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ECONOMIA DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI

Corso di Daniela Vandone (2023)


Le tre crisi finanziarie

Quando si studiano gli intermediari finanziari bisogna sapere che il sistema finanziario è a contatto con l’economia
reale, tant’è vero che è l’industria più vigilata e regolata al mondo perché è quella che ha un interesse pubblico
maggiore, proprio per i legami che ha con l’economia reale.
Se l’industria finanziaria va in crisi, il primo rubinetto che chiude è quello dei finanziamenti alle imprese.

Tra il 2008 e il 2021 si sono verificate due crisi finanziarie e una crisi pandemica:

 La prima è quella del 2008, nata negli USA da un gruppo di banche che erogavano mutui a dei clienti subprime
(molto rischiosi)
 La seconda è quella del 2011 ed è la crisi del debito sovrano europeo
Essa è una crisi europea, che tocca soprattutto alcuni paesi, tra cui l’Italia, in cui lo SPREAD continuava a salire
fino ad arrivare ad ottocento punti base (circa l’8% in più rispetto alla Germania).
Questo perché con la crisi del 2008 un po’ tutte le economie sono entrate in crisi e la nostra in particolare. In
questo caso, l’economia finanziaria e reale ha un rischio alto.
 La terza crisi è una crisi non più finanziaria, ma di economia reale, ed è la crisi pandemica. Nel 2020 non
c’erano quelle condizioni che potessero far immaginare ad una crisi come le due precedenti.
Dal 2021 sono stati introdotti una serie di interventi pubblici e di moratorie che stanno attutendo gli effetti della
crisi economica (per questo stanno intervenendo li istituti di vigilanza, per cercare di mettere in sicurezza i sistemi
ed evitare questa crisi).

L’INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA: LA DIMENSIONE


STRUTTURALE
Quando parliamo di sistema finanziario lo possiamo prendere in considerazione dal punto di vista della

- dimensione strutturale = elementi che lo compongono


- dimensione funzionale = le funzionalità che sono connesse all’attività in generale di intermediazione
finanziaria.

Noi lo consideriamo in senso strutturale

= In generale possiamo definire un sistema finanziario come un sistema che è finalizzato al soddisfacimento delle
esigenze finanziarie degli operatori economici, che sono le unità in surplus (le famiglie, coloro che investono denaro
perché hanno risparmi in eccesso) e le unità in deficit (imprese che hanno bisogno di finanziamenti per svolgere le loro
attività).
È quindi un’infrastruttura che permette il trasferimento di denaro da un soggetto ad un altro, da chi vuole
investire a chi ha bisogno di prendere a prestito per l’esercizio della propria attività.

Sono tre gli elementi che caratterizzano il sistema finanziario in senso strutturale:

 Le ATTIVITÀ FINANZIARIE 2che compongono un determinato sistema finanziario. Sono gli strumenti che
vengono scambiati nel mercato finanziario: esse incorporano diritti e doveri di soggetti che stipulano un contratto
finanziario con una determinata prestazione tra le finalità.
 Le ISTITUZIONI FINANZIARIE, che possono essere mercati finanziari (dove transitano prodotti finanziari)
oppure intermediari finanziari (che non si limitano ad essere un luogo dove vengono scambiati i titoli, ma
raccolgono risorse per poi erogare finanziamenti che non hanno nulla a che vedere con le risorse raccolte).
Mercati e intermediari sono tenuti distinti proprio perché hanno caratteristiche strutturali diverse.
 Attività finanziarie e istituzioni finanziarie sono disciplinate da REGOLE, che sono molto analitiche e molto
onerose e pervadono ogni ambito dell’industria finanziaria, perché l’impatto di una crisi del sistema finanziario sul
mondo economico può essere molto forte (sia per impatti diretti che per rischi sistemici).
L’iper-regolamentazione del sistema finanziario è conseguenza del suo forte legame con l’economia reale. Infatti,
le due economie si influenzano a vicenda in un ciclo: comportamenti opportunistici in uno dei due può far crollare
l’altro.

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Attività finanziarie
= Le attività finanziarie sono strumenti che incorporano i rapporti di finanziamento tra gli operatori. Esse, dunque,
possono essere tra loro molto eterogenee; tuttavia, hanno delle caratteristiche comuni:
 La prima è il fattore TEMPO: tutte le attività finanziarie si caratterizzano per il fatto che esiste una dilazione
temporale tra il momento i cui viene effettuata la prestazione e il momento in cui viene resa la controprestazione.
 Il fatto che esista questo intervallo temporale determina l’insorgenza di un RISCHIO (il più importante che
consideriamo è il rischio di credito): il rischio che la controparte non adempia alla controprestazione nei termini
stabiliti e inoltre che la controparte possa avere dei problemi alla restituzione della somma di denaro o che diventi
più rischiosa (per cui il tasso di interesse non copre questo maggior rischio). Il rischio, quindi, intercorre tra la
prestazione e la controprestazione. Esistono altri rischi oltre al rischio di credito, caratteristici di attività
finanziarie diverse.
Rischio di liquidità = rischio di non poter liquidare (vendere) il mio prodotto finanziario sul mercato.

 Questo rischio fa sì che maturi un TASSO DI INTERESSE, composto da:


o Il compenso che si ha per il fatto che si rinuncia oggi ad avere il denaro che si ha investito (tasso
di interesse FREE RISK). È una rinuncia del potere di acquisto.
o Il compenso dovuto al fatto che si investe in un soggetto rischioso, per cui si incombe in un rischio di
controparte/credito/mercato/cambio...

Il tasso di interesse remunera il rischio sostenuto dall’investitore e allo stesso tempo rende appetibile il prodotto
finanziario ad altri operatori: infatti, se la remunerazione fosse sufficientemente elevata, gli operatori potrebbero
passare dal non volere tale prodotto, a detenerlo nel portafoglio, secondo le loro preferenze.
Quest’ultimo è molto più rilevante perché varia in base all’investimento che si fa, al rischio di insolvenza del debitore,
ed è comunemente chiamato SPREAD o PREMIO AL RISCHIO. Il rischio è relazionato direttamente col tasso
d’interesse: se quest’ultimo è alto, lo sarà pure il rischio.

Attenzione che lo SPREAD non è da confondere con lo spread classico di cui si sente parlare: esso, infatti, è un numero
che indica il gap di remunerazione tra i titoli BTP italiani a 10 anni e i Bund tedeschi a 10 anni in %. I titoli tedeschi
sono considerati, per definizione, privi di rischio e quindi presi come benchmark. Lo spread misura la rischiosità di un
paese rispetto ad una altro e si esprime in punti base (1/100 dell’ 1%).

Quest’ultimo aspetto riguarda qualunque tipo di investimento e di operazione, proprio perché c’è un
intervallo temporale che determina l’insorgenza di un rischio.

Dilazione temporale della prestazione  Rischio  Remunerazione di interessi (premio al rischio)

Questo è l’elemento che maggiormente influenza il prezzo di tutti i titoli di stato e di tutte le obbligazioni, mentre non
lo si ritrova nelle azioni. Infatti, il rischio delle azioni è, propriamente, codificato in altri elementi.

 La COMPRESENZA dell’attività finanziarie nel bilancio di due operatori, rispettivamente nelle passività e nelle
attività finanziarie dell’uno e dell’altro, per un arco di tempo. Ossia, l’operazione finanziaria viene registrata
contemporaneamente dalle due parti.
 Si individuano quattro STRUTTURE CONTRATTUALI SOTTOSTANTI:
o Titoli di debito: ad esempio l’obbligazione, che ha un soggetto a credito e uno a debito rispetto ad
un’operazione finanziaria. Esiste, quindi, l’obbligo di restituzione della somma prestata più gli interessi.
o Il contratto di partecipazione: ad esempio l’azione. L’azione comporta la partecipazione al rischio di
impresa. Non ho la restituzione del capitale investito: la speranza è che l’impresa generi utile (tuttavia un
rischio di mercato legato all’azione può essere dato se l’operatore acquista azioni non per la partecipazione
nell’impresa, ma per rivenderle sul mercato a un prezzo maggiorato. Tuttavia, l’azione, nella sua natura,
presenta tipologie di rischio diverse).
o I contratti derivati: derivano il loro valore dal valore di un’attività finanziaria reale sottostante
o I contratti assicurativi

Queste sono di fatto le grandi categorie di prodotti finanziari.

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Istituzioni finanziarie
Le istituzioni finanziarie sono composte da intermediari finanziari e mercati finanziari.
Quando si parla di intermediari finanziari si fa riferimento a:

 Intermediari creditizi: le banche, che erogano credito, finanziamenti nella forma del contratto di debito
 Intermediari di partecipazione e investimento: non prestano denaro, ma entrano del capitale del soggetto
finanziato, quindi, comprano quote del soggetto da finanziare (es. venture capital).
È tipico delle piccole-medie imprese e delle start-up, normalmente non finanziate dalle banche: l’idea è finanziare
il soggetto fornendo i capitali che servono alla società per svilupparsi, per poi quotare la società sul mercato
quando sarà solida e permetterle di svincolarsi.
 Intermediari assicurativi e previdenziali
 Intermediari mobiliari: quello per eccellenza è SGR, che sono degli intermediari finanziari il cui compito è
quello di gestire, produrre o distribuire fondi comuni d’investimento. L’intermediario mobiliare svolge un servizio,
ma non assume in proprio il rischio dell’operazione, è come se creasse delle obbligazioni da vendere: crea un
servizio che viene comprato, ma non ne è il beneficiario. Questo li distingue dagli intermediari creditizi, che
assumono il rischio dell’operazione.

I mercati finanziari si dividono in:

- Primari = vengono negoziati titoli di prima emissione, quindi con il soggetto che li emette.
- Secondari = vengono negoziati titoli già presenti sul mercato e quindi contrattati tra investitori, non con il
soggetto che li ha emessi.

Ulteriormente classificati:

- Mercati monetari
- Mercati di capitali Mercati mobiliari

Le regole
Il terzo elemento che caratterizza il sistema finanziario sono le regole: esse, nell’ambito della struttura finanziaria,
sono tutto ciò che disciplina le attività che vengono scambiate all’interno dei sistemi creditizi.
L’industria finanziaria è l’industria più regolata al mondo perché un suo fallimento ha ripercussioni forti sull’economia
reale e anche sul resto del sistema finanziario in termini di rischio sistemico.
Negli ultimi vent’anni le regole sono significativamente cambiate perché si è passati da una vigilanza domestica
(dentro i confini di ciascun paese) ad una vigilanza che è diventata molto più a livello di UE rispetto a prima
(soprattutto perché c’è un livello di interconnessione tale per cui ci si è spostati da un piano nazionale a un piano
sovranazionale). La ragione della separazione della regolamentazione e della vigilanza trova ragione nel mercato unico
europeo (omogenizzazione).

C’è una duplice normativa, una a livello comunitario e una a livello nazionale:
 A livello sovranazionale si hanno Direttive e Regolamenti europei
 Nel nostro paese i grandi testi unici che disciplinano l’attività finanziaria sono il TUB (emesso nel 1993
disciplina le banche), il TUF (emanato nel 1998) e il Codice delle Assicurazioni.

Se da un lato ci sono le regole, dall’altro ci sono le autorità di controllo che vigilano sul rispetto delle regole:
- Banca d’Italia vigila sulle banche
- CONSOB sugli intermediari finanziari e su tutto ciò che riguarda la circolazione dei titoli
- IVASS è l’autorità di vigilanza delle compagnie di assicurazione
- COVIP dei fondi pensione
- EBA (equivalente di Bankit come funzioni di vigilanza), ESMA (equivalente della CONSOB) e EIOPA
(equivalente di IVASS e COVIP). Sono istituzioni che operano a livello europeo

Le banche di grandi dimensioni sono vigilate a livello europeo (Bankit opera congiuntamente alla BCE, come se
fosse una succursale della BCE in Italia), quelle di minori dimensioni sono disciplinate a livello domestico da Banca
d’Italia.

Le banche sono quelle più vigilate e regolamentate in assoluto perché sono l’unico intermediario finanziario abilitato
a svolgere sia la funzione di raccolta fondi e di risparmio direttamente dal pubblico e sia la funzione di erogazione del
credito.

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La dimensione Funzionale del sistema finanziario
Si ceca di comprendere quali sono le funzioni che svolge il sistema finanziario. Esse sono tre:
 La funzione di intermediazione: il sistema finanziario intermedia il trasferimento di risorse da unità in surplus
a unità in deficit.
 La funzione monetaria in senso stretto: le banche producono moneta bancaria, strumenti di pagamento,
attraverso i conti correnti (bonifici, carte di debito, carte di credito, assegni)
 La funzione di trasmissione degli impulsi di politica monetaria: l’immissione o la riduzione di liquidità nel
sistema influenza l’economia, ottenuta tipicamente tramite l’innalzamento/riduzione dei tassi di interesse. È una
funzione prima assegnata alle banche centrali, ora gestita dalla BCE.

La funzione di intermediazione
Gli operatori economici hanno dei comportamenti finanziari (dedotti dai Saldi Finanziari) omogenei tra loro
I saldi finanziari sono la differenza tra le attività e le passività di un soggetto.
1. Le famiglie tipicamente sono soggetti che hanno saldi finanziari positivi; quindi, tendenzialmente hanno del
risparmio
2. Le imprese hanno saldi finanziari tipicamente negativi: il fatto che un’impresa si indebita per sostenere la
propria attività imprenditoriale dev’essere compatibile col fatto che l’impresa produce reddito.
3. Il sistema finanziario per definizione ha saldi finanziari uguali a zero
4. Il settore pubblico ha tipicamente saldi finanziari negativi
5. Il settore estero, a seconda di come va l’import-export, può avere saldi finanziari negativi o positivi

Più elevato è l’ammontare relativo dei saldi finanziari rispetto al PIL in un paese, più è alta la domanda di servizi di
trasferimento di risorse. Ossia, più c’è squilibrio tra unità in surplus e deficit, più c’è necessità di scambio di risorse.

Il trasferimento dei fondi può avvenire attraverso un canale di finanziamento diretto oppure indiretto:

 Nel canale diretto gli operatori si scambiano direttamente le risorse tra loro. Un esempio di canale di
finanziamento diretto sono i mercati di borsa, in cui gli operatori scambiano risorse tramite il sistema dei
mercati che tuttavia non si fanno carico del rischio e del rendimento. Il rischio e il rendimento restano in capo agli
operatori.
Il finanziamento diretto è tipico dei paesi anglosassoni perché sui paesi anglosassoni si sono sviluppati prima e in
modo molto più preminente.
Laddove si ha un canale di finanziamento diretto, il collegamento diretto è rappresentato da un mercato di
borsa che agevola lo scambio di risorse dalle unità in surplus alle unità in deficit.
Per l’unità in deficit, il titolo è una passività finanziaria; per l’unità in surplus, quello stesso titolo è un’attività
finanziaria. Le due sono la stessa cosa e coesistono nei due bilanci.
Questo significa dal punto di vista economico, che il rischio e i rendimenti che sono dentro l’attività finanziaria
che è stata collocata dall’unità in deficit vanno a ricadere tali e quali nel portafoglio dell’unità in surplus:
l’intermediario non si assume il rischio, ma si limita facilitare lo scambio.
I bilanci presi in considerazione sono solo quello dell’unità in deficit e quello dell’unità in surplus: non c’è il
bilancio dell’intermediario.
Questo riguarda azioni, obbligazioni, titoli di stato.

 Il sistema indiretto è caratterizzato dall’interposizione dalle banche, che intervengono con il proprio
bilancio modificando le caratteristiche delle risorse che raccolgono (non c’è più una corrispondenza tra il titolo
emesso dall’unità in deficit e il titolo nel portafoglio delle unità in surplus).
Nei canali di finanziamento indiretto, tipici dei paesi europei, invece il collegamento è intermediato. La banca
non si limita a trasferire le risorse tra le unità, ma attua dei cambiamenti che modificano la natura in termini di
durata, rischio e rendimento dei fondi che si ricevono dalle unità in surplus, rispetto a ciò che presterà alle unità in
deficit.
La banca riceverà fondi dalle unità in surplus (i risparmiatori) con cui fare investimenti di diversa natura.
Non c’è nessun tipo di legame tra le caratteristiche delle attività finanziarie che hanno le unità in surplus e le
caratteristiche delle passività finanziarie che hanno le unità in deficit.
Ecco che la banca (in generale l’intermediario) si fa carico dei rischi dell’operazione e li ridistribuisce.

L’autorità di vigilanza si preoccupa che la banca sia in grado di gestire il portafoglio di rischi che detiene. Uno degli
strumenti principali di copertura delle banche è un’adeguata patrimonializzazione (patrimonio di vigilanza).

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SISTEMA FINANZIARIO ITALIANO

 Capitalismo familiare. Tipicamente le imprese italiane sono a conduzione familiare e piccole, non possiedono le
risorse per quotarsi in borsa
 La borsa ha scarso spessore
 Sistema banco centrico, con assenza di hausbank: nel caso tedesco dell’hausbank c’è sempre e solo una banca di
riferimento per l’impresa, mentre nel sistema italiano le imprese non hanno una sola banca di riferimento, ma
hanno rapporti bancari con diverse banche.
 Ampio mercato dei titoli pubblici, con poche altre forme di investimento
 Tradizionale specializzazione creditizia
Queste sono caratteristiche e differenze che stanno attenuandosi.

L’attività principale di una banca è quella di prestare denaro, per cui la qualità del suo portafoglio di prestiti è lo
specchio della qualità dell’attività che sta svolgendo.
Il tasso di deterioramento di un credito dipende dal fatto che il soggetto debitore sta diventando sempre più
insolvente: se il deterioramento assume determinate caratteristiche, il credito va svalutato. Esso è l’indicatore delle
difficoltà che un sistema finanziario sta affrontando.
La svalutazione è un costo, per cui più si svaluta più si riduce il valore dei prestiti in portafoglio. La pratica di
svalutazione dei crediti delle banche in caso di difficoltà e ripatrimonializzazione delle stesse secondo le norme UE è
stata introdotta dal 2014 in seguito alla profonda crisi finanziaria scaturita dal 2008.

I MERCATI MOBILIARI
= i mercati mobiliari si chiamano così perché su di essi vengono negoziati strumenti mobiliari, cioè strumenti
finanziari che sono parte delle attività finanziarie, ma che hanno la caratteristica di essere standardizzati.

Classificazioni

Tipicamente questi mercati si distinguono per la scadenza degli strumenti che in essi vengono negoziati:
 Strumenti di mercato monetario o mercati monetari: strumenti che hanno una scadenza originaria inferiore a
12 mesi
Tipicamente lo strumento di mercato monetario ha un rischio contenuto e di conseguenza un interesse
basso, perché ha una scadenza temporale breve, perché c’è una minore asimmetria informativa e perché la
volatilità è bassa.
 Strumenti di mercato dei capitali o mercati dei capitali: strumenti che hanno una scadenza originaria superiore
a 12 mesi.
Questi sono investimenti più rischiosi con tassi di interesse più elevati.

La seconda divisione distingue i mercati primari e i mercati secondari: nel primo vengono negoziati titoli di
prima emissione; nel secondo, i titoli già precedentemente emessi.

1. C’è una fase, che è la fase del collocamento dei titoli in cui l’impresa decide di quotarsi in borsa (con una
serie di requisiti qualitativi e quantitativi che servono per la quotazione: spesso con la necessità di un Advisor, che
consiglia anche il prezzo a cui i titoli vengono emessi).
Il mercato primario è importante perché è l’unico momento in cui l’unità in deficit acquisisce i fondi direttamente
dall’unità in surplus (e poi scompare dal mercato).

Normalmente, dopo l’emissione sul mercato, il titolo viene subito assorbito dal mercato. Se non è così è andato
storto qualcosa durante la fase di quotazione.

Questa è una fase molto importante perché i mercati su cui avvengono gli scambi sono tendenzialmente
informati, ovvero su di essi operano investitori istituzionali che sono informati e fanno sì che i prezzi delle
azioni siano prezzi efficienti che riflettono effettivamente il valore della società.
Se ci si quota con un prezzo non efficiente, si iniziano ad avere molti acquisti se il mercato reputa che quel prezzo
sia sottostimato o molte vendite se il mercato reputa il prezzo sovrastimato.
Il collocamento sul mercato primario è una fase complessa di emissione di titoli.

2. Sul mercato secondario invece, i titoli iniziano ad essere scambiati tra investitori.
Nel mercato secondario, l’azienda che ha collocato i titoli non negozia più: lei, infatti, ha già effettuato il fund
raising e può tirarsi fuori.

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Al tempo stesso, però, per un’azienda che ha emesso titoli è molto importante che il mercato secondario sia molto
efficiente: vuole che i propri titoli siano desiderati e liquidi.

Sul mercato secondario, se le negoziazioni sono profonde in termini di contenuti e frequenti, il feedback che arriva
alla società emittente è che il prezzo è efficiente.
Inoltre, avere un titolo liquido aumenta conseguentemente la fiducia su quel titolo.

Sembrano due momenti molto diversi, in realtà il legame è fortissimo perché dall’efficienza del mercato secondario
dipende anche la capacità sul primario di effettuare collocamenti efficienti e l’efficienza del secondario dipende anche
dalla capacità del gestore della borsa di stabilire condizioni di accesso al mercato che forniscano garanzie sul
secondario; un’istruttoria approfondita sulle società/titoli quotati è essenziale.

La terza classificazione è il taglio delle transazioni: ci sono mercati al dettaglio e mercati all’ingrosso:
 In borsa si hanno tipicamente negoziazioni al dettaglio (non c’è un lotto minimo o è molto basso: la
transazione minima che consente di accedere al mercato): questo garantisce il maggior accesso possibile da parte
degli investitori.
 Quando ci sono determinate tipologie di strumenti finanziari (ad esempio le cambiali finanziarie) il legislatore può
stabilire che il mercato è all’ingrosso: la motivazione economica sottostante è evitare di avere risparmiatori
inconsapevoli, ma avere solo investitori istituzionali stabilendo soglie di ingresso alte.

I titoli di stato emessi dal tesoro sono sempre in prima battuta collocati su mercati all’ingrosso, per poi arrivare
subito in borsa e al mercato al dettaglio: questo perché essi vengono emessi con delle aste che formano il
prezzo.

Il mercato può essere regolamentato o OTC:


 Quelli regolamentati (la borsa) sono quasi tutti i mercati, che hanno regole in parte definite dalle autorità di
vigilanza e in parte definite dai gestori del mercato e che sono accessibili a tutti.

Tipicamente questi mercati hanno un obbligo di informativa per cui in qualunque momento si può sapere quanto
vale un determinato titolo. C’è una questione di standardizzazione dei titoli che vengono negoziati e di
trasparenza sul prezzo e su come esso viene formato.
I mercati regolamentati sono standardizzati e controllati dal legislatore in modo da tutelare anche gli investitori
retail che sono inesperti.
 I mercati OTC (over the counter) hanno delle regole e tipicamente non sono accessibili agli investitoli retail per i
prodotti che sono negoziati (che sono complessi, richiedono una negoziazione bilaterale).
Intendiamo un mercato tipicamente costruito per gli investitori istituzionali per negoziare titoli più complessi:
sono titoli tailor made fatti su misura per chi li richiede.

Es: gli swap sono uno strumento per la copertura dei rischi tipicamente dalle banche. Quindi tipicamente il
mercato degli swap è OTC e interbancario. Sono prodotti complessi studiati per alcuni operatori di mercato.

I mercati OTC hanno anche minore trasparenza.

L’ultima differenza si racconta ancora, ma è storia. I mercati possono, in relazione al luogo dove avviene lo
scambio, essere fisici o telematici: ormai i mercati fisici non esistono più perché sono stati sostituite da piattaforme
telematiche, che sono per loro natura più efficienti.

I rischi
Quando parliamo di mercati mobiliari, parliamo di una molteplicità di rischi che sono presenti su questo mercato e
che derivano dall’intervallo temporale tra prestazione e controprestazione. Quando si parla di mercati mobiliari il
rischio più importante è il rischio di prezzo o rischio di interesse.
 Rischio di credito: il rischio che la controparte non adempia alle proprie obbligazioni. In teoria dovrebbe essere
nullo per i titoli di stato, mentre è tanto più elevato quanto minore è il rating per le società.
Questo rischio non esiste nell’azione, poiché è uno strumento di partecipazione e non di credito (infatti, l’azione
non prevede il rimborso del capitale).
 Rischio di liquidità: rischio di non riuscire a disinvestire i titoli tempestivamente ed economicamente. Può
succedere che i mercati diventino illiquidi o che i titoli stessi non siano liquidi.
In realtà, proprio per evitare questo rischio di liquidità, i gestori dei mercati inseriscono delle figure chiamate
specialist/market-maker che sono investitori istituzionali il cui compito è essere controparte
dell’investitore. Lo specialist è garante per quel titolo ed è sempre disposto a comprare/vendere il titolo al
prezzo di mercato sotto pagamento di una commissione da parte della borsa. Lo specialist è un servizio richiesto
dalla borsa stessa per evitare il rischio di liquidità e tenere la borsa funzionante.

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 Rischio di cambio: rischio di oscillazione dei rapporti di cambio, rischio finanziario insito in contratti che
hanno una valuta diversa da quella nazionale.
 Rischio di prezzo (o di interesse): È il rischio più importante. Ha caratteristiche diverse a seconda che
riguardi azioni o no.

Titoli diversi da azioni:


I prezzi di mercato hanno una relazione inversa con l’andamento dei tassi di interesse di mercato per titoli
analoghi: per cui il prezzo sarà maggiore se il tasso di interesse scende e viceversa.

Questo è il principale rischio che riguarda i titoli obbligazionari, soprattutto i titoli di stato (perché il loro rischio di
credito è più basso e anche per il rischio di default).
Tendenzialmente, quando c’è una crisi, si hanno SPREAD in salita e prezzi dei titoli di stato precedentemente emessi
che crollano.

Esempio: se compro un’obbligazione che paga una cedola del 2% ho un certo prezzo collegato al titolo. Se negli anni
successivi vengono emesse altre obbligazioni ma al 5%, il prezzo della mia obbligazione deve scendere. Infatti, nessuno
vorrà comprare un’obbligazione che paga il 2% quando può comprarne una al 5%.

Vediamo il prezzo di un’obbligazione:

n
c VR
P=∑ +
t =1 (1+ i) (1+i)n
t

c=cedola
VR=valore di rimborso
i= valore a cui si attualizza, che è il tasso corrente di mercato
n= numero di anni di validità dell’obbligazione

Due elementi influenzano il quotare un po’ sopra la pari o un po’ sotto la pari: la scadenza e il tasso. Più ci si
avvicina alla scadenza, più le cedole non verranno pagate, per cui il primo fattore è ininfluente rispetto al secondo.
Il tasso di interesse è elemento fondamentale per stabilire le scelte di investimento.

I CCT hanno scadenza più breve (5 anni, quindi un impatto sul prezzo contenuto): la cedola dei CCT non è fissa come i
BTP, ma è variabile in relazione ai titoli di stato, per cui denominatore e nominatore si muovono allo stesso modo,
per cui l’impatto sul prezzo è minore.

Titoli azionari:
Il prezzo altro non è che il VA (valore attuale) del titolo. Il prezzo deve rispecchiare le aspettative sulla società: se si
pensa che la società genererà utili, il prezzo sale.

Funzione dei mercati


Cerchiamo di capire qual è la funzione che i mercati svolgono, perché per gli intermediari creditizi è più
intuitiva, mentre sui mercati ci sono delle definizioni più tecniche e meno intuitive.
 I mercati mobiliari fanno raccolta, FUNDING, quando si parla di mercati primari: il funding avviene durante il
collocamento dei titoli sui mercati primari
 Il PRICING è molto legato al funzionamento delle azioni: fare pricing vuol dire fare sì che si formi il prezzo del
titolo sul mercato.
Questo è quello che fanno i mercati continuamente. Si dice che il mercato fa pricing perché quel prezzo deriva
dall’integrazione tra la domanda e l’offerta: questo è quello che spinge gli investitori a comprare o a
vendere, perché un mercato fa dei prezzi che sono informativi.
Tipicamente il prezzo dell’azione riflette il valore dell’azienda, per effetto di informazioni che arrivano al mercato
che gli analisti studiano e da cui dipendono i comportamenti di acquisto di vendita, ci sono spinte verso l’alto o
verso il basso dei prezzi (esse sono informazioni tipicamente pubbliche).
Tendenzialmente, i prezzi azionari quotati sui mercati sono prezzi corretti, cioè esprimono effettivamente
valore delle imprese (valore fondamentale) che hanno quotato quei titoli (tranne in caso di bolle speculative),
ovvero sono prezzi informativi.
 La terza funzione è quella di GARANTIRE LIQUIDITÀ: è importante che un titolo sia liquido, cioè che possa
essere acquistato e venduto facilmente. Normalmente i mercati sono liquidi per definizione, ma non è sempre così
(per esempio in caso di piccole imprese, con poche negoziazioni).
o Quando questo succede i gestori di borsa introducono delle figure, gli specialist, che fanno sì che i titoli
siano liquidi.

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o Se il prezzo si sposta verso l’alto o verso il basso troppo in poco tempo (volatilità alta), allora la borsa
sospende le negoziazioni di quel titolo o di un intero segmento, perché vuole che il mercato si calmi, in
modo da evitare manovre troppo speculative e anche per far sì che l’informazione arrivi in
modo completo e chiaro, affinché poi i prezzi tornino ad avere dei valori normalizzati.
 La quarta funzione dei mercati è quella di ridurre i costi di transazione: sui mercati ora i costi di transazione
sono abbastanza bassi.
Quando si opera sui mercati SI SOSTENGONO DEI COSTI: è di interesse della società che un mercato funzioni
bene e allora per questa ragione c’è stata una progressiva tendenza verso la riduzione dei costi di transazione, che
sono un elemento competitivo tra i mercati per sviluppare la dimensione del mercato attirando aziende e
clientela (investitori).
 Infine, i mercati servono anche come strumento per il TRASFERIMENTO E IL CONTROLLO DELLE SPA:
quando la proprietà è molto sparpagliata gli investitori istituzionali possono acquisirne la proprietà.

L’insider trading è il negoziare non sulla base di informazioni pubbliche, ma di informazioni che sono
private: questa pratica non è consentita perché distorce la concorrenza sul mercato (proprio perché si negozia sulla
base di un vantaggio informativo). Quindi; quando si parla di prezzi informativi si parla di informazioni che sono
pubbliche.
Sulle obbligazioni invece la variazione di prezzo dipende dall’andamento dei tassi di interesse di titoli analoghi: non si
è soci, ma creditori.
Per quanto riguarda le obbligazioni, se un paese ha uno SPREAD sovrano più alto degli altri paesi, allora a cascata
anche tutte le imprese di quel paese avranno uno SPREAD più alto di quelle omologhe degli alti paesi, perché sono
imprese di mercati di paesi percepiti pericolosi. Diverso è l’andamento che si torva sui mercati azionari, proprio perché
seguono logiche diverse e sono influenzati da fattori differenti (come gli indici di volatilità, ovvero quanto in
un periodo il prezzo si è discostato dal suo valore medio, che è il rischio del titolo).

I MERCATI MONETARI
I mercati mobiliari si dividono in mercati monetari e mercati dei capitali.
Nei mercati monetari si trovano tendenzialmente titoli meno rischiosi, perché la scadenza è breve, per cui si avrà
un tasso di interesse che remunera meno.
Si investe in logica di conservazione di capitali, oppure in periodi in cui i mercati sono volatili e non c’è una direzione
chiara, per cui non si riesce a capire che cosa succederà in futuro, che direzione prenderà l’economia.
Si ha il trasferimento di fondi a unità in deficit che necessitano di fondi a breve termine. Essi hanno basso
rischio di insolvenza e di prezzo, bassi tassi di interesse e sono mercati all’ingrosso: quando si parla di strumenti di
mercato monetario bisogna ricordare che l’azione non può essere uno strumento di mercato monetario (perché le
azioni non hanno scadenza) e anche per questo i mercati monetari hanno basso rischio (perché le azioni sono i titoli
più rischiosi).
I titoli del mercato monetario sono:
1. I titoli di stato a breve scadenza (BOT), ed è per questo che si dice che i mercati monetari sono mercati
all’ingrosso, ma è una cosa tecnica e non rilevante
2. I depositi interbancari, strumenti che consentono alle banche di scambiare denaro tra loro, che hanno tassi
interbancari che diventano tassi di riferimento
3. Le cambiali finanziarie, obbligazioni a breve termine emesse sulle imprese

Se si vuole fare un investimento di mercato monetario o si comprano i BOT oppure si investe in fondi comuni di
investimento monetario, ovvero una gestione in cui il gestore compra titoli di un certo tipo e vende delle quote a
degli investitori che li vogliono comprare, in modo tale che l’investitore possa godere di una diversificazione anche sul
mercato monetario.

BOT

 Sono titoli zero coupon: sono titoli sempre a scadenza breve, in cui non viene pagata una cedola durante la sua
vita, ma l’interesse è la differenza tra costo d’acquisto e valore di rimborso (che è 100. I titoli di stato vengono
sempre emessi alla pari). Essi sono tassati al 12,5%.
 Essi possono essere emessi con durata di 3 mesi, 6 mesi e più frequentemente di 12 mesi e hanno un taglio
minimo di mille euro (COSTO DEL TITOLO:100=X:1000).
 Sono negoziati in base 100 (come riferimento), ma corrispondono a un valore minimo di 1000€

Abbiamo visto che tipicamente sono negoziati sotto la pari e rimborsati a 100 (alla pari) e quindi il profitto è spesso
positivo. Può succedere però che il tasso di interesse sia 0, o addirittura negativo: ecco che pago per investire.

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Es. se viene emessa un'obbligazione zero-coupon con un valore nominale di 1.000€, con una scadenza di 10 anni e un
tasso di sconto del 5%, un investitore può acquistare l'obbligazione per 610€ oggi. Al termine dei 10 anni, l'investitore
riceverà 1.000€, che rappresentano il valore nominale originale dell'obbligazione.
La differenza tra il prezzo di acquisto e il valore nominale è il rendimento dell'investitore, che equivale all'interesse
che avrebbe ricevuto se avesse investito in un'obbligazione tradizionale che paga interessi periodici.

Il titolo ha delle caratteristiche che lo fanno apprezzare dai risparmiatori e quindi viene praticamente sempre
assorbito dal mercato:
 Affidabilità dell’emittente (sono considerati free risk): è però già successo che se un tasso di interesse è nullo o
è negativo, si paga il BOT più del suo valore di rimborso.
 Breve durata dell’investimento
 Limitata variabilità di prezzo perché non ha cedole, e perché dipende dagli altri tassi di interesse sul mercato:
tuttavia, avendo una scadenza molto breve, è difficile che i tassi degli altri titoli varino molto. Ecco perché il prezzo
è poco variabile.
 Liquidità elevata (mercato “spesso”): il mercato dei titoli di stato è spesso, cioè le quantità di titoli negoziati
presenti sui mercati sono enormi, perché enorme è il debito di stato. Inoltre, gli stessi titoli sono molto negoziati
proprio per le loro caratteristiche, quindi hanno alta liquidità. (contr. sottile = il titolo è emesso con un flottante
basso (quantità). La differenza è che a parità di condizioni il mercato spesso è più liquido).
 Trasparenza di prezzo, sono scambiati su MOT (mercato di borsa) e MTS (mercato all’ingrosso dove i titoli
vengono negoziati dai grandi investitori, per grandi lotti comuni), entrambi mercati regolamentati. In qualunque
momento il prezzo che si forma sul mercato racchiude molte informazioni.

I BOT sono presenti nel portafogli di investitori che:


 Hanno orizzonti di investimento di breve periodo
 Sono avversi al rischio e attenti al rating e investono nel medio-lungo termine con strategie di rinnovo
ripetuto (rolling, ripetere lo stesso investimento nel tempo)
 Sono incerti sulla dinamica futura dei tassi ed è una sorta di deposito della liquidità nella scelta di come investirla
poi in futuro, perché conserva il capitale, ma non fa guadagnare nulla.

Collocazione sul mercato: emissione ad asta competitiva senza indicazione del prezzo base (per BOT)
I titoli di stato come mercato primario vengono collocati su un mercato all’ingrosso a cui accedono solo investitori
istituzionali: sono emissioni ad asta competitiva senza indicazione del prezzo base. Banca di Italia stabilisce
la quantità di titoli da emettere e poi apre l’asta.
1. C’è un calendario di emissione che è pubblicamente disponibile sul sito del ministero del tesoro: gli investitori
istituzionali che vogliono partecipare ad un’asta inviano a banca d’Italia la richiesta entro il termine indicato dal
tesoro per l’emissione.
2. Essa riceve le richieste e l’investitore che fa richiesta indica il prezzo e la quantità a cui vuole acquistare:
quando banca d’Italia apre la richiesta si troverà tante richieste con quantitativi e prezzi diversi, per cui ordina le
richieste che ha ottenuto dal prezzo più alto al prezzo più basso, e poi inizia ad assegnare il quantitativo in vendita
partendo dal primo. In realtà vengono ordinate in base al rendimento, quindi vengono allocati prima i BOT a
rendimento minore (prezzo maggiore).

Ecco che il tesoro sceglie la quantità. I prezzi di emissione sono stabiliti dalla Banca d’Italia in base alle offerte ricevute
dagli investitori e dalle aspettative dell’economia. Ecco che, di fatto, i prezzi sono stabiliti dal mercato.

Il prezzo determina il tasso di interesse (più è alto il prezzo, più il tasso è piccolo), quindi banca d’Italia prima
assegna a chi è disposto ad investire ad un tasso di interesse piccolo (quindi a un prezzo maggiore rispetto alla pari) e
poi a chi è disposto comprare ad un prezzo più basso, per cui ad un tasso di interesse più alto.

Il tasso di interesse deve essere inteso non come cedola periodica, ma come indicazione del rendimento del BOT:
maggiore è la differenza tra il prezzo di emissione e rimborso (100), maggiore sarà il rendimento del BOT.

Non c’è un prezzo base: i prezzi a cui si assegnano i titoli sono tutti diversi. Dato che gli intermediari che fanno le
offerte sanno quali sono i tassi correnti di mercato, sanno che il prezzo che devono offrire è quello che riflette i tassi
correnti del mercato.

Gli intermediari poi riversano sul mercato secondario.

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Negoziazione sul mercato secondario:
In questi ultimi anni tante volte i BOT sono emessi a un tasso negativo, cioè si paga per depositare la propria
liquidità per un certo periodo di tempo.

I privati acquistano i BOT solo nel mercato secondario, acquistando i titoli da chi partecipa alle aste (che
avvengono circa ogni quindici giorni) e pagando una commissione.

Per conoscere il rendimento del BOT si fa la differenza tra il prezzo al tempo t e il prezzo al tempo zero e la si divide
per il prezzo al tempo zero. Per i BOT si ha quindi:

P R−P 0 360
i BOT = x
P0 ¿
gg: giorni alla scadenza
P R prezzo di rimborso
P0 presso di emissione

HPR = Holding Period Return. È il ritorno sull’investimento corrispondente al tempo per cui lo avevo in portafoglio.

L’intermediario raccoglie le prenotazioni dalla propria clientela; quindi, nella partecipazione all’asta, tiene conto
delle sue esigenze di investimento e delle richieste della sua clientela.
La prioria offerta è funzionale in primis alle domande che ha ricevuto e poi alle proprie esigenze.

Se due banche chiedono la stessa quantità allo stesso prezzo, la quantità di BOT si ripartisce proporzionalmente in
caso sia inferiore alla quantità richiesta (data dalla somma delle due).

Tipicamente queste emissioni vanno a sostituire titoli in scadenza, vanno a chiudere e rimborsare le vecchie
emissioni di titoli.
Ogni tanto ci sono delle emissioni particolari: i BOT flessibili introdotti dopo la crisi del 2009 hanno una scadenza
inferiore a 12 mesi, ma diversa da quella standard di 3, 6 o 12 mesi, per esigenze di cassa.

Depositi interbancari
= sono scambi di fondi a brevissimo termine, tra intermediari finanziari (non coinvolgono altri investitori al di
fuori di banche e banca centrale). Costituiscono il mercato interbancario.

Gli operatori, che normalmente sono grandi intermediari finanziari, che presentano un eccesso di riserve liquide,
impegnano tali risorse prestandole agli operatori che invece necessitano temporaneamente di liquidità.
Ci si presta denaro sotto forma di deposito interbancario, non ci sono veri e propri titoli.

Ogni giorno a fine giornata si chiude il deposito dei pagamenti e le banche devono regolare la loro posizione
entro mezz’ora, altrimenti incorrono in sanzioni: quindi ogni giorno la banca può trovarsi in condizione di eccesso o di
necessità di liquidità verso il sistema bancario.

A fine giornata, le banche regolano la loro posizione con la clearing house: la clearing house è un intermediario che
tiene traccia delle operazioni interbancarie (infatti le banche si scambiano denaro tramite questo intermediario) e a
fine giornata traccia i saldi delle posizioni. Ecco che una banca può trovarsi in debito/credito col sistema a seconda
delle operazioni compiute durante la giornata.

Ci sono diverse forme tecniche:


 Depositi overnight: il contratto dura un giorno con disponibilità immediata delle somme (può avvenire sia tra
banche che tra banche e banca centrale).
Questa è la forma più diffusa in assoluto: il tasso overnight è il tasso di più breve termine che si torva sui
mercati finanziari.
In generale i tassi che sono negoziati sui depositi interbancari rappresentano il valore di riferimento di tutte le
operazioni a tasso variabile del sistema bancario.
 Depositi tom next: come i precedenti, mail capitale è disponibile il giorno successivo al negozio.
Questo tasso è più basso del tasso overnight, che è il più alto perché si esige denaro subito.
 Depositi spot next: sempre come i primi, ma il capitale è disponibile il secondo giorno dopo il negozio.

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 Depositi a tempo: somma depositata dopo due giorni dall’accordo e restituita allo scadere del tempo
prestabilito.
 Depositi differiti (broken date): il capitale è reso disponibile dopo un certo periodo dalla conclusione del
negozio e restituito al termine prefissato
Gli interessi sono pagati una sola volta, alla scadenza, e sono calcolati sulla base di un anno di 360 giorni. Non c’è
una cedola su questi strumenti: si prende il denaro a (x) e lo si restituisce a (x+i).

I mercati interbancari possono essere


 OTC (o regolamentati, ma è come se tali mercati regolamentati fossero OTC nel senso che non riguardano gli
investitori retail. La regolamentazione è speciale per le banche): ci sono scambi diretti tra le parti.
 e-MID: acquisito a NEXT MARKET, è un raro esempio di mercato inventato in Italia ed era un mercato
elettronico alternativo ai mercati OTC. Per tanto tempo è stato il mercato di riferimento dei depositi interbancari.

L’EURIBOR, è il tasso interbancario medio su depositi in euro overnight, applicato da un panel di grandi banche
europee, rilevato giornalmente alle 11:00 a Francoforte. È un valore di riferimento per moltissime operazioni
realizzate alle banche.

Tante volte i prodotti finanziari, soprattutto i derivati swap, hanno come valore di riferimento l’EURIBOR o il LIBOR
(espresso in sterline, ma uguale: bisogna tenere conto del rischio di cambio).
Entrerà in in vigore l’€STR (easter), che sostituirà l’EURIBOR: è la stessa cosa ma misurato in modo diverso.

I pronti contro termine

= più noti come repurchase agreement (Repo): sono un prodotto di breve periodo che rappresenta un accordo in
cui un soggetto si impegna a vendere una determinata quantità di titoli a un altro soggetto, con la promessa di
riacquistarli a un prezzo e a una data future prestabiliti.

- Alla scadenza le transazioni risultano invertite.


- Il titolo scambiato è lo stesso in tutte e due le transazioni: ha lo stesso ISIN.
- Il prezzo a cui il titolo viene riacquistato non è il prezzo di mercato: il prezzo viene stabilito a priori.
- È uno strumento tipicamente a breve termine (3 mesi)

Lo stesso giorno si concludono due contratti, uno a pronti e uno a termine: le parti impegnate nel contratto sono le
stesse e i titoli oggetto di scambio sono dello stesso tipo e di identico valore nominale.
La differenza tra il prezzo a pronti e a termine costituisce il rendimento (anche qui non si paga la cedola).

Non esiste un mercato dei pronti contro termine, esse sono operazioni che nella pratica vengono fatte o tra cliente e
banca oppure tra banca e banca centrale (più nel presente), per cui sono strumenti di politica monetaria (e una
delle modalità con cui la BCE presta denaro).

L’operazione è un’operazione di acquisto a pronti e riacquisto a termine: si ha una vendita con promessa di
riacquisto a scadenza. Lo si fa quando si ha bisogno di liquidità: nel deposito interbancario le banche si
scambiano liquidità, mentre nel Repo ci si scambia la liquidità a fronte di titoli, per cui dal punto di vista i chi presta
denaro essa è molto più garantita.

Un tempo erano un prodotto per cui la banca o ritirava denaro o prestava denaro a seconda delle esigenze delle
imprese, era uno strumento di finanziamento per le imprese: la banca vendeva titoli a pronti e poi la banca a
termine si riprendeva i titoli restituendo la liquidità, dando all’impresa la possibilità di effettuare un investimento di
breve periodo con la banca.

I certificati di deposito
= i Certificati di Deposito sono una forma di deposito vincolato che dà al titolare il diritto al rimborso del capitale a
scadenza, più un interesse.
Sono titoli nominativi o al portatore a tasso fisso (oppure con premio finale o tasso fisso step-up) o variabile,
rappresentativi di depositi presso una banca a scadenza vincolata.

Nominativi = indicano il nome del sottoscrittore originale


Al portatore = appartengono a chi detiene il titolo
Tasso fisso step-up = tasso fisso che aumenta a gradini a ogni scadenza prefissata

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Possono essere a breve termine (con scadenza tra i 3 e i 18 mesi) o a medio termine (con scadenza tra i 18 e i 60 mesi).
Le banche, per le proprie esigenze di liquidità di breve periodo o per offrire investimenti alla propria clientela, possono
emettere certificati di deposito.

Non è un titolo che circola sui mercati di borsa. Essi sono emessi dalle banche con un meccanismo a rubinetto: la
banca emette questo tipo di titoli su richiesta della clientela calcolando di volta in volta in base alle condizioni di
mercati, il tasso di interesse che verrà richiesto al possessore del titolo (è un collocamento fatto a richiesta).

Non c’è una standardizzazione, infatti non sono titoli quotati.

La cambiale finanziaria
= è un pagherò a breve termine non garantito mediante il quale le imprese ottengono finanziamenti a breve temine,
con impegno a versare alla scadenza la somma indicata nel titolo.

Essa è disciplinata dalla legge 43 del 1994 (che introduce i commercial paper, la cui versione domestica è appunto
la cambiale finanziaria):
 Durata compresa tra i 3 e i 12 mesi
 Taglio minimo di 50 mila euro (non sono accessibili agli investitori retail perché più rischioso rispetto alle
obbligazioni)
 Possono essere emesse da società, ma devono avere il bilancio in utile
 Non devono superare il patrimonio netto dell’ultimo bilancio approvato (vale anche per le obbligazioni)

In genere gli investitori mantengono le cambiali finanziarie in portafoglio fino a scadenza e per questo non esiste un
mercato secondario attivo (è una forma alternativa di investimenti di breve periodo).
Il rendimento sta nella differenza tra il prezzo di acquisto e il valore di rimborso.

MERCATI DEI CAPITALI


I titoli quotati appartengono a due grandi famiglie: le obbligazioni e le azioni.
Facciamo riferimento a un mercato in cui vengono negoziati titoli con scadenza originaria superiore a 12 mesi e anche
in esso si possono distinguere mercato primario e mercato secondario.

Mercati obbligazionari
= Le obbligazioni sono titoli di debito (bond), che non sono di partecipazione, a medio-lungo termine, emesse
dalle imprese (titoli corporate) e dallo Stato (titoli di stato, obbligazioni statali o governmental).

Le obbligazioni si definiscono titoli a reddito fisso (fixed-income), che sono emessi in massa perché in un’unica
operazione di collocamento si emette una quantità molteplice di singole obbligazioni, tutte appartenenti alla stessa
serie (e quindi omogenee) per cui fungibili.
Sono emesse nella stessa sede e quindi con lo stesso leasing.

I titoli obbligazionari sono a reddito fisso nel senso che producono un reddito: per legge devono restituire il
capitale investito e pagare una remunerazione (un coupon/cedola). Il tasso di interesse può essere fisso (fixed-
rate) o variabile (floating).

Fixed-income significa che conosco fin dal principio i pagamenti che il titolo mi renderà: la remunerazione promessa
al datore di fondi è predefinita in fase di emissione del titolo, nell’entità e nella tempistica, e non dipende dal livello di
redditività dell’emittente.

Il fatto che i titoli siano a reddito fisso non vuol dire che il tasso di interesse pagato sia fisso: esso può essere
variabile (se varia al variare un determinato parametro di riferimento), o fisso. In caso di tasso di interesse fisso, il
datore di fondi conosce precisamente l’entità di ogni cedola pagata nel suo ammontare, mentre non conosce
l’ammontare preciso delle cedole pagate a tasso variabile.

Hanno scadenza superiore a 12 mesi e sono negoziati nel mercato dei capitali.

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Titoli di stato
I titoli di stato sono titoli obbligazionari semplici.
Al loro interno troviamo tre tipologie di titoli:
- BTP;
- CCT;
- CTZ.

Tipicamente il tesoro si finanzia con emissione di BTP, in subordine poi con i CCT e in subordine ancora con i CTZ.

Essi sono tra loro molto simili: l’unico elemento che cambia è come viene calcolata e determinata la cedola.

Essi hanno poco rischio emittente, ma hanno il rischio di tasso di interesse: è il rischio che una variazione di tassi
di interesse di titoli analoghi sul mercato determini una variazione del prezzo del titolo emesso e già in circolazione.
Infatti, se in un momento successivo, nuove obbligazioni sono emesse a tasso di interesse maggiore, il prezzo
dell’obbligazione in mio possesso scenderà, poiché rende meno delle obbligazioni di nuova emissione.

CTZ:

= i CTZ sono titoli zero coupon, per cui l’interesse viene dalla differenza tra prezzo pagato e valore di rimborso, non
esiste cedola.
Gli interessi maturano periodicamente ma vengono resi alla scadenza.

Anche questi titoli sono soggetti a rischio di tasso perché non è necessario comprare il titolo ad emissione e tenerlo
fino alla scadenza: lo si può vendere prima della scadenza, per cui se nel frattempo i tassi sono variati si può subire un
guadagno in conto capitale o perdita in conto capitale.
 Tendenzialmente hanno durata di 24 mesi
 Vengono negoziati sul MOT e hanno un taglio minimo di 1.000€
 L’emissione per tutti i titoli di stato emessi sui mercati dei capitali è effettuata con asta marginale senza
indicazione del prezzo base.

Sul mercato monetario l’asta era competitiva, sul mercato invece obbligazionario è di tipo marginale.

Collocazione: emissione ad asta marginale senza indicazione del prezzo base


L’asta marginale prevede che le richieste vengano aggiudicate tutte ad un medesimo prezzo, detto prezzo
marginale.
Il prezzo marginale viene determinato soddisfacendo le offerte, ordinate dal prezzo più alto, fino a quando la quantità
domandata non è pari a quella offerta. Il prezzo dell'ultima domanda che viene soddisfatta determina poi il prezzo
marginale.
Per evitare che vengano immesse a sistema domande speculative viene calcolato un prezzo di esclusione, al di sotto
del quale le domande di sottoscrizione non vengono nemmeno prese in considerazione.

A differenza dei BOT, nel caso delle aste marginali a tutti gli assegnatari i titoli vengono assegnati al prezzo più
basso di quelli assegnatari.
Questo perché mentre nel caso dei BOT non c’è quasi differenza tra un’assegnazione e l’altra, nei casi de BTP (più che
dei CCT e dei CTZ) le differenze possono diventare un po’ più significative, per cui non ci si può permettere di
assegnare titoli a prezzi diversi (perché poi si avrebbe della volatilità sui mercati secondari) e poi soprattutto perché in
questo modo c’è un incentivo maggiore per tutti a fare aste con prezzo più alto.

BTP: CCT
 Sono a tasso fisso, sempre: hanno una cedola  Sono a tasso variabile: il tasso variabile è il
fissa (tendenzialmente semestrale) che è la più tasso di riferimento (tasso BOT) più un piccolo
alta dei tre strumenti. SPREAD (che tiene conto che la scadenza è più
 Hanno una durata di più lungo periodo: fino a lungo termine, per cui c’è più rischio e si
a trent’anni (3, 5, 10, 15 anni) rinuncia per più tempo a disporre del denaro)
 Sono negoziati su MOT.  Durata di 7 anni
 Hanno emissione tramite asta marginale senza  Taglio minimo di 1000€
indicazione del prezzo base.  Negoziati su MOT
 Emissione tramite asta marginale senza
indicazione del prezzo base.

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Il PBTP (prezzo) è più soggetto a rischio di prezzo del PCCT, perché nominatore e denominatore della formula di calcolo
del prezzo dell’asset CCT si muovono allo stesso modo, compensando le variazioni improvvise. Ciò è dato
dal tasso variabile.

Le obbligazioni societarie (corporate)


Parliamo sempre di obbligazioni che sono rappresentative di prestiti a medio-lungo termine, che sono emesse dalle
imprese autorizzate a farlo per far fronte ad esigenze di medio-lungo periodo. Sono emesse da imprese grandi
(SPA o SAPA) nel mercato primario o da banche, per poi essere negoziate nel secondario.

L’elemento più importante da prendere in considerazione per capire le caratteristiche del titolo è il prospetto
informativo, documento che per legge le società devono pubblicizzare quando collocano titoli sul mercato. In esso
vengono descritte le caratteristiche dell’azienda che emette il titolo mentre nella seconda parte descrive lo
strumento.

Le obbligazioni EMESSE DA IMPRESE NON FINANZIARIE, ovvero industriali, e BANCHE sono le


obbligazioni corporate: esse sono molto più semplici (plain vanilla) delle obbligazioni strutturate, emesse da
imprese finanziarie (banche), e ricordano i titoli di stato (anche se sono più rischiose, e al loro interno hanno diverso
rischio in base al rating delle imprese che le emettono).

Esse sono caratterizzate da:


 Tasso di interesse: esso tipicamente si distingue in due macro-classi
o Tasso di interesse variabile: varia al variare di un determinato parametro di riferimento sottostante,
che può essere finanziario (come un tasso di interesse, un tasso di cambio, un indice di borsa o
obbligazionario, un altro titolo, un derivato e così via) oppure reale (commodity che sono negoziate sul
mercato, sono ciò che non è finanziario, come tabacco, grano eccetera)
o Tasso di interesse fisso: sono quelli a cedola, ovvero c’è una cedola che rimane fissa per tutto un
periodo di tempo.
In realtà essa può essere anche del tipo step-up (quando dopo un certo periodo aumenta) o step-down
(quando dopo un certo periodo diminuisce).
 Valore di emissione: essi vengono emessi a cento e rimborsati a cento. A volte possono essere emessi sotto la
pari, a sconto, (invogliando l’investitore perché spende meno). Può anche essere emesso a deep scount, quindi a
un valore molto basso rispetto al mercato: ecco che ci sarà un motivo e dobbiamo capire perché.
Potrebbe essere un’obbligazione rischiosa e la società un rating basso.

Le imprese non finanziarie non possono emettere obbligazioni superiori al loro patrimonio netto.

 Valore di rimborso: tipicamente rimborsati alla pari (100). Nei titoli obbligazionari è possibile che il valore di
rimborso sia differente: guardo il valore informativo.
 Piano di ammortamento: normalmente il prestito obbligazionario, quando viene emesso, ha una scadenza
unica con rimborso una tantum, ma a volte può essere che l’emittente indichi un piano di ammortamento,
ovvero il soggetto emittente rimborsa in tranche successive il prestito che ha emesso.
 Facoltà a favore dell’obbligato: per esempio quando vi è la possibilità di avere il diritto di rimborsare prima
della scadenza. Questa facoltà si chiama emissione call, ossia la facoltà dell’impresa emittente di riacquistare il
proprio bond e ritirarlo dal mercato. Questo perché magari la cedola raggiunge valori troppo elevati e ha paura di
non potere più pagare.

La parte che subisce l’opzione call viene risarcita ricevendo un tasso cedolare leggermente più alto di quello
che si avrebbe se non fosse stata esercitata la facoltà (tutte le facoltà, in sintesi, sono compensate da un valore
economico).
 Garanzie: tipicamente le obbligazioni non sono titoli garantiti, ovvero non c’è un sottostante che è specificamente
legato al rimborso di quel titolo, perché il rimborso dipende dalla capacità dell’azienda di generare redditi (sono
titoli unsecured).
Questo non significa che abbiano tutte lo stesso livello di assenza di garanzia (seniority): le obbligazioni
senior sono più sicure delle obbligazioni junior, perché se l’azienda ha dei problemi, vende il proprio asset e
prima rimborsa i titoli senior, poi quelli junior. Ecco che a ogni grado di seniority corrisponderà un valore di
rischio diverso:
- Senior AAA
- Mezzanine A
- Junior BBB
- High Yield (rating sotto BBB). Vuol dire “alto profitto”

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Le obbligazioni sono in primis titoli disciplinati dal Codice civile. Per le banche la normativa di riferimento è contenuta
nel TUB.

Tipi di obbligazioni strutturate:

Parliamo in general di obbligazioni strutturate, ovvero obbligazioni con caratteristiche particolari che le rendono
più complesse.

 Obbligazioni index linked: sono obbligazioni indicizzate, e quindi il loro rendimento è collegato
all’andamento di determinati prodotti o finanziari o reali: hanno tasso variabile.

Ecco che alla scadenza, la parte obbligazionaria garantirà il rimborso del valore nominale, mentre la componente
opzionale rimborserà l’interesse collegato all’andamento del prodotto finanziario o reale sottostante.

Esse sono infatti costituite dall'unione di un'obbligazione ordinaria e di una opzione call, scritta su un indice,
implicitamente venduta dall'emittente al sottoscrittore.

[Acquisto obbligazione (-100)] [1 cedola +2] [2 cedola (+2)] [3 cedola (+2) +


performance FTSE Mib + restituzione capitale (+122)]

Vediamo che la componente obbligazionaria consente la restituzione del capitale insieme al pagamento delle
classiche cedole; la parte opzionale retribuisce la componente speculativa.

Queste obbligazioni garantiscono il rimborso del capitale a scadenza perché quasi tutto l’investimento viene fatto
in un prodotto quasi privo di rischio, mentre una piccola parte viene investita in uno strumento speculativo,
per cui si può perdere o guadagnare molto.
o La somma di questi due pay-off, cioè dei risultati di questi due investimenti, determinano il
rendimento della strategia adottata, che può essere o di conservazione del capitale (nella peggiore
delle ipotesi) o di incremento del capitale.
o Questi prodotti investono in qualcosa di rischioso per una parte molto piccola, per cui non ci si
possono aspettare grandi rendimenti perché la quota investita su componenti che hanno maggiore
volatilità è molto piccola.

 Obbligazioni callable: sono bond muniti di una clausola che attribuisce all’emittente la facoltà di rimborsare
anticipatamente il prestito.

Tale facoltà rappresenta una opzione call implicitamente venduta dal sottoscrittore all'emittente, avente come
sottostante lo stesso titolo obbligazionario.

L’ente emittente ha la facoltà di rimborsare il prestito prima della scadenza: l’emittente prende questa decisione
quando i tassi di mercato sono scesi sotto il tasso nominale dell’obbligazione e lui può chiudere il prestito
emesso ed aprirne uno ad un tasso inferiore.
Ecco che il possessore dell’obbligazione registrerà una perdita pari alla differenza tra il prezzo di mercato
dell'obbligazione (superiore al valore nominale poiché i tassi di mercato sono scesi) e il prezzo di rimborso (alla
pari). Il soggetto che subisce la facoltà esercitata da un altro viene compensato da un maggior rendimento.

 Obbligazioni cap and floor: obbligazioni con tasso di interessi variabile che ha un cap (importo massimo di
tasso sopra il quale non può andare) e un floor (importo minimo di tasso sotto il quale non può scendere).

o Il cap è a vantaggio dell’impresa emittente, che paga l’interesse all’investitore, mentre il floor tutela
l’investitore, perché se i tassi inizieranno a scendere resteranno comunque sopra quel livello.
o Possono anche non coesistere simultaneamente, cioè si possono avere solo un cap o solo un floor:
quando si hanno entrambi si dice che il tasso di interesse oscilla in un corridoio e quando tocca gli
estremi, diventa fisso.

Obbligazioni convertibili

= le obbligazioni convertibili nascono come obbligazioni, ma che possono essere convertite in azioni perché
incorporano un diritto di conversione da strumento di credito a strumenti di partecipazione.

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La conversione può essere diretta o indiretta:
- Diretta = si converte l’obbligazione di una società X in un’azione della società X
- Indiretta = l’obbligazione di una società X si converte in un’obbligazione della società Y, ma che sono la stessa
società

La conversione avviene senza versamento di denaro contante: questo elemento è tipico e le distingue dalle
obbligazioni cum warrant.

Dal punto di vista dell’emittente emettere un’obbligazione convertibile anziché un’azione può avere senso con
riferimento alle condizioni del mercato quando viene emesso un prestito obbligazionario : se le condizioni di mercato
non sono favorevoli al collocamento azionario si emette un’obbligazione convertibile e successivamente si esercita in
diritto di conversione in situazione di mercato migliore.

Inoltre, nel caso delle banche, la Banca d’Italia consente alle banche di includere le obbligazioni convertibili nella
definizione di patrimonio e quindi le banche hanno convenienza ad emetterle, perché costano meno delle azioni.

L’operazione di conversione non è reversibile.

Obbligazioni cum warrant

= un warrant è un pezzetto di titolo che si può staccare dall’obbligazione: esse sono obbligazioni ordinarie che
vengono emesse congiuntamente ad un’opzione di acquisto (che dà l’opzione di comprare delle azioni).

Anche qui c’è un numero di warrant necessario per comprare un numero di azioni. In questo caso è previsto il
pagamento di una somma di denaro a titolo di acquisto dell’azione.

Il valore del warrant dipende dal valore dell’azione di quella società: il suo valore dipende da come si modifica il prezzo
dell’azione sottostante.
Il warrant ha un suo valore nominale fisso: se il prezzo dell’azione sul mercato sale, lo si esercita, perché dà la
possibilità di acquistare la stessa azione a un prezzo inferiore non di mercato (viceversa se scende).

Sono simili alle obbligazioni convertibili perché mi danno diritto all’acquisto di azioni, ma non convertono
l’obbligazione: rimango obbligazionista e se esercito il diritto di warrant divento anche azionista.
Se non esercito il diritto, posso vendere il warrant sul mercato.

Reverse Floater
= le Reverse Floater sono obbligazioni normali a tasso variabile (floater), che però hanno un’indicizzazione
inversa: la cedola è indicizzata e ha un andamento inverso al parametro di mercato a cui è indicizzata.

Sono titoli fortemente influenzati dai tassi di mercato che sono fondamentali nella valutazione dell’andamento.

Se i tassi di mercato aumentano, la cedola diminuisce e l’effetto sul prezzo è fortemente al ribasso: qui si ha un effetto
che è doppio rispetto a un BTP, perché sale il denominatore e scende il nominatore (sono i titoli soggetti a maggior
rischio di prezzo). Viceversa, se i tassi scendono, le cedono salgono e l’effetto sul prezzo è amplificato.

Avendo un andamento cedolare opposto a quello dei valori di riferimento, subiscono variazione di prezzo più
forte di titoli che hanno una cedola fissa o indicizzata tradizionalmente.

Sono titoli ad alto rischio, perché hanno oscillazione di prezzo superiore sia ai titoli a tasso fisso che ai titoli a tasso
variabile (rispettivamente BTP e CCT).

La cedola, contrariamente a ciò che avviene normalmente, è una cedola che può arrivare facilmente a valori molto alti
o molto bassi: questo è il classico caso in cui le cedole hanno un cap e un floor (che può essere anche zero, perché la
cedola può arrivare ad avere valori negativi o nulli).

I valori di massimo e minimo della cedola sono fissati dall’emittente.

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Il rating delle obbligazioni
Nel caso dei titoli obbligazionari, ciò che rileva è il tasso di interesse: i titoli obbligazionari quotati hanno un rating,
che è un giudizio sul merito di credito della controparte, che viene assegnato in base al rischio di insolvenza
dell’emittente.

Le tre più grandi agenzie di rating sono Moody’s Investors Service, Standard&Poor’s e FitchRatings.

L’elemento cardine nell’attribuzione di un rating è la probabilità di default (PD): più è alto il rating, più è bassa la
PD che è stimata dalle agenzie di rating andando a vedere quell’impresa che probabilità ha in un certo arco temporale
di fallire (i più rischiosi sono gli High Yield/speculative, mentre i più sicuri sono gli Investment Grade: maggiore è il
rischio, maggiore è il tasso di interesse).

Questa distinzione netta tra i due profili di rischio è importantissima per gli investitori, soprattutto nel caso in cui
questi affidino i soldi a un SGR: ecco che l’SGR ha dei vincoli molto stringenti sugli strumenti in cui può investire
proprio legato a titoli High Yield o Investment Grade.

Il passaggio cruciale, che segna il cambio di categoria, è quello da BB a BBB: gli impatti sulle tipologie di
investimenti che si possono fare cambiano.

Si parla di probabilità di insolvenza dell’ente emittente, non del titolo: le obbligazioni sono unsecured, per cui
vengono rimborsare con riferimento alla capacità dell’azienda di produrre reddito.

Si può avere un rating sull’obbligazione e non sull’ente emittente sugli strumenti garantiti, ovvero senior o junior (che
hanno delle garanzie implicite e legate al concetto di seniority): il titolo senior ha lo stesso rating dell’azienda, mentre
quella junior ha un rating più basso.

Mercati azionari
= Le azioni sono titoli rappresentativi di quote di capitale della società e misura della partecipazione del
socio alla società. Esse sono quote di capitale sociale (emesse dal SPA e caratterizzate da responsabilità limitata).

Le azioni sono a reddito variabile, perché i redditi generati dalle azioni non sono fissati a priori, ma sono funzione
del buon andamento degli utili societari (non c’è nessun obbligo di rimborsare il capitale investito né di pagare una
remunerazione).

I dividendi sono occasionalmente distribuiti. Quando vengono distribuiti, ci sono dei vincoli statutari alla quantità di
dividendi distribuibili.

Le azioni:
- non hanno una data di scadenza.
- non danno certezza di remunerazione.
- non hanno certezza di un prezzo di rimborso.
- hanno una variabilità molto superiore a quella dei titoli obbligazionari (positiva o negativa del prezzo).
- hanno un rendimento implicito più elevato perché se l’azienda funziona bene, li si attualizza in un prezzo
che sale e il rendimento lo si ottiene in conto capitale (non lo si vede come una cedola perché si è soci, non
creditori).

Le azioni sono titoli di partecipazione e non titoli di credito o debito.

Le azioni sono caratterizzate dalla presenza di una serie di diritti che sono incorporati al titolo e che non ci sono nel
caso delle obbligazioni.
In particolare, quando si parla di azioni si parla di diritti:
 Amministrativi: poiché comprando azioni si diventa soci della società, esse incorporano diritti legati all’essere
socio della società, cioè diritto di voto, di partecipare alle assemblee e di impugnare le delibere.

Essi sono diritti attraverso i quali il socio può esprimere il suo assenso o dissenso rispetto alla gestione aziendale.
Il Codice civile Art. 2380 e seguenti disciplina tutta una serie di responsabilità e di diritti in capo all’assemblea:
sono diritti in capo a tutti gli azionisti. Tuttavia, può essere che esistano soci più interessati all’esercizio di questi

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diritti (è il caso degli azionisti di maggioranza, mentre in ottica degli investitori sono irrilevanti perché
investono con finalità speculativa).
 Patrimoniali: essi sono il diritto al dividendo e al rimborso del capitale, ma essi non sono diritti. Si parla di
diritto patrimoniale per fare riferimento all’ipotesi in cui quando c’è distribuzione di dividendo e quando c’è
distribuzione di capitale allora tutti gli azionisti hanno diritto alla restituzione del dividendo e al rimborso di
capitale, ma non sono insiti nel titolo (si verificano in certe condizioni). Infatti, la distribuzione del dividendo e
rimborso di capitale non sono obblighi della società.

Il rimborso del capitale si verifica quando si modifica il capitale sociale, mentre per il pagamento del dividendo
quando si approva il bilancio e delibera la distribuzione di una parte degli utili di esercizio.
 Misti: sono il diritto di opzione, il diritto di assegnazione di azioni in caso di aumento gratuito e il
diritto di recesso.
Un diritto misto è una via di mezzo tra un diritto amministrativo e un diritto patrimoniale.

Il più importante è il diritto di opzione: quando un’azienda emette nuovo capitale sul mercato i vecchi azionisti
in quanto tali hanno il diritto con prelazione rispetto ai nuovi di sottoscrivere le nuove azioni rispetto agli
altri (diritto di opzione: consente di rimanere soci con la stessa percentuale di partecipazione, anche in
presenza di un aumento di capitale).
Senza diritto di opzione, in caso di aumento di capitale sociale, la partecipazione dei precedenti azionisti verrebbe
diluita di una percentuale pari all’aumento di capitale sociale deliberato.
Il diritto di opzione può essere venduto sul mercato qualora il socio decidesse di non beneficiarne.

L’azienda emette azioni e raccoglie capitali. Per diverse ragioni, l’azienda può anche decidere di riacquistare le
proprie azioni, rimborsando gli azionisti e riducendo il numero di azioni sul mercato.
Quelle azioni però sono ancora in circolazione, non sono estinte: sono una parte del capitale sociale che non è detenuto
sul mercato ma che è detenuto dall’impresa stessa: questa si verifica nel caso delle banche quando la banca non è
quotata in borsa e un’azionista vuole uscire dal suo investimento azionario (perché la banca deve garantire la
liquidità del titolo: è la banca stessa che deve gestire il suo mercato secondario).

Le azioni riacquistate non possono essere conteggiate nel patrimonio della banca.

Azioni privilegiate e di risparmio

Le azioni sono azioni ordinarie se non lo si specifica.


Una categoria alternativa e sempre disciplinata dal Codice civile è quella delle azioni privilegiate e delle azioni di
risparmio.

Esse sono azioni che hanno un privilegio nei diritti patrimoniali e una limitazione dei diritti amministrativi:
 I soci che sono possessore di queste azioni non possono deliberare in assemblea ordinaria, ma solo
straordinaria.
 Se la società decide di distribuire dividendi, li distribuisce prima o in percentuale superiore gli azionisti possessori
di queste azioni rispetto ai possessori di azioni ordinarie.

Queste azioni sono emesse tipicamente dalle grandi società, che così facendo emettono un titolo un po’ più apprezzato
dagli investitori a cui non interessa essere socio della società, mentre sono interessati alla speculazione (le differenze
sono comunque poco significative).
Magari un investitore non vuole partecipare alla gestione della società o al voto in assemblea; magari vuole solo
ottenere gli utili e sperare in un apprezzamento dell’azione.

Ci sono poi azioni a voto plurimo, che invece danno maggiori diritti amministrativi.

Calcolo del rendimento di un’azione


P t−Pt −1 Dt
Rt = −
P t−1 Pt −1

Rt = rendimento del periodo (t-1; t)


Pt = prezzo dell’azione al tempo t
Pt-1 = prezzo dell’azione al tempo (t-1)
Dt = dividenti pagati nel periodo (t-1; t)

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Pt – Pt-1 = guadagno in conto capitale nel periodo (t-1; t)

N.B. non è vero che le azioni non hanno un rendimento. È vero che non hanno un tasso di interesse remunerativo, ma
il rendimento esiste ed è dato dalla differenza tra il prezzo di acquisto e il valore sul mercato. Si parla di Internal
Rate of Return.

Guadagni e perdite in conto capitale sono potenziali finché non si sono realizzate: diventano effettive solo quando
viene effettuata l’operazione (il dividendo è indicato con Dt).

Mercato primario e Mercato secondario

La differenza sostanziale tra azioni e obbligazioni è che mentre l’emissione di un’obbligazione sul mercato primario è
semplice (nonostante ci siano tanti tipi diversi di obbligazioni), nel caso delle azioni la situazione è molto diversa:
bisogna stabilire a che prezzo si vende il titolo.

Il prezzo sarà dato dal rapporto tra il patrimonio netto e il numero di azioni collocate: quando si parla di patrimonio
netto, si intende la differenza tra le attività e le passività (ovvero i debiti che l’azienda ha nei confronti di terzi).

Nel patrimonio netto c’è il capitale sociale, le riserve varie, gli utili e le perdite d’esercizio: esso è il valore che è in
capo agli azionisti della società.
Quando si va ad individuare il reale valore dell’azienda, è come se si dovesse riscrivere tutte le attività e le passività al
loro valore di mercato del momento; quindi, il vero valore che si ha quando si collocano i titoli sul mercato è la
stima del patrimonio netto fatto in questo modo, non il suo valore contabile.

Quando si ha un’offerta pubblica iniziale (IPO) o un aumento di capitale successivo, il grosso lavoro che viene fatto
tipicamente dalle banche di investimento, è quello di stimare il prezzo a cui effettuare il collocamento sul
mercato (tipicamente vengono assunti Advisor per fare queste operazioni).
Tendenzialmente è facile che il titolo, al momento del collocamento, acquisti valore rispetto al prezzo a cui è stato
collocato (fenomeno di under pricing in fase di collocamento).
È critico non effettuare un over pricing in fase di collocamento, altrimenti il mercato non assorbirà l’azione emessa e
l’operazione di fund raising fallirà.

Si distinguono collocamento e aumento di capitale perché nel secondo caso si ha già un valore di riferimento,
ovvero il prezzo a cui sono quotate le azioni sul mercato, per cui il processo di emissione è più semplice (perché si sa
già a che prezzo collocare le azioni sul mercato).
Ci sono meccanismi di offerta e di collocamento sul mercato diversi a seconda dell’obiettivo che si intende perseguire.

Nel mercato secondario vengono negoziate tra investitori le azioni già in circolazione sul mercato. Anche il mercato
secondario delle azioni è fondamentale per l’azienda. Se il prezzo delle obbligazioni sale e scende in funzione dei tassi
di interesse (quindi non è controllabile dall’impresa: lei emette a 100 e rimborsa a 100), il prezzo dell’azione è sempre
rappresentativo del valore dell’azienda. Ecco che è l’azienda che principalmente influenza il prezzo delle azioni tramite
la sua gestione caratteristica.

In conclusione, il mercato secondario esiste sia per le azioni che per le obbligazioni, ma nel caso azionario assume
molto più valore.

Modalità di collocamento

 Consorzio di semplice collocamento (best effort): in questo caso l’investment bank individua il prezzo a cui
l‘azienda emetterà i titoli sul mercato, fa in modo che l’azienda arrivi senza problemi alla quotazione ed è un
collocamento normale. L’investment bank non si assume il rischio che il mercato non assorba totalmente
l’operazione di fund raising.
 Consorzio di assunzione a fermo: il procedimento iniziale è lo stesso, ma quando si apre il collocamento
l’investment bank deve comprare tutti i titoli in collocamento, salvo poi rivenderli un secondo dopo sul mercato.
In questo caso l’investment bank si assume il rischio del collocamento.
 Consorzio di garanzia

Se l’impresa che emette i titoli è grande e conosciuta e quindi il mercato già la conosce, non c’è bisogno di
un’assunzione a fermo, viceversa per quanto riguarda le emissioni di imprese più piccole, meno conosciute e con una
capitalizzazione più piccola.

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C’è una differenza di pricing delle due operazioni: nel caso dell’assunzione a fermo c’è un maggior costo che
rimborsa l’intermediario che si assume il rischio (di solito, infatti, non si fa l’assunzione a fermo).
Un problema che si può porre a prescindere dalla modalità di collocamento è il fenomeno dell’under-pricing o
dell’over-pricing in sede di collocamento: il titolo è collocato ad un certo prezzo e nelle successive 48 ore subisce
un’oscillazione verso il basso o verso l’alto.
Se la variazione è verso l’alto il prezzo a cui è stato collocato il titolo era troppo basso (under-pricing in sede di
collocamento) e viceversa.

C’è un impatto negativo sulla società emittente in caso di under-pricing, perché ha perso denaro per ogni titolo
collocato; viceversa, l’emittente ha incassato inizialmente di più del prezzo di mercato del titolo in caso di over-pricing
(ci sono più fenomeni di under-pricing che di over-pricing).

Ci può essere una sorta di conflitto di interessi all’under-pricing nel caso dell’assunzione a fermo per l’investment
bank.

Nel consorzio di garanzia, l’intermediario che accompagna la quotazione si impegna per una certa parte, cioè
garantisce il buon fine di una parte soltanto del collocamento (è una via di mezza tra i due).

Il diritto di opzione
= con questo diritto, i soci che sono vecchi soci della società, e che quindi già partecipano pro-quota al capitale, in
caso di aumento di capitale hanno una prelazione rispetto ai nuovi soci sulla sottoscrizione delle nuove azioni che
vengono emesse.

La ragione sottostante è da un lato mantenere inalterata la quota di partecipazione dei vecchi soci (ovvero evitare
l’effetto di diluizione di capitale), dall’altro fornire una protezione patrimoniale all’investimento (infatti, tipicamente le
nuove emissioni vengono effettuate a sconto rispetto al valore di mercato delle azioni già in circolazione in modo che il
mercato assorba l’emissione).

Succede che, appena terminato il collocamento, sul mercato si hanno delle azioni che valgono diversamente:
l’allineamento è immediato alla media di quei prezzi, ma chi aveva delle azioni precedentemente si ritrova azioni che
valgono meno mentre chi le ha appena comprate si ritrova azioni che valgono di più.
Questo, se non ci fosse il diritto di opzione, sarebbe un danno per i vecchi azionisti e un vantaggio per i nuovi azionisti,
per cui l’elemento di compensazione è dato dal diritto di opzione:
 Il vecchio azionista a cui non serve il diritto di opzione lo vende e guadagna la differenza di prezzo tra le vecchie
e le nuove azioni;
 Il nuovo azionista paga l’azione (al prezzo inferiore a cui è emessa) più il diritto di opzione acquistato.

Il mercato secondario azionario


Il funzionamento è sostanzialmente identico per il mercato azionario e per il mercato obbligazionario. La borsa
italiana è stata venduta a Euronext, una holding che tiene insieme tutti i mercati di borsa nazionali presenti in Europa
continentale.

Mercato Telematico Azionario (MTA):


- Azioni, obbligazioni convertibili, diritti di opzione, warrant, quote di fondi chiusi;
- Large/mid/small cap (si fa riferimento al grado di patrimonializzazione dell’impresa);
- Star (segmento titoli alti requisiti): PMI che si impegnano a rispettare elevati requisiti di trasparenza
informativa. Specialist (facilita il trading delle azioni).

AIM (MTA):
- Dedicato a PMI ad alto potenziale di crescita. Requisiti di accesso e permanenza semplificati.

Processo di negoziazione
Sul mercato secondario (azionario in particolare) ci sono segmenti su cui vengono negoziati titoli con
caratteristiche diverse: esistono perché titoli emessi da società diverse hanno diverse caratteristiche in termini di
liquidità del titolo

Il funzionamento di una giornata di borsa aperta è uguale per tutti i segmenti di mercato, che siano azionari o
obbligazionari.

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Ci sono due meccanismi tutt’oggi presenti per la negoziazione dei titoli:
1. Asta a chiamata: le transazioni avvengono solo durante la fase di chiamata, effettuata in intervalli di tempo
prestabiliti, dando luogo ad un solo prezzo per titolo (fixing).

Abbiamo l’asta di apertura (8:00 – 9:00) e l’asta di chiusura (17:25 – 17:30).

Nell’asta di chiusura il mercato (l’algoritmo) osserva l’andamento dei titoli durante il giorno e stabilisce il
prezzo di chiusura.

Nell’asta di apertura viene negoziato il prezzo di apertura in seguito alle informazioni che sono giunte durante
la notte: è un momento fondamentale che permette di evitare volatilità eccessiva nelle prime ore della
negoziazione continua. Serve da “cuscinetto”.
Ecco che vengono immesse nel sistema gli ordini di acquisto e di vendita, e l’algoritmo individua il prezzo che
massimizza le quantità in acquisto o in vendita: infatti, gli investitori propongono il prezzo a cui
acquisterebbero/venderebbero l’azione (cosa che non avviene nella negoziazione continua) e l’algoritmo trova
l’equilibrio.

Alle aste di apertura partecipano solo gli investitori istituzionali.

La gestione della volatilità è molto importante perché è un fattore distorsivo rispetto al valore reale dell’impresa.

2. Negoziazione continua (9:00 – 17:25): gli scambi avvengono continuamente per tutta la durata di apertura del
mercato, generando per conto una pluralità di prezzi, ciascuno relativo alle diverse negoziazioni fatte.

Tipicamente sono gli investitori istituzionali che inseriscono ordini sul mercato indicando il prezzo. Gli investitori
retail acquistano senza indicazione del prezzo nell’ordine ed è implicito l’acquisto al prezzo attuale di
negoziazione.

La logica delle aste è legata a trovare il modo migliore affinché le informazioni che arrivano al mercato siano
correttamente inglobate nel prezzo delle azioni.

I prezzi derivano dalle varie informazioni che durante la giornata arrivano sul mercato e le transazioni avvengono a
prezzi diversi durante la giornata per questo motivo (non c’è più un banditore per cui si formano due prezzi al giorno).

Tipicamente l’investitore Retail fa ordini senza limite di prezzo, cioè ordina l’acquisto e la vendita indicando la
quantità (e non il prezzo), mentre per l’investitore istituzionale c’è una varietà superiore e sono ordini con limite di
prezzo:
 Ordini validi fino a cancellazione, ovvero ordini con prezzo
 Ordini validi fino alla data/ora specificata

Il mercato di borsa è un mercato su cui vengono negoziati tanti tioli di società diverse: l’indice azionario è una sintesi
del prezzo medio ponderato del giorno (il più conosciuto è il FTSE MIB) ed è l’indice del mercato MTA di quel
momento (sale di valore o scende di valore proporzionalmente al fatto che il prezzo medio ponderato salga o scenda di
valore ed è espresso in punti base).
Quello è il principale indicatore sintetico di come sta andando il mercato.

Gli indici dei mercati azionari


= sono indicatori che riassumono il valore delle azioni presenti sul mercato come media pesata di tutte le azioni.
Ecco che l’indice si muoverà in positivo/negativo in accordo con il valore complessivo di tutte le azioni che sono
negoziate nella borsa a cui si riferisce.

Gli indici dei mercati azionari sono i più volatili perché le azioni sono tipicamente gli strumenti più volatili.

Come approssimazione, l’indice sintetizza l’economia del paese. Infatti, gli aspetti macroeconomici del momento che
caratterizzano l’economia, influenzano la capacità delle aziende quotate di generare profitto. Ecco che le aspettative
possono scendere e così il valore delle azioni e dell’indice conseguentemente.

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Non dobbiamo guardare all’indice solo come indicatore dell’andamento della borsa in sé, ma piuttosto come indicatore
della situazione dell’economia reale.

Durante la crisi pandemica e il lockdown, gli indici di borsa di tutto il modo sono crollati: infatti, le aziende non erano
in condizioni di operare. Questa inoperatività riduce drasticamente l’attivo delle aziende e quindi si riduce il valore
dell’azienda stessa.
Se cala il valore dell’azienda cala anche il prezzo delle azioni: gli investitori, infatti, dubitano della capacità dell’azienda
di generare nuovamente profitti e quindi vendono le azioni.

Tuttavia, tralasciate le cause economiche del declino delle borse, il fenomeno che causa il crollo o la salita del prezzo
delle azioni è unicamente dato dalla quantità di investitori che acquistano/vendono le azioni. Ecco che noi possiamo
ragionare sulle motivazioni che hanno portato a un recesso, ma la ragione tecnica che causa movimenti nel prezzo
delle azioni è data dalla quantità di investitori che detengono le azioni nel portafoglio.

Sono espressi in punti base. Non viene espresso in EURO perché non è solo rilevante il prezzo dell’azione, ma anche
la quantità di azioni in circolazione per quella società.

Gli indici possono essere:


- Price weighted
- Value weighted
- Equally weighted

In Italia è il FTSE Mib. Altri indici importanti sono DAX(DEU), IBEX(ESP), CAC40(FRA), NIKKEI(JPN), NASDAQ,
DowJones.
S&P500 non è riferito a una particolare borsa, ma riassume la situazione delle 500 aziende più capitalizzate su tutti i
mercati americani.
Ecco che possiamo costruire indici rappresentativi di qualsiasi cosa, non per forza dell’andamento delle borse.

Gli indici non sono direttamente acquistabili: posso comprare strumenti derivati che replicano l’andamento
dell’indice. Sono gli ETF (Exchange Traded Fund).

Il rendimento dei titoli:


μ
Indice di SHARPE = è il rapporto tra il rendimento medio del titolo e la deviazione standard di tale rendimento.
σ
L’indice mi permette di confrontare più strumenti finanziari con rendimenti medi diversi o deviazioni standard
diverse.

STRUMENTI DERIVATI
= Lo strumento derivato è un contratto a termine (≠ pronti) che impegna le parti all’acquisto o alla vendita di
una determinata attività (sottostante) a un dato prezzo e a una data scadenza.

 Si dice a termine perché il contratto si perfeziona subito ma gli effetti si verificano successivamente. I contratti a
termine si distinguono dai contratti a pronti perché il prezzo in questi ultimi è contestuale allo scambio .
 Si chiamano derivato perché il loro valore dipende dal valore del sottostante a cui sono legati (che può
essere un titolo, una valuta, un tasso di interesse oppure anche una materia prima). Ecco che al variare del valore
dell’attività sottostante, varierà il valore del contratto derivato.
Se il contratto derivato ha come sottostante un barile di petrolio, non mi vedrò consegnato il barile fisicamente,
ma una remunerazione corrispondente alla variazione del valore del barile di petrolio.

Esistono quattro categorie di derivati:


- Forward
- Futures
- Opzioni
- Swaps

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Essi possono essere simmetrici o asimmetrici:
 simmetrico quando gli oneri e i diritti in capo al compratore e al venditore sono speculari, simmetrici,
 asimmetrico quando in capo a un soggetto ci sono dei diritti e in capo all’altro solo dei doveri (Forward,
Futures e Swaps sono simmetrici).

Essi possono essere negoziati sui mercati organizzati oppure sui mercati OTC: è difficile dire quale modalità di
negoziazione prevalga, l’elemento distintivo è che tutti i futures sono negoziati sui mercati regolamentati, mentre i
forward no, le opzioni un po’ sì e un po’ no e gli swaps per definizione sono negoziati sui mercati OTC.

I futures sono contratti molto lineari; le opzioni esistono anche in forma strutturata e perciò sono complesse, per cui
non sono negoziate sui mercati regolamentati (tutto ciò che è complesso e strutturato è negoziato sui mercati OTC).

Le finalità:
 Un contratto derivato ha finalità di copertura se protegge dal rischio di posizioni preesistenti nelle attività
finanziarie sottostanti.
Essi sono usati come strumenti di risk management: il derivato nasce storicamente come strumento di
copertura.
 Un contratto derivato ha finalità speculativa se assume una posizione di rischio coerente con le proprie
aspettative per ottenere un guadagno.
 Un contratto derivato ha finalità di arbitraggio se estrae profitti da un momentaneo disallineamento tra i
prezzi presenti sui mercati. Tipicamente si verifica quando i mercati sono poco efficienti.

Il contratto derivato è sempre quello, la finalità dipende da come l’investitore usa il contratto: lo si può usare come
strumento di copertura quando si possiede già un asset finanziario nel portafoglio come sottostante e si usa il
derivato che è sullo stesso sottostante ma in posizione opposta (in modo da compensare tramite guadagno da una
parte e perdita dall’altra, perché uno sale e uno scende).
Al contrario, possedere unicamente il contratto derivato nel portafoglio ha fini tipicamente speculativi.

Con gli strumenti derivati possono si può essere in posizione lunga, se si sta comprando (se si è l’acquirente),
mentre in una posizione corta se si vende (si è il venditore).

Le opzioni
= L’opzione è un contratto a termine (quindi il prezzo è prefissato quando si sottoscrive il contratto), in virtù del
quale si conferisce all’acquirente dell’opzione (buyer) la facoltà (ma non l’obbligo) di acquistare o di vendere un
determinato sottostante (underlying asset) a una certa data o entro una certa data (maturity) ad un prezzo prefissato
(strike price o prezzo di esercizio Pe) a fronte del pagamento di un premio.

Si prestabilisce un prezzo sul sottostante. Il contratto derivato “opzione” conferirà al buyer la facoltà di acquistare, in
futuro, il sottostante al prezzo concordato. Il guadagno/perdita del buyer dipenderà dal movimento del valore del
sottostante sul mercato. In ogni caso, il premio che il buyer paga al writer per poter esercitare il diritto di opzione non
viene mai rimborsato.

Questo è per definizione un contratto asimmetrico perché il buyer ha la facoltà di, mentre il writer ha l’obbligo di,
ovvero l’obbligo grava solo sul venditore (il buyer è sempre l’acquirente del diritto, che sia di acquisto o di vendita).

Il buyer, al tempo iniziale, paga un premio al writer, che è il prezzo dell’opzione, a titolo di corrispettivo per
l’acquisizione del diritto di opzione.

 Il premio rappresenta il prezzo dell’opzione.


 È possibile esercitare il diritto di opzione oppure vendere tale diritto sul mercato secondario
 L’opzione si può esercitare da o entro una certa data: nel primo caso si parla di opzioni europee, le altre sono
opzioni americane

Le opzioni si distinguono in:


 Opzioni call: facoltà di comprare una determinata quantità del sottostante ad un prezzo stabilito a o entro una
certa data.
 Opzioni put: facoltà di vendere una determinata quantità del sottostante ad un prezzo stabilito a o entro una
certa data.

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Nelle opzioni call:

Tecnicamente le opzioni durante la loro vita possono essere:


- in the money (quando, in quel momento, al buyer conviene esercitare) ovvero il prezzo di mercato Pm è
superiore al prezzo di esercizio Pe (dallo strike price a destra)
- at the money quando il prezzo di mercato Pm è uguale al prezzo di esercizio Pe
- out of the money quando il prezzo di mercato Pm è inferiore al prezzo di esercizio Pe (non conviene più
eseguire). Dallo strike price a sinistra.

Tanto il writer guadagna, quanto il buyer perde (e viceversa). Hanno posizione speculare perché tutti i
contratti derivati hanno somma zero.

Il buyer:
1. Il buyer guadagna quando il prezzo di mercato è superiore al prezzo di esercizio più il premio
2. Il buyer recupera il premio ma non guadagna quando il prezzo di mercato è compreso tra il prezzo di esercizio e
il prezzo di esercizio più il premio
3. Il buyer perde quando il prezzo di mercato è inferiore al prezzo di esercizio (la perdita consiste solo nel premio
che ha pagato)

Il guadagno sarà dato dalla differenza tra il guadagno del sottostante e il prezzo pagato per l’opzione, e sarà uguale alla
perdita del writer.

Grafico Buyer di una Call

Il grafico mostra l’andamento del rischio dell’opzione (ossia il


profitto generato) in base all’andamento del sottostante.

La curva parte orizzontalmente da un valore negativo pari al


premio pagato per il diritto di opzione.

Dal punto di strike in poi, il profitto sale progressivamente: infatti,


ogni EURO sopra il prezzo di strike concordato è profitto per il
buyer.

At the money: Pm=P e  vale in tutti i grafici

La perdita è limitata al premio pagato. Ciò è dovuto al fatto che il buyer ha il diritto e non l’obbligo di esercitare il
diritto di opzione (oltre al fatto che il prezzo del sottostante mai potrà essere negativo).
Nel punto in cui la curva del profitto interseca l’asse orizzontale, si ha il brake even, in cui il profitto del buyer ha
ripagato tutto il premio dovuto al writer.

Grafico Writer di una Call

Essendo i profitti del buyer le corrispondenti perdite di un writer, il


grafico della call dal punto di vista del writer sarà simmetrico.

Ecco che la curva parte da un valore positivo corrispondente al


premio pagato dal writer che costituisce un suo profitto.

Vediamo che la curva tende a −∞ all’aumentare del prezzo del


sottostante: ecco che più aumenta il prezzo del sottostante rispetto
allo strike price, più aumenta il profitto del buyer e così la perdita
del writer.
Nelle opzioni put:

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- Quando il prezzo di mercato Pm è superiore al prezzo di esercizio Pe l’opzione sarà out of the money (dallo
strike price a destra)
- Quando il prezzo di mercato Pm è uguale al prezzo di esercizio Pe l’opzione sarà at the money
- Quando il prezzo di mercato Pm è inferiore al prezzo di esercizio Pe l’opzione sarà in the money (dallo strike
price a sinistra).

Il buyer:
1. Il buyer guadagna quando il prezzo di mercato è inferiore al prezzo di esercizio meno il premio
2. Il buyer recupera il premio ma non guadagna quando il prezzo di mercato è compreso tra il prezzo di esercizio e
il prezzo di esercizio meno il premio
3. Il buyer perde quando il prezzo di mercato è superiore al prezzo di esercizio (e quindi non esegue il diritto di
opzione).

Anche qua, tanto guadagna il writer e tanto guadagna il buyer e viceversa.

Entrambi i diagrammi di redditività permettono di percepire moto bene quale sarà la posizione finale di
entrambi: il writer ha una perdita potenzialmente illimitata e un guadagno limitato all’opzione che ha venduto,
mentre il buyer ha un guadagno potenzialmente illimitato e una perdita limitata all’opzione che ha acquistato.

Grafico Buyer di una Put

La Put permette di guadagnare se il mercato scende.

Il profitto è limitato al prezzo del sottostante = 0, mentre le perdite


sono contenute al premio pagato (come nella call).

Il grafico è verticalmente simmetrico rispetto all’opzione Call.


L’opzione put permette al buyer di effettuare lo “short selling”
(vendita allo scoperto) senza tutti i costi connessi e senza timore di
perdite illimitate nel caso il mercato procedesse nella direzione
opposta a quella sperata.

Grafico Writer di una Put

Dato che il guadagno del buyer consiste nel ribasso del prezzo
rispetto allo strike, la corrispondente perdita del writer corrisponderà
alla stessa differenza.

Il writer spera nella crescita del prezzo del sottostante. La perdita


massima si raggiunge quando il valore del sottostante tende a 0.
Il profitto è limitato al premio.

Notiamo che esiste sempre simmetria tra buyer e writer. Il buyer avrà sempre perdite limitate al pagamento del
premio e sarà quindi più coperto.

Il writer può subire gravi perdite sia tramite Call che Put, ma ha un margine di certezza di profitto maggiore costituito
dal premio pagato.

È tutta una questione di aspettative: apparentemente sembrerebbe inutile fare i writer (i quali sono incentivati dal
premio pagato dal buyer).

Il payoff, nel caso della call, idealmente tende all’infinito (poiché il prezzo del sottostante può tendere all’infinito),
mentre nel caso della Put non tende all’infinito perché il sottostante non può avere un valore negativo (al più arriva a
valere zero).

Spesso l’acquisto o la vendita di opzioni non è un’operazione a sé stante, ma viene sempre accompagnata dall’acquisto
di altri strumenti finanziari. Un’operazione congiunta di questo tipo potrebbe avere finalità di copertura.

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Forward
= il forward è un contratto derivato tipicamente negoziato OTC per acquistare o
vendere un’attività finanziaria o reale a una certa data futura, a un certo prezzo
di consegna (delivery price).

In questo caso entrambe le parti si impegnano ad acquistare o vendere una certa


quantità di sottostante ad una certa data futura: il contratto è simmetrico, perché
una parte compra (posizione lunga) e una parte vende (posizione corta).

Al tempo zero ci si impegna ad acquistare una certa quantità di sottostante a un


certo prezzo ad una certa data: il payoff lungo è St-K (dove K è il prezzo di esercizio
ed St è il prezzo a scadenza di mercato), mentre il payoff corto è K-St.

Per ogni livello di prezzo uno guadagna, l’altro perde ed il contratto è a somma zero.

Il forward è prevalentemente usato come strumento di copertura dagli inventori


importatori ed esportatori, cioè da chi ha in portafoglio delle merci rispetto alle
quali vuole coprirsi dal rischio delle variazioni di prezzo (a costo zero).

Es. il contadino che possiede del grano e vuole proteggersi dal rischio che in futuro
il grano si deprezzi. Ecco che acquisterà un forward come venditore, e che quindi
genererà reddito qualora il grano si deprezzi, a copertura, e lo comprerò su misura
rispetto al grano che possiedo nel granaio.
Ecco che al contadino non interessa speculare sui profitti che trarrà dalla vendita
del grano. Se decide di rivendere il grano a 15€ avendolo prodotto per un costo di
10€, formulerà una strategia per fare in modo che il prezzo non si discosti da 15€: il
contadino non vuole guadagnare di più dal forward più di quanto non
guadagnerebbe dalla sola vendita del grano e allo stesso tempo non è disposto a pagare alcun premio qualora il grano
si apprezzasse.
È una strategia adatta all’ottica di stabilità dell’attività imprenditoriale.

Questa è anche la ragione per cui sono prevalentemente over the counter (fuori dal mercato borsistico), cioè si
hanno delle esigenze di copertura specifiche per cui raramente si può trovare quel contratto sul mercato.

Il contratto forward non viene stipulato direttamente tra compratore e venditore. L’intermediario finanziario (banca)
stipula prima un contratto come compratore con il nostro contadino, e successivamente un altro contratto dalla parte
opposta, come venditore, con la terza parte. Tuttavia, l’intermediario non si assume il rischio dell’operazione: rimane
neutrale. È come se le due parti entrassero direttamente in contatto.

Chi deve vendere un bene, acquista un forward su quel bene per cui se il prezzo scende, il forward sale dello stesso
importo e si azzerano perdite e guadagni (stessa cosa se salisse): questa copertura a tempo zero costa zero ed è scelta
perché la finalità è di copertura, non speculativa.

Sono usate sia per coprire la variazione di prezzo di materie prime sia per il rischio di cambio dell’import-export.

Futures
= il future è un contratto per acquistare o vendere un’attività finanziaria o reale sottostante ( underlying asset o
nozionale) a una certa data futura e a un certo prezzo di consegna (delivery price).
Il future è come un forward, cioè dura un certo lasso di tempo, però ogni giorno si deve pagare: il dato cumulato è
uguale a quello che si avrebbe con il forward, ma ogni giorno si deve saldare la propria posizione.

Il prodotto sottostante serve a derivare il valore del future. Il sottostante può essere un indice, un altro strumento o
una materia prima.
Nel future, compratore e venditore hanno opinioni opposte sull’andamento del sottostante.
L’acquirente realizza un profitto se il valore del sottostante aumenta e una perdita se il valore del sottostante
diminuisce.

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I futures sono negoziati sui mercati regolamentati: sui mercati regolamentati a fine giornata si saldano le
posizioni (settlement), perché la perdita accumulabile in una giornata è gestibile, mentre quella accumulabile in
diversi giorni non lo è (ed il fallimento di uno potrebbe generare un effetto domino e potrebbe portare ad un collasso
del sistema per una causa banale come questa).

Esso è un contratto simmetrico, in cui si ha un compratore in posizione lunga e un compratore in posizione corta: il
contratto è sempre a somma zero.

Mentre chi compra i forward ha una finalità di copertura, chi compra i futures ha finalità speculativa: non è uno
strumento reale come i forward, non è usato per finalità imprenditoriale.
È un mercato molto più dinamico, anche perché
è un prodotto standardizzato. Succede
raramente che vengano tenuti fino a scadenza.

Di solito si chiude prima della scadenza con un


contratto di segno opposto (se ho aperto una
posizione lunga, emetto una posizione corta così i
flussi si annullano).
Se dovesse giungere a scadenza, si consegna
fisicamente il sottostante o si esegue il cash
settlement.

Nel caso del future si ha un problema di gestione


di rischio di insolvenza, cioè di gestire il rischio
che sul mercato gli operatori siano insolventi
riguardo alle operazioni (tuttavia, ciò non elimina il
rischio dal portafoglio degli operatori, il quale è
sempre legato all’andamento del sottostante):
questo ruolo lo svolgono degli operatori chiamati
clearing house (cassa di compensazione e
garanzia in Italia CC&G), intermediari
finanziari il cui compito è quello di garantire che
a fine giornata vengano saldate le posizioni.

Il settlement avviene di giorno in giorno e non alla


scadenza. Ogni perdita/profitto di ognuna delle
parti viene saldata giorno per giorno dalla Clearing
House.

La clearing house su ogni contratto si frappone tra


i contraenti: è venditrice per il compratore e compratore per il venditore, per cui non si assume nessun rischio ma ha
rapporto diretto con le due controparti. In questo modo lei garantisce il buon fine di tutti i contratti, perché
sono tutti contratti fatti con lei, in due modi:
1. Seleziona gli aderenti: ci sono un numero si aderenti selezionati, intermediari finanziari con determinati
requisiti (infatti, non sono i clienti a contrattare direttamente con la clearing house. I clienti stipulano i futures
con la banca che poi a sua volta contratta con la clearing house).
2. Chiede i margini: i margini (iniziale e di variazione) proteggono la controparte centrale e quindi il mercato
dall’inadempienza dei partecipanti al sistema.
Saldando a fine giornata le posizioni e, avendo come buffer a cui attingere il margine iniziale, la clearing house
garantisce che il mercato sia sempre solvibile:
 Il margine iniziale rappresenta il primo cuscinetto di cui la Clearing House si dota, ossia il deposito
cauzionale che richiede in virtù dell’assunzione del rischio di credito (calcolato al prezzo di fine giornata,
non di sottoscrizione). Viene versato da entrambe le parti alla CCG e viene poi rimborsato.
 Oltre al margine iniziale giornalmente viene calcolato il margine di variazione, che è quello di fine
giornata (quanto dev’essere riconosciuto o addebitato dalla clearing house al cliente ogni giorno).

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Vediamo che il rischio della CCG è nullo poiché chiude contratti con entrambe le posizioni di segno opposto che si
annullano (vediamo che sono barrati i contratti di ritorno con i clienti che si annullano).
In realtà i soggetti A e B sono banche che stipulano un accordo con la CCG. Alle banche si affideranno più clienti che
desiderano concludere contratti futures, ed ecco che la banca si rivolgerà alla CCG con molteplici contratti.

Ciascuna posizione aperta viene liquidata alla fine di ogni giornata (generando un addebito o un accredito sul conto
che ciascun operatore autorizzato mantiene con la Cassa) e riaperta il giorno successivo al medesimo prezzo di
chiusura del giorno precedente.

Il margine di variazione è liquidato giornalmente attraverso un meccanismo marking to market, che è ciò che
consente una valorizzazione quotidiana delle posizioni in derivati ancora aperte e un accredito/addebito
giornaliero su conto margini presso la clearing house: la Clearing House preleva ogni giorno dalla controparte che sta
perdendo l'esatto ammontare da versare alla controparte che sta guadagnando.

Marking-to-market = sistema che prevede il settlement delle perdite/guadagni avvenuti durante la giornata di
trading. Tale regolazione del saldo avviene giornalmente, invece che alla scadenza della security.

Gli Swap

= gli swap sono un accordo tra le parti per lo scambio di flussi di pagamenti il cui ammontare è determinato in
relazione a un sottostante (che di solito è o un tasso di interesse o un tasso di cambio)

Essi sono negoziati sui mercati OTC: non sono standardizzati, perché sono originati da contrattazioni bilaterali (sono
prodotti complessi senza un mercato secondario).

In origine ha finalità di copertura ma anche speculativo.


Es. la banca mi conclude un mutuo a tasso variabile. Ecco che io posso concludere un contratto swap sul tasso di
interesse del mutuo in modo che sia coperto dalle fluttuazioni del tasso.

Lo strumento finanziario sottostante agli swap è prevalentemente o un tasso di interesse (Interest Rate Swap) o
un tasso di cambio: due parti (la banca e il cliente) si scambiano un flusso di pagamenti ogni sei mesi, che derivano
dall’applicazione di un tasso di interesse su di un capitale nozionale (preso solo come riferimento).
Molte volte sono fatti a copertura di operazioni preesistenti, per cui è normale che siano strumenti over the
counter (OTC).

Uno swap ha due legs: una prima gamba è data da un flusso di cash flow fisso (calcolato su di una componente fissa)
mentre l’altra gamba, che è il flusso di ritorno della controparte, è a tasso variabile.

Interest Rate Swap (IRS)

Le controparti si scambiano pagamenti periodici di interessi (questi sono i flussi che vengono scambiati
reciprocamente), che sono calcolati su di una somma di denaro (capitale nozionale di riferimento: è solo una base di
calcolo, non è il sottostante). Questo scambio periodico di interessi avviene fino alla scadenza del contratto (per
esempio ogni sei mesi per cinque anni).

Gli IRS plain vanilla (i più semplici) prevedono che una parte paghi all’altra un flusso basato su un tasso di
interesse fisso (5%), (tipicamente questa è la parte che usa lo strumento a fini di copertura) e l’altra parte paga un
tasso di interesse variabile (Euribor). Il nozionale non viene scambiato, ma serve solo per determinare il flusso
di pagamenti.

Il rischio e il valore dello swap dipendono dalla variabilità del tasso variabile.

Lo scambio dei flussi avviene su base differenziale ad ogni scadenza: se l’Euribor sale sopra il 5% la parte che
deve pagare il fisso guadagna, viceversa se scende sotto il 5% perde.

Questo contratto lo si può usare con finalità speculativa: è una questione di aspettative su fatto che il tasso Euribor
salga, cioè si trae profitto da variazioni attese di tassi di interesse (non vi è un rischio preesistente da coprire).
Oppure con finalità di copertura: si avrà nel portafoglio un mutuo (o un finanziamento ottenuto dal sistema
bancario o altro rischio da gestire ) a tasso variabile, per cui si è esposti al rischio che i tassi di interesse salgano. Ecco
che il cliente stipulerà con la banca un contratto swap in cui paga un tasso fisso 5% sperando che l’EURIBOR salga. La

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banca stipulante pagherà il tasso variabile. In caso il tasso di interesse sul mutuo salisse, il cliente dovrebbe pagare
rate maggiori, ma allo stesso tempo tale aumento di prezzo sarebbe compensato dai profitti dello swap.

ESEMPIO:

Assumiamo che il contratto di mutuo di 100.000€ avvenga a tasso variabile con EURIBOR +0.5%.
Il cliente stipula il seguente contratto di swap:
- Tasso fisso pagato dal cliente alla banca: 5%
- Tasso variabile pagato dalla banca al cliente: EURIBOR +0.5%

Vediamo che, tramite l’utilizzo dello strumento, abbiamo trasformato un mutuo da tasso variabile a tasso fisso. Il
debitore del mutuo è coperto dal rischio di oscillazione del tasso di interesse. La copertura è totale.

Se l’Euribor sale, lo swap protegge dal rischio di dover pagare sempre di più, ma se l’Euribor scende, lo swap
impedisce di beneficiare di quei tassi di interesse perché è un contratto simmetrico.

Dai totali dello Swap vediamo che la società ha pagato un flusso costante di -5000€ ogni mese per un totale di
30.000€, ma la banca, che ha valutato male la crescita dell’EURIBOR, ha dovuto pagare di più perché l’EURIBOR è
stato, il più delle volte, al di sopra del 5%.

Questi contratti sono abbastanza costosi, perché sono fatti apposta per il cliente (ecco perché a volte si scelgono delle
soluzioni di copertura dinamica, che abbassano la copertura ma anche il suo costo).

Vediamo un esempio di swap stipulato nel 2011. La


riga blu indica l’evolversi reale dell’EURIBOR,
mentre la riga rossa in salita indica l’aspettativa sui
tassi. Ecco che la banca stimava che per un primo
periodo il cliente avrebbe perso (area rossa sotto il
2.5%) e solo successivamente avrebbe guadagnato
(area verde sopra il 2.5%).
Ecco che attualizzando le due aree otteniamo la
condizione del 2.5% che è il valore fair (in cui le
prestazioni si pareggiano.) Il 2.5% viene proposto
come condizione di tasso fisso al cliente.

Tuttavia, successivamente alla stipula i tassi


continuano a scendere. Ecco che il cliente va
sempre in perdita e non ha mai un ritorno dallo
swap.

N.B. il tasso di interesse fisso costituisce il PREZZO DELLO SWAP (al di là della commissione dovuta alla banca
che è di natura diversa). È un valore che devo prendere come buono perché non è facile da stimare. La banca ha
potere.

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IRS a fine Speculativo

Vediamo un esempio di impresa indebitata a cui vengono fatti sottoscrivere una serie di swap. Tendenzialmente i
contratti swap non vengono chiusi, ma rinegoziati, come in questo caso. Il nozionale stabilito corrisponde al debito che
l’impresa aveva con la banca.

Prima apro il primo contratto swap (con finalità di copertura). La gamba fissa è a rischio step-up (il tasso fisso cresce.
Potrebbe essere stato fatto magari perché ci si aspetta che i tassi cresceranno in futuro). Lo swap è di copertura perché
la banca mi paga lo stesso variabile che avevo sul finanziamento (EURIBOR).
Successivamente apro un secondo swap ma con un tasso fisso maggiore rispetto al precedente. È comunque di
copertura.

Ecco che viene stipulato un terzo swap con le seguenti caratteristiche:

EURIBOR in arrears significa che viene stimato alla fine del periodo di riferimento (6 mesi) piuttosto che rilevarlo al
tempo t = 0. Non è rilevante al momento ma è chiaro che se l’istituto di credito stima una crescita dei tassi avrà
interesse a proporre un EURIBOR in arrears.

Cerchiamo di vedere, in base ai possibili valori di EURIBOR, la dimensione della gamba fissa/variabile e quindi
valutare se il cliente perde o guadagna sullo swap.

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Vediamo che quando l’EURIBOR è molto basso, il floor di 1.75% mi alza di fatto il tasso che devo pagare (infatti, dal
calcolo avrei un valore inferiore a 1.75%, innalzato dal floor). Non solo, ma allo stesso tempo scatta anche il premio
annuale, che si somma al tasso che devo già pagare (diventa estremamente oneroso). È un doppio effetto di aumento
del tasso rispetto al valore dell’EURIBOR.
Notiamo inoltre che il cap del 7% è fittizio (non interviene mai se non una volta quando l’EURIBOR è al 5%). È una
misura “esca” ideata per ingannare il cliente e fargli pensare di essere tutelato.
Ecco che il tasso fisso che dovrebbe pagare la società non è più fisso perché dipendente due volte dall’EURIBOR (nel
tasso e nel premio annuale).

Ecco che la presenza dell’EURIBOR nella gamba fissa dello swap elimina la funzione di copertura dello swap stesso.

Se la società ha sottoscritto i primi due swap come copertura perché ha paura della crescita dei tassi, questo terzo swap
(che viene da una rinegoziazione) non ha più finalità di copertura. Infatti, in quasi nessuna finestra di EURIBOR la
società vedrà flussi di ritorno.

Vediamo che non è un contratto Fair, perché nasce già con un onere a carico dell’impresa, qualunque sia l’ipotesi di
variazione dell’EURIBOR.
Questo è un contratto che include le rinegoziazioni effettuate partendo dai primi 2 swap. La società chiede la
rinegoziazione perché i primi 2 swap diventavano troppo onerosi. La banca incorpora il mancato guadagno dei primi 2
swap nel terzo (ecco perché risulta così oneroso per il cliente).

Il cliente viene accontentato perché gli si permette la rinegoziazione del contratto e allo stesso tempo la banca non
rinuncia al suo profitto perso. Come mai tale contratto esiste anche se l’impresa è cosciente di questo inganno?
L’impresa spera sempre nell’andamento dei tassi che possano rendere il contratto vantaggioso (ipotesi irrealistica,
dato che dovrebbero raggiungere livelli molto elevati per andare in profitto).

Complicazioni:

Il problema di questi contratti è che sono molto complessi e i parametri da tenere sotto controllo sono molti.
L’elemento critico nella finalità di copertura è avere delle condizioni di allineamento tra il debito e lo swap, cioè
tra posizione debitoria e derivato, perfette. Le condizioni dello swap devono essere commisurate al debito da coprire.
Ecco che fisso il prezzo e indipendentemente dall’andamento dal mercato pagherò la stessa rata del mutuo.

N.B. quando strutturo uno swap con una banca, lei guadagna sulle commissioni per l’operazione e non sullo swap vero
e proprio. Infatti, la banca dopo aver stipulato uno swap con me, ne stipula un altro uguale con un altro cliente ma
dalla parte opposta così elimina il rischio dal portafoglio. Alla banca non interessa il differenziale.

La copertura dinamica

Abbiamo visto che una copertura totale come nel caso del plain vanilla copre completamente da ogni variazione del
tasso di interesse EURIBOR, rendendo il finanziamento, di fatto, a tasso fisso.

La copertura dinamica, anziché gestire il rischio in modo bloccato (quindi copertura totale che porta a pagare un
tasso fisso), copre un pezzo del rischio, su di un nozionale più basso e per una durata più breve.

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Di fatto, i primi due swap dell’esempio precedente erano a copertura dinamica: a copertura perché il flusso della banca
è lo stesso del tasso di interesse variabile del finanziamento (EURIBOR) e il flusso dell’impresa è a tasso fisso;
dinamica perché il tasso fisso è step-up e quindi la copertura è difficile che sia totale.

L’impresa indebitata deve entrare nello swap con un tasso fisso: la copertura dinamica gestisce il rischio in modo
flessibile, anziché coprirlo in modo rigido e definitivo.
Esso si caratterizza per la compresenza nel medesimo contratto swap, di una componente di copertura e di una
componente speculativa.

Quest’ultima non è sempre evidente nella struttura contrattuale, quindi non è nota alla controparte.

La componente di copertura si identifica nel sostanziale allineamento (non nell’identità, impossibile da ottenere)
tra le caratteristiche tecnico-finanziarie dell’indebitamento oggetto di copertura (Importo, tasso di
interesse) e le caratteristiche tecnico-finanziarie dello swap usato a tal fine (nozionale, tasso di interesse).
Ossia, lo swap è proporzionato alla natura del finanziamento da coprire.

Rimodulazione e Up Front Fee

Quando si stipula un contratto swap, al tempo zero esso è equo, cioè le due controparti nel momento zero stanno
pagando la stessa cifra.

Al tempo futuro, quel contratto non è più equo: infatti, il tasso variabile di riferimento cambierà e ciò genererà
vantaggio/svantaggio per le parti.

Vediamo cosa succede se si volesse terminare un contratto swap in essere. Tipicamente viene effettuata l’operazione
perché il cliente si rende conto che le sue previsioni sui tassi non sono state accurate e stanno andando peggio del
previsto.

Le opzioni sono:
1. Chiudere il contratto e pagare alla banca il valore attuale di quello che avrebbe dovuto ricevere negli anni dopo
(marking to market). Si fa una previsione dei cash flow di entrambe le gambe e il netto viene attualizzato e pagato.
2. Chiuderlo ed aprirne uno nuovo senza pagare alla banca il valore attuale netto di quello che avrebbe dovuto
ricevere negli anni dopo, incorporato in esso questo importo che si avrebbe dovuto pagare (e che non la paga
perché si rimodula il contratto): a quel punto il contratto non è più equo (Up Front Fee).

= L’Up Front è il valore al quale viene risolto il contratto precedentemente in essere. È un costo per il cliente.
La banca valuta la gamba fissa e la gamba variabile rispetto alle previsioni di andamento dei tassi, attualizza e calcola il
valore del contratto swap.
Ecco che rinegoziando il contratto, la differenza tra le due gambe non viene persa, ma inclusa nel nuovo contratto
rinegoziato. La banca non rinuncia ai profitti persi per la chiusura del contratto.

Nell’Up Front Fee la perdita la si include nel nuovo contratto e la si paga poco per volta negli anni futuri. Il
problema è che si parte già da una posizione di perdita.

 L’importo è poi contestualmente accreditato (Up Front unwind) dalla Banca al cliente per compensare il
valore negativo dello swap risolto e pertanto per ricostituire, alla data iniziale del nuovo contratto, la
situazione economico-finanziaria esistente al momento della risoluzione anticipata del contratto risolto

L’Up Front unwind è solo un meccanismo che evita al cliente gli effetti finanziari, cioè il rimborso
immediato, ma non quelli economici (che sono tramandati nelle condizioni dello swap rinegoziato).
Quindi se è vero che normalmente il valore di mercato del derivato al momento della stipula del contratto è
equo, quando gli è stato applicato il meccanismo dell’Up Front si apre con un valore mark to market che è
negativo per il cliente

La banca non rinuncia al credito, ma lo trasferisce sul nuovo contratto, che parte già con un valore negativo da
recuperare.

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SOCIETÀ DI GESTIONE DEL RISPARMIO E FONDI
COMUNI DI INVESTIMENTO

Le Società di Gestione del Risparmio


Le società di gestione del risparmio sono intermediari finanziari, prevalentemente fanno parte di gruppi bancari,
ma i prodotti che offrono alla clientela sono la somma dei prodotti che abbiamo visto.

 Queste società lavorano nel modello del collegamento diretto, nel senso che non interpongono il loro bilancio
tra unità in deficit e unità in surplus. Tuttavia, opera parzialmente nel circuito indiretto: infatti, l’investitore,
quando investe nel fondo, non sta acquistando direttamente le azioni nel mercato. L’investimento vero e proprio
viene fatto dal fondo.
 I prodotti che offrono sono pro
 Prodotti che la SGR combina, gestisce e vende sul mercato, per cui l’investitore assume il profilo di rischio-
rendimento legato a questi prodotti finanziari.

Siamo nell’ambito del risparmio gestito (asset management company): questi intermediari creano portafogli
efficienti dal punto di vista tecnico, cioè tali da conseguire la migliore combinazione di rischio-rendimento, mediante
processo di diversificazione degli investimenti.

La diversificazione è importante perché quando si inserisce più di un prodotto in portafoglio, il rischio dipende
anche dalla covarianza (e non solo dalla media e dalla varianza): per cui la diversificazione minimizza il rischio in
portafoglio.

Il senso dell’asset management in realtà è quindi gestire un portafoglio diversificato per minimizzare il rischio.
 I benefici della diversificazione li si ottiene tanto più si creano portafogli con prodotti che hanno degli
andamenti non correlati, ovvero una correlazione prossima a -1
 Tant’è vero che quando si deve valutare un prodotto, è sbagliato guardare soltanto qual è stata la sua
performance, ma la si deve standardizzare rispetto al rischio (performance / rischio)

Fondi Comuni di Investimento


= i fondi comuni di investimento sono la diretta espressione delle società di gestione del risparmio, sono
organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR, prodotti finanziari creati dalle SGR). Esistono poi SICAV e
altre società analoghe.

Tipico dell’attività di asset management è la gestione su base collettiva: le somme investite dai singoli investitori
confluiscono in un unico fondo, gestito collettivamente e “in monte” per conto degli investitori (in nome e per
conto) (gli investitori sopportano il rischio dell’investimento): “in monte” significa che la SGR gestisce il fondo come
vuole, ed è fatta su base collettiva (l’investitore sceglie solo il profilo rischio-rendimento a cui vuole sottoporsi).

La gestione collettiva del risparmio

Chi investe compra delle quote di fondo: il patrimonio è diviso in quote e la partecipazione al fondo è rappresentata
da una quota (gli investitori non sono titolari del fondo ma proprietari di una o più quota).

Quando il fondo si costituisce, la società ha già deciso quanto vuole raccogliere e quante quote ci sono: il fondo è
operativo dal primo giorno e a partire da quel giorno la quota subirà variazioni di prezzo.

 Il valore della quota è pari al valore complessivo netto del fondo (NAV) diviso per il numero di quote in
circolazione: il NAV è pari al valore corrente delle attività che compongono il fondo al netto delle eventuali
passività (commissioni).

Classificazione dei fondi

I fondi hanno una classificazione che nel corso del tempo è diventata via via più articolata, ma la logica di fondo è
sempre la stessa (un investimento in cui il capitale è diversificato in una serie di investimenti).

1. In base alla variabilità del patrimonio:

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a. Fondi aperti: l’ingresso determina la nascita di nuove quote: la dimensione complessiva del fondo può
quindi aumentare in caso di nuove entrare o diminuire in caso di uscite senza nessun problema. Non c’è
nessun legame tra acquisto e vendita
b. Fondi chiusi: il numero di quote viene deciso al momento della costituzione del fondo e rimane invariato
nel tempo: il valore del fondo può comunque aumentare o diminuire, ma qui si negozia tra acquisto e
vendita. La negoziazione è possibile se esiste incontro diretto tra compratore e venditore.
2. In base all’oggetto:
a. Fondi mobiliari: investono in strumenti finanziari
b. Fondi immobiliari: investono in beni immobili o società immobiliari, che a loro volta investono in beni
immobili. Mi permette di investire in real estate senza necessariamente possedere il denaro per acquistare
un immobile.
3. In base alle politiche di investimento: azionari, obbligazionari, monetari, flessibili, bilanciati e così via (tutto
dev’essere indicato nel prospetto informativo)
4. In base alle categorie a cui sono riservati, a seconda delle tipologie di soggetti che possono investire.
Es. il legislatore impone quote minime per ogni investimento, tipicamente per impedire agli investitori retail di
partecipare. Un altro esempio è la riserva di legge per regolare l’accesso al fondo.
a. Non riservati: sono quasi tutti i fondi aperti/mobiliari
b. Riservati a investitori istituzionali: tante volte c’è una quota di ingresso elevata e hanno profili di
rischio molto pericolosi perché possano essere liberamente accessibili. Inoltre, possono essere dei fondi
tematici.

I fondi aperti
I fondi aperti sono i primi fondi che sono stati normati e infatti sono stati istituiti nel 1983: il patrimonio (il numero
di quote) varia in relazione all’ingresso di nuovi sottoscrittori e al recesso dei vecchi.

Il valore della quota è il valore di mercato del patrimonio del fondo NAV diviso per il numero di quote in
circolazione (in quel determinato momento).

I fondi aperti sono accessibili da tutti e hanno dei vincoli agli investimenti imposti normativamente che riflettono il
fatto che il fondo dev’essere diversificato:
 La società può investire in strumenti finanziari di uno stesso emittente non più del 5% del totale delle attività
(per una questione di diversificazione)
 La società può investire in titoli non quotati non più del 10% (per una questione di liquidità, dal momento che
non esiste un mercato secondario per i titoli non quotati)
 Limiti agli investimenti in titoli emessi da società appartenenti al gruppo della SGR (per una questione di
conflitto di interesse)

I fondi chiusi
I fondi chiusi sono stati creati nel 1993: la caratteristica essenziale è che il numero delle quote è fisso; quindi, i fondi
chiusi hanno un periodo di collocamento in cui le quote sono comprate, e una scadenza di solito a medio termine.

L’ammontare totale del fondo da sottoscrivere è prefissato al momento della promozione del fondo e in
rimborso avviene solo a scadenze predeterminate.

Esiste un mercato secondario, perché le quote possono essere negoziate solo sul mercato secondario (anche se
normalmente sono tenute alla scadenza): il prezzo dipende dalla domanda-offerta e non riflette necessariamente il
valore degli investimenti in portafoglio (effetto diretto delle vendite delle quote, mentre nel fondo aperto è indiretto).

 Minori esigenze di liquidità: i fondi chiusi sono tali perché la SGR che li crea ha bisogno di investire in
società che non sono quotate, in investimenti che non sono liquidi
 Investimenti più rischiosi: piccole-medie imprese, non quotate, che hanno prospettive di sviluppo elevate (che
non sono finanziate dalle banche, ma dai venture capital)
 Quota minima di 50.000 €
 Vincoli agli investimenti (che rispecchiano la finalità di questi fondi)
o Titoli non quotati: devono essere almeno il 20% del patrimonio (si allenta il vincolo della liquidità)
o Investimento in strumenti finanziari di uno stesso emittente non superiore del 20% del totale delle attività
(30% dello stesso gruppo): si alza questo limite perché si deve investire in poche società

La distinzione principale è che sui fondi chiusi l’UE come politica industriale sta investendo molto perché

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l’Europa continentale ha un sistema molto orientato alle banche. Sta cercando di costituire un mercato efficiente di
venture capital (anche con iniezione da parte della banca europea degli investimenti).
Il venture capital crea questi fondi perché a sua volta ha bisogno di ottenere finanziamenti per la propria attività.

Fondi mobiliari e immobiliari


= I fondi mobiliari sono quelli che investono in strumenti del mercato mobiliare, ovvero in titoli.
= I fondi immobiliari, che sono fondi chiusi, investono prevalentemente o in immobili (infatti un bene immobile
non è prontamente liquidabile) o in partecipazioni di società mobiliari (che consente di raggiungere l’obiettivo
della diversificazione).
 Un perito indipendente è incaricato di valutare l’immobile
 In quanto fondi chiusi, hanno dei requisiti minimi di durata, di ammontare minimo complessivo del
fondo e di ogni singola quota.

Politiche di investimento: classificazione di Assogestioni


(Assogestioni è la associazione italiana dei gestori del risparmio)
1. Azionari: investimento in azioni almeno del 70%
2. Bilanciati: investimento in azioni dal 10% al 90%
3. Obbligazionari: investimento in azioni minore de 20%
4. Di liquidità: investimento nullo in azioni (sono i fondi monetari. Investono in titoli di stato e altri titoli con
basso rischio e breve termine)
5. Flessibili: massima discrezionalità per il gestore

Questa classificazione dà un messaggio immediato del profilo di rischio-rendimento all’investitore: i bilanciati e i


flessibili sono la maggior parte dei fondi perché per il gestore di portafoglio avere un vincolo forte potrebbe essere
controproducente proprio per le politiche di gestione.

La politica d’investimento è un indicatore per chi compra riguardo il contenuto del fondo: tutto è indicato nel
prospetto informativo.

Il prospetto informativo anche in questo caso è molto importante perché riporta tutti i costi, e perché dà
un’indicazione chiara del profilo di rischio e rendimento

Nuove tipologie di fondi


I tre principali sono i fondi riservati, gli ETF e i fondi di fondi.

1. I fondi riservati possono essere venduti a operatori con specifiche competenze in materia di strumenti
finanziari, ossia gli investitori istituzionali.
Quota minima di 500.000€. Non sono destinati agli investitori retail e per ciò contengono strumenti più
complessi.
La loro regolamentazione è più leggera.
Possono essere fondi aperti o chiusi.
Hanno un profilo di rischio-rendimento più accattivante, con strumenti tipicamente non accessibili agli
investitori Retail.

2. Gli EFT (Exchange Traded Fund) sono fondi di investimento negoziati sui mercati di borsa, cioè sono un fondo
comune di investimento ma negoziabili sul mercato.
La logica sottostante è che gli ETF sono dei fondi comuni a gestione passiva, a differenza dei fondi comuni
aperti di cui abbiamo parlato fin ora, che hanno una gestione attiva:

- Gestione Passiva = il fondo opera con l’obiettivo di replicare il benchmark. Il fondo cercherà di
replicare la composizione dell’indice di benchmark (es. S&P 500)e quindi il rendimento del fondo sarà simile a
Standard & Poor.
Se cambia la composizione del benchmark allora il fondo dovrà essere adattato per rendere i suoi rendimenti il
più possibile rappresentativi dell’andamento del benchmark (anche in caso di caduta dei mercati), però non
sbilancia la composizione del fondo su alcuni titoli rispetto ad altri in modo da outperformare il benchmark.
Si limita ad imitarne l’andamento.

- Gestione Attiva = nel fondo ci sono dei gestori che ogni giorno si occupano di verificare se ci sono titoli da
vendere/comprare, se la composizione del fondo è ottimale, se il profilo di rischio è rispettato…

35
I gestori effettuano attivamente analisi economiche e di mercato per modificare attivamente la composizione
del fondo avendo come obiettivo quello di battere il benchmark.

Benchmark = è preso come benchmark un indice di mercato. La composizione del fondo deve essere fortemente
correlata con la composizione del benchmark: ecco che se l’indice benchmark è un indice azionario, il mio fondo dovrà
avere composizione azionaria simile a quella dell’indice di riferimento.

I fondi comuni aperti costano più degli ETF perché la gestione attiva è costosa a causa delle commissioni dovute ai
gestori del fondo.

3. I fondi di fondi sono fondi che investono in altri fondi: la ragione sottostante è quella di amplificare la
diversificazione.

Quando sono stati lanciati sul mercato, però, questi fondi avevano dei costi folli perché aveva su di sé gli oneri dei
fondi su cui aveva investito più gli oneri del fondo stesso (costi da cui gli intermediari potevano guadagnare), mentre
ora hanno costi paragonabili agli altri.

4. I fondi speculativi (hedge funds = fondi di copertura). In realtà possono essere sia speculativi che di copertura:
dipende dalle caratteristiche, cioè possono contenere una buona dose di strumenti derivati con finalità di
copertura o con finalità speculativa.

Questi fondi non sono accessibili all’investitore retail e quindi non possono essere oggetto di sollecitazione
del pubblico risparmio (hanno una soglia di ingresso molto alta). Poiché non sono oggetto di sollecitazione del
pubblico risparmio per definizione non hanno obblighi informativi e di pubblicità specifici.

Utilizzano la leva finanziaria per ottenere maggiori rendimenti e offrono un absolute return, cioè un
rendimento assoluto, nel senso che non hanno un benchmark. Non avere un benchmark significa cercare
di ottenere un profitto indipendentemente che i mercati vadano bene o male.

Ambito di applicazione regolamentare


I fondi comuni possono ricadere sotto due normative che ormai si sono differenziate proprio per il tipo di fondo
comune che vanno a normare:
 UCITS (Undertakings in Collective Investments in Trasferable Securities) = Collective Investments sono i fondi
comuni aperti. Questa direttiva ha creato un mercato europeo di fondi destinato a investitori Retail, regolando
e standardizzando le caratteristiche dei fondi.
Sono strumenti armonizzati, poiché esistono regole e criteri comuni definiti a livello comunitario con limiti ai
rischi assumibili.
L’investitore sa con precisione tutto ciò che il fondo ha da offrire tramite il foglio informativo e i fondi stessi sono
rigidamente costituiti secondo i dettagli della normativa.
 AIFMD (Alternative Investment Fund Managers Directive) = Disciplina i fondi alternativi di investimento
(FIA), ossia tutti i fondi non regolati dalla UCITS.
Comprende fondi immobiliari, fondi chiusi, fondi di private equity, fondi riservati…
 Regolamento dei fondi di venture capital (EUVECA 2013) = si vuole creare un mercato di venture capital
dopo la crisi del 2008 per rilanciare il mercato europeo. Il venture capital è un intermediario finanziario (non
bancario) che raccoglie fondi per investire in imprese medio-piccole e start-up dal business promettente.
Il mercato di venture capital permette anche alle imprese che non possono rivolgersi a una banca di finanziarsi.
Fanno parte di questa categoria anche i fondi che investono in fondi di venture capital, permettendogli a sua volta
di investire nelle piccole imprese.
 Regolamento dei fondi a lungo termine (ELTIF 2015) = fondi che investono in imprese con caratteristiche
particolari molto simile alle imprese target del venture capital. Il tentativo con gli ELTIF è stato di permettere
anche all’investitore retail di investire nelle piccole imprese.

Le categorie di OICR
Gli Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR) sono una classificazione italiana dei fondi che abbiamo
visto e comprendono i seguenti fondi:
 OICVM: rientrano nella direttiva UCITS e investe essenzialmente in titoli quotati e molto limitatamente in titoli
derivati.
Tipicamente l’investitore retail si rivolge a questi fondi.
 FIA (fondi di investimento alternativi): rientrano nella direttiva AIFMD (non accessibili all’investitore Retail).

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Hanno maggiore flessibilità nell’investimento.
Possono essere anche aperti, chiusi, immobiliari e riservati.

Profilo economico: commissioni


Tipicamente si pagano commissioni legate all’accesso alla piattaforma di trading, indipendentemente dallo strumento
acquistato, relative all’esecuzione di operazioni.

Quando si comprano fondi comuni di investimento ci si deve aspettare di dover sostenere dei costi per l’attività di
gestione dei patrimoni (costi più alti rispetto a quando si comprano azioni o obbligazioni), e lo si accetta perché si dà
importanza al fatto che la diversificazione mitiga i rischi, e tale compito è affidato ai gestori dei fondi. Dietro c’è un
servizio che va oltre l’accesso al mercato finanziario a seconda che sia gestione attiva o passiva.

Ci sono oneri direttamente a carico del sottoscrittore, che sono:


- Commissione di entrata (sottoscrizione) = commissione relativa al deposito del proprio capitale per comprare
il fondo.
- Commessione di uscita (rimborso) = quando disinvesto
- Commissione di switch = pagata quando si sposta il capitale da un fondo all’altro gestito sempre dalla stessa
società.

Ci sono oneri indirettamente a carico del sottoscrittore, che sono:


- Commissione di gestione
- Commissione di performance
- Altri oneri.

 La commissione di gestione remunera il gestore per l’attività di gestione del fondo: a fine anno, ogni anno, il
gestore, se la commissione è per esempio del 2% del NAV, prende il 2%.
Ecco che tale commissione è calcolata sul NAV.
È il costo maggiore tra tutti. Tale costo viene direttamente dedotto dal valore del fondo.
Questo a prescindere da che a fine anno il fondo abbia avuto una performance positiva o negativa: essa è
proporzionata all’attività di lavoro svolto dal gestore. Remunera l’attività della SGR.
 La commissione di performance viene applicata quando il fondo ha performato positivamente.
Se a fine anno il fondo ha battuto il benchmark si attiva la commissione di performance che remunera la società
per essere stata brava. Tuttavia, se il fondo va in perdita ma comunque batte il benchmark non posso applicare la
commissione di performance.
Essa si aggiunge alla commissione di gestione ed è calcolata annualmente a fine anno.

Il patrimonio del fondo comune di investimento è autonomo e separato da quello della SGR e da quello dei singoli
partecipanti: questo significa che il rischio è sull’investitore che ha comprato le quote e che nessun creditore della SGR
potrà farsi valere sui patrimoni del fondo in caso essa fallisca.

Gli oneri indiretti sono indicati come oneri a carico del fondo, ma essendo l’investitore proprietario di una quota
del fondo, sono a carico suo: a differenza degli oneri diretti, questi non vengono pagati in modo esplicito (sono detratti
dal NAV e dalla quota).

Gli oneri diretti sono addebitati al cliente in fase di piazzamento dell’operazione: in caso di commissione di entrata,
viene investito il capitale meno la commissione; quindi, il capitale effettivo investito è minore (lo stesso vale per il
disinvestimento e lo switch).
Le commissioni indirette sono calcolate sul NAV e vengono prelevate dal fondo; quindi, qualche titolo viene venduto
dalla società e il ricavato viene trattenuto a titolo di commissione. Ecco che vendendo titoli, il NAV diminuisce e quindi
anche il valore delle quote dell’investitore.

 Perché ci sia la commissione di performance, dev’esserci un benchmark rispetto a cui è avvenuta la performance
positiva: la performance del fondo deve battere la performance del benchmark.
 Negli ETF la commissione di performance non c’è per definizione (perché il fondo replica il benchmark, non lo
batte) e la commissione di gestione è più bassa. Ecco che il tipo di gestione attiva/passiva incide sui costi
sostenuti dall’investitore.

Profilo economico: performance

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Bisogna sempre considerare la performance rispetto al rischio che ci si è messo in portafoglio: questo vale per tutti i
titoli, ma in particolare per i fondi comuni di investimento (che fanno della diversificazione il loro elemento rilevante).
Nel caso dei fondi comuni questo consente al mercato di valutare l’attività dei gestori: sono fondi in cui il gestore
lavora quotidianamente per cercare di battere il mercato.

Se un gestore ha reso più di un altro non li si riesce a confrontare propriamente perché non si sa quanto rischio i
gestori hanno assunto per poter ottenere quella performance: bisogna quindi valutare il rendimento, ma comparato al
rischio che si è sostenuto per ottenere quel rendimento.

Per questo è molto frequente l’uso di Risk Adjusted Performance (RAP):


1. Il più semplice è l’indice di Sharpe, che divide la performance (che è il rendimento medio, la media) per il
rischio (che è la deviazione standard del rendimento stesso, da cui deriva la variabilità: con quale frequenza si
ottiene un dato diverso dalla media).
μ
s s=
σ
2. L’indice di Treynor confronta la performance (rendimento medio) con il β del portafoglio. Il β considera il
rischio del titolo al netto del fatto che il portafoglio è diversificato. È come se fosse una misura di elasticità: misura
quanto è correlato il mio titolo con gli andamenti di mercato.
μ
T s=
β
3. Alpha di Jensen: Alpha è la costante di una regressione, che in finanza è il rischio specifico dell’investimento
(che in un portafoglio perfettamente diversificato è pari a zero).
4. Tracking error: misura la deviazione dell’investimento rispetto al suo benchmark (quanto ho fatto meglio o
peggio rispetto al benchmark comparativamente al livello di rischio che ho inserito in portafoglio)

Tavola di sintesi di Assogestioni


È una tavola che riassume, come fosse un bilancio di mercato, la situazione di investimenti nel mercato
globale.

Raccolta Netta = è l’insieme dei flussi positivi e negativi relativi alle decisioni di investimento/disinvestimento per tutti
i prodotti finanziari.
Le sotto voci più importanti sono quelle relative ai fondi aperti e chiusi.

Patrimonio gestito = è la fotografia alla fine dell’esercizio di quanto vale l’industria del patrimonio gestito. È come se
mettessi insieme tutti i NAV di tutti i fondi gestiti da tutti.
È influenzato dall’andamento della raccolta netta e dalle quotazioni. Ecco che il patrimonio gestito è influenzato molto
dall’andamento dei mercati durante l’anno.

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Nel 2021 il mercato è cresciuto molto e le quotazioni sono aumentate molto insieme al patrimonio gestito.
Vediamo che nel 2022 i tassi sono aumentati e quindi i titoli obbligazionari già in circolazione hanno perso molto
valore, diminuendo le quotazioni e quindi il patrimonio gestito. Anche il mercato azionario è sceso di quotazione a
causa della situazione economica che ha svalutato le azioni.

LE BANCHE
Storia
La banca è molto antica. La prima banca, come intermediazione creditizia, è stata fondata dai babilonesi.
La banca in senso moderno nasce a Genova nel ‘400. Inoltre, la famiglia dei Medici a Firenze furono protagonisti nella
nascita del sistema bancario.
Notiamo che il Banco de’ Medici di Firenze soffrì gli stesso problemi del nostro sistema bancario moderno: la
governance. Non si è stati capaci di gestire e coordinare tante filiali in giro per l’Italia.

La funzione di investimento della banca nasce circa dopo la scoperta dell’America. Per avere una banca di
investimento in senso moderno dobbiamo aspettare l’avvento dell’informatica nel dopoguerra del ‘900.

La Banca
= la banca è l’impresa abilitata all’esercizio congiunto della raccolta del risparmio (direttamente dal pubblico) e del
credito e alla produzione di proprie passività sostitutive e della moneta legale nei pagamenti.

Quindi sotto il profilo economico la banca:


 È un’impresa
o Dedita professionalmente alla concessione del credito
o Principalmente con capitali attinti dai risparmiatori a titolo di credito
o Grazie anche alla emissione di propri segni di debito accettati alla sessa stregua della moneta
 Che opera collegata in sistema con le altre banche.
 E può accedere al credito di ultima istanza presso la banca centrale.

Le caratteristiche della raccolta sono diverse rispetto alle caratteristiche dei crediti erogate dalle banche, cioè le banche
hanno un passivo strutturalmente molto diverso dall’attivo.

 Il passivo è molto frammentato, è poco rischioso e ha scadenza breve; mentre l’attivo ha scadenza più lunga, ha
importi più significativo a livello unitario e non prontamente liquidabili.

La banca svolge sia una funzione creditizia, che una funzione monetaria.

I prodotti offerti dalla Banca


- Servizi di pagamento
- Prodotti di risparmio/investimento
- Servizi fiduciari
- Prestiti
- Sottoscrizione di emissioni
- Prodotti assicurativi

Bilancio: stato patrimoniale


Attività: Passività:
 Liquidità  Raccolta fiduciaria
 Prestiti alla clientela  Raccolta interbancaria
 Rapporti interbancari  Obbligazioni
 Titoli  Patrimonio
 Partecipazioni
 Immobilizzazioni

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La voce principale nel patrimonio della banca è il patrimonio. Non solo equity (capitale proprio), ma tutte le voci di
capitale. È il cosiddetto patrimonio di vigilanza.

La relazione della banca deve informare i suoi clienti non solo delle voci tradizionali di bilancio, ma anche delle
operazioni fuori bilancio.

Bilancio: conto economico


È attraverso il conto economico che si evince la natura della banca di “banca universale”, ossia può impegnare la
liquidità raccolta sia in operazioni di breve che di lungo periodo: ecco che potrà fornire sia servizi di erogazione di
credito che servizi di investimento.

Vediamo alcuni dei margini che costituiscono il conto economico della banca:
 Margine di interesse = esprime il risultato della gestione di intermediazione della banca (gestione
caratteristica). È la differenza tra interessi attivi e passivi.
 Commissioni nette = è il risultato dei servizi prestati dalla banca al netto delle spese.
 Margine di intermediazione = margine di interesse + commissioni nette
 Risultato della gestione finanziaria = margine di intermediazione + rettifiche/riprese di valore su attività
finanziarie/crediti.
 Costi operativi
 Utile(perdita) lorda
 Utile(perdita) netta
 Utile(perdita) di esercizio

Tre passaggi cruciali

1. Dalla banca specializzata alla banca universale


a. Fino alla metà degli anni Ottanta non c’era concorrenza sul mercato bancario: le banche erano
relativamente poche e ciascuna era specializzata o nell’attività di medio-lungo periodo o in attività di
breve periodo (ma ciascuno lavorava dentro un suo comparto di intermediazione e l’offerta era molto
semplice).
Questo perché la concorrenza faceva male alla stabilità del sistema, ma comunque non era un sistema
efficiente.
b. In questo periodo cambia il modello di regolamentazione e si lascia alle banche sempre di più la possibilità
di agire come un’impresa, quindi la banca diventa una banca universale nel senso che amplia la
propria attività.
2. La tecnologia
3. La globalizzazione: non si parla più di banche nazionali, ma di banche che sono interconnesse a livello globale
La nuova banca di fatto come modello di business è quella della banca universale, ma è collocata dentro un mondo
che le dà la possibilità di fare cose che prima non poteva: tra queste cose una che è diventata evidente durante la
crisi del 2008 è un’attività che consente alla banca di modificare il modello da originate to hold ad originate to
distribute (con riferimento a come la banca può gestire il proprio portafoglio crediti):
 OTH: prestiti in portafoglio fino a scadenza e non negoziabili (questo rende l’attivo illiquido)
 OTD: prestiti cartolarizzati e venduti sul mercato secondario (OTC)
 Cartolarizzazione:
Se si adotta un modello OTD, la banca può far crescere ulteriormente la dimensione dell’attivo (e questo, fin che
tutto va bene, è un bene per l’economia perché la capacità delle banche di effettuare finanziamenti aumenta).
Nel modello OTD, la cartolarizzazione si può fare su prestiti che tra loro sono abbastanza standardizzati, che
sono simili tra loro:
 Cartolarizzare significa vendere i prestiti a uno SPV (un altro intermediario finanziario, che non è una banca), che
compra i prestiti dalla banca a cui entra della liquidità che la banca userà per erogare nuovi prestiti.
 Lo SPV emette delle ABS, che sono delle obbligazioni: i flussi che servono per pagare le cedole o rimborsare i
capitali vengono prese dalle rate e dagli interessi sui mutui che i possessori pagano alla banca.
 Il credito da illiquido diventa liquido perché gli ABS sono negoziati sul mercato secondario
 Gli ABS sono obbligazioni garantite dai flussi che arrivano dal pacchetto di prestiti: anch’essi possono
essere senior o junior
 Nel frattempo gli SPV possono comprare tanti diversi titoli cartolarizzati da intermediari diversi ed emettere
CDO, obbligazioni garantite da debiti (che a differenza degli ABS hanno come sottostante le Securities emesse su
quegli stessi flussi ABS): ricartolarizzaizone

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A fronte di un sistema finanziario che si legge chiaramente dai bilancio di esercizio, dietro la tecnologia finanziaria fa
sì che si possano anche creare delle realtà come la shadow banking sysem, che hanno dei profili di rischio
diversi e non facilmente coglibili.
 Implicazioni di vigilanza:
Questo meccanismo è andato in crisi nel 2008 perché quello che è successo nel 2008 ha avuto un impatto molto
forte sui prestiti delle banche, in particolare sui mutui (crisi dei Subprime): le ABS sono garantite dall’attivo, le MBS
sono ABS prodotte dai mutui, ed essendo nei portafogli di chiunque hanno scatenato la crisi.
1. La prima implicazione di vigilanza è stata che la crisi dei mutui subprime ha evidenziato le implicazione di un
rischio sistemico, che prima della crisi del 2008 non considerava nessuno: bisognava quindi introdurre una
vigilanza che potesse vigilare le interdipendenze sistemiche tra gli intermediari (quindi quantomeno europea e
non più domestica)
2. La seconda implicazione di vigilanza è che sono nate le Large Complex Financial Institutions, ovvero il modo
usato dalle autorità di vigilanza per classificare gli intermediari come complessi e pretendere una vigilanza
sovranazionale
3. La terza implicazione di vigilanza è che è nata una necessità di vigilare a livello globale: meccanismo entrato in
vigore nel 2014, dopo la crisi del debito sovrano europeo (ma ancora non è completato e si affianca, non si
sostituisce, alla vigilanza domestica)
IL BILANCIO D’ESERCIZIO DELLE BANCHE
C’è una rigida regolamentazione che prima di colpire i bilanci industriali, ha colpito i bilanci bancari: il bilancio
industriale è disciplinato dal codice civile, mentre nel caso delle banche la normativa va in deroga al codice civile.
 La circolare 262 del 2005 ha attribuito a Banca d’Italia tutte le competenze di disciplinare i contenuti degli
schemi e dell’informativa di bilancio nel rispetto dei principi contabili internazionali IAS/IFRS (in modo da
favorire la comparazione tra bilanci di società diverse ma che aderiscono a questi principi)
Documenti
Quando si parla di bilancio di esercizio, si sta parlando di una pluralità di documenti: innanzitutto stato
patrimoniale e conto economico.
 Essi sono redatti in modo molto sintetico, per dare conto in modo immediato della situazione economica
dell’impresa
 Inoltre è obbligatorio dar conto dei dati all’anno corrente e all’anno precedente: questo perché il bilancio è
uno strumento di informazione pubblica che consente a soggetti interni ed esterni di valutare i fondamentali
della società
 I bilanci devo essere redatti con chiarezza rappresentando in modo veritiero e corretto la situazione
patrimoniale, finanziaria e il risultato economico della società
La nota integrativa (che è uno schema obbligatorio e predisposto) poi spiega le voci sintetiche del conto economico
e dello stato patrimoniale, dal punto quantitativo e qualitativo.
Ci sono poi altri due prospetti sintetici:
 Il prospetto delle variazioni del patrimonio netto, che dice da un anno con l’altro cosa ha modificato la
dimensione del patrimonio netto: questo perché per la vigilanza il patrimonio netto è la variabile chiave per
garantire la solvibilità delle banche (è ciò che tutela in primo luogo il rimborso dei debiti che la banca ha verso i
depositanti)
 Il prospetto della redditività complessiva, che dice da un anno con l’altro cosa ha modificato l’utile
Il rendiconto finanziario dice da un anno con l’altro come è variata la liquidità, perché si vuole sapere se si ha
prodotto dell’auto-finanziamento, del cash flow.
 Stato patrimoniale
È uno schema che fornisce una fotografia degli investimenti e dei finanziamenti a disposizione dell’azienda in un
dato momento.
Ha una forma a sezioni contrapposte: a sinistra si hanno gli investimenti (Assets) e a destra le fonti di
finanziamento (passività e capitale, ovvero liabilities e equitiy). Il totale a sinistra e a destra dev’essere uguale
Attivo:
Nel caso delle banche tutte le voci dalla 10 fino all’ultima sono voci che hanno una liquidità decrescente: dalla cassa
alle attività immobilizzate.
La 20, la 30 e la 40 sono le voci più importanti, in cui si ha tutto il portafoglio crediti (nella voce 40) e tutto il
portafoglio titoli (ripartito tra la voce 20 e la voce 30) della banca.
 I titoli sono valutati al fair value, cioè al loro valore di mercato, perché il bilancio deve fornire una
rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria neutra: qua matura il rischio di mercato
 I crediti invece sono valutati al costo, cioè al loro valore storico (al valore a cui li si ha erogati): qua matura il
rischio di credito
La voce 40 è per le banche la voce più importante perché rappresenta la principale attività della banca e la
vigilanza quando va a fare le ispezioni innanzitutto guarda crediti:
 La vigilanza controlla la qualità del portafoglio prestiti, ma in particolare si controlla da un lato la probabilità di
insolvenza della controparte, dall’altro la qualità delle valutazione degli immobili che la banca fa (perché gran
parte dei crediti sono su immobili)

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 Se si vogliono svalutare i crediti, si deve accantonare sul conto economico quello che si pensa di perdere, per
cui si riducono gli utili per quell’ammontare di credito che non si riesce a recuperare. Poi in bilancio si iscrivono i
crediti al netto della rettifica.
Passivo:
Il passivo rileva più che altro per quanto riguarda la dimensione del patrimonio, dalla voce 110 in poi, perché i
rischio derivano dall’attivo. Per quanto riguarda le passività:
 Nella voce 10 ci sono i debiti che la banca ha verso la clientela, verso altre banche e i titoli in circolazione.
 Nei fondi rischi ed oneri le banche accantonano fondi che fanno riferimento a rischi o oneri che potrebbero
sorgere in futuro: due dei principali rischi sono il rischio legale e il rischio reputazionale
Il patrimonio della banca è costituita dalle voci che vanno dalla 110 alla 180:
 La voce principale di patrimonio è il capitale sociale, le azioni, che è la voce 160
 La voce 130 sono gli strumenti ibridi di capitale, cioè quegli strumenti come possono essere i prestiti subordinati,
il cui rimborso è subordinato al rimborso di tutti gli altri debitori della banca
 La voce 180 arriva dal conto economico ed è l’utile o la perdita di esercizio, mentre la voce 170 sono le azioni
proprie, da considerare con segno negativo

 Conto economico
Il conto economico non è a sezioni contrapposte, ma è redatto in forma scalare: questo perché l’utile e la perdita
sono il risultato di sintesi, ma non è il risultato più importante.
I risultati più importanti sono i risultati intermedi, che sono i risultati della gestione caratteristica, a cui si
sommano o sottraggono il risultati della gestione finanziaria e straordinaria: sono i più importanti proprio perché
rappresentativi della gestione caratteristica.
La differenza è grossa tra prospetto industriale e bancario perché la gestione caratteristica è diversa. Nel caso delle
aziende bancarie i risultati intermedi sono
 Margine di interesse(30): rappresentazione dell’attività tradizionale delle banche Retail, ovvero raccogliere
risorse ed erogare finanziamenti
 Commissioni nette (60): differenza tra commissioni attive e passive
 Margine di intermediazione(120): risultato dell’attività di trading che la banca fa, ovvero dell0attività di
gestione del portafoglio titoli
Questi si sommano, per cui la voce 120 è la sintesi di tutta l’attività caratteristica della banca (somma i due
precedenti).
Sotto il margine di intermediazione ci sono tutti i costi operativi che la banca sostiene per svolgere la propria
attività, ovvero costi del personale e costi amministrativi principalmente, e tra cui rientrano le svalutazioni citate
precedentemente, che sottratti alla voce 120 determinano l’utile o la perdita dell’esercizio.
IFRS 9
Nel caso delle banche, sulla valutazione dei crediti dopo la crisi del 2008 si è sentita la necessità di uniformare
l’approccio contabile all’approccio di vigilanza: le istituzioni di vigilanza usano un approccio prudenziale (tengono
conto delle perdite che si sono verificate e che ci si attende che nei prossimi anni possano colpire quel portafoglio
crediti).
 Lo IAS 39 è stato sostituito dall’IFRS 9: il portafoglio crediti era valutato per com’era, per cui le valutazioni erano
neutrali, ma non prudenziali.
N.B:
L’utile e la perdita sono un dato significativo, ma non sempre lo sono così tanto: oltre che per le ragioni precedenti, per
come viene esposto in valori assoluti non si può giudicare, al massimo si può vedere com’è variato da un anno
con l’altro.
1. Perché quel valore acquisti un significato lo si deve percentualizzare, cioè si deve calcolare un indicatore basato
su quel dato, e poi lo si deve collocare nello spazio e nel tempo.
2. Normalmente non si percentualizza il conto economico, è poco significativo, quindi la seconda cosa che si fa è
quella di costruire indici di bilancio, dei rapporti tra voci diverse che si trovano nelle voci del bilancio di
esercizio
Tipicamente si fa un confronto spazio-temporale per dare una visione dinamica. Inoltre se la banca è quotata in
borsa fa comodo vedere qual è il rating della banca e quali sono i suoi prezzi di borsa (dato più attuale che si possa
avere).
Indici di bilancio
Sono dei rapporti tra valori si stato patrimoniale e conto economico (o valori di mercato): essi forniscono una
percezione immediata del fenomeno analizzato e costituiscono la base di riferimento per evidenziare fenomeni non
immediatamente percepibili attraverso l’osservazione del bilancio.
 Essi pongono in risalto le eventuali anomalie presenti nei diversi comparti della gestione della banca
 È difficile fissare a priori valori soglia precisi, l’adeguatezza è valutata con confronti spazio-temporali
In generale gli indicatori sono raggruppati per classi:
 Indicatori di redditività

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 Indici di struttura finanziaria e patrimoniale
 Multipli di borsa
 Indicatori di liquidità
In relazione a specifiche esigenze è opportuno/possibile costruirsi un proprio sistema di quozienti. Attenzione:
 A volte si usa la medesima espressione per definire quozienti conseguiti in modo parzialmente diverso, oppure
si usano nomi diversi per indicare lo stesso indice di bilancio.
 Numeratore e denominatore di molti indici possono essere “adattati” a seconda delle specifici voci
dell’azienda, del settore di appartenenza, degli obiettivi da raggiungere tramite il loro calcolo.

 ROE
Confronta l’utile netto sul patrimonio (equity): indica la redditività del capitale proprio, il rendimento medio
atteso degli azionisti.
Se il ROE è aumentato tendenzialmente è una cosa positiva, ma potrebbe essere diminuito il capitle netto e questa
sarebbe un’informazione negativa.
 ROA
Confronta l’utile netto sul totale attivo (total asset): indica la redditività di tutto l’attivo aziendale ed è sempre
più piccolo del ROE per costruzione. Maggiore è questo indicatore, maggiori saranno i profitti generati per ogni cento
euro di attivo aziendale.
Esso è preferibile al ROE nei confronti internazionali, ma non considera le eventuali poste fuori bilancio (descritte
in nota integrativa)
 INDICI DI STRUTTURA FINANZIARIA
Leverage dato da debit/equity, oppure debit/total assets, oppure debit/(total liabilities+equity), oppure equity/total
assets.
Il cost to income è un indice di efficienza ed è dato dal rapporto tra i costi operative e il margine di intermediazione,
e dice quanto dell’attività caratteristica viene erosa dai costi operativi (più è elevati, più mostra che la gestione è
inefficiente): in media è altro, circa l’80% nella norma.
Il labour expenses è dato dal rapporto tra il costo del personale e i costi operativi: esso è elevato per i settori ad
elevato impego di forza lavoro.
Altre informazioni utili
Il prezzo di borsa dovrebbe rappresentare la sintesi dei fondamentali di bilancio: esso è un dato sempre aggiornato,
che consente di colmare il gap informativo tra un bilancio e l’altro. Il rating è fatto sulle informazioni pubbliche e
quindi in quanto tale non è sempre aggiornato.
LA REGOLAMENTAZIONE BANCARIA
Regolamentazione e vigilanza non sono la stessa cosa: la regolamentazione è tutto ciò che attiene alla normativa
relativa agli intermediari finanziari, la vigilanza è implementata dalle stesse autorità che attuano la regolamentazione.
 Fino al 2014 tutta la vigilanza era in capo alle autorità nazionali (benché la regolamentazione fosse già di livello
sovranazionale), mentre dopo il 2014 parte della vigilanza è migrata alla BCE per le banche significative, mentre
per le banche piccole è rimasta di livello nazionale (ma tutto si svolge sulla base delle medesime regole)
MVU, nella regolamentazione chiamato come SSM, è il meccanismo di vigilanza unico (il sistema europeo di vigilanza
bancaria che comprende la BCE e le autorità di vigilanza nazionali) a cui si è aggiunto il meccanismo di gestione
delle crisi (perché le banche non sono soggette alla disciplina codicistica relativa al fallimento).
Perché è necessaria una vigilanza?
Da sempre il bilancio delle banche è fortemente instabile perché ha un passivo a vista e un attivo invece di lungo
periodo e immobilizzato: questo determina l’insorgenza di rischi in capo alle banche (proprio dovuto al fatto che
deve gestire un passivo a vista con un attivo immobilizzato).
Questo bilancio instabile se degenera determina la corsa agli sportelli: la fiducia nella possibilità di riprendere le
proprie disponibilità in banca viene meno e da qui la corsa agli sportelli.
 Questa determina il fatto che anche banche liquide, in una condizione normale, rischiano di diventare
insolventi.
Il rischio sistemico è proprio il rischio che il mercato non sia in grado di distinguere tra banche che stanno bene o
meno e questa asimmetria informativa determina un fallimento di mercato.
Con quali finalità?
La finalità della regolamentazione delle banche e degli intermediari finanziari dipende dal perché gli intermediari e le
banche vengono regolamentati:
 Dal punto di vista delle autorità di vigilanza la prima finalità è quella della stabilità del sistema
 Efficienza/Concorrenza
La concorrenza genera instabilità, perché fa sì che le imprese siano indotte a prendere dei rischi (che possono
generare instabilità).
Se l’obiettivo unico è quello di stabilità non si può che introdurre un monopolio o un oligopolio, che però nel lungo
periodo non sono sistemi efficienti: garantire la stabilità non ha più senso nell’ottica dell’efficienza, per cui si è
modificato il sistema per garantire entrambe

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 Correttezza e trasparenza a tutela dei consumatori
Su quali soggetti e da parte di chi?
Si è progressivamente creato un sistema che ha coinvolto nel corso del tempo intermediari diversi: inizialmente
erano vigilate soltanto le banche, successivamente altre autorità di vigilanza hanno iniziato a regolamentare alcuni
ambiti dell’intermediazione finanziaria (in modo però abbastanza verticale, per cui ad autorità corrispondeva soggetto
vigilato).
Passando il tempo vengono meno le tradizionali linee di confine e bisogna ridefinire l’impostazione della
vigilanza:
 Per soggetti: ad autorità corrispondeva soggetto vigilato, come in precedenza
 Per finalità: all’impostazione per soggetti si è unita una vigilanza per finalità, quindi in relazione alla finalità
dell’attività corrisponde un intermediario
In quali ambiti?
Legge bancaria del 1936, plasmata a partire delle crisi degli anni Trenta: l’unico obiettivo era quello della stabilità
(per altro il sistema bancario era ancora da costruire) e quindi i controlli erano controlli strutturali (non esistevano
controlli prudenziali, orientati al patrimonio).
 Questo perché era attraverso la struttura che l’autorità di vigilanza garantiva l’esistenza di un mercato di
oligopolio
Il primo controllo strutturale era sull’apertura di una banca: se si voleva aprire una banca, si doveva chiedere
l’autorizzazione a Banca d’Italia che sulla base di requisiti discrezionali dava o meno l’autorizzazione (la logica
sottostante era che se in quel luogo c’erano altre banche, non si veniva autorizzati): l‘autorizzazione era soggettiva e
scarsamente concessa.
Il secondo controllo strutturale era sull’apertura di sportelli: nuovamente bisognava richiedere l’autorizzazione a
Banca d’Italia che lascava o meno l’autorizzazione in base nuovamente alle condizioni strutturali (rispetto al numero di
sportelli già presenti).
Negli anni Settanta questo sistema inizia a diventare incompatibile rispetto a come si sta muovendo l‘economia:
diventa sempre più urgente la necessità di avere intermediari e mercati efficienti.
 Si abbandonano progressivamente i controlli strutturali (l’autorizzazione diventa tramite silenzio e assenso) e
aumenta la concorrenza
La vigilanza era però una vigilanza strutturale: si doveva garantire la stabilità anche tramite l’efficienza, per cui si
passa da una vigilanza strutturale ad una vigilanza prudenziale, quella in cui si compone l’attivo come si vuole,
con i rischi che si vuole, ma l’importante è di essere ben patrimonializzato.
Il patrimonio dev’essere adeguato rispetto ai rischi del portafoglio.
La prima direttiva (77/780) introduce un grado minimo di armonizzazione normativa, cioè dà:
 Dei criteri omogenei minimi definitori
 L’identificazione dei fondi propri
 L’autorizziamone all’esercizio dell’attività i presenza di requisiti minimi oggettivi
Con la seconda direttiva (89/646) si introduce il mutuo riconoscimento delle attività svolte all’interno dei paesi
membri.
La logica di fondo nata in quegli anni è stata quella dell’armonizzazione minima, che è durata moltissimi anni e
ha lasciato ampi margini di discrezionalità agli stati membri.
In Italia
I passaggi normativi che in Italia riflettono quei cambiamenti normativi sono il testo unico bancario e il testo unico
della finanza: ci sono stati molti provvedimenti approvati, sintetizzati in due testi unici.
 Essi sono rispettivamente del 1993 e del 1998, ma sono continuamente aggiornati.
PRIMA della crisi del 2008
La crisi ha messo in luce ulteriori problemi che la normativa non aveva visto e quindi non aveva regolamentato.
 I controlli di natura strutturale lasciano posto ai controlli di natura prudenziale
 I mercati si internazionalizzano completamente e questo ha favorito lo sviluppo del sistema finanziario per
come noi ora lo conosciamo
 Si è affermata una regolamentazione basata su controlli di tipo prudenziali, a cui piano piano si è affiancata la
tutela del consumatore, la fair play regulation
REQUISITI DI ADEGUATEZZA PATRIMONIALE
Il passaggio alla vigilanza prudenziale si concretizza con l’introduzione dei requisiti di adeguatezza patrimoniale.
Il patrimonio diventa quindi la grandezza di riferimento in assoluto:
 È una garanzia nei confronti dei creditori
 È una fonte di finanziamento e sviluppo: è quindi raccolta di fondi usati poi nell’esercizio dell’attività
d’impresa.
Si crea un trade-off tra la quantità di patrimonio che le banche vorrebbero detenere e la quantità di patrimonio
che le autorità di vigilanza impongono di detenere
 Differenza tra perdita attesa e inattesa
Fonte di finanziamento e sviluppo

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Nella vigilanza prudenziale ciò che rileva è la dimensione del patrimonio: il patrimonio è anche un’importante
fonte di finanziamento, quindi insieme all’indebitamento concorre a finanziare l’attivo.
 In particolare ha una proprietà rilevante, che è quella di avere una scadenza indefinita, perché è costituito da
azioni che per definizione non hanno scadenza (è quindi una fonte di finanziamento di lungo periodo)
Il costo di questa fonte di finanziamento è più alto del costo di tutte le altre fonti di finanziamento dato che le azioni
sono degli strumenti di finanziamento più costosi perché per l’azionista il rischio dell’investimento è più elevato
rispetto a tutti gli altri strumenti (e quindi avranno un tasso di interesse implicito più alto)
 Si forma un trade-off tra il volere delle banche e quello delle autorità di vigilanza, e si giunge al compromesso
della quantità di patrimonio minima che la banca deve detenere (non superiore a ciò che serve)
Questa è la ragione per cui non viene imposta alla banca un valore assoluto di patrimonio, ma un coefficiente che è
funzionale alla dimensione dei rischi che la banca ha.
Differenza tra perdita attesa e perdita inattesa
Il patrimonio deve assorbire i rischi che nascono nell’attivo: se si conosce la perdita che ci si attende in media, si
applica un tasso di interesse superiore.
La perdita attesa non è un problema che dev’essere gestito dalla dimensione del patrimonio, perché è un costo
coperto con un tasso di interesse adeguato a quel rischio di credito.
Il patrimonio va a coprire le perdite inattese, ciò che non si ha stimato e che quindi non ha coperture in conto
economico. Va a coprire una perdita che ha poca probabilità di verificarsi, ma che se si verifica ha un importo
molto alto.
Dimensione del patrimonio
Non esiste un livello ottimale espresso in valore assoluto: il livello ottimale dipende dal livello di rischio che la
banca ha in portafoglio (dalla struttura complessiva del bilancio della banca).
Strumenti legati al patrimonio:
 Coefficiente di solvibilità: dev’essere maggiore dell’8%
È il rapporto tra il patrimonio di vigilanza e le attività in bilancio o fuori bilancio ponderate per il rischio (di credito):
PV/RWA
 Trasformazione delle scadenze
 Il coefficiente grandi fidi impone alla banca di non concentrare il portafoglio crediti in pochi grandi fidi, ma la
dimensione massima del fido che si può concedere a un certo gruppo industriale è un certo coefficiente della
dimensione del patrimonio.
L’autorità di vigilanza consente di considerare come patrimonio anche ciò che patrimonio non è, cioè tutte le
passività subordinate, perché anche loro proteggono il depositante
 Nel patrimonio primario si possono mettere solo le azioni, ciò che è anche capitale netto, poi nel patrimonio
supplementare (che non può mai essere superiore al patrimonio di base) si possono mettere anche le passività
subordinate.
Basilea I
Basilea è un organismo sovranazionale che da sempre ha il compito di lavorare sulla composizione del modo
migliore per individuare un coefficiente patrimoniale: nel 1988 ha dato questa definizione.
Il problema è come misurare il passivo, cioè come attribuire alle classi di attività il grado di rischiosità:
 0% per i crediti verso banche centrali dei paesi OCSE, titoli di stato emessi da paesi OCSE
 20% per i crediti verso le banche dei paesi OCSE
 50% per i mutui garantiti
 100% per tutti gli altri crediti verso le famiglie, le imprese e i paesi non OCSE
La distinzione OCSE e non OCSE non è indicatrice del livello del rischio, inoltre non ci sono riferimenti al Rating.
Ma soprattutto nella ponderazione al 100% tutto era livellato.
Nella seconda metà degli anni Novanta Basilea diventa inadeguato rispetto alle caratteristiche del sistema
finanziario:
 Le classi di ponderazione erano troppo ampie e non c’era nessuna ponderazione rispetto al rischio di credito
 Si consideravano solo i mutui garantiti e tutte le altre forme di garanzie non erano prese in considerazione
 Non c’era variabilità rispetto alle condizioni macro e micro dell’intermediario
Basilea II
Si crea un corpus nuovo normativo che si basa su tre pilastri: il requisito minimo di capitale, il controllo
prudenziale e la disciplina di mercato. Basilea II lavora principalmente sul definire un attivo ponderato per il
rischio più ragionevole di quello precedente.
Requisiti minimi di capitale
Gli elementi che rimangono invariati sono da una parte la definizione e la dimensione del coefficiente
patrimoniale minimo e dall’altra il numeratore (cioè la definizione del patrimonio di vigilanza e la dimensione
del patrimonio supplementare).
Cambia invece il denominatore:
 La tipologia di rischio che viene preso in considerazione: Basilea II introduce anche il rischio di mercato e il
rischio operativo

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 Le metodologie usata per la misurazione dei rischi: si passa da una modalità unica di misurazione del rischio a
tre opzioni. Per quanto riguarda il rischio di credito:
o Metodo standard (che è simile a Basilea I): è più sensibile al rischio (infatti si introducono nuove
classi di ponderazione rispetto alle quattro di Basilea I) e si basa anche su rating esterni.
Scompare la distinzione tra paesi OCSE e non OCSE e si introduce una distinzione in base al rating,
che diventa la variabile discriminante rispetto al coefficiente di ponderazione da applicare.
La banca qui dipende da un rating esterno, ma la banca è in grado di produrre dei rating interni.
o Metodo IRB base: Basilea II introduce anche il principio che se le banche stanno già usando modelli
basati sui rating interni delle banche, possono usarlo (se validato)
Le banche usano i rating interni per quantificare le perdite sui crediti: P=PD (probabilità di default)
nel modello base
o Metodo IRB avanzato: P=PD*LGD (perdita in caso di insolvenza) *EAD (ammontare passibile di non
definizione)
Il grosso di Basilea II nel modificare l’approccio alla quantificazione del rischio è l’introduzione del rating esterno
(per i modello standard) ed interno (per i modelli avanzati).
Una problematica rimasta è quella che si avevano coefficienti pro-ciclici e non anti-ciclici: con Basilea III si prende
in considerazione il rischio di liquidità e si cerca di intervenire sull’elemento della pro ciclicità (imponendo
alle banche la creazione di accantonamenti aggiuntivi al patrimonio nelle fasi espansive del mercato).
Controllo prudenziale
Le banche sono sottoposte a controlli prudenziali periodici, ad attività ispettive di tipo prudenziale, che impongono la
trasparenza in capo alle banche su molti dati utili ad individuare eventuali problemi di rischiosità e
patrimonializzazione.
Disciplina di mercato
Il mercato è in grado di conoscere cosa sta succedendo a una qualsiasi banca, tramite informative pubbliche.
Basilea III
Anche il passaggio da Basilea II a Basilea III si realizza perché il mondo si evolve e la regolamentazione si deve
adeguare: in particolare avviene in corrispondenza della crisi del 2008, che evidenzia una serie di lacune presenti
nella regolamentazione di Basilea II e che con Basilea II vengono prese in considerazione.
 Esso entra in vigore con un meccanismo transitorio, ci sono step successivi: l’entrata in vigore di Basilea III si
dovrebbe completare tra il 2023/2024
Con la crisi del 2008:
 I sistemi bancari presentavano un’eccessiva leva finanziaria, in bilancio e fuori bilancio (e quindi c’era una
carenza di patrimonio, un eccessivo indebitamento)
 C’era una graduale erosione del livello e della qualità della base patrimoniale
 Inoltre numerose banche avevano delle riserve di liquidità del tutto insufficienti: è emerso come il rischio di
liquidità (che precedentemente Basilea non viene normato) viene preso in considerazione
Obiettivi
Basilea III ha quindi l’obiettivo di gestire il rischio di credito com’era fin ora gestito, ma l’intervento principale è
sulla capacità delle banche di assorbire gli shock derivati dalle situazioni di stress riducendo il rischio di
contagio all’interno del sistema finanziario.
1. Vengono introdotti due ulteriori indicatori per il rischio di liquidità, uno di breve periodo e uno più di lungo
periodo, che era la questione principale
2. C’è una più chiara e rigorosa definizione dei requisiti patrimoniali, quindi viene innalzato il livello
qualitativo e quantitativo dei requisiti patrimoniali
Il Common Equity Trier 1dev’essere maggiore del 4,5% delle attività ponderate per il rischio e il patrimonio di base
maggiore del 6%: ma il patrimonio totale rimane pari nel suo minimo all’8% (anche se nella realtà si impongono
requisiti più alti).
3. Si introduce un vincolo di leverage, quindi di indicatori di un tetto massimo indebitamento
4. Si avviano meccanismi finanziati ad attenuare la pro-ciclicità, cioè che impongono alle banche un maggiore
livello di patrimonializzazione nei periodi di espansione macroeconomica
Going Concern: se una banca in crisi è considerata ancora capace di sopravvivere si applicano le procedura di going
concern, altrimenti si applica la liquidazione coatta amministrativa (gone concern).
Crisi del Debito Sovrano
Anche in questo caso c’è stato un cambio nell’assetto regolamentare che in Europa è rappresentato dalla creazione del
meccanismo di vigilanza unico.
 Fino a prima della crisi del 2011 ciascuna autorità di vigilanza era nazionale

I FATTORI AMBIENTALI E SOCIALI DI GOVERNANCE

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L’obiettivo del business nella società è il punto di partenza per comprendere i fattori ambientali e sociali di
governance: questo obiettivo, cioè lo scopo di una società, è quello di fare profitto.
Però dall’altro lato potrebbe darsi che l’attività economica debba avere un risvolto sociale, cioè servire ad uno
scopo sociale, deve avere un senso che non sia solo quello di fare profitto.
In realtà possiamo dire che dal punto di vista teorico, sembra ci sia un trade-off:
 Da un lato l’unico scopo del business potrebbe essere quello di massimizzare i profitti
 Dall’altro lato recentemente si è visto che le aziende che integrano valori ambientali e sociali nelle loro pratiche
di business massimizzano il profitto
In realtà quello che emerge è che non c’è un trade-off tra sostenibilità e profitto: il business esiste per servire
valori più alti e solo facendo questo genera profitto nel lungo termine.
I valori etici si integrano con il profitto integrando i fattori ambientali, sociali e di governance nelle scelte di
investimento, nelle pratiche di business o nella gestione aziendali (misurati tramite i rating ESG).
 I rating ESG sono una delle metodologie per misurare la sostenibilità delle aziende nei confronti
dell’ambiente e della società in cui opera: da qui l’acronimo Environmental, Social e di Governance
 Essi vengono misurati dalle agenzie di rating dopo la pubblicazione dei bilanci di esercizio, sotto forma di rating
(con un punteggio da 0 a 100 o da 0 a 10)
 Servono a comunicare agli investitori il livello di “impegno” delle singole società nel perseguire pratiche aziendali
orientate alla sostenibilità
Nel settore finanziario gli indici e di rating di sostenibilità selezionano i titoli, oltre che per la performance
economica, anche per i comportamenti improntati alla responsabilità sociale e ambientale delle imprese e le relative
performance.
Dal 2014 le imprese redigono sia un bilancio di esercizio che un bilancio di sostenibilità (che aumenta la trasparenza
e quindi la fiducia degli investitori).
L’analisi condotta per l’ingresso in questi indici riguarda temi relativi all’ambiente, al sociale, alla governance e
all’etica del business (analisi ESG): l’inclusione in tali indici è un risultato importante sia in termini di
reputazione sia in termini di attrattività per gli investitori sensibili alle aziende sostenibili che presentano un
minore profilo di rischio e performance positive nel lungo periodo.
 I Green e Social Bonds sono obbligazioni la cui emissione è legata a progetti che hanno un impatto positivo
per l’ambiente o per la società (strumenti fixed income)
 Le Green Bond Principles Guidelines e Social Bond Principles sono le regolamentazioni a cui sono soggetti tali
titoli (che non sono obbligatorie al momento).

Investire in modo sostenibile


Investire in modo socialmente responsabile significa creare valore per l’investitore e per la società nel suo
complesso attraverso una strategia di investimento orientata al medio-lungo periodo che integra l’analisi finanziaria
con quella ambientale, sociale e di buon governo.
Questi investimenti possono essere declinati secondo varie strategie:
1. Esclusione esplicita di emittenti, settori o paesi dall’universo investibile sulla base di principi e valori
2. Selezione degli investimenti basata sul rispetto di norme e standard internazionali (che definiscono cosa sia
sostenibile e cosa non lo sia)
3. Selezione in portafoglio secondo criteri ambientali, sociali e di governance privilegiando gli emittenti migliori
all’interno di una categoria
4. Selezione in portafoglio secondo criteri ambientali, sociali e di governance, focalizzandosi su uno o più temi
5. Attività di dialogo con l’impresa su questioni di sostenibilità, nell’esercizio dei diritti di voto connessi alla
partecipazione del capitale azionario
6. Investimenti in imprese, fondi o enti con obiettivo di realizzare un impatto ambientale e/o sociale positivo,
assieme ad un ritorno finanziario
Guardando i grafici emerge che negli ultimi dieci anni il Nord America, il Giappone, l’Europa, l’Australia e la Cina,
dove lo sviluppo economico, l’impianto istituzionale e la capacità gestionale della cosa pubblica sono più evoluti, sono
le zone dove la sostenibilità finanziaria si è più sviluppata: la discriminante è o sviluppo economico.
Le proiezioni dicono che il trend continuerà in crescita, soprattutto grazie alla nascita di strumenti finanziari
sempre più complessi e automatizzati.
C’è comunque una dicotomia tra i benefici di avere dei rating che impegnano nella sostenibilità, e la non
omogeneizzazione sulle sfumature delle definizione, soprattutto per le parti più complesse di cosa sia o meno
sostenibile.
 L’aspetto delle attività ESG che prevale nei fondi di investimento è quella ambientale, in termini di soldi
investiti nel sistema, magari anche lasciando indietro altri aspetti.
Regolamentazioni in campo
Le azioni messe in campo per rendere il business più sostenibile sono:

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 Comply or explain: mettersi in linea con una legge oppure spiegare perché non lo si fa
Questa direttiva europea del 2014 ha fatto sì che le società europee abbiano aumentato fortemente il CSR
recording (ovvero il bilancio di sostenibilità) rispetto alle società americane
 Mandatory expenses, ovvero le spese obbligatorie in fattori sociali

La sostenibilità per le aziende


La sostenibilità per le aziende è un fattore strategico, integrare i principi della sostenibilità nelle strategie di
business significa sostenere la competitività, la performance dell’azienda.
 Se il mercato si rende conto che l’azienda non sta facendo sostenibilità (a differenza di quello che dice) ha un
danno a breve termine, un danno reputazione che si trasforma in un danno finanziario (per esempio come il
caso Volkswagen).
Inoltre le società che fanno sostenibilità ottengono migliori finanziamenti perché sono percepite dalle banche
meno rischiose, dal momento in cui si riduce il rischio di mercato. Per una banca investire in una società che non è
impegnata socialmente è un rischio, perché è più esposta al rischio di mercato (ad esempio di shock ambientale).
Ma non è solo una questione a breve termine: le aziende che negli anni Novanta hanno adottato più del 40% delle
politiche di sostenibilità hanno impatti rilevanti anche sui risultati di esercizio (le High Sustainability stanno
sempre sopra le Low Sustainability).
La governance aziendale, il rischio ambientale e il rispetto dei diritti umani sono più suscettibili di
alterare le decisioni degli investitori: per governance aziendale si intendono tutte le pratiche di inclusione di genere,
quanto la governance sono orientate agli stakeholder (quanto la società gestisce l’azienda in linea con gli stakeholder e
non solo con gli shareholder, ovvero gli azionisti).
Quali sono le ragioni delle migliori performance delle società che integrano le pratiche ESG
Anche durante uno shock esogeno come il COVID-19 che non riguardava il settore finanziario si vede come il
rischio delle società impegnate su questioni sostenibili sia più basso di quelle che non sono impegnate.
Questo perché:
 Vengono percepite dagli azionisti e dai portatori di interesse come aziende con un livello di governance
efficiente
 Creano valore nel medio-lungo termine
 Creano valore finanziario strettamente connesso all’economia reale per cui sono meno esposte agli shock del
mercato
Chiesti fattori contribuiscono a ristabilire la fiducia da parte degli investitori durante i periodi di forte volatilità
finanziaria.
I BOND
Un bond è un titolo di debito per il soggetto che lo emette e un titolo di credito per il soggetto che lo compra, che
rappresenta una parte di debito acceso da una società o da un ente pubblico per finanziari.
Un bond è quindi uno strumento di per sé finanziario, che può essere o meno green, attraverso cui le società possono
finanziare una parte del loro business (riducendo la dipendenza delle società dal sistema bancario: più modi si
ha di finanziarsi, meno costerà farlo).
 Essi garantiscono all’acquirente il rimborso del capitale più un interesse
 Per chi emette il bond il vantaggio è di avere liquidità, quindi poter finanziare delle attività imprenditoriali,
mentre per gli investitori è quello di diventare dei creditori
La cedola è un tagliando allegato al certificato rappresentativo dell’alligazione che, staccato dal certificato, consente
al possessore la riscossione degli interessi.
 La cedola è pagata durante la vita del titolo e può avere diverse periodicità
 L’interesse può essere fisso o variabile (indicizzato al Libor o all’Euribor)
 Spesso per incentivare la sottoscrizione l’emissione avviene sotto la pari
I titoli detto zero cupon invece non pagano nessuna cedola e il rendimento è dato dalla differenza tra prezzo di
acquisto e valore di rimborso (anche gli stati utilizzano questo tipo di titoli per finanziarsi: di titoli di stato).
I GREEN BOND
I green bond sono obbligazioni i cui proventi sono usati per finanziare (in tutto o in parte) progetti che hanno un
impatto positivo per l’ambiente.
Requisiti
I Green Bond Principles chiariscono i requisiti che un bond deve avere per essere definito green bond (definiti da
ICMA): essendo un’autoregolamentazione, non una vera e propria regolamentazione del settore, non possono
essere applicate sanzioni.
 Utilizzo delle somme prese a prestito: le somme ricevute dagli investitori devono essere destinati a progetti
di natura ambientale, accuratamente documentati agli investitori.
L’ICMA fornisce un elenco non esaustivo di progetti ambientali che possono essere finanziate tramite un green
bond

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 Valutazione e selezione del progetto: l’emittente deve comunicare in maniera trasparente gli obiettivi
ambientali e i processi con cui si determina la compatibilità dei progetti scelti con i criteri ambientali espressi
dalle linee guida (compresi i criteri di esclusione)
 Gestione delle somme raccolte: le somme ottenute tramite emissione di green bond devono essere accreditate
su un conto dedicato, un Advisor esterno dovrà occuparsi di verificare la corretta allocazione delle somme
 Attività di reporting: l’emittente deve rendere disponibili le seguenti informazioni nell’annual report:
 I progetti nei quali è stata effettuata l’allocazione delle somme raccolte
 Ammontare per singolo progetto
 Impatto atteso, valutato attraverso indicatori qualitativi e dove possibile anche quantitativi
L’emittente chiede un parere esterno rispetto all’adeguatezza dei green bond: il green bond può essere certificato
rispetto ad un determinato standard (certificazione) oppure si può chiedere ad un agenzia di rating una
valutazione sul green bond.
Come funziona l’emissione
L’UE considera i green bond uno degli strumenti finanziari utili al raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di
Parigi sul clima.
1. L’emittente vuole finanziare dei progetti green attraverso l’emissione di green bond (Banche, Imprese,
Stati o Organizzazione Sovranazionali, come la Banca Europea per gli investimenti)
2. Si rivolge ad una serie di Advisor al fine di strutturare l’emissione
3. Il bond viene collocato sul mercato e acquistato dagli investitori
4. La raccolta derivante dall’emissione viene collocata in un conto dedicato e tali somme sono destinate al
finanziamento di progetti green
Green Bond in Europa
Le prime obbligazioni verdi sono state emesse da organismi sovranazionali (BEI), poi sono arrivate le emissione
corporate in tutto il mondo (in Italia la prima è stata Hera, un’azienda che vende energia elettrica).
Il primo green bond di stato è stato emesso da un paese europeo, la Polonia (nel dicembre 2016), ma è stata la
Francia, un mese dopo, a entrare in modo pesante sul mercato con un Oat (il titolo di stato transalpino)
 L’Oat doveva essere inizialmente di 7 miliardi di euro, mentre la richiesta è stata tale da estendere l’emissione fino
a 22 miliardi di euro.
SOCIAL IMPACT BOND (KOTO social impact bond: caso studio)
È un bond con finalità sociali emesso dal governo finlandese nel gennaio del 2017 per avere dei soldi per gestire la
crisi dei migranti siriani.
La durata di questo bond sarebbe dovuta essere tre anni, per aiutare 2500 persone raccogliendo 14,2 milioni di
euro.
I migranti rappresentavano un costo in termini di mancate tasse pagate (essendo disoccupati), per cui il governo
finlandese non ha usato soldi pubblici per creare lavoro, ma ha lanciato il KOTO per il mercato dei privati,
promettendogli il 50% di quanto risparmierà in termini di costo di mantenimento (è un tasso di rendimento
altissimo, più alto del 50%).
Questi strumenti non vengono comprati nel classico mercato dei capitali, ma è lo stato che mette a disposizione un
progetto e contatta un privato che gli dia la liquidità necessaria, in cambio di rendimenti altissimi (il rischio
principale è che il progetto non vada in porto).

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