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1. IL SISTEMA FINANZIARIO
Il sistema finanziario è un sistema complesso che consente lo sviluppo dell’attività finanziaria. È un
insieme organizzato composto da:
1. Strumenti finanziari: l’oggetto dello scambio finanziario. Sono contratti aventi per oggetto diritti
e prestazioni di servizi di natura finanziaria.
2. Intermediari finanziari: soggetti, istituzioni che si interpongono nello scambio/produzione di
strumenti e servizi finanziari.
3. Mercati finanziari: gli ambiti negoziali in cui i soggetti in surplus e deficit si scambiano le risorse
finanziarie.
In questa struttura complessa, le autorità di controllo e vigilanza creano un perimetro entro il
quale tutti i soggetti (strumenti, intermediari, mercati) del sistema finanziario possono muoversi.
L’attività finanziaria si svolge nel rispetto di regole e controlli di competenza delle autorità di
controllo e vigilanza.
Strumenti finanziari
Gli strumenti finanziari sono emessi in relazione all’attività di scambio che si realizza nel sistema
economico e, più precisamente, sono contratti che permettono il trasferimento di:
§ risorse finanziarie tra un soggetto creditore e un soggetto debitore;
es. acquisto di un bond di un titolo di obbligazionario mette in relazione due soggetti: soggetto
emittente emette l’obbligazione per la necessità di raccogliere risorse finanziarie (debitore). Colui
che investe, trasferisce risorse al debitore, è soggetto creditore.
§ Rischi tra soggetti diversi:
- rischi puri (contratto di assicurazione). Rischio puro denota degli effetti che hanno una
manifestazione negativa;
- diritto/impegno a scambi futuri à rischio finanziario (contratti a termine e derivati). Il rischio
finanziario può essere positivo o negativo, un prezzo azionario che va al rialzo o ribasso denota
incertezza, può avere una variabilità significativa.
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INTERMEDIARI FINANZIARI: CRITERI DI CLASSIFICAZIONE
A) In base alla specializzazione produttiva:
- Specializzati nella produzione di strumenti finanziari
- Specializzati nella negoziazione di strumenti finanziari
- Specializzati nell’offerta di servizi legati alle attività di produzione/negoziazione
B) In base alla propria caratterizzazione funzionale:
- Intermediari creditizi (banche)
- Intermediari mobiliari (intervengono nei mercati mobiliari, i broker, società che vanno a gestire il
risparmio poi veicolato in mercati azionari, obbligazionari)
- Investitori istituzionali (soggetti che in modo istituzionale raccolgono risparmio presso il pubblico
risparmio e lo vanno ad investire)
- Compagnie di assicurazione
Il sistema finanziario assolve a tre fondamentali funzioni che supportano i sistemi economici:
1. Regolamento monetario degli scambi: offerta di strumenti di pagamento. Economia reale
(scambio di beni ed investimenti e regolato attraverso la moneta) ed economia finanziaria: tutto
nasce dalla moneta che va a spezzare i circuiti di scambio, in un circuito cosiddetto reale da un
circuito monetario. La moneta nasce come primo strumento di pagamento, assolve ad un
fabbisogno di regolamento degli scambi. Un sistema finanziario è tanto più efficiente quanto
maggiori saranno gli strumenti offerti.
2. Accumulazione del risparmio e finanziamento degli investimenti: trasferimento del potere di
acquisto da unità in avanzo a unità in disavanzo. È la funzione più importante del sistema
finanziario perché permette di veicolare le risorse finanziarie laddove sono necessarie per
finanziare gli investimenti.
3. Gestione dei rischi: copertura dei rischi con strumenti ad hoc, ma anche con operazioni e servizi
che permettono di ridurre gli effetti negativi che possono produrre movimenti avversi di prezzi o
tassi di interesse che sono variabili nel tempo e derivano dagli scambi nei sistemi finanziari.
Offerta di strumenti di copertura a termine e di tipo assicurativo.
à Il sistema finanziario svolge anche una funzione di trasmissione della politica monetaria.
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pagamenti: idoneità degli strumenti di pagamento all’utilizzo come mezzo di regolamento delle
transazioni commerciali e non commerciali.
Perché il trasferimento di risorse avvenga in modo efficiente è necessario che il sistema finanziario
garantisca flussi informativi utili a:
- attuare una corretta gestione del fattore rischio (selezione ex-ante da parte degli investitori e
monitoraggio ex-post dell’evolvere degli investimenti);
- svolgere una funzione segnaletica (investimenti basati su informazioni incorporate nei prezzi). In
riferimento in particolare ai prezzi che si vengono a formare sui mercati finanziari e in particolare
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sui mercati mobiliari. Un prezzo azionario che va al rialzo porta in sé un segnale che può essere
positivo, o può nascondere latente un segnale di potenziale instabilità;
- mettere a punto contratti standard su strumenti finanziari.
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2. LA STRUTTURA FINANZIARIA DELL’ECONOMIA
In un sistema in cui la moneta è il mezzo di regolamento degli scambi interagiscono quindi due
circuiti:
-Circuito reale: scambio di beni/servizi e fattori produttivi. Da una parte produttori che producono
beni ed erogano servizi venduti agli utilizzatori, da un’altra gli utilizzatori che apportano lavoro e
capitale.
-Circuito monetario: corrispondente della remunerazione che è riconosciuta al lavoro e capitale
insieme a prezzi/ricavi. Contropartita dei beni e servizi, che sono venduti agli utilizzatori, che
dovranno riconoscere un prezzo. Beni e servizi à prezzo pagato.
Contropartita monetaria dell’apporto di lavoro e capitale è corrispondente ai salari (per apporto
del lavoro) e rendite (per apporto del capitale).
In un contesto di economia chiusa, abbiamo la corrispondenza per quanto concerne i valori tra
circuiti reali e monetari. Si dice che i circuiti vengono chiusi.
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Il circuito reale da famiglie ad imprese è rappresentato dal lavoro, le famiglie prestano il lavoro alle
imprese le quali corrispondono un salario.
Le famiglie interagiscono con la pubblica amministrazione.
-Famiglie: acquistano servizi e beni di consumo. Circuito reale da famiglie a imprese è
rappresentato dal lavoro.
-Pubblica amministrazione: le famiglie ci interagiscono. I beni erogati sono servizi pubblici (circuito
reale), il lavoro prestato dalle famiglie alla PA (reale). Contropartita finanziaria sono i salari per il
lavoro prestato dalle famiglie, e il pagamento di un prezzo chiamato tasse per i servizi pubblici. PA
interagisce anche con le imprese: beni e servizi di consumo erogati dalle imprese alla PA, per i
quali la PA sostiene dei prezzi; beni pubblici offerti alle imprese, con contropartita le tasse.
Moneta: invenzione, spezza la necessità di avere una corrispondenza nelle esigenze tra i soggetti
che si scambiano i beni, passando da una economia di baratto ad una monetaria nella quale
vengono espanse le possibilità di scambio. Moneta mezzo di pagamento.
In un’economia chiusa (non considerando l’estero) la sommatoria dei valori risultanti dai circuiti
reali è equivalente alla sommatoria dei corrispondenti valori monetari. I circuiti sono chiusi. Valore
circuiti reali = valore circuiti monetari.
Da una prospettiva macroeconomica (guardo alla sommatoria di tutti gli scambi che avvengono in
una macroeconomia): valore prodotto totale di una economia (valore totale dei circuiti reali) è
equivalente al valore di tutte le remunerazioni riconosciute per il capitale e il lavoro.
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Diversamente in un’economia aperta la formazione del capitale reale è correlata alla dimensione
del risparmio ed al saldo degli scambi con l’estero. Il potenziale di crescita di ricchezza di un paese
è non solo correlato alla dimensione del risparmio nazionale ma anche alla capacità di attrarre
risparmio o veicolare eventuale risparmio in eccesso presso terze economie (paesi esteri).
Se I > S: la differenza è coperta con risparmio che affluisce da altri paesi. Bisogna raccogliere
risorse e risparmio da altri paesi. Debitore esteri nei confronti di terzi. In termini di contabilità
pubblica si traduce in un saldo negativo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti che è
equivalente ad avere importazioni > esportazioni.
Se I < S: risparmio in eccesso relativamente agli investimenti domestici dà spazio ad altri
investimenti. Vi è veicolazione di risparmio in eccesso verso altre economie. Siamo creditori esteri.
Abbiamo un saldo positivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti e importazioni <
esportazioni.
Risparmio: eccesso di reddito generato dal raffronto tra entrate e uscite, che incrementa la
ricchezza pregressa e accumulata dal soggetto (ovvero il patrimonio netto). Ciò va a denotare la
natura di una variabile flusso del risparmio.
Situazione patrimoniale e Patrimonio netto: variabile stock, si incrementa grazie al risparmio.
fotografia di un momento preciso, convenzionalmente fine anno.
ATTIVO SP: INVESTIMENTI complessivi effettuati li vedo allocati nelle attività reali (es.
investimento in immobili) e attività finanziarie (es. investimento in titoli, in BTP). Le attività reali
danno utilità diretta, rappresentano ricchezza. Quelle finanziarie no, sono piuttosto dei diritti su
attività reali o reddito, nel caso di acquisto di un BTP esercito un diritto di credito nei confronti
dell’emittente.
PASSIVO SP: FONTI di finanziamento. Ho passività finanziarie e patrimonio netto.
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Esse sono speculari.
Fonti (considero tutte le variazioni che producono una entrata netta finanziaria)
∆ – AR/AF: liquido delle attività reali e finanziarie
∆+ PF/PN aumento debiti, incremento patrimonio netto (S = ∆ PN)
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Saldo finanziario: divario tra risparmio e investimento: eccedenza o deficit di risorse (risparmio)
rispetto al fabbisogno per investimenti di un’unità economica o di settore.
Saldo finanziario > 0: eccedenza del risparmio rispetto all’investimento à unità in surplus
Saldo finanziario < 0: eccedenza dell’investimento rispetto al risparmio à unità in deficit
SF: variabile utilizzata sia in una dimensione micro (unità economiche) sia in agglomerazioni
successive per sintetizzare situazioni connesse a settori istituzionali (famiglie, imprese e PA) e nel
complesso anche in riferimento ad un paese.
LIMITE SALDI FINANZIARI: non sono un indice affidabile del fabbisogno di trasferimento dal
momento che sintetizzano ex-post ciò che è accaduto (effetto quantità/composizione). Sono
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misurazioni ex-post. Sono una sintesi delle scelte eseguite dal soggetto o dal settore, ma che
potrebbero non essere esattamente la rappresentazione ex-ante del desiderio del soggetto. I saldi
finanziari sono utilizzati da ricercatori per indagare i comportamenti finanziari nella loro
connessione con quelli reali.
L’analisi dei saldi finanziari è condotta su tutte le unità economiche che vengono raggruppate in
categorie (settori istituzionali). Quindi si parte da una micro per arrivare ad una macro
rappresentazione, passando per i settori istituzionali. Settori istituzionali:
- Società e quasi società non finanziarie
- Istituzioni di credito (autorità bancarie centrali, altre istituzioni monetarie, istituzioni
finanziarie)
- Imprese di assicurazione
- Amministrazioni pubbliche (amministrazioni centrali, amministrazioni locali, enti di
previdenza)
- Famiglie (famiglie consumatrici, imprese individuali)
- Estero
Tramite un’analisi dei saldi finanziari, attraverso la lettura di quelle quantità agglomerate per
settori istituzionali, si può sintetizzare il funzionamento di un sistema economico: posso vedere
quei settori in cui c’è prevalenza di saldi finanziari positivi o negativi, e come sono cambiati nel
tempo.
S=I à SF=0 investimenti autofinanziati con risparmio: condizione di equilibrio finanziario
S=0 à SF=I soggetti/istituzioni con specializzazione nell’investimento: divergenza finanziaria HP
estrema 1. Non vi è capacità di risparmio.
I=0 à SF=S specializzazione nel risparmio, investimenti nulli: divergenza finanziaria HP estrema 2.
Da una parte ci sono soggetti che investono ma non hanno risorse, dall’altra soggetti che hanno
risorse ma non investono: vi sono le premesse per il trasferimento di risorse da chi è specializzato
nel risparmio a chi è specializzato nell’investimento.
Il trasferimento di risorse, legato al livello dei saldi finanziari, in un sistema finanziario avanzato,
avviene anche in presenza di incompatibilità fra le esigenze delle unità in surplus e delle unità in
deficit. Questo avviene attraverso un insieme di circuiti di trasferimento delle risorse. I circuiti
possono assumere due nature: circuiti diretti e indiretti.
Quindi il trasferimento delle risorse può avvenire anche quando le schede di preferenza delle unità
in surplus e in deficit non sono compatibili in modo perfetto. Questo perché attraverso il circuito
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di trasferimento può concretizzarsi una trasformazione sia delle scadenze sia dei rischi. Questa è la
duplice natura che attribuiamo alla trasformazione delle risorse finanziarie.
Def: i circuiti di trasferimento delle risorse si chiudono se il sistema è organizzato in modo da
permettere la trasformazione delle risorse.
SF>0 non compatibile con SF<0: questa situazione si presenta quando la propensione al rischio di
chi è in surplus finanziario non è compatibile con le richieste dei soggetti in deficit finanziario.
Il circuito finanziario permette il trasferimento delle risorse dalle unità in surplus a quelle in deficit.
Il trasferimento può avvenire attraverso:
-circuiti finanziari diretti, mediante strumenti finanziari (valori mobiliari) che legano
contrattualmente l’investitore (datore di fondi, soggetto in surplus) e l’emittente (prenditore di
fondi, soggetto in deficit).
-circuiti finanziari indiretti nei quali tra i datori e i prenditori di fondi si inserisce la figura di un
intermediario finanziario per renderne compatibili le schede di preferenza.
Infatti:
-Attività finanziarie delle famiglie: breve o m/l termine. A parità di condizioni, maggiore la durata
dell’attività finanziaria, maggiore il rischio. Prediligono AF di breve termine. La scheda di
preferenza tipica della famiglia è di una quota maggiore di attività a breve rispetto al lungo
termine.
-Passività finanziarie delle imprese. Le imprese sono strutturalmente identificate come soggetti in
deficit, che devono ricorrere a finanziamenti esterni. Prediligono debiti a medio-lungo termine.
à In modo strutturale una parte del fabbisogno finanziario a medio/lungo termine delle imprese
non è finanziabile con attività a breve delle famiglie.
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Se fosse possibile trasferimento diretto delle risorse dovremmo risolvere un problema
incompatibilità. Le AF a breve delle famiglie sono maggiori di quelle che le imprese vorrebbero.
L’impresa vuole a breve una quantità minore rispetto a quello la famiglia è disposta ad investire.
Una parte di passività finanziarie a medio/lungo termine non può essere finanziata dalle famiglie.
C’è questo gap che identifica quella parte di passività che non può essere finanziata dalle famiglie.
In questo spazio ha ragion d’essere l’intermediazione finanziaria. Ecco quindi la trasformazione
delle risorse finanziarie: con l’interposizione dell’intermediario finanziario, ci sono strumenti
finanziari emessi per regolare il rapporto tra le AF delle famiglie (PF per l’intermediario
finanziario), raccoglie risorse finanziarie prevalentemente a breve dalle famiglie e le presta alle
imprese, dove l’indebitamento a medio/lungo termine è superiore. C’è quindi una trasformazione
delle scadenze e quindi anche del rischio dell’attività/passività finanziaria.
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nel tempo, può variare anno per anno per un effetto quantità (perché vengono emesse nuove AF,
e questo lo misuro con l’ANIR), o per un effetto prezzo perché il valore delle AF è incrementato.
Con questo indicatore quindi esamino meglio l’evoluzione del FIR. FIR e ANIR sono legati. L’esame
degli indicatori è legato. In chiave storica e comparativa ciò è stato fatto dagli economisti; in un
contesto di lunghissimo termine si può vedere che tipo di evoluzione ha esibito un sistema
finanziario partendo da un’economia arretrata per svilupparsi nel tempo, oppure che tipo di
percorso ha avuto un progresso economico con un sistema finanziario avanzato, ed è questo uno
dei temi oggi maggiormente esaminato. C’è un rinnovato interesse per capire se il sistema
finanziario ha un ruolo fondamentale nell’accelerare il processo di innovazione in senso lato; i
pareri sono discordanti, c’è chi vi riconosce un ruolo secondario e chi un ruolo propulsore
dell’innovazione finanziaria.
>/
Grado di separazione tra funzione risparmio e funzione investimento = ∑ ? !
È il rapporto in valore assoluto tra sommatoria dei saldi finanziari dei diversi settori e prodotto
interno lordo Y. Indica il grado di dissociazione fra le due funzioni: se il risparmio nazionale si
concentra presso le unità che non investono, la funzione di trasferimento deve essere maggiore.
Prendendo il valore assoluto del saldo finanziario (alcuni SF molto negativi, altri molto positivi),
tanto maggiore la sommatoria al numeratore, tanto di più mi porterò verso una situazione di
divergenza finanziaria ove vi sono le premesse per un trasferimento delle risorse, sviluppando
nuove relazioni attraverso circuiti diretti (mercati e strumenti) e indiretti (intermediari).
SF>0 à S>I surplus. L’eccedenza può essere investita in AF, è quindi suscettibile di trasferimento.
SF<0 à I>S deficit. Il soggetto richiede risorse finanziarie. C’è una suscettibilità al trasferimento
finanziario.
Da un lato saldo finanziario positivo, dall’altro negativo. In valori estremi SF<0 corrisponde ad I
(vedi divergenza finanziaria). Quindi facendo la somma in valore assoluto, misuro quanto più mi
sposto dall’equilibrio finanziario perché in posizione di divergenza finanziaria vi è esigenza di un
trasferimento di risorse finanziarie (infatti ci sono soggetti specializzati nel risparmio e altri che
richiedono investimenti e non hanno risparmio). È la situazione opposta all’equilibrio finanziario
(SF=0 e S=I e non ci sarebbe necessità di trasferimento delle risorse, investimenti coperti col
proprio risparmio). Andare quindi a misurare, nei vari settori istituzionali, il rapporto in valore
assoluto va ad identificare quanto è la dimensione delle risorse suscettibili di trasferimento e
quindi quantifica il grado di dissociazione tra risparmio e investimento. Maggiore il valore assoluto,
più mi allontano dall’equilibrio e indica la necessità di trasferimento di risorse, incrementando i
circuiti finanziari (diretti e indiretti). Rapporto che indica la predisposizione a trasferire le risorse.
!" (,&&./+0.+0&6296*+,2+)
Rapporto di intermediazione finanziaria (FIN) = :" !"#(=,%%./+0. %6&&'2+ A&+7+11.)
$%
Rapporto tra le attività finanziarie emesse dagli intermediari e le passività finanziarie detenute dai
settori utilizzatori. Misura, di tutti gli strumenti finanziari (che sarebbero le PF dei settori
utilizzatori) quanto è il peso di quelle emesse dagli intermediari. Misura quindi il peso relativo dei
circuiti indiretti (finanziamento degli intermediari finanziari) rispetto al fabbisogno totale delle
unità finali. Infatti gli strumenti finanziari regolano il rapporto tra l’intermediario e le varie unità in
deficit e in surplus, ma sono solo una parte del totale degli strumenti finanziari complessivamente
che circolano in un sistema finanziario.
!" (,&&./+0.B,0(56)
Rapporto di intermediazione bancaria = !" & (,&&./+0.+0&6296*+,2+)
!"#
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Questo indicatore approfondisce il precedente. Misura l’incidenza delle operazioni compiute dalle
banche nei circuiti indiretti; misura il ruolo delle banche rispetto all’insieme degli intermediari
finanziari. In alcuni contesti abbiamo sistemi “bancocentrici”, come l’Italia, in cui le banche
rappresentano l’intermediario finanziario più importante di un sistema finanziario, in altri c’è la
prevalenza di altri intermediari finanziari.
Quindi gli indicatori rapporto di intermediazione finanziaria e bancaria vanno ad esaminare
l’orientamento di un sistema finanziario, che può essere un orientamento al mercato quando le AF
degli intermediari hanno un peso contenuto, o un orientamento alle banche o agli intermediari
finanziari quando il FIN risulta essere più elevato, dopodichè misuro il peso assunto dalle banche
con l’ultimo indicatore.
Conclusioni
Gli studi più recenti non danno una conclusione univoca.
Articolo recente che ha esaminato l’evoluzione dei sistemi finanziari per paesi in via di sviluppo:
sviluppo economico e sistema finanziario non sono in relazione lineare. Ciò significa che la crescita
economica non necessariamente tende a crescere insieme al sistema finanziario.
Non esiste un modello astratto di sviluppo della struttura di un sistema finanziario.
Non esiste una configurazione ottimale di sistema finanziario.
Non esiste una struttura ottimale dei saldi finanziari (efficienza/stabilità).
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3. VIGILANZA E CONTROLLO SUI SISTEMI FINANZIARI (REGOLAMENTAZIONE)
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1. vigilanza istituzionale (in base alle categorie di soggetti vigilati) ES: una banca deve essere
vigilata da un’autorità che si occupa di vigilare le banche; un intermediario mobiliare dovrà essere
vigilato da un’altra autorità di vigilanza.
2. vigilanza funzionale (in base al tipo di attività svolta dagli intermediari finanziari)
3. vigilanza per obiettivi (in base alla finalità di vigilanza). Per ciascun obiettivo, si identifica una
autorità di vigilanza preposta. Gli obiettivi possono anche essere intermedi, quindi connessi ai tre
precedentemente indicati (vedi obiettivi pagina precedente).
4. vigilanza integrata. Modello che semplifica alcuni aspetti problematici di coordinamento dei
soggetti chiamati in causa nell’attività di vigilanza dei precedenti modelli. Infatti si identifica una
unica autorità di vigilanza a cui viene riconosciuto il compito di eseguire tutte le attività di
controllo e vigilanza sul sistema finanziario. ES: durante gli anni 2000, fino al 2008, in Gran
Bretagna vi era una unica agenzia (FSA) con attività di vigilanza su tutto il sistema finanziario
anglosassone, incorporava tutte le attività di vigilanza.
Vigilanza istituzionale
Vigilanza per categorie di soggetti vigilati. Viene identificata una autorità di vigilanza per ogni
tipologia istituzionale di intermediario finanziario
Definizione: è soggetto a vigilanza l’intermediario indipendentemente da ciò che offre. È il modello
più semplice perché indipendentemente da ciò che svolge l’intermediario la vigilanza viene
eseguita da una autorità preposta per questo tipo di attività.
Vantaggi: il completo accentramento della funzione di vigilanza non pone problemi di
coordinamento fra diversi organi.
Problemi: laddove un intermediario svolga più attività si pongono dei problemi di coordinamento e
si possono verificare problemi di arbitraggio istituzionale: il fatto che ad una stessa attività siano
riservati trattamenti differenziati apre ampi spazi per la realizzazione di arbitraggi istituzionali e
porta a manifestazioni di iniquità competitiva. Infatti, l’intermediario finanziario sceglie la
configurazione istituzionale nell’obiettivo di minimizzare l’impatto della regolamentazione e
vigilanza. ES: una banca vigilata da un’autorità di vigilanza per le banche, svolgendo anche altre
attività in campo mobiliare, poteva definirsi come banca pur svolgendo attività mobiliare, e quindi
scegliere questo tipo di collocazione istituzionale per una serie di calcoli di arbitraggio istituzionali.
O il caso inverso: l’intermediario che svolgeva anche intermediazione mobiliare si definiva come
intermediario mobiliare perché la regolamentazione era meno stringente rispetto a quella
bancaria, ma svolgeva di fatto anche attività di intermediazione creditizia.
Vigilanza funzionale
Autorità di vigilanza identificata sulla base del tipo di attività svolta dall’intermediario finanziario
(sulla base di alcuni insiemi omogenei di attività di intermediazione).
Definizione: l’attività di vigilanza fa riferimento a un servizio specifico indipendentemente da chi lo
offre.
Vantaggi: più flessibile della precedente ed esclude forme di arbitraggio.
Problemi:
- Difficoltà a far coesistere norme di tipo funzionale in capo ad un’istituzione che svolge più
attività (questo accade quando le regole non sono omogenee nei vari campi di attività di
intermediazione finanziaria). Ne derivano possibili conflitti in capo ad un soggetto che
svolge più attività.
- È necessario identificare un lead regulator per il coordinamento fra più organi di vigilanza,
in caso di una diversificazione della attività svolte dallo stesso intermediario. Necessario
perché diverse attività implicano diverse autorità.
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- Assoggettabilità a controllo anche delle attività finanziarie svolte da istituzioni non
finanziarie. Quest’ultime infatti, non essendo intermediari finanziari ma potendo svolgere
attività finanziarie, dovranno rispondere alle autorità identificate sulla base delle attività di
intermediazione finanziaria.
- Perdita di efficacia della vigilanza in presenza di forte diversificazione produttiva (ovvero
l’intermediario svolge diverse attività di intermediazione). Ne conseguono possibili
incongruenze tra vigilanza e regole sui diversi campi di intermediazione.
- Interferenze dove le banche operano in campo mobiliare.
Vigilanza integrata
Definizione: tutte le funzioni di vigilanza sono accentrate presso un’unica autorità.
Vantaggi:
- Visione unitaria del portafoglio delle attività degli intermediari. Autorità che permette una
visione complessiva del sistema finanziario.
- Approccio integrato alla gestione del rischio
- Non c’è il problema del coordinamento tra le varie autorità
Problemi:
- Prevalgono situazioni ibride (poiché il sistema di vigilanza sia efficiente sono necessari
strumenti per prevenire fenomeni di crisi).
- Modelli in continua evoluzione
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-attuazione della politica monetaria in via sussidiaria rispetto alla BCE che detiene il potere di
politica monetaria;
-svolge attività tecniche sul sistema dei pagamenti, essenziale per l’efficienza dei mezzi di
pagamento;
-vigilanza sul sistema bancario italiano nell’ambito del Single Supervisory Mechanism, eccetto le
banche sistemiche (soggette a vigilanza BCE).
4. STRUMENTI DI VIGILANZA
In base alla natura degli interventi, vi è una classificazione degli strumenti di vigilanza come segue:
1. strumenti di vigilanza strutturale: possibilità di incidere sulla morfologia del sistema finanziario
(bancario/assicurativo/mobiliare).
2. prudenziale: possibilità di incidere sul grado di rischiosità complessiva dell’attività
dell’intermediario o di singole categorie di operatori.
3. informativa: possibilità di obbligare gli intermediari a fornire informazioni sulla propria
situazione tecnica secondo modi e tempi stabiliti.
4. protettiva: prevenire e gestire situazioni patologiche, specifiche di un intermediario o di natura
sistemica.
Queste sono categorie astratte nelle quali vanno a crearsi i provvedimenti legislativi, i quali
possono assumere la forma di direttiva europea, decreto legge, legge, regolamento.
Strumenti di intervento:
1-condizioni di entrata nel mercato (intermediari di nuova costituzione, o che aprono una nuova
sede, o che offrono servizi senza sede fisica)
2-definizione di assetto organizzativo degli intermediari operanti (soprattutto relativo ad
operazioni di fusione, incorporazione, passaggio di controllo ecc.)
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3-identificazione della gamma delle attività che ogni categoria di intermediari (ogni singolo
intermediario) può svolgere
4-azionariato e controllo societario
5-interventi amministrativi sulle quantità e sui prezzi degli intermediari
Strumenti di intervento
1. Coefficienti di bilancio con finalità di controllo e limitazione del rischio assunto nella gestione,
con riferimento a:
- modulare il grado di solvibilità/equilibrio finanziario
- limitare il grado di concentrazione degli investimenti
- contenimento degli investimenti ad alto rischio unitario
Questi sono gli strumenti con importanza maggiore, perché si fondano sulla definizione della
massima rischiosità a cui si può esporre l’attività di intermediazione finanziaria. Sono rapporti di
composizione e identificazione di soglie massimali o minimali.
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3. enti emittenti (informativa circa gli aspetti tecnici, contrattuali dello strumento finanziario,
ma anche dei rischi che un potenziale investitore può incontrare laddove acquisti strumenti
di prossima emissione).
Trasparenza e correttezza per lo sviluppo di un sistema di rapporti contrattuali il cui pricing si
avvicina ai requisiti dell’efficienza del mercato. Maggiore il set informativo a disposizione dei
soggetti, maggiore sarà la loro capacità di processare le informazioni e arrivare alla definizione di
un prezzo cosiddetto equo (fair). Questa vigilanza garantisce la massima informazione possibile e
adeguata per arrivare ad un pricing che possa avvicinarsi ai requisiti di efficienza del mercato.
Interventi preventivi
-flussi di documentazione statistica che gli intermediari devono periodicamente fornire all’organo
di vigilanza (all’authority di competenza) i quali costituiscono la base di valutazione dello stato di
salute degli intermediari e su cui si possono innestare tecniche di “allarme preventivo” che
possono segnalare delle crisi possibili dell’intermediario;
-situazioni di illiquidità delle banche affrontate attraverso interventi di rifinanziamento della banca
centrale;
-situazioni di difficoltà più seria che danno luogo a provvedimenti quali l'amministrazione
straordinaria scelta dall’autorità di vigilanza che comporta, tra l'altro, la sostituzione degli organi
amministrativi e di controllo in carica.
5. VIGILANZA EUROPEA
È una vigilanza che ha l’obiettivo di essere organica per il sistema finanziario in ambito europeo e
prende una configurazione su due dimensioni: macroprudenziale e microprudenziale.
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VIGILANZA MACROPRUDENZIALE
Ha come obiettivo il monitoraggio e la valutazione della stabilità del sistema finanziario europeo e
quindi del rischio sistemico affinchè siano scongiurate altre crisi sistemiche. L’organo competente
è il Comitato europeo per il rischio sistemico (ESRB) che: segnala le aree di rischio; non ha potere
normativo ma formula raccomandazioni non vincolanti agli Stati dell’UE, alle autorità nazionali, al
Consiglio Europeo, alla Commissione Europea o alle Autorità di Vigilanza Europee.
VIGILANZA MICROPRUDENZIALE
La distinzione macro/micro sta nel modo con cui si procede a valutare i profili di rischio del sistema
europeo finanziario. Macro: visione sistemica. Micro: visione specifica per ambiti di
intermediazione, perché le regole vigenti hanno identificato 3 authorities specifiche (ESA). Quindi
la vigilanza microprudenziale è affidata alle European Supervisory Authority (ESA), le quali hanno
attribuzioni differenti. Le ESA non hanno potere normativo diretto ma possono incidere sui
provvedimenti che possono essere intrapresi in sede europea. Le ESA sviluppano un corpus
regolamentare unico per l’UE, per giungere a condizioni di parità per gli istituti finanziari e
migliorare la qualità della normativa finanziaria e il funzionamento del mercato unico. Le ESA sono
distinte in base agli ambiti di attività: rispettivamente bancario, mobiliare, previdenziale e
assicurativo.
-European Banking Authority (EBA): identificazione, analisi e risoluzione dei principali rischi posti
alla stabilità del sistema bancario UE.
-European Securities and Markets Authority (ESMA): vigilanza su strumenti, mercati finanziari e
società di rating.
-European Insurance and Occupational Pensions Authority (EIOPA): vigila su imprese di
assicurazione e sistema previdenziale privato.
Le 3 autorità:
- non hanno potere normativo diretto, hanno un ruolo tecnico, quindi propongono alcune regole
tecniche alla Commissione Europea, la quale può approvarle e convertirle in direttiva e diventare
vincolanti per le autorità di vigilanza e le istituzioni finanziarie nazionali;
- risolvono le controversie tra autorità di vigilanza nazionali e decidono in caso di disaccordo;
- intervengono in caso di violazione della legislazione europea, garantendone un’applicazione
coerente;
- adottano decisioni in situazioni di emergenza (definite dalla Commissione Europea) che mettono
in pericolo l’integrità del sistema finanziario.
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LA VIGILANZA EUROPEA: INTEGRAZIONE
ESRB-ESA-ANV
(ANV=autorità nazionali di vigilanza)
1° pilastro: SSM
È in vigore dal novembre 2014 e prevede che:
à la BCE svolta direttamente l'attività di vigilanza su 115 banche significative dell'area euro, ossia
banche aventi rilevanza sistemica, di cui 11 italiane, così identificate:
-totale dell'attivo di stato patrimoniale superiore a 30 miliardi di euro;
-oppure attività pari almeno al 20% del PIL nazionale;
-in ogni caso, le prime tre banche per ogni membro UE aderente.
à le Banche centrali nazionali (BCN) proseguano con la loro funzione di vigilanza sulle altre
banche di ciascun paese (circa 4900 in tutta l'area euro);
à l’EBA mantenga invece il ruolo di vigilanza sui sistemi bancari di tutti i membri UE senza
eccezioni. È un monitoraggio a livello sistemico.
L' avvio del SSM è stato preceduto dall'esercizio di valutazione dei bilanci delle principali banche
dell’area, costituito da una revisione della qualità degli attivi e da una prova di resistenza (stress
test), condotta con riferimento a uno scenario di base e uno avverso.
2° pilastro: SRM
Il Meccanismo Unico di Risoluzione delle crisi bancarie (Single Resolution Mechanism – SRM) dal
gennaio 2016 gestisce le situazioni di crisi delle banche insolventi mediante l’utilizzo del Single
Resolution Fund (SRF).
Le decisioni sulla gestione del procedimento di risoluzione e sull’uso del fondo sono demandate ad
un Comitato di risoluzione unico (Single Resolution Board), mentre a livello nazionale la risoluzione
delle crisi è gestita da apposite Unità di risoluzione e gestione delle crisi costituite presso le singole
banche centrali nazionali. L’SRF sostituirà gradualmente (entro il 2022) gli analoghi fondi di
22
garanzia dei depositanti istituiti attualmente su scala nazionale, che prevedono uniformemente
una copertura pari a 100.000 euro per ogni correntista.
A regime, la dotazione patrimoniale dell’SRF sarà di 55 mld di euro, completamente versati da
parte delle banche dei Paesi UE aderenti all’SSM
Date le risorse limitate dell’SRF, l’SRM opererà secondo il principio del bailin, previsto dalla Bank
Recovery and Resolution Directive (BRRD), entrata in vigore il 1° gennaio 2016. Il bail-in comporta
l’obbligo di copertura delle perdite bancarie secondo una graduatoria degli interventi, da parte,
nell’ordine, di: azionisti, obbligazionisti subordinati (obbligazioni, diverse dalle ordinarie/senior, di
natura ibrida più rischiosa, quindi danno un profilo di rendimento più elevato), obbligazionisti
senior, depositanti (per importi individuali superiori ai 100.000 euro). La graduatoria degli
interventi dipende dall’ammontare delle perdite.
In alternativa al bail-in e al fine di impedire crisi sistemiche, la BRRD prevede anche la possibilità di
intervento dello Stato (limitato e autorizzato preventivamente) mediante ricapitalizzazione
precauzionale, ma solo dopo che le obbligazioni subordinate siano state convertite in azioni
secondo il principio della burden sharing (condivisione degli oneri). Questo meccanismo è una
soluzione ibrida dove c’è comunque una condivisione degli oneri, perché comunque anche se in
maniera più contenuta il bail-in entra in gioco.
23
4. L’ORDINAMENTO DELL’ATTIVITÀ BANCARIA
Prima legge bancaria del 1936 copre buona parte del secolo passato, per arrivare all’assetto
attuale che è scolpito, dal punto di vista normativo, nel Testo Unico Bancario.
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- rilascio di garanzie e di impegni di firma. La banca appone la firma a garanzia di altre operazioni
che il cliente esegue. Prestito ed esborso potenziale, eventuale. Non c’è esborso di cassa effettivo:
prestiti di firma
- operazioni per proprio conto o per conto della clientela in: strumenti di mercato monetario
(assegni, cambiali, certificati di deposito, ecc.), cambi, strumenti finanziari a termine e opzioni,
contratti su tassi di cambio e tassi d’interesse, valori mobiliari. (Questo va a connotare un’attività
riconosciuta alla banca di poter svolgere intermediazione mobiliare, tolti assegni e cambiali).
- partecipazioni alle emissioni di titoli e prestazioni di servizi connessi. Quindi la banca può
svolgere attività tipica di una società finanziaria.
- consulenza alle imprese in materia di struttura finanziaria, di strategia industriale e di questioni
connesse, nonché consulenza e servizi nel campo delle concentrazioni e del rilievo di imprese.
(consulenza in ambito di finanza d’azienda, attività consulenziale che si estende a vari aspetti).
- servizi di intermediazione finanziaria del tipo "money broking", cioè attività di brokeraggio in
termini di azione pura. Il broker non assume posizione di rischio, si interpone tra chi vuole
acquistare e vendere.
- gestione o consulenza nella gestione di patrimoni mobiliari
- custodia e amministrazione di valori mobiliari
- servizi di informazione commerciale
- locazione di cassette di sicurezza
- altre attività che, in virtù delle misure di adattamento assunte dalle autorità comunitarie, sono
aggiunte all’elenco allegato alla Direttiva 2006/48/CE
Raccolta del risparmio: operazione di acquisizione di fondi, quindi la banca si pone in una
posizione debitoria verso il pubblico risparmio.
La raccolta del risparmio è definita come acquisizione di fondi con obbligo di rimborso nei tempi e
modi previsti dal contratto medesimo, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma, ovvero la
banca può raccogliere anche con altri modi, per esempio attraverso l’emissione di obbligazioni
bancarie che è un prestito con una scadenza, generalmente oggetto di un mercato secondario.
La raccolta del risparmio fra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche o è consentita in
casi espressamente previsti (es: obbligazioni emesse da società finanziarie che devono avere certe
caratteristiche).
La raccolta di fondi a vista ed ogni forma di raccolta collegata all’emissione o alla gestione di mezzi
di pagamento è in via assoluta riservata alle banche.
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La Banca d’Italia può vietare ad una banca italiana lo stabilimento di una nuova succursale per
motivi attinenti all’adeguatezza delle strutture organizzative o della situazione finanziaria,
economica e patrimoniale della banca.
N.B. Le condizioni vengono verificate dalla Banca d’Italia (Banca centrale europea per le banche di
rilevanza sistemica) che nega l’autorizzazione quando non è garantita la sana e prudente gestione
(margine di discrezionalità lasciato alle autorità). Se non è concessa l’autorizzazione, l’authority
nella spiegazione del perché dovrà spiegare nei dettagli il perché in prospettiva non è garantita la
sana e prudente gestione.
Vigilanza prudenziale: fa riferimento all’insieme di regole che delimitano il perimetro entro cui il
soggetto bancario può muoversi, quindi libertà entro certi limiti definiti. Da qui, a livello
internazionale si inizia a discutere su una sorta di accordo che dovrebbero prendere i vari
banchieri centrali dei paesi più avanzati perché, per il fatto di adottare normative differenti, ci
sono alcuni paesi in cui le banche possono spingere la propria attività a livello di rischio che in altri
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paesi non è ammesso. Nel 1988 si arriva ad un accordo: una banca deve legare il suo rischio alla
dotazione di patrimonio, ovvero ci si può anche esporre a rischio elevato, ma se il patrimonio è
sufficiente a coprirlo. Regola che lega le due dimensioni: one size fits all (una misura riesce ad
impattare sulla misura complessiva del rischio). Introduzione della regola del patrimonio dell’8%:
per ogni attività di prestito, per ciascuna posizione bisogna determinare il rischio che si assume
una banca, e per tale rischio il patrimonio di vigilanza deve essere almeno pari all’8%.
Patrimonio di Vigilanza/Attività ponderate per il rischio >= 8%
Questa regola va applicata ad ogni posizione per la quale bisogna determinarne la rischiosità, la
quale va moltiplicata per l’8%: il risultato è il valore minimo richiesto del patrimonio di vigilanza.
.
– Gli Accordi di Basilea 1 del 1988 si fondavano su semplici principi base:
1. Ogni attività svolta da una impresa finanziaria comporta l’assunzione di un certo grado di
rischio.
2. Tale rischio deve essere quantificato e supportato da un adeguato livello di capitale, detto “di
vigilanza”.
– La logica di Basilea 1 fu quella di legare indissolubilmente il rischio insito nel portafoglio attività
alla dotazione patrimoniale della banca:
à Per ogni 100 € prestati (quantificati come attività a rischio, ponderate per il rischio), 8 € devono
essere detenuti sotto forma di patrimonio di vigilanza, di capitale da parte dell’istituto erogante, a
prescindere dal merito creditizio della controparte (coefficiente assorbimento dell’8%):
Patrimonio di Vigilanza/Attività ponderate per il rischio >= 8%
Attività ponderate per il rischio: esposizioni, per tipologia di attività svolte dalle banche, ponderate
per il rischio, con diversi coefficienti.
Il sistema delle ponderazioni identificava una serie di coefficienti da moltiplicare per le varie
tipologie di esposizioni (Attivo):
-0% per cassa e assimilati, crediti verso governi centrali, banche centrali e UE
-20% per le attività verso istituzioni creditizie e pubblica amministrazione area OCSE
-50% per i crediti ipotecari di tipo residenziale
-100% per le attività verso il settore privato (imprese), banche e governi non OCSE
[denominatore à si prende l’attivo di bilancio e per ogni categoria si applicano i coefficienti.
Verificare che a livello aggregato il rapporto sia almeno pari all’8%]
Il Patrimonio di Vigilanza è composto dalla “somma algebrica di una serie di elementi positivi e
negativi che, in relazione alla qualità patrimoniale riconosciuta dall’autorità a ciascuno di essi,
possono entrare nel calcolo” dell’aggregato, rispettando i limiti di composizione e di utilizzo
previsti. In pratica, il patrimonio di vigilanza è distinto in componenti; in base alla qualità
riconosciuta dall’autorità (Banca d’Italia) rientra in aggregati specifici rispettando dei limiti di
composizione.
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Limiti di composizione
Tier 2: al massimo pari al Tier 1. Nel computo nel patrimonio di vigilanza, il Tier 2 può arrivare al
massimo a quanto è il Tier 1. Qualità inferiore rispetto al Tier 1.
Tier 3: non rientra nel computo del calcolo dell’8%, è utilizzato solo per i requisiti del rischio di
mercato. Al massimo può essere 2,5 volte il Tier 1. Qualità inferiore rispetto al Tier 1.
Nella regola dell’8% considero solo Tier 1-2. In generale:
Tier 1: capitale e riserve al netto di azioni proprie, avviamento, immobilizzazioni immateriali…
Tier 2: riserve di rivalutazione, strumenti ibridi di patrimonializzazione (strumenti intermedi nella
loro natura tra un equity, azione e una obbligazione)…
Patrimonio di vigilanza: essenzialmente Tier 1-2.
Nel calcolo del coefficiente minimo obbligatorio di Basilea, pari all’8%, la banca può computare
solamente il Tier 1 e il Tier 2 (quest’ultimo per un ammontare inferiore o uguale al Tier 1).
Il Tier 3 può fronteggiare solamente i rischi di mercato (copertura rischi di mercato) e non è quindi
considerato nel calcolo del coefficiente di capitale.
Esempio:
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(relativi all’effetto delle garanzie reali e personali e del nuovo concetto di rischio operativo).
Secondo pilastro: Controllo prudenziale
Punta ad accrescere i poteri ispettivi e discrezionali delle singole Autorità di Vigilanza, affiancando
ai requisiti minimi, basati su un puro calcolo algebrico, un insieme di vincoli operativi ed
organizzativi sulle procedure poste in essere da una banca nella misura e nel governo dei propri
rischi.
Terzo pilastro: Trasparenza
Poiché il pubblico degli investitori (soggetti che possono entrare nel capitale delle banche) ha un
forte interesse a monitorare la quantità di rischi insita nel bilancio di un istituto di credito, il terzo
pilastro obbliga i gruppi creditizi a fornire più informazioni al mercato, confidando che in tal modo
si instaurerà un meccanismo automatico di penalizzazione per le banche più rischiose, le quali
avranno maggiori difficoltà a reperire finanziamenti.
APPROFONDIMENTO 1° PILASTRO
- Patrimonio di vigilanza: invariato. Le regole della composizione sono le stesse.
Patrimonio di Vigilanza = Tier1+Tier2+Tier3
Tier 1: patrimonio di base; Tier 2: patrimonio suppl. (Tier 2 <= Tier 1);
Tier 3: patr. suppl. (Tier 3 <= 2,5×Tier 1)
- Rischio di credito (copertura con Tier 1-2): cambiato l’approccio con nuove metodologie.
Formalmente Basilea 2 entra in vigore il 1° gennaio 2007 ma con possibilità di proroga (della quale
hanno beneficiato quasi tutte le banche) al 1° gennaio 2008. Nella fase iniziale si è applicato il solo
Approccio Standardizzato (banche di dimensione medio-bassa). Nel corso del 2008 la Banca d’Italia
ha iniziato ad autorizzare alcuni grandi gruppi bancari italiani all’utilizzo dell’Approccio Avanzato.
La regola dei coefficienti viene modificata e viene data la possibilità alle banche di poter scegliere
di adottare due approcci.
Metodologie dal grado di complessità crescente:
1. Approccio standardizzato (rating esterno)
2. Approccio a rating interni: § Approccio di base § Approccio avanzato
- Rischio di mercato (copertura con Tier 3): invariato. Il rischio di perdita sulle posizioni di trading,
di negoziazione in valori mobiliari. L’autorità dà la possibilità di adottare qualunque metodologia,
quindi l’approccio viene mantenuto tale.
- Rischio operativo: introdotte nuove regole per questa nuova tipologia. È una categoria residuale,
perché si fa riferimento a varie categorie di rischi non riconducibili a variabili di mercato (che
hanno in sé dinamiche che possono essere previste). Il rischio operativo è un fenomeno che si
verifica senza alcuna possibilità di essere previsto. È una categoria residuale per cui è richiesta la
copertura del patrimonio di vigilanza. Quindi il patrimonio deve coprire rischio di credito, di
mercato e operativo.
Nuovo requisito patrimoniale a fronte dei rischi operativi. Tale requisito è motivato dalla crescente
importanza di tale tipologia di rischio conseguente allo sviluppo di attività diverse da quelle
tradizionali.
29
categoria di rating, in base alla tipologia considerata, vengono determinati i coefficienti di
ponderazione, la cui estensione e gamma è molto più estesa rispetto alla precedente. Le
percentuali vanno poi moltiplicate per l’esposizione in modo tale da ottenere gli asset ponderati
per il rischio.
C!:. D;E.
∑ !GG;D;G!H I :J>;
≥ 8%
! ! !
Perché rating esterno? Perché la banca può dotarsi della valutazione di agenzie esterne (ECAI). La
banca può dotarsi anche di valutazioni differenti, senza però fare il rating shopping, ovvero vedere
quale rating delle varie agenzie è più conveniente (ponderazione più bassa) e usare quella: non
sono ammessi arbitraggi.
–I rating esterni utilizzati nell’approccio standard sono forniti dagli ECAI (external credit
assessment institutions), ossia agenzie di rating riconosciute dalle Autorità.
– Tali “fornitori di rating” devono soddisfare una serie di requisiti, riguardanti in particolare la
trasparenza e l’omogeneità dei criteri adottati.
– Una banca, inoltre, potrà utilizzare rating provenienti da più fonti, evitando tuttavia
comportamenti opportunistici (ad esempio scegliere, per ogni cliente, l’agenzia che assegna il
rating più elevato, così da ridurre il requisito patrimoniale totale).
– A rating migliori corrispondono pesi più leggeri nel calcolo del Patrimonio di Vigilanza. Inoltre i
pesi sono diversi per diverse categorie di controparti (privati, Stati, banche, mutui prima casa, …)
Nella metodologia basata sui rating interni: le attività ponderate per il rischio sono determinate a
partire dai dati interni dell’intermediario sulle perdite effettivamente sostenute, stimando la
perdita attesa EL.
Sono previsti due approcci: a) Approccio di base; b) Approccio avanzato.
30
vigilanza. Approccio avanzato: l’intermediario le stima con previsione di procedure da validare
dalla stessa autorità di vigilanza affinchè l’approccio sia giudicato come idoneo alla quantificazione
del profilo di rischio e del patrimonio di vigilanza a seguito di perdite non solo attese, ma anche
inattese, che possono variare. Il concetto di perdita inattesa fa innovare la definizione della regola
dell’8%. Coefficiente dell’8% viene sostituito da un altro, maggiore o minore, a seconda di una
formula che l’autorità mette a disposizione e richiede la quantificazione delle variabili della tabella.
Il coefficiente va a diversificare la richiesta di patrimonio, rendendo più moderno l’approccio
rispetto a one size fits all.
LGD = Loss Given Default. Mi dice quale è la percentuale di perdita che mi aspetto nel caso in cui il
mio soggetto vada in default.
EAD = Exposure at Default. È la dimensione monetaria dell’esposizione a rischio.
M = Maturity. Scadenza. Non entra nel calcolo della perdita attesa, ma nel calcolo della perdita
inattesa.
BASILEA 3: 3 strumenti
Nel sistema bancario, in particolare nell’area euro, c’erano problematiche soprattutto riguardo la
stabilità, che viene meno per diverse banche portandone alla dissoluzione.
Motivi: 1) elevata leva finanziaria, quindi cap terzi > cap proprio. 2) crisi di liquidità. 3) le regole
vigenti allora di definizione di patrimonio di vigilanza: nel momento della copertura delle perdite
con il patrimonio, quegli elementi che erano stati computati si erano rivelati insufficienti per
ripianare le perdite.
In seguito alla crisi dei sistemi finanziari, sono state apportate modifiche agli accordi di Basilea 2,
che nella UE sono in vigore dal 1° gennaio 2014, sulla base della Capital Requirements Directive IV
(CRD IV) e del Capital Requirements Regulation (CRR), con riguardo a:
1. Nuova definizione di capitale e rafforzamento patrimoniale: ridefinizione del patrimonio di
vigilanza con l’obiettivo di innalzare la qualità di base
2. Contenimento del grado di leva finanziaria: imposizione di leva finanziaria massima
3. Gestione del rischio di liquidità
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- Introduzione dello Small and medium enterprises supporting factor (SME SF), norma specifica a
beneficio delle PMI, ossia di un coefficiente di ponderazione, pari a 0,7619, finalizzato alla
riduzione dei requisiti patrimoniali derivanti dal rischio di credito assunto nei confronti di piccole e
medie imprese, a patto che l’esposizione della banca verso la PMI e le società ad essa collegate sia
inferiore a 1,5 milioni di euro e non sia in default.
requisito patrimoniale vs. PMI = SME SF × requisito patrimoniale standard
=0,7619
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Net stable funding ratio: segnala eventuali squilibri strutturali tra passivo e attivo, confrontando le
fonti di provvista stabili (quindi con scadenza oltre l’anno e quelle entro l’anno ma ritenute stabili)
con le attività meno liquide. Bilancio equilibrato dal punto di vista della struttura patrimoniale.
In linea teorica: le risorse stabili, quindi sul lato del passivo, siano equilibrate rispetto l’attivo.
NSFR prevede che il funding sia sufficientemente stabile a copertura degli investimenti previsti, i
quali devono essere valutati in baso al grado di illiquidità. Da una parte stabilità del funding,
dall’altra grado di illiquidità dell’attivo.
NSFR = funding netto stabile /attività illiquide >= 100%
Nel calcolo dell’NSFR attività e passività sono ponderate (coefficiente di ponderazione) per il loro
grado di stabilità.
Il numeratore deve essere sufficiente almeno a copertura degli impieghi, valutati in base al grado
di illiquidità attraverso il meccanismo dei coefficienti di ponderazione. Questi coefficienti crescono
al crescere dell’illiquidità. La somma ponderata degli attivi va a determinare il denominatore.
Gli intermediari finanziari sono i soggetti, diversi dalle banche, che esercitano la concessione di
finanziamenti, sotto qualsiasi forma (incluso il rilascio di garanzie), in via professionale nei
confronti del pubblico. Gli intermediari finanziari possono inoltre:
a) emettere moneta elettronica e prestare servizi di pagamento;
b) prestare servizi di investimento;
c) esercitare le altre attività a loro eventualmente consentite dalla legge e le attività connesse o
strumentali.
N.B. La disciplina degli intermediari finanziari non è armonizzata a livello europeo e pertanto non è
consentito il mutuo riconoscimento in ambito UE. Sono sottoposti alla vigilanza da parte della
Banca d’Italia.
Con la pubblicazione degli "Albi ed elenchi di vigilanza" la Banca d'Italia ottempera agli obblighi
informativi nei confronti del pubblico previsti dai Testi Unici in materia di intermediazione
bancaria e finanziaria. Tali obblighi discendono dai compiti di supervisione assegnati dalla legge
alla Banca d'Italia sulle banche e sugli intermediari finanziari.
Per poter operare devono essere inseriti negli albi tenuti dall’autorità di vigilanza che provvede
attività di controllo.
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L’esercizio di attività bancaria o finanziaria in mancanza delle autorizzazioni/iscrizioni ai pertinenti
albi previste dalla legge è sanzionato penalmente.
Chiarimenti
RISCHIO DI CREDITO à Con il nuovo assetto, Basilea 2, ci sono due possibili schemi: a rating
esterno, a rating interno.
RATING ESTERNO: il sistema è esattamente analogo a quello previgente, con i coefficienti di
ponderazione, c’è ancora la regola dell’8%. Cambia la gamma dei coefficienti: prima ne avevamo
essenzialmente quattro con Basilea 1, qui abbiamo diverse categorie per ognuna delle quali c’è la
diversificazione rispetto al rating. Il rating è un giudizio di rischio attribuito da una agenzia esterna.
La banca d’Italia ha previsto che non tutte le agenzie esterne possano emettere una valutazione
sui clienti di una banca per l’applicazione dei coefficienti di ponderazione, ma solo coloro che sono
riconosciute come ECAI. È un albo detenuto dall’autorità. Chi vuole proporsi come agenzia per
fornire una valutazione sul merito di credito fa richiesta alla banca d’Italia. Si parla di rating
esterno per questo motivo, perché una banca chiede ad un’agenzia esterna fra quelle inserite
nell’elenco ECAI della banca d’Italia di valutare la propria clientela.
RATING INTERNO: non c’è la regola dell’8%, o meglio l’8% viene abbandonato e viene determinato
un coefficiente che può essere maggiore o minore dell’8%. Questo k è il risultato di una formula
molto complicata i cui ingredienti sono: PD, LGD, EAD, M.
Si tratta di capire qual è il coefficiente per determinare il patrimonio minimo relativamente alle
varie esposizioni. La banca d’Italia fornisce una formula complessa. La banca che adotta
l’approccio a rating interno: non prende i rating di una società esterna, fa da sé la valutazione,
determinando il rischio della propria clientela e applicando la formula per la determinazione del
coefficiente patrimoniale.
PD: probabilità di insolvenza (sostanzialmente è un numero che sta accanto al rating, es. AAA à
PD quasi 0, B ha PD significativa intorno al 20%). La valutazione della PD è la probabilità che il
cliente vada in una situazione di insolvenza su un orizzonte temporale tipicamente posto ad un
anno. Quindi con il meccanismo a rating interno le banche stimano internamente il rating, che poi
si traduce in un numero, una %, probabilità che varia tra 0 e 1.
LGD: è una percentuale. Mi dice la perdita nel caso in cui si verifichi il default.
EAD: è l’esposizione a rischio, è sostanzialmente quanto ho prestato.
M: scadenza.
Mettendo questi ingredienti nella formula, risulta un coefficiente k che sostituisce l’8%.
In PD entra il rischio di credito in senso stretto, in LGD entra il ruolo delle garanzie (per recuperare
il credito concesso), EAD è relativo ad alcune forme tecniche che potrebbero richiedere una stima
effettiva per alcuni impieghi specifici, la scadenza M coincide con il concetto di duration che
vedremo coi bond come strumento finanziario.
EL = PD x LGD x EAD (M è sottinteso pari ad 1)
Gli ingredienti descritti quantificano la perdita attesa. La perdita attesa è un concetto preliminare
alla determinazione del coefficiente patrimoniale k. EL è la quantificazione in euro di quanto mi
aspetto potrei perdere, è l’aspettativa.
All’interno dell’approccio a rating interno ci sono due opzioni:
1) approccio di base: la banca si preoccupa solo della stima della probabilità di insolvenza, perché
gli altri valori sono predeterminati secondo alcune regole dalla banca d’Italia;
2) approccio avanzato: prevede che la banca stimi PD, LGD, EAD, M.
Questo coefficiente patrimoniale k parte dal concetto di perdita attesa, che richiama questi
quattro ingredienti, e li utilizza per determinare un coefficiente k che sostituisce l’8% in grado di
coprire le perdite inattese, che possono essere maggiori rispetto alle perdite attese EL. Il
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coefficiente è determinato con quella formula complessa nell’obiettivo di coprire le perdite, che
possono essere anche molto più elevate rispetto perdita attesa, con il patrimonio di vigilanza.
Questo perché la perdita attesa trova copertura con gli accantonamenti perdite su crediti (le
banche adottano come base di partenza la formula di EL per quantificare l’ammontare degli
accantonamenti a perdite su crediti).
- Protezione investitori
Forte modifica che sul mercato europeo stravolge il rapporto tra investitori e intermediari
mobiliari, perché secondo la direttiva si prevede una classificazione preventiva della clientela.
- Classificazione clienti: al dettaglio/professionali/controparti qualificate
(sottoinsieme dei professionali) in base alla dimensione del patrimonio oggetto dello scambio in
valori mobiliari, al grado di esperienza, conoscenze e competenze necessarie a assumere decisioni
e valutare rischi. Questa classificazione è funzionale agli obblighi di informativa differenziati in
base alla classificazione della clientela.
- Obblighi di informativa: differenziati per tipologia di investitore (clienti al dettaglio, clienti
professionali e controparti qualificate) e per servizio di investimento (minori per mera esecuzione
ordini). Rispondere a 3 principi:
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v Adeguatezza (il servizio di investimento deve essere modulato in base ad obiettivi di
investimento, conoscenze/competenze, situazione finanziaria) per servizi di consulenza e
gestione di portafogli
v Appropriatezza (conoscenza/esperienza) per servizi diversi da consulenza e gestione di
portafogli (no execution only su iniziativa del cliente)
v Inducement (incentivi degli altri intermediari). Spesso un intermediario mobiliare si affida ad
altri intermediari per collocare prodotti di investimento, e questa rete distributiva viene
regolata da alcuni incentivi riconosciuti agli altri intermediari che vanno a comporre la catena
dei contatti che si conclude con il cliente, il quale compra i prodotti. Incentivi che devono
essere resi noti al cliente (resi noti nell’informativa).
-Vigilanza
Nuove norme per meglio coordinare i rapporti tra Banca d’Italia e CONSOB.
-Coordinamento tra Bankit e CONSOB con ripartizione di tipo funzionale: La BdI si occupa della
vigilanza con obiettivo la stabilità degli intermediari, di contenimento del rischio, stabilità e sana e
prudente gestione degli intermediari. La CONSOB è competente per la trasparenza e la correttezza
dei comportamenti degli intermediari, strumenti e servizi di investimento.
2009: Direttiva Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities (UCITS IV) sugli
Organismi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari aperti (OICVM)
Seconda direttiva: UCITS IV
Viene riformata, armonizzata tutta la normativa europea relativamente ad organismi di
investimento collettivo in valori mobiliari c.d. aperti (OICVM). L’obiettivo era di creare un mercato
europeo interno maggiormente integrato, c.d. armonizzato dando la possibilità a società che si
occupano della gestione del risparmio (SGR) di poter muoversi liberamente in ambito europeo.
Approvata dal Parlamento Europeo il 13 gennaio 2009 ed entrata in vigore il 1° luglio 2011
(definitivamente recepita dall’Italia in data 9 maggio 2012), pone le basi per la creazione di un
mercato interno caratterizzato da una maggiore integrazione ed efficienza:
• Introdotto il Passaporto unico del gestore: autorizzazione unica consente ai fondi comuni
autorizzati in uno Stato Membro di essere gestiti da una SGR insediata in un altro Stato
Membro e da questo autorizzata, purché siano soddisfatti alcuni requisiti. Dovrebbe garantire
maggiore concorrenza e minori costi.
• Vigilanza prudenziale: le SGR sono soggette alla vigilanza e alle norme in materia di
organizzazione dello Stato Membro di origine, e devono osservare le norme dello Stato
ospitante relativamente a costituzione e funzionamento degli OICVM. Operano in regime di
home country control secondo i principi della libertà di stabilimento e della libera prestazione
di servizi.
• Armonizzazione procedure di fusione: per favorire fusioni transfrontaliere
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• Disciplina delle strutture master-feeder: per consentire a un OICVM di investire parte o tutto il
proprio patrimonio in un altro fondo
• Tutela degli investitori: key investor information, documento che contiene le informazioni
essenziali su costi e profili di rischio che i potenziali investitori devono ricevere prima della
sottoscrizione di un OICVM. [info su profilo di rischio e rendimento del prodotto/servizio, costi
che i sottoscrittori debbono sostenere acquistando il prodotto oggetto del contratto]
OICVM: Organismi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari aperti. Stiamo parlando di prodotti
di gestione del risparmio, non c’è la gestione di un unico patrimonio, ma è la gestione collettiva del
patrimonio di più risparmiatori che va ad etichettare il fondo comune (nel nostro immaginario). Il
patrimonio del singolo risparmiatore entra nell’insieme dei patrimoni singoli creando un
patrimonio collettivo che fa massa, gestito dalla società di gestione del risparmio, in mercati che
possono essere regolamentati.
Prodotto di investimento collettivo, un fondo che investe in mercati regolamentati ed è un fondo
aperto (possibilità di acquistare e vendere le quote di patrimonio. NB: la parte del singolo
risparmiatore acquistata prende il nome di quota, che viene investita in valori mobiliari es. azioni,
obbligazioni). Tutti i risparmiatori hanno una stessa performance, che deriva dall’abilità della
società di gestione del risparmio nell’investire e nella selezione delle asset class migliori e della
composizione dei titoli che ne fanno parte.
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Sono quindi previste delle regole per le c.d. banche depositarie. Esse sono depositarie dei valori
mobiliari acquistati dalla società di gestione del risparmio. per capire, quando si parla di fondo
comune di investimento, indichiamo 3 soggetti: gestore (è la SGR), banca depositaria (custodisce i
valori mobiliari acquistati e valorizza gli strumenti finanziari acquistati, dando valore alla quota
unitaria del fondo comune), fondo comune (patrimonio raccolto presso i risparmiatori).
Quindi: regole di maggiore trasparenza relativamente alla banca depositaria, politiche retributive
imponendo dei vincoli, e anche regolando le sanzioni amministrative per i gestori che sono quasi
automatizzate. L’obiettivo è un po’ la disciplina del mercato già richiamata per le banche: fare in
modo che i gestori siano consapevoli del fatto che se si comportano in modo inappropriato
subiscono delle sanzioni che sono automatizzate, quindi il rischio di reputazione tende ad
incentivarli ad essere il più responsabili possibile adottando regole trasparenti e omogenee
rispetto la disciplina normativa.
Adottata il 23 luglio 2014 ed entrata in vigore il 1°gennaio 2017, si focalizza sui conflitti d’interesse
presenti nella gestione del risparmio in monte:
• Banca depositaria: solo le banche e le banche centrali dell’UE possono detenere in custodia, in
conti rigorosamente separati dai propri, le attività finanziarie degli OICVM. È inoltre limitata la
possibilità di delegare l’attività a banche sub-depositarie (no trasferimento responsabilità per
perdita di asset).
• Politiche retributive: devono essere pubblicate nella relazione annuale. I gestori di fondi
potranno ancora percepire commissioni di incentivo, ma tra il 40% e il 60% della loro
retribuzione variabile deve essere differita nel tempo, per evitare politiche speculative di breve
termine volte solo a massimizzare il ricavo commissionale. Inoltre, il 50% della retribuzione
variabile deve essere pagata ai gestori in quote dell’OICVM, legando pertanto il loro profitto a
quello dei sottoscrittori.
• Sanzioni e rischio reputazionale: le sanzioni amministrative minime di cui devono disporre i
supervisori sono armonizzate a livello europeo. La gestione del rischio reputazionale diviene
cruciale per i gestori, anche a causa della maggiore pubblicità prevista per le eventuali sanzioni
(pubblicazione delle sanzioni amministrative sul sito web delle autorità competenti per almeno
5 anni).
2018: Direttiva Markets in Financial Instruments Directive II (MiFID II). Regolamento UE 600/2014
(“Regolamento MiFIR”).
Oggetti:
1) regolamentazione dell’attività di trading algoritmico. In tempi recenti, gli operatori di mercato
dell’asset management innestano dei trading algoritmici ovvero con una serie di info percepite da
programmi software vengono lanciati ordini di acquisti e vendita con una velocità e una
numerosità potenziata rispetto all’operatore fisico che deve scegliere e lanciare l’ordine. La
macchina, l’algoritmo segue una certa strategia di investimento. È un approccio quantitativo agli
investimenti portato a livelli massimi. Problemi: la macchina, che gestisce l’investimento, in taluni
casi può andare in direzioni errate.
2) previsione di queste piattaforme (transizione negoziali) chiamate OTF. Non si parla ancora di
mercato regolamentato in senso stretto, ma c’è un minimo di regolamentazione, perché è previsto
sotto la direzione dell’ESMA (NB: è authority di vigilanza europea che si occupa dei mercati
finanziari) di far transitare alcune negoziazioni, specie di strumenti derivati e prodotti strutturati,
che venivano negoziati nei c.d. segmenti OTC (quindi in negoziazioni essenzialmente bilaterali in
cui non c’erano regole); quindi gran parte dell’opacità informativa si portava dietro potenziali
rischi sistemici. Si decide quindi di far transitare buona parte di alcune negoziazioni di derivati in
questa piattaforma chiamata OTF dove è garantita un minimo di trasparenza.
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Direttiva che aggiorna e sostituisce la MiFID. È stata emanata nel 2014 ed è entrata in vigore il 3
gennaio del 2018.
3) È incentivata e attivata una piattaforma per agevolare la crescita delle PMI. Parliamo di un
trading venue, cioè un luogo negoziale con contenuti informativi minimali e quindi un minimo di
trasparenza; è una piattaforma negoziale multilaterale, con informative minimali.
1) Trading algoritmico: le imprese di investimento che ne facciano uso dovranno fornire alla
competente autorità nazionale (CONSOB nel nostro caso), con cadenza almeno annuale, una
descrizione: delle strategie di trading adottate; dei parametri di negoziazione o dei limiti del
sistema di trading; dei sistemi di controllo utilizzati per assicurare un ordinato svolgimento
delle negoziazioni al fine di prevenire l’invio di ordini errati o di brusche reazioni dei mercati
(es. flash crash del 06/05/2010).
2) Organised Trading Facilities (OTF): transizione delle negoziazioni attualmente OTC di
obbligazioni, prodotti strutturati e derivati (soggetti a regolamenti standardizzati e che siano
sufficientemente liquidi, sulla base di valutazioni dell’ESMA), verso mercati regolamentati,
sistemi multilaterali di negoziazione (MTF) oppure sistemi organizzati di negoziazione (OTF).
3) Mercati di crescita per le PMI: multilateral trading facility (MTF) sulle quali sono scambiati
strumenti finanziari emessi da piccole e medie imprese (capitalizzazione < 100 mln di €).
Saranno autorizzati da parte delle autorità nazionali, mentre l’ESMA ne curerà solamente la
pubblicazione dell’elenco comunitario.
4) Trasparenza e integrità dei mercati: per contrastare la frammentazione informativa derivante
dalla fine dell’obbligo di concentrazione degli scambi, sono previsti: (i) notifica alle autorità
nazionali di tutte le operazioni in strumenti finanziari; (ii) sistema di cooperazione e scambio di
informazioni tra piattaforme MTF e OTF.
5) Imprese di investimento extracomunitarie: se operano solo con controparti qualificate, è
sufficiente l’iscrizione, previa verifica dei requisiti, in un registro tenuto dall’ESMA.
6) Consulenza finanziaria:
• viene introdotta la consulenza su base indipendente. Importante perché prima della MIFID II
i consulenti finanziari facevano riferimento ad una casa madre. Viene istituito il ruolo del
consulente indipendente, che può in modo autonomo offrire alla clientela prodotti che non
necessariamente devono essere della casa madre;
• consulenti finanziari autonomi e società di consulenza finanziaria potranno operare fuori
sede;
• Passaggio di competenze Consob → Organismo Unico di Vigilanza e Tenuta dell’Albo dei
consulenti finanziari (OCF, art. 31 TUF, Legge di stabilità 2016). Nel senso che la Consob deve
detenere e vigilare l’albo dei consulenti finanziari.
7) Protezione investitori: valutazione adeguatezza degli strumenti offerti al cliente sulla base del
profilo del cliente, quindi in base a:
• le sue conoscenze ed esperienze in materia di investimenti riguardo al tipo di specifico di
prodotto o servizio;
• la sua situazione finanziaria, tra cui la capacità di sostenere eventuali perdite;
• i suoi obiettivi di investimento, inclusa la tolleranza al rischio
8) Trasparenza su costi e commissioni: mediante l’innalzamento degli obblighi informativi in tema
di trasparenza di costi e oneri connessi ai servizi di investimento o accessori
9) Incentivi (inducement, cioè meccanismo di incentivazione e remunerazione di tutta la catena
distributiva dei prodotti e servizi che devono essere resi noti): sono richiesti elementi più
rigorosi per dimostrare e soddisfare il requisito dell’innalzamento della qualità del servizio, che
è alla base dell’incentivo che le case prodotto corrispondono ai distributori, e che dovrà essere
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considerato come facente parte del costo del servizio chiaramente indicato nella informativa
ex ante ed ex post che dovrà essere resa al cliente.
Questa trasparenza permette ai clienti di capire se alcuni prodotti offerti possano essere
considerati una scelta efficiente o no. Infatti, la banca è legata da una relazione di incentivi con
la casa produttrice di prodotti. Il cliente può valutare se è opportuno l’acquisto del prodotto e
se quindi sia una scelta efficiente (può capitare che la banca sia indotta ad offrire certi
prodotti/servizi perché può beneficiare di incentivi).
10) Product governance: volta a stabilire con chiarezza che ci sono prodotti finanziari
esplicitamente indicati per alcuni investitori e non per altri. Obiettivo della normativa è quello
di porre un freno alla pratica del misselling, la vendita di prodotti non conformi alla
propensione al rischio o agli obiettivi di investimento del cliente. È quindi introdotto un
aspetto di regolamentazione in termini di governance del prodotto e servizio offerto, cioè
regole che stabiliscano precisamente quando un prodotto non è adeguato e quindi vada a
regolare la pratica del “misselling”, cioè la vendita inopportuna (es. assicurazione o un
prodotto che ha una scadenza molto protratta nel tempo a soggetti investitori con un’età
molto avanzata).
TESTO UNICO DELLA FINANZA (TUF) DL 24 febbraio 1998, n.58 à è il decreto Draghi
È suddiviso in 3 parti.
1) La disciplina degli intermediari (artt. 5-60). Intermediari che si occupano di intermediazione
mobiliare.
- servizi di investimento à soggetti e autorizzazione, svolgimento dei servizi, offerta fuori sede
- gestione collettiva del risparmio à soggetti autorizzati, fondi comuni (OICVM, FIA), SICAV e
SICAF
Differenza: 1° la gestione è individuale e relativa al patrimonio di un singolo risparmiatore. 2°
collettiva, fa riferimento ad una moltitudine di risparmiatori.
2) La disciplina dei mercati (artt. 61-90)
- mercati regolamentati
- altri sistemi di negoziazione (trading venue)
- gestione accentrata di strumenti finanziari
3) La disciplina degli emittenti (artt. 91-165)
- Appello al pubblico risparmio à disciplina dell’OPA/OPSC, disciplina dell’OPA, obbligatoria
- Disciplina degli emittenti quotati
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- Contratti Futures (sottostante reale e finanziario). Un acquisto o vendita a termine; prezzo
predeterminato. I future sono dei contratti a termine con cui le parti si obbligano ad
acquistare o vendere alla scadenza una certa quantità di attività finanziarie a un prezzo
prefissato.
- Contratti Swap. Swap = scambio di flussi finanziari parametrati a tassi di interesse
differenti. ES: pago ad un intermediario il 5% fisso (tasso swap) ad ogni semestre su un
valore di riferimento, ed allo stesso tempo ad ogni periodicità incasso un tasso variabile.
- Contratti d’opzione (sottostante reale e finanziario). Le opzioni sono dei contratti a
termine che non implicano un obbligo, ma soltanto la facoltà/il diritto di acquistare o
vendere alla scadenza un certo quantitativo dell’attività finanziaria sottostante a un dato
prezzo stabilito.
- Contratti a termine (sottostante reale e finanziario). Contratti che prevedono la chiusura
del contratto in un momento successivo rispetto la stipula, acquistare e vendere al
termine. Differenza con il Future: future negoziato in un mercato regolamentato.
- Strumenti per il trasferimento del rischio di credito. Sono come delle assicurazioni contro il
rischio di insolvenza. Parliamo dei credit default swap, che costituiscono delle assicurazioni
contro il rischio di insolvenza di un ente emittente.
- Contratti finanziari differenziali. Si identifica una attività finanziaria sottostante, ad
esempio su cambi, fai la differenza tra prezzo di vendita e di acquisto e riscuoti/paghi la
differenza.
L’esercizio professionale dei servizi e delle attività di investimento è riservato (riserva di legge) a:
a) imprese di investimento, ovvero le Società di Intermediazione Mobiliare (SIM);
b) Banche.
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SERVIZI ACCESSORI (complementari ai servizi di investimento)
Sono attività che non sono riservate agli intermediari abilitati ai servizi di investimento, quindi
possono essere svolte anche da altri operatori. Sono:
-Custodia e amministrazione di strumenti finanziari
-Concessione di finanziamenti agli investitori per consentire loro un’operazione relativa a
strumenti finanziari nella quale interviene l’impresa che concede il finanziamento (pronti contro
termine, riporto…)
-Consulenza alle imprese in materia di struttura finanziaria e questioni connesse, strategia
industriale e questioni connesse, operazioni di fusione ed acquisizione
-Servizio di cambio se legato alla fornitura di servizi di investimento
-Ricerca in materia di investimenti, l’analisi finanziaria o altre forme di raccomandazione generale
riguardanti operazioni relative a strumenti finanziari
-Servizi connessi con l’assunzione a fermo
-Servizi e attività collegati agli strumenti derivati, se legati alla prestazione di servizi di
investimento o accessori
FIA: fondi alternativi di investimento. Aperti o chiusi. Aperti (FCI e SICAV): possono essere
sottoscritte le quote o le azioni in ogni istante, puoi entrare o uscire dall’investimento in ogni
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istante. Chiusi (FCI e SICAF): è prevista la sottoscrizione solo in momenti precisi e al termine del
fondo è possibile la liquidazione.
GLI INTERMEDIARI
SIM, BANCHE à servizi e attività di investimento, servizi accessori, attività connesse: (vogliono
promuovere/sviluppare l’attività principale), attività strumentali (hanno carattere ausiliario
rispetto all’attività principale (studio, ricerca analisi in materia economico finanziaria...)
SGR à servizio di gestione collettiva del risparmio in senso lato (riservata solo a SGR)
Servizio di gestione patrimoniale su base individuale per conto terzi
Istituzione e gestione di fondi pensione
Attività connesse e strumentali, servizi accessori
SICAV, SICAF à Investimento del patrimonio raccolto mediante offerta al pubblico di azioni di
propria emissione.
NB: quando si parla di SGR, alla base vi è una struttura triangolare: 1. Il FCI (patrimonio raccolto
dal pubblico risparmio) 2. SGR (ha un suo patrimonio distinto e che gestisce quello del FCI) 3.
Banca depositaria. SGR e FCI sono uniti con SICAV e SICAF. Nel caso SICAF il capitale è variabile nel
senso che si può entrare ed uscire attraverso l’acquisto delle azioni in ogni istante; con le SICAF no.
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LE AUTORITÀ DI VIGILANZA
La Banca d’Italia e la Consob esercitano in modo coordinato le proprie funzioni in modo da ridurre
al minimo gli oneri gravanti sui soggetti vigilati. Vi è ripartizione dei compiti.
Banca d’Italia: contenimento del rischio per garantire la stabilità di intermediari e mercati e che gli
intermediari adottino delle pratiche tali da garantire una sana e prudente gestione.
Consob: trasparenza e correttezza dei comportamenti rispetto alla disciplina vigente.
6. I MERCATI FINANZIARI
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• La negoziazione dei prezzi avviene su base bilaterale (es. fissazione del tasso nel mutuo è spesso
frutto di una negoziazione tra banca e cliente). Il prezzo (frutto di negoziazione bilaterale) non ha
un valore segnaletico né è fornita informazione trasparente al riguardo.
• Il livello di liquidità è basso (perché la negoziabilità degli strumenti è molto limitata) o nullo.
[Esempio del mutuo: rimando al tema della cartolarizzazione. Esempio di innovazione finanziaria
perché i mutui nascono come strumento finanziario non trasferibile, quindi il mercato creditizio è
il luogo negoziale per gli scambi su questo strumento. Ma l’innovazione finanziaria ha portato ad
una operazione di trasformazione in strumenti negoziabili: i mutui vengono ceduti dalla banca ad
una società tecnicamente chiamata società veicolo che li impacchetta, e su questo pacchetto
omogeneo di mutui emette a sua volta un titolo obbligazionario il cui profilo finanziario (il
rendimento associato) è legato ai flussi originali dei mutui che sono stati ceduti e cartolarizzati.
Questo è il tipico caso di un mercato che in origine era nullo per quanto concerneva la liquidità ma
poi è diventato liquido con questa innovazione].
Mercati mobiliari
• Il rapporto fra controparti è poco personalizzato (gli strumenti finanziari trasferibili tendono ad
essere standardizzati per favorire la circolazione).
• Il prezzo è frutto di un clearing multilaterale. È una sorta di incrocio multilaterale, dove da una
parte ci sono delle proposte di acquisto, da un’altra quelle di vendita, e secondo alcune regole si
vanno ad incrociare, determinando il prezzo. Ha quindi valore segnaletico, per prenditori di fondi e
per investitori. Questo si lega all’efficienza in senso informativo dei mercati, che transita sulla
capacità dei prezzi a contenere un set informativo che può estendersi fino a diventare completo in
linea teorica. Il livello di trasparenza è elevato.
• Il livello di liquidità è più elevato. È esistente un c.d. mercato secondario, che si tratta della parte
di scambi che avviene in un momento successivo alla prima emissione.
2^ classificazione dei mercati: in base alla durata dello strumento, scadenza. Questa classificazione
fa leva anche sulla funzione assolta dai mercati monetari e dei capitali.
- monetari: insieme degli scambi su strumenti finanziari di durata breve (inferiore a 12 mesi)
- dei capitali: insieme degli scambi su strumenti finanziari di durata medio/lunga (superiore a
12 mesi)
Mercato monetario: consente di ottimizzare la gestione della liquidità. Risponde ad esigenze di
riequilibrare le posizioni di liquidità degli operatori, ovvero operatori con necessità di raccogliere
risorse liquide e operatori che hanno necessità di impiegare per breve tempo un’eccedenza di
liquidità. Su questo mercato: strumenti finanziari per rispondere a queste esigenze.
Mercato dei capitali: viene utilizzato per il finanziamento di investimenti di durata non breve.
Strumenti finanziari con obiettivi da una parte (soggetti emittenti) la raccolta di risorse finanziarie
a lungo termine per finanziare investimenti a lungo termine, dall’altra parte chi investe a lungo
termine.
Spesso questa distinzione, almeno dal punto di vista funzionale, non viene rispettata perché sul
mercato dei capitali abbiamo imprese che finanziano investimenti a durata lunga con prestiti di
breve durata, ricorrendo al mercato monetario; non vi è corrispondenza biunivoca tra questa
classificazione e la precedente perché sul mercato monetario e sul mercato dei capitali sono
negoziati sia strumenti trasferibili sia strumenti non trasferibili. ES. il mercato interbancario dei
depositi è un mercato monetario, anche se i depositi non sono trasferibili una volta emessi.
La distinzione in merito alle funzioni svolte non è sempre rispettata: es. imprese che finanziano
investimenti di durata non breve con prestiti di durata inferiore all’anno.
45
MERCATO MONETARIO: ha ruolo
importante. È una sorta di
termometro per misurare il rischio
di liquidità in un mercato
finanziario in senso lato. Operatori:
-MEF
-BCE, che coordina e decide la
politica monetaria. Si pone come
contropartita di una serie di scambi
con le banche della zona euro
attraverso acquisto o vendita di
titoli o altri titoli stanziabili per
certe operazioni, ad es. a garanzia
di finanziamento a breve. Ruolo:
alimentare la liquidità del mercato
monetario a contropartita delle
banche, andando a regolare la liquidità del sistema, tramite aumento o riduzione dell’offerta di
moneta acquistando o vendendo titoli emessi dai vari governi nazionali.
-banche
-FCI monetari: accedono alla negoziazione di strumenti a breve termine, questo soprattutto come
delega che i risparmiatori privati danno a questi operatori.
-grandi imprese: emettono strumenti di raccolta di risorse finanziarie a breve termine
-risparmiatori privati
Mercato obbligazionario: insieme degli scambi su titoli obbligazionari. Essi sono titoli di credito,
quindi il credito vantato nei confronti dell’ente emittente, o il debito che l’ente ha nei confronti
nell’investitore. Funzioni:
•Raccolta di risorse a titolo di capitale di debito, tendenzialmente (nel mercato dei capitali con
scadenza > 12M) per finanziare investimenti a lungo termine.
•Pricing dei titoli negoziati (segnalazione del rendimento richiesto) à funzione svolta come mkt az
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•Liquidità (e riduzione del rischio per i datori di fondi) à come sopra
Mercati:
- cash: Insieme di scambi aventi ad oggetto strumenti finanziari, in cui il regolamento segue
immediatamente la negoziazione (es. successivamente, quasi contestualmente, alla
negoziazione e all’acquisto di titoli azionari si procede al pagamento. L’operatività di borsa
ha un meccanismo di 3 giorni).
- dei derivati: 1) Insieme di scambi aventi ad oggetto strumenti finanziari, in cui il
regolamento, che può anche essere discrezionale, è successivo alla negoziazione, con le
regole predeterminate al lato della negoziazione.
2) Insieme di scambi aventi ad oggetto componenti di strumenti finanziari (es. coupon
stripping).
Mercati mobiliari:
- primari: Insieme degli scambi fra emittente dello strumento finanziario e primo acquirente.
(es. emissione di un titolo obbligazionario e la prima emissione, quindi il primo acquisto, va
ad alimentare il mercato primario; importante perché sul mercato primario c’è la raccolta
delle risorse finanziarie da parte dell’emittente).
- secondari: Insieme degli scambi fra investitori (trasferimenti dello strumento finanziario
fino alla scadenza). Il mercato secondario è conseguenza del grado di liquidità elevato del
mercato stesso, che permette di avere una serie di negoziazioni successive alla prima.
Quindi: emissione del titolo e raccolta di risorse finanziarie, poi il titolo viene scambiato
ripetutamente sul mercato secondario fino a scadenza. A scadenza il soggetto emittente
provvederà a rimborsarlo.
Altre trading venue (nb Mifid e eliminazione dell’obbligo di concentrazione sui mercati regolam.)
2 modalità di trading venue:
a) “Internalizzatori sistematici” (IS) (es.: RetLots Exchange, DDT, ecc.)
b) “Sistemi multilaterali di negoziazione” (es.: EuroTLX, Hi-MTF, e-MIDER, ecc.), noti anche come
"Multilateral trading facilities" (MTF)
• Sono sistemi di negoziazione rispettivamente bilaterali (IS) e multilaterali (MTF) il cui esercizio è
riservato ad imprese di investimento, banche e gestori di mercati regolamentati.
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• Prevedono procedure standardizzate e offrono garanzie di informazione e tutela degli investitori.
L’elenco è tenuto dalla Consob che rilascia l’autorizzazione a coloro che vogliono svolgere il ruolo
di IS e MTF. La distinzione tra i due sta nelle modalità di negoziazione, bilaterale/multilaterale.
OTF: • Soluzioni di transizione da mercati OTC a mercati regolamentati o altre trading venue
gestita da società mercato e imprese di investimento note anche come «Organized trading
facilities" (OTF), con un minimo di trasparenza con riferimento alle informazioni circa chi ci opera, i
volumi scambiati, le modalità di prezzo.
• Solo per obbligazioni e derivati
• Incrocio multilaterale anche discrezionale. Tipologia di negoziazione è su base multilaterale.
Mercati over the counter (OTC): Sono una fattispecie di mercati non regolamentati, caratterizzata
da minore formalizzazione e maggiore personalizzazione degli scambi che impediscono il
riferimento a uno schema organizzato di mercato.
Over the counter à “sul bancone”. Il cambia valute un tempo negoziava le valute in modo
personalizzata, senza regole standardizzate, senza modalità prestabilite circa la tipologia dello
strumento finanziario negoziato, la regola con cui si vengono a proporre acquisti e vendite,
operatori ammessi, modalità con cui si determina il prezzo.
MERCATI ORGANIZZATI: AUTORIZZAZIONE E CLASSIFICAZIONI
L’autorizzazione all’esercizio dei mercati regolamentati è data dalla CONSOB quando
simultaneamente:
a) sono soddisfatti i requisiti inerenti la costituzione della società di gestione (forma di spa e altre
caratteristiche)
b) il regolamento del mercato è conforme alla disciplina comunitaria (poi recepita anche a livello
nazionale dal TUF) e idoneo ad assicurare:
- trasparenza al mercato;
- ordinato svolgimento delle negoziazioni;
- tutela degli investitori.
CLASSIFICAZIONI dei MERCATI REGOLAMENTATI AUTORIZZATI DALLA CONSOB
1. Mercati regolamentati gestiti da Borsa Italiana SpA (MTA, MOT, MIV, IDEM ETFplus)
2. Mercati gestiti da MTS SpA: Mercato Telematico all’ingrosso dei Titoli di Stato (MTS iTALIA)
3. Mercati regolamentati comunitari e mercati regolamentati esteri riconosciuti in virtù di accordi
con autorità extracomunitarie.
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Un tempo la borsa era
pubblica, si privatizza
poi e si trasforma in
Borsa Italiana Spa. È una
società che deve dotarsi
di un regolamento,
rispondere ai criteri
richiesti dalla Consob in
forza del TUF.
Borsa Italiana Spa
gestisce mercati
regolamentati ma anche
altre trading venue.
GIALLO: mercati
regolamentati.
AZZURRO: altre trading
venue, dove nei riquadri
viene specificato le
tipologie delle piattaforme, perlopiù piattaforme multilaterali. Nella slide vi è una mappatura che
ci permette di guardare quali sono i mercati gestiti che sono organizzati per asset class, e quindi
tipologia di strumenti finanziari negoziati. BLU: asset class cioè la tipologia di strumenti finanziari
negoziati in mercati regolamentati ovvero piattaforme c.d. altre trading venue.
Nell’azionario i mercati regolamentati sono: mercato telematico delle azioni (MTA) dove sono
negoziati le azioni, i warrant (diritti che danno la possibilità di sottoscrivere azioni di nuova
emissione), diritti di opzione (diritti riconosciuti ai soci azionisti a sottoscrivere in via prioritaria
azioni di nuova emissione), obbligazioni convertibili (che nascono con l’opzione di essere
convertite in azioni); STAR (segmento titoli ad alti requisiti, che si riferisce ad azioni che hanno
certe caratteristiche di internazionalizzazione); MTA international; MIV, dove abbiamo la
negoziazione di quote di fondi di investimento alternativo. Derivati cartolarizzati: sono strumenti
finanziari che vanno a replicare il profilo finanziario di strumenti derivati, dal punto di vista
finanziario acquistare un derivato cartolarizzato è più semplice e ha un’assunzione di rischio
minore che comprarsi il derivato. ETP: abbiamo gli ETF suddivisi secondo varie tipologie; ETC, ETN
che sono titoli di debito che hanno una remunerazione indicizzata da alcuni parametri. Aspetto
importante degli ETP: rappresentano uno strumento finanziario c.d. indicizzato, ovvero il
rendimento di questi ETP con le varie declinazioni vanno replicare ad esempio un indice del
mercato azionario, può replicare il prezzo (es. prezzo del petrolio ETC). Mercato regolamentato dei
derivati, in Italia prende il nome di IDEM, che a sua volta si distingue in derivati sull’equity e i
derivati negoziati sono i futures sul FTSE MIB (che è un indice del mercato azionario), opzioni sul
FTSE MIB, futures e opzioni su singole azioni. Distinzione tra derivati negoziati su mercati
regolamentati e su mercati over the counter: sul primo le regole previste per la negoziazione, i
titoli sottostanti, la valorizzazione dei contratti, gli operatori che possono intervenire,
l’intermediario che interviene a garanzia dell’esecuzione de contratti, dà una sicurezza maggiore
rispetto a negoziazioni OTC; tutela maggiore rispetto a negoziazioni OTC. Comparto del reddito
fisso (obbligazioni): se voglio acquistare obbligazioni il mercato è il MOT, poi distinto a seconda
siano domestiche o eurobbligazioni. Conclusione: convivenza di mercati sia regolamentati che
blandamente regolamentati nella forma di altre trading venue. Borsa italiana spa ha gestione di
molti mercati.
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GLI INDICI DEL MERCATO AZIONARIO
Indice: è un numero che sintetizza l’andamento del mercato, o di una sua parte, nel suo
complesso. È una valorizzazione, una media dell’andamento dei titoli appartenenti a quel mercato.
Quindi a seconda del campione di riferimento, abbiamo differenti categorie di indici. I numeri
indice sono la metodologia usata nella valorizzazione degli indici del mercato azionario, e consente
di dare un numero all’andamento del mercato.
1. FTSE MIB: Media ponderata per il flottante (che è equivalente alla quantità di titoli
effettivamente oggetto di negoziazione) dei prezzi dei primi 40 titoli (anche esteri) in ordine di
flottante quotati sull’MTA e selezionati in base al settore di appartenenza, alla liquidità e al
flottante con lo scopo di replicare la rappresentazione settoriale dell’intero mercato. Ciascun
componente non può avere un peso superiore al 15% all’interno dell’indice. Essendo un numero
indice, fa riferimento ad un anno base: il FTSE MIB ha come anno base 1992, che ha un valore di
riferimento basato a 10 000 punti indice. È un indicatore che permette di calcolare le variazioni
giorno per giorno, anno per anno, per quantificare il rendimento del mercato azionario
2. FTSE Italia Mid Cap: Media ponderata per il flottante dei prezzi dei primi 60 titoli dell’MTA, per
capitalizzazione, dopo i 40 selezionati per l’indice FTSE MIB. Ciascun componente non può avere
un peso superiore al 10% all’interno dell’indice.
3. FTSE Italia Small Cap: Media ponderata per il flottante dei prezzi dei titoli non inclusi nell’FTSE
MIB o nel FTSE Italia Mid Cap. Le azioni incluse in questo indice devono superare una selezione
basata sulla loro liquidità e sulla percentuale di flottante. Ciascun componente non può avere un
peso superiore al 10% all’interno dell’indice.
4. FTSE Italia Micro Cap: Media ponderata per il flottante dei prezzi dei titoli non inclusi negli indici
precedenti, indipendentemente dal loro livello di flottante o liquidità. Ciascun componente non
può avere un peso superiore al 10% all’interno dell’indice.
5. FTSE Italia STAR: Media ponderata per il flottante dei prezzi di tutte le azioni quotate nel
segmento STAR del mercato MTA. Ciascun componente non può avere un peso superiore al 10%
all’interno dell’indice.
6. FTSE Italia All-Share: Media ponderata per il flottante dei prezzi di tutte le azioni incluse negli
indici FTSE MIB, FTSE Italia Mid Cap e FTSE Italia Small Cap. Non esiste alcun limite al peso di un
titolo nell’indice. È la media complessiva di tutti i titoli.
7. Indici settoriali: Medie ponderate per il flottante dei prezzi delle azioni dell’indice FTSE Italia All
Share suddivise secondo i settori ICB (Industry Classification Benchmark). Attualmente sono
suddivisi in: 10 “Industry”, 19 “Super Sector” e 36 “Sector”. Utili perché permettono di avere una
misura dell’andamento delle performance dei titoli appartenenti a specifici settori industriali (es.
bancario, assicurativo).
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MTS Corporate à È un mercato all’ingrosso su cui sono negoziate obbligazioni italiane ed estere,
ma di imprese anziché di emittenti governativi.
Internalizzatori sistematici à Sono gestiti da diversi gruppi bancari italiani e negoziano in
prevalenza obbligazioni bancarie. Sono trading venue, ovvero operatori bancari dove sono
negoziate tipicamente obbligazioni bancarie.
Efficienza allocativa à in relazione alla capacità del sistema di allocare le risorse disponibili fra i
richiedenti in base ai rendimenti attesi (per massimizzare l’utilità attesa dei soggetti che
intervengono negli scambi):
1. Non vi deve essere convenienza a procedere ad una riallocazione (si raggiunge un punto di
equilibrio tale per cui l’utilità attesa è massimizzata).
2. Mercati e intermediari sono perfettamente fungibili, nel senso che si può vendere direttamente
sul mercato o fare una sorta di passaggio intermedio e andare sugli intermediari, comunque
ottimizzando la funzione di utilità.
3. Il sistema dei prezzi svolge una funzione critica di triplice natura: allocativa – distributiva –
informativa. Allocativa: consente, tramite l’analisi sia del profilo di rendimento che di rischio, di
trovare delle soluzioni che permettono di massimizzare il rendimento atteso a parità di rischio.
Quindi è anche un concetto di distribuzione della ricchezza sul mercato finanziario. Informativa:
presupposto è che i prezzi riescano a svolgere questa funzione, quindi nell’allocativa è implicita
anche un’efficienza informativa.
4. Perché si realizzino condizioni di efficienza allocativa è necessario che:
a) si raggiungano condizioni di efficienza informativa
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b) tutte le unità economiche agiscano in modo razionale per ottimizzare la propria funzione di
utilità
Efficienza informativa (Fama, 1970) à in relazione alla capacità del sistema dei prezzi di
sintetizzare le informazioni. Quindi analizzando l’evoluzione del prezzo si può capire se il mercato
è efficiente in diversi gradi (infatti l’efficienza fa riferimento alla capacità di incorporare le
informazioni, quindi si può avere differenti gradi di set informativo contenuto nei prezzi):
1. efficienza debole: i prezzi incorporano soltanto informazioni di tipo storico, processando
informazioni del passato e facendo proiezioni future; non ci sono possibilità di conseguire extra-
profitti (rispetto a quanto il mercato già farà) utilizzando le informazioni storiche. Servono
informazioni superiori a quelle storiche.
2. efficienza semi-forte: i prezzi sintetizzano tutte le informazioni pubbliche (es. info contenute nei
giornali), oltre a quelle passate; non ci sono possibilità di conseguire extra-profitti (rispetto al
mercato) utilizzando le informazioni storiche e pubbliche (solo informazioni insider lo
consentono). Perché semi-forte: solo con informazioni private, insider, che non sono di pubblico
dominio, si possono conseguire extra profitti.
3. efficienza forte: i prezzi sono la risultante di tutte le informazioni disponibili; nemmeno
utilizzando tutto il set informativo (storiche, pubbliche, insider) ci sono possibilità di conseguire
extra-profitti. Il rendimento si allinea al mercato.
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A e B hanno per oggetto valori mobiliari. C può avere per oggetti valori mobiliari ma più
propriamente ci sono strumenti finanziari poco liquidi e difficilmente trasferibili o per nulla
trasferibili.
Gli scambi finanziari sono comunque costituiti da prestazioni monetarie di segno opposto e
distanziate nel tempo che si differenziano per: grado di incertezza e durata. L’incertezza è
strettamente dipendente dalla durata dello strumento finanziario: aumenta la durata, aumenta il
grado di incertezza. Alcuni scambi sono molto incerti (molto rischiosi), altri poco incerti. A parità di
condizioni, un investimento di breve durata è meno rischioso di uno di lunga durata.
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Il rapporto è diretto solo se c’è piena concordanza sulle modalità di distribuzione del rischio, in
caso contrario il mercato autonomamente realizza un volume di scambi inferiore al fabbisogno
complessivo. L’intermediario riesce a rispondere alle esigenze dei vari soggetti spezzando il
circuito diretto.
3) Asimmetrie informative
Presupposto
Gli investitori (soggetti in surplus) sono in svantaggio sul piano informativo rispetto ai prenditori
(soggetti in deficit), che conoscono rischio e redditività dei progetti da finanziare. Il prenditore ha
più informazioni rispetto alle informazioni che ha l’investitore: asimmetria informativa.
Anche l’emittente può non saper interpretare il mercato e stabilire correttamente i termini
dell’emissione. Quindi l’asimmetria informativa può svantaggiare lo stesso prenditore di fondi
quando trattasi di soggetto emittente che deve confrontarsi con il mercato.
Possono riscontrarsi 2 problematiche:
-Azzardo morale. Gli investitori subiscono il rischio di comportamenti opportunistici (moral hazard)
ex-ante ed ex-post (prima o durante lo scambio finanziario). Vuol dire che il prenditore di fondi
non ha reso note tutte le informazioni circa l’effettivo grado di rischiosità del progetto di
investimento, o le ha date, ma nel momento in cui riceve il finanziamento decide di usare le
risorse raccolte per progetti di investimento più rischiosi. Situazione di azzardo morale imputato al
prenditore a danno dell’investitore che può precedere la negoziazione o essere successiva alla
negoziazione.
-L’emittente può subire processi di selezione avversa. Esempio: mercato dei prestiti. Qui ci sono
soggetti prenditori (con necessità di raccogliere risorse); ce ne saranno di molto rischiosi o poco. Il
prezzo di un loans è il tasso di interesse, che dovrebbe variare teoricamente a seconda della
rischiosità. Ma se il prezzo e quindi il tasso è unico, esso sarà troppo elevato per i soggetti poco
rischiosi, e un buon tasso per i più rischiosi. Quindi i prenditori di buona qualità, non essendo
disposti a pagare tassi così elevati, usciranno dal mercato e rimarranno solo quelli di cattiva
qualità. Il rischio tende ad elevarsi portando ad un problema di market failure.
Ruolo dell'intermediario
L’intermediario produce “informazione interna” in misura utile a colmare l’asimmetria informativa
fra debitori e creditori, grazie all’accesso a informazioni riservate, rendendo possibile una
valutazione corretta, una selezione adeguata e la fissazione di prezzi corretti dal punto di vista del
rapporto rischio-rendimento.
L’informazione interna prodotta dall’intermediario è attendibile e di buona qualità, in quanto si
assume il rischio e si gioca la reputazione. Quindi è incentivato a raccogliere informazioni utili per
colmare il gap dell’investitore o emittente. Se così non fosse, la disciplina del mercato punirà
l’intermediario.
4) Razionalità limitata
Presupposto
La razionalità degli scambisti non è assoluta, ma limitata, in quanto i modelli decisionali degli
scambisti sono incompleti. I soggetti che si scambiano risorse finanziarie prendono le proprie
decisioni, processano il set informativo a disposizione in modo razionale, ma la razionalità è
limitata. Se si assume razionalità nella scelta dell’investitore, le variabili sulla base delle quali
l’investitore prende le decisioni (rendimento atteso e rischio) devono essere processate quasi
matematicamente, per ottimizzare le scelte. Ma nella realtà non è così, non c’è esatta coincidenza
tra le scelte e quelle che deriverebbero da una valutazione quantitativa. Si assume quindi che i
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soggetti operino in uno stato di razionalità limitata, quindi i modelli decisionali assunti sono
incompleti.
Le scelte degli scambisti e il funzionamento del mercato (non è in grado di far in modo che
l’investitore possa massimizzare la propria utilità attesa) possono essere inefficienti, anche in
assenza di vincoli informativi. C’è una razionalità meno che perfetta; per colmare questa
inefficienza nella scelta migliore interviene l’intermediario finanziario che aiuta, si sostituisce,
assiste i vari soggetti nella scelta migliore, cercando di rimuovere il gap di razionalità che insiste su
ogni soggetto disposto a scambiare.
Gli intermediari finanziari, anche in una condizione di mercati efficienti postulata dalla teoria
classica e neoclassica, esisterebbero e avrebbero un ruolo.
1. Prodotti
Perveniamo ad una identificazione degli intermediari concentrando l’attenzione sul fabbisogno
espresso dalla domanda. Sulla base di esso, riusciamo ad identificare i prodotti (strumenti) e
tipologie (che specificano gli strumenti che raccolgono i prodotti o processi, che vanno a denotare
le attività di intermediazione finanziaria). Identifico gli intermediari che si concentrano in questa
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gamma di prodotti, il cui obiettivo è di soddisfare un fabbisogno di trasferimento di potere di
acquisto (essenzialmente mezzi di pagamento). Un fabbisogno di investimento: gli strumenti
adottati sono vari, il ruolo degli intermediari può essere di soggetto debitore perché possiamo
avere strumenti finanziari di investimento, sul lato domanda, che possono essere rappresentati da
passività prodotte dagli intermediari (es. obbligazioni emesse, depositi...) passività nominali =
l’intermediario deve rimborsare il valore nominale; passività di mercato = l’intermediario ha delle
obbligazioni sottoforma di passività il cui valore è determinato direttamente dai mercati.
Perveniamo ad una mappatura delle attività vedendo la combinazione domanda-prodotti che gli
intermediari fanno. In genere questa mappatura ha un risvolto operativo gestionale molto forte
perché è trasversale alle attività di intermediazione creditizia e mobiliare. Spesso, notiamo anche
57
nell’articolazione interna degli intermediari, la combinazione tra domanda e servizio prodotto
avviene incrociando la dimensione del patrimonio del cliente con il contenuto dei servizi offerti. Si
realizza così una matrice a due dimensioni: dimensione degli asset, quindi del patrimonio
individuale (soglia di accesso al servizio), basso-medio-elevato; livello di personalizzazione del
servizio basso-medio-elevato quindi standardizzato o modulato su specifiche esigenze del cliente.
Facendo questa combinazione identifichiamo 2 combinazioni di frontiera che vanno a denotare le
tipiche combinazioni fatte dagli intermediari. 1^ basso-basso: retail banking (transaction banking
fa riferimento al fatto che un intermediario può presidiare un mercato facendo leva su clienti di
dimensione bassa relativamente al patrimonio gestito e facendo leva sulla numerosità dei servizi
offerti che hanno un contenuto prevalentemente standardizzato. Si fa leva sul numero di
transazioni che intercorrono con la clientela). 2^ elevato-elevato: private e corporate banking
(relationship banking= relazione specifica con la singola clientela, più personalizzato, anche per
configurare al meglio servizi che si adeguino alle richieste della clientela). Questa mappatura ci
consente di vedere come sono presidiate le aree del mercato dagli intermediari combinando le
due dimensioni.
Private banking: prodotti e servizi volti a soddisfare in modo integrato e personalizzato le esigenze
finanziarie e patrimoniali della clientela High Net Worth (con patrimoni elevati). Servizi più
personalizzati a clientela privata con patrimoni elevati, ad hoc, specifici.
Retail banking: attività al dettaglio contrassegnata dalla ricerca della massima efficienza e da
un’efficace segmentazione della clientela. Avviene con soglie di accesso contenute.
Corporate banking: prodotti e servizi volti a soddisfare le esigenze finanziarie (gestione ordinaria e
straordinaria) delle imprese. Soglie di accesso elevate, prodotti e servizi per soddisfare esigenze
articolate di imprese di elevata dimensione.
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cliente che acquista quota del fondo e il fondo stesso si può esaminare sottoforma di negoziazione
delegata, nel senso che il cliente delega l’intermediario a gestire il suo patrimonio in mercati
mobiliari. Passività di mercato: il fondo, con il suo patrimonio, le quote hanno una valorizzazione
che riflette il valore degli strumenti finanziari acquistati attraverso la raccolta del patrimonio
collettivo. Negoziazione in proprio: c’è una posizione diretta con il cliente. C’è un’assunzione di
rischio pura, in questa classe di intermediari collochiamo da un lato gli intermediari mobiliari
(finanziamento mobiliare) che operano quali finanziatori di capitale di rischio (qui collochiamo i
venture capital, quindi fondi che vanno ad investire in società, il cui obiettivo è di uscire
dall’investimento, vendere la partecipazione quando si porta a quotazione la società o comunque
il valore del patrimonio è abbastanza elevato e tale da compensare il rischio assunto dal venture
capital. Questi soggetti configurano un’attività di business che punta a generare plusvalenza à
acquistano per poi vendere). Finanziamento creditizio: intermediari creditizi à prestiti. Banche e
altri intermediari che orientano l’attività alla formazione di un margine di interessi (raccolgono
risorse, pagano un interesse passivo per loro, prestano le risorse, ottenendo un tasso di interesse
attivo. Il margine di profitto dipende da margine interessi attivi meno interessi passivi).
Mappatura secondo le funzioni svolte degli intermediari finanziari presenti in Italia e Europa.
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banche, che si è evoluta anche in considerazione della tecnologia e si è ampliata, perché la gamma
di strumenti di pagamento ha avuto specie negli ultimi anni un’accelerazione molto forte spinta
dalla tecnologia, che ha portato un cambiamento significativo nel lavoro bancario quotidiano.
•Despecializzazione/diversificazione (modello di banca universale dal 1993). Dall’inizio di secolo
scorso fino ai giorni nostri, progressivo allentamento della specializzazione temporale che era
stato introdotto dalla legge del 36 che imponeva le banche dovessero concentrarsi o su raccolta e
credito nel medio lungo termine o nel breve termine. Infatti erano due le categorie istituzionali
riconosciute dall’ordinamento previgente per fare attività bancaria: istituto di credito speciale
(specializzato nella raccolta e impiego a medio lungo termine), aziende di credito ordinario (si
occupavano della raccolta a vista e concessione di crediti a breve medio termine). Questa
specializzazione temporale viene rimossa dal testo unico del 1993, una banca rispettando i vincoli
normativi può sia operare nel medio lungo termine -raccolta, impiego-, sia nel breve e brevissimo
anche con raccolta a vista. Ecco perché si parla di despecializzazione. Non c’è più il modello
indotto dalla legge del 1936, viene lasciata libertà alle banche anche in termini di diversificazione
delle proprie attività (NB elenco delle attività ammesse a mutuo riconoscimento), il modello
implicito assunto è quello di una banca universale.
•Da retail a private/corporate banking (crescente focalizzazione dell’offerta). Passaggio da
un’attività prevalentemente bancaria retail, quindi al dettaglio, ad una focalizzata sull’offerta e
quindi con l’incrocio rispetto alla domanda. Graduale spostamento verso servizi che vengono
modellati con un forte contenuto personalistico ma anche alla ricerca di una clientela con una
soglia dimensionale elevata.
•Da commercial a investment banking. C’è un cambiamento strategico gestionale di un modello di
business tradizionale (è il modello del commercial bank, quindi prevalentemente raccolta di
depositi a vista presso il pubblico con una prevalenza di depositi a retail e una prevalenza
dell’investimento di queste banche nelle attività di prestito. Nell’investment banking abbiamo
invece una quota di depositi relativamente alla raccolta più contenuta, che fa leva
prevalentemente su mercati all’ingrosso, specie del canale interbancario quindi raccolta da altre
banche, o con il ricorso a emissioni obbligazionari quindi ricorso al mercato. In sostanza meno
depositi, più raccolta sul segmento all’ingrosso e sul mercato. Inoltre una investment bank,
relativamente agli investimenti, si caratterizza per una più contenuta allocazione degli impieghi
verso attività di prestito rispetto ad invece attività sui mercati mobiliari (quindi acquisizione di
partecipazioni, titoli obbligazionari). Sulla base dei dati processati dal prof, si nota invece un
ritorno ad un business model prevalentemente orientato su attività commerciale, un ritorno al
retail, una raccolta prevalentemente fatta sui depositi, una riduzione quindi della raccolta
all’ingrosso e sul mercato e attività maggiormente focalizzata su una buona quota di prestiti e
un’espansione (rispetto al vecchio modello commerciale tradizionale) in investimenti in titoli di
statoà la ragione è perlopiù da imputarsi ad un effetto indotto dalla regolamentazione. Per
ridurre il peso prodotto dalla normativa in termini di assorbimento del capitale, il patrimonio di
vigilanza, le banche hanno eseguito una sorta di esercizio di ottimizzazione di portafoglio,
cercando di investire in quelle attività per le quali è previsto un coefficiente di assorbimento
patrimoniale inferiore.
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- Banca universale (un unico soggetto è titolare dell’esercizio di tutte le attività svolte, che
svolge direttamente)
- Gruppo bancario (banca capogruppo, il TUB dà possibilità anche a società finanziarie,
controlla una pluralità di società finanziarie secondo un disegno strategico unitario) es.
Intesa San Paolo
•Assetto organizzativo
- Modello funzionale à approccio tradizionale, forma di organigramma tradizionale che fa
perno sull’identificazione dell’area operativa: crediti, finanza, tesoreria… / Modello
divisionale (ragiona per combinazioni prodotto/mercato, le unità di business sono divisioni:
corporate banking, private banking, international banking …). Da un lato vi è il focus delle
attività, di competenze delle varie aree di business, da un’altra l’autonomia decisionale che
è più elevata nel modello divisionale, dove c’è un decentramento dalla direzione generale
alle varie divisioni, richiedendo processi di delega e di programmazione e controllo più
stringenti rispetto al modello funzionale, il quale vede un forte accentramento delle
decisioni presso la direzione generale e per cui risulta più semplice il monitoraggio e il
meccanismo delle deleghe è meno forte rispetto al divisionale.
- Livello di accentramento (più alto nelle strutture funzionali rispetto alle divisionali) /
decentramento (accompagnato da sistemi di programmazione e controllo più stringenti)
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Struttura simmetrica a quella dell’attivo.
NERO: passività su cui maturano interessi passivi.
Sono passività onerose, avendo quindi una certa
sensibilità all’andamento della variabile che
maggiormente quantifica questo onere, che è dato
dall’andamento dei tassi di interesse. Attività
sensibili all’evoluzione dei tassi: se cambiano, c’è
un impatto sia sul valore dell’attivo/passivo, sia in
termini di flussi di interessi attivi/passivi. ROSSO:
altre passività, non soggette ai tassi di interesse,
BLU: poste patrimoniali.
CONTO ECONOMICO
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In Italia e in sede UE è stata adottata una regolamentazione contabile in materia di bilancio con
l’intento di armonizzare “l’adozione e la utilizzazione di principi contabili internazionali nella
Comunità”.
Gli obiettivi che si pone la normativa IAS-IFRS sono quelli di:
•Garantire una maggiore comparabilità delle informazioni contabili prodotte dalle diverse imprese
(comparability); che i bilanci fossero omogenei e quindi comparabili.
•Garantire una maggiore trasparenza dei bilanci (disclosure). Avere regole per garantirne
maggiore trasparenza, non solo CE e SP, ma anche per i documenti di accompagnamento.
•Far prevalere la sostanza sulla forma. Fu un cambio di paradigma molto importante, perchè
spesso, in un’epoca pre principi internazionali, i bilanci occultavano, seppur rispettando la
normativa allora vigente, la fotografia reale degli aspetti patrimoniali, economici e finanziari; vi era
solo il rispetto delle regole formali. Quindi si è diffusa l’idea per la quale una valorizzazione sempre
più portata verso il mercato fosse l’approccio più corretto, perché valutare secondo l’occhio del
mercato darebbe una visione oggettiva che rispetta il sentiment variabile nel tempo degli stessi
agenti operatori del mercato, ma allo stesso tempo potenzialmente soggetta anche alla volatilità
del mercato. Quindi valutazione mark to market, per cui la valorizzazione delle poste di bilancio
rispecchia l’evoluzione del mercato. In ipotesi di mercati efficienti la valorizzazione di bilanci al
mercato è una valutazione fair, corretta; in periodi di tensione e stress dei mercati l’approccio al
mercato può avere un riflesso della volatilità del mercato sulla valorizzazione di bilancio. Nelle
varie versioni dei principi contabili, nel 2009 si è creata l’esigenza di modificare i criteri della
disciplina bancaria portando a neutralizzare quegli effetti riconducibili alla volatilità del mercato.
Nei principi che di seguito vediamo nell’IFRS 9 ora vigente (riferimento a fair value) c’è il risultato
di questa rimodifica dell’assetto neutralizzando una volatilità del mercato che si impattava sulla
valorizzazione di bilancio.
Gli IAS-IFRS privilegiano un bilancio orientato agli investitori (utilità delle informazioni a fini
decisionali) anziché un bilancio orientato agli azionisti (criterio prudenziale). Questo perché sono
gli investitori che valutano esternamente il bilancio in modo oggettivo e prendono la loro
decisione se ad esempio acquistare titoli emessi dalla banca o avere interazioni che può assumere
posizioni creditorie o debitorie sulla base della valutazione del bilancio.
Gli impatti maggiori sui bilanci bancari sono relativi a: 1. Valutazione titoli 2. Valutazione crediti
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CRITERI VALUTATIVI ATTIVITÀ FINANZIARIE
Le attività finanziarie sono classificate in due categorie:
•Attività finanziarie valutate al fair value con impatto a conto economico à FVPL (fair value
through profit and loss) con imputazione a Conto Economico nelle voci “80 Risultato netto
dell’attività di negoziazione” o “110 Risultato netto delle attività e passività finanziarie valutate a
fair value con impatto a conto economico”. Questo criterio perlopiù per attività di negoziazione.
Negoziazione: banca compra e vende con periodicità inferiore all’anno, soddisfa esigenze della
clientela. Frequenza molto elevata, non c’è un orizzonte di detenzione che supera l’anno e questo
motiva la scelta del legislatore di seguire come valutazione quella a prezzi di mercato, quindi i
risultati netti di attività di negoziazione seguono il principio del fair value e l’impatto è
direttamente sul conto economico; non c’è alcun effetto di neutralizzazione della volatilità, anche
perché queste si chiudono entro l’anno.
•Attività finanziarie valutate al fair value con impatto sulla redditività complessiva à FVOCI (fair
value through other comprehensive income) con imputazione a Stato Patrimoniale in “110 Riserve
da valutazione”; al momento della vendita l’utile/perdita rilevato in riserva viene trasferito nella
voce del Conto Economico “100 b) Attività finanziarie valutate al fair value con impatto sulla
redditività complessiva”.
Abbiamo un effetto di neutralizzazione dell’impatto fino a chiusura dell’operazione: c’è un impatto
a SP in riserve di valutazione e nel momento in cui abbiamo la chiusura (vendita) il risultato
utile/perdita viene rilevato in riserva e trasferito alla voce di 100 b) di CE. Quindi c’è un
girocontabile che proviene dalla riserva che ho alimentato nel momento in cui ho aperto la
posizione: ecco come avviene la sterilizzazione della volatilità dei prezzi di mercato. Quindi se nella
negoziazione ho un impatto diretto su CE, qui viene compensato dalla precedente riserva di
valutazione. Sterilizzazione dell’impatto: quando apro la posizione, si crea una riserva di
valutazione che compensa l’utile o perdita netto quando si chiude la posizione. Quindi lo SP riduce
la volatilità che originerebbe se non avessimo questa imputazione a SP.
L’attuale classificazione IFRS 9 riprende e aggiorna la logica seguita in precedenza dal principio
contabile IAS 39, nel quale le attività finanziarie erano suddivise a seconda dello scopo che
stabilito dalla banca per la loro detenzione:
•Titoli held for trading (HFT): acquistati con intento di negoziazione di breve periodo, attività
negoziabili, assimilabili alle attuali attività FVPL (CE voce 80, impatto diretto su CE).
•Titoli available for sale (AFS): acquistati con generico intento di detenzione fino a scadenza, ma
che potrebbero essere ceduti prima della scadenza se le condizioni di mercato fossero favorevoli,
assimilabili alle attuali attività FVPL (CE voce 110).
•Titoli held to maturity (HTM): acquistati con intento di detenzione fino a scadenza, assimilabili
alle attuali attività FVOCI. Assimilabili alle attività immobilizzate fino a scadenza, quindi valutate
come fossero attività soggette a valutazione FVOCI.
Quindi i titoli sono valutati secondo l’orientamento strategico che deve essere dichiarato dalla
banca: comprati e detenuti per finalità negoziazione, o generico intendimento di detenzione fino a
scadenza con possibilità di venderle prima à queste valutate al fair value senza alcun meccanismo
di sterilizzazione tramite l’imputazione di riserva a SP. Invece i titoli tenuti fino a scadenza sono
valutati col meccanismo della riserva da imputare a SP.
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Economico (voce “130 a) Rettifiche/riprese di valore nette per rischio di credito di attività
finanziarie valutate al costo ammortizzato”). CA: riferimento al costo storico inclusivo di varie
commissioni e di tutti gli elementi capitalizzati nel costo di acquisto e la possibilità prevista per una
svalutazione, impairment. La voce 130: grosso peso soprattutto tra 2010-2013 che ha portato
quasi al collasso diverse banche, o almeno a perdite per tre anni consecutivi riconducibili perlopiù
ai non performing loans quindi alle perdite indotte dalla gestione dei crediti (dai prestiti erogati).
Secondo IFRS 9 la valutazione dell’impairment oggi è fatta in via prospettica (forward looking).
Precedentemente si provvedeva a uno sguardo storico (quando si verificava un deterioramento
del credito si provvedeva in quell’istante a ribaltare sulla voce 130. Oggi viene anticipato perché la
valutazione deve essere prospettica).
- I crediti per i quali esiste ed è concreta la possibilità che vi sia un inadempimento anche
solo parziale devono essere sottoposti a una valutazione in senso stretto, mediante
attualizzazione dei flussi futuri attesi alle condizioni attuali.
- Se il nuovo valore risulta inferiore a quello contabile determinato alle originarie condizioni
contrattuali: la differenza è imputata a “rettifiche di valore”.
SOCIETÀ DI LEASING
Disciplina: TUB (iscrizione nell’albo intermediari finanziari tenuto dalla Banca d’Italia, che vigila
sull’operato di tali società. Tali società devono seguire le prescrizioni imposte dall’autorità di
vigilanza).
Natura attività: attività creditizia mediante contratti di locazione finanziaria. Simile all’attività di
prestito di una banca, ma se la banca lo fa in termini di erogazione di disponibilità di cassa o di
firma, le società di leasing operano un’attività creditizia che fa leva su contratti particolari chiamati
di locazione finanziaria à funzione di finanziamento ma direttamente sul bene che serve al
soggetto cliente. È diverso dalla classica erogazione di denaro.
Contenuto servizio: funzione di finanziamento (vedremo che è imputabile solo ai contratti di
locazione finanziaria, quindi il leasing finanziario) che consente al locatario di disporre di un bene,
di sfruttare la forza contrattuale del locatore nei confronti dei fornitori e attribuisce al locatario
vantaggi fiscali (sempre più ridotti). Un soggetto, la società di leasing, mette a disposizione al
soggetto locatario la disponibilità di un bene dietro pagamento di canoni periodici.
Stato patrimoniale: crediti/beni in locazione all’attivo e finanziamenti bancari (raccolta di risorse
finanziarie per l’acquisto di beni dati in locazione) al passivo.
Conto economico: ricavi tipici rappresentati da canoni, costi tipici rappresentati da ammortamenti
e interessi passivi.
IL CONTRATTO DI LEASING
Definizione: è un contratto con cui un soggetto - il locatore, società di leasing - concede la
disponibilità di un bene ad un altro soggetto - il locatario, cliente - per un determinato periodo di
tempo, dietro il pagamento di un canone periodico.
1^ classificazione per struttura impegni. In base alla struttura degli impegni che il contratto
determina, si distingue tra:
- leasing operativo, definibile come contratto di noleggio di beni strumentali à non è
assimilabile ad una operazione di finanziamento
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- leasing finanziario, attraverso cui il locatario si impegna a corrispondere un determinato
numero di canoni per un ammontare globale superiore al costo del bene à è
un’operazione equiparabile ad un’operazione di finanziamento.
2^ classificazione per natura dei beni. In base alla natura dei beni si distingue tra:
- leasing mobiliare à beni mobili: autoveicoli, navi, imbarcazioni, aerei, beni strumentali in
genere.
- leasing immobiliare à immobili di natura industriale e commerciale
- leasing di beni immateriali à principalmente software.
3^ classificazione per soggetti coinvolti. In base alle caratteristiche dei soggetti si distingue tra
leasing:
- agevolato à agevolazioni di varia natura
- pubblico à l’utilizzatore è un ente pubblico
- internazionale à soggetti di diversa nazionalità
- lease-back à un leasing che viene preceduto da una preventiva acquisizione del bene: un
soggetto vende un bene in suo possesso ad una società di leasing (ricevendo liquidità),
riprendendolo poi in leasing. Lo vende e lo riprende in leasing. Sostanzialmente non cambia
nulla: il bene è sempre a disposizione del processo produttivo da parte della società.
Cambia molto in termini di status: si passa da uno status di proprietario, ad uno in cui non
lo è. Aspetto importante: la liquidità che viene generata da questa operazione. Spesso in
tema di corporate finance ci si riferisce ad operazioni di leas-back come strumenti di
intervento in grado di rendere flessibile il bilancio generando liquidità quando necessaria.
SOCIETÀ DI FACTORING
Disciplina: TUB (iscrizione albo intermediari finanziari tenuto dalla Banca d’Italia, per poter
esercitare tale attività), Legge 52/91 su cessione dei crediti.
A differenza della società di leasing, il contratto cambia punto di riferimento: l’istituto giuridico su
cui fa perno l’attività del factoring è la cessione dei crediti. La cessione del credito è la natura
propria dell’attività svolta.
Natura attività: attività basata su cessione pro-soluto o pro-solvendo di crediti commerciali.
L’oggetto della cessione sono crediti commerciali documentati da fatture. La fattura rappresenta il
veicolo contrattuale sul quale si procede alla cessione del credito stesso. Le società clienti
ricorrono al factoring cedendo il loro credito incorporato nella fattura, e la cessione può essere
quella in cui mi libero della responsabilità indiretta (nel caso in cui il debitore ceduto non adempia
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alla sua obbligazione). L’eventuale inadempimento del nostro cliente è un problema che lo si
risolvono la società di factoring e il nostro debitore cedutoà cessione pro-soluto. Pro-solvendo à
rimaniamo obbligati in un secondo momento, il cliente non paga, interveniamo ma possiamo
rivalerci sul nostro cliente successivamente.
La società di factoring può far valere le sue pretese su di noi: siamo obbligati in via diretta.
Contenuto servizio: offre un insieme di servizi di varia natura:
- Servizi informativi: es. mappatura del rischio della clientela
- Servizi di amministrazione, gestione, incasso crediti commerciali à questo punto in generale
va a connotare oggi l’attività di società di factoring. Gestisce, amministra tutto il ciclo di
incasso e riscossione dei crediti per le fatture che vengono emesse e vengono girate alla
società di factoring, la quale ha due opzioni: 1) anticipa il valore dei crediti ceduti 2) fa una
semplice gestione di cassa, quindi aspetta la scadenza e riscuoterà il credito andando sui
clienti.
- Altra operazione svolta negli ultimi anni: gestione del contenzioso (prima di ricorrere
all’autorità giudiziaria ci sono delle operazioni tramite il sollecito, la telefonata, la lettera di
intimazione). La fase di recupero del credito e gestione del contenzioso è un’attività che la
società di factoring offre insieme agli altri servizi svolti.
- Garanzia di buon esito dell’incasso (comunque operazione di finanziamento, perché trattasi
di finanziamento di firma)
- Factoring inteso come operazione di finanziamento à anticipo valore crediti ceduti
incorporati in fattura. Cediamo le fatture alla società di factoring, la quale ci anticipa il valore
delle fatture, trattenendosi gli interessi e le commissioni. Questo aspetto va a connotare
l’attività di finanziamento: servizio offerto in via prevalente. Gli altri servizi sono svolti in via
secondaria. L’anticipazione del valore del credito deve essere attività prevalente per
caratterizzare la società di factoring quale intermediario creditizio (finanziario in senso lato).
Stato patrimoniale: crediti verso debitori ceduti all’attivo e finanziamenti bancari al passivo
(risorse finanziarie raccolte, l’indebitamento bancario è prevalente).
Conto economico: ricavi tipici rappresentati da commissioni e interessi legati all’anticipazione dei
crediti, costi tipici rappresentati da perdite su crediti (è fisiologico sull’ammontare dei crediti
ceduti una percentuale di insoluti) e interessi passivi connessi ai finanziamenti bancari.
[In termini generali: analogia nelle voci di CE di società di factoring, rispetto a società di leasing e
rispetto all’attività tradizionale della banca. NB: banca, abbiamo interessi attivi sui prestiti erogati
e interessi passivi sulla raccolta. Società di leasing: interessi attivi sui canoni nell’attivo, interessi
passivi e ammortamenti da sostenere per l’acquisizione dei beni nel passivo].
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- Prestiti personali: finanziamento pluriennale senza vincolo di destinazione. Prestiti legati
dalla finalità che ha il soggetto richiedente fondi.
- Crediti finalizzati: finanziamento dell’acquisto di un bene specifico (cellulare, autovettura…).
Stato patrimoniale: crediti verso clienti, quindi i finanziamenti all’attivo e finanziamenti bancari, la
raccolta al passivo. Notiamo una similarità più accentuata con le banche nell’attivo.
Conto economico: ricavi tipici rappresentati da interessi attivi, costi tipici rappresentati da interessi
passivi. Similarità con struttura di bilancio di una banca relativamente all’attività tradizionale.
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ricombinandoli facendo leva sulla tipologia di attività svolta, che può essere senza assunzione di
rischio à sim di puro servizio.
•SIM di PURO SERVIZIO:
1. Negoziazione c/terzi (broker). Attività di brokeraggio. Il broker non prende posizione a rischio,
ma fa pura intermediazione mobiliare. La SIM mette in contatto chi vuole acquistare e chi
vendere.
2. Collocamento senza garanzia (broker). La SIM si occupa di classare i titoli emessi da un soggetto
senza garantire il buon esito dell’emissione, ovvero i titoli non acquistati tornano all’emittente.
Non c’è alcuna garanzia di sottoscrizione dei titoli in emissione.
3. Gestione c/terzi. Gestire patrimoni individuali per la clientela.
4. Ricezione/trasmissione ordini.
Il margine a cui punta questa SIM è un margine c.d. da provvigione: non assumendosi rischio
chiederà una commissione/provvigione per l’attività svolta. Non c’è assunzione di rischio.
INVESTMENT BANKING
Parlare di investment banking vuol dire affrontare una mappatura di attività comunque
riconducibili all’intermediazione mobiliare che è molto diversificata. La stessa definizione di
investment banking non è universalmente accettata; ci sono alcuni orientamenti che tendono a
porre l’accento su alcune attività, altri ne considerano invece ulteriori. Nostro approccio:
generalizzazione delle definizioni di investment banking, mettendo insieme buona parte della
letteratura che si è occupata di dare una definizione all’attività di investment banking.
Storicamente il nome evoca un modello alternativo di “fare banca”, un’alternativa nell’ambito
delle attività svolte dalle banche, rispetto a quello tradizionale. Quello tradizionale è commercial
banking. Investment banking è qualcosa che va oltre il private e corporate banking (NB: passaggio
evolutivo da commercial a investment banking).
Glass-Steagall Act è quel divieto che viene imposto negli Stati Uniti a seguito del 1929-1932
distinguendo tra attività commercial e investment banking. Poi nel tempo è stato rimosso, e
ulteriormente ripreso.
CARATTERISTICHE DISTINTIVE
Investment banking: offerta di servizi finanziari originariamente collegati al funzionamento del
mercato dei capitali destinati a favorire:
- l'emissione di strumenti di finanziamento (azioni, obbligazioni) da parte di imprese ed enti
à raccolta di risorse finanziarie
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- la loro sottoscrizione da parte degli investitori
L’investment banking, pur avendo riferimento principale il collegamento con il mercato dei
capitali, si rivolge tanto ai soggetti emittenti quanto ai soggetti investitori.
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• Finanza strutturata: attività volte a definire gli aspetti organizzativi di quelle società veicolo che
vanno ad organizzare tutte le operazioni di securitisation e cartolarizzazione.
FUNZIONI
Soddisfano il bisogno di trasferire a terzi i rischi puri espresso da imprese/individui.
L’assicurazione neutralizza il rischio che insiste su imprese e individui. Essi sono esposti ad un
rischio puro e per eliminarlo lo trasferiscono. Questa è una forma di gestione del rischio.
Per definire i rischi puri possiamo distinguere:
-Rischi speculativi (o finanziari): possono avere manifestazione positiva o negativa sulla situazione
finanziaria del soggetto, ed originano dalla aleatorietà di quantità economico-finanziarie (ad
esempio tassi di interesse, di cambio, prezzi di mercato). Il rischio finanziario è l’aleatorietà,
l’incertezza che circonda il valore atteso di uno strumento finanziario. Es. variabilità del prezzo di
un’azione.
- Vengono neutralizzati per compensazione tramite tecniche di hedging o matching (ad
esempio con strumenti derivati o assumendo posizioni speculari che neutralizzano
l’impatto negativo). [hedging=tecniche di copertura dei rischi attraverso il ricorso a
strumenti derivati; tecniche di compensazione con poste di segno inverso].
-Rischi puri: hanno manifestazione esclusivamente negativa e determinano un danno che può
riguardare:
- i beni (furto, distruzione, smarrimento).
- la persona (morte, invalidità, incidente, malattia).
à L’unico modo per gestire rischio puro e neutralizzarlo è attraverso il trasferimento a terze
economie (à imprese assicurative)
CLASSIFICAZIONI RAMI
A seconda della tipologia di rischio si distinguono:
• Le Assicurazioni Danni, relative ai rischi attinenti:
- ai beni (es. furto, incendio, etc.)
- ai soggetti (es. malattie, infortuni)
- al patrimonio (responsabilità civile).
• Le Assicurazioni Vita, relative ai rischi attinenti alla vita umana:
- Rischi di morte
- Rischi di sopravvivenza
L’attività assicurativa è interessante dal punto di vista aziendale perché, osservando il ciclo
produttivo naturale di questa categoria di imprese, notiamo che cronologicamente: visto che il
contratto assicurativo prevede il pagamento iniziale di un premio, per poi accumulare una somma
utile per l’impresa di assicurazione nell’eventualità di dover risarcire il danno, si va a delineare
l’inversione del ciclo produttivo. Questo perché l’attività assicurativa raccoglie ex-ante tutti i premi
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nel momento in cui vengono emesse le polizze assicurative; le assicurazioni hanno disponibilità
finanziarie ingenti perché sono esattamente parametrate alle sottoscrizioni, quindi alle vendite
delle polizze, che successivamente saranno indirizzate in investimenti tipicamente mobiliari che
hanno un livello di liquidità sufficiente per poter far fronte a pagamenti anche improvvisi. Quindi
guardando il ciclo produttivo c’è una sorta di inversione: i premi (ricavi per l’assicurazione)
precedono il costo tipico di un’assicurazione, che è il risarcimento del danno. Incassi prima e paghi
dopo.
Questa inversione del ciclo produttivo è la ragione per cui le imprese assicurative possono essere
equiparate ad intermediari finanziari. Si caratterizzano per essere degli investitori istituzionali. La
raccolta ex-ante dei premi permette loro di avere una disponibilità elevata poi veicolata in
investimenti, tipicamente in valori mobiliari (caso tipico è l’investimento in titoli obbligazionari,
perché un investimento obbligazionario è un investimento nel quale sono note ex-ante le modalità
in cu avviene il rimborso e il pagamento degli interessi). Questo è molto utile per l’impresa
assicurativa, perché avendo raccolto i premi e dovendo investire la disponibilità in attività, è
fondamentale che l’investimento dia una ragionevole certezza sulla dinamica dei cash-flow attesi.
L’impresa assicurativa deve programmare con attenzione il momento in cui si prevede ci saranno
degli incassi e confrontarli con la programmazione degli esborsi. Questo tipo di attività va a
connotare le imprese assicurative come un investitore istituzionale, e questo spiega perché
possiamo collocare le assicurazioni nell’ambito negli intermediari finanziari.
Riassumendo:
L’attività assicurativa si realizza attraverso la raccolta ex ante dei premi che vengono investiti in
valori mobiliari e immobili per costituire i capitali necessari ad onorare gli impegni assunti verso gli
assicurati.
- Inversione del ciclo produttivo: i ricavi (premi) precedono i costi (risarcimento del danno).
L’incasso dei ricavi (premi) prima di sostenere i costi (pagamento sinistri) comporta la disponibilità
di una massa di risorse considerevole che le assicurazioni provvedono ad investire à sono quindi
qualificabili come Investitori Istituzionali.
Poiché alla fase di investimento è abbinata la fase di raccolta (premi), le assicurazioni sono
classificabili nell’ambito degli Intermediari Finanziari.
LE RISERVE TECNICHE
Fanno riferimento ai premi. Abbiamo definizioni distinte a seconda ci si riferisca alla tipologia
dell’attività assicurativa danni/vita. Si parla di riserve tecniche facendo riferimento ad una
sommatoria di premi che dovranno essere rinviati al futuro. Stiamo ragionando assumendo la
prospettiva di dover fare la fotografia a fine anno del nostro bilancio à bilancio assicurativo.
Le varie definizioni relative a parti di premi (raccolti ex-ante) seguono la natura danni/vita e, per il
fatto che i premi vengono raccolti ex-ante e servono per pagare il danno che alcuni assicurati
subiranno, devo rinviare la massa di premi che dovrà essere utilizzata nell’anno seguente, per il
principio di competenza. Questo è il principio generale collegato alla ratio di dover prevedere delle
riserve tecniche.
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- Riserva sinistri: somme destinate alla copertura dei sinistri avvenuti nell’esercizio e non
ancora liquidati (valore stimato à ripercussione sull’equilibrio economico patrimoniale).
• Rami vita
- Riserve matematiche: somme accantonate al fine di permettere all’impresa di far fronte
alle obbligazioni future già note dall’impresa derivanti dalle polizze in essere
(contrattualizzate in prestazioni garantite, etc.). L’impresa, ad esempio, vende delle polizze
per le quali sa già che nell’esercizio futuro dovrà corrispondere alcune somme parametrate
da alcune variabili finanziarie.
Riserve tecniche = Riserve premi + Riserve sinistri (o matematiche)
LE ATTIVITÀ
Lo stato patrimoniale delle assicurazioni comprende attività:
-patrimoniali: attività reali, strumenti finanziari, mutui e finanziamenti erogati, liquidità, ecc.
-tecniche: crediti verso altre assicurazioni, verso agenti, ecc.
L’attivo è connotato da investimenti tipicamente in obbligazioni. È maggiore nel ramo danni, per il
quale l’impresa assicurativa deve avere la possibilità di convertire in denaro facilmente le proprie
immobilizzazioni per far fronte a sinistri che possono manifestarsi improvvisamente. La necessità
primaria, soprattutto nel ramo danni, è che il grado di liquidità dell’attivo sia elevato; questo
spiega perché massimamente abbiamo investimenti in titoli, strumenti altamente liquidi. Nel ramo
vita, dove abbiamo strutture contrattuali che hanno spesso contenuto finanziario significativo, la
liquidità richiesta per gli investimenti nell’attivo è di minor priorità rispetto al ramo danni. Questo
per una maggiore prevedibilità delle prestazioni future legate al passivo, quindi nell’attivo
possiamo rischiare di più investendo anche in attività meno liquide, che comporterebbero un
rischio significativo nel caso in cui l’impresa assicurativa fosse chiamata a risarcire delle prestazioni
non previste.
Riassumendo:
Le attività patrimoniali rappresentano una copertura delle riserve tecniche e devono quindi essere
coerenti con il passivo in termini di solidità, redditività e liquidità. In particolare:
-Ramo danni: attività con liquidità relativamente più elevata e minore rischiosità, perché le
previsioni sull’andamento dei sinistri non sono sempre precise e costanti nel tempo; presenza di
crediti verso riassicuratori.
-Ramo vita: attività con liquidità minore e rischiosità maggiore, grazie alla più elevata prevedibilità
dell’andamento del passivo e dei sinistri (ricorso a tavole di mortalità).
-In generale, è rilevante il matching tra profilo temporale del passivo e dell’attivo (Asset-Liability
Management). In ambito assicurativo nasce questa modalità di gestione dei rischi: collegare
l’attivo al passivo.
PROFILI GESTIONALI
La gestione assicurativa può essere distinta in:
• Gestione tecnico-assicurativa
Rappresenta la componente tipica dell’attività assicurativa e si sostanzia in:
- Assunzione dei rischi puri, sostanzialmente la vendita di polizze assicurative, direttamente
o tramite reti di intermediari (agenti, broker, banche).
- Costruzione e gestione del portafoglio rischi (formare portafogli di clienti
matematicamente scorrelati tra di loro, ovvero non c’è una correlazione, sono solo pochi i
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soggetti che subiscono un danno, quindi per il principio di mutualità i premi raccolti
saranno sufficienti a ripagare il danno subito dai clienti dello stesso cluster).
- Cessione dei rischi ad altre compagnie (riassicurazione passiva). Cessione di parte del
portafoglio polizze a società di riassicurazione.
- Ispezione sinistri (fase preliminare per la il punto successivo).
- Valutazione e liquidazione sinistri.
• Gestione patrimoniale-finanziaria
- Attività di tesoreria, incasso premi, pagamento sinistri e gestione dei flussi finanziari
- Investimento delle riserve tecniche in attività finanziarie e reali
Modello economicità =
orientamento strategico
assunto dall’intermediario. A
seconda dell’orientamento
su cui fa perno l’attività
strategica degli intermediari,
possiamo identificare classi
di intermediari.
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1. economico: conseguimento nel tempo risultati economici atti a garantire stabilità e continuità in
termini di relazioni di scambio con i mercati. Il concetto di equilibrio economico fa strettamente
riferimento alla dinamica di costi e ricavi. Avere una dinamica stabile nel tempo permette di
evidenziare risultati economici netti stabili e non soggetti a volatilità, e pertanto condizione
ottimale per poter crescere di valore nel tempo.
2. finanziario: mantenimento equilibrio tra flussi in entrata e in uscita (b.p.) e tra struttura
dell’attivo e del passivo (l.p.). Concetto che attiene alla dinamica dei flussi finanziari in entrata e in
uscita; equilibrio finanziario à riferimento al necessario equilibrio tra flussi in entrata e in uscita
tanto nel breve che nel medio-lungo periodo.
3. patrimoniale: mantenimento dell’eccedenza stabile dell’attivo sul passivo.
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- Rischio di credito
- Rischio di regolamento
Rischi di mercato:
- Rischio di interesse
- Rischio di cambio
- Rischio di prezzo
Rischi operativi
Rischi di variazione del livello generale dei prezzi: rischi legati all’andamento dell’inflazione.
L’andamento dell’inflazione in sé si lega poi ad altre dinamiche, ribaltandosi anche sulle altre
tipologie di rischio.
1) Rischi operativi: categoria residuale, classe di rischi che ha come elemento caratterizzante il
fatto di manifestarsi come un evento slegato da dinamiche di mercato e quindi di difficile se non
impossibile previsione. Eventi non legati a fattori a variabili di mercato. Es. caso opposto:
prevedere l’evoluzione della dinamica dei tassi di interesse mi permette di posizionarmi per
neutralizzare i possibili movimenti avversi dei tassi. Così non posso fare per alcuni fattori che si
presentano come eventi, def. matematica, stocasticamente inaccessibili. Ciò richiama tutti gli
eventi che si presentano improvvisamente, con una certa intensità e che producono delle perdite.
A differenza delle altre tipologie di rischio, per questa abbiamo una situazione in alcuni contesti
simile a quella dei rischi puri, che si presentano improvvisamente senza possibilità di previsione.
DEF rischi operativi: Categoria residuale relativa ad eventi la cui manifestazione non è
riconducibile a variabili di mercato. Rischi non legati a fattori, variabili di mercato. Rischi connessi
ai processi gestionali.
- Rischio legale: ad esempio avere delle controversie (di carattere civilistico, penale) di tipo legale
legate all’operatività. Riferimento all’eventualità che la banca chiamata in causa civile o penale
debba rispondere, traducendosi in una perdita diretta.
- Rischio informatico: riferimento alla robustezza di tutta la struttura hardware e software di cui si
deve dotare un intermediario finanziario. Il cyber risk è riconducibile al rischio informatico; la
banca d’Italia ha messo in evidenza l’importanza per le banche di dotarsi di strumentazione per il
monitoraggio di attacchi hacker. Sia la normativa che le società di consulenza stanno lavorando
per offrire servizi di questo tipo alle banche. IPOTESI: i sistemi software non sono in grado di
processare tutte le operazioni, nel momento in cui c’è un malfunzionamento dovuto all’assetto
informatico, abbiamo sia una perdita diretta sia una per la mancata operatività legata al
malfunzionamento. Rischio informatico è per sua natura operativo, in quanto slegato da
dinamiche di variabili di mercato; si manifesta improvvisamente, non può essere previsto così
come si fa in ambito di rischi finanziari.
- Rischio reputazionale: come si è percepiti sul mercato e l’impatto generato dalla reputazione
modificata a seguito di comportamenti poco leciti. Qual è l’impatto che si genera in termini di
reputazione che è riconducibile ad avvenimenti per i quali l’opinione pubblica tende a punire e
considerare poco affidabile l’intermediario finanziario? La quantificazione del rischio reputazionale
si fa con riguardo all’impatto sul patrimonio (quindi riduzione del valore del patrimonio
assumendo una valutazione al mercato) e quindi si va a cercare di isolare l’impatto della notizia
che modifica la reputazione e che si traduce in una variazione negativa dei prezzi.
- Rischi di frode e furto: impatto direttamente negativo, non si possono prevedere.
- Rischi di disfunzione dei sistemi di controlli interni: anche per l’effetto della normativa sono
previsti dei controlli interni per l’intermediario finanziario. In mancanza di un sistema di controllo
interno possono manifestarsi eventi potenzialmente ad impatto molto rilevante.
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2) Rischi di controparte: rischio che l’intermediario finanziario ha relativamente alla sua
controparte, rischio attinente all’ipotesi che la controparte non sia disposta o non possa assolvere
al proprio obbligo contrattuale (perché non in grado o non voglia) di:
a) Rimborso di capitale:
b) Pagamento degli interessi:
c) Regolamento connesso alla compravendita di valori mobiliari/valute (in generale di strumenti
finanziari)
nell’ambito di un’operazione creditizia (rischio di credito) o di negoziazione di strumenti finanziari
(rischio di regolamento).
Prime due tipologie vanno a connotare il rischio di credito. Vi è un rapporto di debito-credito: la
banca è creditrice, il soggetto che deve ripagare capitale e interessi è il soggetto debitore.
Terza tipologia: rischio di regolamento. Qui è differente lo status (collegato alla compravendita di
valori mobiliari e valute) rispetto al precedente, non abbiamo una posizione di credito-debito, ma
semplicemente due controparti con obblighi differenti: obbligo di consegnare lo strumento
finanziario e obbligo di pagare il controvalore. Nell’ipotesi in cui la controparte non adempia alla
propria obbligazione in termini di consegna o pagamento nell’ambito di un’operazione di
strumenti finanziari, si parla di rischio di regolamento. Nel momento in cui la controparte non
adempie e si attesta l’inadempienza tramite l’intervento dell’autorità giudiziaria, si apre
un’ulteriore tipologia di rischio, che è quello di credito: l’inadempiente diventa debitore, chiamato
a rimborsare o consegnare quanto dovuto.
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principio di carattere generale che attiene alla funzione di utilità di un soggetto, che è
positivamente correlata al rendimento e negativamente correlata al rischio. A parità di condizioni
e assumendo avversione al rischio, è ragionevole assumere che il rendimento atteso di un
investimento dovrà crescere più che proporzionalmente rispetto alla crescita del rischio, a
compensazione del maggiore rischio assunto rispetto rispetto ad un’alternativa priva di rischio.
Questo gap che misura la compensazione del rischio assunto prende il nome di premio al rischio. Il
pricing è il principio che vuole una compensazione per il rischio assunto, qui parliamo di rischio di
credito, quindi la logica che sta dietro la definizione del prezzo del prestito segue la stessa
impostazione, ovvero il tasso crescerà in funzione del rischio di credito assunto dalla banca stessa.
Il prezzo deve essere abbastanza elevato da compensare il rischio assunto dalla banca.
Il rischio di credito oggi è riconducibile alla perdita attesa, ovvero quanto una banca si attende di
perdere relativamente ad un’esposizione nei confronti di un soggetto. La perdita attesa è funzione
di tre componenti, non solo della probabilità/rischio di insolvenza:
a. Probability of default (PD) à probabilità di insolvenza del debitore (misura il rischio di
insolvenza). Probabilità di insolvenza: probabilità che si possa verificare il mancato pagamento di
interessi e capitale.
b. Loss given default (LGD) à perdita percentuale sul credito in caso di insolvenza (misura il tasso
di recupero). Qui incidono ulteriori variabili riconducibili a garanzie. Maggiore il grado di liquidità
dell’attivo di bilancio del soggetto debitore, maggiore è il tasso di recupero. LGD è il complemento
a 1 del tasso di recupero. Il tasso di recupero è quanto generalmente la banca è in grado di
recuperare sulla base di vari elementi, soprattutto guardando alla serie storiche.
c. Exposure at default (EAD) à ammontare del credito utilizzato dal debitore al momento
dell’insolvenza (misura il livello di esposizione).
PD e LGD sono valori espressi su base annua. La perdita attesa è la previsione che faccio su un
orizzonte predefinito ad un anno relativamente ad una posizione assunta; l’anno successivo la
banca deve fare lo stesso esercizio, EAD potrebbe diminuire e bisognerebbe ristimare PD e LGD.
Quindi PD e LGD devono essere parametrate ad un orizzonte temporale predefinito, tipicamente
posto pari ad un anno.
La perdita attesa assoluta (expected loss, EL) è pertanto: EL = PD × LGD × EAD
Esempio: PD = 6%, LGD = 40%, EAD = 50.000 €
EL = 6% × 40% × 50.000 € = 1.200 €
Per questo cliente l’accantonamento perdite su credito è 1200 €, ma questo nell’ipotesi in cui
effettivamente la perdita stimata corrisponda ad esattamente quanto previsto. La perdita attesa è
una variabile stocastica, non deterministica, ovvero il valore medio è expected, ma può variare
rispetto al valore medio atteso. Se abbiamo una perdita effettiva ex post superiore a quanto
atteso, allora il maggior importo della perdita deve trovare compensazione nel patrimonio. Ecco
perché l’importanza di legare la perdita inattesa alla dimensione del patrimonio di vigilanza
secondo quanto prescritto in tema di Basilea 2. Il patrimonio di vigilanza è determinato con la
finalità di essere sufficientemente capiente per coprire le perdite inattese, quindi legando il
patrimonio al rischio. Posso fare attività molto rischiosa, prestando a soggetti con PD elevata, ma
posso farlo se ho patrimonio abbastanza elevato per coprire la perdita inattesa, cioè quanto può
essere maggiore la perdita rispetto al valore atteso.
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compensazione del rischio assunto perché un soggetto è disposto ad assumere rischio se è
sufficientemente remunerato. Risk-neutral attiene alla prospettiva che un soggetto, la banca, deve
assumere quando valuta due ipotesi: l’ipotesi in cui non ci sia alcuna assunzione di rischio, e
l’ipotesi in cui c’è una posizione a rischio. Con questa logica, il prezzo ip dovrà essere di un livello
tale da compensare il rischio della posizione assunta soggetta al rischio di credito, e questo tipo di
esercizio viene fatto in termini comparativi rispetto all’altra alternativa, che è quella di un
ipotetico investimento in attività priva di rischio if.
Operando in logica risk-neutral, la definizione del tasso di un prestito (pricing), ip, si fonda
sull’equivalenza tra il montante di un investimento effettuato al tasso target privo di rischio (if) e il
montante del prestito medesimo, soggetto a rischio di insolvenza e di recupero:
1 + if = (1 – PD) (1 + ip) + (1 – LGD) PD (1 + ip)
Spiegazione equazione: un soggetto (banca) che assume una logica risk-neutral. Lato sinistro:
abbiamo un investimento in un’attività priva di rischio che consente di ottenere un montante su
base annua pari a 1 + if . Di sicuro il tasso di un’attività priva di rischio sarà basso rispetto al tasso
associato ad un’attività rischiosa. Lato destro: risultato associato ad un investimento rischioso,
l’erogazione di un prestito ad un soggetto il cui rischio è quantificato tramite PD e LGD. Devo
stimare il valore atteso di un’attività rischiosa, e siccome in termini di default abbiamo due eventi
(default e non default), quantifico il risultato atteso come media ponderata dei due payoff.
Risultato caso default: (1 – LGD) PD (1 + ip)
1 + ip = fattore di capitalizzazione con ip incognito, moltiplicato per il tasso di recupero 1 – LGD,
perché gli interessi matureranno solo sulla parte recuperata. Moltiplicato per PD, perché va a
misurare la probabilità associata all’evento default. Quindi riassumendo: gli interessi maturati sul
tasso di recupero, ponderato per la probabilità associata all’evento default.
Risultato caso non default: (1 – PD) (1 + ip)
1 – PD = probabilità di sopravvivenza. Nel caso di non default il risultato sarà il montante di un
prestito andando a buon fine con 1 + ip = fattore di montante. Probabilità con cui si manifesta
questo risultato: 1 – PD.
à Quindi valore atteso come media ponderata 1 + ip e (1 – LGD) (1 + ip), i pesi sono le rispettive
probabilità 1 – PD e PD. Parte destra formula: valore atteso relativamente all’investimento in
attività rischiosa, nel nostro caso erogazione del prestito.
Abbiamo specificato una variabile ip incognita: per il principio della logica risk-neutral, in equilibrio
il nostro soggetto deve essere indifferente, in termini di valore atteso, tra un investimento in
attività priva di rischio e in attività rischiosa, perché ip è di dimensione tale da compensare il
maggior rischio assunto nell’attività di prestito. Ora bisogna determinare quel tasso ip che
consente di far valere l’uguaglianza.
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a. Contestualità effettiva delle controprestazioni. La contestualità perfetta non esiste quasi mai
per ragioni tecniche, generando problemi di disallineamento nell’adempimento delle proprie
obbligazioni. Se non c’è contestualità, il rischio di regolamento si può trasformare in rischio di
credito con possibili problemi di recupero del credito.
b. Scadenza temporale dell’esecuzione del contratto (pronti o termine). In caso di insolvenza della
controparte, si può sostenere un costo di sostituzione della controparte. Tale costo può risultare
più elevato nel caso di operazioni a termine.
Il problema del rischio di regolamento si moltiplica quando abbiamo scadenze temporali differenti
(es. operazioni pronti o termine). Nel disallineamento degli orizzontali temporali delle
controprestazioni si insinua il rischio.
3) Rischi di mercato: distinguiamo tra rischio di interesse, rischio di cambio, rischio di prezzo
Facciamo riferimento alla variabilità riconducibile a tassi di interesse, tassi di cambio e prezzi di
strumenti finanziari e come impattano su reddito, principali fonti di reddito di un intermediario
creditizio ma anche in termini di valore dell’intermediario stesso.
Riconducibili ai fattori che condizionano il valore atteso di un’attività, passività o dell’impresa nel
suo complesso. In questo modo superiamo la definizione iniziale di rischio, considerando non solo
l’impatto in termini economici (sul reddito netto) ma anche in termini patrimoniali (perché
soprattutto la variabilità dei tassi di interesse, ma anche dei tassi di cambio e dei prezzi, impattano
sui valori dell’attivo e del passivo di un intermediario e poiché il valore di mercato di un
intermediario è comunque riconducibile all’eccedenza dell’attivo sul passivo).
Consideriamo i fattori che impattano sulla variabilità del reddito netto, ma anche sul valore delle
attività, delle passività e quindi anche dell’intermediario/impresa nel suo complesso.
Si connotano per il fatto di avere relazioni con dinamiche di mercato: sono variabili economiche
che incidono sulla dimensione del rischio specifico, pertanto se l’intermediario finanziario è in
grado di studiare e capire quali sono le dinamiche di questi fattori di rischio è possibile prevedere
l’evoluzione e l’impatto del rischio medesimo.
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1. Riclassificazione delle poste di bilancio, che generano direttamente il margine di interesse
(attività fruttifere e passività onerose), sulla base della possibilità di variazione del relativo tasso
d’interesse entro l’orizzonte temporale prescelto per l’analisi del rischio:
a. operazioni sensibili (il tasso di interesse può variare à attività che fruttano interessi indicizzati a
tassi variabili, attività i cui interessi attivi sono legati ad un parametro indicizzato. ES. i prestiti,
loans fruttano interessi che possono essere quantificati per il tramite di tassi variabili. Es. mutuo la
cui rata è indicizzata all’Euribor, tasso di interesse di mercato. Tassi variabili in forza della
variabilità del parametro di indicizzazione; i tassi si muovono giorno per giorno, quindi anche le
rate si muovono in funzione dell’evoluzione dei tassi. Quindi se le rate sono indicizzate a tassi
variabili, gli interessi seguono l’andamento dei tassi. Se i tassi aumentano, devo pagare interessi
maggiori e la banca incassa interessi attivi più elevati).
b. operazioni non sensibili (il tasso rimane fisso). à Può accadere che la posta frutta interessi
attivi, determinati con un tasso fisso che non varia al variare dei tassi di mercato, perché è
contrattualmente fissato ad un certo valore ES. mutuo a tasso fisso. Questa seconda ipotesi
potrebbe comunque essere inserita come operazione sensibile, perché quando devo capire quali
sono le attività e passività sensibili ai tassi, il concetto di sensibilità è condizionato all’orizzonte
temporale che specifico. Se io dico il mio orizzonte è ad 1 anno, guardando a scadenze di 1 anno
devo estrapolare tutte le poste attive e passive i cui interessi possono modificarsi in funzione della
variabilità dei tassi. Vado ad includere i tassi variabili ma anche le attività e passività (il cui tasso
pur essendo fisso) scadono prima dell’orizzonte temporale predeterminato. È ugualmente
sensibile perché dopo che l’operazione scade (es. un’attività con interessi attivi), viene rinegoziata
una nuova attività sempre a tasso fisso, ma i tassi saranno modificati. Quindi il tasso sarà
anch’esso più alto pur essendo costante.
OP. SENSIBILE: tasso variabile + op. che scadono prima dell’orizzonte temporale predeterminato.
Bisogna capire quali sono le classi di attività e di passività che sono soggette a variazioni collegate
a dinamiche di tassi di interesse: attività e passività che sono sensibili ai movimenti di tasso. Un
primo tentativo, approccio nel misurare l’impatto dei movimenti avversi dei tassi di interesse è
quello di capire che tipo di impatto noi (come intermediario) potremmo avere sul margine di
interesse. Questo è un primo approccio che si concentra solo su una variabile economica, il
margine di interesse. Esercizio per misurare il potenziale impatto che i tassi di interesse possono
generare sul margine di interesse (interessi attivi – interessi passivi). Ci sono delle poste attive e
passive che sono sensibili ai movimenti dei tassi di interesse, perché ci sono delle attività che
originano, fruttano interessi attivi; chiaramente se i tassi si muovono, per esempio al rialzo, e
queste attività sono legate a tassi variabili, gli interessi attivi aumenteranno. Se invece i tassi si
riducono, gli interessi attivi ridurranno la loro dimensione media. Analogamente per le passività,
dove abbiamo poste legate ad interessi (passivi) variabili. Se i tassi aumentano, gli interessi passivi
aumentano; viceversa se i tassi si riducono, gli interessi passivi si riducono. Analizzando le poste di
bilancio, bisogna capire quali sono tutte le voci che possono essere riconducibili ad attività e
passività sensibili, tutto il resto lo valutiamo come non sensibile.
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l’attenzione sul margine di interesse. Siccome esso è funzione delle attività e passività sensibili,
tanto vale concentrarsi sulla differenza tra attività e passività sensibili, che è il gap. GAP = AV – PV.
V indica variabile; ma è un concetto di variabilità che indica sia tassi variabili sia attività e passività
che scadono prima dell’orizzonte temporale di riferimento e saranno rinegoziate ai nuovi tassi
variati. Il secondo step è quindi la determinazione del GAP.
Immunizzazione viene utilizzata? Forse da qualcuno sì, ma la maggior parte degli operatori cerca di
fare una gestione attiva del gap à se l’intermediario è bravo a prevedere l’andamento dei tassi e a
quantificare l’impatto su poste attive e passive, allora può fare una gestione attiva del gap,
spostandosi da gap positivo/negativo a seconda della variazione dei tassi. Quindi se mi attendo
una variazione dei tassi al ribasso ΔT conviene un gap negativo, liquido attività sensibili per
investire in attività non sensibili oppure aumento le passività sensibili, per fare in modo che il gap
sia negativo.
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ES: GAP <0 e ΔT e ΔMI in attesa al
rialzo. Se i tassi scendono,
scenderanno gli interessi sia attivi che
passivi. Ma poiché gap<o, vuol dire
che la dimensione del passivo è
superiore a quella dell’attivo. Quindi
in termini assoluti la riduzione degli
interessi passivi sarà superiore a
quella degli interessi attivi, con
risultato netto che il margine di
interesse (int. attivi – passivi)
registrerà un incremento.
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2° modello in tema di misurazione e gestione del rischio di tasso di interesse: DURATION GAP
Il maturity gap (1° modello) non considera gli effetti delle variazioni dei tassi d’interesse sui valori
di mercato dell’attivo e del passivo bancario, in quanto si concentra solamente sull’impatto
relativo al margine d’interesse nel conto economico.
Per valutare, invece, l’effetto delle variazioni nei tassi d’interesse sullo stato patrimoniale e in
particolare sul valore economico del patrimonio netto si ricorre al duration gap.
Il focus dell’analisi si sposta sul valore economico del patrimonio che corrisponde al valore attuale
netto dei flussi di cassa futuri derivanti dalle attività e dalle passività della banca. Su tale valore
incidono le variazioni dei tassi di interesse, sia perché modificano l’ammontare dei flussi di cassa,
sia perché comportano l’utilizzo di tassi di attualizzazione diversi nella valutazione di attività e
passività.
SPIEGAZIONE DAL MATURITY GAP AL DURATION GAP: anziché ragionare sull’impatto, sulla
variazione del margine di interesse del conto economico, il duration gap considera l’impatto dei
tassi di interesse su tutte le poste dell’attivo e del passivo includendo sia l’impatto sul margine di
interesse ma anche sul valore dell’intermediario nel suo complesso. Se quindi consideriamo il
valore del patrimonio di un intermediario come la differenza tra l’attivo e il passivo valorizzato al
mercato, il ragionamento con duration gap è di determinare la sensibilità del valore di mercato di
ciascuna posta dell’attivo e del passivo e, in ipotesi di variazione dei tassi, quantificare l’impatto
sul valore del portafoglio dell’attivo e sul valore del portafoglio del passivo. Ci chiediamo come
varia il valore delle singole poste dell’attivo e del passivo, sensibili ai tassi, a variazione dei tassi.
Ragionando per il tramite delle duration, determino la variazione attivo – passivo prodotta dalla
variazione dei tassi.
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Approccio più sofisticato, ragiona in modo completamente diverso e lo fa in termini probabilistici.
A seconda dei precedenti approcci, consente di misurare il potenziale impatto negativo che origina
da diverse tipologie di rischio (non solo rischio di tasso di interesse, ma anche quello di prezzo, di
cambio, di credito). È la modellistica più complessa, ma anche la più utilizzata a livello operativo
perché consente di quantificare l’impatto di tutte le tipologie di rischio prima identificate.
Il VaR quantifica la massima perdita possibile, su un orizzonte temporale predefinito, in termini
probabilistici. Il risultato di questo modello è in termini probabilistici e a discrezione del valutatore
(es. determino massima perdita al 99%, ma rimane un 1% in cui la perdita può eccedere quanto
detto). Partendo dal presupposto che il capitale è una risorsa scarsa, i principali utilizzi della
modellistica VaR sono:
a. misurazione e controllo dei rischi del portafoglio di negoziazione (rischi prima citati);
b. fissare limiti attribuiti ai singoli desk delle trading room (operatori che si dedicano alla
negoziazione sui mercati finanziari hanno un limite fissato in termine di VaR);
c. misurazione e controllo dei rischi di credito;
d. misurazione e controllo delle performance: gli indicatori di redditività corretta per il rischio. Le
performance che possono originare dalle varie business unit rappresentano la parte ascrivibile al
rendimento. Si determina quindi una misura del rendimento c.d. corretta per il rischio, facendo il
rapporto tra quel rendimento per il rischio assunto, e così si riesce a comparare i vari risultati in
termini omogenei e relativi rispetto al rischio che le varie posizioni si sono assunte;
e. adeguatezza patrimoniale e allocazione del capitale a copertura dei rischi.
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standardizzato), posso ragionare in termini di variabilità tra + σ e – σ, perché il rendimento può
essere più alto o più basso rispetto al valore medio atteso.
Fare così è come calcolare l’integrale
definito tra – σ e + σ. Il risultato è
l’intervallo di confidenza. Dal punto di
vista finanziario, equivale a dire che se
mi concentro su un rischio la cui
variabilità è nell’ordine di +/- 1σ,
equivale a considerare il 68% dei casi.
Posso poi estendere ad un campo
maggiore (+/- 1,96 σ): intervallo di
confidenza = 95%.
Tornando all’approccio VaR: massima perdita potenziale fissato un orizzonte temporale di
riferimento e predeterminato un intervallo di confidenza à posso chiedermi qual è la massima
perdita al 95%, usando in questo caso +/- 1,96 come multiplo di σ. Tuttavia se facessi questa
operazione (considerassi i multipli dell’intervallo di gauss cui corrispondono le tabulazioni dei
valori, es. 95%) andrei a quantificare un rischio in modo inappropriato. Questo perché considero
rischio tanto le variazioni al rialzo quanto quelle al ribasso. Per esempio, in ipotesi di acquisto di
titoli, il rischio è al ribasso dei prezzi. Quando uso 1,96, tiene fuori la coda destra e sinistra. La coda
destra estrema positiva, equivalendo ad un rischio positivo poiché vi corrisponde un rendimento
più alto, non la prendo in considerazione. Dirò quindi che con multiplo 1,96 copro il 95% dei casi +
il 2,5% (coda sx). Nelle tabelle delle probabilità e rispettivi multipli, non si considera il rischio
positivo; leggermente differenti dalle tabulazioni di Gauss. Esempio: multiplo 1σ, non considero il
rischio positivo, nello spazio di probabilità considero dallo scenario negativo (coda estrema
negativa) fino ad 1σ, che equivale all’84% come area sottesa fino ad 1σ (non più 68%).
I valori dei multipli di σ da selezionare con associati i rispettivi livelli di confidenza prescelti sono
quindi i seguenti (diverse dai multipli originali di Gauss):
***
Il livello di confidenza è determinato sulla base dell’ipotesi che la funzione di distribuzione dei
valori di mercato della posizione da valutare sia “normale”.
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Considerando ad esempio uno scostamento dalla media pari a + o - σ, la probabilità che il valore di
mercato si mantenga in detto intervallo è pari al 68% dei casi e quindi nel 32% dei casi la variabile
avrà valore distante dalla media maggiore della deviazione standard σ.
Calcolando un intervallo di 2 volte la deviazione standard σ, la probabilità che i valori di mercato
siano compresi in tale intervallo è pari al 95,4% dei casi.
Se la finalità è determinare le perdite potenziali, ogni posizione è di fatto esposta solo a metà della
distribuzione di probabilità e cioè alla metà che provoca uno scostamento negativo per la
posizione assunta: la metà destra per una posizione corta (es: vendita «allo scoperto», ovvero
vendere delle azioni senza possederle à si prendono a prestito per venderle – oggi – e comprarle
successivamente sul mercato per restituirle) e la metà sinistra per una posizione lunga (es:
acquisto di azioni).
Quindi, nel primo esempio, la probabilità di scostamenti negativi dalla media maggiori della
deviazione standard è solo del 16% e il rischio è coperto nell’84% dei casi (68% + 16%).
ESEMPIO
Si detengono in portafoglio azioni Alfa per un valore corrente di €1.000.000. La deviazione
standard giornaliera del prezzo delle azioni è stimata pari a 2,1%. Si calcola il VaR supponendo un
livello di confidenza del 95%:
VaRi = VMi × ni × σi
dove: 1. VM = € 1.000.000 2. n = 1,65 3. σ = 2,1%
VaR =1.000.000 × 1,65 × 2,1% = 34.650 €
La massima perdita su un giorno in cui posso incorrere nel 95% dei casi è pari a 34.650 €.
La perdita può eccedere con probabilità complementare al livello prescelto di probabilità stessa
(perdita maggiore con p = 5%).
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DEV ST: Valorizzazioni in termini di scostamento
medio dal rendimento atteso (calcolabile su base di
osservazione storiche o prospettiche)
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CORPORATE FINANCE
Elementi base per una gestione finanziaria che consenta di mantenere l’azienda in una situazione
di equilibrio gestionale. È importante occuparsi della gestione finanziaria perchè se è corretta, crea
valore per l’impresa.
1. LA PROGRAMMAZIONE FINANZIARIA
L’EQUILIBRIO GESTIONALE DELL’IMPRESA
Per creare valore l’impresa deve riuscire a mantenersi in condizioni di Equilibrio Gestionale:
Equilibrio economico
• Capacità di generare un risultato netto di esercizio mediamente positivo (utile), stabile nel
tempo e in linea con i livelli di remunerazione attesa dai portatori di capitale di rischio (patrimonio
netto).
– il RN tramite la gestione caratteristica operativa deve essere in grado di remunerare
adeguatamente tutti i fattori produttivi e i rischi sostenuti dai finanziatori (creditori che finanziano
esternamente e proprietari che detengono il capitale di rischio). Facciamo riferimento agli
stakeholders, ovvero i detentori di interessi differenti che ne beneficiano laddove il valore
dell’impresa venga generato.
Equilibrio finanziario
• Capacità di far fronte in via continuativa e in modo puntuale alle uscite di cassa connesse alla
gestione operativa e finanziaria (sia nel breve che nel medio-lungo termine).
– deve esserci una coerenza soprattutto in via prospettica, ma anche guardando lo storico, tra
l’ammontare dei flussi di cassa generati dalla gestione operativa e il (i) fabbisogno richiesto dalla
crescita degli investimenti e (ii) quello richiesto dalle esigenze di rimborso e remunerazione dei
finanziatori.
Con questo equilibrio puntiamo l’attenzione sulla capacità di generare cash-flow, di autogenerare
flussi di cassa che permettono di far fronte alle fuoriuscite di denaro connesse ad un programma
di investimenti e al rimborso dei debiti.
Equilibrio patrimoniale
• Struttura finanziaria equilibrata à nel passivo abbiamo le fonti di finanziamento: debito e
capitale proprio. Il punto è dove collocare quell’ipotetica linea di confine che li separa: con il
teorema di Modigliani-Miller daremo una risposta. Utilizzo controllato della leva finanziaria.
• Coerenza tra la struttura delle passività (forme tecniche di finanziamento) e le caratteristiche
dell’attivo.
L’equilibrio gestionale può essere ottenuto facendo leva in modo combinato su:
• Corretta impostazione della gestione operativa (commerciale e produttiva). Concentrarsi sulla
gestione commerciale, industriale produttiva in modo tale da controllare il risultato in termini di
ricavi e di controllo dei costi che permette di generare quell’equilibrio economico prima citato
• Corretta impostazione della gestione finanziaria. Sia in termini di struttura patrimoniale
adeguata con la composizione ideale di debito ed equity sia di gestione integrata attivo-passivo.
Contemporaneamente essere in grado di far fronte alle uscite di m/l termine e avere una struttura
coerente finanziamenti e investimenti. La gestione finanziaria risulta essere funzionale rispetto agli
obiettivi della gestione operativa dell’attivo.
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– Investimenti in capitale circolante operativo (scorte di magazzino e crediti alla clientela).
• Fabbisogno finanziario: complesso di risorse monetarie e finanziare indispensabili per assicurare
il corretto esercizio dell’attività d’impresa.
• Il fabbisogno finanziario dipende inoltre da altri elementi oltre che gli investimenti:
– dilazioni di pagamento concesse ai clienti
– dilazioni ottenute dai fornitori
– diversa distribuzione temporale del flusso dei costi e dei ricavi
Le fonti di finanziamento vengono classificate in:
• fonti di finanziamento interno
– autofinanziamento: rappresentato dagli utili conseguiti nel corso dell’attività aziendale, non
distribuiti agli azionisti ma reinvestiti nel ciclo produttivo. È il reddito netto che viene reinvestito
nell’attività aziendale ed entra a far parte del ciclo produttivo.
• fonti di finanziamento esterno
– capitale proprio: rappresenta l’apporto finanziario conferito dai soci dell’impresa, ossia da quei
soggetti legati alla stessa da rapporti di proprietà e/o controllo
– capitale di terzi: costituisce una fonte di finanziamento concessa all’impresa da soggetti esterni
alla compagine sociale:
o Forme di finanziamento per finanziare il fabbisogno finanziario di breve termine:
§ Operazioni di smobilizzo (sconto cambiario, anticipi sbf su ricevute bancarie e
fatture). Smobilizzo è da intendersi l’anticipazione di un documento che può essere
un titolo di credito come la cambiale, o una ricevuta bancaria o fattura, ma l’aspetto
comune è quello di farsi anticipare il credito al netto di commissioni e interessi che
possono essere pagati in via anticipata o posticipata.
§ Operazioni di prestito (finanziamenti a scadenza fissa o in conto corrente)
§ Factoring…
o Forme di finanziamento per finanziare il fabbisogno finanziario di medio- lungo termine:
§ Mutui
§ Leasing…
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1. Le risorse finanziarie autogenerate dalla gestione aziendale (utili netti reinvestiti nel processo
produttivo) sono sufficienti a coprire il fabbisogno finanziario connesso agli investimenti
programmati?
2. Lo sviluppo aziendale programmato è coerente con le condizioni economico-finanziarie attuali e
prospettiche dell’impresa? Se io riesco a descrivere dinamicamente l’evoluzione della mia impresa
in termini di piano di investimento e quantifico la necessità di ricorrere ad un indebitamento
esterno, risulta ragionevole un piano strategico di questo tipo? Infatti lo sviluppo aziendale
potrebbe essere insostenibile perché sarebbe insostenibile il peso di un debito molto elevato per
far fronte alle esigenze di copertura finanziaria degli investimenti.
Il problema è di natura dinamica, cioè andiamo a risolverlo anno per anno. È un discorso
intertemporale, perché la soluzione di un periodo successivo risulta essere strettamente legata a
quello precedente. Noi per semplificare ci concentriamo in un periodo essenzialmente.
CI: concetto di capitale investito strettamente correlato all’attività caratteristica dell’azienda,
ovvero devo togliere tutte le voci nell’attivo che non sono strettamente correlate all’attività
caratteristica (che non hanno a che fare coi ricavi caratteristici dell’attività d’impresa).
Investimenti: consentono di svolgere i processi produttivi caratteristici e con ciò generando ricavi.
Il problema che risolve questo modello è: guardare T1 (sguardo prospettico) e quantificare un
piano di investimenti tale da far crescere CI per una dimensione pari a ∆𝐶𝐼 ed elevare con ciò il
totale del CI. Di conseguenza saranno necessarie nuove fonti di finanziamento che cresceranno per
∆𝐹𝐹. Il punto è capire da cosa esso sarà rappresentato, debito o mezzi propri o un mix, perché nei
mezzi propri passando da un anno all’altro andiamo ad includere anche quella componente di
autofinanziamento. Quindi il ∆𝐶𝐼 potrebbe essere anche direttamente compensato
dall’autofinanziamento. Bisogna quindi quantificare ∆𝐶𝐼 e capire se le risorse autogenerate sono
in grado di coprire quanto ci è richiesto. Per quanto l’azienda non è in grado di coprire si ricorre ad
un debito esterno.
Logica: noi siamo al tempo T0, la fotografia è da una parte il capitale investito, dall’altra le fonti di
finanziamento utilizzate a copertura nel capitale investito. È quindi ovvia l’equivalenza fra attivo e
passivo, sia in senso statico che dinamico (se in T1 prevedo un incremento di investimenti ∆𝐶𝐼
analogamente dovrà crescere la dimensione delle fonti di finanziamento ∆𝐹𝐹).
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T0 :
ulteriore suddivisione degli
investimenti e delle fonti di
finanziamento in due
categorie.
T1 :
non ragiona di ∆ ma solo di
aggregati del bilancio (a
differenza della
rappresentazione
precedente). ∆𝐶𝐼 𝑒 ∆𝐹𝐹 li
andrò a determinare per
differenza dei valori T1 – T0.
∆𝐶𝐼 = ∆𝐹𝐹
𝐶𝐼 = 𝐴𝐹 + 𝐴𝑅 à ∆𝐶𝐼 = ∆𝐴𝐹 + ∆𝐴𝑅
𝐹𝐹 = 𝐷 + 𝑀𝑃 à ∆𝐹𝐹 = ∆𝐷𝐸𝐵 + ∆𝑀𝑃
∆𝑀𝑃 è il risparmio (risorse autogenerate) perché esso è equivalente al delta incrementale dei
mezzi propri (NB: il reddito netto va ad entrare nel patrimonio netto). La grandezza è una
grandezza di flusso, S.
∆𝐴𝑅 sono gli investimenti, entrano con segno negativo. Quindi ritroviamo lo stesso concetto di
saldo finanziario, con eccedenza del risparmio rispetto agli investimenti.
Calando nella realtà aziendale: mi dice che devo porre in confronto gli investimenti programmati
per quell’anno I con le risorse, risparmio accumulato l’anno precedente. La differenza quantifica il
saldo finanziario.
𝑆𝐹 = ∆𝐴𝐹 − ∆𝐷𝐸𝐵 à riequilibrio del divario S – I. Se S > I riequilibrio con nuovi investimenti o
pagamento dei debiti, aumentando ∆𝐴𝐹 o riducendo ∆𝐷𝐸𝐵. Se S < I (saldo finanziario negativo,
deficit finanziario), riequilibrio liquidando ∆𝐴𝐹 o incremento il debito.
Il modello di equilibrio finanziario dinamico è la rappresentazione più articolata del concetto di
saldo finanziario.
A noi interesserà la quantità SF che indica quel delta incrementale o decrementale del debito che
anno dopo anno si manifesta in funzione delle scelte strategiche riconducibili al piano di
investimenti e della capacità di autogenerazione dei flussi finanziari S, quindi l’autofinanziamento.
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T1: prevedo un incremento di 50 degli
investimenti. Per questo le AR da 150
passano a 200.
FRt-1 = flussi reinvestibili. Le risorse, flussi finanziari che possono essere reinvestiti a
compensazione almeno a quota parte delle risorse finanziarie che mi servono per gli investimenti
programmati.
La quantificazione degli investimenti segue una logica di connessione che ipotizziamo sussista tra
gli investimenti e il fatturato (cioè quantificare un ammontare di risorse in funzione del fatturato).
Questo perché stiamo cercando di capire quante risorse da investire per ottenere un certo
fatturato atteso. Posso aumentare il fatturato solo se investirò in modo adeguato. Il concetto di
capitale investito supera la definizione contabile per arrivare ad una definizione di capitale
investito in senso strategico, cioè quel capitale che appartiene sia al capitale fisso, circolante,
operativo strettamente collegato alla realizzazione del fatturato e quindi direttamente correlato ai
processi produttivi caratteristici dell’azienda.
Vt – Vt-1 = crescita del fatturato attesa, è una quantificazione in termini assoluti del fatturato.
Questo lo lego all’investimento in capitale che mi serve per ottenere quel fatturato à
l’ingrediente fondamentale è l’intensità di capitale.
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Queste 3 variabili mi servono per rappresentare il flusso di cassa del periodo al tempo t: mi
attendo una situazione di surplus finanziario con FC > 0 (posso usarlo per ripagare il debito o per
nuovi investimenti) o FC < 0 che è l’indebitamento incrementale che deve essere coperto. Laddove
FC < 0 ipotizzo che quel valore negativo vada ad aggiungersi al debito pregresso. FC negativo è
stima del debito incrementale previsto per quell’anno, che deriva dal raffronto tra la capacità di
autofinanziamento e quanto complessivamente richiesto come sviluppo atteso delle vendite.
FC negativo indicata l’indebitamento incrementale ed è il valore adeguato, idoneo, corretto tenuto
conto della capacità di autogenerare risorse finanziarie e del fabbisogno finanziario complessivo
che mi serve a fronte dello sviluppo del fatturato atteso. Es: FC = - 30 à per quell’anno per
mantenere l’impresa in condizione di equilibrio finanziario la stessa impresa dovrebbe
incrementare il debito per quel valore. Questo modello evita il rischio di eccessivo indebitamento,
perché mi dà una stima del valore ideale di indebitamento legandolo ad un ragionamento reale. È
un concetto che fa andare di pari passo i circuiti, i flussi reale con quelli finanziari. L’impresa si
indebita esattamente ad uno stesso valore rispetto a quanto richiesto dalle dinamiche dei flussi
reali (che sono gli investimenti).
• CI/V misura l’intensità di capitale data dal rapporto tra il capitale investito nell’impresa e relativo
fatturato V.
– CI è da intendersi come la somma delle immobilizzazioni nette operative (capitale fisso netto
operativo) connesse dunque all’attività tipica dell’impresa e del capitale circolante netto operativo
(CCN è l’investimento nelle attività correnti al netto delle passività correnti à magazzino + crediti
commerciali – debiti commerciali). Bisogna quindi esaminare le poste dell’attivo e filtrare tutti gli
elementi strettamente e direttamente collegati alla generazione del fatturato e quindi
appartengono alla gestione caratteristica.
CI = Imm. Nette + CCN
Con CCN = Magazzino + Crediti Commerciali – Debiti Commerciali
– Non rientrano nella nozione di CI gli investimenti reali, finanziari e immateriali che non
appartengono alla gestione tipica. [non c’è una regola generale, universale per quantificare CI,
dipende dalla struttura e natura dei processi produttivi tipici dell’azienda. L’esercizio di
imputazione degli investimenti al fatturato varia a seconda della tipologia dell’azienda e della
natura stessa del settore in cui opera.]
Considerazioni su CI/V
– I fattori che incidono sulla dimensione dell’intensità di capitale sono:
• natura e tipo di attività economico-produttiva svolta. Strutturalmente abbiamo imprese ad
elevata intensità di capitale (ratio molto alto, per avere un certo fatturato serve capitale di
dimensione significativa);
• tecnologia produttiva: può elevare o ridurre CI, perché talvolta un’elevata tecnologia non
richiede immobilizzazioni (e quindi investimenti) di importo elevato e quindi il numeratore tende
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ad essere contenuto. In altri casi le immobilizzazioni, e quindi gli investimenti in capitale fisso,
risultano prevalenti rispetto al capitale circolante e quindi il numeratore tende ad elevarsi.;
• il grado di integrazione produttiva e distributiva verticale: a parità di condizioni, una maggiore
integrazione produttiva porta a ridurre CI e quindi il ratio;
• il livello di efficienza nell'impiego delle risorse (ovvero la produttività);
• la forma contrattuale con cui l'impresa si procura la disponibilità dei mezzi di produzione:
proprietà o leasing/noleggio. Noi imputiamo al numeratore in base alle valorizzazioni collocate
nello SP. Gli impeghi dello SP sono di proprietà. Se il bene è utilizzato con forme di
leasing/noleggio posso artificiosamente distogliere quel valore e ridurre l’importo di CI.
– Come dato storico CI/V indica l’efficienza con cui l’impresa utilizza le proprie risorse nell’ambito
dei processi produttivi. Infatti:
questo dato ci dice quanto capitale ci serve (numeratore) per ottenere un certo fatturato
(denominatore). È come se determinasse quindi la capacità di generare fatturato con il capitale a
disposizione. In chiave storica, se il livello del ratio tende a ridursi è un segnale importante che
potrebbe denotare una maggiore efficienza nei processi produttivi; si riesce a combinare in modo
più efficiente le risorse produttive e con ciò a generare un maggior fatturato o, parità di fatturato,
richiede un capitale minore nel tempo.
– Come dato prospettico CI/V indica il fabbisogno finanziario per lo svolgimento dell’attività
economica. Infatti in chiave prospettica, quindi prevedendo negli anni l’andamento di CI/V vado a
quantificare quanto mi costa in termini di capitale investito richiesto un euro di fatturato. È il costo
unitario in termini di capitale investito per avere un euro di fatturato. Per quantificare
complessivamente quanto è il fabbisogno finanziario richiesto per lo sviluppo del fatturato per
quell’anno, lo moltiplico poi per Vt – Vt-1 (variazione assoluta attesa del fatturato).
CI/V: è la variabile più importante: svolge un ruolo potenzialmente arbitrario che fa variare di
molto anche le risultanze in termini del flusso di cassa (risultato dell’applicazione del modello).
• Vt – Vt-1 è una variabile input connessa alla previsione di crescita del fatturato.
Operativamente, si parte dall’ultimo dato storico su V e anno per anno si formulano previsioni di
! #!
crescita in termini di tassi di variazione (%): ! ! !"# = %
!"#
[si parte dall’anno 0 con un fatturato e lo si incrementa anno dopo anno per percentuali attese
della crescita]
Per calcolare Vt à Vt = Vt-1 (1+%)
• Moltiplicando CI/V per (Vt – Vt-1) otteniamo la stima del fabbisogno finanziario totale richiesto
legato allo sviluppo delle vendite atteso.
– CI/V da questo punto di vista rappresenta il fabbisogno finanziario “unitario” per unità
incrementali di fatturato (“quanti euro mi servono per un euro di fatturato”).
Quindi:
A. Da un lato abbiamo le risorse generate dall’impresa, FRt-1
B. Dall’altro sappiamo l’ammontare del fabbisogno finanziario complessivamente richiesto,
CIt / Vt x (Vt – Vt-1)
Il modello di equilibrio ci fa raffrontare il fabbisogno finanziario totale (entra con segna negativo
perché sono risorse finanziarie che ci servono) e le risorse reinvestibili all’inizio del periodo. La
differenza può essere:
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- devo indebitarmi
ESEMPIO NUMERICO
Se FC < 0 (in t+1), il nuovo debito sarà 2000 + il valore negativo di FC. Se FC > 0, il nuovo debito
sarà 2000 – il valore positivo di FC. Risultato: si prevede una crescita del 12% dell’indebitamento. Il
valore del debito che stimo per l’anno t + 1, non è la previsione di ciò che ragionevolmente mi
aspetto che accadrà, ma è la stima di un indebitamento ideale che dovrebbe essere quel valore da
utilizzarsi per mantenere l’azienda in condizioni di equilibrio strategico e finanziario (perché c’è
un’interazione stretta tra ipotesi strategiche in senso lato -il piano di sviluppo del fatturato-, e
l’evoluzione finanziaria -nel caso specifico FC che è l’evoluzione dell’indebitamento in senso
dinamico-).
L’impresa potrebbe decidere per quell’anno di indebitarsi per 300: potrei pensare che, nonostante
il modello stimi 239,09 come adeguato incremento però come imprenditore voglio essere più
prudente e avere maggiori risorse finanziarie e mi indebito quindi per un maggiore importo.
Questo si traduce in un comportamento più avventato, esponendosi in una posizione di rischio
maggiore elevando il debito rispetto alle condizioni ideali; potrebbe esserci quell’avvicinamento ad
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un eccesso di indebitamento. Se mi indebito meno di 239,09 non ho le risorse finanziarie per
coprire il fabbisogno finanziario complessivo e devo recuperarle in qualche modo: potrei chiedere
ai soci di mettere nuovo capitale o posso investire di meno (ciò però vorrebbe dire meno
fatturato).
FASE 1: INT. DI CAPITALE decresce man mano l’impresa capisce come meglio combinare i fattori produttivi e
rendere più efficienti gli stessi processi produttivi. MARG. DI AUTOFINANZIAMENTO: poiché fatturato basso e
crescente. EVOLUZIONE STRUTTURA: non abbiamo un track record che consente di convincere un finanziatore
esterno a fornirci debito, quindi la richiesta di fonti di finanziamento si concentra su capitale di rischio. Quindi
leva finanziaria e indebitamento bassi ma crescenti man mano che passa il tempo, auspicabilmente il fatturato
cresce e il track record diventa positivo (si può convincere il finanziatore esterno a concedere debito). FASE 2:
INT. DI CAPITALE e MARG. DI AUTOFINANZIAMENTO arrivano ad un valore medio e si stabilizzano. Abbiamo il
punto di flesso in cui il fatturato inizialmente cresce in maniera più che proporzionale, tende a linearizzarsi, per
poi crescere meno che proporzionalmente: da flussi negativi a positivi. FASE 3: FATTURATO non cresce più anzi
se non mi riposiziono strategicamente tenderà ad avere un tasso negativo, quindi contrazione di fatturato.
EVOLUZIONE STRUTTURA: avvio di nuovi cicli strategici.
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Tendenzialmente le banche si collocano nella fase di crescita e mai presidiano la fase di
introduzione che è troppo rischiosa. Sono altri gli intermediari finanziari che erogano
finanziamenti prevalentemente sottoforma di capitale di rischio (private equity, venture capitalist,
business angel). Le cose sono cambiate per la natura di banca universale a offrire finanziamenti
anche sottoforma di debito per imprese start-up e quindi stanno presidiando anche la fase di
introduzione. Questo è lo specchio della natura universale delle banche: tendono sia ad operare in
termini di finanziatori esterni sia in termini di proprietari di capitale di rischio (offro finanziamenti
sottoforma di partecipazione azionaria) e in questo abbiamo un mercato dinamico in termini di
intermediari finanziari, abbiamo le banche tradizionali che operano nel settore dell’investment
banking insieme ad altri operatori (fondi di private equity, venture capitalist, business angels).
100
1. Esiste una struttura finanziaria ottima? Sì, ed è quella che permette di massimizzare il valore
dell’impresa. Parlare di struttura finanziaria ottima d’impresa equivale a determinare il mix
ottimale debito-equity che consente di massimizzare il valore dell’impresa.
2. Qual è il mix ottimale delle fonti di finanziamento che permette di avere una struttura ottimale?
La risposta va ricercata nelle determinanti che agiscono sul valore dell’impresa.
Valore dell’impresa: idealmente osserviamo lo SP e diamo valore all’insieme delle attività. Valutare
l’azienda vuol dire attribuire un valore agli elementi dell’attivo, ma si potrebbe vedere anche
l’elemento del passivo. Queste considerazioni portano a metodi differenti di valutazione
dell’impresa. Per quanto ci riguarda la determinazione del valore d’impresa farà perno sul
concetto del valore delle attività, ma guardare al valore delle attività vuol dire guardare anche al
valore delle passività (vale sempre il principio di equivalenza contabile, valore attivo=valore
passivo. Ma anche per come abbiamo impostato il modello dinamico, le fonti di finanziamento
sono strettamente legate agli elementi dell’attivo, con le risorse finanziarie nel passivo sono usate
per una serie di investimenti nell’attivo. Quindi quantificare gli elementi nel passivo e quindi
valorizzare le FF à la somma mi dà il valore d’impresa).
à La media tra a) e b) è ponderata per le rispettive quote percentuali di Mezzi Propri e Debiti.
101
à D: ci riferiamo al debito finanziario oneroso, quindi i debiti sui quali gravano gli oneri finanziari
(debiti onerosi per i quali pago interessi passivi). La prassi mi porta a porre attenzione, nella
quantificazione di D come quantità contabile, a considerare la posizione finanziaria netta. Cioè
prendo in considerazione i debiti finanziari a breve e medio-lungo termine e ci tolgo le liquidità
immediate. Quindi dobbiamo fare riferimento alla PFN, da un punto di vista contabile, piuttosto
che la somma dei debiti finanziari complessivi su cui gravano gli interessi passivi.
à Nella quantificazione contabile della 2^ componente delle fonti di finanziamento dobbiamo
calcolare il debito finanziario netto che in termini operativi richiama al concetto di PFN: prendo il
debito finanziario oneroso, tenuto conto delle componenti a breve e medio-lungo termine, e
decurtare la parte di liquidità immediata; con ciò quantificando il debito finanziario netto, trattasi
PFN. Tolgo le liquidità immediate a disposizione dell’azienda perché in teoria potrebbero essere
utilizzate per ripagare in parte i debiti finanziari in essere. Quindi nella quantificazione del costo
connesso all’indebitamento, la base di riferimento deve essere la PFN.
Il Costo totale del capitale – WACC (Weighted Average Cost of Capital) si ottiene come segue:
WACC = Ke * E /(E+D) + Kd (1-t) * D/(E+D)
Ke = costo del capitale proprio à cresce al crescere dell’indebitamento (aumenta il rischio e gli
azionisti richiedono un rendimento maggiore). È la redditività che l’azionista si aspetta
relativamente a quanto investe. Quindi lo si lega ad E, che è il capitale di rischio sottoscritto
dall’azionista.
Kd = costo del capitale di debito à cresce al crescere dell’indebitamento (aumenta il rischio di
insolvenza). È il costo dell’indebitamento è legato al debito D. È espresso in termini % su base
annua.
t = aliquota d’imposta marginale, che quantifica il peso in termini unitari delle imposte dirette
(abbiamo oneri finanziari collegati all’indebitamento esterno D. Poiché gli oneri finanziari sono
deducibili, dovrò nettizzare il loro costo riducendo in termini unitari in % l’ammontare Kd per (1-t).
Quindi riduco percentualmente il peso (la %) che quantifica su base annua il costo del debito.
E = valore di mercato dei mezzi propri
D = valore di mercato dell’indebitamento
WACC esprime in termini percentuali su base annua il costo del capitale totale, cercando di
determinarlo a valori di mercato (E e D non sono rappresentazioni contabili, ma devono essere
valutazioni al mercato). Valori espressi al mercato à l’ipotesi implicita da cui si muove la teoria di
Modigliani-Miller è che i mercati siano efficienti, e le valorizzazioni delle poste di bilancio siano
mark-to-market ovvero valorizzate al mercato (è come se l’impresa sia negoziata sul mercato e
quindi gli stessi elementi che vanno a valorizzare gli elementi dell’attivo e del passivo siano essi
stessi potenzialmente oggetto di negoziazione, e quindi hanno un valore di mercato. NON
approccio contabile).
102
Il valore di mercato dell’impresa viene determinato come somma di D ed E, questi ultimi calcolati
in logica di attualizzazione (infinita):
a) Il valore di mercato dei mezzi propri (E) viene visto come una rendita perpetua che riconosce
all’azionista un flusso costante ed “infinito” (ogni anno e ipoteticamente senza scadenza) pari ai
dividendi
K+-+*60*+
𝐸= L
formula per il valore di una rendita perpetua che riconosce all’azionista il flusso pari ai dividendi
'
Il valore di mercato dei mezzi proprio viene visto come una rendita perpetua, ovvero l’azionista
acquistando anche una sola azione, ha diritto ad un flusso costante ed infinito pari ai dividendi
(per un tempo infinitamente esteso à il concetto di infinito è da intendersi come estremamente
lontano nel tempo, quindi tendenzialmente infinito). Ogni anno, e ipoteticamente fino ad un
tempo senza scadenza, l’azionista riceve dei dividendi dal suo investimento. Per ogni azione
acquistata, ha diritto ad un dividendo.
Dividendi: quelli futuri in logica di attualizzazione.
Ke: rendimento riconosciuto all’azionista (%). Redditività riconosciuta all’azionista.
Riferimento all’attualizzazione: al numeratore ci sarebbe la sommatoria dei dividendi, al
denominatore i vari fattori di attualizzazione per i vari t all’esponente, fino ad un tempo infinito. È
quindi una valorizzazione in logica di attualizzazione: dividendi à futuri attualizzati. Tasso di
attualizzazione à esprime il rendimento dell’azione. In questo senso è un approccio utilizzabile
per valorizzare il prezzo atteso delle azioni e il prezzo atteso delle obbligazioni bond sul mercato
(punto b).
b) Analogamente, il valore di mercato dei debiti (D) viene visto come una rendita perpetua che
riconosce ai creditori un flusso pari agli oneri finanziari
M062+ /+0,01+,2+
𝐷= L (
Chi compra il debito (i creditori che concedono il finanziamento) ha il diritto ad ottenere un flusso
che ipotizziamo costante che equivale agli oneri finanziari. Sono oneri per l’azienda da riconoscere
ai creditori esterni. Nel caso precedente, i dividendi è quanto incassa l’azionista, qui gli oneri
finanziari è ciò che incassa il creditore. Allo stesso modo possiamo immaginare una scadenza
infinita, quindi una rendita perpetua che riconosce ai creditori questo flusso.
Kd: tasso che quantifica gli oneri finanziari, espresso in% e su base annua. Costo
dell’indebitamento esterno per l’azienda (redditività per i creditori esterni).
à La somma di a) e b) determina il valore di mercato dell’azienda V = E + D
103
Spiegazione à aumentando il debito, aumenta la base di riferimento su cui gravano gli oneri
finanziari. Gli oneri finanziari aumenteranno e, essendo costi, ci porta a ridurre la base imponibile,
pago meno imposte: ho un beneficio fiscale.
ii. L’indebitamento produce un innalzamento oltre che del relativo costo (kd) anche della
redditività attesa degli azionisti (ke): aumentano i costi di fallimento e il WACC aumenta.
Spiegazione à l’indebitamento aumenta la percezione del rischio del mercato relativamente
all’azienda. Se aumenta il debito, bisogna capire se l’azienda è in grado di sostenere un
indebitamento via via crescente, perché si espone ad un rischio di insolvenza. L’incremento del
debito produce un incremento sia del costo del debito stesso Kd sia della redditività attesa degli
azionisti. Sia gli azionisti che i creditori esterni vogliono essere compensati per il maggior rischio
assunto. La remunerazione, sia in termini di remunerazione da riconoscere agli azionisti sia costo
del debito, crescerà al crescere del rischio. Quindi aumenta il debito e quindi aumentano Ke e Kd:
aumentano i costi di fallimento
iii. L’effetto combinato di i. e ii. produce un andamento del WACC convesso (andamento ad U
rispetto all’evoluzione D/E):
ASSE Y: WACC e gli altri elementi di costo K. ASSE X: vari valori di D/E in termini di leva finanziaria.
Parto da 0 e mi sposto verso destra: tende ad incrementare la leva finanziaria, il debito, il rischio di
insolvenza e i costi di fallimento aumenteranno.
WACC in un primo momento tende a decrescere perché il beneficio fiscale supera il costo del
fallimento (effetto di due forze contrapposte, una tende a ridurre e una ad elevare WACC). Fino ad
un certo livello l’impatto prodotto dal beneficio fiscale è superiore rispetto all’effetto prodotto
dall’innalzamento di Ke e Kd: WACC complessivamente decresce. Poi WACC tocca il punto di
minimo, poi cresce (quando l’impatto di Ke e Kd è superiore rispetto al beneficio fiscale i costi di
fallimento aumentano). 1° TEOREMA DI MODIGLIANI-MILLER: in ipotesi di mercati perfetti, senza
costi di transazione, è dimostrabile che l’andamento del valore dell’impresa tende ad evidenziare
questa tendenza, con il costo complessivo che tende a ridursi, tocca il punto di minimo e poi tende
ad elevarsi. È anche dimostrabile che nel punto minimo di WACC si colloca anche il valore massimo
dell’impresa. Perché: abbiamo detto che WACC decresce in un primo momento per l’effetto del
beneficio fiscale del debito e risale quando il costo in particolare del capitale proprio tende a più
che compensare il beneficio fiscale; i costi del fallimento tendono ad innalzarsi ad un livello tale
per cui WACC tende ad incrementarsi dopo il punto di minimo. Il livello di indebitamento D/E*
ottimale è corrispondente al punto di minimo di WACC perché lì abbiamo il valore dell’impresa
massimizzato.
• La Struttura Finanziaria ottima corrisponde al livello D/E che rende massimo il valore di V.
• In corrispondenza di tale livello, il WACC è minimo.
104
à Operativamente, il criterio utilizzato per determinare il D/E ottimo consiste, dunque, nel
ricercare il valore minimo del WACC.
105
riferimento alle formule di E e D, calcolare il valore di un’azienda equivale a sommare il valore
degli elementi dell’attivo, che sono corrispondenti a quelle del passivo. Se nel passivo ho le fonti
di finanziamento mezzi propri e debito, devo valorizzare al mercato i mezzi propri e il debito, e
facendone la somma trovo il valore di mercato. L’assunzione è quella per la quale andiamo a
valutare a prezzi di mercato tenendo conto della remunerazione che è da riconoscere a:
- azionisti Ke - rendimento che si aspettano gli azionisti per il loro investimento sottoforma di
capitale di rischio. Ke cresce al crescere della rischiosità dell’azienda. È il riconoscimento di un
premio al rischio all’azionista, egli viene compensato da un maggiore rischio che si prende
nell’effettuare il suo investimento in capitale di rischio. Questo spiega perché aumentando la
percentuale di debito sul totale delle FF, il valore di Ke tende a crescere: aumenta il rischio, riflesso
del maggior indebitamento, e deve aumentare anche Ke.
- finanziatori esterni. Anche il debito deve essere espresso a valori di mercato. Immagiamo le
obbligazioni bond. I bond sono esattamente prestito, debito negoziato sui mercati. Quindi “D
valutato a valori di mercato” dobbiamo intenderlo come un’ipotetica obbligazione valutata al
mercato. Kd è la remunerazione richiesta dai bond holders, cioè i detentori del bond emesso
dall’azienda. Kd cresce al crescere del rischio, ovvero la remunerazione da riconoscere ai creditori
cresce aumentando il livello del debito (perché aumenta il rischio, deve aumentare il premio al
rischio e quindi Kd crescerà con il livello di indebitamento).
La valutazione che facciamo è in logica di rendita perpetua. Relativamente ai mezzi propri, chi
acquista l’azione ottiene come flusso finanziario il dividendo, che viene ipotizzato costante e
infinito. Si tratta quindi di attualizzare per un tempo infinito un flusso costante quantificato dai
dividendi. È come dire io azionista quanto incasso dal mio investimento fatto acquistando azioni.
Ottengo come rendimento, come cash flow derivante dal mio investimento il flusso di dividendi.
Siccome il tempo è infinito, si può calcolare il limite per t tendente all’infinito che si riduce ad una
rendita perpetua, ovvero ad una attualizzazione in cui al numeratore ho i dividendi e al
denominatore il tasso per la remunerazione del capitale proprio Ke. Quantifico quindi il valore di E
a prezzi di mercato. Analogamente procedo per il debito. Gli oneri finanziari sono il flusso
finanziario riconosciuto a chi ha investito in bond, in debiti (ai creditori). Kd è la remunerazione.
Anche qui si procede ad attualizzare per un tempo infinito un flusso costante di oneri finanziari, si
riduce ad una rendita perpetua e quindi ad una attualizzazione per un tempo infinito per la quale
abbiamo il rapporto tra OF (cash inflows degli investitori in bond) e Kd. Ottengo D valutato al
mercato. Il valore di mercato dell’azienda è la somma di E e D, che differisce dal valore contabile,
che è costante.
QUALE È LA % OTTIMA DI INDEBITAMENTO?
Per fare questo, si sviluppa una serie di ipotesi relative al rapporto di indebitamento espresso in
termini percentuali come D/(D+E), il peso percentuale del debito sul totale delle fonti di
finanziamento essenzialmente. Supponiamo valori ipotizzati compresi tra 0 e 50%.
Sono valori di libro, cioè valori contabili.
Si parte da 0 assenza di debito, fino ad arrivare al 50% (quindi 50% debito e 50% equity).
Da Modigliani-Miller: la struttura finanziaria di un’impresa non incide sul valore della stessa à
assumiamo che il reddito operativo sia costante alle variazioni dell’indebitamento, RO
indipendente dalla struttura finanziaria (120.000). Avendo a disposizione un capitale totale di
500.000, al di là del fatto che siano debito o equity, abbiamo un RO costante pari a 120.000.
In base ai livelli di indebitamento ipotizzati in %, calcolo i corrispondenti VC del debito e VC del
capitale azionario.
Oneri finanziari determinati in funzione del costo del debito Kd, che varia al variare
dell’indebitamento (Kd aumenta all’aumentare dell’indebitamento, quindi della leva finanziaria).
Oneri finanziari = costo del debito Kd x valore contabile del debito (VC del debito)
106
Kd e Ke: valori input. Il valore degli oneri è funzione sia di un incrementato Kd sia di un valore
contabile del credito che cresce in funzione della percentuale di debito sul totale delle fonti di
finanziamento.
Oneri finanziari: flussi da riconoscere ai creditori esterni.
DATO INPUT à Assumiamo che il valore complessivo contabile (tot attivo contabile) dell’impresa
sia 500.000. Le componenti di debito e di capitale azionario variano in funzione delle percentuali
che ipotizzo.
Reddito operativo – oneri finanziari = reddito ante imposte (RAI). Tende a decrescere man mano ci
spostiamo a destra, perché gli oneri tendono a crescere.
Ipotizziamo aliquota fiscale 35%, calcolo le imposte sulla base imponibile à 35% x RAI
Reddito netto = RAI – imposte
RN è considerato quale flusso pari ai dividendi. Nell’ambito della valorizzazione al mercato
dell’equity dell’azienda prescinde il fatto che siano o meno distribuiti, perché sono comunque da
riconoscere all’azionista. Consideriamo RN = dividendi. È come dire che RN è il flusso che viene
teoricamente riconosciuto agli azionisti. Non c’è distinzione tra RN e dividendo perché a livello
teorico tutto quanto il RN potrebbe essere distribuito sottoforma di dividendi.
Dividendi: elemento da considerare come rendita perpetua per gli azionisti. Flussi da riconoscere
agli azionisti. Li pongo uguali al reddito netto.
Riga verde: flussi totali per i finanziatori = dividendi + oneri finanziari. È la successione dei flussi
complessivi riconosciuti ai finanziatori (azionisti e creditori esterni). L’azienda riconosce
complessivamente dei cash flow pari a dividendi + oneri finanziari.
La composizione debito-equity varia in base alle % di ogni colonna. Questo mi permette di
calcolare ROE e ROI, utilizzando i valori contabili.
Costo del debito Kd à li prendiamo come dati input. I valori sono crescenti al crescere
dell’indebitamento, al pari del costo del capitale azionario Ke.
Dobbiamo riconoscere il risparmio fiscale. Quindi Kd deve essere nettizzato ipotizzando l’aliquota
di imposta 35%. Il valore di Kd da considerare nella determinazione di WACC come media
ponderata del costo del capitale proprio e del costo di capitale di debito è quello al netto del
risparmio fiscale.
Ke>Kd: (> leggasi strutturalmente superiore). Questo è corretto da un punto di vista economico-
finanziario. Il grado di rischio assunto da un’azionista è infatti superiore rispetto a quello di
un’obbligazionista, perché l’azionista può perdere tutto il capitale in caso di fallimento, invece chi
ha sottoscritto un’obbligazione (il finanziatore esterno) è in una posizione di privilegio nel riparto
dei fondi laddove ci fosse il fallimento (prima vengono rimborsati i creditori esterni, quando
residua viene riconosciuto agli azionisti). In funzione della maggiore rischiosità, il rendimento
richiesto dall’azionista deve essere maggiore del costo dell’indebitamento.
Ora posso procedere al calcolo del valore di mercato del debito e delle azioni (logica della rendita
perpetua).
VM delle azioni = dividendo/ke
VM del debito = oneri finanziari/kd
La somma dei due = valore di mercato dell’impresa
Aumentando il debito fino al 30%, aumenta il valore di mercato dell’impresa. Dopodichè con
ke=11% e kd=14,5% c’è sempre beneficio fiscale, ma pesa di più il passaggio di ke che porta ad
incrementare il costo, che è un costo molto alto dovuto alla componente dei costi di fallimento,
cioè il mercato chiede una compensazione del rischio molto alta che si traduce in un costo elevato
per l’azienda. Impatto sul valore di mercato: riduzione del valore di mercato.
Evoluzione valore di mkt d’impresa: cresce à punto di massimo à decresce
107
30% è la percentuale di debito ottimale, cioè l’indebitamento che mi permette di massimizzare il
valore dell’impresa. Beneficio che va a favore tanto degli azionisti quanto dei creditori esterni. È
un’unica soluzione che va bene a tutti gli stakeholders dell’azienda.
Calcolo WACC con i valori di mercato di D e E. I pesi di ponderazione sono: la composizione del
debito sul totale D + E per il costo netto del debito, e dell’equity sul totale D + E per il costo del
capitale azionario. Con debito ed equity a valori di mercato.
Evoluzione WACC al variare dell’indebitamento da 0 a 50%: scende à punto di minimo à cresce
Fino al punto di minimo è preponderante il risparmio fiscale legato all’indebitamento (lo scudo
fiscale riesce a generare un risparmio tale da ridurre il costo complessivo del capitale).
Successivamente il costo dell’equity tende ad assumere valori crescenti tali da più che compensare
il risparmio fiscale. WACC, espressione del costo complessivo del capitale, nel punto di minimo
corrisponde al valore massimizzato al mercato d’impresa.
30% è l’indebitamento ottimale per l’impresa.
108
2. LA VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI
In ambito di gestione aziendale, capita sempre un momento in cui doversi interrogare sulla
fattibilità di un generico progetto di investimento. Noi parlando di progetto di investimento
intendiamo un investimento reale, in capitale reale. Non finanziario, anche se la metodologia di
valutazione è la stessa, procedendo con un calcolo finanziario che fa riferimento all’attualizzazione
finanziaria. Diamo un significato generale al concetto investimento: es. valutazione acquisto di un
macchinario, valutazione ampliamento della capacità produttiva, valutazione dell’avvio di
un’attività d’impresa.
Le operazioni di investimento
DEF: impiego iniziale di capitale per realizzare in futuro flussi monetari di maggiore entità. È come
dire oggi impiego un capitale, che può essere anche in periodi successivi; ho una serie di esborsi
iniziali seguiti da una serie di introiti.
à Un’operazione di trasferimento di risorse nel tempo, caratterizzata da:
1. Uscite monetarie nette in prima fase (di impianto)
2. Entrate monetarie nette in una fase successiva (di esercizio)
Quando si parla di investimento abbiamo a mente una successione di flussi che deve essere di
questo tipo. Dire flussi finanziari implica che le quantità devono essere espresse come cash flow,
cash flow in uscita in una prima fase, cash flow in entrata in una seconda fase. La classificazione tra
fase di impianto e di esercizio riflette anche l’assunzione per cui si fa riferimento implicitamente
alla costruzione di un’azienda, in cui inizialmente c’è la fase di impianto, si costruiscono gli impianti
stessi, successivamente si inizia l’operatività e la fase di esercizio.
In questo caso: nella fase di impianto ho due
esborsi in T0 (immediato, come se pagassi
istantaneamente nel momento in cui procedo a
valorizzare la fattibilità del progetto di
investimento) e T1 (fine primo anno), e
successivamente delle entrate monetarie nette al
tempo T2, T3, T4 e T5. Il primo anno di esercizio,
che si colloca alla fine del secondo anno a partire
da T0, ho delle entrate nette, fino a T5. Lì c’è un
flusso più elevato rispetto ai precedenti: questo
per due ragioni. 1) ipotesi di crescita delle entrate nette. 2) fissato a 5 l’orizzonte temporale del
nostro investimento, ed equivale a dire che alla fine del quinto anno ipoteticamente liquido il mio
investimento, e vendendolo incasso un valore residuo. Oltre alle entrate nette, nell’ultimo anno
considero anche il valore residuo o di rimborso.
Vi è inserita un’ipotesi che potremo successivamente rimuovere: all’inizio abbiamo l’esborso/i e
poi degli incassi netti. Può anche essere disattesa questa ipotesi, cioè avere una fase di impianto
nella quale ci sono flussi di cassa netti negativi, seguiti da flussi netti positivi per 2 anni (T3 e T4),
poi può esserci un flusso negativo in T4 e poi si riprende con flussi positivi. Ci sono alcuni casi,
settori (es. aeronautica nella costruzione di aerei) in cui nella valutazione di progetti di
investimenti a lungo termine, anche periodi 15/20 anni, abbiamo anche queste fasi.
Il progetto di investimento è fattibile quando entrate > uscite.
Siccome la valutazione considera un periodo temporale predefinito, e quindi da T0 guardiamo la
successione dei flussi collocati in momenti successivi, dobbiamo verificare che le entrate
complessive > uscite, ma devo valorizzare i flussi in modo che siano omogenei rispetto al tempo.
Questo principio di valorizzare in modo omogeneo flussi collocati in epoche differenti porta alla
necessaria operazione di attualizzazione: esprimere ciascun flusso collocato in un momento
109
successivo al valore cosiddetto attuale. Attualizzazione secondo il tempo nel quale è collocato
ciascun flusso.
La valutazione di un progetto di investimento
La logica di valutazione di un investimento aziendale è basata sul concetto dell’attualizzazione
finanziaria:
Ci troviamo al tempo 0 (oggi) e “vediamo” una serie di flussi finanziari proiettati lungo l’orizzonte
di investimento che vanno valutati al tempo 0: 1 € oggi non è equivalente a 1€ fra un anno,
indipendentemente dall’inflazione à è necessario recuperare alcuni elementi di matematica
finanziaria.
Oggi abbiamo un esborso, ed è già espresso al tempo attuale, non si avrà necessità di attualizzare
questo valore. In T1 ci sono uscite nette: siamo in un momento successivo rispetto a 0, quindi
serve il procedimento di attualizzazione per esprimere quei flussi al tempo 0. Così anche per i
seguenti.
L’attualizzazione finanziaria prevede di riesprimere i flussi finanziari collocati nelle varie epoche al
valore attuale. Ciascun flusso che è collocato in un momento successivo rispetto all’epoca di
valutazione deve essere espresso ad un valore attuale (è come se guardassi ai flussi futuri come
fossero montanti: quale è il capitale oggi che corrisponde al montante domani?). Successivamente
verificando che il totale delle entrate nette attualizzate sia superiore al totale delle uscite nette
attualizzate (caso di scuola: può non esserci necessità di attualizzare perché l’esborso è unico e
ipotizzato al tempo 0).
Gran parte della teoria finanziaria ruota attorno al concetto dell’attualizzazione. Valutare
un’attività o una passività finanziaria equivale a procedere ad un calcolo di attualizzazione
finanziaria. Oggi sono al tempo 0 e vedo dislocati nel tempo una serie di flussi finanziari. Il valore
che associo ad un’attività finanziaria è la somma dei cash flow che questa attività genera, e che
devo esprimere al valore attuale. L’osservatore oggi si pone al tempo T0, vede in futuro una serie
di flussi finanziari: il valore dell’attività finanziaria è la somma attualizzata dei flussi generati da
essa. Questo concetto è replicabile per un investimento reale.
Il valore finanziario nel tempo
Il procedimento di attualizzazione/capitalizzazione equivale ad uno spostamento ipotetico dei
flussi di cassa nel tempo. Posso spostarli in avanti oppure riportarli indietro, anticipare e
posticipare. Si parla di costo del capitale K ogni qualvolta ci riferiamo ad una anticipazione di una
entrata o posticipazione di una uscita.
Qualsiasi spostamento di flussi di cassa nel tempo comporta il sostenimento di un costo o la
percezione di un provento. In termini più precisi si avrà:
A. COSTO DEL CAPITALE (K)
– Anticipazione di una entrata. Implica un costo del capitale: contrattualmente attendiamo un
incasso fra tot tempo, ma posso anticipare quell’entrata chiedendo a qualcuno di anticiparmi quel
cash inflows che naturalmente prevedo di incassare nel tempo previsto contrattualmente, ma
devo sostenere un certo costo.
– Posticipazione di una uscita. Associato a questa
operazione c’è il costo del capitale, cioè quel capitale
che andiamo a posticipare nella restituzione del
medesimo.
B. RENDIMENTO DEL CAPITALE (r)
– Posticipazione di una entrata. Ci riferiamo ad una
sostituzione di consumo attuale per un consumo
futuro, compiendo un’operazione di investimento.
L’operazione di investimento vuol dire fare una
110
sostituzione del consumo attuale, che potremmo fare utilizzando la disponibilità oggi, per una
disponibilità e quindi un consumo futuro impiegando le risorse a nostra disposizione. Questo tipo
di operazione può essere eseguito se la remunerazione riconosciuta a questa sostituzione del
consumo oggi per il futuro sia in grado di compensare il mancato consumo attuale. Quindi:
posticipare un’entrata equivale a riconoscere una remunerazione per l’impiego, la sottrazione di
consumo attuale di risorse che potrebbero essere usate oggi per il tempo nel quale ci priviamo
della nostra disponibilità. Maggiore il tempo in cui ci priviamo della disponibilità di tali risorse
finanziarie immediate, maggiore deve essere la remunerazione da riconoscerci. Ecco perché
parliamo di r. Il rendimento deve essere crescente al crescere dell’orizzonte temporale di
investimento.
– Anticipazione di una uscita. Anticipare una uscita implica uno sconto: a livello teorico è
equiparabile al concetto di rendimento.
à Passaggio importante nell’ambito della teoria moderna finanziaria: spesso si assume che il
costo del capitale sia equivalente al rendimento del capitale (impiego o prendo a prestito risorse
finanziarie allo stesso tasso di interesse).
CAPITALIZZAZIONE E ATTUALIZZAZIONE
Sono 2 i metodi di computo degli interessi e determinazione del montante che deriva dalla somma
del capitale iniziale + interessi: regime semplice e composto.
1. Capitalizzazione semplice: il calcolo degli interessi avviene utilizzando come base di riferimento
il capitale iniziale à M(t) = C(0) + C(0)*i*t = C(1+it)
ES: Investo €100 per un periodo pari a 1 anno ad un tasso di interesse del 5%. Il montante a
scadenza sarà:
M1 = C(0)(1+it) = 100(1+0.05*1) = 100 + 5 = 105
se invece avessi investito i 100 € per un semestre avrei ottenuto:
M1 = 100(1+0.05*1/2) = 100 + 2.5 = 102.5
Il procedimento inverso, ovvero di determinazione del capitale che devo costituire oggi per avere
un montante domani, si chiama attualizzazione: alternativamente, posso chiedermi quale debba
essere il capitale “C” che oggi devo investire per ottenere alla fine di un periodo di impiego “t” un
dato montante “M”, supponendo un tasso di interesse noto “i”: Attualizzazione in regime di
capitalizzazione semplice à C(0) = M(t)/(1+it)
Sorta di equivalenza nei valori che sussiste tra C e M: guardare un valore proiettato ad un tempo
successivo t, che è pari al montante, equivale ad un valore iniziale di C al tempo 0. Il capitale visto
all’inizio ha valore pari a C(0), il quale valore a fine periodo è pari a M, dove il montante tiene
conto sia del capitale iniziale sia degli interessi maturati per il periodo t al tasso i.
In sostanza C(0) rappresenta il prezzo di un investimento che mi rende un montante M alla fine di
un dato periodo di impiego.
Spesso si usa il RIS per valutazione di operazioni con scadenza inferiore all’anno.
111
incassati nel tempo siano reimpiegati al medesimo tasso di interesse. In genere si procede al
computo dei vari elementi di interesse facendo riferimento alla capitalizzazione composta. Con
questo modo di procedere, implicitamente si assume che gli interessi siano reimpiegati al
medesimo tasso di interesse.
Gli interessi maturati alla fine di ciascun periodo si capitalizzano nel capitale iniziale, determinando
il capitale investito del periodo successivo. Gli interessi si maturano anche sugli interessi maturati
nei vari periodi precedenti.
112
– LORDI DI ONERI FINANZIARI: i flussi non devono considerare gli oneri finanziari connessi alla
modalità di finanziamento. Si ipotizza che l’impresa non si indebiti, non sostenendo quindi gli oneri
finanziari. Perché non considero gli oneri nel calcolo dei flussi finanziari? La ragione è collegata
all’impostazione che stiamo adottando, che è quella della logica unlevered, che è la più utilizzata
nella prassi. La logica è quella di anzitutto determinare i flussi finanziari lordi, e successivamente
confrontarli con quanto bisogna riconoscere da una parte agli azionisti, sottoforma di
remunerazione del loro capitale, e dall’altra ai finanziatori esterni, da riconoscere sottoforma di
oneri finanziari. Verifico quindi se il progetto di investimento, al netto dei costi che devo sostenere
in termini di remunerazione agli azionisti e oneri finanziari, riesce a generare una ricchezza netta.
Questa logica quindi li considera in un momento successivo. Unlevered: ipotesi di impresa non
indebitata. Il percorso seguito, che evita anche errori di calcolo, parte dall’assunto secondo cui
conviene inizialmente stimare i flussi lordi (generati dal progetto di investimento) e poi
confrontarli con le richieste avanzate dai finanziatori dell’investimento in termini di
remunerazione (in termini di costo di indebitamento per finanziatori esterni, rendimento del
capitale proprio per i finanziatori interni). Gli oneri, il finanziamento si considerano ma in un
momento successivo.
– NETTI DI IMPOSTE: i flussi devono essere depurati del prelievo fiscale.
LA DETERMINAZIONE DEI FLUSSI FINANZIARI: FLUSSI DI CASSA OPERATIVI NETTI (logica unlevered)
Per determinare i flussi finanziari, ovvero (in gergo tecnico) i Flussi di Cassa Operativi Netti, si
seguono i 2 seguenti step:
1. Si redige il Conto Economico riclassificato con determinazione dell’Utile Netto contabile. Stiamo
ragionando in termini di conto economico prospettico, perché la valutazione che stiamo facendo è
di un progetto di investimento. Questo è un esercizio da svolgere per tutti gli anni presi in
considerazione nell’orizzonte di investimento.
2. Partendo dal precedente schema di Conto Economico riclassificato si apportano le necessarie
rettifiche per «tradurre» l’Utile Netto contabile in flusso di finanziario (flussi di cassa operativi
netti), in particolare tenendo conto:
• dei costi non monetari (ammortamenti e accantonamenti). Vanno aggiunti perché non sono
manifestazioni monetarie, ovvero non sono costi per i quali sosteniamo un’effettiva uscita;
• delle variazioni del capitale circolante netto (che assorbono risorse finanziarie quando sono
incrementali, mentre liberano risorse finanziarie nel caso contrario). CCN = attivo a breve – passivo
a breve. La variazione da un anno con l’altro del ccn impatta nei flussi finanziari perché: se c’è un
aumento di ccn, vuol dire che l’attivo a breve è cresciuto rispetto al passivo a breve, quindi sono
trattenute maggiori risorse nell’attivo, e quindi essendo trattenute più risorse non sono liberate
risorse finanziarie à la variazione positiva di ccn si traduce in un assorbimento di risorse
finanziarie. Viceversa le risorse finanziarie sono liberate quando il ccn ha una variazione negativa:
se aumenta il passivo a breve, ciò equivale ad avere maggiori risorse finanziarie, e questo si
traduce in una variazione incrementale di flussi finanziari e quindi di risorse disponibili. Rettifiche:
aggiungere la variazione di ccn quando negativa, sottrarre la variazione di ccn quando positiva.
Flussi finanziari in entrata e in uscita: flussi finanziari liberati e assorbiti. Avere un ccn al tempo t
che risulta incrementato rispetto l’anno precedente, vuol dire che per quell’anno in termini
differenziali c’è stato un ulteriore assorbimento di risorse perché nell’attivo colloco delle
immobilizzazioni di risorse finanziarie: aumentando l’attivo c’è un maggiore assorbimento di
risorse finanziarie (al netto di ciò che accade nel passivo). Aumentando in termini proporzionali di
più l’attivo rispetto al passivo a breve, equivale ad un assorbimento di risorse finanziarie che
vengono sottratte dalla disponibilità dell’impresa: variazione positiva ccn entra con segno negativo
nel computo dei flussi finanziari. Invece in caso di variazione negativa di ccn, in termini differenziali
113
pesa di più il passivo circolante; quando esso aumenta, aumentano le risorse finanziarie a
disposizione. Quindi la variazione negativa di ccn entra con segno positivo.
• dei flussi connessi all’investimento, ovvero:
i. flussi relativi all’esborso iniziale;
ii. eventuali investimenti incrementali previsti dal progetto (nel caso il progetto di investimento
richieda dopo qualche anno nuovi investimenti: in tal caso si deve aggiungere con segno negativo i
costi di tali investimenti incrementali);
iii. valore residuo o di rimborso relativo al recupero ottenibile mediante cessione dell’investimento
a fine periodo. Esso è il valore recuperabile con la cessione dell’investimento a fine periodo.
Dovrebbe essere un valore di mercato dell’investimento che ho realizzato; il valore residuo è
espressione del valore di mercato, di fine periodo del progetto di investimento (idealmente è
l’ipotetico valore di liquidazione/cessione dell’investimento realizzato).
Quindi, per determinare i flussi finanziari, bisogna partire dall’EBIT del CE, ma successivamente
calcolare le imposte senza considerare gli oneri finanziari (logica «unlevered»), e procedere con le
suddette rettifiche.
Facendo la somma algebrica di tutti questi elementi si ottiene il flusso di cassa operativo netto. È
un flusso di cassa operativo netto che immagina di non avere un indebitamento, infatti dal CE ho
tolto la voce degli oneri finanziari; tuttavia ho calcolato un impatto fiscale maggiore rispetto a
quello effettivo, le imposte calcolate sull’EBIT saranno maggiori rispetto a quelle effettive, e poi
vado ad effettuare le suddette rettifiche. (imposte maggiori perché calcolate su una base
imponibile maggiore, l’EBIT, che non prende in considerazione gli oneri finanziari. Tenere conto
della deducibilità effettiva degli interessi per determinare correttamente il costo del debito al
netto dello scudo fiscale.)
La logica sottostante («unlevered») è quella di determinare i flussi di cassa totali, i quali andranno
a remunerare i finanziatori del progetto, ovvero:
a. i finanziatori esterni (debiti) à costo dell’indebitamento esterno
b. i finanziatori interni (mezzi propri) à remunerazione da riconoscere agli azionisti
Determinati i flussi di cassa totali, andrò a confrontarli con le remunerazioni richieste dai
finanziatori del progetto: finanziatori esterni con i debiti (costo indebitamento esterno,
remunerazione in termini di oneri finanziari) e i soci che apportano capitale di rischio
(remunerazione agli azionisti, collegata al tasso di rendimento per ipotesi pari ai dividendi che
vanno riconosciuti agli azionisti).
Rappresentazione della determinazione dei flussi finanziari attraverso i 2 step:
1.
2.
I flussi (cash flow) vanno determinati per tutti gli anni presi in considerazione che vanno a scandire
la durata del progetto di investimento, l’orizzonte temporale di investimento.
114
I CRITERI DI VALUTAZIONE: IL PERIODO DI RECUPERO O PAYBACK PERIOD
Esprime il numero di anni necessari affinché i flussi di cassa cumulati previsti siano uguali
all’investimento iniziale. È il criterio più semplice e immediato per valutare il grado di liquidità di
un progetto di investimento. È la somma cumulativa dei flussi, positivi e negativi, con ciò
determinando il periodo nel quale si ha la copertura degli esborsi iniziali. Indica il periodo di
rientro dall’esborso iniziale. Investimenti per i quali il punto di recupero è più ravvicinato: più
liquidità. Viceversa, investimenti con punto di recupero più distante nel tempo avranno un grado
di liquidità inferiore.
L’output di questo indicatore è in termini di anno (periodo) nel quale si rientra dall’investimento
iniziale.
Perché viene usato:
•Riduce l’implementazione di progetti che richiedono lunghi intervalli di tempo per recuperare
l’investimento iniziale in termini nominali (misura il grado di liquidità di un investimento).
•Non necessita di definire il costo opportunità del capitale. Significato costo opportunità: il
rendimento che un soggetto può ottenere impiegando le sue disponibilità in alternative di
investimento. Noi attribuiamo a questo concetto un fattore specifico: il riferimento ad esso è fatto
per differenziare questo criterio dai successivi, per i quali sarà necessario determinare il costo
opportunità del capitale (nel nostro caso costo medio ponderato del capitale richiesto per
realizzare l’investimento).
•È una metodologia intuitiva (è diretto il significato attribuibile al pp). È di semplice
determinazione.
Potenziali errori:
•Non procede ad attualizzare i flussi. Ignora il valore monetario del tempo (il tempo di recupero
attualizzato invece viene calcolato a partire dai flussi di cassa attualizzati). Non tiene conto
dell’attualizzazione necessaria da eseguire in via preliminare sui flussi.
•La data in cui l’investimento iniziale viene recuperato è piuttosto arbitraria.
•Ignora tutti i flussi di cassa successivi al tempo di recupero. Il PP indica il progetto di investimento
con il recupero più ravvicinato. Di conseguenza la metodologia tende a scartare i progetti a lungo
termine. Se scegliessi con il PP andrei a considerare solamente un aspetto nella valutazione
complessiva da fare nella selezione dell’alternativa ottimale, migliore. Si potrebbe scegliere un
progetto con pp più ravvicinato a spese di un altro investimento con pp più lontano ma con
redditività maggiore. Trade-off: peso di più la liquidità dell’investimento rispetto alla redditività del
medesimo (sono molto più avverso al rischio). Il PP non permette di misurare la redditività:
bisogna passare ad altri criteri.
115
selezionare il grado di liquidità come il criterio migliore per valutare la fattibilità o meno degli
investimenti.
Il difetto del criterio PP connesso all’utilizzo di valori monetari non attualizzati viene facilmente
rimosso mediante la preventiva attualizzazione dei flussi, secondo le modalità del VAN (vedi slide
successive). Si determina in questo modo un Payback Period Attualizzato (PPA) che è un
indicatore più affidabile rispetto al PP relativamente al grado di liquidità del progetto di
investimento. Si effettua quindi il cumulo dei flussi attualizzati.
Regola: VAN > 0 il progetto risulta fattibile (sommatoria entrate nette > sommatoria uscite nette,
con sommatorie attualizzate).
Il VAN positivo di un progetto di investimento esprime la capacità dell’investimento di generare
flussi di liquidità tali da:
1. Reintegrare l’esborso monetario iniziale e gli eventuali esborsi successivi, necessari per avviare il
progetto.
2. Remunerare i creditori e gli azionisti, relativamente ai capitali impiegati nel progetto.
116
Con VAN > 0 si dice che riesco a generare ricchezza nell’esecuzione del progetto di investimento.
Con VAN < 0 non riesco nemmeno a coprire l’esborso iniziale, erodendo ricchezza.
Il VAN è un numero non direttamente interpretabile, che deriva dalla differenza tra la somma delle
entrate e la somma delle uscite. Però solo con questo non riesco ad apprezzare direttamente il
grado di redditività implicita associata all’investimento. Mi servirà un’altra espressione. Si può
bypassare questo problema, esprimendo il VAN in termini di rapporto. Se cioè riesco a separare le
entrate e uscite attualizzate, il VAN lo posso esprimere come rapporto tra totale delle entrate
nette attualizzate e il costo dell’investimento (che è la somma laddove ci siano più cash outflows
nella fase di impianto, o dell’unico esborso, da sostenere per realizzarlo. Se ho più esborsi e sono
collocati nel tempo, andranno attualizzati).
PROCEDIMENTO DI CALCOLO
Step 1: determinazione dei flussi di cassa generati dal progetto e collocarli sull’asse temporale,
negli anni nei quali sono previsti quei flussi di cassa stimati.
Step 2: determinazione del tasso di attualizzazione WACC che deve essere coerente rispetto ai
flussi di cassa. Valutando un progetto di investimento, il quale prevede una serie di flussi in entrata
e in uscita che sono futuri, idealmente si dovrebbe tenere conto dell’effetto inflattivo che incide
sulla valorizzazione dei flussi di cassa. Operativamente si può procedere in due modi:
1) stimare i flussi, e nell’esercizio di stima considerare il tasso di inflazione anno per anno. Quindi
bisogna prevedere un tasso di inflazione per ogni anno considerato, calcolare valore del flusso ×
(1+tasso di inflazione annuale), con ciò ottenendo la stima dei flussi di cassa nominali. A questo
punto ho la successione dei flussi di cassa nominali e come tasso di attualizzazione posso usare un
tasso nominale. Il tasso nominale non tiene conto dell’effetto inflazione, ed è quello che troviamo
applicando la formula del WACC. Infatti i tassi 𝑘* e 𝑘6 sono previsti per l’orizzonte temporale di
riferimento, sono futuri e per loro natura nominali. Il WACC è espressione come tasso di una
valorizzazione nominale, non reale.
2) stimare i flussi di cassa reali e successivamente attualizzare ad un tasso reale. - I 2 modi
schematizzati di seguito -
- Flussi di cassa nominali à attualizzati ad un tasso nominale.
- Flussi di cassa reali à attualizzati ad un tasso reale (≅ tasso nominale meno tasso di inflazione
attesa). Tasso reale: calcolo WACC e gli sottraggo il tasso di inflazione attesa. Questa opzione è più
facile e che noi suggeriamo.
𝐷 𝐸
𝑊𝐴𝐶𝐶 = (1 − 𝑡) × 𝑘* + × 𝑘6
𝐷+ 𝐸 𝐷+𝐸
C’è una alternativa: non considerare il problema inflazione, forse l’approccio più attualizzato. Si
stimano i flussi, si determina WACC e si procede a calcolare le attualizzazioni. A livello di prassi
adottata, si omette il calcolo dell’inflazione (tasso inflazione considerato nullo).
Step 3: attualizzazione dei flussi e calcolo del VAN.
"
𝑁𝐶𝐹!
𝑉𝐴𝑁 = %
(1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶)!
!#$
117
55% = E/D+E Ke=8,00%
45% = D/D+E Kd=4,15%
5,74%: costo del cap tot
22.500 è il costo dell’invest.
come esborso finanziario. Ma
in termini di remunerazione
complessiva (azionisti+banca)
mi costa 5,74% (netto perché
considera il risparmio fiscale).
Flusso di cassa
attualizzato =
Flusso nom/(1+wacc)^t
Posso vedere quale è la sensitività tra VAN e WACC. Il VAN è inversamente proporzionale al WACC.
Tra WACC e VAN sussiste una relazione inversa. Aumenta WACC, diminuisce VAN. Aumentare
WACC vuol dire che mi costa di più raccogliere le risorse finanziarie per eseguire l’investimento, a
parità tuttavia dei flussi netti generati. Quindi la creazione di ricchezza, espressione del VAN,
tenderà a comprimersi quanto più risulta essere alto il WACC.
118
con wacc = 0 ottengo
8.725 (somma flussi
nominali). Man mano
aumento wacc, il van
scende. Per wacc =
5,74% ho van = 4254.
Aumentando sempre
di più wacc, arrivo ad
un punto in cui il van
risulta nullo. Se
effettivamente avessi il
wacc tale da rendere
van nullo, otterrei una
situazione in cui
quanto riesco a generare come ricchezza, quindi la redditività del progetto di investimento, è
sufficiente solo per coprire i costi. NB: van > 0 la redditività generata dall’investimento è maggiore
del suo costo: copro il costo e genero ricchezza netta. VAN < 0 quanto si genera come redditività
non riesce nemmeno a coprire il costo sostenuto per l’investimento; redditività inferiore rispetto
al costo. VAN = 0 il costo da sostenere è pari al rendimento dell’investimento, il rendimento
dell’investimento è utilizzato complessivamente per coprire tutti i costi. Non genero né distruggo
ricchezza: indifferenza.
à il tasso di attualizzazione che rende il van nullo equivale al rendimento implicito
dell’investimento (tasso interno di rendimento, determinato calcolando quel tasso di
attualizzazione che rende il van nullo).
UNA PRECISAZIONE SU Ke (stima della redditività richiesta dall’azionista per un suo investimento)
•Il tasso esprime la redditività attesa dei mezzi propri, ovvero, dal punto di vista della società, il
costo connesso ai finanziamenti ottenuti dai soci.
•In una logica di valutazione al mercato è come chiedersi qual è il rendimento azionario atteso:
𝑘6 = 𝑟/ + 𝛽(𝑟9 − 𝑟/ )
119
in termini di rendimento, sia maggiore di quella del mercato: più reattivo, rischioso del mercato.
Terza ipotesi: la reattività del mio titolo è più contenuta rispetto al mercato, si attutiscono i
movimenti del mercato, è più difensivo, riducendo l’apprezzamento del mercato ma anche le
perdite nel caso in cui il mercato vada al ribasso.
à Quindi posso immaginarmi una relazione lineare tra rendimento del mio titolo e del mercato.
Ipotesi di equilibrio generale del mercato (siamo in ipotesi di mercato efficienti, ipotesi che tutti i
soggetti abbiano le stesse aspettative circa l’evoluzione dei prezzi dei titoli e del mercato, e altre
ipotesi…). In questo contesto è preferibile ragionare in termini di premio al rischio del mercato e
premio al rischio del titolo, anziché in termini di rendimento del mercato e del titolo. Il premio al
rischio è l’extra rendimento che l’investitore richiede per investire in un’alternativa rischiosa
rispetto al rendimento previsto per un’attività priva di rischio. L’attività priva di rischio tipicamente
è l’investimento in un titolo che ha un rendimento predeterminato, per esempio il titolo
governativo. Rendimento privo di rischio intendendo il rendimento in un’alternativa in cui so già
oggi quale sarà il rendimento nel periodo di investimento considerato: 𝑟/ rendimento risk free. È
ovvio quindi che valutando l’alternativa di investire in un’attività rischiosa ci debba essere un
rendimento maggiore, quindi la differenza tra il rendimento di un investimento rischioso e il
rendimento risk free misura il premio al rischio, che è la compensazione in termini di rendimento
addizionale del maggiore rischio assunto nell’investimento in attività rischiosa.
à la relazione tra il titolo e mercato posso esprimerla in termini di premio al rischio. Il premio al
rischio del mercato 𝑟9 − 𝑟/ si muoverà in sintonia con il premio al rischio del mio titolo 𝑘6 − 𝑟/ .
Per misurare la differente reattività che possiamo vedere per il premio al rischio del titolo
azionario rispetto a quello del mercato, inseriamo un coefficiente 𝛽 che indica la reattività rispetto
al mercato. Avrei quindi 𝑘6 − 𝑟/ = 𝛽(𝑟9 − 𝑟/ ) à 𝑘6 = 𝑟/ + 𝛽(𝑟9 − 𝑟/ )
𝑘6 = 𝑟/ + 𝛽(𝑟9 − 𝑟/ ) Questa è l’equazione fondamentale del modello del CAPM (capital asset
pricing model).
Formula: il rendimento atteso dell’azionista è calcolato aggiungendo al risk free una componente
pari a coefficiente 𝛽 moltiplicato per il premio al rischio del mercato. 𝛽 misura il grado di reattività
del mio titolo rispetto al mercato. Se la reattività fosse uguale ad 1, avremmo lo stesso risultato
del mercato, >1 rendimenti amplificati, <1 rendimenti più contenuti rispetto all’evoluzione del
mercato.
rf è il tasso di un investimento privo di rischio. Nella prassi operativa, generalmente viene reso pari
al rendimento esibito dal BTP 10-30 anni (BTP 10/30 yr). BTP: buoni del tesoro poliennali, sono i
titoli emessi dal governo italiano, che hanno per differenti scadenze una cedola fissa. È
considerato risk free perché, al netto del rischio sovrano ed ovvero alla probabilità che anche
l’emittente Italia non sia in grado di rimborsare, se oggi investo in un BTP a 10 anni, siccome la
cedola è fissa e il rimborso è 100 a scadenza in percentuale, io ho già predeterminato il
rendimento che incasserò tenendo la posizione per tutta la durata del mio investimento. ecco
perché il riferimento ad un titolo molto liquido e privo di rischio è un’approssimazione valida per la
variabile rf. La regola vorrebbe che la durata, la scadenza del titolo sia allineata all’orizzonte
temporale del progetto di investimento. In realtà però anche per progetti molto lunghi, comunque
si prende in considerazione il decennale perché è un titolo più liquido, sicuramente più del
trentennale. La prassi vede una convergenza verso l’utilizzo del BTP a 10 anni.
rm è il tasso di rendimento del mercato di riferimento (indice di mercato). Il mercato di riferimento
è il mercato azionario, se stiamo ragionando in Italia si prende il rendimento atteso dell’indice
FTSE MIB, che è l’indice di mercato che esprime la media dell’andamento dei primi 40 titoli più
importanti del mercato azionario.
𝛽 esprime il rischio connesso all’investimento:
120
• < 1 il rischio è minore di quello di mkt (il rendimento oscilla meno rispetto all’andamento del
mercato)
• = 1 il rischio è identico a quello di mkt
• > 1 il rischio è maggiore di quello di mkt (la volatilità del rendimento supera quella del mkt)
Il rendimento risk free lo pesco dalle quotazioni dei rendimenti oggi del BTP a 10 anni, e ottengo la
stima del rendimento implicito: lo yield, espressione su base annua in percentuale del rendimento
associato all’investimento in BTP.
𝛽 è il coefficiente che misura la reattività del rendimento del titolo rispetto al mercato. Il 𝛽, il cui
valore ruota attorno ad 1, indica il rischio sistematico: è il contributo marginale che il titolo che sto
esaminando (quel Ke) contribuisce al rischio complessivo del mercato rm.
PREGI:
• Possibilità di massimizzare il valore di ciascun euro investito attraverso la scelta di progetti che
presentano un TIR elevato. Utilizzo del TIR nella massimizzazione delle risorse che
complessivamente possono essere allocate in progetti, perché si può seguire il TIR come criterio di
allocazione delle risorse disponibili (investimenti in più progetti usando TIR come criterio di
121
allocazione, allocando su una graduatoria redatta in base al TIR associato alle alternative, dal
progetto con TIR maggiore a quello con TIR minore).
• Possibilità di valutare l’implementazione di progetti in un contesto caratterizzato da risorse
scarse.
• Metodologia più intuitiva del VAN in quanto legata al concetto di redditività. Infatti il risultato è
espresso su base annua in termini percentuali. Alla domanda quanto rende un investimento riesco
a dare una risposta precisa, facilmente intuibile, misurabile, confrontabile con altre alternative. Il
TIR facilita il confronto comparativo rispetto ad altre alternative di investimento.
DIFETTI:
• Ignora i differenti gradi di rischio associati ai vari progetti, perché esprime solo una redditività.
Non ho alcuna misura del rischio associato al progetto di investimento.
• Possibilità di incorrere in errori nel calcolo del TIR. Possiamo trovarci di fronte a delle valutazioni
di progetti di investimento in cui vi è una successione dei flussi che non è esattamente come
quella generalmente ipotizzata, dove si ha una prima fase con flussi in uscita seguita poi da una
fase con una successione di flussi positivi. Invece possiamo trovarci di fronte ad un’alternanza di
flussi nella dinamica delle entrate nette: negativi, positivi, negativi, positivi… In questo caso si
verifica un problema di tassi multipli, ovvero con più tassi di sconto si può avere van=0. Problema:
dei tassi determinati che analogamente rendono van nullo, quale è quello vero? Se il TIR soffre di
questo problema, allora il criterio nuovamente più robusto risulta essere il VAN. Quando invece
abbiamo una successione dei flussi come nel caso generale (negativi, poi positivi), non c’è il
problema metodologico appena discusso, quindi il segnale che proviene circa il giudizio di
fattibilità di un progetto adottando il TIR risulta essere esattamente compatibile con quando
emerso dal VAN; anzi, i due criteri vanno a complementarsi, anche con il punto di pareggio
attualizzato.
ESEMPIO: ho diverse alternative di investimento. Ne determino il TIR, faccio una graduatoria. Fisso
anche un livello soglia, pari a TIR = WACC (situazione di indifferenza tra fare o non fare
l’investimento). Ma in genere le imprese aggiungono un mark-up rispetto al WACC, e nella
selezione preliminare dei progetti di investimento eliminano quelli che hanno una redditività
implicita inferiore a questa soglia.
Data una limitata disponibilità di capitale da investire, solo i progetti con TIR più elevato (e
comunque superiori al WACC) vengono scelti per essere implementati.
122
TIR = 12,80%
Il TIR separa due
aree del VAN,
maggiore e
minore di 0.
123
Significato di 1.189: per un euro investito genero entrate nette pari a 1.189.
VAN più alto associato a C. In senso assoluto C genera più ricchezza. Ma, in condizioni di risorse
limitate, bisogna concentrare le risorse in progetti di investimento che esibiscono l’IRA più elevato.
Determino quindi l’indice di rendimento attualizzato. L’investimento D è quello che in termini
relativi presenta la maggiore capacità di liberare risorse a parità di euro investiti. L’allocazione
ottimale deve senz’altro includere l’alternativa D, per la quale è richiesto un esborso almeno pari a
20, e devo avere almeno queste risorse per poter investire in D. Laddove avessi più risorse, si
segue il ranking determinato in funzione dell’IRA: in ordine A, C, B, tenendo conto dei costi iniziali.
Nella prassi si procede ad una determinazione di tutti i criteri, con ciò avendo una mappatura di
tutti i criteri (punto di pareggio attualizzato, van, tir, ira e con la rappresentazione del wacc) che
consentono di valutare meglio la fattibilità economico finanziaria del progetto di investimento. Ad
eccezione per il punto di pareggio attualizzato, gli altri indicatori si concentrano di più sulla
dimensione economica.
VAN: misura di ricchezza netta generata in termini assoluti.
TIR: espressione di una redditività implicita su base percentuale e su base temporale annua
124
IRA: rappresentazione del van in termini di ratio.
Questi 3 indicatori danno una misurazione economica, perché solo indirettamente si tiene conto
della dimensione finanziaria. Peraltro l’aspetto di fattibilità finanziaria non è esprimibile facendo
esclusivamente riferimento a tali indicatori. Con van > 0, tir > wacc, e ira che riflette il risultato del
van (nb convergenza: van <0 tir < wacc, ira <1, van>0 tir > wacc, ira>1) posso dire che il progetto di
investimento risulta redditizio. C’è quindi convergenza nei risultati di tali indicatori; ho solo un
potenziale problema per il tir laddove ci sia inversione dei segni con il tir che potrebbe non
corrispondere alle indicazioni riferibili a van e ira. à il VAN è l’indicatore più robusto dal punto di
vista metodologico.
Il punto di pareggio attualizzato esprime una qualche valutazione sulla sostenibilità finanziaria.
Ricordiamo che il grado di liquidità maggiore è ascrivibile a quell’investimento il cui punto di
pareggio risulta ravvicinato rispetto all’epoca 0 di valutazione. Vi è un problema di sostenibilità
finanziaria laddove il punto di pareggio si collochi praticamente al termine dell’orizzonte
temporale del progetto di investimento. Talvolta esso può essere addirittura alla fine
dell’orizzonte.
Eventuali criticità associate a successioni di flussi che si concentrano per più anni su punte estreme
negative: queste sono uscite nette associate ai costi, il che significa che saranno necessarie quelle
risorse à problema di finanziamento. Il giudizio sulla sostenibilità finanziaria si può iniziare già
nella valutazione del progetto di investimento con il PPA, ma in termini di reperibilità delle risorse,
costo delle risorse e scelta della forma ottimale è qualcosa che appartiene ad un’altra attività di
valutazione. Dunque separiamo la valutazione delle operazioni di investimento da quelle di
finanziamento.
125
È importante che le caratteristiche delle fonti siano compatibili con quelle degli impieghi e
viceversa. Coprire le attività correnti: passività con stessa scadenza temporale, idealmente le
passività concorrenti. Debiti a m/l e mezzi propri: orientati alla copertura delle attività
immobilizzate e della parte che pur essendo attivo circolante ha funzione a lungo termine
(liquidità permanente e magazzino e crediti stabilmente legati all’azienda).
Le coperture devono seguire nel tempo le evoluzioni del fabbisogno finanziario cercando di
adeguarsi in termini di caratteristiche di scadenza.
126
Tutto parte dalla realizzazione del budget di cassa. Serve per mappare, almeno con cadenza
mensile su un anno di riferimento, tutte le voci che hanno una manifestazione finanziaria in
entrata e in uscita. Distinguo tra entrate e uscite. Le voci si inseriscono nel momento in cui vengo
pagato/pago. È uno strumento interessante dal punto di vista previsionale. A monte di questo
budget di cassa, potrei fare un budget degli acquisti e delle vendite, tentando di fare previsioni da
una parte circa l’ammontare complessivo delle vendite (ricavi e quindi crediti verso clienti), e
dall’altra debiti verso fornitori. Questa è l’attività più importante, perché di fatto una strategia
aziendale, gestionale è misurata principalmente sul tasso di variazione del fatturato.
Come strumento previsionale, bisognerebbe poi imporre i mesi di dilazione a clienti e da fornitori.
Questo perché si tiene conto che i valori di fatturato inseriti nei vari mesi, si incassano dopo la
dilazione temporale. Entrate: crediti commerciali, altri crediti.
Faccio lo stesso per i fornitori, ma se prima il segno era positivo ora è negativo. Idem per tutte le
altre uscite.
Totale entrate – totale uscite = saldo monetario (mese per mese)
Successivamente calcolo il saldo cumulativo, che è la somma mese per mese di tutti i saldi
precedenti. Su questi due valori si inizia a ragionare su quanto serve per coprirsi finanziariamente:
la quantificazione del fabbisogno finanziario a breve termine.
La copertura del fabbisogno finanziario a breve termine
Prevediamo quindi il fabbisogno di liquidità temporaneo (stima di quanto dovrebbe servirci mese
per mese). Successivamente scegliere le fonti di finanziamento, gli strumenti di copertura. La
distinzione è debiti di finanziamento rispetto a debiti di regolamento. Chiedere una dilazione ad un
fornitore è un debito, con un onere implicito. Per i debiti finanziamento gli oneri sono espliciti,
interessi e commissioni. Tipologia di debiti di finanziamento a breve:
- apertura di credito c/c
- smobilizzi di crediti di fornitura: l’azienda ha una fattura e la utilizza a testimonianza del fatto
che, sottostante una richiesta di finanziamento, c’è un rapporto commerciale, e quindi la banca
concede le risorse finanziarie. Gli smobilizzi si distinguono in:
- rappresentati da effetti: cambiali, titoli di credito. Le cambiali a scadenza utilizzate per regolare
la vendita, si portano allo sconto in banca facendoci anticipare il van, quindi dedotte gli interessi
passivi e le commissioni. Gli effetti possono anche non essere dei titoli di credito, quindi si fa
riferimento alle ricevute bancarie. Tipicamente lo strumento utilizzato dalle imprese è il
finanziamento sul c.d. portafoglio s.b.f. delle ricevute.
- non rappresentati da effetti: riferimento al documento attestante il rapporto commerciale,
quindi le fatture. Gli strumenti sono anticipi su fatture e il factoring.
Individuare e destinare le risorse: esamino ogni possibile forma di finanziamento a breve termine
che mi permetta di compensare mese per mese i valori negativi dei saldi monetari. Le risorse
possono essere interne o esterne, derivanti da forme di finanziamento suddette.
Nell’individuazione di risorse rientra anche il debito di fornitura. La scelta ottimale si base sulla
determinazione del costo. In termini generali, la scelta ottimale della forma di finanziamento porta
ad identificare l’alternativa a minore costo.
Esaminiamo quindi i metodi per determinare il costo delle varie alternative.
127
richiesto nell’ipotesi di pagamento differito. Il costo non è esplicito, non implica uscita monetaria,
si paga il prezzo identificato a scadenza. Se invece si paga a pronti, si beneficia di uno sconto.
PORTAFOGLIO SCONTI
La banca anticipa il valore attuale di cambiali con scadenza futura, per un importo al netto dello
sconto commerciale e delle commissioni, complessivamente interessi passivi e commissioni
passive (netto ricavo).
PORTAFOGLIO S.B.F.
La banca accredita il valore nominale delle ricevute bancarie facendo pagare interessi e
commissioni posticipati. Non anticipa il valore attuale perché anticipare il valore attuale significa
che si pagano gli interessi in via anticipata. Con le ricevute bancarie si pagano in via posticipata.
128
Per calcolare il tasso effettivo, nella formula prima al
posto di C mettevo il netto ricavo. Ora metto quanto
incasso al tempo 0, il valore nominale. Prima incassavo il
netto ricavo, qui il valore nominale perché le
competenze si pagano ex-post. La differenza tra 7,84% e
7,76% quantifica il risparmio di costo nel pagare in via
posticipata gli interessi.
IL CONTRATTO DI MUTUO
Forma di prestito a medio-lungo termine erogata dalle banche in un’unica soluzione, in
corrispondenza della quale il mutuatario è obbligato al versamento di rate periodiche - anticipate
o posticipate - destinate al pagamento degli interessi e del rimborso del capitale. Possibili
configurazioni: rate costanti (ammortamento francese con rata costante. La rata ha in sé la quota
capitale e quota interessi che è calcolata sul debito residuo. Periodo per periodo restituisco quota
parte del capitale; la quota interessi quindi si determina su una quota via via decrescente. Nella
rata quindi si determinano quota interessi e quota capitale in modo tale che la somma sia sempre
costante nel tempo) o decrescenti (ammortamento italiano, quota capitale costante, interessi
determinati sul debito residuo, quindi quota interessi sarà decrescente).
129
A seconda del tasso applicato:
– tasso FISSO, quando il tasso non varia durante la durata del prestito (tasso di riferimento: EURIRS
+ spread à tasso sugli Interest Rate Swap con scadenza pari più o meno a quella della durata del
mutuo + spread. Interest Rate Swap: sono uno strumento derivato. È un contratto che prevede
scambi di flussi finanziari parametrati a tassi differenti. Il tasso fisso del contratto di interest rate
swap è il parametro preso come base di riferimento per la determinazione del tasso fisso per i
mutui. Esempio stipulazione contratto di interest rate swap: implica che per una certa scadenza
es. 10 anni, a varie scadenze es. ogni semestre, pago degli interessi e nello stesso giorno incasso
degli interessi. I = C i t. Per i quando pago posso decidere di pagare un tasso fisso, tasso interest
swap. Quando incasso può essere un parametro variabile, e generalmente quello di riferimento è il
tasso Euribor. L’Euribor è un tasso di riferimento variabile che indica il costo al quale le banche si
scambiano i depositi, a scadenze brevi.
– tasso VARIABILE, quando il tasso varia in dipendenza di determinati parametri, quali i tassi del
mercato monetario o finanziario (tasso di riferimento: Euribor + spread). Euribor: è il tasso al quale
si scambiano risorse finanziarie le banche (prestiti interbancari). Sono delle medie dei tassi prese
da un paniere di banche europee. È sulla piazza euro, dove la moneta, la divisa scambiata è l’euro.
L’euribor è un tasso variabile, poiché ogni giorno questo tasso è un tasso negoziato che deriva da
domanda e offerta di fondi che si fanno le banche, quindi ogni giorno cambia. Ogni giorno si può
vedere quanto è l’euribor per varie scadenze, le quali sono scadenze dei prestiti interbancari.
– tasso MISTO, quando è possibile modificare, alle scadenze e alle condizioni stabilite nel
contratto, il tipo di tasso iniziale scegliendo tra tasso fix e var.
– tasso CAPPED RATE, tasso var. con limite max predeterminato oltre il quale il tasso non potrà
mai salire, anche se i tassi di mkt dovessero superarlo. La copertura non è priva di costi, spesso
non facilmente individuabili.
– tasso BILANCIATO (o mix), composto da una parte a tasso fix e una a tasso var. La composizione
tra le due parti può essere scelta tra diversi mix, a seconda del peso che si preferisce dare ai due
tassi.
– VARIABILE CON RATA COSTANTE, in cui si combinano caratteristiche del tasso fisso con quelle
del tasso variabile. In particolare, al variare del tasso di interesse si modifica la durata del mutuo,
ma non anche la rata che invece rimane costante. Rialzi del costo del denaro (dei tassi)
determinano un allungamento della scadenza, mentre i ribassi la riducono.
Il piano di rimborso
Le rate periodiche da versare si compongono di una quota capitale (Ct) e di una quota interessi (It):
Rt = Ct + It
0
𝐶 = B 𝐶&
&NO
C è il prestito concesso dalla banca. Sommatoria quote capitali deve corrispondere all’importo
concesso dalla banca. Gli interessi si calcolano sul debito residuo.
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Come posso vedere in logica di attualizzazione finanziaria à i 200.000 euro incassati oggi
equivalgono alla sommatoria delle rate che dovrò pagare nei 10 anni successivo. Equivalenza tra i
200.000 incassati oggi al tempo 0 e i vari montanti collocati nelle varie periodicità nelle quali pago
le rate. Questi montanti sono di fatto le mie rate, che sono costanti.
200.000 = sommatoria di tutte le rate attualizzate
Piano di ammortamento
Esso è in forma tabellare la programmazione di quanto si dovrà rimborsare distinguendo tra quota
capitale e quota interessi, la cui somma dà la rata, e specificando anche l’evoluzione del debito
residuo. Il debito residuo si ricalcola anno per anno levando le quote capitali. Con
l’ammortamento francese, per prima cosa si calcola la rata costante. La quota capitale è
l’incognita. Dopodichè calcolo la quota interessi (C i t) sul debito residuo del primo anno. La
differenza tra rata e quota interessi mi dà la quota capitale. Primo anno compilato. Inizio il
secondo anno, calcolando il debito residuo = C – quota capitale 1° anno. Calcolo quota interessi
come debito residuo x tasso x tempo. Per sottrazione calcolo quota capitale. E via dicendo.
Debito estinto: è la somma cumulativa della quota capitale.
QUOTA CAPITALE: crescente
QUOTA INTERESSI: decrescente
RATA: costante. La quota capitale compensa la riduzione della quota interessi. La somma di tutte
le rate è quanto pago complessivamente. L’altro totale è la quota interessi.
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di avere tutti i flussi in entrata (cedole, rimborso del capitale) attualizzati esattamente pari al
prezzo da sostenere per l’acquisto del bond. È un’equivalenza tra quanto si incasserà
complessivamente rispetto a quanto si paga oggi. Ecco perché il tasso di attualizzazione da
utilizzare per lo sconto di ogni montante indica il rendimento, cioè pagando oggi quel prezzo
incasserò quella somma di montanti collocati lungo l’orizzonte temporale di riferimento. Questo
vale per il rendimento, ma anche per il costo. Ecco perché la logica di determinazione di costo del
finanziamento multiperiodale segue la stessa logica. Cambia solo la successione dei flussi: ribaltata
rispetto a quella della valutazione di un progetto di investimento. Nel finanziamento abbiamo
prima un’entrata, seguita da una serie di esborsi. Devo calcolare quel tasso che mi permette di
avere la sommatoria attualizzata degli esborsi effettivi esattamente pari a quanto incasso oggi.
Gli elementi di costo del contratto di mutuo sono le rate periodiche, posticipate o anticipate, che il
mutuatario è chiamato a versare.
Il costo del contratto di mutuo corrisponde al TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale). à Quel tasso
che rende la somma dei flussi negativi attualizzati pari all’importo ricevuto.
Secondo le disposizioni vigenti nel nostro paese, disciplina secondo le circolari di Banca d’Italia, il
costo del contratto di mutuo che esprime tutte le componenti di costo (tasso di interesse e altri
oneri direttamente imputabili all’erogazione del credito) prende il nome di tasso annuo effettivo
globale. Esso tecnicamente è un tir, un tasso interno, effettivo.
IL CONTRATTO DI LEASING
Definizione: è un contratto con cui un soggetto - il locatore - concede la disponibilità di un bene ad
un altro soggetto - il locatario - per un determinato periodo di tempo, dietro il pagamento di un
canone periodico.
Classificazione: in base alla struttura degli impegni che il contratto determina, si distingue tra:
– LEASING OPERATIVO, definibile come contratto di noleggio di beni strumentali ® non è
assimilabile ad una operazione di finanziamento
– LEASING FINANZIARIO, attraverso cui il locatario si impegna a corrispondere un determinato
numero di canoni per un ammontare globale superiore al costo del bene ® è un’operazione di
finanziamento. Una naturale alternativa rispetto al mutuo è il leasing finanziario, che di fatto è una
forma di finanziamento. La stessa normativa italiana, sia secondaria sia sottoforma di regolamenti
di Banca d’Italia, equipara il contratto di leasing finanziario ad una forma di finanziamento. Il
leasing finanziario, a differenza di quello operativo, ha una durata che è correlata alla vita
economica del bene stesso. Inoltre il prezzo di riscatto al termine del contratto è una percentuale
modesta del valore nominale del bene su cui si è stipulato il contratto, ed è notevolmente
inferiore al valore di mercato di beni analoghi sul mercato stesso (questo a differenza del leasing
operativo, dove peraltro la soluzione di riscatto raramente viene esercitata).
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Leasing: non ho un incasso, ho solo una serie di esborsi (canoni di leasing) lungo tutto la durata
contrattuale. Spesso all’inizio è richiesto anche un maxicanone iniziale. Come faccio a calcolare
quel taeg del leasing in logica di tasso interno di rendimento se non ho un’entrata iniziale? Oggi gli
operatori bancari o di leasing danno per scontato un passaggio logico che negli anni ’80 non era
così logico. Si racconta che affrontando l’argomento in classi di corsi master in America, i docenti
con gli stessi studenti si siano resi conto che a livello operativo si poteva ricostruire il profilo
finanziario del leasing uguale a quello di un finanziamento. Questo perché anche se non incasso in
modo esplicito una somma, è pur sempre vero che utilizzo il bene. Se con il mutuo acquisto il bene
con le risorse ottenute, con il leasing utilizzo direttamente il bene non di mia proprietà. Dal punto
di vista della disponibilità non cambia nulla. Con il leasing non ho l’esborso iniziale consistente, che
è equivalente al prezzo del bene. Quindi la logica è: se non ho l’esborso inziale, è come se avessi
un risparmio esattamente pari all’importo del bene, quindi come avere una sorta di entrata
virtuale. Questo passaggio logico oggi viene preso come una regola generale. L’operatività più
comune indica come modalità di determinazione del costo del leasing questa procedura: da un
lato considero il prezzo del bene come se fosse una somma di entrata, dall’altro, relativo ai
pagamenti, considero i canoni e gli altri oneri direttamente imputabili. A questo punto posso
costruire una dinamica dei cash flow analoga a quanto abbiamo per il mutuo, con la differenza che
la somma virtualmente in entrata è pari al prezzo del bene collocato idealmente al tempo 0, e gli
esborsi, che per il mutuo erano le rate, per il leasing sono i canoni periodici.
La società addebita
ad ogni periodicità
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In logica di attualizzazione finanziaria,
devo calcolare quel tasso che rende la
somma di tutti i valori negativi pari a
967,800.00
Conviene prendere il bene in leasing o acquistarlo con il mutuo? Dal punto di vista dell’utilità e
dell’utilizzo del bene non cambia, cambia invece relativamente ai costi e ai risparmi.
TAEG mutuo VS TAEG leasing: scelgo l’alternativa con TAEG minore.
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