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RIASSUNTI DI ECONOMIA AZIENDALE (A-O)

Prof. Rizzotti

A cura di Chiara Carmen Castiglia

1.ATTIVITÀ ECONOMICA
L’uomo manifesta di continuo bisogni e desideri di varia natura e per soddisfarli si
attiva nella ricerca di beni e servizi, atti ad appagarli.
Beni e servizi si dividono in 2 classi:
-Beni non economici : Disponibili in natura in quantità illimitate, e quindi possono
soddisfare senza limitazioni i bisogni di chiunque li cerchi.
-Beni economici : I beni economici, sono scarsi rispetto ai precedenti e portano
l’individuo ad appagarli.

2.UNITÀ ECONOMICHE E LE AZIENDE


Nel sistema economico odierno svolgono attività economiche diversi soggetti:
Singoli individui, gruppi di persone, entità diversamente organizzate e
complesse, le quali sono tutte unità economiche.
In esse troviamo comportamenti tesi a minimizzare o massimizzare delle risorse in
vista del raggiungimento di dati risultati. In esse si producono risorse, consumano
risorse e trasferiscono a sua volta le medesime ad altre unità.

N.B Senza questi caratteri non si potrebbe parlare di ‘’AZIENDA’’.

3.CARATTERISTICHE DELL’AZIENDA
1)COORDINAZIONE ECONOMICA (o sistemica): Sottintende che ci sia un insieme
di persone, risorse, operazioni, tutte coordinate tra loro. Più chiaro con la definizione
di Gino Zappa. Per risorse si intendono tutti gli elementi (materiali o immateriali) che
vengono utilizzati durante il processo produttivo. Per beni immateriali si intendono
le conoscenze e persino i brevetti intesi come l’utilizzo esclusivo da parte di
un’azienda di un bene. La materia prima viene acquisita dall’azienda dall’esterno per
poi trasformarlo. La materia viene lavorata dai macchinari, divisi in beni a fecondità
semplice (una volta utilizzati si esauriscono, es.legno) e i beni a fecondità ripetuta
(utilità pluriennale, ovvero si possono utilizzare più volte, es. i macchinari).

2)ECONOMICITÀ’: L’economicità è il carattere più importante per il funzionamento


nel tempo dell’azienda.
l'azienda deve remunerare in maniera soddisfacente i fornitori dei fattori produttivi.
In sé si presenta come la condizione di equilibrio per l’azienda. L’equilibrio
economico si distingue in equilibrio economico e finanziario;
l’equilibrio finanziario fa riferimento alla ricchezza (intesa come ‘’creare ricchezza’’)
mediante le sue attività produttive.
Nelle aziende di erogazione (scopo di ‘’erogare ricchezza’’ ) la condizione di
equilibrio la si ha quando non si eroga più ali quello che si ha. Nelle aziende di
produzione di produzione, quando l’azienda immette nel mercato i propri beni e
servizi, così può accrescere la ricchezza ricavo. Dall’altra parte l’azienda ha
sostenuto dei costi durante l’impiego dei fattori produttivi, tutto ciò è chiamato costo.
Esso si divide in costo d’utilizzazione, cioè il sacrificio che l’azienda sostiene e il
costo d’acquisto ovvero il sacrificio necessario per ottenere le materie prime.
Il reddito è invece la variazione che subisce la ricchezza per effetto della gestione.
Quando il reddito è negativo si parla di perdita e quando è positivo si chiama utile.
L'equilibrio finanziario è invece il momento in cui si incassa effettivamente e in
esso si devono rispettare due condizioni efficacia e perdita:Il primo fa riferimento ai
risultati, mentre il secondo alle quantità di risorse necessarie per il raggiungimento
dell obiettivo. Per avere ‘’economicità’’ si devono rispettare queste due
condizioni.

3)AUTONOMIA (indipendenza): è un fattore concomitante all’economicità.


L’autonomia è un requisito che l’attività economica riesce a garantirsi con difficoltà.
L’azienda con il suo operare deve mostrarsi in grado di riavviare i suoi processi
produttivi, grazie, al fluire delle risorse investite precedentemente.

4)DURABILITÀ’: Per durabilità si intende la continuità del suo funzionamento in


prospettiva nel tempo. Deve soddisfare i bisogni dei soggetti (stakeholders, nonché
i portatori di interessi) che ruotano intorno ad essa.

4.MISSIONI E CLASSI DI AZIENDE


L’azienda deve intendersi come un ‘’fatto di produzione’’.
La funzione di produzione, di beni e di servizi è ciò che accomuna ogni tipo di
azienda, qualunque sia la sua attività, indipendentemente dalla forma giuridica
assunta, dalle caratteristiche, dal modello, ogni azienda si trova a fronteggiare
problemi strategici, operativi,organizzativi, ecc...in modo simile si confronta con
l’esterno.
N.B. La funzione di produzione è la missione dell’azienda.
L’azienda è uno strumento per soddisfare i bisogni umani, ma al contempo soddisfa i
bisogni di chi ne è titolare , di chi lavora, di chi a essa apporta risorse e fattori
produttivi. I bisogni determinano e condizionano la funzione di produzione delle
aziende, ma può anche accadere che vi siano aziende che riescono a suscitare
nuovi bisogni e quindi a modificare quelli presenti.

5. I TRE MOMENTI DELLA FUNZIONE PRODUTTIVA


1)ACQUISIZIONE: L'acquisizione di ogni tipo di risorsa (finanziaria,umana,
materiale, ecc…) necessaria a impostare e intraprendere l’attività produttiva.
2)CONSUMO: Il consumo delle risorse acquisite per eseguire e portare a termine i
processi produttivi. Il consumo avviene attraverso l’utilizzo coordinato di tali risorse,
adottando le combinazioni produttive, secondo le modalità più idonee in relazione
all’output cui l’azienda è finalizzata.
N.B. consumo e produzione sono strettamente collegati in quanto la produzione è
l’attività svolta ad ottenere la disponibilità del bene.

3)DESTINAZIONE ALL’ESTERNO: Avviene mediante lo scambio e l’erogazione.

BISOGNO
Mercato di PRODOTTO FINITO (consumo)
approvvigionamento: Mercato di sbocco:
-acquisto fattori produttivi -Vendita dei prodotti
come materie prime, forza
lavoro, macchinari ecc..

fase 1 fase 2 fase 3

PROCESSO PRODUTTIVO CONSUMO

6. IL CONCETTO DI GRUPPO
Produzione e consumo avvengono in dei gruppi, nei quali l’uomo ne fa parte.
I soggetti di questi gruppi sono:
-Famiglie: (consumatori, ma anche produttori)
-Imprese: gruppo di persone con un’idea comune (idea imprenditoriale), che mette
in pratica per soddisfare le esigenze degli investitori e per incontrare i bisogni di
mercato, ottenendo un lucro.
-Enti pubblici territoriali: (stato,regioni,comuni) per i bisogni di natura
sociale/collettiva e non individuale (gli ospedali, le scuole, le strade, ecc.)
-Altri enti pubblici e privati.

I gruppi si distinguono in base alla loro ‘’durata’’ in:


-OCCASIONALI: nasce con per uno scopo ed una volta raggiunto il gruppo si
scioglie.
-DURATURI: : quei gruppi che hanno uno scopo ben preciso da seguire e realizzare
(bene comune)
CARATTERISTICHE:
1. Sono ordinati secondo proprie leggi che la società riconosce ed accetta.
2. Sono autonomi sia dalle persone che li compongono sia dal contesto sociale di
cui fanno parte. Manifestano la loro autonomia decidendo e utilizzando le risorse di
cui dispongono.
3. rappresentano un tutto unitario (omogeneo), formato da individui con lo stesso
obiettivo comune
4. sono dinamici, cioè reagiscono agli impulsi interni ed esterni

L’ISTITUTO è un gruppo duraturo che si da delle regole e ha dei comportamenti


stabili. Si distinguono secondo se:
-NON SVOLGONO L'ATTIVITÀ’ ECONOMICA
-SVOLGONO L'ATTIVITÀ’ ECONOMICA: A sua volta si distinguono se svolgono
l’attività economica in modo occasionale o in modo continuativo. Se l’istituto
svolge un’attività economica in modo continuativo questa può essere in modo non
esclusivo, come gli istituti pubblici e territoriali, oppure in modo esclusivo come
l’azienda.
N.B Un istituto si può trasformare da NON ESCLUSIVA ad ESCLUSIVA tramite un
processo di aziendalizzazione.

7. IL CONCETTO DI AZIENDA
L'azienda è quel particolare istituto che svolge attività economica in maniera
continuativa ed esclusiva.

La nozione di azienda dal punto di vista giuridico è fornita dal codice civile, che
all’articolo 2555 definisce l’azienda come “il complesso dei beni organizzati per
l’esercizio d’impresa”. Questa definizione tiene conto solo delle aziende di
produzione o imprese il cui fine principale è quello del lucro, ma non tiene pertanto
conto delle aziende di erogazione o di consumo.

Dal punto di vista economico, possiamo osservare come il concetto di azienda si sia
evoluto nel tempo.
-FABIO BESTA
Una prima nozione viene fornita da Fabio Besta verso la fina dell’800, che definiva
l’azienda come “la somma di fenomeni, negozi o rapporti giuridici da amministrare,
relativi ad un cumulo di capitale che formi un tutto a sé”. Si trattava quindi di una
visione non complessiva, composta da elementi slegati tra loro. Questa visione un
po’ “arcaica” dell’azienda poteva fare riferimento a quelle attività economiche del
‘700 di un mercante, ma non era adeguata a definire l’azienda nata dopo la
rivoluzione industriale.

-GINO ZAPPA (1927 - 1957):


Gino Zappa definisce l’azienda come “una coordinazione economica istituita e retta
per il soddisfacimento dei bisogni umani”. Si comincia dunque a parlare con il
termine “coordinazione” dell’interdipendenza tra gli elementi che costituiscono
l’azienda.
Lo stesso Zappa in un secondo momento definisce l’azienda come un “sistema di
forze economiche in continua coordinazione che ordina e svolge un processo di
produzione per il soddisfacimento dei bisogni umani”.

-ALDO AMADUZZI:
fu un allievo di Zappa, Aldo Amaduzzi, a concentrarsi sul concetto di “sistema”. Egli
definì l’azienda come “un sistema di forze economiche che sviluppa, nell’ambiente di
cui è parte integrante, un processo di produzione e di consumo”. Amaduzzi allora
introduce il termine “ambiente”, poiché l’azienda opera nel sistema ambiente con cui
interagisce continuamente.

In definitiva, possiamo definire l’azienda come un sistema aperto e finalizzato:


sistema poiché è un insieme di parti e di relazioni interdipendenti tra loro; aperto
perché opera nel sistema ambiente con cui interagisce continuamente; finalizzato
poiché l’insieme coordinato delle azioni è rivolto al perseguimento di un obiettivo
comune.

7.1 MODALITÀ’ IN CUI L’AZIENDA SODDISFA I BISOGNI


-DIRETTA: aziende di erogazione esempio i gruppi che erogano ricchezza cioè
distribuiscono patrimoni per soddisfare direttamente i bisogni di qualcuno.
-INDIRETTA: azienda di produzione non inteso come processo di produzione dei
beni, ma ricchezza esempio producono ricchezza e a sua volta torna ai soggetti
dell'azienda sotto forma di profitto.

7.2 CLASSIFICAZIONE DELLE AZIENDE


Le aziende si classificano in base a:
-OGGETTO: Destinazione dell’attività produttiva (es. erogazione o produzione).
-SOGGETTO GIURIDICO: Persona che assume gli obblighi e i diritti che derivano
dallo svolgimento delle attività aziendali.
-SCOPO: Se sono ‘’no profit’’ o ‘’for profit’’.
-ALTRE CLASSIFICAZIONI

7.3 ALTRE CLASSIFICAZIONI


!""#$%&'()&*+ le aziende appartenenti a cooperative sono quelle che
“cooperarono”, appunto, con altre aziende dal lato della domanda o dell’offerta, su
mercati particolari e limitati. I soci della cooperativa sono titolari di quota del capitale
e contemporaneamente sono : - conferenti dei fattori specifici della produzione come
materie (cooperative di produzione) e prestazioni del lavoro (cooperative di lavoro); -
destinatari dei beni o dei servizi prodotti (cooperative di consumo). Nelle cooperative
avviene uno scambio mutualistico.
,"-.&/("-$*+*è un ente privato senza finalità di lucro che ha a disposizione un
patrimonio (lasciato dai fondatori) da destinare a scopi di utilità pubblica (culturali,
scientifici, religiosi, ecc).
&00"!(&/("-$*+ costituita da gruppi di persone (associati) che si riuniscono per
soddisfare particolari bisogni condivisi (personali) di natura culturale, scientifica,
religiosa (senza scopo di lucro). NB. Un’associazione è anche un’azienda quando
svolge attività economica.
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8. SCELTE AZIENDALI E INIZIATIVA AZIENDALE


L’azienda per svolgere le attività prende delle decisioni, esse risultano essere
‘’incerte’’. La presenza dell’incertezza è condizionata dall’esterno e da avvenimenti
futuri che nessuno può prevedere (Es. il Coronavirus).

9. I RAPPORTI ECONOMICI
I rapporti economici comportano diritti e obblighi. Da tali diritti e obblighi poniamo la
differenza tra il ‘’soggetto economico’’ e il ‘’soggetto giuridico’’.
-il soggetto economico: è la persona,o gruppo di persone, di fatto che detiene il
supremo potere decisionale dell'azienda. Il S.E. tende a prendere decisioni
strategiche, a definire gli obiettivi i quali sono collegati anche con gli interessi propri.
Nelle aziende individuali il soggetto economico molto spesso coincide con il soggetto
giuridico. In altri casi, il soggetto economico è quel socio che avvia l’iniziativa
economica con un capitale ‘’di rischio’’ maggiore rispetto a quello degli altri azionisti,
tale per cui gode del potere decisionale.
-Il soggetto giuridico: La persona che assume gli obblighi e i diritti nei confronti di
terzi che derivano dallo svolgimento dell’attività aziendale.

NATURA PRIVATA DEL S.G.:(Può essere una persona fisica o l’azienda stessa).
-familiare: la famiglia è un esempio tipico di azienda privata di puro consumo, che
distribuisce ai propri componenti quanto loro necessario acquisendo sul mercato e
utilizzando il risparmio, formato dalla differenza tra i redditi di lavoro percepiti e i
consumi e gli investimenti realizzati. Non va confusa con l'impresa familiare, cioè
l'istituzione economica che impiega membri della stessa famiglia e che è volta a
produrre reddito.
-no profit.

NATURA PUBBLICA DEL S.G.:(Può essere un comune, una provincia, una


regione).
-Si occupano di soddisfare i bisogni pubblici, e creano, accrescono e distribuiscono
valore non solo in relazione alla collettività, ma coinvolgendo anche altri soggetti
(stakeholders) quali fornitori, dirigenti, dipendenti pubblici, clienti, concorrenti, ecc.
-possono essere aziende appartenenti ad amministrazioni pubbliche centrali
(Ministeri, Agenzia delle Entrate ANAS); ad amministrazioni territoriali (Regioni,
Province, Comuni, Università), enti di previdenza e assistenza (INPS, INPDAP,
ecc.). In Italia, recentemente, si è assistito alla privatizzazione di molte aziende
pubbliche (Telecom Italia, INA Assitalia, Comit, Credito Italiano e Alitalia).

In una società l'organo decisionale è l'assemblea dei soci che ha come primo
obiettivo quello di nominare il consiglio di amministrazione ovvero quello che
gestisce.
L'assemblea dei soci stabilisce gli obiettivi a lungo termine (ES. nel modello italiano
vi è un azionista che dice cosa deve fare).
Ci sono situazioni in cui non c'è l'azionista di controllo e tutti hanno stesse quote, ma
viene difficile scegliere e dirigere così si delega un organo più ristretto che ha il
potere decisionale, cioè il consiglio di amministrazione.
In America vi sono le public Company, ovvero delle aziende che hanno aperto il loro
capitale al pubblico.
Qui si nomina il consiglio di amministrazione che coincide con il soggetto
economico, cioè l'organo supremo che ha il ruolo di indirizzo e di comando all'interno
dell'azienda.
Quando si forma l’azienda, si forma un consiglio d’amministrazione. Anche al suo
interno ci sono membri che vengono delegati a prendere le decisioni più importanti,
cioè l’amministratore delegato.

10. IL RISCHIO
Un ambiente stabile ma non studiato a fondo determina condizioni di rischio.
L’azienda è infatti condizionata dagli eventi che accadono nell’ambiente in cui opera.
Potrebbero verificarsi degli eventi che contrastano l’andamento dell’azienda.
Il corona virus è uno di quegli eventi. Si tratta di una situazione inattesa,
imprevedibile, che le aziende, almeno inizialmente, non sapevano come
fronteggiare.
Si pensi a tutte quelle aziende che avevano effettuato degli investimenti durante il
2020. La palestra Your Place al Corso Italia di Catania ha aperto proprio all’inizio
della pandemia, e si è ritrovata costretta a chiudere poco dopo l’apertura.
Per la variabilità dell’ambiente, la vita dell’azienda è quindi caratterizzata
dall’incertezza e del rischio, che può essere:
• Rischio di tipo 1) inteso come il potenziale verificarsi di eventi che contrastano gli
obiettivi dell’azienda. Esso ha due cause principali:
- la complessità del futuro
- la limitata capacità di previsione dell’uomo.

• Rischio di tipo 2) rischio inteso come possibilità che l’azienda non remuneri più i
soggetti che operano per essa. Al rischio è connesso il concetto del capitale di
rischio, ovvero quel capitale immesso nell’azienda che non ha vincoli di restituzione.
Il rischio consiste nel fatto che tale capitale, se l’azienda dovesse andar male,
potrebbe andare perduto. Se l’azienda va bene, il capitale aziendale cresce e così
come il capitale di rischio conferito dal singolo conferente; gli utili ottenuti
dall’azienda andrebbero infatti distribuiti agli azionisti. Il capitale di credito invece è
quello concesso “a prestito” (a titolo di credito) per cui l’azienda si assume l’obbligo
di restituire il conferimento entro una certa data (eventualmente con degli interessi).

• Rischio di tipo 3) Vi sono poi i cosiddetti rischi particolari, ovvero le piccole


manifestazioni di rischio economico generale. L’entità del rischio particolare dipende
da:
1) l’entità del danno, ovvero la massima percepita che si potrà avere
2) la probabilità di manifestazione, ovvero il grado di certezza del verificarsi del
danno
3) la durata del rischio, l’intervallo temporale che vi è dalla nascita del rischio alla
sua cessazione
4) la durata delle manifestazioni, che separa la prima manifestazione del rischio
dalla cessione completa degli effetti dannosi ad esso connessi.

L’accettazione del rischio è dunque una caratteristica tipica delle imprese, in quanto
il rischio è INELIMINABILE, per ogni tipo di azienda. Tuttavia vi sono settori, come
quello alimentare, dove il rischio è minore, e altri settori, soprattutto quelli più
innovativi, dove il rischio cresce.
Le politiche aziendali che influenzano l’entità del rischio possono essere:
- azioni volte ad attenuare l’entità del rischio, agendo sulle cause che lo
determinano;
- azioni volte a controllare gli effetti dannosi del rischio, in modo di trasferirli nel
tempo e nello spazio.

11. I MODELLI AZIENDALI


Da quanto è stato detto dal soggetto economico sicuramente è emerso che le
aziende si distinguono oltre che per la natura dell'attività svolta anche per la struttura
e per la posizione con cui questa si pone nei confronti dell'azienda stessa e da cui
emergono i modelli aziendali.
Tra i modelli aziendali troviamo le Aziende padronali e le aziende ad azionariato
diffuso.
-AZIENDE PADRONALI: In questo modello vi è l’azionista di controllo che detiene il
70% del capitale dell’azienda, lui è quindi il proprietario e prende decisioni per il 70%
dei voti. Il vantaggio è la flessibilità e la rapidità decisionale. Gli svantaggi
riguardano gli azionisti di minoranza ed il concetto di ‘’espropriazione di ricchezza’’,
tale per cui l’azionista di riferimento utilizza dei beni aziendali, finanziati in parte dagli
azionisti di minoranza, per scopi propri.
-AZIENDE AD AZIONARIATO DIFFUSO: In questo modello vi è un sottocomitato
che ha indipendenza nei confronti dell’amministratore di delegato. Esso viene
chiamato ‘’comitato per il controllo interno’’ che ha come compito quello di
verificare le decisioni dell’amministratore delegato siano in coerenza con gli altri
obiettivi degli azionisti, tale per cui tanto maggiore è il controllo, tanto minore è il
conflitto di interesse.
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MODELLO ITALIANO MODELLO


(IMPRESA A PROPRIETÀ’ STATUNITENSE (PUBLIC
CONCENTRATA) COMPANY)

STRUTTURA DELLA Concentrata Modello ad azionariato


PROPRIETÀ diffuso

MODALITÀ DI Diretto da parte della attraverso il mercato


CONTROLLO proprietà

FONTE DI Banche Mercati finanziari


FINANZIAMENTO
Corporate Governance+*87A8=6*B@*H>4<>><4@*@*8*K@==678HK8*6>>46?@4H;*8*E<6B8*B@*
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12. LE AGGREGAZIONI AZIENDALI-ALLEANZE E ACCORDI TRA


AZIENDE
Un’aggregazione aziendale indica una forma di unione tra aziende distinte sotto il
profilo giuridico ed economico.
A volte infatti per un’azienda risulta conveniente intrecciare relazioni più strette con
altre aziende che operano nello stesso ambiente, in modo da ottenere maggiori
vantaggi rispetto a quelli che si otterrebbero singolarmente.
- per conquistare vantaggi competitivi e posizioni di mercato;
- per sviluppare nuove tecnologie;
- per condividere conoscenze e competenze;
- per accedere a nuovi mercati.

1. AGGREGAZIONI BASATE SU RAPPORTI DI TIPO INFORMALE


• ALLEANZE STRATEGICHE: accordi di vario tipo e con lunga scadenza con i quali
si condivide lo sviluppo di tecnologie, utili per sostenere l’innovazione aziendale,
attraverso la condivisione con altri partner di conoscenze e competenze specifiche.

2. AGGREGAZIONI BASATE SU RAPPORTI DI TIPO CONTRATTUALE


• ACCORDI DI LICENZA: con cui il titolare di un brevetto, di un marchio, di una
tecnologia esclusiva detto LICENZIANTE, concede al LICENZIATARIO il diritto di
farne uso, ottenendo un pagamento di un compenso (royalty) che in genere è una
percentuale delle vendite che derivano da quell’uso.
• FRANCHISING: accordo in cui un’impresa (FRANCHISE) che possiede un
marchio concede ad un’impresa commerciale (FRANCHISEE) il diritto di vendere in
una determinata area i propri prodotti e servizi, usandone il marchio, in cambio di un
compenso periodico, offrendo assistenza di vario tipo, anche finanziario, durante
tutto il periodo dell’accordo. Il franchising è in uso soprattutto negli alberghi, pub, fast
food, abbigliamento, ecc.
• JOINT VENTURE: è un accordo di collaborazione tra due o più imprese per la
realizzazione di un progetto comune di diversa natura che vede l'utilizzo di risorse
apportate da ciascuna singola impresa partecipante, ma anche un'equa suddivisione
dei rischi legati all'investimento stesso ovvero un'equa ripartizione delle possibili
perdite o utili.
• CONSORZI: alleanze tra imprese con cui creano un’organizzazione comune per
svolgere delle attività (fissate all’inizio) conservando ciascuna autonomia economica
e giuridica. Lo scopo può essere quello di limitare la concorrenza o di realizzare una
cooperazione internazionale.
• ASSOCIAZIONI TEMPORANEE D’IMPRESE: simili ai consorzi, nascono per
partecipare a specifiche gare d’appalto e per la realizzazione di grandi opere.
• RETI (NETWORKS): alleanze che permettono alle aziende di piccola dimensione
di superare le debolezze, migliorando i propri risultati, interagendo con altre aziende.
Sono collaborazioni organizzate fra più aziende interdipendenti e complementari, le
quali, pur mantenendo la loro autonomia economica, giuridica e decisionale,
contribuiscono ciascuna con le proprie competenze alla creazione di un determinato
prodotto.
• DISTRETTI INDUSTRIALI: nascono quando diverse aziende (di piccole e medie
dimensioni), appartenenti a un determinato settore e al medesimo territorio danno
origine a una comunità, condividendo le proprie competenze e restando concorrenti
tra di loro.

3. AGGREGAZIONI BASATE SU RAPPORTI DI TIPO PATRIMONIALE


- Il gruppo aziendale.

13. I GRUPPI AZIENDALI


Nell’ambito delle aggregazioni aziendali troviamo il concetto di gruppo (non di
persone che porta all’istituto).
N.B. I gruppi nascono per ridurre il livello di rischiosità.
Si parla di gruppo aziendale solo quando sono presenti due condizioni: autonomia
giuridica e un legame di tipo finanziario.
-autonomia giuridica: Più aziende dotate di ‘’autonomia giuridica’’ sono configurate
sotto una personalità giuridica rispetto alle persone, a sua volta devono essere
autonome l’una dall’altra, cioè ‘’nettamente distinta’’.
Es: Azienda A e Azienda B, ove è importante che l’azienda A sia giuridicamente
identificabili come distinta dall’azienda B. (Non sono due reparti di un azienda, ma
distinte l’una dall’altra)
-legame di tipo finanziario: Tale legame è rappresentato dal posseso da parte di
una delle società fra queste, ovvero la ‘’Capogruppo’’, di quote del capitale delle altre
aziende.
Per ‘’quote’’ si intende la maggioranza di esse o un numero di quote tali da
consentire alla capogruppo di avere un'influenza dominante sulle decisioni delle
altre.
N.B. ES: Se c’è un'azienda A che ha il 2% e l’1% del capitale dell’azienda B, qui non
parliamo di gruppo, ma di partecipazione.
ES: Con una società Con più società
controllata controllate

Capogruppo (A) Capogruppo

Alfa Beta
Alfa Gamma
Nel caso(B)
in cui la Nel caso in cui la Capogruppo
Capogruppo controlli (unico soggetto economico)
soltanto un’azienda controlli più aziende (soggetti
(Alfa), essa può giuridici), immaginiamo che
decidere di lasciarle possegga:
totale autonomia - il 70% del capitale di Alpha;
oppure di averne il - il 40% del capitale di Beta;
controllo totale. - il 10% del capitale di Gamma.

Non vi è una percentuale rigida per stabilire quando vi è il controllo da parte di una
Capogruppo: se la Capogruppo possiede ad esempio soltanto il 40% della società
BETA, e tutti gli altri azionisti sono per lo più passivi, allora la società BETA sarà
controllata e farà parte del gruppo. Ma possedendo solo il 10% del capitale di
GAMMA, diventa molto difficile poterne avere il controllo.

I gruppi piramidali sono quei gruppi in cui vi è


GRUPPO PIRAMIDALE una capogruppo che detiene le quote di
controllo di un’altra azienda ALPHA
partecipata, che a sua volta detiene le quote di
CAPOGRUPP controllo di un’altra azienda BETA partecipata
O e così via. Si può verificare il cosiddetto
meccanismo della leva azionaria. La leva
ALFA azionaria consiste nella capacità dell’azienda
capogruppo di controllare tantissime aziende
BETA
possedendone piccole quote di capitale,
GAMMA facendo appunto leva sulle “azioni” (i
conferimenti), delle altre aziende del gruppo.

13.1 INFLUENZA DOMINANTE E NOTEVOLE


-INFLUENZA DOMINANTE: La Capogruppo incide in maniera dominante sulle
decisioni di Alfa e può farlo quando possiede o più del 50% delle quote di
maggioranza, ove la Capogruppo è un azionista di controllo fortemente concentrata,
in un azienda fortemente concentrata.
ES: Immaginiamo che in Beta c’è una situazione dove l’azienda non ha il 70%,ma il
40%.
Il controllo c’è? Dipende la situazione degli altri azionisti. È Ovvio che se la
situazione in beta dove la capogruppo al 40%, ma c'è anche un azionista che ha il
60%, il controllo NON è della capogruppo, ma dell’azionista che detiene le quote di
maggioranza.
ES: A ha il 40% di B, ci sono però altri due azionisti che hanno il 30% e il 30%. Qui è
possibile che ci sia il controllo, come non ci sia perché gli altri due azionisti se si
mettono d’accordo riescono a dire NO alle scelte di A.

N.B. Nelle aziende quotate in borsa, che hanno centinaia di azionisti, è ovvio che se
in questa situazione c’è un'azienda che ha il 40%, questo diventa sufficiente a dire
che c’è il controllo.
-INFLUENZA NOTEVOLE: Cioè con un 20% può diventare più difficile dire che vi è
il controllo, a meno che ci siano minuscoli azionisti che non partecipano proprio. A
differenza in una grande azienda il 10% conta (ES. nelle multinazionali diventano gli
azionisti di riferimento).

Il gruppo diventa l’insieme di queste aziende dove c’è un coordinamento fatto dalla
capogruppo, la quale dal proprio punto di vista considera il gruppo come se fosse
un'unica azienda.

CHI E’ IL SOGGETTO
GIURIDICO?
Capogruppo
-Tutti e 4.

CHI E’ IL SOGGETTO
Alfa Beta ECONOMICO?
Gamma la Capogruppo è il s.e., può
essere l’azionista che ha più
quote di capitale di
‘’rischio’’, il consiglio di
amministrazione, ecc...

13.3 PER QUALE MOTIVO NASCE UN GRUPPO AZIENDALE?


-OBIETTIVI DI ESPANSIONE TERRITORIALE: La capogruppo ha l’interesse ad
operare in altre parti del mondo.
ES: L’azienda madre potrebbe decidere di andare in Cina e creare lo stabilimento,
oppure più conveniente e fattibili andare ad acquistare quote di altre aziende.
-SBOCCO IN ALTRI SETTORI O MERCATI: ES: L’azienda madre che opera in un
solo settore e quindi è più in balia degli andamenti economici, del rischio legato al
futuro e sceglie di investire in altri settori (rischio minore).
Questa operazione si chiama ‘’diversificazione’’ e può farlo avviare in un nuovo
percorso o di investire diventando socio azionista di altre aziende che operano in
altri settori.
-ASPETTI COMPETITIVI: ES: Azienda A e B che si fanno concorrenza tra di loro
però ad A infastidisce la presenza di B nel mercato. Se A ha le risorse per togliersi di
mezzo B lo può fare, COME? Acquistandola (ci sono dei limiti posti dall’ente di tutela
della concorrenza) o con una collaborazione.

N.B Alcuni esempi di imprese multi-business:


- la Yamahaa oltre a produrre moto, produce strumenti musicali;
- Bvulgari, eccellenza nella produzione di gioielli, è entrata nel settore alberghiero
aprendo hotel di lusso in tutto il mondo.

ES: Immaginiamo che vi siano i sottogruppi, nonché le sub holding (mentre la


Capogruppo è la holding). A ha la partecipazione anche in D, Z, ecc…
è ovvio che lì si è creato un altro piccolo gruppo dove A è la capogruppo.

N.B. C’è il rischio quando vi sono aziende con proprietà molto concentrate che
l’azionista di controllo utilizzi dei beni aziendali per scopi personali, per cui l’azionista
sta pagando questo ‘’divertimento’’.

N.B. Oppure perché l’azienda opera in quel determinato business ha la


consapevolezza di un'opportunità nuova di business. Può essere che l’azionista di
riferimento invece di far fare l’investimento all’azienda decida personalmente di fare
l’investimento.

14. L’INTEGRAZIONE VERTICALE


L'integrazione fa parte della strategia di gruppo, quindi di quelle strategie che si
concentrano su DOVE un'impresa compete. L'integrazione verticale consiste
nell'internalizzazione di una serie di attività verticalmente correlate. Essa si può
classificare in 2 modi:
Integrazione verticale a valle: L'impresa assume il controllo/proprietà su delle
attività che prima erano svolte dai clienti. L'impresa prende il controllo di un
passaggio successivo rispetto a quello che già ricopre: ad esempio, un'impresa
assemblatrice di automobili, apre una concessionaria di vendita.

Integrazione verticale a monte: L'impresa assume controllo/proprietà della


produzione delle proprie componenti o di altri input. L'impresa assume il controllo di
uno step antecedente a quello già svolto: ad esempio, un'impresa assemblatrice di
automobili, inizia a produrre volanti. I motivi per le quali un'impresa decide di
integrarsi a monte e a valle sono: • cercare di ridurre i costi connessi al mercato e
quindi ottenere maggiori profitti, • Non c'è il rischio di perdere il fornitore e quindi
subire opportunismo post contrattuale, • Si riducono i costi di transazione legati alle
fasi di negoziazione, ecc, poiché non c'è più il problema di ricercare i fornitori.

15. IL SISTEMA DELLE OPERAZIONE TIPICHE DELLA GESTIONE


Operazioni tipiche di gestione
Per gestione si intende l’insieme delle operazioni, coordinate e collegate tra loro,
compiute dal fattore umano per la CREAZIONE DI UTILITA’ all’interno dell’azienda.

L’operazione è l’unità elementare dell’attività di gestione. Ciascuna operazione


assume significato solo in relazione alle altre già realizzate e a quelle da attuare.
Vi sono elementi in comune nella gestione di qualsiasi impresa (da quella industriale
a una banca, da una compagnia di assicurazioni a una società calcistica).

Sotto un profilo soggettivo, ci si sofferma sulle persone tramite le quali si realizzano


le operazioni.
Sotto un profilo oggettivo, si analizzando le 3 fasi fondamentali della gestione:
1) Fase dell’approvvigionamento: comprende le operazioni attraverso le quali si
acquisiscono i vari fattori produttivi necessari per lo svolgimento dell’attività. Tali
operazioni di acquisto danno luogo al sostenimento di costi.

2) Fase della trasformazione/produzione: comprende le operazioni con cui i fattori


produttivi vengono impiegati per ottenere beni o servizi, i quali diventeranno poi
oggetti di scambio sul mercato di sbocco. La produzione non va intesa soltanto
come lavorazione fisica della materia prima, ma anche come creazione di utilità
economica.
3) Fase dello scambio: è la fase in cui l’impresa colloca sui mercati di sbocco i
risultati della sua attività di trasformazione (in genere al prezzo più favorevole
possibile). In tal modo essa consegue i ricavi e rientra in possesso dei mezzi
finanziari impiegati nella produzione.

Le operazioni aziendali possono essere classificate in:


▪ Operazioni di gestione ESTERNA+*&##%"))(T("-&V$-'"*$*0!&VW("
Necessitano di atti di scambio con soggetti esterni (lavoratore, cliente, fornitore).
In campo economico, lo scambio richiede tali requisiti:
- l’intervento di due o più soggetti (l’azienda e altri)
- la cessione di un bene/servizio da un soggetto a un altro
- un compenso in denaro (o in natura)
- l’esistenza di una correlazione tra due prestazioni
- la possibilità di misurare il valore delle prestazioni che vengono scambiate

▪ Operazioni di gestione INTERNA+*'%&0,"%V&/("-$


Non pongono l’azienda in relazione con l’ambiente esterno
Quando tali operazioni derivano da relazioni con il mercato (di approvvigionamento e
di collocamento) si trasformano in valori, che possono essere:
- finanziari, i quali misurano gli effetti che esse determinano sul denaro, sui crediti e
sui debiti;
- economici, i quali danno informazioni sugli effetti che esse generano sulla
ricchezza conferita dalla
proprietà (costi, ricavi).

I fattori della produzione


Nella fase dell’approvvigionamento, vengono acquisti i fattori della produzione,
ovvero tutti quegli elementi necessari alla produzione di un bene o all’erogazione di
un servizio.
In altri termini, i fattori della produzione sono un complesso di beni, materiali e
immateriali, e servizi utilizzabili per lo svolgimento dell’attività aziendale, il cui valore
monetario è oggettivamente determinabile poiché scaturisce da uno scambio di
mercato.

TANGIBILITA’:
- beni materiali (merci, materie prime, macchinari, immobili);
- beni immateriali (diritti di brevetto, licenze, marchi);
- servizi (le consulenze professionali) e il lavoro dipendente.

PROVENIENZA:
- produzioni in economia: quei fattori che provengono dall’interno stesso
dell’azienda; (esempio: un’azienda che produce macchinari, può produrre da sola i
macchinari con cui realizzarli; un’azienda di costruzioni, costruisce da sola i suoi
uffici).

FLESSIBILITA’:
- il denaro è la risorsa produttiva più flessibile in assoluto; è un fattore della
produzione generico e viene investito per l’acquisto di fattori specifici. Man mano che
la risorsa produttiva viene sempre più personalizzata e resa specifica per un
determinato processo produttivo, comincia a perdere gradi di flessibilità.

Se si considera infine la DURATA DELL’UTILIZZO NEL PROCESSO, si


distinguono Fattori a fecondità semplice e Fattori a fecondità ripetuta.

- Fattori a fecondità semplice (FFS), ovvero quei fattori che una volta utilizzati
cedono interamente i propri servizi e che quindi possono essere impiegati una sola
volta nel processo produttivo di un’azienda (es. le materie prime, merci, ecc).

Il recupero del denaro investito per il loro acquisto avviene DIRETTAMENTE, tramite
la vendita del prodotto.
VALORE RESIDUO = COSTO DI ACQUISIZIONE se il FFS non è stato utilizzato
VALORE RESIDUO = 0 se il FFS è stato utilizzato

- Fattori a fecondità ripetuta (FFR), sono quei fattori che possono essere utilizzati
più volte, poiché cedono la propria utilità gradualmente, conservando le proprie
caratteristiche funzionali, come i macchinari, gli automezzi, le attrezzatura, i diritti di
brevetto.
Il recupero del denaro investito per il loro acquisto avviene INDIRETTAMENTE,
tramite il collocamento dei beni/servizi prodotti. Una volta iniziato l’utilizzo dei FFR, il
loro valore tende a ridursi gradualmente. Tale valore viene detto ‘’valore residuo’’.

VALORE RESIDUO = COSTO DI ACQUISIZIONE DEL FATTORE - COSTO DI


UTILIZZAZIONE

Costo di acquisto: è il sacrificio (in termini di ricchezza) necessario per


l’acquisizione dei fattori produttivi.

Costo di utilizzazione: è il sacrificio (in termini di ricchezza) sostenuto dall’azienda,


necessario per immettere nel processo produttivo i fattori produttivi, utilizzati per lo
svolgimento del processo produttivo.

16. IL PROCESSO DI AMMORTAMENTO


La maggior parte dei FFR hanno una durata pluriennale e sono ammortizzabili.
L'ammortamento è un procedimento tecnico-contabile con il quale il costo
pluriennale di un bene a fecondità ripetuta viene ripartito nei diversi anni di vita utile
del bene stesso. Lo scopo è quello di stimare ogni anno qual è la quota di utilità che
quel bene ha dato. In altre parole il bene partecipa per quote alla determinazione del
reddito dei singoli esercizi.
Il processo di ammortamento è un processo soggettivo, solitamente svolto dal
manager dell’azienda, che si basa principalmente su stime e congetture:
• la STIMA è una valutazione soggettiva approssimativa del valore di un bene per la
quale è però possibile effettuare una valutazione oggettiva in un momento
successivo in modo da individuare l’errore;
• la CONGETTURA è invece un'ipotesi basata su indizi incompleti, incerti o frutto di
valutazioni personali; è quindi una valutazione totalmente soggettiva che non
permette di individuare un riscontro successivo. La congettura rappresenta l'ipotesi
che è alla base dell'imputazione soggettiva di un costo pluriennale nei singoli periodi
amministrativi.

DOMANDA:Come si effettua il piano di ammortamento?

1. Per prima cosa bisogna chiedersi qual è il valore da ammortizzare.


Il valore da ammortizzare non è il costo storico (costo d’acquisto) sostenuto nel
momento in cui si è acquistato il fattore produttivo, ma è dato da:
VALORE DA AMMORTIZZARE = COSTO STORICO – VALORE DI PRESUNTO
REALIZZO FUTURO

2. Poi bisogna chiedersi per quanto tempo occorre fare l’ammortamento. Per
determinare la durata del piano di ammortamento, bisogna stimare la vita utile
del fattore produttivo.
Potrebbe sembrare che un FFR, tipo un macchinario, si possa utilizzare fin quando
la sua vita fisica non si esaurisca ed esso diventi non funzionante. In realtà bisogna
effettuare delle valutazioni sulle condizioni del bene, in modo da stimare la sua
vita utile, che:
-dipende dall’utilizzo del bene, ovvero il logorio fisico;
-dipende dalla manutenzione periodica effettuata sul bene;
-è resa più breve dall’obsolescenza, che può essere tecnica o economica.

L’obsolescenza tecnica fa riferimento al superamento tecnico dei FFR: si verifica


quando il progresso tecnologico ha reso possibile la progettazione e la realizzazione
di altri fattori, che consentono di ottenere prodotti in minor tempo, di qualità migliore
ea costi minori.

L’obsolescenza economica è invece quel fenomeno di superamento economico


che rende non più conveniente l’utilizzo di un fattore produttivo, seppur
perfettamente funzionante dal punto di vista tecnico, nella quale possono trovarsi i
prodotti quando perdono attrattività sui mercati. Alcuni esempi di obsolescenza
economica:
- l’azienda può affidare a terzi una fase del processo produttivo perché magari non
ne ha le competenze necessarie: in questo modo i fattori produttivi sono resi
inutilizzabili in quella fase;
- L’obsolescenza può anche colpire i prodotti ottenuti con il fattore produttivo,
rendendo quest’ultimo superato se non può essere utilizzato per altre produzioni.

- Così come l’obsolescenza può colpire anche la conoscenza (e le risorse


immateriali in generale), manifestandosi come deterioramento delle capacità
competitive dell’azienda.

3. Una volta stimata la durata, bisogna ripartire il costo sostenuto per l’acquisto
del fattore produttivo nei diversi anni in cui esso verrà utilizzato. Dobbiamo allora
determinare la cosiddetta ‘’quota di ammortamento’’.
Ogni singola quota di ammortamento graverà sull’esercizio (anno) di riferimento e
può essere di tre tipi.

• QUOTA DI AMMORTAMENTO COSTANTE: se si ipotizza che il bene ceda negli


anni di vita un’utilità costante; si divide il valore da ammortizzare per il numero di
anni di vita utile del bene. Va però osservato che spesso gli impianti, i macchinari e
le altre immobilizzazioni presentano un’efficienza che può mutare nel tempo anche
in modo molto sensibile oppure può accadere che l’utilità di tali beni rimanga
costante nel tempo solo grazie a manutenzioni e riparazioni che diventano via via
più onerose.

• QUOTA DI AMMORTAMENTO DECRESCENTE: se si ipotizza che l’impresa


utilizzi maggiormente il bene nei primi anni di vita, quando il rendimento è più
elevato, e in misura minore negli anni successivi, in cui l’efficienza tecnica tende a
diminuire, mentre i costi di manutenzione tendono ad aumentare in seguito
all’invecchiamento. • QUOTA DI AMMORTAMENTO CRESCENTE: se si ipotizza
che il bene presenti un’utilizzazione limitata nei primi anni di vita e il suo
funzionamento tende a crescere nel tempo. Con la scelta del valore da
ammortizzare, della quota di ammortamento dell’anno, si incide
contemporaneamente sulla determinazione del reddito e del connesso capitale di
funzionamento. Nel momento in cui si avrà la dismissione del bene, in contabilità
verrà rilevato il valore netto contabile, dato da:

VALORE NETTO CONTABILE=COSTO STORICO–FONDO DI AMMORTAMENTO


dove il fondo di ammortamento è una grandezza contabile che rappresenta
l’ammontare totale di ammortamento accumulato anno per anno nei vari anni.

FONDO DI AMMORTAMENTO = (quota di ammortamento 1° anno, + quota di


ammortamento 2° anno + quota di ammortamento del 3° anno, ecc.).
Se alla vendita del bene ci sarà qualcuno disposto a comprarlo a un prezzo più alto
rispetto a quanto era stato stimato, cioè al valore di presunto realizzo futuro, quel
valore in più è una plusvalenza, e rappresenterà in contabilità un ricavo e verrà
inserito nella voce “Altri ricavi e proventi” del Conto Economico.

Se invece il bene viene venduto ad un prezzo inferiore rispetto a quanto era stato
stimato, cioè al valore netto contabile, quel valore in meno è una minusvalenza, e
rappresenterà un costo.

17. IL PROCESSO DI AMMORTAMENTO

I CIRCUITI (MODELLI DI RAPPRESENTAZIONE DELLA GESTIONE)


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F8767986K@7>;:*

VARIAZIONE FINANZIARIA POSITIVA VARIAZIONE FINANZIARIA NEGATIVA


VF+ VF-

+ denaro (cassa o banca) - denaro (cassa o banca)


+ crediti di funzionamento - crediti di funzionamento
+ crediti di finanziamento - crediti di finanziamento
- debiti di funzionamento + debiti di funzionamento
- debiti di finanziamento + debiti di finanziamento

L’aspetto economico è detto generalmente derivato e considera il contributo


economico che le stesse operazioni apportano all’impresa, quindi fanno riferimento
alla creazione/distruzione di ricchezza. Esso riguarda: o COSTI (quantità dei mezzi
monetari di cui l’azienda si priva per l’acquisizione di fattori produttivi) e RICAVI
(quantità dei mezzi monetari che affluiscono all’impresa in caso di vendita di beni e
servizi). o Le VARIAZIONI DI CAPITALE

VARIAZIONE ECONOMICA POSITIVA VARIAZIONE ECONOMICA NEGATIVA


VE+ VE-

+ Ricavi per vendita di prodotti + Costi per acquisto di fattori produttivi


+ Ricavi per interessi attivi + Costi per interessi passivi
+ Capitale di proprietà - Capitale di proprietà

ACQUISTO DEI FATTORI PRODUTTIVI


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USCITE→ monetarie → ASPETTO MONETARIO

ACQUISTI COSTI→ Sacrificio di →ASPETTO ECONOMICO


ricchezza investita
Il COSTO d’acquisto dei fattori produttivi è il sacrificio di risorse monetarie per
l’acquisto di beni e servizi. E’ dato da:
𝑪𝒊= 𝑷𝒊 𝒙 𝑸𝒊 → dove 𝑪𝒊 = costo
𝑷𝒊 = prezzo
𝑸𝒊 = quantità
Il costo è quindi misurato dalla quantità di denaro ceduta per acquisire i fattori
produttivi.
N.B L’aspetto economico e quello monetario possono avvenire in due momenti
diversi (ad esempio se il pagamento non è immediato ma avviene
successivamente).

VENDITA DEI PRODOTTI FINITI


Il fine ultimo di un’azienda di produzione è il collocamento dei suoi prodotti sul
mercato di sbocco, che è un mercato di collocamento, in cui si ha l’interazione con
soci, clienti, collettività. Ciò consente all’impresa di recuperare le risorse monetarie
investite.
Per l’operazione di acquisto, osserviamo l’aspetto MONETARIO ed ECONOMICO.

ENTRATE→ monetarie → ASPETTO


MONETARIO
VENDITE
RICAVI→ Recupero della →ASPETTO
ECONOMICO
ricchezza investita
Il RICAVO di vendita è la quantità di denaro ottenuta vendendo una certa quantità
del prodotto ottenuto dalla combinazione produttiva.
𝑹𝒊= 𝑸𝒊 𝒙 𝑷𝒊 → dove 𝑹𝒊 = ricavo
𝑷𝒊 = prezzo
𝑸𝒊 = quantità
Il ricavo è quindi misurato dalla quantità di denaro che affluisce nell’impresa.

Entrate di denaro Uscita di denaro


aumento di crediti di aumento dei
funzionamento debiti di
funzionamento
Aspetto
monetario

Aspetto vendita prodotti


PROCESSO
Acquisto
economico PRODUTTIV
fatt.prod.
O
RICAVI COSTI
18.CIRCUITO DEI FINANZIAMENTI ATTINTI
I I finanziamenti attinti sono quei finanziamenti che forniscono all’impresa i mezzi
monetari necessari per l’avvio e lo svolgimento dell’attività produttiva.
Le fonti di approvvigionamento di mezzi finanziari a disposizione dell’azienda si
distinguono in:
_*F;7>8*87>@47@*+ CAPITALE PROPRIO (O DI RISCHIO), AUTOFINANZIAMENTO
Sono quelle fonti che derivano dall’attività di gestione, ovvero dalla vendita dei
prodotti sul mercato.
_*F;7>8*@H>@47@*+ CAPITALE DI CREDITO (O DI TERZI, O DI PRESTITO)
FINANZIAMENTI A TITOLO DI CAPITALE DI RISCHIO (O PROPRIO)
Il capitale proprio viene conferito ad opera dei proprietari dell’azienda: il titolare (nel
caso di azienda individuale) o i soci (nel caso di società).
- Esso viene conferito all’azienda senza alcun obbligo temporale di restituzione.
In genere esso non viene restituito ai proprietari fino a quando per esempio non si
voglia cessare l’attività. Il vincolo di restituzione è eventuale.

- Non è prefissata una data di scadenza, ma si tratta di un finanziamento


permanente.

- La remunerazione del capitale di proprietà è decisa periodicamente in base


all’andamento dell’attività e ai futuri investimenti programmati. In caso di risultati
economici negativi, il capitale proprio non verrà remunerato, e per questo vi è un
elevato rischio reddituale e di capitale.

- Il capitale può essere conferito dalla “proprietà” anche in momenti successivi, ogni
volta che se ne necessiti e può essere conferito sotto forma di mezzi monetari o
secondo beni utilizzabili dall’azienda. Tali risorse monetarie costituiscono il
CAPITALE DI PROPRIETA’.
Studiamo il circuito dal punto di vista economico e finanziario:
• ACQUISIZIONE DEL CAPITALE PROPRIO
- Aspetto finanziario:
*$-'%&'&*.(*.$-&%"*+*Variazione finanziaria positiva

Dato che il capitale di rischio non è soggetto a restituzione, non nasce alcun debito.

- Aspetto economico:
`*!&#('&1$*+*Variazione economica positiva

(Non è un RICAVO perché è un incremento di ricchezza attribuibile al conferimento


di mezzi monetari da parte dei proprietari dell’impresa, non legato al circuito della
produzione.)

• DIMINUZIONE DEL CAPITALE PROPRIO (Restituendo il capitale o dividendo alla


fine)
- Aspetto finanziarioO*20!('&*.(*.$-&%"*+*Variazione finanziaria negativa

- Aspetto economico:
*^*!&#('&1$*+*Variazione economica negativa

18.1 L’AUTOFINANZIAMENTO
Quando si ha un eccesso di entrate rispetto alle uscite, generato a seguito della
buona gestione, si hanno delle risorse di liquidità che possono essere utilizzate nello
svolgimento dell’attività produttiva. Fra le possibili fonti di liquidità da cui l’azienda
può attingere risorse da destinare genericamente all’esercizio dell’attività economica
vi è l’autofinanziamento. L’autofinanziamento è la capacità che ha l’azienda di
produrre autonomamente le risorse finanziarie-monetarie che servono per soddisfare
il fabbisogno finanziario generato dalle esigenze della gestione, senza fare ricorso a
fonti esterne di finanziamento. L’autofinanziamento rende in un certo senso “libera”
l’azienda, che non ha bisogno dell’intervento di sostegno degli istituti di credito o
dell’apporto di capitale di terzi. Per calcolare l’autofinanziamento, quindi per capire
qual è il reale flusso di cassa: 1. innanzitutto effettuiamo la somma algebrica tra
ricavi e costi (da cui possiamo ottenere un utile o una perdita); 2. se otteniamo un
utile, o aggiungiamo i costi non monetari (quei costi che effettivamente abbiamo già
sostenuto prima, come l’ammortamento) o togliamo i ricavi non monetari. Un
particolare tipo di autofinanziamento è l’autofinanziamento dell’ammortamento o
flusso di cassa dell’ammortamento, chiamato così perché considera il punto di vista
finanziario dell’ammortamento che genera flusso di cassa in quanto si tratta di un
costo non monetario. (ha avuto manifestazione finanziaria nel momento
dell’acquisto, quindi durante gli anni non ci sarà un’uscita di denaro ma comparirà tra
i costi). Esempio: 100 (ricavi) – 70 (costi tra cui 20 di ammortamento) = 30 utile
Quindi 100- 50= 50 (flusso di cassa) oppure 100-70= 30+20= 50

18.2 FINANZIAMENTI A TITOLO DI CAPITALE DI CREDITO (DI TERZI, DI


PRESTITO)
Il capitale di credito viene conferito da terzi a titolo di prestito. Il prestito potrebbe
essere fatto anche da un socio dell’azienda. - E’ giuridicamente previsto un vincolo
di restituzione: il capitale viene restituito secondo modalità stabilite contrattualmente
in una data prestabilita. Si tratta quindi di un finanziamento temporaneo. - Il rischio è
chiaramente più basso e si prevede una remunerazione (interessi passivi) che
rappresenta il costo del finanziamento, la quale deve essere riconosciuta al
finanziatore anche in caso di risultati negativi. I mezzi monetari restituiti ai
finanziatori saranno > di quelli ricevuti. Chi apporta capitale a titolo di rischio, rischia
di più di chi apporta a titolo di prestito, quindi il primo verrà remunerato
maggiormente. In inglese questa differenza è detta cost of equity. - Tuttavia anche il
capitale è soggetto al rischio di mancata remunerazione e/o di mancato rimborso.
Può capitare che quando vi siano eccessive perdite di gestione, l’azienda non sia in
grado di rimborsare l’intero capitale o una parte. Studiamo il circuito da un punto di
vista contabile: • ACCENSIONE DEL DEBITO DI FINANZIAMENTO (ottengo il
finanziamento): Aspetto finanziario:

+denaro Variazione finanziaria


positiva
ENTRATA
DI
DENARO
+debiti di
finanziamento
Variazione finanziaria
negativa
(in genere l’importo delle somme restituite è maggiorato dai relativi interessi passivi,
che costituiscono un costo, quindi una variazione economica negativa). •
RESTITUZIONE DELLE SOMME RICEVUTE (Restituisco il finanziamento):
Aspetto finanziario:

-Debiti di Variazione finanziaria


finanziamento positiva
USCITA DI
DENARO

-denaro
Variazione finanziaria
negativa
Aspetto economico:
COSTO Interessi passivi Variazione economica
negativa
Nel momento in cui l’azienda deve restituire il denaro (ad esempio all’istituto
bancario che glielo ha prestato), dovrà pagare degli interessi per il servizio, che
costituiscono un costo.

▪ Debiti di finanziamento: sorgono in relazione alla raccolta dei mezzi finanziari


presso banche, risparmiatori, società finanziarie;
▪ Debiti di funzionamento: sorgono quando l’azienda acquista fattori produttivi dai
fornitori, concordando il pagamento in un tempo successivo.

Nel seguente schema, vengono rappresentati entrambi i circuiti di finanziamenti.

In sintesi, le differenze tra capitale proprio e capitale di terzi:

CAPITALE PROPRIO CAPITALE DI RISCHIO

1) VINCOLO DI Eventuale se l’azienda è Giuridicamente previsto


RESTITUZIONE riuscita a far crescere il
suo capitale

2) SCADENZA Non prefissata: il Prefissata: il


finanziamento è finanziamento è
permanente temporaneo
3) SOGGETTI I proprietari dell’azienda In genere soggetti diversi
FINANZIATORI dai proprietari

4) RISCHIO Rischio elevato. Capitale Il rischio è più basso.


di rischio con Esso c’è se l’azienda
remunerazione non fallisce. La remunerazione
obbligatoria ma opportuna è fissa.

19.CIRCUITO DEI FINANZIAMENTI CONCESSI


In un determinato periodo l’azienda potrebbe disporre di mezzi monetari che
eccedono il proprio fabbisogno e quindi potrebbe investirli, per esempio prestandoli a
terzi per ricevere una remunerazione (Interessi Attivi). Nasce così un CREDITO DI
FINANZIAMENTO.
I mezzi monetari restituiti all’impresa saranno > di quelli prestati.

Studiamo il circuito solo da un punto di vista finanziario:


• CONCESSIONE DEL FINANZIAMENTO (PRESTITO) A TERZI:

+ Crediti di Variazione finanziaria


finanziamento positiva
ENTRATA
DI
DENARO
-denaro
Variazione finanziaria
negativa
• RESTITUZIONE DELLE SOMME PRESTATE:

+ Denaro Variazione finanziaria


positiva
USCITA DI
DENARO
-Crediti di
finanziamento
Variazione finanziaria
negativa

REDDITO D’ESERCIZIO E CAPITALE DI FUNZIONAMENTO


Per valutare gli andamenti di un’azienda in un definito arco temporale, non è
sufficiente analizzare le singole operazioni, ma bisogna elaborare delle misure di
sintesi dalla cui consultazione si può comprendere l’entità della ricchezza che
l’azienda è stata in grado di creare/distruggere in quel dato tempo.

20.IL REDDITO
‘’ IL REDDITO E’ LA VARIAZIONE ECONOMICA CHE HA SUBITO LA
RICCHEZZA AZIENDALE PER EFFETTO DELLA GESTIONE.’’

Esso si va ad aggiungere (reddito positivo o utile) o a sottrarre (reddito negativo o


perdita) al capitale conferito dalla proprietà.

• Se tale variazione è positiva, quindi si ha un Reddito positivo, si avrà un UTILE.


E’ un evento importante per la vita dell’impresa; esso dimostra che la gestione
dell’azienda è avvenuta con efficacia. Se il reddito cresce, cresce l’azienda.

• Se tale variazione è negativa, quindi si ha un Reddito negativo, si avrà una


PERDITA.
Quando la ricchezza aziendale non cresce, ma diminuisce, è evidente che qualcosa
nella gestione non ha funzionato.

Si potrebbe anche avere un Reddito neutro, ovvero una situazione in cui non si
hanno né utili né perdite.

La crescita della ricchezza aziendale può avvenire anche senza effetto della
gestione, ad esempio quando avvengono i conferimenti di capitale da parte della
proprietà, si avranno comunque delle variazioni economiche, ma non di tipo
reddituale. Per la sua grandezza monetaria, il reddito è una misura imperfetta. In
economia aziendale, distinguiamo il reddito totale d’impresa e il reddito di
periodo.

20.1 IL REDDITO TOTALE

‘’ FA RIFERIMENTO ALL’INTERA VITA DELL’IMPRESA, E RAPPRESENTA LA


VARIAZIONE CHE SUBISCE LA RICCHEZZA AZIENDALE PER EFFETTO
DELLA GESTIONE DAL MOMENTO IN CUI L’AZIENDA NASCE AL MOMENTO
IN CUI CESSA LA SUA ATTIVITA’.’’

Il reddito totale può essere utile per capire, alla fine della vita aziendale, come è
stato prodotto il reddito nel medio/lungo termine e per comprendere quali sono i
motivi che hanno portato alla cessazione dell’attività aziendale. Tuttavia ai fini
gestionali, non fornisce un’informazione tempestiva.
Quando lo si calcola, l’impresa si trova nella seguente condizione:
- ha interamente consumato o venduto PER STRALCIO i fattori produttivi acquistati;
- ha interamente venduto gli output prodotti;
- non ha nessun CREDITO/DEBITO (di funzionamento o di finanziamento) da
incassare-pagare;
- non ha rischi specifici (quei rischi che in futuro potrebbero generare costi o perdite)
in corso: la presenza di rischi specifici testimonierebbe che non tutti i processi sono
terminati.

1) METODOLOGIA REDDITUALE
Il reddito totale si ottiene facendo la differenza tra i RICAVI TOTALI e i COSTI
TOTALI misurati finanziariamente nel corso dell’intera vita dell’azienda.

RT = 𝑹𝒊𝒄𝒂𝒗𝒊 − 𝑪𝒐𝒔𝒕𝒊

ricavi (quantità vendute x prezzi unitari di vendita) : riflettono la ricchezza creata


costi (quantità acquistate x prezzi unitari d’acquisto) : riflettono la ricchezza
consumata

2) METODOLOGIA PATRIMONIALE
Il reddito totale si calcola per via indiretta sottraendo dal valore che il capitale
presenta al termine della sua esistenza, il valore del capitale conferito in fase di
costituzione. (Differenza tra patrimonio finale e patrimonio iniziale).

RT = 𝑪𝒇- 𝑪𝒊
𝑪𝒇 = capitale finale
𝑪𝒊= capitale iniziale

Bisogna però escludere dai calcoli: i valori degli ulteriori conferimenti effettuati dai
soci successivamente alla costituzione dell’azienda; i valori dei prelievi di capitale e
di reddito disposti dagli stessi soci nel corso della sua intera vita.

3) METODOLOGIA FINANZIARIA
Il reddito totale si ottiene dalla differenza tra le entrate e le uscite avvenute nel corso
dell’intera vita dell’impresa.

RT = 𝑬𝒕 − 𝑼𝒕
𝑬 𝒕= entrate di denaro (con esclusione di quelle dovute ai conferimenti iniziali e
successivi)
𝑼 𝒕= uscite di denaro (con esclusione di quelle dovute alle restituzioni di capitale ai
prelievi di reddito).

20.2 IL REDDITO DI PERIODO (O DI ESERCIZIO)


‘’IL REDDITO DI PERIODO RAPPRESENTA LA VARIAZIONE CHE SUBISCE IL
PATRIMONIO PER EFFETTO DELLA GESTIONE IN UN DETERMINATO
PERIODO’’

Il flusso ininterrotto dei costi e dei ricavi che si succedono durante la vita di
un’azienda, determina per l’imprenditore la necessità di dividere la gestione in tanti
periodi amministrativi con lo scopo di accertare periodicamente i risultati dell’attività
svolta.
- Periodo amministrativo: solitamente corrisponde all’anno solare che va dall’1/1 al
31/12, ma potrebbe variare in base alle esigenze dell’azienda.

- Esercizio: insieme delle operazioni di gestione compiute in un periodo


amministrativo. Ai fini gestionali è molto utile conoscere il reddito di periodo, poiché
permette a tutti i soggetti coinvolti nell’attività produttiva (i portatori d’interesse), di
conoscere la ricchezza che l’impresa è in grado di creare/distruggere in diversi archi
temporali della sua esistenza.

• La DIREZIONE (management) utilizza il reddito di periodo per decidere su quali


strategie puntare per garantire la sopravvivenza del sistema aziendale. Gli fa capire
se le decisioni prese sono coerenti con l’obiettivo di creare ricchezza.

• I conferenti del capitale di rischio lo utilizzano per valutare la condotta dei


manager, cioè come hanno gestito le risorse affidate loro, e anche per conoscere la
quantità di ricchezza che possono prelevare (DIVIDENDO) senza compromettere gli
andamenti futuri della gestione.

• Le banche lo utilizzano per giudicare lo stato di un’impresa che richiede un prestito


e, indirettamente, la sua capacità di rimborso alla scadenza. • Infine, sono interessati
al reddito di periodo i fornitori, clienti, il personale, il fisco.

21. DETERMINAZIONE DEL REDDITO D’ESERCIZIO


- Il metodo finanziario non è utilizzabile perché non rispetta il principio della
competenza economica: non è detto che le entrate e le uscite avvengano nello
stesso momento in cui si sostengono i costi e si ottengono i ricavi.

- Il metodo patrimoniale per quanto concettualmente fattibile, nella sostanza non si


può utilizzare perché il patrimonio finale non si determina in un momento
precedente rispetto al reddito, ma si determinano contemporaneamente.
Per determinare il patrimonio di fine esercizio, bisognerebbe effettuare una serie di
valutazioni oggettive uguali a quelle che si dovrebbero effettuare per determinare il
reddito di esercizio.
- L’unico metodo a disposizione per calcolare il reddito di periodo è il metodo
reddituale, secondo il quale il reddito di periodo si ottiene come differenza tra
RICAVI di competenza e COSTI di competenza.

Viene introdotta dunque la logica della competenza economica che serve


principalmente per risolvere un problema che sorge quando l’intero fluire della
gestione di un’azienda viene frammentato in diversi periodi.

All’interno di un periodo amministrativo infatti si susseguono una serie di operazioni


che:
- da un lato possono essersi concluse all’interno dello stesso periodo amministrativo;

- dall’altro lato, al 31/12, potrebbero esserci delle operazioni in corso di svolgimento


che si accavallano tra due o più periodi amministrativi. Ad esempio, ci potrebbero
essere dei prodotti semilavorati che devono ancora essere completati, o prodotti finiti
che non sono ancora stati venduti. A fine periodo allora, l’impresa potrebbe aver
recuperato soltanto parzialmente gli investimenti fatti inizialmente, grazie alle vendite
degli output avvenute fino a quel momento, mentre per gli investimenti dei processi
produttivi non ancora completati essa dovrà attendere i successivi archi temporali.

Si determina così uno sfasamento temporale tra gli investimenti (costi) e recuperi
(ricavi) e questo fa sì che la ricchezza creata/distrutta nel periodo non abbia una
misura oggettiva, ma è caratterizzata da un’elevata soggettività.

Il principio della competenza economica è un principio contabile che ci aiuta a


capire in quale anno contabilizzare i costi e i ricavi; in particolare bisogna
considerare solo i costi e i ricavi “di competenza”, ovvero quelli che si riferiscono
e hanno effetto in quel periodo di tempo, a prescindere dalle manifestazioni
finanziarie già avvenute o che devono ancora avvenire.

La competenza economica si esprime attraverso la realizzazione dei ricavi e


l’inerenza dei costi. Secondo tale principio:

1) per prima cosa bisogna individuare i ricavi di competenza: i ricavi per poter
essere considerati di competenza devono essere realizzati;

- per i beni mobili si richiede che sia avvenuto il passaggio di proprietà;


- per i servizi, occorre che essi siano resi/erogati;
- per i beni immobili, deve essere avvenuta la stipula dell’atto di
compravendita.

2) successivamente si identificano i costi di competenza: i costi sono considerati di


competenza se sono inerenti al periodo in cui sono avvenuti i correlativi ricavi.
Vi sono due diversi modelli di determinazione del reddito di periodo: modello dei
cicli conclusi e il modello dei cicli in corso di svolgimento.

1. MODELLO DEI CICLI CONCLUSI


Secondo il modello dei cicli conclusi il reddito di periodo si ottiene dalla differenza tra
i ricavi e i costi di quei soli cicli che si sono conclusi nel periodo di riferimento. La
ricchezza oggetto di valutazione è quella alla cui formazione/distruzione hanno
contribuito i processi terminati e non i processi ancora in corso di svolgimento.

2. MODELLO DEI CICLI IN CORSO DI SVOLGIMENTO E’ iniziato a diffondersi nel


panorama internazionale un modello alternativo di determinazione del reddito di
periodo (e del collegato capitale di funzionamento), quello dei cicli in corso di
svolgimento, secondo il quale si considerano prima i costi che si sono manifestati
nel singolo periodo, e successivamente si vanno ad agganciare ai ricavi previsti da
quell’operazione, per poi fare la differenza tra i costi e i ricavi. Il problema di questo
modus operandi è che è troppo soggettivo, poiché si vanno a stimare dei ricavi che
non è detto che si realizzeranno. Per ovviare a questa mancanza di prudenza, è
stato preferito il modello dei cicli conclusi.

Per determinare il reddito di esercizio, applicando la logica della competenza


economica, siamo costretti, a fine esercizio:

• a togliere quei costi e quei ricavi che non sono di competenza dell’esercizio,
(rettifiche di storno);
• ad inserire nell’esercizio quei costi o quei ricavi che pur non avendo avuto
manifestazione finanziaria, riteniamo siano di competenza dell’esercizio, (rettifiche di
imputazione).

(*=;H>8*@*8*48=6?8*7;7*A8*=;KI@>@796*+*A6*H;>>4644@
I costi da rinviare sono quelli che manifestano successivamente la loro utilità, ovvero
quelli che sono stati sostenuti ma per cui non è avvenuto il corrispettivo ricavo. Si
tratta di quei “resti” di un processo non ancora concluso che verranno utilizzati
successivamente. Ad esempio materie prime, prodotti in corso di lavorazione,anche
prodotti finiti non ancora venduti.
I costi rinviati al periodo successivo vengono definiti “rimanenze attive” :

- le rimanenze attive finali, sono quei costi che vengono individuati alla fine di un
esercizio e vengono rinviati al futuro;

- le rimanenze attive iniziali, sono quei costi che erano stati rinviati nell’esercizio
precedente. Rimanenze attive iniziali e finali quindi coincidono, vengono però
osservate da due punti di vista diversi, poiché la fine dell’esercizio 1 corrisponde con
l’inizio dell’esercizio 2.
N.B. Il costo è una grandezza che influisce negativamente sul reddito: nel momento
in cui togliamo un costo, ci saranno meno costi, e per questo sono definite
“rimanenze attive”.

I ricavi da rimandare sono invece quelli che non si sono realizzati, ovvero sono quei
ricavi che l’azienda consegue anticipatamente, ma che non sono effettivamente di
competenza perché non è ancora avvenuto il passaggio di proprietà del bene. I
ricavi rimandati vengono definiti “rimanenze passive” sono quei ricavi già
conseguiti, quindi sospesi o anticipati, che vanno rinviati al futuro.

- le rimanenze passive finali, sono quei ricavi che vengono individuati alla fine di un
esercizio e rinviati al futuro.

- le rimanenze passive iniziali, sono quei ricavi che erano stati rinviati nell’esercizio
precedente. Anche in questo caso, rimanenze passive finali ed iniziali coincidono.

N.B. Il ricavo è una grandezza che influisce positivamente sul reddito; quando
togliamo un ricavo, togliamo qualcosa di positivo ed andiamo ad agire passivamente
sul reddito.

22. SCRITTURE DI RETTIFICA DI STORNO


Le scritture che ci consentono di individuare le rimanenze, ovvero quei costi e quei
ricavi che non sono di competenza dell’esercizio e che devono essere rinviati
all’esercizio successivo, vengono definite rettifiche di storno nel linguaggio
contabile.
Si tratta di rettifiche sottrattive che ci consentono a fine esercizio di effettuare delle
correzioni in contabilità.

%68+*Rimanenze attive iniziali %I8+*Rimanenze passive iniziali


%6F+*Rimanenze attive finali %IF+*Rimanenze passive finali

- Quando la vendita di un prodotto avviene in negozio, il ricavo è immediato e non vi


è alcun dubbio che sia di competenza dell’esercizio.

- Quando invece si tratta di vendite online possono sorgere dei problemi: il


passaggio di proprietà del bene venduto dipende infatti dal tipo di accordo che è
stato preso tra il venditore e il cliente:
- se l’accordo prevede che il passaggio di proprietà avviene nel momento in cui la
merce è stata spedita, il ricavo è di competenza del momento in cui è stata
effettuata la spedizione. Quando si effettua la spedizione, il venditore rileverà
(immediatamente o dopo alcuni giorni) l’effettuazione della vendita ed emetterà la
fattura, un documento obbligatorio ai fini fiscali, che rappresenterà il credito che si
ha nei confronti del cliente.

- se l’accordo invece prevede che il passaggio di proprietà avviene nel momento in


cui la merce è stata consegnata, il ricavo può non essere di competenza
dell’esercizio. Il ricavo sarà realizzato quando il bene sarà arrivato a destinazione,
quindi deve essere rinviato e sarà una rimanenza passiva.

Esempio: vendita bottiglie di vino dall’Italia alla Cina.


Vi può essere il rischio che le bottiglie si rompano durante il tragitto, per cui
l’acquirente non vuole assumersi il rischio e preferisce accordarsi con il venditore
affinché il passaggio di proprietà delle bottiglie avvenga quando queste sono arrivate
a destinazione e non quando vengono spedite.

ESEMPIO: Rappresentiamo lunga una semiretta 3 anni di vita di un’azienda:


• i segmenti al di sopra della semiretta corrispondono alle operazioni di gestione in
corso di svolgimento (quelle operazioni che iniziano in un momento e si completano
in un altro momento);
• i puntini sopra i segmenti rappresentano i costi e i ricavi delle operazioni.

- Quando le operazioni iniziano e si concludono all’interno dello stesso periodo


amministrativo (in rosso), sono costituite da costi e ricavi di competenza e non vi
sorgono grossi problemi
nella determinazione del
……………...
……... reddito.

- Quando invece le
... ……. operazioni si trovano a
... cavallo tra due diversi anni
diventa più complicato,
come quelle cerchiate in
1 2 3 verde (da 1 a 3), in blu (da
2 a 3) e in giallo (da 3 e
non si sa quando si concludono).
Non si sa quando i costi sostenuti all’anno 1 genereranno i corrispettivi ricavi;
pertanto intanto si rimandano all’anno 2, andandosi ad aggiungere ai costi sostenuti
nel corso dell’anno 2; poi ci si chiede se tra tutti questi costi dell’anno 2 ce ne sia
qualcuno che non è di competenza e che va rinviato all’anno successivo.
……...
…………………..

... …….
...

1 2 3

ANNO 1:
I costi e i ricavi cerchiati in giallo al 31/12 vengono rinviati all’anno successivo alla
fine dell’anno 1, e diventeranno rispettivamente:
• i costi RIMANENZE ATTIVE FINALI.
• i ricavi RIMANENZE PASSIVE FINALI.

ANNO 2:
I costi e i ricavi cerchiati in azzurro comprendono:
• i costi rinviati dall’anno 1, che diventeranno RIMANENZE ATTIVE INIZIALI;
• i ricavi rinviati dall’anno 1, che diventeranno RIMANENZE PASSIVE INIZIALI;
Ma comprendono anche quei costi e quei ricavi non di competenza da rinviare
all’anno 3, così come quelli cerchiati in rosa.

ANNO 3:
- le rimanenze attive finali rinviate alla fine dell’anno 2, diventeranno RIMANENZE
ATTIVE INIZIALI all’inizio dell’anno e le rimanenze passive finali diventeranno
RIMANENZE PASSIVE INIZIALI.
Tutti i costi e i ricavi cerchiati in verde alla fine dell’anno 3 verranno rinviati al futuro.
Per determinare il reddito di periodo di ogni singolo esercizio, bisogna tenere in
considerazione gli altri esercizi, poiché sono tutti e tre collegati tra di loro.

I costi e i ricavi da integrare


Ci possono essere anche alcuni costi relativi a dei fattori produttivi che sono stati
acquistati e dei ricavi relativi a dei prodotti che sono stati venduti, che fino al 31/12
non hanno avuto alcuna manifestazione finanziaria, ma che potrebbero essere di
competenza dell’esercizio appena concluso. Per evitare di commettere errori, questi
costi e questi ricavi devono essere inseriti intanto in contabilità ed eventualmente poi
rinviati.
SCRITTURE DI RETTIFICA DI IMPUTAZIONE (O INTEGRAZIONE)
Le scritture che ci permettono di inserire nell’esercizio i costi e i ricavi che sono di
competenza dell’esercizio, ma che non sono rilevati in contabilità perché non è
avvenuta la manifestazione finanziaria, sono le RETTIFICHE DI IMPUTAZIONE.

Al 31/12, ci si chiede infatti se ci sono altri costi o altri ricavi che sono di competenza
ma che non si sono manifestati, e che quindi devono essere integrati.

La prima cosa su cui ci concentriamo è l’aspetto economico:


- l’aspetto originario sarà l’aspetto economico: si rileva intanto un costo o un ricavo
da imputare;
- l’aspetto derivato sarà l’aspetto finanziario: si rileva un debito o un credito presunto,
che diventerà certo quando avverrà la manifestazione finanziaria. Le scritture di
imputazione si effettuano ad esempio per:
P*8*=;H>8*@*48=6?8*B@56>8*6BB6*K67=6>6*@K8HH8;7@[48=@98;7@*A@BB6*F6>><46L*
P*8*I4@K8*6>>8?8[I6HH8?8*A6*B8E<8A64@L*
• I PREMI ATTIVI da liquidare sono quei premi che spettano all’azienda acquirente
alla fine di un certo periodo perché ha raggiunto un certo volume di acquisti;
solitamente vengono riconosciuti a fine anno e al 31/12 la necessità di effettuare
delle opportune rettifiche di imputazione che ci permettono di integrarlo all’esercizio
appena concluso, rilevando un credito nei confronti del fornitore.
• I PREMI PASSIVI da liquidare sono quei premi che vengono riconosciuti
dall’azienda al cliente che alla fine di un certo periodo ha raggiunto un determinato
volume di acquisti.
P*5B8*87>@4@HH8*6>>8?8[I6HH8?8*A6*B8E<8A64@L*
P*8*46>@8L*
P*5B8*6==67>;76K@7>8M*B@56>8*6B*I487=8I8;*A@BB6*I4<A@796:*

Il PRINCIPIO DELLA PRUDENZA ci dice che:


- non si possono inserire ricavi “sperati”,
- ma per “prudenza”, appunto, si possono inserire costi “probabili”.
Quindi, se l’azienda prevede che avrà dei ricavi, non può inserirli in bilancio, ma se
prevede che dovrà sostenere dei costi, deve inserirli in contabilità.

FONDO SVALUTAZIONE CREDITI


L’azienda ha un credito nei confronti di terzi, ma non lo può contabilizzare. Se il
debitore è in difficoltà e rischia di fallire (o addirittura è già fallito), è inutile che
l’azienda creditrice continui a tenere in contabilità il credito che ha nei suoi confronti,
perché sa già quel debitore non sarà in grado di pagarlo in parte o totalmente.
Allora, piuttosto che aspettare di vedere quanto effettivamente incasserà, deve
cercare di stimare quale sarà la somma che il debitore riuscirà effettivamente a
pagare ed eventualmente inserire la parte che non verrà pagata come costo da
imputare all’esercizio. Bisogna considerare quindi il potenziale costo derivante
dalla perdita su credito.
L’azienda può allora effettuare un accantonamento per svalutazione crediti.

Ci vengono in aiuto i cosiddetti accantonamenti, che sarebbe il conto


svalutazione/crediti. Si tratta di un processo di trattenimento della ricchezza che si
effettua quando si determina il reddito d’esercizio, che permette all’azienda di
imputare un costo.
Così facendo, qualora il debitore non dovesse pagare, il fondo svalutazione/crediti
va a ricoprire la perdita.

Si tratta dei cosiddetti ACCANTONAMENTI: richiamano alla mente un processo di


trattenimento della ricchezza operato in sede di determinazione del reddito,
attraverso l’imputazione di un costo “non monetario”, che ritrova i suoi fondamenti
logici nei rischi associati alle singole operazioni.

Se uno di questi clienti fallisce, il fornitore si deve “insinuare” nella procedura


fallimentare, chiedendo il rimborso dei crediti, e si deve accontentare della somma
che verrà distribuita ai vari creditori. Questa somma infatti non riesce quasi mai a
coprire tutto il credito, e i creditori ne subiscono una perdita.

Esempio Wind-jet:
La Wind-jet dava la possibilità di comprare i cosiddetti “carnet”; Wind Jet Carnet era
uno strumento molto utile per tutti quei viaggiatori che erano costretti a prendere
spesso un aereo, talvolta anche all’ultimo minuto, rischiando di pagare un prezzo
eccessivo. I Carnet erano quindi dei blocchetti di biglietti a un prezzo fisso (circa
80€) con cui si poteva prendere il biglietto anche all’ultimo momento e partire, con
garanzia di prenotazione per ogni volo. Dalla procedura fallimentare della Wind-jet, i
creditori che si sono insinuati hanno subito una perdita, poiché la Wind-jet non riuscì
a restituire i soldi dei vari carnè venduti. Dopo il fallimento dell’azienda, alcuni
creditori decisero di insinuarsi alla procedura fallimentare, ricevendo a distanza di 10
anni un assegno pari a 10€ a fronte degli 80€ spesi per l’acquisto del Carnet.

ESEMPI
MANCATA RICEZIONE DELLA FATTURA – (ACQUISTO)
Immaginiamo che il 30/12 ci viene consegnata della merce da parte di un fornitore,
quindi avviene il passaggio di proprietà e sorge un debito nei confronti del fornitore.

Tuttavia non abbiamo ancora ricevuto la fattura e quindi contabilmente non


registriamo alcun debito verso il fornitore e neanche un costo d’acquisto. Ma se il
bene è passato di proprietà, è ovvio che il costo esiste ed è di competenza di
quell’esercizio, quindi bisogna appuntare per non dimenticarlo. Sorgerà quindi un
“debito presunto”.

Al 31/12 verranno effettuate delle rettifiche di imputazione che ci permetteranno di


individuare questo costo che, contabilmente non era stato rilevato, ma che
effettivamente è di competenza dell’esercizio. Rileveremo:
- nell’aspetto originario un costo;
- nell’aspetto derivato un debito presunto verso il fornitore.

MANCATA EMISSIONE DELLA FATTURA – (VENDITA)


Immaginiamo che il 30/12 vendiamo della merce che viene consegnata al nostro
cliente, per cui è avvenuto il passaggio di proprietà.
Tuttavia non abbiamo ancora emesso la fattura e quindi contabilmente non
registreremo il credito verso il cliente e neanche il ricavo per la vendita. Ma se il
bene è passato di proprietà e la vendita è avvenuta, è ovvio che il ricavo esiste ed è
di competenza di quell’esercizio, quindi avremo un “credito presunto” nei confronti
del cliente.

Al 31/12 verranno effettuate delle rettifiche di imputazione che ci permetteranno di


individuare questo ricavo che, contabilmente non era stato rilevato, ma che
effettivamente è di competenza dell’esercizio. Rileveremo:
- nell’aspetto originario il ricavo;
- nell’aspetto derivato il sorgere di un credito presunto.

PREMI ATTIVI
Immaginiamo che uno dei nostri fornitori presso cui ci siamo riforniti nel 2020, una
volta raggiunto l’importo di 100.000€, decida di riconoscerci un premio dal valore di
1000 €, che verrà però concesso all’inizio del 2021. Si tratterà di un premio attivo
che sarà di competenza dell’esercizio appena concluso, poiché è stato riconosciuto
nel 2020.

INTERESSI ATTIVI/PASSIVI
Quando restituiamo alla Banca un prestito, paghiamo degli interessi passivi. Se
questi vengono pagati all’inizio del 2021, ma effettivamente si riferiscono ad un
prestito che ci è stato concesso nel 2020, allora si devono imputare all’esercizio
precedente.
23. RATEI E RISCONTI
………...
All’interno delle rettifiche di storno e di
imputazione fanno parte due sottocategorie: i ratei
e i risconti. I ratei e i risconti vengono trattati
insieme perché hanno una caratteristica in
comune: essi trattano quei costi e quei ricavi che 31/12
si trovano a cavallo tra due esercizi e maturano
con il decorrere del tempo.

I ratei sono una particolare categoria di RETTIFICHE DI IMPUTAZIONE.


Sono quote di costo o di ricavo di competenza che si trovano a cavallo tra due
esercizi, maturano con il decorrere del tempo e che hanno manifestazione
finanziaria posticipata; questi devono essere integrati all’esercizio.

Fanno riferimento a una componente finanziaria.


• rateo passivo: è un debito legato ad un costo che si trova a cavallo tra due
esercizi, matura con il decorrere del tempo e per il quale la manifestazione
finanziaria avviene in via posticipata;

• rateo attivo: è un credito legato ad un costo che si trova a cavallo tra due esercizi,
matura con il decorrere del tempo e per il quale la manifestazione finanziaria avviene
in via posticipata.

I risconti sono una particolare categoria di RETTIFICHE DI STORNO.


Sono quote di costo o di ricavo non di competenza che si trovano a cavallo tra due
esercizi, maturano con il decorrere del tempo e che hanno manifestazione
finanziaria anticipata; questi devono essere rinviati all’esercizio successivo.
I risconti sono una tipologia di rimanenze; la differenza sta nel fatto che mentre le
rimanenze sono costi o ricavi che per intero avranno manifestazione finanziaria nel
futuro e che vanno rinviati all’esercizio successivo, i risconti sono delle “quote di
costo o ricavi”, che solo in parte si manifesteranno in futuro.

Fanno riferimento a una componente economica.


• risconto attivo: è una quota di costo a cavallo tra due o più esercizi che matura
con il decorrere del tempo e per il quale il pagamento è avvenuto in via anticipata; è
la quota che non è di competenza e che deve essere rinviata al futuro;

• risconto passivo: è una quota di ricavo a cavallo tra due o più a cavallo tra due o
più esercizi che matura con il decorrere del tempo e per il quale il pagamento è
avvenuto in via anticipata; è la quota che non è di competenza e che deve essere
rinviata al futuro;
Esempio: l’affitto di un capannone prevede una quota mensile di 1000€. Ad ottobre
del 2020 paghiamo anticipatamente 6000€ che vanno a ricoprire in totale 6 mesi di
affitto. I 6000€ comprenderanno allora: - 3 mesi del 2020, da ottobre a dicembre
(3000€); - e 3 mesi del 2021, da gennaio a marzo (3000€). Questi 3000€ allora
saranno un costo di competenza dell’anno successivo, quindi bisogna effettuare
delle rettifiche di storno per inviarli.

Esempio RATEO – Pagamento posticipato


Abbiamo acceso un mutuo in banca e le rate mensili vengono pagate il 10 di ogni
mese e hanno interessi pari a 1000€. Il 10/01 pago in via posticipata gli interessi
della rata che riguarda il periodo 10/12-10/01. Al 31/12 in contabilità non vengono
rilevati gli interessi. In realtà dei 1000€ una parte sarà di competenza dell’esercizio in
chiusura, mentre una parte sarà di competenza dell’esercizio successivo. Nello
specifico:

P*Z[\*A8*Yaaa*H64677;*A8*=;KI@>@796*A@BBR677;*Y*3Za*58;478*H<*\aD*Yaaa*Z[\*b*ccc*+*
E<;>6*A8*=;KI@>@796*A@BBR677;*Y*

P*Y[\*A8*Yaaa*H64C*A8*=;KI@>@796*A@BBR677;*Z*3Ya*58;478*H<*\aD*Yaaa*Y[\*b*\\\*+*
E<;>6*A8*=;KI@>@796*A@BBR677;*Z*

Tramite una rettifica di imputazione si inseriscono i 666 nell’anno 1, rilevando:


- il costo per interessi passivi su mutui;

- un debito presunto verso la banca, con il conto finanziario RATEO PASSIVO.

Dal punto di vista della banca: la banca sa che il 10/01 incasserà 1000€ di interessi,
di cui 666€ saranno di competenza dell’esercizio in chiusura. Dovrà fare una
scrittura di imputazione nella quale inserirà una componente positiva di reddito,
l’interesse attivo, e rileverà contemporaneamente il credito nei confronti del soggetto
finanziato. In questo caso si avrà un RATEO ATTIVO, ovvero una quota di ricavo di
competenza che si deve inserire nell’esercizio in chiusura, per un importo pari a
666€.

Esempio RISCONTO – Pagamento anticipato


La rata mensile di affitto di una bottega è pari a 1000€ e viene pagata il 10 di ogni
mese. Il 10/12 pago in via anticipata la rata per il periodo 10/12-10/01. In contabilità il
pagamento di questa rata viene rilevato nell’anno 1 al 31/12, come costo di affitti
passivi, poiché la rata è stata pagata in via anticipata. In realtà però dei 1000€ una
parte sarà di competenza dell’esercizio in chiusura, mentre una parte sarà di
competenza dell’esercizio successivo. Nello specifico:

P*Z[\*A8*Yaaa*H64677;*A8*=;KI@>@796*A@BBR677;*Y*3Za*58;478*H<*\aDL*Yaaa*Z[\*b*ccc*

+*E<;>6*A8*=;KI@>@796*A@BBR677;*Y*

P*Y[\*A8*Yaaa*H64C*A8*=;KI@>@796*A@BBR677;*Z*3Ya*58;478*H<*\aD:*Yaaa*Y[\*b*\\\*+*
E<;>6*A8*=;KI@>@796*A@BBR677;*Z*

Se non facessimo nulla, alla fine dell’anno ci troveremmo in contabilità la voce “Costi
di affitti passivi” per 1000€. Bisogna effettuare una correzione, attraverso una
rettifica di storno, utilizzando un conto chiamato RISCONTO ATTIVO: togliamo ai
1000 la parte che non è di competenza di quell’anno, pari a 333, rinviando all'anno
successivo.

Dal punto di vista dell’azienda che affitta la bottega, questa sa che incasserà
anticipatamente i 1000€, che però non sono tutti di competenza; dovrà allora rinviare
i 333 all’esercizio successivo. In questo caso si avrà un RISCONTO PASSIVO.

EQUAZIONE DELL’EQUILIBRIO ECONOMICO DI BREVE PERIODO


Ci si trova in una condizione di equilibrio economico quando i ricavi di competenza
sono in grado di coprire i costi ed eventualmente di generare un utile (anche molto
piccolo). Utilizzando il metodo reddituale, ipotizziamo di avere un reddito positivo e di
avere un utile (U).

U = RC- CC DOVE

RC = RICAVI DI COMPETENZA
CC = COSTI DI COMPETENZA

!!*`2b*%!*+*$X2(1(W%("*$!"-"V(!"*.(*W%$)$*#$%("."

'4;?86K;*8*=;H>8*A8*=;KI@>@796*+*!=*b*3,*d*ID*`*%68*^*%6F

*_*,*d*I*+*8*=;H>8*A8*=;KI@>@796*=J@*H8*H;7;*K678F@H>6>8*A<467>@*BR@H@4=898;*A;?@*
F = fattori produttivi
p = relativo prezzo
*_*%68*+*rimanenze attive iniziali: i costi che vengono dall’esercizio precedente A
questi dobbiamo togliere i costi non di competenza, ovvero:

_*%6F*+*rimanenze attive inizialiO*8*=;H>8*=J@*?677;*48K67A6>8*6BBR@H@4=898;*H<==@HH8?;*

'4;?86K;*8*48=6?8*A8*=;KI@>@796*+*%=*b*3X*d*#D*`*%I8*^*%IF*

_*X*d*#*+*8*48=6?8*=J@*H8*H;7;*K678F@H>6>8*A<467>@*BR@H@4=898;*A;?@*
Q = quantità dei prodotti/servizi venduti
P = relativo prezzo di vendita

_*%I8*+*rimanenze passive iniziali: i ricavi che vengono dall’esercizio precedente A


questi dobbiamo togliere i costi non di competenza, ovvero:

_*%IF*+*rimanenze passive finali: i ricavi che vanno rimandati all’esercizio successivo


Riscriviamo allora l’equazione, sostituendo Cc e Rc.

!!*`2b*%!*+*3,*d*ID*`*%68*^*%6F*`*2*b*3X*d*#D*`*%I8*^*%IF*

In economia è preferibile utilizzare segni positivi, per cui eliminiamo i segni negativi,
passando Raf e Rpf negli altri membri. Otterremo allora l’equazione:

Rai + (F x p) + Rpf + U = Rpi + (Q x P) + Raf

24.L’INFORMATIVA ESTERNA SUI RISULTATI


La contabilità generale è un sistema informativo aziendale che ha come obiettivo
quello di generare informazioni utili (relative al reddito e al capitale) ai vari portatori
d’interesse sia interni che esterni e che utilizza come strumento principale per fare le
sue rilevazioni il conto.

24.1 IL CONTO
Il conto è un prospetto che contiene un insieme di scritture (annotazioni) intestate ad
un determinato oggetto semplice (il denaro) e che ha come scopo quello di rilevare:
- qual era la consistenza iniziale dell’oggetto (il valore iniziale);
- quali sono state le variazioni che ha subito in un arco temporale;
- la sua consistenza finale (il saldo alla fine di tali operazioni).

I conti vengono raccolti in un registro chiamato libro mastro e di conseguenza


prendono il nome di conti del mastro. Esso è il documento che rappresenta tutti i
conti con le loro variazioni.
Forma del conto
Graficamente, il conto può assumere diverse forme, secondo il tipo di
rappresentazione delle 2 sezioni. Vi sono:

1) conti a sezioni divise e contrapposte (forma tradizionale), adatti per


determinare un risultato complessivo contabile. Le due sezioni del conto per
convenzione sono denominate DARE (sezione di sinistra) e AVERE (sezione di
destra). Le variazioni positive vengono messe in DARE (+), quelle negative in
AVERE (-). La somma algebrica delle due sezioni permette di ottenere il saldo del
conto.

+DARE -AVERE

Tot. Tot

SALDO SALDO

2) conti a sezioni divise e accostate, Dove vi è una colonna grande per la


descrizione e le colonnine piccole per i valori.

3) conti a forma scalare, il conto è monosezione per cui potrebbe far incorrere in
confusione oppure potrebbe mascherare alcune cose (ricavi e costi sono collocati
all’interno di un’unica colonna).

4) altre forme.

25. LA PARTITA DOPPIA


Il metodo utilizzato per rilevare le operazioni di gestione è quello della partita
doppia, cioè un metodo di scrittura contabile che permette di registrare le operazioni
aziendali in modo simultaneo e antitetico su due serie di conti, allo scopo di
determinare il reddito di un dato periodo amministrativo e di controllare i movimenti
monetari-finanziari della gestione. La partita doppia dunque tiene conto di un duplice
aspetto di osservazione: finanziario ed economico, e a tal proposito si distinguono
conti di natura finanziaria e conti di natura economica.

Conti finanziari
Per convenzione, i conti finanziari accolgono:
_*87*.&%$*+*variazioni finanziarie positive: sono entrate di denaro (adesso o in
futuro) oppure l'estinzione di un debito.
_*87*&)$%$*+*variazioni finanziarie negative: sono uscite di denaro (adesso o in
futuro) oppure l'estinzione di un credito.
DARE AVERE

VF+ VF-
• + denaro • - crediti
• - denaro • - debiti
• + crediti • + debiti

Conti economici
Per convenzione, i conti economici accolgono:
• in DARE*+*?648698;78*@=;7;K8=J@*negative
• in AVERE*+*?648698;78*@=;7;K8=J@*positive

I conti economici si distinguono in:


-CONTI DI REDDITO: accolgono solo costi e ricavi;
-CONTI DI CAPITALE: accolgono solo variazioni di capitale proprio, in particolare:
IN DARE: decrementi di capitale proprio
IN AVERE: incrementi di capitale proprio

Di reddito Di capitale

DARE AVERE DARE AVERE

VE- VE+ VE- VE+


+ Costi + Ricavi - Capitale + Capitale
Rettifiche Rettifiche di
di ricavi costi

26. CONTO ECONOMICO


Il conto economico fornisce una rappresentazione delle variazioni di reddito che
sono intervenute nel corso dell’esercizio e che hanno portato alla determinazione del
reddito d’esercizio.
!"-'"*$!"-"V(!"*+*,(1V*.$11&*0('2&/("-$*%$..('2&1$*&1*\Y[YZ:*
- Racchiude solamente conti economici di reddito (costi e ricavi), ad eccezione del
saldo (in quanto l’utile è un conto di capitale).
- Nel Codice Civile è previsto che il Conto Economico abbia una struttura a forma
scalare.
Per capire com’è strutturato il Conto Economico, ci serviamo dell’equazione della
condizione di equilibrio a breve termine:

Rai + (F x p) + Rpf + U = Rpi + (Q x P) + Raf.

Con questa equazione abbiamo rappresentato il contenuto del Conto Economico, o


Prospetto del reddito, ovvero il Conto con cui si va a determinare il reddito
d’esercizio, cercando di capire quali sono state le variazioni reddituali che hanno
determinato il reddito d’esercizio. A sinistra vi sono le componenti negative di
reddito, mentre a destra vi sono quelle positive. Facendo la differenza tra le
componenti positive e negative, si determina il reddito di esercizio.
• Se quelle positive saranno maggiori di quelle negative, si avrà un UTILE;
• Se invece quelle negative saranno maggiori di quelle positive, si avrà una
PERDITA; in tal caso si sposterà da una parte o dall’altra per far bilanciare il conto.

PROSPETTO DEL REDDITO

CONTO ECONOMICO

• Rai : Rimanenze attive iniziali (costi • Rpi : Rimanenze passive iniziali (ricavi
provenienti dall’esercizio precedente) provenienti dall’esercizio precedente)
• (F x p): costi manifestati • (Q x P): ricavi manifestati
finanziariamente nell’esercizio finanziariamente nell’esercizio
• costi imputati all’esercizio non ancora • ricavi imputati all’esercizio non ancora
manifestatesi finanziariamente (F x P) manifestatesi finanziariamente (Q x P)
• Rpf : Rimanenze passive finali (ricavi • Raf : rimanenze attive finali (costi
rinviati all’esercizio successivo) rinviati all’esercizio successivo)

UTILE O PERDITA

27. STATO PATRIMONIALE


Lo stato patrimoniale fornisce invece una rappresentazione del patrimonio
dell’azienda alla fine dell’esercizio, sia da un punto di vista analitico (con tutte le sue
attività e passività) , che da un punto di vista sintetico (come valore del capitale
netto).
0'&'"*#&'%(V"-(&1$*+ FOTOGRAFIA DEL PATRIMONIO AL 31/12.

Mentre il Conto economico racchiude solo conti economici, lo Stato patrimoniale


racchiude:
- conti finanziari (entrate, debiti, ratei attivi);
- conti economici di capitale (capitale sociale, utile/perdita, eventuali riserve);
- conti economici di reddito accesi a costi sospesi (rimanenze di magazzino,
immobilizzazioni, rimanenze attive finali risconti attivi) o ricavi sospesi (rimanenze
passive finali).

Per patrimonio si intende l’insieme dei beni e dei diritti al netto delle obbligazioni a
disposizione dell’azienda per lo svolgimento dell’attività produttiva. In altri termini è
l’insieme delle risorse attive e passive a disposizione dell’azienda in un determinato
momento per svolgere il processo produttivo.
Lo Stato patrimoniale è quindi formato da due sezioni chiamate:
• ATTIVITA’ o impieghi (cioè i beni e i diritti dell’azienda)
• PASSIVITA’(più netto) o fonti (le obbligazioni, cioè i debiti dell’azienda nei
confronti di terze economie)

SCHEMA DI STATO PATRIMONIALE (in sintesi)

STATO PATRIMONIALE ATTIVO


*crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, il soggetto che sottoscrive
l’aumento di capitale si obbliga a versare il denaro, cioè versa obbligatoriamente un
25% di un 100%, poi successivamente versa il restante 75% su richiesta degli
amministratori di richiesta prende il nome di ‘’richiamo’’. Il socio che versa è un
debitore, mentre l’azienda diventa creditore.

*immobilizzazioni, c’è anche l’avviamento tra i fattori immateriali, cioè la condizione


dell’azienda di soddisfare gli azionisti. Cioè nel momento in cui l'azienda ha
acquistato partecipazioni, sicuramente avrà pagato di più rispetto al suo valore
contabile. L'azienda ha un valore, cioè un capitale economico.

*Attivo circolante, cioè quella parte che ruota molto all’interno dell’azienda, è
dinamica rispetto alla staticità delle immobilizzazioni che stanno lì per molti anni e di
solito sono beni a fecondità ripetuta. Si dicono ‘’attivo circolante’’ perché entrano ed
escono frequentemente.
-Rimanenze
-Crediti (presenti anche nelle immobilizzazioni, sono finanziari però).
Qui sono crediti di funzionamento.

*ratei e risconti, i ratei sono riferiti a crediti connessi a ricavi e imputazioni, mentre i
risconti sono costi sospesi.

STATO PATRIMONIALE PASSIVITA’ (+netto)

-fondi per rischi ed oneri, cioè gli accantonamenti che vengono fatti per tener conto
per possibili costi futuri, ma previsti adesso e ritenuti di competenza per l'anno.

*Trattamento di fine rapporto, di lavoro subordinato, è frutto di un


accantonamento. Esso è quella somma che viene versata al lavoratore quando
viene cessato il rapporto di lavoro, in gergo '' liquidazione". È nelle passività perché
comporta un debito nei confronti dei lavoratori, ed è a lunga scadenza.

*Debiti ,Tra cui troviamo le ‘’obbligazioni’’ , cioè titoli di credito che le aziende
emettono per raccogliere denaro.

*Ratei e risconti passivi.

Aldilà delle singole voci, la struttura è complessiva. Essa elenca le voci sia dell'attivo
che del passivo per natura, cioè mette una macro voce, a prescindere che scadano
a lungo o breve termine.

EQUAZIONE DEL CAPITALE NETTO:


Capitale netto = Attività – passività
Anche scritta
Attivo = netto + passivo
Se le attività > passività => capitale netto positivo
Se le attività < passività => capitale netto negativo (DEFICIT)

Come si è già detto, il reddito d’esercizio non può essere determinato con il metodo
patrimoniale perché reddito e patrimonio vengono calcolati contemporaneamente.

Vediamo perché attraverso un esempio:


A fine anno abbiamo un conto economico in cui vengono inseriti:
• quei costi e quei ricavi che hanno avuto manifestazione finanziaria nell’esercizio e
sono stati quindi contabilizzati;
• le rimanenze attive iniziali, ovvero i costi che vengono dall’esercizio precedente e
che vengono inseriti nell’esercizio in corso;
• le rimanenze passive iniziali, ovvero i ricavi che vengono dall’esercizio precedente
e che vengono inseriti nell’esercizio in corso.

Ma al 31/12 ci chiediamo se tutti i costi e i ricavi sono di competenza dell’esercizio.


Possono infatti esservi dei costi e dei ricavi non di competenza.

Vengono effettuate allora delle rettifiche di storno per rinviare i costi e i ricavi non
di competenza. Tali rettifiche si rifletteranno anche sullo stato patrimoniale (lo stesso
accadrà per le rettifiche di imputazione dove andrò a movimentare valori sia nel c.e.
che nello s.p.).

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- Contemporaneamente dobbiamo rinviarli all’anno successivo inserendoli nello stato
patrimoniale come rimanenze attive iniziali (coincidenti con le rimanenze attive
finali). Lo stato patrimoniale rappresenta il legame tra l’esercizio corrente e quello
futuro: lo stato patrimoniale di chiusura di un esercizio sarà lo stesso dello stato
patrimoniale di apertura dell’esercizio successivo, determinando quindi un
collegamento tra i due.

Se non facessimo questo passaggio questa rettifica di storno del costo andrebbe
persa nell’anno successivo, per tale motivo occorre memorizzarlo come costo
sospeso nell’attivo dello stato patrimoniale. Lo stesso accade per i ricavi sospesi
che andranno invece nelle passività.
CONTO ECONOMICO

DARE (-) AVERE (+)


Rimanenze attive iniziali Rimanenze passive iniziali

Costi sostenuti durante Ricavi avuti nell’esercizio


l’esercizio

Rimanenze passive finali Rimanenze attive finali (-


[storno di ricavi] costi) [storno di costo]

Costi imputati Ricavi imputati

STATO PATRIMONIALE

ATTIVO PASSIVO
Costi sospesi Ricavi sospesi

Credito presunto Debito presunto

Per quanto riguarda invece le rettifiche di imputazione, in questo caso abbiamo sia
un aspetto economico che un aspetto finanziario (ratei).

Vi possono infatti essere dei costi e dei ricavi di competenza che devono essere
integrati all’esercizio, ma che al 31/12 non sono visibili per essere contabilizzati.

Quando facciamo questa imputazione nel conto economico, ci troviamo ad inserire


nel passivo dello stato patrimoniale un debito presunto (fattura da ricevere:
sappiamo di aver fatto l’acquisto ma non abbiamo la fattura che ci permette di
rilevare il debito nei confronti del fornitore e quindi si ha un debito presunto) dello
stesso valore, quindi a seguito della rettifica verrà inserito un valore nel conto
economico nel dare e nello stato patrimoniale la sua incidenza sarà finanziaria
ovvero un debito presunto nelle passività.

Pertanto non possiamo conoscere il capitale netto finale se prima non


abbiamo svolto queste operazioni di rettifica e determinato il reddito.

28. IL BILANCIO D’ESERCIZIO


Il bilancio è un documento di sintesi finale in cui è rappresentata:
- la situazione economica dell’azienda, intesa come capacità di produrre reddito
durante l’esercizio;
- la situazione finanziaria/patrimoniale dell’azienda, intesa come composizione del
patrimonio e i relativi equilibri.

Il bilancio deve essere obbligatoriamente pubblicato (sul sito dell’azienda o presso la


Camera di commercio), per poter permettere ai soggetti esterni e non, di
comprendere l’andamento aziendale. L’azienda è infatti parte di un sistema più
ampio e il fatto di renderne pubblico il bilancio permette a chiunque voglia di
osservarne i risultati. Tra i soggetti interessati al bilancio vi sono:

• soggetti esterni, tra cui gli azionisti che hanno investito nell’azienda (che
dovrebbero anche approvarlo con il percorso di approvazione in assemblea); anche i
possibili azionisti futuri che in base ai risultati osservati nel bilancio decideranno se
investire o meno nell’azienda;

• anche i soggetti interni all’azienda, in quanto il bilancio e la sua analisi sono uno
strumento per il controllo della gestione.

Il bilancio è composto da alcuni prospetti:


• Conto economico
• Stato patrimoniale
Conto economico e stato patrimoniale sono i prospetti principali del bilancio
d’esercizio. Sono definiti “conti di estrema sintesi” in cui vengono riassunte tutte le
variazioni che sono intervenute nel corso dell’esercizio e che sono state fatte a
seguito di rettifiche di storno e d’imputazione.
• Nota integrativa, è un documento nel quale nel quale vengono descritte e
approfondite le singole voci del conto economico e dello stato patrimoniale,
confrontandole anche con l’anno precedente. Indica se sono stati fatti dei processi
valutativi.
• Relazione della gestione, viene fatta come introduzione del bilancio per
descrivere sinteticamente com’è andata la gestione, cosa è stato fatto e se ci sono
delle operazioni che sono avvenute già nel nuovo esercizio e che potrebbe essere
utile conoscere perché si possono interpretare meglio i risultati dell’anno di cui si sta
facendo il bilancio.
• Rendiconto finanziario, è un prospetto nel quale si rappresentano i flussi di cassa
dell’azienda, ossia le operazioni che hanno portato a delle variazioni positive
(generazione di denaro) e negative (utilizzo del denaro). E’ un documento da poco
diventato obbligatorio (dal 2015).
Nello Stato Patrimoniale infatti non si riescono a vedere i flussi di liquidità
dell’azienda, mentre il Rendiconto Finanziario ci permette di verificare se l’azienda
effettivamente è in equilibrio finanziario.

Per essere redatto, il bilancio deve rispettare dei principi contabili nazionali e
internazionali:
- i primi forniscono indicazioni, oltre che per la redazione e la forma da adottare, su
come stabilire i valori delle operazioni di rettifica (tali operazioni implicano di stabilire
un certo valore come le rimanenze, le immobilizzazioni, i crediti etc..) e sono
orientate al principio della prudenza;

-i secondi sono quelli a cui devono conformarsi le società quotate (non danno vincoli
strutturali).

28.1 L’ANALISI DI BILANCIO


Il bilancio di esercizio ha l’obiettivo di consentire al lettore di comprendere
l’andamento di un’azienda, valutandone:
- la situazione economica: per comprendere se l’azienda opera in condizioni di
equilibrio economico e comprendere anche come è stato raggiunto o non raggiunto;
- la situazione finanziaria: per comprendere se l’azienda opera in condizioni di
equilibrio finanziario;
- la situazione patrimoniale: per comprendere il rapporto tra capitale proprio e
capitale di terzi, quindi capire se l’azienda è indebitata oppure no, come si finanzia,
ecc.

L’analisi di bilancio è quindi quell’insieme di regole e procedure che permettono di


comprendere correttamente le informazioni contenute nel bilancio, che, così com’è
pubblicato, non è immediatamente pronto e leggibile. Il lettore deve sapere come
interpretare le grandezze e come confrontarle per stabilire un giudizio positivo o
negativo sull’andamento aziendale.

Come si effettua l’analisi di bilancio?


Il punto di partenza per effettuare l’analisi di bilancio, è constatare se l’azienda si
trova in equilibrio economico di lungo termine. Successivamente si vanno ad
individuare degli indici di bilancio, per poterli confrontare con quelli delle altre
aziende. E’ però necessario riclassificare il conto economico e lo stato patrimoniale.

29. EQUILIBRIO ECONOMICO DI LUNGO PERIODO


L’equilibrio economico di breve termine, individuato attraverso la sua equazione, era
utile per capire il concetto di competenza economica, di rimanenze attive e passive,
per capire com’è strutturato il conto economico. Per verificare invece se un’azienda
si trova in una condizione di equilibrio economico di lungo periodo, non basta
produrre un reddito positivo.

$H@KI8;*+*87?@H>;*Yaa*K8B8;78*A8*@<4;*@*BR698@7A6*I4;A<=@*;578*677;*<7*4@AA8>;*
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Per determinare l’equilibrio economico di lungo termine è necessario che gli
azionisti siano soddisfatti e che il capitale proprio sia adeguatamente remunerato:
bisogna quindi stabilire un processo logico e comune che stabilisca quale sia in
generale la giusta remunerazione del capitale.

Processo per determinare la remunerazione attesa da parte degli azionisti:


Bisogna capire qual è la remunerazione che gli azionisti si aspettano rispetto agli
investimenti effettuati nell’azienda. Per gli azionisti è fondamentale effettuare l’analisi
di bilancio perché essi hanno la necessità di capire come sta andando il loro
investimento, in quanto vorrebbero ottenere una certa remunerazione del capitale
investito ed essere di conseguenza soddisfatti.

Gli azionisti, nel caso di inadeguata remunerazione, hanno la possibilità di fare degli
investimenti alternativi che potrebbero essere investimenti privi di rischio.
Ovviamente nella realtà non esiste l’assoluta mancanza del rischio, ma vi sono degli
investimenti molto sicuri in cui il rischio è quasi nullo.

Investimenti privi di rischio


Un esempio di investimenti con basso rischio potrebbero essere i titoli di Stato. E’
infatti difficile che uno Stato possa fallire, anche se ciò non è da escludere (si pensi
alla Grecia). L’Italia, ad esempio, avendo un debito pubblico molto alto, non è
estremamente sicuro. Ma se si pensa a stati come la Germania o gli Stati Uniti,
risulta impensabile che possano fallire.

Talvolta le risorse ottenute dallo Stato dal pagamento delle imposte da parte dei
cittadini non sono sufficienti in un singolo anno per effettuare investimenti (ad
esempio per costruire autostrade, ponti, ecc). Lo Stato può allora decidere di farsi
prestare denaro dai propri cittadini o da quelli di altri paesi, emettendo titoli di stato.

I titoli di stato sono quote di debito pubblico che lo Stato contrae nei confronti dei
cittadini, e che deve essere restituito.

In Italia prendono il nome di:


W"'*+*Buono ordinario del tesoro

W'#*+*buono del tesoro poliennale.

L’indicatore che ci fa capire la percezione dei mercati sulla rischiosità dell’Italia è lo


spread, cioè la differenza di rendimento tra i titoli di stato italiani a 10 anni (BTP) e
gli equivalenti titoli pubblici tedeschi. Il confronto con i titoli tedeschi nasce dal fatto
che la Germania è il paese europeo considerato privo di rischio ed è caratterizzata
da una certa stabilità (differentemente dall’Italia, che ha un grande debito pubblico e
per cui gli investimenti sono più rischiosi).
Se lo spread si alza, aumenta il grado di rischiosità: sarà un fattore negativo perché
lo Stato deve riconoscere un tasso d’interesse più alto, altrimenti non otterrà prestiti
perché i mercati percepiscono che la rischiosità è maggiore.
Per capire il rendimento atteso dagli azionisti:

• partiamo dal cosiddetto RISK FREE RATE, ovvero il rendimento che si ottiene da
un investimento privo di rischio. In realtà esso non è sufficiente, perché si deve
tenere in conto che investire nell’azienda è rischioso (tanto maggiore è il rischio più
sarà alto il rendimento che ci si aspetta);

• al Risk Free Rate bisogna quindi aggiungere il cosiddetto PREMIO PER IL


RISCHIO, cioè un premio conferito all’azionista per aver investito in un’attività
rischiosa (indica l’ulteriore rendimento che si aspetta chi investe in attività rischiose).

Rendimento atteso per il rischio dall’investitore = Risk free rate + premio per il rischio =

Il rendimento atteso dall’investitore è anche detto costo opportunità del capitale,


detto anche Costo Equity (K.e.): indica ciò (il rendimento più sicuro) a cui gli
investitori sono disposti a rinunciare per investire all’interno dell’azienda, assumendo
un rischio maggiore.
Il K.e. diventerà un punto di riferimento per capire se le grandezze del bilancio sono
soddisfacenti o meno.

29.1 EQUAZIONE DELL’EQUILIBRIO ECONOMICO DI LUNGO PERIODO

1- Per determinare l’equazione di equilibrio economico di lungo periodo, partiamo


dall’equazione di equilibrio di breve termine:
Cc + U = Rc*+*$E<698;7@*A8*@E<8B8N48;*@=;7;K8=;*A8*N4@?@*>@4K87@*

Nel lungo periodo a cambiare è il costo: si parla di costo economico tecnico che,
oltre a comprendere tutti i costi che si sono manifestati nell’esercizio e quindi sono
stati sostenuti dall’azienda, comprende anche i cosiddetti oneri figurativi, ovvero
quei costi che in realtà non vengono sostenuti dall’azienda, ma che devono essere
presi in considerazione. Esempi di oneri figurativi sono:

- il salario direzionale, ovvero lo stipendio che dovrebbe essere pagato al direttore,


ma che non viene pagato perché il direttore è il proprietario dell’azienda;

- l’affitto figurativo, ovvero se l’immobile è di proprietà dell’azienda, questa non


pagherà l’affitto.
Esempio 1: in un’attività commerciale di telefonia, si sostengono una serie di costi
(luce, costi personale, costi di acquisizione) però il titolare che lavora nell’attività non
prenderà uno stipendio, ma, una volta conseguito un utile, preleverà da lì la sua
parte. Il costo del lavoro non si troverà quindi in contabilità, ma deve essere
considerato (salario direzionale) perché prenderà una parte di utile.

Esempio 2: Un altro esempio è quando si ha un locale, non si paga l’affitto e non


viene contabilizzato, ma è ovvio che se l’attività viene ceduta l’affitto dovrà essere
pagato e quindi quando si deve valutare l’equilibrio economico si deve considerare
anche questo costo.

C**b*;7@48*F85<46>8?8*`*6B>48*=;H>8*+*=;H>;*@=;7;K8=;*>@=78=;*

2- Sappiamo che i ricavi (R) devono coprire tutti i costi ed eventualmente produrre
un UTILE. In questo casi si avrà un profitto (α) che è un extra reddito (surplus),
cioè la quantità di reddito che eccede il minimo di convenienza economica (reddito
che soddisfa gli investitori).

3- L’equazione sarà quindi data da:


C* + α = R + EQUAZIONE DI EQUILIBRIO ECONOMICO DI LUNGO PERIODO

30. RICLASSIFICAZIONE DEL CONTO ECONOMICO


Il conto economico, nonostante la struttura prevista dal Codice Civile sia fortemente
migliorata con la Quarta Direttiva Ceca (avvenuta già decenni fa), introducendo una
forma scalare che consente di intravedere dei risultati intermedi, non è ancora
totalmente adeguato per poter svolgere l’analisi di bilancio e quindi va riclassificato.
La riclassificazione ha come obiettivo quello di suddividere le componenti positive e
negative di reddito in relazione all’area gestionale di appartenenza (operativa,
accessoria, finanziaria e straordinaria). Essa può seguire due strutture diverse:
struttura a valore aggiunto e struttura a ricavi e costi del venduto.

STRUTTURA A VALORE AGGIUNTO: utilizza una struttura molto simile alla


struttura attuale del bilancio del Conto economico che si trova nel Codice
Civile. E’ diviso in macro-aree:

A) VALORE DELLA PRODUZIONE: legata all’attività operativa. Indica il valore di


ciò che è stato prodotto durante l’esercizio (quindi non considera le materie prime
che devono essere lavorate).

+ Ricavi di vendita (per i prodotti finiti già venduti); il ricavo di vendita, da solo, non
è espressione della produzione ottenuta, ma si deve guardare la variazione che
hanno subito le rimanenze di beni che hanno subito un processo produttivo.
± Variazione delle rimanenze di prodotti finiti e semilavorati: (+) in incremento
se il magazzino aumenta; quindi considera le rimanenze finali (i prodotti che non
sono ancora stati venduti, ma che effettivamente sono stati prodotti nell’esercizio); (-)
in decremento se diminuisce, nel caso in cui si vende più di quanto è stato prodotto;
quindi non considera le rimanenze iniziali, ovvero ciò che ci ritroviamo proveniente
dall’esercizio precedente.

+ Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni (hanno luogo quando l’azienda


decide di produrre da se le immobilizzazioni, oltre quei beni che normalmente vende,
e dato che è possibile che non ce la fa a produrli in un anno, nascono degli
incrementi del valore delle immobilizzazioni che deriva dal fatto che hanno fatto loro
dei lavori internamente, cioè che hanno prodotto in economia).

B) COSTI DELLA PRODUZIONE: tutti i costi che vengono sostenuti durante


l’esercizio.

+ Costi di acquisto (per materie prime, per personale, per servizi).

± Variazioni delle rimanenze di materie prime, merci, materiali di consumo (+


rimanenze finali di materie prime, - rimanenze iniziali di materie prime).

A-B) DIFFERENZA TRA A E B = VALORE AGGIUNTO: esprime la capacità


dell’azienda di creare ricchezza per coprire gli altri costi. Togliendo i costi del
personale, si ottiene il MAL:

MARGINE OPERATIVO LORDO: indica la ricchezza residua dopo aver retribuito il


personale e rappresenta una prima misura dell’autofinanziamento operativo. Ad
esso, togliamo gli accantonamenti, gli ammortamenti otteniamo il:

REDDITO OPERATIVO o EBIT:


(Earnings before interest and taxes) indica invece il reddito generato dalla gestione
caratteristica (ovvero la gestione ordinaria); costituisce un margine molto importante
in quanto rappresenta il risultato conseguito dall’impresa a prescindere dalle
modalità di finanziamento adottate, dal livello di tassazione e dalle eventuali
componenti straordinarie.

Andremo infine ad aggiungere o togliere i risultati dell’area finanziaria e dell’area


straordinaria, ottenendo il REDDITO LORDO, a cui togliamo le imposte, ottenendo il
REDDITO NETTO.

STRUTTURA A VALORE AGGIUNTO


A) VALORE DELLA PRODUZIONE
1) Ricavi di vendita

2) Variazioni dei prodotti finiti, semilavorati e in corso di


lavorazione

+ rimanenze finali di prodotti finiti


- rimanenze iniziali di prodotti finiti

+ rimanenze finali di semilavorati


- rimanenze iniziali di semilavorati

3) Variazioni di lavori in corso di ordinazione

4) + Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni

B) COSTI DELLA PRODUZIONE


6) Per acquisti di materie prime

7) Per servizi

9) Per il personale (salari e stipendi, TRF, ecc)


.
.
11) Variazioni delle rimanenze di materie prime

+ rimanenze finali di materie prime (non usate)


- rimanenze iniziali di materie prime

'"'&1$*3WD*+*3&^WD*O*
DIFFERENZA VALORE DELLA PROD. E COSTI DELLA
PRODU.

Valore della produzione


- Costi della produzione
= VALORE AGGIUNTO

- Costi per il personale


= MARGINE OPERATIVO LORDO o EBITDA

- accantonamenti, ammortamenti, svalutazioni


= REDDITO OPERATIVO o EBIT

+/- Risultato dell’area finanziaria (interessi attivi o passivi,


dividendi) +/- Risultato dell'area straordinaria (oneri e proventi
straordinari)
= REDDITO LORDO

- imposte
= REDDITO NETTO
STRUTTURA A RICAVI E COSTI DEL VENDUTO:
utilizza come prima voce i Ricavi di vendita, e non il valore della produzione. La
differenza tra le due strutture sta nella parte iniziale, ovvero quella parte che porta
alla determinazione del reddito operativo.

Ricavi di vendita
- Costo del venduto

= REDDITO OPERATIVO o EBIT

+/- gestione finanziaria


+/- gestione straordinaria
+/- gestione accessoria

= REDDITO NETTO

Costo del venduto =


+ costo della produzione ottenuta (ciò che è stato sostenuto per la produzione)
- rimanenze finali di prodotti finiti (non sono stati venduti)
+ rimanenze iniziali di prodotti finiti (possono essere comunque vendute
nell’esercizio che consideriamo)

31. CALCOLO DEGLI INDICI DI BILANCIO


Dopo aver effettuato la riclassificazione è possibile calcolare gli indici di bilancio
chiamati anche indici di redditività che permettono di misurare la capacità delle
diverse aree di gestione di generare un certo rendimento del capitale investito.

Tra i più importanti abbiamo:


• ROE : %$'2%-*",*$X2('f*+*Indica la redditività del capitale proprio
Esso ci dice quanto rende il capitale proprio.

Reddito netto: la remunerazione che


rimane a chi investe il capitale proprio.
Reddito netto
ROE= Capitale/netto proprio: il capitale investito
Capitale netto
dagli azionisti.

Esso viene confrontato con il K.e. (il costo opportunità del capitale proprio), il quale è
un benchmark, cioè un parametro che ci permette di determinare il rendimento
atteso dagli azionisti.
- se ROE >= Ke allora si raggiunge il livello di redditività soddisfacente:
l’azionista sarà soddisfatto.

- se ROE < Ke allora non si raggiunge il livello di redditività. Per avere un altro
punto di riferimento, è possibile effettuare un confronto:

- nello spazio: confrontando il ROE dell’azienda al ROE del settore; si spera


che la redditività dell’azienda sia almeno uguale a quella del settore;
- nel tempo: confrontando il ROE attuale con quello di esercizi precedenti.

• ROI :*%$'2%-*",*(-)$0'V$-'*+ Indica la redditività del capitale investito


nell’area caratteristica

Esso rappresenta la redditività di tutti gli investimenti, a prescindere da come sono


stati finanziati (con capitale proprio o capitale di terzi).

Reddito operativo = è il reddito dell’area


Reddito operativo caratteristica, che comprende solo i costi e
ROI= i ricavi dell’attività tipica. k = investimenti
Capitale investito accessori che determinano proventi non
tipici (totale impieghi - debiti commerciali)

Capitale investito = da informazioni sul tot. del capitale usato dall’azienda a


prescindere se sia stato finanziato con capitale proprio o di terzi.

Esso è utile per capire come viene utilizzato tutto il capitale impiegato, per capire
se è stato utilizzato in maniera efficiente o no.
Visto che noi ci stiamo concentrando sull’area caratteristica e quindi sull’attività tipica
di gestione, il reddito che prendiamo deve essere relativo a quello che viene investito
appunto in quest’area; gli elementi che generano reddito extra caratteristico non
sono inclusi.
Ma per sapere se questo indice è soddisfacente oppure no, dobbiamo fare i soliti
confronti, nello spazio con le altre aziende nel settore e nel tempo con la stessa
azienda.

Possiamo anche confrontare il ROI con il tasso di interesse del capitale preso a
prestito (i) e pagato alle banche. E’ la cosiddetta “leva finanziaria” è un indicatore
che dà informazioni sulla situazione di indebitamento dell’azienda. Viene infatti
chiamata anche “indice di indebitamento”.
Essa è utile nella scelta delle fonti di finanziamento da utilizzare per realizzare un
investimento, ossia nella scelta tra capitale proprio o capitale di terzi.

La formula che esprime la leva finanziaria è la seguente:

%"$*b*g%"(*`*3%"(*h*8D*i*.@N8>8*F876798648*[*!6I8>6B@*I4;I48;j*i*3Y*h*6B8E<;>6*F8H=6B@D*

ROE = [ROI + (ROI – i) D/CN] (1- a)


dove D/CN indica l’indebitamento.

• Se cresce il ROI crescerà anche il ROE (c’è il segno +).


• Se crescono le imposte (a), il ROI diminuirà (c’è il segno -).

Analizzando la relazione tra il ROI e il costo dell’indebitamento (i), possiamo


determinare l’effetto che l’indebitamento determina sulla redditività del capitale
proprio, quindi sul ROE.

- EFFETTO LEVA NULLO*+*0@*8B*%"(*b*8M*B6*H=@B>6*>46*=6I8>6B@*I4;I48;*@*=6I8>6B@*A8*

>@498*7;7*I4;A<=@*6B=<7*@FF@>>;*H<B*%"$:*

- EFFETTO LEVA POSITIVO*+*0@*%"(*k*8*+*=4@H=@4C*BR87A@N8>6K@7>;*3I;8=Je*%"(*h*


8*H64C*I;H8>8?;M*@*E<87A8*67=J@*BR87A@N8>6K@7>;*.[!-*H64C*I;H8>8?;DL*A8*=;7H@5<@796*

=4@H=@4C*67=J@*8B*%"$:*

Nel linguaggio comune, si è soliti sostenere che se ROI > i, allora all’azienda
conviene indebitarsi, poiché crescendo l’indebitamento cresce anche la redditività
del capitale proprio (ROE). E’ chiaro che bisogna indebitarsi entro certi limiti: se ci
si indebita troppo, aumenterà il rischio di insolvenza e verrà percepito un rischio
maggiore; se l’azienda viene percepita come più rischiosa, ci sarà un duplice effetto:

1- i soggetti che avevano investito il capitale proprio pretenderanno un rendimento


maggiore, quindi anche se cresce il ROE non è detto che cresca al livello tale da
soddisfare gli azionisti;

2- potrebbe anche aumentare il tasso di interesse i, quindi la differenza ROI – i


potrebbe diventare negativa e di conseguenza provocare un impatto negativo sul
ROE.

Quando il ROI è maggiore del tasso di interesse, succede che dall’area caratteristica
si riesce a produrre un reddito che intanto va a pagare gli interessi, e il resto sarà
utile per generare reddito netto, e se questo cresce e il capitale netto è rimasto lo
stesso; quindi cresce il numeratore, il denominatore rimane lo stesso, quindi il ROE
cresce.

^*$,,$''"*1$)&*-$T&'()"*+*0@*%"(*l*8*+*I8]*=8*H8*87A@N8>6M*I8]*H8*67A4C*87=;7>4;*

6*A@BB@*I@4A8>@M*E<87A8*=;7?8@7@*48A<44@*8B*48=;4H;*6B*=6I8>6B@*A8*>@498M*I@4=Je*8B*H<;*
6<K@7>;*I4;?;=6*<7*@FF@>>;*7@56>8?;*H<B*%"$:

Il ROI si può ulteriormente scindere in altri due rapporti. Partendo dalla formula del
ROI, moltiplichiamo numeratore e denominatore per i ricavi di vendita (S).

Ro * S
ROI=
CI * S

Riscriviamo come:

RO S
ROI=
S CI

Troviamo così altri due indici di bilancio:

• ROS:*%"[0*O*%$'2%-*",*0&1$0*+*Misura la redditività delle vendite.


Esso indica cioè qual è il reddito operativo che si riesce ad ottenere da ogni euro di
fatturato.

Può dipendere dai costi e dai ricavi. Per aumentare il ROS, si ridurranno i costi di
produzione o si aumenta il prezzo di vendita, o il fatturato

• ROD:*0[!(*+*%$'2%-*",*.$W'*+*Tasso di rotazione del capitale investito


Valuta l’onerosità del capitale di terzi: cioè quante volte, grazie alle vendite, il
capitale torna in forma liquida.

Se si vuole capire perché il tasso di rotazione del capitale investito è basso bisogna
andare ad indagare se c’è un problema di prezzo o di costi. I motivi, infatti,
potrebbero essere che:
- la redditività delle vendite sia molto bassa a causa di prezzi di vendita
eccessivamente bassi;
- prezzi di vendita giusti, ma i costi sostenuti per produrre quel bene sono troppo
elevati. Allora o si riducono i costi, o si aumentano i prezzi di vendita per aumentare i
ricavi.

Esempio 1: i supermercati si accontentano di un ROS basso perché anche un


piccolo margine gli consente di ottenere redditività di ROI elevata, in quanto hanno
tante vendite e quindi il capitale investito torna in forma liquida molto velocemente.
Invece in un negozio di occhiali il margine di ricarico che viene applicato è molto
elevato perché la rotazione del capitale tornerà in forma liquida molto più lentamente
perché ci saranno meno vendite.

Esempio 2: se si ha un bar con un tavolo solo, se al tavolo si siede una persona sola
che ordina un caffè, il ROD sarà più basso (poiché il fatturato sarà uguale al prezzo
del caffè); ma se nello stesso tavolo si siedono più persone che ordinano più cose, è
chiaro che il fatturato sarà più alto e di conseguenza il ROD.

32. RICLASSIFICAZIONE STATO PATRIMONIALE

Ym:0'$#+*!6I84@*H@*BQ698@7A6*G*87*@E<8B8N48;*F876798648;*=8;G*
Se le varie scadenze di pagamenti e incassi sono equilibrate. È importante capire
quando scadono i debiti e i crediti. Nella struttura per natura questa cosa non la
riusciamo a vedere, però in realtà con la separata indicazione delle voci che
scadono entro o oltre l'esercizio un po' si viene a sanare questa carenza informativa
relativa all'aspetto finanziario, cioè la liquidità. Ai fini invece dell'analisi di bilancio,
tale struttura patrimoniale non è immediatamente utilizzabile. Ma è opportuno
utilizzare la logica di riclassifica dello stato patrimoniale, secondo una logica
finanziaria.

IMPIEGHI FONTI

Attivo immobilizzato: Patrimonio netto


-immobilizzazioni materiali; (cap. proprio)
-immobilizzazioni finanziarie;

Attivo circolante: Passività consolidate


-Magazzino; (cap. di terzi)
-Liquidità differite;
-Liquidità immediate;

Capitale investito Passività correnti


(cap. di terzi)

Capitale acquisito
(cap. di terzi)
Le attività le abbiamo chiamate IMPIEGHI(di liquidità) , le passività FONTI (da dove
è venuto fuori il denaro che ha permesso di fare questi impieghi).

-Nell'attivo immobilizzato ci sono le immobilizzazioni materiali e finanziarie, ma in


quelle finanziarie troviamo soltanto quelle che scadono oltre l'esercizio successivo.

IMPIEGHI
-Nell'attivo circolante ci sono tutte quelle componenti attive che si trasformeranno in
forma liquida entro l'esercizio successivo, o che sono già in forma liquida, come le
liquidità immediate.
-nel magazzino delle scorte minime pronte a tener conto ad eventuali emergenze.

ATTIVO IMMOBILIZZATO E ATTIVO CIRCOLANTE COSTITUISCONO IL


CAPITALE INVESTITO.

FONTI
A primo posto troviamo il patrimonio netto, cioè il Capitale proprio ed è messo a
primo posto perché se la logica è quella finanziaria, non c'è scadenza.

-Passività consolidate (passività a medio e lungo termine, cioè tutte quelle


obbligazioni e debiti che devono essere pagati oltre l'esercizio successivo) e correnti
(cioè sono quelle passività a breve termine, che dovranno essere pagati entro
l'esercizio successivo) costituiscono il Capitale di terzi.

FACCIAMO QUESTA RICLASSIFICAZIONE PER CAPIRE SE VI SONO GLI


EQUILIBRI.

IMPIEGHI FONTI

-attivo fisso -capitale proprio

-rimanenze -debito a medio o lungo termine

-liquidità differite -debiti a breve termine

-liquidità immediate
!!!!!!!!!!!!!!!!!!"""
Sono l'attivo
Circolante.

L'equilibrio finanziario, che viene dalla tempistica, non solo dall'ammontare, in cui
avvengono le entrate e le uscite.
-Liquidità differite e liquidità immediate sono maggiori dei debiti a breve termine, da
ciò possiamo dire che ''pensiamo" che i debiti dell'anno prossimo siamo in grado di
poterli pagare. Somma tra liquidità differite e liquidità immediate meno debiti a breve
termine... Questa differenza è un margine di tesoreria.
Anche se è leggermente negativo non è una tragedia, perché noi dobbiamo
guardare anche un'altra grandezza, il CAPITALE CIRCOLANTE NETTO.
Quindi calcoliamo le rimanenze più liquidità differite più liquidità immediate meno
debiti a breve termine. Si può calcolare pure facendo capitale proprio più debiti a
medio e lungo termine meno l'attivo fisso.

-Tanto attivo fisso e poco attivo circolante mi fa capire che l'azienda è rischiosa,ha
troppi investimenti fissi.

Invece di parlare di margine di tesoreria parleremo di indice di liquidità, se il


precedente era Liquidità differite più liquidità immediate meno debiti a breve
termine... Sostituiamo il meno con il diviso.

Indice di disponibilità è Rimanenze più liquidità differite più liquidità immediate


diviso i debiti a breve termine... Deve essere 1 o poco più di 1, ma è opportuno fare il
confronto con le altre aziende del settore.

Indici di autocopertura degli impieghi fissi cioè capitale proprio diviso attivo fisso.
Cioè l'attivo fisso è coperto con che cosa? Al 50% con capitale proprio e l'altro 50%
con debiti a medio o lungo termine.

33.CALCOLO DEGLI INDICI FINANZIARI


Piuttosto che utilizzare i margini, è opportuno utilizzare gli indici.
Al posto del margine di tesoreria, si può utilizzare l’indice di liquidità.
• L’indice di liquidità è dato da:

indice di liquidità = Liquidità immediate + Liquidità differite

debiti a breve termine

E’ opportuno confrontare l’indice di liquidità della singola azienda con quello del
settore o verificarne il suo andamento negli anni per stabilire se sia positivo o
negativo.
L’indice che esprime il Capitale circolante netto è l’indice di disponibilità.

• L’indice di disponibilità dato da:

indice di disponibilità = Rimanenze + Liquidità immediate + Liquidità


differite

debiti a breve termine

Anche in questo caso, è opportuno confrontare l’indice di disponibilità della singola


azienda con quello delle altre aziende.
• Vi è poi l’indice di auto-copertura dell’attivo fisso: indica la parte dell’attivo fisso
che viene finanziata con il capitale proprio.

indice di auto-copertura = Capitale proprio

attivo fisso

Fornisce un’indicazione sulla solidità patrimoniale dell’azienda, perché l’attivo fisso


(l’insieme delle immobilizzazioni) è in buona parte coperto con capitale proprio, che
non ha vincoli di restituzione. In tal caso nel passivo non ci sarà nessun debito quindi
anche nel caso di un periodo di difficoltà non ci sarà il rischio di fallimento.

Nel caso contrario, in cui il capitale proprio è bassissimo e non basta per acquistare
le immobilizzazioni, l’azienda dovrà rivolgersi a terzi, chiedendo dei prestiti (ad
esempio ad una banca) che dovrà restituire nel medio lungo termine: pertanto
nell’attivo comparirà un aumento delle immobilizzazioni, mentre nel passivo
comparirà un debito a m/l termine che dovrà essere restituito gradualmente con degli
interessi.

Se l’azienda va bene, sarà in grado di generare flussi di liquidità che consentono di


pagare periodicamente le rate del prestito; ma se l’azienda si trova in difficoltà e non
avrà i flussi necessari per estinguere il debito (verrà quindi a mancare l’equilibrio
finanziario), la banca potrebbe chiedere il rimborso totale del prestito e quindi portare
l’azienda al fallimento.

34. CONFIGURAZIONI DI CAPITALE


Il capitale è l’insieme dei beni e dei diritti a disposizione dell’azienda per lo
svolgimento dell’attività produttiva al netto delle obbligazioni.
Distinguiamo 3 diverse configurazioni di capitale:
• CAPITALE DI FUNZIONAMENTO: è il capitale netto determinato alla fine di
ciascun esercizio. Si chiama “di funzionamento” perché si tratta del capitale riferito
ad un’azienda in funzionamento. Quindi è il capitale che viene fuori dalla
rappresentazione della situazione del patrimonio alla fine dell’esercizio e sarà dato
dalla differenza tra attività e passività.

CAPITALE NETTO = Attività - Passività

Esso viene determinato insieme al reddito di esercizio, poiché utilizza gli stessi criteri
di valutazione (Reddito di esercizio = capitale alla fine dell’esercizio – capitale
all’inizio dell’esercizio) Una sottoclasse di questo capitale è il capitale di bilancio.

• CAPITALE ECONOMICO: è la rappresentazione del patrimonio complessivo


dell’azienda, quindi stabilisce il valore dell’azienda nel suo complesso e guardando
al futuro, analizzando non solo i dati di bilancio ma anche la sua capacità di produrre
reddito nel futuro. Esso è dato dal rapporto:

Capitale economico = Reddito medio prospettico futuro

tasso di attualizzazione
Il reddito medio prospettico futuro è una previsione dei redditi futuri, che dovrà poi
essere attualizzata (cioè i valori dovranno essere portati ad oggi), utilizzando il tasso
di attualizzazione (che sarebbe il rendimento atteso: comprenderà inflazione,
deflazione, ma anche il costo opportunità) per ottenere il capitale economico.

• CAPITALE DI LIQUIDAZIONE: è il capitale che viene valutato quando l’azienda si


deve liquidare, cioè quando cessa la sua attività produttiva (o per fallimento o perché
si decide volutamente di interrompere l’attività): vengono pagate le passività con le
attività e ciò che rimane, definito come valore della liquidità, viene distribuito tra i
soci. Si deve stimare anche il prezzo a cui potranno essere vendute le
immobilizzazioni, anche se alcune di quelle immateriali, come i costi di ampliamento,
non possono essere vendute, quindi avrà un valore di mercato pari a zero.
Dalla differenza tra i valori di liquidazione attribuiti alle attività e i valori di liquidazione
attribuiti alle passività (per i debiti solitamente si ha il valore nominale) si ottiene il
capitale netto di liquidazione.

Capitale netto di liquidazione = attività (con valore di liquidazione) – passività


(con valore di liquidazione)

35. L’AVVIAMENTO
Al capitale economico e al capitale di liquidazione, è collegato il concetto di
avviamento.
L’avviamento nel linguaggio economico, è quella condizione che esprime la capacità
dell’azienda di produrre un reddito superiore al minimo di convenienza economica. Il
reddito di minima convenienza economica è quel reddito che rende soddisfatti gli
investitori del capitale di rischio.
Si produce allora un valore maggiore grazie all’utilizzo di fattori specifici (come le
competenze tecniche, la fidelizzazione della clientela, il prestigio, la reputazione
dell’azienda, ecc.).

L’avviamento di per sé, non ha un valore monetario, poiché appunto frutto di una
serie di fattori immateriali, e non può essere scritto in bilancio, perché si
contraddirebbe il principio della prudenza (se abbiamo detto che dobbiamo evitare di
sopravvalutare le attività e sottovalutare le attività, considerando l’avviamento, si
incrementerebbe le attività).
Lo scriviamo nello stato patrimoniale solo quando è acquisito a titolo oneroso, cioè
quando, ad esempio, acquistiamo un’altra azienda e la incorporiamo con la propria,
oppure acquistiamo un ramo acquistiamo sia il valore contabile, sia un’altra cosa in
più che è proprio l’avviamento.

In bilancio l’avviamento lo troviamo tra le attività dello Stato Patrimoniale, nella voce
“Immobilizzazioni immateriali” (poiché è un’immobilizzazione priva di consistenza
fisica).

Si determina dalla differenza:

AVVIAMENTO = Capitale economico – Capitale di liquidazione

36. CONTROLLO DEGLI ANDAMENTI DELLA GESTIONE


Analisi dei flussi di gestione
Il bilancio di fine esercizio darà informazioni utili a livello economico, che ci servono
per la determinazione del reddito d’esercizio e del capitale di funzionamento. Ma per
comprendere qual è la situazione finanziaria dell’azienda bisogna osservare quali
sono i flussi di cassa durante e per effetto della gestione. Il documento che viene
inserito nel bilancio per osservare i flussi di cassa è il rendiconto finanziario.

[Si potrebbe osservare anche il capitale circolante netto (CCN), che considera anche
tutte le attività e le passività che si manifesteranno nel breve termine (quindi in
futuro), e quindi risulta avere un andamento molto più stabile, mentre la cassa può
assumere valori molto differenti da un giorno all’altro (per questo si parla di flussi di
cassa)].

1) Per analizzare il flusso di cassa, si può utilizzare il budget di tesoreria, cioè un


programma mensile o trimestrale, in cui si prevede quali saranno le entrate e le
uscite di cassa future effettuate nel singolo periodo. Consente di tenere sotto
controllo il totale delle entrate e il totale delle uscite di cassa e in caso di squilibri
permette di intervenire tempestivamente con delle azioni correttive.

2) Un altro modo per analizzare i cambiamenti è l’analisi dei flussi di cassa. Si


tratta di un’analisi tecnica che, partendo dallo stato patrimoniale e del conto
economico, mostra le variazioni che le singole operazioni di gestione determinano
sulla cassa (impieghi e fonti di liquidità).

La differenza tra fonti di liquidità (aumento di cassa) e gli impieghi di liquidità


(diminuzione di cassa) genera la variazione della cassa. (Cassa iniziale +/-
variazione di cassa = cassa finale).
In particolare:

Se gli investimenti
Aumento di attività crescono, ci sarà
un impiego di
IMPIEGHI DI
liquidità
LIQUIDITA Diminuzione di
passività

Diminuzione di una riduzione delle


attività immobilizzazioni o
FONTI DI riduzione dei
LIQUIDITA’ crediti
Aumento di
passività aumento dei debiti

- se i crediti aumentano ci sarà un impiego di liquidità perché si concedono dilazioni


di pagamento e quindi si finanziano i clienti;
- se invece i crediti diminuiscono vuol dire che aumentano gli incassi e quindi le fonti
di liquidità.

Il flusso di cassa può essere determinato anche attraverso l’utile di periodo,


aggiungendo i costi non monetari (costi di competenza che non hanno però
determinato nel periodo un’uscita di denaro, come i costi provenienti dall’anno
precedente) e sottraendo i ricavi non monetari.

Un esempio tipico di costi non monetari è il costo d’ammortamento.

36.1 PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO DELLA GESTIONE


Per gestire un'azienda in modo consapevole, non è sufficiente conoscere e
focalizzarsi sul fatto di aver creato ricchezza o meno. Al fine di controllare gli
andamenti di gestione, il manager dell’azienda è interessato soprattutto a guardare
al futuro. A questo ci viene incontro un nuovo sistema operativo, definito
“Programmazione e controllo della gestione”: si tratta di un meccanismo
operativo che consente ai manager di verificare se la gestione è efficace ed
efficiente in coerenza con gli obiettivi prefissati.

Esso si svolge con un meccanismo di feedback:

1) Innanzitutto si effettua la pianificazione strategica, in cui vengono definiti gli


obiettivi di lungo termine che l’azienda si prefissa di raggiungere. E’ solitamente
rappresentata in un documento chiamato “business plan”.

2) Vengono poi implementate delle azioni per raggiungere questi obiettivi, che
determineranno dei risultati.

3) Infine si effettuerà un confronto tra i risultati ottenuti e gli obiettivi prefissati,


per verificare se sono coerenti a questi ultimi.

4) Dal confronto tra i risultati e gli obiettivi si effettua un feedback, ovvero un flusso
di informazioni di ritorno, che serve, nel caso in cui non vengano raggiunti gli
obiettivi, per andare ad individuare l’errore, in modo da attuare delle azioni correttive.
Queste andranno a verificare i comportamenti e gli obiettivi:

- se l’obiettivo era corretto, vuol dire che l’errore riguarderà i comportamenti;


- se invece ci si rende conto che i comportamenti erano adeguati e non poteva
essere fatto più di quello che è stato fatto, allora probabilmente l’obiettivo era troppo
ambizioso e occorrerà riprogrammarlo.

36.2 STRUMENTI DI GESTIONE IN RIFERIMENTO AGLI OBIETTIVI


-Il budget è un documento in cui vengono inseriti e dettagliati gli obiettivi aziendali
che vengono assegnati ai responsabili di singole unità organizzative Si articola in
diversi budget settoriali, che riguardano specifici settori (il budget della vendita, il
budget della produzione, il budget degli acquisti, il budget del magazzino),. Questi
vengono sintetizzati nel budget globale, che è una previsione di quella che sarà la
situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell’anno successivo.

-Vi sono poi i centri di responsabilità, cioè delle unità organizzative aziendali, in cui
si svolgono attività omogenee, dove viene individuato un responsabile a cui si
assegnano degli obiettivi. Si distinguono in:

- centri di costo, vanno a considerare le attività che incidono prevalentemente sui


costi: l’obiettivo è minimizzare i costi (es. reparto di produzione);
- centri di ricavo, vanno a considerare le attività che determinano i ricavi: la missione
è massimizzare un ricavo (es. reparto commerciale)
- centri di profitto, una sorta di sub-struttura organizzativa che considera le attività
che incidono contemporaneamente sia sui costi che sui ricavi: l’obiettivo è
massimizzare la differenza tra ricavo e costo.
36.3 STRUMENTI DI GESTIONE IN RIFERIMENTO AI RISULTATI
Con riferimento ai risultati è di fondamentale importanza oltre alla contabilità
generale, anche l’utilizzo della contabilità analitica.
Mentre la contabilità generale fornisce informazioni sintetiche sull’intera azienda,
sulla sua situazione economica e patrimoniale nel suo complesso, la contabilità
analitica è più precisa, poiché entra molto nel dettaglio, soffermandosi sull’analisi
dei ricavi e dei costi di singoli prodotti, di singoli processi, di singoli periodi temporali
e di singole aree geografiche e così via, e oltre a guardare i risultati passati
considera anche quelli futuri.
Si tratta di una contabilità più soggettiva che prescinde dalla partita doppia, è in
forma libera e non è obbligatoria, anche se necessaria per la gestione aziendale e
per prendere decisioni all’interno dell’azienda. Essa non viene mai pubblicata
all’esterno, ma è usata esclusivamente dai soggetti interni (nello specifico coloro che
prendono le decisioni nell’azienda).

36.4 COSTI DIRETTI ED INDIRETTI (in contabilità analitica)


-Costi diretti sono direttamente riferibili ad un determinato prodotto e in maniera
parametrica.
-Costi indiretti sono quelli che vengono attribuiti al prodotto in maniera soggettiva.
Es. non so quanta energia elettrica ho consumato per fare un altro processo
produttivo.

36.5 COSTI FISSI E VARIABILI


-Costi fissi sono quei costi che non variano al variare della produzione.
-Costi variabili variano al variare delle quantità prodotte.

C COSTO
CV TOTALE=CF+CV
C

costi di
produzi

Q
pezzi prodotti
*La pendenza sarà data dal CV
unitario, maggiore è il CVU, la
pendenza è maggiore.
R CT=CF+CV

CT * il prezzo di
R, vendita è la
sono pendenza
le della retta dei
ricavi ed è
break maggiore del
even
sono gli utili
CV

Q Q
Tale rappresentazione grafica è utile per
calcolare il ‘’punto di pareggio’’ , cioè il
break even point. Mi permette di capire
qual è la quantità da produrre e vendere

-Il margine di contribuzione è una grandezza molto importante ed è uguale al


prezzo di vendita- CVU.
Esso mi contribuisce alla copertura dei costi fissi ed eventualmente anche alla
generazione di un utile.
-il margine di contribuzione complessivo, si calcola ricavi- CVU.

‘’Immaginiamo che la quota di pareggio sia 1000 pezzi’’


Noi possiamo chiederci se riusciamo a realizzare una vendita di 1000 pezzi oppure
pensiamo di essere in una situazione di difficoltà dove non riesco a produrre e
vendere più di 800 pezzi.
Dunque dobbiamo calcolare una situazione in cui il punto di pareggio si sposta a
sinistra, per farlo dobbiamo mettere in conto di incrementare il prezzo di vendita,
così da incrementare la retta dei ricavi che avrà una pendenza più a sinistra, oppure
far diminuire la pendenza dei CT, la quale è data dal CVU e allora dobbiamo
abbassare i costi totali, se si può fare, la retta si inclinerà verso il basso.
Restando sempre sulla retta dei CT si può optare per un altro modo e vedere se è
possibile traslare la retta tutta verso il basso riducendo i costi fissi nonchè l’ordinata
all’origine.
-Il punto di pareggio lo possiamo determinare analiticamente con dei piccoli calcoli.

1) Il punto di pareggio è una condizione in cui si ha l’utile zero,cioè

R=CT

2) Ricordiamo che i CT sono formati da due componenti CF+CV,dunque

R=CF+CV

3) Siccome a noi interessano le quantità da produrre e vendere, trasformiamo i


ricavi in prezzo di vendita per quantità prodotta e venduta, allora

p*Q=CF+CVU*Q
4) Siccome a noi interessa quella quantità di pareggio nonché la Q,faremo

p*Q-CVU*Q=CF

5) Mettiamo in evidenza la Q, quindi

Q*(p-CVU)=CF
6) Siccome (p-cvu) è uguale al margine di contribuzione, diremo che

Q=CF/(p-CVU)
*In una situazione in cui il prezzo di vendita è minore del costo variabile unitario è
patologica. Graficamente le due rette non si incrociano.
CT

R,C R

Q
NOTEREMO CHE…
-Più si produce, più si avranno perdite perchè se non produco nulla avrò una perdita
che corrisponde con il costo fisso, man mano che produco ci sarà un ulteriore
margine negativo che è quello del margine di contribuzione.

37. STRATEGIA AZIENDALE


Il termine ‘’strategia’’ non nasce nell’ambito dell'economia aziendale, ma in ambito
militare. Esso determina l’insieme delle regole, delle procedure e delle azioni che i
militari si danno per vincere una guerra, ciò avviene anche per le aziende. La
strategia aziendale si presenta come un vantaggio competitivo nei confronti delle
altre aziende competitive.
La pianificazione strategia va a definire gli obiettivi aziendali.

37.1 CORPORATE STRATEGY


Per corporate si fa riferimento alle aziende ‘’corporation’’, cioè quelle aziende che
operano in più business unit. Per ‘’business unit’’ si intende delle combinazioni di
prodotto mercato tecnologia, dove per differenziare l’uno dall’altro si guarda il
prodotto, il mercato e la tecnologia. Le corporation si trovano ad affrontare un
problema che possono risolvere con la ‘’corporate strategy’’.
Il problema è che essendo presenti in vari business, devono scegliere in quale
rimanere e in quale no. Allora le Corporate strategy sono tutte quelle valutazioni che
servono alle aziende per decidere come investire o disinvestire dalle diverse
business unit che fanno parte del proprio portafoglio di business.
STRUMENTO CHE VIENE UTILIZZATO PER DEFINIRE IL PORTAFOGLIO DI
BUSINESS
-strumento della matrice della Boston consulting group.

Alta
crescita
con quota situ
di mercato azi
one
in
ALTA QUE STA cui
STI RS il

CRESCITA

CAS
BAS H Que
DO sti
SA G sono
è una (ques busi
combina ti ness
zione in che
cui prod
ucon
o
ALT fluss
QUOTA DI
MERCATO
-La quota di mercato del business dell’azienda dirà quanto è grande la fetta di
questo mercato, dunque se è grande o piccola.

-Con i cash cow genero cassa da investire nei question marks e farli diventare
stars.

38. LA STRATEGIA COMPETITIVA


Essa entra nei problemi che si pone chi gestisce lo specifico business.
Il vantaggio competitivo viene in primis di raggiungerlo nei confronti delle altre
aziende che svolgono lo stesso business.
I percorsi che possono essere seguiti dalle aziende all’interno dei loro business per
far sì che essi possano competere con gli altri business.
I due percorsi ‘’alternativi’’ cost leadership o differenziazione:
-Cost leadership dice che per competere con i concorrenti cerco di acquisire più
clienti grazie al fatto che riesco ad offrire prezzi più bassi. Per farlo devo essere
leader di costo e quindi a produrre con efficienza a prezzi più bassi;

-Differenziazione dice di concentrarsi sulla differenziazione, cioè di creare un


prodotto che sia differente o appaia ai clienti differente rispetto a quelli delle altre
aziende.

-strategia della focalizzazione la quale è a cavallo i due percorsi precedenti e si


dedica a quei business di nicchia. Cioè per ottenere un vantaggio non vedo cosa
fanno gli altri concorrenti ma cerco una nicchia specifica dove sono l’unico che offre
un certo business.

*L’arena competitiva non è popolata solo da concorrenti attuali, ma ci sono altri


soggetti che possono essere parte di questa arena competitiva. Lui dice dunque che
ci sono 5 forze competitive che operano all’interno di questa arena.
-La prima sono i concorrenti, poi ci sono i fornitori i clienti, prodotti sostitutivi e i
potenziali nuovi entranti.

-I prodotti sostitutivi, in qualche modo creano problemi al business…


-potenziali nuovi entranti, si deve riflettere su ‘’quali sono le barriere all’entrata di
questo settore?’’.
‘’Qual è la minaccia che può fare un fornitore nei confronti dell’azienda e che
può creare problemi di tipo competitivo?’’
-Il fornitore potrebbe decidere di fare un'integrazione verticale a valle, cioè
internalizza quella fase della catena del valore molto ampia che va al di là di ciò che
fa lui. Es. il produttore di pasta che svolge anche l’attività di ristorazione, cioè un
salto successivo di fase.

-Un'altra minaccia potrebbe derivare dal potere contrattuale, perché se questo è il


nostro unico fornitore può imporre dei limiti. Ma l’azienda deve evitare questa
situazione in cui ha un unico fornitore, dunque guardare il loro potere contrattuale e
provare a limitarlo, quali sono le opportunità che questo cliente e fornitore possa
avere di entrare nella nostra fase quindi di fare ‘’un’integrazione verticale a valle’’ e
per il cliente fare ‘’un’integrazione verticale a monte’’ cioè salire indietro.

39. ORGANIZZAZIONE AZIENDALE LA DIVISIONE DEL LAVORO


Le aziende non sono semplici ingranaggi che lavorano da sole, ma tutte sono
caratterizzate dalla presenza di persone che lavorano al suo interno. Nel caso di
ditta individuale, potrebbe esserci un solo dipendente che svolge tutte le attività
aziendali.
Ma quando le aziende cominciano a crescere e le persone cominciano a diventare
tante, si pone il problema di come organizzare il loro lavoro e le attività che
dovranno svolgere. Una delle modalità che normalmente vengono utilizzate per fare
ciò, è quella della specializzazione del lavoro, cioè specializzare le persone che
lavorano all’interno dell’azienda in una certa tipologia di attività.

- In particolare, tra le più diffuse, vi è la specializzazione di tipo funzionale, che


consiste nell’assegnare alle persone delle responsabilità relative a determinate
funzioni. Le funzioni sono un insieme di operazioni più o meno omogenee che
richiedono competenze, risorse, fattori produttivi, tecnologie, molto simili.

All’interno dell’azienda ci saranno ad esempio:


• addetti che si occuperanno della funzione di produzione, che avranno competenze
più tecniche;
• soggetti che si occuperanno della funzione commerciale;
• soggetti che si occuperanno delle funzioni amministrative e così via…

La specializzazione funzionale potrebbe essere fatta anche con riferimento al


territorio o al mercato in cui si opera. E’ il tipo di organizzazione più utilizzata perché
permette all’azienda di affidare specifiche mansioni a singoli soggetti, per i quali il
vantaggio principale è quello di lavorare nel settore in cui hanno delle competenze, e
di migliorare le proprie capacità operative.

- Si può organizzare il lavoro anche in base al ruolo attribuito a tali soggetti,


immaginando una piramide gerarchica, al cui vertice ci saranno dei soggetti con
maggiore potere decisionale e maggiori responsabilità, e al di sotto dei collaboratori
che seguono le direttive, che a loro volta dirigeranno altri funzionari e così via.

Il ruolo, indica quindi, la posizione che un soggetto ha nella struttura gerarchica,


indica quali sono le sue responsabilità e il livello decisionale che possiede.

Quindi mentre la divisione per funzioni in base al tipo di attività svolta è una divisione
orizzontale, quando si presuppone che all’interno dell’azienda vi sia una gerarchia,
che assegna responsabilità diverse in base al ruolo che i soggetti assumono, la
osserviamo da un punto di vista verticale.

%<;B;*+*B8?@BB;*5@464=J8=;*87*=<8*H8*;I@46*+*A8?8H8;7@*A@B*B6?;4;*?@4>8=6B@*

Funzioni +*>8I;*A8*6>>8?8>C*H?;B>6*+*A8?8H8;7@*;4899;7>6B@*
Come sappiamo, le attività svolte nell’azienda sono coordinate tra di loro e possono
essere svolte contemporaneamente. Per riuscire a stabilire un’adeguata struttura
organizzativa dell’azienda, devono essere individuati i collegamenti che esistono tra
le attività svolte, che riguardano le INTERDIPENDENZE e la COORDINAZIONE
ECONOMICA.

39.1 ANALISI DELLE INTERDIPENDENZE


Possiamo distinguere le interdipendenze in 3 categorie:

• Interdipendenze reciproche, quando il legame di interdipendenza tra le attività è


molto forte, per cui non è facile stabilire la sequenza in cui devono essere svolte:
non esistono attività primarie e secondarie ma sono tutte ugualmente importanti.
Quindi non è facile individuare una sequenza temporale delle attività perché
vengono svolte contemporaneamente (Esempio: sala operatoria).

• Interdipendenze sequenziali, fanno riferimento a quelle attività con un livello di


interdipendenza più basso, che si svolgono sequenzialmente, pertanto non si può
svolgere un’attività se prima non si è svolta quella precedente. E’ possibile
programmare queste attività più facilmente rispetto al caso precedente.

• Interdipendenze generiche o economiche, fanno riferimento a quelle attività che


hanno un legame meno stretto, ma che comunque dopo essere state svolte hanno
un impatto su tutte le altre. Quindi dipendono da un risultato ottenuto in una certa
sezione della divisione aziendale che avrà un impatto anche su un’altra divisione. Le
attività possono avere livelli di complessità diversi, che variano in base alla varietà e
alla variabilità delle attività.

39.2 I MECCANISMI DI COORDINAMENTO E DI INTEGRAZIONE


Sorge spontaneo chiedersi quali sono i singoli percorsi che chi gestisce un’azienda
segue per poter coordinare tutti questi elementi. Distinguiamo diversi tipi di
coordinamento delle attività, definiti come meccanismi di coordinamento che
possono essere:

• Coordinamento reciproco, si attua quando le attività sono legate da


interdipendenza reciproca, e quindi dipendono dalle competenze specifiche che
ognuno possiede. In questo caso la coordinazione non è semplice: le persone che
svolgono quella determinata attività, si coordinano tra di loro perché il livello di
competenza richiesto è già molto alto per cui è difficile trovare un soggetto che abbia
un livello di competenze ancora più alto.

• Supervisione diretta, secondo cui le attività vengono coordinate da un soggetto


che riesce a collocarsi in una posizione di superiorità rispetto agli altri colleghi, e che
quindi supervisiona le attività di ogni persona. Tale soggetto deve avere delle
competenze tali per cui, non solo riesca a coordinare gli aspetti intangibili
(motivazione del personale), ma deve avere anche delle competenze tecniche più
alte rispetto agli altri.

• Standardizzazione, riguarda attività con un livello di complessità inferiore (a causa


di una minore variabilità) che si svolgono sempre nello stesso modo e che quindi
vengono standardizzate: si stabilisce con sufficiente anticipo come dovranno essere
svolte. I processi che devono essere svolti verranno studiati da un soggetto
competente che pensa alle varie fasi e ai tempi necessari.

(Esempio di standardizzazione più eclatante si aveva nel vecchio modello di


produzione di massa).

40. STRUTTURE ORGANIZZATIVE


Soprattutto quando si parla di aziende di grandi dimensioni, è necessario progettare
una struttura organizzativa dei soggetti che svolgono le attività aziendali, utilizzando i
cosiddetti “organigrammi”.

Gli organigrammi sono delle rappresentazione grafiche delle strutture


organizzative, che si servono dell’utilizzo di caselle e linee di collegamento.

- Le caselle indicano le posizioni organizzative;


- le linee invece indicano i legami gerarchici tra le varie posizioni organizzative, ma
anche i legami di comunicazione.

L’organigramma segue una dimensione orizzontale quando il lavoro è organizzato


per funzioni, mentre segue una dimensione verticale quando è organizzato per
gerarchia (ruoli). Incrociando ruoli e funzioni, vengono fuori diverse strutture
organizzative: funzionale, divisionale e a matrice.

1- STRUTTURA FUNZIONALE La struttura funzionale è la struttura più semplice: in


cui le persone vengono raggruppate in base all’appartenenza alla stessa area
funzionale, in cui si svolgono attività della stessa natura. Vengono quindi assegnate
alle varie unità organizzative, chiamate organi, sulla base delle rispettive
competenze tecniche e responsabilità.
Ogni organo si occupa di una specifica funzione, e al suo interno ciascun soggetto
ricopre una posizione diversa, in base alla sua specializzazione. Generalmente,
l’organo con maggiori poteri e responsabilità è la direzione, in cui il direttore generale
ha il compito di assegnare le direttive a tutti gli altri organi sottostanti, che possono
riguardare: la produzione, la vendita, l’amministrazione e controllo, e così via.

Vi saranno il direttore della produzione, quello delle vendite, quello


dell’amministrazione, che staranno alle direttive del direttore generale. Ciascun
direttore gode di propria autonomia e non può dare ordini al direttore di un altro
organo. Al di sotto dei vari direttori, ci saranno dei sub-responsabili che a loro volta
avranno al di sotto singole posizioni lavorative:
- ad esempio nella produzione potremmo trovare i responsabili della produzione di
diversi prodotti oppure responsabili della logistica, degli stabilimenti ecc..

- nelle vendite ci saranno invece i responsabili delle promozioni, della distribuzione..


- nell’amministrazione i responsabili della contabilità, del controllo, della
pubblicazione dei bilanci.

Vi possono anche essere degli organi di supporto, che non coordinano direttamente
nessuno: ad esempio l’attività di controllo di gestione normalmente è affidata ad uno
staff, in quanto genera informazioni utili alla direzione generale, ma non dice cosa
fare agli organi sottostanti.

La struttura funzionale è la forma organizzativa tipica della produzione industriale,


che si fonda sulla standardizzazione delle attività lavorative.

Vantaggi:
- il principale vantaggio di questo tipo di struttura è l’efficienza, in quanto si può
ottenere un’elevata specializzazione nei ruoli e una maggiore efficienza operativa in
ciascuna funzione. - Inoltre essa favorisce il raggiungimento di economie di scala: la
struttura funzionale è adatta nel caso della produzione di uno o pochi prodotti, e
quindi si addice ad un’impresa che ha scelto di focalizzarsi su un solo prodotto di
qualità. (Se si producono molti prodotti, la struttura diventa molto estesa e si genera
un accumulo di decisioni e di responsabilità per il direttore di funzione, che deve
tenere sotto controllo più prodotti e più mercati di sbocco).

Svantaggi:
- il principale punto di debolezza è la lentezza con cui si risponde ai cambiamenti
ambientali, che richiedono un coordinamento tra i diversi organi. E’ infatti adatta alle
aziende che operano in ambienti stabili. - Inoltre ogni funzione opera come se fosse
una cosa a sé, spesso con il rischio di scarso coordinamento rispetto alle altre e con
difficoltà nel perseguire obiettivi comuni.

2- STRUTTURA DIVISIONALE
La struttura divisionale è invece adatta per le aziende più grandi (multi-prodotto o
conglomerate): le unità organizzative sono organizzate per divisioni, in base al
prodotto, al mercato o al settore. Da un punto di vista grafico, la rappresentazione è
simile a quella della struttura funzionale, ma le caselle non indicano le funzioni ma le
divisioni (prodotti, servizi, gruppi di prodotti, ecc).

Nel caso di imprese multi-prodotto, ogni divisione si occuperà di un singolo prodotto


e avrà una struttura a sé che progetta, realizza e commercializza la propria linea di
prodotto: avrà quindi un direttore, ma anche un organo operativo.

(Esempio: la Yamaha, produce sia motociclette che strumenti musicali.)


E’ una struttura organizzativa che si basa sulla specializzazione del prodotto:
l’azienda principale si può diversificare in diversi business e si verrebbero a creare
delle “sub-aziende” (divisioni).

Nel caso in cui la struttura sia organizzata in base al mercato in cui opera l’azienda,
potrebbero esservi, ad esempio, una divisione per mercato europeo, una per quello
asiatico, una per quello americano, e così via.

Vantaggi: migliore coordinamento delle attività della divisione e migliore


misurazione delle performance di ciascuna divisione rispetto alle altre.

Svantaggi: rischio di eccessiva focalizzazione da parte del manager sulla propria


divisione.

3- STRUTTURA A MATRICE O MISTA


La struttura a matrice è un mix delle due precedenti (funzionale e divisionale) e
cerca di sfruttare i punti di forza e di evitare le debolezze. In pratica la struttura a
matrice si sviluppa su entrambe le dimensioni: una tipicamente funzionale e una
divisionale (per prodotto o per mercato).
Il direttore generale coordina direttamente e contemporaneamente sia le funzioni
che le divisioni: in sostanza, chi lavora all'interno di una struttura a matrice ha due
capi a cui fare riferimento . Da un lato il manager funzionale che scorre
verticalmente, e dall'altro il responsabile del progetto, che scorre orizzontalmente.

Un esempio tipico di organizzazione a matrice è quella che prevedere più “project


manager” (o “product manager”, o “market manager” etc.) che sono responsabili di
una specifica porzione di business in senso orizzontale, e che attingono tempo e
risorse dalle varie funzioni.

Vantaggi: il principale vantaggio è quello di coniugare al meglio la specializzazione


e il coordinamento. Vi è infatti maggiore velocità nella comunicazione e nelle
decisioni.

Svantaggi: lo svantaggio in un certo senso è che la struttura direzionale è più


articolata in quanto si sviluppa in due dimensioni, ed è quindi, necessario mantenere
un forte equilibrio tra gli interessi dei vari soggetti.

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