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Paola Dubini - Management

Letteratura e sistema editoriale nell’Italia moderna e contemporanea (Università degli


Studi di Milano)

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PAOLA DUBINI - MANAGEMENT

Cap. 1: Le aziende

1.1 L’attività economica:

L’economia aziendale (o management) si occupa dell’attività economica  da intendere come


l’insieme delle imprese, organizzate con continuità attorno a un obiettivo comune (che può essere di
natura economica o non economica), che impiegano risorse ed energie per realizzare beni e servizi. Nel
considerare l’attività di queste imprese si deve anche tenere conto dell’ambiente competitivo in cui esse
operano.

1.2 Le persone e l’attività economica:


L'attività economica è rischiosa: quindi le relazioni tra soci, collaboratori, fornitori e clienti si basano da
un lato sulla fiducia, dall’altro sull’opportunismo. Chi partecipa all’attività economica porta contributi e
si attende ricompense; nel caso dei soci, tali contributi possono essere soldi, lavoro o immobili, nel caso
dei prestatori di lavoro sono competenze di varia natura e/o una rete di relazioni. Le ricompense
possono essere monetarie o meno, ma l’azienda deve fare in modo che ricompense e contributi
coincidano e non vi siano categorie all’interno dell’azienda che prevalgano su altre. Le aspettative dei
singoli devono convergere sulle finalità dell’azienda, in caso contrario la continuità dell’azienda
potrebbe essere messa a rischio, perché possono generarsi contrasti fra soci o fra lavoratori, che
potrebbero mettere in discussione la capacità dell’azienda di svolgere la propria attività. È necessario
quindi che i contributi di tutte le persone coinvolte siano combinati in un disegno unitario e coordinati
tra loro; l’azienda deve definire regole e strutture che facilitino il contemperamento degli interessi. Un
modo per fare ciò è gestire correttamente i flussi informativi e introdurre meccanismi di
coinvolgimento; i singoli devono poter intervenire nei processi decisionali attraverso meccanismi di
rappresentanza.

1.3 Gli elementi distintivi di un’azienda sono:


 durare nel tempo;
 cambiare nel tempo in continuazione;
 definire in autonomia i propri obiettivi e i mezzi per raggiungerli  in questo è fondamentale la
sostenibilità economica.

1.4 Il concetto di economicità:


Autonomia e continuità non possono verificarsi se l’azienda non è in grado di generare risorse
adeguate a finanziare il proprio sviluppo  questa capacità è detta economicità ed è la condizione
centrale per il funzionamento di un’azienda. Infatti:
 l’azienda deve poter ottenere risorse sufficienti per remunerare tutti i fattori di produzione
 se può fare ciò, l’azienda può definire in modo autonomo la propria traiettoria di sviluppo
 in mancanza di risorse, l’azienda può trovarsi costretta a cessare l’attività
 solo se dura nel tempo l'azienda può perseguire i propri obiettivi istituzionali
 se l’azienda non può sostenere la propria crescita, altre aziende si prenderanno carico di essa e
verrà meno l’autonomia.

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Affinché l’economicità si realizzi, devono realizzarsi 4 condizioni:


1. l’azienda deve essere in equilibrio reddituale  i volumi di vendita e i ricavi devono essere
superiori ai costi di realizzazione;
2. l’azienda deve essere efficiente: deve minimizzare gli sprechi e i costi e massimizzare i ricavi;
3. l’azienda deve essere in equilibrio monetario: in qualunque momento deve avere abbastanza
denaro da onorare i debiti in scadenza;
4. l’azienda deve remunerare adeguatamente tutti i fattori di produzione.

Non sempre queste quattro condizioni si realizzano insieme  ad esempio le nuove imprese hanno
difficoltà a raggiungere l’equilibrio reddituale nel breve periodo, ma riescono nel lungo periodo, perché
devono affrontare ingenti investimenti iniziali (Amazon). In altri casi, se le condizioni esterne sono
favorevoli, le aziende possono riuscire a produrre risultati adeguati, ma rischiano di essere troppo in
balia delle dinamiche esterne invece che della propria stabilità interna.

1.5 Le quattro categorie dei soggetti economici:

I soggetti economici sono 4:


1. famiglie: svolgono attività di consumo, autoproduzione e gestione del risparmio; il lavoro
svolto dai membri della famiglia serve ad acquistare beni e servizi, ma i risparmi si possono
investire o conservare. Le finalità della famiglia non sono di natura economica e mutano col
tempo.
2. imprese: le loro attività comprendono ricerca e sviluppo, acquisto di merci e servizi,
realizzazione del prodotto/servizi, promozione, commercializzazione, logistica,
amministrazione e organizzazione. Tutte queste attività sono interdipendenti e comportano
delle negoziazioni.
3. enti non profit: hanno carattere non economico; si tratta di aziende di servizi che nascono e
operano per iniziativa privata, con soci pubblici o privati che non possono distribuire utili o il
loro patrimonio tra associati, donatori e amministratori, poiché esso è legato ad uno scopo
specifico e non va usato per altri scopi.
4. enti della pubblica amministrazione: l’attività economica si realizza attraverso emanazione di
leggi e regolamenti, trasferimento di denaro per ridistribuire la ricchezza, produzione di beni
pubblici. Lo Stato interviene nella produzione di beni economici per due motivi: a) il bene è
considerato politicamente critico; b) lo Stato ritiene che lasciare la produzione del bene a
imprese private si otterrebbe un risultato non positivo per il benessere della collettività. Le
modalità con cui si realizza l’attività economica varia a seconda dell’area di intervento: la
produzione è importante a livello comunale, l’attività normativa riguarda lo sviluppo del sistema
economico-territoriale e l’attività di trasferimento è condizionata dalla possibilità di raccogliere
denaro autonomamente dai tributi.

1.6 L’interazione tra soggetti economici:


I quattro soggetti economici interagiscono tra loro: le famiglie lavorano presso le imprese/enti non
profit/pubblica amministrazione, ricevendo remunerazione; tale remunerazione rende possibile
l’acquisto di beni e servizi prodotti dalle imprese oppure forniscono risparmi alle imprese sotto forma
di investimento; le imprese possono ottenere finanziamenti da banche e istituzioni finanziarie che a loro
volta finanziano anche le famiglie. Tali relazioni possono essere complementari, sostitutive o
concorrenti. La relazione principale è quella di scambio, di solito di moneta o credito; il prezzo è il
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valore monetario attribuito al prodotto. Quando nello scambio il trasferimento del bene non avviene
contemporaneamente al trasferimento di moneta, si ha credito/debito di regolamento; quando
l’oggetto dello scambio è la disponibilità di mezzi monetari, si ha un credito/debito di prestito e il
prezzo di tale disponibilità è l’interesse.

Cap. 2: L’azienda come sistema di decisioni

2.1 Il processo decisionale e le decisioni dell’impresa:


L’attività economica si sostanzia in una serie di decisioni, determinate dall’obiettivo comune. L’insieme
di decisioni è il risultato di un processo collettivo e a seconda della complessità delle decisioni e
dell’impatto sull’azienda, cambiano i modi in cui tale processo si svolge, il numero di persone che
coinvolge e il loro ruolo. Le decisioni sono soggette a un continuo vincolo di scarsità di risorse, che
riguarda sia i fattori di produzione che quelli di consumo.

Le decisioni d’impresa riguardano principalmente:


 le modalità per garantire l’unitarietà di indirizzo e coerenza delle scelte;
 i confini dell’azienda;
 la dimensione dell’azienda, in termini di volumi o servizio producibile, che incidono sulle condizioni
di sostenibilità economica;
 la varietà delle attività;
 l’investimento in nuove attività;
 la configurazione del prodotto;
 le modalità di organizzazione del lavoro;
 le modalità di copertura del fabbisogno finanziario.

L’insieme delle decisioni determina una struttura aziendale, che presidia processi e operazioni. Tali
processi sono di natura: produttiva; distributiva; commerciale; amministrativa e finanziaria;
organizzativa; istituzionale e legale.

La configurazione di processi è influenzata dalle infrastrutture, dalle caratteristiche degli stabilimenti o


dalla presenza di macchinari dedicati, le quali a sua volta determinano specifici fabbisogni di
competenze e personale; l’attività economica determina così la formazione di patrimonio, associato
all’idea di valore creato nel tempo.

2.2 L’ambiente d’impresa:


Per ambiente d’impresa (o d’azienda) si intende l’insieme dei fenomeni esterni (attori esterni
all’azienda, sistema delle normative e degli usi, tecnologie) che possono condizionare la struttura e il
funzionamento dell’azienda. Il posizionamento dell’azienda rispetto all’ambiente in cui opera è
determinato dall’insieme delle decisioni.

L’ambiente d’impresa può essere competitivo oppure istituzionale.

2.3 L’ambiente competitivo:


È definito in termini di settori, mercati e relazioni (le quali sono di scambio, concorrenza e
collaborazione).

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I settori sono insiemi di aziende che offrono prodotti o servizi simili a specifiche categorie di clienti;
sono poi suddivisi in segmenti. Le imprese specializzate in settori agiscono su mercati specifici, intesi
come negoziazioni relative a volumi scambiati, prezzi e condizioni. L’esistenza di un mercato
presuppone continuità e frequenza negli scambi, i quali possono avvenire in diversi contesti e avere
caratteristiche differenti; un insieme di negoziazioni prive di continuità e regole condivise non
costituiscono un mercato. Il prezzo è condizionato dagli scambi all’ingrosso. Tanto maggiori sono gli
scambi e gli attori, tanto più il mercato è efficiente e il prezzo della specifica transazione si avvicina al
prezzo medio. Alcuni mercati sono imperfetti, perché il prezzo della transazione può oscillare a
seconda dell’occasione e non è possibile metterlo in relazione con le caratteristiche del prodotto
scambiato.

L’insieme delle imprese che appartengono a un dato settore, dei fornitori, distributori e clienti è definito
filiera; i diversi attori condizioneranno il valore generato per il cliente finale. Le caratteristiche di
fornitori e clienti condizionano la ripartizione di valore fra gli attori della filiera; si parla di potere
contrattuale la possibilità di fornitori e clienti di definire gli spazi di negoziazione fra le aziende. Le
decisioni di allargare il raggio di azione per comprendere attività tipiche di clienti e fornitori si
definisce integrazione verticale: innovazioni nella tecnologia e nella configurazione delle attività
permettono la disintermediazione degli attori. Si parla di prodotti sostitutivi quando uno stesso
bisogno può essere soddisfatto da aziende appartenenti a settori diversi. Una definizione allargata di
settore (che comprenda concorrenti, fornitori, clienti, potenziali entranti e fornitori di prodotti
sostitutivi) permette di valutare quanto un settore sia attrattivo, cioè possa fornire opportunità.

2.4 Concorrenza e cooperazione:


Tra le aziende possono instaurarsi rapporti di:
- concorrenza: due imprese sono in concorrenza quando si rivolgono allo stesso gruppo di
clienti e le loro scelte di configurazione del sistema di offerta determinerà la loro attrattiva
rispetto ai vari segmenti di mercato. La concorrenza dipende da diversi fattori, ma di solito va a
beneficio del cliente, perché le aziende tenderanno a migliorare l’offerta.
- cooperazione: spesso è dettata dalla necessità di coordinare gli sforzi in mercati diversi oppure
per esercitare azione di contrasto, oppure ancora spinti da rapporti di amicizia e fiducia.

La cooperazione da luogo ad aggregati interaziendali, che si distinguono per:


- configurazione istituzionale e giuridica:
o gruppo economico: è un’azienda definita dal punto di vista giuridico che raggruppa altre
aziende.
o associazioni formali di imprese: sono aziende giuridicamente definite che svolgono
attività di rappresentanza e promozione per i propri associati.

- grado di unitarietà di governo rispetto alle attività aggregate:


o acquisizione: l’azienda acquisita viene assorbita dall’azienda acquirente e le attività sono
progressivamente integrate.
o fusione: le aziende danno vita ad una nuova entità con unitarietà di governo condivisa, ma
attività in parte distinte.
o joint venture: le aziende rimangono separate, ma condividono il governo economico delle
attività messe in comune.

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o franchising: un’azienda sviluppa delle linee guida che saranno seguite in diversi contesti
territoriali.

- grado di formalizzazione degli accordi fra le imprese : per es. le associazioni informali di aziende
sono aggregati che si uniscono operando secondo modalità analoghe, ma non sono configurati dal
punto di vista giuridico.

NB: le relazioni tra attori sono dinamiche e possono essere influenzate dalle trasformazioni dei
settori/mercati, le quali dipendono dal ciclo di vita del settore e dal suo grado di concentrazione 
per es. la concentrazione societaria è necessaria in caso di riduzione del numero di operatori e di
crescita di ciascuno di essi. Inoltre le trasformazioni dei settori dipendono dalle scelte di configurazione
delle attività delle imprese che in essi operano, come ad esempio l’internazionalizzazione o la nascita di
nuovi ambiti competitivi.

2.5 L’ambiente istituzionale:


Due sono i fattori di produzione primari: il capitale e il lavoro.
 Il capitale può essere fornito a titolo di rischio o a titolo di prestito. Nel primo caso si diventa
soci e assieme alle risorse si condivide anche il rischio; nel secondo caso si fornisce del denaro
per un periodo stabilito, per poi farselo restituire a tempo debito con interessi e commissioni,
che costituiscono la remunerazione.
 La relazione fra prestatori di lavoro e azienda assume forme diverse in funzione della durata del
coinvolgimento e dell’esclusività della prestazione di lavoro. Le aspettative di ricompensa dei
conferenti capitale cambiano nel tempo: gli azionisti ricercano dividendi adeguati e costanti
come remunerazione, i quali dipendono dall’andamento dell’economia in generale; i prestatori
di lavoro si aspettano di avere un lavoro motivante, con adeguate remunerazioni monetarie.
Esistono anche altri interlocutori: lo stato e gli enti locali, che si aspettano che le imprese
rispettino le norme e paghino i tributi che forniscono risorse destinate alla collettività. Le
aziende sono spesso chiamate a prendere posizione rispetto ad istanze di vario tipo, quali lo
sviluppo del territorio, l’offerta di pari opportunità o la salvaguardia dell’ambiente.

2.6 Il posizionamento dell’azienda:


Le scelte compiute dall’azienda rispetto al suo ambiente definiscono il suo posizionamento, che risulta
dalle risposte a queste 5 domande:

1. Dove competere?  la scelta di dove competere (cioè in quale settore; NB: non tutte le aziende di
un settore sono in competizione tra loro) dipende sia dalle abitudini di consumo dei clienti sia dai
tassi di crescita nelle diverse parti del mondo. Ad influire in questa scelta sono soprattutto i fattori
critici di successo (key success factors)  ossia quelle ragioni che portano un gruppo di clienti a
preferire l’offerta di un’azienda piuttosto che un’altra. Tali fattori sono:
 funzionalità tecnica;
 basso costo d’acquisto;
 flessibilità d’uso;
 integrabilità, compatibilità, personalizzazione, scalabilità;
 soddisfacimento di bisogni di prestigio;
 appagamento di bisogni di solidarietà;

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 accessibilità, comparabilità e sperimentabilità del prodotto prima dell’acquisto.

2. Che cosa offrire?  significa come configurare il sistema di offerta, il quale si declina attraverso
4 elementi:
 le caratteristiche materiali e la gamma di beni offerti: ossia caratteristiche fisiche,
attributi tecnico-funzionali e caratteristiche estetiche.
 i servizi collegati ai beni offerti, che si suddividono in base ai diversi momenti della
relazione con il cliente (ossia pre vendita, post vendita e nel punto vendita).
 le caratteristiche immateriali: ossia l’immagine, la reputazione, la marca.
 le condizioni dello scambio e il prezzo.

NB: esistono tanti sistemi di offerta quanti sono i mercati ai quali l’azienda si rivolge, i canali serviti e i
prodotti o servizi offerti.
3. Quali attori coinvolgere?  per durare nel tempo, un’azienda necessita di individuare le categorie
di soggetti da coinvolgere.
Rispetto ai conferenti capitale, le decisioni riguardano:
 il livello di concentrazione della proprietà;
 i criteri seguiti nello scegliere tra le diverse alternative di finanziamento;
 le dimensioni aziendali;
 le aspettative di crescita e di remunerazione del capitale.
Rispetto ai prestatori di lavoro, le decisioni riguardano:
 il loro grado di coinvolgimento nella condivisione dei risultati aziendali;
 la continuità di rapporto nel tempo;
 il mix di competenze, profili personali, forme contrattuali;
 i livelli di responsabilità, remunerazione, carriera.

NB: maggiore è l’integrazione fra i soggetti coinvolti più sono stabili le relazioni di fiducia e minori i
costi di controllo.

4. Che cosa offrire e che cosa aspettarsi dagli attori istituzionali?  le decisioni dell’azienda in
merito a quali interlocutori istituzionali privilegiare e a come porsi rispetto alle diverse categorie di
portatori di interesse determinano il posizionamento istituzionale dell’azienda. È possibile valutare il
posizionamento istituzionale attraverso alcuni fattori:
 la composizione degli assetti istituzionali;
 le politiche di dividendo e remunerazione;
 la composizione della forza lavoro;
 il grado di trasparenza nella comunicazione istituzionale.

5. Con quale struttura?  per offrire un prodotto o servizio, l’azienda deve continuativamente
investire e tali costi sono parzialmente trasferiti sul prezzo di vendita. La quantità di costi e di
investimenti si traduce in decisioni relative a:
 come produrre;
 in quali canali vendere i prodotti;
 come distribuirli;
 come organizzare le varie attività.

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Le scelte derivano dunque dalla valutazione sulle modalità più opportune in termini di efficacia
(raggiungere l’obiettivo) e efficienza (minimizzare costi).

Cap. 3: La struttura dell’azienda e le scelte di convenienza economica

La struttura dell’azienda può essere analizzata da diversi punti di vista  in primo luogo dal punto di
vista dei processi, i quali devono essere un insieme unitario, collegato da relazioni di interdipendenza e
sequenzialità. Dal punto di vista organizzativo invece, l’attenzione va posta sui modi di ripartire ruoli e
responsabilità fra le persone che prestano lavoro all’interno dell’azienda.

La struttura organizzativa dell’azienda si presenta in termini di unità organizzative, mansioni e relazioni


gerarchiche. Unità e relazioni sono rappresentate in organigrammi  permettono di individuare gli
organi tra cui è diviso il lavoro, le relazioni tra tali organi, lo sviluppo orizzontale e verticale della
struttura organizzativa. La struttura organizzativa può essere analizzata a tre livelli:
 livello istituzionale: rappresenta le strutture di rappresentanza della proprietà, gli organi di
governo economico e di controllo interno ed esterno.
 livello delle scelte di gestione delle attività.
 livello delle scelte di organizzazione relative alle singole unità organizzative.

3.1 La struttura dell’azienda dal punto di vista organizzativo:


La struttura organizzativa dell’azienda può essere ricondotta a uno dei seguenti archetipi/modelli:
 struttura elementare: la funzione del governo economico e della direzione dell’azienda sono
svolte da un unico organo di direzione generale  si ha quindi un unico livello gerarchico .
 struttura funzionale: si hanno organi direttivi di primo livello che coordinano unità
organizzative dello stesso tipo. Tali organi sono specializzati per funzioni  acquisti,
produzione, commercializzazione, gestione finanziaria ecc.
 struttura divisionale: raggruppa sotto la responsabilità di un organo di coordinamento attività
di natura diversa.
 struttura a matrice: premette di centralizzare le competenze e sfruttare le interdipendenze,
favorendo l’autonomia di singole unità; ciascun organo esecutivo ha un riporto di natura
funzionale e uno di natura divisionale, i quali riportano all’organo di governo centrale.

3.2 La struttura del patrimonio:


- Bisogna considerare anche la struttura del patrimonio, che si compone di fattori di produzione,
risorse (materiali, immateriali, d’ambiente) e competenze. Il patrimonio è il risultato di scelte
compiute nel tempo, che determinano una variazione nelle disponibilità e nella loro composizione.
- Alcune condizioni patrimoniali assumono un’importanza particolare e vengono definite
competenze distintive: si tratta di risorse e competenze specifiche dell'azienda, non disponibili sul
mercato. Esse hanno un grosso impatto sul valore percepito dal cliente e sono il frutto dell'apporto
di diverse discipline scientifiche, commerciali o manageriali.

3.3 La specializzazione:
È possibile concentrare l'azienda su poche attività  in questo caso si parla di specializzazione. Essa
permette di:

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 velocizzare l’apprendimento da ripetizione, aumentando la velocità di realizzazione;


 favorire l’impiego ottimale delle competenze individuali, riducendo gli sprechi e
ottimizzando i processi;
 ridurre i tempi e i costi di realizzazione dei prodotti.

Oltre alla specializzazione, esistono altri 3 comportamenti permettono di ridurre i costi:


1. standardizzazione: consiste nel produrre beni in grandi volumi, con caratteristiche simili o
uguali per periodi relativamente lunghi. Per produrre prodotti standardizzati, occorrono
processi standardizzati.
1. modularizzazione: è la possibilità di suddividere un bene complesso in parti che possono
essere progettate e prodotte indipendentemente, ma che poi devono funzionare insieme.
2. uniformazione: quando i componenti si uniformano ad uno standard verificato, si parla di
uniformazione.

3.4 Le valutazioni di convenienza economica:


Le valutazioni di convenienza economica fra alternative hanno come oggetto, in primo luogo, la
dimensione e la configurazione ottimale dell’azienda.
 Un importante indicatore di dimensione è la capacità produttiva installata, ovvero il numero
massimo di unità di output producibili nell’unità di tempo considerata; il termine si riferite a
tutte le attività che si svolgono all’interno di un’azienda, quindi per misurarla sono necessari
indicatori diversi.
 Il grado di sfruttamento della capacità produttiva indica la percentuale della capacità
produttiva totale effettivamente utilizzata per realizzare la produzione corrente e si calcola come
rapporto fra la produzione effettiva e la capacità produttiva installata; è un indicatore usato per
misurare l’efficienza della produzione.

Lo svolgimento dell’attività economica determina l’insorgere di costi, legati all’acquisizione dei fattori di
produzione: si parla di costi variabili quando variano proporzionalmente al variare dei volumi di
produzione, mentre si parla di costi fissi quando non variano all’aumentare dei volumi di produzione.
Esistono delle variabili, dette driver di costo, che incidono sui costi aziendali.

Ci sono poi 2 teorie che indicano quando ad un’azienda conviene aumentare la propria capacità
produttiva:
1. teoria delle economie di scala: suggerisce che l’incremento della capacità produttiva installata,
alla pari col livello di sfruttamento, determina una riduzione del costo medio unitario
dell’output del prodotto. Esistono diverse fonti di economie di scala:
 l’indivisibilità di alcuni componenti, che vengono sfruttati meglio in presenza di un
aumento dimensionale;
 la maggiore produttività degli input per effetto della specializzazione;
 le proprietà geometriche dei solidi;
 l’utilizzo di impianti più efficienti;
 la migliore negoziazione con i fornitori di fattori di produzione.
Le economie di scala, però, sono anche limitate da:
 dal mercato, che può non richiedere un volume maggiore di prodotti;
 dalla richiesta del mercato di prodotti differenziati in volumi più piccoli;

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 dalla necessità di essere vicini al cliente;


 dalla necessità di flessibilità.
2. teoria dell’economia di volume: i volumi prodotti possono essere aumentati mantenendo
costante la capacità produttiva e aumentando il grado di sfruttamento; in questo caso, un
aumento della produzione determinerà un aumento proporzionale dei costi variabili totali, ma
un costante livello di costi fissi. Se dunque la saturazione della capacità produttiva è maggiore, il
costo medio unitario di produzione diminuisce, perché i costi fissi vengono assorbiti da una
maggiore quantità di prodotto. Le economie di volume sono tanto maggiori, quando maggiore è
l’incidenza dei costi fissi sui costi totali.

Economie di raggio d’azione (o di scopo): le dimensioni di un’azienda possono derivare anche da un


allargamento della gamma dei prodotti offerti. L’insieme delle scelte relative al presidio di una grande
quantità di aree di attività è definito strategia di portafoglio, la quale ha come obiettivo:
- combinare aree in forte crescita con aree più mature;
- selezionare le aree che operano in sistemi competitivi attrattivi;
- combinare aree di attività che generano risorse finanziarie con altre che assorbono risorse
finanziarie;
- selezionare aree di attività che presentano ricadute in termini di apprendimento anche per altre
aree.

I risparmi di costi gestionali legati alla composizione del portafoglio di attività sono definiti economie di
raggio d’azione: tali vantaggi derivano dalla gestione congiunta di due o più beni e si spiegano con
l’esistenza di risorse non pienamente sfruttate o utilizzabili su più prodotti.

Economie di apprendimento (o di esperienza): sono riduzioni del costo medio del prodotto ottenute
come conseguenza dell’aumento della produzione cumulata. La differenza fra economie di
apprendimento ed economie di scala è che nel primo caso aumenta la produzione complessiva nel
tempo, mentre nel secondo caso l’aumento di produzione è legato all’ampliamento della capacità
produttiva. Uno degli effetti di questa economia è un miglioramento della qualità complessiva del
prodotto.

3.5 Configurazione delle attività, struttura di costo e livello di rischio operativo:


Le valutazioni sull’opportunità di internalizzare o esternalizzare alcune attività sono influenzate in
generale dai volumi di attività e dalle dimensioni aziendali. I vantaggi dell’esternalizzazione sono
riconducibili alla possibilità di aumentare il livello di specializzazione, l’efficienza e le competenze delle
attività presidiate, ma non è priva di rischi determinati da comportamenti opportunistici.
L’internalizzazione presenta costi di coordinamento interno, mentre l’esternalizzazione costi di
controllo del mercato; è più conveniente realizzare le attività quanto maggiori sono i costi per
raccogliere le informazioni, la specificità delle risorse coinvolte e il rischio di comportamenti
opportunistici o inadeguati.

Le scelte di configurazione delle attività condizionano la struttura di costo di un’azienda; il mix di


costi fissi e variabili condiziona l’economicità dell’azienda. Per stabilire quale sia il livello minimo di
produzione e vendita da realizzare per non incorrere in perdite, si formula il punto di pareggio (o
break even point): se i ricavi e i costi totali fossero due rette, il punto in cui le rette si incontrano è detto
punto di pareggio; prima di questo punto l’azienda è in perdita, dopo questo punto genera reddito.
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A ogni livello di produzione la differenza fra ricavi e costi variabili determina un risultato parziale che
contribuisce alla copertura dei costi fissi:
1. i costi totali sono superiori ai ricavi totali  l’azienda è il perdita;
2. i costi sono superiori ai ricavi  l’azienda è in perdita ma i ricavi sono sufficienti a coprire i costi
fissi;
3. punto di pareggio  l’azienda non produce reddito, ma copre i costi;
4. l’azienda copre tutti i costi e genera reddito pari alla differenza tra ricavi totali e costi totali.

L’incidenza dei costi fissi sul totale di pareggio dei costi condiziona la quantità e il fatturato di pareggio;
maggiore è l’incidenza dei costi fissi, più alto è il rischio operativo per l’azienda, definito come
l’impatto della fluttuazione dei volumi di produzione e di vendita sui risultati aziendali. La distanza dal
punto di pareggio e l’ampiezza tra ricavi e costi totali è detto grado di elasticità operativa e si calcola
come rapporto tra costi variabili totali e costi fissi nel punto di pareggio: maggiore è il livello del punto
di pareggio. maggiore il grado di elasticità operativa, maggiore il livello di rischio operativo.

Cap. 4: I risultati dell’azienda

4.1 Il bilancio d’esercizio:


Il bilancio d’esercizio permette di rappresentare l’attività economica svolta dall’azienda da 3 punti di
vista:
1. in termini patrimoniali;
2. dal punto di vista economico, per determinare se l’azienda, in un intervallo di tempo, è in grado
di generare ricchezza;
3. in termini monetari, per accertare che l’azienda in qualunque momento sia in grado di pagare i
fornitori.
4.2 La costruzione del bilancio di esercizio:
Con il termine esercizio, si indica un insieme di operazioni attribuite a un periodo di riferimento, di
solito un anno. Il bilancio di esercizio si costruisce attraverso 2 tavole di sintesi:
1. Tavola del Reddito (o Conto Economico): contiene i valori-flusso relativi all’attività
economica e rappresenta l’azienda dal punto di vista della capacità di generare reddito in un
intervallo, attraverso la contrapposizione di costi e ricavi.
2. Tavola del Capitale di funzionamento (o Stato Patrimoniale): contiene valori-livello che
permettono di rappresentare l’azienda in termini patrimoniali e monetari. Lo stato patrimoniale
raccoglie le attività (cioè le risorse a disposizione dell’azienda al termine di un esercizio) e le
passività (cioè le fonti di finanziamento a cui l’azienda ha ricorso).

La funzione del bilancio è di permettere allo Stato di determinare l’ammontare che ogni anno l’azienda
è tenuta a versare come imposta sul reddito.

4.3 Le convenzioni utilizzate nella costruzione del bilancio:


Per la costruzione del bilancio di esercizio si fa ricorso ad alcune convenzioni  nello specifico si
devono rispettare 3 principi di fondo:
1. principio della certezza dei valori: il bilancio rileva solo gli accadimenti originati dallo
scambio perché da un’operazione di scambio è possibile avere un riscontro oggettivo dei valori;
tutti i valori sono espressi in moneta.
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2. principio di competenza economica: si deve tener conto dei costi e dei ricavi,
indipendentemente dal pagamento e dall’incasso, solamente se imputabili economicamente
all’esercizio; i costi di competenza sono quelli maturati nell’esercizio relativi a beni e servizi
utilizzati nel periodo considerato; i ricavi di competenza sono quelli maturati nell’esercizio e che
hanno avuto il correlativo costo.
3. principio di prudenza: si devono tener conto dei costi e delle perdite anche se incerti e solo
presunti; si devono contabilizzare componenti positivi solo se effettivamente realizzati alla
chiusura dell’esercizio; non contabilizzare utili derivanti da incrementi patrimoniali che non
siano certi e durevoli.

NB: in fase di costruzione del bilancio, la perdita viene rilevata nei componenti positivi di reddito, l’utile
nel lato dei componenti negativi; quando l’azienda è in utile, la contrapposizione fra componenti
negativi e componenti positivi dà luogo al reddito imponibile.

La costruzione del bilancio passa da queste fasi:


- rilevazione di ciascuna operazione all’interno del piano dei conti;
- raccolta nel Conto economico e nello Stato patrimoniale dei dati certi provenienti dai saldi dei
singoli mastrini (insieme dei conti movimentati);
- inserimento dei dati congetturati e stimati;
- calcolo delle imposte sul reddito;
- calcolo dell’utile o della perdita;
- riporto del saldo nel passivo dello Stato patrimoniale.

4.3 L’analisi di bilancio: la riclassificazione del Conto economico


La riclassificazione permette di ottenere maggior informazioni sullo stato di salute dell’azienda,
mettendo in relazione le diverse componenti e permettendo di orientare le decisioni future. Sia il Conto
economico che lo Stato Patrimoniale sono oggetto di riclassificazione.

Per quanto riguarda il Conto Economico, la riclassificazione consiste nel raggruppare le diverse voci del
bilancio (costi e ricavi) in base alle aree di gestione (caratteristica, patrimoniale, finanziaria, straordinaria,
tributaria) da cui provengono, in modo da esaminare la redditività e investigare i fattori che la
determinano. Le diverse voci del bilancio vengono riproposte in forma scalare isolando:
 la gestione caratteristica: le attività connesse ai processi di acquisizione e trasformazione delle
materie prime e alla vendita dei prodotti finiti; è la ragion d’essere dell’azienda.
 la gestione patrimoniale: è collegata alle scelte di investimento del risparmio generato
dall’azienda come conseguenza dello svolgimento dell’attività economica.
 la gestione finanziaria: ha come oggetto l’identificazione delle modalità più opportune di
copertura dei fabbisogni finanziari dell’azienda.
 la gestione straordinaria: riguarda operazione che esulano dall’attività caratteristica dell’azienda.
 la gestione tributaria: riguarda la determinazione e il pagamento delle imposte e dei tributi.

4.4 L’analisi di bilancio: la riclassificazione dello Stato patrimoniale:


In questo caso la riclassificazione permette di confrontare la struttura dell’attivo e la struttura del
passivo dello Stato patrimoniale; consiste nella riorganizzazione delle voci dell’attivo in funzione dei
tempi e dei costi di trasformazione delle attività in denaro (liquidità) e dei tempi di restituzione delle

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risorse iscritte nel passivo (esigibilità). I valori dell’attivo sono ordinati secondo il criterio di liquidità
decrescente; i valori del passivo sono ordinati secondo il criterio di scadenza.

La riclassificazione dello Stato patrimoniale permette di valutare:


1. la composizione e la struttura dell’attivo in termini di flessibilità;
2. la composizione e la struttura del passivo in termini di incidenza dei mezzi di terzi sul totale
delle passività;
3. il rapporto tra fonti e impieghi.

4.5 L’analisi di bilancio: gli indici


A queste valutazioni si aggiungono gli indici (o quozienti di bilancio), che permettono una ulteriore
analisi delle relazioni fra la dimensione economica, patrimoniale e finanziaria e della sostenibilità
dell’azienda.

Abbiamo diversi tipi di indici:


 indici di liquidità: permettono di indagare la capacità dell’azienda di fronteggiare gli impegni di
pagamento a breve termine in base alle disponibilità liquide. Gli indici di liquidità più importanti
sono:
o quoziente di disponibilità : dato dal rapporto tra attivo corrente e passivo corrente;
o quoziente di liquidità: dato dal rapporto tra liquidità e passivo corrente.
 indici di solidità: misurano la capacità dell’azienda di far fronte agli impegni di pagamento a lungo
periodo e la sua sostenibilità. Gli indici di solidità più importanti sono:
o rapporto di indebitamento: dato dal rapporto tra attivo netto e capitale netto o tra capitale
di terzi e capitale netto. Tale indice esprime il grado di dipendenza dai finanziatori terzi.
o grado di copertura delle immobilizzazioni : dato dal rapporto tra il capitale netto e le
immobilizzazioni.
 indici di redditività: indicano la redditività operativa dell’azienda (ossia l’efficacia nella gestione).
Tra gli indici di redditività abbiamo:
o RONA (Return on net asset) [o ROI (Return on Investment)]: misura la capacità della gestione
caratteristica di generare ricchezza rispetto all’investimento effettuato.
o ROE (Return on equity): dato dal rapporto tra reddito netto e capitale netto.

4.6 La valutazione dello stato di salute dell’azienda e la coerenza fra scelte e risultati:
Quanto più l’azienda è in grado di rispondere ai fattori critici di successo, tanto più sarà capace di
sviluppare un vantaggio competitivo e i costi sostenuti saranno coperti da adeguati flussi di ricavo.

Per ottenere un buon vantaggio, l’azienda deve investire su:


- un prodotto vantaggioso ;
- un mercato di cui ha ben compreso i fattori critici di successo;
- una serie di competenze distintive;
- una relazione di coerenza.

Sistemi di scelta:
In base all’ampiezza del raggio d’azione e alle fonti di vantaggio competitivo ricercate possiamo
distinguere 3 sistemi di scelta  a ognuno di essi corrisponde una strategia:
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1. strategia di leadership di costo : un azienda orienta le sue scelte in modo da essere meno costosa
rispetto alla concorrenza nel mercato. Rischi: la concorrenza lavora sui fattori critici di successo
del mercato e costringe l’azienda a migliorare il prodotto offerto; oppure c’è il rischio che
l’azienda non sia vista come efficiente.
2. strategia di differenziazione: presuppone che esista un segmento di mercato in cui l’azienda si
può imporre perché diversa dalle altre, offrendo prodotti a prezzi più alti che il cliente acquista
perché ne riconosce la qualità. Rischio: il cliente non è disposto a spendere di più.
3. strategia di nicchia : consiste nel puntare su segmenti di mercati giudicati troppo piccoli o poco
interessanti dalle aziende maggiori  è tipica delle piccole imprese. Rischio: se l’azienda non
cresce abbastanza rispetto ai concorrenti a lungo andare viene esclusa dal mercato.

A prescindere dalla strategia seguita, un’impresa deve compiere delle scelte coerenti  tale coerenza
determinerà alti risultati competitivi ed elevati livelli reddituali.

Tuttavia, pur compiendo scelte coerenti, un’azienda può comunque non riuscire a ottenere un risultato
sostenibile e duraturo. Infatti:
- può accadere che un’azienda abbia alti risultati competitivi ma bassi risultati reddituali  è questo il
caso di un’azienda molto competitiva che vuole imporsi sul mercato, offrendo un prodotto
apprezzato ma che è eccessivamente costoso per l’azienda.
- può accadere anche che un’azienda abbia alti risultati reddituali ma bassi risultati competitivi  in
questo caso sono protette dalla pressione competitiva e possono godere di performance superiori.
Lo svantaggio è che il vantaggio competitivo dipende da fattori esterni all’azienda, la quale potrebbe
però utilizzare i risultati reddituali per realizzare un sistema di offerta aperto a più clienti e
rafforzare la propria posizione competitiva.

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