.
Un alta concentrazione in un'area strategica significa che ci sono 3, 4, 5 poche imprese che
si appropriano della quasi totalità del valore.
Un modo di calcolare è la concentrazione è quella di sommare le quote di mercato delle
prime 4 aziende (di A, B, C, D), quindi di sommare le quote di mercato rispettive, se ad
esempio la somma delle prime 4 sia per esempio 80% quindi vuol dire che il mercato è
molto concentrato perché vuol dire che l’80% del mercato sta in 4 aziende e il 20% è
frazionato da una molteplicità di altre aziende.
Se io invece sommo le prime 4 aziende e ho un totale ad esempio del 30% vuol dire che
quest’area strategica ha una bassa concentrazione cioè non esistono imprese grandi e il
fatturato che si sviluppa è suddiviso da molteplici imprese;
-Diversità dei concorrenti, più simili sono i concorrenti più l’intensità della rivalità è
maggiore perché sono concorrenti che fanno la stessa cosa sostanzialmente, hanno le
stesse strategie, gli stessi segmenti target, le stesse tecnologie, e quindi la diversità dei
concorrenti oppure l'omogeneità dei concorrenti è un’altro elemento che incide sull’intensità
della concorrenza naturalmente;
-Differenziazione del prodotto/servizio, è un aspetto di questa diversità cioè la diversità
dal punto di vista produttivo quindi quanto questi prodotti sono differenziati l’uno dall’altro.
L’intensità della concorrenza è massima quando c’è omogeneità del prodotto perché
significa che fanno tutti la stessa cosa, quindi l’intensità della concorrenza è elevatissima;
-Capacità produttiva in eccesso rispetto alla domanda, cioè significa che l’insieme delle
imprese offrono 10.000 penne ma questa capacità produttiva delle imprese che sommate tra
di loro su 10.000 penne è in eccesso perché la domanda non chiede 10.000 penne ma ne

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chiede 8.000 vuol dire che c’è una concorrenza fortissima tra quelli che producono queste
penne perché la domanda non è in grado di assorbire tutta questa produzione
realizzata.Quindi c’è una capacità produttiva che eccede la capacità di assorbimento da
parte del mercato, cioè offerta che eccede la domanda;
-Barriere all’uscita, operare in un determinato settore significa fare determinati investimenti,
usare certe risorse che non hanno una grande possibilità di essere riutilizzate in altre attività
o quanto meno possono essere utilizzate ma non senza incorrere in ingenti perdite.Questo
per esempio vale in tutti i casi in cui questi investimenti e queste risorse sono molte
specifiche.
Quindi se io devo entrare in un business dove so che devo sostenere degli investimenti
specifici, nel momento in cui io volessi uscire da questo business questi investimenti li perdo
perché non sono degli investimenti che io posso recuperare e riutilizzare facilmente in altre
attività (costi non recuperabili), quindi questo mi ci fa pensare se io voglio entrare o non
entrare in quel business.
Se invece io non ho nessuna difficoltà, esco da quel business poi quello che ho investito lo
riutilizzo, quindi ho risorse e investimenti riutilizzabili per altri scopi, in altre attività
economiche quindi non è una barriera.
Quindi è una barriera all’uscita del settore ma diventa di fatto anche una barriera all’ingresso
perché se io so che volessi uscire dovrei necessariamente incorrere in queste perdite e in
questa non recuperabilità di certi costi che ho sostenuto;
-Struttura dei costi (rapporto costi/fissi costi variabili), quando si parla di struttura del costo
si parla del rapporto tra costi fissi e costi variabili.Ora se ho un’attività produttiva dove il
rapporto costi fissi e costi variabili è molto alto nel senso che i costi fissi prevalgono molto
sui costi variabili questo implica che se io ho elevati costi fissi (per un problema di
ripartizione) devo necessariamente aumentare i volumi di produzione per poter assorbire
questi costi fissi elevati.
Quindi se in una certa attività il rapporto costi fissi/costi variabili è sbilanciato sui costi fissi,
quindi ci sono molti costi fissi questo significa tendenza ad aumentare le quantità.

Quand’è i fornitori hanno elevato potere contrattuale?


2.-Innanzitutto piccoli numeri, significa pochi fornitori e quindi pochi fornitori hanno più potere
contrattuale.Molti fornitori hanno meno potere contrattuale proprio perché sono molti e quindi
io impresa posso rivolgermi a una molteplicità di fornitori, ma quando il mercato della
fornitura è caratterizzato a piccoli numeri della fornitura ovviamente questo è un elemento
che incide sulla redditività del settore;
-Elevati costi di switching, significa elevati costi di cambiamento quindi se io devo cambiare
fornitore devo rivolgermi a un fornitore B e non più ad A, se questo mi porta a dover
sostenere però dei costi per cambiare da A a B questo è un costo di mobilità (costi di
switching) che mi induce a rimanere con A;
-Piccola dimensione dei clienti, i fornitori hanno un elevato potere contrattuale quando i
clienti sono piccoli, sono tanti, sono sparpagliati, esprimono una piccola domanda rispetto al
fatturato totale che un fornitore può vendere
-Elevato apporto qualitativo della fornitura del prodotto finale, cioè se il fornitore sa che
questo cappuccio ha un apporto molto importante ovviamente questo gli conferisce una
situazione di maggiore potere contrattuale;
-Elevata differenziazione del prodotto, se i fornitori sono specializzati o il loro prodotto è
molto differenziato hanno un alto potere contrattuale, viceversa se i prodotti sono omogenei
il potere contrattuale dei singoli fornitori è basso;

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-Possibile integrazione a valle, integrazione significa che io posso occupare tutta la filiera o
solo una parte di quella filiera cioè ad esempio posso fare tutto io, dalle materie prime fino al
prodotto finito, quindi sono un’azienda altamente integrata perché tutte queste fasi di
lavorazione le faccio io.
Integrarsi verticalmente significa partire da una situazione di posizione all’interno di questa
filiera e aggiungere ulteriori fase o a valle o discendente (quindi mi sono avvicinato al
prodotto finito) o a monte o ascendente (per intendere che sto andando verso le materie
prime).

Il potere contrattuale dei clienti


3.Il potere contrattuale dei clienti aumenta quando:
-Il mercato di acquisto è concentrato, ci sono pochi grandi clienti che assorbono quote
elevate del fatturato delle imprese venditrici, ossia che magari da soli fanno il 70/80% del
fatturato.Quindi grandi clienti, grandi volumi di acquisti e quindi grande potere contrattuale:
-Sono disponibili prodotti sostitutivi, in questo caso il cliente ha più potere perché
chiaramente non è dipendente da quella produzione, da quella fornitura, ma può andare
presso altri fornitori perché esistono prodotti sostitutivi;
-I costi di riconversione dei clienti sono bassi, ossia quando io cambio fornitore e il cambio
non mi comporta nessun costo di switching significativo particolare quindi ho più potere;
-I prodotti acquistati non sono determinanti per la qualità del prodotto o del servizio dei
clienti, oppure per contenere il costo totale del cliente ad esempio tutto sommato questo
tappino non è così cruciale per la qualità del prodotto che io realizzo quindi è poco rilevante
e quindi se anche l’unico fornitore che mi fa questo tappino in questo modo mi accontento di
un tappino imperfetto però che costa di meno perché poi tutto sommato non è che è tanto
importante per me;
-I prodotti acquistati sono indifferenziati a standardizzati, quindi non c’è nessuna differenza e
il potere contrattuale dei clienti è massimo quando ci sono prodotti omogenei o
standardizzati, quindi alla fine il prezzo diventa un elemento importante e qui il cliente
esprime il suo potere di negoziazione contrattuale.
-I clienti minacciano di integrarsi a monte, il cliente ha più potere nei confronti del fornitore
quando ha la possibilità di integrarsi a monte e cioè di fare in proprio quello che prima
faceva il suo fornitore;
-La minaccia di integrazione a valle delle imprese dell’ASA è remota, nel senso che è
quando l’integrazione a valle non è proprio veramente realistica quindi c’è una remota
minaccia di integrazione;
-Le condizioni economico-finanziarie delle imprese clienti sono solide, perché il cliente solido
dal punto di vista economico-finanziario ha la possibilità di giocarsi nella negoziazione
questa sua solidità economica-finanziaria perché è un buon pagatore, perchè è regolare,
quindi il fornitore non è esposto a rischi di questo tipo.
-I clienti sono informati sui prezzi di mercato e, quindi sui costi delle imprese fornitrici, è
ovvio che anche questo da più potere contrattuale perché i clienti sanno perfettamente quali
sono le condizioni di mercato, quali sono i prezzi, quali sono i costi delle imprese fornitrici e
quindi un cliente informato è un cliente più potente naturalmente.
Maggiore è la trasparenza, l'informazione, che circola nel mercato , quanto più questa
informazione verrà usata da chi la detiene e quindi detenere informazioni sui prezzi, sui costi
e sulle imprese fornitrici sicuramente rafforza il cliente come parte contrattuale in un rapporto
con i fornitori.

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La concorrenza potenziale
4.Ci sono dei business dove è facile entrare ed uscire, dove non ci sono né barriere
all'entrata né barriere all'uscita.Ci sono dei business invece dove è più difficile entrare ed
anche più difficile uscire.
-Le barriere all’entrata sono differenziali di costo a carico delle imprese che vogliono entrare
su un determinato mercato.Differenziale di costo sintetizza tutti i motivi di barriera
sostanzialmente perché significa che chi deve entrare deve sopportare dei costi aggiuntivi,
costi notevoli, per poter accedere in quel business.
Quindi sono delle barriere che poi si traducono in costi che riducono la convenienza di
potenziali concorrenti ad entrare;
-Oppure pongono questi soggetti in una posizione di maggiore debolezza rispetto agli
operatori già consolidati che già operano all’interno di quel business.
Quindi è chiaro che chi opera all’interno di un business da già tempo ha una posizione di
notevole vantaggio rispetto a chi invece si affaccia in quel momento in quel business;
-Quando queste barriere sono molto elevate (nelle forme più estreme) tali barriere bloccano
in maniera assoluta l’entrata di nuovi concorrenti.
Queste barriere possono essere classificate in:
-Barriere istituzionali, si parla di copyright, di brevetti, di protezionismo ecc… sono
chiaramente ostacoli ad entrare in un determinato business;
-Barriere strutturali, sono le economie di scala, vantaggi assoluti di costo, fabbisogno di
capitale, differenziazione, accesso ai canali di distribuzione.
Le economie di scala significa dotarsi di una capacità produttiva maggiore per poter avere
un costo unitario di produzione più basso possibile, questo è un ostacolo fortissimo perché
significa che chi vuole entrare deve entrare già in quella scala produttiva per poter essere
competitivo.
Un altro ostacolo è quello della differenziazione e cioè entrare in un business dove il
prodotto è standardizzato, omogeneo, è molto più facile di entrare in un business dove c'è
differenziazione di prodotto perché la differenziazione di prodotto significa che la mia penna
è particolare, la mia penna è unica quindi sono riuscito a differenziarmi rispetto agli altri.E
allora chi vuole attaccarmi nel mio business però deve riuscire a imitare o superare questa
mia penna.
Un altro motivo importante è l’accesso ai canali di distribuzione perché entrare in un nuovo
business significa dover conquistare prima ancora dei clienti, dei consumatori finali, di
conquistare gli intermediari di distribuzione (i grossisti, i punti di vendita) cioè accedere a dei
canali di distribuzione dove sono già presenti gli operatori che già operano in quel business
e questo è un ostacolo importante.
Quindi i nuovi entranti hanno da conquistare, in sintesi, innanzitutto la distribuzione (inteso
sia il distributore all’ingrosso e sia il distributore al dettaglio) e poi i consumatori finali.
Fabbisogno di capitale cioè per entrare in un business bisogna farsi conoscere e quindi
bisogna fare degli investimenti pubblicitari impegnativi perché bisogna informare il mercato
della tua esistenza;
-Barriere strategiche, che significa le minacce di ritorsioni da parte di chi già opera nei
confronti dei nuovi entranti, questo è importante perché è una barriera che mi devo
aspettare.Perché se io entro in un business vado ad attaccare chi già opera e mi devo
aspettare ritorsioni da parte chi già opera.
In che termini queste ritorsioni si manifestano?

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Innanzitutto in un incremento di pubblicità e poi in un abbassamento dei prezzi o anche in
altre manovre di ritorsione contro il competitor che è entrato, e questo lo devo prevedere
però quando questa minaccia è elevata mi rappresenta una barriera all’entrata.

La minaccia di prodotti sostitutivi


5.-I prodotti sostitutivi sono prodotti o servizi che pur avendo caratteristiche merceologiche
diverse assolvono alla stessa funzione d’uso (bisogni sostanzialmente), quindi sono quei
prodotti beni o servizi che concorrono al soddisfacimento dello stesso bisogno anche se
sono merceologicamente molto diversi l'uno dall’altro;
-Due prodotti sono sostitutivi quando la loro elasticità incrociata è positiva ed è elevata.
Noi sappiamo che l’elasticità della domanda rispetto al prezzo di un bene significa quanto
reagisce, quanto varia la domanda al variare del prezzo.Qui parliamo di un elasticità
incrociata cioè abbiamo due prodotti A e B e valutiamo qual è l’effetto che si produce su un
prodotto in conseguenza dell'incremento o della diminuzione del prezzo dell’altro prodotto.
Nel caso in cui abbiamo un elasticità incrociata positiva, quindi quando abbiamo 2 prodotti A
e B tra di loro in concorrenza se il prezzo di A aumenta la domanda del prodotto B aumenta,
perché una parte di domanda si sposta da A a B.
Quindi noi dall’indicatore dell’elasticità incrociata capiamo qual è il rapporto che esiste tra 2
prodotti, se all’aumentare di A si espande la domanda dell’altro allora significa che i prodotti
sono sostitutivi.
Però può anche capitare se aumenta il prezzo del prodotto A si riduce la domanda del
prodotto B e questo significa che sono complementari.
Se invece all’aumentare del prezzo di A la quantità di B rimane invariata significa che il
legame tra i 2 prodotti è indipendente.
Quindi quanto più è alto questo indice di elasticità incrociata tanto più i prodotti sono
sostitutivi;
-La presenza di prodotti sostitutivi rende la domanda elastica al prezzo ovviamente, perché
è chiaro che se io ho un prodotto sostitutivo non sono disposto ad accettare incrementi di
prezzo perché altrimenti mi sposto e vado sul prodotto sostitutivo.

ASA e raggruppamenti strategici


Raggruppamento strategico significa gruppi di imprese che sono omogenee nel loro
comportamento strategico.
Perché nasce questo concetto di raggruppamento strategico?
Perché Porter si è posto questa domanda ma perchè imprese che operano all’interno della
stessa area strategica d’affari (e quindi sottoposte alle stesse forze e dinamiche che
costituiscono quell’area strategica d’affari), hanno una redditività diversa?
La risposta è che perché all’interno di quell’ASA ci stanno con comportamenti strategici
diversi, e quindi tu puoi stare all’interno di quell’area strategica di affari se però hai una tua
identità strategica precisa;
Porter quindi ha parlato di raggruppamento strategico per individuare all’interno di un ASA
quelle imprese che sono più simili tra di loro in termini di condotta strategica, e quindi questo
concetto di raggruppamento strategico nasce dal fatto che bisogna abbandonare le ipotesi
che tutte le imprese appartenenti ad un ASA siano accomunate dalle stesse caratteristiche.
-Nella stessa realtà in una stessa ASA possono coesistere diversi raggruppamenti strategici;
-E quindi per un'analisi ancor più puntuale del contesto competitivo il raggruppamento
strategico rappresenta quel sottoinsieme di imprese all’interno dell’ASA che essendo più

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simili all’impresa focalizzata naturalmente rappresentano l’ambiente competitivo più a stretto
contatto con l’impresa.
Il raggruppamento strategico si individua quindi:
-Il raggruppamento strategico è quindi tutte quelle imprese concorrenti che seguono
strategie comuni o simili, riconducibili alle stesse dimensioni strategiche quindi che puntano
sostanzialmente alle stesse cose, che hanno un orientamento strategico simile nel modo di
vivere e di essere presente all’interno dell’area strategica di affari;
-Questi raggruppamenti strategici possono essere mappati attraverso l’utilizzo delle
dimensioni strategiche su cui si basa il vantaggio competitivo.
Queste dimensione strategiche sulle quali si basa il vantaggio competitivo sono tantissime e
possono essere:
-L’ampiezza della linea produttiva
-Il livello di servizio
-Il tipo di tecnologia
-Il grado di integrazione verticale
-Il livello di innovazione tecnologica
-Le strategie di prezzo
-La qualità dei prodotti/servizi
-La tipologia del cliente servito
-Il tipo di canale distributivo utilizzato
-Il numero dei mercati servizi ecc..

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Analisi dell’ambiente interno
Dopo che abbiamo parlato di ambiente esterno ossia macroambiente e microambiente, noi
entriamo nell’analisi dell’ambiente interno all’impresa.
Qui abbiamo un obiettivo preciso in questo tipo di analisi ossia capire qual è il legame tra le
risorse, le competenze, le scelte strategiche che noi effettuiamo e il vantaggio competitivo
come conseguenza di adeguate scelte strategiche prese sulla base delle risorse e delle
competenze che noi abbiamo.
Quindi noi cerchiamo di capire come risorse, competenze, scelte strategiche e vantaggio
competitivo come sono legati tra loro.
La prima cosa è che secondo un'ottica tradizionale nel nostro processo di formulazione
strategica la nostra focalizzazione era prevalentemente sull’analisi dell’ambiente esterno
essenzialmente quindi con le analisi del settore, quindi noi all’esterno andavamo a vedere
questo settore, le forze, i soggetti, le dinamiche, le minacce, le opportunità, quali sono le
opportunità che possono venire per esempio da certe modificazione dei gusti, dei trend,
degli stili di vita ecc.. quindi in sintesi analisi dell'ambiente esterno che ci restituisce un
quadro di opportunità e di minacce.
E questo nell’ottica tradizionale era nel processo di formalizzazione delle strategie era il
fornitore principale di informazioni in base alle quali assumevamo le nostre scelte
strategiche.
E il problema delle risorse interne (cioè quello che succedeva nell'ambiente interno) veniva
affrontato successivamente in fase di attuazione della strategia ed era un problema
essenzialmente di come allocare al meglio le risorse per ottimizzare efficacia ed efficienza.
Però l’analisi delle risorse, l’analisi dell’ambiente interno era una analisi che veniva fatta in
fase di attuazione della strategia perché nella fase di formulazione della strategia, la
focalizzazione era un approccio fondamentalmente fondato sull’ambiente esterno cioè sul
quadro di opportunità e di minacce che ci proveniva dall'ambiente esterno.
Un'ottica innovativa rispetto a quest’ottica tradizionale è che sono le risorse e le competenze
che definiscono l’identità delle imprese e i suoi obiettivi strategici.E quindi un recuperare
sostanzialmente centralità alle risorse, alle competenze, che non rilevano soltanto in fase di
attuazione delle strategie e quindi non è solo un problema di utilizzo al meglio di queste
risorse in fase implementativa, in fase attuativa, ma diventa un elemento di partenza per la
formulazione degli obiettivi strategici dell’impresa.
Cioè è la formulazione della strategia che si fonda prima ancora che sull’analisi
dell’ambiente esterno e sull’analisi dell’ambiente interno, sull’analisi delle risorse, delle
competenze, perché sono quelle che danno l’identità all'impresa e sono quelle le fonti di un
vantaggio competitivo durevole.

Approccio Resource-based view


L’impresa viene vista come un insieme eterogeneo di risorse e di competenze e sono queste
risorse e competenze che sono la base per il conseguimento del vantaggio competitivo, e
quindi il vantaggio competitivo che si fonda sulle risorse e le competenze che ha un'impresa
al suo interno.
Con questo approccio della Resource-based view cambia la logica alla base della
formulazione delle strategie, perché mentre nell’ottica tradizionale il focus era sull’ambiente
esterno, nell'approccio based-view è sull’ambiente interno ossia sulle risorse e sulle
competenze.
E quindi la specializzazione su ciò che si sa fare, sfruttando il patrimonio di risorse e di
competenze che si posseggono.

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Perché sono le risorse e le competenze che sono la base di un vantaggio competitivo
duraturo che proietto nel lungo periodo.
Ecco che la grande importanza di questo approccio ‘Resource based view’ è quello di
modificare proprio il processo di formulazione della strategia, cambia la logica alla base della
formulazione della strategia e quindi la strategia non è scaturente da un’analisi privilegiata
che prima era il fornitore principale degli input sulla base dei quali noi postulavamo le
strategie, ma è la strategia che si fonda e che parte dall’analisi di risorse e competenze.
Quindi la Resource-based view è un processo di formulazione strategica che parte
dall’individuazione, dall’analisi, delle risorse e competenze e vado poi nell’ambiente esterno
a cercarmi quei contesti dove queste risorse e competenze possono essere maggiormente
valorizzate e possono avere successo.

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Risorse e competenze
L’obiettivo dell’analisi dell’ambiente interno è quello di comprendere qual è il legame che
esiste tra le risorse, competenze, scelte strategiche e vantaggio competitivo, e questo deve
essere un legame di coerenza.
In particolare il messaggio importante della Resource based-view è che le scelte strategiche
e il fondare la ricerca di vantaggio competitivo devono essere strettamente coerenti con le
risorse e competenze che noi abbiamo.
In ottica tradizionale (abbiamo detto) che la focalizzazione nel processo di formulazione
strategica era sull’ambiente esterno, sull’analisi di settore, sulle opportunità, sulle minacce
che provenivano dall’ambiente esterno.Ma il problema delle risorse veniva in fase di
attuazione della strategia come problema di allocazione delle risorse al fine di conseguire il
maggior livello di efficacia e di efficienza.
Però logicamente in ottica tradizionale la centralità era sull’analisi dell’ambiente esterno,
mentre invece l’analisi interna quindi una valutazione delle risorse e delle competenze
venivano in una fase successiva cioè in una fase di attuazione delle strategie.
Quindi intuiamo già che in un'ottica innovativa invece le risorse e le competenze definiscono
identità e obiettivi strategici dell’impresa, strategie che non sono quindi un dato esogeno che
si assume in base prevalentemente al risultato dell’analisi dell’ambiente esterno ma è un
processo di formulazione strategica che si assume e si formula alla luce delle risorse e delle
competenze che l’impresa possiede e che ne definiscono l'identità.
-Quindi l’impresa viene vista come un insieme eterogeneo di risorse e di competenze che
costituiscono l’identità dell’impresa;
-Costituiscono inoltre la base per il conseguimento del vantaggio competitivo, vantaggio
competitivo che sia duraturo, sostenibile.
-Questa esigenza di fondare il conseguimento del vantaggio competitivo sulle risorse e
competenze è tanto più forte quanto più rapido è il cambiamento ambientale, quindi tanto è
più è rapido tanto più le risorse e le competenze devono essere in grado di sostenere una
strategia di lungo periodo perché l’ambiente esterno cambia rapidamente e con esso quindi
anche la griglia di opportunità e di minacce e di condizioni che cambiano, ma quello che mi
consente di proiettarmi nel medio/lungo periodo (una strategia vincente) è se io la sto
fondando su risorse e competenze che ho.
Allora ecco che si afferma il principio che deve sussistere coerenza tra risorse, competenze
e obiettivi strategici.
Quindi con la RBV cambia la logica alla base della formulazione della strategia, quindi
diventa fondamentale ciò che si sa fare, sfruttando il patrimonio di risorse e di competenze
che si possiede in un certo momento.
Questo sfruttare il patrimonio di risorse e competenze che si possiede fa scere la necessità
di questa affermazione successiva che: ’’questa non è una visione statica delle risorse e
competenze ma ingloba anche una visione di costruzione dinamica delle stesse’’.
Cioè significa che se io mi limitassi a pensare qual è il mio patrimonio di risorse e
competenze che posseggo oggi, potrebbe essere sicuramente una fonte di opportunità ma
sicuramente un limite perché magari ci sono cose che io non so fare, non ho risorse, non ho
delle competenze, per poterlo fare oggi.
Allora una scelta strategica sarebbe chiaramente inficiata dall’assenza di competenze e di
risorse, però quello che si vuole dire in questa affermazione è che questo non deve appunto
rappresentare un elemento di staticità, ma inglobare una visione di costruzione dinamica
delle stesse significa che anche se non ho oggi queste risorse e queste competenze io devo

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attrezzarmi per avere risorse e competenze ma l'importante è che siano coerenti con la
strategia che sto cercando di perseguire.
Quindi se ci sono delle risorse e delle competenze che sono richieste, necessarie, per una
determinata strategia, io o posso acquisirle quindi fare degli investimenti e attrezzarmi al mio
interno per recuperare queste risorse e competenze che non ho, oppure semplicemente
vado in accordo, in collaborazione, con un altro soggetto che ha risorse e competenze che
io non ho e che sono complementari, necessarie, per conseguire quel determinato tipo di
strategia.
Questo discorso del successo fondato sulle risorse e competenze quindi la ricerca di un
vantaggio competitivo fondato sulle risorse e competenze ci fa capire anche molto bene
questa affermazione cioè che una situazione che nella realtà troviamo molto spesso:
‘’cioè imprese riescono ad avere un'elevata redditività anche se operano in settori poco
attrattivi, mentre viceversa possono ottenere una bassa redditività in settori molto attrattivi’’.
Quindi questo significa che non è il settore se è attrattivo o meno che ci garantisce
redditività, perché la redditività è certamente un fattore relativo.

Risorse
Le risorse sono tutti gli asset specifici di un’impresa, ossia tutto ciò che l’impresa utilizza per
creare, produrre e distribuire valore sul mercato.
Le risorse le possiamo suddividere in risorse tangibili e in risorse intangibili:
Per quanto riguarda le risorse tangibili individuiamo:
Le risorse finanziarie le cui caratteristiche sono:
-Capacità di indebitamento;
-Generazione interna di fondi
-Capacità di investimento
-Capacità di fare fronte alle fluttuazione nella domanda e nei profitti

Per quanto riguarda gli indicatori invece:


-Rapporto fra passività e consistenze patrimoniale
-Percentuale di contante netto per gli investimenti
-Valutazione di solidità del credito

Le risorse fisiche facciamo riferimento per quanto riguarda le caratteristiche:


-Dimensione degli impianti
-Localizzazione impianti
-Livello tecnico e flessibilità dell’impianto e delle attrezzature
-Localizzazioni ed usi alternativi dei terreni e dei fabbricati

Per quanto riguarda gli indicatori:


-Valore di vendita delle attività immobilizzate
-Età media degli impianti
-Scala degli impianti
-Flessibilità degli impianti e delle attrezzature

Per quanto riguarda le risorse intangibili individuiamo


Le risorse tecnologiche le cui caratteristiche:
-Entità della tecnologia
-Brevetti

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-Copyright
-Segreti industriali e di esperienza
-Laboratori di ricerca

Per quanto riguarda gli indicatori:


-Numerosità e rilevanza dei brevetti
-Entrate per vendita di licenze
-Personale impiegato nella R&S rispetto al totale

Le risorse di reputazione le cui caratteristiche:


-Reputazione mediante marche
-Rapporti con i clienti
-Reputazione per la qualità dei prodotti e dei servizi
-Affidabilità ecc..

Per quanto riguarda gli indicatori:


-Riconoscimento della marca
-Prezzi superiori alle marche concorrenti
-Percentuale acquisti ripetuti
-Livello e solidità dei risultati

E poi abbiamo la categoria delle risorse umane, per quanto riguarda le caratteristiche:
-Reputazione dell’impresa presso gli stakeholder
-Addestramento e esperienza degli addetti
-Capacità disponibili
-Adattabilità degli addetti
-Flessibilità strategica
-Impegno e lealtà dei dipendenti
-Capacità di raggiungere e mantenere un vantaggio competitivo

Per quanto riguarda gli indicatori:


-Educazione e qualificazione tecnica dei dipendenti
-Livello retributivo rispetto al settore
-Dati sui conflitti
-Indice di rotazione personale.

Le risorse immateriali, oggi, possiamo dire che sono le più importanti fonti del vantaggio
competitivo più di quelle materiali.
Perché sono accumulabili, perché si sedimentano nel tempo, quindi sono risorse
immateriali di conoscenza e di reputazione, di relazione, che noi accumuliamo nel tempo
con processi di apprendimento ed esperienziali.
Inoltre non sono perfettamente trasferibili perché sono legate all’impresa, sono legate a
quel tipo di impresa, quindi fanno parte di quelle conoscenze tacite legate all’impresa, quindi
non sono facilmente trasferibili all’esterno ossia non sono facilmente acquisibili dall’esterno.

Capitale intellettuale
Il capitale intellettuale è l’insieme del sapere, delle informazioni, dell’esperienza, che
ritroviamo all’interno di un impresa.

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E qui possiamo distinguere 3 componenti del capitale intellettuale più ampiamente inteso,
che sono:
-Il capitale umano è certamente una componente centrale del capitale intellettuale e fa
dell’impresa e fa riferimento alle conoscenze possedute dalle persone operanti in azienda;
-Il capitale dell’organizzazione ossia sono le attività e le procedure che consentono il
funzionamento aziendale, quindi è una parte hard di strutturazione di attività e di procedure:
-Il capitale relazionale sono i rapporti attivati dall’impresa con gli attori del contesto, e si fa
riferimento agli stakeholder e a tutti quei soggetti che non sono soltanto i clienti, quindi le
relazioni non soltanto coi clienti ma l’insieme di rapporti che si auspicano positivi, di fiducia,
di collaborazione, con i fornitori, i clienti, i concorrenti, la collettività generale, i media ossia
tutti i portatori di interesse nei confronti dell’attività dell’impresa.

Le competenze
La differenza tra risorse e competenze è che tecnicamente le risorse sono gli asset
elementari dell’impresa, quindi sono risorse finanziarie, fisiche, tecnologiche, reputazionali,
risorse umane, quindi sono gli asset specific elementare.
Mentre le competenze sono le abilità di impiegare e combinare queste risorse.
Cioè la risorsa è l'elemento in sé (l’asset elementare) mentre la competenza l’abilità di
saperla usare e metterla in relazione con tutte le altre risorse, cioè di combinare non soltanto
la singola ma combinare l’insieme delle risorse al fine di conseguire un vantaggio
competitivo.
Quando questa competenza diventa qualcosa che riesce a dare all’impresa una distintività e
un vantaggio competitivo si chiama competenza distintiva, cioè diventa una competenza
distintiva cioè qualcosa che caratterizza quell’impresa (core competence).
Quindi le competenze distintive sono quelle competenze che sono in grado di rendere unica
un’impresa in cui opera, la competenza distintiva di quell’impresa è per esempio il time to
market cioè è un abilità che l’impresa riesce a sviluppare nel tempo di riuscire a collocare i
propri prodotti nel tempo più giusto possibile (gestione del tempo).
Quindi la core competence è una competenza di combinare le risorse disponibili in modo da
conseguire maggiore forza o minore debolezza nei confronti dei concorrenti e degli attori
chiave del mercato.
Questo competenze distintive hanno una natura trasversale, cioè hanno una combinazione
di tutte le risorse e le attività dell’impresa, quindi dobbiamo vedere queste competenze come
capacità di armonizzare e coordinare risorse anche di varia natura e più forte è questa
interazione e più è difendibile il vantaggio competitivo.
Cioè più sviluppo capacità nel coordinamento di risorse più questo è fonte di vantaggio
competitivo, questo significherebbe che l’impresa concorrente potrebbe anche dotarsi di
quella risorsa particolare però poi non la sa sfruttare perché non la sa coordinare,
armonizzare così come faccio io all'interno della mia impresa.

Proprietà delle competenze


Le proprietà sono:
-Durevoli, cioè sono competenze che io posso proiettare nel medio/lungo periodo;
-Difficilmente trasferibili;
-Difficilmente replicabili;
-Dinamiche, cioè la capacità di proiezione nel medio/lungo periodo ma soprattutto in virtù del
principio di coerenza che deve esserci tra risorse, competenze, strategie e vantaggio
competitivo come risultato della coerenza tra risorse, competenze e strategie.

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Le competenze devono essere valevoli, ma di quali competenze si parla?
-di mercato
-organizzative
-tecnologiche
-di general management
-di apertura

Le strategie d’impresa
Per quanto riguarda le strategie d’impresa possiamo fare una distinzione tra: strategie di
sviluppo; strategie di risanamento; strategie di rafforzamento o assestamento.
-Quando parliamo di strategie tendenzialmente parliamo di strategie di sviluppo
dimensionale, cioè la prima cosa che ci viene in mente è la crescita ma quello che è
importante mettere in evidenza anche grazie a questa classificazione è che strategie non
sono solo di sviluppo;
-Ma ci sono anche strategie di risanamento di situazioni di difficoltà che poi possono
essere più o meno conclamate fino a diventare crisi, perché quando si parla di crisi si parla
di situazioni difficoltà conclamate, continuative, che richiedono degli interventi strutturali
importanti perché altrimenti se non si fa nulla quella situazione è da considerarsi
irreversibile.
Quindi è uno stato più avanzato di difficoltà, questo per distinguere la crisi da una situazione
di difficoltà o di negatività che può essere anche fisiologica nell’andamento dell'attività
dell’impresa, perché la crisi è qualcosa di strutturale, consolidato;
-Ma anche strategie di rafforzamento o assestamento perché non è che sempre le
imprese hanno le possibilità di crescere, non sempre ci sono le condizioni ambientali esterne
o anche interne per poter crescere, per porsi degli obiettivi di crescita.E quindi le strategie di
rafforzamento e di assestamento sono quelle strategie che mettono in atto nel momento in
cui bisogna consolidare dei risultati, rafforzare, assestare dei risultato o reddituali o di
mercato ma non ci sono le condizioni per la crescita.
In qualsiasi tipo di strategia analizziamo vale sempre la stessa regola, cioè la strategia è una
risposta di adattamento dell’impresa sia all’ambiente esterno che all’ambiente interno, e
quindi rispondono sostanzialmente a cosa dobbiamo fare per o cogliere opportunità o per
difenderci da certe minacce tenendo conto di quali sono le risorse e le competenze di cui
disponiamo o di cui potremo disporre per poter operare con successo in determinati
business.
Una risposta di adattamento l’impresa vive continuamente stati di equilibrio ma anche stati di
disequilibrio, e quindi l’impresa nel momento in cui aggiunge degli stati di equilibrio poi
succede qualcosa che la pone in una situazione di disequilibrio al quale deve dare una
risposta in chiave di adattamento, quindi l’adattamento è la parola chiave per spiegare il
concetto di strategie.
Nei confronti dei cambiamenti dell’ambiente esterno possiamo avere un atteggiamento
reattivo quindi si reagisce a degli eventi che accadono e io mi adeguo a questi eventi,
oppure un atteggiamento attivo e questo atteggiamento attivo signifca anche di anticipazione
di previsione degli eventi ambientali e quindi una previsione tempestiva anticipatoria rispetto
agli eventi che poi si manifesteranno.

Le strategie di sviluppo
Lo sviluppo può essere di vario tipo:

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-Può essere uno sviluppo dimensionale in senso stretto, può essere interamente un
incremento della quota di mercato (cioè che esprime il peso che io ho nel mercato, la mia
posizione competitiva in quel mercato);
-Lo sviluppo può essere monosettoriale quindi all’interno di quello stesso settore in cui operi,
oppure polisettoriale quindi un'impresa che fa diversificazione è un'impresa che sta
diversificando e sta mandando nuovi business che prima non faceva;
-L’integrazione orizzontale e verticale è un’altra strategia di sviluppo, quindi l'integrazione
orizzontale è nell’ambito di quella fase di attività che io faccio cioè arricchendo le attività, le
cose che fai, sempre riferendoti all’attività che tu stai in quel momento occupando.
L’integrazione verticale è invece l’aggiunta di fasi di attività che io prima non facevo e questa
integrazione verticale può essere o a monte o a valle (ossia integro un’’attività precedente o
successiva rispettivamente a quello che è attualmente il mio campo di attività);
-La strategia di sviluppo può essere per via interna o per via esterna, io posso svilupparmi
sia perché investo quindi per esempio voglio cambiare produzioni, voglio andare in altri
paesi, e lo faccio per via interna cioè lo faccio cioè con l’investimento di risorse.Oppure per
via esterna attraverso la collaborazione, attraverso la partnership, la cooperazione con altre
imprese.Quindi sono modalità di perseguire strategie di sviluppo, sviluppandomi
internamente o attraverso esterna collaborazione.

Matrice prodotto/mercato
Questa matrice proposta da Ansoff ha proposto negli anni 80’ questa matrice per
classificare le strategie di sviluppo e in particolare individuarle in base a 2 variabili: i
prodotti e i mercati.
Specificando però che il mercato è una parola che può significare più cose ma
essenzialmente o un ampliamento dal punto di vista geografico oppure un ampliamento del
segmento di mercato a cui si rivolge.
Abbiamo sull’asse delle ascisse i prodotti che possono essere attuali o nuovi e sull’asse
delle ordinate abbiamo mercati che possono essere attuali o nuovi.
Incrociando queste 2 variabili noi abbiamo 4 tipologie di strategie diverse, abbiamo:
1.La penetrazione del mercato si tratta di una strategia che si fonda sugli attuali prodotti per
gli attuali mercati, quindi stiamo cercando soltanto si estendere la nostra presenza, il nostro
peso, all'interno di quei mercati;
2.Lo sviluppo del prodotto quindi servire gli attuali mercati con nuovi prodotti, quindi sto
sviluppando il prodotto;
3.Lo sviluppo del mercato inoltre io posso crescere attraverso una strategia di sviluppo del
mercato quindi con gli attuali prodotti rivolti a nuovi mercati;
4.La diversificazione quando invece operiamo con nuovi prodotti con nuovi mercati stiamo
realizzando una strategia di diversificazione produttiva, cioè nuovi business perché siamo in
un nuovo mercato con nuovi prodotti.
La finalità di questo modello è quella di classificare le strategie e distinguere le diverse
modalità di crescere in base al fatto se si fondano da un lato sui prodotti attuali o se si
fondano su prodotti nuovi, e dall’altro se si fondano queste strategie di crescita su rivolgersi
sugli attuali mercati oppure se rivolgersi a nuovi mercati.

Penetrazione del mercato


1.Strategia di espansione significa ampliare la presenza dell’azienda sugli stessi mercati e
con gli stessi prodotti.E quindi per esempio possiamo espandere il nostro business:
-aumentando l’acquisto medio, induco i clienti ad acquistare di più;

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-aumento della base di clienti, cerco di acquisire nuovi clienti.
Quando si parla di strategia di espansione possiamo distinguere una:
-Espansione intesa in termini assoluti (aumento delle vendite)
-Espansione intesa in termini relativi (aumento della quota di mercato)
La domanda da porsi quindi è: che se io da un’anno all’altro ho aumentato le vendite, quindi
c’è stata un espansione, questa espansione si è tradotta anche in un incremento della quota
di mercato? Questo dipende non è detto perché anche gli altri possono aumentare la quota
di mercato quindi la quota resta stabile.
Perché se i miei concorrenti hanno avuto un incremento di vendite del 70% e io ho avuto un
incremento del 50%, i concorrenti hanno migliorato la quota di mercato mentre io ho perso
quota di mercato perché pur avendo venduto di più ho perso quota di mercato.
Quindi sono 2 informazioni importanti che vanno lette sempre insieme.

Sviluppo del prodotto


2.Questo significa sviluppare il prodotto, quindi rivolgendomi sempre ai mercati attuali però
con dei prodotti nuovi, facendolo per esempio attraverso:
-Approfondimento delle linee esistenti
-Aggiungendo nuove linee di prodotto

Lo sviluppo del prodotto si può fondare sul fatto che io posso contare su alcune risorse:
-Forte presenza presso i clienti chiave, quindi avere una rete di clienti molto fedeli quindi
avere dei rapporti di relazione molto stretti con clienti che sono quindi molto più disposti ad
accettare le mie innovazione, i miei nuovi prodotti;
-Introduzione nei canali distributivi, significa che io ho una presenza nei canali distributivi
molto consolidata perché ho sviluppato nel tempo rapporti di collaborazione con i distributori,
cioè rapporti consolidati di fiducia reciproca, di continuità di rapporti commerciali e quindi io
fondo su questa mia introduzione e questa mia solidità dei miei rapporti dei canali di
distribuzione per poter puntare a offrire nuovi prodotti;
-Ben introdotta rete di vendita, questa è sicuramente una risorsa che mi agevola in una
strategia di sviluppo del prodotto quindi avrà sicuramente più chances se ho una rete di
vendita già consolidata;
-Forte immagine di marca per brand extension, cioè una grande reputazione del brand,
molta fiducia nel brand e ovviamente tutto questo rende i miei clienti molto favorevoli a
politiche di nuovi prodotti, quindi l’estensione del brand su nuovi prodotti.

Sviluppo del mercato


3.Significa rivolgermi a prodotti attuali su nuovi mercati, facendolo per esempio attraverso:
-Nuovi mercati geografici
-Nuovi segmenti di clienti
Consiste quindi:
-In una ripetizione su scala più ampia delle stesse politiche con lievi variazioni
-Ricerca di differenti leve commerciali (ad esempio variazione prezzo o canali distributivi)

Diversificazione
4.Siamo nell’ambito della strategia che si fonda su nuovi prodotti e su nuovi mercati, quindi
sono nuovi business ossia cose che si aggiungono a quelle che facevamo
precedentemente.

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Una studiosa di management (Penrose) ha sostanzialmente messo in evidenza come
diversificazione significa sfruttare risorse inutilizzate, cioè è la disponibilità di risorse in
eccesso rispetto alle esigenze attuali che spinge le imprese a diversificare, quindi ad entrare
in nuovi business.E queste risorse possono essere:
-Connesse alla base produttiva, quindi stiamo parlando di diversificazione produttiva;
-Oppure connesse al mercato, quindi parliamo di diversificazione connessa al mercato.
Ma quello che sollecita in riferimento alla Penrose che vede la diversificazione come
sfruttamento delle risorse inutilizzate è sostanzialmente che è un conto vedere la
diversificazione come un vettore di crescita e quindi vederla come una strategia di crescita
per migliorare la nostra redditività, però la diversificazione va vista anche non come vettore
di crescita ma anche come vettore di difesa per ridurre il rischio complessivo dell’impresa.
Perché di solito la diversificazione la si pensa sempre come un’opportunità di crescita, fatta
per crescere ma in realtà la diversificazione può essere un modo per difendersi e quindi una
strategia che viene fatta per ridurre il rischio complessivo dell’impresa.

Matrice sulla classificazione delle strategie


Questa classificazione è una classificazione che è stata fatta con una logica precisa, cioè
quella di vedere le diverse strategie in ottica di competenze.
Nell’ambito di questa matrice le strategie vengono collocate da un lato in base al tipo di
sviluppo di competenze che consegue alla strategia in questione, e quindi se si tratta di uno
sviluppo di competenze discontinuo rispetto alle precedenti oppure uno sviluppo di tipo
tendenziale (continuo) rispetto al patrimonio di competenze in dotazione dell’impresa in quel
momento.
Dall’altro lato invece se questo patrimonio di competenze alla fine risulta accresciuto oppure
invariato/diminuito.
Quindi la proposta concettuale di vedere le strategie in chiave di patrimonio delle
competenze, da un alto queste competenze quindi che sono lo sviluppo di competenze che
sono legate alla strategia che stiamo per realizzare, se questo è uno sviluppo che ha un
nesso rispetto al bagaglio di competenze che ha l’impresa in quel momento.E quindi qui la
strategia rappresenta uno sviluppo di competenze, però questo sviluppo può essere o
continuo tendenziale, cioè avere dei nessi rispetto alle competenze che l’impresa già c'ha
oppure significa avere delle competenze completamente nuove.
All’interno della diversificazione dobbiamo capire che tipo di diversificazione è, cioè se
questo business è un business totalmente nuovo oppure ha qualcosa in comune col
precedente.
La diversificazione conglomerale è quando non c’è nessun nesso, punto di contatto, tra
nuovi e vecchi business.La diversificazione concentrica o correlata ha invece punti di
contatto con il precedente business.
L’obiettivo di questa matrice vuole indicare che ogni strategia può essere considerata in
termini di patrimonio di competenze richieste, e quindi se lo sviluppo è uno sviluppo continuo
o discontinuo, e il patrimonio alla fine delle competenze risulta accresciuto invariato/o
diminuito.

Ricentraggio
Tra le varie strategie all’interno di questa matrice c’è il ricentraggio, ricentraggio significa che
si tagliano dei rami secchi ossia le attività non correlate alle attività ‘core’.

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E’ una classica strategia che viene seguita per focalizzarsi su quello che è il core business
dell’impresa, cioè ci si focalizza sull’attività centrale e vengono eliminate le attività non
particolarmente redditizie (rami secchi) e ci si focalizza sulle attività redditizie.
Il ricentraggio può avere un effetto positivo o negativo, dipende se questo gioco è a somma
negativa o a somma positiva di quello che perdo rispetto a quello che aggiungo.

Riconversione
La strategia di riconversione è l’abbandono della linea produttiva esistente con uno sviluppo
interno, la sua sostituzione con una nuova linea produttiva possibilmente vicina almeno da
un punto di vista della tecnologia a quella precedente.
Il classico di strategia di riconversione è l’esempio di imprese produttrici di mezzi cingolati
che venivano usati nelle guerre poi sono state trasformati in imprese produttrici di trattori nei
periodi post-guerra quindi per attività agricola.
Perché si fa una strategia di riconversione?
-Perché per esempio ci sono delle crisi strutturali in quell’area strategica d’affari;
-Ci sono degli interventi della pubblica amministrazione per disincentivare o bloccare la
produzione in determinati settori;
-Oppure perché c’è un'incapacità delle imprese di reagire alle innovazioni tecnologiche e alle
azioni di marketing dell’impresa leader, cioè c’è una presa di coscienza da parte dell’impresa
che un'impresa leader è più brava di te e quindi tu non hai possibilità, capacità di reagire alle
innovazioni tecnologica che fa quest’impresa oppure non hai la forza di reagire al marketing
di queste imprese.
-Oppure l’Impossibilità di superare difficoltà degli approvvigionamenti con una strategia di
integrazione verticale, cioè ci sono delle difficoltà nell'approvvigionamento che possono
essere superate con un'integrazione verticale ossia quindi dire visto che ci sono questi
problemi di approvvigionamento me lo faccio io direttamente.

Risultati
Per quanto riguarda i risultati vi è la progettazione di una nuova linea di prodotti, connessa
tecnologicamente e possibilmente anche dal punto di vista del mercato, con la precedente.
Ostacoli
Gli ostacoli alla realizzazione di una strategia molto spesso provengono da resistenze
interne dei dipendenti ai diversi livelli, diversi livelli significa senza doverli localizzare in
qualche posto particolare cioè la massa operaia o i funzionari, o i dirigenti.
In generale le resistenze al cambiamento che vengono dall’ambiente interno sono fortissime.
L’importanza di questa matrice è quella di proporre una lettura delle diverse strategie in
termini di competenze e quindi capire le implicazioni di una strategia sulle competenze che
si hanno, e viceversa cioè le implicazioni che le competenze hanno sulle strategie sempre
nel recupero di quella coerenza deve esserci tra risorse, competenze e strategie.

Strategia di integrazione verticale


La strategia di integrazione verticale è una strategia di crescita perché è un espansione
dell’impresa in altri stadi della filiera tecnico-produttiva e distributiva.
La strategia di integrazione verticale è completa quando l’impresa si sviluppa in senso
verticale fino ad occupare tutte le fasi fino alla filiera.

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Invece è incompleta quando l’impresa è presente solo in alcuni stadi collegati verticalmente,
quindi o il precedente o il successivo rispetto a quello che facevo in precedenza.
Certamente scegliere se fare o non fare un'integrazione verticale significa porsi queste
domande:
-Il problema preliminare è scegliere quali sono le fasi da svolgere all’interno, quindi
innanzitutto dobbiamo capire bene quali fasi dobbiamo svolgere all’interno e quali invece
svolgere all’esterno;
-Cosa importante è che dobbiamo porci il problema di come coordinare tra di loro queste
attività perché se io sto integrando le mie attività un problema è sicuramente capire come
coordinare le nuove attività con le vecchie attività che facevo;
-Quanta parte del proprio fabbisogno dobbiamo soddisfare con una produzione interna;
-Quante risorse finanziarie destinare a questa scelta.
E quindi tutta una serie di domande che ci dobbiamo opportunamente porre prima di poter
decidere di fare o meno questa integrazione.

Criticità delle strategie di integrazione verticale


Le criticità che dobbiamo valutare se questa integrazione verticale è conveniente oppure
non è conveniente, e dobbiamo tener conto che un'integrazione verticale significa:
-Innanzitutto incrementare la leva operativa, la leva operativa è il rapporto tra costi fissi e
costi variabili;
-Incremento del fabbisogno di capitali e rigidità degli investimenti, questa rigidità dipende
però comunque per quanto possa essere poi facile disinvestire è comunque una rigidità nel
senso che sto investendo per strutturarmi per fare una nuova attività e non è una cosa che
posso risolvere facilmente entrare e uscire nel giro di poco;
-Aumento delle barriere all’uscita, perché mi sto ulteriormente rafforzando all’interno di
quella filiera, cioè prima magari facevo una sola cosa adesso ne faccio 2 o 3 quindi faccio di
più di quanto facevo prima quindi uscire diventa sempre più complesso;
-Perdita di flessibilità;
-Perdita di specializzazione, perché mentro ero più focalizzato su quello che facevo adesso
ho focalizzato altre attività e quindi perdo di specializzazione che ovviamente è massima
quando mi occupo di una cosa specifica e basta.

Disintegrazione verticale
Quando parliamo di strategia verticale bisogna anche pensare che esiste una strategia di
disintegrazione verticale, si mettono in atto queste strategie di disintegrazione verticale
quando:
-Abbiamo un esigenza di avere maggiore flessibilità produttiva e un più efficiente
sfruttamente delle economie di specializzazione, cioè la strategia di integrazione ci porta più
rigidità e meno specializzazione.Qui invece l'obiettivo della disintegrazione è quello di
recuperare flessibilità e di recuperare economie di specializzazione;
-Decentramento produttivo per esternalizzare fasi di lavorazioni e per ridurre il costo del
lavoro della grande impresa, cioè faccio meno cose perché le esternalizzo ma questo
essenzialmente per un motivo di riduzione dei costi ed in particolare il costo del lavoro;
-Maggiore efficienza mediante diverse scale ottimali di capacità produttiva, qui diciamo che è
molto legato al fatto che mentre prima noi potevamo contare su tassi di domanda crescenti o
comunque o comunque più costanti di quanto non siano oggi, e quindi la nostra scala
produttiva ottimale era un po’ più tutelata rispetto ad oggi.Quindi se prendevo delle scelte
sulla capacità produttiva, sulla scala di produzione, ero un po più tutelato dalle condizioni

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dell’ambiente esterno rispetto a quanto non sia oggi perché fare previsioni sulla scala
produttiva ottimale è più difficile rispetto al passato, ma è più difficile perché è la domanda
che è più difficile come elemento da poterci fondare delle scelte in termini di capacità
produttiva.
Quindi oggi le imprese perseguono economie di specializzazione nel senso che cercano di
essere le migliori di tutte nel fare determinate cose, perchè oggi non puoi essere mediocre o
fare benino tutto, oggi devi riuscire a fare molto bene a fare anche un'unica cosa e meglio
rispetto ai concorrenti.

Strategie competitive
Le strategie competitive individuano le modalità attraverso cui conferire ai prodotti e ai
servizi un vantaggio competitivo efficace, difendibile e duraturo.
Quindi strategia competitiva significa come noi affrontiamo la competizione, su che cosa ci
vogliamo fondare, su che cosa puntiamo per ottenere vantaggio competitivo quindi puntiamo
sulla qualità, puntiamo sulla tecnologia, puntiamo sulla convenienza economica, puntiamo
su un equilibrio di queste dimensioni, puntiamo per esempio sui servizi integrativi, accessori,
complementari.
Quindi sostanzialmente su tutto quello che aiuta a creare valore e su quali fonti di valore noi
ci vogliamo concentrare, è importante che questo vantaggio competitivo sia efficace,
difendibile (quindi non facilmente imitabile, contrastabile da parte dei concorrenti) e duraturo
(quindi proiettabile nel medio/lungo periodo).
Quando si parla di strategie competitive si fa sempre riferimento all'opera di Porter, e lui ha
individuato 3 strategie di base competitive:
1-Leadership di costo;
2-Differenziazione;
3-Segmentazione o focalizzazione ma in realtà non sono una tipologia di strategia
competitiva, ma piuttosto un ambito nel quale si esercita.
Infatti quando vediamo messe graficamente sugli assi le strategie competitive di base, che
per quanto riguarda le fonti del vantaggio competitivo (sull’asse delle x) abbiamo da un lato il
costo e da un lato la differenziazione, per quanto l’ambito competitivo (sull’asse delle y)
abbiamo o un segmento particolare o l’intera area strategica di affari.
Le strategie di base sono: leadership di costo o differenziazione laddove la leadership di
costo è una strategia che si fonda come fonte del vantaggio competitivo sul costo quindi è
chiaro che noi puntiamo ad essere i leader di costo cioè ad essere i produttori in grado di
produrre quel prodotto o servizio al costo più basso sul mercato.
L’opzione opposta alternativa è la differenziazione, quindi la fonte del vantaggio la
ricerchiamo sulla differenziazione cioè sulla ricerca di elementi, caratteristiche, attributi,
distintivi diversi da quelle che hanno i concorrenti.
Quindi leadership di costo e differenziazione sono le 2 strategie di base riferita all’intera ASA
(area strategica d’affari), la focalizzazione invece altro non è che le stesse strategie
competitive una basata sui costi e una basata sulla differenziazione riferita però ad un
segmento particolare.

Leadership di costo
1-L’impresa si propone di diventare il produttore a più basso costo, quindi essa può:

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-Ottenere una redditività superiore alla media dell’ASA (area strategica d’affari) applicando
prezzi uguali o vicini a quelli dei concorrenti, quindi ho una marginalità superiore a quella dei
miei concorrenti;
-Ampliare la quota di mercato praticando prezzi più bassi rispetto ai concorrenti.

Il vantaggio di costo rappresenta una difesa efficace contro le cinque forze competitive
(concorrenti diretti, clienti, fornitori, le imprese che producono prodotti sostitutivi, minaccia di
nuovi ingressi) perché:
-Nei confronti dei concorrenti diretti l’impresa non deve temere le conseguenze di
un'eventuale guerra di prezzo perché essendo in grado di realizzare un profitto anche ad un
livello di prezzo che per la concorrenza è il minimo praticabile.Cioè io riesco ad avere un
profitto anche se il prezzo è basso però per me e mi lascia comunque un margine, ma per la
concorrenza è il minimo praticabile quindi la concorrenza al di sotto di quel prezzo non potrà
andare;
-I clienti, per quanto possano essere forti (quindi il loro potere contrattuale elevato nei
confronti dell’impresa) non riescono ad ottenere un ribasso del prezzo al di sotto di quello
praticato dall’impresa che gode della migliore posizione perchè non riuscirebbero a trovare
sul mercato un prodotto a un prezzo più basso.Quindi per quanto sono forti però non
possono neanche più premere più di tanto perché non troverebbero sul mercato un prezzo
più favorevole del mio perché sono io che sono nella migliore posizione da questo punto di
di vista;
-Nei confronti dei fornitori, i bassi costi di gestione delle attività difendono l’impresa dagli
effetti di aumenti nei costi di approvvigionamento imposti dai fornitori, quindi se io ho un
costo unitario più basso che è il risultato della mia capacità di abbassare un po tutti i costi di
gestione, io riesco ad ammortizzare e ad assorbire meglio degli altri eventuali aumenti nei
prezzi di fornitura imposti da fornitori forti;
-I bassi costi consentono di praticare bassi prezzi, tali da rappresentare una barriera contro
l’entrata di eventuali nuovi concorrenti ed una protezione dei prodotti sostitutivi.
Quindi intanto rappresenta una barriera contro l’entrata di eventuali nuovi concorrenti,
perché nuovi concorrenti devono riuscire ad essere competitivi a quei livelli di costo che
sono bassi per me.E poi difendono chiaramente anche nei confronti dei prodotti sostitutivi
perché ovviamente siamo più competitivi con un prezzo più basso rispetto alle minacce di
prodotti che potrebbero essere presi in considerazioni perchè sono sostitutivi rispetto a un
nostro.

Il vantaggio di costo di un’impresa rispetto ai concorrenti può derivare da:


-La migliore utilizzazione delle risorse o delle attività generatrici del valore dell’impresa
(impianti, le strutture distributive e logistiche, strutture di costo) qualsiasi esse siano.Quindi
in generale noi riusciamo ad avere una leadership di costo quando siamo massimamente
efficienti, quando abbiamo qualsiasi processo gestionale ottimizzato;
-Lo sfruttamento di economie di scala o di scopo, le economie di scala significa il risparmio
che noi abbiamo, possiamo conseguire collegato alla scala operativa per cui economie di
scala all’incremento della capacità produttiva noi riusciamo ad avere un incremento meno
che proporzionale dei costi e quindi abbiamo dei risparmi in termini di costi unitari.
Economie di scopo è il risparmio che io ottengo in relazione al fatto che faccio insieme
nell’ambito dello stesso processo 2 o più cose, svolgo insieme 2 o più attività e riesco ad
avere un costo totale inferiore alla somma dei costi delle singole attività se le facessi in
maniera separatamente;

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-La sistematica innovazione delle tecnologie di processo e di prodotto che consente
all’impresa di operare con maggiori livelli di efficienza rispetto ai concorrenti.
Maggiori livelli di efficienza è conseguente alle tecnologie che possono essere o di processo
o di prodotto migliorate, quindi ho innovazioni di tecnologie o di processo ossia del modo in
cui si fanno le cose o di innovazioni del prodotto o innovazioni di processo, tutto questo mi
consente un maggior livello di efficienza rispetto ai concorrenti;
-Lo sfruttamento degli effetti di esperienza, perché magari ho un consolidato di storia e di
esperienza produttiva e anche di gestione di altre funzioni non solo produttive, ma anche ad
esempio i rapporti con i fornitori, quindi l’esperienza è chiaro che una generatrice di risparmi,
di ottimizzazione, di miglioramento qualitativo e anche di ottimizzazione delle risorse;
-L’adozione di migliori tecniche di produzione, perché significa che questo vantaggio di costo
noi non lo dobbiamo andare a cercare solo nell’aspetto produttivo ma noi potremo avere
anche a monte prima ancora del processo di produzione avere migliori tecniche di
progettazione, quindi è li magari dove noi riusciamo a risparmiare parecchio quindi è lì la
fonte primaria di vantaggio di costo che abbiamo rispetto agli altri;
-Il costo degli input, ossia quanto costano a me gli approvvigionamenti e chiaramente questo
dipende anche dalle quantità, dai rapporti che ci sono con i fornitori, dipende anche dal tipo
che utilizzo naturalmente;
-L’adozione di sistemi di management delle attività produttive e degli approvvigionamenti
basati su filosofie che riducono costi specifici.
Questa fa riferimento a tutti i sistemi di management di attività produttive, filosofie che
riducono i costi.

Analisi della catena del valore per conseguire una leadership di costo
Il testo ci propone un'analisi della catena del valore allo scopo di valutare le possibilità di
poter conseguire una leadership di costo, e cioè usando lo schema della catena del valore
che è fondato sulla disaggregazione delle attività quindi individua le singole attività primarie
e le attività di supporto, è possibile individuare:
-quali sono i fattori che determinano i costi delle diverse attività e la loro importanza relativa,
quindi un'analisi dei costi delle singole attività ci consente di capire quali sono i livelli di costi
che noi sosteniamo delle singole attività e all’interno dell’attività;;
-perché l’impresa sostiene dei costi diversi da quelli dei concorrenti, quindi comparandoli con
quelli dei concorrenti;
-quali sono le attività per le quali sarebbe più opportuno incentrare all'esterno la gestione,
ossia se sostanzialmente quella cosa conviene che la facciamo noi o la facciamo fare ad
altri perché è un modo di risparmiare a dei costi.

Differenziazione
2-L’impresa persegue una strategia di differenziazione offrendo ai propri clienti un prodotto
con una o più caratteristiche di esclusività che, nella percezione del cliente stesso, risultano
meglio in grado di soddisfare un determinato bisogno.
La cosa importante è ciò che pensa il cliente, non quello che c’è nella nostra valutazione o
nella nostra mente, quindi ciò che è importante è quando i nostri clienti percepiscono
caratteristiche di distintività, di differenziazione, al limite proprio di esclusività rispetto ai
prodotti concorrenti quindi che rendano i nostri prodotti più in grado ai loro occhi di
soddisfare un determinato bisogno;
-Se questo accade il cliente attribuisce un valore tale da accettare di pagare un prezzo più
elevato, cioè il premium price è quel prezzo incrementato che è il risultato di un valore

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riconosciuto da parte del consumatore.Quindi se il consumatore lo riconosce questo valore
di differenziazione sarà anche disposta a pagare un prezzo più elevato per quella esclusività
che l’impresa ha messo nella sua offerta;
-La differenziazione infatti consente di imporre prezzi più alti o comunque di creare
preferenza e fedeltà per i propri prodotti o servizi, lo scopo di riuscire ad avere una
preferenza nei confronti dei prodotti concorrenti e di avere anche una differenziazione
duratura proiettabile anche nel medio/lungo periodo, quindi la fedeltà è un elemento molto
importante. E comunque la differenziazione consente di proporre dei prezzi più alti proprio
perché ci sono dei benefici aggiuntivi rispetto ai prodotti della concorrenza.

La differenziazione migliora la posizione dell’impresa nei confronti delle 5 forze competitive


(concorrenti diretti, clienti, fornitori, le imprese che producono prodotti sostitutivi, minaccia di
nuovi ingressi).
-Nei confronti dei concorrenti diretti la differenziazione riduce la sostituibilità del prodotto,
accresce la fedeltà dei clienti, diminuisce la sensibilità al prezzo.Perché la sensibilità al
prezzo è maggiore quando i prodotti sono più o meno riconosciuti a soddisfare lo stesso
bisogno e quindi l’elemento discriminante di scelta poi diventa il prezzo sostanzialmente.
Quindi con la differenziazione noi vogliamo ridurre la sensibilità al prezzo proprio perché
miriamo ad avere un prezzo più alto che ci sia poi riconosciuto con il premium price per la
nostra differenziazione, e quindi è chiaro che agli occhi del consumatore poi lo scopo è che
quel mio prodotto abbia pochi beni sostitutivi proprio perché è legato a degli elementi di
distintività;
-La maggiore fedeltà è sicuramente un ostacolo molto forte per i nuovi concorrenti, perché
un conto è entrare in un business dove i clienti sono fedeli un conto invece è entrare in un
business dove i clienti sono molto infedeli dove è molto più facile entrare in quel business;
-Per quanto riguarda i fornitori anche qui specularmente diciamo che il margine più elevato
accresce la capacità dell’impresa di assorbire gli aumenti imposti da eventuali fornitori dotati
di forte potere contrattuale.Qui le variazioni di prezzo le assorbiamo non con il costo basso
ma con il margine più alto, perchè avendo un margine più elevato proprio perché ho un
prezzo più elevato rispetto ai concorrenti io riesco ad assorbire un aumento imposto da
fornitori potenti che provano ad aumentare il loro prezzo di fornitura;
-Le caratteristiche distintive di un prodotto e anche la fedeltà costituiscono una difesa nei
confronti dei prodotti sostitutivi, perché chiaramente la differenziazione mira a rendere
unico il mio prodotto agli occhi del consumatore e quindi il consumatore valuterà meno
alternative e considererà meno succedaneità in certi beni perché non li vedo comparabili.

Il vantaggio della differenziazione rispetto ai concorrenti


Il vantaggio della differenziazione rispetto ai concorrenti può dipendere da:
-Modificando caratteristiche e prestazioni dei prodotti;
-Agire sulle leve dei servizi, quindi su quello che è complementare e integrativo della mia
offerta, quindi sulla consegna, sul credito, sulle riparazioni, sulla manutenzione,
sull’assistenza, su tanti elementi di servizio post vendita ma anche di accompagnamento alla
vendita;
-Oppure posso differenziarmi sulle attività di marketing, sul livello di investimenti pubblicitari
quindi è una differenziazione che posso ottenere perché con elevati investimenti pubblicitari
ho la possibilità di incrementare tutti i benefici e tutte le caratteristiche;
-Il livello di qualità degli input;

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-Le competenze dei dipendenti sono anche una fonte di differenziazione rispetto ai
concorrenti;
-La collocazione geografica, l’ubicazione ossia magari ad esempio i punti vendita al dettaglio
che hanno una favorevole collocazione geografica rispetto a quelli che non ce li hanno;
-Il livello di integrazione verticale, questo ci può consentire un maggiore controllo sugli input
e sui processi di distribuzione.

Legame che esiste tra leadership di costo e differenziazione


La proposta di Porter originaria considerava alternative questi 2 approcci, e cioè lui diceva
che leadership di costo e differenziazione di norma sono incompatibili quindi o l’una o l’altra,
poi questa posizione è stata superata nel senso che era anche figlia di un processo di
produzione dove il costo della differenziazione era molto più alto del costo della
differenziazione.
A partire poi da altri studiosi non si è condivisa questa visione così rigida da parte di Porter o
l’una o l’altra sono tendenzialmente incompatibili.
Individuava delle circostanze nelle quali questo poteva essere possibile una compatibilità:
a) La prima è che anche la concorrenza sia ‘bloccata a metà del guado’, cioè essere
sostanzialmente né nell’uno che né nell’altro;
b) Che i costi siano condizionati dalla quota di mercato, quindi significa
sostanzialmente una spinta verso elevati volumi di vendita quindi costi che si
riducono all'incremento della quota di mercato;
c) Introduzione di innovazioni tecnologiche, perché l’impresa riesce comunque
anche avendo un approccio di leadership di costo riesce ad innovare
tecnologicamente, quindi a portare differenziazione.
Queste condizioni sono tutto sommato nel breve periodo, perché nel lungo periodo:
a) questa condizione di blocco a metà del guado dei concorrenti anche questa è
solo temporanea, ma alla fine dobbiamo andare verso una strategia di base che
impronti la strategia competitiva;
b) anche qui perseguire quote di mercato si ma ci sono poi nel lungo periodo anche
i concorrenti abili possono avere la stessa quota di mercato, quindi con la stessa
quota di mercato elevati volumi e stesso livello di costo;
c) l’innovazione si però nel breve termine, perché nel lungo periodo è difficile
difendersi e ci saranno sempre fenomeni imitativi da parte dei concorrenti.
Quindi questo approccio di Porter è un approccio molto più orientato ad affermare che
comunque bisognava avere una caratterizzazione di fondo tranne in questi casi legati
comunque al breve termine e non al lungo periodo, ma questo approccio è stato superato
anche dal punto di vista concettuale.
Quindi questa visione di alternatività tra leadership di costo e differenziazione veniva da un
periodo in cui la differenziazione aveva effettivamente un costo più elevato, e quindi la
differenziazione costava molto più di quanto non costi oggi differenziare i prodotti perché
l'innovazione tecnologica ci ha portato oggi ad avere processi produttivi molto automatizzati
e quindi oggi attraverso il presidio di software e di computer nei processi di produzione noi
abbiamo la possibilità di differenziare a costi molti più bassi di quanto non era in
precedenza.

Integrazione tra leadership di costo e differenziazione


Uno dei pochi casi di leadership di costo e differenziazione è il caso di IKEA, dove notiamo
contemporaneamente leadership di costo e differenziazione.

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Perché il modello IKEA non è un modello di business facilmente imitabile, IKEA è diventato
qualcosa di unico eppure è un leader di costo ma è riuscito a diventare talmente unico che
IKEA è diventato uno stile ‘’stile IKEA’’.
Quindi IKEA grazie alla combinazione di combinazione volte alla minimizzazione dei costi,
unite alla creatività e alla capacità innovativa (espressione di competenze di
differenziazione) è riuscita a proporre, alla clientela internazionale, prodotti a basso costo
ma con caratteristiche inconfondibili, tanto da riuscire a diventare uno stile ‘stile IKEA’.
Quindi ha una leadership di costo che si fonda su processi produttivi modulari, cioè ha dei
moduli produttivi standard e la differenziazione la fa nella composizione di questi moduli
standard e questo è un aspetto di questa presenza contemporanea di leadership di costo e
differenziazione.

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Governance e management
La governance è l’area di interessi, di decisioni e operazione che riguardano i titolari dei
diritti di proprietà.Gli organi di governo cioè gli organi che esprimono la loro volontà e che
hanno l’ultima parola nel dire cosa si deve fare, essi sono:
-L'assemblea dei soci
-Il consiglio di amministrazione
-Collegio sindacale
Quindi la governance gestisce sostanzialmente l’espressione della proprietà, che è titolare
dei diritti quindi sono sostanzialmente i proprietari (in una società gli azionisti) che hanno
investito nell'impresa e quindi sono i soggetti che decidono sostanzialmente cosa si deve
fare.Quindi danno l’impronta strategica dell’impresa.
I proprietari affidano, delegano, l’attività di amministrazione a soggetti esterni e quindi questi
soggetti esterni rappresentano il management che sono soggetti che invece si occupano di
gestione, di organizzazione, di rilevazione ossia funzione che sono esercitate in virtù di
delega da parte dei soggetti proprietari, quindi soggetti proprietari che delegano la gestione,
l’organizzazione e la rilevazione.
Quindi la funzione di governo o governance riguarda la definizione degli scopi e degli
indirizzi generali dell’impresa, che compete, ai proprietari.
Il management invece è l’area delle operazioni di gestione, di organizzazione e di
rilevazione, esercitate in virtù di delega da parte dei soggetti proprietari.
Quindi il management si occupa di implementare le decisioni di governo, dove invece le
decisioni di governo sono quelle che riguardano l’ideazione e la pianificazione delle decisioni
strategiche, che cosa si deve fare, gli indirizzi generali.
L’unico caso in cui queste 2 funzioni coincidono è quando il piccolo imprenditore, la ditta
individuale, dove c’è un soggetto che è proprietario che è imprenditore ma anche manager
nel contempo.
Mentre quando l’impresa cresce di dimensioni queste funzioni di proprietà e controllo
dell’impresa cominciano a divergere, perché un conto è chi decide cosa fare e quindi gli
indirizzi generali e la strategie (questo compete ai proprietari) poi i proprietari naturalmente
possono o meno anche ricoprire delle cariche manageriali ma non è detto questo perché
possono anche non svolgere nessun compito di management e delegare completamente la
realizzazione di ciò che vuole fare delle sue strategie al management.
Il soggetto economico è il soggetto che esercita il governo dell'impresa, la funzione di
governo che riguarda la definizione degli scopi e degli indirizzi generali dell'impresa che
compete principalmente ai proprietari viene esercitata da quello che si chiama il soggetto
economico.
Nella società noi abbiamo un capitale di comando che chiameremo ‘’soggetto economico’’
perché è colui che decide avendo la maggioranza (decide quello che va fatto) che va visto di
volta in volta caso per caso chi è che ha la maggioranza chi è che è il detentore di quella
quota di capitale di comando.E poi c’è un capitale controllato perché è un capitale di
minoranza ossia sarà quel 49% se siamo in 2 o sarà una percentuale inferiore, cioè
sostanzialmente ciò che residua dopo aver individuato il capitale di comando.
Il soggetto economico si individua nell’assemblea dei soci ma non necessariamente coincide
con la maggioranza delle quote del capitale sociale, in quanto discende dal controllo effettivo
della maggioranza dei voti.Cioè la cosa importante è che bisogna andare a vedere di volta in
volta chi è la maggioranza dei voti (voto inteso come titolo azionario col diritto di voto).
Quindi dobbiamo capire che governance e management devono essere distinte ma non
separate!

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Per cui deve esserci una distinzione tra imprenditorialità e managerialità ma una distinzione
di contenuti della funzione, il fatto però che sono distinte non significa che debbano essere
funzionalmente separate cioè che non possano dialogare tra di loro e reciprocamente
prendere in considerazione l’una per decidere le cose che sono di propria competenza.

Governance e management
Quando abbiamo parlato del processo di governo dell'impresa e abbiamo visto quali sono gli
organi volitivi, ma questa specificazione è importante proprio per farci capire che c'è una
sorta di fluidità poi nei fatti, nel senso che da un punto di vista astratto certamente il
processo di governo idealmente si colloca negli organi volitivi però nella realtà dei fatti c’è
sempre di più una ampia partecipazione sia del management che di soggetti esterni, dei
soggetti stakeholder.
Perché la teoria degli stakeholder considera proprio un elemento importante nella
formulazione della strategia e quindi un conto è pensare cosa è formalmente previsto,
idealmente o astrattamente previsto, un conto è poi vedere nella realtà dei fatti cosa
succede.
Nella realtà dei fatti questo fenomeno di ampliamento di soggetti che partecipano al
processo di formulazione strategica, quindi quello che è di competenza del governo
dell'impresa della governance è certamente un fenomeno in crescita e sicuramente
accresciutosi rispetto al passato, e cioè un coinvolgimento maggiore di altri soggetti in primis
i management proprio perché queste due funzioni devono dialogare tra di loro e quindi
anche ciò che l'organo di governo intende definire lo deve fare e tenendo conto anche delle
esigenze, delle istanze e degli input vengono dal management.

Struttura gerarchica del processo decisionale


E quindi sempre facendo questa distinzione tra aspetto astratto, ideale, o formale e realtà
dei fatti il testo ci rappresenta una struttura struttura gerarchica del processo decisionale
cioè tendenzialmente noi abbiamo un nucleo istituzionale, un nucleo intermedio o
manageriale (l'area del management) e poi all'interno dell'area manageriale un nucleo
esecutivo-operativo quindi che sostanzialmente realizza proprio per esprimere la parte più
operativa ed escludere anche tutto quello che è decisione manageriale, decisioni di gestione
che compete al management.
Quindi abbiamo un nucleo istituzionale che è la formulazione di strategie, di piani, di
programmi.
Poi un nucleo intermedio che nell’implementazione delle strategie, degli obiettivi che si
svolge la sua funzione di supervisione, di coordinamento, di controllo e di gestione di
implementazione.
E poi un nucleo esecutivo-operativo cioè che svolge operazioni di routine cioè di mera
esecuzione e di realizzazione delle cose che si fanno, e questa è una distinzione diciamo
che arricchisce quella che noi abbiamo fatto inizialmente tra decisioni strategiche e decisioni
operative e quindi introducendo qui un livello intermedio (che poi in realtà è incluso nella
parte iniziale quando si parla di decisioni operative), ma qui specifica che c'è ancora un
livello di decisioni che sono decisioni di management per distinguerle dalle decisioni di
governo che sono invece quelle che troviamo contenute nelle strategie e nei piani e dei
programmi.
Quindi abbiamo un processo decisionale che è un processo decisionale strategico
certamente in primis; poi un processo di decisioni di management che attengono appunto
alle funzioni di gestione, all'organizzazione, oltre che alla rilevazione; e che si traducono poi

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in compiti di supervisione, di coordinamento, di controllo che sono tipicamente le funzioni
manageriali del management (i compiti che spettano al management).
Questa si chiama gerarchia, la parola gerarchia indica infatti viene utilizzata nel processo
decisionale per intendere appunto i livelli attraverso il quale si dipana (svolge) un processo
decisionale.
Questa rappresentazione grafica serve soprattutto per esprimere questo concetto che è:
‘’Il problema di governo e di management delle imprese contemporanee non è quello di
superare la gerarchia, ma di come far girare la gerarchia’’.
Questo significa che la gerarchia questa parola gerarchia evoca un po' una rigidità, è come
se appunto le cose venissero svolte esattamente come viene rappresentato graficamente
(idealmente e astrattamente) con un processo decisionale di questo tipo, cioè che si inizia e
prende un suo corpo nelle strategie, nei piani e nei programmi, poi viene implementato (il
management è l'aria della implementazione delle decisioni di governo) e poi c'è la parte
esecutiva operativa.
Però si vuole dire che questo schema non va visto come uno schema rigido perché sarebbe
molto inadeguato per le imprese contemporanee avere una rigidità di processo decisionale
perché oggi il processo decisionale per le cose che abbiamo anche più volte detto è un
processo di richiede rapidità innanzitutto molta rapidità, poi richiede partecipazione perché
gli input sono talmente tanti che il contributo di tutte le aree funzionali, di tutte le competenze
è molto importante e quindi far girare la gerarchia significa sostanzialmente superare la
rigidità di una gerarchia e pensare che questo processo decisionale è un processo
decisionale che certamente è un processo top-down, ma non è esclusivamente un processo
top-down ma anche bottom-up e quindi cioè gli input informativi (la parte propositiva, le idee
innovative e il contributo) può partire anche dal basso verso l'alto e non solo dall'alto verso il
basso.

Soggetto giuridico e soggetto economico


Un altro concetto è quello di richiamare la distinzione tra soggetto giuridico e soggetto
economico per precisare che: il soggetto giuridico è la persona fisica o giuridica cui fanno
capo i diritti e gli obblighi connessi a quella attività, quindi chi giuridicamente è responsabile
dei diritti e degli obblighi.
Il soggetto economico invece è la persona fisica o giuridica che domina l'andamento
economico e finanziario dell'impresa e determina l'orientamento strategico di fondo è
opportuno distinguerlo dal soggetto giuridico, quindi di non confondere chi di fatto governa
l'impresa e che determina l'orientamento strategico di fondo, dal soggetto giuridico che è
invece il soggetto cui fanno capo diritti e obblighi che però sono rilevanti da un punto di vista
giuridico.
Quindi il soggetto giuridico nel caso delle ditte è la persona fisica, in una ditta individuale il
titolare è certamente il soggetto economico perché è il soggetto che decide e governa
questa sua attività ma è anche il soggetto giuridico perché anche lui è personalmente
responsabile da un punto di vista giuridico degli obblighi e dei diritti nei confronti della
società.
Mentre nelle società di persone e nelle società di capitali il soggetto giuridico è la società e
non la singola persona, ma è la società a cui fanno capo i diritti e gli obblighi giuridicamente
rilevanti.
Le società di persone sono: società semplice (ss), società in nome collettivo (snc), società in
accomandita semplice (sas).Mentre le società di capitali sono: la società per azione (spa), la

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società a responsabilità limitata (srl) la società in accomandita per azioni (sapa) e le
cooperative e mutue assicuratrici.
Quindi il soggetto economico che noi vogliamo mettere a fuoco è:
a) un soggetto che controlla il capitale di rischio e il capitale di credito;
b) domina l'amministrazione o in modo diretto per esempio diventando amministratore
delegato, oppure in maniera indiretta nominando gli amministratori;
c) naturalmente influenza le funzioni di management, che ci fa capire che il compito è
fondamentalmente quello di dettare linee guida, indirizzi, strategie, quindi influenzare
ovviamente le funzioni di management
Il soggetto economico si individua nella assemblea dei soci (cioè praticamente l'assemblea
di tutti i proprietari) ma non necessariamente coincide con la maggioranza delle quote del
capitale sociale in quanto discende dal controllo effettivo della maggioranza dei voti.
Perché le azioni non sono tutte uguali, ci sono delle azioni che limitano il diritto di voto
soltanto ad alcune materie (quindi soltanto per alcune decisioni si può votare), oppure ci
sono azioni che totalmente prive del diritto di voto e poi ci sono le azioni normali dove c'è il
diritto di voto riconosciuto su ogni deliberazione che deve essere sottoposta a votazione
Questa precisazione è importante perché i numeri non coincidono, quindi i numeri in termini
proprio percentuali non coincidono ma quello che è interessante è proprio perché siccome
molte azioni cioè le quote del capitale sociale non sono tutte uguali quindi non prevedono
tutte il diritto di voto, quello che dei fatti interessa è il controllo effettivo della maggioranza dei
voti utili.
Quindi al di là delle attribuzioni giuridiche quello che noi interessa vedere alla fine è: ma chi
è che comanda, se si vota una determinata scelta come si forma questa maggioranza dei
voti? Qual è il soggetto economico che in quel momento esprime la sua volontà e la impone
perché è maggioritaria?
La precisazione è che la maggioranza è da andare individuare in quelli che effettivamente
votano, perché quello ci interessa capire cioè come viene fuori questo soggetto economico.
Ancora un'ultima precisazione è che si individua un capitale di comando e un capitale
controllato (che già ne avevamo parlato) e il soggetto economico è naturalmente il capitale
di comando.
E qui facciamo un piccolo passo in avanti per fare una distinzione nell'ambito del capitale
controllato tra: i soci che sono interessati alla governance e quelli che non sono interessati
alla governance.
Perché essere proprietà, avere le azioni di una società, non significa che io poi sono
interessato ad avere il dividendo o a vedere incrementato il valore di mercato del mio titolo,
ma sono sono estraneo del tutto e non interessato al partecipare alla funzione di
governance.
Però nell'ambito di questa minoranza che è un capitale controllato ci sono anche quelli che
sono invece interessati alla governance, e in questo senso diventa quindi una minoranza
rilevante perché comunque partecipa alla vita, partecipa alle assemblee vota, e minoranza
naturalmente quindi non vincerà però partecipa, dibatte, propone, suggerisce quindi
partecipa attivamente alla governance.
Il capitale controllato ha poi un'ulteriore specificazione tra una parte di capitale che non è
proprio interessato e quelli invece che poi sono interessati e che quindi vanno a
rappresentare la minoranza rilevante all'interno dei processi di decisione

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L’impresa sistema
Innanzitutto l'approccio sistemico allo studio dell'impresa non è una cosa nuova perché ha
radici antiche, il primo che se n'è occupato e che ha applicato l'approccio sistemico è questo
tale Barnard nel 1938 quindi diciamo il primo approccio all'impresa, quindi la prima
applicazione di questo approccio sistemico allo studio dell'impresa è datato 1938 ad opera di
Barnard.Poi c’è stato un periodo in cui non ci sono stati dei grandi contributi, e poi è stato
ripreso nel 1977 da Von Bertalanffy con un lavoro molto importante che riprendeva ciò che
era stato un po' seminato ma che non aveva poi avuto uno sviluppo approfondito, adeguato
e Von Bertalanffy è invece il primo che fa un'opera diciamo molto sistematica, molto
imponente e significativa finalizzata a vedere l'impresa come un sistema con tutte le
implicazioni, con tutte le le caratteristiche di cui abbiamo qualche modo fatto cenno.
Un altro contributo importante è stato fatto nel 1988 da Kast e Rosenzweig quindi una
decina d'anni dopo di questi altri due autori che sono stati insieme a Von Bertalanffy quelli
che hanno un po' gettato le basi e hanno dato i principi fondanti di questo approccio
sistemico.
Infatti Kast e Rosenzweig nel 1988 dissero che: ‘’Un sistema è un insieme unitario
organizzato composto di due o più parti interdipendenti, componenti o sub-sistemi e delineati
da confini identificabili dai suoi sopra sistemi ambientali’’.
Questo significa che il sistema è un complesso un tutt'uno che viene organizzato, che è
composto da due o più parti interdipendenti, da due o più componenti, 2 o più sub sistemi
interdipendenti tra di loro.
Il concetto di interdipendenza abbiamo detto differenzia il concetto di sistema dal concetto di
insieme, perché l'insieme è un semplice aggregato, il sistema invece è un insieme di
soggetti e parti, componenti, interagenti l'uno dall'altro e delineati da dei confini rispetto ai
sovra sistemi ambientali esterni.
Quindi Kast e Rosenzweig ci dicono che l'impresa è un'entità che comprende al suo interno
parti componenti o sub-sistemi e a sua volta interagisce all'esterno con i sovra sistemi
ambientali esterni (il sovra sistema economico, il sovra sistema tecnologico, il sovra sistema
istituzionali) i sovra sistemi di tutto quello che è all'esterno dell'impresa.
Quindi l’impresa è un'entità che comprende al suo interno sub-sistemi, parti, componenti e
interagisce con i sub sistemi che appartengono all'ambiente esterno. Quindi abbiamo dei
confini identificabili che ci perimetrano il sistema impresa che al suo interno è composto di
parti, di componenti o sub-sistemi e interagisce con i sub sistemi che appartengono
all'ambiente esterno.
Quindi sostanzialmente c'è la parola sistema, poi c'è la parola sopra sistema è all'interno
subsistema, l'impresa è composta da sub sistemi che interagiscono al loro interno tra di loro
mentre l'impresa sistema interagisce con i sovrasistemi all'esterno.
Quindi per intendere una circolarità di questo concetto di sistema, perché sia all'esterno sia
all'interno sono individuabili come sistemi sempre cioè comparti che ognuno deve fare una
cosa specifica c’ha delle funzioni, c'ha delle prerogative e competenze ma sempre però con
con un carattere di interdipendenza da cui si generano poi risultati concreti effettivi.
E questa interdipendenza la vediamo all'interno dell'impresa ma la vediamo anche
all'esterno con un interdipendenza con i sovra sistemi ambientali esterni.

Non tutte le imprese sono sistemi, nel senso che essere un sistema è un obiettivo, un
traguardo ma non è detto che in ogni impresa riscontriamo quei requisiti, quelle condizioni
affinché possiamo parlare effettivamente di un sistema così come lo stiamo concependo

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ossia un sistema finalizzato, un sistema dove ci sono le differenziazioni di lavoro, dove ci
sono ruoli, competenze, c'è l'interdipendenza, c'è coordinamento, c’è condivisione.
Quando l'impresa raggiunge questa sua dimensione sistemica è un'impresa che funziona
bene, è però un traguardo perché non è detto che tutte le imprese siano un sistema.
Quindi esistono delle condizioni che vanno individuate affinché possiamo parlare
effettivamente di un sistema, e queste condizioni sono quattro:
1.Differenziazione la differenziazione si riferisce alla differenziazione del lavoro all'interno
dell'impresa;
2.Struttura organizzativa è un efficace o efficiente struttura organizzativa;
3.L’integrazione l'integrazione ossia la riconduzione ad unità delle parti e dei partecipanti
differenziati perché se noi abbiamo fatto differenziazione e abbiamo quindi differenziato il
lavoro a segnandolo all'interno dell'impresa a ciascun soggetto, a ciascuna unità
organizzativa, ciascun ufficio eccetera poi dobbiamo però integrare tutto questo.Cioè
dobbiamo ricondurre ad unità tutte il contributo e le attività che vengono svolte localmente
cioè così come le abbiamo differenziate;
4.Finalizzazione cioè il fatto che si abbia una finalizzazione comune e che quindi tutto il
sistema vada coeso verso la stessa direzione, perché ha una finalità che è comune a tutti
quanti.
E quindi l'esigenza connessa alla dimensione dell'impresa (la fase del ciclo di vita) dove la
governance e management divergono progressivamente.
La differenziazione (il primo elemento) è quello di suddividere le attività cioè chi fa che cosa
quindi prima condizione dobbiamo dividere, suddividere il lavoro, dobbiamo differenziarlo e
dobbiamo attribuirlo individuando ruoli, competenze, compiti ed è una esigenza connessa al
fatto che governance e management divergono progressivamente.
Quindi ecco il senso della di divergere progressivamente tra governance e management e
chiaramente quindi, più l'impresa cresce di dimensioni più queste due aree tendono a
divergere (area governance e area management)
Quando si parla di differenziazione è connessa l'esigenza di integrazione del lavoro diviso ,
perché nel momento in cui noi abbiamo suddiviso e differenziato il lavoro, l'altra faccia della
medaglia è quella dell'integrazione, del coordinamento ossia dell'integrazione del ricondurre
ad unità quello che abbiamo suddiviso.
E questa attività di integrazione (come altra faccia della medaglia della suddivisione del
lavoro) è una caratteristica, una competenza che compete ai manager questo autore Teece
ha fatto un lavoro in cui ha parlato molto sulla funzione manageriale, sui compiti, e ha dato
molta enfasi al fatto che la capacità manageriale di suddividere il lavoro e di coordinarlo è un
requisito fondamentale la capacità competitiva dell'impresa cioè ha voluto mettere molto
evidenza per il successo dell'impresa, per la sua capacità competitiva, questa capacità
manageriale di suddividere il lavoro di saperlo coordinare anche.
Perché è molto importante nell'ambito della funzione manageriale questo compito, il compito
di suddividere il lavoro e poi di coordinarlo cioè suddividere il lavoro quindi individuare chi
deve fare determinate cose (quindi come suddividerlo) e anche come individuare lo stesso
perimetro e i limiti di una certa attività e di certe competenze e di come coordinarlo.
Quindi quello che Teece ha voluto sottolineare come una capacità manageriale molto molto
importante qualificandolo con un requisito importante, fondamentale per la capacità
competitiva dell'impresa.
Teece sottolinea, oltre che questa capacità manageriali di suddividere il lavoro e di
coordinarlo è un requisito fondamentale per la capacità competitiva dell'impresa, è il

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concetto che spesso è un fatto personale piuttosto che derivanti da impianti e strumenti di
lavoro.
E cioè Teece vuole sottolineare qui che è una capacità manageriale molto legata alla
persona e questo sempre per dargli molta importanza al fatto che poi al di là dei ruoli, al di là
delle autorità, quello che sono le persone sono la risorsa importante anche strategica sono
le persone perché questa capacità di suddividere il lavoro e di coordinarlo è legato alla
persona che è proposta per fare questo e quindi non è detto questo risultato di ottimizzare la
suddivisione del lavoro e di coordinarlo lo si ottenga attraverso impianti e strumenti di lavoro
oppure processi codificati formalizzati, ma passa attraverso l'uomo attraverso la capacità del
manager di capire qual è il modo migliore di suddividere il lavoro e di coordinarlo.

Differenziazione
1.Nel momento in cui abbiamo suddiviso, abbiamo un'esigenza di controllo di quello che
succede nelle diverse parti dello svolgimento del lavoro, e c'è il controllo di gestione.
Il controllo di gestione è un'esigenza ovviamente legata alla suddivisione del lavoro ed è un
principio di management.
Significa che il momento in cui noi abbiamo suddiviso il lavoro, ogni parte nell'ambito del
nostro sistema svolge un compito preciso, ha dei precisi obiettivi, è un centro di
responsabilità (un centro di responsabilità può essere un centro di costo, può essere un
centro di ricavo, può essere un centro di costo e di ricavo quindi un centro di profitto) ed è
finalizzata a un risultato, questo è significa fare controllo di gestione.
Fare controllo di gestione significa accertarsi, verificare che ogni parte raggiunga gli obiettivi
che gli sono stati assegnati e se non li raggiunge individuare quali sono le modalità di
intervento necessarie per riallineare i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi che sono stati
prefissati e questo significa sottoporre l’attività a un controllo di gestione.
Quindi alla base del controllo di gestione c'è la programmazione certamente, quindi la
programmazione significa capire quali sono i nostri obiettivi (i nostri fini e i nostri obiettivi),
dopodiché abbiamo dei risultati che sono il frutto della nostra attività e facciamo un confronto
tra risultati ottenuti e gli obiettivi che avevamo predefinito.
Abbiamo degli obiettivi e dei risultati che si sono raggiunti, i nostri risultati possono essere
assolutamente allineati, coerenti, corrispondenti agli obiettivi che ci eravamo dati quindi
controllo di gestione ci dice che sei stato bravo che i risultati che hai ottenuto sono
corrispondenti agli obiettivi che ti eri dato.
Però può anche succedere il caso negativo, cioè che i risultati non siano allineati e
corrispondenti agli obiettivi che ti eri dato, e in questo caso quindi succede che devi o
rivedere i tuoi obiettivi o rivedere la tua azione perchè hai prodotto quei risultati? perché il
fatto che il risultato non sia corrisposto può dipendere dal modo in cui tu hai fatto le cose e
quindi hai prodotto un risultato inferiore o quantomeno non rispondente all'obiettivo, ma
potrebbe anche darsi che devi rivedere gli obiettivi che erano magari obiettivi troppo
ambiziosi.
L'obiettivo troppo ambizioso è un obiettivo che poi difficilmente troverà una sua
corrispondenza nei risultati effettivamente raggiunti, ma perché il problema era l'obiettivo
non quello che hai fatto.
Quindi il risultato di un controllo di gestione passa attraverso il confronto tra obiettivi e
risultati che hai raggiunto, è quello di validare anche gli stessi obiettivi oltre che la tua
azione.
Quindi se c'è corrispondenza tra i risultati e gli obiettivi tutto bene, ma se non succede io o
rivedo gli obiettivi o rivedo la mia azione.

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In tutte e due casi prima di poter dire o rivedo gli obiettivi e rivedo le azioni dobbiamo
trovare, ma la cosa importante a livello di processo di controllo di gestione è che noi dopo
aver rilevato il gap di scostamenti tra risultati e obiettivi, dobbiamo individuarne le cause e i
motivi per cui si sono determinati questi scostamenti, questo disallineamento tra risultati e
obiettivi.
Quindi il controllo di gestione è un meccanismo operativo molto importante nell’aiutarci a
raggiungere il successo, a raggiungere i nostri obiettivi e a farci intervenire in tempo se ci
stiamo allontanando dalla rotta che ci porterebbe ai nostri obiettivi, quindi il controllo di
gestione è il Google Maps delle imprese.

Strutturazione
2.La seconda condizione è la strutturazione, e significa:
a) dare ordine alle operazioni e ai compiti;
b) definire le regole di interazione tra le parti, e cioè delle procedure di l'interazione
cioè come devono interagire le parti;
c) definire il processo decisionale di governance e di management, che attiene sia
la sfera di governance (che riguarda quella materia cioè le strategie, le linee
guida, gli indirizzi) e poi il processo decisionale di management (che sono tutte
quelle decisioni che poi vanno prese nella implementazione di ciò che è stato
deciso a livello di governance) e la connessa catena di autorità e poteri e
responsabilità cioè significa dividere i compiti, suddividere, attribuire le
responsabilità di suddividere e attribuire le autorità i poteri cioè discrezionali, non
discrezionali.
Quindi significa fare tutte quegli interventi di infrastruttura di funzionamento ossia dare un
ordine all'operazione compiti perché l'operazione e i compiti devono essere chiaramente
svolte in maniera ordinata cioè definita;
Definire il modo in cui le parti devono interagire tra di loro quindi definire le procedure e i
modi di lavorare e una sequenza di attività, quindi qual è l'iter procedurale di un'attività;
Definire il processo decisionale e tutta la connessa catena di autorità, poteri e responsabilità
perché quando si parla di autorità e di poteri noi dobbiamo sempre anche parlare della
parola responsabilità due facce di una stessa medaglia autorità poteri e responsabilità
collegate al catena di autorità e di poteri.
Strutturazione quindi significa individuare una gerarchia, cioè un modello di strutturazione
formale e ordinato di funzioni, compiti, delle unità organizzative cioè significa
sostanzialmente dobbiamo definire qual è la attribuzione dei compiti, cosa fanno le unità
organizzative, quali sono le diverse funzioni aziendali questo però in un modo formale e
ordinato.
Tutto questo ordine, codificazione, si chiama gerarchia cioè un modello di strutturazione
formale ordinato di funzioni compiti unità organizzative.
Questa gerarchia non deve poi diventare un elemento di rigidità, nel senso che è abbiamo
tutta la parte proceduralizzata, abbiamo gli organigrammi, abbiamo i mansioni, abbiamo i
funzionigrammi, però dobbiamo sempre tener conto che accanto a tutto ciò che è formale
c’è tutto ciò che informale.
Quindi dobbiamo tener conto che la struttura organizzativa poi è piena di queste relazioni
informali, di informazione, di comunicazioni che vanno sia dall'alto verso il basso (top-down)
ma anche dal basso verso l'alto (bottom up), ma anche in via trasversale quindi in questo
senso il funzionamento poi delle organizzazioni è condizionato certamente e basicamente
da tutto ciò che codificato e formalizzato ma molto anche da tutto quello che invece

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spontaneamente emerge, quindi tutto quello che informalmente emerge come relazione,
modi di comunicare, scambi di informazione, condivisioni di decisioni.
Quindi anche i processi decisionali hanno un loro iter proceduralizzato formale, ma poi
possono subire delle variazioni naturalmente in funzione dell'intervento, della partecipazione,
informale, di altri soggetti ai processi decisionali.
Strutturazione significa anche:
-Scegliere la forma giuridica;
-Scegliere il modello organizzativo.
Non esistono decisioni migliori di altre esistono solo decisioni più coerenti, più adeguate, più
appropriate rispetto alle condizioni di quell’impresa, quindi queste scelte di forma giuridica
organizzativo devono essere razionali intesa come appropriatezza rispetto alla strategia
prescelta, e quindi devono essere appropriate, coerenti, adeguate, rispetto alla strategia per
scelta.
Che a sua volta è una strategia che risente dell'ambiente esterno, dell'ambiente interno e
quindi l’appropriatezza delle strutture organizzative è un appropriatezza che dobbiamo
cercare nei confronti delle condizioni dell'ambiente esterno, delle condizioni dell'ambiente
interno, quali sono le nostre risorse quali sono anche le nostre dinamiche interne oltre che le
condizioni che riguardano l'ambiente esterno e quindi da cui derivano poi le nostre strategie.

Integrazione
3.Integrazione significa ricondurre a unità tutto ciò che è stato differenziato, ordinato,
strutturato e quindi integrazione significa garantirsi sostanzialmente quel coordinamento
(sempre funzionale) al conseguimento dei nostri scopi e quindi dobbiamo assicurarci che
tutto funzioni in modo efficiente, efficace e strumentale rispetto al conseguimento dei nostri
obiettivi.
Dobbiamo garantirci questa integrazione perché altrimenti le parti di questo sistema sono
slegate, quindi come ogni attività, ogni parte di questo sistema da un suo contributo al
conseguimento dei fini istituzionali dei fini del sistema quindi dobbiamo garantirci e cercare
la massima armonia, coordinamento tra le parti del sistema.
Questa integrazione può essere o spontanea o procurata, nel senso che è un integrazione
spontanea quando non abbiamo necessità di strutturare, di pensare a dei meccanismi di
integrazione, sofisticati o formalizzati, ma sono organizzazioni semplici quindi
quest’integrazione avviene spontaneamente.
Ma l'integrazione oltre che spontanea può essere anche un integrazione procurata, cioè
dobbiamo formalizzare, dobbiamo pensare come garantirci questa integrazione.
L’integrazione è un compito tipico del management, l’integrazione comprende 3 attività :
-Coordinamento, perché il manager è un soggetto integratore quindi è un soggetto che
deve coordinare;
-Controllo, cioè il controllo su quello che realizzano persone, attività e uffici.Quindi
dobbiamo verificare che stiamo andando nella giusta direzione;
-Esercizio di leadership, la leadership è un meccanismo di integrazione ossia capacità di
influenzare il comportamento degli altri, è la capacità di essere a capo di qualcosa che sta
andando verso degli obiettivi ed essere riconosciuto come tale la leadership.
Perché la leadership è quell'esercizio che significa coordinare, controllare, ma supportare
anche stimolare motivare, mettere in campo c'è tutta una serie di competenze che servono
per far sì che tutti vadano in quella direzione, che tutti esprimano e siano nelle condizioni di
esprimere al meglio il loro contributo lavorativo.

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La leadership non è legata alla autorità formale, cioè non è leader chi è su una poltrona che
è su un ruolo che è a capo, leader è colui che emerge come tale.
Quindi il leader non è un leader che viene riconosciuto dal punto di vista formale dalla
struttura organizzativa, ma è colui o coloro (perché la funzione di leadership può essere
esercitata anche da più di una persona) è qualcosa che andiamo a individuare come quel
soggetto o quei soggetti che condizionano, incidono maggiormente più di altri sui processi
decisionali.
Abbiamo diversi stili di leadership, un po' che oscillano tra autoritario e il partecipativo come
tratti essenziali: quindi non lato uno stile di leadership autoritario; la leadership partecipativa
è invece ovviamente qualcosa di molto più flessibile, molto meno meccanico e molto più
organico che dà spazio chiaramente alla proposizione individuale, alla capacità dei singoli di
partecipare, alla loro volontà la loro motivazione, quindi cerca di estendere la partecipazione
dei soggetti ai processi decisionali e alle cose che si devono fare (quindi la leader
partecipativa non da ordini ma stimola).
Facendo sempre riferimento a questi meccanismi di integrazione, ci sono tre teorie X, Y e Z,
ossia 3 modi completamente diversi di ottenere coordinamento, armonia, coesione tra le
parti di un sistema, le funzioni, le attività. le persone.

Teoria X
La teoria X è quella che si fonda sui principi del ‘management scientifico’, quindi che si
riconduce ai principi di Taylor e Fayol sull'organizzazione del lavoro.
Lo Scientific Management aveva questa ambizione di codificare i processi, di codificare tutto
ossia i principi di essere molto prescrittiva quindi regole e procedure come meccanismo
principe di integrazione.

Teoria Y
La teoria Y invece è fondata invece sulla cura delle relazioni umane, sulla cooperazione tra
capo e subordinato.Barnard e Homans sono i due esponenti principali di quest’approccio
fondato appunto sulle relazioni umane, sulla cooperazione.
Cioè questo è quello che per loro il manager deve stimolare e deve ottenere l'integrazione
tra le parti, tra le funzioni, tra le attività che si svolgono attraverso una focalizzazione
basandosi su questo ossia sull'attivazione di positive relazioni umane e su cooperazione tra
capo è subordinato.
Quindi molto spazio al informalismo in maniera completamente opposta la teoria X che
invece da molto spazio al formalismo, alle regole alle procedure.
Qui invece è l'estremo opposto qui siamo invece in un estremo di informalismo e soprattutto
di focalizzazione sulla sulla ricerca di meccanismi di integrazione anche spontanee che
comunque passino attraverso il rafforzamento delle relazioni umane all'interno del sistema e
su una cooperazione, vicinanza, assistenza, ausilio, supporto del capo rispetto ai
subordinati.

Teoria Z
La teoria Z che viene molto dalla cultura giapponese perché è fondata sulla capacità di
autoregolazione, di piccoli gruppi umani.
I gruppi relazionali o anche detti clan sono dei gruppi che spontaneamente si formano e che
si autoregolano nei loro processi lavorativi, quindi è come se si lasciasse che fossero le
persone stesse a autoregolarsi a coordinarsi tra di loro.

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Quindi è un modo di stimolare innovazioni di processo, di prodotto, un modo di dare voce a
quello che è l’informalismo e quindi qui si lascia proprio che si sviluppi la capacità di
autoregolarsi da parte di piccoli gruppi.
Autoregolazione significa lasciare che siano i piccoli gruppi, i diversi uffici, le diverse
persone, che si autoregolano nella funzione di coordinamento nell'obiettivo di coordinarsi
nella loro attività.
Quindi è chiaro che questo significa responsabilizzare I soggetti su mettere in campo una
una partecipazione alla vita dell'organizzazione mettendoci il proprio contributo individuale e
personale.

Finalizzazione
4.La finalizzazione noi la troviamo innanzitutto in una finalità generale è quella che noi
troviamo nello Statuto, nell'atto costitutivo.
Si distingue finalità generale con finalità particolare, nel senso finalità generale qual è
l'oggetto? produzione di beni o dei servizi, quindi attività distributiva o attività produttiva o
entrambe.
La finalità particolare invece riguarda la distribuzione degli utili, cioè il valore che noi creiamo
che fine fa, e che tipo di valore creiamo? Allora la finita particolare è quella di essere
for-profit e quindi creare una ricchezza, creare un valore che poi viene distribuito da tutti
coloro che hanno partecipato alla realizzazione di questo valore.
Ma la finalità può essere anche non profit quindi non è quella del profitto lucrativo, ma è
quella di realizzare altri tipi di obiettivi e finalità, che sono finalità assistenzialistiche, che
sono finalità di miglioramento delle condizioni sociali, sono finalità che riguardano magari
anche ambiti di attività che sono trascurati dallo Stato.
Oppure ci sono finalità di carattere socio-economico quindi abbinano sia una dimensione
sociale con finalità sia quella economica, e questo è il campo prevalentemente di tutto il
settore pubblico perché tutte le imprese pubbliche hanno una finalità socio economica,
quindi sia da un punto di vista sociale ma anche dal punto di vista economico.
Anche qui come per le non profit, c'è un problema di distribuzione degli utili e c'è una
propensione diciamo a trattenere ricchezza all'interno delle aziende perché non sono
finalizzate a massimizzare, quindi ad arricchire quelli che hanno partecipato per cui noi
abbiamo sia nel mondo non profit sia nel mondo socio pubblico, abbiamo che una ricchezza
che si crea serve per remunerare certamente tutti fattori di produzione e quelli che ci hanno
lavorato ma serve soprattutto per investire ulteriormente nell'oggetto sociale, nella finalità
che stai perseguendo quindi diciamo alimentare un processo di autofinanziamento perché
quello che tu riesci a fare lo metti a disposizione di un miglioramento degli obiettivi che tu
hai.
Quindi la finalizzazione significa innanzitutto avere una finalità generale e una finalità
particolare e significa tradurre poi queste finalità in obiettivi.
Obiettivi: le strategie, piani e i programmi, e quindi le strategie piani e programmi prendono
corpo gli obiettivi che poi di fatto noi ci andiamo ad assegnare e che dobbiamo perseguire
nel perseguire la nostra finalità particolare (se essa è profit o non profit o socio-economica).
Le interferenze di finalità personalistiche di singoli o cordate di potere, è una constatazione
perché è molto frequente che finalità personalistiche di singoli soggetti o anche cordate di
soggetti interferiscono con le finalità del sistema.
Questo è sicuramente un elemento di disfunzionalità, è sicuramente una condizione che ci
allontana dal concetto di sistema perché nel concetto di sistema noi abbiamo un perfetto
allineamento di tutte le componenti, di tutte le attività e di tutti i soggetti verso il fine comune.

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E quindi questo è chiaramente un problema che possiamo riscontrare e che ci allontana da
una condizione di sistemicità che invece dobbiamo raggiungere come traguardo, quindi
anche qui diciamo bisogna presidiare e cercare di contenere e di evitare o contrastare se
emergono finalità particolaristiche che divergono rispetto agli obiettivi e le finalità del
sistema.
La condizione di sistematicità è una ‘’finalizzazione chiara e condivisa’’, perché deve essere
chiaro chiaramente a tutti, quindi i fini comuni devono essere chiaramente identificati o
identificabili sia dall'esterno sia dall'interno, e poi deve esserci una finalizzazione condivisa
proprio perché deve esserci un fine e il fine della comune e quindi tutti devono contribuire a
realizzare questi fini comuni, altrimenti nel sistema avremo che emergono parti del sistema
che tirano un sistema dal lato da un altro verso il conseguimento di fini ma che divergono
dalle finalità.

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Equilibrio sistemico
Un'equilibrata amministrazione aziendale è informata al principio della economicità.
L’economicità è una condizione da raggiungere che è la sintesi di operare con efficienza ed
efficacia (queste tre parole, efficienza, efficacia, economicità sono tre parole che abbiamo
già incontrato)
Il concetto di efficienza è riuscire ad ottenere il massimo risultato con il minor impiego di
input, quindi massimizzare un output minimizzando l'Impiego di input, oppure a parità di
output minimizzare l'Impiego di input o con gli stessi input massimizzare l’output.
In definitiva parlare di efficienza significa sempre fare un confronto, un raffronto, tra output e
input qualsiasi analisi che faccio è un'analisi di efficienza.
L'efficacia invece la nostra capacità di raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati.
L’efficienza a sua volta può essere un efficienza tecnica o efficienza economica e qui vedete
-L'efficienza tecnica è quando io questo rapporto tra output e input lo faccio in quantità, in
entità fisiche, numero, quantità quindi per esempio è un in una misura di efficienza tecnica il
numero di fotocopie in un minuto
-Efficienza economica è quando invece diamo una valorizzazione economica agli input e gli
output o all'uno o all'altro o a entrambi, e quindi per esempio non è più 1000 scarpe al al
giorno ma è quanto mi costa unitariamente una scarpa quelle un'indicazione misura di
efficienza economica perché mi dice io la scarpa la riesco a produrre a €30 come costo
medio unitario se voglio migliorare l'efficienza economica della mia produzione di scarpe io
devo far sì che quella stessa scarpa mi costi non trenta ma €28.
Operare in condizioni di efficienza ed efficacia consente il raggiungimento di condizioni di
redditività, di solidità e di solvibilità finanziaria, se tu sei efficiente efficace significa che tu
raggiungi quelle tue condizioni di redditività, di solidità patrimoniale, di solvibilità finanziaria e
cioè tu hai equilibri anche dal punto di vista della tua solidità finanziaria, della tua solvibilità
finanziaria.
-Quindi l'economicità è un criterio di gestione;
-La redditività è il risultato di operare con economicità, quindi se tu operi con economicità sei
anche redditizio;
-L'equilibrio è uno stato, è uno stato di equilibrio economico, equilibrio finanziario ed
equilibrio organizzativo.

Equilibrio economico
Noi siamo in equilibrio economico quando RV=CS + RD
RV= ricavi complessivi; CS=costi di competenza dell’esercizio; RD=reddito
economico di esercizio
Siamo in equilibrio economico quando attraverso i nostri ricavi riusciamo a coprire tutti i costi
di competenza dell'esercizio e anche a ottenere un reddito economico di esercizio, ma
anche produrre un reddito economico di esercizio.
Dobbiamo precisare però che in questo momento RD reddito economico di esercizio è un
reddito minimo di equilibrio innanzitutto che sia in grado di remunerare che cosa?
Le attese del capitale di rischio e l’attività prestata dall'imprenditore e anzitutto dobbiamo
tenere questo, ecco perché il reddito minimo di equilibrio cioè noi minimamente per poter
cominciare a parlare di equilibrio dobbiamo sicuramente avere questo tipo di risultato ossia
remunerare le attese del capitale di rischio e le attività eventuale prestata dall'imprenditore.
Poi se introduciamo di reddito di equilibrio non più minimo, ma che include questa capacità
di autofinanziamento dell'impresa.

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Quindi noi dobbiamo avere un reddito che ci consente di coprire le attese del capitale di
rischio, l’attività prestata dall’imprenditore ma anche di alimentare un processo di
autofinanziamento con delle riserve di utili di parte di questa ricchezza inutile, di utile che noi
abbiamo creato che tratteniamo per auto finanziarie.
E questo concettualmente significa che stiamo parlando di un equilibrio che noi cerchiamo di
proiettare nel medio-lungo periodo, ossia qualcosa che sto proiettando anche nel futuro e
quindi ecco perché l'autofinanziamento diventa ancora un elemento che ci qualifica questa
condizione di equilibrio perché ci consente di portarla anche nel futuro.
Se questo reddito economico di esercizio è minore di 0 (RD < 0) è una crisi fisiologica o
patologica?
Questa situazione di difficoltà di negatività che abbiamo prodotto è assolutamente fisiologica
può essere fisiologica nella vita di un'impresa, ma dipende dal motivo che l’ha determinato, è
chiaro che diventa un problema e diventa invece una patologia da curare nel momento in cui
noi non abbiamo motivi diversi dal constatare un reddito negativo se non quelli di una nostra
inefficacia, del fatto che non si prodotti non si vendono perché non sono più richiesti , del
fatto che abbiamo dei costi troppo elevati e potremmo fare molto molto meglio, abbiamo una
struttura finanziaria equilibrata, ecc... abbiamo e questa è una situazione patologica ed è
sicuramente una situazione che va curata in quanto patologia.
In quelle situazioni nelle quali anche se abbiamo un risultato contabile negativo non
possiamo parlare di patologia, non c'è nessuna patologia ma anzi c'è una fisiologica
alternanza anche tra risultati positivi e risultati negativi laddove i risultati negativi ce li
spieghiamo però per esempio con un anno di investimenti pazzeschi che abbiamo fatto,
grandissimi i costi che abbiamo sostenuto, ma questo in proiezione di migliorare e di
crescere.

Equilibrio finanziario
L’equilibrio finanziario ha due dimensioni: l'equilibrio patrimoniale e l'equilibrio monetario.
L'equilibrio patrimoniale noi lo leggiamo in chiave di solidità, l'equilibrio monetario in chiave
di solvibilità.
L’equilibrio patrimoniale altro non è che il rapporto che c'è tra capitale proprio e capitale di
terzi, e il rapporto che c'è tra le fonti di capitale e il tipo di impiego che noi abbiamo nel
nostro stato patrimoniale e quindi deve esserci un rapporto tra le poste delle fonti tra capitale
proprio e capitale di terzi e anche in riflesso però al tipo di investimenti che noi facciamo, al
tipo di impieghi finanziari.
La solidità patrimoniale quindi è un perfetto equilibrio delle fonti dell'attivo e del passivo sia
all'interno tra di loro e sia in orizzontale come corrispondenza tra tipologia di fonte.
Equilibrio monetario invece è una questione di solvibilità, cioè la nostra capacità di far
fronte agli impegni debitori che abbiamo preso nei confronti dei terzi. Quindi siamo solvibili
quando abbiamo la possibilità di soddisfare le esigenze dei terzi e rispettare gli impegni che
abbiamo preso.
Una crisi di solvibilità è quando abbiamo difficoltà a pagare i nostri debiti, quando non
abbiamo dei flussi di monetari tali da poter soddisfare le esigenze dei nostri creditori, il
personale, i fornitori.

Equilibrio patrimoniale
KI= CPR + CRD + FDI
KI= capitale investito (immobilizzazioni + disponibilità, ossia il capitale circolante)
CPR= capitale netto

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CRD= capitale di credito
FDI= fondi accantonamenti e ammortamento
L'equilibrio patrimoniale si scrive attraverso quest’equazione in cui abbiamo da un lato il
capitale investito e dall'altro il capitale netto e capitale di credito e in più anche i fondi
accantonamento.

Equilibrio monetario
L’equilibrio monetario è una condizione che noi ricerchiamo posto che esistono dei
disallineamenti temporali delle entrate e delle uscite rispetto alle dinamiche dei costi e dei
ricavi, quindi sono due dinamiche diverse le dinamiche dei costi e dei ricavi (quindi
dinamiche economiche) e dinamiche finanziarie, monetarie cioè entrate e uscite.
Perché c'è questo disallineamento tra entrate e uscite rispetto alla dinamica costi ricavi?
Per vari motivi:
-1 Dilazioni di pagamento e di incasso, per esempio io tengo dai miei fornitori valutazioni
pagamento a 60 giorni pago tra 60 giorni;
2-Sconti connessi all’anticipato incasso di fatture, quindi in caso di incasso una fattura di
10.000 però un incasso anticipato mi potrebbe dare 9000 e non esattamente 10.000;
-3 Minori incassi per difficoltà del debitore, oppure per difficoltà del debitore minor incassi per
difficoltà dell'editoria mi rendo conto che noi debitore mi deve 10.000 ma so che non me li
darà mai o non può darmeli perché sta in una situazione di difficoltà estrema e quindi io
diciamo mi accontento pur di non perdere tutti i 10.000 il mio credito ma almeno mi
accontento di 6000, 7000, 8000 e quindi ho un minor incasso rispetto a quello che avrebbe
dovuto darmi il mio debitore.
Equilibrio finanziario
F1 + E= U + F2
F1 e F2= fondo di cassa iniziale e finale;
E= entrate per vendita (riscossione di crediti, accensione di debiti, interessi e dividendi,
ecc..)
U= uscite per acquisti (concesione di prestiti, estinzione di debiti, salari e stipendi,
pagamento di dividendi ed interessi ecc..)
Ora se io considero su questa cosa molto semplice anche la dinamica dei crediti e dei debiti,
e non soltanto E ed U come uscite effettive ed entrate effettive, ma considero anche i crediti
e debiti li aggiungo nell’equazione di sopra ed avremo:
F1 + (E + ΔCgc) = (U1 + ΔDgc) + F2
ΔCgc=variazione dei crediti inizio/fine
ΔDgc=variazione dei debiti inizio/fine
Se F1 + E < U?
Quindi se il fondo iniziale più quelle che sono le entrate dell'anno sono state insufficienti a
coprire le uscite, è un insolvenza contingente o strutturale?
Anche qui bisogna capire se questa difficoltà di far fronte alle uscite e qualcosa che si
riconduce ad elementi strutturali oppure a elementi temporanei contingenti.

Equilibrio organizzativo
L'equilibrio organizzativo è la madre di tutti gli equilibri è l'equilibrio di base che dobbiamo
avere per poter generare equilibrio economico e equilibrio finanziario.
L’equilibrio organizzativo è uno stato di armonia della struttura, dei processi, delle
interazioni che deve caratterizzare il contesto entro cui si genera poi l'equilibrio economico e
l'equilibrio finanziario.

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Quindi questo stato di armonia questa parola appunto che indica l'equilibrio organizzativo tra
le persone, ma tra le funzioni, tra i compiti, tra queste parti del sistema, quindi si parla di
armonia sistemica.
Un sistema che è in armonia è un sistema che ti produce poi equilibrio economico ed
equilibrio finanziario in questo senso madre di tutti gli equilibri.
Questo è un concetto che si collega molto alla teoria del rapporto tra incentivi e contributi
e questo riguarda quell'armonia e quella parte di equilibrio finanziario che coinvolge gli
uomini, perché noi qua parliamo di armonia noi parliamo di armonia funzionale ed armonia
interpersonale.
Questo rapporto tra incentivi e contributi che è sostanzialmente una delle parti più importanti
dell'equilibrio organizzativo è quella di pensare che il contributo lavorativo di ciascuno di noi
deve essere congruo, coerente con il sistema di incentivi, oppure forse è meglio dire il
sistema di incentivi deve essere congruo rispetto al contributo lavorativo (quello che io do,
quello che io faccio).
Ma il sistema di incentivi da parte dell'organizzazione della mia impresa deve essere
coerente e allineato rispetto al contributo, quindi il tuo incentivo deve essere commisurato al
tipo di contributo che io ti do cioè quantità e qualità del contributo che ti do.
Quando parliamo di incentivi non parliamo solo di soldi ma anche altri tipi di incentivi, ossia
incentivi non monetari ossia meccanismi che comunque riconoscano il contributo che io do
(anche ad esempio la gratificazione oppure riconoscimenti).

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Strategie di adattamento
Una strategia è una ricerca consapevole di strumenti, metodi e azioni suscettibili di
assicurare all'impresa sopravvivenza, successo o vantaggio competitivo, in condizioni di
equilibrio.
Strategia abbiamo detto che è un disegno preordinato del nostro processo evolutivo e cioè
fare strategia significa avere le idee chiare, definirle, identificare il nostro percorso futuro.
Abbiamo anche detto che strategia non è aspettare che le cose accadano e poi reagire alle
cose che accadono, è un atteggiamento questo passivo dell'impresa nei confronti del
contesto ambientale sia interno che esterno.
Abbiamo però detto che questo è anche una condizione che si riscontra nella realtà perché
l'atteggiamento di reazione è un atteggiamento che spesso lo si riscontra, perché è
chiaramente sintomatico di una carenza o assenza di visione strategica, di pensiero
strategico nelle imprese e quindi avere un atteggiamento reattivo è anche molto pericoloso
perché la reazione agli eventi può' consentirti di porre in atto degli interventi in chiave di
adattamento rispetto a questi eventi che possono andare bene, ma potrebbero anche non
andar bene nel senso che molto spesso gli eventi non ti lasciano il tempo o non ti danno la
possibilità poi di recuperare una situazione di equilibrio che hai perso.
E quindi questo poi crea molte difficoltà alle imprese perché si trovano investite di eventi, di
condizioni nuove che non avevano previsto non aveva che non avevano saputo leggere e
non sempre è detto che ci sia la possibilità, il tempo e le condizioni per poter reagire in
maniera positiva.
Quindi l'atteggiamento reattivo è un atteggiamento non infrequente, ma certamente molto
pericoloso perché può esporre l'impresa a questa situazione, all'opposto di un atteggiamento
reattivo c'è un atteggiamento attivo e cioè tutto quello che significa strategia ovvero pensare
in maniera strategica al proprio percorso di evoluzione, al proprio sviluppo e definire una
direzione verso la quale andare e identificare quali sono le strade da intraprendere
considerando che l'ambiente esterno presenta delle condizioni oggi ma che vanno in una
certa direzione, quindi sulla base di un'attività attenta di lettura dell'ambiente esterno e di
previsione di anticipazione di certi fenomeni.
Sulla base di questa attività di analisi (che abbiamo detto il primo step nella formulazione
strategica) noi individuiamo un percorso di nostra evoluzione ponendoci delle mete da
raggiungere.
La finalità della strategia è quella di assicurare all'impresa sopravvivenza, successo e
vantaggio competitivo. Perché le imprese lottano innanzitutto per la sopravvivenza poi per il
successo, ma il successo e il vantaggio competitivo uno step auspicabile di successo
dell'attività delle imprese.
Ci sono molte imprese che lottano per la sopravvivenza quindi la sopravvivenza la dobbiamo
mettere come finalità primaria dell'attività dell'impresa, sopravvivere significa sopravvivere
agli eventi ma soprattutto avere una proiezione di vita futura, quindi crearsi le condizioni di
un continuare un'attività in futuro.
Quindi la strategia ci serve per innanzitutto sopravvivere, ma poi ci serve per progredire, per
avere successo, per conseguire quel vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti che
ci possa garantire una continuità dell'attività della nostra impresa in condizioni di equilibrio.
Per Cafferata questa parola equilibrio è una parola centrale nell'analisi del management e
nell'analisi del governo dell'impresa, l'equilibrio economico, equilibrio finanziario, equilibrio
organizzativo.
Ma questo è l'obiettivo di fondo cioè l'impresa deve essere in equilibrio, in equilibrio sotto il
punto di vista economico, finanziario e organizzativo.

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Un'altra cosa importante è la parola adattamento che insita nel concetto di strategia, perché
la strategia è un adattamento alle condizioni dell'ambiente esterno e interno, e la vita
dell'impresa è un continuo adattarsi a ciò che accade nel mondo esterno e nel mondo
interno, a livello macro, a livello competitivo, ossia in tutte le dimensioni che abbiamo
analizzato.
Quindi la parola adattamento è insita nel concetto di strategia, le strategie sono delle
modalità attraverso le quali l'impresa adatta la sua evoluzione al mutato scenario ambientale
esterno o interno.
Strategia è pensiero e azione, è sicuramente pensiero perché dobbiamo definire il nostro
percorso evolutivo quindi dobbiamo capire quali sono le alternative strategiche che il nostro
scenario di ambiente esterno e anche interno ci consentono (dopo averle analizzate
naturalmente), e poi azione perché dobbiamo metterle in atto dobbiamo implementarle,
dobbiamo quindi tradurre la nostra strategia (ossia quello che abbiamo ipotizzato, pensato,
la dobbiamo tradurre) in piani strategici e in programmi.
E attraverso i piani strategici e i programmi la nostra strategia viene formalizzata.
Quindi è un processo di analisi innanzitutto, un processo di individuazione di alternative
strategiche percorribili, di scelta del percorso strategico da adottare quindi quello che si
ritiene di privilegiare, e poi una volta che si è scelto la propria strategia (si è definita) la si
deve tradurre in programmi attuativi e programmi di implementazione.
Piano strategico è una questione che riguarda la governance, e poi i programmi afferiscono
alla sfera dell'attuazione, della implementazione quindi è una competenza quella del
management di definire poi la parte attuativa come realizzare quelle strategie, quegli indirizzi
e linee guida che ci sono state fornite dagli organi di governance.
Un altro modo di classificare le strategie è quello di identificare:
-Strategie di mantenimento o di non crescita, quando pensiamo noi al concetto di
strategia noi siamo soliti pensare alla strategia di crescita, di sviluppo, ma in realtà abbiamo
già detto che strategia è anche un non crescere ossia un rendersi conto che non ci sono le
condizioni ambientali né all'esterno o spesso anche all’interno per poter realizzare un
percorso di crescita, ed attuare delle strategie di crescita quando non ci sono condizioni di
crescita adeguate, sufficienti, per poterlo fare è rischioso;
-Strategie di controllo e crescita, controllo è una parola che viene utilizzata in opposizione
all’adeguamento che uno fa nei confronti dell’ambiente esterno, cioè l’adeguamento è un
adeguarsi passivamente cioè accadono determinate cose e io reagisco, qui invece è un
controllare l’evoluzione della propria azienda e controllare anche l'evoluzione dell’ambiente
esterno cercando anche di condizionarlo laddove questo sia possibile;
-Strategie di cooperazione, per quanto riguarda le strategie di cooperazione Cafferata le
individua come terza fattispecie di strategie, per Cafferata è un modo di pensare il proprio
sviluppo, cioè non da soli ma in cooperazione con altre imprese.Quindi impostare in maniera
significativa la propria attività sulla base di una cooperazione.

Pensare e fare strategia significa:

-Individuare percorsi strategici alternativi, sulla base dell'analisi quindi il primo step di
strategia è l'analisi strategica che ci restituisce le opportunità di mercato, le minacce da cui
dobbiamo difenderci, ci restituisce anche attraverso l'analisi ambiente interno quali sono le
nostre risorse, le nostre competenze, come valorizzare al meglio e come poter fondare il
vantaggio competitivo su risorse e competenze durevoli non facilmente imitabili, non

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facilmente trasferibili e che siano quindi una elemento su cui fondare in maniera duratura il
nostro vantaggio competitivo.
-La scelta del percorso;
-L'obiettivo pianificato;
-E i risultati;
-Monitoraggio, monitoraggio dei risultati che è un'analisi dei risultati che noi abbiamo
ottenuto di fatto rapportati agli obiettivi che ci eravamo pianificati, che c'eravamo che
c'eravamo assegnati. Ovviamente questa attività di monitoraggio ci porta delle informazioni,
e questa informazione di verifica, di analisi valutazione dei risultati, ci porta a due possibili
risultati.Cioè l’effetto della nostra attività di controllo di nostri controlli strategici ci porta o
addirittura a rivedere i percorsi strategici alternativi, o la scelta del percorso che abbiamo
individuato per realizzare la nostra strategia.

Quindi le fasi canoniche della formalizzazione della strategia nel piano d’azione sono:
-Ideazione di percorsi strategici alternativi;
-Scelta del percorso strategico, che ci appare il più conveniente, il più opportuno da
perseguire in quel momento;
-Structure follow strategy (la struttura che segue la strategia) questo si ricollega al fatto che
noi dobbiamo assicurare sempre coerenza tra struttura organizzativa e strategia, ogni volta
che pensiamo a una strategia dobbiamo porci la domanda se l'adozione di questa strategia
implica o meno dei cambiamenti, degli adattamenti strutturali per poter realizzare al meglio
quella strategia.
Quindi il fatto che i piani strategici siano assorbiti nella mente dei membri
dell'organizzazione, e cioè questo significa che non va subita la strategia come qualcosa che
ci viene dall'alto alla quale noi dobbiamo essere solo fedeli, rispettosi di quello che succede
e realizzarla così, ma dobbiamo fare un passo in più di identificazione.
Cioè le strategie devono essere un risultato di una condivisione anche, devono poter essere
interiorizzate da tutti i membri dell'organizzazione perché se tu interiorizzi una strategia e
tutti sono consapevoli della strategia e la condividono anche ognuno dei componenti
dell'organizzazione, dei membri dell’organizzazione deve sentirsi parte di un disegno
strategico per poterlo realizzare al meglio.
Non è soltanto un problema di adeguare la struttura alla strategia, ma anche definire la
strategia in base alla struttura, e cioè anche quando anche faccio un individuazione di
percorsi strategici alternativi e poi scelgo qual è il percorso che preferisco, io lo faccio anche
alla luce della struttura organizzativa.Cioè il problema se è la struttura organizzativa me lo
pongo prima di poter poi chiedere poi alla struttura organizzativa di adattarsi a questa nuova
strategia e di cambiare rispetto alla nuova strategia, ma anche quando definiscono strategia
mi pongo anche prima il problema della sua fase implementativa, della realizzabilità della
sua strategia.
E se io da questa analisi mi rendo conto che la mia struttura organizzativa è un problema,
(perché magari è rigida, perché è piena di disfunzioni, perché è molto conflittuale per
esempio) io certe cose non le posso fare perché magari ho bisogno di un tasso di
conflittualità bassissimo ho bisogno di un'elevata cooperazione, e devo prima crearle quelle
condizioni.
In sintesi tra struttura e strategia c'è una relazione di reciproca interferenza, reciproco
condizionamento, non è una relazione unidirezionale;

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-Poi c'è l'implementazione del piano strategico in programmi attraverso la struttura, perché è
chiaro che poi dopo programmi li dobbiamo mettere nella nostra struttura organizzativa e
stabilire come si realizzano questi programmi, chi fa cosa, tempi, modi, ecc..;
-Poi c'è il controllo, in termini di equilibrio e di disequilibrio cioè il controllo significa capire se
stiamo in una situazione di equilibrio oppure se siamo in una situazione di disequilibrio.
Quindi il controllo ci serve per capire se stiamo andando nella giusta direzione, se questo
procedere in quella direzione, ci sta portando i risultati voluti oppure ci sta creando delle
situazioni di disequilibrio alle quali dobbiamo ovviamente rimediare e far fronte;
-La fase raccolta elaborazione delle informazioni che sono il risultato dell'attività di controllo
ai fini della validazione della strategia, quindi poi la validazione è una cosa necessaria e
costante che va fatta per capire se quelle condizioni sono ancora sussistenti, se non sono
successe cose nuove o diverse che ci impongono di modificare il nostro scenario strategico
nelle cose che dobbiamo pensare di fare.

Gruppi di imprese
Un obiettivo che ci poniamo è quello di distinguere il concetto di gruppo di impresa, dal
concetto di rete di impresa.
Un gruppo di imprese è un insieme di imprese che sono dotate di soggettività giuridica che
condividono il soggetto economico, quindi sono imprese che sono separate che hanno una
loro soggettività giuridica distinta, ma condividono il soggetto economico che è in grado di
esercitare uno stabile controllo sul capitale e un'influenza dominante sulla strategia delle
società coinvolte nel gruppo.
Quindi il gruppo di imprese che sono guidate da un soggetto economico, che è il soggetto
che guida il gruppo, che controlla il capitale e influenza le sue strategie.
Il gruppo di imprese può nascere per 3 modi:
1-Per sviluppo endogeno (per gemmazione), gemmazione significa per esempio una parte
di un'azienda si separa e diventa essa stessa un'azienda separata, quindi anche questo fa
nascere una pluralità di imprese.Ma anche l'impresa gemmata è un'impresa che comunque
continua a ricevere gli input decisionali e strategici dallo stesso soggetto economico;
2-Per sviluppo esogeno, cioè per acquisizione e quindi quando un'impresa per esempio
acquista una percentuale X di controllo naturalmente di un'altra impresa si crea anche qui
una gruppo di imprese, perché l'abbiamo acquistata.Ovviamente qui l'acquisto per poter
parlare di gruppo deve significare condivisione del soggetto economico, quindi distinguiamo
un acquisto di una partecipazione ad una ad un'altra azienda oppure una un acquisto di una
quota di controllo del capitale;
3-Un'altra ipotesi può essere quella di uno sviluppo collaterale, cioè si crea o si acquista
una società che svolge servizi per l'intero gruppo, quindi magari gruppo già esistente e
acquista o crea una nuova impresa per fare determinate cose a servizio delle altre imprese.
Opposta alla crescita endogena o esogena è la strategia di disinvestimento (cessione o
esternalizzazione), molto spesso l'impresa ha bisogno: 1) per esempio di ridimensionare le
proprie dimensioni quindi per esempio disinveste, esce da certi business, riduce la propria
presenza in determinati business, quindi cede;2) oppure disinvestimento inteso come
esternalizzazione cioè io faccio fare all'esterno qualcosa che prima facevo io e adesso
invece la faccio fare all'esterno, quindi mi rivolgo altre imprese per fare una cosa che facevo
inizialmente io.
La cessione può riguardare anche manager, dipendenti dell'azienda e può o meno far
nascere rapporti di cooperazione tra i manager e dipendenti che escono fuori da questa
azienda e diventano essi stessi aziende questo, creando una propria attività d'impresa e

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quindi poi si crea una forma di rapporto di cooperazione tra l'impresa dove si è stati fino a
quel momento e l'impresa che hai costituito come una volta che ti sei autonomizzato e
messo in maniera indipendente rispetto a questa impresa.

Strategie di non crescita


Strategie di non crescita vediamo:
-Il consolidamento del posizionamento raggiunto;
-Cooperare con altre imprese per raggiungere un obiettivo comune, questo cooperare con
altre imprese è un modo di non crescere attraverso risorse interne, e cioè se io devo fare
una cosa, devo fare una strategia, e non voglio aumentare la mia capacità produttiva per
esempio posso rivolgermi a cooperare con un'altra impresa e avvalermi della capacità
produttiva dell'altra impresa.

Strategia di cooperazione
-Questa Cooperazione è sicuramente un obiettivo comune altrimenti non esisterebbe
nemmeno ovviamente;
-Utilizzo di risorse complementari, cioè alla base della cooperazione c'è il fatto ad esempio
che io sono molto bravo nella parte di innovazione di prodotto nella parte tecnologica ma
non sono molto bravo nella commercializzazione, allora mi servono risorse complementari di
commercializzazione e questo è un motivo per cui io posso andare verso una cooperazione
con altre imprese che hanno quelle risorse complementari rispetto a quelle di cui dispongo
io.
Due imprese che si incontrano, due identità diverse, sono un incontro di risorse e di
competenze complementari tra di loro, quindi coordinarle, organizzarle.
Quindi la cooperazione è un incontro di risorse, un incontro di risorse che sono
complementari e integrative l'una rispetto all'altra che ci consentono di migliorare e di
ottenere un risultato maggiore.
La cosa importante non è la proprietà (inteso come proprietario) delle risorse ma è la
disponibilità delle risorse, cioè non è importante che certe risorse siano proprietarie ma è
importante che siano disponibili per il mio modello di business e questa disponibilità può
essere chiaramente generata attraverso la cooperazione quindi la cooperazione mi rende
disponibile per il mio modello di business delle risorse complementari integrative possedute
da altri soggetti;

Sempre riferito a questi accordi e cooperazioni, questi accordi e cooperazione possono


essere:
-A monte, a valle o laterale, quindi questa cooperazione può riguardare o le fasi a monte
(quelle che precedono quello che io faccio) oppure le fasi successive, o la stessa fase
laterale o la stessa fase orizzontale.Quindi io posso cooperare con altri soggetti nella mia
stessa attività, posso cooperare nella fase a monte quindi è sostanzialmente un'alternativa
all'integrazione verticale attraverso la cooperazione;
-Poi gli accordi e le cooperazioni possono essere formale o informale, al di là della
strutturazione formale con dei contratti può anche esserci una cooperazione informale;
-Equity o non Equity, significa che può o meno coinvolgere anche uno scambio reciproco di
azioni quindi molto spesso le cooperazioni si traducono anche in una cooperazione
reciproca e una partecipazione reciproca al capitale delle rispettive aziende quindi accordi
operazioni formali informali a monte a valle laterali azionarie non azionarie.

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In ogni caso però va considerato che l’accordo e la cooperazione è una forma di limitazione
reciproca dei poteri di iniziativa, questo è ovvio perché la cooperazione quindi incide su
questo ed è questo è il motivo per cui molti imprenditori vogliono rimanere da soli.
Vogliono rimanere da soli perché non vogliono rinunciare alla loro autonomia, non vogliono
condividere il processo di scelta (il processo decisionale, strategico) perché cooperare è
sempre una limitazione reciproca cioè è sicuramente una cosa che ci può dare dei benefici
però noi dobbiamo mettere nella bilancia i benefici che ci possono venire da una
cooperazione e anche questa rinuncia parziale di poteri di iniziativa.

Reti di imprese
Le reti di impresa sono imprese che instaurano durevoli e ordinati rapporti di cooperazione,
basati sulla reciproca fiducia su relazioni contrattuali intense ripetute nel tempo.
Ciascun membro è indispensabile all'altro, con compiti di produzione o di fornitura di
acquisto da assolvere nell'interesse di tutti.
Quindi si viene a creare una realtà più ampia che è composta da soggetti che sono l'uno
funzionale all'altro e ovviamente però il fondamento, il legame, di questa rete di impresa è la
fiducia che si instaura tra questi soggetti.La fiducia è un elemento importantissimo nella rete
d'impresa, e quando questo si rompe l'impresa esce fuori dalla rete o viene espulsa dalla
rete perché è troppo importante riuscire ad avere questa coesione di rete.
Tant'è che molto spesso le reti sono guidate, nel senso che noi abbiamo reti di mercato e reti
guidate.
Le reti guidate sono quelle dove c'è un leader, dove c'è un'impresa che coordina tutte
queste interdipendenze e quindi diventa un'impresa guida della rete, o reti di mercato
invece dove non c'è questa impresa rete quindi ci sono un gruppo di imprese dove non puoi
individuare un leader all'interno della rete, diversamente invece dalle reti guidate dove si ha
un leader ossia un'impresa che svolge la funzione di coordinamento, di coesione, di
programmazione dell'intera rete.

Crisi e risanamento
Quando parliamo di crisi non si non si parla di una difficoltà contingente, di un anno due
anni, la crisi è una situazione molto forte molto impegnativa che richiede assolutamente
degli interventi consistenti significativi perché altrimenti continuare e perdurare in nel modo
in cui si fanno le cose certamente ti porta a una impossibilità di sollevarti.
Quindi la crisi è uno stato di difficoltà consolidata, questo sempre per distinguerlo da quei
momenti di difficoltà che possono anche vedersi come fisiologici nell'andamento dell’attività.
Quindi la crisi invece sono situazioni che hanno dei motivi legati, sicuramente anche a fattori
ambientali esterni e fattori ambientali interni, ma comunque legate alle attività del business
dell’impresa, i motivi della crisi possono essere legati:
-La cessazione volontaria;
-La cessazione necessitata (fallimento);
-Però le crisi possono anche rappresentare un potenziale per le imprese, perché individuare
le disfunzioni, curare le disfunzioni e far rinascere l'impresa. Nella cultura giapponese la
crisi è un'opportunità ed è sicuramente giusto considerare la crisi come un momento forte
che ti impone una riflessione, ti impone un cambiamento sicuramente e può essere anche
generatore di cose positive quindi anche di rinascite dell'impresa.

Il fronteggiamento della crisi può consistere in:


-Restructuring, ossia una ristrutturazione dei processi produttivi e organizzativi;

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-Disinvestimento (downsizing, outsourcing ossia esternalizzazione o cessazioni)
-Cooperazioni difensive, perché anche la cooperazione può essere un modo per risanare
l’azienda sempre alla luce di un discorso di andarsi ad avvalere di risorse e di competenze
che non si hanno naturalmente;
-Mutamento del soggetto economico e/o del business, quindi chiaramente ci rendiamo
conto che dobbiamo fare dei cambiamenti significativi o del soggetto economico o della
governance o del business anche, quindi interventi molto consistenti;
-Fusione con altre imprese, questo è anche un altro esito delle crisi quando le imprese a un
certo punto si rendono conto che hanno pochi spazi, e l'unico spazio di sopravvivere è quello
di andarsi a fondere con altre imprese.
La cosa importante è che la crisi vista come un'opportunità, di opportunità per il recupero
e lo sviluppo dell’impresa attraverso cambiamenti strutturali o strategici, e il rilancio con
maggiori presupposti di crescita e di rafforzamento delle posizioni competitive.
Quindi una visione molto ottimistica di una crisi come un momento di riflessione strategica
obbligata.

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Cambiamenti, innovazioni, resistenze, drammi (cap. 4)
Il capitolo 4 inizia con tre parole, che sono tre parole chiave interrelate: Equilibrio,
Adattamento, Cambiamento.
Questa parole vanno insieme perché noi abbiamo detto che l'equilibrio viene prima perché
l'equilibrio viene prima perché l'equilibrio è il fine.
Alla domanda perché le imprese cambiano?
Noi dovremmo dobbiamo rispondere, le imprese cambiano perché devono adattarsi a un
nuovo contesto per recuperare una condizione di equilibrio.Quindi le imprese cambiano
nella loro vita perché devono adattarsi (quindi devono dare delle risposte adattive) rispetto
al contesto che si è modificato.
E questa modifica di contesto (questi nuovi elementi, nuovi eventi) l'hanno portata in una
situazione disequilibrio e noi dobbiamo ripristinare una situazione di equilibrio questo è il
nostro fine.
Il cambiamento noi lo dobbiamo intendere come risposte adattive a contesti che cambiano
finalizzato al recupero di situazioni di equilibrio del sistema impresa.
Da che cosa può derivare un'esigenza di cambiamento?
Da fattori esterni e da fattori interni, perché il cambiamento è un'esigenza che ci pone
qualche evento che succede.Ad esempio un nuovo concorrente o una modifica del quadro
competitivo come fattori esterni (può esserci un intervento legislativo, cambiamo perché ci
sono delle opportunità da cogliere), oppure perché abbiamo fattori interni che ci possono
indurre un cambiamento (ad esempio la morte dell’imprenditore, i conflitti che possono
sorgere all'interno dell'azienda).Quindi ci possono essere tante cause che ci minano quella
condizione di equilibrio organizzativo che dobbiamo poi ripristinare, quindi ripristinando
quella armonia, funzionale, personale e condizioni di cui abbiamo parlato.
Il tipo di cambiamento può essere:
Un cambiamento marginale o radicale o può essere un cambiamento strategico o
organizzativo.
Il cambiamento marginale o radicale, ossia cambiamo alcuni processi.
Oppure può essere un cambiamento strategico, quindi della strategia o un cambiamento
nell’organizzazione.
Il cambiamento strategico deriva da decisioni di governo, mentre il cambiamento
organizzativo deriva da decisioni manageriali.

Sviluppo organizzativo
Sviluppo organizzativo non significa crescere, cioè sviluppo organizzativo non significa che
l'organizzazione aumenta o si complicata per i livelli gerarchici, ma sviluppo organizzativo è
tutto quello che migliora la nostra capacità.
Quindi tutto ciò che migliora sotto il profilo dei metodi, dei processi decisionali e di direzione,
il contributo più elevato dei singoli alla strategia, l'aumento della soddisfazione del
personale, in generale ogni miglioramento delle competenze e quindi della capacità
competitiva dell'impresa.
Il cambiamento lo possiamo vedere anche in relazione a quello che può chiamarsi il ciclo di
vita dell'impresa, ciclo di vita dell'impresa fatto di fasi: nascita, crescita, maturità, declino
estinzione.
Il concetto di ciclo di vita in management è molto usato, infatti si parla di ciclo di vita del
prodotto per esempio, ciclo di vita di un business, ciclo di vita dell'impresa.
Questa evoluzione che va dalla nascita alla morte il management lo si applica al prodotto, lo
si applica a un business e lo si applica anche all'impresa nel suo complesso, quindi qualsiasi

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prodotto nasce, cresce, si sviluppa, poi c'è una sua fase di maturità, poi c'ha un declino e poi
muore.
E’ un modello ideale chiaramente dalla durata variabile e anche dalle fasi variabili.
Nella fase di nascita prevale il determinismo ambientale rispetto al controllo, che significa
che tra controllo (che può fare un'impresa) e invece l'ambiente che detta le regole, prevale
l'ambiente che detta le regole quindi il determinismo ambientale detta le regole nel senso
che un'impresa piccola che è appena nata certamente può controllare del suo ambiente
esterno molto poco quindi sei troppo piccolo e non hai un potere di poter per controllare
queste dinamiche. Quindi ti devi impostare a quello che è il determinismo ambientale.
Quindi prevale il determinismo ambientale rispetto al controllo dell'ambiente esterno e quindi
la parola adattamento, qui significa adeguamento perché non puoi fare in null’altro se non
adeguarti alle regole e a certe condizioni, perché sei troppo piccolo.
Invece quando tu sei in una fase di crescita e tu hai una possibilità di controllo molto
maggiore del tuo ambiente (esempio le dinamiche con i fornitori, dei tuoi consumatori, dei
concorrenti di altri interlocutori) quindi il tuo adattamento al contesto ambientale ha più un
significato di controllare il tuo ambiente. Anche perché puoi fare scelte che prima magari la
impresa piccola non potevi fare se nelle condizioni di poter controllare, nel senso di incidere
e di condizionare certe dinamiche ma anche di scegliere, di selezionarle molto più di quanto
non fossi in precedenza essendo l'impresa appena neonata che doveva soltanto pensare a
sopravvivere e a non essere inclusa in quella percentuale elevatissima di imprese che
muoiono dopo che sono nate.
Quindi in questo senso nella fase di crescita c'è una determinazione del soggetto economico
che diventa importante in termini di controllo dell'ambiente esterno, non sei in una
condizione di passività rispetto a quello che ti circonda e rispetto al quale devi soltanto
adeguarti, ma hai la possibilità di un controllo di quello che succede molto maggiore.
La fase di maturità è caratterizzata dall’azzeramento dei tassi di crescita del fatturato, quindi
una fase di maturità significa che hai smesso di crescere così rapidamente, quindi i tassi di
crescita si sono azzerati e quindi in questa fase hai gli investimenti che sono di sostituzione,
di aggiornamento, però in una fase di maturità diciamo se non fai qualcosa di
significativamente diverso per rivitalizzare ossia ripartire e dare un nuovo impulso alla fase di
crescita ma con interventi strategici significativi.
La fase di declino è un’occasione di cambiamento radicale ossia come una situazione di
opportunità, opportunità di cambiamento radicale di pensare e di risollevarsi e sfuggire alla
fase successiva che dopo in declino è l'estinzione, quindi declino ti porta poi alla morte.
Quindi per evitare questo la fase di declino è una fase delicata in cui però tu hai l'occasione
di risollevarti, è un'occasione di riflessione strategica importante indispensabile necessaria
altrimenti vai in fase di estinzione.

Resistenze al cambiamento
Qui si fa la domanda opposta, ossia: Perché le imprese non cambiano?
Le imprese non cambiano per fattori esterni e per fattori interni.
I fattori esterni di non cambiamento sono: l'ambiente stazionario, l'arretratezza del sistema
economico a livello macro, l'assenza di innovazioni tecnologiche, resistenza di barriere
all'entrata ecc.. ossia tutta una serie di condizioni esterne che sostanzialmente non
richiedono il cambiamento o non stimolano il cambiamento.
Ci fattori di resistenza al cambiamento anche provenienti dall'interno sono: la rigidità
patrimoniale, l'eccessiva gerarchizzazione e burocratizzazione, la sedimentazione di

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interessi e cultura, i limiti della razionalità del soggetto economico, la difesa dell'integrità
della struttura.
Molta codificazione, molta formalizzazione, molta proceduralizzazione sono elementi di
rigidità ossia sono elementi che ti fanno cambiare molto lentamente o ti impediscono il
cambiamento o te lo ostacolano o comunque certamente non te lo agevolano o non te lo
stimolano.

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