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Roberta Pinna - Riassunti Organizzazione Aziendale

Organizzazione aziendale (Università degli Studi di Cagliari)

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ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

Organizzazione … (tre significati: entità, ricerca di ordine e funzione direzionale)


Da un punto di vista etimologico:
Organizzare significa: Coordinare i vari elementi che costituiscono un insieme in modo che, inte-
grandosi reciprocamente, concorrano alla realizzazione di un fine comune;
Dunque, un sistema di attività è ben organizzato se:
- Efficace
- Efficiente
- Equa
Pensiamo a entità organizzate: albergo, ospedale, famiglia…possiamo dire che siamo circondati da
organizzazioni.
L’organizzazione è uno strumento usato dalle persone per coordinare le proprie azioni al fine di
raggiungere i propri obiettivi.
Perché esistono così tante organizzazioni? Man mano che crescono i bisogni dei soggetti o ne
emergono dei nuovi da soddisfare si creano iniziative imprenditoriali. Il soddisfacimento di questi
bisogni implica il porre in essere tutta una serie di attività che richiedono diversi livelli di specializ-
zazione; inoltre data la loro complessità tali attività non possono essere svolte da un singolo indivi-
duo: ecco perché nascono le organizzazioni.
Organizzare equivale a ordinare i vari elementi; cercare una struttura per riordinare le varie attivi-
tà.
Da un punto di vista semantico vi sono una molteplicità di significati:
- Come Entità: es. impresa
 Un aggregato di soggetti umani e di risorse che operano insieme
 Al fine di conseguire un obiettivo comune
 Tramite lo svolgimento di determinate attività
 Che stabiliscono a tale scopo tra loro rapporti formalizzati
 Aventi caratteristiche di stabilità nel tempo
 Dai confini relativamente identificabili (oggi non è facile identificare i confini di
un’organizzazione, basti pensare all’outsourcing).
- Come Processo: adozione di una struttura interna che conferisce alle attività carattere di
ordine, di sistematicità e quindi che attribuisce loro la qualità di “attività organizzate”.
- Come Funzione: ha come obiettivo quello di armonizzare e coordinare le diverse attività,
svolte da una molteplicità di unità organizzative e di ottenere condizioni di massima effi-
cienza operativa attraverso la suddivisione e la specializzazione delle attività di coordina-
mento.
 Obiettivo economico: si parla di organizzazione d’impresa che opera sotto il vincolo
dell’efficienza
 Obiettivo non economico: organizzazione no profit

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ALLE ORIGINI DEL PROBLEMA ORGANIZZATIVO

Perché in tutte le entità organizzative si pone il problema di dover organizzare?


“Ho veduto una piccola fabbrica di questa manifattura, ove erano impiegati solo dieci uomini, ciascuno dei
quali eseguiva due o tre operazioni. In un giorno questi 10 uomini erano in grado di fabbricare 48.000 spilli,
ovvero 4.800 a testa. Se essi avessero lavorato separatamente e indipendentemente l’uno dall’altro, e senza
che alcuno di loro fosse stato educato ad una speciale operazione, ciascuno di loro non avrebbe potuto
compiere 20 spilli, e forse neanche uno in un giorno” (A.Smith, La ricchezza delle nazioni, 1776).

Il problema organizzativo (da un punto di vista teorico), nasce:


per effetto della divisione del lavoro che a sua volta crea attività specializzate, che sono più produttive delle
attività generiche e che nascono dall’esigenza di dividere le attività lavorative che non possono essere svol-
te da un solo lavoratore o che non conviene affidare ad un unico soggetto.

Vantaggi associati alla divisione del lavoro. Le attività specializzate consentono di accedere a:
- economie di specializzazione, consentite da macchine e unità produttive dedicate e quindi con ren-
dimenti ottimali; derivano da attività semplici e ripetitive che rendono il risultato ottimale per vi del
fatto che si acquisisce più destrezza.
- economie di apprendimento, in quanto l’operatore, limitando il suo orientamento cognitivo a una
gamma ridotta di operazioni riesce a essere più concentrato e, quindi, ad apprendere più rapida-
mente attraverso la ripetizione;
- economie di scala produttive o cognitive, in quanto gli impianti specializzati possono assumere di-
mensioni rilevanti e tali da conseguire costi unitari minori, anche grazie alla distribuzione dei costi
fissi su una produzione maggiore; la scala dimensionale raggiungibile dipende però, oltre che da
fattori tecnici, dalla dimensione del mercato.
Ma….

La divisione del lavoro fa nascere attività specializzate che devono avere tra loro però un legame di interdi-
pendenza per raggiungere il fine comune.

L’interdipendenza: è uno scambio o condivisione di risorse materiali e di informazioni tra gli attori
all’interno delle unità organizzative o tra unità organizzative al fine di realizzare le attività operative.

 Interdipendenza generica: tutti gli attori e le unità organizzative contribuiscono con la propria attività al
fine comune dell’organizzazione, ciascuna in modo indipendente e quindi senza che vi siano relazioni si
scambio o condivisione dirette (es. rete di punti vendita, tra questi esiste una relazione generica perché tut-

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ti i punti vendita hanno lo stesso obiettivo, usano le stesse risorse ma tra loro non c’è uno scambio, cioè
sono indipendenti; l’interdipendenza esiste per il solo fatto che fanno parte della stessa organizzazione).
 Interdipendenza sequenziale: quando un’attività o il suo risultato, è condizione (input) per lo svolgimen-
to successivo dell’attività di un’altra unità, che può iniziare quindi solo quando l’attività a “monte” sia stata
completata. (es. flussi informativi connessi all’evasione di una pratica amministrativa per la concessione di
un credito al consumo).
Si creano pertanto delle relazioni caratterizzate da un’elevata complessità informativa e da un elevato biso-
gno di comunicazione.
 Interdipendenza reciproca: quando gli output di ogni unità diventano input per le altre. Relazioni carat-
terizzate da: complessità informativa e elevato fabbisogno di comunicazione.
È più efficace adottare come strumento di coordinamento il mutuo adattamento, che induce gli attori a
trovare nel concreto svolgimento della loro attività il modo di cooperare.

Le attività specializzate, legate tra loro da un legame di interdipendenza, devono essere poi ricondotte at-
traverso il coordinamento, all’unità. “Quanto più estesa è la specializzazione, tanto più importante e com-
plesso è il ruolo del coordinamento” (vedi caso Ceramics Inc.).
“Il coordinamento è la colla che tiene unita un’organizzazione”
Coordinamento: azione organizzativa volta a finalizzare verso un comune obiettivo gli sforzi degli attori o
delle unità organizzative. Può avvenire attraverso:
1) il mercato (o mano invisibile) Il mercato, in questa prospettiva, è la struttura più efficiente di coor-
dinamento, poiché opera con una sola informazione: il prezzo. È un accordo basato su un contratto.
Ci sono però dei costi : costi di info, costi di negoziazione e di esecuzione di ciascuna transazione e
costi connessi alla risoluzione di controversie.
2) La gerarchia : L’organizzazione che viene contrapposta al mercato è : un’organizzazione interna e
gerarchica o centralizzata. E’ la mano visibile del management, dove il coordinamento è affidato
all’imprenditore e le risorse si muovono e vengono allocate in base agli ordini trasmessi
dall’imprenditore attraverso la struttura gerarchica. Anche qui vi sono dei costi : dovuti alle difficol-
tà di controllo per via dell’aumento delle dimensioni e delle complessità.
3) La convenzione : è una categoria più generale del contratto. Il contratto riguarda una relazione bi-
laterale, mentre la convenzione può implicare una pluralità, di individui o collettività. La convenzio-
ne risolve il problema dell’incertezza sul comportamento lavorativo dei membri. Tale incertezza na-
sce dal fatto che il contratto di lavoro è un contratto incompleto, poiché non può specificare tutti i
comportamenti che sono richiesti nell’esecuzione dell’obbligazione contrattuale. È un accordo im-
plicito su alcune regole di pensiero o di azione che costituiscono un riferimento per il comporta-
mento degli individui entro un gruppo specifico. Si riferisce ad una regolarità di comportamento
permettendo, conseguentemente, un coordinamento tra gli individui senza che sia intervenuto un
accordo formale ed esplicito. Al concetto di convenzione possono essere ricondotte altre strutture
di coordinamento su base sociale come il clan o le diverse forme di collettivo e le comunità virtuali
che non hanno una base contrattuale né gerarchica, bensì sociale.

MERCATO V/ GERARCHIA
Fino a quando sarà conveniente incrementare le dimensioni d’impresa?
Sino a quando :
 Costo dell’organizzazione interna < costo del mercato

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 L’imprenditore ed i manager sono in grado di gestire ed organizzare quantità crescenti di transazio-


ne
 Risparmi sui prezzi di acquisizione dei fattori della produzione

Quali sono le forme con cui all’interno dell’impresa si realizza il coordinamento???

 Il coordinamento attraverso feedback: MUTUO ADATTAMENTO o adattamento reciproco


Scambio diretto di informazioni e conoscenze tra attori che operano allo stesso livello
gerarchico (interazione diretta entro un rapporto orizzontale)
- decentramento decisionale verso il basso (risparmio di “energia direzionale”)
- il controllo del lavoro rimane nelle mani di coloro che lo eseguono (tale rapporto av-
viene comunque entro una struttura gerarchica che fissa compiti e obiettivi, ma i pro-
blemi che sorgono nell’esecuzione vengono demandati agli stessi esecutori che sono chiamati a trovare la
soluzione attraverso la reciproca interazione
- velocità nella risposta (consente una risposta più veloce e, in quanto più vicina a dove è sorto il problema,
spesso più efficace)
Es. due rematori in una canoa: ognuno si adatta al ritmo dell’altro e risolvo i problemi tra di loro.
 Il coordinamento attraverso feedback: SUPERVISIONE DIRETTA
Comporta l’intervento di una figura gerarchica nel seguire, controllare e coordinare il
lavoro di altri (la supervisione diretta viene effettuata dal superiore gerarchico [es.
squadra di football, il capitano]).
Condizioni di efficacia:
- autorità formale
- conoscenze ed informazioni necessarie per decidere

Nel caso di mutuo adattamento (il più semplice e il più scelto dagli individui) stiamo attribuendo agli indivi-
dui maggiore autonomia, discrezionalità, che viene a mancare nel caso di supervisione diretta; uno di questi
meccanismi può prevalere sull’altro ma nella maggior parte dei casi coesistono.

Il lavoro viene coordinato anche senza ricorrere all’adattamento reciproco e alla supervisione diretta: esso
può infatti essere standardizzato: opera a preventivo, cerca di prevedere il comportamento dei soggetti
umani. Non lascia agli individui la libertà di svolgere l’attività:
 riduce la variabilità
 riduce i costi di coordinamento
Esistono tre tipi di standardizzazione:
La standardizzazione dei processi di lavoro (es. catena di montaggio, istruzioni giocattoli):

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Ovvero come dev’essere realizzata una determinata attività lavorativa.


- Riguarda i processi di lavoro (il come) che debbono essere seguiti dalle persone che svolgono attività in-
terdipendenti
- Consiste in norme e procedure standard, regolamenti, programmi d’azione.
- Condizioni di inefficacia: elevata incertezza; elevata variabilità del processo; in presenza di interdipenden-
za reciproca.
Diagramma di flusso: serve a rappresentare come si sviluppa il processo
La standardizzazione degli output non come, ma cosa deve essere realizzato da quella unità organizzativa
(= risultato). Prevedere cosa dovrà essere raggiunto sia in termini quantitativi che in termini
qualitativi, e non necessariamente un prodotto finito ma un risultato/obiettivo. Si rinuncia a
indicare quali siano le regole da seguire lasciando maggiore autonomia nel decidere come
svolgere il processo agli attori(es. taxi).
- specifica le caratteristiche del risultato (non come ma che cosa); es. dimensioni e forma del prodotto

La standardizzazione della capacità e conoscenze (è un meccanismo che opera soprattutto al momento


della selezione; in particolare per quelle imprese che hanno bisogno di personale
altamente specializzato. Tutti devono avere le giuste conoscenze perché sia possi-
bile un coordinamento anche senza comunicazione.[es. professori universitari, sa-
la operatoria]).
- definisce il set minimo di informazioni e conoscenze che gli attori coinvolti nella
relazione devono possedere per raggiungere la prestazione richiesta.
Il coordinamento residuo è lasciato agli esecutori attraverso il mutuo adattamento, che è reso più facile in
quanto gli obiettivi standardizzati definiscono le premesse decisionali e i criteri di scelta.
“In termini di feedback, la gerarchia svolge il ruolo di supervisione valutando il contributo degli agenti e
fornendo indicazioni per migliorare l’efficienza dell’organizzazione. Un sistema di incentivi fornisce ulteriori
feedback agli agenti e rinforza l’uso della supervisione gerarchica nel controllare eventuali comportamenti
opportunistici”.
Qual è il meccanismo che mi consente di gestire un’interdipendenza sequenziale?
Il più efficace meccanismo di coordinamento è la standardizzazione dei processi, perché stabilisco le diverse
sequenze che si devono susseguire. Se invece mi trovo in presenza di interdipendenza reciproca il mecca-
nismo migliore da adottare è il mutuo adattamento. Nel caso di interdipendenza generica potremmo adot-
tare la standardizzazione dei risultati (diversi tipi di coordinamento si hanno in presenza di
un’organizzazione di grandi dimensioni).

Da ricordare
- I meccanismi studiati non vengono utilizzati in modo isolato;
- prevalenza di un meccanismo rispetto agli altri (elemento caratterizzante le diverse forme organizzative)
- l’utilizzo di modalità non adatte è fonte di crisi del coordinamento e di inefficacia organizzativa (le cause
stanno nei costi d’uso dell’organizzazione. Si possono infatti verificare: perdita di controllo all’aumentare
delle dimensioni organizzative, distorsioni nell’acquisizione delle risorse nelle strategie espansive, manipo-
lazione delle informazioni, opportunismo delle linea gerarchica, inerenze organizzative).

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LE VARIABILI ORGANIZZATIVE

Le variabili organizzative si dividono in :


 Variabili hard (formalizzabili: sono quelle in cui è possibile intervenire in qualsiasi momento,
che possono essere manipolate, variabili OGGETTIVE):
A. Struttura organizzativa: riflette il modello di divisione e coordinamento del lavoro
B. Meccanismi operativi: meccanismi che regolano l’assegnazione di obiettivi, le risorse, il re-
clutamento, la retribuzione, la carriera; facilitano il coordinamento e orientano il compor-
tamento dei soggetti verso il raggiungimento degli obiettivi
 Variabili soft (non formalizzabili, variabili SOGGETTIVE):
C. Cultura organizzativa: modelli di comportamento, valori, principi cui attenersi
Struttura organizzativa
Assetto organizzativo
Meccanismi operativi
NB. Struttura organizzativa ≠ assetto organizzativo:
L’assetto è il risultato di tutte le scelte: struttura, meccanismi e cultura
La struttura organizzativa è una componente dell’assetto organizzativo, che a sua volta dipende
dalla scelta delle altre variabili organizzative
L’assetto organizzativo risulta dal combinarsi delle scelte che riguardano la struttura organizzativa,
i sistemi operativi e la cultura organizzativa.

1 ) STRUTTURA ORGANIZZATIVA :
- Insieme di elementi base e relativamente stabili del sistema organizzativo (es. un consulen-
te finanziario non fa parte della struttura organizzativa)
- Discende dai criteri di divisione del lavoro verticale (riflette le gerarchie, distribuzione del
potere all’interno dell’impresa) e orizzontale (riflette le diverse aree di specializzazione) tra
funzioni e tra individui
- Definisce funzioni, ruoli e responsabilità, relazioni tra vari organi o unità operative
La struttura organizzativa definisce l’ossatura (vuole mettere in evidenza la staticità) e viene rap-
presentata attraverso l’organigramma:
Divisione verticale: tra Direzione generale e
Acquisti, Produzione, Ufficio Tecnico e Ufficio
Comm.le e tra Ufficio Tecnico e Progettisti
Divisione Orizzontale: le quattro unità orga-
nizzative specializzate nello svolgimento di
determinate attività: chi è specializzato negli
acquisti, coloro che si sono specializzati nella
produzione …

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L’organigramma (in sostanza è un grafico, uno schema che evidenzia le unità organizzative, le fun-
zioni principali dell’impresa, le attività più importanti)
- Evidenzia le relazioni formali cioè le interdipendenze che devono esistere tra le diverse unità or-
ganizzative; possiamo utilizzare l’organigramma anche come strumento di comunicazione soprat-
tutto per coloro che sono appena entrati nell’impresa; consente anche di valutare se le decisioni
prese sono coerenti con l’obiettivo.
- Grafico che descrive sinteticamente a livello macro: Organi,Posizioni,Rapporti gerarchici e fun-
zionali - Rappresenta lo scheletro degli organi permanenti - Utilità dell’organigramma:
o Strumento di analisi dell’organizzazione : Evidenzia le anomalie e disfunzioni, Raggruppa-
mento o scorporo di unità, Soppressione di unità, Creazione di nuove unità
o Strumento di comunicazione: rappresenta la posizione di ciascun collaboratore e la respon-
sabilità specifica in termini di: Compiti assegnati e Persone gestite
o Strumento per lo studio dello sviluppo della carriera (es. il cameriere per diventare maitre
deve svolgere l’attività per almeno 8 anni)  se è previsto uno sviluppo della carriera le per-
sone sono più motivate a rimanere nell’impresa.
Limite: l’organigramma è una fotografia di ciò che l’organizzazione dovrebbe essere, però questa
struttura non mi permette di cogliere l’essenza di un’impresa, data dall’agire degli esseri umani
(che spesso pongono in essere relazioni che io non ho previsto). Quindi questo strumento non va a
fondo, mi dà una visione statica dell’impresa ovvero non mi consente di evidenziare i cambiamen-
ti dell’impresa nel tempo.

Le parti dell’organizzazione (Mintzberg, 1985):

a) Il vertice strategico Organi di LINE. Rientrano nella catena di


comando. Sono subordinati o controllano e
b) La linea di direzione intermedia influenzano.
c) Il nucleo operativo
d) La tecnostruttura Organi di STUFF. Sono al lato degli organi di comando e non sono sot-
e) I servizi di supporto toposti alla sottomissione ma allo stesso tempo non influenzano

Vertice strategico

servizi
Tecno struttura Linea manageriale intermedia

Nucleo operativo

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A) Vertice strategico
Comprende gli organi e le figure che sono responsabili del governo economico e quindi dei risultati
globali dell’azienda; che esercitano quindi la rappresentanza esterna e la leadership complessiva,
decidono la strategia, allocano le risorse principali e costituiscono punto di riferimento per i mana-
ger intermedi.
Nelle piccole imprese (il vertice strategico è rappresentato dall’imprenditore):
- Organo semplice di governo economico
- Definizione delle linee strategiche (mercati, tecnologie, risorse)
- Gestione quotidiana delle attività operative (chi fa che cosa, ordini di priorità nelle attività da
svolgere)
- Scelta dei collaboratori ed il loro coordinamento e controllo
(c’è un rapporto diretto tra l’imprenditore e i diversi soggetti che devono lavorare)
Nelle organizzazioni più complesse:
- Organo complesso (organi collegiali:Consiglio di amministrazione o comitato di direzione; organi
semplici: amministratore delegato e direttore generale)
- Definisce le linee strategiche (chi siamo, quali sono i nostri obiettivi, chi sono i nostri clienti e co-
me li vogliamo servire)
- Stabilisce i criteri di specializzazione delle attività ed i modelli di coordinamento più idonei
-Individua le risorse e le fonti dalle quali attingere
- Gestione delle relazioni interaziendali
Non c’è più uno stretto contatto con i lavoratori perché si mette in mezzo la linea manageriale.
B) La linea di direzione intermedia (linea manageriale intermedia)
Comprende quelle figure di manager che collegano il vertice strategico con il nucleo operativo,
esercitando ruoli gerarchici, come capi del personale di base e come responsabili di unità organiz-
zative e della gestione di risorse economiche.
Funzione di filtro: raccolta e trasmissione informazioni; traduzione finalità generali in obiettivi
specifici (cioè obiettivi di funzione e di sottosistema); coordinamento e controllo; presidia le rela-
zioni che vengono attivate con altre unità esterne o interne.
 suddivisione verticale: distribuzione del potere
 suddivisione orizzontale: specializzazione
Ampiezza del controllo: numero di collaboratori sui quali può essere esercitato efficientemente il
comando (elaborato da Fayol):
o Complessità delle attività da svolgere -
o Standardizzazione delle attività + Variabili che influiscono pos e neg e che sono
o Competenza ed esperienza dei subordinati + da analizzare per avere Ampiezza del controllo
o Competenza ed esperienza del capo +
La decisione sull’ampiezza del controllo influisce sulla struttura organizzativa; se aumenta
l’ampiezza del controllo incide sulla dimensione verticale della struttura organizzativa: se aumenta

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l’ampiezza del controllo diminuiscono i livelli gerarchici. Mentre se si riduce l’ampiezza del control-
lo aumentano i livelli gerarchici e di conseguenza aumentano i costi e la complessità.

C) Il nucleo operativo
Vertice strategico Svolge attività fondamentali per l’ottenimento di prodotti o la fornitura
di servizi: procura gli input, trasforma gli input in output, effettua la
Gruppo dirigente intermedio
manutenzione di macchine e gestisce i magazzini.
Nucleo operativo
Ha limitati margini di autonomia, sono degli esecutori (non possono
decidere come e quando svolgere il lavoro). Ma in presenza di attività
complesse è necessario poter delegare una certa autonomia decisionale al nucleo operativo (es.
per attività che richiedono competenze professionali particolari).

 Gli organi staff: tecnostruttura e staff di supporto (Mintzberg):


- Svolgono attività finalizzate ad agevolare l’ottimale svolgimento delle attività primarie (nucleo
operativo), ma che non fanno parte di queste.
- Non sono dotati di potere gerarchico formale nei confronti delle unità funzionali
- Sviluppano una competenza specialistica e forniscono consigli, suggerimenti o pareri ai manager
di linea
- Non hanno un’autorità formale ma funzionale, cioè possono proporre dei miglioramenti)
Gli organi di staff si suddividono in:
D) Tecnostruttura:
Sono organi che, pur non partecipando direttamente al flusso produttivo, contribuiscono a deter-
minare le condizioni e le modalità di svolgimento delle attività (analisi e progettazione organizzati-
va; tempi e metodi; controllo qualità; pianificazione e controllo). In questo caso viene meno il
principio dell’unità di comando (=ogni soggetto deve rispondere nei confronti di un solo superiore
gerarchico). Questi organi nella realtà possono prendere decisioni e imporle, quando sono fonda-
mentali per il miglioramento dell’attività tipica dell’impresa).
La tecnostruttura affianca la gerarchia manageriale, offrendole specifici strumenti di programma-
zione, controllo e regolazione del funzionamento aziendale.
E) Staff di supporto:
Unità che forniscono un supporto “esterno” al flusso produttivo: ufficio legale, mensa, vigilanza,
pulizia, amministrazione del personale (cioè attività che non sono direttamente connesse alle atti-
vità del nucleo operativo, ma che ne facilitano e assistono il funzionamento).

2) SISTEMI OPERATIVI
Mentre la struttura specifica ruoli e posizioni, i sistemi operativi definiscono regole, procedure,
obiettivi al fine di coordinare le azioni ed i comportamenti degli attori (es. sistema di pianificazione
e controllo, sistema di valutazione, sistema informativo, sistema di comunicazione).

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Il rapporto tra sistemi operativi e struttura organizzativa è analogo a quello che nell’informatica
intercorre tra software e hardware. La tecnostruttura è l’organo deputato a definire i sistemi ope-
rativi

3) LA CULTURA ORGANIZZATIVA (è la terza variabile organizzativa)


È l’insieme delle idee, dei valori condivisi, impliciti e assunti all’interno del gruppo, che determina il
modo in cui percepisce, valuta e reagisce all’ambiente esterno. Parte non scritta
dell’organizzazione.
Valori organizzativi (Sono l’insieme dei valori, delle norme, regole, procedure operative, modi di
pensare che sono condivisi dai membri di un’organizzazione e che vengono insegnati ai suoi mem-
bri come esemplari. Si distinguono:
o Valori finali: esisti desiderati che le persone cercano di raggiungere (alta qualità, innovati-
vità, eccellenza)
o Valori strumentali: modalità comportamentali desiderabili (creatività, propensione al ri-
schio, lavoro di gruppo, il rispetto delle tradizioni, onestà)
La FUNZIONE della cultura è : l’integrazione interna (ovvero che si crei una coesione tra interessi
personali e interessi dell’organizzazione; creare infatti una forte concentrazione) e l’adattamento
con l’ambiente esterno
La cultura organizzativa può essere un meccanismo di coordinamento?
Si, perché non c’è bisogno di applicare una supervisione diretta poiché gli individui singolarmente
perseguono il fine ultimo dell’impresa operando lo stesso sistema di valori che permette loro di
essere maggiormente coordinati.
I livelli della cultura:
- Elementi osservabili o visibili gli artefatti :spazio fisico di lavoro (arredamento, architettura,
comportamento delle persone), linguaggi, premi, status symbol, simboli,riti e cerimonie
- Elementi non osservabili o invisibili: valori dichiarati, elementi che alla fine influiscono i compor-
tamenti umani
TEORIE E VISIONI DELL’ORGANIZZAZIONE

Il fenomeno organizzativo è un fenomeno difficile da affrontare e può essere visto da diverse angolazioni.

La complessità del fenomeno organizzativo nasce dalla presenza di più soggetti che possono contribuire at-
tivamente o negativamente al raggiungimento dell’obiettivo. Inoltre la complessità è compresa nel fatto
che l’organizzazione intrattiene rapporti con l’ambiente esterno che è in continua evoluzione.
Vi sono 3 fattori di complessità:
1. Diversità dei soggetti
2. Relazioni tra soggetti
3. Relazione con l’ambiente esterno

Esistono una molteplicità di TEORIE e di APPROCI.


A. Secondo la TEORIA CLASSICA (Taylor fa parte delle teoria classiche)

Variabile indipendente INDIVIDUO Variabile dipendente


ORGANIZZAZIONE
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L’uomo è in funzione dell’organizzazione (prima devo progettare l’organizzazione e dopo adatto l’uomo che
quindi è una variabile dipendente dell’organizzazione)

 siamo ancora in una prospettiva di organizzazione quale sistema chiuso

B. Il superamento della visione classica dell’organizzazione

ORGANIZZAZIONE INDIVIDUO Variabile indipendente

Vediamo che è l’organizzazione che si deve adattare alle caratteristiche degli individui, che rappresentano
la risorsa più importante dell’impresa.

COMPORTAMENTO DEGLI ATTORI


il comportamento degli attori è in funzione di questi valori:
 Razionalità limitata
 Potere (capacità di influire sul comportamento degli altri individui)
 Competenze
 Motivazioni
Perché è importante capire le caratteristiche degli attori?
Per prevedere il comportamento dell’individuo organizzativo
RAZIONALITA’
Significa coerenza della condotta di un individuo rispetto ai suoi valori e ai suoi fini. La razionalità è quindi il
presupposto delle decisioni degli individui.
C. Decisioni nell’impostazione TRADIZIONALE - NEOCLASSICA
Qui si parla di razionalità assoluta, dove gli obiettivi sono chiari, tutte le alternative di azione possibili sono
note, vi è un calcolo preciso delle conseguenze delle decisioni, le info non costano. Tutto è facilmente ri-
conducibile alla teoria CATENA MEZZI – FINI.
In realtà i postulati della razionalità perfetta sono irrealistici e non spiegano in reale comportamento delle
persone.
Quindi l’essere umano opera in condizioni di razionalità limitata dove vi è difficoltà per gli individui a formu-
lare decisioni per loro più convenienti. Ci si trova ad avere
- Conoscenza incompleta delle alternative d’azione
- Informazioni costose
- Impossibilità di conoscere completamente le conseguenze associate a ogni alternativa
- Percezioni imprecise e mutevoli
- Condizionamento da schemi cogniti, percezioni giudizi che fanno perdere la capacità di vedere altri
punti di vista da quello adottato.
La Razionalità intersoggettiva si esercita non sul soggetto ma sul contesto in cui operano altri soggetti.
Gli attori hanno le loro strategie, i loro obiettivi, pertanto quando decidiamo, dobbiamo tener conto
delle reazioni degli altri soggetti.
Dalla TEORIA DEI GIOCHI arrivano questi suggerimenti:
- Cooperare conviene?
- Oppure conviene di più non cooperare?

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COMPETENZA
È una caratteristica tipica dell’individuo. Vi sono due tipi di competenza:
 SOGLIA : insieme di conoscenze e tecniche operative specifiche per agire con abilità, caratteristiche
essenziali per coprire un certo ruolo
 DISTINTIVE : non sono connesse ad uno specifico ruolo, esprimono comportamenti, professionalità
abili o esperte. Caratteristiche che differenziano la prestazione e la portano a un livello superiore
La competenza non è fatta solo di conoscenze, ma di FLESSIBILITA’, di capacità di risolvere problemi, avere
consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza, un forte senso del proprio valore, adattabilità, em-
patia, abilità sociale.
DA RICORDARE
Le organizzazioni sono un aggregato di soggetti umani che operano insieme per conseguire un obiettivo. Gli
ATTORI svolgono un ruolo fondamentale per ottenere gli obiettivi. Se hanno un comportamento non fun-
zionale, ciò causerà problemi per ottenere gli obiettivi e viceversa. Si è cercato di capire perché le decisioni
degli attori non sono del tutto razionali; i comportamenti degli attori sono influenzati anche dalle cono-
scenze.
MOTIVAZIONE
Perché le persone agiscono in un certo modo? Quali sono le “spinte” che guidano i loro comportamenti?
Rispondere a queste domande significa individuare la loro MOTIVAZIONE, intesa come processo dinamico
che finalizza l’attività di una persona verso un obiettivo.
Per raggiungere determinati livelli di prestazione non è sufficiente essere motivati.
Da che cosa dipende la performance di un individuo?
PERFORMANCE/PRESTAZIONE (capacità di raggiungere un obiettivo) = CAPACITA’ x CONTESTO LAVORATI-
VO x MOTIVAZIONE
- capacità: competenze di base, sono conoscenze fondamentali che uno deve possedere per svolgere
al meglio l’attività che gli compete;
- contesto lavorativo: politiche aziendali, clima, rapporti tra i soggetti, regole, procedure, strumenti.
Tutte influiscono positivamente o negativamente sul risultato
- motivazione: a parità di contesto la prestazione è in funzione non solo delle capacità ma anche del-
la motivazione
Motivazione e capacità, prese singolarmente, sono condizioni necessarie, ma non sufficienti.
Definizione di motivazione:
- Etimologicamente deriva dal latino movere = “ muovere”
Insieme di forze che a livello individuale determinano l’inizio, l’intensità, la persistenza (la durata nel tempo)
e la direzione (l’obiettivo) dello sforzo che l’individuo compie.
 la motivazione è un processo dinamico e ciclico che non si ferma mai
Il processo motivazionale
- Prima fase: la TENSIONE
L’input della motivazione nasce dalla percezione di uno stato di tensione dato all’emergere di un bisogno.
- Seconda fase: la RICERCA
L’individuo va alla ricerca dei mezzi per soddisfare il suo bisogno
- Terza fase: la SODDISFAZIONE
Nel momento in cui lo stato di insoddisfazione viene colmato, l’individuo vive uno stato di appagamento
che si sostituisce all’iniziale condizione di tensione
- Quarta fase: la SCOPERTA

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L’appagamento ha una natura temporanea. Per questo l’individuo, una volta soddisfatto un bisogno, rivalu-
ta la propria posizione determinando la scoperta di nuovi bisogni.
 per questo il processo motivazionale è ciclico e dinamico.
IL GRUPPO (E. MAYO)
Mayo intorno agli anni ’30 aveva valutato come nei gruppi il comportamento degli individui cambiasse.
L’individuo si sentiva più soddisfatto del lavoro perché aveva la sensazione di essere individuo e non un
semplice ingranaggio di una macchina e perché, grazie alla comunicazione con i ricercatori, si sentiva mag-
giormente investito di responsabilità della propria performance e di quella del gruppo. Alla fine la sensazio-
ne di solidarietà all’interno di un gruppo informale e la stima di sé, erano risultati più importanti di qualsiasi
miglioramento dell’ambiente di lavoro.
Diverse dimensioni del gruppo
 Dimensione COLLETTIVA : i gruppi si creano spontaneamente. Naturale tendenza da parte dei sog-
getti ad agire all’interno di un gruppo
 Dimensione ORGANIZZATIVA : strumento funzionale all’organizzazione ed al soddisfacimento dei
bisogni delle persone
 Dimensione POLITICA : strumento che gestisce le asimmetrie di potere dentro l’organizzazione

AMBIENTE

Ambiente. La progettazione organizzativa deve per prima cosa organiz-


zare ciò che è all’esterno dell’impresa e gli scambi con l’ambiente.

A. LA CONCEZIONE TRADIZIONALE DELL’AMBIENTE:


Essa postula che per progettare in modo efficiente ed efficace la struttura di un’organizzazione sia
sufficiente definire con chiarezza gli obiettivi da raggiungere, la strategia da adottare e le attività
da compiere.
All’interno di questa visione, l’ambiente è ininfluente, nel senso che il vertice strategico e in gene-
rale tutti i soggetti che operano nell’organizzazione possono ignorarlo senza mettere a repentaglio
la performance. Caratteristiche :
 I problemi che un’organizzazione si trova ad affrontare sono solo di natura interna ( progettazione
intraorganizzativa) e quindi, per definizione, tutto ciò che sta “al di là dei confini” può essere tran-
quillamente non considerato in fase di progettazione.
 La seconda ipotesi della concezione tradizionale è relativa all’autosufficienza dell’organizzazione. Si
assume che l’impresa sia un sistema chiuso, che può funzionare indipendentemente dalle caratteri-
stiche dell’ambiente esterno.
 Infine, si suppone che l’ambiente sia omogeneo, cioè che tutte le organizzazioni si confrontino con
il medesimo ambiente e che, di conseguenza, le differenti performance derivino solo dai metodi di
gestione applicati e dall’efficienza dei processi di trasformazione. I destini dell’organizzazione sono
nelle mani del management, che ha una potere decisionale illimitato alla one best way.
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B. L’AMBIENTE INIZIA A MODIFICARSI


Le imprese sono sistemi aperti.
L’efficace funzionamento dipende non solo dalle attività che vengono svolte all’interno, ma anche dalla co-
stante interazione con l’ambiente che le circonda.
FILIERA PRODUTTIVA : è dove all’interno ci sono imprese che operano e si posizionano in una determinata
situazione. A monte di una filiera troviamo i fornitori, gli imballatori, i magazzinieri, ecc. La strategia è quel-
la di esternalizzare perché per loro è più conveniente per via dei costi. A valle troviamo i distributori; attivi-
tà che anch’essa viene esternalizzata per via degli elevati costi che si sosterebbero se svolta internamente.
CONSEGUENZE SULL’ATTIVITA’ DI PROGETTAZIONE ORGANIZZATIVA
Se non esiste un assetto organizzativo universale, quali sono i modelli concretamente adottati dalle varie
organizzazioni?
Esistono delle connessioni tra determinati fattori contingenti (dimensione, tecnologia, turbolenza ambien-
tale) ed altri fattori organizzativi?
Queste connessioni consentono di spiegare il maggiore o minore successo di un’organizzazione economica
rispetto ad un’altra?

C. DALLA RICERCA DELL’OTTIMALITA’ UNIVERSALE, AL TENTATIVO DI SPIEGARE LE DIVERSITA’ OR-


GANIZZATIVE.

FIT
CONTINGENZE Alta
(caratteristiche ORGANIZZAZIONE Performance
contesto) Bassa
MISFIT
(non adattamento a
condizioni di contesto)

L’adattamento alle contingenze:


 contingenze e organizzazione sono collegati da un imperativo di adattamento (fit), che influisce sul-
la performance
 la relazione è asimmetrica
 al cambiamento nelle variabili contingenti deve corrispondere un cambiamento dell’organizzazione
 Superamento del concetto monolitico (unico tipo di organizzazione valida in assoluto)
 Da one best way (l’unica soluzione migliore. È una soluzione adattabile a tutti i tipi d’impresa)  a
one best fit (miglior adattamento possibile alle condizioni d’ambiente)

Non è vero che il successo dipende dalla capacità dell’impresa di adottare un determinato modello di orga-
nizzazione, ma dalla sua capacità di adattarsi all’ambiente. Questi studiosi delle teorie delle contingenze
hanno considerato l’ambiente, ma anche loro si sono focalizzati solo su alcuni aspetti dell’organizzazione, e
non su tutto il contesto (visione riduttiva)
Cos’è l’Ambiente?
Tutto ciò che si trova al di fuori dei confini dell’impresa.
Ambiente (prima e sommaria definizione):
“ L’insieme delle forze esterne all’organizzazione che sono potenzialmente in grado di influenzare:
 l’operatività d’impresa
 l’accesso a risorse scarse

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Le organizzazioni sono sistemi aperti il cui funzionamento efficace non dipende solo dalle attività che ven-
gono svolte all’interno, ma anche dalla costante interazione con l’ambiente che le circonda.
L’ambiente in cui opera un’organizzazione può essere scisso in:
 Ambiente Generale: forze presenti nell’ambiente che non influiscono direttamente sull’operatività
dell’impresa e che sono assunte come date  Influenza indiretta
 Ambiente Transazionale: forze che possono influire positivamente o negativamente sul contesto
dell’organizzazione. Ha un impatto più diretto sull’organizzazione ed è quindi oggetto di un’attenzione più
precisa.

Le forze che agiscono all’interno dell’ambiente sono di diversa natura:


Mercati: definiscono l’ambiente economico e sono sintetizzati da:
 tasso di crescita dell’economia,
 dall’andamento del tasso d’interesse,
 dal livello di disoccupazione, che determinano il livello della domanda e i costi dei fattori produttivi.
Tecnologia: definisce l’ambiente scientifico e tecnologico che comprende tutte le attività preposte alla pro-
duzione e alla diffusione dei saperi e che tracciano le traiettorie della ricerca e dell’innovazione; esse si tra-
ducono in tecniche disponibili per lo svolgimento delle attività operative, nella loro duplice veste di insieme
di strumenti, impianti e materiali utilizzati nei processi di trasformazione, e di Know-how, cioè dell’insieme
delle conoscenze applicabili al medesimo processo di trasformazione
Istituzioni: definiscono:
a) l’ambiente socio-culturale, che raggruppa i valori, le ideologie e le norme interiorizzate e che nel lo-
ro insieme influenzano i comportamenti degli attori;
b) l’ambiente politico e legale, che include gli aspetti relativi alla distribuzione del potere nella società,
alle modalità di interazione tra ambito economico e ambito politico, alle norme che disciplinano
l’operatività dell’impresa e le sue opzioni strategiche.
AMBIENTE GENERALE E TRANSAZIONALE

L’ambiente generale non è facilmente in-


Settore di appartenenza
fluenzabile dalle scelte organizzative. Le Settore socio- Settore risorse umane
culturale
organizzazioni non occupano tutto Settore risorse finanziarie

l’ambiente, ma si ritagliano segmenti di Area di


azione che sono definite dalle scelte rela- influenza
tive alle combinazioni produttive fonda-
ORGANIZZAZIONE
mentali, ai servizi e prodotti offerti, ai
mercati serviti. È all’interno di questo spa- Settore governativo
Settore distributivo
zio di azione, o dominio, che si collocano i Settore tecnologico

soggetti, individuali o collettivi, con i quali
l’organizzazione attiva scambi di risorse
necessari alla sua sopravvivenza e al man-
tenimento delle condizioni di economicità. Tale porzione di ambiente è definito ambiente transazionale e
determina il campo di azione organizzativa. La determinazione del campo di azione non è frutto di una scel-
ta unilaterale. Il campo, infatti, diventa operativo solo se l’organizzazione viene riconosciuta e legittimata
da coloro che possono fornire il supporto necessario: l’organizzazione non riceverà gli input necessari per la
propria sopravvivenza finché coloro che sono a contatto con essa non la valuteranno capace di fornire
qualcosa di desiderabile e daranno il loro consenso.
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I confini dell’organizzazione
La determinazione dell’ambiente transazionale porta con sé il problema della definizione dei confini
del’organizzazione. Qualunque organizzazione presenta due esigenze fondamentali:
 Ridurre i costi di produzione
 Ridurre i costi di transazione (costi d’uso del mercato): costi necessari per la predisposizione, ge-
stione e il controllo delle transazioni attraverso il mercato (ricerca, controllo dei fornitori, ordini) 
es. costi di negoziazione, stesura dei contratti
L’esigenze di ridurre non solo i costi di produzione ma anche i costi di transazione spiega l’adozione di for-
me alternative di organizzazione delle attività economiche rispetto al mercato e alla gerarchia.
Le dimensioni dell’ambiente
Le imprese operano in un contesto (sia nella sua configurazione di ambiente generale sia di ambiente tran-
sazionale) caratterizzato da un diverso grado di incertezza cha dipende dalla complessità, dalla dinamicità e
dalla ricchezza.
 Complessità: è funzione del numero e delle interconnessioni tra le forze che agiscono nell’ambiente
generale e transazionale e che l’organizzazione deve gestire. Più elevata è la numerosità e maggiore
è la differenza tra le forze agenti, tanto più complesso e incerto è l’ambiente e tanto più difficoltoso
sarà il tentativo di individuare la traiettoria del cambiamento e di controllarle. (la Ford è passata da
3.000 fornitori a 500)  da semplice a complesso
 Dinamismo: fa riferimento all’entità e alla velocità con la quale mutano nel tempo le forze ambien-
tali. Quanto maggiore è il dinamismo tanto maggiore sarà la complessità che l’organizzazione deve
affrontare e gestire da stabile a instabile
o Ambiente stabile: grazie alla ridotta entità e velocità del cambiamento, è possibile indivi-
duare con una relativa certezza l’impatto delle forze aziendali sulle risorse di cui l’impresa
necessita
o Ambiente instabile: se un’organizzazione non è in grado di prevedere come si modifiche-
ranno le forze nel tempo (la previsione è sottoposta a un elevato rischio di errore)
 Ricchezza: quantità di risorse disponibili all’interno dell’ambiente transazionale. Quanto più ricco di
risorse è l’ambiente, tanto minore sarà il suo livello di incertezza, in quanto sarà ridotta la concor-
renza tra le organizzazioni per accaparrarsi le risorse stesse. La ricchezza ambientale non è una ca-
ratteristica oggettiva dell’ambiente, ma dipende anche dalla numerosità delle organizzazioni che
operano al suo interno. A parità di altre condizioni, infatti, i mercati ricchi attirano nuove imprese.
 da ricco a povero
Strategie di riduzione dell’incertezza: l’azione sull’ambiente:
 Contracting: accordi collettivi tra produttori, fornitori e clienti possono definire condizioni di fun-
zionamento dei mercati che diminuiscono sia costi di transazione sia quelli di produzione (es. Vola-
re, compagnia aerea low cost)
 Advertising: la pubblicità e la comunicazione esterna possono influenzare la domanda, migliorando
la conoscenza sulle caratteristiche proprie del prodotto e la percezione che ne ha il pubblico (es.
medicinali branded in Italia)… migliorare le conoscenze del prodotto servizio condizionando le scel-
te degli stakeholders esterni.
Strategie di riduzione dell’incertezza: l’azione interna:
 Attività di buffering : consiste nel creare una riserva di risorse o capacità per fronteggiare la varia-
bilità dell’ambiente. (es. servizi da più fornitori, scorte di componenti e prodotti finiti)
 Attività di monitoraggio dell’ambiente : consiste nel cogliere i segnali di cambiamento al tal fine di
proteggere il nucleo tecnico.
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CONTRIBUTO di Burns e Stalker (1961): La teorizzazione


Concezione MONOLITICA : unica concezione organizzativa = one best way
Col passaggio al one best fit, l’organizzazione dipende dal dinamismo dell’ambiente. Ogni parte
dell’ambiente (mercato, materie prime, mercato finanziario) ha diversi livelli di dinamicità. Condizioni am-
bientali differenti richiederanno quindi un diverso modo di funzionare da parte dell’organizzazione:

SISTEMA MECCANICO E ORGANICO


SISTEMA MECCANICO SISTEMA ORGANICO
In presenza di un ambiente stabile (po- Tasso di cambiamento Forte dinamicità, instabilità.
co dinamico) si ricorre ad una soluzio- Tecnico del mercato L’organizzazione deve reagire velocemente
ne organizzativa di tipo meccanicistico ai cambiamenti. Soluzione organizzativa
( la divisione dei compiti sarà molto flessibile, personale, creativa, struttura
precisa, la formalizzazione sviluppata, meno formalizzata, i compiti individuali
le relazioni principalmente verticali e il basso alto saranno ridefiniti di continuo, i problemi
controllo affidato a una struttura ge- risolti laddove si presentano, la comunica-
rarchica; processi e prodotti standar- zione e il controllo esercitati orizzontal-
dizzati) mente.

Successivamente diedero un significativo contributo : LAWRENCE E LORSCH con la


Differenziazione e Integrazione
..secondo i quali l’impresa non opera con una sola struttura organizzativa. Essi infatti analizzarono 3 settori
dell’ambiente:
ORGANIZZAZIONE
commerciale

scientifico
Tecnico

produzione

vendite
R&S

Quanto più incerte e diverse sono le relazioni tra un’impresa e i settori ambientali con cui interagisce, tanto
maggiore sarà la differenziazione dell’organizzazione e il conseguente bisogno di integrazione delle diverse
parti. L’ambiente in cui opera l’impresa non è considerato come un oggetto uniforme, bensì come costituito
da aree che possono avere gradi differenti di prevedibilità. Lawrence e Lorsch distinguono tre settori am-
bientali (scientifico, commerciale e tecnico) cui corrispondono tre diverse aree aziendali (R&S, marketing e
vendite, e produzione). Ogni parte dell’organizzazione che interagisce con particolari sottosistemi ambien-
tali presenterà proprie particolarità di funzionamento e tenderà a differenziarsi dalle altre.
Il grado di certezza ambientale è minimo nel settore tecnico, intermedio in quello commerciale, massimo in
quello scientifico. Quanto maggiore è l’incertezza ambientale, tanto meno formalizzate sono le strutture;
Le imprese di maggiore successo erano quelle caratterizzate da una forte differenziazione
In ordine i campi caratterizzati da maggior dinamismo sono scientifico, commerciale e tecnico. Le aree fun-
zionali dell’organizzazione devono ognuna gestire una parte (settore) di ambiente. Ogni area funzionale, per
cui, avrà un modello organizzativo basato sulla dinamicità del settore di mercato che deve gestire. Quindi
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l’area di R&S avrà un modello organizzativo di tipo organicistico, molto flessibile, in quanto il settore scienti-
fico dell’ambiente è soggetto a molte variazioni. L’area di produzione tenderà più verso un modello mecca-
nicistico in quanto il settore tecnico è più stabile.
Ogni area aziendale ha organizzazione e obiettivi diversi (differenziazione). Sono mondi separati (area ven-
dita: obiettivo vendere; area produzione; ridurre i costi di produzione). Nonostante ciò ci possono essere
conflitti interfunzionali, poiché anche se funzionano in maniera autonoma rispetto agli altri, tutte insieme
devono concorrere agli obiettivi dell’impresa.
Nasce quindi un problema di coordinamento (portare all’unità gli sforzi di tutte le aree).
DIFFERENZIARE : l’impresa non solo si specializza al suo interno tramite aree funzionali ciascuna delle quali
specializzata a gestire un particolare settore dell’area transazionale, ma ciascuna area funzionale (r&s,mark,
prod) assumeva caratteristiche e modalità organizzative diverse.
L’impresa al suo interno non opera con una sola modalità organizzativa, ma con diverse modalità operative
all’interno di ciascuna area. Ciascuna area funzionale adotta poi diverse modalità di organizzazione del la-
voro a seconda del segmento di mercato a cui si rivolge.
INTEGRARE: è la qualità delle relazioni fra le unità dell’organizzazione, necessaria per il raggiungimento de-
gli obiettivi
L’area tecnico-produttiva = obiettivi di costo. L’area commerciale = obiettivi di ricavo
Meccanismi di integrazione (unità di integrazione; comitati interfunzionali; sistemi di valutazione e ricom-
pensa).
Il diverso orientamento cognitivo crea conflittualità a causa di obiettivi contrastanti. Si può così creare
maggiore integrazione attraverso la creazione di :
 UNITA’ DI INTEGRAZIONE: unità semplici, formate da comitati interfunzionali i cui soggetti appar-
tengono ad aree diverse che si incontrano periodicamente per illustrare problemi e difficoltà a cui
si cerca insieme di dare rimedio.
Maggiore è la differenziazione, maggiore è la diversità dei punti di vista delle unità coinvolte nelle decisioni
e, quindi, maggiore è la difficoltà di coordinare i loro sforzi in vista del raggiungimento di obiettivi di livello
superiore.
TECNOLOGIA
Complesso delle condizioni tecniche e organizzative che guidano i processi di trasformazione
- materiale,
- spaziale
- temporale degli input produttivi.
In questa definizione ampia di tecnologia, processo tecnico e processo organizzativo risultano strettamente
intrecciati. La tecnologia non è un dato di tipo solo tecnico e ingegneristico ma è la sintesi di una serie com-
plessa di rapporti che hanno un impatto particolare sul sistema organizzativo.

J. Woodward, 1965: relazione diretta tra tecnologia e struttura


Woodward ha definito una scala di misurazione della complessità tecnologica, ha posto in rilievo l’esistenza
di una relazione diretta tra tecnologia e struttura, e ha indicato alcune caratteristiche che accomunano gli
estremi della scala delle complessità. La scala proposta da Woodward misura la complessità tecnologica
sulla base del tipo di produzione e del tipo di flusso produttivo.
Più in particolare, la scala individua queste tipologie di tecnologia caratterizzate da gradi crescenti di com-
plessità:

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CATEGORIE SISTEMA DI PRODUZIONE E COMPLESSITA’ TECNOLOGICA


A)Produzione unitaria o a piccoli lotti (orafo) Processo produttivo attivato dalla domanda. Tipico della forma artigiana-
le. Tecnologia caratterizzata da bassissimo grado di complessità. Attività
operativa non standardizzabile, coordinamento attraverso supervisione
diretta, limitata ampiezza del controllo
B)Produzione di grande serie o di massa Ciclo di lavorazione standardizzato che opera su larga scala (modello
meccanicistico). È il caso delle imprese con prodotti standard che opera-
(elettrodomestici)
no su larga scala. Elevata formalizzazione, compiti chiaramente definiti,
enfasi sulle comunicazioni scritte, ampiezza del controllo, rigida separa-
zione tra line e staff, impiega lavoratori poco qualificati.
C)Produzione a processo continuo Output altamente standardizzato. ricorso all’automazione (regole, norme
e standard sono incorporati nelle macchine e non nei lavoratori), ridu-
zione numero di operatori non qualificati, poca enfasi sul controllo (il si-
stema tecnico guida se stesso), presenza di lavoratori qualificati (garanti-
scono la manutenzione del sistema tecnico)  mansioni ricche, i lavora-
tori devono avere una grande specializzazione e discrezionalità (sono as-
similabili ad organi di staff)

Limiti all’approccio:
- grande attenzione alle variabili contingenti ma trascurandone altre importanti
- presume che esiste un solo modello di soluzione organizzativa per ogni livello di stabilità del mercato (in
realtà esistono soluzioni diverse per ogni organizzazione).

RELAZIONI
le relazioni che l’impresa intraprende non sono solo interne, ma visto che ha contatti con l’ambiente ester-
no, nascono anche relazioni esterne.
Le relazioni si suddividono a seconda:
A. Delle PARTI in : intraorganizzative (i), interpersonali, interorganizzative (e), miste
B. Dei CONTENUTI in : scambio(eco-transazioni), potere, condivisioni volontarie (che nascono non per
scambi di risorse ma per necessità di condividere info, obiettivi valori..)
C. Della FORMA in : contratti (disciplina che regola relazioni di scambio e potere), strutture organizza-
tive (o gerarchiche, che vanno a regolare relazioni di potere), convenzioni (per coordinare al meglio
2 org. Diverse al’interno di una stessa impresa)
Esistono delle forme ibride?
Si esistono delle forme intermedie che assumono i tratti di diverse categorie.
La gestione delle relazioni di scambio vengono gestite attraverso il CONTRATTO, che disciplina proprio le
relazioni a monte o a valle.
Ma oltre ai contratti bisogna che ci siano delle basi di fiducia, condivisioni di una visione comune, degli
obiettivi. Ecco che coesiste, assieme ai contratti, anche la forma delle convenzioni.
SUPPLY CHAN : rientra nel concetto di filiera o network. Si riferisce alla gestione dell’intera catena, dai for-
nitori al cliente finale. Coordina e coopera l’attività dell’organizzazione.
La competitività dipende dalla capacità di gestire e di ottimizzare i flussi fisici e informativi.

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La progettazione organizzativa
Il problema organizzativo non può essere definito in modo univoco e non ha una soluzione univoca (si cerca
di individuare la migliore divisione del lavoro e i migliori meccanismi di coordinamento)
 Non esiste un modello organizzativo valido per tutte le aziende

Definizione di progettazione organizzativa


E’ quel processo attraverso il quale un’organizzazione definisce le modalità di divisione verticale e orizzon-
tale del lavoro, al fine di consentire il raggiungimento degli obiettivi d’impresa. Ovvero manovrare le leve
che influenzano la divisione del lavoro e i meccanismi di coordinamento, modificando le modalità di funzio-
namento dell’organizzazione.
La progettazione organizzativa è assimilabile ad un processo decisionale e la decisione nasce perché io per-
cepisco che c’è un problema. A questa decisione pervengo tramite fasi logiche. Infatti a partire da un pro-
blema individuo diverse soluzioni e arrivo a una scelta.
Progettazione organizzativa come flusso sequenziale di decisioni.
LIVELLI DI ANALISI
La progettazione organizzativa si sviluppa a due livelli. Una parte si occupa della definizione della MACRO-
STRUTTURA della progettazione dei sistemi operativi, dell’individuazione dei confini organizzativi e delle
modalità per collaborare con altre organizzazioni. Un’altra parte si occupa di progettare le MICROSTRUT-
TURE, che hanno il compito di “fare le cose”, ossia fare in modo che le attività necessarie al raggiungimento
dei fini dell’organizzazione siano eseguite in modo corretto.
Al variare del livello (micro e macro) cambia la natura del problema, ovvero l’oggetto di progettazione or-
ganizzativa e l’unità di analisi.
Si interviene nel livello MACRO quando cambia la strategia organizzativa; la divisione del lavoro andrà a
modificare quindi l’intera struttura organizzativa.
Si interviene nel livello MICRO quando cambia la modalità di talune attività. Si pone così la necessità di mo-
dificare ogni interno dell’unità organizzativa

 Le dimensioni strutturali nella progettazione organizzativa:


1) La divisione del lavoro (a livello Macrostrutturale)

Tipo di divisione Decisioni di progettazione organizzativa


del lavoro

• Scelta del criterio di specializzazione


Orizzontale
• Livello di specializzazione
• Numero di unità organizzative
• Dimensione delle unità (o ampiezza
del controllo)

• Numero di livelli
Verticale
• Distinzione line/staff
• Livello di centralizzazione
• Definizione dei rapporti di autorità tra
organi
• Livello di formalizzazione del sistema
• La professionalizzazione del lavoro

Sia a livello micro che a livello macro esiste un problema di divisione del lavoro che poi viene definito in
modo diverso.
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Livello di specializzazione (divisione orizzontale del lavoro)


Al crescere della specializzazione:
• aumenta il numero di unità organizzative (ognuna delle quali è specializzata in alcune attività)
• riduzione dei costi unitari medi di produzione (perché si hanno dei benefici in termini di economie di
scala)
• aumento del fabbisogno di coordinamento ed integrazione (perché aumentano le unità che possono
avere interdipendenze tra di loro)

Criteri di specializzazione: esistenza di una molteplicità di criteri

Possiamo adottare due criteri di specializzazione: per input e per output. Se cambia il criterio di specializ-
zazione cambierà anche la struttura organizzativa.
Scegliere il criterio serve per capire come dobbiamo aggregare le attività all’interno di ciascuna unità or-
ganizzativa

Criterio per:
 FUNZIONE INPUT
 CONOSCENZE
 PRODOTTO
 MERCATO/CLIENTE OUTPUT
 AREA GEOGRAFICA

A. Criterio di specializzazione per INPUT : per FUNZIONE


(riguarda il primo livello organizzativo)
- Aggregare attività omogenee dal punto di vista dei processi economico-tecnici, per presidiare l’efficienza
produttiva e avere notevoli economie di scala.:

B. Criterio di specializzazione per INPUT : per CONOSCENZE (ho aggregato attività che richiedono co-
noscenze specialistiche all’interno di un’unità):

La dimensione strategicamente rilevante è presidiare il processo tecnico e la sua efficienza, per questo si
ricorre al criterio input. Poiché tale criterio mi consente di sfruttare le economie di scala (proprio perché
aggrego attività omogenee) grazie a un elevato grado di specializzazione.
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Scegliere il grado di specializzazione è la prima cosa che dobbiamo fare per progettare la macrostruttura
perché devo capire come aggregare le attività e le persone all’interno delle unità organizzative.

C. Criterio di specializzazione per OUTPUT : per PRODOTTO (ciò che è importante per l’impresa è pre-
sidiare il prodotto. Aggregare quelle attività che si riferiscono ad un comune prodotto o servizio)
È tipico delle imprese multi prodotto che
decidono di diversificare i prodotti offerti.
Poi nell’ambito di ogni prodotto si utilizzerà
il criterio per input, aggregando tutte quelle
attività omogenee dal punto di vista della
tecnica e delle conoscenze

D. Criterio di specializzazione per OUTPUT: per CLIENTE (è tipico delle banche che per essere compe-
titive soddisfano diverse esigenze. Le attività vengono aggregate in base alle diverse tipologie di
clienti serviti. )

E. Criterio di specializzazione per OUTPUT: per AREA GEOGRAFICA (è tipico di quelle imprese che
decidono di presidiare le aree di sbocco)

Cioè l’obiettivo in tal caso è migliorare l’efficienza con riguardo alle aree
di sbocco, infatti sarà differente per esempio distribuire giocattoli in
Asia e in Giappone perché ogni Paese avrà la sua norma di sicurezza re-
lativa ai giocattoli. L’impresa quindi cerca di presidiare un’area geografi-
ca cioè di essere presente adottando diverse tecniche.

LA MICROSTRUTTURA

Tipo di divisione Decisioni di progettazione organizzativa


del lavoro

• Numero dei compiti dello stesso livel-


Orizzontale (a
lo da assegnare a ciascuna mansione
livello di singola
mansione)

• Numero dei compiti decisionali e di


Verticale
controllo da assegnare a ciascuna
mansione

Gli elementi di base necessari per progettare le microstrutture sono i compiti, le mansioni, i sistemi pri-
mari di lavoro e le variabili che li influenzano (interdipendenze, varianze, specificità delle conoscenze.

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- Mansione: insieme ordinato di compiti assegnati in modo stabile a una persona. In relazione al numero e
al tipo di compiti inclusi si possono avere mansioni di diverso tipo:
a. Specializzazione orizzontale della mansione
 VARIA: allargamento orizzontale della mansione, composta da molti compiti per soggetto
 POCO VARIA: composta da pochi compiti
 PARCELLIZZATA: lavoratore che svolge in maniera ripetitiva sempre la stessa attività,un solo compi-
to. Massima specializzazione orizzontale della mansione.
b. Specializzazione verticale della mansione
 RICCA: che significa che la mansione è non solo varia ma anche ricca di autonomia e contenuti deci-
sionali. Una mansione è ricca quando attribuiamo ad una posizione individuale non solo tanti com-
piti allo stesso livello, ma anche compiti che prevedono un maggior potere decisionale operativo
(non solo è varia ma anche ricca perché ai soggetti viene attribuita una certa capacità di controllo)
 una mansione ricca è per forza anche varia.
Se la mansione è VARIA, stiamo facendo riferimento alla quantità. Se la mansione è RICCA stiamo facendo
riferimento anche alla qualità
- Compito: insieme di operazioni unitarie o attività umane elementari necessariamente collegate e non ul-
teriormente separabili (indivisibilità), per ragioni di natura tecnica o psicologica.
NB. Compito ≠ Mansione: nel concetto di mansione facciamo riferimento al singolo, invece ci riferiamo al
gruppo quando parliamo di sistema primario di lavoro. L’insieme dei compiti formano la mansione di un
certo individuo (l’insieme delle operazioni elementari forma il compito, l’insieme dei compiti forma la man-
sione).

LE FORME OGRANIZZATIVE
Sono modelli da adottare, ciascuna delle quali è caratterizzata da:
 Diversa combinazione degli elementi di base dell’organizzazione
 Specifica modalità di coordinamento e controllo
Le diverse forme:
 Semplice e sue varianti
 Funzionale
 Funzionale modificata
 Divisionale
 Matrice

Il caso Lumen indica come prende avvio un’organizzazione: un’idea imprenditoriale, qualche capitale e una
persona che sa assumersi il rischio. Al primo stadio embrionale tutte le attività sono accentrate nelle mani
del fondatore, che si avvale di collaboratori per lo svolgimento delle attività operative. La crescita dimensio-
nale o la maggiore complessità gestionale pongono il fondatore di fronte alla necessità di specializzare il la-
voro dei suoi collaboratori e, soprattutto di farsi affiancare da qualcuno di loro anche nelle attività di dire-
zione e coordinamento. La sintesi di queste decisioni prende forma in una specifica configurazione organiz-
zativa che, almeno nella prima fase del ciclo di vita Lumen, è la forma semplice.

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LE FORME SEMPLICI:
la forma semplice è una struttura organizzativa poco differenziata e che funziona in modo efficace adottan-
do strumenti relativamente poco sofisticati.
1) La forma imprenditoriale
2) La forma artigiana
3) Il gruppo dei pari

Il caso “Lumen”
“È una piccola impresa del mobile-arredo fondata da Renato Garattini nel 1980”
«Oltre al Garattini in Lumen lavoravano due collaboratori, Sergio Tassi e Carlo Filippone. Tutti facevano un
po’ di tutto (dal ritiro del tavolame, al taglio delle sezioni, al controllo delle fasi di lavorazione,
all’incollaggio, alla consegna dei telai).Le attività amministrative e contabili erano gestite dalla signora Ga-
bry Verdelli»
Attività semplice e ripetitiva
 Una macchina divide il tavolame essiccato
 Una macchina crea i tenoni
 I tenoni vengono incollati per creare il telaio
Per gestire questo tipo d’impresa si utilizzerà sicuramente una forma semplice. Vi è un basso grado di spe-
cializzazione poiché, “tutti facevano un po’ di tutto”.
La forma semplice: Lumen nel 1980

1) La forma IMPRENDITORIALE
Il vertice dell’organizzazione è presidiato dall’imprenditore che esercita direttamente tanto il controllo eco-
nomico quanto il potere di direzione e coordinamento.
L’imprenditore è il baricentro di tutta l’organizzazione. I suoi collaboratori, invece, costituiscono il nucleo
operativo dell’organizzazione. Si tratta di persone che non hanno significative responsabilità decisionali e
svolgono attività meramente esecutive: ricevono indicazioni precise per l’azione e le mettono in pratica. I
loro margini di autonomia sono limitati e tutte le eccezioni vengono affrontate rivolgendosi
all’imprenditore.
Il principale meccanismo di coordinamento nelle forme semplici è la supervisione diretta, che consiste
nell’assunzione diretta da parte di una persona, l’imprenditore, della responsabilità del lavoro di altri, ai
quali impartisce ordini e di cui controlla le azioni.
L’elemento guida di questo tipo di configurazione è il basso grado di specializzazione
 Piccole dimensioni
 Una sola linea di prodotti destinata ad un insieme omogeneo di clienti (strategia non complessa)
 Dominanza della funzione tecnico-produttiva o commerciale
 Ambiente semplice e dinamico
La forma imprenditoriale: CARATTERISTICHE
 Ridotto sviluppo verticale. Struttura poco articolata(vertice e nucleo operativo)
 Basso grado di formalizzazione

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 Elevato grado di accentramento (è l’imprenditore che assume tutte le decisioni di natura strategica
e operativa. Es scelte quotidiane senza delegare, scelta dei collaboratori e loro coordinamento..)
 Basso grado di specializzazione (esistenza di ruoli intercambiabili, grande capacità di adattamento)
 Meccanismi di integrazione poco sviluppati e formalizzati (coordinamento attraverso feedback, cul-
tura organizzativa, a volte anche mutuo adattamento)
La forma semplice presenta indubbi vantaggi in termini di vicinanza al cliente e di reattività ai cambiamenti,
sia interni, sia esterni.
Date le sue caratteristiche distintive, la forma semplice opera in modo efficace solo in ambienti semplici e
dinamici. È efficiente quando l’ambiente è dinamico (la scarsa formalizzazione delle variabili organizzative
permette di adattarsi rapidamente ai cambiamenti e assicura flessibilità di risposta). La ridotta formalizza-
zione non è però esente da rischi. Quando la dinamica supera certe soglie, per affrontare efficacemente le
nuove esigenze sorge la necessità di specializzare le attività dei collaboratori, in relazione ai segmenti am-
bientali con i quali esse si relazionano.

2) La forma ARTIGIANA (è una variante della forma semplice)


La forma artigiana è adatta al governo di attività che non possono essere dirette e controllate direttamente
da una sola persona al vertice dell’organizzazione, ma richiedono una professionalità diffusa e l’attribuzione
di una maggiore discrezionalità di scelta al nucleo operativo.
L’imprenditore, che non può controllare direttamente il comportamento dell’apparato esecutivo, lascia che
gli operatori assumano autonomamente molte decisioni, mantenendo le responsabilità di coordinamento e
di indirizzo delle linee di sviluppo aziendale.
La forma artigiana ruota attorno al nucleo operativo, che è un vero e proprio problem solver:
 fa leva sulle proprie conoscenze tecniche ed esperienze specifiche per affrontare e risolvere i pro-
blemi operativi e, quindi, non ha bisogno di ricevere ordini precisi e puntuali per agire
 si trova spesso a diretto contatto con i clienti, come accade nel settore dei servizi, e decide auto-
nomamente e tempestivamente in che modo soddisfare le loro mutevoli esigenze.
Oltre al maggiore livello di decentramento decisionale, la forma artigiana si differenzia rispetto alla forma
gerarchico - imprenditoriale per le modalità di coordinamento.
In questi contesti la supervisione diretta non è efficace. Il controllo delle attività è lasciato agli operatori del
nucleo operativo e di basa sulle qualità professionali, sulle abilità, sui modelli di comportamento e sulle
prassi di lavoro delle persone che sono coinvolti nei processi di produzione o di erogazione del servizio.
Le conoscenze che gli operatori hanno, sono presenti per due vie:
 In primo luogo,o perché l’imprenditore ha reclutato e selezionato solo le persone che hanno com-
piuto un determinato percorso formativo, attraverso il quale hanno acquisito specifiche conoscen-
ze.
 In alternativa, o come meccanismo di rinforzo, ha fatto inserire i collaboratori in percorsi formativi
interni all’organizzazione finalizzati a trasmettere le conoscenze necessarie allo svolgimento delle
attività operative o prevedere periodi di affiancamento a lavoratori più anziani ed esperti con il
medesimo scopo.
Esempio. Si pensi alla bottega di un restauratore. Gli artigiani che vi lavorano condividono una medesima
base di conoscenze tecniche, sviluppate attraverso sia percorsi formativi esterni sia esperienze interne. Ma il
restauro di un mobile antico rimane sempre un’attività unica, che non può essere rigidamente ricondotta a
regole d’azione e, soprattutto, richiede al restauratore di saper affrontare e risolvere in autonomia situazio-
ni nuove e impreviste.

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3) Il GRUPPO DEI PARI: Caratteristiche:


 Non vi è più la distinzione tra vertice strategico e nucleo operativo:
o Diritti di proprietà diffusi
o Partecipazione ai risultati economici (i soci sono dei veri e propri partner). La partecipazione al risul-
tato complessivo del gruppo ha un forte impatto in termini di incentivazione e di motivazione su
persone con professionalità elevate e caratterizzate da un elevato bisogno di autorealizzazione e
di autonomia.
 Processo decisionale di gruppo: da una dimensione individuale a una dimensione di gruppo. I partner
decidono collegialmente. Tutti ricevono comunicazioni tempestive e complete inerenti gli oggetti delle
decisioni e ciascuno dà il suo contributo alla decisione finale. È evidente che questa soluzione, pur es-
sendo in linea con lo spirito di fondo del gruppo di pari, rischia di rallentare le decisioni e dimostrarsi
inefficiente: all’aumentare del numero di componenti il numero di relazioni bilaterali aumenta in manie-
ra esponenziale. Per ovviare a tale problema si può decidere di attribuire a turno a ciascuno partner il
ruolo di leader e il potere di prendere decisioni per tutto il gruppo. Ma anche questa soluzione non è
esente da rischi, in quanto non tutti i partner hanno le stesse attitudini al coordinamento e al comando.
 Il controllo del lavoro è compiuto da chi lo svolge
 Comunicazione informale
 Meccanismo di coordinamento: mutuo adattamento. Il controllo del lavoro è direttamente compiuto da
chi lo svolge.
Ogni componente del gruppo di pari svolge contemporaneamente le attività tipiche del vertice strategico
(in quanto è chiamato collegialmente a decidere gli obiettivi di medio e lungo periodo della cooperativa e le
sue strategie di sviluppo) e del nucleo operativo (in quanto coinvolto direttamente nelle attività operative e
caratteristiche della cooperativa).
Esempio: il funzionamento di una cooperativa di installatori di impianti di condizionamento evidenzia le ca-
ratteristiche distintive del gruppo di pari.

Problemi e ragioni di crisi della struttura semplice:


 Forte sbilanciamento operativo
 Scarsa capacità di sorveglianza dell’ambiente
 “Code” di problemi non risolti (sovraccarico del vertice)
 Limiti allo sviluppo di strategie complesse ed alla crescita dimensionale
 Quando la dinamicità supera certe “soglie” la mancanza di specializzazione può costituire un limite
 Le limitate dimensioni non consentono l’accesso a competenze elevate e a tecnologie sofisticate

La gestione di Lumen si complicò


 aumento dell’organico (assunti 10 operai)
 Il Garattini non riusciva più a coordinare tutte le attività ed a gestire le relazioni interne

Il caso LUMEN: la decisione


La prima vera innovazione apportata dal Garattini è il tentativo di mettere un po’ d’ordine nei processi ope-
rativi aggregando le persone attorno a specifiche attività.
I primi cambiamenti organizzativi di Lumen:

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Il Garattini tenne per sé la gestione dei rapporti con i fornitori e con i clienti e aggregò le persone all’interno
di specifiche aree; continua ad essere il contatto diretto con il nucleo operativo (coordinamento e control-
lo). Ma la crescente differenziazione delle aree aziendali operative generano un aumento del fabbisogno di
coordinamento.
Si arriva al punto in cui l’imprenditore non riesce più a gestire in modo efficiente tutte le relazioni interne.
La decisione gli sfugge di mano (perdita di controllo)  bisogno di decisioni radicali  è a questo punto
che decide di condividere con altri il potere direzionale, nominando dei capi, cioè delle persone che coordi-
nano una o più aree di attività operativa e ne hanno la responsabilità  Cambia la struttura organizzativa.
Il superamento della crisi della struttura semplice richiede……
 internalizzare le competenze per gestire le attività
 delega di responsabilità a unità funzionali (specializzazione);
 inserimento di un filtro tra vertice strategico e nucleo operativo
perché se aumentano le dimensioni dell’impresa, la quantità prodotta e venduta, sarà necessario assumere
nuovi soggetti specializzati e delegati per gestire questa nuova complessità.
Quindi nel passaggio dalla forma semplice a quella funzionale:
 Si sviluppa la dimensione orizzontale: la crescente divisione del lavoro, l’esigenza di specializzazione e
anche le dimensioni del sistema organizzativo richiedono non solo una maggiore formalizzazione e
stabilità delle mansioni, ma anche la creazione di unità organizzative, che prendono il nome di funzioni
aziendali
 Si sviluppa la dimensione verticale: si introducono uno o più livelli gerarchici tra il vertice strategico ed
il nucleo operativo, delegando loro in modo articolato e diffuso la funzione di direzione e coordina-
mento delle attività operative
 Si sviluppa la tecnostruttura: standardizzazione dei processi operativi, dei metodi di lavoro e, più in ge-
nerale, di tutti gli strumenti organizzativi che consentono alla linea manageriale intermedia di sostitui-
re al coordinamento mediante supervisione diretta il coordinamento attraverso la standardizzazione
In altri termini si passa dalla forma semplice alla forma gerarchico – funzionale

FORMA GERARCHICO-FUNZIONALE
Caratteristiche
 Organi direttivi specializzati secondo il criterio della tecnica (input)
 Uso della delega
 Importanza fondamentale dei meccanismi di integrazione (forte differenziazione interna)
Nella forma gerarchico – funzionale le attività sono specializzate per gruppi di processi affini in senso tecni-
co ed economico. Le persone dedicate in modo esclusivo allo svolgimento di particolari operazioni si trova-
no sistematicamente a risolvere problemi simili, sviluppano una competenza specialistica più approfondita,
diventano più abili e quindi possono ottenere più elevate prestazioni impiegando minor tempo e minori ri-
sorse.
Ambiti di azione e di responsabilità

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Il Vertice strategico nella forma gerarchico – funzionale prende il nome di direzione generale e non si iden-
tifica più solo nella persona dell’imprenditore o leader come nella forma semplice, ma si estende alle per-
sone che hanno la responsabilità globale dell’organizzazione
• Definisce i criteri di specializzazione delle attività
• I modelli di coordinamento interfunzionale
• Elabora la strategia generale = indirizzi e scelte di fondo dell’organizzazione (chi siamo, quali
sono i nostri obiettivi, chi sono i nostri clienti, come li vogliamo servire)
• Gestisce le relazioni interaziendali e i rapporti con i portatori di interessi istituzionali, che defini-
scono i confini dell’organizzazione
La linea manageriale intermedia
a) Funzione di filtro
• Convertono gli obiettivi generali in sotto-obiettivi operativi
• Trasmettono al vertice informazioni sulle prestazioni svolte e indicazioni per ridefinire le
strategie e migliorare il processo decisionale
• Decisioni tattiche e operative
• Attività di coordinamento e di controllo
b) Funzione di confine (trasferisce informazioni tra aree funzionali. Esse devono interagire tra loro)
Il nucleo operativo
• Svolgimento delle operazioni elementari connesse con la specializzazione della propria funzio-
ne: chi lavora al servizio ricevimento dovrà svolgere tutte quelle attività strettamente connesse
a tale specifica funzione aziendale.
Line and staff
Gli organi di line hanno l’autorità formale di prendere le decisioni e si identificano con gli organi collocati
lungo la linea gerarchica. A differenza della forma imprenditoriale dove l’imprenditore si occupa di racco-
gliere le informazioni, elaborarle, sintetizzarle, decidere quale azione compiere, autorizzare il loro compi-
mento, controllare che gli ordini impartiti vengano correttamente eseguiti, nella forma gerarchico - funzio-
nale la direzione generale delega una parte di tali decisioni ai livelli gerarchici inferiori. Si dice anche che si “
accentra il controllo” ma si “decentrano le decisioni”. Nel caso Lumen gli organi di line sono costituiti dalla
direzione generale e dalle direzioni funzionali.
Gli organi di staff non sono dotati di potere formale e quindi sono collocati a lato della linea gerarchica. Si
tratta di organi che sviluppano una competenza specialistica e che forniscono consigli, suggerimenti o pare-
ri ai manager di linea per supportare i processi decisionali. Nel caso Lumen, per esempio, la direzione am-
ministrativa fornisce al direttore generale report periodici sugli scostamenti tra le previsioni e il consuntivo,
mentre l’ufficio tecnico prepara per il responsabile della produzione le schede tecniche di prodotto e lo sup-
porta nella programmazione dei piani di produzione. Gli organi staff si suddividono in due categorie: tecno-
struttura (analisti, cioè coloro che organizzano il flusso produttivo con l’obiettivo di rendere più efficace il
lavoro di altri) e gli staff di supporto (forniscono un supporto esterno al flusso produttivo. Si pensi all’ufficio
legale, all’amministrazione del personale, al servizio mensa).
Qual meccanismi di coordinamento?
a) Supervisione diretta
L’intensità con la quale si ricorre a questo meccanismo (ruolo attivo e passivo) dipende da alcun fattori con-
tingenti:
1) numerosità delle interazioni
2) competenze dei subordinati
b) Standardizzazione

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Definizione di regole e procedure considerati appropriati per lo svolgimento di una certa attività e la cui ap-
plicazione consente di prendere decisioni e risolvere problemi operativi sempre nello stesso modo

 VANTAGGI della forma funzionale


L’unità di comando, la centralizzazione, la specializzazione delle unità organizzative, l’introduzione degli or-
gani di staff e lo sviluppo di sistemi operativi costituiscono i tratti distintivi della forma gerarchico - funzio-
nale.
I vantaggi sono:
• Economie di specializzazione (sofisticazione delle competenze tecniche e specialistiche, come con-
seguenza della divisione orizzontale)
• Maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse
• Maggiori economie di scala produttive e cognitive (e quindi maggiore intensità nell’utilizzo delle ri-
sorse)
 SVANTAGGI e limiti e cause di crisi della forma funzionale
- Rischio di eccessiva specializzazione specialistica
• Comportamenti orientati ad obiettivi parziali
• Trasposizione dei fini (dare più importanza ad un’area a discapito di un’altra)
• Difficoltà di coordinamento e perdita di controllo
• Problema di comportamenti opportunistici e conflitto tra responsabili di diverse aree funzionali
- Rischio di burocratizzazione e rigidità nei comportamenti delle persone
• Lenta a reagire alle dinamiche ambientali
• Non adatta a strategie di diversificazione
Due fattori all’origine della crisi delle forme funzionali
1) Aumento delle dimensioni
2) Espansione diversificata

in generale, quindi, in presenza di un cambiamento significativo, la gerarchizzazione delle decisioni e la rigi-


da separazione delle attività comportano: scarsa attenzione ai problemi di adattamento, aumento del vo-
lume delle informazioni che devono essere trasmesse e trattate, più intensa interazione tra le direzioni fun-
zionali, che nel loro insieme generano perdita di controllo.
È una forma organizzativa superata?
No. La realtà vede molte imprese ricorrere a questa forma perché è funzionale anche se risale a un conte-
sto storico passato.
 Far fronte alla crisi delle forme gerarchico - funzionali

Per far fronte al crescente fabbisogno di coordinamento, si possono introdurre nuovi meccanismi di inte-
grazione e coordinamento (Lawrence e Lorsch):

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 Comitati: organi collegiali permanenti che operano in modo discontinuo per affrontare e tentare di
risolvere i problemi di coordinamento nel momento in cui essi si presentano e a cui partecipano i
rappresentanti di tutte le funzioni che condividono il fabbisogno (es. comitato prodotto)
 Gruppi di lavoro: organo dove partecipano temporaneamente specialisti provenienti dalle diverse
funzioni aziendali che possono dare un contributo alla risoluzione del problema. In generale, alla
conclusione del progetto il gruppo di lavoro si scioglie. (gruppi di miglioramento)
 Task Force: organo temporaneo che aggrega a tempo pieno, pur se per un periodo ridotto, persone
di diverse funzioni, per affrontare un problema caratterizzato da elevata criticità, urgenza o innova-
tività. È quanto succede alla protezione civile nel momento in cui si presenta una calamità naturale.

Nel momento in cui nessuno dei meccanismi di integrazione indicati soddisfa completamente il fabbisogno
emergente, ma i vantaggi economici generati dalle economie di scala e di specializzazione sono ancora si-
gnificativi, nelle organizzazioni funzionali si introducono alcuni organi di integrazione, che operano a tempo
pieno allo scopo di favorire il coordinamento tra funzioni rispetto a una singola attività.
 Si passa alle strutture gerarchico – funzionali modificate.

Le FORME GERARCHICO-FUNZIONALI MODIFICATE


L’inserimento di organi di integrazione altera ma non stravolge la struttura gerarchico – funzionale. Si parla
di forme funzionali a elevata differenziazione e integrazione, che:
• mantengono le caratteristiche tipiche di una struttura gerarchico – funzionale (cioè la specializza-
zione degli organi di primo livello per tecnica o per funzione)
• ma permettono la gestione di altre dimensioni rilevanti attraverso la creazione di organi di integra-
zione trasversale che affiancano la configurazione tradizionale: *)il product mana-
ger(org.permanent) se la dimensione rilevante è quella commerciale, *) il project manager
(org.temporaneo) se si tratta di quella tecnica.
• I manager integratori possono avere autorità formale ma non possono imporre le loro decisioni ai
responsabili funzionali.

1) La struttura per funzioni con responsabilità di prodotto  PRODUCT MANAGER


Caratteristiche del Product manager
- effettua un’analisi quantitativa e qualitativa di mercato
- misura l’impatto delle soluzioni ideate (in termini di produttività e soddisfazioni del cliente)
- osserva il ciclo di vita del prodotto
- studio della presentazione e della confezione del prodotto
- pianifica il lancio di nuovi prodotti
- ideazione, pianificazione ed esecuzione delle preferenze pubblicitarie.
- È un organo permanente
Le attività del PM
Il ruolo del product manager si sviluppa sia in senso strategico sia in senso operativo.
a) Pianifica gli obiettivi, le strategie e le azioni necessarie a realizzare la produzione e la successiva
commercializzazione di un prodotto o di una linea di prodotti  Livello strategico
b) Richiama l’attenzione dei responsabili funzionali sulle iniziative da assumere per il successo compe-
titivo del prodotto, ovvero deve essere in grado di comprendere e coordinare le varie funzioni
aziendali che concorrono alla realizzazione della sua strategia  Livello operativo

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Esistono 2 soluzioni organizzative :


- la VERSIONE FORTE  nella versione forte il P.M. ha competenze a livello strategico e perciò il
suo operato è voluto dalla direzione generale. Non ha autorità formale, infatti i PM sono allo
stesso livello dei responsabili funzionali dove però oltre a responsabilità strategiche ha anche
responsabilità operative(es. marketing). Il PM è alle dipendenze della direzione generale.
- La VERSIONE DEBOLE  svolge solo attività di natura operativa, cioè coordina le interdipen-
denze solo con riferimento agli aspetti di natura operativa, e verrà valutato dal Responsabile
commerciale. Il PM non solo deve avere un adeguato sapere cognitivo e professionale, ma so-
prattutto sapere relazionale, perché deve coordinare le azioni di soggetti che appartengono a
diverse aree funzionali.
VANTAGGI della struttura con product manager
 Mantiene i vantaggi di una struttura funzionale e di presidiare contemporaneamente un seconda
dimensione rilevante
 Migliora il coordinamento tra le varie attività connesse ad uno stesso prodotto
 Responsabilizza un organo per il raggiungimento dei risultati di prodotto
 Dinamicità e prontezza di reazione a mercato (crea un “sensore” vicino ai mercati di sbocco)
 Superamento delle rigidità e dei rallentamenti del processo decisionale connessi all’aumento del
numero di linee di prodotto
SVANTAGGI del PM
 Paradosso organizzativo di responsabilità senza potere (ha le responsabilità ma non dispone del po-
tere necessario)
 Problemi di rigetto in caso di culture burocratiche
o conflitti PM – Direttori di funzioni
o conflitti PM-PM (si viene a creare una sorta di competizione interna)
o
2) La struttura per funzioni con organi di integrazione tecnica: PROJECT MANAGER
A differenza del product manager, il PROJECT MANAGER è un organo temporaneo con orientamento tecni-
co ed è dotato di autorità gerarchica nei confronti delle persone che fanno parte del team di progetto. I
componenti del team, pertanto si trovano in doppia dipendenza non contemporanea: dipendono dal pro-
ject manager per il tempo dedicato alla realizzazione del progetto, mentre tornano alle dipendenze del re-
sponsabile funzionale per il tempo rimanente. L’inserimento del project manager è associato all’esigenza di
mantenere un’elevata competenza tecnica, ma nello stesso tempo esiste un’elevata pressione sul raggiun-
gimento dei risultati.
Caratteristiche delle strutture con Project manager:
 Accanto alle direzioni funzionali vengono inseriti degli organi temporanei responsabili della esecu-
zione di un progetto
 I capi di tali organi (PM) sono dotati di autorità gerarchica sulle risorse loro assegnate (doppia di-
pendenza non contemporanea = al termine del progetto le risorse umane ritornano nella loro uni-
tà)
 Il PM ha la responsabilità di far rispettare i tempi e le caratteristiche dei progetti.
 Dimensioni variabili dell’organo di progetto (versione forte e debole) :
- LA FORMA DEBOLE: in questo caso è un organo di staff che deve coordinare le risorse delle di-
verse aree funzionali, quindi accade che queste risorse non lavorano a tempo pieno per la rea-
lizzazione del progetto, ma quando rimane tempo, dopo aver svolto il ruolo relativo alla sua
area di appartenenza.
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- LA FORMA FORTE: gruppo di progetto costituito da persone provenienti da diverse aree funzio-
nali che rispondono solo al responsabile del progetto fin tanto che dura la durata del progetto
(potere formale del product manager). Una volta terminato il progetto ogni individuo risponde-
rà di nuovo al responsabile della sua area funzionale.
Vantaggi
• Maggiore controllo del progetto e possibilità di controllarne i risultati;
• Migliori relazioni con i clienti;
• Minori tempi di sviluppo dei prodotti;
• Migliore qualità
• Maggiore coordinamento;
• Più elevato orientamento al risultato
Svantaggi
• Conflitti tra project manager e i responsabili di funzioni e tra i diversi PM
• Eccessivo numero di spostamenti di personale
• Duplicazione delle specializzazioni tecniche negli organi di progetto ( aumento delle conoscenze
degli individui poiché coinvolti in progetti diversi -> Vantaggio/beneficio del lavoratore)

Esempio. Alla Pasi, azienda che produce su commessa impianti per il confezionamento di prodotti alimen-
tari liquidi esportati in tutto il mondo e venduti a tutti i principali produttori di bevande e acque minerali, i
project manager sono le figure organizzative più importanti. La commessa prende avvio con la nomina di un
project manager con formazione tecnica, che definisce insieme al cliente le caratteristiche di base del pro-
dotto. Quindi viene creato il team di progetto, composto da persone appartenenti alle varie funzioni azien-
dali (R&S, produzione, controllo di gestione, commerciale), che alle dipendenze del project manager cura lo
sviluppo del progetto in tutte le sue componenti sia tecniche sia economiche e la realizzazione
dell’impianto, valutando in itinere tutte le modifiche concordate con il committente. A commessa ultimata,
cioè dopo il montaggio dell’impianto e il suo collaudo, i vari componenti del team tornano alle loro funzioni
di appartenenza, mentre il project manager continua a rimanere il referente del cliente per far fronte a
eventuali problemi legati al funzionamento dell’impianto stesso.

LA FORMA DIVISIONALE e L’ESIGENZA DI DIVERSIFICAZIONE

Rappresenta anch’essa la naturale evoluzione della forma gerarchico - funzionale.


Rappresenta la scelta più appropriata in caso di strategia di diversificazione.
L’AUMENTO DELE DIMENSIONI e l’ESPANSIONE DIVERSIFICATA comportano:
- crescita dei fabbisogni di coordinamento e informativi (perché aumentano le interdipendenze e i flussi di
risorse da gestire)
- assorbimento delle energie manageriali e sovraccarico del vertice
- difficoltà nell’attribuzione di responsabilità e di parametri obiettivi (dovuto sempre all’interdipendenza).
Quando è auspicabile una forma divisionale rispetto ad una forma funzionale?
• quando l’eterogeneità, la numerosità, la dinamicità dei prodotti, e delle modalità di gestione sono
molto elevate;OUTPUT
• elevata interdipendenza tra le sottounità organizzative relative a singoli prodotti, mercati o aree
geografiche;OUTUT
• economie di scala e di raggio d’azione poco significative; INPUT

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Economie di raggio d’azione


Da che cosa dipende la diversificazione?
Si è in presenza di economie di raggio d’azione quando la somma dei costi unitari di produzione di un bene
P1 (se esso è l’unico output delle risorse impiegate) più quelli del bene P2 (anch’esso prodotto separata-
mente) è maggiore dei costi di produzione di due beni prodotti congiuntamente, cioè utilizzando le stesse
risorse (in altri termini: “Il costo della produzione congiunta di due o più prodotti è inferiore alla somma dei
costi per la produzione disgiunta di ciascuno di essi”):
C (p1) + C (p2) > C (p1+p2)
In presenza di tali condizioni, un’impresa ha convenienza ad ampliare la sua gamma di prodotti spingendosi
anche in aree di affari che possono essere scarsamente correlate con quella originaria, per conseguire que-
sti risparmi.
Da cosa dipendono tali economie di raggio d’azione?
- Apprendimento dentro le funzioni
- Risorse materiali in eccesso, materiali a disposizione per realizzare anche un altro prodotto
Quali soluzioni organizzative?
- Forma UNITARIA
- Forma MULTIDIVISIONALE
 Cosa cambia dalla forma funzionale a quella divisionale?
• Il criterio di specializzazione non sarà più per input ma per output .Cambia il criterio di specializzazione
delle unità organizzative, che può essere dato: dal prodotto (definito dal bene o dal servizio reso oppure
dalla base tecnologica prevalente), dall’area geografica (definita dall’ambito geografico presidiato da
ciascuna divisione), dal mercato (definito dal tipo di clienti o dai bisogni dei clienti)
• creazione di unità quasi indipendenti che operano come quasi imprese (Divisioni)
• ciascuna divisione al proprio interno adotta una tradizionale struttura gerarchico – funzionale,
• il responsabile divisionale viene etichettato come “quasi imprenditore”
• Alto livello di decentramento decisionale,
 VERTICALE ( poteri e responsabilità che l’AD decentra a livelli di divisione)
 ORIZZONTALE (grado di autonomia che le divisioni hanno nel governare le transazioni interdivisio-
nali)
• L’attribuzione di responsabilità di profitto ai direttori delle divisioni, e non più di costo o di ricavo
• Staff centrali che gestiscono processi comuni a tutte le divisioni: tali unità centrali sono tanto più nume-
rose quanto maggiori sono le interdipendenze tra divisioni
Tipologie di struttura divisionale:
1) Accentrata
- Interdipendenza sequenziale tra le divisioni, come nel caso in cui le diverse unità producano semi-
lavorati complementari nello sviluppo di un unico prodotto finito
- Elevate transazioni interdivisionali
- Ridotto grado di decentramento decisionale
- Prezzi di trasferimento definiti centralmente
- Accentramento elevato delle unità di staff:
Agli staff centrali spetta il compito di fornire le linee guida delle politiche funzionali, relativamente alle fun-
zioni che è conveniente gestire a livello interdivisionale per ragioni economiche (economie di scala e di spe-
cializzazione) o organizzative (coordinamento interdivisionale).
Esempio. Si consideri un’impresa divisionalizzata che gestisce un elevato numero di prodotti, ciascuno dei
quali è venduto in mercati specifici, ma che si caratterizza per il fatto che tutte le divisioni utilizzano la stes-
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sa materia prima. In questo caso, risulta efficace l’enucleazione di una unità centrale, denominata Strategic
Sourcing, che si occupa della ricerca delle fonti di approvvigionamento e della definizione dei contratti di ac-
quisto lasciando alle singole divisioni l’autonomia per prodotti di secondaria importanza. La centralizzazione
permetta all’impresa di ottimizzare i rapporti con i fornitori e di ottenere economie di scala nei lotti di acqui-
sto, con benefici effetti in termini di efficienza.
2) Pura o decentrata
si sviluppa per fronteggiare condizioni di incertezza e varietà ambientali maggiori e presuppone :
• interdipendenza generica
• Business tra loro poco o per nulla correlati
• forte autonomia decisionale
• Le unità di staff centrali sono ridotte
• Responsabilità di profitto
I costi di struttura sono maggiori nella forma PURA perché ci sono più organi di staff.

Compiti e responsabilità dell’ALTA DIREZIONE


- Elaborazione della strategia complessiva dell’impresa
- Creazione di un sistema di controllo delle performance delle divisioni (adozione di un parametro
economico – finanziario comune per misurare le performance divisionali (standardizzazione degli
output) *1)
- Acquisizione e allocazione delle risorse finanziarie (mercato interno dei capitali) *2)
- Transazioni interdivisionali (definizione dei prezzi interni di trasferimento se esistono interdipen-
denze sequenziali) *3)
- Fornitura di servizi comuni di supporto alle divisioni per la gestione di alcuni processi comuni *4)
- Assetto organizzativo
- Scelta dei responsabili divisionali
*1) In queste strutture, il coordinamento tra le divisioni è gestito attraverso la standardizzazione degli out-
put. Si adotta un parametro economico-finanziario comune, che può essere il profitto o un’altra configura-
zione di ricavo, per misurare le performance divisionali.
*2) Alla direzione centrale spetta anche il compito di allocare le risorse finanziarie tra le divisioni. Quanto
maggiore è la diversificazione dei business, tanto più difficile sarà decidere se e quanto finanziarie le iniziati-
ve che le singole divisioni intendono intraprendere.
Facendo leva sulla standardizzazione degli output, nella struttura divisionale si crea un mercato interno dei
capitali, in cui le divisioni competono tra loro per accaparrarsi le risorse necessarie alla realizzazione delle
proprie iniziative.
*3)Il problema dell’allocazione delle risorse non si presenta solo nei rapporti tra direzione centrale e direzio-
ne di divisione, ma anche tra le divisioni
I prezzi interni di trasferimento sono i prezzi ai quali avvengono gli scambi tra le divisioni. Tali prezzi posso-
no: basarsi sul costo di produzione del bene oggetto dello scambio; fare riferimento al suo prezzo di merca-
to; assumere valori misti.
La loro determinazione può essere imposta centralmente dalla direzione centrale oppure negoziata in piena
autonomia dalle singole divisioni.
*4)Alle attività della direzione centrale si aggiunge la fornitura di servizi comuni di supporto alle singole di-
visioni (es. ufficio legale che cura le problematiche contrattuali, fiscali o tributarie). A loro spetta la gestione
di alcuni processi comuni, occupandosi del coordinamento tra le politiche delle divisioni e fissando principi
generali per orientare in modo omogeneo l’attività divisionale.
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 Forme divisionali  I vantaggi


- chiara definizione degli obiettivi della prima linea manageriale
- rinforza i comportamenti coerenti con l’obiettivo generale dell’organizzazione
- riduce la perdita di controllo del vertice
- efficiente allocazione delle risorse
- Maggiore focalizzazione della direzione centrale sulla gestione del portafoglio strategico
- Formazione di manager con capacità direttive di tipo generale
- Vicinanza al mercato

 Forme divisionali  Gli svantaggi (problemi e costi)


- Lievitazione costi di struttura: staff centrali,duplicazioni di organi di line, perdite di alcune economie di
scala
- Comportamenti opportunistici
- Competizione interna (conflitti tra i diversi responsabili divisionali, per cercare di accaparrarsi la maggior
quantità possibile di risorse che vengono allocate dal vertice strategico)

Forme semplici, forme funzionali, forme funzionali modificate, forme divisionali… sono accomunate da
- univocità del criterio di specializzazione degli organi di primo livello (per input in quella funzionale,
per output in quella divisionale)
- confini stabili: è semplice capire cosa sta dentro e cosa sta fuori i confini dell’organizzazione
Ma non sempre è tutto così lineare…
Struttura a matrice
Ricorre al criterio di specializzazione particolare:
gli organi di primo livello possono essere specializ-
zati per input o contemporaneamente per output,
aggregati per funzione e contemporaneamente
per prodotto
L’impresa ricorre alla matrice quando vuole presi-
diare sia l’efficienza tecnica sia un’altra dimensio-
ne, come prodotto o mercato servito.
Quindi doppio criterio di specializzazione che na-
sce dall’esigenza di personalizzare il prodotto; ma
Esistenza di tre ruoli specifici e critici: allo stesso tempo diventa importante presidiare
1) Alta Direzione (direzione generale) l’efficienza tecnica (offrire prodotti di qualità)
2) Organi direttivi di primo livello (MATRIX BOX), responsabili della dimensione progettuale e funzionale
3) Organi direttivi di secondo livello (TWO BOSS MANAGER)

La direzione generale ha il ruolo di mantenere una condizione di equilibrio di potere tra i responsabili fun-
zionali e i responsabili di progetto, attraverso una adeguata definizione degli ambiti decisionali e la promo-
zione di processi di delega e di confronto tra i responsabili.
Gli organi direttivi di primo livello (matrix boss), sono a capo di una delle due dimensioni (funzioni o pro-
getti) e hanno il compito di gestire risorse sulle quali non hanno pieno controllo e che sono oggetto di ne-
goziazione con gli altri responsabili per la definizione del rispettivo ambito di attività.

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Gli organi direttivi di secondo livello (two boss manager) sono sottoposti ad attese conflittuali, data la par-
ticolare posizione organizzativa in cui sono collocati. L’essere all’incrocio tra responsabili funzionali e di
progetto impone al two boss manager il mantenimento di una posizione positiva con entrambi.

Il fenomeno delle aggregazioni


Dalla crescita per via interna alla crescita per via esterna

Principali forme di aggregazioni:


 dalle Alleanze organizzative:
1. Alleanze verticali
2. Alleanze orizzontali
3. Alleanze trasversali
 si passa alle Imprese indipendenti man mano che le relazioni si rafforzano:
1. Relazioni informali
2. Associazioni/Consorzi
3. Fusioni e acquisizioni
 per poi arrivare alle Imprese integrate:
1. Integrazione verticale: un’impresa collabora con un’impresa a monte o a valle della filiera (cioè con
imprese concorrenti)
2. Integrazione orizzontale: stipula accordi di cooperazione con altre imprese che si trovano nello
stesso punto della filiera (cioè con imprese concorrenti)
3. Integrazione trasversale: un’impresa coopera con imprese che non appartengono a quel settore di
attività, ma che possono essere utili al prodotto o servizio offerto

Differenza tra Integrazione e Alleanza: l’integrazione implica che quelle imprese vengono incorporate in
un’impresa incorporante (le imprese integrate non sono autonome); l’alleanza è un accordo formalizzato
che non implica integrazione, si può basare anche sulla fiducia.

Gruppi di imprese e holding


Il GRUPPO VERTICALE è un complesso di imprese che, pur se dotate di un proprio soggetto giuridico, pre-
sentano un unico soggetto economico (anche se autonome giuridicamente)
GRUPPO ORIZZONTALE : no rapporto subordinato. Organi collegiali costituiti da soggetti appartenenti agli
organi di governo delle imprese costituenti il gruppo. Complesso di imprese che cooperano e che sono au-
tonome economicamente e giuridicamente dove però si crea un organo collegiale che governa.
GRUPPO VERTICALE : quando il controllo del capitale e la garanzia del coordinamento avviene da parte di
una società denominata HOLDING
Tipi di di holding in base al controllo esercitato sul gruppo
1) Holding finanziaria: si limita all’esercizio dei diritti derivanti dal possesso del controllo (per esempio, la
nomina dei componenti degli organi di governo), governa le dimensioni del gruppo (per esempio attraverso
acquisizioni e dismissioni), ma non interferisce nella gestione operativa delle società del gruppo.
2) Holding operativa (corporate): interviene con frequenza e profondità nella gestione delle società opera-
tive, garantendo non solo il coordinamento ma anche compiendo direttamente le azioni necessarie affinché
si possano raggiungere gli obiettivi del gruppo.
Modalità di partecipazione:
- diretta quando la holding controlla direttamente una sub-holding (A controlla B e C)
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- indiretta quando la holding A controlla C, grazie al controllo diretto di B (A controlla B direttamente e C


indirettamente)
- mista (A controlla direttamente B e C e indirettamente controlla per es. B1 e B2 e C1 e C2)
I gruppi di imprese: modalità di costituzione:
• Scorpori, ovvero attraverso un processo di frazionamento di un’impresa esistente attribuendo per-
sonalità giuridica alle divisioni
• Costituzione di nuove imprese
• Acquisizione di partecipazioni (crescita per via esterna)

La struttura organizzativa di una holding

Organi DENTRO la
Holding

SUB-HOLDING (auto-
nomia giuridica, ma non
economica

Le alleanze interorganizzative

Forma di collaborazione inter-organizzativa nella quale due o più imprese investono congiuntamente per un
certo numero di anni in una attività, condividendone il rischio e i potenziali ritorni economici, pur rimanendo
entità economiche distinte e indipendenti (si ha un’autonomia totale, sia giuridica che economica)
Ci sono 3 tipi diversi di alleanze:
- alleanze orizzontali: quando la collaborazione avviene tra imprese concorrenti, nello stesso settore e,
all’interno di questo, occupano la stessa posizione nell’ambito della filiera produttiva. La stipula di questi
accordi è indotta dal tentativo di ottenere economie di scala e sfruttare risorse complementari e
dall’esigenze di ridurre il livello di competizione e di incertezza settoriali determinati dalla crescente apertu-
ra internazionale dei mercati. Le alleanze orizzontali rappresentano un modo per conservare o accrescere le
proprie capacità competitive, per erodere quote di mercato ai concorrenti leader, e per entrare in nuovi
contesti geografici.
- alleanze verticali: accordi tra imprese che, pur appartenendo allo stesso settore, si collocano in posizioni
diverse della filiera produttiva. Si tratta di accordi con i fornitori delle materie prime, componenti e semila-
vorati, con imprese erogatrici di servizi (accordi a monte) o con le imprese che si occupano delle attività di
intermediazione commerciale e di distribuzione fisica dei prodotti (accordi a valle)
- alleanze trasversali: sono relazioni di collaborazione tra imprese operanti in settori diversi, le cui attività
non sono riconducibili alla medesima filiera produttiva (es. alleanza tra produttori di beni o servizi sostituti-
vi o complementari).
Modalità per fare alleanze
1) Cooperative equity: è formata da imprese legate da accordi contrattuali (relazione formalizzata); es. le
Cooperative o i Consorzi, che rispondono all’esigenza di garantire ai soci dei supporti nella produzione
o promozione di un servizio (es. Consorzio Parmigiano Reggiano)

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2) Cooperative non equity : è formata da imprese legate da relazioni di natura fiduciaria, condivisione dei
valori e delle pratiche gestionali. Alla base della relazione c’è una forte relazione sociale tra le aziende
partner, che collaborano a un progetto o ad altra attività.
1*) Le joint ventures (cooperative equity): accordo di collaborazione in cui due o più imprese (mantenendo
la propria indipendenza giuridica) collaborano per la realizzazione di un progetto di natura industriale o
commerciale e che vede l'utilizzo sinergico delle risorse portate dalle singole imprese partecipanti, ma an-
che un’equa suddivisione dei rischi legati all’investimento
Le alleanze sono ad alto rischio ed hanno tassi di fallimento elevati (50-60% secondo alcuni studi):
• Cattiva selezione del partner
• Scarsa coerenza strategica e bassa complementarietà di risorse tra i partner
• Insufficiente definizione contrattuale dello schema di governance
• Incapacità/impossibilità di bilanciare gli aspetti cooperativi con quelli competitivi
• Mancata definizione di un team di risorse dedicate alla gestione delle alleanze
• Insufficiente commitment del top management
• Uno dei partner raggiunge i propri obiettivi prima e/o a spese degli altri

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