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Riassunto esame di economia e gestione delle imprese prof r


moliterni libro consigliato economia e gestione delle imprese
Economia aziendale (Università degli Studi di Firenze)

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PARTE I : L’IMPRESA VISTA DA FUORI

1-L’IMPRESA COME STRUMENTO SOCIALE

Il fatto che l’impresa possa essere considerata uno strumento sociale viene dalla considerazione
che l’impresa altro non è che una invenzione dell’uomo per migliorare le proprie condizioni di vita.

Qual è il ruolo dell’impresa? Se definiamo “risorse” tutto ciò che può essere utilizzato come mezzo
per soddisfare le nostre esigenze , notiamo come da un lato le esigenze (bisogni) siano infinite,
mentre le risorse siano caratterizzate da una tendenziale scarsità. L’impresa costituisce la “risposta
razionale” a questa fisiologica relazione squilibrata tra risorse e bisogni, con l’obiettivo di
soddisfare i bisogni utilizzando le risorse in modo razionale o economico.
La forza dell’impresa rispetto all’autoproduzione –dove ciascun individuo opera per soddisfare
direttamente i propri bisogni- risiede nella possibilità di un utilizzo più efficiente delle risorse
necessarie a soddisfare il bisogno. Efficienza rintracciabile nei seguenti aspetti :
- presenza di uno sforzo congiunto e coordinato di più individui che consente di svolgere
attività non realizzabili da un singolo individuo.
-l’applicazione sistematica del principio di divisione del lavoro e della specializzazione
produttiva, in cui ciascuna impresa si occupa solo di un singolo bisogno.

Soddisfare i bisogni è un “compito sociale” complesso. Questa complessità sta nella relazione tra
risorse e bisogni.

LE FUNZIONI TECNICO-ECONOMICHE

Tre sono le funzione tecnico-economiche dell’impresa :

1- Funzione di produzione dei beni o servizi, descrive l’attività di quelle imprese la cui azione
combinatoria si concretizza in un processo di trasformazione di risorse finalizzato alla produzione
di nuove risorse adatte a soddisfare direttamente un specifico bisogno. L’output di detta attività può
essere concretizzata :
- nella produzione di beni, che è il risultato dello svolgimento di una attività volta a modificare la
natura fisico-chimica degli input (processo di trasformazione) o ad unirli tra di loro (assemblaggio,
montaggio) ;
-nella produzione di servizi, dove il risultato del processo di trasformazione è riconducibile ad un
bene immateriale (consulenza) oppure (servizio di trasporto, postale, ecc )

2- Funzione di adattamento ,si concretizza nel rendere disponibili all’utenza portatrice del
bisogno beni già prodotte dalle altre imprese. In primo luogo è opportuno un adattamento nello
spazio finalizzato a rendere disponibili i prodotti nei luoghi in cui si manifesta il bisogno da parte
dell’utenza (attività di importazione)
In secondo luogo è opportuno un adattamento nel tempo finalizzato a rendere disponibili i prodotti
nel momento in cui si manifesta il bisogno da parte dell’utenza. Infine, l’adattamento può
riguardare la varietà dei prodotti rendendo disponibile nello stesso luogo beni diversi prodotti da
produttori diversi.

3-Funzione finanziaria, si configura anche come un caso specifico della funzione di adattamento,
in cui l’oggetto di adattamento è costituito dalle risorse finanziarie (denaro). Gli istituti di credito

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“spostano” il denaro nel tempo e nello spazio al fine di rendere disponibile questo nei luoghi e nel
momento in cui risulta essere necessario

L’attività di ciascuna impresa può essere ricondotta allo svolgimento di almeno una delle
funzionalità tecnico-economiche sopra descritte.

L’INTERAZIONE TRA IMPRESA E CONTESTO ECONOMICO-SOCIALE

L’impresa per soddisfare i bisogni umani attraverso un impiego efficiente delle risorse scarse ha
bisogno di un “luogo di scambio” da dove ottenere le risorse da trasformare e dal altra parte
trasferire il risultato della sua attività all’utenza portatrice. Senza l’attività di scambio l’impresa
sarebbe del tutto incapace di operare.

Il “luogo d’incontro” di maggior rilievo del sistema economico è il mercato, ovvero il luogo in cui
avviene l’attività di scambio. Gli attori del mercato sono gli venditori e gli acquirenti, i primi
forniscono beni o servizi (risorse) ,i secondi acquistano tali beni per sfruttarne l’utilità. Le
transazioni sono regolate da flussi di denaro che misurano il valore del bene o servizio oggetto di
scambio.
E’ utile distinguere tra mercato dei beni intermedi e mercato dei beni finali. Nel mercato dei beni
finali l’oggetto della transazione è un bene o servizio acquistato dal consumatore finale.
Nel mercato dei beni intermedi l’acquirente non è un consumatore finale ,ma un operatore
economico che utilizza il bene acquistato per sottoporlo a nuovi “processi di trasformazione”.

La distinzione tra mercato dei beni finali e marcato dei beni intermedi ci consente di mettere a
fuoco il concetto di filiera produttiva, ovvero l’insieme di fasi di lavorazione necessarie a realizzare
un bene o servizio destinato al consumatore finale. In termini generali, la filiera produttiva è
costituita da tutte le imprese che contribuiscono alla realizzazione di un specifico bene o servizio
finale. Tra ogni fase di lavorazione esiste potenzialmente un mercato dei beni intermedi in cui
vengono scambiati i prodotti semilavorati oggetto di trasformazione nella fase successiva. Ogni
impresa svolgerà una o più fasi di lavorazione assumendo una ben precisa collocazione lungo la
filiera produttiva (grado di integrazione verticale).

L’elemento essenziale per la nascita e la sopravvivenza dell’impresa è senz’altro l’esistenza :


- di una domanda ,e quindi di una clientela attuale o potenziale alla quale destinare il prodotto
- di fornitori di risorse materiali ,per l’alimentazione del processo di trasfomazione.

A questi due interlocutori “necessari” sono da aggiungersi altri soggetti che in virtù delle loro finalità
hanno rapporti con l’impresa :
- Lo Stato, da un lato procede alla riscossione delle imposte e dall’altro garantisce la presenza di
infrastrutture o servizi strumentali anche all’esercizio dell’attività d’impresa.
- Le istituzioni finanziarie (banche ,ecc) forniscono invece risorse finanziarie da restituire
maggiorate degli oneri finanziari.
- I gruppi di pressione esterni (fenomeni come il consumerismo, l’ambientalismo, ecc) in quanto
portatori di certe esigenze sociali e politiche che possono creare vincoli ed orientamenti più e
meno espliciti, diretti o indiretti all’attività dell’impresa.
- I partners ,che a vario titolo possono collaborare con l’impresa al fine di ottenere risultati che
hanno ricadute positive per tutti i soggetti coinvolti. Esempio le collaborazioni con altre imprese
finalizzate allo sviluppo di una nuova tecnologia, oppure alle operazione di comarketing.
- La concorrenza, ovvero l’insieme di tutte le imprese che offrono utilità della stessa specie (o
sostitutive) alla clientela attuale o potenziale dell’impresa.

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CONDIZIONI PER LA NASCITA E DINAMICA EVOLUTIVA D’IMPRESA

L’impresa è un complesso organizzativo di risorse costituito dalla volontà creatrice di uno o più
soggetti e finalizzata al soddisfacimento di una domanda di beni e servizi.
I presupposti fondamentali per la nascita dell’impresa sono :
- una volontà creatrice da parte di uno o più soggetti promotori dell’iniziativa
imprenditoriale.
- un’utenza portatrice di una domanda di beni o servizi.
- un insieme di risorse disponibili o acquisibili necessarie per il soddisfacimento delle
esigenze dell’utenze.

La volontà creatrice ,domanda e risorse se da un lato sono necessarie dall’altro risultano non
sufficienti. Per rendere l’iniziativa imprenditoriale concreta si devono aggiungersi un insieme di altri
condizioni, quali :
- esistenza di un patrimonio genetico, costituito da un’idea imprenditiva e dal capitale di rischio.
- generazione di un sistema delle capacità, attraverso cui si crea in modo concreto la possibilità
di svolgere l’insieme dei processi necessari per soddisfare il bisogno individuato.
L’esistenza delle condizioni sopra individuate crea le premesse per passare dall’impresa-progetto
all’ impresa-organismo.

1-GLI INTERESSO MOTIVANTI DEL SOGGETTO PROMOTORE

La presenza di soggetti promotori titolari di interessi motivanti costituisce il primo dei presupposti
per la nascita dell’impresa. E’ possibile individuare :
- Quali categorie di soggetti possono divenire soggetti promotori ?
Queste categorie possono essere :
1- persone fisiche ( logica individuale )  si riferisce al caso in cui il soggetto promotore sia
costituito da uno o più singoli individui.
2- imprese (logica aziendale )  ricomprende tutti quei casi in cui il soggetto promotore è
costituito da una o più imprese (persone giuridiche) già operanti.
3- Stato (logica statale)  il quale interverrà con una logica diversa rispetto a quelle delle altre
categorie.

- Quali interessi possano sussistere alla base della volontà creatrice della nuova impresa ?
Questi interessi si possono articolare in :

1- interessi lucrativi di natura economico/finanziaria.


- Nel caso di una persona fisica si configura l’ipotesi di capitalista puro, in cui la nuova iniziativa
imprenditoriale costituisce per il soggetto promotore una opportunità di investimento scelta da
molte altre alternative (acquisto azione, titoli obbligazionari ,immobili ,ecc ) ciascuna delle quali è
caratterizzata da un diverso profilo di rischio/rendimento. (REMUNERAZIONE DIRETTA)
Nel caso della creazione di una impresa, il rendimento dell’investimento può consistere o nella
remunerazione diretta attraverso distribuzione degli utili conseguiti o nella remunerazione indiretta
attraverso l’aumento del valore della quota di partecipazione. (REMUNERAZIONE INDIRETTA)

- Nel caso di una persona giuridica –impresa- soggetto promotore agisce con una logica
sostanzialmente finanziaria, finalizzata a cogliere una opportunità di investimento giudicata
finanziariamente appetibile. Non vi è alcuna relazione tra l’attività svolta dal soggetto promotore e
la nuova iniziativa imprenditoriale. La remunerazione è sia diretta che indiretta. (INVESTIMENTO

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DI RISORSE FINANZIARIE ECCEDENTI.. creazione di un gruppo finanziario )

-Nel caso dello Stato si può dar luogo a nuove iniziative imprenditoriali con lo scopo di perseguire
interessi economico- finanziari. Tali interventi possono acquistare rilevanza nel caso in cui le
risorse generate siano impiegate per finalità di rilevanza sociale.

2- interessi lucrativi di natura economico/ tecnici


-Nel caso delle persone fisiche la natura di interesse economico/tecnici acquista rilevanza nei casi
in cui non si hanno aspettative di remunerazione finanziaria, ma da vantaggi derivanti dall’attività
della stessa impresa, esempio l’autoconsumo.(AUTOCONSUMO ,COOPERAZIONE )

-Nel caso delle persone giuridiche , l’impresa è spinta alla creazione di una nuova iniziativa
imprenditoriale dai vantaggi che l’attività della nuova impresa è in grado di creare rispetto al
proprio oggetto sociale. E’ una operazione tipica in una logica di gruppo industriale , ad esempio,
nel caso in cui la nuova società produrrà uno dei componenti di un prodotto complesso venduto dal
soggetto promotore. In questo caso l’investimento del soggetto promotore genera valore nel caso
in cui ,per esempio, si ha, per il soggetto promotore ,dei risparmi di costi sulla fornitura del
materiale. (RICERCA DI SINERGIE)

-Nel caso dello Stato, si pensi a settori e contesti industriali in cui la nuova iniziativa imprenditoriale
consente di incidere positivamente sul livello dell’offerta altrimenti insufficiente, oppure di
sostenere l’occupazione e lo sviluppo industriale.

3- interessi non lucrativi economico/sociali


-Lo Stato costituisce il caso maggiormente frequente ,che attraverso l’iniziativa imprenditoriale crea
le condizioni per raggiungere obiettivi rilavanti sotto il profilo sociale che prescindono dal
conseguimento di alcun vantaggio economico/finanziario diretto. Si pensi ad interventi finalizzati al
controllo del livello dei prezzi di un specifico bene, oppure allo sviluppo sociale degli abitanti di una
specifica area.

-Nel caso di persone fisiche gli interessi riguardano l’autorealizzazione dei soggetti promotori, la
qualità della vita : indipendenza, status, altruismo.

-Nel caso di persone giuridiche , gli interessi hanno carattere strumentale ,quale fornitura di servizi,
immagine aziendale ,ecc .

2- L’UTENZA PORTATRICE DI UNA DOMANDA

Gli aspetti fondamentali per attribuire concretezza all’esistenza di una utenza portatrice di una
domanda sono riconducibili a :
- rilevanza economica della domanda  l’entità quantitativa della domanda, individuata dal
numero di potenziali utenti e dalla frequenza di acquisto del bene, deve essere tale da rendere
potenzialmente conveniente per l’impresa soddisfare tale domanda.

- tipo di domanda da soddisfare. E’ opportuno tenere distinte tre diverse ipotesi :

1- La domanda latente si ha nel caso in cui non abbia ancora avuto alcuna forma di
manifestazione sul mercato, o addirittura non vi sia neppure nella mente dei potenziali consumatori

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la consapevolezza di poter avere un certo bisogno. Può rappresentare una grande opportunità ma
anche tanti rischi.
2- La domanda potenziale (emergente ). Significa che esiste già un mercato allo stato di primo
sviluppo. Si tratta di una situazione in cui vi sono , da un lato, maggiori informazioni riguardo il tipo
di bisogno e le preferenze dei clienti, e dall’altro vi sono buone opportunità di sviluppo di mercato.
Resta ,tuttavia il problema di capire se si tratta di una domanda destinata a consolidarsi nel tempo
o invece di un fenomeno passeggero .
3- La domanda esistente ha già dato luogo ad un mercato sostanzialmente consolidato. In questo
caso vi possono essere opportunità di sviluppare un idea imprenditiva capace di avere successo
soltanto nei casi in cui la domanda :
- non sia del tutto soddisfatta in quantità, ovvero vi siano ancora dei margini di crescita del mercato
che le imprese esistenti non sono riuscite a soddisfare.
-non sia del tutto soddisfatta in qualità

3- ACCESSIBILITA’ ED ACQUISIZIONE DELLE RISORSE

Possiamo considerare risorse tutto ciò che l’impresa è in grado di disporre per lo svolgimento della
sua attività. E’ utile articolare le risorse in :
- risorse finanziarie. Sono costituite da denaro e rivestono un carattere particolare configurandosi
come “strumentali” all’acquisizione di tutte le altre risorse.
- risorse non finanziarie di apparato costituiscono l’insieme delle capacità di cui disporrà l’impresa,
cedono la loro utilità nel tempo ,configurandosi come risorse a fecondità ripetuta. Rientrano i beni
materiali strumentali come gli impianti ,ma anche tutte quelle risorse immateriali che permangono
nel tempo all’interno dell’impresa , il know-how, l’immagine, ecc.
- risorse ricorrenti sono invece a fecondità non ripetuta, esempio le materie prime, i materiali di
consumo,ecc.

4- CONDIZIONI PER LA NASCITA : PATRIMONIO GENETICO E SISTEMA DELLE CAPACITA

1-Il patrimonio genetico è costituito da due componenti fondamentali :


- idea imprenditiva
- capitale di rischio

L’idea imprenditiva rappresenta l’essenza della nuova impresa, essendo il modo (sistema)
concreto attraverso il quale l’impresa dovrà cercare di generare valore. L’idea imprenditiva deve
essere in grado di dare risposta alle seguenti domande :
- chi sono i nostri potenziali clienti ?
- perché i nostri clienti dovrebbero acquistare il nostro prodotto?
- possiamo davvero realizzare il prodotto “adatto” ai potenziali utenti individuati?
Nel caso di interessi motivanti di natura economico/finanziario l’idea imprenditiva è un sistema
concreto per generare “valore finanziario” attraverso lo scambio.

Il capitale di rischio è costituito dall’apporto di risorse inizialmente fornite dal soggetto


promotore .
Il capitale di rischio costituisce un componente indispensabile per la nascita dell’impresa non solo
perché giuridicamente necessario ,ma anche perché consente :
- di ottenere le risorse per iniziare a svolgere l’attività senza alcun costo per l’impresa.
- di attrarre ulteriori capitali da altri potenziali finanziatori, poiché maggiore è l’entità de capitale di
rischio maggiore è la credibilità dell’iniziativa nei confronti dei terzi potenziali finanziatori.

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2- Sistema delle capacità operative fondamentali. La creazione del sistema delle capacità è il
primo atto dell’impresa costituita. Per poter essere in grado di svolgere le attività funzionali verso
l’esterno è necessario disporre delle adeguate capacità ,che altro on sono che “il saper fare”
dell’impresa.
Questo sistema delle capacità è costituito da :
- capacità di approvvigionamento
- capacità di trasformazione
- capacità di vendita
- capacità finanziaria ,essere in grado di attrarre nuove risorse finanziarie sia a titolo di capitale di
rischio che a titolo di capitale di credito.

Il sistema delle capacità deve essere costituito da relazioni di coerenza che rendono l’entità e la
natura delle capacità tra loro opportunamente compatibili. Ricordiamo la relazione quantitativa tra
capacità di trasformazione e capacità di vendita, se la capacità di vendita è inadeguata rispetto a
quella di produzione la nuova impresa manifesterà un eccesso di produzione rispetto alla capacità
di collocamento sul mercato del prodotto.

CENNI SULLA CONTINUITA’ , CAMBIAMENTO E DISSOLUZIONE DELL’IMPRESA.

Dopo la nascita ,l’impresa è in grado di continuare ad esistere fino a quando dispone di un


“bilancio energetico” positivo, vale a dire il saldo tra valore immesso nel contesto socio-economico
è maggiore di quello acquistato dall’esterno .
Il percorso evolutivo (dell’impresa) è da intendersi come modificazione indotta e deliberata dal
vertice imprenditoriale del sistema d’impresa per il conseguimento di quegli obiettivi giudicati
rilevanti per l’impresa nel medio-lungo periodo. E’ possibile individuare (nel cambiamento attivo)
tre processi evolutivi fondamentali :

1- Processo di sviluppo ,si qualifica come un cambiamento radicale e positivo dell’impresa, di


natura quantitativa e/o qualitativa. L’elemento che distingue il processo di sviluppo dagli altri
processo non risiede in una diversità degli obiettivi ,ma nella prospettiva con cui tali obiettivi sono
perseguiti. Si ha una prospettiva di conquista. Il processo di sviluppo è temporalmente limitato, a
causa dei limiti alla disponibilità delle risorse, specialmente quelle finanziarie. Concettualmente
non esiste una netta distinzione tra sviluppo e stabilità. Nel corso dei processo di stabilità vengono
creati i punti di forza dell’impresa su cui fondare il successivo sviluppo dell’impresa.

2- Processo di stabilità. In questo processo la prospettiva è quella del mantenimento e difesa


delle condizioni raggiunte durante lo sviluppo. Solo in questo modo è possibile raccogliere i frutti
degli investimenti realizzati durante il processo di sviluppo.
Le risorse che si creano durante il processo di stabilità devono essere in primo luogo utilizzate per
consolidare la posizione economico-finanziaria, squilibrata durante lo sviluppo a causa
dell’indebitamento. Tuttavia il consolidamento della posizione economico-finanziaria dovrebbe
assorbire solo una parte della ricchezza prodotta. L’altra parte restante dovrebbe essere utilizzata
per generare una crescita equilibrata ,tipica del processo di stabilità.
L’alternanza dei processi di sviluppo e stabilità descrive la dinamica fisiologica dell’impresa.
Durante tale dinamica possono intervenire eventi indesiderati ,non adeguatamente affrontati dal
vertice imprenditoriale. Questo processo involutivo porta ad un peggioramento delle condizioni di
funzionamento dell’impresa che progressivamente portano ad uno stato di crisi, che si
concretizza nel momento in cui l’impresa risulta incapace di soddisfare le aspettative ,cioè non è in

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grado di produrre abbastanza valore. Il stato di crisi richiede un intervento imprenditoriale che può
assumere contenuti radicalmente diversi in funzione del giudizio espresso circa il grado di
reversibilità della situazione di crisi, la quale è funzione sia della gravità della situazione di crisi
che della disponibilità dei soggetti interessati all’attività d’impresa a contribuire a ricreare le
condizioni di normalità. Spesso le difficoltà che affronta l’impresa ,per poter essere concretamente
risolte necessitano di interventi dei soggetti che gravitano intorno all’impresa che accettano di
mettere a disposizione nuove risorse (es. proprietari ed istituti di credito) oppure rinunciano al
rispetto puntuale di alcuni degli adempimenti contrattuali (es. maggiore dilazioni di pagamento
concesse dai fornitori ). Proprio il giudizio sulla reversibilità della crisi condizionerà il percorso
evolutivo dell’impresa.
Nel caso di crisi irreversibile (impossibilità di ricreare le condizioni di normalità dell’impresa) ,il
cambiamento sarà finalizzato alla cessazione dell’attività d’impresa attraverso la liquidazione
massimizzando il valore di realizzo.

3- Processo di risanamento . Nel caso di crisi reversibile l’azione imprenditoriale sarà finalizzata
ad attuare un vero e nuovo processo strategico detto processo di risanamento la cui prospettiva è
di ripristinare le condizioni di prima. Prima che ciò sia possibile è necessario fare un’accurata
attività di diagnosi che consenta di stabilire quali siano le cause che hanno portato alla crisi ( la
diagnosi deve attuarsi su tre piani : strutture ,capacità e livelli di funzionamento ). Soltanto dopo
tale attività ,l’imprenditore è in grado di individuare quali devono essere le nuove scelte da fare. ( +
fig. 1.8 )

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PARTE 2 : IL SISTEMA D’IMPRESA . ELEMENTI COSTITUTIVI .

Entriamo ora all’interno dell’impresa.


Due sono i fondamentali chiavi di lettura del sistema d’impresa :

1- LA VISIONE PER APPARATI – CAPACITA’ – COMPORTAMENTI

Secondo questa visione l’impresa viene distinta tra :


- comportamenti di autostrutturazione  volti ad organizzare il sistema aziendale ,che si
traducono in apparati e capacità funzionali
- comportamenti funzionali  rivolti all’esterno del sistema aziendale ,che si traducono in risultati
operativi.
I comportamenti funzionali ,orientati all’esterno dipendano dai comportamenti di autostrutturazione
che sono invece rivolti all’interno ,mirando a generare capacità.
N.B : Concetto di apparato vs concetto di capacità. L’apparato attiene ad elementi materiali o
immateriali disponibili. Le capacità costituiscono invece potenzialità d’uso. Esempio : l’assunzione
di una unità di personale determina crescita di apparato –elemento di personale aggiunto – e di
capacità – nuove potenzialità di lavoro . ( + fig. 2.1 )

2- LA VISIONE PER ASSETTI COSTITUTIVI

L’impresa è costituita da tre assetti :


- l’assetto proprietario
- l’assetto imprenditoriale
- il sistema operativo

1- L’ASSETTO IMPRENDITORIALE

LE FUNZIONI

Il vertice imprenditoriale costituisce l’apice del potere decisionale. Spetta a questi individuare gli
obiettivi e le relative strategie di attuazione, organizzando il sistema operativo nel tentativo di
creare le condizioni di sviluppo o almeno di sopravvivenza nel lungo periodo.

Tre sono le funzioni essenziali dell’attività imprenditoriale :


1- Funzione strategica  L’impresa si trova ad operare in un ambiente ostile in cui tutti i pubblici
( clienti, fisco, banche, concorrenti ecc ) possono in qualche modo metterla in difficoltà. La
presenza di questi soggetti rende necessaria da parte dell’impresa l’adozione delle strategie
mediante le quali affrontare e sconfiggere le insidie ambientali. La prima funzione è quindi
l’impostazione e soluzione dei problemi dello sviluppo in chiave strategica, per esercitare
tale funzione è necessario guardare al futuro, intuire i fattori di cambiamento ambientale ,in
funzione dei quali modificare la struttura d’impresa.

2- Funzione organizzativa  Definita la strategia ,per creare le condizioni che questa venga
seguita è necessario che l’imprenditore risolva problemi di natura organizzativa. In questo caso
l’imprenditore impartisce le direttive fondamentali alle varie aree funzionali ed al tempo stesso ,sia
in sede di progettazione della struttura organizzativa che dopo , coordina l’attività delle aree
funzionali in modo che la loro azione risulta armonica e coerente. ( si pensi all’opposto caso in cui
non vi sia coordinazione tra il direttore di marketing e quello di produzione. Si arriva alla
realizzazione di un prodotto con caratteristiche inadeguate o inutili per il mercato )

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3- Funzione politica  Questa funzione ha natura politica e si esplicita nella continua


armonizzazione degli interessi contrastanti che ruotano intorno all’impresa. Non va confusa con la
funzione strategica : la strategia è finalizzata al raggiungimento di un obiettivo per ottenere una
qualche superiorità ,la politica invece non ha come finalità la sconfitta dell’avversario ,ma
l’individuazione di una soluzione in grado di conciliare nel miglior modo gli interessi contrapposti.

LA STRUTTURA

Il vertice imprenditoriale può assumere varie forme in relazione alla numerosità dei soggetti da cui
è composto ed alla articolazione al suo interno delle responsabilità e del relativo potere
decisionale.
- vertice imprenditoriale monopersonale  le funzioni sono svolte da un unico soggetto.
- vertice imprenditoriale pluripersonale  è costituito da un gruppo integrato di soggetti.

- vertice imprenditoriale a struttura monocentrica, nel caso in cui i soggetti che lo compongono
attuano un unico comune sistema di processi collegiali di decisione. Si distingue il vertice
monocentrico indifferenziato dal vertice monocentrico differenziato , in cui attraverso la delega
l’attività decisionale risulta in vario grado differenziata .
Nei casi più articolati l’impresa può far parte di “complessi economici” controllati da una proprietà
“capo gruppo” . In questi casi siamo in presenza di “pseudo imprese “ forzatamente prive di
imprenditorialità. L’organo imprenditoriale è perciò fuori dalla loro struttura organizzativa.

- vertice imprenditoriale a struttura pluricentrica . In altri casi il successo del “complesso


economico “ poggia sulla vitalità e sulla relativa autonomia delle imprese che lo compongono
,quindi il governo di questi complessi economici ( es. multinazionali ) è di tipo policentrico . In essi
si ha il vertice del gruppo in cui si esercitano le funzioni che garantiscono la sopravvivenza del
gruppo nel suo insieme, integrato da tanti centri imprenditoriali quanto sono le imprese di cui
questo è composto.

La struttura del vertice imprenditoriale si adatta sia alle imprese condotte con logica privatistica
(logica individuale e di impresa) sia a imprese a mano pubblica. In questo caso le funzioni
imprenditoriali superano i confini dell’impresa risiedendo in parte anche in organi pubblici che
partecipano agli processi decisionali delle dette imprese. Tipico è il caso del coinvolgimento diretto
nella gestione della proprietà ,con il rischio per l’imprenditore da svanire nel nulla dando avvio ad
un processo di deimprenditorializzazione .

I METODI DI GOVERNO

Si intuisce che non tutti i vertici imprenditoriali esercitano le loro funzioni nello stesso modo, con gli
stessi strumenti , con lo stesso “metodo di governo” .
1- Vi sono imprenditori intuitivi ,improvvisatori che decidono sul momento senza obiettivi e senza il
ricorso a strumenti informativi. Si tratta di una “direzione intuitiva “ .

2- Altri imprenditori pongono obiettivi alla loro azione, tracciano un disegno strategico da realizzare
nel medio lungo periodo ,ma non procedono ad un’attività di sistematica programmazione. Si tratta
di una “direzione orientata “ lungo le tracce segnate da un disegno strategico verso obiettivi
seppur non nitidamente definiti, in cui l’azione trova sostegno attraverso un controllo esercitato su

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risultati passati determinati, sottoposti ad empiriche estrapolazioni.

3- Più le attenzioni del vertice imprenditoriale sono portate sugli obiettivi e sui piani , tanto più si
sposta l’ottica di osservazione del divenire dell’impresa da ciò che è stato a ciò che sarà. In questo
caso il metodo di governo può essere definito “metodo della direzione per obiettivi “ , la quale
può assumere diverse forme in relazione al grado di intensità con cui gli obiettivi sono utilizzati.
Possiamo distinguere due forme limite :
- l’autogoverno al vertice per obiettivi, in cui l’organo imprenditoriale mira agli obiettivi di fondo,
procedendo alla loro segmentazione in alcuni sotto-obiettivi essenziali al livello imprenditoriale .
Esso governa esercitando un controllo sulla costante valutazione del grado di raggiungimento dei
sotto obiettivi, intervenendo per ridurre lo scostamento tra obiettivi e risultati.
- la direzione per obiettivi propriamente detta , invece, è essenzialmente un fatto organizzativo.
Questo implica ,in primo luogo, il riconoscimento dell’obiettivo come mezzo logico-organizzativo
idoneo a finalizzare le azioni e le risorse al raggiungimento di determinati traguardi. Richiede poi il
passaggio dalle obiettivi strategici alla loro definizione in termini “misurabili” e successivamente
l’articolazione ed attribuzione degli obiettivi ai vari centri decisionali responsabilizzati a conseguirli.

4- E’ possibile anche attuare una “direzione per eccezioni” ,dove le eccezioni suscitate dalle
deviazioni dei fatti manifestati in confronto a quelli previsti nei piani sono utilizzate sia per
responsabilizzare i centri decisionali dove gli scostamenti hanno luogo, sia per indirizzare l’attività
decisionale del vertice imprenditoriale.

N.B : i metodi di governo non vengano utilizzati distintamente, ma in modo congruo .

I MODELLI IMPRENDITORIALI

Fazzi individua due fondamentali figure imprenditoriali :


- imprenditore tradizionale
- imprenditore moderno
Tale classificazione risulta non pienamente rispondente alla realtà, molti imprenditori sono
difficilmente collocabili nell’una o nell’altra categoria avendo caratteri di entrambe.

Gli elementi necessari ad individuare i diversi modelli imprenditoriali possono essere distinti in
tre raggruppamenti fondamentali :

1- REQUISITI PERSONALI , sono costituiti dall’insieme di attributi necessari per l’esercizio


dell’attività imprenditoriale. Si può fare riferimento a :
- capacità di resistenza fisica
- ambizione
- intuizione
- laboriosità ,ecc .

2- VARIABILI O CARATTERI ,presenti all’interno di ciascun soggetto con diversi livelli d’intensità ,
quali :
a) titolarità del capitale di rischio da parte dell’imprenditore. Vi sono due situazioni limite :
- completa titolarità del capitale di rischio ( imprenditore proprietario )  l’imprenditore-proprietario
avendo le caratteristiche e le funzioni sia dell’assetto imprenditoriale che proprietario, ha il
vantaggio di risolvere le problematiche conflittuali tra i due assetti. Non deve per esempio

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preoccuparsi di convincere la proprietà a finanziare il processo di sviluppo. D’altro canto deve


avere ben chiara la propria inclinazione verso l’uno o l’altro assetto ;se sceglie di essere
essenzialmente imprenditore dovrà sacrificare i propri interessi di proprietario rinunciando alla
distribuzione del reddito.
- completa mancanza di titolarità del capitale di rischio.
Tra due questi situazioni limite vi sono tutta una serie di “posizioni intermedie” .

b) propensioni , da intendersi come inclinazioni specificamente legate al carattere


dell’imprenditore . Tre sono le fondamentali :
1- Propensione alla delega – con la delega l’imprenditore affida parte della propria attività
decisionale ad altri soggetti presenti all’interno della struttura organizzativa.
- una scarsa propensione alla delega ( tipica dell’imprenditore tradizionale) genera una situazione
di accentramento decisionale nelle mani dell’imprenditore, il quale si troverà a prendere decisioni
sia di natura strategica che operativa con il risultato di non essere in grado di gestire con efficienza
il sistema.
- un’ eccessiva propensione alla delega pone l’imprenditore nell’oggettiva impossibilità di
controllare il sistema.
A quale livello gerarchico deve essere attribuita una determinata decisione ? (in caso di una
struttura organizzativa complessa con più livelli gerarchici )
Il principio generale è quello di collocare la decisione al livello di competenza più basso possibile
(sopra il livello operativo ) , in modo che gli organi superiori non devono dedicare il proprio tempo a
scelte realizzabili anche da organi inferiori.
2- Propensione al rischio – si riferisce all’inclinazione dell’imprenditore ad affrontare le
conseguenze potenzialmente connesse con una determinata azione.
- una scarsa propensione al rischio può indurre l’impresa ad un perdurante immobilismo in grado di
pregiudicare la stessa sopravvivenza dell’impresa.
- un’eccessiva propensione al rischio è altrettanto pericolosa ,poiché il verificarsi di eventi
imprevisti o sottovalutati può avere conseguenze tragiche per l’impresa.
3- Propensione all’innovazione – misura l’inclinazione dell’imprenditore a porre in essere un
cambiamento significativo della struttura aziendale. L’innovazione dà luogo alla resistenza al
cambiamento.
- Se l’imprenditore è resistente al cambiamento ,l’impresa rischia di non essere in grado di
innovarsi nel momento più favorevole perdendo occasioni di sviluppo.
- Se l’imprenditore innova con eccessiva frequenza l’impresa rischia di inseguire sempre qualcosa
di nuovo senza mai usufruire le loro vantaggi.

c) logica di azione ,le quali sono :


1- Logica economica – prende in esame il modo nel quale l’imprenditore gestisce il problema
della distribuzione della ricchezza prodotta, e stabilisce a quale degli interlocutori dell’impresa è
destinata la ricchezza prodotta. Due situazione limite :
- la ricchezza è distribuita ad un unico interlocutore ( imprenditore-proprietario)
- la ricchezza è distribuita in funzione delle esigenze specifiche di ciascun interlocutore.
2- Logica programmatica – ha come oggetto il modo in cui l’imprenditore affronta la valutazione
del futuro.
Tale logica riguarda la prevalenza dell’intuito o dell’informazione quali strumenti per la
valutazione del futuro.
La logica programmatica comprende anche il modo nel quale ci si avvicina al futuro. Due sono i
fondamentali impostazioni :
- logica estrapolativa , il futuro è visto come evoluzione lineare del passato, ipotizzando che

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l’esperienza accumulata nel passato sia valida anche per il futuro


- logica prospettica, si cerca di prevedere il futuro in modo del tutto slegato dal passato, basata
su indagini di mercato o altri strumenti simili in grado d’indagare il futuro.
L’imprenditore tradizionale è caratterizzato da intuito e logica estrapolativa ,mentre quello moderno
da utilizzo di informazioni e logica prospettica.
3- Logica di controllo, si riferisce al modo ed al tempo in cui l’imprenditore svolge la propria
attività di controllo
Modo :
- controllo sull’azione ,l’imprenditore controlla il dipendente mentre questi svolge le proprie
mansioni.
- controllo sui risultati ,l’imprenditore si limita a controllare solo il risultato raggiunto non curandosi
del modo in cui questo è stato raggiunto ,dando fiducia alla capacità del dipendente.
Tempo:
- controllo concomitante ,controlla tutta l’azione.
- controllo susseguente , controlla al fine dei piccoli fasi durante l’azione.
L’imprenditore tradizionale svolge un controllo sull’azione e di tipo susseguente.

d) cultura specifica, si fa riferimento alla matrice intellettuale dell’imprenditore, la sua


preparazione specifica formata in seguito agli studi svolti o alle precedenti esperienze lavorative.
Tre sono le diverse tipologie di cultura specifica :
- tecnologia  la prevalenza di una cultura tecnologica porta l’imprenditore a porre maggior
attenzione alle caratteristiche tecniche del prodotto ,alle fasi del processo produttivo, al tentativo di
migliorare il proprio potere tecnologico.
- di marketing  la prevalenza di una cultura di marketing porta l’imprenditore a concentrare la
propria attenzione sul mercato, sulle caratteristiche che il prodotto deve possedere per soddisfare
le esigenze dell’utenza, nel tentativo di aumentare il proprio potere sul mercato.
- finanziaria  la prevalenza di una cultura finanziaria porta l’imprenditore a utilizzare la leva
finanziaria acquisendo capitali esterni fino ai limiti di convivenza e costituendo gruppi con
partecipazioni a catena (che permette di ottenere un risparmio di capitale investito grazie alla
presenza di più soci ) nel tentativo di aumentare il proprio potere finanziario.
- amministrativa  in questo caso l’imprenditore pone particolare attenzione al contenimento dei
costi nel tentativo di costituire un sistema dotato di un forte equilibro economico. (necessario in
periodi di crisi o risanamento )

3 – FUNZIONI :
- strategica
- organizzativa
- politica (tutti già visti)

2- L’ASSETTO PROPRIETARIO

LE MODALITA’ DI FUNZIONAMENTO

L’assetto proprietario è costituito dall’insieme di soggetti detentori del capitale di rischio e


opportunamente organizzati per l’assunzione delle decisioni legate allo svolgimento delle

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specifiche attività.

I soggetti che compongono l’assetto proprietario sono identificabili attraverso la titolarità del
capitale di rischio : tutti quelli che detengono quote di una società si qualificano proprietari ed
hanno diritto all’esercizio delle funzioni proprietarie ed agli obblighi ad essa connessi. Quindi
l’identificazione della proprietà può facilmente aver luogo basta vedere la titolarità delle quote
societarie.

L’attività decisionale della proprietà è svolta in un apposito “luogo” : assemblea dei soci o azionisti
che si riunisce per prendere delle decisioni a sua competenza. Le decisioni all’interno
dell’assemblea sono assunte sulla base del principio di maggioranza. Colui o coloro che sono in
grado di detenere la maggioranza del capitale di fatto controllano l’attività decisionale dell’assetto
proprietario. All’interno dell’assetto proprietario due sono le componenti fondamentali :
- il capitale di comando , composto da coloro che detengano la maggioranza delle quote
- il capitale di minoranza

LE FUNZIONI PROPRITARIE

Tre sono le funzioni dell’assetto proprietario :

1- LA FUNZIONE DI CAPITALIZZAZIONE
La prima e più caratteristica funzione della proprietà è quella funzione di natura essenzialmente
finanziaria che si concreta nell’apporto di risorse a titolo di capitale di rischio.
La proprietà può influire sull’entità delle risorse a disposizione dell’impresa non solo in forma
diretta, attraverso il conferimento di mezzi a titolo di capitale di rischio, ma anche a forma
indiretta, creando le condizione – sia attraverso l’adeguata capitalizzazione dell’impresa, sia
attraverso forma di garanzia di tipo personale – per attrarre capitale di credito; in questo senso la
proprietà svolge un ruolo decisivo nella determinazione della complessiva struttura finanziaria.

La proprietà e l’apporto di capitale di rischio.

- Quanto riguarda il primo aspetto della funzione di capitalizzazione ,quello dell’apporto dei mezzi
propri, l’attitudine dell’assetto proprietario a svolgere il suo ruolo istituzionale può essere valutato in
relazione alla capacità di capitalizzazione , ovvero alla capacità di contribuire al raggiungimento
o al mantenimento di una solida struttura finanziaria attraverso conferimento di un’adeguata entità
del capitale di rischio , adeguata sia nel senso della sua entità assoluta che del mantenimento di
un rapporto fisiologico fra capitale proprio e capitale di credito.
- I riflessi sull’entità e sulla struttura del capitale di finanziamento dopo l’apporto dei mezzi
propri : se un aumento di capitale interviene in una situazione in cui non vi è un incremento del
complessivo fabbisogno finanziario, ne deriverà un rafforzamento della struttura finanziaria
dell’impresa attraverso un incremento dell’incidenza dei mezzi propri rispetto al capitale di credito.
Al contrario se quella operazione succede in un’espansione del fabbisogno finanziario, i suoi effetti
sulla solidità della struttura finanziaria devono essere valutati alla luce di un’eventuale incremento
anche del capitale di credito (non è detto che l’aumento di capitale proprio in un’espansione del
fabbisogno può mantenere solida la struttura finanziaria ) .
L’apporto di (ulteriori) risorse a titolo di capitale di rischio può avvenire secondo tre
fondamentali modalità :
- attraverso il trasferimento di risorse dal proprio patrimonio a quello dell’impresa.

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- accettando l’ingresso di nuovi soci.


- reinvestendo nell’impresa parte dell’utile dell’esercizio, attivando cosi la modalità di
autofinanziamento da reddito.

Le prime due modalità danno luogo ad operazioni di “finanza straordinaria” realizzata attraverso
l’aumento di capitale a titolo oneroso . L’autofinanziamento è invece un’operazione di tipo
ordinario.

L’autofinanziamento da reddito si ha quando sia presa la decisione di non distribuire ai titolari


del capitale proprio una certa quota degli utili conseguiti nell’esercizio. Si può fare
autofinanziamento da reddito in due modi :
- in modo palese ,ovvero accantonando parte del reddito conseguito nelle riserve del netto.
- in modo occulto ,dove parte del reddito effettivamente realizzato è occultato nel passivo –ad es.
con una intensificazione dei fondi rischi, oppure nell’attivo – rinunciando alla capitalizzazione di
costi degli investimenti pluriennali e dell’accelerazione dei processi di ammortamento (es. i costi di
pubblicità –destinata ad avere effetti pluriennali - vengono imputati all’esercizio in cui è stata
realizzata ,dando luogo ad un reddito inferiore a quello reale.

Anche l’autofinanziamento da reddito porta all’incremento dei mezzi propri a disposizione


dell’impresa. Ciò è evidente nel caso dell’autofinanziamento in modo palese, in quanto tramite la
costituzione delle riserve di utili o l’aumento di quelle già esistenti ,quest’operazione determina un
aumento del valore del patrimonio netto. Le riserve cosi costituite finiscono spesso per essere
trasformate in capitale sociale – operazione di aumento di capitale gratuito.

Le peculiarità ( caratteristiche) dell’autofinanziamento da reddito rispetto all’aumento di


capitale a titolo oneroso :
1- la prima riguarda l’origine delle risorse oggetti di conferimento : nel caso
dell’autofinanziamento i nuovi mezzi finanziari hanno un’origine “interna” all’impresa; nel caso di
aumento di capitale queste risorse hanno un origine “esterna” , cioè provengono da una sfera
patrimoniale distinta da quella dell’impresa.
Quest’ultima considerazione va in contrasto con gli studi di economia aziendale ,dove l’aumento di
capitale a titolo oneroso viene presentata come una fonte interna. Tuttavia, al di fuori dei casi
dell’impresa individuale e delle società di persone – dove non c’è una netta distinzione tra
patrimonio dell’impresa e quello personale del titolare o titolari dell’impresa – nelle altre imprese
( società di capitale) ci troviamo di fronte a due sfere patrimoniali distinte. In questo caso , i nuovi
conferimenti di capitale non rappresentano una fonte sotto il controllo imprenditoriale ,ma una
potenziale via la cui attivazione deve essere negoziata con i titolare del capitale ( soci ,azionisti ),
più o meno come nel caso di finanziamento a titolo di credito. In questo modo ,al socio si apre la
possibilità di finanziare l’impresa conferendo nuove risorse a titolo di credito ,mediante per
esempio la sottoscrizione di un prestito obbligazioniari .

2- la seconda distinzione sta nel fatto che , mentre nel caso dell’autofinanziamento si ha un
aumento dei mezzi propri senza un riflesso sull’assetto interno della proprietà; nel caso di capitale
a titolo oneroso si verificano degli cambiamenti nella distribuzione delle quote di proprietà fra i
diversi soci, e quindi eventuali cambiamenti di potere. Da questo punto di vista si può vedere
anche come cambia il ruolo e il potere dei soci esistenti all’interno dell’impresa, i quali in relazione
alle esigenze di capitalizzazione dell’impresa dovranno valutare la possibilità di fare spazio a nuovi
soci ,da cui può derivare una riduzione del proprio potere di controllo sull’impresa.

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- E’ importante sottolineare che la proprietà non è estranea neppure alle decisioni in merito
all’autofinanziamento. La decisione di non distribuire ai titolari dell’impresa, in tutto o in parte, il
reddito conseguito nell’esercizio necessità la “conferma” della proprietà. Comunque si possono
trovare anche eccezioni ,in cui non esista un nucleo proprietario in grado da contrastare la volontà
degli imprenditori.

La proprietà ed il ricorso al capitale di credito.

Dal punto di vista della copertura del fabbisogno finanziario, il ruolo della proprietà non è solo
l’apporto del capitale di rischio ,ma anche “attrarre” capitale di credito. Questo intervento può
avvenire :
- in modo indiretto , come il riflesso delle scelte operate in termini di capitale di rischio: una buona
capitalizzazione rappresenta un importante forma di garanzia nei confronti dei possibili
finanziatori, per reperire i mezzi finanziari ( di credito) con maggiore facilità.
- in modo diretto , cioè attraverso la propria capacità di credito, che può essere correlato sia
dall’entità del patrimonio personale dei proprietari ,sia dal grado di affidabilità di coloro che fanno
parte del capitale di controllo.

Anche in questo caso, il ruolo della proprietà non deve essere valutata solo in termini di
“capacità” di attrarre capitali di credito ,ma anche in relazione alla sua “disponibilità” ad attivare
questa fonte di finanziamento. Ciò vuol dire, ottenere capitale di credito ,se da un lato rappresenta
un mezzo per ampliare la disponibilità delle risorse finanziarie , dall’altro significa contrarre debiti
che dovrebbero poi essere rimborsati .Per questo motivo – in virtù della propria responsabilità
patrimoniale nei confronti dei creditori dell’impresa – la proprietà deve svolgere un’attività di
vigilanza sul livello di indebitamento dell’impresa, evitando un eccessiva ed immotivata
propensione dell’organo imprenditoriale all’indebitamento dell’impresa, il quale potrebbe portare a
situazioni di squilibrio finanziario ed economico e anche situazioni di crisi per l’impresa.
Tuttavia, anche se è importante una certa vigilanza ,è altrettanto importante che la proprietà non si
affetta da una eccessiva prudenza. Una certa propensione al rischio è comunque necessaria.

2- LA FUNZIONE DI NOMINA E DI LEGITTIMAZIONE DELL’ORGANO IMPRENDITORIALE

Almeno sul piano potenziale ,la proprietà si trova in una posizione di supremazia nel confronto
dell’intero sistema-impresa, potendo svolgere decisioni in merito alla gestione dell’impresa ed
all’utilizzo dei suoi beni.
In relazione allo svolgimento dell’attività imprenditoriale ,due sono le funzioni rilevanti della
proprietà :
1- la funzione di nomina a di legittimazione dell’organo imprenditoriale  questa funzione si
collega al potere che la proprietà ha di decidere in merito a chi debba governare l’impresa,
potendo decidere :
- mantenere l’esercizio del ruolo imprenditoriale nell’ambito delle proprietà stessa ;
- delegando ad uno o più dei suoi membri le relative attribuzioni
- delegando questo compito a dei managers professionisti non facenti parte dell’assetto
proprietario.
Quando la proprietà decida di delegare ad alcuni dei suoi membri o a dei managers il governo
dell’impresa ,il problema che si pone è la scelta di tali soggetti . I membri del capitale di controllo
devono essere in grado di compiere delle valutazione consapevoli in quadro di scelta dei questi
soggetti. Comunque è importante segnalare che spesso la base in cui tale scelta viene compiuta

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riguardano piuttosto i rapporti personali della proprietà con tali soggetti, che un’attenta e
consapevole valutazione dell’attitudine di un determinato soggetto a ricoprire i ruoli di governo o
direzione. Questa eventualità si verifica con maggiore frequenza nell’ambito dell’impresa minore.

La funzione della proprietà in questo ambito, non risiede nella semplice decisione di affidare ad un
soggetto il compito di governare e direzionare l’impresa, ma anche dando a tali soggetti la
legittimazione a svolgere quella attività. Questa funzione ( di legittimazione) deve essere svolta in
modo continuativo ,poiché l’organo imprenditoriale, per svolgere i propri compiti ,ha bisogno di
trovare costantemente supporto nella proprietà, o almeno di non essere in contrasto con essa –
cosa che porterebbe ad un impossibilità di tenere sotto controllo il funzionamento del sistema
aziendale.
Nel caso invece ,quando proprietà e organo imprenditoriale coincidano ,il problema della
legittimazione di quest’ultimo non si pone. Questa situazione non può tuttavia essere considerata
come normalità. Lo stesso anche nel caso in cui l’imprenditore è rappresentato da uno dei
componenti dell’assetto proprietario, ciò non significa che egli assuma in se tutto il potere di
“controllo proprietario”. Dunque la sua attività sarà sottoposta al consenso della proprietà nel suo
complesso.

Un'altra osservazione riguarda i casi in cui la proprietà non sia in grado o eviti di svolgere questa
funzione.
Ciò può avvenire nei casi in cui la proprietà assuma un atteggiamento assenteista o sia composta
da soggetti non in grado di rendere effettiva la propria posizione di supremazia. Anche nelle
società in cui la proprietà è estremamente frazionata non è in grado di esprimere un gruppo di
controllo. In questo caso ,l’organo imprenditoriale non viene a trovare la propria legittimazione
nella proprietà, ma è lo stesso management che si “autolegittima” . Ciò tuttavia, non significa che si
possa trascurare del tutto il ruolo della proprietà . Anche nel caso di una Public Company
“classica” (quella in cui l’azionariato è talmente diffuso da non essere in grado di esprimere uno
stabile gruppo di controllo) ,anche se il vertice imprenditoriale gode di un ampia libertà ,è tuttavia
difficile che siano in grado di mantenere la loro posizione di potere qualora perdano la fiducia della
proprietà, per quanto questa possa essere frazionata, ciò soprattutto in una situazione di crisi.
Un altro aspetto ampiamente enfatizzato è quello che afferma che, nelle imprese a larga base
azionaria a fronte di una inefficiente conduzione da parte del management, sarà il mercato di
capitale a sanzionar e questo stato di fatto attraverso la diminuzione del valore di scambio delle
azioni, creando le premesse per nuovi soggetti a subentrare nel controllo dell’impresa – è il caso di
una “scalata” al capitale di controllo di un’impresa, magari operata dello stesso management
dell’impresa (management buy-out)

1.5 – la funzione di gestione dei manager – è quella attività della proprietà collocata fra la
funzione di “legittimazione” e quello di “orientamento” – ed è volta essenzialmente a motivare ed a
mantenere unito il gruppo dirigente. E’ un’attività che la proprietà può essere chiamata a svolgere
soprattutto nei momenti difficili della vita aziendale ( processo di risanamento )

2 – la funzione di orientamento strategico – rappresenta il potere della proprietà di esercitare un


controllo sull’operato del vertice imprenditoriale e di dettare gli orientamenti di fondo dell’attività
aziendale. ( funzione di indirizzo e di controllo sulle scelte di natura imprenditoriale operate da
questi ultimi )
Per analizzare in modo specifico questa funzione è utile distinguere tra funzioni della proprietà e
funzioni dell’organo imprenditoriale in relazione al processo di formulazione della strategia
d’impresa .

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La strategia d’impresa si può trovare nell’insieme di quei fondamentali decisioni che definiscono
l’identità effettiva e ricercata dell’impresa , evidenziando che cosa essa fa o vuole fare, perché lo
fa o lo vuole fare, come lo fa o lo vuole fare . In altri termini la strategia d’impresa può essere vista
come il modo in cui l’impresa ricerca il proprio successo, e di conseguenza come il modo in cui
definisce i propri rapporti con l’ambiente.
Si può distinguere :
- l’orientamento strategico di fondo di un’impresa  da intendersi come l’insieme di idee ,valori
e atteggiamenti prevalenti nell’impresa con riguardo al campo di attività, alla sua filosofia
gestionale ed organizzativa, ai fini e agli obiettivi che si intende perseguire.
L’orientamento strategico di fondo può dunque essere considerata come la parte nascosta ed
invisibile del suo disegno strategico, che trova poi concreta manifestazione nella formulazione e
attuazione delle strategie d’impresa, a loro volta articolate si due livelli : il livello “aziendale” e
quello “funzionale” .
1- strategie d’impresa articolate su livello aziendale – insieme di decisioni strategici che
investono l’impresa nel suo complesso: le scelte relative alla logica competitiva da adottare, ai
criteri di fondo in base a cui costruire la propria architettura organizzativa, ed ai flussi di
investimento e finanziamento da mettere in atto.

N.B : l’adeguatezza o meno di una determinata strategia aziendale deve essere vista in base a
due aspetti : 1- alla sua effettiva capacità di assicurare all’impresa risultati positivi.
2- alla sua possibilità di essere concretamente realizzata.

2- strategie d’impresa articolate su livello funzionale – le strategie funzionali rappresentano la


traduzione delle scelte inerenti la strategia competitiva adottata sul piano delle aree funzionali in
cui può essere divisa l’attività decisionale dell’impresa.
Le decisioni che si collocano a questo livello riguardano in particolare le scelte in tema di
produzione e di marketing (anche se potrebbe essere possibile identificare per ogni tipo di
problematica – produttiva, commerciale, finanziaria, organizzativa ecc - una componente che si
colloca sul livello “aziendale” ed una di tipo “funzionale).

Qual è il coinvolgimento della proprietà nel processo di formulazione e di attuazione delle


strategie aziendali ?
Questo coinvolgimento può manifestarsi a due livelli :
- a livello di determinazione dell’orientamento strategico di fondo dell’impresa  in questo livello, la
proprietà ha un’influenza di rilievo nel determinare l’insieme delle idee, dei valori e degli
atteggiamenti che caratterizzano l’ambiente interno all’impresa; questo soprattutto perché la
proprietà rappresenta un elemento di continuità rispetto al management che può essere
sottoposto ad un ricambio più rapido.
Da questo punto di vista, la proprietà può rappresentare un elemento di conservazione, che può
essere in certi casi salutare, ma che in altri può essere un ostacolo alla naturale innovazione di
un’impresa.
Sempre da questo punto di vista, la proprietà si può rilevare come una delle forze trainanti lo
sviluppo aziendale.
E’ innegabile che gli interessi della proprietà e la logica del suo agire, possano segnare in modo
significativo il modo di essere dell’impresa . In altri termini, è difficile comprendere i comportamenti
messi in atto da un certo sistema-impresa senza tener conto delle motivazioni che fanno capo
all’assetto proprietario.

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LE FORME DI CONTROLLO PROPRIETARIO

Analizziamo l’assetto proprietario secondo le modalità di esercizio del potere di controllo. Due sono
i casi estremi che si possono presentare :
1- Assetto proprietario unipersonale : l’intero assetto proprietario è costituito da un unico
soggetto che possiede tutte le azioni della società. Tale soggetto può essere una persona fisica,
Stato o un’altra impresa. Tutte le funzioni proprietarie ricadono su uno solo soggetto. Mancano le
situazioni conflittuali. Il soggetto ha totale libertà e in esso coincidono sia la titolarità del capitale di
rischio che il totale potere di controllo.
Questa situazione può essere vantaggiosa in termini di controllo , ma dal altra parte può dar luogo
a significativi limiti , quale ad esempio la limitata capacità di capitalizzazione, con conseguenze
negative sulle possibilità di crescita dell’impresa.
Un modello cosi può aver senso all’interno di un contesto più ampio in cui il soggetto crea una
piccola impresa collegata all’originale e la controlla totalmente. Si arriva alla costituzione di un
gruppo aziendale attraverso l’utilizzo dello strumento delle partecipazioni.

2- Assetto proprietario con totale separazione tra titolarità del capitale di rischio e potere di
controllo : è questo il caso di public company  sono imprese ad azionario diffuso in cui i
soggetti titolari di azioni sono tantissimi e le percentuali di capitale da questi detenute sono quindi
irrisorie ai fini del controllo. Anche i loro accordi sono non rilevanti.
La public company è la forma tipica delle grandi imprese anglo-sassoni ,dove è il vertice
imprenditoriale che detiene il controllo. La public company è il risultato di un progressivo
processo di espansione dell’azionariato ,associato alla quotazione nei mercati finanziari. Nessuna
impresa nasce public company ,ma si diventa successivamente.
Il vantaggio di questa forma proprietaria risiede nella facilità di ottenimento delle risorse finanziarie.

Un grave limite è invece rappresentato dal fatto che il vertice imprenditoriali controlla se stesso, e
quindi tenderà ad assumere atteggiamenti che privilegino la sua permanenza all’interno del vertice
stesso. Non solo questo, ma in genere i manager vengono remunerati sulla base dei risultati che
ottengono, risultati misurati attraverso indici di redditività. In questo modo il vertice imprenditoriale
tenderà di operare con una logica di breve periodo, accontentando sia l’azionariato che se stesso.
Tale logica però, non è di per se negativo, ma significa rinunciare a opportunità future, e inoltre
ridurrendo il tasso d’investimento ( quando le vendite si fermano e la redditività cale) porterà
l’impresa a diminuire di valore nel lungo periodo.

Tra questi casi limiti ,si collocano altre forme intermedie di controllo :
1- la prima ipotesi è quella del controllo assoluto (maggioranza assoluta)  un soggetto
detiene il 50% + 1 delle azioni della società, in tal modo controlla l’impresa attraverso il voto in
assemblea. Si crea cosi la classica distinzione tra capitale di maggioranza e capitale di minoranza.

Il svantaggio è la preclusione di opportunità di crescita. Inoltre nel caso di aumento di capitale ,il
soggetto proprietario è costretto, se vuole mantenere il controllo, a sottoscrivere tale aumento (non
accettando l’ingresso di nuovi soci) .
2- il caso di controllo relativo ( maggioranza relativa)  Nel caso in cui ciascun soggetto
dell’assetto proprietario abbia la stessa percentuale, si viene a creare una situazione in cui non c’è
una maggioranza stabile. Perché si ricrei una situazione di controllo è necessario che si tra alcuni

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soggetti vi sia un “accordo” sul esercizio del potere di controllo.


- il primo modo per ricreare la situazione di controllo riguarda il caso in cui i soggetti detentori del
capitale di rischio siano familiari. In questo caso riunendo le quote di ciascun familiare si ha la
possibilità di esercitare il controllo sulla società. Un vantaggio di tale situazione è che aumentano
le possibilità di capitalizzazione (ciascun familiare può apportare risorse, ecc.. ).
Lo svantaggio, invece riguarda il conflitto che si può avere tra i soggetti familiari (soprattutto
quando entrano i cugini, nipoti, ecc..).
- un altro modo per ricreare le condizioni di controllo è quello di creare un accordo parasociale
attraverso il quale si costruisce un sindacato di voto ,i soggetti che lo hanno sottoscritto si
impegnano a esprimere una volontà comune nel momento futuro in cui interverranno in
assemblea.
- altre colte l’accordo può essere informale. Ci sono due ipotesi :
 Società cooperativa : l’esercizio del diritto di voto è basato sulla persona, sul singolo individuo.
Tutti i soci hanno lo stesso peso ,nonostante la quota della partecipazione. Tipiche le cooperative
edilizie, finalizzate alla costruzione di immobili ad esclusivo vantaggio dei soci stessi.
 Società pubblica : si tratta di vere e proprie imprese di diritto pubblico. Gli organi societari si
trovano quindi al di fuori della stessa impresa (tipologia che negli ultimi anni si sta estinguendo).
- un’altra forma di controllo è quella di controllo di gruppo, la quale può essere definita come una
modalità operativa a disposizione del vertice imprenditoriale per minimizzare l’impiego di capitali
associati ad operazioni di acquisizione delle altre imprese. Si tratta di quella forma di controllo a
cascata in cui ogni società è controllata al 50% + 1 da un’altra società.

3-IL SISTEMA OPERATIVO

Il sistema operativo può essere definito come un sistema complesso di risorse coordinato dal
vertice imprenditoriale e finalizzato alla generazione di valore attraverso attività di scambio con
l’esterno. ( Il concetto di sistema operativo è assimilabile al concetto di azienda).

I PROCESSI OPERATIVI

Il sistema operativo è la combinazione di tre processi fondamentali (processi aziendali) :

1- Il processo materiale
Il processo materiale ha ad oggetto lo svolgimento dell’attività caratteristica dell’impresa (es.
produzioni di beni e servizi) e si effettua nella successione di tre fasi fondamentali :
- acquisizione dei fattori produttivi necessari alla realizzazione del prodotto (approvvigionamento) .
- combinazione dei fattori acquisiti attraverso il processo tecnico-produttivo per l’ottenimento di uno
o più prodotti cedibili sul mercato (produzione)
- vendita dei prodotti ottenuti (marketing)

2- Il processo finanziario
Il processo finanziario coglie i flussi e le relazioni finanziarie legate allo svolgimento dell’attività
d’impresa. Sono una conseguenza necessaria dei rapporti di scambio dell’impresa con l’esterno,
scambi di natura finanziaria ,caratterizzate cioè da una entrate o da una uscita di denaro.
Alcune di queste derivano dall’implementazione del processo materiale (entrate dalle vendite e
uscite dall’acquisto dei fattori produttivi) .
Altri flussi invece sono una conseguenza indiretta (uscite per investimenti) o rappresentano

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l’impiego delle risorse finanziarie generate dal processo materiale (accessione di finanziamenti,
pagamento delle imposte, distribuzione degli utili, ecc...)
3- Il processo informativo
Il processo informativo ha ad oggetto il complesso sistema di flussi di dati ed informazioni che
circolano all’interno dell’impresa e tra l’impresa ed i soggetti esterni.
Il processo informativo è un processo disperso all’interno del sistema operativo. Lo scambio di
informazioni accompagna quasi ogni azione dell’impresa ed a qualsiasi livello.
E’ utile distinguere i flussi informativi in :
- interni : l’informazione ha sia origine che destinazione all’interno dell’impresa.
- esterni : il flusso informativo coinvolge uno o più soggetti esterni all’impresa.

A seconda della finalità del flusso informativo interno si può distinguere :


- flussi “organizzativi” : derivano dalla necessità di realizzare in modo coordinato l’attività del
sistema operativo caratterizzata da specializzazione e divisione del lavoro, che richiede flussi
informativi :
-> verticali di tipo gerarchico
-> orizzontali di coordinamento tra soggetti che ricoprono la stessa posizione gerarchica .
- flussi “di controllo” : diffondono informazioni utili a migliorare la qualità dell’attività decisionale
all’interno del sistema operativo.

I flussi informativi esterni sono collegati alle relazioni impresa-ambiente e si possono distinguere
in:
- flussi in entrata : quali gli indagini di mercato, ecc..
- flussi in uscita : comunicazione pubblicitaria, pubblicazione del bilancio ecc..

Ogni azione svolta nell’ambito del sistema operativo ha i contenuti di almeno uno dei tre processi
aziendali ( materiale, finanziario, informativo). Quelli complessi sono anche una combinazione di
tutti i tre processi individuati. Si pensi all’azione di vendita ,sebbene abbia rilevanza la componente
materiale, è chiara la rilevanza sia della componente informativa ( prezzo, condizioni di vendita,
ecc..) che della componente finanziaria ( entrata monetaria conseguente della vendita) .

E’ chiara il legame che esiste tra il processo materiale prevalente con gli altri due processi
aziendali.
Se analizziamo il processo materiale nel tempo emerge come l’approvvigionamento e la vendita
rappresentano il momento rispettivamente iniziale e finale del processo materiale.
Da un punto di vista finanziario il processo materiale genera due eventi rilevanti :
- l’uscita monetaria (U) ,in conseguenza dell’attività di approvvigionamento;
- e l’entrata monetaria (E) ,in conseguenza dell’attività di vendita.
In condizioni normali le entrate sono maggiori delle uscite ,ma le uscite sono temporalmente
antecedente alle entrate, ciò significa che il processo materiale genera un gap finanziario tra
entrate ed uscite che può essere ridotto attraverso :
-> agendo sugli aspetti finanziari : aumento delle dilazioni di pagamento ottenute dai fornitori , o
delle dilazioni concesse ai clienti.
-> agendo sul processo materiale : riduzione dei tempi di stoccaggio e di trasformazione.

Il residuo gap configura un fabbisogno finanziario di breve termine che dovrà essere
adeguatamente soddisfatto.

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LA STRUTTURA DEL SISTEMA OPERATIVO

Quando l’impresa supera determinate soglie dimensionali e la specializzazione del lavoro delinea
diverse aree funzionali all’interno delle quali trovano esecuzione parte dei processi aziendali
sopra individuati. E’ comune individuare in ogni impresa le seguenti funzioni :
- approvvigionamento
- produzione
- vendite (marketing)
- finanza .
Le prime tre funzione trovano collocazione nelle tre fasi tipiche del processo materiale, mentre la
funzione “finanza” gestisce il processo finanziario nella sua interezza.
Dette funzioni coinvolgono anche il processo informativo. Quest’ultimo ha per oggetto informazioni
in entrate ed in uscita :
- relative al rapporto con tutti i pubblici aziendali
- di supporto agli altri due processi (materiale e finanziario)
- che percorrono il sistema operativo sia in senso verticale che in senso orizzontale.
Non è possibile collocare la gestione del processo informativo nella sua interezza in una specifica
funzione. In realtà, solo una parte del processo informativo trova una rilevanza autonoma – si tratta
della funzione di amministrazione (o ad es. funzioni relazione pubbliche ,sotto-funzione ricerche di
marketing..)

L’articolazione del sistema operativo per aree funzionali rappresenta il primo approccio. Un’altra
modalità è quella di individuare gli organi (centri di responsabilità). L’insieme degli organi e delle
loro relazioni costituisce la macrostruttura organizzativa – che è uno dei risultati dell’esercizio della
funzione organizzativa del vertice imprenditoriale.
Facendo riferimento all’articolazione per centri di responsabilità del sistema operativo è utile
distinguere due casi limite:
- struttura “flat” -> è caratterizzata da pochi livelli decisionali, da flessibilità, dalla prevalenza di
meccanismi di coordinamento decisionale informali.
- struttura “burocratica” -> ha molti livelli decisionali, e prevalgono i meccanismi di
coordinamento decisionale formalizzati con procedure codificate.
I sistemi operativi con struttura flat sono ovviamente più semplici rispetto a quello burocratici. Con
il crescere della complessità dell’attività vi è un naturale passaggio ad un maggior livello di rigidità
decisionale ( flat  burocratica) .

Un altro approfondimento di natura strutturale può essere realizzato considerando


l’organizzazione produttiva del sistema operativo.
1- un primo elemento importante è la dislocazione geografica del sistema operativo. Esistono
due tipologie:
- sistema operativo monoplant (unico stabilimento industriale)
- sistema operativo multiplant (dispersione in due o più aree geografiche dell’attività produttiva)

Le imprese nascono nella maggioranza dei casi monoplant e possono trasformarsi nel tempo in
imprese multiplant, in seguito al processo di crescita.
L’impresa multiplant :
- lo svantaggio di questa tipologia è che presenta maggiori complessità organizzative ,nella
gestione dei rapporti di scambio fisici (logistica) tra i diversi luoghi in cui è dislocata l’attività

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produttiva e ovviamente anche maggiori costi di coordinamento.


- i vantaggi ,invece riguardano la vicinanza con i mercati di sbocco (utenza) ma soprattutto i
potenziali effetti positivi sul costo di produzione dovuti alla vicinanza con le materie prime (bassi
costi di trasporto), oppure delocalizzazione dell’attività produttive in aree geografiche con basso
costo della manodopera.
Altro fattore importante è la “specializzazione” ,in questo caso la delocalizzazione consente
all’impresa di accedere a manodopera specializzata altrove non disponibile, oppure accedere a
delle risorse concentrate in aree geografiche fortemente specializzate  benefici in termini del costo
,ma anche più altra qualità e opportunità di innovazione.

2- un altro elemento importante riguarda il layout degli apparati produttivi, cioè la disposizione
fisica degli impianti all’interno dello stabilimento industriale.
Il layout può assumere due configurazioni fondamentali :

- layout per processo  è caratterizzato da una dislocazione lineare degli apparati (uno di seguito
dell’altro) e da una necessaria relazione di causa effetto (A -> B -> C). Le linea di produzione
consiste nell’insieme di fasi organizzate necessarie a combinare le materie prime per ottenere il
prodotto finito.
Esempio : la “catena di montaggio” ,in cui il processo produttivo è interamente suddiviso in una
continuità di fasi consecutive.
Il vantaggio risiede nell’efficienza dell’impiego delle risorse – ottimizzazione dei tempi e
minimizzazione dei sprechi, ma dall’altro è caratterizzato da elevata rigidità.

- layout per reparti  Per reparto si intende un luogo fisicamente individuato in cui gli impianti
permettono di svolgere una certa fase di lavorazione a prescindere dal prodotto a cui si riferisce
l’attività. Ciascun reparto contribuisce alla realizzazione di più prodotti (es : il reparto di tintoria in
un’impresa tessile, reparto di verniciatura in un’impresa automobilistica )
Il layout per reparti è meno efficiente rispetto a quello per processi, ma ha maggiore flessibilità
(realizza più prodotti anche diversi tra loro).
Può esistere una correlazione tra tipo di layout e dimensioni d’impresa:
-> le imprese piccole e con bassi volumi tendono ad avere un organizzazione più flessibile e
quindi un layout per reparti.
-> nelle imprese con maggiore dimensioni ,con prodotti standardizzati e mercati ampi, i
vantaggi dell’efficienza prevalgono sulla flessibilità e quindi tendono ad assumere un layout per
processi.

LE CONFIGURAZIONI PRODUTTIVE DEL SISTEMA OPERATIVO

Possiamo individuare diverse configurazioni di sistema operativo in relazione alla posizione nella
filiera produttiva ed alla numerosità delle fase produttive svolte dalla singola impresa (grado di
integrazione verticale). Si possono individuare due casi limite :

- impresa completamente integrata  occupa l’intera filiera produttiva ,al suo interno sono svolte
tutte le fasi di lavorazione.
E’ questa un’impresa il cui valore aggiunto coincide con quello dell’intera filiera, del tutto
autonoma, non avendo fornitori, ma ovviamente molto rigida nella sua struttura svolgendo un
processo materiale molto lungo e articolato impiegando numerosi impianti di produzione.

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- impresa completamente deintegrata  occupa una singola fase di lavorazione lungo la filiera
produttiva (impresa di fase). In questo caso l’impresa è altamente specializzata e ha un valore
aggiunto limitato e flessibile.

E’ ovvio che tra questi casi limite vi sono nella realtà molti possibili casi intermedi.
Le imprese caratterizzati da un elevato grado d’integrazione avranno più altro valore aggiunto,
maggiore rigidità e prevalenza dei costi fissi rispetto a quelli variabili.
Le imprese tendenzialmente deintegrate ,acquisendo numerosi fattori produttivi dall’esterno
avranno maggiore flessibilità e prevalenza dei costi variabili.

Il trade-off tra valore aggiunto e flessibilità può in parte essere superato attraverso forme di quasi
integrazione ,attuate ricorrendo al decentramento produttivo  in cui alcune fasi di lavorazione
vengono affidate ad altre imprese, che trasformano i semilavorati, per poi restituirli all’impresa al
termine della specifica fase di lavorazione.

Attraverso il decentramento produttivo l’impresa riesce ad aumentare il proprio livello di flessibilità,


trasformando i costi fissi in variabili. In più specifico, attraverso il decentramento l’impresa è in
grado di :
- controllare il materiale oggetto di lavorazioni presso terzi
- evitare gli investimenti in impianti (costi fissi) e al tempo stesso condizionare, attraverso il potere
contrattuale, il livello di qualità del lavoro svolto dai terzi
- ridurre i rischi conseguenti all’innovazione tecnologica ,potendo senza alcun investimento
,scegliere l’impresa terzista “migliore”.

Il decentramento produttivo può assumere due diverse logiche:

- decentramento di capacità  consiste nel dimensionare il sistema operativo in modo che parte
della domanda ( nei casi di picchi di domanda) siano evasi attraverso il ricorso a imprese terziste.
-> vantaggio : l’impresa dispone di un “serbatoio” di capacità produttiva da attivare quando serve.
- decentramento di specialità  consiste nel sistematico utilizzo di imprese terziste per svolgere
specifiche fasi di lavorazione caratterizzate da elevata specializzazione.
-> vantaggio: il decentramento consente di “aggiungere” al proprio processo produttivo fasi di
lavorazione per le quali non si hanno adeguate competenze o non sono economicamente
conveniente svolgerle internamente.

La logica del decentramento può essere estremizzata fino a costituire un sistema operativo in cui
sono decentrate quasi tutte le fasi di lavorazione. In questo caso si crea una rete di imprese,
caratterizzata da più imprese tra loro complementari con rapporti stabili, dove l’impresa guida che
genera e gestisce la rete ,non si limita a svolgere una fase di lavorazione, ma coordina anche
l’attività delle imprese terziste e cura le relazioni con il mercato di sbocco. Il rapporto tra queste
imprese non è esclusivo in quanto le imprese terziste possono appartenere anche ad altre reti.

PARTE 3
LA FISIOLOGIA D’IMPRESA : CONDIZIONI E STRUMENTI DI ANALISI

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Gli aspetti fondamentali del funzionamento fisiologica d’impresa sono :

1- LA GESTIONE OPERATIVA SOTTO IL PROFILO ECONOMICO E FINANZIARIO

La gestione operativa dell’impresa può essere analizzata attraverso grandezze economiche e


finanziarie.
- considerando la dimensione economica, la gestione operativa può essere vista come l’insieme
dei costi e dei ricavi che si susseguono nel tempo. L’approvvigionamento implica il sostenimento
di costi, la vendita ,il conseguimento dei ricavi.
- la dimensione finanziaria interpreta la gestione operativa in termini di entrate ed uscite
monetarie. I flussi di costi generano uscite monetarie, i flussi di ricavi generano flussi di entrate
monetarie.

All’interno della gestione operativa possiamo individuare tre cicli :


- Il ciclo produttivo  inizia con l’immissione delle materie prime nel processo produttivo e termina
con l’ottenimento dei prodotti finiti.
- Il ciclo economico  inizia con il sostenimento del costo dei fattori produttivi e termina con il
conseguimento dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti finiti. In alcune attività ,come quelle
delle imprese che erogano servizi assicurativi e servizi di intermediazione finanziaria, il ciclo
economico anziché essere un ciclo costi-ricavi è un ciclo ricavi-costi. Ad esempio le assicurazioni
prima riscuotano i premi assicurativi (ricavi) e poi, pagano gli indennizzi e i risarcimenti (costo).
- Il ciclo finanziario  inizia con l’uscita di mezzi monetari necessari al regolamento dell’acquisto
dei fattori produttivi e termina con l’entrata monetaria conseguente alla riscossione dei ricavi di
vendita.

I tre cicli coincidono se i fattori produttivi che vengano acquistati, in contanti, vengono
immediatamente impiegati nel processo produttivo il quale ininterrottamente produce prodotti finiti
immediatamente venduti e riscossi. Soltanto se si verificano queste ipotesi i tre cicli coincidono.
Nella maggior parte dei casi, invece, i tre cicli non coincidono e generalmente il ciclo produttivo è
temporalmente più corto del ciclo economico. Solo nel lungo periodo il totale dei costi coincide con
il totale delle uscite, e il totale dei ricavi coincide con il totale delle entrate.

Ogni volta che l’acquisto dei fattori produttivi precede il loro impiego nel processo produttivo si
originano delle scorte di materie prime, ed ogni volta che i prodotti finiti non vengano venduti
immediatamente dopo la fine del processo produttivo si formano delle scorte di prodotti finiti.

Ogni volta che le vendite e gli acquisti sono regolati attraverso il ricorso al credito ,il ciclo
finanziario è “sfasato” rispetto a quello economico. Possono coincidere solo nel caso in cui gli
acquisti e le vendite sono regolati in contanti.
Ogni volta che gli acquisti e le vendite sono regolate con dilazioni di pagamento sorgono
rispettivamente debiti commerciali e crediti commerciali.

Talvolta, le uscite correlate ai costi sono anticipate ,cosi come le entrate correlate ai ricavi (es:
anticipi ai fornitori) .

LA FORMAZIONE E DISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA D’IMPRESA.

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Il processo di formazione della ricchezza aziendale ha ad oggetto le componenti del ciclo


economico e può essere analizzato attraverso il conto economico con una visione “tecnica”
(decisionale) in termini di fatti soggettivamente voluti (analizza la gestione con un’ottica ex-ante)

Il conto economico a cascato esprime sinteticamente come la ricchezza globale prodotta


dall’azienda (fatturato) si forma e come essa si distribuisce tra i vari soggetti interni ed esterni.

Il conto economico in forma scalare o a cascata consente di evidenziare le componenti essenziali


del processo di formazione e distribuzione della ricchezza aziendale.
In particolare la forma scalare permette di cogliere e quantificare i principali risultati lordi
permettendo all’imprenditore di comprendere l’entità del contributo delle diverse attività
dell’impresa al processo di formazione della ricchezza aziendale.

Nel conto economico è importante che siano evidenziate i seguenti risultati reddituali lordi :

 Valore Aggiunto Operativo (VAO) : deriva dalla differenza tra il valore collocato sul mercato
(fatturato rettificato) e il valore delle risorse acquisite all’esterno dell’impresa (costi operativi
esterni – COE )
Il VAO rappresenta l’entità del contributo dell’impresa al valore complessivo collocato sul mercato.
Se il VAO è basso l’impresa aggiunge poco in termini di valore. Il VAO è uguale al Valore Aggiunto
della filiera produttiva.

 Reddito Operativo (RO) : indica la ricchezza prodotta dalla gestione operativa dell’impresa,
dalla sua attività caratteristica. [ RO = VAO – costi operativi – costi di apparato (es. costo del
personale e gli ammortamenti) ]

 Reddito Lordo (RL) : rappresenta una grandezza economica che tiene conto oltre della gestione
operativa anche di quella finanziaria, dato dal saldo (differenza) tra i proventi (es : interessi attivi)
e gli oneri finanziari (interessi passivi su mutui). [ RL = RO + proventi – oneri finanziari ]
Il RL consente all’imprenditore di valutare l’entità della ricchezza prodotta al netto della posizione
finanziaria dell’impresa.

 Reddito Netto (RN) : rappresenta una grandezza economica di fondamentale importanza,


individuando l’entità della ricchezza netta complessivamente prodotta, tenendo conto anche della
gestione tributaria.
[ RN = RL – oneri tributari ]

 Reddito Disponibile (RD) : tiene conto del valore negativo associato alla remunerazione del
capitale di rischio. Se il reddito disponibile è positivo l’impresa ha generato o sarà in grado di
generare un surplus di valore. [ RD = RN – dividendi ]

ANALISI SOGGETTIVA E QUALI- QUANTITATIVA DEL CONTO ECONOMICO

- L’analisi soggettiva – consiste nell’individuare in corrispondenza di ciascuna componente

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positiva o negativa di valore del conto economico i soggetti da cui proviene o a cui afferisce tale
valore. Cosi :
-> fatturato – clienti
-> costi operativi esterni – fornitori
-> costi del personale – personale
-> oneri finanziari – banche
-> oneri tributari – Stato
-> dividendi – proprietà

- L’analisi quali -quantitativa – consiste nel scomporre le diverse grandezze che contribuiscono
al processo di formazione della ricchezza in una relazione tra componenti elementari che
consentono di meglio comprendere come tale valore ha avuto origine.
Ad esempio : il fatturato è uguale al prezzo di vendita unitario per le quantità (analisi
quantitativa) .
Analisi qualitativa, è possibile distinguere :
- qualità tecnica: intesa come attitudine del prodotto a soddisfare la funzione d’uso dell’utenza.
- qualità immagine : intesa come attitudine del prodotto di soddisfare le aspettative dell’utenza
non riconducibili alla funzionalità ma all’immagine quale : il design, status, ecc..
- tempo di consegna del prodotto.

Le componenti sopra individuate insieme con il prezzo unitario e le quantità incidono nella
sostanza sul valore complessivo del fatturato. In questo mix in alcuni casi acquistino
maggiormente rilevanza le componenti immateriali del prodotto ( esempio : qualità immagine nei
prodotti del settore di moda) .

IL PROCESSO DI DISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA.

Nel caso di presenza di “reddito disponibile” positivo, tale reddito può avere due destinazioni :

1- redistribuzione per alimentare i processi di crescita e aumentare i poteri aziendali 


aumento di costi di apparato per l’acquisizione di nuovi fattori produttivi strumentali , accrescere i
costi del personale, ecc..

2- redistribuzione per soddisfare maggiormente i pubblici e raffinare i poteri aziendali :


- Clienti  incrementare la quota di ricchezza da distribuire ai clienti per rafforzare il potere di
mercato. Significa agire nelle seguenti direzioni :
a) – stabilire prezzi di vendita unitari più bassi (quantità x prezzo) ;
- garantire consegne più tempestive e concedere maggiori dilazioni di pagamento (tempo) .
b) – migliorando la qualità tecnica o/e la qualità immagine, investendo in costi di apparato ed in
risorse umane o migliorando la qualità dei costi operativi esterni.

- Fornitori 
- Banche 
- ecc…

LA STRUTTURA PATRIMONIALE : CONCETTI INTRODUTTIVI

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Quali sono i tipici investimenti e quali i tipici finanziamenti che compongono la struttura finanziaria
di un’impresa industriale?

Gli impieghi (investimenti o capitale investito)

1- Il capitale fisso  è investito che sono destinate a convertirsi in flussi monetari nel medio lungo
periodo o che sono rappresentate da beni a fecondità ripetuta, quale :
- le immobilizzazioni immateriali : brevetti ,marchi ,ecc..
- le immobilizzazioni tecniche o materiali : impianti, macchinari, attrezzature, ecc..
- le immobilizzazioni finanziarie : partecipazioni, crediti a medio-lungo termine, ecc..

2- Il capitale circolante  è rappresentato da attività destinate a convertirsi in flussi monetari nel


breve termine, in un singolo ciclo produttivo, quale :
- le liquidità : rappresentate da capitali in forma liquida disponibili nell’impresa o presso istituti
finanziari;
- i crediti commerciali : crediti verso clienti esigibili entro l’anno;
-le scorte di magazzino : scorte di materie prime, semilavorati, prodotti in corsi di lavorazione,
prodotti finiti.
La vendita di prodotti genera una diminuzione di scorte di prodotti finiti e contemporaneamente un
aumento di crediti commerciali se la vendita è avvenuta con pagamento dilazionato o l’aumento
della cassa se è avvenuto per contanti.

Le fonti

Secondo il criterio finanziario le fonti ( il capitale di finanziamento) può essere distinto in :


- fonti a tempo indeterminato : si tratta del capitale proprio o patrimonio netto. Esso verrà
distribuito solo in caso di distribuzione dei dividendi, riduzione del capitale sociale o liquidazione
aziendale.
- fonti a medio lungo termine : si tratta di tutti quei debiti esigibili oltre i dodici mesi, quali : i mutui
ipotecari, i prestiti obbligazionari, i leasing finanziari ;
- fonti a breve termine : si tratta di tutti quei debiti esigibili entro dodici mesi ,quali : i debiti di
regolamento, le aperture in conto corrente, l’anticipo sul portafoglio salvo buon fine, ecc..

Secondo il criterio di “natura” o “provenienza” dei capitali, possiamo distinguere :

- Capitale proprio : rappresenta il capitale di rischio ed è considerata una fonte di finanziamento a


scadenza indeterminata. E’ composto da :
-> capitale sociale : i conferimenti della proprietà;
-> riserve di utili : utili prodotti e non distribuibili;
-> altre riserve di capitali : es, riserva sovraprezzo azioni, le riserve di rivalutazione.

- Capitale di credito : è quel capitale ottenuto dai terzi per il quale esiste un obbligo di rimborso e
per il quale si sostiene un onere. Tali capitale possono derivare da :
-> prestiti : i prestiti nell’ambito del mercato monetario e finanziario. Si parla di finanziamento
diretto. Tali finanziamenti generano interessi espliciti. Esempio : i debiti bancari a breve termine, i
debiti bancari a medio lungo termine e le obbligazioni;
-> debiti di regolamento : che derivano da negoziazioni che hanno ad oggetto altri fattori
produttivi (materie prime, lavoro, ecc..). Si parla di finanziamenti indiretti. Questi finanziamenti sono

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caratterizzati da interessi impliciti e indistinti. Esempio : i debiti commerciali, i debiti verso istituti
previdenziali, i debiti tributari, ecc..
-> fondi rischi e oneri : I fondi rischi sono destinati a fronteggiare eventi incerti non solo nei tempi
e nei valori ma anche nella loro esistenza. Esempio: il fondo rischi su crediti, fondi rischi su cambi.
I fondi oneri vengono creati per far fronte a eventi incerti solo nel tempo e nel valore. Esempio : il
fondo TFR.

N.B : i debiti di regolamento sono generalmente debiti a breve scadenza , i debiti rappresentati da
prestiti possono essere sia a breve scadenza sia a medio lungo termine.

L’AUTOFINANZIAMENTO

L’autofinanziamento costituisce la principale fonte di finanziamento interno ed è costituito dalle


risorse finanziarie a disposizione dell’impresa generate dallo svolgimento dei processi operativi.

L’origine dell’autofinanziamento può essere duplice :

- L’autofinanziamento da reddito  deriva dall’accumulazione del reddito conseguito che rimane


investito all’interno dell’impresa.
Sotto il profilo economico è rappresentato dall’utile non distribuito e sotto il profilo finanziario-
patrimoniale dall’accantonamento alle riserve di utili del patrimonio netto.
L’autofinanziamento da reddito è una fonte di finanziamento non onerosa che permane a tempo
indeterminato all’interno dell’impresa.

- L’autofinanziamento da costi  è generato dall’imputazione nel conto economico di costi non


monetari, cioè costi che non generano alcuna uscita finanziaria nell’esercizio. Esempio: la quota di
ammortamento, i fondi rischi, TFR .
L’autofinanziamento da costi è una fonte di finanziamento di durata limitata e non adatta a
finanziare stabilmente il processi di cambiamento dell’impresa.

LA SITUAZIONE PATRIMONIALE A VALORI FISIOLOGICI

Analisi analitica delle voci dell’attivo dello Stato Patrimoniale :

1- Liquidità - intesa come denaro disponibile e tipicamente formata da Cassa, Banca c/c , ecc..
Vanno considerati il volume complessivo dei costi monetari previsti per l’esercizio (c.m.a.) .

Il livello di liquidità necessaria sarà : ( c.m.a / 360) x X1

L’imprenditore dovrà tener conto :


- dei livelli e del ritmo delle entrate monetarie previste;

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- del livello e del ritmo delle uscite monetarie previste;


- del costo della liquidità disponibile (oneri finanziari da corrispondere ai finanziatori)
- della disponibilità da parte della proprietà a vincolare al sistema volumi più o meno elevati di
risorse a titolo di capitale di rischio.

Le esigenze della gestione operativa imporrano un livello minimo fisiologico di liquidità che
garantisca un certo grado di sicurezza finanziaria, in termini di capacità dell’impresa di far fronte in
modo economico ai costi monetari della gestione al fine di evitare situazione di crisi finanziaria.

2- Crediti Commerciali
Il livello reale dei crediti commerciale è dato in funzione della regolarità :
- del fatturato realizzato dall’impresa nel corso dell’esercizio;
- dei pagamenti effettuati dai clienti nel corso dell’esercizio.

Stock fisiologico dei crediti = (Fatturato x 1,21/ 360 ) x X2

Ragionamento analogo anche per lo stock dei debiti commerciali :

Livello fisiologico dello stock = ( Costi di fornitura annui x 1,21 / 360 ) x x3^14<

3- Magazzino
La disponibilità di un certo livello minimo di magazzino di prodotti finiti serve per contemperare
due esigenze contrapposte :
- da un lato la necessità dell’impresa di effettuare una produzione regolare;
- dall’altro l’esigenza di soddisfare la necessità di un collocamento che dipende dai bisogni
della clientela e che quindi non può essere previsto in modo preciso.

Il ragionamento dell’imprenditore per stabilire il livello fisiologico del magazzino prodotti finiti
deve essere : Supponendo che la produzione si blocchi, per quanto tempo (di solito 20-60 gg)
voglio essere in grado di continuare a vendere senza avere flussi di prodotti finiti dalla
produzione?

Livello fisiologico del magazzino dei prodotti finiti = ( Fatturato annuo –costo-) / 360 x
X4

Livello fisiologico del magazzino delle materie prime = ( consumi annui di materie prime
–costi-) / 360 x X5

Ragionamenti analoghe anche per le altre componenti del magazzino.

Si sottolinea che il processo di determinazione dei livelli fisiologici deve contenere anche
valutazioni di tipo qualitativo ( è importante considerare per lo stock fisiologico dei crediti
commerciali anche la composizione qualitativa di tale stock in termini di affidabilità e
regolarità di pagamento che le varie categorie di clienti ci possono garantire).

Infine si sottolinea che la determinazione dei livelli fisiologici delle voci sopra indicati è

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effettuata dall’imprenditore ex-ante è servirà da elemento di confronto con le risultanze effettive


della sua attività di autostrutturazione del sistema operativo.

LE PRINCIPALI RELAZIONI TRA GRANDEZZE ECONOMICHE E PATRIMONIALI

L’analisi delle relazioni tra le grandezze del conto economico e quelle patrimoniali è rilevante
poiché attraverso la corretta gestione di tali relazioni l’imprenditore può assicurare all’impresa il
perseguimento dell’equilibro economico e finanziario.

- La liquidità ,per esempio dello stato patrimoniale è collegata a diverse grandezze del conto
economico ,in particolare a tutti i costi monetari (che hanno generato uscite) e quindi a:
- costi operativi esterni monetari;
- costi del personale;
-oneri finanziari;
- imposte;
- dividendi.

Per determinare il livello della liquidità occorre considerare non solo le uscite collegate ai costi
monetari ma anche le uscite che hanno origine diversa ( pagamento dei debiti, acquisto delle
immobilizzazioni ,ecc..). A questo scopo è necessario costruire un rendiconto finanziario.

- I crediti verso i clienti (crediti commerciali) sono collegati al fatturato attraverso la formula :

(Fatturato annuo + IVA / 360 ) x n

n – è il numero medio di giorni di credito concessi alla clientela.

Occorre :
- escludere dalla formula la quota parte di fatturato realizzato per contanti.
- se non tutto il fatturato è realizzato con la medesima aliquota IVA occorre procedere alle
necessarie distinzioni per ottenere un corretto calcolo dell’IVA globale.

- Magazzino :

-> le materie prime – il cui livello è collegato ad una componente dei costi esterni operativi
(acquisto materie prime) attraverso la formula :

( Consumi annui di materie prima –al costo- / 360 ) x n

n – è il numero di giorni di dilazione media concessa ai fornitori.

-> i prodotti in corso di lavorazione – la loro entità può essere determinata analizzando la
fisiologia dell’apparato produttivo ,cioè la capacità produttiva ( non trovano rispondenza nelle
grandezze del C.E)

-> i prodotti finiti – il cui livello è collegato all’entità del fatturato attraverso la formula:

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( Fatturato annuo –al costo- + IVA / 360 ) x n

n – è il numero di giorni durante i quali l’impresa è in grado di continuare a vendere senza


avere flussi di prodotti finiti dalla produzione.

- Debiti verso fornitori – sono collegati ai costi esterni attraverso la formula :

( Costi operativi annui x 1,21 / 360 ) x n

- Le immobilizzazioni tecniche – sono collegate agli ammortamenti (l’imprenditore deve


stabilire la politica di ammortamenti da attuare) .

- Il TFR – è collegato ai costi del personale e alla durata della permanenza media in azienda
dei dipendenti.

- Il capitale netto – è collegato ai dividendi.

- I debiti a breve verso le banche e quelli a medio termine – sono collegati agli oneri
finanziari attraverso la formula :

oneri finanziari = ( i b x Lb x t b + i m x Lm x t m ) , dove :

- i b è il tasso di interesse su debiti a breve verso le banche ;


- Lb è il livello di indebitamento a breve verso le banche ,
- t b è il tempo di utilizzo dell’indebitamento a breve.

- i m è il tasso di interesse su debiti a medio termine verso le banche,


- Lm è il livello di indebitamento a medio termine verso le banche,
- t m è il tempo di utilizzo dell’indebitamento a medio termine.

Se il livello di reddito operativo non è sufficiente a coprire i costi connessi agli oneri finanziari,
l’imprenditore dovrà ridurre l’indebitamento attraverso una ricapitalizzazione o ridurre il livello
del capitale di funzionamento.
Se però la struttura del capitale di funzionamento e quella del capitale di finanziamento è
equilibrata occorrerà intervenire sull’aspetto economico cercando di aumentare il fatturato o/e
diminuire i costi operativi.

Si sottolinea che le relazioni sopra evidenziate vanno analizzate e interpretate in senso


bidirezionale (se in sede di controllo il rapporto tra prodotti finiti e fatturato è troppo alto
occorrerà intervenire sul livello di magazzino, rallentando i flussi in entrata di
approvvigionamento e di produzione e/o cercare di aumentare il livello di fatturato)

In conclusione, le interrelazioni sopra riportate possono essere utilizzate :


- per individuare le disfunzioni presenti nel sistema e le terapie necessarie per farvi fronte;
- per impostare ,in sede di progettazione e sviluppo, le decisioni imprenditoriali al fine di
ottenere la massima efficienza complessiva.

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LE GRANDEZZE AZIENDALI

Ogni fenomeno della gestione dell’impresa può essere analizzato in termini di “grandezze
aziendali”. La stessa impresa ,in un’ottica quantitativa, può essere vista come un “sistema di
grandezze”.

Le grandezze aziendali possono essere classificati in :


- grandezze flusso  sono quantità che modificano una grandezza stock o una grandezza
massa ed hanno significato soltanto in un intervallo di tempo. Esempi: il fatturato, il costo di
personale, il rimborso di un prestito, la riscossione di un credito.

- grandezze stock  sono quelle entità che permangono nonostante il rinnovo delle quantità
che le compongono. Sono grandezze caratterizzate da processi di alimentazione e di
utilizzazione continui o frequenti. Le grandezze stock hanno significato in relazione ad un
preciso istante temporale. Esempi: i crediti verso clienti, le scorte di magazzino, di debiti verso
fornitori, la cassa, ecc..

- grandezze massa  sono grandezze la cui alimentazione avviene una tantum e la cui
utilizzazione avviene con processi relativamente continui, o al contrario. Anche le grandezze
massa hanno significato in relazione ad un preciso istante temporale. Esempi: gli immobili, gli
impianti, i macchinari, i mutui, il TFR, ecc..

N.B : le voci inserite nel conto economico sono grandezze flusso, mentre le voci dello stato
patrimoniale sono grandezze stock o grandezze massa.

LE CONDIZIONI DI ESISTENZA DELL’IMPRESA : LE COMPONENTI DELL’EQUILIBRO


ENERGETICO

L’impresa può sopravvivere e crescere solo se incamera più energia di quanta ne cede
all’esterno –il saldo tra energie prodotte ed energie consumate deve essere attivo. In caso
contrario, si assiste al processo di ossificazione del sistema che si conclude con la sua
estinzione.

Il ciclo di vita di ogni sistema biologico si realizza in tempi più o meni lunghi ma inevitabilmente
finiti, mentre quello dell’impresa può teoricamente essere infinito se l’imprenditore dopo il
processo di stabilizzazione del sistema innesca un nuovo processo strategico di sviluppo.

Esiste equilibro energetico se i flussi positivi provenienti dal rapporto con i clienti sopravanzano
quelli negativi derivanti dal rapporto con i fornitori e con gli altri stakeholders dell’impresa
( proprietà, banche, fisco..).

L’esistenza di un saldo energetico positivo si può conoscere con certezza solo nel momento

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della cessazione dell’attività. In condizioni di continuità è necessario valutare la complessiva


condizione di equilibro energetico considerando due condizioni di esistenza :
- equilibro economico  esprime la capacità dell’impresa di produrre un surplus di valore.
- equilibro finanziario  esprime la capacità dell’impresa di adempiere puntualmente gli
impegni finanziari assunti.
Il mantenimento dell’equilibro finanziario è senz’altro prioritario poiché la sua mancanza, anche
solo temporanea , può portare in situazioni di inadempimenti e quindi di insolvenza e quindi di
fallimento dell’impresa.

L’equilibro finanziario può esistere anche in assenza di equilibro economico se esiste una
proprietà (o altro soggetto interno o esterno) disposta a fornire risorse finanziarie sufficienti a
coprire il disavanzo generato dallo squilibro economico (es. impresa pubblica) .

In mancanza di equilibro economico, invece si viene a creare una forte indipendenza


dell’assetto imprenditoriale nei confronti dell’assetto proprietario. L’impresa non è
autosufficiente e la sopravvivenza è del tutto condizionata dalla disponibilità della proprietà a
riversare nell’impresa nuove risorse. Quindi in condizioni fisiologiche devono esistere entrambi
gli equilibri.

L’EQUILIBRO FINANZIARIO : CONCETTI INTRODUTTIVI

L’equilibro finanziario può essere definito come “la capacità da parte dell’impresa di far fronte
in ogni momento alle uscite monetarie attraverso le entrate”. Ciò significa che l’impresa deve
disporre sempre ,delle risorse finanziarie per far fronte ai propri impegni in scadenza.
Si ha condizione di equilibro finanziario nel caso in cui :

(giacenza di cassa al tempo t-1) + ( entrate al tempo t-1) > uscite al tempo t

Tuttavia questa definizione è incompleta poiché si devono considerare due componenti


dell’equilibro finanziario, la parte corrente (sopra enunciata ) e la parte strutturale che riguarda
la relazione tra fonti ed impieghi di finanziamento.

Il capitale d’impresa può essere distinto (secondo un’altra distinzione da quella che distingue in
capitale fisso e circolante) in :
- Le immobilizzazioni  sono attività fisse o circolanti che devono essere necessariamente
presenti nel capitale dell’impresa per garantire il fisiologico svolgimento di un determinato
livello di attività (non deve essere confuso con il concetto di immobilizzazioni in bilancio).
Sono investimenti che generano un fabbisogno finanziario strutturale poiché si tratta di
grandezze massa o stock destinate a trasformarsi in liquidità solo in caso di riduzioni o
cessazioni di attività dell’impresa.
- Le disponibilità  sono attività fisse o circolanti che possono essere liquidate senza
compromettere il fisiologico svolgimento di un determinato livello di attività e pertanto generano
un fabbisogno finanziario non strutturale poiché si tratta di grandezze massa o stock che
vengono impiegati per brevi periodi e che sono connessi a fatti eccezionali o transitori
(investimenti non strutturali).

N.B : Il primo criterio di classificazione ( in fisso e circolante) si basa sulla lunghezza del
periodo di “rigiro”; il secondo criterio invece (in immobilizzazioni e disponibilità) si basa sulla

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possibilità di essere liquidate senza compromettere il fisiologico svolgimento di un determinato


livello di attività.

Si può dire che :


- gli investimenti in capitale fisso generano un fabbisogno finanziario di lungo periodo.
- gli investimenti in capitale circolante generano un fabbisogno finanziario di breve durata.
- gli investimenti in immobilizzazioni generano un fabbisogno finanziario strutturale.
- gli investimenti in disponibilità generano un fabbisogno finanziario non strutturale.

Il concetto di finanziamento di lunga durata non coincide necessariamente con il concetto di


finanziamento strutturale. Ad esempio l’apertura di credito in conto corrente (ottenuto in forma
di un finanziamento di breve durata) può trasformarsi in un debito strutturale se l’affidamento
viene continuamente rinnovato alla scadenza.

Nella struttura finanziaria di un’impresa possiamo distinguere :

- investimenti duraturi  sono attività destinate a rimanere durevolmente presenti in azienda,


in quanto possono essere impiegate per più cicli produttivi.
Tale investimenti esprimono un fabbisogno finanziario strutturale. Si tratta di grandezze massa
la cui alimentazioni avviene una tantum e il recupero finanziario è realizzata gradualmente
tramite l’ammortamento. Quindi, il fabbisogno finanziario generato dal singolo investimento è
massimo al momento dell’acquisto e si riduce annualmente fino ad essere annullato.

Nel corso della vita aziendale, il livello complessivo degli investimenti duraturi, e dunque il
livello del relativo fabbisogno finanziario è variabile in funzione dell’attività dell’impresa. Se il
livello di attività è costante anche gli investimenti in tali attività si mantengano costanti
attraverso rinnovi, sostituzioni, ecc..
Alla categoria degli investimenti duraturi appartengono gli investimenti in:
- “immobilizzazioni” materiali : terreni, fabbricati, impianti, macchine, attrezzi, automezzi,
ecc..
- “immobilizzazioni” immateriali : avviamento, brevetti, ecc..
Gli investimenti duraturi sono effettuati in occasione dello start up e successivamente in
occasione di ampliamenti della capacità produttiva o in caso di sostituzione per rinnovo.

- Gli investimenti in stock strutturali di capitale circolante – sono attività circolanti che, per
natura, esprimono un fabbisogno finanziario di breve termine ,ma che nell’insieme esprimono
un fabbisogno strutturale variabile in relazione al livello dell’attività e alle politiche commerciali
dell’impresa.

- Crediti commerciali, materie prime, prodotti finiti sono capitali circolanti –secondo la
prima classificazione- ma che esprimono un fabbisogno finanziario strutturale in quanto
vengono ripristinati continuamente (acquistando nuove materie prime ,concedendo nuovi
crediti alla clientela, ecc..).

Gli investimenti duraturi sono investimenti correlati al livello di fatturato : se i ricavi aumentano
aumenterà l’ammontare dei crediti commerciali concessi alla clientela, aumenterà la
produzione e dunque il stock delle materie prime e di prodotti finiti, o viceversa.

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- investimenti di breve durata  sono investimenti per natura destinati a liquidarsi entro un
arco temporale limitato e che derivano da fatti eccezionali o a carattere transitorio.
Alcune cause all’origine di tali investimenti sono :
- esigenze tecnologiche connesse alla regolarizzazione della produzione. In presenza di
andamenti irregolari della domanda l’impresa può decidere di accumulare eccessi di scorte di
prodotti finiti al fine di regolarizzare la produzione (tipicamente per le produzioni a carattere
stagionale).

- opportunità commerciali connesse a particolare esigenze promozionale.

- intenti speculativi connessi a particolari circostanze di mercato. Ciò avviene ad imprese


le cui materie prime incidono molto nei costi complessivi e i cui prezzi sono caratterizzati da
ampie oscillazioni. Tali imprese concentreranno i propri acquisti in determinati periodi
accumulando scorte di materie prime.

Affinché il sistema sia fisiologicamente equilibrato da un punto di vista strutturale, è


necessario che il capitale di funzionamento strutturale, e quindi non variabili nel breve
termine sia coperta da fonti a titolo di capitale di rischio o di credito a medio termine,
mentre solo la parte variabile può essere coperta da passività di breve termine (debiti vs
fornitori e debiti a breve vs banche).

Considerando invece una situazione patrimoniale classificate con criteri tradizionali, si ha una
situazione di normalità fisiologica quando le passività a medio termine coprano le
immobilizzazioni e la parte dell’attivo di breve che ha carattere strutturale.

Saremmo in situazione di equilibro finanziario strutturale solo se :

Attivo di breve > Passivo di breve , o Capitale Circolante Netto > 0 , dove
:

CCN -> è dato dalla differenza tra attivo di breve e passivo di breve. L’entità della tale
differenza deve essere almeno pari al capitale circolante fisiologico necessaria a garantire la
continuità dei processi.

Una corretta corrispondenza temporale tra il ciclo degli investimenti i quello dei finanziamenti,
riduce il rischio che gli investimenti strutturali siano oggetto di disinvestimento a causa del
rimborso di fonti di finanziamento a breve, pregiudicando la continuità dell’impresa.

Il profilo di rischio patrimoniale, oltre a questa relazione temporale ,è condizionato anche dal
grado d indipendenza finanziaria dell’impresa nei confronti dei terzi.
E’ rilevante in questo ambito il rapporto tra mezzi propri (patrimonio netto) e mezzi di terzi
(debiti vs istituti di credito). Nel caso di CCN positivo ,accompagnato da una forte
sottocapitalizzazione ( a causa dei mezzi terzi) il grado di autonomia dell’impresa è molto
limitato poiché la sua continuità dipende dalla volontà degli istituti di credito.

Quindi, la condizione di equilibro finanziario strutturale è completata dall’esistenza di un CCN


positivo e un adeguato livello di capitalizzazione.

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In fine si può dire che :


L’equilibro finanziario è la “capacità da parte dell’impresa di far fronte in ogni momento
alle uscite monetarie attraverso le entrate ,ma conservando un assetto di struttura
finanziaria equilibrato”.

Se l’imprenditore “forza” l’equilibro finanziario accrescendo il livello di indebitamento verso il


sistema bancario o aumentando i giorni di dilazione nei confronti dei fornitori si attiverà un
processo di riduzione del livello di liquidità, dello stock di crediti commerciali e delle
rimanenze che condurrà ad una progressiva riduzione del CCN.

Possiamo affermare che una situazione di squilibro finanziario esiste ben prima che si
manifesti l’incapacità dell’azienda di far fronte alle uscite con le proprie entrate poiché questa
incapacità non è altro che il progressivo e antecedente deterioramento dell’assetto fisiologico
della struttura finanziaria.
Il mantenimento degli equilibri strutturali ,cioè il giusto divario tra attivo e passivo di breve
dipende da numerosi fattori ,quali :
- la politica di vendita adottata,
- la politica di approvvigionamento,
- la politica dei crediti verso i clienti e dei debiti verso i fornitori,
- la durata del processo produttivo,
- la situazione di liquidità dei mercati d’acquisto e di vendita, ecc…

Infine ,ci sono situazioni in cui lo squilibro strutturale finanziario è “voluto” dall’imprenditore –
“squilibro finanziario controllato” . E’ il caso in cui la proprietà ,in alternativa all’incremento
del capitale proprio, preferisce fornire alle banche garanzie fondate sul proprio patrimonio
personale per incrementare l’esposizione debitoria verso il sistema bancario.
In tal caso lo squilibro finanziario esiste ma è di tipo “controllato” in quanto i debiti verso le
banche (a breve termine) possono essere rinnovati e quindi essere considerati a medio
termine. (fig. 3.14)

L’EQUILIBRIO ECONOMICO

L’impresa è in grado di produrre ricchezza se opera in condizioni di equilibro economico.


Quest’ultimo diventa quindi non solo un obiettivo da perseguire ma anche una fondamentale
condizione di esistenza.

Operare in condizioni di equilibro economico significa creare ricchezza tale da soddisfare, in


maniera sufficiente, le esigenze di tutti i pubblici d’impresa.
Le condizioni di equilibro economico sono riconducibili ad una superiorità dei ricavi sui
costi da valutarsi nel medio-lungo periodo.

La natura dell’equilibro economico caratterizzato dal coinvolgimento di grandezze flusso e


dall’orizzonte temporale di medio-lungo periodo richiede una valutazione su tre dimensioni di

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analisi:

- la relazione in valore assoluto dei ricavi sui costi nel periodo oggetto di valutazione
(es, 5 anni)  quale consente di evidenziare il saldo (positivo o negativo) della ricchezza
prodotta o producibile.

- il livello dell’intensità della relazione dei ricavi sui costi  la quale consente di cogliere la
forza dell’equilibro economico, cioè il grado d’intensità con cui i ricavi superano i costi.
Possiamo distinguere condizioni di :
a) equilibro economico forte ,caratterizzate da una significativa superiorità dei ricavi sui costi.
b) equilibro economico debole ,caratterizzate da una limitata superiorità dei ricavi sui costi.

- la tendenza nel tempo dell’evoluzione del rapporto tra ricavi e costi  esprime la
tendenza che assume nel tempo il rapporto tra ricavi e costi, quale può essere: crescente
,decrescente o stabile con diversi gradi di intensità di variazione su base annua.
-> regimi crescenti denotano una situazione positiva caratterizzata da un consolidamento e
progressivo miglioramento del processo di creazione della ricchezza.
-> regimi decrescenti sono il sintomo del deterioramento della capacità di generare la
ricchezza nel tempo.

La sola considerazione dei risultati di uno specifico esercizio risultano non sufficienti a dar
indicazioni sull’esistenza o meno dell’equilibro economico, potendo questo essere il risultato
di una situazione contingente del tutto fisiologica (forti investimenti iniziali) .di natura
straordinaria (forte minusvalenza) od esogena ( congiuntura negative del settore o del
sistema economico ).

LA RELAZIONE TRA EQUILIBRIO ECONOMICO ED EQUILIBRIO FINANZIARIO

-> Ricostruiamo la relazione tra equilibro economico ed equilibro finanziario ipotizzando una
iniziale incapacità di produrre ricchezza da parte dell’impresa che nel singolo esercizio si
manifesta con un reddito disponibile negativo.

-> L’esistenza di un reddito disponibile negativo implica il venir meno della fonte di
finanziamento interna (autofinanziamento da reddito) e genera un fabbisogno finanziario di
medio-lungo periodo.
-> Per garantire la continuità il vertice imprenditoriale sarà indotto a soddisfare questo
fabbisogno ricorrendo a nuove risorse finanziarie fornite dall’assetto proprietario (aumento
di capitale) oppure tenderà ad utilizzare fonti di finanziamento terzi a medio-lungo termine
(mutui, prestiti obbligazionari, ecc..) con ripercussioni sul processo di formazione della
ricchezza a causa dell’incremento degli oneri finanziari.

-> Se l’impresa non disponga di ulteriore capacità di indebitamento a medio-lungo termine,


il vertice imprenditoriale sarà indotto a soddisfare il fabbisogno finanziario attraverso
l’indebitamento a breve ,più facile da ottenere ma più rischioso ed oneroso.
Il ricorso all’indebitamento a breve modifica il rapporto tra attivo e passivo di breve
,riducendo il capitale circolante netto e mette a rischio l’equilibro finanziario strutturale.
Per far fronte agli impegni assunti (rinnovo sistematico dei finanziamenti a breve) il vertice

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imprenditoriale sarà costretto a disinvestire parte dell’attivo pregiudicando la continuità di


funzionamento o a manifestare una condizione di insolvenza premessa del fallimento.

-> ( + UN ALTRO CASO DA CONSIDERARE DOPO)

LA VALUTAZIONE DELLA SOSTENIBILITA’ ECONOMICA – FINANZIARIA

Le condizioni di equilibro economico e finanziario costituiscono anche dei fondamentali punti


di riferimento per il governo della fisiologia d’impresa da parte del vertice imprenditoriale.

LA LEVA OPERATIVA

Gli elementi da considerare per valutare la potenziale economicità dell’impresa sono molteplici.

- La soglia tecnica  indica il numero minimo di unità ( B.E.P break even point ) che è
necessario produrre al fine di coprire interamente i costi operativi sostenuti dall’impresa.

Soglia tecnica = costi fissi operativi / ( prezzo unitario - costo variabile unitario )

Se il numero di unità individuare risulta non raggiungibile l’impresa non sarà in grado di
operare con economicità a causa dell’eccessiva incidenza dei costi fissi operativi. Per
modificare tale situazione l’imprenditore può agire :
- riducendo il livello dei costi fissi operativi ( tecnologie più economiche),
- aumentando la base temporale sulla quale ripartire il costo fisso sostenuto,
- aumentando il prezzo unitario di vendita (margine più ampio per la copertura dei costi fissi)
- riducendo l’entità del costo variabile unitario (approvvigionamento e produzione più efficienti )
- trasformando costi fissi in costi variabili ( attività di decentramento o lavoro stagionale )

E’ opportuno distinguere tra :


- costi fissi di origine patrimoniale ( gli ammortamenti per beni sia materiali che immateriali )
 è necessario considerare anche gli oneri finanziari che l’impresa sostiene per il finanziamento
delle immobilizzazioni da cui derivano i costi.
- costi fissi di origine non patrimoniale (spese di pubblicità non capitalizzate)  in questo
caso ed anche in caso dei costi variabili sarà opportuno valutare ,data l’esistenza del gap
temporale, il livello di liquidità necessario al sostenimento delle uscite connesse a tali costi. Il
mantenimento di quest’ultimo genera anch’esso oneri finanziari da prendere in considerazione.

( + BREAK EVEN POINT ANALYSIS )

LA LEVA FINANZIARIA

La leva finanziaria consente di dimensionare il livello d’indebitamento dell’impresa al fine di


massimizzare la redditività del capitale proprio (ROE).

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L’effetto leva è positivo nel caso in cui la redditività del capitale investito (ROI) risulterà
superiore al costo dell’indebitamento.
In questo caso l’impresa avrà convenienza ad indebitarsi poiché il peggioramento del conto
economico dovuto al maggior indebitamento è inferiore al miglioramento del conto economico
dovuto all’impiego delle risorse finanziarie nell’attività produttiva dell’impresa.

- all’aumentare del livello d’indebitamento l’effetto leva diminuisce progressivamente sino ad


annullarsi nel caso in cui il costo dell’indebitamento sia uguale alla redditività del capitale
investito.
Da questo livello in poi l’impresa non ha più convenienza ad indebitarsi poiché l’incremento
dell’indebitamento genera un effetto leva negativo (peggioramento della redditività del capitale
proprio).

- i periodi di congiuntura economica caratterizzati da costo del denaro decrescente


incentivano, il ricorso all’effetto leva alzando la soglia d’indebitamento in cui l’effetto leva si
annulla.

- l’effetto leva incide anche sull’equilibro finanziario strutturale dell’impresa aumentando


l’incidenza dei mezzi terzi rispetto ai mezzi propri. Quindi un utilizzo “aggressivo” dell’effetto
leva può produrre una progressiva perdita dell’autonomia finanziaria.

I PRINCIPALI INDICATORI PER L’ANALISI SISTEMATICA DELLE GRANDEZZE


D’IMPRESE

1- L’ANALISI DI REDDITIVITA’

* Du Pont (1922) sviluppo il primo sistema integrato di analisi delle performance economico-
finanziarie denominato ROE Tree .

E’ necessario analizzare le relazioni tra competitività ,redditività e scelte d’investimento in una


visione integrata di sviluppo aziendale.
- se la redditività è positiva ed elevata si aumenta la liquidità ,in questo modo incrementando la
capacità di investimento dell’impresa nelle aree gestionali dalle quali dipende il successo
competitivo. Al contrario accade in una caduta della redditività.
L’analisi della redditività attraverso l’identificazione di grandezze reddituali del conto
economico :

1- IL VALORE AGGIUNTO = Ricavi netti di vendita - Costi relativi ai fattori produttivi acquisiti
all’esterno dell’impresa - Variazioni nelle rimanenze di materie prime, semilavorati e prodotti
finiti.

2- IL MARGINE OPERATIVO LORDO = Valore aggiunto - Costi del personale -


Accantonamenti a fondo.

3- REDDITO OPERATIVO DELLA GESTIONE CARATTERISTICA = Margine operativo lordo


- Ammortamento

4- REDDITO OPERATIVI = Reddito operativo della gestione caratteristica + Proventi diversi

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- Oneri diversi .

5- REDDITO NETTO = Reddito Operativo - ( Oneri e Proventi finanziari ) - Componenti


Straordinarie di reddito - Imposte.

Il metodo di decomposizione gerarchica dei principali indicatori economico-finanziari d’impresa


si ripropone di indentificare il contributo delle aree gestionali d’impresa alla performance
economico-finanziaria d’impresa allo scopo di informare le scelte di governo d’impresa.

Nelle imprese multi-business al criterio della decomposizione “funzionale” delle voci


reddituali si associa anche il criterio “divisionale” ,cioè per aree strategiche di affari.

Al vertice del sistema di indicatori economico-finanziari d’impresa si trova il ROE ,un indicatore
di redditività globale d’impresa.
Il ROE ( Return on Equity ) - può essere interpretato come tasso di redditività del capitale
proprio ed indica il livello a cui viene commisurata la base di remunerazione del capitale
proprio acquisito dall’impresa.

ROE = RN / N = Reddito Netto / Mezzi Propri

- Il ROE risulta dal rapporto tra una misura del flusso di reddito generato dall’investimento in un
arco temporale dato e il capitale investito.
- Il ROE interessa più la proprietà come un indicatore per valutare l’efficacia con la quale il
vertice imprenditoriale ha svolto l’attività di indirizzo e coordinamento dell’azione dei vari settori
aziendali.

Il ROE viene separato in tre fattori componenti :

ROE = RN/N = RO/K x K/N x RN/RO

- RO/K = Reddito Operativo / Capitale Investito Netto = ROI ( Return on Investment ) –


misura l’efficacia e l’efficienza delle gestione operativa .

- K/N = Capitale Investito Netto / Mezzi Propri - misura il grado di indebitamento


dell’impresa e l’indipendenza finanziaria dell’impresa.
- RN/RO = Reddito Netto / Reddito Operativo - misura il contributo della gestione
operativa alla formazione del reddito netto d’impresa. Dipende dall’onerosità della gestione
finanziaria, fiscale ed extra-operative.

Una decomposizione alternativa del ROE :

ROE =

oppure:

ROE =

dove:

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- RO/K = Reddito Operativo / Capitale Investito Netto = ROI ( Return on Investment) –


misura l’efficacia e l’efficienza delle gestione operativa caratteristica.

- T/N = Mezzi di Terzi / Mezzi Propri = td - misura il grado di indebitamento dell’impresa e


riassume la struttura finanziaria dell’impresa.

- RN/RAI = Reddito Netto / Reddito ante Imposte e comp. Straord. = s - misura


l’impatto della gestione fiscale e delle componenti straordinarie sul reddito netto d’impresa.

- OF/T = Oneri Finanziari / Mezzi Terzi = i - misura il tasso di interesse medio praticato sui
mezzi di terzi.

Se la redditività operativa (ROI) è inferiore al costo del capitale di terzi ( i ) ,il ROE è inferiore al
ROI e all’aumentare del grado di indebitamento ( td ) diminuisce perché l’impresa deve pagare
sul capitale preso a prestito oneri finanziari maggiori della redditività operativa tratta
dall’investimento.
Al contrario se il ROI è maggiore del tasso ( i ) ,il ROE beneficia del contributo positivo della
leva finanziaria in misura tanto maggiore quanto superiore è il tasso di indebitamento ( td ).

Il caso dell’Impresa Dolciaria S.p.A :

L’impresa sperimenta un calo significativo del ROE che nell’arco degli ultimi tre anni passa dal
65,57 % al 37,69 % .
La redditività operativa cale dal 37,1 % al 33 % .
La gestione finanziaria peggiora decisamente nell’arco temporale considerato.
Il tasso di interesse medio praticato sui mezzi terzi è triplicato.
Nel arco del triennio l’impresa ha ridotto il tasso di indebitamento da 2,09 a 1,23 .
Nel complesso, la leva finanziaria ha ridotto notevolmente il proprio contributo positivo alla
redditività dell’impresa.
L’effetto negativo causato dalla leva finanziaria supera in ordine di importanza l’effetto del
peggioramento della gestione caratteristica.
Il fabbisogno finanziaria dell’impresa e il tasso di interesse medio praticato sui mezzi di terzi a
titolo oneroso dipendono da una serie di fattori quali :
- il fabbisogno finanziario strutturale dell’impresa,
- la durata dell’utilizzo delle risorse finanziarie onerose,
- il rischio percepito dai finanziatori esterni,
- la composizione delle risorse finanziarie di terzi in termini di incidenza percentuale, rischio,
durata.
- la redditività dell’impresa ,la politica dei dividendi e il flusso di autofinanziamento,
- l’entità e la dinamica del capitale di rischio,
- le scelte imprenditoriali di investimento.

Il ROI (Return on Investment) – misuara la redditività operativa dell’impresa. Il ROI fornisce


una sintesi quantitativa dell’efficacia e dell’efficienza con la quale si sono gestite le aree
gestionali operative di un impresa (acquisti, produzione, vendita).

ROI = RO/K = Reddito Operativo / Capitale Investito Netto

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Il ROI esprime il tasso di redditività del capitale investito nella gestione caratteristica a
prescindere dalle fonti di finanziamento della gestione.
Il ROI può essere scomposto in due fattori costitutivi :

ROI = RO/K = RO/V x V/K = Reddito Operativo/ Ricavi di vendita netti x Ricavi di
vendita netti / Capitale Investito Netto

dove,

RO/V = è l’indice di redditività delle vendite  ROS – Return on Sales – esprime il reddito
medio operativo per unità di ricavo netto.

V/K = è il tasso di rotazione del capitale investito : esprime il ricavo medio per unità di
investimenti operativi.
Se i ricavi di vendita sono riferiti ad 1 anno ,l’indice segnala quante volte nell’arco di tale
periodo, il capitale investito si è trasformato in risorse finanziarie attraverso la vendita di
prodotti aziendali.

La redditività delle vendite (ROS = reddito operativo / ricavi di vendita ) dipende da numerosi
fattori, quali :
- ricavi di vendita (fatturato) ,il quale dipende dai prezzi di vendita praticati e dai volumi di
vendita.
- al numeratore (reddito operativo) esercita un influenza negativa l’ammontare complessivo
del costo dei fattori produttivi.
Pertanto, il ROS dipende fondamentalmente dal valore aggiunto (valore aggiunto/ fatturato) e
dai costi strutturali (costo del lavoro/fatturato e ammortamenti/ fatturato).

Il tasso di rotazione del capitale investito (V/K) è influenzato dall’entità del fatturato
complessivo nel periodo considerato e dalla gestione finanziarie d’impresa nella sua
componente corrente (politica delle scorte e dei crediti) e strutturale (decisioni di investimento).

I criteri e le modalità di decomposizione ed analisi delle grandezze economico-finanziarie


d’impresa dipendono :
- dalle necessità del vertice imprenditoriale,
- delle esigenze di comparabilità con i risultati conseguiti da altre imprese,
- e dal rispetto di criteri generali di prudenzialità e obiettività nella valutazione delle
performance d’impresa

Il RONA (Return On Net Assets) – è un indice simile al ROI che differisce dal precedente solo
per una caratteristica del denominatore : dal capitale investito netto vengono ulteriormente
dedotte le fonti di risorse finanziarie non onerose quali i debiti verso fornitori e verso il
personale dipendente ( fondo TFR).
Il RONA implica di modificare coerentemente il calcolo del tasso di interesse sui mezzi terzi
(oneri finanziari/mezzi di terzi onerosi) ed il tasso di indebitamento (mezzi di terzi
onerosi/mezzi propri).
Il RONA viene preferito qualora si operino confronti a livello internazionale con imprese di paesi

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nei quali il fondo TFR non esiste.

L’ANALISI DELLA SITUAZIONE FINANZIARIA ATTRAVERSO INDICI E MARGINI

Le analisi della struttura tenendo ad evidenziare i seguenti caratteri :


- l’elasticità degli investimenti,
- l’elasticità dei finanziamenti.

 L’elasticità degli investimenti – viene analizzata attraverso l’esame della struttura del
capitale investito ,individuando :
a) l’ammontare complessivo delle immobilizzazioni;
b) il peso del capitale circolante suddiviso tra :
- liquidità immediate (es. liquidità di cassa o di banca, titoli ad elevata negoziabilità)
- liquidità differite (es. crediti scadenti entro 12 mesi)
- disponibilità non liquide (es. scorte di magazzino)

Da ciò , deriva :

I/K = Capitale Immobilizzato / Capitale Investito

C/K = Capitale Circolante Lordo / Capitale Investito

 L’elasticità dei finanziamenti – viene osservata attraverso l’analisi della struttura del
capitale acquisito, individuando :
a) il peso del capitale proprio ,
b) il peso delle passività consolidate,
c) il peso delle passività correnti.

Da ciò deriva :

p/K = Passività correnti / Totale Fonti

π/K = Passività consolidate / Totale Fonti

N/K = Mezzi propri / Totale Fonti

L’analisi del capitale circolante

L’equilibro finanziario-monetario corrente dell’impresa viene inteso come attitudine a


fronteggiare le uscite imposte dallo svolgimento della gestione in modo tempestivo ed
economico.

L’esame della situazione finanziarie è effettuato con significativi raffronti tra classi di impieghi
e classi di fonti dello stato patrimoniale-finanziario, al fine di individuare gli stati di equilibro o di
squilibro finanziario. Tali raffronti vengono denominati margini finanziari.

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I principali margini nella prasi aziendali :

 Il margine di tesoreria – è inteso come differenza tra le liquidità e le passività correnti. Esso
segnala, se negativo, le tensioni finanziarie di breve periodo.

L’indice di liquidità = Li + Ld / p

dove : Li = liquidità immediate ; Ld = liquidità differite; p = passività correnti.

L’indice di liquidità – o anche quick ratio o test ratio – esprime l’attitudine dell’impresa a
soddisfare gli impegni finanziari a “breve”, mediante l’utilizzazione della parte di circolante lordo
costituita dalle disponibilità liquide.

L’indice di liquidità deve essere (secondo la prasi internazionale) almeno pari ad uno. Ciò
significa che la fascia di circolante a più elevata mobilità dovrebbe essere almeno uguale alle
passività correnti. Cosi ,la fascia di circolante caratterizzata da minore mobilità (es. magazzino)
dovrebbe trovare copertura finanziaria nelle “fonti rigide” del capitale permanente.

 Il margine di struttura – è dato dalla differenza tra il capitale netto e le immobilizzazioni


nette e indica la capacità dell’impresa di “coprire” le immobilizzazioni con mezzi propri.

Indice di autocopertura del capitale fisso = N/I

dove: N = capitale proprio ; I = Immobilizzazioni nette.

Il capitale circolante netto – può essere determinato come la differenza tra il capitale
circolante lordo e le passività correnti oppure come differenza tra il capitale permanente
(capitale netto, passività consolidate e le immobilizzazioni nette ).

Il capitale circolante netto segnala da un lato la capacità o l’incapacità dell’impresa a far fronte
ai propri impegni finanziari di breve periodo con le risorse della gestione corrente, dall’altro
segnala l’esistente situazione di equilibro o squilibro tra investimenti in immobilizzazioni e
capitale permanente.

L’indice di disponibilità ( current ratio ) = C / p

dove : C = capitale circolante lordo; p = passività correnti.

Tale indice dipende dal capitale circolante lordo ,cioè la parte del capitale investito
caratterizzata da una mobilità o elasticità (brevemente utilizzata) e dalle passività correnti,
cioè la parte del capitale acquisito caratterizzata da un elasticità finanziaria.

L’analisi del capitale immobilizzato

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L’analisi della struttura patrimoniale dell’impresa nei seguenti aspetti :

a) relazione tra il patrimonio netto ed il capitale di debito, o indipendenza finanziaria ;


b) relazione tra il patrimonio netto ed il capitale sociale , o solidità del capitale ;
c) relazione tra il patrimonio netto e le immobilizzazioni immateriali, o patrimonio netto
tangibile.

 Indice di indipendenza finanziaria = N/K

dove : N – il capitale proprio o patrimonio netto ; K – il capitale acquisito o fonti globali.

L’indice di indipendenza finanziaria – mostra in quale misura il totale dei mezzi investiti
nell’impresa sia stato finanziato con capitale proprio.
Un valore basso dell’indice segnala un elevato indebitamento. Tanto più alto è
l’indebitamento ,tanto più difficilmente l’impresa ha libertà di manovra nei mercati finanziari.

 Incide di solidità del capitale sociale = N/n

dove : N – il capitale proprio , n – il capitale sociale.

La solidità del capitale sociale muta in funzione di integrazioni del capitale netto (utili netti
non distribuiti, sovraprezzo di emissione delle azioni, rivalutazioni patrimoniali, ecc.. ) ed
erosioni dello stesso ( perdite nette di gestione, utilizzo di riserve, svalutazioni patrimoniali,
ecc..)

 Il patrimonio netto tangibile – si ottiene come semplice differenza tra il patrimonio netto
ed il complesso delle immobilizzazioni immateriali.
Il patrimonio netto tangibile indica la dimensione del patrimonio netto che è disponibile per il
finanziamento degli investimenti tangibili dell’impresa (es. immobilizzazioni materiali e
finanziarie , attivo circolante), soprattutto quelli investimenti considerati più rischiosi (es .costi
d’impianto e ampliamento, costi di ricerca capitalizzati, brevetti, concessioni, marchi,
avviamenti, ecc...)

CENNI AI METODI PER LA VALUTAZIONE DEI PROGETTI D’INVESTIMENTO


INDUSTRIALE

E’ utile soffermarci sui metodi che il vertice imprenditoriale può utilizzare per valutare la
fattibilità e sostenibilità finanziaria dei progetti di investimento industriale che
costituiscono un parte rilevante del processo di sviluppo.

In chiave finanziaria ,la realizzazione dei progetti di investimento si traduce nell’uscita di


risorse monetarie nella fase di impianto dell’investimento, a cui conseguono dei flussi
finanziari in entrata nella fase di esercizio.
L’analisi sulla fattibilità dell’investimento si basa sulla comparazione differenziale tra i flussi in
uscita ed i flussi monetari attesi futuri.
L’analisi finanziaria è fondamentale al fine di orientare le decisioni di investimento tipiche dei

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processo di sviluppo.

I criteri di valutazioni degli investimenti si distinguono tra :

 I metodi tradizionali di valutazione degli investimenti

A) Il rendimento medio contabile (ROI di progetti)

Il rendimento medio contabile (RMC) è il rapporto tra la redditività media incrementale


prodotta nel periodo d’investimento e l’ammontare dell’investimento medio da sostenere.

RMC = Reddito medio annuo / Capitale investito medio annuo

I profitti medi futuri derivanti dal progetto, al netto di ammortamenti e imposte, rapportati al
valore contabile medio dell’investimento.
Tale rapporto viene confrontato con il ROI calcolato a livello d’impresa e con altri fattori di
investimento (ROI medio di settore e dei concorrenti diretti) al fine di valutare la convenienza
economica dell’investimento. (Tab. 3.2)

Comunque, il metodo del ROI di progetto presenta una serie di difetti :


- il RMC non considera né la distribuzione temporale dei flussi, né il valore finanziario del
tempo (rischio e inflazione) .Cioè trascura completamente il costo opportunità del capitale.
- il RMC non si basa su di un’analisi finanziaria dei flussi di cassa ,bensi utilizza un criterio
puramente reddituale.
- il valore dell’investimento dipende dai principi contabili adottati (piano di ammortamento,
principio di competenza).
- il RMC non considera il rischio e il contributo dell’investimento al valore d’impresa.

B) Il tempo di recupero (payback period)

Il payback period (PBP) è il tempo necessario affinché i flussi di cassa cumulati eguagliano
l’investimento iniziale.
Maggiore è il PBP ,maggiore è il rischio dell’investimento. E’ necessario identificare un cutoff
period entro il quale si deve “rientrare dall’investimento”.

Anche il PBP presenta notevoli limiti :


- il metodo del tempo di recupero non considera i flussi di cassa successivi al PBP.
- non viene tenuto in debito conto il valore finanziario nel tempo del capitale investito.
- il PBP non misura il rendimento dell’investimento, ma si limita a fornire una stima
approssimativa del rischio dello stesso.

Nel caso di scelta tra investimenti alternativi si usa il tempo di recupero attualizzato sulla base
della formula :

dove : (t) – valore finanziario del tempo , (i) – costo del capitale.

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 I metodi finanziari di valutazione degli investimenti

Tutti i criteri finanziari si fondano :


- sulla considerazione dei flussi di cassa incrementali del progetto ;
- sull’impiego di un tasso di attualizzazione espressione del profilo di rischio e rendimento del
progetto ;
- sull’esplicitazione del legame tra decisioni di investimento e obiettivi di accrescimento del
valore di impresa.

I metodo finanziari si basano esclusivamente sull’analisi dei flussi di cassa abbandonando


completamente il principio contabile di competenza.

A) Il metodo del valore attuale netto (VAN)

Il valore attuale netto esprime la ricchezza creata o distrutta dal progetto, in unità monetarie.

Se il VAN è positivo ,significa che il progetto libera flussi di cassa sufficienti a ripagare i
finanziatori e genera un surplus di ricchezza per l’impresa (creazione del valore).
Il VAN deriva dalla somma algebrica di tutti i flussi di cassa attualizzati, generati dal progetto :

VAN =

dove : i – è il tasso di sconto, Ft – il flusso di cassa al tempo t , n – la durata complessiva


dell’investimento.

Il tasso di sconto impiegato nel calcolo del VAN esprime il costo medio ponderato del
capitale. Esso è funzione del costo delle singole forme di finanziamento di impresa, dipende
dal profilo di rischio aziendale (e di progetto) e dal valore d’impresa (e di progetto).
Al crescere del tasso di sconto ,il VAN diminuisce sino a passare in terreno negativo.

B) Il tasso interno di rendimento (TIR)

Il tasso interno di rendimento (TIR) è quel tasso di attualizzazione che rende identici i valori dei
flussi positivi e negativi di un progetto ( i*).
Al tasso i* il VAN è uguale a zero.

TIR =

Il TIR rappresenta il costo massimo della raccolta che un progetto può supportare ,affinché
permanga la sua convenienza economica, ossia il rendimento lordo di un progetto di
investimento.
Di regola si accettano gli investimenti per i quali il TIR risulta superiore al costo opportunità del
capitale.

Comunque, il TIR presenta una serie di svantaggi se comparata al VAN :


- non dice quale sia il valore creato dall’investimento ,quindi non aiuta a decidere tra

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investimenti.
- si assume che i flussi liberati dal progetto vengano reinvestiti ad un tasso pari al TIR.
- il TIR non sempre fornisce un valore unico .
- il TIR, a differenza del VAN , non gode della proprietà additiva e non si presta alla valutazione
compartiva di progetti di investimento.

( + ESEMPIO )

PARTE 4

IL GOVERNO D’IMPRESA : LE PRINCIPALI DECISIONI IMPRENDITORIALI

L’attività decisionale del vertice imprenditoriale : un modello interpretativo

L’obiettivo è quello di fornire uno schema di riferimento che possa essere utile per affrontare in
modo organico –cioè avendo una visione globale dell’attività decisionale d’impresa, quanto le
problematiche che potranno presentarsi nella svolgimento dell’attività pratica del management
aziendale.

Le decisioni dell’imprenditore relative alla costituzione ed alla conduzione del sistema operativo
aziendale possono essere distinte in due macro-classi :

 decisioni strategiche – riguardano quelle scelte che si possono definire come le decisioni
fondamentali attraverso cui i soggetti cha fanno parte del sistema di controllo definiscono i caratteri
della struttura aziendale.
Si tratta delle decisioni dalle quali discende il patrimonio di capacità proprie degli apparati
aziendali (le potenzialità dell’impresa) e dal altro quello che possiamo definire “il modo di
essere” dell’impresa nell’ambiente.

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-Le decisioni strategiche sono quelle che riguardano direttamente l’impostazione ed il governo dei
processi di sviluppo aziendale, e dunque corrispondono all’esercizio della funzione strategica .

- Diretta è anche il collegamento con la funzione “politica” , dal momento che è proprio nella fase
di sviluppo che diventa cruciale la capacità di formulare –alla luce degli interessi e delle aspettative
dei vari “pubblici aziendali” - obiettivi di sviluppo realistici e di governare le tensioni che emergono
nelle fasi di cambiamento.

- La fase di sviluppo richiede in modo massimo anche la capacità di esercitare una funzione di
leadership sull’intero sistema d’impresa, la funzione imprenditoriale ha quindi natura
organizzativa.

 decisioni funzionali di rilievo imprenditoriale – si intende quell’insieme di scelte che ,pur non
ponendosi allo stesso livello delle scelte strategiche , assumono assoluto rilievo per il vertice
aziendale in ragione della loro importanza e della loro natura tipicamente interfunzionale.

Avendo una natura interfunzionale queste scelte saranno ricondotte in classi più specifiche in
relazione all’area funzionale che dà il maggior contributo alla soluzione delle relative
problematiche. Principalmente alle aree :
- della organizzazione,
- della produzione ,
- del marketing ,
- della finanzia ,
- dell’informazione.

I POLI DI ATTENZIONE DELL’AZIONE IMPRENDITORIALE

I poli di attenzione che il vertice imprenditoriale deve sempre tenere sotto controllo nello
svolgimento della sua attività di governo dell’impresa, fanno riferimento a tre categorie :
- sicurezza ,
- forza ,
- autonomia .

Questi poli di attenzione individuano degli obiettivi di fondo che vanno perseguiti nella gestione
del sistema operativo. Ciò significa che ogni possibile decisione di rilievo , prima di essere
adottata ,deve essere sottoposta dal vertice aziendale in termini degli effetti che essa può produrre
sulla sicurezza, sulla forza e sulla autonomia dell’impresa.

 La sicurezza – si valuta in termini di contenimento del rischio associato all’esercizio dell’attività


d’impresa.
Rischio inteso soprattutto in termini di rischio di insolvenza, dal momento che è proprio dal fronte
finanziario che arrivano le maggiori insidie alla stabilità del sistema aziendale.

La ricerca della sicurezza significa valutare l’impatto di ogni decisione sul piano del mantenimento
di un adeguato equilibro finanziario. I principali indicatori che assumono rilievo sono quelli relativi
alla gestione dei flussi di cassa e della struttura del capitale di finanziamento.

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 La forza di un’impresa può essere riferita a quella che è la sua capacità strategica, intesa come
capacità di sviluppare e mantenere una posizione di forza nei rapporti con alcuni degli
interlocutori-chiave dell’impresa.
La forza di un’impresa può essere intesa come una conseguenza del suo potere di mercato e del
suo potere tecnologico.

- Il grado di potere di mercato può essere collegato a tre elementi fondamentali :


-> la fedeltà della clientela ,
-> l’immagine dell’impresa ,
-> l’entità delle sue quote di mercato.

- Il potere tecnologico – si lega essenzialmente alla capacità dell’impresa di padroneggiare gli


sviluppi che hanno continuamente luogo sul fronte dell’innovazione tecnologica, in modo da non
trovarsi spiazzati di fronte a significativi progressi sul fronte delle tecnologie di processo e di
prodotto e in generale sul fronte delle conoscenze ( di tipo organizzativo, di marketing ,ecc..) che
possono dare ad impresa un vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.
Lo sviluppo e la difesa di un potere tecnologico si fa operando su tre fronti :
-> quello della ricerca che può essere svolta all’interno dell’impresa o in imprese o laboratori
controllati,
-> su quello degli sviluppi della tecnologia proposti da imprese fornitrici ,
-> sul fronte della ricerca svolta da centri indipendenti (es. università) .

E’ indispensabile per la corretta gestione di questo aspetto, la capacità del vertice aziendale di
mantenere un costante aggiornamento ,una sensibilità sempre viva sul fronte dell’innovazione e
della tecnologia.
E’ importante contare sulla collaborazione di consulenti qualificati o di un organo interno “di staff”
dedicato su quanto avviene sul piano dello sviluppo tecnologico.

 L’ autonomia – per autonomia si intende la capacità dell’impresa di essere padrona del proprio
destino.

L’autonomia di ogni impresa si lega direttamente alla capacità del sistema aziendale di generare
risorse di cui necessita per sviluppare una adeguata forza sul mercato e per mantenere un
sufficiente grado di sicurezza.

Il grado in cui l’impresa può dirsi autonoma dipende essenzialmente dalla sua capacità di
produrre valore.
Il raggiungimento di un equilibro economico forte è il presupposto per il mantenimento nel tempo
di un equilibro finanziario strutturale senza bisogno di ricorrere ad aiuti esterni; aiuti che
possono tradursi in forme di condizionamento sul piano dell’autonomia decisionale del vertice
aziendale.

Due aspetti più specifici :


1- Per avere una vera autonomia è necessario che non vi sia dipendenza anche sul piano della
disponibilità delle risorse di tipo tecnico e manageriale necessarie per avere successo sul
mercato.

2- Il secondo aspetto riguarda il caso delle società per azioni quotata in borsa ,dove il
mantenimento dell’autonomia passa attraverso il mantenimento di un adeguato valore sul

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mercato azionario.

Quando questo valore si avvicina o scende sotto la soglia del valore economico dell’impresa, si
possono creare le condizioni affinché si verifichino dei tentativi di scalata. Una operazione di tal
genere può dar luogo ad un semplice rotazione nella proprietà dell’impresa, da cui può derivare
anche un ricambio del management, ma che comunque non configura una perdita di autonomia
dell’impresa stessa.
In altri casi la scalata può essere operata da imprese concorrenti con l’obiettivo di mettere le mani
sule quote di mercato dell’avversario, sulle sue competenze e ,in generale sulle sue capacità (di
produzione, vendita, manageriali, ecc..) ; tutto ciò porta in una perdita di autonomia, se non nella
vera e propria sparizione dell’impresa scalata.
In altre situazioni le scalate possono essere operate da riders i cui obiettivi sono di tipo
essenzialmente speculativo , cioè di comprare imprese sottovalutate dal mercato per poi
rivenderne gli assets (beni) ottenendone delle consistenti plusvalenze.

Quindi, il vertice di queste imprese deve avere sempre presente la necessità di valutare le proprie
scelte di fondo anche alla luce dei riflessi che queste possono avere sul valore azionario del
titolo; ciò non soltanto di fare in modo che non si creino le condizioni favorevoli per una scalata,
ma anche evitare che ,un giudizio sfavorevole dei mercati finanziari possa pregiudicare la
possibilità di far ricorso al mercato borsistico per finanziare i processi di sviluppo aziendale.

Un’altra chiave interpretativa : Ciascuna decisione imprenditoriale dà luogo da un’innovazione che


genera sia effetti qualitativi (know-how) che quantitativi ( es. crescita del numero di dipendenti,
fatturato, capacità produttiva, ecc..)

I poli di attenzione delle decisioni imprenditoriali sulla base della natura del cambiamento generato
(fig. 4.3) :

- Nell’area stasi la decisione di cambiamento non genera alcun effetto positivo né in termini
qualitativi né quantitativi.

- Se invece si ha un arricchimento qualitativo ed al tempo stesso una crescita dimensionale ci


troviamo nell’area dello sviluppo quali-quantitativo -> la decisione è ovviamente da valutarsi
positivamente.

- Il giudizio permane positivo anche nel caso in cui si abbia un effetto dimensionale positivo a
fronte di un effetto qualità nullo -> è questa l’area della crescita inerziale, cioè la decisione genera
una crescita quantitativa senza migliorare le conoscenze di cui dispone.

- Esiste anche il caso in cui la decisione generi un effetto crescita dimensionale negativo a
fronte di un effetto qualitativo positivo -> è questa una situazione tipica di quelle imprese che
operano in mercati dinamici, in cui per sopravvivere ,è necessario migliorare continuamente le
proprie competenze qualitative.
Oppure nel caso in cui l’impresa stia tentando un processo di sviluppo acquisendo know-how ma il
mercato non risponde adeguatamente (es. l’impresa realizza un prodotto fortemente innovativo ed
il mercato non è ancora pronto ad accettare il prodotto stesso).
Si può avere anche il caso in cui tutto il settore sia sottoposto ad un consistente
ridimensionamento al quale anche l’impresa si adegua (ridimensionamento deliberato).

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- Il giudizio è chiaramente negativo nel caso in cui la decisione dà luogo ad un deterioramento


delle posizioni sia sotto il profilo dimensionale che delle conoscenze (area del deterioramento).

- Esiste anche il caso in cui la decisione generi un effetto crescita positivo a fronte di un
deterioramento delle conoscenze (crescita delirante).
In questo caso la decisione porta l’impresa in condizione di rischio a causa della scarsità delle
competenze distintive poiché nel momento in cui si modificano le condizioni ambientali che hanno
permesso una crescita dimensionale espansiva, l’impresa si troverà in forte difficolta non riuscendo
più a sfruttare la capacità produttiva e non avendo la possibilità di modificare convenientemente gli
impianti in funzione delle nuove condizioni ambientali.

Le decisioni strategiche : aspetti generali

IL CONCETTO DI STRATEGIA

Sono decisioni “strategiche” tutte quelle decisioni che riguardano la definizione degli obiettivi e
delle linee di comportamento “di fondo” delle imprese. Cioè quelle scelte di base da cui deriva il
“modo di essere” ed i modo di evolversi dell’impresa nell’ambiente.

I due elementi che caratterizzano le decisioni strategiche sono rappresentati dalla loro particolare
criticità e dalla loro dimensione ambientale.
-> criticità – secondo questo punto di vista, sono “strategiche” tutte quelle decisioni che ,per il loro
impatto globale sul impresa e sui rapporti di essa, lasciano ben pochi margini di errore : ogni
sbaglio in questo campo è pagato a caro prezzo, potendo portare fino alla cessazione
dell’impresa ,o a ricorrere ad interventi esterni che possono portare ad un cambio nella proprietà
dell’impresa.

-> dimensione ambientale – questa rappresenta l’altra faccia della stessa medaglia, nel senso
che ogni decisione caratterizzata da un elevato livello di “criticità” riguarda direttamente o
indirettamente anche aspetti dell’attività di impresa relativi ai rapporti con dei pubblici aziendali.

Esempio 1 : la definizione del “posizionamento concorrenziale” dell’impresa, ovvero l’insieme


delle scelte che definiscono il modo in cui l’impresa decide di far apparire diversi e preferibili i suoi
prodotti agli occhi dei sui clienti; è evidente che commettere errori su questo fronte può significare
il crollo del fatturato e dell’immagine aziendale.

Esempio 2 : la definizione dei caratteri del suo sistema di produzione, ovvero le scelte relative
alle soluzioni tecnologiche ed organizzative relative ai processi di trasformazione; anche qui le
implicazioni di simili scelte sul piano della qualità merceologica dei prodotti e sulla struttura dei
costi produzione possono diventare decisive.

N.B : una cosa è definire una decisione come “strategica” (aggettivo) ,ovvero decisione critica sul
piano del rapporto fra impresa e ambiente in cui opera;
Un’altra cosa è invece fare riferimento alla “strategia d’impresa” (sostantivo) ,perché in questo
caso significa richiamare il processo decisionale attraverso cui possono essere prese queste
decisioni.

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Due fondamentali prospettive in cui questo tema può essere analizzato :

a) da u punto di vista più generale , in cui la strategia è analizzata :


- come logica di fondo sulla quale l’imprenditore basa la capacità dell’impresa di stare sul
mercato in posizione di forza (capacità competitiva) e che possiamo definire come la formula
imprenditoriale.

- nei diversi livelli ai quali possiamo parlare di scelte strategiche :


in relazione ai caratteri della complessiva architettura dell’impresa, è possibile distinguere una
gerarchia delle decisioni che hanno un carattere strategico.

b) da un punto di vista più specifico, in cui sono distinte alcune classi di decisioni nelle quali
prende concretamente corpo la strategia dell’impresa, e cioè le scelte che riguardano :
- la definizione dell’area di attività (definizione del business),
- la definizione delle strategie concorrenziali,
- la definizione delle direttrici di sviluppo.

LA STRATEGIA D’IMPRESA E LA BUSINESS IDEA

Dal punto di vista imprenditoriale affrontare il problema della definizione delle strategie aziendali
significa definire la logica di fondo secondo cui affrontare il confronto con il mercato.
Da questo punto di vista possiamo individuare un preciso legame tra le decisioni strategiche e
l’idea imprenditiva di base.
L’idea imprenditiva su cui si fonda l’impresa è definita come il complesso degli elementi che
definiscono la logica di fondo secondo cui l’impresa compete sul mercato e cerca di ritagliarsi una
posizione di forza nell’ambiente.

Il business idea (Richard Normann) è descritta come il sistema di coerenze fra impresa e
ambiente che consente all’impresa di “dominare” quella particolare porzione di ambiente
nella quale ha scelto di competere, ed ha individuato i suoi fattori di base :
- il segmento di mercato in cui si decide di operare,
- il “sistema di prodotto” che viene offerto al mercato,
- la struttura dell’impresa, intesa come insieme di condizioni interne e di risorse a disposizione.

Alla base del successo di una business idea vi sono le innovazioni che differenziano l’offerta di
un’impresa dai modelli di offerta proposti dalla concorrenza. Cioè la capacità di soddisfare i bisogni
già emersi sul mercato in modo più efficace di quanto non facciano i concorrenti o sapere
individuare bisogni ancora allo stato latente.

Un altro aspetto importante nello sviluppo di una formula imprenditoriale è dato dall’influenza della
storia dell’impresa, in particolare dei processi di apprendimento.
- Il punto di partenza per la definizione di una business idea è l’intuizione imprenditoriale, cioè il
risultato di un processo decisionale che vede interagire valutazioni razionali con vere e proprie

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“sensazioni”.
- Per tradursi in una e vera formula imprenditoriale è necessario fare i conti con il sistema delle
idee dominanti all’interno dell’impresa; è necessario che vi sia una consonanza fra le idee
promosse dall’imprenditore e quelle maturate nell’impresa nel corso del tempo.
- I processi di apprendimento svolgono anche un altro ruolo decisivo : quello dello sviluppo delle
competenze distintive necessarie. In questo senso assumono importanza sia i processi di
apprendimento relativi al passato, che i processi da mettere in atto al fine di acquisire quelle
competenze firm specific (non direttamente acquisibili sul mercato) che si ritengono necessarie
per mettere in pratica una data idea di business.

Ogni impresa ha una propria formula imprenditoriale che può essere vista come il frutto di tutta la
sua storia dal momento che l’esperienza ,l’immagine e le competenze distintive accumulate nel
corso della sua esistenza e sedimentate nelle persone, nelle procedure decisionali e tecniche, nel
patrimonio di informazioni, ma anche nelle relazioni con i pubblici esterni, rappresentano il
substrato da cui scaturisce e su cui si regge ogni formula imprenditoriale.

Qual è il rapporto fra la definizione di una strategia aziendale e quella di una formula
imprenditoriale?

Mentre la prima individua un processo che come orizzonte di riferimento ha un preciso arco
temporale rappresentato dal “periodo di piano”, la formula imprenditoriale si pone in una
prospettiva più ampia.
Non necessariamente ogni volta che si mette a punto una strategia d’impresa si rimette in
discussione l’intera logica secondo cui l’impresa ha costruito la sua storia.
Comunque vi possono essere dei momenti particolarmente critici in cui un’impresa si trova
costretta a mettere in discussione la sua business idea, e dunque mettere a punto una strategia
che comporta radicali ed estese innovazioni nella complessiva “struttura aziendale”.

L’APPROCCIO IMPRENDITORIALE ALLE DECISIONI STRATEGICHE

E’ importante saper distinguere se questa “strategia” sia stato il frutto di un progetto


consapevole elaborato “a priori” , oppure se il percorso compiuto sia stato il frutto di un
percorso inconsapevole che si è sviluppato più o meno giorno per giorno attraverso una serie di
scelte sostanzialmente intuitive.

Il fatto di seguire un approccio che cerca di analizzare e pianificare “a priori” il percorso da


compiere non assicura di per sé un’efficacia superiore a quella che può essere il frutto di un
approccio essenzialmente intuitivo ; comunque è difficile negare che ,soprattutto quando si debba
affrontare un ambiente competitivo complesso e caratterizzato da elevati livelli di concorrenzialità,
cercare di affrontare in modo più consapevole le fondamentali problematiche decisionali, può
rappresentare un elemento capace da fare la differenza.

Quando si deve prendere decisioni di fondo che riguardano il futuro, l’intuizione imprenditoriale ha
sempre un ruolo decisivo. E’ importante evitare di confondere l’intuizione, che rappresenta il
momento in cui da insieme di informazioni si trae una conclusione che si traduce in una decisione,
dalla logica secondo cui ci si accosta al processo decisionale. Una cosa è cercare di elaborare un
programma, un progetto, un’altra cosa è cercare di navigare “a vista”.

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Considereremo come vere e proprie strategie d’imprese soltanto quelle che sono il frutto di un
processo consapevole di analisi, di valutazione e di scelta compiuto a priori. In cui dunque la
strategia realizzata sia il frutto di una strategia progettata.

I metodi secondo cui la strategia è concretamente elaborata :

- Nel caso si scelga di seguire un approccio consapevole, in cui la strategia si traduce in un


progetto frutto di un processo di analisi, valutazione e programmazione degli interventi, si fa ricorso
a modelli decisionali di tipo strutturato  cioè utilizzare procedure decisionali che utilizzano una
precisa sistematica, che si fondano sulla ricerca e sulla elaborazione delle informazioni, che
portano alla definizioni di obiettivi e modelli di comportamenti precisi, che infine si traducono in uno
sforzo di pianificazione e di programmazione dell’attività aziendale in vista del raggiungimento
degli obiettivi indicati.
Comunque, ciò non significa che fare “strategie” significhi elaborare piani rigidi che poi non
possono essere modificati durante le fasi della loro realizzazione.

L’utilità di questi modelli (di tipo strutturato) è :


-> aiutare a rendere più coerenti le scelte e a valutare in modo più accurato e anticipato la
praticabilità degli obiettivi ed i vantaggi e i rischi che si collegano alle diverse linee di
comportamento.
-> secondariamente, essi rappresentano il presupposto indispensabile per la realizzazione di un
efficace programmazione dell’attività aziendale , utile sia ai fini del controllo dei comportamenti e
dei risultati (attraverso i budget) sia ai fini del maggior coinvolgimento dei membri dell’impresa.

- Si può individuare una situazione intermedia fra l’approccio strutturato e l’approccio puramente
intuitivo, nel caso in cui il vertice aziendale, pur non utilizzando un processo decisionale del tutto
strutturato e in una pianificazione formale, adotti, anche in modo informale, la logica di analisi e
di programmazione che sta alla base dell’approccio strategico.

- il modello definito come la SWOT analisys ,ovvero l’analisi comparata dei punti di forza
(Strenght) e di debolezza (Weakness) dell’impresa, che rappresentano la dimensione interna
dell’analisi; dall’altro dell’insieme delle opportunità (Opportunities) e delle minace (Treats) che
vengono dall’ambiente ,che individuano cosi la dimensione esterna.
Questo modello riguarda la fase iniziale del processo di elaborazione della strategia ,a cui deve
seguire le seguenti fasi :
-> l’analisi previsionale esterna,
-> l’analisi previsionale interna,
-> la messa a fuoco e la valutazione delle diverse alternative,
-> la scelta degli obiettivi e delle linee di comportamento,
-> la programmazione dello sviluppo (globale e per periodi),
-> la messa in atto delle decisioni prese (azione programmata).

Un ultimo aspetto che merita di essere segnalato riguarda la possibilità che questa elaborazione si
traduca in un processo esplicito o che rimanga implicito.
Siamo di fronte ad una strategia esplicita quando questa trova espressione non soltanto nello
svolgimento di un definito percorso di elaborazione ma anche nella diffusione fra i membri
dell’impresa e talvolta, anche a soggetti esterni.

Le ragioni per cui è importante esplicitare il progetto strategico messo a punto :

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a) ragioni di carattere interno all’organizzazione  la strategia deve informare il personale di


cosa ci si aspetta da loro e dunque creare le premesse sia per mettere meglio a punto detta
strategia ,sia per fare in modo che essa sia compresa e ha coinvolto tutti coloro che
concretamente dovranno metterla in atto.
Un classico errore che può essere compiuto in questa sede è quello di costruzione del progetto
secondo una rigida logica top-down, in cui chi è al vertice (managers, consulenti, ecc.) dice ai
livelli inferiori cosa ognuno deve fare senza che quest’ultimi possano partecipare alla messa a
punto di un progetto che poi dovranno rendere operativo.  questo può portare ad elaborare un
progetto sostanzialmente astratto, in quanto il contributo di coloro che operano “sul campo” è
fondamentale per poter mettere a fuoco gli obiettivi. Poi ,il mancato coinvolgimento di larga parte
del management può portare ad una reazione negativa, è vissuto come una imposizione.
La situazione può diventare ancora peggiore se la strategia non è di fatto resa esplicita, ovvero
comunicata all’interno dell’organizzazione in modo adeguato.  Ciò può portare ad un significativo
disorientamento dovuto alla difficolta di capire esattamente cosa ognuno deve fare e quali sono gli
obiettivi da perseguire.
b) ragioni di carattere esterno  Rendere esplicita la strategia può essere estremamente
importante anche in una prospettiva esterna, ovvero nel quadro dei rapporti che intercorrono con i
“pubblici” che sono i suoi naturali interlocutori.

Esempi :
- I rapporti con gli eventuali finanziatori.
Sia al momento dell’avvio di una nuova iniziativa sia nel momento di un processo di sviluppo è
normalmente necessario ricercare dei finanziamenti che possono essere sia a titolo di credito che
di capitale di rischio. Per ottenerli è necessario riuscire a convincere i potenziali finanziatori
dell’opportunità e della convenienza dell’operazione. Si tratta quindi di comunicare ai finanziatori
quale sia “il piano industriale” ,ovvero la logica secondo cui l’azienda intende operare e quali siano
i flussi economici e finanziari che ci si aspetta di conseguire nell’ambito di questo piano.

- Le relazione sindacali
Spesso le organizzazioni dei lavoratori, in sede di contrattazione, richiedono quali siano i piani
dell’azienda.

- Un’esigenza analoga si pone nel caso in cui l’azienda si trovi a concorrere per l’ottenimento di
finanziamenti agevolati da parte di entità di tipo pubblico (es. finanziamenti dell’Unione Europea).

- L’utenza .
Talvolta è la stessa utenza che ha bisogno di informazioni in merito a quello che l’impresa si
propone di fare nel futuro (nuovi investimenti, rinnovo dei prodotti, rinnovo dell’immagine,
risanamento finanziario, ecc..) . Ciò è essenziale per non creare un stato di incertezza e di sfiducia
che può portare la clientela a rivolgersi ad altri; patrimonio di fiducia.

IL PROCESSI DI “IMPLEMENTAZIONE” DELLA STRATEGIA

Con il termine “implementazione” si intende designare il processo attraverso cui si passa alla
concretta realizzazione dei piani messi a punto in sede di formulazione della strategia d’impresa.
Si tratta, in sostanza, della traduzione in pratica della cosiddetta azione programmata.

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In questo quadro gli aspetti di maggior rilievo sono due :

1) la necessità di gestire le tensioni che possono nascere sia all’interno dell’organizzazione sia nei
rapporti con gli interlocutori esterni.

2) la necessità di correggere, riorientare ed eventualmente annullare il piano di sviluppo, in


relazione al determinarsi di alcuni fenomeni ,ovvero :
- l’impossibilità in sede di pianificazione di tenere conto di tutti gli aspetti che possono avere
un’influenza sulla realizzazione del piano;
- la continua evoluzione dell’ambiente in cui l’impresa opera che può modificare il quadro di
riferimento del piano;
- la possibilità che siano compiuti degli errori nella realizzazione pratica del piano.

Proprio in relazione a queste eventualità si determinano delle differenze ,a volte significative, fra la
strategia progettata e quella effettivamente realizzata.

Secondo il classico modello di Mintzberg e Waters (1985), il processo che porta dalla elaborazione
di una strategia alla sua realizzazione può essere descritto in questo modo (fig.4.6) :
- la parte della strategia che si sceglie consapevolmente di non attuare,
- la parte che invece è di fatto lasciata cadere senza bisogno di decisioni esplicite (parte
rimossa) ,
- gli interventi di correzione che vengono attuati in relazione alla necessità di correggere eventuali
errori o imprecisioni o di cogliere opportunità che ,nella fase di progettazione, non erano state colte
o non esistevano del tutto (strategia emergente) ,

Nella realizzazione dell’azione programmata possono manifestarsi tutta una serie di contingenze
che hanno l’effetto di costringere il vertice aziendale a deviare in maniere più o meno sensibile da
quello che era il percorso originariamente tracciato. Dunque è necessario non limitare l’adozione di
una prospettiva strategica solo alla fase di progettazione dello sviluppo, ma è anche necessario :

-> tenere costantemente sotto controllo l’evoluzione degli elementi chiave (interni ed esterni) su
cui si fonda il progetto aziendale,
-> predisporre sin dal momento della progettazione delle alternative rispetto alle scelte
inizialmente fatte.
-> predisporre gli strumenti per intervenire in modo da correggere il percorso intrapreso,
-> essere pronti, se è possibile e consigliabile, ad interrompere il processo di sviluppo in atto, per
riformulare il progetto globale prima che sia troppo tardi.

In generale, le fasi di sviluppo sono quelle in cui ogni impresa è normalmente più fragile. In
relazione ai problemi che quasi sempre si pongono quando si intraprende un processo di
cambiamento è spesso elevato il rischio che può portare l’impresa ad uno stato di crisi.
Pensiamo agli effetti che possono scaturire nel caso dei ritardi al raggiungimento degli obiettivi
definiti. Il fatturato che non cresce, il reddito che tarda, ecc.. sono elementi che possono scatenare
una serie di tensioni, rivalità, preoccupazioni che possono rendere molto difficile la situazione.
Un’impresa in fase di sviluppo è abbastanza debole anche sul piano finanziario. Questo fa che il
potere di condizionamento e la pressione dei finanziatori nel confronto del soggetto imprenditore
può essere molto forte ,creando delle situazioni non semplici da gestire anche sul piano personale
e psicologico.

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Sappiamo che il cambiamento per ogni impresa è una necessità imposta dall’evoluzione del
mercato e dell’ambiente in generale. Anche se è un passaggio che prima o poi è inevitabile ,questo
non significa che si riesca sempre a cambiare nel modo giusto; il problema è che molto spesso è
difficile capire in modo chiaro e tempestivo se si sono compiuti degli errori di fondo o se siamo di
fronte a delle semplici difficolta di percorso.
Quindi, sia nella fase del progetto di sviluppo che nella sua realizzazione , le capacità di saper
leggere lucidamente e tempestivamente l’evoluzione dei trends, di tener sotto controllo i processi
decisionali, di raccogliere un ampio consenso interno ed esterno, di esercitare una forte
leadership, di avere la prontezza e la forza per intervenire con interventi correttivi o resistere
quando vi sia una bassa convincimento sulla validità delle scelte, sono tutti elementi decisivi.
Poi ,è importante che ci sia anche la collaborazione ed il supporto della proprietà e dei
collaboratori portatori di competenze specialistiche per una gestione più soddisfacente.
I CONTENUTI DELLE DECISIONI STRATEGICHE

Queste decisioni possono essere ricondotte a tre fondamentali classi :


- La definizione dell’area di attività,
- La definizione delle strategie concorrenziali,
- La definizione delle direttrici di sviluppo.

1) LA DEFINIZIONE DELL’AREA DI ATTIVITA’

La definizione dell’area di attività (o dell’area d’affari o del business aziendale)  rientrano in


questa categoria quelle decisioni che riguardano le scelte relative a quale debba essere il mercato
a cui l’impresa intende rivolgersi e il tipo di prodotti ( o di offerta) che si intende proporre sul
mercato.
Si tratta delle decisioni in merito a “che cosa produrre” e “a chi vendere” .

La scelte relative a cosa produrre e a chi vendere ,in una ideale gerarchia delle decisioni si
collocano al più alto livello. Esse rappresentano allo stesso tempo il punto di arrivo di tutto
l’insieme delle indagini e delle valutazioni volte a comprendere quale possa essere il ruolo
dell’impresa nel suo ambiente (la missione aziendale) e il punto di partenza da cui prende
concretamente avvio la costruzione del complessivo disegno strategico dell’impresa.
Anche in questo campo non è concesso di commettere gravi errori, in quanto possibili incoerenze
fra ciò che l’impresa offre e ciò che il mercato-obiettivo richiede, può avere conseguenze pesanti
o disastrose per l’impresa.

Le decisioni riguardanti la definizione del business aziendale si caratterizzano per la loro :


- criticità -> poiché si tratta di scelte “decisive”.
- complessità -> dovuta al gran numero di elementi interni ed esterni che possono assumere
rilievo al riguardo.
- continuità -> in quanto sono scelte che non riguardano soltanto la fase di avvio di un’iniziativa
imprenditoriale ,ma durante tutta la sua successiva esistenza.

La definizione del business richiede per primo la definizione del quadro di riferimento entro cui
devono essere compiute le scelte aziendali. Si tratta di fattori quali le esigenze, le preferenze e le
attitudini dell’utenza, le tecnologie di prodotto e di processo disponibili, il quadro normativo e in
generale, tutti i fattori ti tipo economico, politico, sociale, ecc.. che possono influire si
comportamenti dei potenziali acquirenti e dei concorrenti; è necessario non soltanto una corretta

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percezione del loro effettivo stato, ma anche cogliere il senso della loro possibile evoluzione nel
tempo.

E’ necessario distinguere i casi in cui il contesto in cui opera l’impresa è caratterizzato da una
sostanziale stabilità da quelli in cui è caratterizzato in senso opposto.

 Si può parlare di stabilita del quadro di riferimento non solo nel caso quando questo non
presenta sostanziali mutamenti, ma anche quando la sua evoluzione segue dei trends che sono
direttamente influenzabili o facilmente prevedibili dalle imprese.
In queste circostanze difficilmente potranno essere commessi da parte degli imprenditori
sostanziali errori nella definizione del proprio business. In questa situazione fare la differenza non
è tanto la capacità di definire efficacemente cosa fare, ma piuttosto la capacità di prendere le
giuste decisioni in merito a come fare, nel senso che il successo dell’impresa si gioca più sul
fronte della ricerca della massima efficienza nello svolgimento dei processi aziendali che sul fronte
delle capacità strategica.

 La situazione cambia radicalmente quando il quadro di riferimento ambientale è caratterizzato da


una elevata dinamicità. Siamo dunque in presenza di un quadro, il quale non mostra in modo
chiaro quale sarà la sua evoluzione nel breve-medio periodo, e quindi diventa assolutamente
cruciale non soltanto riuscire fare la scelta giusta ma anche riuscire a farla al momento giusto.
Se, per un verso, aspettare le mosse dei concorrenti e vederne gli effetti può rendere più semplici
le decisioni, è però altrettanto vero che, aspettare troppo a decidere può dare ai concorrenti un
grande vantaggio tendendo conto dei tempi necessari per passare dalla fase di elaborazione di
una strategia alla sua effettiva presenza sul mercato; è quindi importante ( ma anche difficile)
assumere comportamenti anticipatori dalla concorrenza, ovvero di prendere le giuste decisioni
sulla base di elementi non del tutto definiti (segnali deboli).
Da più di due decenni in quasi tutti i settori di attività si manifesta una forte dinamica del quadro di
riferimento (new economy).

Il problema della definizione del business deve dimostrare la capacità di :

a) mettere a punto una definizione del business aziendale dotata dei necessari requisiti di
coerenza fra ciò che un mercato può apprezzare ed acquistare e ciò che gli viene offerto,

b) verificare costantemente il livello di coerenza della definizione del business che si è


scelto di adottare; tenere cioè sotto controllo, alla luce della continua evoluzione del contesto in
cui l’impresa opera, il grado di consonanza (armonia) dell’offerta aziendale con gli effettivi bisogni
del mercato.

c) aggiustare o modificare la definizione dell’area d’attività con la dovuta tempestività


qualora emergano segnali dell’esistenza di incoerenze nella combinazione
impresa/mercato; aggiustamenti che possono essere di tipo “corrente” o procedere ad una vera e
propria ridefinizione dell’area di attività, e dunque intraprendere un vero e proprio processo di
sviluppo aziendale.

Alcune precisazioni :
1- Qualsiasi organizzazione volta a produrre beni e servizi destinati ad essere ceduti a terzi ha una
sua specifica “area di attività” i cui contorni sono definiti dal tipo di beni e servizi che produce
(offerta) e dall’utenza a cui rivolge questa offerta.

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La nostra attenzione riguarda la logica e le metodologie secondo le quali il vertice aziendale può
affrontare le problematiche relative alla definizione dei caratteri del business aziendale.

2- Sul piano pratico queste problematiche non si presentano sempre negli stessi termini.
Per esempio, non è la stessa cosa mettere a punto una definizione del business partendo da zero
(impresa di nuova costituzione) ,oppure modificare i caratteri di un business già esistente.
Cosi come non è la stessa cosa affrontare dette problematiche partendo da una situazione di
sostanziale normalità oppure da una situazione di grave crisi.

La formulazione della strategia d’impresa prendendo come situazione di riferimento quella


dell’impresa industriale o commerciale già avviata di dimensioni medio-grandi che opera in
condizioni di sostanziale normalità.
Per definire il business ,il vertice imprenditoriale dispone due categorie di strumenti :
- quelli necessari per raccogliere tutte le informazioni necessarie;
- e quelli che possono aiutare ad analizzare la situazione e se necessario, a formulare una
definizione del business diversa da quella in atto (a noi interessano i secondi).

UN ESEMPIO DI APPROCCIO SISTEMATICO ALLA DEFINIZIONE DEL BUSINESS : IL


MODELLO DI ABELL

Il modello di Abell distingue tre fondamentali “dimensioni” che identificano i “confini” dell’area di
attività propria di ogni impresa. Si tratta di :

1) le esigenze e i bisogni che si cerca di soddisfare (l’asse delle funzioni)  corrisponde


all’analisi di quali possono essere le esigenze avvertite da un determinato insieme di clienti. Si
tratta della capacità di individuare in modo puntuale tutte le diverse modalità, già emerse o ancora
allo stato latente, in cui una determinata classe di bisogni sono avvertite.

2) i gruppi di clienti serviti  si tratta di suddividere l’insieme dei soggetti che costituiscono un
mercato potenziale in una serie di sotto-insiemi distinti in relazione alla diverse modalità in cui può
essere avvertita una medesima categoria di esigenze (segmentazioni del mercato).

3) le soluzioni tecnologiche adottate  riguardano le soluzioni alternative attraverso cui può


essere concretamente soddisfatta una determinata esigenza.
E’ necessaria una distinzione fra tecnologia di prodotto – tecnologia presente all’interno del
prodotto (auto diesel, auto benzina, ecc..) e tecnologia di processo – tecnologia con la quale
viene realizzato il processo produttivo. Il nostro riferimento è principalmente alla tecnologia di
processo.

Lo schema di Abell ci permette di individuare su some potrebbe essere modificata la definizione


del business rispetto a quella attualmente adottata.
Considerando come l’applicazione di una soluzione di tecnologia alla soddisfazione di un bisogno
individui i connotati essenziali di un prodotto; cosi come un gruppo di clienti portatori di un
bisogno individui il mercato (o segmento del mercato) ,si mostra come la dimensione dei
“bisogni” sia proprio il punto di raccordo fra il prodotto e il mercato.

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Il modello di Abell è utile non solo per ricostruire i contorni dell’area di attività dell’impresa ,ma
anche la sua esatta collocazione all’interno di quegli “aggregati” che rappresentano il contesto
diretti in cui essa opera, ovvero il settore ed il mercato ,e più in dettaglio l’arena concorrenziale
in cui essa opera.

Il settore – è l’insieme delle imprese che adottano un medesimo tipo di tecnologia produttiva.
(Un’impresa che appartiene ad un settore può operare su più di un mercato).
Il mercato – è l’insieme delle imprese che cercano di soddisfare una data categoria di bisogni di
cui è portatore un determinato gruppo di clienti (Su un mercato possono operare imprese che
appartengono a settori diversi).

L’arena competitiva – nella quale un’impresa deve confrontarsi con le imprese concorrenti.
Questa può essere individuata nell’intersezione fra il business A e il business B, che individua un
gruppo di clienti portatori di un certo bisogno che sono serviti da due imprese appartenenti allo
stesso settore ma che hanno un business differente.

L’esempio dei trasporti secondo il modello di Abell :

Il trasporto delle cose e delle persone è una funzione che viene a soddisfare una esigenza
fondamentale, e dunque esiste un ampio mercato del trasporto in cui si incontrano una domanda
composto da tutti quei soggetti portatori del bisogno di spostare cose o persone ed un’offerta
composta dall’insieme delle imprese che offrono servizi atti a soddisfare questa esigenza.
Secondo il modello di Abell, i modi in cui un’impresa può definire i contorni del suo business
all’interno del mercato dei trasporti sono estremamente diversificati in base alle tre dimensioni
individuate.
-> dimensione “bisogno” – è possibile distinguere :
- trasporto delle persone ,che alla sua volta si distingue in trasporto delle persone per motivi di
lavoro e per motivi di turismo.
- trasporto delle merci, che alla sua volta si distingue in trasporto di merci voluminose da quelle di
piccoli pacchi.
Oppure è possibile distinguere in relazione all’importanza della velocità del trasporto o alla sua
costosità.
-> dimensione “clienti” – è possibile costruire un ampia segmentazione del mercato,
individuando gruppi di clienti distinti in relazione ad elementi ,quali :
- le loro disponibilità economiche,
- le ragioni per cui si devono spostare,
- la distanza che devono coprire, ecc..
-> dimensione “tecnologia” – è possibile individuare diverse alternative, quali : la “tecnologia” del
trasporto automobilistico, ferroviario, aereo, via nave, ecc..

Quale è il ruolo che la definizione del business può svolgere al fine del conseguimento del
vantaggio competitivo ?
Si possono individuare due possibilità :

1 – la definizione del business può rappresentare una fonte diretta di vantaggio competitivo; ciò
per il fatto di essere un elemento di innovazione e di differenziazione rispetto alla concorrenza,
capace di generare significativi flussi di domanda prima insoddisfatta. Comunque si tratta di un

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vantaggio transitorio , in quanto l’individuazione di un nuova redditizia area d’affari attira


rapidamente l’ingresso di altre imprese.
2 - la definizione del business (i confini della propria area d’affari) rappresenta il presupposto per
poter mantenere una presenza sul mercato. Il vantaggio competitivo dovrà essere costruito sul
piano della capacità di centrare in modo più efficiente dai concorrenti i bisogni espressi all’interno
di una determinata area d’affari.

N.B : Non è detto che un processo di sviluppo aziendale implichi necessariamente una
ridefinizione dei confini del business.
Vi possono individuare tre situazioni :
- strategie di sviluppo che non comportano la ridefinizione del business,
- strategie di sviluppo fondate sulla ridefinizione del business,
- strategie che prevedono l’ingresso in nuove aree di business senza abbandonare quella in cui già
si operava.

2) LA DEFINIZIONE DELLE STRATEGIE CONCORRENZIALI

Il mercato è il “luogo ideale” dove l’impresa si confronta con i suoi due fondamentali interlocutori : i
potenziali clienti ed i concorrenti – aziende che rivolgono la propria offerta di prodotti e servizi
allo stesso gruppo di clienti.

Operare in una determinata area d’affari significa affrontare due problemi , ovvero :
- come confrontarsi con le imprese che adottano una definizione del business che è uguale o
simile alla nostra;
- come fronteggiare l’eventualità che nuove imprese entrino in quel mercato, diventando nostre
ulteriori concorrenti.

N.B : L’insieme delle imprese concorrenti non coincide necessariamente con quelle che operano
nel nostro settore.

Consideriamo – per semplicità – i mercati nel quali operano imprese appartenenti ad un solo
settore. All’interno di ogni settore è possibile che vi siano diversi “raggruppamenti strategici”
,ovvero gruppi di imprese in diretta concorrenza fra loro ma non concorrenti di quelle appartenenti
ad altri gruppi.
Esempio : nel settore dell’automobile possono essere :
- un raggruppamento strategico imprese quali : la FIAT, la Wolksvagen, la Renault  fasce di
marcato alte e medio-alte.
- un altro raggruppamento imprese quali : Mercedes-Benz, la BMW, l’Audi  fasce di mercato
basse e medio-basse.

La situazione in cui possono trovarsi in concorrenza fra loro aziende che hanno definito la propria
area di affari in modo sostanzialmente diverso:

-> prima impresa – ha segmentato il mercato sulla base del tipo di cliente servito,
-> seconda impresa – sulla base del tipo di prodotto offerto.

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Il classico modello della concorrenza allargata – M. Porter  secondo questo modello ,ogni
impresa nell’affrontare le problematiche relative al confronto concorrenziale ,non deve limitare la
propria attenzione soltanto alle imprese che sono già effettive concorrenti, ma anche tener conto
delle implicazioni sul piano concorrenziale che possono scaturire nel rapporto con i nostri clienti e
i nostri fornitori.
Si pongono due possibili problemi :
- esiste quasi inevitabilmente una forma di lotta legata alla spartizione del valore aggiunto
prodotto; si tratta di una lotta basata sul potere contrattuale delle controparti.
- esiste poi anche la possibilità che i nostri fornitori o clienti possano tentare di entrare sul mercato
diventando i nostri concorrenti diretti; questo può avvenire quando un fornitore intraprende un
processo di integrazione verticale “a valle” , oppure quando un cliente intraprende un processo di
integrazione “a monte”.

Vanno poi considerate anche le minacce che possono venire dall’esterno del settore e del
mercato in cui l’impresa opera.
 si tratta dei pericoli che possono derivare dall’introduzione da parte di altre imprese di prodotto
sostitutivi, basate su “tecnologie” differenti. La minaccia che può venire da prodotti sostitutivi può
essere molto seria soprattutto perché può spostare il confronto concorrenziale sul un piano in cui
la nostra impresa può trovarsi indifesa. In questo caso, qualora una certa soluzione alternativa che
era apparsa in precedenza inadeguata giunga improvvisamente maturazione e riscuota il
gradimento del mercato, può essere difficile per noi prendersi delle efficaci contromisure. Si pone il
problema di know-how.
 un’altra minaccia esterna è quella che può derivare dall’ingresso sul mercato di nuove imprese.
Si tratta soprattutto di quelle imprese che, per le loro caratteristiche strutturali, possono
determinare seri rivolgimenti negli assetti del mercato. Per esempio quando una grandissima
impresa (es. multinazionale) entra in un mercato che sino a quel momento era stato terreno di
scontro solo fra imprese di dimensioni più limitate. In questo caso la minaccia può essere di grade
portata in sé. Soprattutto nei casi in cui il mercato si dimostra sensibile ai punti di forza della
grande imprese quale, produrre a bassi costi e dunque prezzi più bassi, investire grandi somme in
pubblicità, controllare i canali di distribuzione, ecc.. i rischi per le imprese più piccole diventano
molto molto seri.

LE SCELTE DI FONDO NELL’IMPOSTAZIONE DELLA STRATEGIA CONCORRENZIALE

Affrontare la concorrenza significa prendere decisioni relativamente a due aspetti di fondo :

- L’atteggiamento rispetto al mercato : si tratta di decidere la logica di fondo, rispetto cui


affrontarsi con l’utenza potenziale e con i concorrenti attuali e potenziali.

- La creazione di “vantaggi concorrenziali” : Si tratta di definire i punti di forza che permettano


all’impresa di mantenere (e sviluppare) una adeguata posizione sul mercato.

LE STRATAGIE DI PREVENZIONE DEL CONFLITTO COMPETITIVO

Rientrano in questa categoria quegli interventi volti ad evitare che si determini una situazione di
concorrenza che potrebbe minacciare la posizione dell’impresa o metterne in pericolo la

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sopravvivenza.

Le possibile strategie che possono essere adottate sono :

1- IL CONTRASTO – cioè la creare delle “barriere” all’entrata, ovvero creare delle condizioni che
rendano tecnicamente impossibile o economicamente sconveniente a potenziali nuovi competitori
di entrare sul mercato.
Queste barriere possono essere di varia natura :
- di tipo economico  rappresentate dalla possibilità di far leva da parte delle imprese già operanti
in un dato mercato su elevate economie di scala , rendendo cosi elevata la soglia degli
investimenti e delle quote di mercato necessarie per poter competere efficacemente.

- di tipo tecnico  attraverso il controllo di tecnologie capaci di assicurare non soltanto un


vantaggio competitivo ,ma di rendere praticamente impossibile, per l’incapacità di trovare soluzioni
alternative economicamente valide, l’ingresso di nuove imprese in quel mercato. Si può parlare in
questo caso anche di barriere di tipo giuridico, dal momento che il strumento usato è il brevetto.
E’ necessario una protezione della segretezza delle conoscenze.

- di tipo amministrativo  costituito da tutte le regolamentazioni poste dal potere pubblico quali :
autorizzazioni, licenze, standards di qualità richiesti, tasse imposte sulle importazioni, ecc.. che
possono tradursi nella pratica impossibilità per le imprese ad accedere a nuovi mercati.
Alcuni esempi :
-> vincoli imposti dagli accordi di commercio internazionale,
-> l’uso delle licenze e delle autorizzazioni in campi quali il commercio e telecomunicazioni ,
-> tasse imposte per scoraggiare le importazioni da paesi straniere di certi prodotti,
-> l’eventuale ricorso al blocco di importazioni,
-> le procedure burocratiche volte a scoraggiare l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali.
Si tratta di uno strumento che non può essere utilizzato in modo diretto dalle imprese, ma è
condizionato agli orientamenti dei pubblici decisori, sui quali comunque esiste la possibilità di
incidere attraverso azioni di lobbying.
Va detto che negli ultimi anni si è affermata la tendenza a ridurre il peso degli interventi
amministrativi sull’economia, attuando processi di deregulation o di armonizzazione delle
normative aziendali; la stessa Unione Europea è un strumento di abbattimento delle barriere fra i
vari stati in modo da creare un unico grande mercato con regole comuni.

2 – LA COMPOSIZIONE – riguarda gli accordi e le alleanze con potenziali concorrenti.


Questi accordi possono essere :
- di tipo esplicito – frutto di una diretta contrattazione fra imprese, formalizzata in atti giuridici
oppure nella forma gentlemen agreement.
- di tipo tacito – sono il frutto di convergere su determinate linee di comportamento.

Va detto che questo tipo di accordi possono assumere diverse valenze :


 accordi volti a tutelare i clienti dagli effetti perversi di un eccesso di concorrenza (codici di
autoregolamentazione ).
 accordi che possono penalizzare l’utenza e che possono riguardare i livelli di prezzo da
praticare, le quote di mercato massime che ognuno si impegna a conseguire, la spartizione delle
zone di vendita.
Siamo in presenza delle forme per le quali si possono spesso sollevare riserve in merito alla loro
legittimità e che sono oggetto dell’attenzione delle autorità antitrust (anti-monopolio). Ad esempio

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le compagnie di assicurazione e quelle petrolifere ritenute colpevoli di aver costituito dei “cartelli”
volti a mantenere i prezzi artificialmente alti.

3 – L’ELUSIONE – in questa categoria entrano quei tentativi di evitare il confronto concorrenziale,


abbandonando le posizioni di mercato ritenuti indifendibili, essendo le imprese concorrenti dotate
di vantaggi troppo grandi – soprattutto sul fronte dei costi – per spostarsi sui segmenti di mercato
sui quali si ritiene di poter operare con maggiori garanzie di redditività e sopravvivenza.
Consideriamo due strategie :
 il riposizionamento dell’impresa su un nuovo segmento di mercato ,normalmente con
dimensioni più limitate di quello di prima, ma nel quale i concorrenti sono più alla nostra portata.
Se questo riposizionamento non comporta un cambio del settore si può dire che questa scelta si
traduce nello spostamento dell’impresa da un raggruppamento strategico nel quale si trovava
debole, in un altro raggruppamento nel quale può mantenere una posizione solida.

 la strategia di nicchia : La differenza sostanziale dal caso precedente è che si tratta dei
segmenti di mercato definite come “nicchie” che rappresentano porzioni di domanda limitata e
particolare. Rientrano in questa categoria i beni di “estremo” lusso , quali : i Ferrari , i MegaYacht
e in parte i collezioni di alta moda.
Possono essere considerati come mercati di nicchia anche quelli che riguardano beni altamente
specializzati, come determinati apparecchi tecnici o certi articoli sportivi ad uso di tipo
professionale.
Le nicchie sono zone di mercato estremamente protette, e talvolta anche con assenza assoluta di
concorrenti. Da qui spunta la possibilità di praticare prezzi di vendita particolarmente elevati.

LE STRATEGIE CONCORRENZIALI INTESE IN SENSO PROPRIO

Quando non è possibile eludere il confronto concorrenziale si pone il problema di definire il modo
secondo cui affrontarlo.
Si possono individuare due logiche di fondo :

 concorrenza basata sul prezzo – si verifica quando il fattore prezzo assume il ruolo di elemento
discriminante nelle decisioni di acquisto.
- Ciò può avvenire sia per ragioni legate al potere di acquisto della clientela potenziale, la quale
pur vedendo le differenze fra i prodotti e il loro valore, è costretta a fare i conti con risorse limitate e
preferire i prodotti in base al loro prezzo più basso.
- Il prezzo può assumere un ruolo di assoluta centralità per tutte quelle categorie di prodotto che
per varie ragioni appaiono ai potenziali acquirenti come identici. Si tratta delle commodities,
ovvero quei beni quali le materie prime o prodotti agricoli che sono scambiati su mercati
organizzati sul larga scala.

Vi sono soltanto due vie praticabili per sostenere questo tipo di concorrenza :

1- la riduzione dei margini di redditività – può avere effetti limitati, in quanto anche i concorrenti
possono rapidamente ridurre i loro margini di redditività. Può essere praticata per periodo
sostanzialmente brevi.

2- la riduzione dei costi di produzione e vendita – questa via è il presupposto per poter

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praticare prezzi sempre più convenienti. E’ evidente il ruolo che può essere giocato dalle economie
di dimensione o quelle di scala. In questi settori tenda a ridursi il numero delle imprese offerenti,
dando luogo a situazioni di oligopolio o di monopolio.
E’ il tipico esempio delle imprese nel campo della distribuzione commerciale, le quali contando
su ampie economie di dimensione, su modelli distributivi estremamente economici e che possono
operare in economicità pur con margini di guadagno limitati, vanno progressivamente a sostituire
la piccola distribuzione al dettaglio (piccole imprese). In parallelo le imprese commerciali di minori
dimensioni riescano a mantenere uno spazio di mercato soprattutto operando sulle nicchie
specializzate.

 concorrenza basata sulla differenziazione dell’offerta – significa che il confronto fra le


imprese si fonda su :
- le caratteristiche tecniche dei prodotti e servizi offerti,
- le caratteristiche di tipo essenzialmente estetico,
- l’immagine dei prodotti offerti e dell’impresa che li offre.

Per differenziazione si intende l’insieme degli sforzi compiuti dalle imprese per fare in modo che
la propria “offerta” sia percepita dai clienti potenziali come qualcosa di diverso ,e in certa misura
non confrontabile con quelle proposte dalle imprese concorrenti.

Mentre il prezzo rappresenta un parametro che rende direttamente confrontabili prodotti che sono
considerati dalla clientela sostanzialmente simili, la differenziazione permette di rendere non
direttamente confrontabili le diverse offerte presenti sul mercato. Ciò permette alle singole aziende
di dare alla propria offerta un carattere di unicità che può rendere possibile sputare dei prezzi
sostanzialmente alti e mettere in moto processi di fidelizzazione della clientela.

Rapporti fra le diverse logiche concorrenziali :


La competizione basata sul prezzo e quella basata sulla differenziazione individuano due logiche
diverse, a cui corrispondono profonde diversità sia nella struttura dei mercati che nei caratteri
strutturali delle imprese.
Tuttavia le due logiche presentano anche aspetti comuni :
 nel caso di concorrenza sul prezzo – con l’esclusione delle “commodities” ,la capacità di
vendere a bassi prezzi è quella che discrimina chi può restare nel mercato e chi ne deve uscire; fra
quelli che restano gli elementi di differenziazione (marca, pubblicità, ecc..) possono avere
nuovamente un peso determinante.
 nel caso di concorrenza sulle qualità – il prezzo mantiene comunque una sua precisa
importanza in termini di “soglia” massima rispetto al potere di acquisto dell’utenza potenziale :
quanto è più alto tanto più ristretto è il numero di coloro che possono concretamente acquistare.

Ricapitolando, dobbiamo tener conto che :

 normalmente è il mercato più che le singole imprese a determinare il prevalere di una o dell’altra
logica concorrenziale, cioè l’atteggiamento dell’utenza potenziale rispetto agli aspetti qualitativi e di
immagine dei prodotti offerti : se questi sono percepiti come identici ed intercambiabili fra loro
sarà il prezzo a fare da discriminante.

 quando si parla di logica concorrenziale basata sul prezzo si intende quella situazione in cui la
scelta – se i prodotti sono percepiti come tutti uguali – casca su quello col prezzo più basso.
Però non sempre è cosi. Talvolta, sempre quando il cliente è in grado di apprezzare

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oggettivamente la qualità del prodotto, il prezzo è utilizzato come indicatore di qualità, per cui a
maggior prezzo corrisponda maggiore qualità. Si tratta di due casi :
- nel primo – se i prodotto sono percepiti come analoghi si fa la scelta “razionale” di acquistare il
prodotto meno caro.
- nel secondo – il cliente pur essendo in grado di dare valore alla qualità non è in grado di
compiere una scelta basata su elementi oggettivi e razionali allora utilizza il prezzo in modo
“irrazionale” ,dando per scontato che vi sia una correlazione positiva fra prezzo e qualità.

 Il prezzo può determinare delle soglie verso l’alto ,che definiscono l’ampiezza del mercato
potenziale in relazione al potere d’acquisto. In altre parole, possiamo considerare il prezzo come
un elemento che determina delle segmentazioni del mercato. Poi all’interno di ciascun segmento
può prevalere una logica basata sui caratteri differenziali dei prodotti.
La dimensione “qualitativa” può determinare delle soglie verso il basso, ovvero delle soglie minime
di accettabilità, sotto le quali il prodotto viene escluso come alternativa di acquisto.

 si può agire facendo leva su entrambi logiche concorrenziali .

I VANTAGGI COMPETITIVI

La ricerca dei “vantaggi competitivi” rappresenta lo sforzo compiuto dalle imprese al fine di
costruirsi dei punti di forza specifici, difendibili ed efficaci almeno nel breve-medio periodo, che
permettano ad impresa di prevalere sulle altre o almeno di continuare ad operarvi in condizioni di
economicità.

-> Avere qualche “punto di forza” è una condizione necessaria per mantenere una presenza sul
mercato.
-> Gli elementi che possono rappresentare dei punti di forza sono : la qualità, l’immagine ,la
fedeltà della clientela, l’innovatività, i costi di produzione, le tecnologie, ecc..

Le leve competitive :
1- Maggiore economicità nello svolgimento dei processi, -> logica fondata sul prezzo.
2- Superiorità sul piano tecnologico, -> logica basata sulla differenziazione dell’offerta.
3- Superiorità sul piano del brand, -> logica basata sulla differenziazione dell’offerta.
4- Controllo sul processo di distribuzione.

1) - I VANTAGGI DI COSTO

Come già detto, quando la fondamentale leva di azione sul mercato è il prezzo, le strade a
disposizione dell’impresa per essere competitiva sono due :
 agire dal lato dei margini : quanto più basso è il margine di redditività ,tanto più bassi potranno
essere i prezzi praticati; il caso limite è quello della vendita sotto-costo.
E’ un intervento che può essere messo in atto in modo più rapido, adottando politiche di prezzo
aggressive ,fatte di veri e propri ribassi, di significativi sconti, di offerte speciali.
E’ un tipo di intervento dal punto realizzativo estremamente semplice : basta prendere la decisione
di accontentarsi di guadagno inferiore a quello corrente ,se non nullo o in perdita.
Si tratta di una leva che può essere utilizzata per brevi periodi e soprattutto se l’impresa ha una

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solidità finanziaria.

 agire dal lato dei costi : quanto più bassi saranno i costi unitari, tanto più bassi potrà essere
anche il prezzo di vendita pur mantenendo un adeguato equilibro economico e finanziario.
Questo può essere realizzato operando su due fronti :
- quello delle economie legate ai volumi di produzione e vendita (economie di dimensione) ;
- quelle delle economie legate alle competenze tecniche ed organizzative dei processi di
produzione e vendita.

A) Le economie legate alla dimensione

Possiamo considerare “economie” legate alla dimensione dell’impresa tutti quei risparmi di costo
che si collegano al volume di produzione e vendita realizzati, e cioè ad un aumento di questi
volumi corrisponda una diminuzione dei costi medi unitari di produzione e vendita.

 Le economie di scala
Si definisce “economia di scala” ogni riduzione del costo medio unitario dell’output conseguente ad
un aumento della “scala” (volume potenziale) di produzione e di vendita dell’impresa.
Si tratta di risparmi di costo che si verificano ogni volta che la crescita dei costi di determinati fattori
di produzione (es. l’impianto) è meno che proporzionale rispetto all’incremento di potenzialità
produttiva determinato dal loro impiego.
Ciò permette di produrre a costi unitari inferiori e dunque vendere a prezzi più bassi.

Si hanno due categorie di economie di scala :

1 – Economie di scala di tipo tecnologico – sono quelle legate all’efficienza delle strutture di
produzione e derivano da tre fattori :
- maggiore produttività degli impianti
- maggiore specializzazione del lavoro, sia umano che quelle delle macchine.
- superamento di limiti dovuti alla “indivisibilità” di certi input : molti input (macchinari, impianti,
materiali ecc..) sono sfruttabili in modo economico solo se si raggiungono delle determinate soglie
di produzione che permettano di “spalmare” questi costi su un numero adeguato di unità di
prodotto.

2 – Economie di scala di tipo gestionale – sono quelle che derivano da circostanze connesse al
volume dell’attività aziendale, dove ad un aumento della produzione e del giro d’affari si collega
una riduzione dei costi medi unitari di prodotto. Si tratta delle :
- economie negli approvvigionamenti – la possibilità di acquistare volumi sempre più grandi
attribuisce al cliente :
-> maggiore forza contrattuale nei confronti del fornitore,
-> la possibilità di creare una più efficiente organizzazione di acquisto (prezzi e condizioni più
convenienti e forniture di migliore qualità).
- economie su fattori produttivi “indivisibili” di tipo non tecnologico – es. raggiungere una
certa dimensione economica può essere un elemento necessario per poter accedere a certe forme
di finanziamento ,quali le quotazioni in borsa.
- economie sul fronte di management – l’aumento del giro d’affari superando determinate soglie
rende possibile e conveniente utilizzare collaboratori qualificati e creare un’organizzazione
direzionale vera e propria (es. una direzione marketing).

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- economie sul fronte della ricerca e sviluppo di nuove tecnologie e nuovi prodotti – un campo
dove le possibilità di investimento da parte delle piccole imprese sono molto limitate.

Alcune osservazioni :
1 – Le economie di scala sono un fenomeno che si manifesta ogni volta che ,all’aumento della
scala produttiva ,si collega un aumento dei costi fissi meno che proporzionale rispetto all’aumento
della potenzialità produttiva (volume di output ottenibile).
Anche se è possibile fare economie di scala con costi variabili (forniture) , non c’è dubbio che la
principale area in cui il fenomeno delle economie di scala può far sentire i suoi effetti è legata a
fattori che danno origine a costi fissi quali : gli impianti, le campagne promozionali e pubblicitarie
su larga scala, la ricerca e sviluppo, l’assunzione dei managers, forme di consulenza avanzata,
ecc..

2 – Le economie di scala rappresentano delle economie di potenziale. Non bisogna solo avere
degli impianti con maggiore capacità produttiva, ma bisogna sfruttare effettivamente queste
potenzialità ,producendo e vendendo in quantità adeguate.
I costi medi unitari dovrebbero essere calcolati sui prodotti effettivamente venduti e non su quelli
prodotti, perché un bene che rimane invenduto in magazzino finisce per essere una potenziale
fonte di ulteriori costi fissi.

 Le economie di esperienza
Si definiscono economie di esperienza le riduzioni nei costi medi unitari di produzione dovute
all’accumularsi di esperienza nello svolgimento dei processi aziendali.
Quante più volte si svolge un dato compito, tanto maggiore diventa la nostra abilità, che si traduce
in un risparmio di tempo, in un minor numero di errori e in generale in una diminuzione degli
sprechi. -> si tratta dell’apprendimento.
Secondo la “legge dell’effetto esperienza” <<il costo unitario del valore aggiunto di un prodotto
standardizzato si riduce (20-30 %) al raddoppiare della produzione cumulata >>.
Esempio : 10000 unità di prodotto = 100 €
20000 unità di prodotto = 70-80 €

L’effetto esperienza si collega :


- al grado di standardizzazione del prodotto e del processo ; quanto maggiore sarà questo
,tanto maggiore sarà la possibilità di sfruttare l’accumulo di esperienza in quanto le operazioni
saranno ripetitive.
- alla complessità del processo produttivo: le economie di esperienza tendono ad aumentare
tanto maggiore è il numero di fasi e di operazioni da svolgere e quanto maggiore è il numero di
pari e componenti da assemblare insieme.

’effetto esperienza non solo risparmia il tempo e riduce gli sprechi ,ma riduce anche la necessità di
svolgere un’attività di supervisione e di coordinamento da parte del management.

Comunque, non si può considerare certo il fatto che l’accumularsi di esperienza nella produzione si
traduca sempre e comunque in una effettiva riduzione dei costi medi unitari, come non può essere
certo l’effettiva entità dell’eventuale riduzione.

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 Le economie di ampiezza
Questo termine è la traduzione dell’inglese “ scope”  inteso come l’insieme delle possibilità
concretamente perseguibili da parte di un dato soggetto.
Tanto più ampio è lo scope di una azienda ,tanto maggiori sono le attività in cui un’impresa è
impegnata.
Le economie di scopo sono essenzialmente quelle economie di scala e di esperienza che possono
essere comunque fatte anche quando si produca una gamma di prodotti abbastanza diversificata.
Possono essere delle importanti sinergie quando si scelga di crescere ampliando la gamma dei
prodotti o addirittura le aree di business.
Queste sinergie riguardano tutti quei costi che possono essere considerati comuni ai diversi
prodotti, come ad esempio i costi legati all’assunzione dei managers. E’ necessario normalmente
raggiungere determinate soglie di produzione e di fatturato ,in modo da poter spalmare questi costi
su un numero elevato di prodotti diversi.
Le stesse considerazione valgono per tutti quegli aspetti della produzione che possono generare
comunanze di costi. Per esempio una stessa struttura produttiva o di vendita può essere utilizzata
per produrre o distribuire prodotti diversi.
Oppure le spese pubblicitarie fatte per una gamma di prodotti che sono accomunate da un marchio
comune. -> si può anche parlare di economie di scala congiunta.

N.B : Wikipedia
Le economie di scopo si originano in differenti situazioni:
- la produzione congiunta di due beni consente l'utilizzo completo di risorse materiali che rimarrebbero
sottoutilizzate
- un determinato processo produttivo realizza congiuntamente due o più prodotti secondo rapporti
relativamente fissi
- le conoscenze produttive sviluppate da un'impresa o anche l'immagine conquistata per un certo
prodotto risultano utilizzabili vantaggiosamente per altri tipi di prodotti

B) Le economie connesse alle competenze tecniche ed organizzative

La messa a punto di particolari soluzioni sul fronte dell’organizzazione della produzione – ad


esempio forme più avanzata di divisione del lavoro – possano determinare riduzioni dei costi
anche quando non vengano effettuati importanti investimenti nell’acquisizione dei beni capitali
dotati di maggior capacità produttiva o più avanzati tecnologicamente.

Le principali fonti di economie legate alle competenze tecniche ed organizzative :

 Tecniche di produzione : lo sviluppo di nuove tecnologie e di nuovi metodi di produzione


può essere una fonte di vantaggi di costo estremamente importante. Il progresso tecnologico
riesce non soltanto a fare in modo migliore le stesse cose del passato o riuscire a soddisfare
bisogni che in precedenza non era possibile soddisfare, ma anche nella crescita

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dell’efficienza nell’uso dei fattori produttivi (es. i motori a scoppio che spingono le automobili).

 Progettazione del prodotto (o del servizio) : lo stesso modo in cui è progettato il prodotto
può rappresentare una fonte di grandi economie di costo. Attraverso la cura del progetto si
riesce ad ottenere una significativa semplificazione del prodotto e del processo necessario per
realizzarlo; semplificazione che si traduce nella riduzione del numero di pezzi da assemblare,
nell’eliminazione di alcune fasi di lavoro complesse e costose, nella riduzione delle possibili
errori nel montaggio o rotture durante l’uso.
Un ultimo aspetto dove la progettazione del prodotto assume una estrema importanza in
termini di economie di costo è quella dell’utilizzo di soluzione di tipo modulare, ovvero
“sistemi di prodotto” costituiti da una serie di sotto-insiemi che possono essere combinati
fra loro e da una piattaforma che è comune per tutte.
Alcuni esempi di produzione modulare sono le automobili che sono realizzate predisponendo
una piattaforma sui cui vengano assemblati vari sotto-sistemi in termini di motore, carrozzeria,
allestimenti interni, optional; tipico è il caso di Wolkswagen che su una stessa piattaforma
realizza auto quali la Golf, la Audi A3, la SEAT Ibiza.
Esempi di modularità sono la gran parte dei software, dove i principali sistemi operativi o certi
specifici applicativi rappresentano delle piattaforme su cui altre imprese (i sviluppatori)
sviluppano delle applicazioni più specifiche in relazione alle esigenze di categorie di clienti.

 Organizzazione della produzione


Le economie legate all’organizzazione dei processi possono essere ricondotte alle seguenti
categorie :
1) l’organizzazione interna dei processi aziendali ; predisponendo forme di produzione
fondati sulla modularità oppure basate sulla realizzazione di sistemi just in time, volte a
minimizzare le scorte ed rendere più stretto il contatto con il mercato. (produzione per il
magazzino -> produzione su commessa).
2) l’organizzazione dei processi lungo la direttrice interno-esterno; si tratta delle scelte
relative a make or buy che possono avere effetti diretti sia sulla natura dei costi sia sul livello
dei costi; la modifica del grado di integrazione verticale ha dirette implicazioni sulla
complessiva organizzazione dei processi aziendali.
3) il coordinamento e l’integrazione fra i diversi contributi da coloro che partecipano nel
processo: ad esempio coloro che seguono il marketing lavorino in stretto contatto con i
responsabili della progettazione e della produzione dei prodotti può aumentare la complessiva
efficienza dell’azione aziendale e dunque ridurre i costi (passaggio da forme organizzative di
tipo funzionale a forme di organizzazione per processo).
4) eliminazione delle inefficienze ; un’ultima fonte di vantaggi di costo è quella che si collega
a tutti gli sforzi volti a ridurre le inefficienze; si tratta di prendere atto che in ogni parte
dell’attività vi è sempre un margine per migliorare sia dal lato della qualità del prodotto o del
servizio sia da quello del costo necessario per realizzarlo. Si tratta quindi degli sforzi volti al
miglioramento continuo molto presenti nelle aziende giapponesi ,alla base delle quali sta la
capacità del vertice aziendale di coinvolgere il personale a tutti i livelli della struttura, nessuno
escluso.

( + Leadership di costo – il caso Ryanair)

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I VANTAGGI BASATI SULLA DIFFERENZIAZIONE

Differenziare un prodotto significa fare in modo che ,per il cliente potenziale, ciò che gli
offriamo appaia come qualcosa di diverso e di distinto dai prodotti offerti dai concorrenti. Ciò si
può tradurre in un vantaggio economico se i nostri interventi :
- facciano in modo che il cliente-obiettivo valuti la nostra offerta come preferibile rispetto a
quella della concorrenza.
- possano contribuire a instaurare un rapporto di fiducia con il cliente.

Gli attributi qualitativi del prodotto o dell’offerta su cui basare la nostra “differenziazione” sono
ricondotte a due leve principali :
- Qualità tecnica -> si intende tutto l’insieme di elementi di tipo tecnico ovvero legati sia alle
funzioni d’uso del prodotto sia alle sue “prestazioni”.
La capacità dell’impresa di costruirsi vantaggi competitivi su questo fronte è legata al possesso
di elementi di superiorità rispetto ai concorrenti sul piano della tecnologia di prodotto e della
tecnologia di processo (tecnologie di processo non che permettono di produrre a costi più
bassi ,ma che permettono di produrre beni di miglior qualità ).

- Qualità immagine -> si intende tutto l’insieme di quegli elementi che possono contribuire a
rendere più appetibile al mercato l’offerta aziendale agendo dal lato degli aspetti che hanno
una valenza percettivo-emozionale, quali : il design del prodotto, la sua confezione ,ecc..
Si tratta appunto di quegli aspetti emozionali che si collegano ad un prodotto anche tramite il
suo uso, tramite l’impressione suscitata attraverso la comunicazione pubblicitaria o da quei
soggetti che si pongono come opinion leaders, oppure dalla capacità di un certo prodotto di
essere in consonanza con un certo stile di vita, ecc..
( + puntare sulla qualità : il caso illycaffé)

 LA MARCA

Il primo fondamentale mezzo di differenziazione del prodotto è la sua marca -> ovvero quel
contrassegno di parole, immagini, suoni o quant’altro ci si può inventare al fine di distinguere i
prodotti di una certa azienda da quelli offerti da altre aziende.

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La marca rappresenta dunque uno strumento che di per sé è capace di differenziare un


prodotto ma , soprattutto costruire un patrimonio di fiducia con la clientela che è la base per
la costruzione di un significato potere di mercato.
Tre sono le funzioni fondamentali della marca :

1- INDENTIFICATIVA – la marca agevola il riconoscimento del prodotto.


2- VALUTATIVA – la marca conserva in sé i giudizi sulle caratteristiche tecnico-funzionali e su
quelle emozionali-simboliche del prodotto.
3- FIDUCIARIA – la marca svolge una funzione di garanzia ,di valutazione e di rassicurazione;
la fiducia associata al brand sostituisce la ricerca continua di informazioni.
Non è possibile dedicare tutto il tempo che sarebbe necessario per informarci su tutti i prodotti
di un certo tipo disponibili, sulle loro caratteristiche, sulla loro reperibilità, sul prezzo, ecc.. ,è
molto più semplice sostituire questo complesso processo con l’acquisto dei prodotti di una
certa marca o del ricorso ad un certo fornitore, dando vita a fenomeni di loyalty (fedeltà) alla
marca del produttore o all’insegna del punto di vendita. La brand loyalty si caratterizza
dunque per avere una dimensione cognitiva (l’insieme delle valenze funzionali e simboliche
che il cliente associa ad una marca) ed una dimensione comportamentale (la tendenza di
riacquisto).
La marca, oltre alla funzione di distinguere ,svolge anche quella di comunicare, di
accumulare valore, di amplificare il valore.
I diversi tipo di marca che possono essere utilizzati :
- marche che definiscono un’identità aziendale : Barilla, FIAT, Microsoft.
- marche che definiscono un’identità di prodotto o di linea di prodotti: Mulino Bianco, Golf,
Borotalco, Microsoft Office, ecc..
- marche collettive: individuano un insieme di aziende produttrici che si riuniscono per la
promozione di una certa categoria di prodotti : es. Chianti Classico, Parmigiano Reggiano,
CONAD.
- marche commerciali o private labels : marche create da degli operatori della distribuzione
per commercializzare a proprio nome prodotti che sono materialmente realizzate da imprese
terze; il marchio Fidel, Decathlon.

 FATTORI CRITICI NELLE STRATEGIE DI DIFFERENZIAZIONE

Tre sono i fattori che rivestono una particolare importanza per l’impresa nel differenziare la
propria offerta:

1- La conoscenza approfondita del cliente  si basa sulla conoscenza di quali siano gli
atteggiamenti, i valori, le preferenze, le attese del cliente potenziale rispetto ad un certo tipo
di prodotto.
Questa conoscenza può avvenire in diverse forme, dal semplice scambio di idee con il cliente,
sino ad arrivare alle forme più sofisticate di indagine di mercato.

2- La capacità di innovare in modo continuo i caratteri dell’offerta  ogni forma di


differenziazione di successo tende ad essere imitata dai concorrenti e dunque si pone per ogni
azienda il problema di riuscire ad innovare continuamente i caratteri dell’offerta, sia del tipo
tecnologico che di tipo estetico ed emozionale.
Per certe tipologie di prodotto in cui l’immagine di marca rappresenta la prima fonte di
creazione di valore aggiunto l’imitazione o meglio la contraffazione dei prodotti rappresenta un

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problema estremamente serio.


Tranne questo, oggi fra le imprese vi è una lotta condotta in innovazioni continue : è cosi nel
mondo del automobile e dell’informatica.

3- La capacità di comunicare  Ogni forma di differenziazione possono avere un valore per il


cliente soltanto se quest’ultimo è in grado di avere la consapevolezza dell’esistenza di questi
interventi ed è in grado di aver un minimo di informazione per procedere ad una valutazione.
Per ciò, la capacità di comunicare le “differenze” e di farlo in modo tale che siano percepite in
modo positivo rappresenta un elemento fondamentale per il successo di ogni forma di
differenziazione. Ad esempio un aumento della qualità di un prodotto che non sia avvertito dal
cliente si può risolvere semplicemente in uno spreco di risorse.
( + strategie di differenziazione , il caso Geox)

I VANTAGGI BASATI SUL CONTROLLO DEI CANALI DI DISTRIBUZIONE

Le problematiche legate all’area commerciale saranno tanto più complesse quanto più il
mercato-obiettivo sarà ampio e diversificato al suo interno, ma anche quanto più sia intensa la
concorrenza.
E’ utile distinguere due aspetti relativi alla dimensione commerciale dell’attività economica :

 l’aspetto logistico, ovvero tutto quello che riguarda il collegamento fisico tra il produttore e il
cliente finale; i trasporti, i punti di vendita, ecc..
 l’aspetto relativo al patrimonio di conoscenza della clientela potenziale e le sue
caratteristiche e il legame fiduciario che può sussistere fra cliente e venditore.

In altre parole, chi si trova a diretto contatto con il cliente può godere del fatto di avere:
- l’accesso al cliente : conosce ed è conosciuto ,
- la conoscenza del cliente e delle sue aspettative,
- la fiducia del cliente.

E’ evidente che la principale chiave di accesso al mercato è proprio il controllo del canale
distributivo.
Il problema dell’impostazione delle strategie relative alla distribuzione può riguardare due
aspetti di fondo :

1- la definizione del livello di coinvolgimento dell’impresa nel processo distributivo. In


due estremi l’impresa produttrice può limitare al massimo il suo coinvolgimento nella
distribuzione, delegandone a terzi; dall’altro il soggetto o l’impresa può specializzarsi nella
distribuzione quali : l’agente di commercio, il grossista, l’importatore, il broker, ecc.. Fra questi
due estremi possono esistere molte situazioni intermedie ,sino ad arrivare al caso-limite in cui
l’impresa è completamente integrate “a valle”.

2- la gestione dei reciproci rapporti (tra l’impresa produttrice e quelle commercianti) : I casi
estremi possono essere quelli del conflitto -> in cui diversi operatori cercano di far leva sui
propri punti di forza per consolidare il proprio potere di mercato, oppure quello della
collaborazione -> in cui gli operatori cercano di muoversi in modo sinergico fra loro.

E’ quasi impossibile mettere a punto una strategia d’impresa realistica senza tener conto della

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dimensione legata alla distribuzione.


Va valutato attentamente sino a che punto l’impresa può avere l’opportunità e la convenienza a
sviluppare un diretto coinvolgimento nella distribuzione. Spesso le aziende produttrici si
trovano a valutare l’opportunità di dare vita ad una propria società di distribuzione, che
svolga l’attività di distribuzione non solo dei beni prodotti dalla casa-madre ,ma anche per
conto di altre imprese. I vantaggi derivanti da questa scelta potranno essere : si potranno fare
delle economie di dimensione nel campo distributivo, ovvero assumere un peso sul mercato
ben superiore che prima. Questa scelta si giustifica solo in casi quando l’essere presenti in
modo attivo nella distribuzione rappresenti un elemento “strategico”, allora esiste la
possibilità di sfruttare il rapporto di forza favorevole nei confronti delle aziende da noi
distribuite.

Le logiche secondo cui possono essere impostate delle strategie distributive :

 strategie di tipo push – si fondano sullo sforzo della rete di vendita di “imporre” il prodotto al
cliente. E’ una soluzione che esalta il potere del canale di distribuzione e che l’impresa è
costretta a subire perché non ha i mezzi tecnici ed economici per raggiungere direttamente il
cliente finale. Dunque l’impresa produttrice dovrà fare in modo di convincere il canale, prima di
tutto, di accettare di vendere il proprio prodotto inserendolo nel proprio portafoglio (nel caso di
un agente o distributore) o inserendolo nel proprio scaffale (nel caso di punto di vendita) e poi
dovrà fare in modo che il canale sostenga presso la clientela il suo prodotto.
 strategie di tipo pull – si intende quelle situazioni in cui l’azienda produttrice riesce ad agire
sul cliente finale, facendo in modo che sia il cliente a chiedere al venditore quel dato prodotto.
In questa situazione, il canale è molto interessato a vendere quei prodotti che, per cosi dire, “si
vendono da soli” e che, come tali, spesso svolgono una funzione di richiamo della clientela
verso il punto di vendita.
Realizzare una strategia pull significa mettere in atto politiche “di marca” fondate su tutte le
leve che il marketing mette a disposizione ,e in particolare ,alla pubblicità.
Per ciò adottare questa strategia presuppone la disponibilità di grandi risorse da investire,
rendendo cosi percorribile questa strada quasi esclusivamente ad aziende di grandi dimensioni
che possono sfruttare economie di scala.
Le aziende di più piccola dimensione possono mettere in atto delle strategie pull solo in caso
quando esse possono avere un peso decisivo sugli orientamenti della clientela ,sia la stampa
specializzata sia l’opinion makers.

LA DEFINIZIONE DELLA STRATEGIA DI APPROCCIO AL MERCATO : LA


SEGMENTAZIONE

Per segmentazione del mercato si intende lo svolgimento di due tipi di attività diverse ma
collegate fra loro, di cui una ha natura conoscitiva e l’altra invece natura decisionale, che si
inquadrano nel processo che porta il vertice aziendale alla individuazione del mercato a cui
intende rivolgere la propria offerta.

Un mercato può essere descritto come un’entità i cui confini corrispondono con quelli
dell’insieme di coloro che :
- sono portatori di una specifica esigenza o di una categoria di esigenze.
- sono potenzialmente in grado di dare vita ad una domanda di beni o servizi volti a dare
soddisfazione a quella esigenza. Ciò significa che :

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-> sono dotati di una certa capacità di spesa,


-> esistono le infrastrutture (distribuzione commerciale, logistica, comunicazione) che possono
permettere alle aziende produttrici di “servire” in modo efficace ed efficiente quel certo mercato.

Nella realità i confini effettivi del mercato non sono mai definiti dal bisogno in quanto tale ma
dal modo in cui le aziende di produzione interpretano le forme di manifestazione di questo
bisogno.
L’unico modo per interpretare in modo fedele e mirato un certo mercato è quello di fare
prodotti “su misura” e che , quanto più vi sia una tendenza alla standardizzazione
dell’offerta, tanto più vi è il rischio di allontanarsi da questo obiettivo.
Solo in alcune circostanze è possibile e economicamente conveniente sia per chi produce che
per chi compra fare dei prodotti “su misura” per uno solo o per un piccolo gruppo di clienti;
nella maggior parte dei casi è indispensabile fare di compromessi, ovvero mettere a punto
un’offerta che risulta accettabile per molti dei clienti, in quanto propone una soluzione adeguata
in termini di rapporto fra capacità di soddisfare il bisogno e prezzo che è necessario pagare.

Ogni volta che un’azienda compie delle scelte relative alla propria definizione del business
finisce per “ritagliarsi” un mercato potenziale in un modo che è solo uno fra i molti
teoricamente possibili.. e che non necessariamente coincide con quello composto da tutti
coloro che sono portatori di quel certo tipo di bisogno che l’azienda si propone di
soddisfare ,ma che è invece composto soltanto da coloro che possono riconoscersi nel tipo di
offerta predisposta dall’azienda.

In pratica, definire il proprio business significa :


1- ricercare nell’ambito di un insieme di soggetti che avvertano un certo tipo di bisogno, quali
possano essere i tratti di omogeneità.
2- cercare di metter a punto un’offerta che sia in grado di cogliere nel modo migliore le
aspettative del gruppo di soggetti cosi delimitato.
Esempio: nel campo dell’abbigliamento fattori di omogeneità possono essere : il sesso
( maschile o femminile), l’occasioni d’uso (abbigliamento sportivo) ,ecc..

In specifico, segmentare un mercato significa essenzialmente due tipi di attività :


1 – verificare se, nel quadro di un flusso di domanda che sino a quel momento è considerato
omogeneo, esistano in realtà dei modi significativamente diversi riguardo :
- il modo di provare quel certo bisogno,
- i modi attraverso cui si vorrebbe vederlo soddisfatto,
- la quantità di denaro che si è disposti di destinare a questo fine.
2 – predisporre ,se si ritenga opportuno ed economicamente conveniente, un’offerta che non
sia più “generica” ma “mirata” rispetto alle esigenze di uno o più di quei sotto-insiemi individuati
in cui si ritiene di poter articolare il mercato.

Un esempio di segmentazione nell’ambito dell’abbigliamento potrebbe essere costituito da


quelle aziende si rivolgono ad esigenze molto specifiche che riguardano lo stile di vita o il
tipo di occasioni in cui l’abito è indossato: esempio un azienda specializzata nella
produzione di abiti da sposa.
Altri esempi di segmentazione sono quelle che fanno riferimento alla capacità di spesa
dell’utenza e al ruolo simbolico che rappresenta il prodotto : es. gli orologi Swatch, Rolex,
Panerai, ecc..

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1) La segmentazione si traduce nello svolgimento di un’attività di analisi di mercato che è volta


ad individuare se all’interno di un certo mercato, vi siano dei sotto-insiemi di utenti (dei
segmenti) che presentano caratteristiche di omogeneità per quanto riguarda gli atteggiamenti
di acquisto o di consumo e allo stesso tempo, significative diversità rispetto al resto del
mercato.

Il principale problema è quello di individuare i criteri secondo cui segmentare il mercato,


ovvero i basi di segmentazione, i quali possono essere fondati sul sesso, sull’età, sul reddito,
sugli stili di vita, ecc..

La convenienza del segmentazione del mercato può essere valutata con riferimento alla
identificabilità, alla significatività, alla raggiungibilità, alla rilevanza di quel segmento.

 Per identificabilità del segmento si intende la possibilità di individuare dei parametri capaci
di identificare quella certa componente del mercato. In mancanza di questi parametri diventa
impossibile mettere a punto un’offerta personalizzata.

 Per significatività ,si intende l’esistenza di un preciso legame tra il profilo di consumo
identificato e l’esistenza di effettive differenze sul piano dei comportamenti di acquisto. Si
possono, ad esempio, identificare profili di consumo distinti ma che di fatto non si prestano ad
essere sfruttati in modo economicamente conveniente attraverso la predisposizione di offerte
distinte.

 Per raggiungibilità si intende la possibilità di raggiungere fisicamente il cliente con il prodotto


e con i messaggi ad esso associato in modo economicamente conveniente. In determinate
circostanze, può diventare praticamente impossibile per le imprese servire in un mercato
perché mancano le strutture per distribuire in modo economicamente conveniente i prodotti,
ecc..

 Per rilevanza si intende il fatto che il segmento individuato presenti una certa consistenza dal
punto di vista del flusso di domanda; cioè può essere conveniente a mettere a punto un’offerta
mirata su un certo segmento solo se questo è in grado di sviluppare almeno una soglia
minima di volume di domanda. (sotto al quale un certo segmento è troppo piccolo per essere
raggiunto in modo economico).

Ad un aumento della varietà dell’offerta aziendale si colleghi un aumento dei costi medi del
prodotto, e questa è dovuta :
- alla perdita, almeno parziale, dei vantaggi di costi legati alla standardizzazione (minor
sfruttamento dei costi fissi, minori economie degli approvvigionamenti, aumento delle scorte,
ecc..)
- l’aumento della complessità dei processi aziendali, sia dell’attività di produzione sia della
logistica e amministrazione.

La segmentazione come scelte in merito alle strategie di approccio al mercato.

 Si parla di strategia di approccio al mercato indifferenziata ,al caso in cui l’azienda decida
di non effettuare alcuna segmentazione, ovvero continuare a rivolgere al proprio mercato una

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sola offerta mirata capace di soddisfare un ampio spettro di clienti. E’ un approccio che
caratterizza i cosiddetti “mercati di massa”.

 strategia di approccio al mercato differenziata : significa continuare a servire un mercato


ampio predisponendo una serie di offerte mirate capaci di coprire più o meno tutti i segmenti
individuati.

 strategia di approccio al mercato concentrata : significa di concentrare la propria attività


soltanto su uno o pochi segmenti, abbandonando il resto del mercato. Si tratta di una scelta
che si fonda sull’analisi di quali sono i punti di forza aziendale ed alla loro concentrazione in
quei segmenti che risultano più appetibili e interessanti.

 strategia di approccio al mercato “di nicchia” : si tratta di una variante dell’approccio


concentrato che si caratterizza per la limitatezza e la specializzazione del segmento,
rispondente ad una logica di elusione della concorrenza.

Cosa effettivamente distingue un mercato da un segmento di mercato ?

Per rispondere a questa, si deve verificare prima di tutto quali siano le eventuali interrelazioni
fra la dinamica di questa area di business e gli altri mercati; se si tratti di un area che
effettivamente può essere considerata una parte di un’area di mercato più ampia rispetto alla
quale presenta alcune specificità ma anche punti di contatto, ad esempio in termini di
sensibilità rispetto agli effetti di variazione di certi parametri di contesto (mercato) ,allora siamo
di fronte ad un segmento.
Ad esempio, nell’edilizia residenziale i periodi di sviluppo dei mercati borsistici possono
portare ad un calo della domanda di immobili nuovi; quando invece le borse calano si assiste
ad una ripresa degli investimenti immobiliari.

Se invece, la dinamica di un certa area di mercato è indipendente da quanto avviene nelle aree
di mercato contigue o collegate, siamo di fronte ad un mercato a sé stante. Esempio i mercati
di beni di lusso (nell’abbigliamento, nelle auto, negli accessori, nei vini, ecc..).

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