Sei sulla pagina 1di 82

Appunti di “Economia aziendale”

Anno accademico: 2020-2021


Docente: Davide Rizzotti
Libro di testo: Economia aziendale di Lucio Potito, Terza Edizione

STRUTTURA DEL CORSO


1. "Azienda" – L’evoluzione del
2. Caratteri distintivi dell’azienda
3. Risorse a fecondità semplice/ripetuta
4. "Stakeholders"
5. Capitale di Rischio/di credito
6. Soggetto giuridico/soggetto economico
7. Aziende concentrate/ad azionariato diffuso
8. Gruppo (aggregazione aziendale)
9. Fatti interni o esterni di gestione
10. Il reddito
11. Definizione di ricavo e costo
12. Circuito della produzione
13. Definizione di ammortamento e piano d'ammortamento
14. Stima/congettura
15. Circuito dei finanziamenti
(con riferimento al capitale di finanziamento e capitale di rischio)
16. Reddito globale e 3 metodi per determinarlo
17. Periodo amministrativo ed esercizio
18. Reddito di esercizio (metodo reddituale)
19. Principio della competenza economica
20. Logica dei cicli conclusi
21. Rimanenze attive/passive
22. Equazione equilibrio di breve termine
23. Rettifiche di storno e di imputazione (e relativi esempi)
24. Definizione di ratei e risconti
25. Definizione contabilità generale
26. Definizione "conto"
27. Conti del mastro.
28. Conti di natura economica/conti di natura finanziaria
29. Conti di reddito e conti di capitale
30. Bilancio
31. Stato patrimoniale
32. Che conti racchiude lo stato patrimoniale? (conti finanziari, economici di capitale,
economici di reddito accesi a costi e ricavi sospesi)
33. Relazione fra conto economico e stato patrimoniale
34. Analisi di bilancio
35. Equazione di equilibrio di lungo termine (costo economico tecnico, oneri figurativi,
minimo di convenienza economica C=R)
36. Riclassifica conto economico (a valore aggiunto o a ricavi e costo del venduto)
37. Definizione valore aggiunto
38. Reddito operativo
39. Ke, cost of equity
40. ROE, ROI e leva finanziaria
41. Riclassifica stato patrimoniale (seguendo la logica finanziaria)
42. Margine di tesoreria e capitale circolante netto
43. Indice di liquidità, di disponibilitá e di autocopertura dell'attivo fisso
44. Capitale di funzionamento/ economico/di liquidazione
45. Avviamento
46. Budget di tesoreria
47. Flussi di cassa
48. Autofinanziamento
49. Flusso di cassa dell'ammortamento
50. Programmazione e controllo di gestione (meccanismo di feedback, budget e centri di
responsabilità)
51. Contabilità analitica
52. Costi diretti/indiretti
53. Costi fissi/variabili
54. Analisi del punto di pareggio (come spostare verso sinistra il punto di pareggio Q*)
56. Punto di pareggio formula (calcolo analitico, Q* =CF/(p-cvu)
55. Margine di contribuzione
56. Definizione corporate strategy (business units)
57. Strategia competitiva (Porter: cost leadership, differenziazione, focalizzazione)
58. 5 forze competitive (con riferimento un'integrazione verticale a monte e a valle)
59. Organizzazione aziendale (definizione "funzioni" e "ruoli", in cosa consiste la
specializzazione di tipo funzionale)
60. Interdipendenze (reciproche, sequenziali e generiche o economiche)
61. Meccanismi di coordinamento (coordinamento reciproco, supervisione diretta,
standardizzazione)
62. Struttura organizzativa e relativo organigramma (struttura funzionale, divisionale, a
matrice
CAP 1. - AZIENDA ED ECONOMIA AZIENDALE
Attività economiche
Nel corso della sua esistenza l’uomo presenta costantemente bisogni o desideri, i quali cerca di
soddisfare attivandosi, alla ricerca delle risorse e dei mezzi atti ad appagarli (beni).
Il consumo dei beni, naturalmente avviene se qualcuno li produce.
I bisogni possono essere classificati così:
• TIPO DI BISOGNI - PRIMARI: legati alla sopravvivenza (nutrimento, riposo, riscaldamento);
- SECONDARI: non sono legati alla sopravvivenza e possono variare nel tempo
o subire condizionamenti esterni (divertimento, cultura, ecc);
• MOTIVO CHE LI - INDIVIDUALI: se sono sentiti dall’individuo in quanto tale, come il bisogno di
GENERA mangiare, di leggere un libro
- COLLETTIVI: Se sono sentiti dall’individuo in quanto membro di una comunità,
come il bisogno di istruzione, di difesa e di giustizia.
(Bisogni pubblici: quando vengono soddisfatti dallo Stato).
• MOMENTO IN CUI - PRESENTI: quando vengono avvertiti e soddisfatti nel momento attuale,
SI MANIFESTANO come il bisogno di mangiare nel momento in cui si ha fame;

- FUTURI: quando saranno soddisfatti in un momento successivo (il bisogno di


acquistare un cappotto per l’inverno).

Per “bene” intendiamo dunque ogni mezzo idoneo a soddisfare un bisogno.

I beni possono essere così classificati:


• DISPONIBILITA: - ECONOMICI O SCARSI: sono disponibili in quantità limitata, occorre sostenere
un sacrificio per acquisirli; devono essere facilmente raggiungibili;
- NON ECONOMICI o LIBERI: sono invece disponibili in quantità illimitata e non
è necessario sostenere alcun costo per acquisirli. Possiamo dire, tuttavia, che
al giorno d’oggi non esistono quasi più beni liberi.
• CONSIST. FISICA: - MATERIALI: sono dotati di consistenza fisica (macchinari, immobili, materie
prime);
- IMMATERIALI: non hanno consistenza fisica (conoscenze, informazioni,
competenze, brevetti, know-how).
• IMPIEGO: - DUREVOLI: possono essere utilizzati più di una volta;
- NON DUREVOLI: possono essere utilizzati una volta sola.
• IL TEMPO DI - PRESENTE : sono quei beni già presenti in natura;
IMPIEGO - FUTURO : sono quei beni che non sono ancora venuti ad esistenza.
• COME SODD. IL - DIRETTI (o di consumo): sono destinati al soddisfacimento diretto dei bisogni;
BISOGNO - COMPLEMENTARI (o di produzione): da soli non possono soddisfare il
bisogno (es. caffè e zucchero, caffè e tazzina, ecc.).
• NATURA GIURID.
- PUBBLICI: Beni che si trovano in natura, ma che non sono liberi;
DEI SOGG. CHE LI
PRODUCONO - PRIVATI: Beni prodotti dalle aziende.
Nel momento in cui sorge un
bisogno, dunque, ci si attiva per il
suo soddisfacimento, che avviene
tramite il consumo di un bene.

PROCESSO PRODUTTIVO
Si articola in 3 fasi principali:
1) Approvvigionamento dei fattori
della produzione;
2) Trasformazione/produzione;
3) Scambio del risultato (output)
della combinazione produttiva.

L’attività umana, diretta alla soddisfazione di tali bisogni o desideri, attraverso la ricerca di beni
economici, viene definita economica ed è sempre fatta di scelte, le quali cercano di cogliere il
miglior rapporto possibile tra mezzi e bisogni. Ciascun individuo ha così una scala dei bisogni.
Essendo scelte umane, però, vengono influenzate inevitabilmente da fattori extraeconomici, di
natura culturale, etica, religiosa, sociale, ideologica.
I momenti tipici dell’attività economica sono la produzione, il trasferimento e il consumo dei beni.

PRODUZIONE E CONSUMO sono strettamente correlati.


- Produzione: attività rivolta ad ottenere la disponibilità dei beni.
- Trasferimento: attività i cui beni o servizi prodotti vengono introdotti nel mercato di sbocco.
- Consumo: attività d’impiego di stessi beni per il soddisfacimento dei bisogni.

L’attività economica è quindi il complesso di decisioni e azioni che riguardano l’acquisto e l’impiego
dei beni necessari al soddisfacimento dei bisogni.
Unità economiche e aziende
Nell’attuale sistema economico diversi sono i soggetti che svolgono attività economica, ovvero le
unità economiche, che possono essere singoli individui o gruppi di persone o entità diversamente
organizzate. Tutte tendono a minimizzare l’uso delle risorse per massimizzare quindi i risultati
impiegando al meglio tali risorse.

PRODUZIONE E CONSUMO vengono svolti dai GRUPPI dei quali l’uomo fa parte.

I gruppi possono essere di vario tipo, ad esempio:


- famiglia (il gruppo più antico): si adopera per soddisfare i bisogni dei membri; ovviamente, essa si
può considerare “azienda” se dispone di alcuni caratteri;
- imprese: gruppo di persone con un’idea comune (idea imprenditoriale), che mette in pratica per
soddisfare le esigenze degli investitori e per incontrare i bisogni di mercato, ottenendone un lucro;
- enti pubblici territoriali (Stato, regioni, Comuni, ecc): per i bisogni di natura sociale/collettiva e
non individuale (gli ospedali, le scuole, le strade, ecc.)
- altri enti pubblici e privati.

Secondo la loro durata i gruppi si dividono in OCCASIONALI e DURATURI:


• OCCASIONALI: ovvero quei gruppi che nascono per soddisfare un bisogno di breve durata, che si
estingue nel momento stesso in cui viene soddisfatto; si congiungono dunque per una determinata
occasione (es. per andare allo stadio o ad una rappresentazione teatrale).

• DURATURI: quei gruppi che hanno uno scopo ben preciso da seguire e realizzare (bene comune).
CARATTERISTCHE:
1. Sono ordinati secondo proprie leggi che la società riconosce ed accetta.
2. Sono autonomi sia dalle persone che li compongono sia dal contesto sociale di cui fanno parte.
Manifestano la loro autonomia decidendo e utilizzando le risorse di cui dispongono.
3. rappresentano un tutto unitario (omogeneo), formato da individui con lo stesso obiettivo
comune
4. sono dinamici, cioè reagiscono agli impulsi interni ed esterni.

Quando un gruppo duraturo presenta tutti e 4 i caratteri, viene definito ISTITUTO.

L’ISTITUTO è quindi un gruppo di individui o soggetti che si occupano di soddisfare un particolare


bisogno, dotato di regole e comportamenti stabili e condivisi.

Gli istituti si distinguono a seconda se

non svolgono attività economica svolgono attività economica

IN MODO IN MODO
OCCASIONALE CONTINUATIVO

N. B. Un istituto si può trasformare da NON ESCLUSIVA ad NON ESCLUSIVA ESCLUSIVA


ESCLUSIVA tramite un processo di aziendalizzazione - famiglia - AZIENDA
- istituti pubblici
territoriali
IL CONCETTO DI AZIENDA
L'azienda è quel particolare istituto che svolge attività economica in maniera continuativa ed
esclusiva.

La nozione di azienda dal punto di vista giuridico è fornita dal codice civile, che all’articolo 2555
definisce l’azienda come “il complesso dei beni organizzati per l’esercizio d’impresa”. Questa
definizione tiene conto solo delle aziende di produzione o imprese il cui fine principale è quello del
lucro, ma non tiene pertanto conto delle aziende di erogazione o di consumo.

Dal punto di vista economico, possiamo osservare come il concetto di azienda si sia evoluto nel
tempo.

o FABIO BESTA
Una prima nozione viene fornita da Fabio Besta verso la fina dell’800, che definiva l’azienda come
“la somma di fenomeni, negozi o rapporti giuridici da amministrare, relativi ad un cumulo di capitale
che formi un tutto a sé”. Si trattava quindi di una visione non complessiva, composta da elementi
slegati tra loro. Questa visione un po’ “arcaica” dell’azienda poteva fare riferimento a quelle attività
economiche del ‘700 di un mercante, ma non era adeguata a definire l’azienda nata dopo la
rivoluzione industriale.

o GINO ZAPPA 1927 - 1957:


in questo senso, un primo passo viene fatto da Gino Zappa che definisce l’azienda come “una
coordinazione economica istituita e retta per il soddisfacimento dei bisogni umani”. Si comincia
dunque a parlare con il termine “coordinazione” dell’interdipendenza tra gli elementi che
costituiscono l’azienda.
Lo stesso Zappa in un secondo momento definisce l’azienda come un “sistema di forze economiche
in continua coordinazione che ordina e svolge un processo di produzione per il soddisfacimento dei
bisogni umani”.
o ALDO AMADUZZI: fu un allievo di Zappa, Aldo Amaduzzi, a concentrarsi sul concetto di “sistema”.
Egli definì l’azienda come “un sistema di forze economiche che sviluppa, nell’ambiente di cui è parte
integrante, un processo di produzione e di consumo”. Amaduzzi allora introduce il termine
“ambiente”, poiché l’azienda opera nel sistema ambiente con cui interagisce continuamente.
In definitiva, possiamo definire l’azienda come un sistema aperto e finalizzato: sistema poiché è un
insieme di parti e di relazioni interdipendenti tra loro; aperto perché opera nel sistema ambiente
con cui interagisce continuamente; finalizzato poiché l’insieme coordinato delle azioni è rivolto al
perseguimento di un obiettivo comune.

Le classificazioni delle aziende


Le aziende possono essere classificate secondo vari criteri:
- oggetto o destinazione dell’attività produttiva
- soggetto giuridico
- scopo
- altri tipi di classificazioni.
1) OGGETTO O DESTINAZIONE DELL’ATTIVITA’ PRODUTTIVA
AZIENDE DI PRODUZIONE (PROFIT) AZIENDE DI EROGAZIONE (O DI
- Soddisfano i bisogni umani in modo indiretto. CONSUMO)
Si fa riferimento alla produzione di ricchezza. - Soddisfano i bisogni umani in modo diretto
- Destinano la loro produzione di beni e servizi senza perseguire fini lucrativi, quindi senza
allo scambio con il mercato attraverso la ottenere niente in cambio (NOT FOR PROFIT).
fissazione del prezzo. - Erogano la loro produzione alla collettività (non
- Il loro scopo è quello di conseguire un lucro, scambiano con la fissazione del prezzo).
cioè un guadagno. ESEMPI:
N.B. Si tratta, per definizione delle imprese, ➢ Il comune
quelle aziende che acquisiscono con liberi ➢ La Caritas
scambi di mercato le risorse produttive ✓
necessarie alle condizioni più convenienti e
cedono al mercato il risultato delle loro
produzioni. Vivono di concorrenza e di mercati.✓ AZIENDE MISTE O COMPOSTE A FINI
Le imprese si possono dividere in 2 EROGATIVI: sono quelle aziende che svolgono
sottocategorie: attività di produzione, ma hanno come obiettivo
1. le imprese di produzione: ovvero le aziende la distribuzione di tale ricchezza a chi ne ha
industriali, che producono beni materiali; bisogno.
2. le imprese di servizi, che immettono sul
mercato beni immateriali (le banche, le
assicurazioni, le imprese commerciali).

2) SOGGETTO GIURIDICO → La persona che assume gli obblighi e i diritti nei


confronti di terzi che derivano dallo svolgimento dell’attività aziendale.
AZIENDE PRIVATE AZIENDE PUBBLICHE
IL SOGGETTO GIURIDICO HA NATURA PRIVATA. IL SOGGETTO GIURIDICO HA NATURA PUBBLICA.
(Può essere una persona fisica o l’azienda (Può essere un comune, una provincia, una
stessa). regione).
- familiare: la famiglia è un esempio tipico di - Si occupano di soddisfare i bisogni pubblici, e
azienda privata di puro consumo, che creano, accrescono e distribuiscono valore non
distribuisce ai propri componenti quanto loro solo in relazione alla collettività, ma
necessario acquisendolo sul mercato e coinvolgendo anche altri soggetti (stakeholders)
utilizzando il risparmio, formato dalla quali fornitori, dirigenti, dipendenti pubblici,
differenza tra i redditi di lavoro percepiti e i clienti, concorrenti, ecc.
consumi e gli investimenti realizzati. Non va - possono essere aziende appartenenti ad
confusa con l'impresa familiare, cioè amministrazioni pubbliche centrali (Ministeri,
l'istituzione economica che impiega membri Agenzia delle Entratem ANAS); ad
della stessa famiglia e che è volta a produrre amministrazioni territoriali (Regioni, Province,
reddito. Comuni, Università), enti di previdenza e
- no profit (vedi in SCOPO) assistenza (INPS, INDAP, ecc.).
In Italia, recentemente, si è assistito alla
privatizzazione di molte aziende pubbliche
(Telecom Italia, INA Assitalia, Comit, Credito
Italiano e Alitalia).
3) SCOPO PERSEGUITO: può essere Mutualistico o Lucrativo.
Essa considera la destinazione del GUADAGNO che deriva dall’attività economica:

AZIENDE FOR PROFIT AZIENDE NON PROFIT


Si tratta di quelle aziende che perseguono uno Si tratta di quelle aziende che hanno uno scopo
scopo lucrativo, ovvero collegato al mutualistico, cioè Il “guadagno” è utilizzato per
conseguimento e alla ripartizione degli utili. il miglioramento ed il potenziamento
Il soggetto giuridico si appropria del dell’attività aziendale.
“guadagno” creato dall’azienda. - si tratta di aziende che non hanno fini di lucro
Si tende a distribuire la ricchezza ai soci e agli e che svolgono un’attività rivolta al
investitori. soddisfacimento diretto di esigenze della
Es. PUBBLICHE: Trenitalia comunità di riferimento e finalizzata al suo
PRIVATE: Fiat progresso (cura, salute, socialità)

NB. Lo scopo si differenzia dal fine dell’azienda che è unico, cioè la soddisfazione duratura dei
bisogni umani.

4) ALTRE CLASSIFICAZIONI
COOPERATIVA → le aziende appartenenti a cooperative sono quelle che “cooperarono”,
appunto, con altre aziende dal lato della domanda o dell’offerta, su mercati particolari e limitati.
I soci della cooperativa sono titolari di quota del capitale e contemporaneamente sono :
- conferenti dei fattori specifici della produzione come materie (cooperative di produzione) e
prestazioni del lavoro (cooperative di lavoro);
- destinatari dei beni o dei servizi prodotti (cooperative di consumo).
Nelle cooperative avviene uno scambio mutualistico.

FONDAZIONE → è un ente privato senza finalità di lucro che ha a disposizione un patrimonio


(lasciato dai fondatori) da destinare a scopi di utilità pubblica (culturali, scientifici, religiosi, ecc).

ASSOCIAZIONE → costituita da gruppi di persone (associati) che si riuniscono per soddisfare


particolari bisogni condivisi (personali) di natura culturale, scientifica, religiosa (senza scopo di
lucro). NB. Un’associazione è anche un’azienda quando svolge attività economica.

ONLUS (Organiz. Non Lucrative di Utilità Sociale) → La qualifica di ONLUS è assunta dalle
aziende no profit che dimostrano di possedere specifici requisiti; ottenuta tale qualifica, è
possibile avere agevolazioni fiscali. Alcuni dei requisiti sono:
➢ svolgimento di almeno una delle seguenti attività: assistenza sanitaria, assistenza sociale,
beneficenza, istruzione, formazione, sport dilettantistico, promozione dei beni storici e
artistici, tutela dell'ambiente, promozione culturale ed artistica, tutela dei diritti civili,
ricerca scientifica.
➢ Escluso perseguimento di finalità di solidarietà sociale;
➢ Divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione, fondi, riserve,
durante la vita dell’organizzazione, a meno che tale destinazione non sia imposta per legge
o sia effettuata a favore di altre ONLUS che fanno parte della medesima struttura.
Caratteri distintivi dell’azienda
Per definire un’unità economica come azienda, è necessario che possegga tali caratteri distintivi:
A) coordinazione sistemica;
B) economicità;
C) autonomia.
D) durabilità.

• COORDINAZIONE SISTEMICA
La coordinazione sistemica pone l’attenzione sugli elementi che compongono il sistema-azienda.
Tutte le aziende, indipendentemente dalle dimensioni e dal tipo di attività svolta, sono infatti
costituite da:
1. un insieme di persone che forniscono all’azienda le proprie energie lavorative; tali persone, che
costituiscono la forza LAVORO, insieme al PATRIMONIO (i beni necessari per lo svolgimento delle
attività) costituiscono la struttura organizzativa.
2. le risorse sono quei beni che vengono utilizzate nei processi di produzione o di consumo, che
possono essere conferite dai soci o acquisite dall’azienda in corso.
Le risorse possono essere:
- materiali: beni tangibili quali materie prime, macchinari, fabbricati, ecc.;
- immateriali: beni intangibili quali conoscenze, licenze, brevetti (ovvero il diritto di utilizzo di una
particolare innovazione), capacità, ecc.
Possiamo inoltre distinguere le risorse in base al loro ciclo di utilizzo:
➢ Risorse a fecondità semplice (o a veloce ciclo di utilizzo): sono quelle che una volta utilizzate
si esauriscono. Un esempio sono le materie prime.
➢ Risorse a fecondità ripetuta (o a lento ciclo di utilizzo): sono quelle risorse che possono
essere utilizzate più volte (e spesso hanno anche un’utilità pluriennale, ovvero possono
essere utilizzate in più anni). Un esempio sono i macchinari.
In riferimento alle risorse produttive pluriennali, bisogna capire qual è la quota di utilità che
può essere attribuita a quel fattore produttivo, in modo da poter confrontare i benefici che
derivano dalla vendita nel mercato dei prodotti finiti con i sacrifici sostenuti per poter
produrre quel prodotto.
4. le operazioni (produzione dei beni, amministrazioni, trasporto dei beni).
5. il fine da raggiungere, che è il soddisfacimento diretto o indiretto dei bisogni umani.
Il termine coordinazione sistemica deriva dal fatto che questi elementi devono essere COORDINATI
tra loro e l’azienda può essere definita un SISTEMA, in quanto gli elementi che la compongono
(persone, risorse e operazioni) interagiscono tra loro e sono legati da rapporti di dipendenza
reciproca.
Il sistema-azienda è un sistema aperto, in quanto deve avere continue relazioni di scambio con
l’ambiente che la circonda: da esso provengono i suoi input (con i quali avviene la produzione) e a
esso vanno i suoi output (i prodotti finiti). Infine, le decisioni del sistema aziendale non vengono
prese in maniera casuale, ma tenendo conto di operazioni e processi che già in precedenza avviati
e di quelli che si intende avviare.
• ECONOMICITA’
L’azienda, per poter durare nel tempo, ha bisogno del carattere dell’economicità.
L’economicità di un azienda è la sua capacità di perdurare nel tempo massimizzando l’utilità delle
risorse impiegate. Tale requisito è garantito quando l’azienda opera in condizioni di equilibrio:
- economico; - finanziario.

1. Equilibrio economico: fa riferimento alla ricchezza aziendale.


Aziende di erogazione:
Nel caso di aziende di erogazione, si è in equilibrio economico se la ricchezza distribuita non è
superiore a quella messa a disposizione dall’azienda.

Aziende di produzione:
Quando si parla di aziende di produzione, da un lato si ha il consumo di ricchezza dovuto
all’approvvigionamento dei fattori produttivi, dall’altro si ha la crescita della ricchezza che deriva
dall’immissione nel mercato dei prodotti finiti.
L’azienda si trova in una situazione di equilibrio economico quando la gestione aziendale riesce a
produrre effetti positivi sulla ricchezza aziendale, ovvero riesce a mantenerla o addirittura ad
accrescerla.
Per verificare se si è creata o consumata ricchezza, e quindi se si è in una condizione di equilibrio
economico, bisogna confrontare i ricavi con i costi di utilizzo che li hanno generati.

Ricavi > Costi → CONDIZIONE DI EQUILIBRIO ECONOMICO

La variazione della ricchezza aziendale per effetto della gestione, è chiamata REDDITO.
- Se tale variazione è positiva è detto UTILE → Ricavi > Costi
- Se tale variazione è negativa è detta PERDITA → Costi > Ricavi
Il ricavo è il beneficio (in termini di ricchezza) che deriva dalla vendita nel mercato dell’output prodotto.
Il costo:
- Costo di utilizzazione: è il sacrificio (in termini di ricchezza) sostenuto dall’azienda, necessario per
immettere nel processo produttivo i fattori produttivi, utilizzati per lo svolgimento del processo produttivo.
- Costo di acquisto: è il sacrificio (in termini di ricchezza) necessario per l’acquisizione dei fattori produttivi.

2. Equilibrio finanziario: è la condizione che mette sempre l’azienda in grado di far fronte ai
propri impegni di pagamento (bilanciamento tra finanziamenti e impieghi nel lungo periodo).
Per essere in equilibrio finanziario, bisogna verificare tale condizione:
Entrate > uscite → CONDIZIONE DI EQUILIBRIO FINANZIARIO

L’azienda può anche essere in equilibrio economico, ma non essere in equilibrio finanziario. Ci sono
infatti alcuni casi in cui l’azienda potrebbe ottenere i ricavi meno velocemente di quando investe
per la produzione (ad esempio se i clienti pagano con delle dilazioni).
Esempio: l’azienda vende delle merci per 2000€ a credito, incassando la somma successivamente;
ha una scadenza imminente della rata di un mutuo di 1000€, che però non può pagare perché in
cassa non ha quella somma.

L’equilibrio finanziario è una condizione necessaria per la sopravvivenza dell’azienda: se manca per
molto tempo, l’azienda rischia il fallimento, mentre l’equilibrio economico può anche mancare per
qualche anno. E’ chiaro che se l’equilibrio economico viene a mancare per molto tempo, prima o
poi mancherà anche quel finanziario.
La condizione d’equilibrio è quindi verificata se si considera un orizzonte temporale lungo, anche se
è continuamente compromessa da ostacoli, come l’ingresso nel mercato di nuovi competitor,
ovvero nuovi bisogni non ancora soddisfatti. Una scelta sbagliata da parte dell’amministrazione può
lenire uno dei due equilibri e di conseguenza l’intera economicità dell’azienda.

Il principio dell’economicità, oltre al raggiungimento della condizione d’equilibrio, comporta:


- che l’azienda fornisca un’adeguata remunerazione ai fornitori in modo da creare un rapporto di
fiducia. Tutte le risorse produttive devono essere ben remunerate (anche il capitale investito).
L’azienda deve attrarre le risorse meglio compatibili con le proprie esigenze, assicurandosele al
massimo livello di convenienza economica: ciò avviene se essa è in grado di stabilire con i fornitori
relazioni soddisfacenti; il fornitore deve sentirsi adeguatamente remunerato.

- che l’azienda operi in condizioni di EFFICIENZA OPERATIVA nell’uso delle risorse: si tratta della
capacità di minimizzare l’impiego di risorse nel raggiungimento degli obiettivi, utilizzando nel modo
più vantaggioso possibile i mezzi produttivi e ottenendo il massimo risultato possibile.

- che l’azienda operi in condizioni di EFFICACIA STRATEGICA in relazione agli obbiettivi di


risultato da raggiungere: i processi produttivi aziendali devono massimizzare il soddisfacimento dei
bisogni e le attese dei soggetti a cui l’output è destinato.

Bisogna trovare una condizione di equilibrio in cui si può dire che l’azienda è sia efficace che
efficiente.
Bisogna essere consapevoli del fatto che uno o più risultati positivi, conseguiti ad un certo momento
o per un breve periodo di tempo, non garantiscono l’esistenza di economicità.
• AUTONOMIA
Autonomia è sinonimo di indipendenza ed è quello stato che permette all’azienda di decidere
liberamente:
- gli obiettivi da raggiungere; - il modo in cui raggiungerli
tenendo conto solo della convenienza dell’azienda stessa, senza essere influenzata dagli interessi
dei soggetti che la governano. Le grandi aziende, infatti, spesso istituiscono meccanismi e procedure
che impediscono l’adozione di condotte devianti.
L’azienda non può delegare ad altri il suo potere decisionale.
La Russia utilizza le aziende della distribuzione del gas (i metanodotti) per fini strategici e politici,
chiudendo i rubinetti all’Ucraina. Queste aziende non sono autonome, perché appunto influenzate
dallo Stato.
L’Alitalia, una delle più grosse compagnie aree europee, era fortemente influenzata dallo Stato. Ma
quando un’azienda ha bisogno delle sovvenzioni di qualcuno per sopravvivere (lo Stato), non è
autonoma.
L’autonomia presuppone che ci sia l’indipendenza economica. L’azienda deve saper riavviare i suoi
processi produttivi facendo rifluire le risorse precedentemente investite e facendo in modo che gli
interventi di sostegno da parte di terze economie abbiano una durata temporanea. Un’azienda è
autonoma quando riesce a lavorare in condizioni di economicità.

• DURABILITA’
Infine, tra i caratteri tipici dell’azienda, vi è la durabilità, cioè la sua capacità di perdurare nel tempo.
La durabilità è strettamente collegata all’economicità e deve essere anche un obiettivo per
l’azienda.
Per essere durabile l’azienda deve:
- operare in condizioni di equilibrio finanziario ed economico, per poter soddisfare i bisogni
dell’ambiente in cui opera;
- soddisfare gli interessi dei soggetti che ruotano attorno ad essa.

Tali soggetti vengono chiamati stakeholders (portatori d’interesse): tutti quei soggetti esterni che
hanno interesse al buon andamento dell’azienda:
➢ interessi diretti: azionisti, le banche, i lavoratori, i fornitori, i clienti, i creditori, i debitori;
➢ interessi indiretti: lo Stato (sia perché l’azienda deve pagare le tasse, ma anche per interessi
sociali: se va bene l’azienda, andrà bene l’economia nel suo complesso, ci sarà meno
disoccupazione, ecc;); le comunità locali (i Comuni, le Province); i sindacati (che tutelano i
lavoratori).
L’ambiente
Per ambiente si intende l’insieme delle circostanze nelle quali l’azienda opera e dei fenomeni del
mondo circostante che si riflettono nei suoi comportamenti. E’ fondamentale per l’azienda
conoscere l’ambiente in cui opera, perché dal livello di sintonia con esso si misura il livello di
successo. E’ un contesto dinamico, che può subire continui mutamenti ai quali l’azienda deve
adeguarsi e dai quali deve saperne cogliere le opportunità.
In base alla reazione al cambiamento dell’ambiente, si hanno:
1. AZIENDE PASSIVE: quelle che non modificano i propri atteggiamenti in modo adeguato;
2. AZIENDE REATTIVE: quelle che riescono a modificare gli atteggiamenti adeguatamente;
3. AZIENDE PROATTIVE O ANTICIPATIVE: che suggeriscono loro stesse il cambiamento al mercato
(ad esempio nel settore Hi-tect o farmacologico).
Vi sono poi dei sottoinsiemi ambientali, rappresentati dai vari mercati esterni:
- mercato del lavoro
- mercato dei capitali: a volte si fa ricorso a finanziatori esterni che danno del denaro.
- mercato delle materie prime
- mercato delle tecnologie
- mercati di sbocco.

Il sistema aziendale e tali sottoinsiemi fanno parte del MACROSISTEMA, rappresentato


dall’ambiente fisico, politico, sociale, culturale, legislativo ed economico. Nell’ambiente l’azienda
stabilisce relazioni di vario tipo con vari soggetti, gli STAKEHOLDERS.
Negli ultimi anni molte aziende riescono ad indirizzare l’ambiente verso i cambiamenti che sono loro
più congeniali in relazione alle proprie competenze e conoscenze, in modo da ottenere vantaggi
rispetto ai concorrenti che ne sono sprovvisti.
ll rischio
Un ambiente stabile ma non studiato a fondo determina condizioni di rischio.
L’azienda è infatti condizionata dagli eventi che accadono nell’ambiente in cui opera. Potrebbero
verificarsi degli eventi che contrastano l’andamento dell’azienda.
Il corona virus, è uno di quegli eventi. Si tratta di una situazione inattesa, imprevedibile, che le
aziende, almeno inizialmente, non sapevano come fronteggiare.
Si pensi a tutte quelle aziende che avevano effettuato degli investimenti durante il 2020. La palestra
Your Place al Corso Italia di Catania ha aperto proprio all’inizio della pandemia, e si è ritrovata
costretta a chiudere poco dopo l’apertura.

Per la variabilità dell’ambiente, la vita dell’azienda è quindi caratterizzata dall’incertezza e del


rischio, che può essere:

• Rischio di tipo 1) inteso come il potenziale verificarsi di eventi che contrastano gli obiettivi
dell’azienda. Esso ha due cause principali:
- la complessità del futuro e
- la limitata capacità di previsione dell’uomo.

• Rischio di tipo 2) rischio inteso come possibilità che l’azienda non remuneri più i soggetti che
operano per essa.
Al rischio è connesso il concetto del capitale di rischio, ovvero quel capitale immesso nell’azienda
che non ha vincoli di restituzione. Il rischio consiste nel fatto che tale capitale, se l’azienda dovesse
andar male, potrebbe andare perduto. Se l’azienda va bene, il capitale aziendale cresce e così come
il capitale di rischio conferito dal singolo conferente; gli utili ottenuti dall’azienda andrebbero infatti
distribuiti agli azionisti.
Il capitale di credito invece è quello concesso “a prestito” (a titolo di credito) per cui l’azienda si
assume l’obbligo di restituire il conferimento entro una certa data (eventualmente con degli
interessi).

• Rischio di tipo 3) Vi sono poi i cosiddetti rischi particolari, ovvero le piccole manifestazioni di
rischio economico generale. L’entità del rischio particolare dipende da:
1) l’entità del danno, ovvero la massima percepita che si potrà avere
2) la probabilità di manifestazione, ovvero il grado di certezza del verificarsi del danno
3) la durata del rischio, l’intervallo temporale che vi è dalla nascita del rischio alla sua cessazione
4) la durata delle manifestazioni, che separa la prima manifestazione del rischio dalla cessione
completa degli effetti dannosi ad esso connessi.
L’accettazione del rischio è dunque una caratteristica tipica delle imprese, in quanto il rischio è
INELIMINABILE, per ogni tipo di azienda. Tuttavia vi sono settori, come quello alimentare, dove il
rischio è minore, e altri settori, soprattutto quelli più innovativi, dove il rischio cresce.
Le politiche aziendali che influenzano l’entità del rischio possono essere:
- azioni volte ad attenuare l’entità del rischio, agendo sulle cause che lo determinano;
- azioni volte a controllare gli effetti dannosi del rischio, in modo di trasferirli nel tempo e nello
spazio.
CAP 2 - SOGGETTO GIURIDICO E SOGGETTO ECONOMICO
Soggetto giuridico
Il soggetto giuridico è la persona o il gruppo di persone a cui sono riconducibili i diritti e gli obblighi
che derivano dallo svolgimento dell’attività economica dell’azienda (acquisti di risorse, vendite e
trasferimenti, contratti). Esso è il responsabile nei confronti di terzi e fornitori.

Il soggetto giuridico:
- nell’azienda individuale il soggetto giuridico è una persona fisica, ovvero il titolare;
- nelle aziende di grandi dimensioni invece il soggetto giuridico è un’entità dotata di soggettività
giuridica – una società. Ad esempio, nel caso della società di persone, potrebbe coincidere con le
figure dei soci.
Secondo la natura del soggetto giuridico, si hanno:
aziende private, il cui soggetto è una persona aziende pubbliche: il cui soggetto giuridico è
fisica oppure una persona giuridica o una persona giuridica pubblica, ossia un ente
un’associazione con finalità private. La loro che persegue finalità che interessano
attività è regolata dalle norme del diritto direttamente la collettività. La loro attività è
privato. regolata dalle norme del diritto privato.

Soggetto economico
Il soggetto economico indica la persona o il gruppo di persone che detiene di fatto la massima
autorità e il supremo potere decisionale di un’azienda. Esso di fatto governa e controlla la gestione
aziendale, ha il compito di prendere decisioni strategiche, determinare gli obiettivi generali e le
attività per realizzarli.
- Nelle ditte individuali, appartenenti ad un unico proprietario, è egli stesso il soggetto economico.
- Nelle aziende di grandi dimensioni invece, appartenenti a più soci, il soggetto economico è
generalmente costituito da coloro che detengono le quote di maggioranza.

Se si pensa alle grandi aziende infatti, il soggetto economico non è costituito da tutti gli azionisti, ma da coloro
che ne detengono più capitale (Berlusconi per Mediaset, Agnelli per FIAT, Del Vecchio per Luxottica, ecc.).
- Nelle aziende più grandi, spesso, non sono i proprietari a prendere le decisioni fondamentali, ma
ci si affida a persone qualificate, dei top manager o amministratori delegati che definiscono le
strategie aziendali e che a volte, soprattutto nelle aziende con capitale azionario diffuso (public
company), fanno parte del soggetto economico.

- In alcuni casi il soggetto economico può anche essere associato a persone estranee alla proprietà
dell’azienda. A volte i soci infatti rinunciano ad occuparsi del governo aziendale per motivi personali
o perché non ne sono in grado.
Nelle grandi aziende identificare il soggetto economico è molto complicato, e spesso ha poca
importanza farlo; ciò che conta è sapere com’è organizzato il governo e com’è controllato (corporate
governance).
Modelli Aziendali
Le aziende si distinguono, oltre che per la natura dell’attività svolta, anche per la struttura della loro
proprietà e per come questa si pone nei confronti dell’azienda stessa.

• Impresa a proprietà concentrata (padronale o familiare).


Il modello della proprietà concentrata è il più tradizionale in Italia e nell’Europa continentale, anche
se si è diffuso in tutto il mondo. Indica quelle imprese che appartengono a un numero ristretto di
persone, in genere legate da rapporti familiari, o a una sola persona (ditta individuale).
Il soggetto economico è costituito dai proprietari (nel caso di impresa individuale, dall’unico
proprietario).
- VANTAGGI → Flessibilità, rapidità decisionale.
- LIMITI → • ci potrebbe essere la possibilità di crescita limitata legata alla carenza di risorse
finanziarie (poiché il patrimonio personale del proprietario non è sufficiente), o
potrebbe anche esservi una carenza di competenze, che però può essere colmata
assumendo manager esterni.
• Un momento complicato della vita di tali imprese è il passaggio generazionale:
chi succede potrebbe non volere prendere il posto o non esserne in grado.
Conflitto di interessi tra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza.
NB. Le imprese a proprietà concentrata non sono necessariamente piccole imprese.
Esempio: Mediaset di Berlusconi è un’azienda di successo pur appartenendo ad una sola famiglia.

• Impresa ad azionariato diffuso o public company


La Public Company è un modello d’impresa tipico della realtà anglo-americana caratterizzato da un
azionariato diffuso, in cui non ci sono concentrazioni di capitale.
E’ un modello utilizzato per le aziende di grandi dimensioni, in cui il capitale è frazionato tra una
moltitudine di soci, ciascuno dei quali ne detiene una piccola quota.
La caratteristica principale è la separazione
Essa ha due tipi di clienti: uno a cui deve vendere il prodotto, uno a cui deve vendere le azioni.
- VANTAGGI :
• il capitale è aperto e l’impresa può cogliere tutte le possibilità di investimento; le public
companies ripongono infatti molta fiducia nel mercato, in cui esse trovano la prioritaria fonte di
finanziamento esterno e in cui possono investire e disinvestire.
• un altro vantaggio è il fatto che la gestione dell’azienda non è affidata ai proprietari, ma a dei
professionisti qualificati, i manager o amministratori delegati.

- LIMITI:
• hanno un basso livello di stabilità, perché i proprietari cambiano continuamente.
• possono nascere conflitti di interesse tra azionisti e management; potrebbe infatti succedere che
l’amministratore delegato (o il manager) prenda decisioni per interessi personali e non per il bene
dell’azienda. Ad esempio potrebbe inserire in posizioni di rilievo amici o parenti che non hanno le
competenze adeguate oppure potrebbe avere manie di grandezza e pur di far crescere l’azienda
potrebbe effettuare investimenti molto rischiosi.
Il consiglio di amministrazione, avrà un duplice ruolo:
- un ruolo di gestione, affidato all’amministratore delegato, per definire le strategie e prendere le
decisioni aziendali;
- un ruolo di controllo: viene istituito un sottocomitato (comitato per il controllo interno composto
da membri indipendenti, eletto direttamente dall’assemblea dei soci) per controllare l’attività
dell’amministratore delegato, affinchè questo non possa approfittare della posizione che ricopre e
possa agire per l’interesse dell’azienda.
• un altro aspetto negativo della proprietà frazionata è quello dell’asimmetria informativa, quel
fenomeno secondo cui una parte degli agenti interessati ha maggiori informazioni rispetto al resto
dei partecipanti e può trarre un vantaggio da questa configurazione.

STOCK OPTION : uno strumento di incentivazione: incentiva il manager a fare sempre meglio; vengono
proposti dei titoli di rappresentazione dell’azienda a un costo x; nel momento in cui il costo x aumenta,

Modalità di controllo sul governo dell’azienda


Diretto, da parte della proprietà, nell’impresa Attraverso il mercato nella public company
a proprietà concentrata
La fonte di finanziamento esterno
le banche per l’impresa a proprietà i mercati finanziari per le public company
concentrata
Le aggregazioni aziendali - Alleanze e accordi tra aziende
Un’aggregazione aziendale indica una forma di unione tra aziende distinte sotto il profilo giuridico
ed economico. A volte infatti per un’azienda risulta conveniente intrecciare relazioni più strette con
altre aziende che operano nello stesso ambiente, in modo da ottenere maggiori vantaggi rispetto a
quelli che si otterrebbero singolarmente.
- per conquistare vantaggi competitivi e posizioni di mercato;
- per sviluppare nuove tecnologie;
- per condividere conoscenze e competenze;
- per accedere a nuovi mercati.

1. AGGREGAZIONI BASATE SU RAPPORTI DI TIPO INFORMALE


• ALLEANZE STRATEGICHE: accordi di vario tipo e con lunga scadenza con i quali si condivide lo
sviluppo di tecnologie, utili per sostenere l’innovazione aziendale, attraverso la condivisione con
altri partner di conoscenze e competenze specifiche.

2. AGGREGAZIONI BASATE SU RAPPORTI DI TIPO CONTRATTUALE


• ACCORDI DI LICENZA: con cui il titolare di un brevetto, di un marchio, di una tecnologia esclusiva
detto LICENZIANTE, concede al LICENZIATARIO il diritto di farne uso, ottenendo un pagamento di
un compenso (royalty) che in genere è una percentuale delle vendite che derivano da quell’uso.
• FRANCHISING: accordo in cui un’impresa (FRANCHISER) che possiede un marchio concede ad
un’impresa commerciale (FRANCHISEE) il diritto di vendere in una determinata area i propri prodotti
e servizi, usandone il marchio, in cambio di un compenso periodico, offrendo assistenza di vario
tipo, anche finanziario, durante tutto il periodo dell’accordo. Il franchising è in uso soprattutto negli
alberghi, pub, fast food, abbigliamento, ecc.
• JOINT VENTURE: è un accordo di collaborazione tra due o più imprese per la realizzazione di un
progetto comune di diversa natura che vede l'utilizzo di risorse apportate da ciascuna singola
impresa partecipante, ma anche un'equa suddivisione dei rischi legati all'investimento stesso
ovvero un'equa ripartizione delle possibili perdite o utili.
• CONSORZI: alleanze tra imprese con cui creano un’organizzazione comune per svolgere delle
attività (fissate all’inizio) conservando ciascuna autonomia economica e giuridica. Lo scopo può
essere quello di limitare la concorrenza o di realizzare una cooperazione internazionale.
• ASSOCIAZIONI TEMPORANEE D’IMPRESE: simili ai consorzi, nascono per partecipare a specifiche
gare d’appalto e per la realizzazione di grandi opere.
• RETI (NETWORKS): alleanze che permettono alle aziende di piccola dimensione di superare le
debolezze, migliorando i propri risultati, interagendo con altre aziende. Sono collaborazioni
organizzate fra più aziende interdipendenti e complementari, le quali, pur mantenendo la loro
autonomia economica, giuridica e decisionale, contribuiscono ciascuna con le proprie competenze
alla creazione di un determinato prodotto.
• DISTRETTI INDUSTRIALI: nascono quando diverse aziende (di piccole e medie dimensioni),
appartenenti a un determinato settore e al medesimo territorio danno origine a una comunità,
condividendo le proprie competenze e restando concorrenti tra di loro.
3. AGGREGAZIONI BASATE SU RAPPORTI DI TIPO PATRIMONIALE - IL GRUPPO AZIENDALE
L’impresa che vuole essere vincente e durabile, ha l’obiettivo di crescere, sia nella dimensione che
sul piano qualitativo, in termini di conoscenze, competenze, reputazione, posizione sul mercato, e
può farlo in due modi: 1. per via interna, con adeguati investimenti; 2. per via esterna, acquisendo
altre imprese; l’acquisizione può avvenire attraverso un processo di fusione, unificando due (o più)
imprese, oppure acquistandone la maggioranza o la totalità del capitale senza integrare le aziende,
che rimangono giuridicamente separate.

In questo ambito nasce il gruppo aziendale, che richiede il soddisfacimento di due condizioni:
• la presenza di una pluralità di aziende dotate di autonomia giuridica (cioè nettamente distinte);
• la presenza di un’azienda capogruppo, detta HOLDING, che possegga tutte o la maggior parte delle
quote di capitale delle altre aziende del gruppo.
Così facendo vi è un unico soggetto economico (la holding) che controlla, tramite partecipazioni di
capitale, tutte le altre aziende del gruppo (distinti soggetti giuridici). Vi è dunque un legame
finanziario tra la Holding e le aziende del gruppo. L’autonomia decisionale delle aziende controllate
può essere limitata o non esistere affatto.
Esistono gruppi con dimensioni diverse:

Con una società controllata


Nel caso in cui la Capogruppo controlli soltanto un’azienda
CAPOGRUPPO (Alfa), essa può decidere di lasciarle totale autonomia oppure
di averne il controllo totale.
ALFA
Nel caso in cui la Capogruppo (unico soggetto economico)
Con più società controllate
controlli più aziende (soggetti giuridici), immaginiamo che
CAPOGRUPPO possegga:
- il 70% del capitale di Alpha;
- il 40% del capitale di Beta;
ALFA BETA GAMMA - il 10% del capitale di Gamma.
Non vi è una percentuale rigida per stabilire quando vi è il controllo da parte di una Capogruppo: se
la Capogruppo possiede ad esempio soltanto il 40% della società BETA, e tutti gli altri azionisti sono
per lo più passivi, allora la società BETA sarà controllata e farà parte del gruppo. Ma possedendo
solo il 10% del capitale di GAMMA, diventa molto difficile poterne avere il controllo.
I gruppi piramidali sono quei gruppi in cui vi è una capogruppo
Gruppo piramidale
che detiene le quote di controllo di un’altra azienda ALPHA
CAPOGRUPPO
partecipata, che a sua volta detiene le quote di controllo di
un’altra azienda BETA partecipata e così via.
ALFA
Si può verificare il cosiddetto meccanismo della leva
azionaria. La leva azionaria consiste nella capacità
BETA
dell’azienda capogruppo di controllare tantissime aziende
GAMMA possedendone piccole quote di capitale, facendo appunto leva
sulle “azioni” (i conferimenti), delle altre aziende del gruppo.
Questo avviene quando ad esempio la capogruppo acquista partecipazioni al 50% di ALPHA, che a
sua volta acquista partecipazioni al 50% di BETA, che a sua volta acquista partecipazioni al 50% di
GAMMA, e via dicendo, tramite un effetto a cascata. (il 50% del 50% del 50% ecc.).
Così facendo la capogruppo riesce a prendere la gran parte degli utili delle società che fanno parte
del gruppo. Si parla allora di “rischio di espropriazione”: l’azionista di maggioranza, che detiene il
controllo sulle altre aziende, può approfittare di questa situazione, espropriando ricchezza agli
azionisti di minoranza.

Perché nascono i gruppi?


I motivi che portano alla formazione di gruppi sono molteplici:
- Ripartire i costi di produzione: le imprese acquistate possono svolgere la medesima attività o
possono anche occuparsi una singola fase della filiera produttiva (integrazioni verticali);*
- Ripartire il rischio
- Espandersi territorialmente, acquisendo aziende che operano in un territorio differente;
- Diversificare la produzione: le imprese acquistate possono operare in settori del tutto differenti,
con l’obiettivo di creare una diversificazione dell’attività. E’ per questo motivo che si sviluppano le
imprese multi-business, che hanno come obiettivo quello di diversificare la produzione, per
estendere la loro area strategica di affari.
Alcuni esempi di imprese multi-business:
- la Yamahaa oltre a produrre moto, produce strumenti musicali;
- Bvulgari, eccellenza nella produzione di gioielli, è entrata nel settore alberghiero aprendo hotel di
lusso in tutto il mondo.

*L'INTEGRAZIONE VERTICALE
L'integrazione fa parte della strategia di gruppo, quindi di quelle strategie che si concentrano su
DOVE un'impresa compete. L'integrazione verticale consiste nell'internalizzazione di una serie di
attività verticalmente correlate. Essa si può classificare in 2 modi:
Integrazione verticale a valle
L'impresa assume il controllo/proprietà su delle attività che prima erano svolte dai clienti. L'impresa
prende il controllo di un passaggio successivo rispetto a quello che già ricopre: ad esempio,
un'impresa assemblatrice di automobili, apre una concessionaria di vendita.
Integrazione verticale a monte
L'impresa assume controllo/proprietà della produzione delle proprie componenti o di altri input.
L'impresa assume il controllo di uno step antecedente a quello già svolto: ad esempio, un'impresa
assemblatrice di automobili, inizia a produrre volanti.
I motivi per le quali un'impresa decide di integrarsi a monte e a valle sono:
• cercare di ridurre i costi connessi al mercato e quindi ottenere maggiori profitti,
• Non c'è il rischio di perdere il fornitore e quindi subire opportunismo post contrattuale,
• Si riducono i costi di transazione legati alle fasi di negoziazione, ecc, poiché non c'è più il
problema di ricercare i fornitori.
CAP 3 - IL SISTEMA DELLE OPERAZIONE TIPICHE DELLA GESTIONE
Operazioni tipiche di gestione
Per gestione si intende l’insieme delle operazioni, coordinate e collegate tra loro, compiute dal
fattore umano per la CREAZIONE DI UTILITA’ all’interno dell’azienda.
L’operazione è l’unità elementare dell’attività di gestione. Ciascuna operazione assume significato
solo in relazione alle altre già realizzate e a quelle da attuare.
Vi sono elementi in comune nella gestione di qualsiasi impresa (da quella industriale a una banca,
da una compagnia di assicurazioni a una società calcistica).
Sotto un profilo soggettivo, ci si sofferma sulle persone tramite le quali si realizzano le operazioni.
Sotto un profilo oggettivo, si analizzando le 3 fasi fondamentali della gestione:
1) Fase dell’approvvigionamento: comprende le operazioni attraverso le quali si acquisiscono i vari
fattori produttivi necessari per lo svolgimento dell’attività. Tali operazioni di acquisto danno luogo
al sostenimento di costi.
2) Fase della trasformazione/produzione: comprende le operazioni con cui i fattori produttivi
vengono impiegati per ottenere beni o servizi, i quali diventeranno poi oggetti di scambio sul
mercato di sbocco. La produzione non va intesa soltanto come lavorazione fisica della materia
prima, ma anche come creazione di utilità economica.
3) Fase dello scambio: è la fase in cui l’impresa colloca sui mercati di sbocco i risultati della sua
attività di trasformazione (in genere al prezzo più favorevole possibile). In tal modo essa consegue i
ricavi e rientra in possesso dei mezzi finanziari impiegati nella produzione.
Le operazioni aziendali possono essere classificate in:
▪ operazioni di gestione ESTERNA: necessitano di atti di scambio con soggetti esterni
(lavoratore, cliente, fornitore).
APPROVVIGIONAMENTO
Operazioni di gestione ESTERNA
SCAMBIO
In campo economico, lo scambio richiede tali requisiti:
- l’intervento di due o più soggetti (l’azienda e altri)
- la cessione di un bene/servizio da un soggetto a un altro
- un compenso in denaro (o in natura)
- l’esistenza di una correlazione tra due prestazioni
- la possibilità di misurare il valore delle prestazioni che vengono scambiate
▪ operazioni di gestione INTERNA: non pongono l’azienda in relazione con l’ambiente esterno

Operazioni di gestione INTERNA TRASFORMAZIONE

Quando tali operazioni derivano da relazioni con il mercato (di approvvigionamento e di


collocamento) si trasformano in valori, che possono essere:
- finanziari, i quali misurano gli effetti che esse determinano sul denaro, sui crediti e sui debiti;
- economici, i quali danno informazioni sugli effetti che esse generano sulla ricchezza conferita dalla
proprietà (costi, ricavi).
I fattori della produzione
Nella fase dell’approvvigionamento, vengono acquisti i fattori della produzione, ovvero tutti quegli
elementi necessari alla produzione di un bene o all’erogazione di un servizio.

In altri termini, i fattori della produzione sono un complesso di beni, materiali e immateriali, e servizi
utilizzabili per lo svolgimento dell’attività aziendale, il cui valore monetario è oggettivamente
determinabile poiché scaturisce da uno scambio di mercato.
In base alla TANGIBILITA’ abbiamo:
- beni materiali (merci, materie prime, macchinari, immobili);
- beni immateriali (diritti di brevetto, licenze, marchi);
- servizi: (le consulenze professionali) e il lavoro dipendente.

In base alla PROVENIENZA vi sono le cosiddette:


- produzioni in economia: quei fattori che provengono dall’interno stesso dell’azienda; (esempi:
un’azienda che produce macchinari, può produrre da sola i macchinari con cui realizzarli; un’azienda
di costruzioni, costruisce da sola i suoi uffici).

Guardando invece alla FLESSIBILITA’:


- il denaro è la risorsa produttiva più flessibile in assoluto; è un fattore della produzione generico e
viene investito per l’acquisto di fattori specifici.
Man mano che la risora produttiva viene sempre più personalizzata e resa specifica per un
determinato processo produttivo, comincia a perdere gradi di flessibilità.

Se si considera infine la DURATA DELL’UTILIZZO NEL PROCESSO, si distinguono FFS e FFR.


- Fattori a fecondità semplice (FFS), ovvero quei fattori che una volta utilizzati cedono interamente
i propri servizi e che quindi possono essere impiegati una sola volta nel processo produttivo di
un’azienda (es. le materie prime, merci, ecc).
Il recupero del denaro investito per il loro acquisto avviene DIRETTAMENTE, tramite la vendita del
prodotto.
VALORE RESIDUO = COSTO DI ACQUISIZIONE se il FFS non è stato utilizzato
VALORE RESIDUO = 0 se il FFS è stato utilizzato

- Fattori a fecondità ripetuta (FFR), sono quei fattori che possono essere utilizzati più volte, poiché
cedono la propria utilità gradualmente, conservando le proprie caratteristiche funzionali, come i
macchinari, gli automezzi, le attrezzatura, i diritti di brevetto.
Il recupero del denaro investito per il loro acquisto avviene INDIRETTAMENTE, tramite il
collocamento dei beni/servizi prodotti.

Una volta iniziato l’utilizzo dei FFR, il loro valore tende a ridursi gradualmente. Tale valore viene
detto VALORE RESIDUO.
VALORE RESIDUO = COSTO DI ACQUISIZIONE DEL FATTORE - COSTO DI UTILIZZAZIONE

- Costo di acquisto: è il sacrificio (in termini di ricchezza) necessario per l’acquisizione dei fattori
produttivi.
- Costo di utilizzazione: è il sacrificio (in termini di ricchezza) sostenuto dall’azienda, necessario per
immettere nel processo produttivo i fattori produttivi, utilizzati per lo svolgimento del processo
produttivo.
PROCESSO DI AMMORTAMENTO
La maggior parte dei FFR hanno una durata pluriennale e sono ammortizzabili.
L'ammortamento è un procedimento tecnico-contabile con il quale il costo pluriennale di un bene
a fecondità ripetuta viene ripartito nei diversi anni di vita utile del bene stesso.
Lo scopo è quello di stimare ogni anno qual è la quota di utilità che quel bene ha dato. In altre
parole il bene partecipa per quote alla determinazione del reddito dei singoli esercizi.
Il processo di ammortamento è un processo soggettivo, solitamente svolto dal manager
dell’azienda, che si basa principalmente su stime e congetture:
• la STIMA è una valutazione soggettiva approssimativa del valore di un bene per la quale è però
possibile effettuare una valutazione oggettiva in un momento successivo in modo da
individuare l’errore;
• la CONGETTURA è invece un'ipotesi basata su indizi incompleti, non certi o frutto di valutazioni
personali; è quindi una valutazione totalmente soggettiva che non permette di individuare un
riscontro successivo. La congettura rappresenta l'ipotesi che è alla base dell'imputazione
soggettiva di un costo pluriennale nei singoli periodi amministrativi.

Come si effettua il piano di ammortamento?


1. Per prima cosa bisogna chiedersi qual è il valore da ammortizzare.
Il valore da ammortizzare non è il costo storico (costo d’acquisto) sostenuto nel momento in cui si è
acquistato il fattore produttivo, ma è dato da:
VALORE DA AMMORTIZZARE = COSTO STORICO – VALORE DI PRESUNTO REALIZZO FUTURO

2. Poi bisogna chiedersi per quanto tempo occorre fare l’ammortamento. Per determinare la
durata del piano di ammortamento, bisogna stimare la vita utile del fattore produttivo.
Potrebbe sembrare che un FFR, tipo un macchinario, si possa utilizzare fin quando la sua vita fisica
non si esaurisca ed esso diventi non funzionante. In realtà bisogna effettuare delle valutazioni sulle
condizioni del bene, in modo da stimare la sua vita utile, che:
➢ dipende dall’utilizzo del bene, ovvero il logorio fisico;
➢ dipende dalla manutenzione periodica effettuata sul bene;
➢ è resa più breve dall’obsolescenza, che può essere tecnica o economica.
L’obsolescenza tecnica fa riferimento al superamento tecnico dei FFR: si verifica quando il progresso
tecnologico ha reso possibile la progettazione e la realizzazione di altri fattori, che consentono di
ottenere prodotti in minor tempo, di qualità migliori o a costi minori.
L’obsolescenza economica è invece quel fenomeno di superamento economico che rende non più
conveniente l’utilizzo di un fattore produttivo, seppur perfettamente funzionante dal punto di vista
tecnico, nella quale possono trovarsi i prodotti quando perdono attrattività sui mercati.
Alcuni esempi di obsolescenza economica:
- l’azienda può affidare a terzi una fase del processo produttivo perché magari non ne ha le
competenze necessarie: in questo modo i fattori produttivi sono resi inutilizzabili in quella fase;
- L’obsolescenza può anche colpire i prodotti ottenuti con il fattore produttivo, rendendo
quest’ultimo superato se non può essere utilizzato per altre produzioni.
- Così come l’obsolescenza può colpire anche la conoscenza (e le risorse immateriali in generale),
manifestandosi come deterioramento delle capacità competitive dell’azienda.
3. Una volta stimata la durata, bisogna ripartire il costo sostenuto per l’acquisto del fattore
produttivo nei diversi anni in cui esso verrà utilizzato. Dobbiamo allora determinare la cosiddetta
quota di ammortamento. Ogni singola quota di ammortamento graverà sull’esercizio (anno) di
riferimento e può essere di tre tipi.
• QUOTA DI AMMORTAMENTO COSTANTE: se si ipotizza che il bene ceda negli anni di vita un’utilità
costante; si divide il valore da ammortizzare per il numero di anni di vita utile del bene.
Va però osservato che spesso gli impianti, i macchinari e le altre immobilizzazioni presentano
un’efficienza che può mutare nel tempo anche in modo molto sensibile oppure può accadere che
l’utilità di tali beni rimanga costante nel tempo solo grazie a manutenzioni e riparazioni che
diventano via via più onerose.
• QUOTA DI AMMORTAMENTO DECRESCENTE: se si ipotizza che l’impresa utilizzi maggiormente il
bene nei primi anni di vita, quando il rendimento è più elevato, e in misura minore negli anni
successivi, in cui l’efficienza tecnica tende a diminuire, mentre i costi di manutenzione tendono ad
aumentare in seguito all’invecchiamento.
• QUOTA DI AMMORTAMENTO CRESCENTE: se si ipotizza che il bene presenti un’utilizzazione
limitata nei primi anni di vita e il suo funzionamento tende a crescere nel tempo.

Con la scelta del valore da ammortizzare, della quota di ammortamento dell’anno, si incide
contemporaneamente sulla determinazione del reddito e del connesso capitale di funzionamento.

Nel momento in cui si avrà la dismissione del bene, in contabilità verrà rilevato il valore netto
contabile, dato da:
VALORE NETTO CONTABILE = COSTO STORICO – FONDO DI AMMORTAMENTO
dove il fondo di ammortamento è una grandezza contabile che rappresenta l’ammontare totale di
ammortamento accumulato anno per anno nei vari anni.
FONDO DI AMMORTAMENTO = (quota di ammortamento 1° anno, + quota di ammortamento 2°
anno + quota di ammortamento del 3° anno, ecc.).

Se alla vendita del bene ci sarà qualcuno disposto a comprarlo a un prezzo più alto rispetto a quanto
era stato stimato, cioè al valore di presunto realizzo futuro, quel valore in più è una plusvalenza,
e rappresenterà in contabilità un ricavo e verrà inserito nella voce “Altri ricavi e proventi” del Conto
Economico.

Se invece il bene viene venduto ad un prezzo inferiore rispetto a quanto era stato stimato, cioè al
valore netto contabile, quel valore in meno è una minusvalenza, e rappresenterà un costo.
I CIRCUITI (MODELLI DI RAPPRESENTAZIONE DELLA GESTIONE)
Si utilizza il modello dei circuiti di gestione per comprendere il funzionamento delle imprese e le
modalità con cui creano o distruggono ricchezza. Questo modello considera solo le operazioni di
gestione esterna ed ad esso fanno parte il circuito della produzione e quello dei finanziamenti.

CIRCUITO DELLA PRODUZIONE


Il circuito della produzione comprende tre operazioni:
1. Acquisizione dei fattori produttivi;
2. Trasformazione/utilizzazione dei fattori produttivi in beni o servizi;
3. Vendita dei beni e servizi.

Nel circuito della produzione è importante analizzare il duplice aspetto di osservazione sotto il quale
è possibile studiare il momento dell’acquisto e il momento della vendita.

La fase della trasformazione si configura come un atto di gestione interna, in cui non vi sono scambi
con l’esterno, per cui non è presa in esame dal modello.

➢ L’aspetto finanziario (o numerario) è detto generalmente originario ed è quello più facilmente


osservabile. Esso considera:
o i movimenti di moneta (quindi le entrate o le uscite di moneta), determinati dalle operazioni
di gestione esterna;
o i crediti o i debiti di funzionamento e di finanziamento.

VARIAZIONE FINANZIARIA POSITIVA VARIAZIONE FINANZIARIA NEGATIVA


+ denaro (cassa o banca) - denaro (cassa o banca)
+ crediti di funzionamento - crediti di funzionamento
+ crediti di finanziamento - crediti di finanziamento
- debiti di funzionamento + debiti di funzionamento
- debiti di finanziamento + debiti di finanziamento

➢ L’aspetto economico è detto generalmente derivato e considera il contributo economico che le


stesse operazioni apportano all’impresa, quindi fanno riferimento alla creazione/distruzione di
ricchezza. Esso riguarda:
o COSTI (quantità dei mezzi monetari di cui l’azienda si priva per l’acquisizione di fattori
produttivi) e RICAVI (quantità dei mezzi monetari che riaffluiscono all’impresa in caso di
vendita di beni e servizi).
o Le VARIAZIONI DI CAPITALE.
VARIAZIONE ECONOMICA POSITIVA VARIAZIONE ECONOMICA NEGATIVA
+ Ricavi per vendita di prodotti + Costi per acquisto di fattori produttivi
+ Ricavi per interessi attivi + Costi per interessi passivi
+ Capitale di proprietà - Capitale di proprietà
ACQUISTO DEI FATTORI PRODUTTIVI
L’acquisizione dei fattori produttivi (materie prime, impianti, lavoro, denaro) avviene attraverso la
cessione di risorse monetarie disponibili a fronte di investimenti in beni e servizi finalizzati ad
attivare e svolgere la combinazione produttiva.
Avviene uno scambio con l’esterno, e in particolare essa è legata a due mercati:
➢ mercato di approvvigionamento
- beni e servizi;
- lavoro;
➢ mercato dei capitali.

Per l’operazione di acquisto, osserviamo l’aspetto MONETARIO ed ECONOMICO.

USCITE Monetarie → ASPETTO MONETARIO


ACQUISTI
COSTI Sacrificio di ricchezza investita → ASPETTO ECONOMICO

Il COSTO d’acquisto dei fattori produttivi è il sacrificio di risorse monetarie per l’acquisto di beni e
servizi. E’ dato da:

𝑪𝒊 = 𝑷𝒊 𝒙 𝑸𝒊 → dove 𝑪𝒊 = costo Il costo è quindi misurato dalla quantità


𝑷𝒊 = prezzo di denaro ceduta per acquisire i fattori
𝑸𝒊 = quantità produttivi.

L’aspetto economico e quello monetario possono avvenire in due momenti diversi (ad esempio se
il pagamento non è immediato ma avviene successivamente).

VENDITA DEI PRODOTTI FINITI


Il fine ultimo di un’azienda di produzione è il collocamento dei suoi prodotti sul mercato di sbocco,
che è un mercato di collocamento, in cui si ha l’interazione con soci, clienti, collettività.
Ciò consente all’impresa di recuperare le risorse monetarie investite.

Per l’operazione di acquisto, osserviamo l’aspetto MONETARIO ed ECONOMICO.

ENTRATE Monetarie → ASPETTO MONETARIO


VENDITE
RICAVI Recupero della ricchezza investita → ASPETTO ECONOMICO

Il RICAVO di vendita è la quantità di denaro ottenuta vendendo una certa quantità del prodotto
ottenuto dalla combinazione produttiva.

𝑹𝒊 = 𝑸𝒊 𝒙 𝑷𝒊 → dove 𝑹𝒊 = ricavo Il ricavo è quindi misurato dalla


𝑷𝒊 = prezzo quantità di denaro che affluisce
𝑸𝒊 = quantità nell’impresa
ENTRATE DI DENARO USCITA DI DENARO
AUMENTO DI CREDITI AUMENTO DEI DEBITI
DI FUNZIONAMENTO DI FUNZIONAMENTO

Aspetto
monetario
Aspetto
economico
PROCESSO
Vendita prodotti Acquisto fatt. prod.
PRODUTTIVO

RICAVI COSTI
CIRCUITO DEI FINANZIAMENTI ATTINTI
I finanziamenti attinti sono quei finanziamenti che forniscono all’impresa i mezzi monetari necessari
per l’avvio e lo svolgimento dell’attività produttiva.
Le fonti di approvvigionamento di mezzi finanziari a disposizione dell’azienda si distinguono in:
• fonti interne → CAPITALE PROPRIO (O DI RISCHIO), AUTOFINANZIAMENTO
Sono quelle fonti che derivano dall’attività di gestione, ovvero dalla vendita dei prodotti sul mercato.
• fonti esterne → CAPITALE DI CREDITO (O DI TERZI, O DI PRESTITO)

FINANZIAMENTI A TITOLO DI CAPITALE DI RISCHIO (O PROPRIO)


Il capitale proprio viene conferito ad opera dei proprietari dell’azienda: il titolare (nel caso di
azienda individuale) o i soci (nel caso di società).
- Esso viene conferito all’azienda senza alcun obbligo temporale di restituzione. In genere esso non
viene restituito ai proprietari fino a quando per esempio non si voglia cessare l’attività. Il vincolo di
restituzione è eventuale.
- Non è prefissata una data di scadenza, ma si tratta di un finanziamento permanente.
- La remunerazione del capitale di proprietà è decisa periodicamente in base all’andamento
dell’attività e ai futuri investimenti programmati. In caso di risultati economici negativi, il capitale
proprio non verrà remunerato, e per questo vi è un elevato rischio reddituale e di capitale.
- Il capitale può essere conferito dalla “proprietà” anche in momenti successivi, ogni volta che se ne
necessiti e può essere conferito sotto forma di mezzi monetari o secondo beni utilizzabili
dall’azienda. Tali risorse monetarie costituiscono il CAPITALE DI PROPRIETA’.

Studiamo il circuito dal punto di vista economico e finanziario:


• ACQUISIZIONE DEL CAPITALE PROPRIO
- Aspetto finanziario:
ENTRATA DI DENARO → Variazione finanziaria positiva
Dato che il capitale di rischio non è soggetto a restituzione, non nasce alcun debito.
- Aspetto economico:
+ CAPITALE → Variazione economica positiva
(Non è un RICAVO perché è un incremento di ricchezza attribuibile al conferimento di mezzi
monetari da parte dei proprietari dell’impresa, non legato al circuito della produzione.)

• DIMINUIZIONE DEL CAPITALE PROPRIO (Restituendo il capitale o dividendo alla fine)


- Aspetto finanziario:
USCITA DI DENARO → Variazione finanziaria negativa
- Aspetto economico:
- CAPITALE → Variazione economica negativa
L’AUTOFINANZIAMENTO
Quando si ha un eccesso di entrate rispetto alle uscite, generato a seguito della buona gestione, si
hanno delle risorse di liquidità che possono essere utilizzate nello svolgimento dell’attività
produttiva.

Fra le possibili fonti di liquidità da cui l’azienda può attingere risorse da destinare genericamente
all’esercizio dell’attività economica vi è l’autofinanziamento.
L’autofinanziamento è la capacità che ha l’azienda di produrre autonomamente le risorse
finanziarie-monetarie che servono per soddisfare il fabbisogno finanziario generato dalle esigenze
della gestione, senza fare ricorso a fonti esterne di finanziamento.
L’autofinanziamento rende in un certo senso “libera” l’azienda, che non ha bisogno dell’intervento
di sostegno degli istituti di credito o dell’apporto di capitale di terzi.

Per calcolare l’autofinanziamento, quindi per capire qual è il reale flusso di cassa:
1. innanzitutto effettuiamo la somma algebrica tra ricavi e costi (da cui possiamo ottenere un utile
o una perdita);
2. se otteniamo un utile, o aggiungiamo i costi non monetari (quei costi che effettivamente abbiamo
già sostenuto prima, come l’ammortamento) o togliamo i ricavi non monetari.

Un particolare tipo di autofinanziamento è l’autofinanziamento dell’ammortamento o flusso di


cassa dell’ammortamento, chiamato così perché considera il punto di vista finanziario
dell’ammortamento che genera flusso di cassa in quanto si tratta di un costo non monetario. (ha
avuto manifestazione finanziaria nel momento dell’acquisto, quindi durante gli anni non ci sarà
un’uscita di denaro ma comparirà tra i costi).
Esempio: 100 (ricavi) – 70 (costi tra cui 20 di ammortamento) = 30 utile
Quindi 100- 50= 50 (flusso di cassa) oppure 100-70= 30+20= 50
FINANZIAMENTI A TITOLO DI CAPITALE DI CREDITO (DI TERZI, DI PRESTITO)
Il capitale di credito viene conferito da terzi a titolo di prestito. Il prestito potrebbe essere fatto
anche da un socio dell’azienda.
- E’ giuridicamente previsto un vincolo di restituzione: il capitale viene restituito secondo modalità
stabilite contrattualmente in una data prestabilita. Si tratta quindi di un finanziamento
temporaneo.
- Il rischio è chiaramente più basso e si prevede una remunerazione (interessi passivi) che
rappresenta il costo del finanziamento, la quale deve essere riconosciuta al finanziatore anche in
caso di risultati negativi. I mezzi monetari restituiti ai finanziatori saranno > di quelli ricevuti.
Chi apporta capitale a titolo di rischio, rischia di più di chi apporta a titolo di prestito, quindi il primo
verrà remunerato maggiormente. In inglese questa differenza è detta cost of equity.
- Tuttavia anche il capitale è soggetto al rischio di mancata remunerazione e/o di mancato rimborso.
Può capitare che quando vi siano eccessive perdite di gestione, l’azienda non sia in grado di
rimborsare l’intero capitale o una parte.

Studiamo il circuito da un punto di vista contabile:


• ACCENSIONE DEL DEBITO DI FINANZIAMENTO (ottengo il finanziamento):
Aspetto finanziario:

ENTRATA DI + denaro → Variazione finanziaria positiva


DENARO + debiti di finanziamento → Variazione finanziaria negativa

(in genere l’importo delle somme restituite è maggiorato dai relativi interessi passivi, che
costituiscono un costo, quindi una variazione economica negativa).

• RESTITUZIONE DELLE SOMME RICEVUTE (Restituisco il finanziamento):


Aspetto finanziario:

USCITA DI - debiti di finanziamento → Variazione finanziaria positiva


DENARO - denaro → Variazione finanziaria negativa

Aspetto economico:
COSTO → Interessi passivi → Variazione economica negativa

Nel momento in cui l’azienda deve restituire il denaro (ad esempio all’istituto bancario che glielo ha
prestato), dovrà pagare degli interessi per il servizio, che costituiscono un costo.
▪ Debiti di finanziamento: sorgono in relazione alla raccolta dei mezzi finanziari presso
banche, risparmiatori, società finanziarie;
▪ Debiti di funzionamento: sorgono quando l’azienda acquista fattori produttivi dai fornitori,
concordandone il pagamento in un tempo successivo.

Nel seguente schema, vengono rappresentanti entrambi i circuiti di finanziamenti.

In sintesi, le differenze tra capitale proprio e capitale di terzi:


CAPITALE PROPRIO CAPITALE DI CREDITO

1) VINCOLO DI RESTITUZIONE Eventuale se l’azienda è Giuridicamente previsto


riuscita a far crescere il suo
capitale
2) SCADENZA Non prefissata: il Prefissata: il finanziamento è
finanziamento è permanente temporaneo
3) SOGGETTI FINANZIATORI I proprietari dell’azienda In genere soggetti diversi dai
proprietari
4) RISCHIO Rischio elevato. Il rischio è più basso. Esso c’è
Capitale di rischio con se l’azienda fallisce.
remunerazione non La remunerazione è fissa.
obbligatoria ma opportuna
CIRCUITO DEI FINANZIAMENTI CONCESSI
In un determinato periodo l’azienda potrebbe disporre di mezzi monetari che eccedono il proprio
fabbisogno e quindi potrebbe investirli, per esempio prestandoli a terzi per ricevere una
remunerazione (Interessi Attivi). Nasce così un CREDITO DI FINANZIAMENTO.
I mezzi monetari restituiti all’impresa saranno > di quelli prestati.

Studiamo il circuito solo da un punto di vista finanziario:


• CONCESSIONE DEL FINANZIAMENTO (PRESTITO) A TERZI:
ENTRATA DI + crediti di finanziamento → Variazione finanziaria positiva
DENARO - denaro → Variazione finanziaria negativa

• RESTITUZIONE DELLE SOMME PRESTATE:


USCITA DI + denaro → Variazione finanziaria positiva
DENARO - crediti di finanziamento → Variazione finanziaria negativa
CAP 4 - REDDITO D’ESERCIZIO E CAPITALE DI FUNZIONAMENTO
Per valutare gli andamenti di un’azienda in un definito arco temporale, non è sufficiente analizzare
le singole operazioni, ma bisogna elaborare delle misure di sintesi dalla cui consultazione si può
comprendere l’entità della ricchezza che l’azienda è stata in grado di creare/distruggere in quel dato
tempo.

IL REDDITO
IL REDDITO E’ LA VARIAZIONE ECONOMICA CHE HA SUBITO LA RICCHEZZA AZIENDALE PER
EFFETTO DELLA GESTIONE.
Esso si va ad aggiungere (reddito positivo o utile) o a sottrarre (reddito negativo o perdita) al
capitale conferito dalla proprietà.
• Se tale variazione è positiva, quindi si ha un Reddito positivo, si avrà un UTILE.
E’ un evento importante per la vita dell’impresa; esso dimostra che la gestione dell’azienda è
avvenuta con efficacia. Se il reddito cresce, cresce l’azienda.
• Se tale variazione è negativa, quindi si ha un Reddito negativo, si avrà una PERDITA.
Quando la ricchezza aziendale non cresce, ma diminuisce, è evidente che qualcosa nella gestione
non ha funzionato.

Si potrebbe anche avere un Reddito neutro, ovvero una situazione in cui non si hanno né utili né
perdite.
La crescita della ricchezza aziendale può avvenire anche senza effetto della gestione, ad esempio
quando avvengono i conferimenti di capitale da parte della proprietà, si avranno comunque delle
variazioni economiche, ma non di tipo reddituale.
Per la sua grandezza monetaria, il reddito è una misura imperfetta.
In economia aziendale, distinguiamo il reddito totale d’impresa e il reddito di periodo.

Il reddito totale
IL REDDITO TOTALE FA RIFERIMENTO ALL’INTERA VITA DELL’IMPRESA, E RAPPRESENTA LA
VARIAZIONE CHE SUBISCE LA RICCHEZZA AZIENDALE PER EFFETTO DELLA GESTIONE DAL
MOMENTO IN CUI L’AZIENDA NASCE AL MOMENTO IN CUI CESSA LA SUA ATTIVITA’.

Il reddito totale può essere utile per capire, alla fine della vita aziendale, come è stato prodotto il
reddito nel medio/lungo termine e per comprendere quali sono i motivi che hanno portato alla
cessazione dell’attività aziendale. Tuttavia ai fini gestionali, non fornisce un’informazione
tempestiva.

Quando lo si calcola, l’impresa si trova nella seguente condizione:


- ha interamente consumato o venduto PER STRALCIO i fattori produttivi acquistati;
- ha interamente venduto gli output prodotti;
- non ha nessun CREDITO/DEBITO (di funzionamento o di finanziamento) da incassare-pagare;
- non ha rischi specifici (quei rischi che in futuro potrebbero generare costi o perdite) in corso: la
presenza di rischi specifici testimonierebbe che non tutti i processi sono terminati.
1) METODOLOGIA REDDITUALE
Il reddito totale si ottiene facendo la differenza tra i RICAVI TOTALI e i COSTI TOTALI misurati
finanziariamente nel corso dell’intera vita dell’azienda.

RT = 𝑹𝒊𝒄𝒂𝒗𝒊 − 𝑪𝒐𝒔𝒕𝒊
ricavi (quantità vendute x prezzi unitari di vendita) : riflettono la ricchezza creata
costi (quantità acquistate x prezzi unitari d’acquisto) : riflettono la ricchezza consumata

2) METODOLOGIA PATRIMONIALE
Il reddito totale si calcola per via indiretta sottraendo dal valore che il capitale presenta al termine
della sua esistenza, il valore del capitale conferito in fase di costituzione.
(Differenza tra patrimonio finale e patrimonio iniziale).

RT = 𝑪𝒇 - 𝑪𝒊
𝑪𝒇 = capitale finale
𝑪𝒊 = capitale iniziale
Bisogna però escludere dai calcoli: i valori degli ulteriori conferimenti effettuati dai soci
successivamente alla costituzione dell’azienda; i valori dei prelievi di capitale e di reddito disposti
dagli stessi soci nel corso della sua intera vita.

3) METODOLOGIA FINANZIARIA
Il reddito totale si ottiene dalla differenza tra le entrate e le uscite avvenute nel corso dell’intera vita
dell’impresa.
RT = 𝑬𝒕 − 𝑼𝒕
𝑬𝒕 = entrate di denaro (con esclusione di quelle dovute ai conferimenti iniziali e successivi)
𝑼𝒕 = uscite di denaro (con esclusione di quelle dovute alle restituzioni di capitale ai prelievi di
reddito).
Il reddito di periodo (o di esercizio)
IL REDDITO DI PERIODO RAPPRESENTA LA VARIAZIONE CHE SUBISCE IL PATRIMONIO PER EFFETTO
DELLA GESTIONE IN UN DETERMINATO PERIODO.
Il flusso ininterrotto dei costi e dei ricavi che si succedono durante la vita di un’azienda, determina
per l’imprenditore la necessità di dividere la gestione in tanti periodi amministrativi con lo scopo di
accertare periodicamente i risultati dell’attività svolta.
➢ Periodo amministrativo: solitamente corrisponde all’anno solare che va dall’1/1 al 31/12, ma
potrebbe variare in base alle esigenze dell’azienda.
➢ Esercizio: insieme delle operazioni di gestione compiute in un periodo amministrativo.

Ai fini gestionali è molto utile conoscere il reddito di periodo, poiché permette a tutti i soggetti
coinvolti nell’attività produttiva (i portatori d’interesse), di conoscere la ricchezza che l’impresa è in
grado di creare/distruggere in diversi archi temporali della sua esistenza.
• La DIREZIONE (management) utilizza il reddito di periodo per decidere su quali strategie puntare
per garantire la sopravvivenza del sistema aziendale. Gli fa capire se le decisioni prese sono coerenti
con l’obiettivo di creare ricchezza.
• I conferenti del capitale di rischio lo utilizzano per valutare la condotta dei manager, cioè come
hanno gestito le risorse affidate loro, e anche per conoscere la quantità di ricchezza che possono
prelevare (DIVIDENDO) senza compromettere gli andamenti futuri della gestione.
• Le banche lo utilizzano per giudicare lo stato di un’impresa che richiede un prestito e,
indirettamente, la sua capacità di rimborsalo alla scadenza.
• Infine, sono interessati al reddito di periodo i fornitori, clienti, il personale, il fisco.

DETERMINAZIONE DEL REDDITO D’ESERCIZIO


- Il metodo finanziario non è utilizzabile perché non rispetta il principio della competenza
economica: non è detto che le entrate e le uscite avvengano nello stesso momento in cui si
sostengono i costi e si ottengono i ricavi.

- Il metodo patrimoniale per quanto concettualmente fattibile, nella sostanza non si può utilizzare
perché il patrimonio finale non si determina in un momento precedente rispetto al reddito, ma si
determinano contemporaneamente. Per determinare il patrimonio di fine esercizio, bisognerebbe
effettuare una serie di valutazioni oggettive uguali a quelle che si dovrebbero effettuare per
determinare il reddito di esercizio.

- L’unico metodo a disposizione per calcolare il reddito di periodo è il metodo reddituale, secondo
il quale il reddito di periodo si ottiene come differenza tra RICAVI di competenza e COSTI di
competenza. Viene introdotta dunque la logica della competenza economica che serve
principalmente per risolvere un problema che sorge quando l’intero fluire della gestione di
un’azienda viene frammentato in diversi periodi.

All’interno di un periodo amministrativo infatti si susseguono una serie di operazioni che:


- da un lato possono essersi concluse all’interno dello stesso periodo amministrativo;
- dall’altro lato, al 31/12, potrebbero esserci delle operazioni in corso di svolgimento che si
accavallano tra due o più periodi amministrativi. Ad esempio, ci potrebbero essere dei prodotti
semilavorati che devono ancora essere completati, o prodotti finiti che non sono ancora stati
venduti. A fine periodo allora, l’impresa potrebbe aver recuperato soltanto parzialmente gli
investimenti fatti inizialmente, grazie alle vendite degli output avvenute fino a quel momento,
mentre per gli investimenti dei processi produttivi non ancora completati essa dovrà attendere i
successivi archi temporali.
Si determina così uno sfasamento temporale tra gli investimenti (costi) e recuperi (ricavi) e questo
fa sì che la ricchezza creata/distrutta nel periodo non abbia una misura oggettiva, ma è
caratterizzata da un’elevata soggettività.

Il principio della competenza economica è un principio contabile che ci aiuta a capire in quale anno
contabilizzare i costi e i ricavi; in particolare bisogna considerare solo i costi e i ricavi “di
competenza”, ovvero quelli che si riferiscono e hanno effetto in quel periodo di tempo, a
prescindere dalle manifestazioni finanziarie già avvenute o che devono ancora avvenire.
La competenza economica si esprime attraverso la realizzazione dei ricavi e l’inerenza dei costi.
Secondo tale principio:
1) per pima cosa bisogna individuare i ricavi di competenza: i ricavi per poter essere considerati di
competenza devono essere realizzati;
➢ per i beni mobili si richiede che sia avvenuto il passaggio di proprietà;
➢ per i sevizi, occorre che essi siano resi/erogati;
➢ per i beni immobili, deve essere avvenuta la stipula dell’atto di compravendita.
2) successivamente si identificano i costi di competenza: i costi sono considerati di competenza se
sono inerenti al periodo in cui sono avvenuti i correlativi ricavi.

Vi sono due diversi modelli di determinazione del reddito di periodo: modello dei cicli conclusi e il
modello dei cicli in corso di svolgimento.

1. MODELLO DEI CICLI CONCLUSI


Secondo il modello dei cicli conclusi il reddito di periodo si ottiene dalla differenza tra i ricavi e i
costi di quei soli cicli che si sono conclusi nel periodo di riferimento.
La ricchezza oggetto di valutazione è quella alla cui formazione/distruzione hanno contribuito i
processi terminati e non i processi ancora in corso di svolgimento.

2. MODELLO DEI CICLI IN CORSO DI SVOLGIMENTO


E’ iniziato a diffondersi nel panorama internazionale un modello alternativo di determinazione del
reddito di periodo (e del collegato capitale di funzionamento), quello dei cicli in corso di
svolgimento, secondo il quale si considerano prima i costi che si sono manifestati nel singolo
periodo, e successivamente si vanno ad agganciare ai ricavi previsti da quell’operazione, per poi
fare la differenza tra i costi e i ricavi.
Il problema di questo modus operandi è che è troppo soggettivo, poiché si vanno a stimare dei ricavi
che non è detto che si realizzeranno. Per ovviare a questa mancanza di prudenza, è stato preferito
il modello dei cicli conclusi.
Per determinare il reddito di esercizio, applicando la logica della competenza economica, siamo
costretti, a fine esercizio:
• a togliere quei costi e quei ricavi che non sono di competenza dell’esercizio, (rettifiche di storno);
• ad inserire nell’esercizio quei costi o quei ricavi che pur non avendo avuto manifestazione
finanziaria, riteniamo siano di competenza dell’esercizio, (rettifiche di imputazione).

I costi e i ricavi non di competenza → da sottrarre


❖ I costi da rinviare sono quelli che manifestano successivamente la loro utilità, ovvero quelli che sono
stati sostenuti ma per cui non è avvenuto il corrispettivo ricavo.
Si tratta di quei “resti” di un processo non ancora concluso che verranno utilizzati successivamente.
Ad esempio materie prime, prodotti in corso di lavorazione,anche prodotti finiti non ancora venduti.
I costi rinviati al periodo successivo vengono definiti “rimanenze attive” :
- le rimanenze attive finali, sono quei costi che vengono individuati alla fine di un esercizio e
vengono rinviati al futuro;
- le rimanenze attive iniziali, sono quei costi che erano stati rinviati nell’esercizio precedente.
Rimanenze attive iniziali e finali quindi coincidono, vengono però osservate da due punti di vista
diversi, poiché la fine dell’esercizio 1 corrisponde con l’inizio dell’esercizio 2.
NB. Il costo è una grandezza che influisce negativamente sul reddito: nel momento in cui togliamo
un costo, ci saranno meno costi, e per questo sono definite “rimanenze attive”.

❖ I ricavi da rimandare sono invece quelli che non si sono realizzati, ovvero sono quei ricavi che
l’azienda consegue anticipatamente, ma che non sono effettivamente di competenza perché non è
ancora avvenuto il passaggio di proprietà del bene.
I ricavi rimandati vengono definiti “rimanenze passive” sono quei ricavi già conseguiti, quindi
sospesi o anticipati, che vanno rinviati al futuro.
- le rimanenze passive finali, sono quei ricavi che vengono individuati alla fine di un esercizio e
rinviati al futuro.
- le rimanenze passive iniziali, sono quei ricavi che erano stati rinviati nell’esercizio precedente.
Anche in questo caso, rimanenze passive finali ed iniziali coincidono.
NB. Il ricavo è una grandezza che influisce positivamente sul reddito; quando togliamo un ricavo,
togliamo qualcosa di positivo ed andiamo ad agire passivamente sul reddito.

SCRITTURE DI RETTIFICA DI STORNO


Le scritture che ci consentono di individuare le rimanenze, ovvero quei costi e quei ricavi che non
sono di competenza dell’esercizio e che devono essere rinviati all’esercizio successivo, vengono
definite rettifiche di storno nel linguaggio contabile.

Si tratta di rettifiche sottrattive che ci consentono a fine esercizio di effettuare delle correzioni in
contabilità.

Rai → RIMANENZE ATTIVE INIZIALI Rpi → RIMANENZE PASSIVE INIZIALI


Raf → RIMANENZE ATTIVE FINALI Rpf → RIMANENZE PASSIVE FINALI
- Quando la vendita di un prodotto avviene in negozio, il ricavo è immediato e non vi è alcun dubbio
che sia di competenza dell’esercizio.
- Quando invece si tratta di vendite online possono sorgere dei problemi: il passaggio di proprietà
del bene venduto dipende infatti dal tipo di accordo che è stato preso tra il venditore e il cliente:
- se l’accordo prevede che il passaggio di proprietà avviene nel momento in cui la merce è stata
spedita, il ricavo è di competenza del momento in cui è stata effettuata la spedizione. Quando si
effettua la spedizione, il venditore rileverà (immediatamente o dopo alcuni giorni) l’effettuazione
della vendita ed emetterà la fattura, un documento obbligatorio ai fini fiscali, che rappresenterà il
credito che si ha nei confronti del cliente.
- se l’accordo invece prevede che il passaggio di proprietà avviene nel momento in cui la merce è
stata consegnata, il ricavo può non essere di competenza dell’esercizio. Il ricavo sarà realizzato
quando il bene sarà arrivato a destinazione, quindi deve essere rinviato e sarà una rimanenza
passiva.

Esempio: vendita bottiglie di vino dall’Italia alla Cina.


Vi può essere il rischio che le bottiglie si rompano durante il tragitto, per cui l’acquirente non vuole
assumersi il rischio e preferisce accordarsi con il venditore affinchè il passaggio di proprietà delle
bottiglie avvenga quando queste sono arrivate a destinazione e non quando vengono spedite.
ESEMPIO: Rappresentiamo lunga una semiretta 3 anni di vita di un’azienda:
• i segmenti al di sopra della semiretta
corrispondono alle operazioni di gestione in corso
di svolgimento (quelle operazioni che iniziano in
un momento e si completano in un altro
momento);
• i puntini sopra i segmenti rappresentano i costi e i
ricavi delle operazioni.

- Quando le operazioni iniziano e si concludono all’interno dello stesso periodo amministrativo (in
rosso), sono costituite da costi e ricavi di competenza e non vi sorgono grossi problemi nella
determinazione del reddito.
- Quando invece le operazioni si trovano a cavallo tra due diversi anni diventa più complicato, come
quelle cerchiate in verde (da 1 a 3), in blu (da 2 a 3) e in giallo (da 3 e non si sa quando si conclude).
Non si sa quando i costi sostenuti all’anno 1 genereranno i corrispettivi ricavi; pertanto intanto si
rimandano all’anno 2, andandosi ad aggiungere ai costi sostenuti nel corso dell’anno 2; poi ci si
chiede se tra tutti questi costi dell’anno 2 ce ne sia qualcuno che non è di competenza e che va
rinviato all’anno successivo.

ANNO 1:
I costi e i ricavi cerchiati in giallo al 31/12 vengono rinviati all’anno successivo alla fine dell’anno 1,
e diventeranno rispettivamente:
• i costi RIMANENZE ATTIVE FINALI.
• i ricavi RIMANENZE PASSIVE FINALI.

ANNO 2:
I costi e i ricavi cerchiati in azzurro comprendono:
• i costi rinviati dall’anno 1, che diventeranno RIMANENZE ATTIVE INIZIALI;
• i ricavi rinviati dall’anno 1, che diventeranno RIMANENZE PASSIVE INIZIALI;
Ma comprendono anche quei costi e quei ricavi non di competenza da rinviare all’anno 3, così come
quelli cerchiati in rosa.

ANNO 3:
- le rimanenze attive finali rinviate alla fine dell’anno 2, diventeranno RIMANENZE ATTIVE INIZIALI
all’inizio dell’anno e le rimanenze passive finali diventeranno RIMANENZE PASSIVE INIZIALI.

Tutti i costi e i ricavi cerchiati in verde alla fine dell’anno 3 verranno rinviati al futuro.
Per determinare il reddito di periodo di ogni singolo esercizio, bisogna tenere in considerazione gli
altri esercizi, poiché sono tutti e tre collegati tra di loro.
I costi e i ricavi da integrare
Ci possono essere anche alcuni costi relativi a dei fattori produttivi che sono stati acquistati e dei
ricavi relativi a dei prodotti che sono stati venduti, che fino al 31/12 non hanno avuto alcuna
manifestazione finanziaria, ma che potrebbero essere di competenza dell’esercizio appena
concluso. Per evitare di commettere errori, questi costi e questi ricavi devono essere inseriti intanto
in contabilità ed eventualmente poi rinviati.

SCRITTURE DI RETTIFICA DI IMPUTAZIONE (O INTEGRAZIONE)


Le scritture che ci permettono di inserire nell’esercizio i costi e i ricavi che sono di competenza
dell’esercizio, ma che non sono rilevati in contabilità perché non è avvenuta la manifestazione
finanziaria, sono le RETTIFICHE DI IMPUTAZIONE.

Al 31/12, ci si chiede infatti se ci sono altri costi o altri ricavi che sono di competenza ma che non si
sono manifestati, e che quindi devono essere integrati.

La prima cosa su cui ci concentriamo è l’aspetto economico:


- l’aspetto originario sarà l’aspetto economico: si rileva intanto un costo o un ricavo da imputare;
- l’aspetto derivato sarà l’aspetto finanziario: si rileva un debito o un credito presunto, che diventerà
certo quando avverrà la manifestazione finanziaria.

Le scritture di imputazione si effettuano ad esempio per:


➢ i costi e ricavi legati alla mancata emissione/ricezione della fattura;
➢ i premi attivi/passivi da liquidare;
• I PREMI ATTIVI da liquidare sono quei premi che spettano all’azienda acquirente alla fine di un
certo periodo perché ha raggiunto un certo volume di acquisti; solitamente vengono
riconosciuti a fine anno e al 31/12 la necessità di effettuare delle opportune rettifiche di
imputazione che ci permettono di integrarlo all’esercizio appena concluso, rilevando un credito
nei confronti del fornitore.
• I PREMI PASSIVI da liquidare sono quei premi che vengono riconosciuti dall’azienda al cliente
che alla fine di un certo periodo ha raggiunto un determinato volume di acquisti.
➢ gli interessi attivi/passivi da liquidare;
➢ i ratei;
➢ gli accantonamenti, legati al principio della prudenza.

Il PRINCIPIO DELLA PRUDENZA ci dice che:


- non si possono inserire ricavi “sperati”,
- ma per “prudenza”, appunto, si possono inserire costi “probabili”.

Quindi, se l’azienda prevede che avrà dei ricavi, non può inserirli in bilancio, ma se prevede che
dovrà sostenere dei costi, deve inserirli in contabilità.
FONDO SVALUTAZIONE CREDITI →
L’azienda ha un credito nei confronti di terzi, ma non lo può contabilizzare.
Se il debitore è in difficoltà e rischia di fallire (o addirittura è già fallito), è inutile che l’azienda
creditrice continui a tenere in contabilità il credito che ha nei suoi confronti, perché sa già quel
debitore non sarà in grado di pagarlo in parte o totalmente.

Allora, piuttosto che aspettare di vedere quanto effettivamente incasserà, deve cercare di stimare
quale sarà la somma che il debitore riuscirà effettivamente a pagare ed eventualmente inserire la
parte che non verrà pagata come costo da imputare all’esercizio.
Bisogna considerare quindi il potenziale costo derivante dalla perdita su credito.

L’azienda può allora effettuare un accantonamento per svalutazione crediti.

Ci vengono in aiuto i cosiddetti accantonamenti, che sarebbe il conto svalutazione/crediti.


Si tratta di un processo di trattenimento della ricchezza che si effettua quando si determina il reddito
d’esercizio, che permette all’azienda di imputare un costo

Così facendo, qualora il debitore non dovesse pagare, il fondo svalutazione/crediti va a ricoprire la
perdita.

Si tratta dei cosiddetti ACCANTONAMENTI: richiamano alla mente un processo di trattenimento


della ricchezza operato in sede di determinazione del reddito, attraverso l’imputazione di un costo
“non monetario”, che ritrova i suoi fondamenti logici nei rischi associati alle singole operazioni.

Se uno di questi clienti fallisce, il fornitore si deve “insinuare” nella procedura fallimentare,
chiedendo il rimborso dei crediti, e si deve accontentare della somma che verrà distribuita ai vari
creditori. Questa somma infatti non riesce quasi mai a coprire tutto il credito, e i creditori ne
subiscono una perdita.

Esempio Wind-jet:
La Wind-jet dava la possibilità di comprare i cosiddetti “carnet”; Wind Jet Carnet era uno strumento
molto utile per tutti quei viaggiatori che erano costretti a prendere spesso un aereo, talvolta anche
all’ultimo minuto, rischiando di pagare un prezzo eccessivo.
I Carnet erano quindi dei blocchetti di biglietti a un prezzo fisso (circa 80€) con cui si poteva prendere
il biglietto anche all’ultimo momento e partire, con garanzia di prenotazione per ogni volo.
Dalla procedura fallimentare della Wind-jet, i creditori che si sono insinuati hanno subito una
perdita, poiché la Wind-jet non riuscì a restituire i soldi dei vari carnè venduti.
Dopo il fallimento dell’azienda, alcuni creditori decisero di insinuarsi alla procedura fallimentare,
ricevendo a distanza di 10 anni un assegno pari a 10€ a fronte degli 80€ spesi per l’acquisto del
Carnet.
ESEMPI
MANCATA RICEZIONE DELLA FATTURA – (ACQUISTO)
Immaginiamo che il 30/12 ci viene consegnata della merce da parte di un fornitore, quindi avviene
il passaggio di proprietà e sorge un debito nei confronti del fornitore.
Tuttavia non abbiamo ancora ricevuto la fattura e quindi contabilmente non registreremo alcun
debito verso il fornitore e neanche un costo d’acquisto.
Ma se il bene è passato di proprietà, è ovvio che il costo esiste ed è di competenza di quell’esercizio,
quindi bisogna appuntarselo per non dimenticarlo. Sorgerà quindi un “debito presunto”.

Al 31/12 verranno effettuate delle rettifiche di imputazione che ci permetteranno di individuare


questo costo che, contabilmente non era stato rilevato, ma che effettivamente è di competenza
dell’esercizio. Rileveremo:
- nell’aspetto originario un costo;
- nell’aspetto derivato un debito presunto verso il fornitore.

MANCATA EMISSIONE DELLA FATTURA – (VENDITA)


Immaginiamo che il 30/12 vendiamo della merce che viene consegnata al nostro cliente, per cui è
avvenuto il passaggio di proprietà.
Tuttavia non abbiamo ancora emesso la fattura e quindi contabilmente non registreremo il credito
verso il cliente e neanche il ricavo per la vendita.
Ma se il bene è passato di proprietà e la vendita è avvenuta, è ovvio che il ricavo esiste ed è di
competenza di quell’esercizio, quindi avremo un “credito presunto” nei confronti del cliente.

Al 31/12 verranno effettuate delle rettifiche di imputazione che ci permetteranno di individuare


questo ricavo che, contabilmente non era stato rilevato, ma che effettivamente è di competenza
dell’esercizio. Rileveremo:
- nell’aspetto originario il ricavo;
- nell’aspetto derivato il sorgere di un credito presunto.

PREMI ATTIVI
Immaginiamo che uno dei nostri fornitori presso cui ci siamo riforniti nel 2020, una volta raggiunto
l’importo di 100.000€, decida di riconoscerci un premio dal valore di 1000 €, che verrà però concesso
all’inizio del 2021. Si tratterà di un premio attivo che sarà di competenza dell’esercizio appena
concluso, poiché è stato riconosciuto nel 2020.

INTERESSI ATTIVI/PASSIVI
Quando restituiamo alla Banca un prestito, paghiamo degli interessi passivi. Se questi vengono
pagati all’inizio del 2021, ma effettivamente si riferiscono ad un prestito che ci è stato concesso nel
2020, allora si devono imputare all’esercizio precedente.
I Ratei e i risconti
All’interno delle rettifiche di storno e di imputazione
fanno parte due sottocategorie: i ratei e i risconti.
I ratei e i risconti vengono trattati insieme perché hanno
una caratteristica in comune: essi trattano quei costi e
quei ricavi che si trovano a cavallo tra due esercizi e
maturano con il decorrere del tempo.

I ratei sono una particolare categoria di RETTIFICHE DI IMPUTAZIONE.


Sono quote di costo o di ricavo di competenza che si trovano a cavallo tra due esercizi, maturano
con il decorrere del tempo e che hanno manifestazione finanziaria posticipata; questi devono essere
integrati all’esercizio.
Fanno riferimento a una componente finanziaria.
• rateo passivo: è un debito legato ad un costo che si trova a cavallo tra due esercizi, matura con
il decorrere del tempo e per il quale la manifestazione finanziaria avviene in via posticipata;
• rateo attivo: è un credito legato ad un costo che si trova a cavallo tra due esercizi, matura con
il decorrere del tempo e per il quale la manifestazione finanziaria avviene in via posticipata.

I risconti sono una particolare categoria di RETTIFICHE DI STORNO.


Sono quote di costo o di ricavo non di competenza che si trovano a cavallo tra due esercizi, maturano
con il decorrere del tempo e che hanno manifestazione finanziaria anticipata; questi devono essere
rinviati all’esercizio successivo.
I risconti sono una tipologia di rimanenze; la differenza sta nel fatto che mentre le rimanenze sono
costi o ricavi che per intero avranno manifestazione finanziaria nel futuro e che vanno rinviati
all’esercizio successivo, i risconti sono delle “quote di costo o ricavi”, che solo in parte si
manifesteranno in futuro.

Fanno riferimento a una componente economica.


• risconto attivo: è una quota di costo a cavallo tra due o più esercizi che matura con il decorrere
del tempo e per il quale il pagamento è avvenuto in via anticipata; è la quota che non è di
competenza e che deve essere rinviata al futuro;
• risconto passivo: è una quota di ricavo a cavallo tra due o più a cavallo tra due o più esercizi
che matura con il decorrere del tempo e per il quale il pagamento è avvenuto in via anticipata;
è la quota che non è di competenza e che deve essere rinviata al futuro;

Esempio: l’affitto di un capannone prevede una quota mensile di 1000€. Ad ottobre del 2020
paghiamo anticipatamente 6000€ che vanno a ricoprire in totale 6 mesi di affitto. I 6000€
comprenderanno allora:
- 3 mesi del 2020, da ottobre a dicembre (3000€);
- e 3 mesi del 2021, da gennaio a marzo (3000€). Questi 3000€ allora saranno un costo di
competenza dell’anno successivo, quindi bisogna effettuare delle rettifiche di storno per rinviarli
Esempio RATEO – Pagamento posticipato
Abbiamo acceso un mutuo in banca e le rate mensili vengono pagate il 10 di ogni mese e hanno
interessi pari a 1000€. Il 10/01 pago in via posticipata gli interessi della rata che riguarda il periodo
10/12-10/01. Al 31/12 in contabilità non vengono rilevati gli interessi. In realtà dei 1000€ una parte
sarà di competenza dell’esercizio in chiusura, mentre una parte sarà di competenza dell’esercizio
successivo. Nello specifico:
➢ 2/3 di 1000 saranno di competenza dell’anno 1 (20 giorni su 30)
1000 2/3 = 666 → quota di competenza dell’anno 1
➢ 1/3 di 1000 sarà di competenza dell’anno 2 (10 giorni su 30)
1000 1/3 = 333 → quota di competenza dell’anno 2
Tramite una rettifica di imputazione si inseriscono i 666 nell’anno 1, rilevando:
- il costo per interessi passivi su mutui;
- un debito presunto verso la banca, con il conto finanziario RATEO PASSIVO.

Dal punto della vista della banca: la banca sa che il 10/01 incasserà 1000€ di interessi, di cui 666€
saranno di competenza dell’esercizio in chiusura.
Dovrà fare una scrittura di imputazione nella quale inserirà una componente positiva di reddito,
l’interesse attivo, e rileverà contemporaneamente il credito nei confronti del soggetto finanziato.
In questo caso si avrà un RATEO ATTIVO, ovvero una quota di ricavo di competenza che si deve
inserire nell’esercizio in chiusura, per un importo pari a 666€.

Esempio RISCONTO – Pagamento anticipato


La rata mensile di affitto di una bottega è pari 1000€ e viene pagata il 10 di ogni mese. Il 10/12
pago in via anticipata la rata per il periodo 10/12-10/01.
In contabilità il pagamento di questa rata viene rilevato nell’anno 1 al 31/12, come costo di affitti
passivi, poiché la rata è stata pagata in via anticipata.

In realtà però dei 1000€ una parte sarà di competenza dell’esercizio in chiusura, mentre una parte
sarà di competenza dell’esercizio successivo. Nello specifico:
➢ 2/3 di 1000 saranno di competenza dell’anno 1 (20 giorni su 30);
1000 2/3 = 666 → quota di competenza dell’anno 1
➢ 1/3 di 1000 sarà di competenza dell’anno 2 (10 giorni su 30).
1000 1/3 = 333 → quota di competenza dell’anno 2

Se non facessimo nulla, alla fine dell’anno ci troveremmo in contabilità la voce “Costi di affitti
passivi” per 1000€.
Bisogna effettuare una correzione, attraverso una rettifica di storno, utilizzando un conto chiamato
RISCONTO ATTIVO: togliamo ai 1000 la parte che non è di competenza di quell’anno, pari a 333,
rinviandoli all’anno successivo.

Dal punto di vista dell’azienda che affitta la bottega, questa sa che incasserà anticipatamente i
1000€, che però non sono tutti di competenza; dovrà allora rinviare i 333 all’esercizio successivo.
In questo caso si avrà un RISCONTO PASSIVO.
EQUAZIONE DELL’EQUILIBRIO ECONOMICO DI BREVE PERIODO
Ci si trova in una condizione di equilibrio economico quando i ricavi di competenza sono in grado
di coprire i costi ed eventualmente di generare un utile (anche molto piccolo).
Utilizzando il metodo reddituale, ipotizziamo di avere un reddito positivo e di avere un utile (U).

U = RC- CC DOVE RC = RICAVI DI COMPETENZA


CC = COSTI DI COMPETENZA

CC + U= RC → EQUILIBRIO ECONOMICO DI BREVE PERIODO

Troviamo i costi di competenza → Cc = (F x p) + Rai - Raf


• Fxp → i costi di competenza che si sono manifestati durante l’esercizio
dove F = fattori produttivi
p = relativo prezzo
• Rai → rimanenze attive iniziali: i costi che vengono dall’esercizio precedente
A questi dobbiamo togliere i costi non di competenza, ovvero:
• Raf → rimanenze attive iniziali: i costi che vanno rimandati all’esercizio successivo

Troviamo i ricavi di competenza → Rc = (Q x P) + Rpi - Rpf


• QxP → i ricavi che si sono manifestati durante l’esercizio
dove Q = quantità dei prodotti/servizi venduti
P = relativo prezzo di vendita

• Rpi → rimanenze passive iniziali: i ricavi che vengono dall’esercizio precedente


A questi dobbiamo togliere i costi non di competenza, ovvero:
• Rpf → rimanenze passive finali: i ricavi che vanno rimandati all’esercizio successivo

Riscriviamo allora l’equazione, sostituendo Cc e Rc.

CC + U= RC → (F x p) + Rai - Raf + U = (Q x P) + Rpi - Rpf

In economia è preferibile utilizzare segni positivi, per cui eliminiamo i segni negativi, passando Raf
e Rpf negli altri membri. Otterremo allora l’equazione:
Rai + (F x p) + Rpf + U = Rpi + (Q x P) + Raf
CAP 8 - L’INFORMATIVA ESTERNA SUI RISULTATI
La contabilità generale è un sistema informativo aziendale che ha come obiettivo quello di generare
informazioni utili (relativi al reddito e al capitale) ai vari portatori d’interesse sia interni che esterni
e che utilizza come strumento principale per fare le sue rilevazioni il conto.

IL CONTO
Il conto è un prospetto che contiene un insieme di scritture (annotazioni) intestate ad un
determinato oggetto semplice (il denaro) e che ha come scopo quello di rilevare:
- qual era la consistenza iniziale dell’oggetto (il valore iniziale);
- quali sono state le variazioni che ha subito in un arco temporale;
- la sua consistenza finale (il saldo alla fine di tali operazioni).

I conti vengono raccolti in un registro chiamato libro mastro e di conseguenza prendono il nome di
conti del mastro. Esso è il documento che rappresenta tutti i conti con le loro variazioni.

Forma del conto


Graficamente, il conto può assumere diverse forme, secondo il tipo di rappresentazione delle 2
sezioni. Vi sono:

1) conti a sezioni divise e contrapposte (forma tradizionale), adatti per determinare un risultato
complessivo contabile.
Le due sezioni del conto per convenzione sono denominate DARE (sezione di sinistra) e AVERE
(sezione di destra). Le variazioni positive vengono messe in DARE (+), quelle negative in AVERE (-).

La somma algebrica delle due sezioni permette di ottenere il saldo del conto.

2) conti a sezioni divise e accostate


Dove vi è una colonna grande per la descrizione e le colonnine piccole per i valori.

3) conti a forma scalare


il conto è monosezione per cui potrebbe far incorrere in confusione oppure potrebbe mascherare
alcune cose (ricavi e costi sono collocati all’interno di un’unica colonna).

3) altre forme.
La partita doppia
Il metodo utilizzato per rilevare le operazioni di gestione è quello della partita doppia, cioè un
metodo di scrittura contabile che permette di registrare le operazioni aziendali in modo simultaneo
e antitetico su due serie di conti, allo scopo di determinare il reddito di un dato periodo
amministrativo e di controllare i movimenti monetari-finanziari della gestione.

La partita doppia dunque tiene conto di un duplice aspetto di osservazione: finanziario ed


economico, e a tal proposito si distinguono conti di natura finanziaria e conti di natura economica.

Conti finanziari
Per convenzione, i conti finanziari accolgono:
• in DARE → variazioni finanziarie positive: sono entrate di denaro (adesso o in futuro)
oppure l'estinzione di un debito.
• in AVERE → variazioni finanziarie negative: sono uscite di denaro (adesso o in futuro)
oppure l'estinzione di un credito.

DARE AVERE
VF+ VF-
• + denaro • - denaro
• + crediti • - crediti
• - debiti • + debiti

Conti economici
Per convenzione, i conti economici accolgono:
• in DARE → variazioni economiche negative
• in AVERE → variazioni economiche positive

I conti economici si distinguono in:


o CONTI DI REDDITO: accolgono solo costi e ricavi;
o CONTI DI CAPITALE: accolgono solo variazioni di capitale proprio, in particolare:
IN DARE: decrementi di capitale proprio
IN AVERE: incrementi di capitale proprio

Di reddito Di capitale
DARE AVERE DARE AVERE
VE- VE+ VE- VE+
• + Costi • + Ricavi - Capitale + Capitale
• Rettifiche • Rettifiche di
di ricavi costi
CONTO ECONOMICO
Il conto economico fornisce una rappresentazione delle variazioni di reddito che sono intervenute
nel corso dell’esercizio e che hanno portato alla determinazione del reddito d’esercizio.

CONTO ECONOMICO → FILM DELLA SITUAZIONE REDDITUALE AL 31/12.

- Racchiude solamente conti economici di reddito (costi e ricavi), ad eccezione del saldo (in quanto
l’utile è un conto di capitale).
- Nel Codice Civile è previsto che il Conto Economico abbia una struttura a forma scalare.

SCHEMA DI CONTO ECONOMICO (in sintesi)


A) Valore della produzione
B) Costi della produzione
A-B: Differenza tra valore e costi della produzione
C) Proventi e oneri finanziari
D) Rettifiche di valore di attività e passività finanziarie
E) Proventi e oneri straordinari
Risultato prima delle imposte (A - B +/- C +/- D +/- E)
Imposte sul reddito di esercizio
Utile o perdita di esercizio

- Per capire com’è strutturato il Conto Economico, ci serviamo dell’equazione della condizione di
equilibrio a breve termine: Rai + (F x p) + Rpf + U = Rpi + (Q x P) + Raf.
Con questa equazione abbiamo rappresentato il contenuto del Conto Economico, o Prospetto del
reddito, ovvero il Conto con cui si va a determinare il reddito d’esercizio, cercando di capire quali
sono state le variazioni reddituali che hanno determinato il reddito d’esercizio.

A sinistra vi sono le componenti negative di reddito, mentre a destra vi sono quelle positive.
Facendo la differenza tra le componenti positive e negative, si determina il reddito di esercizio.
• Se quelle positive saranno maggiori di quelle negative, si avrà un UTILE;
• Se invece quelle negative saranno maggiori di quelle positive, si avrà una PERDITA; in tal caso
si sposterà da una parte o dall’altra per far bilanciare il conto.

PROSPETTO DEL REDDITO


CONTO ECONOMICO
• Rai : Rimanenze attive iniziali • Rpi : Rimanenze passive iniziali
(costi provenienti dall’esercizio precedente) (ricavi provenienti dall’esercizio
• (F x p): costi manifestati finanziariamente precedente)
nell’esercizio • (Q x P): ricavi manifestati
finanziariamente nell’esercizio
• costi imputati all’esercizio non ancora
manifestatesi finanziariamente (F x P) • ricavi imputati all’esercizio non ancora
manifestatesi finanziariamente (Q x P)
• Rpf : Rimanenze passive finali
(ricavi rinviati all’esercizio successivo) • Raf : rimanenze attive finali
(costi rinviati all’esercizio successivo)
UTILE O PERDITA
CONTO ECONOMICO
Codice Civile
STATO PATRIMONIALE
Lo stato patrimoniale fornisce invece una rappresentazione del patrimonio dell’azienda alla fine
dell’esercizio, sia da un punto di vista analitico (con tutte le sue attività e passività) , che da un punto
di vista sintetico (come valore del capitale netto).
STATO PATRIMONIALE → FOTOGRAFIA DEL PATRIMONIO AL 31/12.

Mentre il Conto economico racchiude solo conti economici, lo Stato patrimoniale racchiude:
- conti finanziari (entrate, debiti, ratei attivi);
- conti economici di capitale (capitale sociale, utile/perdita, eventuali riserve);
- conti economici di reddito accesi a costi sospesi (rimanenze di magazzino, immobilizzazioni,
rimanenze attive finali risconti attivi) o ricavi sospesi (rimanenze passive finali).

Per patrimonio si intende l’insieme dei beni e dei diritti al netto delle obbligazioni a disposizione
dell’azienda per lo svolgimento dell’attività produttiva. In altri termini è l’insieme delle risorse attive
e passive a disposizione dell’azienda in un determinato momento per svolgere il processo
produttivo.
Lo Stato patrimoniale è quindi formato da due sezioni chiamate:
• ATTIVITA’ o impieghi (cioè i beni e i diritti dell’azienda)
• PASSIVITA’ o fonti (le obbligazioni, cioè i debiti dell’azienda nei confronti di terze economie)

SCHEMA DI STATO PATRIMONIALE (in sintesi)


ATTIVITA’ PASSIVITA’
• Crediti verso soci per versamenti ancora • Capitale netto
dovuti * • Fondi per rischi ed oneri
• Trattamento di fine rapporto (Rappresenta
• Immobilizzazioni → FFR
un debito: è quella somma che è
- Materiali (fabbricati, impianti, attrezzature)
accantonata e destinata ad essere versata al
- Immateriali (diritti di brevetto, avviamento)
dipendente alla fine del rapporto).
- Finanziarie (i crediti di finanziamento: titoli
di stato, ecc.). • Debiti (di breve e lungo termine)
• Ratei passivi (debiti presunti) e risconti
• Attivo circolante: i beni utilizzati a rotazione
passivi (ricavi sospesi)
(FFS)
- Rimanenze (materie prime, prodotti finiti
non ancora venduti, semilavorati, ecc.);
- Crediti (di funzionamento, crediti
commerciali);
- Attività finanziarie
- Disponibilità liquide
• Ratei e risconti attivi

*Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti: perché i soci all’inizio dicono di voler sottoscrivere
ad esempio 100€ come capitale proprio, però effettivamente ne inseriscono soltanto il 25 % e
successivamente il restante 75%. Per il 75%, avviene il richiamo da parte dell’azienda. Fino a quando
questo non rientra, l’azienda sarà creditrice verso i soci.
EQUAZIONE DEL CAPITALE NETTO:
Capitale netto = Attività – passività
Anche scritta
Attivo = netto + passivo
Se le attività > passività => capitale netto positivo
Se le attività < passività => capitale netto negativo (DEFICIT)

Come si è già detto, il reddito d’esercizio non può essere determinato con il metodo patrimoniale
perché reddito e patrimonio vengono calcolati contemporaneamente.

Vediamo perché attraverso un esempio:

A fine anno abbiamo un conto economico in cui vengono inseriti:


• quei costi e quei ricavi che hanno avuto manifestazione finanziaria nell’esercizio e sono stati
quindi contabilizzati;
• le rimanenze attive iniziali, ovvero i costi che vengono dall’esercizio precedente e che vengono
inseriti nell’esercizio in corso;
• le rimanenze passive iniziali, ovvero i ricavi che vengono dall’esercizio precedente e che
vengono inseriti nell’esercizio in corso.

Ma al 31/12 ci chiediamo se tutti i costi e i ricavi sono di competenza dell’esercizio. Possono infatti
esservi dei costi e dei ricavi non di competenza.

Vengono effettuate allora delle rettifiche di storno per rinviare i costi e i ricavi non di competenza.
Tali rettifiche si rifletteranno anche sullo stato patrimoniale (lo stesso accadrà per le rettifiche di
imputazione dove andrò a movimentare valori sia nel c.e. che nello s.p.).

- Per quanto riguarda i costi non di competenza, essi vengono sottratti, rinviati e messi nell’avere
del conto economico come rettifica di costo, in quanto si tratta di una variazione positiva (- costi)
→ Rimanenze attive iniziali.
- Contemporaneamente dobbiamo rinviarli all’anno successivo inserendoli nello stato patrimoniale
come rimanenze attive iniziali (coincidenti con le rimanenze attive finali).
Lo stato patrimoniale rappresenta il legame tra l’esercizio corrente e quello futuro: lo stato
patrimoniale di chiusura di un esercizio sarà lo stesso dello stato patrimoniale di apertura
dell’esercizio successivo, determinando quindi un collegamento tra i due.
Se non facessimo questo passaggio questa rettifica di storno del costo andrebbe persa nell’anno
successivo, per tale motivo occorre memorizzarlo come costo sospeso nell’attivo dello stato
patrimoniale. Lo stesso accade per i ricavi sospesi che andranno invece nelle passività.
Conto economico

DARE (-) AVERE (+)


Rimanenze attive iniziali Rimanenze passive iniziali
Costi sostenuti durante l’esercizio Ricavi avuti nell’esercizio
Rimanenze passive finali [storno di ricavi] Rimanenze attive finali (-costi) [storno di costo]
Costi imputati Ricavi imputati

Stato patrimoniale

Attivo Passivo
Costi sospesi Ricavi sospesi
Credito presunto Debito presunto

Per quanto riguarda invece le rettifiche di imputazione, in questo caso abbiamo sia un aspetto
economico che un aspetto finanziario (ratei).
Vi possono infatti essere dei costi e dei ricavi di competenza che devono essere integrati
all’esercizio, ma che al 31/12 non sono visibili per essere contabilizzati.
Quando facciamo questa imputazione nel conto economico, ci troviamo ad inserire nel passivo dello
stato patrimoniale un debito presunto (fattura da ricevere: sappiamo di aver fatto l’acquisto ma non
abbiamo la fattura che ci permette di rilevare il debito nei confronti del fornitore e quindi si ha un
debito presunto) dello stesso valore, quindi a seguito della rettifica verrà inserito un valore nel
conto economico nel dare e nello stato patrimoniale la sua incidenza sarà finanziaria ovvero un
debito presunto nelle passività.
Pertanto non possiamo conoscere il capitale netto finale se prima non abbiamo svolto queste
operazioni di rettifica e determinato il reddito.
STATO PATRIMONIALE
Codice civile
PROSPETTO DI STATO PATRIMONIALE

ATTIVITA’ PASSIVITA’
(Investimenti) (Fonti)
Componenti finanziarie

Denaro Debiti di funzionamento


Banca c/c Debiti di finanziamento
Crediti di finanziamento Ratei passivi
Crediti di funzionamento Fondi per rischi
Ratei attivi Fondi per spese future
Componenti economiche

Fattori a fecondità ripetuta (tra cui i risconti Ricavi anticipati


attivi) → rimanenze (costi sospesi)
Risconti passivi
Fattori a fecondità semplice → rimanenze
(costi sospesi)
(materie prime, prodotti in corso di
lavorazione, semilavorati, prodotti finiti)
Capitale di proprietà

Capitale conferito dalla proprietà (in fase di


costituzione e in momenti successivi)
- prelievi di capitale della proprietà
+- redditi generati dalla gestione
IL BILANCIO D’ESERCIZIO
Il bilancio è un documento di sintesi finale in cui è rappresentata:
- la situazione economica dell’azienda, intesa come capacità di produrre reddito durante l’esercizio;
- la situazione finanziaria/patrimoniale dell’azienda, intesa come composizione del patrimonio e i
relativi equilibri.
Il bilancio deve essere obbligatoriamente pubblicato (sul sito dell’azienda o presso la Camera di
commercio), per poter permettere ai soggetti esterni e non, di comprendere l’andamento aziendale.
L’azienda è infatti parte di un sistema più ampio e il fatto di renderne pubblico il bilancio permette
a chiunque voglia di osservarne i risultati. Tra i soggetti interessati al bilancio vi sono:
• soggetti esterni, tra cui gli azionisti che hanno investito nell’azienda (che dovrebbero anche
approvarlo con il percorso di approvazione in assemblea); anche i possibili azionisti futuri che in
base ai risultati osservati nel bilancio decideranno se investire o meno nell’azienda;
• anche i soggetti interni all’azienda, in quanto il bilancio e la sua analisi sono uno strumento per il
controllo della gestione.

Il bilancio è composto da alcuni prospetti:


• Conto economico
• Stato patrimoniale
Conto economico e stato patrimoniale sono i prospetti principali del bilancio d’esercizio. Sono
definiti “conti di estrema sintesi” in cui vengono riassunte tutte le variazioni che sono
intervenute nel corso dell’esercizio e che sono state fatte a seguito di rettifiche di storno e
d’imputazione.
• Nota integrativa, è un documento nel quale nel quale vengono descritte e approfondite le
singole voci del conto economico e dello stato patrimoniale, confrontandole anche con l’anno
precedente. Indica se sono stati fatti dei processi valutativi.
• Relazione della gestione: viene fatta come introduzione del bilancio per descrivere
sinteticamente com’è andata la gestione, cosa è stato fatto e se ci sono delle operazioni che sono
avvenute già nel nuovo esercizio e che potrebbe essere utile conoscere perché si possono
interpretare meglio i risultati dell’anno di cui si sta facendo il bilancio.
• Rendiconto finanziario: è un prospetto nel quale si rappresentano i flussi di cassa dell’azienda,
ossia le operazioni che hanno portato a delle variazioni positive (generazione di denaro) e
negative (utilizzo del denaro). E’ un documento da poco diventato obbligatorio (dal 2015).
Nello Stato Patrimoniale infatti non si riescono a vedere i flussi di liquidità dell’azienda, mentre il
Rendiconto Finanziario ci permette di verificare se l’azienda effettivamente è in equilibrio
finanziario.
Per essere redatto, il bilancio deve rispettare dei principi contabili nazionali e internazionali:
➢ i primi forniscono indicazioni, oltre che per la redazione e la forma da adottare, su come stabilire i
valori delle operazioni di rettifica (tali operazioni implicano di stabilire un certo valore come le
rimanenze, le immobilizzazioni, i crediti etc..) e sono orientate al principio della prudenza;
➢ i secondi sono quelli a cui devono conformarsi le società quotate (non danno vincoli strutturali).
L’ANALISI DI BILANCIO
Il bilancio di esercizio ha l’obiettivo di consentire al lettore di comprendere l’andamento di
un’azienda, valutandone:
- la situazione economica: per comprendere se l’azienda opera in condizioni di equilibrio economico
e comprendere anche come è stato raggiunto o non raggiunto;
- la situazione finanziaria: per comprendere se l’azienda opera in condizioni di equilibrio finanziario;
- la situazione patrimoniale: per comprendere il rapporto tra capitale proprio e capitale di terzi,
quindi capire se l’azienda è indebitata oppure no, come si finanzia, ecc.

L’analisi di bilancio è quindi quell’insieme di regole e procedura che permettono di comprendere


correttamente le informazioni contenute nel bilancio, che, così com’è pubblicato, non è
immediatamente pronto e leggibile. Il lettore deve sapere come interpretare le grandezze e come
confrontarle per stabilire un giudizio positivo o negativo sull’andamento aziendale.

Come effettuare l’analisi di bilancio


Il punto di partenza per effettuare l’analisi di bilancio, è constatare se l’azienda si trova in equilibrio
economico di lungo termine. Successivamente si vanno ad individuare degli indici di bilancio, per
poterli confrontare con quelli delle altre aziende. E’ però necessario riclassificare il conto economico
e lo stato patrimoniale.

EQUILIBRIO ECONOMICO DI LUNGO PERIODO


L’equilibrio economico di breve termine, individuato attraverso la sua equazione, era utile per
capire il concetto di competenza economica, di rimanenze attive e passive, per capire com’è
strutturato il conto economico. Per verificare invece se un’azienda si trova in una condizione di
equilibrio economico di lungo periodo, non basta produrre un reddito positivo.

Esempio → investo 100 milioni di euro e l’azienda produce ogni anno un reddito positivo di 1000
euro: l’equilibrio economico a breve termine è rispettato, ma 1000 euro di reddito l’anno rispetto al
capitale non rappresentano una situazione soddisfacente perché il capitale non viene remunerato
adeguatamente.
Per determinare l’equilibrio economico di lungo termine è necessario che gli azionisti siano
soddisfatti e che il capitale proprio sia adeguatamente remunerato: bisogna quindi stabilire un
processo logico e comune che stabilisca quale sia in generale la giusta remunerazione del capitale.

Processo per determinare la remunerazione attesa da parte degli azionisti:


Bisogna capire qual è la remunerazione che gli azionisti si aspettano rispetto agli investimenti
effettuati nell’azienda.
Per gli azionisti è fondamentale effettuare l’analisi di bilancio perché essi hanno la necessità di capire
come sta andando il loro investimento, in quanto vorrebbero ottenere una certa remunerazione del
capitale investito ed essere di conseguenza soddisfatti.
Gli azionisti, nel caso di inadeguata remunerazione, hanno la possibilità di fare degli investimenti
alternativi che potrebbero essere investimenti privi di rischio. Ovviamente nella realtà non esiste
l’assoluta mancanza del rischio, ma vi sono degli investimenti molto sicuri in cui il rischio è quasi
nullo.
Investimenti privi di rischio
Un esempio di investimenti con basso rischio potrebbero essere i titoli di Stato.
E’ infatti difficile che uno Stato possa fallire, anche se ciò non è da escludere (si pensi alla Grecia).
L’Italia, ad esempio, avendo un debito pubblico molto alto, non è estremamente sicuro. Ma se si
pensa a stati come la Germania o gli Stati Uniti, risulta impensabile che possano fallire.
Talvolta le risorse ottenute dallo Stato dal pagamento delle imposte da parte dei cittadini non sono
sufficienti in un singolo anno per effettuare investimenti (ad esempio per costruire autostrade, ponti,
ecc). Lo Stato può allora decidere di farsi prestare denaro dai propri cittadini o da quelli di altri paesi,
emettendo titoli di stato.
I titoli di stato sono quote di debito pubblico che lo Stato contrae nei confronti dei cittadini, e che
deve essere restituito.
In Italia prendono il nome di:
BOT → Buono ordinario del tesoro
BTP → buono del tesoro poliennale.
L’indicatore che ci fa capire la percezione dei mercati sulla rischiosità dell’Italia è lo spread, cioè la
differenza di rendimento tra i titoli di stato italiani a 10 anni (BTP) e gli equivalenti titoli pubblici
tedeschi. Il confronto con i titoli tedeschi nasce dal fatto che la Germania è il paese europeo
considerato privo di rischio ed è caratterizzata da una certa stabilità (differentemente dall’Italia, che
ha un grande debito pubblico e per cui gli investimenti sono più rischiosi).
Se lo spread si alza, aumenta il grado di rischiosità: sarà un fattore negativo perché lo Stato deve
riconoscere un tasso d’interesse più alto, altrimenti non otterrà prestiti perché i mercati percepiscono
che la rischiosità è maggiore.
Per capire il rendimento atteso dagli azionisti:
• partiamo dal cosiddetto RISK FREE RATE, ovvero il rendimento che si ottiene da un
investimento privo di rischio. In realtà esso non è sufficiente, perché si deve tenere in conto
che investire nell’azienda è rischioso (tanto maggiore è il rischio più sarà alto il rendimento
che ci si aspetta);
• al Risk Free Rate bisogna quindi aggiungere il cosiddetto PREMIO PER IL RISCHIO, cioè un
premio conferito all’azionista per aver investito in un’attività rischiosa (indica l’ulteriore
rendimento che si aspetta chi investe in attività rischiose).
Rendimento atteso per il rischio dall’investitore = Risk free rate + premio per il rischio =
Il rendimento atteso dall’investitore è anche detto costo opportunità del capitale, detto anche
Costo Equity (Ke): indica ciò (il rendimento più sicuro) a cui gli investitori sono disposti a rinunciare
per investire all’interno dell’azienda, assumendo un rischio maggiore.
Il Ke diventerà un punto di riferimento per capire se le grandezze del bilancio sono soddisfacenti o
meno.
EQUAZIONE DELL’EQUILIBRIO ECONOMICO DI LUNGO PERIODO
1- Per determinare l’equazione di equilibrio economico di lungo periodo, partiamo dall’equazione
di equilibrio di breve termine:

Cc + U = Rc → Equazione di equilibrio economico di breve termine

Nel lungo periodo a cambiare è il costo: si parla di costo economico tecnico che, oltre a
comprendere tutti i costi che si sono manifestati nell’esercizio e quindi sono stati sostenuti
dall’azienda, comprende anche i cosiddetti oneri figurativi, ovvero quei costi che in realtà non
vengono sostenuti dall’azienda, ma che devono essere presi in considerazione. Esempi di oneri
figurativi sono:
- il salario direzionale, ovvero lo stipendio che dovrebbe essere pagato al direttore, ma che non
viene pagato perché il direttore è il proprietario dell’azienda;
- l’affitto figurativo, ovvero se l’immobile è di proprietà dell’azienda, questa non pagherà l’affitto.

Esempio 1: in un’attività commerciale di telefonia, si sostengono una serie di costi (luce, costi
personale, costi di acquisizione) però il titolare che lavora nell’attività non prenderà uno stipendio,
ma, una volta conseguito un utile, preleverà da lì la sua parte. Il costo del lavoro non si troverà quindi
in contabilità, ma deve essere considerato (salario direzionale) perché prenderà una parte di utile.
Esempio 2: Un altro esempio è quando si ha un locale, non si paga l’affitto e non viene contabilizzato,
ma è ovvio che se l’attività viene ceduta l’affitto dovrà essere pagato e quindi quando si deve
valutare l’equilibrio economico si deve considerare anche questo costo.

C* = oneri figurativi + altri costi → costo economico tecnico

2- Sappiamo che i ricavi (R) devono coprire tutti i costi ed eventualmente produrre un UTILE.
In questo casi si avrà un profitto (α) che è un extra reddito (surplus), cioè la quantità di reddito che
eccede il minimo di convenienza economica (reddito che soddisfa gli investitori).

3- L’equazione sarà quindi data da:


C* + α = R → EQUAZIONE DI EQUILIBRIO ECONOMICO DI LUNGO PERIODO
1° - RICLASSIFICAZIONE DEL CONTO ECONOMICO
Il conto economico, nonostante la struttura prevista dal Codice Civile sia fortemente migliorata con
la Quarta Direttiva Ceca (avvenuta già decenni fa), introducendo una forma scalare che consente di
intravedere dei risultati intermedi, non è ancora totalmente adeguato per poter svolgere l’analisi di
bilancio e quindi va riclassificato.
La riclassificazione ha come obiettivo quello di suddividere le componenti positive e negative di
reddito in relazione all’area gestionale di appartenenza (operativa, accessoria, finanziaria e
straordinaria). Essa può seguire due strutture diverse: struttura a valore aggiunto e struttura a
ricavi e costi del venduto.

STRUTTURA A VALORE AGGIUNTO: utilizza una struttura molto simile alla struttura attuale
del bilancio del Conto economico che si trova nel Codice Civile. E’ diviso in macro-aree:
A) VALORE DELLA PRODUZIONE: legata all’attività operativa. Indica il valore di ciò che è stato
prodotto durante l’esercizio (quindi non considera le materie prime che devono essere lavorate).
+ Ricavi di vendita (per i prodotti finiti già venduti); il ricavo di vendita, da solo, non è espressione della
produzione ottenuta, ma si deve guardare la variazione che hanno subito le rimanenze di beni che hanno
subito un processo produttivo.

± Variazione delle rimanenze di prodotti finiti e semilavorati:


(+) in incremento se il magazzino aumenta; quindi considera le rimanenze finali (i prodotti che non sono
ancora stati venduti, ma che effettivamente sono stati prodotti nell’esercizio);
(-) in decremento se diminuisce, nel caso in cui si vende più di quanto è stato prodotto; quindi non
considera le rimanenze iniziali, ovvero ciò che ci ritroviamo proveniente dall’esercizio precedente.
+ Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni (hanno luogo quando l’azienda decide di produrre da
se le immobilizzazioni, oltre quei beni che normalmente vende, e dato che è possibile che non ce la fa a
produrli in un anno, nascono degli incrementi del valore delle immobilizzazioni che deriva dal fatto che
hanno fatto loro dei lavori internamente, cioè che hanno prodotto in economia).

B) COSTI DELLA PRODUZIONE: tutti i costi che vengono sostenuti durante l’esercizio.
+ Costi di acquisto (per materie prime, per personale, per servizi).

± Variazioni delle rimanenze di materie prime, merci, materiali di consumo


(+ rimanenze finali di materie prime, - rimanenze iniziali di materie prime).

A-B) DIFFERENZA TRA A E B = VALORE AGGIUNTO: esprime la capacità dell’azienda di creare


ricchezza per coprire gli altri costi. Togliendo i costi del personale, si ottiene il MAL:
MARGINE OPERATIVO LORDO: indica la ricchezza residua dopo aver retribuito il personale e
rappresenta una prima misura dell’autofinanziamento operativo. Ad esso, togliamo gli
accantonamenti, gli ammortamenti otteniamo il:
REDDITO OPERATIVO o EBIT: (Earnings before interest and taxes) indica invece il reddito generato
dalla gestione caratteristica (ovvero la gestione ordinaria); costituisce un margine molto importante
in quanto rappresenta il risultato conseguito dall’impresa a prescindere dalle modalità di
finanziamento adottate, dal livello di tassazione e dalle eventuali componenti straordinarie.
Andremo infine ad aggiungere o togliere i risultati dell’area finanziaria e dell’area straordinaria,
ottenendo il REDDITO LORDO, a cui togliamo le imposte, ottenendo il REDDITO NETTO.
STRUTTURA A VALORE AGGIUNTO
A) VALORE DELLA PRODUZIONE
1) Ricavi di vendita
2) Variazioni dei prodotti finiti, semilavorati e in corso di lavorazione
+ rimanenze finali di prodotti finiti
- rimanenze iniziali di prodotti finiti
+ rimanenze finali di semilavorati
- rimanenze iniziali di semilavorati
3) Variazioni di lavori in corso di ordinazione
4) + Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni
B) COSTI DELLA PRODUZIONE
6) Per acquisti di materie prime
7) Per servizi
9) Per il personale (salari e stipendi, TRF, ecc).
……
11) Variazioni delle rimanenze di materie prime
+ rimanenze finali di materie prime (non usate)
- rimanenze iniziali di materie prime
TOTALE (B) → (A-B) :
DIFFERENZA VALORE DELLA PROD. E COSTI DELLA PRODU.
Valore della produzione
- Costi della produzione
= VALORE AGGIUNTO
- Costi per il personale
= MARGINE OPERATIVO LORDO o EBITDA
- accantonamenti, ammortamenti, svalutazioni
= REDDITO OPERATIVO o EBIT

+/- Risultato dell’area finanziaria (interessi attivi o passivi, dividendi)


+/- Risultato dall’area straordinaria (oneri e proventi straordinari)
= REDDITO LORDO
- imposte
= REDDITO NETTO
STRUTTURA A RICAVI E COSTI DEL VENDUTO: utilizza come prima voce i Ricavi di vendita, e
non il valore della produzione. La differenza tra le due strutture sta nella parte iniziale, ovvero
quella parte che porta alla determinazione del reddito operativo.

Ricavi di vendita Costo del venduto = + costo della produzione ottenuta


- Costo del venduto (ciò che è stato sostenuto per la
produzione)
= REDDITO OPERATIVO o EBIT
- rimanenze finali di prodotti finiti
+/- gestione finanziaria
(non sono stati venduti)
+/- gestione straordinaria + rimanenze iniziali di prodotti finiti
(possono essere comunque vendute
+/- gestione accessoria nell’esercizio che consideramo)
= REDDITO NETTO
CALCOLO DEGLI INDICI DI BILANCIO
Dopo aver effettuato la riclassificazione è possibile calcolare gli indici di bilancio chiamati anche
indici di redditività che permettono di misurare la capacità delle diverse aree di gestione di generare
un certo rendimento del capitale investito.

Tra i più importanti abbiamo:

• ROE : RETURN OF EQUITY → Indica la redditività del capitale proprio


Esso ci dice quanto rende il capitale proprio.
𝑅𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜 Reddito netto: la remunerazione che rimane a chi investe il capitale
ROE = proprio.
𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑜
Capitale/netto proprio: il capitale investito dagli azionisti

Esso viene confrontato con il Ke (il costo opportunità del capitale proprio), il quale è un benchmark,
cioè un parametro che ci permette di determinare il rendimento atteso dagli azionisti.
➢ se ROE >= Ke allora si raggiunge il livello di redditività soddisfacente: l’azionista sarà soddisfatto.
➢ se ROE < Ke allora non si raggiunge il livello di redditività.
Per avere un altro punto di riferimento, è possibile effettuare un confronto:
- nello spazio: confrontando il ROE dell’azienda al ROE del settore; si spera che la redditività
dell’azienda sia almeno uguale a quella del settore;
- nel tempo: confrontando il ROE attuale con quello di esercizi precedenti.

• ROI : RETURN OF INVESTMENT → Indica la redditività del capitale investito


nell’area caratteristica
Esso rappresenta la redditività di tutti gli investimenti, a prescindere da come sono
stati finanziati (con capitale proprio o capitale di terzi).
Reddito operativo = è il reddito dell’area caratteristica, che
comprende solo i costi e i ricavi dell’attività tipica.
𝑅𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑜𝑝𝑒𝑟𝑎𝑡𝑖𝑣𝑜 k = investimenti accessori che determinano proventi non tipici (totale
ROI = impieghi - debiti commerciali)
𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑡𝑜−𝑘
Capitale investito = da informazioni sul tot. del capitale usato
dall’azienda a prescindere se sia stato finanziato con capitale proprio
o di terzi.

Esso è utile per capire come viene utilizzato tutto il capitale impiegato, per capire se è stato
utilizzato in maniera efficiente o no.
Visto che noi ci stiamo concentrando sull’area caratteristica e quindi sull’attività tipica di gestione,
il reddito che prendiamo deve essere relativo a quello che viene investito appunto in quest’area; gli
elementi che generano reddito extra caratteristico non sono inclusi.
Ma per sapere se questo indice è soddisfacente oppure no, dobbiamo fare i soliti confronti, nello
spazio con le altre aziende nel settore e nel tempo con la stessa azienda.
Possiamo anche confrontare il ROI con il tasso di interesse del capitale preso a prestito (i) e pagato
alle banche. E’ la cosiddetta “leva finanziaria” è un indicatore che da informazioni sulla situazione
di indebitamento dell’azienda. Viene infatti chiamata anche “indice di indebitamento”.
Essa è utile nella scelta delle fonti di finanziamento da utilizzare per realizzare un investimento, ossia
nella scelta tra capitale proprio o capitale di terzi.
La formula che esprime la leva finanziaria è la seguente:

ROE = [ROI + (ROI – i) ∙ Debiti finanziari / Capitale proprio] ∙ (1 – aliquota fiscale)

ROE = [ROI + (ROI – i) D/CN] (1- a)


dove D/CN indica l’indebitamento.

• Se cresce il ROI crescerà anche il ROE (c’è il segno +).


• Se crescono le imposte (a), il ROI diminuirà (c’è il segno -).

Analizzando la relazione tra il ROI e il costo dell’indebitamento (i), possiamo determinare l’effetto
che l’indebitamento determina sulla redditività del capitale proprio, quindi sul ROE.

➢ EFFETTO LEVA NULLO → Se il ROI = i, la scelta tra capitale proprio e capitale di terzi
non produce alcun effetto sul ROE.

➢ EFFETTO LEVA POSITIVO → Se ROI > i → crescerà l’indebitamento (poiché ROI – i sarà
positivo, e quindi anche l’indebitamento D/CN sarà positivo); di conseguenza crescerà anche il
ROE.

Nel linguaggio comune, si è soliti sostenere che se ROI > i, allora all’azienda conviene
indebitarsi, poiché crescendo l’indebitamento cresce anche la redditività del capitale proprio
(ROE). E’ chiaro che bisogna indebitarsi entro certi limiti: se ci si indebita troppo, aumenterà il
rischio di insolvenza e verrà percepito un rischio maggiore; se l’azienda viene percepita come
più rischiosa, ci sarà un duplice effetto:
1- i soggetti che avevano investito il capitale proprio pretenderanno un rendimento maggiore,
quindi anche se cresce il ROE non è detto che cresca al livello tale da soddisfare gli azionisti;
2- potrebbe anche aumentare il tasso di interesse i, quindi la differenza ROI – i potrebbe
diventare negativa e di conseguenza provocare un impatto negativo sul ROE.

Quando il ROI è maggiore del tasso di interesse, succede che dall’area caratteristica si riesce a
produrre un reddito che intanto va a pagare gli interessi, e il resto sarà utile per generare
reddito netto, e se questo cresce e il capitale netto è rimasto lo stesso; quindi cresce il
numeratore, il denominatore rimane lo stesso, quindi il ROE cresce.

➢ EFFETTO LEVA NEGATIVO → Se ROI < i → più ci si indebita, più si andrà incontro a delle
perdite, quindi conviene ridurre il ricorso al capitale di terzi, perché il suo aumento provoca un
effetto negativo sul ROE.
Il ROI si può ulteriormente scindere in altri due rapporti. Partendo dalla formula del ROI,
moltiplichiamo nominatore e denominatore per i ricavi di vendita (S).
𝑅𝑜 ∙ 𝑆
ROI =
𝐶𝐼 ∙ 𝑆
Riscriviamo come:
𝑅𝑜 𝑆
ROI =
𝑆 𝐶𝐼

Troviamo così altri due indici di bilancio:


𝑅𝑜
• ROS = : RETURN OF SALES → Misura la redditività delle vendite.
𝑆
Esso indica cioè qual è il reddito operativo che si riesce ad ottenere da ogni euro di
fatturato.

Può dipendere dai costi e dai ricavi. Per aumentare il ROS, si ridurranno i costi di produzione o si
aumenta il prezzo di vendita, o il fatturato.

𝑆
• ROD = 𝐶𝐼 → RETURN OF DEBT → Tasso di rotazione del capitale investito

Valuta l’onerosità del capitale di terzi: cioè quante volte, grazie alle vendite, il capitale
torna in forma liquida.

Se si vuole capire perché il tasso di rotazione del capitale investito è basso bisogna andare ad
indagare se c’è un problema di prezzo o di costi. I motivi, infatti, potrebbero essere che:
- la redditività delle vendite sia molto bassa a causa di prezzi di vendita eccessivamente bassi;
- prezzi di vendita giusti, ma i costi sostenuti per produrre quel bene sono troppo elevati.
Allora o si riducono i costi, o si aumentano i prezzi di vendita per aumentare i ricavi.

(Esempio 1: i supermercati si accontentano di un ROS basso perché anche un piccolo margine gli
consente di ottenere redditività di ROI elevata, in quanto hanno tante vendite e quindi il capitale
investito torna in forma liquida molto velocemente.
Invece in un negozio di occhiali il margine di ricarico che viene applicato è molto elevato perché la
rotazione del capitale tornerà in forma liquida molto più lentamente perché ci saranno meno
vendite).

(Esempio 3: se si ha un bar con un tavolo solo, se al tavolo si siede una persona sola che ordina un
caffè, il ROD sarà più basso (poiché il fatturato sarà uguale al prezzo del caffè); ma se nello stesso
tavolo si siedono più persone che ordinano più cose, è chiaro che il fatturato sarà più alto e di
conseguenza il ROD.)
2°- RICLASSIFICAZIONE STATO PATRIMONIALE
Nel Codice Civile per lo Stato Patrimoniale è stata preferita una struttura a sezioni divise e
contrapposte, che elenca le voci sia nell’attivo che nel passivo per natura, a prescindere dalla
scadenza a lungo o breve termine. Tuttavia questa forma non considera la liquidità dell’azienda.
Dobbiamo allora riclassificare lo stato patrimoniale per capire se l’azienda sta rispettando gli
equilibri finanziari e patrimoniali (se l’azienda è in grado di poter adempiere nel tempo ai suoi
obblighi di pagamento).
La riclassificazione utilizza una struttura che tiene conto di un criterio finanziario, con cui si
raggruppano:
- le attività, cioè gli investimenti, in base al loro grado di liquidità, cioè alla loro attitudine a procurare
mezzi di pagamento attraverso la normale gestione aziendale.
- le passività, cioè le fonti, in base al loro grado di esigibilità, cioè alla loro attitudine a richiedere
mezzi di pagamento alla naturale scadenza.
Seguendo la logica finanziaria, troveremo:
o in alto tutte le voci che rientrano in forma liquida più lentamente (lungo periodo);
o in basso invece le voci che rientrano in forma liquida più velocemente (nel breve termine).

ATTIVITA’ PASSIVITA’
Voci che si trasformano in liquidità più Voci che implicano un pagamento a lungo
lentamente (lungo termine) termine
Voci che si trasformano in liquidità più Voci che implicano un pagamento a breve
velocemente (breve termine) termine

Parliamo di IMPIEGHI (com’è stato impiegato il denaro) e FONTI (come abbiamo ottenuto il denaro):

IMPIEGHI FONTI
Attivo fisso (immobilizzato) Patrimonio netto CAPITALE PROPRIO:
• immobilizzazioni materiali Ciò che viene
• immobilizzazioni finanziarie conferito dai soci
Attivo circolante Passività consolidate
• Rimanenze di magazzino (debiti nel medio/lungo termine)
CAPITALE DI TERZI
• Liquidità differite Passività correnti
• Liquidità immediate (debiti nel breve termine)
SI RIESCONO
CAPITALE INVESTITO CAPITALE ACQUISITO
A COPRIRE?
ATTIVITA’-IMPIEGHI:
Nell’attivo immobilizzato, tra le immobilizzazioni finanziarie vi sono soltanto quelle che scadono
oltre l’esercizio successivo, mentre quelle che scadono entro l’esercizio successivo saranno tra le
liquidità differite nell’attivo circolante.
Nel attivo circolante ci sono tutte quelle componenti attive che sono in forma liquida o che si
trasformeranno in forma liquida entro l’esercizio successivo.
In “magazzino” può esserci anche una parte di beni che non circola, cioè scorte di sicurezza che
non vengono pertanto inserite nell’attivo circolante ma nell’attivo immobilizzato.
Il totale degli impieghi sarà il capitale investito.

PASSIVITA’-FONTI:
Il patrimonio netto è messo in alto perché seguendo la logica finanziaria il capitale proprio non ha
vincolo di restituzione e quindi non vi è un termine di restituzione a breve o medio/lungo termine.
Le passività consolidate indicano invece i debiti a medio/lungo termine che devono essere pagati
oltre l’esercizio successivo.
Le passività correnti sono i debiti che dovranno essere pagati entro l’esercizio successivo.
Il totale delle fonti sarà il capitale acquisito.

Grazie a questa struttura si può capire immediatamente se gli equilibri sono mantenuti.
Per capire se si riesce a coprire i debiti a breve termine, si fanno delle differenze tra componenti
dell’attivo e componenti del passivo, trovando dei margini, ad esempio il:

Margine di tesoreria → [(Liquidità immediate + Liquidità differite) – debiti a breve termine]


E’ opportuno che tale margine sia positivo, perché ciò significa che si riescono a coprire i debiti a
breve termine con l’attivo circolante formato dalla liquidità disponibile, ovvero quei che si devono
pagare entro l’esercizio successivo.
Tuttavia è accettabile anche un risultato leggermente negativo perché bisogna anche considera le
rimanenze, in quanto sono beni che almeno in parte verranno venduti e quindi si otterrà del denaro,
che permetterà di pagare i debiti.

Un altro margine da guardare è il capitale circolante netto, che si può calcolare in due modi:
1)
CAPITALE
= [(rimanenze + liquidità differite + liquidità immediate) – debiti a breve]
CIRCOLANTE
ATTIVO CIRCOLANTE
NETTO

2) CAPITALE
CIRCOLANTE = [(capitale proprio + debiti a medio/lungo termine) – attivo fisso]
NETTO

Viene chiamato “circolante” perché sono quelle voci che riguardano gli elementi rigirano
velocemente nel corso di un anno.
CALCOLO DEGLI INDICI FINANZIARI
Piuttosto che utilizzare i margini, è opportuno utilizzare gli indici.
Al posto del margine di tesoreria, si può utilizzare l’indice di liquidità.

• L’indice di liquidità è dato da:

Liquidità immediate + Liquidità differite


indice di liquidità =
debiti a breve termine
E’ opportuno confrontare l’indice di liquidità della singola azienda con quello del settore o
verificarne il suo andamento negli anni per stabilire se sia positivo o negativo.

L’indice che esprime il Capitale circolante netto è l’indice di disponibilità.


• L’indice di disponibilità dato da:
Rimanenze + Liquidità immediate + Liquidità differite
indice di disponibilità =
debiti a breve termine
Anche in questo caso, è opportuno confrontare l’indice di disponibilità della singola azienda con
quello delle altre aziende.

• Vi è poi l’indice di auto-copertura dell’attivo fisso: indica la parte dell’attivo fisso che viene
finanziata con il capitale proprio.
Capitale proprio
indice di auto-copertura =
attivo fisso

Fornisce un’indicazione sulla solidità patrimoniale dell’azienda, perché l’attivo fisso (l’insieme delle
immobilizzazioni) è in buona parte coperto con capitale proprio, che non ha vincoli di restituzione.
In tal caso nel passivo non ci sarà nessun debito quindi anche nel caso di un periodo di difficoltà non
ci sarà il rischio di fallimento.
Nel caso contrario, in cui il capitale proprio è bassissimo e non basta per acquistare le
immobilizzazioni, l’azienda dovrà rivolgersi a terzi, chiedendo dei prestiti (ad esempio ad una banca)
che dovrà restituire nel medio lungo termine: pertanto nell’attivo comparirà un aumento delle
immobilizzazioni, mentre nel passivo comparirà un debito a m/l termine che dovrà essere restituito
gradualmente con degli interessi.
Se l’azienda va bene, sarà in grado di generare flussi di liquidità che consentono di pagare
periodicamente le rate del prestito; ma se l’azienda si trova in difficoltà e non avrà i flussi necessari
per estinguere il debito (verrà quindi a mancare l’equilibrio finanziario), la banca potrebbe chiedere
il rimborso totale del prestito e quindi portare l’azienda al fallimento.
CAP 9 - CONFIGURAZIONI DI CAPITALE
Il capitale è l’insieme dei beni e dei diritti a disposizione dell’azienda per lo svolgimento dell’attività
produttiva al netto delle obbligazioni.
Distinguiamo 3 diverse configurazioni di capitale:

• CAPITALE DI FUNZIONAMENTO: è il capitale netto determinato alla fine di ciascun


esercizio. Si chiama “di funzionamento” perché si tratta del capitale riferito ad un’azienda in
funzionamento. Quindi è il capitale che viene fuori dalla rappresentazione della situazione del
patrimonio alla fine dell’esercizio e sarà dato dalla differenza tra attività e passività.
CAPITALE NETTO = Attività - Passività
Esso viene determinato insieme al reddito di esercizio, poiché utilizza gli stessi criteri di
valutazione (Reddito di esercizio = capitale alla fine dell’esercizio – capitale all’inizio
dell’esercizio)
Una sottoclasse di questo capitale è il capitale di bilancio.

• CAPITALE ECONOMICO: è la rappresentazione del patrimonio complessivo dell’azienda,


quindi stabilisce il valore dell’azienda nel suo complesso e guardando al futuro, analizzando non
solo i dati di bilancio ma anche la sua capacità di produrre reddito nel futuro.
Esso è dato dal rapporto:
𝑅𝑒𝑑𝑑𝑖𝑡𝑜 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑠𝑝𝑒𝑡𝑡𝑖𝑐𝑜 𝑓𝑢𝑡𝑢𝑟𝑜
Capitale economico =
tasso di attualizzazione

Il reddito medio prospettico futuro è una previsione dei redditi futuri, che dovrà poi essere
attualizzata (cioè i valori dovranno essere portati ad oggi), utilizzando il tasso di attualizzazione
(che sarebbe il rendimento atteso: comprenderà inflazione, deflazione, ma anche il costo
opportunità) per ottenere il capitale economico.

• CAPITALE DI LIQUIDAZIONE: è il capitale che viene valutato quando l’azienda si deve


liquidare, cioè quando cessa la sua attività produttiva (o per fallimento o perché si decide
volutamente di interrompere l’attività): vengono pagate le passività con le attività e ciò che
rimane, definito come valore della liquidità, viene distribuito tra i soci.
Si deve stimare anche il prezzo a cui potranno essere vendute le immobilizzazioni, anche se
alcune di quelle immateriali, come i costi di ampliamento, non possono essere vendute, quindi
avrà un valore di mercato pari a zero.

Dalla differenza tra i valori di liquidazione attribuiti alle attività e i valori di liquidazione attribuiti
alle passività (per i debiti solitamente si ha il valore nominale) si ottiene il capitale netto di
liquidazione.

Capitale netto di liquidazione = attività (con valore di liquidazione) – passività


(con valore di liquidazione)
L’avviamento
Al capitale economico e al capitale di liquidazione, è collegato il concetto di avviamento.
L’avviamento nel linguaggio economico, è quella condizione che esprime la capacità dell’azienda di
produrre un reddito superiore al minimo di convenienza economica.
Il reddito di minima convenienza economica è quel reddito che rende soddisfatti gli investitori del
capitale di rischio.
Si produce allora un valore maggiore grazie all’utilizzo di fattori specifici (come le competenze
tecniche, la fidelizzazione della clientela, il prestigio, la reputazione dell’azienda, ecc.).

L’avviamento di per sé, non ha un valore monetario, poiché appunto frutto di una serie di fattori
immateriali, e non può essere scritto in bilancio, perché si contraddirebbe il principio della prudenza
(se abbiamo detto che dobbiamo evitare di sopravvalutare le attività e sottovalutare le attività,
considerando l’avviamento, si incrementerebbero le attività).

Lo scriviamo nello stato patrimoniale solo quando è acquisito a titolo oneroso, cioè quando, ad
esempio, acquisiamo un’altra azienda e la incorporiamo con la propria, oppure acquisiamo un ramo
acquistiamo sia il valore contabile, sia un’altra cosa in più che è proprio l’avviamento

In bilancio l’avviamento lo troviamo tra le attività dello Stato Patrimoniale, nella voce
“Immobilizzazioni immateriali” (poiché è un’immobilizzazione priva di consistenza fisica).

Si determina dalla differenza:

AVVIAMENTO = Capitale economico – Capitale di liquidazione


CAP 11 - CONTROLLO DEGLI ANDAMENTI DELLA GESTIONE

Analisi dei flussi di gestione


Il bilancio di fine esercizio darà informazioni utili a livello economico, che ci servono per la
determinazione del reddito d’esercizio e del capitale di funzionamento.
Ma per comprendere qual è la situazione finanziaria dell’azienda bisogna osservare quali sono i
flussi di cassa durante e per effetto della gestione.
Il documento che viene inserito nel bilancio per osservare i flussi di cassa è il rendiconto finanziario.
[Si potrebbe osservare anche il capitale circolante netto (CCN), che considera anche tutte le attività
e le passività che si manifesteranno nel breve termine (quindi in futuro), e quindi risulta avere un
andamento molto più stabile, mentre la cassa può assumere valori molto differenti da un giorno
all’altro (per questo si parla di flussi di cassa)].

1) Per analizzare il flusso di cassa, si può utilizzare il budget di tesoreria, cioè un programma mensile
o trimestrale, in cui si prevede quali saranno le entrate e le uscite di cassa future effettuate nel
singolo periodo. Consente di tenere sotto controllo il totale delle entrate e il totale delle uscite di
cassa e in caso di squilibri permette di intervenire tempestivamente con delle azioni correttive.

2) Un altro modo per analizzare i cambiamenti è l’analisi dei flussi di cassa. Si tratta di un’analisi
tecnica che, partendo dallo stato patrimoniale e del conto economico, mostra le variazioni che le
singole operazioni di gestione determinano sulla cassa (impieghi e fonti di liquidità).

La differenza tra fonti di liquidità (aumento di cassa) e gli impieghi di liquidità (diminuzione di cassa)
genera la variazione della cassa. (Cassa iniziale +/- variazione di cassa = cassa finale).
In particolare:
Aumento di attività → se gli investimenti crescono, ci sarà un
IMPIEGHI DI LIQUIDITA’ impiego di liquidità
Diminuzione di passività → se

Diminuzione di attività → una riduzione delle immobilizzazioni o


FONTI DI LIQUIDITA’ riduzione dei crediti
Aumento di passività → aumento dei debiti

- se i crediti aumentano ci sarà un impiego di liquidità perché si concedono dilazioni di


pagamento e quindi si finanziano i clienti;
- se invece i crediti diminuiscono vuol dire che aumentano gli incassi e quindi le fonti di liquidità.

Il flusso di cassa può essere determinato anche attraverso l’utile di periodo, aggiungendo i costi non
monetari (costi di competenza che non hanno però determinato nel periodo un’uscita di denaro,
come i costi provenienti dall’anno precedente) e sottraendo i ricavi non monetari.
Un esempio tipico di costi non monetari è il costo d’ammortamento.
Programmazione e controllo della gestione
Per gestire un'azienda in modo consapevole, non è sufficiente conoscere e focalizzarsi sul fatto di
aver creato ricchezza o meno. Al fine di controllare gli andamenti di gestione, il manager dell’azienda
è interessato soprattutto a guardare al futuro. A questo ci viene incontro un nuovo sistema
operativo, definito “Programmazione e controllo della gestione”: si tratta di un meccanismo
operativo che consente ai manager di verificare se la gestione è efficace ed efficiente in coerenza
con gli obiettivi prefissati.

Esso si svolge con un meccanismo di feedback:


1) Innanzitutto si effettua la pianificazione strategica, in cui vengono definiti gli obiettivi di lungo
termine che l’azienda si prefissa di raggiungere. E’ solitamente rappresentata in un documento
chiamato “business plan”.
2) Vengono poi implementate delle azioni per raggiungere questi obiettivi, che determineranno dei
risultati.
3) Infine si effettuerà un confronto tra i risultati ottenuti e gli obiettivi prefissati, per verificare se
sono coerenti a questi ultimi.
4) Dal confronto tra i risultati e gli obiettivi si effettua un feedback, ovvero un flusso di informazioni
di ritorno, che serve, nel caso in cui non vengano raggiunti gli obiettivi, per andare ad individuare
l’errore, in modo da attuare delle azioni correttive. Queste andranno a verificare i comportamenti
e gli obiettivi:
- se l’obiettivo era corretto, vuol dire che l’errore riguarderà i comportamenti;
- se invece ci si rende conto che i comportamenti erano adeguati e non poteva essere fatto più di
quello che è stato fatto, allora probabilmente l’obiettivo era troppo ambizioso e occorrerà
riprogrammarlo.

STRUMENTI DI GESTIONE IN RIFERIMENTO AGLI OBIETTIVI


➢ Il budget è un documento in cui vengono inseriti e dettagliati gli obiettivi aziendali che vengono
assegnati ai responsabili di singole unità organizzative
Si articola in diversi budget settoriali, che riguardano specifici settori (il budget della vendita, il
budget della produzione, il budget degli acquisti, il budget del magazzino),. Questi vengono
sintetizzati nel budget globale, che è una previsione di quella che sarà la situazione economica,
finanziaria e patrimoniale dell’anno successivo.

➢ Vi sono poi i centri di responsabilità, cioè delle unità organizzative aziendali, in cui si svolgono
attività omogenee, dove viene individuato un responsabile a cui si assegnano degli obiettivi.
Si distinguono in:
- centri di costo, vanno a considerare le attività che incidono prevalentemente sui costi:
l’obiettivo è minimizzare i costi (es. reparto di produzione);
- centri di ricavo, vanno a considerare le attività che determinano i ricavi: la missione è
massimizzare un ricavo (es. reparto commerciale)
- centri di profitto, una sorta di sub-struttura organizzativa che considera le attività che incidono
contemporaneamente sia sui costi che sui ricavi: l’obiettivo è massimizzare la differenza tra
ricavo e costo.
STRUMENTI DI GESTIONE IN RIFERIMENTO AI RISULTATI
Con riferimento ai risultati è di fondamentale importanza oltre alla contabilità generale, anche
l’utilizzo della contabilità analitica.
Mentre la contabilità generale fornisce informazioni sintetiche sull’intera azienda, sulla sua
situazione economica e patrimoniale nel suo complesso, la contabilità analitica è più precisa, poiché
entra molto nel dettaglio, soffermandosi sull’analisi dei ricavi e dei costi di singoli prodotti, di singoli
processi, di singoli periodi temporali e di singole aree geografiche e così via, e oltre a guardare i
risultati passati considera anche quelli futuri.
Si tratta di una contabilità più soggettiva che prescinde dalla partita doppia, è in forma libera e non
è obbligatoria, anche se necessaria per la gestione aziendale e per prendere decisioni all’interno
dell’azienda. Essa non viene mai pubblicata all’esterno, ma è usata esclusivamente dai soggetti
interni (nello specifico coloro che prendono le decisioni nell’azienda).

CLASSIFICAZIONE DEI COSTI


In riferimento alla contabilità analitica, si distinguono costi:
• diretti: quei costi oggettivi, direttamente riferibili ad un determinato prodotto e in maniera
parametrica: quindi sono quei costi sostenuti ad esempio per acquistare un fattore produttivo, che
si possono calcolare in maniera oggettiva.
(Esempio: il legno usato per produrre la scrivania è un costo diretto, perché si può calcolare la
quantità di legno usata per la creazione della scrivania, so quanto mi è costato acquistarlo e posso
calcolare oggettivamente il suo costo);
• indiretti: quei costi sottoposti ad una valutazione soggettiva, per cui non è possibile una misurazione
parametrica, perché ad esempio contribuiscono alla produzione di più prodotti.
(Esempio: energia elettrica)

I costi possono essere classificati anche in base alla loro variabilità in:
• fissi: quei costi che non variano al variare della produzione (sono sempre gli stessi).
(Esempio: un macchinario: a prescindere da quanti pezzi produca, avrà sempre lo stesso costo;
l’affitto di un locale: a prescindere che venga effettivamente occupato o meno, si dovrà pagare);
• variabili: variano al variare della produzione: se non si produce niente, non viene sostenuto il costo.
Se viene sostenuto un costo costante è chiamato costo variabile unitario.
(Esempio: i costi diretti per lo più sono costi variabili. Se si pensa al legno usato per produrre la
scrivania, è ovvio che se non si produce la scrivanie, non si consumerà il legno e quindi il costo
variabile per il legno sarà 0).
Graficamente poniamo la quantità prodotta (Q) nell’asse delle ascisse e i costi (y) nell’asse delle
ordinate. La pendenza sarà data dal costo variabile unitario. (La retta dei costi variabili parte dalla
retta dei costi fissi, non dall’origine).
costi variabili
y Costo totale = Costi fissi + costi variabili

costi fissi

Q
BREAK EVEN POINT – Analisi del punto di pareggio (costi-volumi-risultati)
Rappresentando graficamente la retta dei ricavi totali e la retta dei costi totali, è possibile effettuare
l’analisi del punto di pareggio (o analisi costi-volumi-risultato), utile per programmare le attività
future e per valutare lo stato di equilibrio dell’azienda.

L’analisi del punto di pareggio consente di determinare qual è la quantità da produrre e vendere
per ottenere il pareggio economico, che si ha in corrispondenza nel punto in cui si eguagliano costi
totali e ricavi totali, chiamato Break even point. Consente di capire qual è il volume che si deve
generare per avere utile.
Graficamente: rappresentiamo la retta dei costi totali (unione CF e
R,C RT CV) e la retta dei ricavi totali (che sarà la bisettrice quando la
vendita è pari a 0 → a quantità 0, i ricavi ammontano a 0).
CT
La pendenza dei RT è data dal prezzo di vendita per ogni unità
BEP (ricavo unitario). Tanto più alto è il prezzo di vendita, maggiore è la
cf pendenza.
La pendenza dei CT è invece data dal costo variabile unitario.
• Più si produce, maggiore saranno gli utili (rette gialle), ovvero la
differenza tra i ricavi e i costi.
0 Q* Q • Invece, meno si produce, più si avranno delle perdite (rette
verdi).
NB. Stiamo considerano una situazione fisiologica, in cui il prezzo di vendita è maggiore dei costi variabili
totali e CT e RT si incontrano.
In una situazione patologica, invece, il prezzo di vendita è inferiore ai casti variabili totali, per cui più si
produce, più si genera una perdita. In tal caso è meglio dismettere il business.

L’analisi del punto di pareggi permette anche di visualizzare comodamente quali sono le leve a
disposizione del management, per cercare di spostare a sinistra il punto di pareggio se dovesse
trovarsi ad un livello non soddisfacente. Ad esempio, se l’obiettivo è produrre 1000 pezzi, ma ci
accorgiamo che possiamo produrne solo 800, dobbiamo far traslare verso il basso il punto di
pareggio, in corrispondenza di una quantità minore.
Si possono allora effettuare delle azioni (separatamente o contemporaneamente), come:
- incrementare il prezzo di vendita (quindi i ricavi) → aumento della pendenza della retta dei RT;
- diminuire il costo variabile unitario → riduzione della pendenza della retta dei CT;
- diminuire i costi fissi → traslando verso il basso la retta dei costi fissi.

RT = CT → condizione di pareggio
RT = CF + CV → p ∙ Q = CF + cvu ∙ Q
𝐶𝐹
Q* = → QUANTITA’ DI PAREGGIO dove p – cvu è detto MARGINE DI CONTRIBUZIONE
p−cvu

Il margine di contribuzione indica ciòche residua dal prezzo di vendita una volta coperti i costi
variabili e che contribuisce alla copertura dei costi fissi (ed eventualmente contribuisce anche alla
generazione di utile).
• margine di contribuzione unitario = prezzo di vendita - costo variabile unitario
mc = p – cvu
• MARGINE DI CONTRIBUZIONE COMPLESSIVO = ricavi complessivi - costi variabili complessivi
MC = (p ∙ Q) – (cv Q) = R – CV
CAP 12 - STRATEGIA AZIENDALE
Il termine "strategia" nasce in ambito militare, per indicare l’insieme delle regole, delle procedure,
dei programmi, delle azioni che i militari devono adottare per poter vincere una guerra. A tal
proposito, il primo lavoro che affronta il tema della strategia, e che fu anche utilizzato in ambito
economico e manageriale, è il compendio intitolato " L'arte della guerra", scritto da un generale e
filosofo cinese per mettere in risalto l'importanza della pianificazione, della conoscenza delle
proprie caratteristiche e di quelle del nemico per ottenere la vittoria.

In ambito economico infatti, con la crescita delle attività economiche è sorta l’esigenza di poter
riuscire, per poter sopravvivere, ad acquisire un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti,
soddisfacendo al meglio i bisogni e le aspettative dei clienti.

1) Per poter elaborare una strategia aziendale, il primo step è l’effettuazione di una pianificazione
strategica, un programma in cui vengono definiti gli obiettivi di lungo termine in maniera sintetica.
2) Successivamente si definiranno gli obiettivi a breve termine che permetteranno il raggiungimento
di quelli di lungo termine, definendo dei programmi più analitici.

Si sono sviluppati diversi filoni di studio e di applicazione della strategia nelle aziende. Tra le più
importanti applicazioni della strategia, ricordiamo la corporate strategy e la strategia competitiva.

CORPORATE STRATEGY
Con il termine corporate si fa riferimento all’insieme delle aziende, chiamate corporations, che
hanno differenti “business units”, cioè che operano in business differenti (in più aree strategiche
d’affari). Le business units sono delle particolari combinazioni di prodotto mercato-tecnologia: per
differenziare le business units fra di loro, si deve verificare se il prodotto o il mercato cui si rivolgono
o la tecnologia sono diversi.
(Esempio: la Yamaha produce sia motori, ma anche strumenti musicali).
Il principale problema delle business units è: essendo presenti in così tanti business, come fanno a
decidere tra i vari business in quali rimanere, da quale uscire o su quali investire ulteriormente?

La corporate strategy consiste allora in tutte quelle valutazioni che servono alle aziende per
decidere se e come investire o disinvestire dalle diverse aree di affari che fanno parte del proprio
portafoglio di business (insieme dei business in cui sono presenti).

Uno degli strumenti utilizzati dalla corporate strategy per la valutazione del portafoglio di business
è la matrice BCG, proposta negli anni ’70 dalla Boston Consulting Group, un’agenzia americana di
consulenza.
Matrice BCB
La matrice è una tabella in cui:
nella parte verticale è
rappresentato il livello di
crescita della business-unit
che può essere alto o basso;

nella parte orizzontale viene


rappresentata la quota di
mercato, cioè la % di fatturato
che la business-unit riesce ad
acquisire sul totale del
fatturato del mercato in cui
opera.

Sono rappresentati 4 diversi quadranti:

1) DOGS: raccoglie business che hanno un basso livello di crescita e una bassa quota di mercato,
cioè non hanno un buon rendimento. Sono quei business che potrebbero essere dismessi. In casi
eccezionali si può cercare di rilanciarli.

2) STARS: è l’opposto dei dog. Raccoglie business con alto livello di crescita e alta quota di mercato:
oltre a delle buone prospettive future si ha anche un buon rendimento attuale perché ha già una
posizione affermata nel mercato.

3) QUESTION MARK: raccoglie business con alto livello di crescita ma con una bassa quota di
mercato: in italiano significa “punto interrogativo”, poiché indicano una situazione di dubbio: questi
business solitamente si verificano quando si è ancora all’inizio del ciclo di vita, quindi non si sa se si
trasformeranno in Dogs o in Stars.

4) CASH COW: ha un basso livello di crescita ma un’alta quota di mercato: si tratta di business
maturi, che pur avendo acquisito un’alta quota di mercato non riescono a crescere. Infatti, se il
tasso di crescita non si innalza più di tanto, non ci sarà l’esigenza di fare investimenti, e il mercato
genererà flussi di cassa perché leader di un mercato maturo.
Non è necessario dismetterli, perché comunque vanno a generare liquidità, che verrà utilizzata per
investire nei Question Marks per farli trasformare in Stars.
STRATEGIA COMPETITIVA
La strategia competitiva fa riferimento alle strategie da seguire per il singolo business.
Dopo aver deciso su quale business operare, bisogna infatti stabilire delle strategie vincenti per
acquisire un vantaggio competitivo su tutte le altre aziende che operano nel settore.

In particolare, l’economista Porter ha individuato alcune opzioni di comportamento che potrebbero


rendere un business più competitivo, tra cui:
1. la leadership di costo , una strategia che si basa sulla competizione del prezzo: cioè ottenere
più clienti, offendo un prodotto simile a quello offerto dai concorrenti, ma ad un prezzo
inferiore. Per fare ciò è necessario riuscire a produrre mantenendo un’alta qualità, ma
abbassando contemporaneamente i costi di produzione.

2. la differenziazione, che consiste nella capacità di soddisfare le esigenze della clientela, offrendo
un prodotto che appaia differente rispetto a quello dei concorrenti. Si può distinguere il
prodotto anche attraverso la pubblicità, o packaging particolari.
3. la focalizzazione: si basa sulla capacità di ottenere un vantaggio strutturale in un segmento di
mercato inattaccabile degli altri, ovvero si basa su business di nicchia, focalizzandosi su una
specifica “nicchia” di clienti di cui si studiano le esigenze e i bisogno al fine di soddisfarli.

Secondo Porter, all’interno dell’arena competitiva troviamo 5 forze competitive essenziali:

• Concorrenti del settore:


• Fornitori, in quanto egli potrebbe decidere di fare un’integrazione verticale a valle (assorbe
le fasi successive della sua catena di produzione → esempio: azienda produttrice di
automobili che assorbe anche la rete di distribuzione di auto). Un’altra minaccia è il suo
potere contrattuale, in quanto se egli è l’unico fornitore può imporre all’azienda ciò che
vuole.
• Clienti, a causa del potere contrattuale che ha (può stabilire i prezzi) e del fatto che può
realizzare un’integrazione verticale a monte. (esempio: una catena di giocattoli che non
acquista più dal fornitore perché ha realizzato un’integrazione verticale e quindi diventa
concorrente del fornitore).
• Prodotti sostitutivi, in quanto il cliente può decidere di acquistare il prodotto che realizza
l’azienda o un altro totalmente diverso che però alla fine soddisfa in ogni caso il bisogno→
rappresentano quindi una minaccia (esempio: burro e margarina).
• Potenziali nuovi entranti, non si devono soltanto considerare i concorrenti attuali, ma anche
quelli potenziali; ciò dipenderà dalle barriere in entrata del settore, che se basse potrebbero
permettere ai concorrenti di entrare nel mercato con più facilità.

La strategia aziendale può essere determinata anche con studi sulle risorse e competenze su
cui l’azienda deve investire definito come Resource based view.
(Target costing, consiste nello stabilire la funzione d’uso del bene e il prezzo che è disposto a
pagare il cliente per usufruirne, quindi il prodotto verrà realizzato rispettando i costi massimi
che permettono di non sforare il prezzo che i consumatori pagheranno.)
CAP 10 - ORGANIZZAZIONE AZIENDALE

LA DIVISIONE DEL LAVORO


Le aziende non sono semplici ingranaggi che lavorano da sole, ma tutte sono caratterizzate dalle
presenza di persone che lavorano al suo interno. Nel caso di ditta individuale, potrebbe esserci un
solo dipendente che svolge tutte le attività aziendali.
Ma quando le aziende cominciano a crescere e le persone cominciano a diventare tante, si pone il
problema di come organizzare il loro lavoro e le attività che dovranno svolgere.

Una delle modalità che normalmente vengono utilizzate per fare ciò, è quella della specializzazione
del lavoro, cioè specializzare le persone che lavorano all’interno dell’azienda in una certa tipologia
di attività.

➢ In particolare, tra le più diffuse, vi è la specializzazione di tipo funzionale, che consiste


nell’assegnare alle persone delle responsabilità relative a determinate funzioni.
Le funzioni sono un insieme di operazioni più o meno omogenee che richiedono competenze,
risorse, fattori produttivi, tecnologie, molto simili.
All’interno dell’azienda ci saranno ad esempio:
• addetti che si occuperanno della funzione di produzione, che avranno competenze più tecniche;
• soggetti che si occuperanno della funzione commerciale;
• soggetti che si occuperanno delle funzioni amministrative e così via…

La specializzazione funzionale potrebbe essere fatta anche con riferimento al territorio o al mercato
in cui si opera.
E’ il tipo di organizzazione più utilizzata perché permette all’azienda di affidare specifiche mansioni
a singoli soggetti, per i quali il vantaggio principale è quello di lavorare nel settore in cui hanno delle
competenze, e di migliorare le proprie capacità operative.

➢ Si può organizzare il lavoro anche in base al ruolo attribuito a tali soggetti, immaginando una
piramide gerarchica, al cui vertice ci saranno dei soggetti con maggiore potere decisionale e
maggiori responsabilità, e al di sotto dei collaboratori che seguono le direttive, che a loro volta
dirigeranno altri funzionari e così via.

Il ruolo, indica quindi, la posizione che un soggetto ha nella struttura gerarchica, indica quali sono
le sue responsabilità e il livello decisionale che possiede.

Quindi mentre la divisione per funzioni in base al tipo di attività svolta è una divisione orizzontale,
quando si presuppone che all’interno dell’azienda vi sia una gerarchia, che assegna responsabilità
diverse in base al ruolo che i soggetti assumono, la osserviamo da un punto di vista verticale.

Ruolo → livello gerarchico in cui si opera → divisione del lavoro verticale

Funzioni → tipo di attività svolta → divisione orizzontale


Come sappiamo, le attività svolte nell’azienda sono coordinate tra di loro e possono essere svolte
contemporaneamente. Per riuscire a stabilire un’adeguata struttura organizzativa dell’azienda,
devono essere individuati i collegamenti che esistono tra le attività svolte, che riguardano le
INTERDIPENDENZE e la COORDINAZIONE ECONOMICA.

ANALISI DELLE INTERDIPENDEZE


Possiamo distinguere le interdipendenze in 3 categorie:
• Interdipendenze reciproche, quando il legame di interdipendenza tra le attività è molto forte, per
cui non è facile prestabilire la sequenza in cui devono essere svolte: non esistono attività primarie e
secondarie ma sono tutte ugualmente importanti. Quindi non è facile individuare una sequenza
temporale delle attività perché vengono svolte contemporaneamente
(Esempio: sala operatoria).
• Interdipendenze sequenziali, fanno riferimento a quelle attività con un livello di interdipendenza
più basso, che si svolgono sequenzialmente, pertanto non si può svolgere un’attività se prima non
si è svolta quelle precedente. E’ possibile programmare queste attività più facilmente rispetto al
caso precedente.
• Interdipendenze generiche o economiche, fanno riferimento a quelle attività che hanno un legame
meno stretto, ma che comunque dopo essere state svolte hanno un impatto su tutte le altre.
Quindi dipendono da un risultato ottenuto in una certa sezione della divisione aziendale che avrà
un impatto anche su un’altra divisione.
Le attività possono avere livelli di complessità diversi, che variano in base alla varietà e alla variabilità
delle attività.

I MECCANISMI DI COORDINAMENTO E DI INTEGRAZIONE


Sorge spontaneo chiedersi quali sono i singoli percorsi che chi gestisce un’azienda segue per poter
coordinare tutti questi elementi. Distinguiamo diversi tipi di coordinamento delle attività, definiti
come meccanismi di coordinamento che possono essere:

• Coordinamento reciproco, si attua quando le attività sono legate da interdipendenza reciproca, e


quindi dipendono dalle competenze specifiche che ognuno possiede. In questo caso la
coordinazione non è semplice: le persone che svolgono quella determinata attività, si coordinano
tra di loro perché il livello di competenza richiesto è già molto alto per cui è difficile trovare un
soggetto che abbia un livello di competenze ancora più alto.
• Supervisione diretta, secondo cui le attività vengono coordinate da un soggetto che riesce a
collocarsi in una posizione di superiorità rispetto agli altri colleghi, e che quindi supervisiona le
attività di ogni persona. Tale soggetto deve avere delle competenze tali per cui, non solo riesca a
coordinare gli aspetti intangibili (motivazione del personale), ma deve avere anche delle
competenze tecniche più alte rispetto agli altri.
• Standardizzazione, riguarda attività con un livello di complessità inferiore (a causa di una minore
variabilità) che si svolgono sempre nello stesso modo e che quindi vengono standardizzate: si
stabilisce con sufficiente anticipo come dovranno essere svolte. I processi che devono essere svolti
verranno studiati da un soggetto competente che pensa alle varie fasi e ai tempi necessari.
(Esempio di standardizzazione più eclatante si aveva nel vecchio modello di produzione di massa).
STRUTTURE ORGANIZZATIVE
Soprattutto quando si parla di aziende di grandi dimensioni, è necessario progettare una struttura
organizzativa dei soggetti che svolgono le attività aziendali, utilizzando i cosiddetti “organigrammi”.
Gli organigrammi sono delle rappresentazione grafiche delle strutture organizzative, che si servono
dell’utilizzo di caselle e linee di collegamento.
- Le caselle indicano le posizioni organizzative;
- le linee invece indicano i legami gerarchici tra le varie posizioni organizzative, ma anche i legami di
comunicazione.
L’organigramma segue una dimensione orizzontale quando il lavoro è organizzato per funzioni,
mentre segue una dimensione verticale quando è organizzato per gerarchia (ruoli).
Incrociando ruoli e funzioni, vengono fuori diverse strutture organizzative: funzionale, divisionale e
a matrice.

1- STRUTTURA FUNZIONALE
La struttura funzionale è la struttura più semplice: in cui le persone vengono raggruppate in base
all’appartenenza alla stessa area funzionale, in cui si svolgono attività della stessa natura.
Vengono quindi assegnate alle varie unità organizzative, chiamate organi, sulla base delle rispettive
competenze tecniche e responsabilità. Ogni organo si occupa di una specifica funzione, e al suo
interno ciascun soggetto ricopre una posizione diversa, in base alla sua specializzazione.

Generalmente, l’organo con maggiori poteri e responsabilità è la direzione, in cui il direttore


generale ha il compito di assegnare le direttive a tutti gli altri organi sottostanti, che possono
riguardare: la produzione, la vendita, l’amministrazione e controllo, e così via.

Vi saranno il direttore della produzione, quello delle vendite, quello dell’amministrazione, che
staranno alle direttive del direttore generale. Ciascun direttore gode di propria autonomia e non
può dare ordini al direttore di un altro organo.

Al di sotto dei vari direttori, ci saranno dei sub-responsabili che a loro volta avranno al di sotto
singole posizioni lavorative:
- ad esempio nella produzione potremmo trovare i responsabili della produzione di diversi prodotti
oppure responsabili della logistica, degli stabilimenti ecc..
- nelle vendite ci saranno invece i responsabili delle promozioni, della distribuzione..
- nell’amministrazione i responsabili della contabilità, del controllo, della pubblicazione dei bilanci.

Vi possono anche essere degli organi di supporto, DIRETTORE


GENERALE
che non coordinano direttamente nessuno:

ad esempio l’attività di controllo di gestione


Staff
normalmente è affidata ad uno staff, in quanto
genera informazioni utili alla direzione generale,
ma non dice cosa fare agli organi sottostanti. Amministrazione
Produzione Vendite
e controllo
La struttura funzionale è la forma organizzativa tipica della produzione industriale, che si fonda sulla
standardizzazione delle attività lavorative.

Vantaggi:
- il principale vantaggio di questo tipo di struttura è l’efficienza, in quanto si può ottenere un’elevata
specializzazione nei ruoli e una maggiore efficienza operativa in ciascuna funzione.
- Inoltre essa favorisce il raggiungimento di economie di scala: la struttura funzionale è adatta nel
caso della produzione di uno o pochi prodotti, e quindi si addice ad un’impresa che ha scelto di
focalizzarsi su un solo prodotto di qualità. (Se si producono molti prodotti, la struttura diventa molto
estesa e si genera un accumulo di decisioni e di responsabilità per il direttore di funzione, che deve
tenere sotto controllo più prodotti e più mercati di sbocco).

Svantaggi:
- il principale punto di debolezza è la lentezza con cui si risponde ai cambiamenti ambientali, che
richiedono un coordinamento tra i diversi organi. E’ infatti adatta alle aziende che operano in
ambienti stabili.
- Inoltre ogni funzione opera come se fosse una cosa a sé, spesso con il rischio di scarso
coordinamento rispetto alle altre e con difficoltà nel perseguire obiettivi comuni.

2- STRUTTURA DIVISIONALE
La struttura divisionale è invece adatta per le aziende più grandi (multi-prodotto o conglomerate):
le unità organizzative sono organizzate per divisioni, in base al prodotto, al mercato o al settore.

Da un punto di vista grafico, la rappresentazione è simile a quella della struttura funzionale, ma le


caselle non indicano le funzioni ma le divisioni (prodotti, servizi, gruppi di prodotti, ecc).

Nel caso di imprese multi-prodotto, ogni divisione si occuperà di un singolo prodotto e avrà una
struttura a sé che progetta, realizza e commercializza la propria linea di prodotto: avrà quindi un
direttore, ma anche un organo operativo.
(Esempio: la Yamaha, produce sia motociclette che strumenti musicali.)
E’ una struttura organizzativa che si basa sulla specializzazione del prodotto: l’azienda principale si
può diversificare in diversi business e si verrebbero a creare delle “sub-aziende” (divisioni).

Nel caso in cui la struttura sia organizzata in base al mercato in cui opera l’azienda, potrebbero
esservi, ad esempio, una divisione per mercato europeo, una per quello asiatico, una per quello
americano, e così via.

Vantaggi: migliore coordinamento delle


direttore attività della divisione e migliore
generale
misurazione delle performance di ciascuna
divisione rispetto alle altre.
Prodotto 1 Prodotto 2 Prodotto 3 Svantaggi: rischio di eccessiva focalizzazione
mercato europeo mercato asiatico da parte del manager sulla propria divisione.
mercat americano
3- STRUTTURA A MATRICE O MISTA
La struttura a matrice è un mix delle due precedenti (funzionale e divisionale) e cerca di sfruttarne i
punti di forza e di evitare le debolezze.

In pratica la struttura a matrice si sviluppa su entrambe le dimensioni: una tipicamente funzionale


e una divisionale (per prodotto o per mercato).

Il direttore generale coordina direttamente e contemporaneamente sia le funzioni che le divisioni:


in sostanza, chi lavora all'interno di una struttura a matrice ha due capi a cui fare riferimento . Da
un lato il manager funzionale che scorre verticalmente, e dall'altro il responsabile del progetto, che
scorre orizzontalmente.

Un esempio tipico di organizzazione a matrice è quella che prevedere più “project manager” (o
“product manager”, o “market manager” etc.) che sono responsabili di una specifica porzione di
business in senso orizzontale, e che attingono tempo e risorse dalle varie funzioni.
Vantaggi: il principale vantaggio è quello di coniugare al meglio la specializzazione e coordinamento.
Vi è infatti maggiore velocità nella comunicazione e nelle decisioni.

Svantaggi: lo svantaggio in un certo senso è che la struttura direzionale è più articolata in quanto si
sviluppa in due dimensioni, ed è quindi, necessario mantenere un forte equilibrio tra gli interessi dei
vari soggetti.
CAP 13 - CORPORATE GOVERNANCE
Le corporate governance sono le regole e i meccanismi che consentono nella realtà operativa di
determinare una specifica configurazione di soggetto economico.
Le aziende a proprietà concentrata costituiscono la maggioranza delle aziende nel mondo. Le loro
caratteristiche peculiari sono:
• La proprietà è detenuta da un ristretto numero di soggetti, spesso legati da rapporti familiari
• I proprietari esercitano il supremo potere decisionale e spesso si occupano anche di attività
operative all’interno dell’azienda

Potrebbero piacerti anche