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Che cos’è la finanza?

La finanza Aziendale riguarda lo studio delle relazioni tra decisioni aziendali e valore delle azioni di
un’impresa il fine ultimo della finanza aziendale è quello di creare valore.

Ci sono tre questioni su cui si sofferma la finanza aziendale:

Il capital budget Thing: il capital budgeting descrive il processo di realizzazione e gestione degli impieghi di
capitale sulla attività di lunga durata.

La struttura finanziaria perciò il rapporto tra debiti finanziari (a breve e lungo termine) Ed equity con i quali
l’impresa soddisfa il proprio fabbisogno di finanziamento.

Infine come dovrebbero essere gestiti i flussi di cassa operativi a breve termine: Nel corso della sua
operatività ordinaria spesso l’impresa sperimenta una discrasia temporale fra i flussi di cassa in entrata e
quelli in uscita.i manager finanziari devono sempre cercare di gestire i gap inerenti ai flussi di cassa e perciò
la gestione di breve periodo dei flussi di cassa è associata al capitale circolante netto che è definito come la
differenza fra attività a breve termine e passività a breve termine.da un punto di vista finanziario la gestione
dei flussi di cassa di breve periodo deriva dalla sincronizzazione fra flussi di cassa in entrata e flussi in uscita
e costituisce l’ambito di intervento principale della pianificazione finanziaria breve termine.

Quando parliamo di struttura finanziaria facciamo riferimento al modo in cui il valore dell’impresa è
ripartito: i soggetti o le istituzioni che acquistano il debito aziendale (per esempio prestando denaro
all’impresa) sono chiamati i creditori, obbligazionisti o detentori del debito. I possessori delle azioni sono
chiamati azionisti.

Possiamo esprimere il valore dell’impresa: V (Valore dell’impresa) = D (valore di mercato del debito) + E
(valore di mercato dell’equity)

V= D+E

L’attività finanziaria è svolta solitamente nelle grandi imprese da:

un vicepresidente o CFO (chief financial officer) e da un gruppo ristretto di altri funzionari che da esso
dipendono come il tesoriere che si occupa della gestione dei flussi di cassa, delle decisioni di investimento e
della programmazione finanziaria e il controller che si occupa della gestione della contabilità finanziaria e
dei costi oltre che degli adempimenti fiscali e dei sistemi informativi.

Tra i vari compiti del manager finanziario il più importante è creare valore dalle attività di capital
budgeting,di finanziamento e gestione del capitale circolante e lo fa facendo sì che: si cerchi di acquistare
attività che frutti in un rendimento superiore al costo e si vendano obbligazioni azioni e altri strumenti
finanziari che raccolgano più denaro di quanto costano.

Le difficoltà che si incontrano nell’attività finanziaria sono: identificare i flussi di cassa, collocare
temporalmente i flussi di cassa e il rischio dei flussi di cassa. L’obiettivo del management finanziario
consiste nel massimizzare il prezzo delle azioni dell’impresa. Gli azionisti sono proprietari residuali ed in
quanto tali hanno il diritto a ricevere ciò che eccede dopo che sono stati pagati dipendenti, fornitori e
creditori. Se a qualcuno di questi gruppi di soggetti non viene corrisposto il dovuto gli azionisti non
ottengono nulla, dunque se le cose andranno al meglio per gli azionisti ne discende che anche tutti i restanti
soggetti avranno raggiunto il loro interesse.

I mercati finanziari: Quando l’impresa ha bisogno di contanti per investire in nuovi progetti deve scegliere
l’opzione di finanziamento più efficiente e meno onerosa, nell’ambito di più alternative appropriate.
Impresa pertanto deve decidere se indebitarsi o cedere una quota di proprietà dell’azienda, in entrambi
casi la nostra impresa si troverà con la liquidità di cui necessita.

Indebitarsi comporta la restituzione di quanto avuto con degli interessi mentre cedere una quota delle
azioni comporta la vendita di una parte della società tramite negoziazione privata o pubblica.

I mercati finanziari si dividono in mercati monetari e mercati dei capitali: nei primi vengono negoziati titoli
di debito a breve scadenza e nei secondi sono scambiati titoli di debito a lunga scadenza e i titoli azionari.

Delegar market e agency market: Nel dealer market, il dealer sopporta il rischio di detenere i titoli prima di
poter trovare una controparte che li acquisti e potrebbe non venderli come si aspetta (rischio di giacenza);
nell’agency market viene ingaggiato un broker (o agent) per trovare una controparte, il broker dopo aver
trovato la controparte riceverà una commissione sul prezzo di vendita (esso non ha rischio di giacenza
poichè non possiede i titoli).

I mercati finanziari possono distinguersi inoltre in mercati primari e secondari: nei mercati primari i titoli
emessi vengono negoziati per la prima volta nei mercati secondari vengono negoziati titoli già negoziati;
questi mercati sono molto vantaggiosi poiché gli investitori sapendo di poter, in caso di necessità, vendere i
titoli sul mercato secondari, acquistano si mercati primari.

VEDI CASO GOOGLE

Le imprese si dividono in:

• Impresa individuale: è posseduta da una sola persona ed è la forma imprenditoriale più diffusa al mondo;
l’impresa individuale una volta avviata può assumere tutti i dipendenti che le occorrono e prendere a
prestito tutti i mezzi finanziari di cui ha bisogno. Alla fine dell’anno tutti i profitti e tutte le perdite verranno
messi in conto al proprietario di cui rappresentano il salario.l’impresa individuale è la più economica da
costituire, non paga imposte sul reddito delle società ma tutti i profitti vengono tassati a titolo di reddito
personale, non esiste distinzione fra beni personali e beni aziendali nell’impresa individuale, in altre parole
se un’azienda di questo tipo deve dei soldi ai creditori e non è in grado di far fronte a tali oneri si devono
usare i beni personali dell’imprenditore per rimborsare i debiti dell’impresa, la vita dell’impresa individuale
coincide con la vita del proprietario e i mezzi finanziari che può raccogliere provengono unicamente dal suo
patrimonio personale.

• La società di persone: Le società di persone si possono dividere in due categorie (1) general partnership e
(2) limited partnership; In una general partnership tutti i soci si impegnano a fornire una quota di lavoro e di
capitale e a condividere i profitti e le perdite, ogni socio si fa carico di tutti i debiti della società; in una
limited partnership invece si possono limitare le responsabilità di alcuni soci alla quota del capitale
conferito, in questa partnership è richiesto che ci sia almeno uno dei soci come general partner e che i
limited partner non partecipino alla gestione dell’impresa. La società di persone e di facile costituzione ed
economica,la responsabilità dipende dal tipo di partnership, la vita della partnership dipende dalla
tipologia, infatti la general partnership si esaurisce quando un general partner muore o si ritira mentre i
limitied partner possono vendere la propria quota, il reddito della società è tassato come reddito di ogni
singolo socio, il controllo generale è concentrato nelle mani dei general partner e un altro vantaggio è
costituito dal basso costo di avviamento. Gli svantaggi sono invece costituiti da responsabilità illimitata, vita
relativamente breve dell’impresa, difficoltà di trasferimento della proprietà e difficoltà di raccolta dei mezzi
finanziari.

• La società per azioni: si tratta di un’entità giuridica ed in quanto tale una società per azioni può avere un
proprio nome e disporre di molti dei diritti che vengono riconosciuti alle persone fisiche per esempio la
società per azioni può acquistare e vendere immobili,può firmare i contratti, citare ed essere citata in
giudizio e sul piano giuridico la società è cittadina dello Stato in cui viene costituita. I soci devono
predisporre un atto costitutivo e uno statuto. Nell’atto costitutivo troviamo la denominazione della società,
la durata della società (che può essere limitata), l’oggetto sociale, la natura dei diritti riconosciuti agli
azionisti e il numero dei componenti del consiglio di amministrazione iniziale. Nello statuto emergono le
norme che verranno utilizzate dalla società per regolamentare la propria esistenza, norme che riguardano
gli azionisti, i consiglieri di amministrazione e i dirigenti.

• La società per azioni sotto un altro nome.

I problemi di agenzia e il controllo societario:

Il rapporto tra gli azionisti e il management costituisce una relazione di agenzia di primo tipo qualora il
management nel proprio operato non rifletta gli interessi degli azionisti ma i suoi interessi si avrà un
conflitto di interessi definito problema di agenzia, in un rapporto di agenzia possono essere presenti dei
costi che sono diretti o indiretti i costi di agenzia indiretti sono costituiti da mancate opportunità che il
management non coglie a discapito degli azionisti, i costi diretti di agenzia invece possono assumere due
forme: la prima è una spesa a carico dell’azienda che costituisce un beneficio per il management ma un
costo per gli azionisti, un secondo costo diretto deriva invece dalla necessità di monitorare le azioni del
management. Nonostante si creino spesso situazioni in cui gli interessi del management e quelli degli
azionisti non coincidono ci sono due ragioni per le quali il management ha un notevole incentivo economico
ad accrescere il valore delle azioni: la prima risiede nel fatto che la remunerazione dei dirigenti specie al
massimo livello è solitamente legata alla performance finanziaria la seconda concerne le prospettive di
carriera infatti i dipendenti più bravi ed affidabili tendono ad essere promossi e allo stesso modo i dirigenti
che perseguono efficacemente gli obiettivi degli azionisti sono più richiesti sul mercato del lavoro.

Le relazioni di agenzia di secondo tipo: conflittualità tra azionisti

Si verificano quando una società è caratterizzata da una struttura proprietaria concentrata. Quando un
azionista possiede un’ampia quota azionaria ha la possibilità di rimuovere o insediare il consiglio di
amministrazione, in tal modo potrà indirettamente allineare gli obiettivi dell’impresa a quelli personali cosa
non possibile per un azionista di minoranza. La teoria dell’agenzia riconosce che ogni azionista ha i propri
obiettivi e che questi possono essere disomogenei o incompatibili con gli obiettivi di altri azionisti o gruppi
all’interno dell’impresa.

I dividendi: la distribuzione di dividendi agli azionisti rappresenta un rendimento del capitale che gli
azionisti hanno fornito all’impresa, il pagamento di dividendi è una scelta discrezionale del consiglio di
amministrazione al cui interno siedono di norma i managers di vertice. Tra le principali caratteristiche dei
dividendi troviamo le seguenti: sino a quando non viene confermato dal consiglio di amministrazione il
dividendo non rappresenta una passività per l’azienda, i dividendi non sono deducibili ai fini fiscali perciò i
dividendi vengono distribuiti con il reddito che resta dopo aver pagato le imposte societarie, i dividendi
ricevuti dei singoli azionisti sono tassabili.

I principi di corporate governance emanati dall’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico


(OECD)

Sono principi che si concentrano su 6 aree principali della corporate governance:

1. Assicurare le basi per un’efficace corporate governance: attraverso la trasparenza, azioni coerenti alla
legge, divisione delle responsabilità e garanzia dell’applicazione delle norme.

2. Diritti degli azionisti e funzioni fondamentali associate alla proprietà delle azioni: la corporate governance
deve proteggere i diritti degli azionisti e facilitarne l’esercizio.

3. Equo trattamento tra azionisti: ad ogni azionista dovrebbe essere riconosciuta la possibiliotà di disporre
di efficaci rimedi giuridici per la violazione dei propri diritti.

4. Ruolo dei stakeholders nella corporate governance: è importante riconoscere i diritti di tutti gli
stakeholders al fine di incoraggiare una cooperazione finalizzata a creare ricchezza e posti di lavoro.

5. Informazione e trasparenza: è importante la trasparenza e l’informazione di tutte le questioni riguardanti


la società come situazione finanziaria, assetti proprietari e governance societaria.

6. Responsabilità del consiglio di amministrazione: i membri del board devono prendere decisioni etiche
tenendo conto degli obiettivi dell’azienda e degli azionisti.

Corporate Governance Internazionale

In ogni paese il contesto giuridico al cui interno si opera influenza il processo decisionale

• Common Law; in un sistema di questo tipo il diritto evolve come conseguenza delle sentenze delle corti
(Gran Bretagna e Irlanda).

• Civil law; i giudici interpretano la legge ma non possono modificarla (Europa).

• Contesto legale basato su principi religiosi; in contesti in cui i principi religiosi sono molto radicati e
fondamentali essi possono avere conseguenze decisionali anche sul mondo economico, soprattutto quando
la religione vieta alcune specificheattività (diritto canonico per il cristianesimo, Halakhah ebraica e Sharia
per l’Islam).

VEDI CAS STARBUCKS


Analisi di bilancio, riclassificazioni, rendiconto finanziario flussi di cassa.

L’analisi di bilancio ci consente di effettuare una prima valutazione dell’andamento e delle performance di
un’impresa utilizzando come input il bilancio d’esercizio ossia l’insieme di documenti che ogni azienda deve
predisporre con cadenza almeno annuale per illustrare la situazione economica patrimoniale e finanziaria
nel periodo analizzato. I due documenti principali del bilancio di esercizio sono lo stato patrimoniale e il
conto economico. I bilanci redatti secondo la legge presentano il vantaggio di essere uniformemente
leggibili ma la riclassificazione e la scomposizione delle voci di stato patrimoniale e di conto economico ne
agevolano la lettura e l’analisi questo è alla base del rendiconto finanziario, documento che permette di
analizzare con i flussi di cassa il generare o perdere liquidità.

Lo stato patrimoniale è un’istantanea del valore contabile dell’impresa a una certa data prefissata come se
l’impresa fosse momentaneamente in stallo, il prospetto è diviso in due parti a sinistra si collocano le
attività mentre a destra sono disposte le passività e il capitale netto (detto anche capitale proprio o equity)
la definizione contabile su cui si regge il prospetto di stato patrimoniale e che descrive la relazione è:
attività = passività + capitale netto.

Il totale delle attività deve essere pari al totale delle passività più il capitale netto, in effetti il capitale netto
può essere anche definito come la differenza tra le attività e le passività dell’impresa.

Lo stato patrimoniale può essere riclassificato secondo i seguenti criteri:

1. liquidità ed esigibilità

2. pertinenza gestionale

1. La riclassificazione dello stato patrimoniale: liquidità ed esigibilità (tempo)

Questo criterio riclassifica le voci di stato patrimoniale sulla base del tempo richiesto affinché le poste di
attivo e passivo si trasformino in moneta. Le attività sono indicate in ordine di liquidità decrescente e perciò
sono presenti attività breve termine e attività a medio lungo termine. Le passività sono elencate in ordine di
esigibilità decrescenti perciò passività a breve termine e passività a medio lungo termine infine un ultimo
aggregato corrisponde al capitale netto. L’orizzonte temporale scelto per distinguere una posta
patrimoniale di breve termine da una di lungo termine sono i 12 mesi. Questa tipologia è solitamente
utilizzata per controllare la possibile correlazione fra le scadenze temporali dell’attivo e del passivo e cioè in
poche parole se le attività breve termine sono coperte con debito a breve termine e se le attività a lungo
termine sono coperte con debiti a lungo termine.

2. La riclassificazione dello stato patrimoniale: pertinenza gestionale (gestione tipica o non)

Questo criterio suddivide le poste patrimoniali considerando le voci che sono relative alla gestione corrente
o caratteristica e le voci afferenti ad altre aree, quando parliamo di gestione tipica dell’impresa facciamo
riferimento alle fasi di acquisto, trasformazione e vendita pertanto non indica necessariamente posta di
breve termine. In questa riclassificazione troviamo a sinistra nella parte dell’attivo le attività correnti, le
attività non correnti e le attività non correnti non operative e al passivo troviamo passività correnti,
passività non correnti e capitale netto.

La differenza tra attività correnti e passività correnti è il CCC (capitale circolante commerciale) esso
rappresenta l’attivo corrente al netto del passivo corrente o in altri termini l’investimento (se positivo) o il
finanziamento (se negativo) determinato dalla gestione caratteristica. Le attività correnti che lo
compongono possono essere viste come potenziali fonti di liquidità in entrata congelate, in quanto non
ancora diventati cassa poiché lo saranno in futuro. Per un’azienda con CCC positivo le attività correnti sono
maggiori delle passività correnti questa è una circostanza sfavorevole perché indica una diminuzione della
liquidità aziendale infatti a parità di ricavi e costi correnti contabilizzati, un attivo corrente elevato indica
una scarsa capacità di riscuotere oggi i ricavi rinviando l’incasso al futuro; un passivo corrente basso indica
limitata capacità di dilazionare nel futuro il pagamento di costi per acquisto Pagando nella maggior parte
oggi. Al contrario un’impresa con CCC negativo a parità di condizioni è una circostanza desiderabile perché
segnala un aumento della liquidità aziendale infatti a parità di ricavi e costi correnti contabilizzati un attivo
corrente basso suggerisce buona capacità di riscuotere oggi i ricavi rinviando l’incasso al futuro di pochi
ricavi generati nell’anno. Se a questo importo sommiamo le immobilizzazioni operative (materiali,
immateriali e finanziarie) otteniamo il CINO (Capitale investito netto operativo) che rappresenta
l’investimento complessivo in attivo operativo al netto del passivo corrente (corrente+operativo); Se oltre
all’immobilizzazione operative includiamo anche quelle non operative arriviamo ad ottenere il CIN (Capitale
investito netto) ossia l’investimento complessivo in capitale circolante commerciale e immobilizzazioni.

La riclassificazione dello stato patrimoniale a pertinenza gestionale ci permette di identificare un’altra voce
importante la PFN (Posizione finanziaria netta) che costituisce un’indicazione dell’indebitamento finanziario
netto, ossia del valore delle passività non correnti al netto delle disponibilità finanziarie (la cassa), una PFN
positiva indica che il totale delle passività finanziarie è maggiore della cassa per cui l’impresa ha più debiti
che liquidità, una PFN positiva indica la situazione opposta.

Il conto economico misura il risultato economico di un’impresa in un periodo prefissato (generalmente un


anno) e la definizione contabile di reddito è:

reddito = ricavi - costi

Se possiamo paragonare il prospetto di stato patrimoniale ad una fotografia allora possiamo paragonare il
prospetto del conto economico a un video in quanto avvenuto nel periodo intercorso tra due istantanee. Il
conto economico include varie sezioni la prima riporta i ricavi e i costi derivanti dalle attività operative
principali il cui margine è il reddito operativo (EBIT) che sintetizza gli utili al lordo delle imposte e degli oneri
finanziari. Una seconda sezione riporta separatamente l’entità delle imposte gravanti sul reddito e l’ultima
voce del conto economico riguarda l’utile netto (l’utile netto e noto anche come reddito o risultato netto di
esercizio.

La riclassificazione del conto economico: fatturato il costo del venduto.

In questo modello di riclassificazione possiamo dividere le voci di ricavo e costi afferenti alla gestione
caratteristica da quelle afferenti alla gestione non caratteristica.Possiamo concettualmente dividere in due
il conto economico le voci che arrivano sino al reddito operativo (EBIT) sono le voci afferenti alla gestione
corrente, quelle dal reddito operativo in poi sono voci afferenti alla gestione non corrente. Il reddito
operativo è la differenza tra i ricavi di tipo operativo e tutti i costi di tipo operativo.

La riclassificazione del conto economico: produzione e valore aggiunto.

Con questo criterio si intende calcolare il valore della produzione di esercizio pari al valore di tutto ciò che è
stato prodotto in azienda.
In questa riclassificazione sottraendo al fatturato i costi d’acquisto dei beni destinati alla
commercializzazione si ottiene la produzione di esercizio, se ad essa sottraiamo acquisti di materie prime e
semilavorati e costi di acquisti esterni otteniamo il valore aggiunto. Il valore aggiunto è un margine che ci
indica in che percentuale la produzione aziendale è imputabile all’attività svolta internamente. Sottraendo
ad esso il costo del personale otteniamo il margine operativo lordo (EBITDA) che è il reddito della gestione
operativa nel quale sono inclusi i soli costi operativi. Ad esso sottraiamo gli ammortamenti ed otteniamo il
risultato o reddito operativo (EBIT) da cui prosegue una riclassificazione identica a quella del fattiìurato e
costo del venduto che si conclude con il risultato di un utile o una perdita.

I quozienti o indici di bilancio

I quozienti indici di bilancio sono grandezze economiche, patrimoniali e finanziarie combinate in modo da
fornire indicazioni rispetto a specifiche variabile aziendali.essi esprimono un rapporto tra valori di Stato
patrimoniale conto economico (riclassificati) E talora valori di mercato, fornendo specifiche indicazioni sullo
stato di salute dell’impresa.

Possiamo identificare cinque macro categorie di indici:

1. Indici di rotazione del capitale circolante

2. Indici di liquidità e di copertura

3. Indici di struttura finanziaria

4. Indici di redditività

5. Indici di mercato un multipli di borsa

1.Gli indici di rotazione del capitale circolante commerciale:

• Tempo medio di riscossione

• Tempo medio di pagamento

• Tempo medio di giacenza delle scorte

• Tempo medio di giacenza delle materie prime

• Tempo medio di giacenza dei prodotti finiti

• Tempo medio di giacenza dei semilavorati

2. Gli indici di liquidità e di copertura ( Questi quozienti analizzano rispettivamente il rapporto esistente tra
attività a breve termine e passività a breve termine, il livello di copertura delle immobilizzazioni e le
eventuali tensioni di tipo finanziario scaturenti da una non adeguata copertura degli interessi passivi dei
debiti finanziari)

• Indice di liquidità secondaria o indice di disponibilità (soddisfacente se superiore ad 1)

• Indice di liquidità primaria o liquidità immediata

• Indice di copertura delle immobilizzazioni


• Indice di copertura degli oneri finanziari

• Indice di copertura della liquidità

3.Gli indici di struttura finanziaria (Analizzando questo tipo di indici che forniscono informazioni rispetto alla
struttura finanziaria dell’impresa esamineremo in che percentuale le attività sono finanziate da debiti
finanziari e da capitale netto

• Il Leverage esprime il mix della struttura finanziaria dell’impresa ed indica quanta parte dell’attivo è
finanziata da debito e quanta da capitale azionario

• Il gearing Esprime il mix della struttura finanziaria dell’impresa ed offre un’indicazione simile al Leverage
ma da una prospettiva diversa

Mentre il Leverage è maggiormente utilizzato nelle analisi finanziarie il gearing è particolarmente utile per il
calcolo del costo medio ponderato del capitale (Rwacc)

4. Gli indici di redditività (forniscono indicazioni sulle performance economiche dell’impresa)

• Il ROI (return of investment) = reddito operativo (EBIT)/ capitale investito netto operativo (CINO)

Esso esprime un’indicazione della redditività della gestione operativa d’impresa rappresentata come
percentuale annua di rendimento sul capitale investito.

Il ROI può essere espresso come il prodotto di altri due indici cioè redditività delle vendite (ROS) e
tournover del capitale investito netto operativo.

Il ROI non va confuso con il ROA (return of asset) che è il rapporto tra utile d’esercizio e totale attività e
quindi non si riferisce alla sola gestione operativa.

• Il ROS (return of sales) è il traportò tra reddito operativo e i ricavi di vendita.

• Il ROE (return of equity) esprime il rendimento percentuale annuo per gli azionisti come conseguenza del
loro investimento nel capitale di rischio dell’impresa.

5. Gli indici di mercato o multipli di borsa

• Il prezzo rapporto utili (price/earnings) Si tratta del rapporto tra prezzo di mercato del titolo (P) e utili
netti per azione di una società quotata

• Il rapporto valore di mercato valore-valore contabile, Se tale rapporto è maggiore di uno il mercato
potrebbe sopravvalutare o sottovalutare il valore contabile dell’azienda mentre in caso di rapporto uguale
all’unità esisterebbe una piena concordanza tra valore di mercato dell’equity e valore contabile contabile

In conclusione possiamo affermare che i quozienti di bilancio presi singolarmente siano indicatori non
sufficientemente significativi, affinché si possa condurre una corretta analisi occorre compararli con:

• Il trend storico dei quozienti della stessa azienda

• I quozienti medi di settore/ di aziende comparable


La logica finanziaria a differenza dello stato patrimoniale del conto economico utilizza flussi monetari e non
i costi ricavi e offre una descrizione completa della dinamica finanziaria aziendale suddivisa nelle diverse
aree gestionali

(Aggiungi qualcosa dopo)

Valutazione delle obbligazioni delle azioni e dell’azienda;

Chi emette obbligazioni chiede un prestito per un certo tempo sottoscrivendo un’obbligazione, l’investitore
diventa creditore dell’emittente, in caso di default dell’emittente l’obbligazionista avrà diritto al pagamento
prima degli azionisti, Il creditore non partecipa ai profitti dell’emittente, il denaro preso in prestito è detto
principal, l’emittente rimborserà il capitale in un momento futuro stabilito, l’investitore durante
l’investimento potrebbe ricevere dei flussi di pagamento.

Un’obbligazione (o Bond) attesta l’esistenza di un prestito di una somma specifica da parte di un creditore,
il debitore ha concordato di rimborsare a date prefissate la somma presa a prestito comprensiva di capitale
e interessi.

Esistono vari tipi di obbligazioni:

• Le obbligazioni a sconto puro (senza cedola): esse prevedono un pagamento unico, se il pagamento
avverrà tra un anno si parlerà di un’obbligazione a un anno se tra due invece a due anni e così via; la data in
cui l’emittente dell’obbligazione effettua l’ultimo pagamento si chiama data di scadenza e la somma in
pagamento alla scadenza andrà a costituire il valore nominale o facciale dell’obbligazione stessa. Le
obbligazioni a sconto puro sono generalmente chiamate zero coupon bond mettendo in evidenza la
circostanza secondo cui il possessore non riceve alcun pagamento in denaro fino alla scadenza. Il valore
attuale di un’obbligazione a sconto puro si può determinare : VA= F (valore nominale)/ (1+R )con
denominatore elevato alla T in cui R= tasso d’interesse e T= tempo/anni

• Le obbligazioni a cedola fissa: sono obbligazioni che prevedono un pagamento non solo alla scadenza ma
anche ad intervalli regolari durante l’arco di vita, i pagamenti effettuati prendono il nome di cedola
dell’obbligazione. L’obbligazione garantisce oltre al rimborso finale una serie di cedole con cadenza annuale
o intra-annuale (semestrale), Il valore di un’obbligazione rappresenta il valore attuale dei suoi flussi di cassa
perciò il valore di un’obbligazione a cedola fissa sarà dato dal valore attuale delle cedole incrementato del
valore attuale del capitale rimborsato: VA= (C/1+R) + (C/1+Rcondenominatoreallaseconda) +...+
F/1+RelevatoallaT dove C è la cedola ed F il valore nominale dell’obbligazione

• le rendite perpetue: esse sono obbligazioni che non smettono di pagare una cedola e non hanno scadenze
sono pertanto obbligazioni che pagano una cedola all’infinito e in cui il capitale non è mai rimborsato,
questi titoli garantiscono al detentore un flusso di cassa all’infinito.

VA= C/R

Alcuni concetti relativi alle obbligazioni:

I prezzi delle obbligazioni sono inversamente correlati all’evoluzione dei tassi di interesse perciò quando i
tassi crescono i prezzi diminuiscono e viceversa. Un principio generale afferma che un’obbligazione a
cedola fissa viene negoziata nei seguenti modi: al valore nominale se la cedola corrisponde al tasso di
interesse di mercato, sotto la pari se la cedola è inferiore al tasso di interesse di mercato e sopra la pari se
la cedole superiore al tasso di interesse di mercato.

Il rendimento alla scadenza è quel tasso di interesse y che eguaglia il prezzo del titolo al valore attuale delle
cedole e del valore nominale, il rendimento alla scadenza (YMT) è anche chiamato semplicemente
rendimento dell’obbligazione.

Il valore attuale delle azioni ordinarie:

Abbiamo precedentemente stabilito che il valore di un’attività è determinato dal valore attuale dei suoi
flussi di cassa futuri, le azioni ordinarie forniscono due tipi di liquidità:

In primo luogo pagano spesso dividendi a intervalli regolari, in secondo luogo gli azionisti incassano il
prezzo di vendita al momento stesso in cui si realizza la vendita del titolo.

Il valore dell’impresa rifletterà perciò il valore attuale dei suoi dividendi futuri.

Il modello generale si può semplificare se ci si aspetta che i dividendi dell’impresa seguono degli andamenti
di base: (1) crescita zero, (2) crescita costante e (3) crescita differenziale.

(1) Crescita zero, il valore di un’azienda che paga un dividendo costante è dato da:

P0= Div1/R (semplice applicazione della rendita perpetua poichè Div1=Div2=...=Div

Si ipotizza che l’azienda non cresca più (g=0) pertanto distribuirà ogni anno e per sempre dividendi pari al
dividendo distribuito all’anno 1.

(2) Crescita costante, i dividendi crescono al tasso g come segue:

1 Div1 2 Div2(1+g)allaseconda 3 Div3(1+g)allaterza e così via

Pertanto il Valore di un’azione ordinaria i cui dividendi crescono a tasso costante è:

P0= Div1/1+R + Div1(1+g)/(1+R)allaseconda + Div1(1+g)allaseconda/(1+R)allaterza +...= Div1/R-g

Si prevede che l’ azienda crescerà per cui distribuirà dividenti il cui tasso di crescita (g>0) è costante e ogni
anno i dividendi cresceranno di g rispetto all’anno precedente.

(3) Crescita differenziale, si presenta quando il tasso di crescita dei dividendi varia.

si prevede che l’azienda ad un tasso g1 fino ad un certo anno (primo stadio) per poi crescere in modo meno
intenso ad un tasso g2

g (tasso di crescita) = tasso di ritenzione degli utili x rendimento degli utili non distribuiti

R (rendimento del dividendo)= Div1/P0

R (rendimento del capital gain)= +g (tasso a cui cresce il valore dell’investimento)

In definitiva R= rendimento del dividendo + rendimento del capital gain

Le opportunità di crescita:
Supponiamo un’azienda cash cow (Impresa matura i cui cospicui flussi di cassa sono tutti distribuiti e non
reinvestiti):

EPS(utili per azione)= Div(dividendi per azione)

il Valore di un’azione quando un’impresa opera da cash cow: EPS/R = Div/R dove R è il tasso di
attualizzazione dell’equity

Ma questo metodo di distribuzione dei dividendi potrebbe non essere ottimale perchè ogni impresa ha
delle opportunità e dei che le si presentano e che potrebbero aumentare notevolmente il valore
dell’impresa; ipotizziamo che l’impresa al tempo 1 decida di non distribuire i dividendi ma di trattenerli per
investirli in un determinato progetto. Il valore attuale netto per azione del progetto al tempo 0 è il VANOC
(valore attuale netto delle opportunità di crescita). Poichè il valore per azione del progetto si aggiunge al
valore iniziale dell’azione il prezzo dell’azione dopo la decisione dell’impresa di investire nel nuovo progetto
sarà: EPS/R +VANOC

Il prezzo dell’azione dopo la decisione dell’impresa di investire dal nuovo progetto può risultare dalla
somma di due componenti: la prima esprime il valore che avrebbe l’impresa se si limitasse a distribuire tutti
gli utili agli azionisti, la seconda componente esprime il valore addizionale che avrebbe l’impresa si
trattenesse gli utili per finanziare nuovi progetti. Per aumentare il valore vanno soddisfatte perciò due
condizioni: 1) si devono trattenere gli utili in modo da poter finanziare i progetti 2) i progetti devono avere
un valore attuale netto positivo.

Perchè attualizziamo i dividendi e non gli utili?

Il prezzo stimato dell’azione sarebbe troppo alto se si attualizza solo gli utili anziché i dividendi. Come
abbiamo precedentemente visto solo una quota degli utili spetta agli azionisti sottoforma di dividendi, la
rimanente parte viene trattenuta per generare i dividendi futuri; nel nostro modello gli utili non distribuiti
sono pari all’investimento effettuato dall’azienda. Attualizzare gli utili anziché i dividendi significherebbe
ignorare l’investimento che l’azienda deve effettuare oggi per produrre rendimenti futuri.

Il modello a crescita costante dei dividendi e il modello VANOC

Abbiamo precedentemente utilizzato il modello VANOC per la valutazione delle azioni di un’impresa cash-
cow in presenza dell’opportunità di un progetto ma le opportunità di crescita che si presentano per le
imprese sono tante e continue, confrontando questi due modelli giungeremmo alla stessa conclusione con
la differenza che il modello di VANOC ci richiederebbe maggior tempo poichè calcoleremmo il valore
attuale netto delle azioni in relazione ad ogni singolo investimento effettuato dall’impresa.

La valutazione d’azienda:

Per effettuare la valutazione d’azienda nella pratica vengono utilizzati i seguenti approcci

1) la valutazione dei flussi di cassa, il valore di un’azienda si determina moltiplicando i flussi di cassa netti
per il fattore di valutazione appropriato.

2) il rapporto prezzo-utili, che è in funzione di tre fattori (a) l’ammontare per azione delle opportunità di
crescita a disposizione dell’impresa (b) il rischio insito nel titolo azionario e (c) i criteri contabili impiegati
dall’impresa
3) mediante l’utilizzo del FCFO (free cash flow operativo) con la formula V0= FCFO1/ r-g ; dove FCFO1 è il
flusso di cassa operativo per l’azienda all’anno 1, r è il tasso di attualizzazione e g è il tasso di crescita dei
flussi di cassa aziendali.

Valore attuale netto e criteri alternativi di scelta degli investimenti

Il capital budgeting è un processo decisionale che guida le scelte di investimento.

Il metodo del valore attuale netto si fonda su una regola chiamata regola del VAN e che dice che bisogna
accettare un progetto se il VAN è maggiore di zero e rifiutarlo se è minore di zero

Il VAN di un progetto è il contributo di qualunque progetto al valore di un’impresa.

Il valore dell’azienda è rappresentato dalla somma dei valori dei diversi progetti e questa proprietà è
denominata additività del valore.

Le tre caratteristiche del VAN sono:

• Il VAN impiega flussi di cassa: i flussi di cassa derivanti da un progetto sono fruibili per altre finalità
aziendali, gli utili invece sono una misura artificiale pertanto nel capital budgeting non dovrebbero essere
usati poichè non rappresentano denaro.

• Il VAN utilizza tutti i flussi di cassa del progetto

• Il VAN attualizza correttamente i flussi di cassa: altri approcci potrebbero ignorare il valore temporale del
denaro nella determinazione dei flussi di cassa.

Regola del tempo di recupero: una delle alternative più diffuse al VAN è il tempo di recupero, questa regola
sceglie una data specifica di rientro (detta cut-off) e accetta tutti i progetti che ripagano la somma di denaro
emessa inizialmente entro la medesima data.

La regola del tempo di recupero presenta però almeno tre problemi:

1. Prende in considerazione solamente i flussi di cassa entro il tempo di recupero (il VAN utilizza tutti i flussi
di cassa del progetto)

2. Il timing dei flussi di cassa all’interno del tempo di recupero (Se ho due progetti A e B entrambi con lo
stesso tempo di recupero, però nel progetto A la somma più grande di denaro la incasso prima, per il tempo
di recupero i progetti saranno indifferenti per il VAN il progetto A avrà un valore attuale netto più alto)

3. La scelta del tempo di recupero è una scelta arbitraria

La regola del tempo di recupero attualizzato:

Avendo ben chiari limiti del criterio della regola del tempo di recupero alcuni manager utilizzano una sua
variante denominata regola del tempo di recupero attualizzato e con questo criterio per prima cosa
vengono attualizzati flussi di cassa e poi successivamente ci si chiede quanto tempo ci metteranno i flussi di
cassa attualizzati ad eguagliare l’investimento iniziale. Anche questa alternativa sebbene possa sembrare
migliore ha il limite dell’cut-off arbitrario e dell’ignorare i flussi di cassa successivi alla data prefissata.
Anche se può sembrare una buona alternativa alla regola del tempo di recupero in realtà è solamente un
compromesso scadente tra la regola del tempo di recupero e quella del VAN.
La regola del rendimento medio contabile: Un alto possibile approccio è quello del rendimento medio
contabile, il RMC È costituito dagli utili medi ottenuti dal progetto al netto delle imposte e
dell’ammortamento diviso il valore medio contabile dell’investimento nell’arco della sua vita. Per calcolare
l’RMC del progetto dividiamo l’utile netto medio per l’importo medio investito e lo si può fare in tre fasi:

1. Determinare l’utile netto medio, l’utile netto di qualunque anno è il flusso di cassa netto meno
l’ammortamento e le imposte

2. Determinare l’investimento medio, calcolando la perdita di valore con l’ammortamento

3. Determinare l’RMC dividendo l’utile netto medio per l’investimento medio

Tra i limiti di questo approccio cioè la scelta di input influenzati dalla soggettività del contabile mentre con il
metodo del VAN le stime soggettive del contabile non hanno incidenza, l’RMC non tiene conto del timing
dei flussi mentre il VAN ne tiene conto.

Il tasso interno di rendimento (TIR):

L’alternativa più importante alla regola del VAN è il TIR ovvero il tasso interno di rendimento, il TIR pur non
coincidendo con il VAN presenta molte similitudini con esso. La logica di questo approccio è quella di
fornire un solo numero in grado di sintetizzare i meriti di un progetto il numero in questione non dipende
dal tasso di interesse nel mercato dei capitali ma è intrinseco al progetto e dipende esclusivamente dei
flussi di cassa del progetto.

Il TIR è il tasso che rende il VAN del progetto uguale a zero; La regola generale del TIR ci dice che bisogna
accettare un progetto se il TIR è maggiore del tasso di attualizzazione e rifiutarlo se il TIR è minore del tasso
di attualizzazione:

TIR>R (tasso di attualizzazione) ACCETTO

TIR<R allora RIFIUTO

perchè il VAN è positivo per tassi di attualizzazione inferiore al TIR e negativo nel caso contrario.

I problemi relativi all’approccio del TIR:

In alcuni casi l’approccio del TIR fa emergere i vari problemi, due problemi concernenti da questo approccio
influenzano sia i progetti indipendenti sia i progetti alternativi (per progetti indipendenti intendiamo quei
progetti la cui accettazione o il cui rifiuto non sarà dipendente dall’accettazione o dal rifiuto di altri progetti
mentre definiamo due progetti alternativi qualora si possa accettare unicamente il progetto a o il progetto
B oppure rifiutarli entrambi ma non accettarli entrambi)

• Primo problema è che per i progetti che prevedono un flusso di cassa in entrata al tempo zero seguito da
un flusso di cassa in uscita il tempo uno bisogna accettare il progetto quando il TIR è minore del tasso di
attualizzazione rifiutare il progetto quando il TIR è maggiore del tasso di attualizzazione.

• Secondo problema, per quanto riguarda i progetti che hanno cambiamenti di segno nei flussi di cassa (- , +
, - ) possono essere presenti TIR multipli, tali progetti però possono essere analizzati tramite la regola del
VAN

Ci sono inoltre dei problemi specifici che riguardano i progetti alternativi come ad esempio:
• Il problema della dimensione :(Esempio del professore ci chiede 1) 1 euro in cambio di 1,50 e 2) 10 € in
cambio di 11 questi due richieste hanno VAN (1=0,50 e 2=1) e TIR (1=50 e 2=10)), La regola del VAN ci dice
di scegliere l’alternativa 2 mentre la regola del TIR ci dice di scegliere l’alternativa 1.

• Il problema del timing

Nonostante i suoi limiti la regola del TIR sopravvive perché gli operatori finanziari voglio una regola che
sintetizzi le informazioni sul progetto in un singolo tasso di rendimento

L’indice di redditività: Un altro metodo utilizzato per i progetti è il cosiddetto indice di redditività tale indice
esprime il rapporto tra il valore attuale dei flussi di cassa attesi dopo l’investimento iniziale e l’entità
dell’investimento iniziale IR= VA dei flussi di cassa successivi all’investimento iniziale/investimento iniziale;
l’indice di reddittività ci aiuta in tre ipotesi:

1)Per quanto riguarda i progetti indipendenti, qualora si abbiano due progetti A e B con VAN positivi in
entrambi casi l’indice di redditività è maggiore di 1 tutte le volte che il VAN è positivo, dunque la regola
decisionale dell’IR è: accettare un progetto indipendente se l’IR è > 1 e rifiutarlo se l’IR è < 1.

2)Per i progetti alternativi, qualora si abbiano due progetti A e B la regola del VAN ci suggerisce di accettare
il progetto che ha il VAN più elevato; Anche la regola dell’IR come quella per il del TIR non valuta le
differenze dimensionale sui progetti alternativi e questo limite può essere superato con l’utilizzo dell’analisi
incrementali

3)Razionamento del capitale: in presenza di fondi limitati e più progetti disponibili non possiamo classificare
i progetti in base al loro VAN ma dovremmo perciò classificarli in base al rapporto espresso tra valore
attuale e investimento iniziale.

Nella quotidianità la maggior parte delle imprese utilizzano le regole del VAN e del TIR, l’utilizzo di tecniche
quantitative di capital budgeting varia da settore a settore, inoltre spesso le imprese impiegano più di un
criterio di valutazione degli investimenti.

Decisioni di investimento

Flussi di cassa rilevanti per l’analisi del VAN sono i flussi incrementali: sono la differenza tra i flussi di cassa
dell’impresa in presenza del progetto e quelli in assenza del progetto.

Un costo sommerso: rappresenta una spesa che è già stata sostenuta, poiché i costi sommersi
appartengono al passato non possono essere modificati dalla decisione di accettare o rifiutare un progetto.

I costi opportunità: Sono costi che derivano dal mancato sfruttamento di un’opportunità concessa, i costi
opportunità sono classificati come costi incrementali nelle analisi dei progetti.

Gli effetti collaterali di un progetto su altri comparti dell’impresa possono essere due: l’erosione o la
sinergia; l’erosione si determina quando un nuovo progetto riduce le vendite e i flussi di cassa di prodotti
esistenti, la sinergia si determina invece nel caso in cui un nuovo progetto faccio aumentare i flussi di cassa
dei prodotti esistenti; poichè gli effetti collaterali sono strettamente collegati alle abitudini dei clienti sono
ipotetici è difficili da stimare.
Un costo ripartito: è una spesa che va a beneficio di vari progetti e può essere considerato un flusso di cassa
in uscita di un progetto solo se è un costo incrementali (l’incremento di costo che l’aumento di una certa
quantità di prodotto comporta) del progetto stesso.

Relazione trattasi di interessi ed inflazione (esempio deposito bancario e acquisto degli hamburger)

Il tasso d’interesse è la somma dovuta come compenso per ottenere una somma di denaro in prestito per
un certo periodo; il tasso d’interesse può essere reale o nominale: il tasso di interesse nominale è quello
effettivamente concordato e pagato e il tasso d’interesse reale: chi prende un prestito o deposita i suoi
risparmi non conta solo l’importo nominale pagato; conta anche cosa può comprare con quei soldi. Gli
economisti lo chiamano “potere di acquisto della moneta”. Di solito diminuisce nel tempo perché i prezzi
aumentano a causa dell’inflazione. Se teniamo conto dell’inflazione, capiamo realmente quanto ci costa un
prestito e quanto ci rende il risparmio. Si calcola così: tasso d’interesse reale ≅ tasso d’interesse nominale -
tasso d’inflazione o tasso d’interesse reale = (1+tasso d’interesse nominale/1+ tasso di inflazione) -1

L’inflazione indica l'aumento prolungato del livello medio generale dei prezzi di beni e servizi in un
determinato periodo di tempo, che genera una diminuzione del potere d'acquisto della moneta.

Sia i tassi di interesse che i flussi di cassa possono essere espressi in termini nominali e reali:

Il tasso di interesse reale è il tasso di interesse al netto del tasso di inflazione vigente in una data economia,
quando il tasso di inflazione sale e il tasso nominale di interesse basso è possibile che il tasso di interesse
reale sia negativo.

Il flusso di cassa nominale indica l’effettiva somma in contanti da ricevere o da pagare e il flusso di cassa
reale rappresenta il potere d’acquisto del flusso, va attualizzato al tasso nominale.

Il flusso di cassa reale rappresenta il potere d’acquisto del flusso, va attualizzato al tasso reale.

Approcci al flusso di cassa operativo :

FCFO inteso come liquidità in entrata meno liquidità in uscita, le diverse definizioni di flusso di cassa
operativo si riferiscono ai diversi modi di gestire le informazioni impiegate per ottenere un flusso di cassa.

FCFO= EBIT + ammortamento- imposte

• Approccio BOTTOM-UP:

FCFO= utile netto + ammortamento

Questo approccio è corretto solo in assenza di spese per interessi da sottrarre nel calcolo dell’utile netto.

• Approccio TOP-DOWN:

FCFO= ricavi-costi-imposte

Da questo approccio escludiamo tutte le componenti di costo non monetarie come l’ammortamento.
• Approccio del BENEFICIO FISCALE:

FCFO come somma di due componenti = prima componente (ricavi-costi)x(1-tc) + seconda componente
ammortamento x tc

Gli approcci sopracitati sono identici, il più idoneo sarà quello più conveniente per il problema specifico da
risolvere.

Gli investimenti di diversa durata: il metodo del costo annuo equivalente: qualora si dovessero valutare due
macchinari diversi con diversa vita utile il metodo del VAN ci suggerisce di optare per la macchina i cui costi
hanno il valore attuale più basso, questa scelta tuttavia potrebbe rivelarsi erronea perchè tuttavia la
macchina con il costo più basso potrebbe essere sostituita prima. L’approccio consigliato è quello del
metodo del costo anno equivalente che definisce i costi su base annua e rende più semplice la valutazione;
quest’analisi si applica solo se ci si aspetta di dover poi sostituire entrambe le macchine.

La decisione generale di sostituzione ci dice che si dovrebbe sostituire un macchinario vecchio con uno
nuovo se il costo annuo del vecchio è maggiore del nuovo.

Analisi del rischio, opzioni reali e capital budgeting

Nonostante l’analisi del VAN costituisca concettualmente l’approccio più valido nella pratica esso
rappresenta per i manager ‘un falso senso di sicurezza’ per tale motivo vengono eseguite alcune analisi
sulla realtà:

Analisi di sensibilità ( o analisi what-il o bop acronimo di best, optimistic e pessimistic): questa analisi ci
pone davanti ad una reale possibilità al cui interno sono presenti più elementi variabili ed effettua il calcolo
del VAN per ogni possibilità variando un imput e mantenendo gli altri inalterati.

Purtroppo questa analisi ci consente di modificare una sola variabile per volta mentre nella realtà più
variabili possono modificarsi contemporaneamente pertanto è prevista un’altra analisi;

Analisi di scenario: questa analisi determina l’impatto sul VAN di un’insieme di eventi relativi ad uno
scenario specifico.

Analisi del punto di pareggio (punto in cui il progetto non genera nè perdite nè utili): essa determina il
volume di vendite necessario per raggiungere il punto di pareggio, rappresenta un utile complemento
all’analisi di sensibilità perchè mette in evidenza le importanti conseguenze di decisioni errate.

L’analisi di punto di pareggio impiega solo le stime attese o più attendibili, essa calcola il volume di unità
che occorrono per pareggiare i costi dell’investimento.

punto di pareggio dell’utile contabile: costi fissi+ ammortamento/ prezzo di vendita- costi variabili
L’analisi del punto di pareggio può essere espressa anche in valore attuale ed è preferibile; punto di
pareggio del valore attuale: CAE+ costi fissi x(1-tc)- ammortamento x tc /( prezzo di vendita- costi variabili) x
(1-tc)

Il punto di pareggio in termini di VAN si verifica a un livello di vendite più elevato rispetto al punto di
pareggio in termini di utile contabile; le imprese che raggiungono un punto di pareggio contabile perdono
qualcosa, cioè il costo dell’investimento iniziale.

Questa analisi aiuta a stabilire quanto possano decrescere le vendite prima che il progetto vada in perdita
sia in senso contabile che in termini di VAN.

SIMULAZIONE DI MONTE CARLO

Le opzioni reali: Il metodo del VAN per quanto valido ignora gli aggiustamenti che un’impresa può compiere
dopo l’accettazione di un progetto, tali aggiustamenti prendono il nome di opzioni reali, l’importanza
dell’analisi delle opzioni reali risiede nella capacità di valutare la flessibilità del management e delle
strategie aziendali. Questo esame identifica tutte le possibilità: espandere, ridurre, ritardare e abbandonare
la produzione di una determinata attività.

L’opzione di espansione, opzione di espandere un progetto.

L’opzione di abbandono, opzione di abbandonare un progetto.

L’opzione di differimento,opzione che prevede di temporeggiare e prendere tempo prima di effettuare il


progetto.

Il metodo di rappresentazione delle opzioni reali sono gli alberi delle decisioni e cioè grafici nei quali è
possibile inserire e valutare tutte le possibili decisioni che può intraprendere un’azienda riguardo
un’operaia specifico progetto.

Rischio e rendimento: lezioni dalla storia del mercato dei capitali

Da un investimento in azioni o in obbligazioni è possibile ottenere un rendimento, tale rendimento può


derivare da due fattori:

• Il dividendo, che è la somma di denaro che si riceverà dall’impresa al conseguimento di utili, e costituisce
la componente del reddito del rendimento.

Reddito= dividendo per azione x numero di azioni

• Il capital gain (guadagno in conto capitale) o capital loss (perdita in conto capitale) che è l’altra
componente del rendimento.

Capital gain (guadagno) =(prezzo ora- prezzo prima) x numero di azioni

Capital loss (perdita) = (prezzo ora-prezzo prima) x numero di azioni

Il rendimento monetario totale dell’investimento è pari alla somma del reddito da dividendo e del capital
gain, o del capital loss, sull’investimento.

Rendimento monetario totale = reddito da dividendo + capital gain (o capital loss)


Se alla fine dell’anno vendessimo le azioni la nostra liquidità totale sarebbe costituita dall’investimento
iniziale più il rendimento monetario totale; se le detenessi e non le monetizzassi considereremmo ancora il
capital gain una componente del rendimento perchè la decisione non intacca la possibilità di ottenere il
controvalore in denaro delle azioni.

Il rendimento percentuale o rendimento del dividendo è :

Rendimento del dividendo= Divt+1/Pt dove t è l’anno in esame, Pt è il prezzo del titolo azionario all’inizio
dell’anno e Divt+1 è il dividendo pagato per ogni azione nel corso dell’anno.

Il capital gain/loss è la variazione intervenuta nel prezzo delle azioni divisa per il prezzo iniziale perciò :
(Pt+1 - Pt)/Pt

Combinando questi due elementi otterremo il rendimento totale :

Rendimento totale = rendimento del dividendo + capital gain/loss

La misurazione del rendimento:

Qualora ci si chiedesse qual è la stima migliore del rendimento che avrebbe potuto ottenere un investitore
in un determinato anno in un certo periodo la risposta più appropriata sarebbe calcolare il rendimento
medio; nell’istogramma dei rendimenti annui del mercato azionario vediamo la distribuzione di frequenza
dei dati. L’altezza dell’istogramma è il numero delle osservazioni campionarie effettuate nell’intervallo
riportato sull’asse orizzontale. In presenza di una distribuzione di frequenza è possibile calcolarne la media:
lo facciamo sommando tutti i valori e dividendoli per il numero totale T di osservazioni media= R=R1+...
+RT/ T .

Dopo aver calcolato il rendimento medio del mercato azionario è logico confrontarlo con i rendimenti di
altri titoli; i rendimenti a bassa variabilità che osserviamo sul mercato dei titoli di stato sono privi della
maggior parte dei fattori di volatilità che invece osserviamo sui mercati azionari: il tipico buono del Tesoro è
un’obbligazione a sconto puro con scadenza a un anno o inferiore con rischio di insolvenza praticamente
nullo per tale motivo lo denomineremo rendimento privo di rischio.

I rendimenti azionari sono più rischiosi e la differenza tra rendimenti privi di rischio e rendimenti rischiosi è
definita extra rendimento rispetto all’attività rischiosa, il termine extra perchè è il rendimento aggiuntivo
derivante dall’attività rischiosa e interpretato come un premio per il rischio sulle azioni. Sebbene il fatto che
non ci sia alcun tipo di rischio per i titoli di stato possa sembrare un vantaggio in realtà dalle osservazioni
dei dati del mercato azionario è emerso che le azioni rispetto alle attività prive di rischio nel lungo periodo
hanno un maggior rendimento, chi investe in azioni infatti viene remunerato da un rendimento più alto
chiamato excess return rispetto a chi investe in buoni del Tesoro.

La misurazione del rischio: Non esiste una definizione universale e condivisa di rischio però è possibile
valutare la rischiosità con degli indicatori:

Lo spread o dispersione indica quanto un determinato rendimento può deviare dal rendimento medio; ne
consegue che se la distribuzione è molto dispersa i rendimenti saranno incerti mentre se i rendimenti
saranno concentrati in un range di pochi punti percentuali sarà più concentrata e perciò i rendimenti
saranno meno incerti.

La varianza e lo scarto quadratico medio sono le misure più comuni di variabilità o dispersione, la varianza è
indicata con i simboli Var o σ2 mentre lo scarto quadratico medio, che è la radice quadrata della varianza,
con SQM o σ.
La varianza si calcola :

1. Facendo la media dei rendimenti e trovando perciò R medio

2. Var=

Lo scarto quadratico sarà la sua radice quadrata, questo è l’indice statistico di riferimento per misurare la
dispersione di un campione.

L’indice di Sharpe esprime il rendimento in rapporto al livello di rischio assunto (misurato dallo scarto
quadratico) e la sua formula sarà: premio per il rischio/ scarto quadratico medio.

La distribuzione normale e le sue implicazioni per lo scarto medio quadratico:

La distribuzione normale presenta la curva a campana, è simmetrica rispetto alla sua media e assume una
forma più regolare; la distribuzione normale riveste un ruolo centrale e lo scarto quadratico medio
rappresenta il mezzo utilizzato per rappresentare la dispersione di una distribuzione normale; in una
distribuzione normale la probabilità di avere un rendimento superiore o inferiore alla media di un certo
ammontare dipende unicamente dallo SQM.

Nel caso di una distribuzione normale c’è una probabilità del 68,26% che un rendimento si discosti dalla
media entro uno scarto quadratico medio, una probabilità del 95,44% che si discosti dalla media entro due
scarti quadratici medi e una probabilità del 99,74% che si discosti dalla media entro tre scarti quadratici
medi.

Altre misure di rischio:

Anche se la varianza e lo scarto quadratico medio sono gli indici più comuni di rischio, esistono altri
approcci che talvolta vengono utilizzati dagli investitori. Uno dei limiti principali della varianza e dello SQM
è costituito dall’assunto implicito che gli incrementi dei prezzi azionari siano rischiosi esattamente quanto le
diminuzioni, tuttavia però gli investitori ritengono più rischioso un calo del valore del proprio investimento
rispetto alla crescita di valore dello stesso. Questa asimmetria nelle prospettive personali è considerata il
punto debole di Var e SQM.

Le misure asimmetriche del rischio utilizzano solo la variazione negativa dei rendimenti rispetto ad un
rendimento target; pertanto la semivarianza si calcola così:

dove n è il numero di osservazioni al di sotto del target rt è il rendimento osservato e target è il


rendimento target.

La semivarianza ha il vantaggio dunque di prendere in considerazione nella misura del rischio solo le
deviazioni al di sotto del target o del rendimento di riferimento.

Un altro indice di rischio che incorpora l’asimmetria nei rendimenti è l’indice di asimmetria che è l’indice
che misura il grado in cui una distribuzione presenta una asimmetria positiva (con coda a destra) o negativa
(con coda a sinistra). Per misurare il grado di asimmetria che caratterizza una serie di rendimenti , detto
anche rischio di asimmetria, basta dividere la percentuale di variazione causata dalle deviazioni superiori
alla media per la percentuale di variazione causata dalle deviazioni inferiori alla media; valori superiori ad 1
corrispondono ad un’asimmetria positiva, valori inferiori ad 1 ad un’asimmetria negativa.

Un secondo indice collegato alla distribuzione dei rendimenti è la curtosi, la curtosi misura la frequenza dei
rendimenti collocati agli estremi delle code sinistra e destra; costituisce una misura dello “spessore” delle
code, ovvero un “appiattimento” di una distribuzione.

Rendimento medio geometrico ed aritmetico:

Prendiamo l’esempio : acquisto un’azione a 100€, nel primo anno il prezzo scende a 50€ ma decido di
tenerla e il terzo anno il prezzo risale a 100€; Il rendimento geometrico è 0% poichè siamo partiti con 100€
e siamo ritornati a 100€, infatti questo rendimento risponde alla domanda “qual è stato il rendimento
medio composto annuo in un determinato periodo?”. Il rendimento aritmetico però che risponde alla
domanda “ qual è stato il rendimento in un anno medio di un determinato periodo?” ci fa giungere ad un
risultato di 25% poichè il primo anno avevamo 100€ ed il secondo abbiamo perso il 50% (la metà dei nostri
soldi) per poi il terzo anno guadagnare il 100% ( abbiamo raddoppiato i nostri soldi) il rendimento nei due
anni è stato (-50% +100%)/2= 25%.

Rischio e rendimento: Il Capital Asset Pricing Model

Rendimento atteso: rendimento che attendo da un titolo nel prossimo periodo, è solo atteso perciò il
rendimento realizzato può essere maggiore o minore.

Varianza e scarto quadratico medio: metodi per calcolare la volatilità del rendimento di un titolo (scarti del
rendimento realizzato rispetto a quello atteso)

Covarianza e correlazione: la covarianza è la misura statistica dell’interdipendenza tra due titoli, questa
relazione si può formulare anche in termini di correlazione.

Il rendimento e il rischio dei portafogli:

Supponiamo che un investitore possieda tutte le informazioni che gli occorrono per formare il suo
portafoglio, in che modo sceglierà la combinazione dei titoli da detenere?

Ovviamente vorrebbe avere un portafoglio caratterizzato da un alto rendimento atteso e un basso scarto
quadratico medio deve perciò tener conto: della relazione tra il rendimento atteso dei singoli titoli e il
rendimento atteso di un portafoglio composto da questi titoli e della relazione tra gli scarti quadratici medi
dei singoli titoli, la correlazione tra questi titoli e lo scarto quadratico medio di un portafoglio composto da
questi titoli.

Il rendimento atteso di un portafoglio è la media ponderata dei rendimenti attesi dei singoli titoli che lo
compongono.

Rendimento atteso del portafoglio= %investita in azioni A x (rendimento atteso titoliA) + %investita in azioni
B x (rendimento atteso titoliB) .
La varianza di un portafoglio dipende sia dalle varie ne dei singoli titoli sia dalla covarianza tra i due titoli
pertanto la formula sarà:

Una covarianza positiva tra i due titoli accrescerà la varianza dell’intero portafoglio, al contrario una
covarianza negativa riduce la varianza dell’intero portafoglio. Se il rendimento di uno dei due titoli tenderà
a salire quando l’altro scenderà o viceversa i due titoli si compenseranno dando origine ad un meccanismo
protettivo che in finanza è chiamato copertura (hedge) e il rischio del portafoglio sarà basso; se i rendimenti
di entrambi i titoli aumentano e diminuiscono contemporaneamente non si verificherà alcuna copertura e il
rischio complessivo del portafoglio sarà più elevato.

Lo scarto quadratico medio di un portafoglio: è la radice quadrata della varianza di un portafoglio perciò
identica a quello di un singolo titolo; lo scarto quadratico medio di un portafoglio è inferiore alla media
ponderata degli scarti quadratici medi dei singoli titoli e il risultato relativo all SQM di un portafoglio è
dovuto alla diversificazione. Però lo scarto quadratico medio del rendimento di un portafoglio è uguale alla
media ponderata degli scarti quadratici medi dei singoli titoli quando la correlazione (ρ) è uguale a 1; se ρ <
1 lo scarto quadratico medio di un portafoglio composto da due titoli è inferiore alla media ponderata degli
scarti quadratici medi dei singoli titoli, ovvero l’effetto diversificazione si verifica a condizione che vi sia una
correlazione meno che perfetta cioè ρ<1 .

L’ effetto diversificazione riduce lo SQM di un portafoglio e può portare ad una correlazione anche negativa
ma allo stesso tempo fa in modo che sia ridotto il rischio del portafoglio.

La frontiera efficiente per due attività:

La scelta del portafoglio si concentra su tutte le possibili alternative presenti nell’insieme efficiente o
frontiera efficiente che sono quei punti che vanno dal portafoglio di minima varianza al punto B (nel nostro
caso); la nostra frontiera si estende su una curva perchè ρ < 1 e perciò c’è l’effetto diversificazione se ρ
fosse stato uguale ad 1 si sarebbe sviluppata lungo una retta (no effetto diversificazione); gli investitori più
avversi al rischio sceglieranno un portafoglio più vicino al portafoglio di minima varianza mentre quelli più
predisposti al rischio sceglieranno quelli più distanti. Nessun investitore sceglierà il portafoglio al di sotto di
quello di minima varianza poichè avrà un rendimento atteso minore e uno scarto quadratico medio
maggiore.

La frontiera efficiente per molti titoli:

Se per due titoli ci muovevamo su un segmento o una curva, per molti titoli la scelta del portafoglio ricade
all’interno di un’area al di fuori della quale non può collocarsi alcun titolo; l’arco superiore dell’area che va
dal portafoglio di minima varianza al punto B ( nel nostro caso) è detta sempre frontiera efficiente i punti al
di sotto della frontiera efficiente conterranno il rischio ma avranno un rendimento atteso minore e uno
scarto quadratico medio maggiore.

La varianza del rendimento di un portafogli composto da molti titoli dipende in misura maggiore dalle loro
covarianze che dalle varianze dei singoli titoli ed è calcolabile attraverso una matrice NxN =N
Ogni investitore sceglie di diversificare il suo portafoglio inserendo al suo interno sia attività rischiose che
attività prive di rischio, l’attività priva di rischio per definizione non ha variabilità pertanto calcolando la
varianza di un portafoglio con due titoli, uno privo di rischio ed uno rischioso e facendo la formula vedremo
che la varianza del titolo privo di rischio sarà 0 pertanto resterà solo quella del titolo rischioso. A livello
grafico la relazione tra rendimento atteso di un’attività rischiosa ed una priva di rischio è rappresentata su
un segmento tra il tasso privo di rischio e l’investimento totale in azioni rischiose, l’insieme ammissibile
dunque ha un andamento lineare e non curvilineo come avviene per due attività rischiose.

Il portafoglio ottimale:

Il portafoglio ottimale per ogni investitore sarà quello che mette in relazione l’attività al tasso privo di
rischio e la frontiera efficiente di un insieme di combinazioni di titoli, la semiretta che metterà in relazione
queste due componenti è chiamata linea del mercato dei capitali; naturalmente non tutti gli individui
saranno propensi al rischio nello stesso modo perciò la posizione finale lungo la retta sarà determinata da
una variabile soggettiva.

Con questa analisi giungiamo ad enunciare il principio di separazione: questo principio definisce la scelta
dell’investitore come il risultato di due fasi, la prima fase in cui dopo aver stimato rendimenti attesi e
varianze di singoli titoli e le covarianze tra le coppie di titoli l’investitore calcola la frontiera efficiente delle
attività rischiose per determinare poi il punto A di tangenza tra il tasso privo di rischio e la frontiera
efficiente delle attività rischiose; il punto A rappresenta il portafoglio delle attività rischiose che deterrà
l’investitore ( questa fase non sarà determinata da nessuna componente caratteristica come l’avversione al
rischio); ed una seconda fase in cui l’investitore decide come combinare il portafoglio A composto da
attività rischiose con l’attività priva di rischio, la scelta finale del posizionamento da assumere sulla linea è
determinata dalle sue caratteristiche personali come il grado di avversione al rischio.

Il portafoglio di mercato:

Il portafoglio di mercato è teorizzato a partire da aspettative omogenee, l’ipotesi delle aspettative


omogenee afferma che tutti gli investitori hanno le stesse convinzioni in relazione ai rendimenti, alle
varianze e alle covarianze (non viene menzionata la stessa avversione al rischio) e a partire da queste
aspettative ci si aspetterebbe che tutti gli investitori scegliessero il portafoglio (A) composto interamente da
attività rischiose; dunque il portafoglio di mercato è quello che tutti sceglierebbero mossi dalle stesse
convinzioni e se così fosse sarebbe possibile calcolarlo. Gli economisti finanziari nella pratica scelgono un
indice generale come campione rappresentativo del portafoglio di mercato infatti tale indice, sebbene non
tutti detengano lo stesso portafoglio, è rappresentativo dei portafogli diversificati di molti investitori.

La linea caratteristica rappresenta il rendimento atteso delle azioni per ogni possibile rendimento del
portafoglio di mercato; la pendenza di questa linea è il beta.

Il beta è la miglior misura del rischio di un titolo incluso in un ampio portafoglio, esso misura la sensibilità di
un’azione alle variazioni che intervengono nel portafoglio di mercato. L’aggiunta di un titolo con beta
negativo all’interno di un portafoglio può considerarsi una sorta di copertura infatti questa azione dovrebbe
andar bene quando il mercato va male e viceversa ( l’aggiunta di un titolo con beta negativo riduce il
rischio, pertanto l’evidenza empirica ha dimostrato che praticamente non esistono titoli azionari con beta
negativo).

La formula del beta è:

Per definizione il beta del portafoglio di mercato è 1, ciò significa che per ogni variazione dell’1% che
interviene nel mercato, il mercato reagisce anch’esso con una variazione dell’1% (per definizione).

Il Capital Asset Pricing Model (CAPM)

Il rendimento atteso del mercato è la somma tra il tasso privo di rischio e una remunerazione per il rischio
insito nel portafoglio di mercato : RM= RF+ premio per il rischio

Naturalmente poichè i titoli azionari sono rischiosi il rendimento effettivo del mercato in un determinato
periodo può esssere inferiore a RF o addirittura negativo.

Il CAPM implica che il rendimento atteso di un titolo sia linearmente correlato con il suo beta

Rrendimento atteso di un titolo = RF privo di rischio + β beta del titolo x (RM -RF) differenza tra il
rendimento atteso del mercato e il tasso privo di rischio

• Se β=0 Rrendimento atteso di un titolo =RF poichè un titolo con rendimento pari a 0 non presenta alcun
tipo di rischio il suo rendimento atteso sarà uguale al tasso privo di rischio.

• Se β=1 l’equazione si riduce a Rrendimento atteso di un titolo=RM ciò vale a dire che il rendimento atteso
del titolo è uguale al rendimento atteso del mercato

Questo modello può essere rappresentato graficamente dalla retta denominata linea del mercato azionario
(SML, Security Market Line) che è rappresentata in un grafico con il beta del titolo sull’asse orizzontale e il
rendimento atteso del titolo (%) sull’asse verticale; avrà RF, tasso privo di rischio, come intercetta, e (RM -
RF) è la pendenza; la linea avrà un’inclinazione positiva finchè il rendimento atteso del mercato sarà del
tasso privo di rischio (poichè il portafoglio di mercato è un’attività rischiosa il suo rendimento atteso in
teoria deve essere superiore al tasso privo di rischio).

Altri aspetti relativi al CAPM che vanno menzionati sono:

• Linearità, la relazione tra rendimento atteso e beta corrisponde a una linea retta; i titoli che si collocano al
di sotto della SML non sono desiderabili per gli investitori e pertanto i loro prezzi scenderebbero e questo
processo di aggiustamento farebbe aumentare i rendimenti attesi dei titoli e ciò continuerebbe finchè i
titoli non si collocheranno sulla linea del mercato azionario, allo stesso modo i titoli che si collocano al di
sopra della SML hanno un prezzo troppo basso rispetto a quello di equilibrio (sono sottovalutati) di
conseguenza in condizione di equilibrio i loro prezzi aumentano e i rendimenti diminuiscono sino a
collocarsi sulla retta stessa, come previsto dal CAPM; se la SML avesse un andamento curvilineo molti titoli
avrebbero anomalie di prezzo.

• Portafogli e titoli, il CAPM vale sia per i singoli titoli che per i portafogli.

• Da non confondere la SML ( Security Market Line) del CAPM con la CML (Capital Market Line) :

la CML determina la frontiera efficiente di portafogli formati sia da attività rischiose che da attività priva di
rischio, ha sull’asse orizzontale lo scarto quadratico medio, il punto A (che sta sulla frontiera efficiente) è un
portafoglio composto interamente da attività rischiose e tutti gli altri punti appresentando portafogli che
combinano A con attività priva di rischio, la CML vale solo per i portafogli efficienti; la SML del CAPM ha
sull’asse orizzontale il beta del titolo, mette in relazione il rendimento atteso con il beta e vale sia per i
singoli titoli che per i portafogli.

Critica del CAPM da parte di Roll,1977.

Richard Roll ha affermato che essendo praticamente impossibile costruire un portafoglio di mercato che
includa tutte le azioni esistenti (vero portafoglio di mercato), qualunque test effettuato sul CAPM con
l’utilizzo di un indice rappresentativo del mercato metterà alla prova quel determinato portafoglio e non il
vero portafoglio di mercato. Pertanto il CAPM è impossibile da testare empiricamente perchè il portafoglio
di mercato sottostante è inosservabile.

Test empirici sul CAPM:

Nonostante il gran numero di test empirici effettuati sul CAPM negli anni novanta fu messo in discussione
da due articoli di Fama e French che hanno presentato evidenze incoerenti con il modello; gli articoli di
Fama e French contengono due osservazioni interconnesse, la prima è che la relazione tra rendimento
atteso e beta nelle imprese statunitensi tra gli anni ‘40 e ‘90 è debole e praticamente inesistente tra gli anni
‘60 e ‘90, la seconda è che il rendimento medio di un titolo azionario è negativamente correlato sia con il
rapporto prezzo-utili, sia con il rapporto valore di mercato-valore contabile dell’impresa.

Modelli fattoriali e Arbitrage Pricing Theory

Il rendimento di ogni titolo azionario scambiato su un mercato finanziario è formato da due componenti: il
rendimento normale o atteso che è la parte del rendimento che gli azionisti sul mercato prevedono e si
aspettano e il rendimento incerto o rischioso che dipende dalle informazioni che saranno rivelate nel corso
del mese. Rendimento totale = parte attesa del rendimento + parte inattesa del rendimento.

Nel corso del mese vengono fatti degli annunci che spesso non coincidono con le aspettative degli
investitori pertanto annuncio= parte attesa dell’annuncio + effetto sorpresa; effetto sorpresa= risultato
effettivo- previsione.

La parte non anticipata del rendimento, quella derivante dalle sorprese, rappresenta il vero rischio di ogni
investimento, il rischio conseguente agli annunci può essere scomposto in due componenti:

Rischio sistematico e rischio non sistematico (o specifico), il rischio sistematico è un rischio che influenza in
misura maggiore o minore un ampio numero di attività (Pil,tassi d’interesse,inflazione) mentre il rischio non
sistematico o specifico influenza specificatamente una singola attività o un piccolo gruppo di attività
(innovazione tecnologica). Dunque nella formula del rendimento totale precedentemente scritto prima
possiamo inserire che la parte inattesa del rendimento= rischio sistematico+rischio non sistematico.
Il rischio sistematico può essere chiamato anche rischio di mercato mentre quello non sistematico o
specifico può essere chiamato anche idiosincratico. Il rischio non sistematico di un’azienda non influenza
l’altra azienda ma il rischio sistematico influenza più aziende contemporaneamente.

Modelli fattoriali:

Un modello fattoriale è un modello che esamina le fonti sistematiche di rischio indicandole con F (fattori), è
possibile cogliere l’influenza del rischio su ogni fattore grazie al coefficiente β associato ad ogni fattore, il
coefficiente beta infatti misura l’impatto di un rischio sistematico sui rendimenti di un titolo. Il rendimento
del titolo = rendimento atteso+β1F1+β2F2+β3F3+...+βkFk+ ε

Noi abbiamo visto l’esempio utilizzando come fonti sistematiche tre fattori PIL, inflazione e variazione dei
tassi d’interesse; nella pratica i ricercatori per valutare i rendimenti non utilizzano tutti i fattori economici
ma si servono di un indice di rendimento del mercato azionario oppure i rendimenti dei portafogli
cosiddetti “di arbitraggio” che rappresentano fattori la cui importanza è stata attestata da ricerche
precedenti. Considerando un unico fattore come l’indice dei rendimenti del mercato azionario non avremo
bisogno di mettere un pedice per ogni beta, in questo modo però otterremo il modello fattoriale chiamato
market Model o modello di mercato. Il beta di mercato ( la covarianza standardizzata dei rendimenti del
titolo con quelli del mercato) rappresenta la misura appropriata del rischio nelle ipotesi di aspettative
omogenee e di possibilità di indebitamento e di investimento al tasso privo di rischio.

Le applicazioni pratiche relative ai modelli fattoriali sono cambiate significativamente a partire dal 1993 con
la pubblicazione di un articolo di Fama e French e dal 1997 con un articolo pubblicato da Carhart; entrambi
gli articoli riconoscevano che l’indice di mercato da solo non fosse in grado di spiegare esaustivamente la
variazione dei rendimenti delle attività. Fama e French hanno così introdotto un modello trifattoriale
aggiungendo all’indice di mercato due fattori inediti: un fattore “valore contabile/valore di mercato” che
rappresenta il rendimento di un portafoglio di arbitraggio che è lungo (investimento positivo) sui titoli
azionari con alto rapporto fra valore contabile e valore di mercato ed è corto (investimento negativo o
indebitamento) su quelli con basso rapporto tra valore contabile e valore di mercato ed un fattore
“dimensione” che corrisponde ad un portafoglio di arbitraggio che è lungo sui titoli di imprese di piccole
dimensioni e corto su quelli di imprese di grandi dimensioni. Carhart ha in seguito aggiunto un ulteriore
fattore che costituisce un “effetto momentum” misurato dal rendimento di un portafoglio di arbitraggio
che è lungo sui titoli che hanno conseguito le performance migliori nell’anno precedente ed è corto sui titoli
che hanno conseguito le performance peggiori, dando origine ad un modello a quattro fattori.

Il modello a quattro fattori indica rispettivamente:

1. Il premio per il rischio di mercato

2. La differenza di rendimento fra le azioni con alto rapporto fra valore contabile e valore di mercato

3. La differenza di rendimento fra le azioni delle piccole imprese e quelle delle grandi imprese

4. La differenza di rendimento fra le azioni con le migliori performance storiche e quelle con le peggiori.

(Il modello di FeF è lo stesso ma senza il MOM)

Nel 2015 Fama e French hanno pubblicato un nuovo lavoro sul modello a tre fattori dimostrando che in
realtà un modello a cinque fattori basato su: dimensione, valore, profittabilità e dinamiche degli
investimenti risultava migliore, i tre elementi iniziali rimangono uguali ma si aggiungono:

1. La differenza tra i rendimenti dei portafogli azionari diversificati in imprese con alta e bassa profittabilità
2. La differenza tra i rendimenti dei portafogli di azioni di imprese con bassi e alti livelli di investimento.

Modello fattoriale utilizzato per i portafogli:

Il modello fattoriale può essere utilizzato anche nella valutazione dei portafogli, sappiamo che il
rendimento si un portafoglio è la media ponderata dei rendimenti delle singole attività che lo compongono
ed abbiamo rilevato con il modello fattoriale che il rendimento di ciascuna attività è determinato sia dal
fattore F sia dal rischio non sistematico ε pertanto il rendimento di un portafoglio è determinato da tre
insiemi di parametri:

• il rendimento atteso di ogni singolo titolo (media ponderata dei rendimenti attesi; non c’è incertezza)

• Il beta di ogni titolo moltiplicato per il fattore F (media ponderata dei beta xF; l’incertezza di si ferisce
all’unico termine F)

• Il rischio non sistematico di ogni singolo titolo (media ponderata dei rischi non sistematici; l’incertezza è in
ciascun rischio non sistematico)

Gli investitori spesso detengono portafogli diversificati, ora analizziamo un portafoglio ampiamente
diversificato, ci accorgiamo che in presenza di un portafoglio ampiamente diversificato il rischio non
sistematico di ogni singolo titolo è praticamente nullo, questo perchè aggiungendo numerose attività al mio
portafoglio, ed essendo il mio rischio non sistematico legato esclusivamente all’attività di riferimento e non
influenza altre attività, con la diversificazione renderò i rendimenti del mio ampio portafoglio sempre più
certi e i rischi sempre minori. Per quanto riguarda il fattore F che influenza tutte le attività non possiamo
eliminarlo con la diversificazione.

Il rischio rilevante nei portafogli ampiamente diversificati è completamente sistematico poichè il rischio non
sistematico è eliminato dalla diversificazione; quanto detto però non ci legittima a sostenere che i titoli
azionari, come i portafogli, siano privi di rischio non sistematico, nè si potrebbe intendere che il rischio non
sistematico di un titolo non influenzi i suoi rendimenti. Nell’ipotesi che un investitore valuti se aggiungere o
meno più titoli al loro portafoglio può prendere in analisi solo il rischio sistematico come influenza per il suo
rendimento atteso.

Nel CAPM il beta di un titolo misura la sensibilità del titolo stesso alle variazioni del portafoglio di mercato,
nel modello unifattoriale dell’ APT il beta di un titolo misura la sensibilità del titolo stesso al fattore
considerato.

Modello unifattoriale:

Ipotizzando un portafoglio di mercato composto da un numero di titoli sufficienti ad applicare una piena
diversificazione e ipotizzando che ogni titolo rappresenti una quota proporzionale dell’intero portafoglio
possiamo, tale portafoglio sarà completamente diversificato e non conterrà alcun rischio non sistematico;
in altre parole un simile portafoglio è perfettamente correlato con l’unico fattore ovvero è una versione in
scala o ridotta del fattore; con gli aggiustamenti di scala appropriati possiamo trattare il portafoglio di
mercato come il fattore stesso. Il portafoglio di mercato, al pari di ogni titolo o portafoglio, giace sulla linea
del mercato azionario.

CAPM e APT:
Il CAPM e APT sono entrambi modelli alternativi di descrizione della relazione tra rischio e rendimento. Le
differenze pedagogiche tra i due modelli sono:

• Il CAPM ha un vantaggio di d’attivo in quanto consente agli studenti la trattazione delle frontiere efficienti
cosa che l’APT non ci consente di fare; allo stesso tempo il risultato riguardante la relazione di rischio
sistematico e non sistematico trattata a cui giungiamo con l’APT risulta più debole con il CAPM e meno
intuitiva in quanto in questo modello i rischi non sistematici possono essere correlati fra loro.

• L’APT presenta un altro tipo di vantaggio nella valutazione dei rischi perchè attraverso tale modello si
aggiungono fattori finchè il rischio non sistematico non diventa privo di correlazione con il rischio
sistematico; attraverso tale formulazione è facile dimostrare pertanto che il rischio non sistematico
diminuisce progressivamente (o scompare) quando il numero di titoli nel portafoglio aumenta e che invece
i rischi non sistematici non diminuiscono affatto.

Le differenze applicative tra i due modelli sono:

• L’APT si occupa di molteplici fattori (nonostante ci siamo occupati anche del modello unifattoriale) che ci
porta alla conclusione per cui il rendimento atteso del titolo è collegato ai beta relativi ai fattori che
influenzano il titolo stesso. Ogni fattore rappresenta un rischio che non può essere eliminato tramite la
diversificazione, quanto più è alto il beta del titolo rispetto ad un fattore, tanto più alto è il rischio sostenuto
dal titolo. L’utilizzo di molti fattori rende questo modello più vicino alla realtà anche se è difficile stabilire
quali fattori siano più appropriati per ogni circostanza; tuttavia questi fattori non scaturiscono da basi
teoriche e non è detto che rendano efficaciemente conto dei rendimenti delle imprese nei diversi paesi.

• Il CAPM ignora i fattori trattati nell’APT ma con l’utilizzo di un indice di mercato nella formulazione del
modello lo rende valido a livello teorico; tali indici replicano infatti abbastanza fedelmente i movimenti del
mercato azionario.

Rischio, costo del capitale e capital budgeting:

Il costo del capitale aziendale:

Quando un’impresa dispone di liquidità in eccesso i modi in cui può agire sono due:

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