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IL SISTEMA FINANZIARIO

1. IL SISTEMA FINANZIARIO
Il sistema finanziario è un sistema complesso che consente lo sviluppo dell’attività finanziaria. È un
insieme organizzato composto da:
1. Strumenti finanziari: l’oggetto dello scambio finanziario. Sono contratti aventi per oggetto diritti
e prestazioni di servizi di natura finanziaria.
2. Intermediari finanziari: soggetti, istituzioni che si interpongono nello scambio/produzione di
strumenti e servizi finanziari.
3. Mercati finanziari: gli ambiti negoziali in cui i soggetti in surplus e deficit si scambiano le risorse
finanziarie.
In questa struttura complessa, le autorità di controllo e vigilanza creano un perimetro entro il
quale tutti i soggetti (strumenti, intermediari, mercati) del sistema finanziario possono muoversi.
L’attività finanziaria si svolge nel rispetto di regole e controlli di competenza delle autorità di
controllo e vigilanza.

Strumenti finanziari
Gli strumenti finanziari sono emessi in relazione all’attività di scambio che si realizza nel sistema
economico e, più precisamente, sono contratti che permettono il trasferimento di:
§ risorse finanziarie tra un soggetto creditore e un soggetto debitore;
es. acquisto di un bond di un titolo di obbligazionario mette in relazione due soggetti: soggetto
emittente emette l’obbligazione per la necessità di raccogliere risorse finanziarie (debitore). Colui
che investe, trasferisce risorse al debitore, è soggetto creditore.
§ Rischi tra soggetti diversi:
- rischi puri (contratto di assicurazione). Rischio puro denota degli effetti che hanno una
manifestazione negativa;
- diritto/impegno a scambi futuri à rischio finanziario (contratti a termine e derivati). Il rischio
finanziario può essere positivo o negativo, un prezzo azionario che va al rialzo o ribasso denota
incertezza, può avere una variabilità significativa.

STRUMENTI FINANZIARI: CRITERI DI CLASSIFICAZIONE


Innovazione finanziaria: processo di proliferazione degli strumenti finanziari, ad es. strumenti
derivati, che nel tempo ha reso più complesso il sistema finanziario. Una modalità per classificare
gli strumenti finanziari tenendo conto di questo processo di innovazione è la seguente.
Gli strumenti finanziari possono essere classificati in base ai diversi profili contrattuali:
- Natura del diritto di oggetto del contratto: diritto di partecipazione (azioni), diritto di credito
(obbligazione, acquisto un titolo bond e ho un diritto di credito verso l’emittente ovvero il
debitore), impegno/facoltà (strumenti derivati, incorporano una operazione a termine che può
essere un impegno ad acquistare/vendere una certa attività sottostante in un momento
successivo, come i future, o una facoltà)
- Negoziabilità: strumenti finanziari negoziabili (es. valori mobiliari) o non negoziabili (in prima
analisi es. mutuo). I negoziabili (venduti e acquistati) possono formare un mercato secondario.
- Liquidità, ovvero in base all’attitudine ad essere trasformati in moneta (possibilità di conversione
in moneta a vista o con preavviso). In questo subentrano diversi elementi che definiscono il grado
di liquidità di uno strumento: scadenza contrattuale, grado di standardizzazione, esistenza di
mercati organizzati, rischio.

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INTERMEDIARI FINANZIARI: CRITERI DI CLASSIFICAZIONE
A) In base alla specializzazione produttiva:
- Specializzati nella produzione di strumenti finanziari
- Specializzati nella negoziazione di strumenti finanziari
- Specializzati nell’offerta di servizi legati alle attività di produzione/negoziazione
B) In base alla propria caratterizzazione funzionale:
- Intermediari creditizi (banche)
- Intermediari mobiliari (intervengono nei mercati mobiliari, i broker, società che vanno a gestire il
risparmio poi veicolato in mercati azionari, obbligazionari)
- Investitori istituzionali (soggetti che in modo istituzionale raccolgono risparmio presso il pubblico
risparmio e lo vanno ad investire)
- Compagnie di assicurazione

MERCATI FINANZIARI: CRITERI DI CLASSIFICAZIONE


Diverse tipologie di classificazione:
- Tipologia degli strumenti finanziari: mercato monetario, dei capitali, dei derivati. Mercato
monetario si riferisce a quel luogo negoziale nel quale vengono scambiati strumenti finanziari con
scadenza entro i 12 mesi, dei capitali superiori ai 12 mesi, come il mercato azionario e
obbligazionario, dei derivati (strumenti derivati).
- Dimensione geografica: mercato nazionali, internazionali.
- Assetto istituzionale: mercato regolamentato, non regolamentato. Si è più tutelati nell’investire in
strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati.
- Struttura proprietaria: mercati pubblici, privati (es. Borsa Italiana spa mercato privato).
- Modalità operative: mercati fisici, telematici.
- Forme organizzative: mercati ad asta, market maker, dealer.

Il sistema finanziario assolve a tre fondamentali funzioni che supportano i sistemi economici:
1. Regolamento monetario degli scambi: offerta di strumenti di pagamento. Economia reale
(scambio di beni ed investimenti e regolato attraverso la moneta) ed economia finanziaria: tutto
nasce dalla moneta che va a spezzare i circuiti di scambio, in un circuito cosiddetto reale da un
circuito monetario. La moneta nasce come primo strumento di pagamento, assolve ad un
fabbisogno di regolamento degli scambi. Un sistema finanziario è tanto più efficiente quanto
maggiori saranno gli strumenti offerti.
2. Accumulazione del risparmio e finanziamento degli investimenti: trasferimento del potere di
acquisto da unità in avanzo a unità in disavanzo. È la funzione più importante del sistema
finanziario perché permette di veicolare le risorse finanziarie laddove sono necessarie per
finanziare gli investimenti.
3. Gestione dei rischi: copertura dei rischi con strumenti ad hoc, ma anche con operazioni e servizi
che permettono di ridurre gli effetti negativi che possono produrre movimenti avversi di prezzi o
tassi di interesse che sono variabili nel tempo e derivano dagli scambi nei sistemi finanziari.
Offerta di strumenti di copertura a termine e di tipo assicurativo.
à Il sistema finanziario svolge anche una funzione di trasmissione della politica monetaria.

REGOLAMENTO DEGLI SCAMBI


In un moderno sistema economico la diversità di posizioni fra soggetti deriva dal livello di
specializzazione che ciascun soggetto raggiunge in base alle proprie attitudini e competenze.
Un sistema con tali caratteristiche deve disporre di meccanismi di scambio e di regolamento molto
sviluppati. Un fattore fondamentale per la funzionalità degli scambi è l’efficienza del sistema dei

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pagamenti: idoneità degli strumenti di pagamento all’utilizzo come mezzo di regolamento delle
transazioni commerciali e non commerciali.

L’ACCUMULAZIONE DEL RISPARMIO E IL FINANZIAMENTO DEGLI INVESTIMENTI


La crescita di un sistema economico è strettamente legato a:
- Volume e natura degli investimenti realizzati in un arco determinato di tempo
- Capacità di accumulazione del risparmio
- Scelte di allocazione del risparmio
- Dissociazione risparmio/investimenti. Il sistema finanziario deve connettere i soggetti in surplus e
in deficit, in modo tale che siano veicolate le risorse finanziarie ed eseguiti gli investimenti.
Soggetti in surplus: si specializzano per l’accumulazione del risparmio. Soggetti in deficit: si
specializzano negli investimenti.
- Efficienza allocativa dei sistemi finanziari: veicolare verso quegli investimenti che a parità di rischio
esibiscono un rendimento atteso massimizzato; meglio allocare le risorse finanziarie verso
opportunità di investimento che permettono di massimizzare il rendimento a parità di rischio.
Tutti gli investimenti hanno una loro rischiosità e rendimento atteso.
Nello svolgimento delle proprie funzioni il sistema finanziario deve favorire lo sviluppo di forme e
circuiti di trasferimento che permettano l’identificazione degli impieghi più redditizi (ad un dato
livello di rischio)à concetto di efficienza allocativa
- Finanziarizzazione dell’economia: il grado di finanziarizzazione attiene alla dimensione del sistema
finanziario rispetto all’economia reale.

In un sistema finanziario sono presenti:


Soggetti in surplus: risparmiatori, detentori di ricchezza. Dispongono di potere di acquisto
presente in eccesso e sono disposti a scambiarlo con potere di acquisto futuro.
Soggetti in deficit: presentano un deficit di potere di acquisto che possono colmare utilizzando le
risorse altrui.

Il sistema finanziario deve creare condizioni favorevoli e favorire lo sviluppo delle:


- decisioni di distribuzione del reddito fra consumo e risparmio (accumulazione)
- decisioni di investimento delle unità di surplus (investimento)
- decisioni di finanziamento dei soggetti in deficit (allocazione)

Affinchè il trasferimento avvenga è necessario che vi sia un adeguato grado di finanziarizzazione


dell’economia. Si fa riferimento ad attività finanziarie rispetto alla ricchezza di un paese, quindi ad
una variabile che è il prodotto interno di un paese.
I redditi non consumati o la ricchezza accumulata devono poter essere incorporati in contratti che
rappresentano:
- per il detentore, forme di investimento finanziario;
- per l’utilizzatore, forme di raccolta di risorse finanziarie.
L’uso di contratti finanziari accresce il grado di liquidità e di trasferibilità della ricchezza reale.

Perché il trasferimento di risorse avvenga in modo efficiente è necessario che il sistema finanziario
garantisca flussi informativi utili a:
- attuare una corretta gestione del fattore rischio (selezione ex-ante da parte degli investitori e
monitoraggio ex-post dell’evolvere degli investimenti);
- svolgere una funzione segnaletica (investimenti basati su informazioni incorporate nei prezzi). In
riferimento in particolare ai prezzi che si vengono a formare sui mercati finanziari e in particolare

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sui mercati mobiliari. Un prezzo azionario che va al rialzo porta in sé un segnale che può essere
positivo, o può nascondere latente un segnale di potenziale instabilità;
- mettere a punto contratti standard su strumenti finanziari.

Il sistema finanziario deve fornire meccanismi di liquidità per consentire di smobilizzare


l’investimento prima della scadenza contrattuale. Questo porta ad una più facile negoziabilità
(possibilità di essere oggetto di scambi) e standardizzazione degli strumenti finanziari. Questo può
avvenire anche con l’esistenza di mercati organizzati ove realizzare gli scambi.
Il sistema finanziario deve favorire la diversificazione e riduzione del rischio attraverso attività di:
- trasformazione del rischio: l’intermediario finanziario si pone tra soggetto in surplus e soggetto in
deficit. Si posiziona tra lo stato patrimoniale dei soggetti in surplus i quali investono. Come
contropartita l’intermediario avrà una sua passività perché il soggetto in surplus acquista attività
finanziarie emesse dall’intermediario finanziario; dall’altra parte l’intermediario investe a sua volta
in attività emesse da soggetti in deficit. ES: la banca raccoglie dal risparmiatore e presta
all’impresa. In questo duplice passaggio c’è la trasformazione del rischio perché è molto meno
rischioso per il risparmiatore investire in banca rispetto che direttamente nell’impresa che chiede
il finanziamento.
- Risk pooling (partecipazione a un portafoglio di strumenti finanziari), tipico delle imprese
assicurative. In sostanza si tratta della condivisione del rischio tra un numero di soggetti che quota
parte si fanno carico del rischio stesso.

LA GESTIONE DEI RISCHI


Il sistema finanziario supporta la gestione dei rischi, implicita nell’attività finanziaria, attraverso:
- I contratti a termine che permettono agli operatori di regolare la propria posizione a scadenze
future sulla base di condizioni di scambio predefinite;
- L’attività assicurativa che consente di gestire i cosiddetti rischi puri (perdite/danni futuri non
quantificabili nella misura e nel tempo).

Struttura complessa di un sistema


finanziario
-Gamma di strumenti finanziari
-Mercati
-Tipologie di intermediari
NB: l’elemento che porta alla definizione
di sistema complesso sono le
interconnessioni sia all’interno delle unità
identificate sia tra le unità. Questo è alla
base di alcuni fenomeni di crisi finanziarie.

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2. LA STRUTTURA FINANZIARIA DELL’ECONOMIA

Struttura di una macroeconomia: identifichiamo due tipologie di circuiti che interagiscono in un


sistema economico, nel quale la moneta è il mezzo di regolamento che spezza il circuito, che in
una economia di baratto è unico. La moneta introduce un terzo bene neutro nello scambio e
spezza i circuiti di scambio all’interno di un’economia.

In un sistema in cui la moneta è il mezzo di regolamento degli scambi interagiscono quindi due
circuiti:
-Circuito reale: scambio di beni/servizi e fattori produttivi. Da una parte produttori che producono
beni ed erogano servizi venduti agli utilizzatori, da un’altra gli utilizzatori che apportano lavoro e
capitale.
-Circuito monetario: corrispondente della remunerazione che è riconosciuta al lavoro e capitale
insieme a prezzi/ricavi. Contropartita dei beni e servizi, che sono venduti agli utilizzatori, che
dovranno riconoscere un prezzo. Beni e servizi à prezzo pagato.
Contropartita monetaria dell’apporto di lavoro e capitale è corrispondente ai salari (per apporto
del lavoro) e rendite (per apporto del capitale).

In un contesto di economia chiusa, abbiamo la corrispondenza per quanto concerne i valori tra
circuiti reali e monetari. Si dice che i circuiti vengono chiusi.

Stesso concetto ma in modo più


strutturato
Settori istituzionali: convenzioni contabili
che ci consentono di individuare dei
sottogruppi in un sistema economico.
Per ora non consideriamo l’estero.
3 settori istituzionali fondamentali
-Imprese: producono beni strumentali
per le stesse imprese. Abbiamo un primo
circuito reale che va a connotare un
flusso reale di beni e sevizi tra imprese,
cui corrisponde un flusso finanziario
(circuito monetario) relativo ai prezzi
sostenuti per l’acquisizione di tali beni.
Le imprese interagiscono poi con le famiglie (che acquistano beni e servizi di consumo (circuito
reale) e la contropartita finanziaria è relativa ai prezzi sostenuti.

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Il circuito reale da famiglie ad imprese è rappresentato dal lavoro, le famiglie prestano il lavoro alle
imprese le quali corrispondono un salario.
Le famiglie interagiscono con la pubblica amministrazione.
-Famiglie: acquistano servizi e beni di consumo. Circuito reale da famiglie a imprese è
rappresentato dal lavoro.
-Pubblica amministrazione: le famiglie ci interagiscono. I beni erogati sono servizi pubblici (circuito
reale), il lavoro prestato dalle famiglie alla PA (reale). Contropartita finanziaria sono i salari per il
lavoro prestato dalle famiglie, e il pagamento di un prezzo chiamato tasse per i servizi pubblici. PA
interagisce anche con le imprese: beni e servizi di consumo erogati dalle imprese alla PA, per i
quali la PA sostiene dei prezzi; beni pubblici offerti alle imprese, con contropartita le tasse.

Moneta: invenzione, spezza la necessità di avere una corrispondenza nelle esigenze tra i soggetti
che si scambiano i beni, passando da una economia di baratto ad una monetaria nella quale
vengono espanse le possibilità di scambio. Moneta mezzo di pagamento.

In un’economia chiusa (non considerando l’estero) la sommatoria dei valori risultanti dai circuiti
reali è equivalente alla sommatoria dei corrispondenti valori monetari. I circuiti sono chiusi. Valore
circuiti reali = valore circuiti monetari.
Da una prospettiva macroeconomica (guardo alla sommatoria di tutti gli scambi che avvengono in
una macroeconomia): valore prodotto totale di una economia (valore totale dei circuiti reali) è
equivalente al valore di tutte le remunerazioni riconosciute per il capitale e il lavoro.

VALORE BENI E SERVIZI PRODOTTI E VENDUTI (PRODOTTO FINALE) Prospettiva reale


=
SOMMA REMUNERAZIONI (SALARI, STIPENDI, REM CAPITALI) PAGATE PER LA PRODUZIONE DEI
BENI E SERVIZI (REDDITO NAZIONALE) Prospettiva finanziaria e monetaria

ASPETTO REALE DI UN’ECONOMIA


Y=C+I
Y = prodotto finale
C = valore dei beni/servizi
I = valore dei beni di investimento utilizzati nella produzione

ASPETTO MONETARIO FINANZIARIO DI UN’ECONOMIA


Y=C+S
Y = reddito nazionale
C = spesa per consumi
S = risparmio (reddito non consumato)

Dalle equazioni precedenti: S = I


In ipotesi di economia chiusa la formazione del capitale reale (ovvero l’ammontare degli
investimenti, attività che permettono la crescita del paese) è strettamente vincolata al risparmio
dello stesso paese. Infatti, come paese sono vincolato solo alla capacità di risparmio interno, per
quanto concerne la crescita. La formazione del capitale reale (crescita investimenti) I è vincolata
all’accumulazione del risparmio interno S.
La produzione è sostenuta congiuntamene dalla domanda per consumi di beni e servizi e dagli
investimenti.

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Diversamente in un’economia aperta la formazione del capitale reale è correlata alla dimensione
del risparmio ed al saldo degli scambi con l’estero. Il potenziale di crescita di ricchezza di un paese
è non solo correlato alla dimensione del risparmio nazionale ma anche alla capacità di attrarre
risparmio o veicolare eventuale risparmio in eccesso presso terze economie (paesi esteri).
Se I > S: la differenza è coperta con risparmio che affluisce da altri paesi. Bisogna raccogliere
risorse e risparmio da altri paesi. Debitore esteri nei confronti di terzi. In termini di contabilità
pubblica si traduce in un saldo negativo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti che è
equivalente ad avere importazioni > esportazioni.
Se I < S: risparmio in eccesso relativamente agli investimenti domestici dà spazio ad altri
investimenti. Vi è veicolazione di risparmio in eccesso verso altre economie. Siamo creditori esteri.
Abbiamo un saldo positivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti e importazioni <
esportazioni.

EQULIBRIO ECONOMICO/PATRIMONIALE DELLE UNITÀ ECONOMICHE


Ora passiamo a logica microeconomica.
Ogni soggetto (famiglie, imprese, P.A.) presenta un equilibrio economico dato dalla differenza tra i
ricavi (entrate) ed i costi (uscite). Reddito positivo o negativo. Se positivo, la differenza
rappresenta una capacità di risparmio.
Il risparmio richiama il concetto di reddito non utilizzato per fini correnti e concorre a formare il
conto economico. Il reddito non utilizzato va ad incrementare la ricchezza pregressa già generata.
Il risparmio determina un incremento del patrimonio del soggetto da cui proviene e concorre alla
formazione della ricchezza.

Risparmio: eccesso di reddito generato dal raffronto tra entrate e uscite, che incrementa la
ricchezza pregressa e accumulata dal soggetto (ovvero il patrimonio netto). Ciò va a denotare la
natura di una variabile flusso del risparmio.
Situazione patrimoniale e Patrimonio netto: variabile stock, si incrementa grazie al risparmio.
fotografia di un momento preciso, convenzionalmente fine anno.

ATTIVO SP: INVESTIMENTI complessivi effettuati li vedo allocati nelle attività reali (es.
investimento in immobili) e attività finanziarie (es. investimento in titoli, in BTP). Le attività reali
danno utilità diretta, rappresentano ricchezza. Quelle finanziarie no, sono piuttosto dei diritti su
attività reali o reddito, nel caso di acquisto di un BTP esercito un diritto di credito nei confronti
dell’emittente.
PASSIVO SP: FONTI di finanziamento. Ho passività finanziarie e patrimonio netto.

Attività finanziaria: rappresentazione del diritto patrimoniale (di credito, di proprietà, di


prestazione) dell’investitore (creditore) nei confronti dell’emittente (debitore) di uno strumento
finanziario.
Passività finanziaria: rappresentazione dell’impegno patrimoniale (di rimborso, di remunerazione o
impegno ad una prestazione) dell’emittente (debitore) nei confronti dell’investitore (creditore).

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Esse sono speculari.

Attività reali: es. immobile, automezzo.


Hanno valore intrinseco.
Producono servizi di utilità reale ed immediata.
Rappresentano produzione di nuova ricchezza per il sistema economico (I= investimenti, fanno
crescere la ricchezza del paese, I è attività reale).
Sono difficilmente trasferibili.
Attività finanziarie:
Non hanno valore intrinseco.
Rappresentano diritti su beni reali e su reddito.
Non rappresentano produzione di nuova ricchezza per il sistema, ma un modo poco costoso di
mantenere/trasferire i diritti sulla ricchezza e sul reddito e, in presenza di mercati efficienti, di
riallocare risorse.
Sono facilmente trasferibili.

SCHEMA DI FONTI/USI DI FONDI


Lo schema analizza le differenze delle grandezze stock a date diverse.
Usi
∆ + AR/AF: acquisto nuove attività reali e finanziarie
∆ – PF: diminuzione debito (Passività Finanziarie)

Fonti (considero tutte le variazioni che producono una entrata netta finanziaria)
∆ – AR/AF: liquido delle attività reali e finanziarie
∆+ PF/PN aumento debiti, incremento patrimonio netto (S = ∆ PN)

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Saldo finanziario: divario tra risparmio e investimento: eccedenza o deficit di risorse (risparmio)
rispetto al fabbisogno per investimenti di un’unità economica o di settore.
Saldo finanziario > 0: eccedenza del risparmio rispetto all’investimento à unità in surplus
Saldo finanziario < 0: eccedenza dell’investimento rispetto al risparmio à unità in deficit

EQUILIBRIO CONTABILE: usi = fonti.


1^ def. SALDO FINANZIARIO = risparmio (S) – investimento (I)
Se negativo: il risparmio non copre l’investimento richiesto. Mi serve per capire se riesco da solo a
coprire il fabbisogno finanziario per l’investimento.
RIEQUILIBRIO FINANZIARIO à Una situazione di deficit finanziario (SF < 0) e potenzialmente anche
con SF > 0: la riequilibrio con variazioni che intercorrono nelle attività finanziarie e passività
finanziarie.
2^ def. SF = ∆ AF – ∆PF. Con questa seconda definizione esamino come avviene il riequilibrio, quali
sono le ripercussioni finanziarie che originano da scelte di natura reale. Devo investire e capire
come farlo.

Se SF > 0 riequilibrio attraverso nuovi investimenti finanziari


Se SF < 0 riequilibrio attraverso il ricorso a passività finanziarie e/o disinvestimenti di attività
finanziarie

ESEMPIO DI EQUILIBRIO ECONOMICO E FINANZIARIO


∆+ AR attività reali (investimenti) +90
∆+ PF passività finanziarie +5
∆ – AF attività finanziarie – 55
∆+PN patrimonio netto S= +30
+90=+5+55+30
Usi = fonti 90 = 30 + 55 +5
SF = S – I à 30 – 90 = – 60 Ho un fabbisogno di 60 che copro in parte indebitandomi, in parte
disinvestendo.
SF = ∆ AF – ∆PF à - 60 = – 55 – 5

SF: variabile utilizzata sia in una dimensione micro (unità economiche) sia in agglomerazioni
successive per sintetizzare situazioni connesse a settori istituzionali (famiglie, imprese e PA) e nel
complesso anche in riferimento ad un paese.

Saldo finanziario: significati


1) Consente di indagare le conseguenze finanziarie di comportamenti reali (es. investimento
nell’appartamento).
2) Permette il raccordo fra flussi reali e flussi finanziari.
3) Rappresenta la domanda/offerta aggiuntiva di fondi suscettibili di trasferimento. Infatti un saldo
finanziario negativo è esso stesso la quantificazione di una domanda aggiuntiva di fondi. Questi
fondi sono oggetto di trasferimento da un soggetto in surplus ad uno in deficit.
Un saldo finanziario positivo: è quantificazione di offerta aggiuntiva di fondi che possono essere
trasferiti, offerti ad altri soggetti. Il trasferimento avviene tra soggetti in surplus e in deficit.
4) Agevola investimenti che altrimenti non potrebbero avere luogo.

LIMITE SALDI FINANZIARI: non sono un indice affidabile del fabbisogno di trasferimento dal
momento che sintetizzano ex-post ciò che è accaduto (effetto quantità/composizione). Sono

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misurazioni ex-post. Sono una sintesi delle scelte eseguite dal soggetto o dal settore, ma che
potrebbero non essere esattamente la rappresentazione ex-ante del desiderio del soggetto. I saldi
finanziari sono utilizzati da ricercatori per indagare i comportamenti finanziari nella loro
connessione con quelli reali.

L’analisi dei saldi finanziari è condotta su tutte le unità economiche che vengono raggruppate in
categorie (settori istituzionali). Quindi si parte da una micro per arrivare ad una macro
rappresentazione, passando per i settori istituzionali. Settori istituzionali:
- Società e quasi società non finanziarie
- Istituzioni di credito (autorità bancarie centrali, altre istituzioni monetarie, istituzioni
finanziarie)
- Imprese di assicurazione
- Amministrazioni pubbliche (amministrazioni centrali, amministrazioni locali, enti di
previdenza)
- Famiglie (famiglie consumatrici, imprese individuali)
- Estero

INTEPRETAZIONE DEI SALDI FINANZIARI


La lettura dei saldi finanziari fornisce una misura di sintesi del funzionamento di un sistema
economico. I saldi finanziari possono differire tra settori di uno stesso paese, fra medesimi settori
di paesi differenti e possono mostrare valori molto lontani in epoche diverse.

Tramite un’analisi dei saldi finanziari, attraverso la lettura di quelle quantità agglomerate per
settori istituzionali, si può sintetizzare il funzionamento di un sistema economico: posso vedere
quei settori in cui c’è prevalenza di saldi finanziari positivi o negativi, e come sono cambiati nel
tempo.
S=I à SF=0 investimenti autofinanziati con risparmio: condizione di equilibrio finanziario
S=0 à SF=I soggetti/istituzioni con specializzazione nell’investimento: divergenza finanziaria HP
estrema 1. Non vi è capacità di risparmio.
I=0 à SF=S specializzazione nel risparmio, investimenti nulli: divergenza finanziaria HP estrema 2.
Da una parte ci sono soggetti che investono ma non hanno risorse, dall’altra soggetti che hanno
risorse ma non investono: vi sono le premesse per il trasferimento di risorse da chi è specializzato
nel risparmio a chi è specializzato nell’investimento.

La rappresentazione della struttura dei saldi finanziari permette di mappare i trasferimenti di


risorse e di identificare da quali settori provengono (SF>0) e a quali esse sono destinate (SF<0).
Tale rappresentazione avviene attraverso la costruzione della matrice fonti e usi di fondi. La
matrice, evidenziando la composizione dei flussi e delle consistenze delle attività e passività
finanziarie, permette anche di inquadrare correttamente le scelte di investimento e
finanziamento. I settori con SF <0 investono ma hanno necessità di risorse finanziarie, viceversa chi
ha risorse finanziarie in eccesso potrebbe veicolarne in settori in deficit.

Il trasferimento di risorse, legato al livello dei saldi finanziari, in un sistema finanziario avanzato,
avviene anche in presenza di incompatibilità fra le esigenze delle unità in surplus e delle unità in
deficit. Questo avviene attraverso un insieme di circuiti di trasferimento delle risorse. I circuiti
possono assumere due nature: circuiti diretti e indiretti.
Quindi il trasferimento delle risorse può avvenire anche quando le schede di preferenza delle unità
in surplus e in deficit non sono compatibili in modo perfetto. Questo perché attraverso il circuito

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di trasferimento può concretizzarsi una trasformazione sia delle scadenze sia dei rischi. Questa è la
duplice natura che attribuiamo alla trasformazione delle risorse finanziarie.
Def: i circuiti di trasferimento delle risorse si chiudono se il sistema è organizzato in modo da
permettere la trasformazione delle risorse.
SF>0 non compatibile con SF<0: questa situazione si presenta quando la propensione al rischio di
chi è in surplus finanziario non è compatibile con le richieste dei soggetti in deficit finanziario.

Il circuito finanziario permette il trasferimento delle risorse dalle unità in surplus a quelle in deficit.
Il trasferimento può avvenire attraverso:
-circuiti finanziari diretti, mediante strumenti finanziari (valori mobiliari) che legano
contrattualmente l’investitore (datore di fondi, soggetto in surplus) e l’emittente (prenditore di
fondi, soggetto in deficit).
-circuiti finanziari indiretti nei quali tra i datori e i prenditori di fondi si inserisce la figura di un
intermediario finanziario per renderne compatibili le schede di preferenza.

Connessione diretta quando avviene


per il tramite di strumenti finanziari,
che va poi ad alimentare, in un
sistema finanziario avanzato, un
mercato finanziario, nel quale luogo
negoziale vengono scambiati
strumenti finanziari che permettono
la connessione tra i datori di fondi e i
prenditori di fondi. ES: società non finanziaria che emette un titolo obbligazionario sul mercato e
l’acquirente-investitore acquista lo strumento finanziario e avviene una connessione per il tramite
di circuito diretto, perché grazie allo strumento finanziario negoziato sui mercati finanziari la
connessione tra unità in surplus e in deficit è diretta.
Connessione indiretta: quando c’è un’interposizione di un soggetto (intermediario finanziario) che
in maniera istituzionale si pone come obiettivo il collegamento fra le due unità. IF spezza il circuito
diretto in due sottocircuiti: uno che collega l’unità in surplus con gli intermediari finanziari con
strumenti finanziari, il secondo che collega gli intermediari finanziari con l’unità in deficit. Le unità
sono intermediate da un soggetto, l’intermediario finanziario.
(ES circuiti indiretti: banche, che si interpongono tra chi è in surplus – la famiglia – sono in
posizione debitoria verso la famiglia, e raccolgono risorse da prestare alle imprese che necessitano
di fondi).
L’unità in surplus non presta direttamente alle imprese perché c’è un’incompatibilità che viene
annullata dall’intermediario finanziario mettendo il proprio bilancio tra i due bilanci, da una parte
dell’unità in surplus, dall’altra quella in deficit.

Infatti:
-Attività finanziarie delle famiglie: breve o m/l termine. A parità di condizioni, maggiore la durata
dell’attività finanziaria, maggiore il rischio. Prediligono AF di breve termine. La scheda di
preferenza tipica della famiglia è di una quota maggiore di attività a breve rispetto al lungo
termine.
-Passività finanziarie delle imprese. Le imprese sono strutturalmente identificate come soggetti in
deficit, che devono ricorrere a finanziamenti esterni. Prediligono debiti a medio-lungo termine.
à In modo strutturale una parte del fabbisogno finanziario a medio/lungo termine delle imprese
non è finanziabile con attività a breve delle famiglie.

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Se fosse possibile trasferimento diretto delle risorse dovremmo risolvere un problema
incompatibilità. Le AF a breve delle famiglie sono maggiori di quelle che le imprese vorrebbero.
L’impresa vuole a breve una quantità minore rispetto a quello la famiglia è disposta ad investire.
Una parte di passività finanziarie a medio/lungo termine non può essere finanziata dalle famiglie.
C’è questo gap che identifica quella parte di passività che non può essere finanziata dalle famiglie.
In questo spazio ha ragion d’essere l’intermediazione finanziaria. Ecco quindi la trasformazione
delle risorse finanziarie: con l’interposizione dell’intermediario finanziario, ci sono strumenti
finanziari emessi per regolare il rapporto tra le AF delle famiglie (PF per l’intermediario
finanziario), raccoglie risorse finanziarie prevalentemente a breve dalle famiglie e le presta alle
imprese, dove l’indebitamento a medio/lungo termine è superiore. C’è quindi una trasformazione
delle scadenze e quindi anche del rischio dell’attività/passività finanziaria.

PARAMETRI DI VALUTAZIONE DELLA STRUTTURA FINANZIARIA DELL’ECONOMIA


Durante gli anni ’70 un gruppo di economisti si interroga sui percorsi di crescita dei paesi (quindi
l’economia reale) in relazione ai sistemi finanziari. Si pongono la domanda: che tipo di relazione
c’è tra la struttura finanziaria e l’economia di un paese? Per cercare di rispondere, questo gruppo
di economisti suggerisce alcuni indicatori, ricondotti ad alcune variabili reali e finanziarie che
permettono di emettere un giudizio sul grado di efficienza di una struttura finanziaria
dell’economia. Il primo passo è identificare un set di parametri di valutazione della struttura
finanziaria.

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Rapporto di interrelazione finanziaria (FIR) = 4 (2+((5611, 0,1+'0,76)
Nel processo di innovazione finanziaria c’è la tendenza, nei mercati finanziari, ad emettere una
quantità di AF molto superiore rispetto W. È il concetto di struttura sovrafinanziaria più elevata
rispetto all’economia reale. Questo porta a delle criticità, come confrontare l’economia finanziaria
con l’economia reale.
Si mette in relazione l’insieme delle AF con la ricchezza nazionale. Indica il grado di sviluppo della
finanza rispetto all’economia di un paese, e la presenza di rapporti complessi fra unità
economiche. A parità di condizioni, quanto maggiori sono le AF rispetto W, tanto più ci troviamo di
fronte ad un grado di sviluppo della finanza elevato. Questo è il caso tipico di sistemi anglosassoni:
USA e Gran Bretagna denotano indicatori del FIR più alti rispetto ad economie continentali.
In ipotesi di coincidenza dei circuiti finanziari con quelli reali, FIR tende ad 1. Quindi la soglia per
indicare l’equivalenza dell’ammontare del valore dei circuiti finanziari rispetto a quelli reali è 1.
FIR > 1 indica una finanziarizzazione del sistema più alta rispetto ad economie con valore < 1.
Alcuni studi in periodi di lunghissimo termine hanno evidenziato che un sistema economico che
parte da un livello di arretratezza per poi diventare un sistema avanzato, il FIR da un valore < 1
tende a crescere e tocca un picco anche superiore a 1,5/2 per poi stabilizzarsi intorno a 1,2. Le
pubblicazioni più recenti mettono in evidenza il fatto che USA abbia un FIR intorno a 2 (struttura
finanziaria quasi doppia rispetto ai circuiti reali), l’Italia è intorno ad un livello di equilibrio 1,2.
Nell’economia anglosassone talvolta abbiamo valori superiori a 2.

∆!" (+0(26960&' ,&&+-+&à /+0)


Grado di intensità finanziaria dell’economia (ANIR) = :;< (=2'*'&&' +0&620' 7'2*')
Indica il grado di sviluppo della finanza e la presenza di rapporti complessi fra unità economiche (è
funzione del grado di separazione).
Questo indicatore è strettamente collegato al primo, perché con questo vado ad esaminare il
volume delle nuove AF emesse nel periodo di osservazione. Infatti esaminando l’indicatore AF/W

12
nel tempo, può variare anno per anno per un effetto quantità (perché vengono emesse nuove AF,
e questo lo misuro con l’ANIR), o per un effetto prezzo perché il valore delle AF è incrementato.
Con questo indicatore quindi esamino meglio l’evoluzione del FIR. FIR e ANIR sono legati. L’esame
degli indicatori è legato. In chiave storica e comparativa ciò è stato fatto dagli economisti; in un
contesto di lunghissimo termine si può vedere che tipo di evoluzione ha esibito un sistema
finanziario partendo da un’economia arretrata per svilupparsi nel tempo, oppure che tipo di
percorso ha avuto un progresso economico con un sistema finanziario avanzato, ed è questo uno
dei temi oggi maggiormente esaminato. C’è un rinnovato interesse per capire se il sistema
finanziario ha un ruolo fondamentale nell’accelerare il processo di innovazione in senso lato; i
pareri sono discordanti, c’è chi vi riconosce un ruolo secondario e chi un ruolo propulsore
dell’innovazione finanziaria.

>/
Grado di separazione tra funzione risparmio e funzione investimento = ∑ ? !
È il rapporto in valore assoluto tra sommatoria dei saldi finanziari dei diversi settori e prodotto
interno lordo Y. Indica il grado di dissociazione fra le due funzioni: se il risparmio nazionale si
concentra presso le unità che non investono, la funzione di trasferimento deve essere maggiore.
Prendendo il valore assoluto del saldo finanziario (alcuni SF molto negativi, altri molto positivi),
tanto maggiore la sommatoria al numeratore, tanto di più mi porterò verso una situazione di
divergenza finanziaria ove vi sono le premesse per un trasferimento delle risorse, sviluppando
nuove relazioni attraverso circuiti diretti (mercati e strumenti) e indiretti (intermediari).

SF>0 à S>I surplus. L’eccedenza può essere investita in AF, è quindi suscettibile di trasferimento.
SF<0 à I>S deficit. Il soggetto richiede risorse finanziarie. C’è una suscettibilità al trasferimento
finanziario.
Da un lato saldo finanziario positivo, dall’altro negativo. In valori estremi SF<0 corrisponde ad I
(vedi divergenza finanziaria). Quindi facendo la somma in valore assoluto, misuro quanto più mi
sposto dall’equilibrio finanziario perché in posizione di divergenza finanziaria vi è esigenza di un
trasferimento di risorse finanziarie (infatti ci sono soggetti specializzati nel risparmio e altri che
richiedono investimenti e non hanno risparmio). È la situazione opposta all’equilibrio finanziario
(SF=0 e S=I e non ci sarebbe necessità di trasferimento delle risorse, investimenti coperti col
proprio risparmio). Andare quindi a misurare, nei vari settori istituzionali, il rapporto in valore
assoluto va ad identificare quanto è la dimensione delle risorse suscettibili di trasferimento e
quindi quantifica il grado di dissociazione tra risparmio e investimento. Maggiore il valore assoluto,
più mi allontano dall’equilibrio e indica la necessità di trasferimento di risorse, incrementando i
circuiti finanziari (diretti e indiretti). Rapporto che indica la predisposizione a trasferire le risorse.

!" (,&&./+0.+0&6296*+,2+)
Rapporto di intermediazione finanziaria (FIN) = :" !"#(=,%%./+0. %6&&'2+ A&+7+11.)
$%
Rapporto tra le attività finanziarie emesse dagli intermediari e le passività finanziarie detenute dai
settori utilizzatori. Misura, di tutti gli strumenti finanziari (che sarebbero le PF dei settori
utilizzatori) quanto è il peso di quelle emesse dagli intermediari. Misura quindi il peso relativo dei
circuiti indiretti (finanziamento degli intermediari finanziari) rispetto al fabbisogno totale delle
unità finali. Infatti gli strumenti finanziari regolano il rapporto tra l’intermediario e le varie unità in
deficit e in surplus, ma sono solo una parte del totale degli strumenti finanziari complessivamente
che circolano in un sistema finanziario.

!" (,&&./+0.B,0(56)
Rapporto di intermediazione bancaria = !" & (,&&./+0.+0&6296*+,2+)
!"#

13
Questo indicatore approfondisce il precedente. Misura l’incidenza delle operazioni compiute dalle
banche nei circuiti indiretti; misura il ruolo delle banche rispetto all’insieme degli intermediari
finanziari. In alcuni contesti abbiamo sistemi “bancocentrici”, come l’Italia, in cui le banche
rappresentano l’intermediario finanziario più importante di un sistema finanziario, in altri c’è la
prevalenza di altri intermediari finanziari.
Quindi gli indicatori rapporto di intermediazione finanziaria e bancaria vanno ad esaminare
l’orientamento di un sistema finanziario, che può essere un orientamento al mercato quando le AF
degli intermediari hanno un peso contenuto, o un orientamento alle banche o agli intermediari
finanziari quando il FIN risulta essere più elevato, dopodichè misuro il peso assunto dalle banche
con l’ultimo indicatore.

Trend storici internazionali


Tendenza alla crescita del FIR particolarmente sostenuta in coincidenza della fase più intensa del
processo di industrializzazione. Il FIR si stabilizza una volta raggiunta la fase di maturità.
In fase di decollo economico le AF degli intermediari finanziari crescono in misura più che
proporzionale rispetto alle AF totali à ruolo degli intermediari predominante rispetto ai circuiti
diretti. Nel processo di finanziarizzazione c’è un’estensione della gamma degli strumenti finanziari,
riflesso di un FIR e ANIR che tendono a crescere nel tempo, per effetto dell’emissione di un
numero crescente di strumenti finanziari e una diversificazione degli stessi strumenti, con il ruolo
di circuiti diretti e indiretti che connota un sistema finanziario molto interrelato.

Conclusioni
Gli studi più recenti non danno una conclusione univoca.
Articolo recente che ha esaminato l’evoluzione dei sistemi finanziari per paesi in via di sviluppo:
sviluppo economico e sistema finanziario non sono in relazione lineare. Ciò significa che la crescita
economica non necessariamente tende a crescere insieme al sistema finanziario.
Non esiste un modello astratto di sviluppo della struttura di un sistema finanziario.
Non esiste una configurazione ottimale di sistema finanziario.
Non esiste una struttura ottimale dei saldi finanziari (efficienza/stabilità).

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3. VIGILANZA E CONTROLLO SUI SISTEMI FINANZIARI (REGOLAMENTAZIONE)

1. Perché a livello teorico è necessaria una regolamentazione dei sistemi finanziari?


2. Quali sono gli obiettivi dell’attività di vigilanza?
3. Quali sono astrattamente i modelli organizzativi che l’attività di vigilanza in senso lato può
adottare?
4. Strumenti adottati dalla vigilanza
5. Vigilanza europea

1. I FONDAMENTI DELL’ATTIVITÀ DI REGOLAMENTAZIONE E CONTROLLO


Ragioni teoriche sul perché si adotta
1. Governo monetario e stabilità del sistema dei pagamenti: offerta di moneta adeguata, per
genere e volume alle esigenze del sistema economico, identificazione delle istituzioni a cui viene
assegnato il compito della vigilanza. (Per regolare il sistema dei pagamenti). Tutti i circuiti del
sistema dei pagamenti devono essere controllati e vigilati in modo efficace.
2. Tutela del risparmio: tutelare la controparte più debole negli scambi: il risparmiatore. È una
garanzia a protezione dei contraenti più deboli.
3. Esternalità negative: possibilità che situazioni di crisi che si propaghino all’interno del sistema
finanziario e nel sistema economico. La vigilanza permette di ridurre la possibilità questo effetto di
contagio.
4. Market failure. Motivazione eco-finanziaria. MF: incapacità del mercato di raggiungere
autonomamente condizioni di efficienza; il mercato non è in grado di autoregolamentarsi à si
parla di inefficienze di mercato. Motivi: insufficiente concorrenza, asimmetrie informative che
privilegiano alcune posizioni rispetto ad altre nel set informativo a disposizione dei soggetti
contraenti (scambio finanziario non equo e presenta inefficienze). La regolamentazione interviene
per rimuovere tali inefficienze.

2. OBIETTIVI DELLA VIGILANZA


1. Garantire stabilità del sistema finanziario. Capacità di prevenire, gestire ed isolare fenomeni
patologici e l’estendersi di effetti dannosi a catena.
2. Efficienza, sia allocativa (dover predisporre un set di regole per agevolare la destinazione delle
risorse finanziarie ad investimenti che presentano maggior redditività attesa a parità di rischi
assunti) sia tecnico-operativa (la regolamentazione dovrebbe rendere snella la struttura operativa
degli attori che alimentano le attività dei sistemi finanziari, cercando di minimizzare l’incidenza dei
costi operativi sui volumi che vengono intermediati).
3. Trasparenza: capacità del sistema finanziario di incorporare una funzione segnaletica nei prezzi
degli strumenti finanziari, attività finanziarie negoziati sui sistemi finanziari. Questa capacità è
strettamente dipendente dalla capacità di circolazione dell’informazione, e quindi dal grado di
trasparenza del set informativo a disposizione del mercato.

3. MODELLI ORGANIZZATIVI DELL’ATTIVITÀ DI VIGILANZA


Parliamo della Configurazione che, nel sistema finanziario, l’insieme delle regole di vigilanza può
adottare, perché a seconda del focus principale che il corpus delle regole che costituisce il sistema
della regolamentazione del sistema finanziario può avere differenti filosofie di base. L’area di
azione di ciascun soggetto impegnato nell’attività di regolamentazione va a plasmare il modello
organizzativo dell’attività di vigilanza. Occorre dunque circoscrivere l’area di azione di ciascun
soggetto impegnato nell’attività di regolamentazione e vigilanza.

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1. vigilanza istituzionale (in base alle categorie di soggetti vigilati) ES: una banca deve essere
vigilata da un’autorità che si occupa di vigilare le banche; un intermediario mobiliare dovrà essere
vigilato da un’altra autorità di vigilanza.
2. vigilanza funzionale (in base al tipo di attività svolta dagli intermediari finanziari)
3. vigilanza per obiettivi (in base alla finalità di vigilanza). Per ciascun obiettivo, si identifica una
autorità di vigilanza preposta. Gli obiettivi possono anche essere intermedi, quindi connessi ai tre
precedentemente indicati (vedi obiettivi pagina precedente).
4. vigilanza integrata. Modello che semplifica alcuni aspetti problematici di coordinamento dei
soggetti chiamati in causa nell’attività di vigilanza dei precedenti modelli. Infatti si identifica una
unica autorità di vigilanza a cui viene riconosciuto il compito di eseguire tutte le attività di
controllo e vigilanza sul sistema finanziario. ES: durante gli anni 2000, fino al 2008, in Gran
Bretagna vi era una unica agenzia (FSA) con attività di vigilanza su tutto il sistema finanziario
anglosassone, incorporava tutte le attività di vigilanza.

Vigilanza istituzionale
Vigilanza per categorie di soggetti vigilati. Viene identificata una autorità di vigilanza per ogni
tipologia istituzionale di intermediario finanziario
Definizione: è soggetto a vigilanza l’intermediario indipendentemente da ciò che offre. È il modello
più semplice perché indipendentemente da ciò che svolge l’intermediario la vigilanza viene
eseguita da una autorità preposta per questo tipo di attività.
Vantaggi: il completo accentramento della funzione di vigilanza non pone problemi di
coordinamento fra diversi organi.
Problemi: laddove un intermediario svolga più attività si pongono dei problemi di coordinamento e
si possono verificare problemi di arbitraggio istituzionale: il fatto che ad una stessa attività siano
riservati trattamenti differenziati apre ampi spazi per la realizzazione di arbitraggi istituzionali e
porta a manifestazioni di iniquità competitiva. Infatti, l’intermediario finanziario sceglie la
configurazione istituzionale nell’obiettivo di minimizzare l’impatto della regolamentazione e
vigilanza. ES: una banca vigilata da un’autorità di vigilanza per le banche, svolgendo anche altre
attività in campo mobiliare, poteva definirsi come banca pur svolgendo attività mobiliare, e quindi
scegliere questo tipo di collocazione istituzionale per una serie di calcoli di arbitraggio istituzionali.
O il caso inverso: l’intermediario che svolgeva anche intermediazione mobiliare si definiva come
intermediario mobiliare perché la regolamentazione era meno stringente rispetto a quella
bancaria, ma svolgeva di fatto anche attività di intermediazione creditizia.

Vigilanza funzionale
Autorità di vigilanza identificata sulla base del tipo di attività svolta dall’intermediario finanziario
(sulla base di alcuni insiemi omogenei di attività di intermediazione).
Definizione: l’attività di vigilanza fa riferimento a un servizio specifico indipendentemente da chi lo
offre.
Vantaggi: più flessibile della precedente ed esclude forme di arbitraggio.
Problemi:
- Difficoltà a far coesistere norme di tipo funzionale in capo ad un’istituzione che svolge più
attività (questo accade quando le regole non sono omogenee nei vari campi di attività di
intermediazione finanziaria). Ne derivano possibili conflitti in capo ad un soggetto che
svolge più attività.
- È necessario identificare un lead regulator per il coordinamento fra più organi di vigilanza,
in caso di una diversificazione della attività svolte dallo stesso intermediario. Necessario
perché diverse attività implicano diverse autorità.

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- Assoggettabilità a controllo anche delle attività finanziarie svolte da istituzioni non
finanziarie. Quest’ultime infatti, non essendo intermediari finanziari ma potendo svolgere
attività finanziarie, dovranno rispondere alle autorità identificate sulla base delle attività di
intermediazione finanziaria.
- Perdita di efficacia della vigilanza in presenza di forte diversificazione produttiva (ovvero
l’intermediario svolge diverse attività di intermediazione). Ne conseguono possibili
incongruenze tra vigilanza e regole sui diversi campi di intermediazione.
- Interferenze dove le banche operano in campo mobiliare.

Vigilanza per obiettivi


Si determinano gli obiettivi, le finalità e per ciascuno di essi viene identificata un’autorità di
vigilanza.
Definizione: vengono fissati obiettivi ritenuti prioritari e viene identificata un’autorità di vigilanza
in relazione a ciascun obiettivo.
Vantaggi: massima efficacia sia in contesti che accolgono definizioni molto ampie di ente
creditizio, sia in contesti che accolgono definizioni più restrittive. Efficace anche perché si
identifica un’autorità a garanzia della solvibilità, importante per la stabilità dei sistemi finanziari.
Problemi:
- problemi di coordinamento tra le varie autorità, infatti avere un obiettivo specifico implica
una vigilanza che va a estricarsi su intermediari di varia natura. Necessità di scambi di
deleghe e meccanismi di coordinamento efficaci.
- In Italia è applicato solo nel comparto mobiliare; in campo bancario, assicurativo e
previdenziale sono presenti autorità specializzate di settore.

Vigilanza integrata
Definizione: tutte le funzioni di vigilanza sono accentrate presso un’unica autorità.
Vantaggi:
- Visione unitaria del portafoglio delle attività degli intermediari. Autorità che permette una
visione complessiva del sistema finanziario.
- Approccio integrato alla gestione del rischio
- Non c’è il problema del coordinamento tra le varie autorità
Problemi:
- Prevalgono situazioni ibride (poiché il sistema di vigilanza sia efficiente sono necessari
strumenti per prevenire fenomeni di crisi).
- Modelli in continua evoluzione

MODELLO ORGANIZZATIVO ASSUNTO DALL’ITALIA: LE 5 AUTORITÀ DI VIGILANZA


È un modello ibrido perché convivono: un sistema di vigilanza istituzionale, un meccanismo di
vigilanza per obiettivi solo in campo mobiliare, un approccio integrato per alcuni segmenti di
attività (che è l’autorità garante della concorrenza e del mercato, la quale opera sia in campo
bancario, mobiliare, assicurativo e previdenziale).

AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO: vigilanza e repressione di


comportamenti limitativi della libertà di concorrenza nei mercati finanziari. Ha un ruolo presente
su tutto il sistema finanziario. Autorità che ha una posizione centrale e la cui attività di vigilanza si
estrinseca in tutti gli altri ambiti per i quali è adottata una forma prevalentemente istituzionale. In
ambito bancario abbiamo l’autorità di vigilanza che è la BANCA D’ITALIA. Funzioni banca d’Italia:

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-attuazione della politica monetaria in via sussidiaria rispetto alla BCE che detiene il potere di
politica monetaria;
-svolge attività tecniche sul sistema dei pagamenti, essenziale per l’efficienza dei mezzi di
pagamento;
-vigilanza sul sistema bancario italiano nell’ambito del Single Supervisory Mechanism, eccetto le
banche sistemiche (soggette a vigilanza BCE).

CONSOB (commissione nazionale per le società e la borsa)


Controllo (regolamenta, autorizza e vigilia) sull’attività di intermediazione mobiliare, con
riferimento a:
- I mercati e i soggetti che li gestiscono
- Attività di sollecitazione del pubblico risparmio (ovvero emissioni di strumenti finanziari
destinate al pubblico risparmio)
- Trasparenza degli emittenti di strumenti finanziari quotati

IVASS (istituto per la vigilanza sulle assicurazioni): vigilanza sull’attività assicurativa


COVIP (commissione di vigilanza sui fondi pensione):
- Vigilanza sul sistema pensionistico complementare e sulle casse previdenziali
- Controllo sulla corretta gestione e amministrazione dei fondi (= pensioni)

4. STRUMENTI DI VIGILANZA
In base alla natura degli interventi, vi è una classificazione degli strumenti di vigilanza come segue:
1. strumenti di vigilanza strutturale: possibilità di incidere sulla morfologia del sistema finanziario
(bancario/assicurativo/mobiliare).
2. prudenziale: possibilità di incidere sul grado di rischiosità complessiva dell’attività
dell’intermediario o di singole categorie di operatori.
3. informativa: possibilità di obbligare gli intermediari a fornire informazioni sulla propria
situazione tecnica secondo modi e tempi stabiliti.
4. protettiva: prevenire e gestire situazioni patologiche, specifiche di un intermediario o di natura
sistemica.
Queste sono categorie astratte nelle quali vanno a crearsi i provvedimenti legislativi, i quali
possono assumere la forma di direttiva europea, decreto legge, legge, regolamento.

Vigilanza strutturale: finalità e peculiarità


Fa riferimento ad un corpus di regole con finalità di configurare un mercato. Finalità:
-Determinare la configurazione di mercato (numero di imprese, quote di mercato, campo di
attività di ogni impresa, assetto di controllo del capitale proprio) più efficiente.
-Garantire un elevato grado di soddisfazione agli utilizzatori dei servizi finanziari.
Fondamento teorico: si ipotizza che agendo sulla struttura si possa condizionare il comportamento
degli intermediari e quindi impattare sulla performance del mercato (relazione struttura-condotta-
performance).

Strumenti di intervento:
1-condizioni di entrata nel mercato (intermediari di nuova costituzione, o che aprono una nuova
sede, o che offrono servizi senza sede fisica)
2-definizione di assetto organizzativo degli intermediari operanti (soprattutto relativo ad
operazioni di fusione, incorporazione, passaggio di controllo ecc.)

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3-identificazione della gamma delle attività che ogni categoria di intermediari (ogni singolo
intermediario) può svolgere
4-azionariato e controllo societario
5-interventi amministrativi sulle quantità e sui prezzi degli intermediari

Vigilanza prudenziale: finalità e peculiarità


Controllo e delimitazione dei rischi connessi all’attività di intermediazione.
Si va a delimitare ex-ante in modo oggettivo e neutrale il massimo rischio a cui si può esporre
l’attività di intermediazione finanziaria, lasciando i soggetti a poter scegliere le proprie forme di
attività di intermediazione. Assume la forma di criteri di gestione cui gli intermediari devono
attenersi e, rispetto a quella strutturale, si basa sul rispetto delle regole di mercato. Evita di
condizionare direttamente al mercato, esprimendo regole del gioco che:
- Riguardano il come si opera nel mercato
- Non intervengono direttamente sulla struttura del mercato (soggetti, attività, prezzi)
- Sono oggettive e neutrali tra i diversi soggetti dell’offerta
- Sono trasparenti e stabiliti ex-ante così da guidare in forma di incentivo e/o vincolo gli
intermediari verso equilibri economico-finanziari desiderabili.

Strumenti di intervento
1. Coefficienti di bilancio con finalità di controllo e limitazione del rischio assunto nella gestione,
con riferimento a:
- modulare il grado di solvibilità/equilibrio finanziario
- limitare il grado di concentrazione degli investimenti
- contenimento degli investimenti ad alto rischio unitario
Questi sono gli strumenti con importanza maggiore, perché si fondano sulla definizione della
massima rischiosità a cui si può esporre l’attività di intermediazione finanziaria. Sono rapporti di
composizione e identificazione di soglie massimali o minimali.

2. Adeguatezza organizzativa: riferimento all’organizzazione interna dell’intermediario, per


garantire una governance indipendente e professionalmente preparata.
- risorse tecniche, professionali e manageriali
- indipendenza organizzativa e gestionale

3. Requisiti di onorabilità e professionalità per i soggetti che:


- assumono posizioni nell’ambito degli organi amministrativi
- rivestono responsabilità di direzione
I soggetti che assumono posizioni negli organi di controllo devono rispettare anche il requisito
dell’indipendenza.

Vigilanza informativa: finalità e peculiarità


Strumenti di comunicazione e informazione per contribuire a ridurre le asimmetrie informative in
un mercato finanziario, tipiche e inevitabili in rapporti contrattuali basati sulla capacità di rimborso
futura del prenditore di fondi. Adeguata informativa su:
1. operazioni e strumenti finanziari (NB: lo strumento ha una sua contrattualizzazione,
l’operazione no. Ma sempre si tratta di una contrattazione di tipo finanziaria).
2. intermediari finanziari (info periodiche legate alle attività, passività di bilancio e anche alla
sua operatività, quindi costi e ricavi derivanti dalla gestione).

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3. enti emittenti (informativa circa gli aspetti tecnici, contrattuali dello strumento finanziario,
ma anche dei rischi che un potenziale investitore può incontrare laddove acquisti strumenti
di prossima emissione).
Trasparenza e correttezza per lo sviluppo di un sistema di rapporti contrattuali il cui pricing si
avvicina ai requisiti dell’efficienza del mercato. Maggiore il set informativo a disposizione dei
soggetti, maggiore sarà la loro capacità di processare le informazioni e arrivare alla definizione di
un prezzo cosiddetto equo (fair). Questa vigilanza garantisce la massima informazione possibile e
adeguata per arrivare ad un pricing che possa avvicinarsi ai requisiti di efficienza del mercato.

Vigilanza protettiva: finalità e peculiarità


Gestione delle situazioni di crisi degli intermediari per:
-garantire la tutela del risparmiatore, soprattutto se considerato “non consapevole”. Il
consumatore dispone di un set informativo minore rispetto all’intermediario (asimmetria
informativa), soffre di uno svantaggio competitivo, la controparte debole dello scambio finanziario
-ridurre gli effetti delle esternalità negative, quindi crisi di un intermediario finanziario che si
possono propagare a livello sistemico.
La vigilanza protettiva si riferisce a due ambiti di applicazione:
1.interventi preventivi per evitare che situazioni aziendali di temporanea difficoltà possano
degenerare in uno stato di crisi grave, non recuperabile.
2.interventi ex-post allorchè la crisi si rivela irreversibile e l’unica soluzione è quella della messa in
liquidazione dell’intermediario. Limitare gli effetti negativi che sono concentrati in una situazione
di crisi di un intermediario, prevedendo anche un meccanismo di risoluzione della crisi:
meccanismi di liquidazione specifici per l’intermediario.

Interventi preventivi
-flussi di documentazione statistica che gli intermediari devono periodicamente fornire all’organo
di vigilanza (all’authority di competenza) i quali costituiscono la base di valutazione dello stato di
salute degli intermediari e su cui si possono innestare tecniche di “allarme preventivo” che
possono segnalare delle crisi possibili dell’intermediario;
-situazioni di illiquidità delle banche affrontate attraverso interventi di rifinanziamento della banca
centrale;
-situazioni di difficoltà più seria che danno luogo a provvedimenti quali l'amministrazione
straordinaria scelta dall’autorità di vigilanza che comporta, tra l'altro, la sostituzione degli organi
amministrativi e di controllo in carica.

Interventi ex post: meccanismo di risoluzione della crisi


Le crisi irreversibili conducono alla liquidazione coatta amministrativa dell’intermediario. È
previsto anche l’intervento del Fondo di Tutela dei Depositi a tutela dei creditori delle banche
poste in liquidazione, facendo fronte a due esigenze:
-tutela del risparmiatore, più ampia se classificabile nella categoria del risparmiatore non
consapevole;
-limitazione del rischio sistemico nell’assunto che i risparmiatori, anche di fronte ad una situazione
di crisi aziendale, non perdano la fiducia nel sistema.
I creditori possono beneficiare fino a 100.000€ dei propri depositi.

5. VIGILANZA EUROPEA
È una vigilanza che ha l’obiettivo di essere organica per il sistema finanziario in ambito europeo e
prende una configurazione su due dimensioni: macroprudenziale e microprudenziale.

20
VIGILANZA MACROPRUDENZIALE
Ha come obiettivo il monitoraggio e la valutazione della stabilità del sistema finanziario europeo e
quindi del rischio sistemico affinchè siano scongiurate altre crisi sistemiche. L’organo competente
è il Comitato europeo per il rischio sistemico (ESRB) che: segnala le aree di rischio; non ha potere
normativo ma formula raccomandazioni non vincolanti agli Stati dell’UE, alle autorità nazionali, al
Consiglio Europeo, alla Commissione Europea o alle Autorità di Vigilanza Europee.

VIGILANZA MICROPRUDENZIALE
La distinzione macro/micro sta nel modo con cui si procede a valutare i profili di rischio del sistema
europeo finanziario. Macro: visione sistemica. Micro: visione specifica per ambiti di
intermediazione, perché le regole vigenti hanno identificato 3 authorities specifiche (ESA). Quindi
la vigilanza microprudenziale è affidata alle European Supervisory Authority (ESA), le quali hanno
attribuzioni differenti. Le ESA non hanno potere normativo diretto ma possono incidere sui
provvedimenti che possono essere intrapresi in sede europea. Le ESA sviluppano un corpus
regolamentare unico per l’UE, per giungere a condizioni di parità per gli istituti finanziari e
migliorare la qualità della normativa finanziaria e il funzionamento del mercato unico. Le ESA sono
distinte in base agli ambiti di attività: rispettivamente bancario, mobiliare, previdenziale e
assicurativo.
-European Banking Authority (EBA): identificazione, analisi e risoluzione dei principali rischi posti
alla stabilità del sistema bancario UE.
-European Securities and Markets Authority (ESMA): vigilanza su strumenti, mercati finanziari e
società di rating.
-European Insurance and Occupational Pensions Authority (EIOPA): vigila su imprese di
assicurazione e sistema previdenziale privato.

Le 3 autorità:
- non hanno potere normativo diretto, hanno un ruolo tecnico, quindi propongono alcune regole
tecniche alla Commissione Europea, la quale può approvarle e convertirle in direttiva e diventare
vincolanti per le autorità di vigilanza e le istituzioni finanziarie nazionali;
- risolvono le controversie tra autorità di vigilanza nazionali e decidono in caso di disaccordo;
- intervengono in caso di violazione della legislazione europea, garantendone un’applicazione
coerente;
- adottano decisioni in situazioni di emergenza (definite dalla Commissione Europea) che mettono
in pericolo l’integrità del sistema finanziario.

21
LA VIGILANZA EUROPEA: INTEGRAZIONE
ESRB-ESA-ANV
(ANV=autorità nazionali di vigilanza)

Assetto organizzativo e connessione tra


macro e microprudential. Parte superiore:
ESRB e da chi è formato. Doppie frecce:
scambio di info con il sistema micro, con le
3 autorità. Ciascuna interagisce con le
autorità nazionali ANV. Es: banca d’Italia
con EBA, CONSOB con ESMA, IVASS e
COVIP con EIOPA. Sistema che per
differenti gradi tende a dare una visione integrata; si parte da una visione sistemica (ESRB),
interagisce con le authorities europee le quali sono in diretto contatto con le ANV.

L’UNIONE BANCARIA EUROPEA


L’Unione Bancaria Europea si fonda su 3 pilastri:
1. Il Meccanismo Unico di Vigilanza (Single Supervisory Mechanism – SSM): vigilanza sulle
banche a livello europeo;
2. Il Meccanismo Unico di risoluzione delle crisi bancarie (Single Resolution Mechanism –
SRM): svolge funzioni accentrate in caso di crisi bancarie;
3. Una procedura unitaria dei sistemi di garanzia dei depositi (Deposit Guarantee Schemes –
DGS): armonizzazione del funzionamento dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi.

1° pilastro: SSM
È in vigore dal novembre 2014 e prevede che:
à la BCE svolta direttamente l'attività di vigilanza su 115 banche significative dell'area euro, ossia
banche aventi rilevanza sistemica, di cui 11 italiane, così identificate:
-totale dell'attivo di stato patrimoniale superiore a 30 miliardi di euro;
-oppure attività pari almeno al 20% del PIL nazionale;
-in ogni caso, le prime tre banche per ogni membro UE aderente.
à le Banche centrali nazionali (BCN) proseguano con la loro funzione di vigilanza sulle altre
banche di ciascun paese (circa 4900 in tutta l'area euro);
à l’EBA mantenga invece il ruolo di vigilanza sui sistemi bancari di tutti i membri UE senza
eccezioni. È un monitoraggio a livello sistemico.
L' avvio del SSM è stato preceduto dall'esercizio di valutazione dei bilanci delle principali banche
dell’area, costituito da una revisione della qualità degli attivi e da una prova di resistenza (stress
test), condotta con riferimento a uno scenario di base e uno avverso.

2° pilastro: SRM
Il Meccanismo Unico di Risoluzione delle crisi bancarie (Single Resolution Mechanism – SRM) dal
gennaio 2016 gestisce le situazioni di crisi delle banche insolventi mediante l’utilizzo del Single
Resolution Fund (SRF).
Le decisioni sulla gestione del procedimento di risoluzione e sull’uso del fondo sono demandate ad
un Comitato di risoluzione unico (Single Resolution Board), mentre a livello nazionale la risoluzione
delle crisi è gestita da apposite Unità di risoluzione e gestione delle crisi costituite presso le singole
banche centrali nazionali. L’SRF sostituirà gradualmente (entro il 2022) gli analoghi fondi di

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garanzia dei depositanti istituiti attualmente su scala nazionale, che prevedono uniformemente
una copertura pari a 100.000 euro per ogni correntista.
A regime, la dotazione patrimoniale dell’SRF sarà di 55 mld di euro, completamente versati da
parte delle banche dei Paesi UE aderenti all’SSM
Date le risorse limitate dell’SRF, l’SRM opererà secondo il principio del bailin, previsto dalla Bank
Recovery and Resolution Directive (BRRD), entrata in vigore il 1° gennaio 2016. Il bail-in comporta
l’obbligo di copertura delle perdite bancarie secondo una graduatoria degli interventi, da parte,
nell’ordine, di: azionisti, obbligazionisti subordinati (obbligazioni, diverse dalle ordinarie/senior, di
natura ibrida più rischiosa, quindi danno un profilo di rendimento più elevato), obbligazionisti
senior, depositanti (per importi individuali superiori ai 100.000 euro). La graduatoria degli
interventi dipende dall’ammontare delle perdite.
In alternativa al bail-in e al fine di impedire crisi sistemiche, la BRRD prevede anche la possibilità di
intervento dello Stato (limitato e autorizzato preventivamente) mediante ricapitalizzazione
precauzionale, ma solo dopo che le obbligazioni subordinate siano state convertite in azioni
secondo il principio della burden sharing (condivisione degli oneri). Questo meccanismo è una
soluzione ibrida dove c’è comunque una condivisione degli oneri, perché comunque anche se in
maniera più contenuta il bail-in entra in gioco.

3° pilastro: DGS (obiettivo di omogenizzare le regole di funzionamento dei depositi di garanzia


nazionale con alcune regole condivise)
Il terzo pilastro dell’unione bancaria (Deposit Guarantee Schemes – DGS) dovrà essere costituito
da uno schema europeo comune di garanzia dei depositi. L’obiettivo è quello di eliminare le
asimmetrie competitive che possono essere causate dai diversi livelli di protezione offerti per
differenti strumenti di raccolta e dalle diverse modalità di intervento dei fondi di garanzia.
È confermato il livello massimo di copertura di 100.000 euro per singolo depositante e il diritto a
poter ritirare le somme depositate entro 7 giorni dalla messa in liquidazione della banca.
Attualmente il terzo pilastro è oggetto di negoziazioni a livello europeo e non è ancora certa la sua
effettiva entrata in servizio.

CONTROLLO DELLA POLITICA MONETARIA E VIGILANZA EUROPEA


Il controllo della politica monetaria è accentrato presso la BCE, mentre la vigilanza europea segue
un modello decentrato:
BCE:
-la BCE vigila attraverso il meccanismo unico di vigilanza le banche significative le quali, insieme
alle altre banche, sono vigilate dall’EBA;
-il coordinamento con le banche centrali nazionali le quali hanno l’autorità di vigilanza su quelle
meno significative (altre banche, non di natura sistemica);
-alla BCE è deputato il compito di politica monetaria

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4. L’ORDINAMENTO DELL’ATTIVITÀ BANCARIA

Prima legge bancaria del 1936 copre buona parte del secolo passato, per arrivare all’assetto
attuale che è scolpito, dal punto di vista normativo, nel Testo Unico Bancario.

ORDINAMENTO DELL’ATTIVITÀ BANCARIA E CREDITIZIA IN ITALIA: Testo Unico Bancario (TUB) –


D.Lgs. 385/1993

Ordinamento vigente fondato su:


- natura di impresa riconosciuta all’attività bancaria. Questo si ripercuote anche sulla forma
giuridica prevista per esercitare l’attività bancaria: essenzialmente svolta sottoforma di società. Il
fatto di riconoscere la natura di impresa vuol dire che la banca deve porsi come target gli stessi
target che si pone ciascuna impresa.
- definizione dell’attività bancaria come raccolta di risparmio + esercizio del credito (quindi
operazioni di impiego). Svolte contemporaneamente.
Attività classica banca = raccolta depositi + impiego soprattutto prestiti ai richiedenti di fondi.
- riserva di legge riconosciuta all’esercizio dell’attività bancaria per le banche. Quindi dal punto di
vista normativo c’è un perimetro che permette una disciplina specifica, riservando a leggi che
devono normare in modo specifico l’attività bancaria.
- accesso all’attività bancaria subordinato ad autorizzazione basata su requisiti oggettivi;
- identificazione nel TUB delle attività ammesse al mutuo riconoscimento. Mutuo riconoscimento:
perché il TUB si inserisce in un percorso normativo omogeneo preso a livello europeo, quindi in
sede europea il TUB è stato preceduto da alcune direttive che chiariscono quali sono le attività
ammesse a mutuo riconoscimento, nel senso che ciascun paese aderente si obbligava a recepirle
nel proprio ordinamento domestico, in modo tale che l’elenco dell’attività cosiddette bancarie
fosse omogeneo a livello comunitario. Ovvero c’è un riconoscimento dell’elenco di attività a livello
europeo à se io, come banca, ho autorizzazione a svolgere attività in Italia, lo posso fare anche in
altro paese membro, grazie ad un elenco comune di attività.
- nozione di gruppo bancario: 2 possibilità. 1) insieme di banche e altre attività che svolgono
attività bancaria e finanziaria, con una società holding capogruppo rappresentata da una banca.
2)società finanziaria, le società che appartengono al gruppo coordinato dalla holding, che è una
società finanziaria, devono avere carattere prevalentemente bancario-finanziario. Caso 1): banca
che controlla gruppo bancario. Caso 2): oggetto sociale è l’acquisizione di partecipazioni, la società
finanziaria quindi avrà partecipazioni in banche e altri intermediari finanziari.
- definizione (in via residuale) degli altri intermediari finanziari;
- centralità della Banca d’Italia nello svolgimento dell’attività di vigilanza.

ATTIVITÀ DELLE BANCHE


Le attività ammesse al mutuo riconoscimento sono:
- raccolta di depositi o di altri fondi con obbligo di restituzione
- operazioni di prestito, impiego (compreso in particolare il credito al consumo, il credito con
garanzia ipotecaria, il factoring, le cessioni di credito pro soluto e pro solvendo, il credito
commerciale incluso il forfaiting). Hanno un esborso di cassa effettivo: prestiti per cassa
- leasing finanziario, equivalente ad un’operazione di prestito (possibilità di utilizzo di un bene
pagando dei canoni periodici, con possibilità di riscatto finale)
- servizi di pagamento
- emissione e gestione di mezzi di pagamento (carte di credito, travellers cheques, lettere di
credito)

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- rilascio di garanzie e di impegni di firma. La banca appone la firma a garanzia di altre operazioni
che il cliente esegue. Prestito ed esborso potenziale, eventuale. Non c’è esborso di cassa effettivo:
prestiti di firma
- operazioni per proprio conto o per conto della clientela in: strumenti di mercato monetario
(assegni, cambiali, certificati di deposito, ecc.), cambi, strumenti finanziari a termine e opzioni,
contratti su tassi di cambio e tassi d’interesse, valori mobiliari. (Questo va a connotare un’attività
riconosciuta alla banca di poter svolgere intermediazione mobiliare, tolti assegni e cambiali).
- partecipazioni alle emissioni di titoli e prestazioni di servizi connessi. Quindi la banca può
svolgere attività tipica di una società finanziaria.
- consulenza alle imprese in materia di struttura finanziaria, di strategia industriale e di questioni
connesse, nonché consulenza e servizi nel campo delle concentrazioni e del rilievo di imprese.
(consulenza in ambito di finanza d’azienda, attività consulenziale che si estende a vari aspetti).
- servizi di intermediazione finanziaria del tipo "money broking", cioè attività di brokeraggio in
termini di azione pura. Il broker non assume posizione di rischio, si interpone tra chi vuole
acquistare e vendere.
- gestione o consulenza nella gestione di patrimoni mobiliari
- custodia e amministrazione di valori mobiliari
- servizi di informazione commerciale
- locazione di cassette di sicurezza
- altre attività che, in virtù delle misure di adattamento assunte dalle autorità comunitarie, sono
aggiunte all’elenco allegato alla Direttiva 2006/48/CE

Raccolta del risparmio: operazione di acquisizione di fondi, quindi la banca si pone in una
posizione debitoria verso il pubblico risparmio.
La raccolta del risparmio è definita come acquisizione di fondi con obbligo di rimborso nei tempi e
modi previsti dal contratto medesimo, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma, ovvero la
banca può raccogliere anche con altri modi, per esempio attraverso l’emissione di obbligazioni
bancarie che è un prestito con una scadenza, generalmente oggetto di un mercato secondario.
La raccolta del risparmio fra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche o è consentita in
casi espressamente previsti (es: obbligazioni emesse da società finanziarie che devono avere certe
caratteristiche).
La raccolta di fondi a vista ed ogni forma di raccolta collegata all’emissione o alla gestione di mezzi
di pagamento è in via assoluta riservata alle banche.

ESTENSIONE GEOGRAFICA DELL’ATTIVITÀ


La II Direttiva di Coordinamento Bancario sancisce relativamente al fondamento del criterio
dell’home country control (su base europea si sono create le premesse per un mercato bancario
europeo) con:
- il principio della libertà di stabilimento in un paese membro
- il regime di libera prestazione di servizi, limitatamente alle attività ammesse al mutuo
riconoscimento
à La banca autorizzata ha la facoltà di operare sul territorio nazionale e in quello comunitario, nel
rispetto delle condizioni poste dall’ordinamento di appartenenza, con l’insediamento fisico di
succursali o con la prestazione di servizi a distanza.
L’operatività delle banche nazionali in Stati extracomunitari e delle banche extracomunitarie nel
territorio nazionale e l’esercizio delle attività non ammesse al mutuo riconoscimento sono
sottoposte a regimi autorizzativi e disciplinari più restrittivi.

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La Banca d’Italia può vietare ad una banca italiana lo stabilimento di una nuova succursale per
motivi attinenti all’adeguatezza delle strutture organizzative o della situazione finanziaria,
economica e patrimoniale della banca.

CONDIZIONI DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’ESERCIZIO DELL’ATTIVITÀ BANCARIA


Con il TUB, il criterio è molto piò oggettivo rispetto a quanto essere stato previsto con la legge
bancaria del 1936, dove la banca d’Italia aveva un potere discrezionale elevatissimo. Con il TUB si è
voluto non liberalizzare in senso assoluto l’attività bancaria ma ricondurre le condizioni di accesso
ad una verifica per buona parte oggettiva. Quindi la disciplina prevede alcune condizioni, che se
rispettate portano l’autorità di vigilanza a rilasciare l’autorizzazione per lo svolgimento dell’attività
bancaria. Condizioni:
- forma di società per azioni o di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata. Questa
condizione è coerente con l’elemento di natura di esercizio di impresa.
- esistenza del capitale minimo versato richiesto (10 mln per SpA, 5 mln per BCC)
- presentazione del programma concernente l’attività iniziale, c’è un lavoro di programmazione
industriale che porta all’elaborazione di un piano industriale che fa un’attività di previsione
(l’autorità di vigilanza vuole capire se anche in uno scenario di stress l’attività garantisca una
stabilità finanziaria minimale), con l’atto costitutivo e lo statuto
- requisiti di onorabilità per i soci
- struttura proprietaria (composizione e ripartizione dei diritti proprietari)
- requisiti di onorabilità e di professionalità per i soggetti che svolgono funzioni di
amministrazione, direzione e controllo

N.B. Le condizioni vengono verificate dalla Banca d’Italia (Banca centrale europea per le banche di
rilevanza sistemica) che nega l’autorizzazione quando non è garantita la sana e prudente gestione
(margine di discrezionalità lasciato alle autorità). Se non è concessa l’autorizzazione, l’authority
nella spiegazione del perché dovrà spiegare nei dettagli il perché in prospettiva non è garantita la
sana e prudente gestione.

VIGILANZA REGOLAMENTARE denominata così secondo la semantica dei regolamenti di banca


d’Italia (PRUDENZIALE secondo gli schemi discussi nelle precedenti lezioni)
Sulla base del principio della vigilanza regolamentare, la Banca d’Italia, in conformità alle
deliberazioni del CICR, emana disposizioni di carattere generali che hanno per oggetto aspetti che
nell’insieme vanno a quantificare e qualificare la sana e prudente gestione:
- l’adeguatezza patrimoniale
- il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni (rischio di credito, di mercato,
operativo)
- le partecipazioni detenibili (richiesta autorizzazione preventiva per quote > 10% del capitale
sociale e per variazioni di partecipazioni che comportino il controllo della banca)
- l’organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni

L’ACCORDO DI BASILEA DEL 1988 (BASILEA 1): IL COEFFICIENTE MINIMO DI SOLVIBILITÀ

Vigilanza prudenziale: fa riferimento all’insieme di regole che delimitano il perimetro entro cui il
soggetto bancario può muoversi, quindi libertà entro certi limiti definiti. Da qui, a livello
internazionale si inizia a discutere su una sorta di accordo che dovrebbero prendere i vari
banchieri centrali dei paesi più avanzati perché, per il fatto di adottare normative differenti, ci
sono alcuni paesi in cui le banche possono spingere la propria attività a livello di rischio che in altri

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paesi non è ammesso. Nel 1988 si arriva ad un accordo: una banca deve legare il suo rischio alla
dotazione di patrimonio, ovvero ci si può anche esporre a rischio elevato, ma se il patrimonio è
sufficiente a coprirlo. Regola che lega le due dimensioni: one size fits all (una misura riesce ad
impattare sulla misura complessiva del rischio). Introduzione della regola del patrimonio dell’8%:
per ogni attività di prestito, per ciascuna posizione bisogna determinare il rischio che si assume
una banca, e per tale rischio il patrimonio di vigilanza deve essere almeno pari all’8%.
Patrimonio di Vigilanza/Attività ponderate per il rischio >= 8%
Questa regola va applicata ad ogni posizione per la quale bisogna determinarne la rischiosità, la
quale va moltiplicata per l’8%: il risultato è il valore minimo richiesto del patrimonio di vigilanza.
.
– Gli Accordi di Basilea 1 del 1988 si fondavano su semplici principi base:
1. Ogni attività svolta da una impresa finanziaria comporta l’assunzione di un certo grado di
rischio.
2. Tale rischio deve essere quantificato e supportato da un adeguato livello di capitale, detto “di
vigilanza”.
– La logica di Basilea 1 fu quella di legare indissolubilmente il rischio insito nel portafoglio attività
alla dotazione patrimoniale della banca:
à Per ogni 100 € prestati (quantificati come attività a rischio, ponderate per il rischio), 8 € devono
essere detenuti sotto forma di patrimonio di vigilanza, di capitale da parte dell’istituto erogante, a
prescindere dal merito creditizio della controparte (coefficiente assorbimento dell’8%):
Patrimonio di Vigilanza/Attività ponderate per il rischio >= 8%
Attività ponderate per il rischio: esposizioni, per tipologia di attività svolte dalle banche, ponderate
per il rischio, con diversi coefficienti.
Il sistema delle ponderazioni identificava una serie di coefficienti da moltiplicare per le varie
tipologie di esposizioni (Attivo):
-0% per cassa e assimilati, crediti verso governi centrali, banche centrali e UE
-20% per le attività verso istituzioni creditizie e pubblica amministrazione area OCSE
-50% per i crediti ipotecari di tipo residenziale
-100% per le attività verso il settore privato (imprese), banche e governi non OCSE
[denominatore à si prende l’attivo di bilancio e per ogni categoria si applicano i coefficienti.
Verificare che a livello aggregato il rapporto sia almeno pari all’8%]

Il Patrimonio di Vigilanza è composto dalla “somma algebrica di una serie di elementi positivi e
negativi che, in relazione alla qualità patrimoniale riconosciuta dall’autorità a ciascuno di essi,
possono entrare nel calcolo” dell’aggregato, rispettando i limiti di composizione e di utilizzo
previsti. In pratica, il patrimonio di vigilanza è distinto in componenti; in base alla qualità
riconosciuta dall’autorità (Banca d’Italia) rientra in aggregati specifici rispettando dei limiti di
composizione.

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Limiti di composizione
Tier 2: al massimo pari al Tier 1. Nel computo nel patrimonio di vigilanza, il Tier 2 può arrivare al
massimo a quanto è il Tier 1. Qualità inferiore rispetto al Tier 1.
Tier 3: non rientra nel computo del calcolo dell’8%, è utilizzato solo per i requisiti del rischio di
mercato. Al massimo può essere 2,5 volte il Tier 1. Qualità inferiore rispetto al Tier 1.
Nella regola dell’8% considero solo Tier 1-2. In generale:
Tier 1: capitale e riserve al netto di azioni proprie, avviamento, immobilizzazioni immateriali…
Tier 2: riserve di rivalutazione, strumenti ibridi di patrimonializzazione (strumenti intermedi nella
loro natura tra un equity, azione e una obbligazione)…
Patrimonio di vigilanza: essenzialmente Tier 1-2.
Nel calcolo del coefficiente minimo obbligatorio di Basilea, pari all’8%, la banca può computare
solamente il Tier 1 e il Tier 2 (quest’ultimo per un ammontare inferiore o uguale al Tier 1).
Il Tier 3 può fronteggiare solamente i rischi di mercato (copertura rischi di mercato) e non è quindi
considerato nel calcolo del coefficiente di capitale.
Esempio:

BASILEA 2: fondato su 3 pilastri


1°: requisiti minimi di capitale à revisione della regola dell’8%, andando a rispondere ad alcuni
limiti, alcuni errori computazionali sollevati da diverse parti: tecnici, ricercatori, professori,
soprattutto dagli operatori quindi dalle banche le stesse. Ad esempio: ponderare al 100% le
aziende indipendentemente dalla loro rischiosità (non diversificazione delle dimensioni di rischio);
la stessa tipologia di rischio sovrano quindi solo per il fatto di appartenere ad area OCSE o non
OCSE; non considerare la mitigazione del rischio, quindi le garanzie e gli strumenti che potevano
essere sottoscritti a copertura anche parziale del rischio; non considerare altre tipologie di rischio.
2°: processi di supervisione prudenziale à viene data la possibilità all’autorità di vigilanza
nazionale di poter intervenire sul primo pilastro, potendo inserire delle regole più di dettaglio,
elevando in alcuni casi i requisiti minimali, intervenendo alcuni processi di supervisione.
3°: disciplina di mercato à arrivare ad uno schema unitario con cui documentare tutte le
informazioni contabili utili per rendere note le situazioni patrimoniali finanziarie economiche delle
banche, in modo tale che il mercato possa valutare la solidità. L’attitudine a generare profitto delle
banche possa premiare o punire le banche attraverso questo percorso virtuoso di trasparenza
della documentazione e informazioni contabili. La ratio sottostante era: obbligando le banche a
una trasparenza massima delle proprie info, erano incentivate ad assumere un comportamento
virtuoso di controllo di rischio e mantenimento delle condizioni di equilibrio patrimoniale
finanziario economico.

Primo pilastro: Requisiti patrimoniali minimi


Riguarda i criteri di calcolo dei requisiti patrimoniali minimi e mira a riformulare la regola dell’8%,
rendendola più sensibile al rischio dei singoli prestiti e completandola con ulteriori aggiustamenti

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(relativi all’effetto delle garanzie reali e personali e del nuovo concetto di rischio operativo).
Secondo pilastro: Controllo prudenziale
Punta ad accrescere i poteri ispettivi e discrezionali delle singole Autorità di Vigilanza, affiancando
ai requisiti minimi, basati su un puro calcolo algebrico, un insieme di vincoli operativi ed
organizzativi sulle procedure poste in essere da una banca nella misura e nel governo dei propri
rischi.
Terzo pilastro: Trasparenza
Poiché il pubblico degli investitori (soggetti che possono entrare nel capitale delle banche) ha un
forte interesse a monitorare la quantità di rischi insita nel bilancio di un istituto di credito, il terzo
pilastro obbliga i gruppi creditizi a fornire più informazioni al mercato, confidando che in tal modo
si instaurerà un meccanismo automatico di penalizzazione per le banche più rischiose, le quali
avranno maggiori difficoltà a reperire finanziamenti.

APPROFONDIMENTO 1° PILASTRO
- Patrimonio di vigilanza: invariato. Le regole della composizione sono le stesse.
Patrimonio di Vigilanza = Tier1+Tier2+Tier3
Tier 1: patrimonio di base; Tier 2: patrimonio suppl. (Tier 2 <= Tier 1);
Tier 3: patr. suppl. (Tier 3 <= 2,5×Tier 1)

- Rischio di credito (copertura con Tier 1-2): cambiato l’approccio con nuove metodologie.
Formalmente Basilea 2 entra in vigore il 1° gennaio 2007 ma con possibilità di proroga (della quale
hanno beneficiato quasi tutte le banche) al 1° gennaio 2008. Nella fase iniziale si è applicato il solo
Approccio Standardizzato (banche di dimensione medio-bassa). Nel corso del 2008 la Banca d’Italia
ha iniziato ad autorizzare alcuni grandi gruppi bancari italiani all’utilizzo dell’Approccio Avanzato.
La regola dei coefficienti viene modificata e viene data la possibilità alle banche di poter scegliere
di adottare due approcci.
Metodologie dal grado di complessità crescente:
1. Approccio standardizzato (rating esterno)
2. Approccio a rating interni: § Approccio di base § Approccio avanzato

- Rischio di mercato (copertura con Tier 3): invariato. Il rischio di perdita sulle posizioni di trading,
di negoziazione in valori mobiliari. L’autorità dà la possibilità di adottare qualunque metodologia,
quindi l’approccio viene mantenuto tale.
- Rischio operativo: introdotte nuove regole per questa nuova tipologia. È una categoria residuale,
perché si fa riferimento a varie categorie di rischi non riconducibili a variabili di mercato (che
hanno in sé dinamiche che possono essere previste). Il rischio operativo è un fenomeno che si
verifica senza alcuna possibilità di essere previsto. È una categoria residuale per cui è richiesta la
copertura del patrimonio di vigilanza. Quindi il patrimonio deve coprire rischio di credito, di
mercato e operativo.
Nuovo requisito patrimoniale a fronte dei rischi operativi. Tale requisito è motivato dalla crescente
importanza di tale tipologia di rischio conseguente allo sviluppo di attività diverse da quelle
tradizionali.

APPROCCIO A RATING ESTERNI – APPROCCIO STANDARDIZZATO


Evoluzione del sistema dei coefficienti di Basilea 1, dove vi erano i coefficienti che andavano
applicati in base alle categorie. L’approccio è lo stesso (mantenuta la regola dell’8%) ma qui viene
estesa la gamma delle categorie (aziende, stati sovrani, banche, retail quindi privati e PMI, mutui
residenziali e mutui commerciali). Per ogni categoria è previsto un rating, associato alla quale

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categoria di rating, in base alla tipologia considerata, vengono determinati i coefficienti di
ponderazione, la cui estensione e gamma è molto più estesa rispetto alla precedente. Le
percentuali vanno poi moltiplicate per l’esposizione in modo tale da ottenere gli asset ponderati
per il rischio.
C!:. D;E.
∑ !GG;D;G!H I :J>;
≥ 8%
! ! !
Perché rating esterno? Perché la banca può dotarsi della valutazione di agenzie esterne (ECAI). La
banca può dotarsi anche di valutazioni differenti, senza però fare il rating shopping, ovvero vedere
quale rating delle varie agenzie è più conveniente (ponderazione più bassa) e usare quella: non
sono ammessi arbitraggi.
–I rating esterni utilizzati nell’approccio standard sono forniti dagli ECAI (external credit
assessment institutions), ossia agenzie di rating riconosciute dalle Autorità.
– Tali “fornitori di rating” devono soddisfare una serie di requisiti, riguardanti in particolare la
trasparenza e l’omogeneità dei criteri adottati.
– Una banca, inoltre, potrà utilizzare rating provenienti da più fonti, evitando tuttavia
comportamenti opportunistici (ad esempio scegliere, per ogni cliente, l’agenzia che assegna il
rating più elevato, così da ridurre il requisito patrimoniale totale).
– A rating migliori corrispondono pesi più leggeri nel calcolo del Patrimonio di Vigilanza. Inoltre i
pesi sono diversi per diverse categorie di controparti (privati, Stati, banche, mutui prima casa, …)

APPROCCIO A RATING INTERNI


Non c’è più l’8%. Il coefficiente viene ricalcolato con una formula predisposta dall’autorità di
vigilanza, il cui intendimento è per stimare la perdita inattesa. Inattesa perché con la perdita
attesa con la produttoria poi riportata, ci si può sbagliare, la perdita può essere maggiore. Questo
campo di variazione che poi quantifica l’estensione della perdita potenziale prende il nome di
perdita inattesa. Questa perdita inattesa si traduce poi in un coefficiente patrimoniale che
sostituisce l’8%, risultato di una formula complessa (con variabili PD, LGD, EAD, M).
Differenza con l’esterno: la banca come minimo deve procedere a valutare il suo cliente
attribuendo un giudizio. Il c.d. giudizio di merito di credito, ovvero rischio di credito, non è
delegato a soggetto terzo, ma è determinato internamente con procedure che devono essere
preventivamente validate. Il tutto richiede poi la stima di ulteriori variabili che tengono conto di
altri aspetti delle posizioni a rischio; le variabili vengono utilizzate per determinare la perdita
attesa e la perdita inattesa. La perdita attesa è quanto ragionevolmente per ogni esposizione mi
attendo potrei perdere (questo è il calcolo da cui partire per determinare gli accantonamenti
perdite su crediti. La perdita attesa è compensata con gli accantonamenti che la banca fa
relativamente alle posizioni assunte; quella inattesa, quanto eccede rispetto alla misurazione della
perdita attesa e che si lega alla variabilità delle variabili chiave, va a tradursi secondo una formula
complicata in un coefficiente di patrimonializzazione che sostituisce la regola dell’8%).
Perdita attesa = PD x LGD x EAD

Nella metodologia basata sui rating interni: le attività ponderate per il rischio sono determinate a
partire dai dati interni dell’intermediario sulle perdite effettivamente sostenute, stimando la
perdita attesa EL.
Sono previsti due approcci: a) Approccio di base; b) Approccio avanzato.

PD = Probability of Default-insolvenza. Probabilità di insolvenza del soggetto. È la valutazione del


merito di credito. La valutazione del profilo del rischio di credito è una probabilità. Come minimo
la banca deve stimare questa variabile. Per le successive, la stima dipende dalla tipologia di
approccio a rating interno. Approccio di base: le altre variabili predeterminate dall’autorità di

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vigilanza. Approccio avanzato: l’intermediario le stima con previsione di procedure da validare
dalla stessa autorità di vigilanza affinchè l’approccio sia giudicato come idoneo alla quantificazione
del profilo di rischio e del patrimonio di vigilanza a seguito di perdite non solo attese, ma anche
inattese, che possono variare. Il concetto di perdita inattesa fa innovare la definizione della regola
dell’8%. Coefficiente dell’8% viene sostituito da un altro, maggiore o minore, a seconda di una
formula che l’autorità mette a disposizione e richiede la quantificazione delle variabili della tabella.
Il coefficiente va a diversificare la richiesta di patrimonio, rendendo più moderno l’approccio
rispetto a one size fits all.

LGD = Loss Given Default. Mi dice quale è la percentuale di perdita che mi aspetto nel caso in cui il
mio soggetto vada in default.
EAD = Exposure at Default. È la dimensione monetaria dell’esposizione a rischio.
M = Maturity. Scadenza. Non entra nel calcolo della perdita attesa, ma nel calcolo della perdita
inattesa.

BASILEA 3: 3 strumenti
Nel sistema bancario, in particolare nell’area euro, c’erano problematiche soprattutto riguardo la
stabilità, che viene meno per diverse banche portandone alla dissoluzione.
Motivi: 1) elevata leva finanziaria, quindi cap terzi > cap proprio. 2) crisi di liquidità. 3) le regole
vigenti allora di definizione di patrimonio di vigilanza: nel momento della copertura delle perdite
con il patrimonio, quegli elementi che erano stati computati si erano rivelati insufficienti per
ripianare le perdite.

In seguito alla crisi dei sistemi finanziari, sono state apportate modifiche agli accordi di Basilea 2,
che nella UE sono in vigore dal 1° gennaio 2014, sulla base della Capital Requirements Directive IV
(CRD IV) e del Capital Requirements Regulation (CRR), con riguardo a:
1. Nuova definizione di capitale e rafforzamento patrimoniale: ridefinizione del patrimonio di
vigilanza con l’obiettivo di innalzare la qualità di base
2. Contenimento del grado di leva finanziaria: imposizione di leva finanziaria massima
3. Gestione del rischio di liquidità

1. Nuova definizione di capitale e rafforzamento patrimoniale


- Innalzamento della qualità del patrimonio di vigilanza, a favore del Common Equity Tier 1 (CET1 =
azioni ordinarie + riserve di utili al netto di una lista armonizzata di deduzioni).
- Regole più stringenti per la contabilizzazione di strumenti finanziari diversi dalle azioni.
- Creazione di buffer patrimoniali ovvero richieste di patrimonio addizionali (conservation buffer
nel Tier 1 e counter cyclical buffer) ulteriori rispetto ai requisiti minimi.
Counter cyclical buffer = buffer anticiclici. Quindi elevare richieste di patrimonio nei momenti di
espansione e ridurli in contrazione. Un elemento di criticità di Basilea 2 era la ciclicità del requisito
che portava a richiedere patrimonio via via crescente nei momenti di contrazione economica,
quando invece bisognava alleviare la richiesta di patrimonio in modo che le banche avessero più
risorse da utilizzare per attività di prestito.

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- Introduzione dello Small and medium enterprises supporting factor (SME SF), norma specifica a
beneficio delle PMI, ossia di un coefficiente di ponderazione, pari a 0,7619, finalizzato alla
riduzione dei requisiti patrimoniali derivanti dal rischio di credito assunto nei confronti di piccole e
medie imprese, a patto che l’esposizione della banca verso la PMI e le società ad essa collegate sia
inferiore a 1,5 milioni di euro e non sia in default.
requisito patrimoniale vs. PMI = SME SF × requisito patrimoniale standard
=0,7619

2. Contenimento del grado di leva finanziaria


Limite alla leva finanziaria e semplificazione della sua determinazione.
Istituzione del leverage ratio (coefficiente di leva finanziaria) dato dal rapporto tra il capitale Tier 1
e il totale delle attività:
a) non sono conteggiate le esposizioni per derivati sul merito creditizio, sui tassi d’interesse, sui
tassi di cambio e sull’oro;
b) sono sommate le attività fuori bilancio, con ponderazioni pari al loro rischio (alto = 100%, medio
= 50%, medio/basso = 20%, basso = 0%), così come definite dalla CRD IV.
c) Le linee di credito deliberate dalla banca ma non utilizzate dalla clientela sono ponderate per il
10% del loro ammontare.

Leverage ratio = Tier 1/attivo totale (contabile) > 3%

3.Gestione del rischio di liquidità


Introduzione di due nuovi indicatori:
Liquidity coverage ratio: si concentra essenzialmente su un rischio di liquidità in senso stretto. Ci si
concentra sulle dinamiche a breve e brevissimo termine dei cash in-flows e out-flows tipici di una
banca. L’intenzione è di far in modo che le banche abbiano una dotazione in termine di attività
convertibili facilmente in denaro liquido laddove ci siano periodi di stress. Quindi si introduce un
ratio che mette a confronto attività facilmente convertibili in euro (HQLA) e i flussi netti di liquidità
in uscita (cash out-flows) stimati in uno scenario di stress a 30 giorni. DEN: in HP di crisi di liquidità
da qui a 30 giorni, stimo quanto ragionevolmente al massimo potrei avere necessità a copertura
degli esborsi previsti. NUM: quantifico quanto è la copertura di questi esborsi potenziali. Il
rapporto introdotto nel 2015 è arrivato a regime nel 2019 al 100%. Oggi il ratio deve essere
almeno pari al 100%.
Misura la capacità di superare condizioni di illiquidità sul breve periodo, comparando i flussi di
cassa attesi nell’arco di 30 giorni, in uno scenario di stress, con il totale degli High Quality Liquid
Assets (HQLA) detenuti dalla banca. Gli HQLA sono attività liquidabili sul mercato prontamente e
con costi limitati.
Il requisito minimo, introdotto il 1°Gennaio 2015, pari inizialmente al 60%, si è incrementato del
10% all’anno, arrivando a regime (100%) nel 2019.
LCR = HQLA/flussi netti di liquidità stress 30 gg >= 60% (2015) à 100% (2019)
Gli HQLA devono rispettare le seguenti caratteristiche:
- basso rischio di credito e di mercato;
- facilmente valutabili;
- poco correlati con attività rischiose (no titoli bancari, perché perdono valore con la crisi);
- scambiati su mercati liquidi;
- ammissibili allo sconto presso la BCE.

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Net stable funding ratio: segnala eventuali squilibri strutturali tra passivo e attivo, confrontando le
fonti di provvista stabili (quindi con scadenza oltre l’anno e quelle entro l’anno ma ritenute stabili)
con le attività meno liquide. Bilancio equilibrato dal punto di vista della struttura patrimoniale.
In linea teorica: le risorse stabili, quindi sul lato del passivo, siano equilibrate rispetto l’attivo.
NSFR prevede che il funding sia sufficientemente stabile a copertura degli investimenti previsti, i
quali devono essere valutati in baso al grado di illiquidità. Da una parte stabilità del funding,
dall’altra grado di illiquidità dell’attivo.
NSFR = funding netto stabile /attività illiquide >= 100%
Nel calcolo dell’NSFR attività e passività sono ponderate (coefficiente di ponderazione) per il loro
grado di stabilità.
Il numeratore deve essere sufficiente almeno a copertura degli impieghi, valutati in base al grado
di illiquidità attraverso il meccanismo dei coefficienti di ponderazione. Questi coefficienti crescono
al crescere dell’illiquidità. La somma ponderata degli attivi va a determinare il denominatore.

ALTRI INTERMEDIARI FINANZIARI


Nozione giuridica di intermediario finanziario

Gli intermediari finanziari sono i soggetti, diversi dalle banche, che esercitano la concessione di
finanziamenti, sotto qualsiasi forma (incluso il rilascio di garanzie), in via professionale nei
confronti del pubblico. Gli intermediari finanziari possono inoltre:
a) emettere moneta elettronica e prestare servizi di pagamento;
b) prestare servizi di investimento;
c) esercitare le altre attività a loro eventualmente consentite dalla legge e le attività connesse o
strumentali.
N.B. La disciplina degli intermediari finanziari non è armonizzata a livello europeo e pertanto non è
consentito il mutuo riconoscimento in ambito UE. Sono sottoposti alla vigilanza da parte della
Banca d’Italia.
Con la pubblicazione degli "Albi ed elenchi di vigilanza" la Banca d'Italia ottempera agli obblighi
informativi nei confronti del pubblico previsti dai Testi Unici in materia di intermediazione
bancaria e finanziaria. Tali obblighi discendono dai compiti di supervisione assegnati dalla legge
alla Banca d'Italia sulle banche e sugli intermediari finanziari.
Per poter operare devono essere inseriti negli albi tenuti dall’autorità di vigilanza che provvede
attività di controllo.

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L’esercizio di attività bancaria o finanziaria in mancanza delle autorizzazioni/iscrizioni ai pertinenti
albi previste dalla legge è sanzionato penalmente.

Chiarimenti
RISCHIO DI CREDITO à Con il nuovo assetto, Basilea 2, ci sono due possibili schemi: a rating
esterno, a rating interno.
RATING ESTERNO: il sistema è esattamente analogo a quello previgente, con i coefficienti di
ponderazione, c’è ancora la regola dell’8%. Cambia la gamma dei coefficienti: prima ne avevamo
essenzialmente quattro con Basilea 1, qui abbiamo diverse categorie per ognuna delle quali c’è la
diversificazione rispetto al rating. Il rating è un giudizio di rischio attribuito da una agenzia esterna.
La banca d’Italia ha previsto che non tutte le agenzie esterne possano emettere una valutazione
sui clienti di una banca per l’applicazione dei coefficienti di ponderazione, ma solo coloro che sono
riconosciute come ECAI. È un albo detenuto dall’autorità. Chi vuole proporsi come agenzia per
fornire una valutazione sul merito di credito fa richiesta alla banca d’Italia. Si parla di rating
esterno per questo motivo, perché una banca chiede ad un’agenzia esterna fra quelle inserite
nell’elenco ECAI della banca d’Italia di valutare la propria clientela.
RATING INTERNO: non c’è la regola dell’8%, o meglio l’8% viene abbandonato e viene determinato
un coefficiente che può essere maggiore o minore dell’8%. Questo k è il risultato di una formula
molto complicata i cui ingredienti sono: PD, LGD, EAD, M.
Si tratta di capire qual è il coefficiente per determinare il patrimonio minimo relativamente alle
varie esposizioni. La banca d’Italia fornisce una formula complessa. La banca che adotta
l’approccio a rating interno: non prende i rating di una società esterna, fa da sé la valutazione,
determinando il rischio della propria clientela e applicando la formula per la determinazione del
coefficiente patrimoniale.
PD: probabilità di insolvenza (sostanzialmente è un numero che sta accanto al rating, es. AAA à
PD quasi 0, B ha PD significativa intorno al 20%). La valutazione della PD è la probabilità che il
cliente vada in una situazione di insolvenza su un orizzonte temporale tipicamente posto ad un
anno. Quindi con il meccanismo a rating interno le banche stimano internamente il rating, che poi
si traduce in un numero, una %, probabilità che varia tra 0 e 1.
LGD: è una percentuale. Mi dice la perdita nel caso in cui si verifichi il default.
EAD: è l’esposizione a rischio, è sostanzialmente quanto ho prestato.
M: scadenza.
Mettendo questi ingredienti nella formula, risulta un coefficiente k che sostituisce l’8%.
In PD entra il rischio di credito in senso stretto, in LGD entra il ruolo delle garanzie (per recuperare
il credito concesso), EAD è relativo ad alcune forme tecniche che potrebbero richiedere una stima
effettiva per alcuni impieghi specifici, la scadenza M coincide con il concetto di duration che
vedremo coi bond come strumento finanziario.
EL = PD x LGD x EAD (M è sottinteso pari ad 1)
Gli ingredienti descritti quantificano la perdita attesa. La perdita attesa è un concetto preliminare
alla determinazione del coefficiente patrimoniale k. EL è la quantificazione in euro di quanto mi
aspetto potrei perdere, è l’aspettativa.
All’interno dell’approccio a rating interno ci sono due opzioni:
1) approccio di base: la banca si preoccupa solo della stima della probabilità di insolvenza, perché
gli altri valori sono predeterminati secondo alcune regole dalla banca d’Italia;
2) approccio avanzato: prevede che la banca stimi PD, LGD, EAD, M.
Questo coefficiente patrimoniale k parte dal concetto di perdita attesa, che richiama questi
quattro ingredienti, e li utilizza per determinare un coefficiente k che sostituisce l’8% in grado di
coprire le perdite inattese, che possono essere maggiori rispetto alle perdite attese EL. Il

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coefficiente è determinato con quella formula complessa nell’obiettivo di coprire le perdite, che
possono essere anche molto più elevate rispetto perdita attesa, con il patrimonio di vigilanza.
Questo perché la perdita attesa trova copertura con gli accantonamenti perdite su crediti (le
banche adottano come base di partenza la formula di EL per quantificare l’ammontare degli
accantonamenti a perdite su crediti).

5. L’ORDINAMENTO DELL’ATTIVITÀ MOBILIARE

2007: D.Lgs.164 recepimento Direttiva 2004/39/CE Markets in Financial Instruments Directive


(MiFID)
La prima direttiva da ricordare è la MIFID, direttiva del 2004, recepita nel 2007. Modifica
radicalmente la struttura del sistema finanziario per quanto attiene l’intermediazione mobiliare,
andando ad innovare diversi punti:
- Organizzazione dei mercati mobiliari (luoghi negoziali dove avviene lo scambio di valori
mobiliari). Ciò porta a:
- Eliminazione principio di concentrazione degli scambi nei mercati: prima della MIFID c’era questo
obbligo per cui le negoziazioni dovevano avvenire in un unico mercato regolamentato. Si rimuove
questo obbligo, dando la possibilità di creare mercati alternativi a quelli regolamentati.
- Maggiore trasparenza sulle politiche di esecuzione degli ordini
- Garanzia del miglior risultato possibile (regole di best execution). Sorta di responsabilità
riconosciuta all’intermediario mobiliare il quale deve garantire il miglior risultato possibile per la
propria clientela.
- Concorrenza fra mkt regolamentati e sistemi di scambi bilaterali e multilaterali (nuovi sistemi di
trading venue). Questo si collega alla rimozione all’obbligo di concentrazione degli scambi,
aprendo la possibilità a creare nuove forme negoziali.
- Minima regolamentazione riconosciuta a questi nuovi luoghi negoziali che non devono
rispondere a tutti gli elementi che devono essere rispettati dai mercati regolamentati. Valutazione
delle trading venue in base a:
Ø Prezzi
Ø Costi di transazione
Ø Natura e dimensione degli ordini
Ø Rapidità e probabilità di esecuzione
Ø Probabilità di settlement
-Informativa post trade (ciò che coinvolge il post negoziazione)

- Protezione investitori
Forte modifica che sul mercato europeo stravolge il rapporto tra investitori e intermediari
mobiliari, perché secondo la direttiva si prevede una classificazione preventiva della clientela.
- Classificazione clienti: al dettaglio/professionali/controparti qualificate
(sottoinsieme dei professionali) in base alla dimensione del patrimonio oggetto dello scambio in
valori mobiliari, al grado di esperienza, conoscenze e competenze necessarie a assumere decisioni
e valutare rischi. Questa classificazione è funzionale agli obblighi di informativa differenziati in
base alla classificazione della clientela.
- Obblighi di informativa: differenziati per tipologia di investitore (clienti al dettaglio, clienti
professionali e controparti qualificate) e per servizio di investimento (minori per mera esecuzione
ordini). Rispondere a 3 principi:

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v Adeguatezza (il servizio di investimento deve essere modulato in base ad obiettivi di
investimento, conoscenze/competenze, situazione finanziaria) per servizi di consulenza e
gestione di portafogli
v Appropriatezza (conoscenza/esperienza) per servizi diversi da consulenza e gestione di
portafogli (no execution only su iniziativa del cliente)
v Inducement (incentivi degli altri intermediari). Spesso un intermediario mobiliare si affida ad
altri intermediari per collocare prodotti di investimento, e questa rete distributiva viene
regolata da alcuni incentivi riconosciuti agli altri intermediari che vanno a comporre la catena
dei contatti che si conclude con il cliente, il quale compra i prodotti. Incentivi che devono
essere resi noti al cliente (resi noti nell’informativa).

-Requisiti organizzativi intermediari


Previste alcune regole per evitare conflitti di interesse all’interno della struttura degli intermediari
e una separazione delle funzioni nell’ambito interno delle imprese di investimento, in modo che
siano chiari i poteri riconosciuti e gli scambi di deleghe tra le funzioni che devono rispondere al
rispetto delle regole (compliance), misurazione e gestione dei rischi e controllo interno.
-Conflitti di interesse: Obbligo di comunicazione al cliente delle relative modalità di gestione
-Requisiti organizzativi imprese di investimento: Rafforzamento funzioni di compliance, risk
management e internal auditing Esternalizzazione funzioni operative rilevanti soggetta maggiori
vincoli

-Vigilanza
Nuove norme per meglio coordinare i rapporti tra Banca d’Italia e CONSOB.
-Coordinamento tra Bankit e CONSOB con ripartizione di tipo funzionale: La BdI si occupa della
vigilanza con obiettivo la stabilità degli intermediari, di contenimento del rischio, stabilità e sana e
prudente gestione degli intermediari. La CONSOB è competente per la trasparenza e la correttezza
dei comportamenti degli intermediari, strumenti e servizi di investimento.

2009: Direttiva Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities (UCITS IV) sugli
Organismi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari aperti (OICVM)
Seconda direttiva: UCITS IV
Viene riformata, armonizzata tutta la normativa europea relativamente ad organismi di
investimento collettivo in valori mobiliari c.d. aperti (OICVM). L’obiettivo era di creare un mercato
europeo interno maggiormente integrato, c.d. armonizzato dando la possibilità a società che si
occupano della gestione del risparmio (SGR) di poter muoversi liberamente in ambito europeo.
Approvata dal Parlamento Europeo il 13 gennaio 2009 ed entrata in vigore il 1° luglio 2011
(definitivamente recepita dall’Italia in data 9 maggio 2012), pone le basi per la creazione di un
mercato interno caratterizzato da una maggiore integrazione ed efficienza:
• Introdotto il Passaporto unico del gestore: autorizzazione unica consente ai fondi comuni
autorizzati in uno Stato Membro di essere gestiti da una SGR insediata in un altro Stato
Membro e da questo autorizzata, purché siano soddisfatti alcuni requisiti. Dovrebbe garantire
maggiore concorrenza e minori costi.
• Vigilanza prudenziale: le SGR sono soggette alla vigilanza e alle norme in materia di
organizzazione dello Stato Membro di origine, e devono osservare le norme dello Stato
ospitante relativamente a costituzione e funzionamento degli OICVM. Operano in regime di
home country control secondo i principi della libertà di stabilimento e della libera prestazione
di servizi.
• Armonizzazione procedure di fusione: per favorire fusioni transfrontaliere

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• Disciplina delle strutture master-feeder: per consentire a un OICVM di investire parte o tutto il
proprio patrimonio in un altro fondo
• Tutela degli investitori: key investor information, documento che contiene le informazioni
essenziali su costi e profili di rischio che i potenziali investitori devono ricevere prima della
sottoscrizione di un OICVM. [info su profilo di rischio e rendimento del prodotto/servizio, costi
che i sottoscrittori debbono sostenere acquistando il prodotto oggetto del contratto]

OICVM: Organismi di Investimento Collettivo in Valori Mobiliari aperti. Stiamo parlando di prodotti
di gestione del risparmio, non c’è la gestione di un unico patrimonio, ma è la gestione collettiva del
patrimonio di più risparmiatori che va ad etichettare il fondo comune (nel nostro immaginario). Il
patrimonio del singolo risparmiatore entra nell’insieme dei patrimoni singoli creando un
patrimonio collettivo che fa massa, gestito dalla società di gestione del risparmio, in mercati che
possono essere regolamentati.
Prodotto di investimento collettivo, un fondo che investe in mercati regolamentati ed è un fondo
aperto (possibilità di acquistare e vendere le quote di patrimonio. NB: la parte del singolo
risparmiatore acquistata prende il nome di quota, che viene investita in valori mobiliari es. azioni,
obbligazioni). Tutti i risparmiatori hanno una stessa performance, che deriva dall’abilità della
società di gestione del risparmio nell’investire e nella selezione delle asset class migliori e della
composizione dei titoli che ne fanno parte.

2013: Alternative Investment Fund Managers Directive (AIFMD)


È la direttiva sui fondi d’investimento alternativi. Si riconosce questa nuova classe di fondi,
cercando di dare una maggiore trasparenza e regolamentazione a questa categoria che
precedentemente era libera di fare ciò che voleva.
Approvata dal Parlamento Europeo l’8 giugno 2011 ed entrata in vigore il 22 luglio 2013, mira a
regolamentare le attività dei gestori di FIA (fondi d’investimento alternativi) (es: fondi speculativi)
riguardo a:
• Regime autorizzativo più rigido: i gestori che superano predefinite soglie dimensionali devono
richiedere un’autorizzazione specifica alle autorità del proprio paese di origine. I gestori
devono avere un capitale iniziale minimo, cui si aggiunge un’ulteriore dotazione, proporzionale
alle masse gestite, a fronte di rischi di responsabilità professionale. È irrilevante il domicilio
legale del fondo e la natura aperta o chiusa dello stesso.
• Commercializzazione: i gestori UE (ed extra-UE, solo entro fine 2015) autorizzati possono
commercializzare i propri fondi alternativi sia nel proprio paese di origine, sia in altri Stati
membri. Il passaporto vale solo nei confronti degli investitori professionali, mentre è lasciata
alla discrezionalità dei singoli paesi l'estensione anche al mercato retail.
• Organizzazione: obbligo di adottare una politica e un’organizzazione di gestione dei rischi
economici e finanziari tipici dell’attività gestoria adeguate.
• Trasparenza: imposizione di obblighi informativi periodici a favore degli investitori e delle
autorità di vigilanza. Informazioni trasparenti relativamente a dove investono e alla
valorizzazione degli strumenti acquistati. Tali obblighi sono modulati in funzione della
rischiosità dell’attività svolta. Gli asset dei fondi alternativi devono essere valutati in modo
corretto, indipendente e nel pieno rispetto delle norme vigenti nei singoli paesi.

2017: Direttiva Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities (UCITS V)


Passo successivo rispetto UICTS IV. L’obiettivo è di completare la direttiva precedente
concentrandosi prevalentemente su conflitti di interesse presenti nell’ambito della gestione del
risparmio a monte, cioè coloro che effettivamente vanno a gestire il patrimonio dei risparmiatori.

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Sono quindi previste delle regole per le c.d. banche depositarie. Esse sono depositarie dei valori
mobiliari acquistati dalla società di gestione del risparmio. per capire, quando si parla di fondo
comune di investimento, indichiamo 3 soggetti: gestore (è la SGR), banca depositaria (custodisce i
valori mobiliari acquistati e valorizza gli strumenti finanziari acquistati, dando valore alla quota
unitaria del fondo comune), fondo comune (patrimonio raccolto presso i risparmiatori).
Quindi: regole di maggiore trasparenza relativamente alla banca depositaria, politiche retributive
imponendo dei vincoli, e anche regolando le sanzioni amministrative per i gestori che sono quasi
automatizzate. L’obiettivo è un po’ la disciplina del mercato già richiamata per le banche: fare in
modo che i gestori siano consapevoli del fatto che se si comportano in modo inappropriato
subiscono delle sanzioni che sono automatizzate, quindi il rischio di reputazione tende ad
incentivarli ad essere il più responsabili possibile adottando regole trasparenti e omogenee
rispetto la disciplina normativa.
Adottata il 23 luglio 2014 ed entrata in vigore il 1°gennaio 2017, si focalizza sui conflitti d’interesse
presenti nella gestione del risparmio in monte:
• Banca depositaria: solo le banche e le banche centrali dell’UE possono detenere in custodia, in
conti rigorosamente separati dai propri, le attività finanziarie degli OICVM. È inoltre limitata la
possibilità di delegare l’attività a banche sub-depositarie (no trasferimento responsabilità per
perdita di asset).
• Politiche retributive: devono essere pubblicate nella relazione annuale. I gestori di fondi
potranno ancora percepire commissioni di incentivo, ma tra il 40% e il 60% della loro
retribuzione variabile deve essere differita nel tempo, per evitare politiche speculative di breve
termine volte solo a massimizzare il ricavo commissionale. Inoltre, il 50% della retribuzione
variabile deve essere pagata ai gestori in quote dell’OICVM, legando pertanto il loro profitto a
quello dei sottoscrittori.
• Sanzioni e rischio reputazionale: le sanzioni amministrative minime di cui devono disporre i
supervisori sono armonizzate a livello europeo. La gestione del rischio reputazionale diviene
cruciale per i gestori, anche a causa della maggiore pubblicità prevista per le eventuali sanzioni
(pubblicazione delle sanzioni amministrative sul sito web delle autorità competenti per almeno
5 anni).

2018: Direttiva Markets in Financial Instruments Directive II (MiFID II). Regolamento UE 600/2014
(“Regolamento MiFIR”).
Oggetti:
1) regolamentazione dell’attività di trading algoritmico. In tempi recenti, gli operatori di mercato
dell’asset management innestano dei trading algoritmici ovvero con una serie di info percepite da
programmi software vengono lanciati ordini di acquisti e vendita con una velocità e una
numerosità potenziata rispetto all’operatore fisico che deve scegliere e lanciare l’ordine. La
macchina, l’algoritmo segue una certa strategia di investimento. È un approccio quantitativo agli
investimenti portato a livelli massimi. Problemi: la macchina, che gestisce l’investimento, in taluni
casi può andare in direzioni errate.
2) previsione di queste piattaforme (transizione negoziali) chiamate OTF. Non si parla ancora di
mercato regolamentato in senso stretto, ma c’è un minimo di regolamentazione, perché è previsto
sotto la direzione dell’ESMA (NB: è authority di vigilanza europea che si occupa dei mercati
finanziari) di far transitare alcune negoziazioni, specie di strumenti derivati e prodotti strutturati,
che venivano negoziati nei c.d. segmenti OTC (quindi in negoziazioni essenzialmente bilaterali in
cui non c’erano regole); quindi gran parte dell’opacità informativa si portava dietro potenziali
rischi sistemici. Si decide quindi di far transitare buona parte di alcune negoziazioni di derivati in
questa piattaforma chiamata OTF dove è garantita un minimo di trasparenza.

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Direttiva che aggiorna e sostituisce la MiFID. È stata emanata nel 2014 ed è entrata in vigore il 3
gennaio del 2018.
3) È incentivata e attivata una piattaforma per agevolare la crescita delle PMI. Parliamo di un
trading venue, cioè un luogo negoziale con contenuti informativi minimali e quindi un minimo di
trasparenza; è una piattaforma negoziale multilaterale, con informative minimali.
1) Trading algoritmico: le imprese di investimento che ne facciano uso dovranno fornire alla
competente autorità nazionale (CONSOB nel nostro caso), con cadenza almeno annuale, una
descrizione: delle strategie di trading adottate; dei parametri di negoziazione o dei limiti del
sistema di trading; dei sistemi di controllo utilizzati per assicurare un ordinato svolgimento
delle negoziazioni al fine di prevenire l’invio di ordini errati o di brusche reazioni dei mercati
(es. flash crash del 06/05/2010).
2) Organised Trading Facilities (OTF): transizione delle negoziazioni attualmente OTC di
obbligazioni, prodotti strutturati e derivati (soggetti a regolamenti standardizzati e che siano
sufficientemente liquidi, sulla base di valutazioni dell’ESMA), verso mercati regolamentati,
sistemi multilaterali di negoziazione (MTF) oppure sistemi organizzati di negoziazione (OTF).
3) Mercati di crescita per le PMI: multilateral trading facility (MTF) sulle quali sono scambiati
strumenti finanziari emessi da piccole e medie imprese (capitalizzazione < 100 mln di €).
Saranno autorizzati da parte delle autorità nazionali, mentre l’ESMA ne curerà solamente la
pubblicazione dell’elenco comunitario.
4) Trasparenza e integrità dei mercati: per contrastare la frammentazione informativa derivante
dalla fine dell’obbligo di concentrazione degli scambi, sono previsti: (i) notifica alle autorità
nazionali di tutte le operazioni in strumenti finanziari; (ii) sistema di cooperazione e scambio di
informazioni tra piattaforme MTF e OTF.
5) Imprese di investimento extracomunitarie: se operano solo con controparti qualificate, è
sufficiente l’iscrizione, previa verifica dei requisiti, in un registro tenuto dall’ESMA.
6) Consulenza finanziaria:
• viene introdotta la consulenza su base indipendente. Importante perché prima della MIFID II
i consulenti finanziari facevano riferimento ad una casa madre. Viene istituito il ruolo del
consulente indipendente, che può in modo autonomo offrire alla clientela prodotti che non
necessariamente devono essere della casa madre;
• consulenti finanziari autonomi e società di consulenza finanziaria potranno operare fuori
sede;
• Passaggio di competenze Consob → Organismo Unico di Vigilanza e Tenuta dell’Albo dei
consulenti finanziari (OCF, art. 31 TUF, Legge di stabilità 2016). Nel senso che la Consob deve
detenere e vigilare l’albo dei consulenti finanziari.
7) Protezione investitori: valutazione adeguatezza degli strumenti offerti al cliente sulla base del
profilo del cliente, quindi in base a:
• le sue conoscenze ed esperienze in materia di investimenti riguardo al tipo di specifico di
prodotto o servizio;
• la sua situazione finanziaria, tra cui la capacità di sostenere eventuali perdite;
• i suoi obiettivi di investimento, inclusa la tolleranza al rischio
8) Trasparenza su costi e commissioni: mediante l’innalzamento degli obblighi informativi in tema
di trasparenza di costi e oneri connessi ai servizi di investimento o accessori
9) Incentivi (inducement, cioè meccanismo di incentivazione e remunerazione di tutta la catena
distributiva dei prodotti e servizi che devono essere resi noti): sono richiesti elementi più
rigorosi per dimostrare e soddisfare il requisito dell’innalzamento della qualità del servizio, che
è alla base dell’incentivo che le case prodotto corrispondono ai distributori, e che dovrà essere

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considerato come facente parte del costo del servizio chiaramente indicato nella informativa
ex ante ed ex post che dovrà essere resa al cliente.
Questa trasparenza permette ai clienti di capire se alcuni prodotti offerti possano essere
considerati una scelta efficiente o no. Infatti, la banca è legata da una relazione di incentivi con
la casa produttrice di prodotti. Il cliente può valutare se è opportuno l’acquisto del prodotto e
se quindi sia una scelta efficiente (può capitare che la banca sia indotta ad offrire certi
prodotti/servizi perché può beneficiare di incentivi).
10) Product governance: volta a stabilire con chiarezza che ci sono prodotti finanziari
esplicitamente indicati per alcuni investitori e non per altri. Obiettivo della normativa è quello
di porre un freno alla pratica del misselling, la vendita di prodotti non conformi alla
propensione al rischio o agli obiettivi di investimento del cliente. È quindi introdotto un
aspetto di regolamentazione in termini di governance del prodotto e servizio offerto, cioè
regole che stabiliscano precisamente quando un prodotto non è adeguato e quindi vada a
regolare la pratica del “misselling”, cioè la vendita inopportuna (es. assicurazione o un
prodotto che ha una scadenza molto protratta nel tempo a soggetti investitori con un’età
molto avanzata).

TESTO UNICO DELLA FINANZA (TUF) DL 24 febbraio 1998, n.58 à è il decreto Draghi
È suddiviso in 3 parti.
1) La disciplina degli intermediari (artt. 5-60). Intermediari che si occupano di intermediazione
mobiliare.
- servizi di investimento à soggetti e autorizzazione, svolgimento dei servizi, offerta fuori sede
- gestione collettiva del risparmio à soggetti autorizzati, fondi comuni (OICVM, FIA), SICAV e
SICAF
Differenza: 1° la gestione è individuale e relativa al patrimonio di un singolo risparmiatore. 2°
collettiva, fa riferimento ad una moltitudine di risparmiatori.
2) La disciplina dei mercati (artt. 61-90)
- mercati regolamentati
- altri sistemi di negoziazione (trading venue)
- gestione accentrata di strumenti finanziari
3) La disciplina degli emittenti (artt. 91-165)
- Appello al pubblico risparmio à disciplina dell’OPA/OPSC, disciplina dell’OPA, obbligatoria
- Disciplina degli emittenti quotati

GLI STRUMENTI FINANZIARI


Cosa il TUF intende per prodotti finanziari, che poi è il concetto che definisce essere strumenti
finanziari. L’oggetto dei servizi finanziari sono gli strumenti finanziari. Questi strumenti sono
dettagliati in un articolo del TUF che dà un elenco:
- Valori mobiliari: attività finanziarie oggetto di negoziazione in mercati mobiliari dove il
trasferimento da un soggetto ad un altro avviene secondo regole previste in un mercato
regolamentato e trattasi di azioni, obbligazioni e tipologie affini.
- Quote di OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio). Parliamo di prodotti che
sono offerti ma che trattasi di gestione collettiva di risparmio.
- Strumenti del mercato monetario (certificati di deposito, …). Fanno riferimento a contratti
finanziari che hanno scadenza entro l’anno.
- Contratti derivati (tutti legati ad una attività sottostante, da cui deriva il loro valore, hanno
una duplice natura):

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- Contratti Futures (sottostante reale e finanziario). Un acquisto o vendita a termine; prezzo
predeterminato. I future sono dei contratti a termine con cui le parti si obbligano ad
acquistare o vendere alla scadenza una certa quantità di attività finanziarie a un prezzo
prefissato.
- Contratti Swap. Swap = scambio di flussi finanziari parametrati a tassi di interesse
differenti. ES: pago ad un intermediario il 5% fisso (tasso swap) ad ogni semestre su un
valore di riferimento, ed allo stesso tempo ad ogni periodicità incasso un tasso variabile.
- Contratti d’opzione (sottostante reale e finanziario). Le opzioni sono dei contratti a
termine che non implicano un obbligo, ma soltanto la facoltà/il diritto di acquistare o
vendere alla scadenza un certo quantitativo dell’attività finanziaria sottostante a un dato
prezzo stabilito.
- Contratti a termine (sottostante reale e finanziario). Contratti che prevedono la chiusura
del contratto in un momento successivo rispetto la stipula, acquistare e vendere al
termine. Differenza con il Future: future negoziato in un mercato regolamentato.
- Strumenti per il trasferimento del rischio di credito. Sono come delle assicurazioni contro il
rischio di insolvenza. Parliamo dei credit default swap, che costituiscono delle assicurazioni
contro il rischio di insolvenza di un ente emittente.
- Contratti finanziari differenziali. Si identifica una attività finanziaria sottostante, ad
esempio su cambi, fai la differenza tra prezzo di vendita e di acquisto e riscuoti/paghi la
differenza.

ATTIVITÀ E SERVIZI DI INVESTIMENTO


Servizi e attività di investimento hanno come oggetto gli strumenti finanziari. Sono:
1. Ricezione e trasmissione di ordini (di acquisto, vendita)
2. Esecuzione di ordini per conto clienti
3. Negoziazione per conto proprio (operatività in strumenti finanziari assumendo posizioni a
rischio da parte degli intermediari finanziari)
4. Gestione di portafogli
5. Consulenza in materia di investimenti (suggerisce alla clientela dove investire)
6. Sottoscrizione e/o il collocamento, con o senza assunzione a fermo, di strumenti finanziari nei
confronti degli emittenti. Esempio: emissione di un titolo obbligazionario. La banca può operare a
favore dell’ente emittente, sottoscrivendo e quindi acquistando i titoli per poi venderli presso il
pubblico, agevola il collocamento di strumenti finanziari che si sostanziano in una raccolta di
risorse finanziarie per l’ente emittente. Con o senza assunzione a fermo: l’intermediario finanziario
si propone di collocare strumenti presso il pubblico di risparmiatori, con la possibilità di questa
clausola per la quale l’invenduto viene acquistato dalla stessa banca; quindi per l’ente emittente
c’è la garanzia di una sottoscrizione al 100% dei titoli in emissione, garantendogli la raccolta delle
risorse finanziarie al 100% di quanto previsto con l’emissione dei titoli.
7. Gestione di sistemi multilaterali di negoziazione
8. Gestione di sistemi organizzati di negoziazione (punti 7-8. Si riferiscono ai trading venue
accennati con MIFID. I soggetti abilitati a svolgere servizi di investimenti possono creare mercati
non regolamentati in concorrenza con quelli regolamentati. Quindi possono realizzare i sistemi
multilaterali di negoziazione, mercati in cui lo scambio avviene su piattaforme su base
multilaterale o bilaterale).

L’esercizio professionale dei servizi e delle attività di investimento è riservato (riserva di legge) a:
a) imprese di investimento, ovvero le Società di Intermediazione Mobiliare (SIM);
b) Banche.

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SERVIZI ACCESSORI (complementari ai servizi di investimento)
Sono attività che non sono riservate agli intermediari abilitati ai servizi di investimento, quindi
possono essere svolte anche da altri operatori. Sono:
-Custodia e amministrazione di strumenti finanziari
-Concessione di finanziamenti agli investitori per consentire loro un’operazione relativa a
strumenti finanziari nella quale interviene l’impresa che concede il finanziamento (pronti contro
termine, riporto…)
-Consulenza alle imprese in materia di struttura finanziaria e questioni connesse, strategia
industriale e questioni connesse, operazioni di fusione ed acquisizione
-Servizio di cambio se legato alla fornitura di servizi di investimento
-Ricerca in materia di investimenti, l’analisi finanziaria o altre forme di raccomandazione generale
riguardanti operazioni relative a strumenti finanziari
-Servizi connessi con l’assunzione a fermo
-Servizi e attività collegati agli strumenti derivati, se legati alla prestazione di servizi di
investimento o accessori

IL SERVIZIO DI GESTIONE COLLETTIVA DEL RISPARMIO


Riservare per legge ad alcuni soggetti di svolgere questa attività, che ha in sé elementi di
rischiosità sistemica rilevanti.
Gestione collettiva del risparmio: facciamo riferimento ad organismi di investimento collettivo del
risparmio OICR. In particolare: Gestione del patrimonio e rischi di OICR (Fondi comuni aperti e
chiusi, SICAV, SICAF, FIA) mediante investimento (del patrimonio raccolto presso il pubblico
risparmio) avente ad oggetto: strumenti finanziari, crediti, partecipazioni, altri beni mobili, beni
immobili.
Schema sotto riportato:
Gestione collettiva del risparmio: facciamo riferimento ad organismi di investimento collettivo del
risparmio OICR, che sono distinti in 2 categorie:
OICVM à organismi di investimento collettivo in valori mobiliari, che sono organismi di
investimento collettivo del risparmio armonizzati dalla normativa UCITS IV, quindi hanno regole
omogenee nell’intendimento del passaporto unico europeo.
Gli OICVM investono essenzialmente in mercati regolamentati, quindi c’è una sicurezza maggiore
per quanto attiene a dove investono questi organismi. OICVM si distinguono in fondi comuni di
investimento e SICAV. Entrambi sono organismi aperti: in ogni istante può essere sottoscritta o
liquidata la quota. Differenza tra FCI e SICAV: nel FCI, che è l’organismo di gestione collettiva, il
patrimonio è raccolto presso il pubblico dei risparmiatori sottoforma di quote. Si realizza quindi un
patrimonio, sommatoria delle singole quote sottoscritte dai risparmiatori, e viene poi gestito dalla
società di gestione del risparmio. Il patrimonio della SGR è distinto dal patrimonio del fondo
comune di investimento. I valori mobiliari sottoscritti di fatto dalla SGR, ma di competenza del FCI,
sono valorizzati dal terzo soggetto che è la banca depositaria. Giornalmente la banca depositaria
deve valorizzare tutto il patrimonio, quindi c’è una valorizzazione che viene successivamente
suddivisa per il numero delle quote. La quota di un FCI è il valore unitario di quanto valgono tutti i
valori mobiliari sottoscritti e di proprietà del FCI ma gestiti dalla SGR.
Con la SICAV invece abbiamola la coincidenza del patrimonio collettivo e il capitale della società.
Quindi acquistando la quota, si è anche proprietari della società.

FIA: fondi alternativi di investimento. Aperti o chiusi. Aperti (FCI e SICAV): possono essere
sottoscritte le quote o le azioni in ogni istante, puoi entrare o uscire dall’investimento in ogni

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istante. Chiusi (FCI e SICAF): è prevista la sottoscrizione solo in momenti precisi e al termine del
fondo è possibile la liquidazione.

queste tipologie fanno


riferimento all’oggetto
dell’investimento

GLI INTERMEDIARI
SIM, BANCHE à servizi e attività di investimento, servizi accessori, attività connesse: (vogliono
promuovere/sviluppare l’attività principale), attività strumentali (hanno carattere ausiliario
rispetto all’attività principale (studio, ricerca analisi in materia economico finanziaria...)
SGR à servizio di gestione collettiva del risparmio in senso lato (riservata solo a SGR)
Servizio di gestione patrimoniale su base individuale per conto terzi
Istituzione e gestione di fondi pensione
Attività connesse e strumentali, servizi accessori
SICAV, SICAF à Investimento del patrimonio raccolto mediante offerta al pubblico di azioni di
propria emissione.

NB: quando si parla di SGR, alla base vi è una struttura triangolare: 1. Il FCI (patrimonio raccolto
dal pubblico risparmio) 2. SGR (ha un suo patrimonio distinto e che gestisce quello del FCI) 3.
Banca depositaria. SGR e FCI sono uniti con SICAV e SICAF. Nel caso SICAF il capitale è variabile nel
senso che si può entrare ed uscire attraverso l’acquisto delle azioni in ogni istante; con le SICAF no.

SICAV (Società di Investimento a Capitale Variabile)


• L’investitore diventa azionista della società e, quindi, acquisisce una serie di diritti patrimoniali
(diritto agli utili e al rimborso del capitale a seguito della richiesta di riscatto) e amministrativi.
• Analogamente ai fondi comuni, il capitale di una SICAV non è fisso, ma è pari al patrimonio netto
e varia in funzione delle nuove sottoscrizioni e delle richieste di rimborso.
• Le SICAV sono organismi di tipo «aperto»: un investitore può sempre sottoscrivere nuove azioni
e chiedere il rimborso delle stesse. La valorizzazione è funzione del valore di dove va ad investire il
patrimonio la società.
SICAF (Società di Investimento a Capitale Fisso)
• Sono OICR «chiusi»: entrata e uscita (acquisto e liquidazione delle azioni) dei partecipanti non
può avvenire con discrezionalità; la sottoscrizione può avvenire nell’ambito di una o più emissioni,
a date prefissate e di importo massimo predeterminato, mentre il rimborso può avvenire
unicamente a scadenza.
• Sono a capitale fisso: rispetto alle SICAV sparisce il carattere di variabilità del capitale, nonché la
coincidenza tra quest’ultimo e il valore del patrimonio.

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LE AUTORITÀ DI VIGILANZA
La Banca d’Italia e la Consob esercitano in modo coordinato le proprie funzioni in modo da ridurre
al minimo gli oneri gravanti sui soggetti vigilati. Vi è ripartizione dei compiti.
Banca d’Italia: contenimento del rischio per garantire la stabilità di intermediari e mercati e che gli
intermediari adottino delle pratiche tali da garantire una sana e prudente gestione.
Consob: trasparenza e correttezza dei comportamenti rispetto alla disciplina vigente.

IL PROCEDIMENTO DI AUTORIZZAZIONE regolato dal TUF


Vediamo le autorità che rilasciano l’autorizzazione, con differenziazione in base all’intermediario.
Banche à Banca d’Italia. Una banca che fa richiesta di poter svolgere attività e servizio di
investimento fa richiesta alla Banca d’Italia.
SIM à Consob. SGR à Banca d’Italia e Ministero dell’Economia e Finanze
SICAV, SICAF à Banca d’Italia
Tipologie di requisiti per il procedimento
-Forma societaria (per SIM, SGR, SICAV, SICAF)
-Sede legale e dir. generale (con sede Italia in base al principio dell’home country control)
-Livello di capitalizzazione (capitale varia in funzione delle attività che l’operatore richiede di fare)
-Esponenti aziendali à requisiti di onorabilità, requisiti di professionalità, assenza di motivi di
incompatibilità
-Requisiti di onorabilità partecipanti al capitale
-Presentazione di un programma di attività iniziale (previsione sull’evoluzione delle masse gestite,
riflessi in termini patrimoniali, economici, reddituali ovvero redigere SP e CE prospettici con focus
alla dotazione patrimoniale).
-Relazione sulla struttura tecnico organizzativa (struttura governance)
-Struttura di gruppo idonea a facilitare la vigilanza (idoneità della ripartizione delle deleghe e delle
attività svolte in modo tale che possa essere agevolata l’autorità di vigilanza da parte delle autorità
preposte. Questo perché rispettando tali requisiti viene rilasciata l’autorizzazione. Autorizzazione
negata se non sussistono uno o più dei requisiti previsti e anche laddove non sia garantita la sana e
prudente gestione. Qui ribadito il concetto della discrezionalità visto nel TUB.

6. I MERCATI FINANZIARI

I MERCATI FINANZIARI: CARATTERISTICHE STRUTTURALI E FUNZIONALI


Mercati finanziari = Luogo negoziale (fisico à identificato un luogo in cui gli operatori
intervengono, ci sono regole, si scambiano strumenti finanziari, virtuale à c’è una connessione
attraverso terminali e mediante alcune regole vengono eseguiti scambi con oggetto strumenti
finanziari) dove si eseguono scambi aventi per oggetto strumenti finanziari.
1^ classificazione dei mercati: in base alla trasferibilità dello strumento
- Creditizi: insieme degli scambi relativi a strumenti finanziari non trasferibili. Quindi lo
strumento finanziario negoziato non può essere venduto ad altri soggetti.
- Mobiliari: insieme degli scambi relativi a strumenti finanziari trasferibili (c.d. “valori
mobiliari”).
Mercati creditizi
Sono caratterizzati da uno scambio bilaterale a condizioni non standardizzate, c’è elevato grado di
personalizzazione (es. mutuo: strumento finanziario che viene scambiato in un mercato creditizio
e le condizioni sono altamente personalizzate).
• Il rapporto fra le controparti interessate allo scambio è altamente personalizzato (la rinuncia alla
trasferibilità è compensata da una maggiore personalizzazione dello strumento finanziario).

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• La negoziazione dei prezzi avviene su base bilaterale (es. fissazione del tasso nel mutuo è spesso
frutto di una negoziazione tra banca e cliente). Il prezzo (frutto di negoziazione bilaterale) non ha
un valore segnaletico né è fornita informazione trasparente al riguardo.
• Il livello di liquidità è basso (perché la negoziabilità degli strumenti è molto limitata) o nullo.
[Esempio del mutuo: rimando al tema della cartolarizzazione. Esempio di innovazione finanziaria
perché i mutui nascono come strumento finanziario non trasferibile, quindi il mercato creditizio è
il luogo negoziale per gli scambi su questo strumento. Ma l’innovazione finanziaria ha portato ad
una operazione di trasformazione in strumenti negoziabili: i mutui vengono ceduti dalla banca ad
una società tecnicamente chiamata società veicolo che li impacchetta, e su questo pacchetto
omogeneo di mutui emette a sua volta un titolo obbligazionario il cui profilo finanziario (il
rendimento associato) è legato ai flussi originali dei mutui che sono stati ceduti e cartolarizzati.
Questo è il tipico caso di un mercato che in origine era nullo per quanto concerneva la liquidità ma
poi è diventato liquido con questa innovazione].
Mercati mobiliari
• Il rapporto fra controparti è poco personalizzato (gli strumenti finanziari trasferibili tendono ad
essere standardizzati per favorire la circolazione).
• Il prezzo è frutto di un clearing multilaterale. È una sorta di incrocio multilaterale, dove da una
parte ci sono delle proposte di acquisto, da un’altra quelle di vendita, e secondo alcune regole si
vanno ad incrociare, determinando il prezzo. Ha quindi valore segnaletico, per prenditori di fondi e
per investitori. Questo si lega all’efficienza in senso informativo dei mercati, che transita sulla
capacità dei prezzi a contenere un set informativo che può estendersi fino a diventare completo in
linea teorica. Il livello di trasparenza è elevato.
• Il livello di liquidità è più elevato. È esistente un c.d. mercato secondario, che si tratta della parte
di scambi che avviene in un momento successivo alla prima emissione.

2^ classificazione dei mercati: in base alla durata dello strumento, scadenza. Questa classificazione
fa leva anche sulla funzione assolta dai mercati monetari e dei capitali.
- monetari: insieme degli scambi su strumenti finanziari di durata breve (inferiore a 12 mesi)
- dei capitali: insieme degli scambi su strumenti finanziari di durata medio/lunga (superiore a
12 mesi)
Mercato monetario: consente di ottimizzare la gestione della liquidità. Risponde ad esigenze di
riequilibrare le posizioni di liquidità degli operatori, ovvero operatori con necessità di raccogliere
risorse liquide e operatori che hanno necessità di impiegare per breve tempo un’eccedenza di
liquidità. Su questo mercato: strumenti finanziari per rispondere a queste esigenze.
Mercato dei capitali: viene utilizzato per il finanziamento di investimenti di durata non breve.
Strumenti finanziari con obiettivi da una parte (soggetti emittenti) la raccolta di risorse finanziarie
a lungo termine per finanziare investimenti a lungo termine, dall’altra parte chi investe a lungo
termine.
Spesso questa distinzione, almeno dal punto di vista funzionale, non viene rispettata perché sul
mercato dei capitali abbiamo imprese che finanziano investimenti a durata lunga con prestiti di
breve durata, ricorrendo al mercato monetario; non vi è corrispondenza biunivoca tra questa
classificazione e la precedente perché sul mercato monetario e sul mercato dei capitali sono
negoziati sia strumenti trasferibili sia strumenti non trasferibili. ES. il mercato interbancario dei
depositi è un mercato monetario, anche se i depositi non sono trasferibili una volta emessi.
La distinzione in merito alle funzioni svolte non è sempre rispettata: es. imprese che finanziano
investimenti di durata non breve con prestiti di durata inferiore all’anno.

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MERCATO MONETARIO: ha ruolo
importante. È una sorta di
termometro per misurare il rischio
di liquidità in un mercato
finanziario in senso lato. Operatori:
-MEF
-BCE, che coordina e decide la
politica monetaria. Si pone come
contropartita di una serie di scambi
con le banche della zona euro
attraverso acquisto o vendita di
titoli o altri titoli stanziabili per
certe operazioni, ad es. a garanzia
di finanziamento a breve. Ruolo:
alimentare la liquidità del mercato
monetario a contropartita delle
banche, andando a regolare la liquidità del sistema, tramite aumento o riduzione dell’offerta di
moneta acquistando o vendendo titoli emessi dai vari governi nazionali.
-banche
-FCI monetari: accedono alla negoziazione di strumenti a breve termine, questo soprattutto come
delega che i risparmiatori privati danno a questi operatori.
-grandi imprese: emettono strumenti di raccolta di risorse finanziarie a breve termine
-risparmiatori privati

MERCATO DEI CAPITALI


Insieme degli scambi riguardanti strumenti finanziari scadenti oltre 12 mesi
Qui ricomprendiamo il Mercato azionario - Mercato obbligazionario - Mercato dei prestiti a lungo
termine ecc… La distinzione tra mercato azionario e obbligazionario è l’oggetto di negoziazione.
Mercato azionario: insieme degli scambi su titoli azionari. Oggetto dello scambio sono azioni,
quindi capitale di rischio (sono titoli azionari, che sono titoli di partecipazioni, mi fanno partecipare
al capitale di rischio). Funzioni:
•Raccolta di risorse a titolo di capitale di rischio
•Pricing dei titoli negoziati (segnalazione del rendimento richiesto). La modalità di negoziazione
dei titoli azionari consente di avere regole standardizzate, modalità di pricing oggettive, e quindi la
capacità di segnalare alcune informazioni in base alle tendenze assunte dai prezzi di mercato.
•Liquidità (e riduzione del rischio per i datori di fondi). Per la sua stessa struttura il mercato
azionario tende ad incrementare il livello di liquidità del mercato stesso e degli strumenti
negoziati.
•Riallocazione proprietaria: poiché l’oggetto è il capitale di rischio, lo scambio sui mercati
permette una riallocazione proprietaria (es. varie scalate e acquisizioni di azioni che consentono la
maggioranza assoluta o relativa).

Mercato obbligazionario: insieme degli scambi su titoli obbligazionari. Essi sono titoli di credito,
quindi il credito vantato nei confronti dell’ente emittente, o il debito che l’ente ha nei confronti
nell’investitore. Funzioni:
•Raccolta di risorse a titolo di capitale di debito, tendenzialmente (nel mercato dei capitali con
scadenza > 12M) per finanziare investimenti a lungo termine.
•Pricing dei titoli negoziati (segnalazione del rendimento richiesto) à funzione svolta come mkt az

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•Liquidità (e riduzione del rischio per i datori di fondi) à come sopra

Mercati:
- cash: Insieme di scambi aventi ad oggetto strumenti finanziari, in cui il regolamento segue
immediatamente la negoziazione (es. successivamente, quasi contestualmente, alla
negoziazione e all’acquisto di titoli azionari si procede al pagamento. L’operatività di borsa
ha un meccanismo di 3 giorni).
- dei derivati: 1) Insieme di scambi aventi ad oggetto strumenti finanziari, in cui il
regolamento, che può anche essere discrezionale, è successivo alla negoziazione, con le
regole predeterminate al lato della negoziazione.
2) Insieme di scambi aventi ad oggetto componenti di strumenti finanziari (es. coupon
stripping).

Mercati mobiliari:
- primari: Insieme degli scambi fra emittente dello strumento finanziario e primo acquirente.
(es. emissione di un titolo obbligazionario e la prima emissione, quindi il primo acquisto, va
ad alimentare il mercato primario; importante perché sul mercato primario c’è la raccolta
delle risorse finanziarie da parte dell’emittente).
- secondari: Insieme degli scambi fra investitori (trasferimenti dello strumento finanziario
fino alla scadenza). Il mercato secondario è conseguenza del grado di liquidità elevato del
mercato stesso, che permette di avere una serie di negoziazioni successive alla prima.
Quindi: emissione del titolo e raccolta di risorse finanziarie, poi il titolo viene scambiato
ripetutamente sul mercato secondario fino a scadenza. A scadenza il soggetto emittente
provvederà a rimborsarlo.

LA CLASSIFICAZIONE DEI MERCATI MOBILIARI A SECONDA DELLA REGOLAMENTAZIONE


Mercati regolamentati: • sono disciplinati da regolamenti conformi alla normativa comunitaria.
Definiti regolamentati quando sono autorizzati dall’autorità (Consob) e deve rispondere ad alcuni
criteri.
• La loro gestione affidata a società di gestione del mercato, autorizzate dalla Consob. Borsa
Italiana S.p.a gestisce i mercati regolamentati.
• Sono disciplinati da norme e procedure standardizzate, predeterminate, con riferimento a
tipologia di strumenti ammessi a negoziazione, modalità con cui le negoziazioni avvengono
fissando gli orari e determinando le modalità con cui sono inserite le proposte sui terminal di
acquisto e vendita, momenti, quali fasi che scandiscono in una giornata di negoziazione i vari
passaggi in cui c’è l’immissione delle proposte, modalità con cui si chiude un mercato, modalità
con cui vengono rese note le quantità scambiate, i prezzi conclusi, regole previste per i soggetti
abilitati ad intervenire sul mercato. Quindi un insieme di regole che vanno ad intervenire in tutti gli
aspetti di dettaglio e che devono essere rispettate in modo conforme alle regole di carattere
comunitario ma che poi sono recepite da un nostro ordinamento (rimando al TUF).

Altre trading venue (nb Mifid e eliminazione dell’obbligo di concentrazione sui mercati regolam.)
2 modalità di trading venue:
a) “Internalizzatori sistematici” (IS) (es.: RetLots Exchange, DDT, ecc.)
b) “Sistemi multilaterali di negoziazione” (es.: EuroTLX, Hi-MTF, e-MIDER, ecc.), noti anche come
"Multilateral trading facilities" (MTF)
• Sono sistemi di negoziazione rispettivamente bilaterali (IS) e multilaterali (MTF) il cui esercizio è
riservato ad imprese di investimento, banche e gestori di mercati regolamentati.

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• Prevedono procedure standardizzate e offrono garanzie di informazione e tutela degli investitori.
L’elenco è tenuto dalla Consob che rilascia l’autorizzazione a coloro che vogliono svolgere il ruolo
di IS e MTF. La distinzione tra i due sta nelle modalità di negoziazione, bilaterale/multilaterale.

OTF: • Soluzioni di transizione da mercati OTC a mercati regolamentati o altre trading venue
gestita da società mercato e imprese di investimento note anche come «Organized trading
facilities" (OTF), con un minimo di trasparenza con riferimento alle informazioni circa chi ci opera, i
volumi scambiati, le modalità di prezzo.
• Solo per obbligazioni e derivati
• Incrocio multilaterale anche discrezionale. Tipologia di negoziazione è su base multilaterale.

Mercati over the counter (OTC): Sono una fattispecie di mercati non regolamentati, caratterizzata
da minore formalizzazione e maggiore personalizzazione degli scambi che impediscono il
riferimento a uno schema organizzato di mercato.
Over the counter à “sul bancone”. Il cambia valute un tempo negoziava le valute in modo
personalizzata, senza regole standardizzate, senza modalità prestabilite circa la tipologia dello
strumento finanziario negoziato, la regola con cui si vengono a proporre acquisti e vendite,
operatori ammessi, modalità con cui si determina il prezzo.
MERCATI ORGANIZZATI: AUTORIZZAZIONE E CLASSIFICAZIONI
L’autorizzazione all’esercizio dei mercati regolamentati è data dalla CONSOB quando
simultaneamente:
a) sono soddisfatti i requisiti inerenti la costituzione della società di gestione (forma di spa e altre
caratteristiche)
b) il regolamento del mercato è conforme alla disciplina comunitaria (poi recepita anche a livello
nazionale dal TUF) e idoneo ad assicurare:
- trasparenza al mercato;
- ordinato svolgimento delle negoziazioni;
- tutela degli investitori.
CLASSIFICAZIONI dei MERCATI REGOLAMENTATI AUTORIZZATI DALLA CONSOB
1. Mercati regolamentati gestiti da Borsa Italiana SpA (MTA, MOT, MIV, IDEM ETFplus)
2. Mercati gestiti da MTS SpA: Mercato Telematico all’ingrosso dei Titoli di Stato (MTS iTALIA)
3. Mercati regolamentati comunitari e mercati regolamentati esteri riconosciuti in virtù di accordi
con autorità extracomunitarie.

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Un tempo la borsa era
pubblica, si privatizza
poi e si trasforma in
Borsa Italiana Spa. È una
società che deve dotarsi
di un regolamento,
rispondere ai criteri
richiesti dalla Consob in
forza del TUF.
Borsa Italiana Spa
gestisce mercati
regolamentati ma anche
altre trading venue.
GIALLO: mercati
regolamentati.
AZZURRO: altre trading
venue, dove nei riquadri
viene specificato le
tipologie delle piattaforme, perlopiù piattaforme multilaterali. Nella slide vi è una mappatura che
ci permette di guardare quali sono i mercati gestiti che sono organizzati per asset class, e quindi
tipologia di strumenti finanziari negoziati. BLU: asset class cioè la tipologia di strumenti finanziari
negoziati in mercati regolamentati ovvero piattaforme c.d. altre trading venue.
Nell’azionario i mercati regolamentati sono: mercato telematico delle azioni (MTA) dove sono
negoziati le azioni, i warrant (diritti che danno la possibilità di sottoscrivere azioni di nuova
emissione), diritti di opzione (diritti riconosciuti ai soci azionisti a sottoscrivere in via prioritaria
azioni di nuova emissione), obbligazioni convertibili (che nascono con l’opzione di essere
convertite in azioni); STAR (segmento titoli ad alti requisiti, che si riferisce ad azioni che hanno
certe caratteristiche di internazionalizzazione); MTA international; MIV, dove abbiamo la
negoziazione di quote di fondi di investimento alternativo. Derivati cartolarizzati: sono strumenti
finanziari che vanno a replicare il profilo finanziario di strumenti derivati, dal punto di vista
finanziario acquistare un derivato cartolarizzato è più semplice e ha un’assunzione di rischio
minore che comprarsi il derivato. ETP: abbiamo gli ETF suddivisi secondo varie tipologie; ETC, ETN
che sono titoli di debito che hanno una remunerazione indicizzata da alcuni parametri. Aspetto
importante degli ETP: rappresentano uno strumento finanziario c.d. indicizzato, ovvero il
rendimento di questi ETP con le varie declinazioni vanno replicare ad esempio un indice del
mercato azionario, può replicare il prezzo (es. prezzo del petrolio ETC). Mercato regolamentato dei
derivati, in Italia prende il nome di IDEM, che a sua volta si distingue in derivati sull’equity e i
derivati negoziati sono i futures sul FTSE MIB (che è un indice del mercato azionario), opzioni sul
FTSE MIB, futures e opzioni su singole azioni. Distinzione tra derivati negoziati su mercati
regolamentati e su mercati over the counter: sul primo le regole previste per la negoziazione, i
titoli sottostanti, la valorizzazione dei contratti, gli operatori che possono intervenire,
l’intermediario che interviene a garanzia dell’esecuzione de contratti, dà una sicurezza maggiore
rispetto a negoziazioni OTC; tutela maggiore rispetto a negoziazioni OTC. Comparto del reddito
fisso (obbligazioni): se voglio acquistare obbligazioni il mercato è il MOT, poi distinto a seconda
siano domestiche o eurobbligazioni. Conclusione: convivenza di mercati sia regolamentati che
blandamente regolamentati nella forma di altre trading venue. Borsa italiana spa ha gestione di
molti mercati.

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GLI INDICI DEL MERCATO AZIONARIO
Indice: è un numero che sintetizza l’andamento del mercato, o di una sua parte, nel suo
complesso. È una valorizzazione, una media dell’andamento dei titoli appartenenti a quel mercato.
Quindi a seconda del campione di riferimento, abbiamo differenti categorie di indici. I numeri
indice sono la metodologia usata nella valorizzazione degli indici del mercato azionario, e consente
di dare un numero all’andamento del mercato.
1. FTSE MIB: Media ponderata per il flottante (che è equivalente alla quantità di titoli
effettivamente oggetto di negoziazione) dei prezzi dei primi 40 titoli (anche esteri) in ordine di
flottante quotati sull’MTA e selezionati in base al settore di appartenenza, alla liquidità e al
flottante con lo scopo di replicare la rappresentazione settoriale dell’intero mercato. Ciascun
componente non può avere un peso superiore al 15% all’interno dell’indice. Essendo un numero
indice, fa riferimento ad un anno base: il FTSE MIB ha come anno base 1992, che ha un valore di
riferimento basato a 10 000 punti indice. È un indicatore che permette di calcolare le variazioni
giorno per giorno, anno per anno, per quantificare il rendimento del mercato azionario
2. FTSE Italia Mid Cap: Media ponderata per il flottante dei prezzi dei primi 60 titoli dell’MTA, per
capitalizzazione, dopo i 40 selezionati per l’indice FTSE MIB. Ciascun componente non può avere
un peso superiore al 10% all’interno dell’indice.
3. FTSE Italia Small Cap: Media ponderata per il flottante dei prezzi dei titoli non inclusi nell’FTSE
MIB o nel FTSE Italia Mid Cap. Le azioni incluse in questo indice devono superare una selezione
basata sulla loro liquidità e sulla percentuale di flottante. Ciascun componente non può avere un
peso superiore al 10% all’interno dell’indice.
4. FTSE Italia Micro Cap: Media ponderata per il flottante dei prezzi dei titoli non inclusi negli indici
precedenti, indipendentemente dal loro livello di flottante o liquidità. Ciascun componente non
può avere un peso superiore al 10% all’interno dell’indice.
5. FTSE Italia STAR: Media ponderata per il flottante dei prezzi di tutte le azioni quotate nel
segmento STAR del mercato MTA. Ciascun componente non può avere un peso superiore al 10%
all’interno dell’indice.
6. FTSE Italia All-Share: Media ponderata per il flottante dei prezzi di tutte le azioni incluse negli
indici FTSE MIB, FTSE Italia Mid Cap e FTSE Italia Small Cap. Non esiste alcun limite al peso di un
titolo nell’indice. È la media complessiva di tutti i titoli.
7. Indici settoriali: Medie ponderate per il flottante dei prezzi delle azioni dell’indice FTSE Italia All
Share suddivise secondo i settori ICB (Industry Classification Benchmark). Attualmente sono
suddivisi in: 10 “Industry”, 19 “Super Sector” e 36 “Sector”. Utili perché permettono di avere una
misura dell’andamento delle performance dei titoli appartenenti a specifici settori industriali (es.
bancario, assicurativo).

IL MERCATO OBBLIGAZIONARIO ITALIANO


Mercato primario:
Emittenti à Tesoro, Enti pubblici, Banche, Società non finanziarie
Datori di fondi à Investitori individuali e istituzionali (risparmio gestito)
Mercato secondario:
MOT à È un mercato al dettaglio su cui vengono negoziati sia titoli di Stato sia obbligazioni
emesse da imprese. La modalità di negoziazione prevede una fase d’asta seguita da una fase di
negoziazione continua. È un mercato a retail, a differenza del MTS.
ExtraMOT PRO à È un segmento del sistema multilaterale di negoziazione ExtraMOT su cui
vengono scambiati titoli di debito emessi da PMI.
MTS à È un mercato all’ingrosso su cui sono negoziati titoli di Stato italiani ed esteri.

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MTS Corporate à È un mercato all’ingrosso su cui sono negoziate obbligazioni italiane ed estere,
ma di imprese anziché di emittenti governativi.
Internalizzatori sistematici à Sono gestiti da diversi gruppi bancari italiani e negoziano in
prevalenza obbligazioni bancarie. Sono trading venue, ovvero operatori bancari dove sono
negoziate tipicamente obbligazioni bancarie.

MTS – MERCATO TELEMATICO ALL’INGROSSO DEI TITOLI DI STATO


•È un mercato telematico di tipo quote-driven (dealer è un intermediario finanziario che espone
delle proposte di acquisto/vendita) con negoziazione continua all’ingrosso (taglio minimo di € 0,5
mln) di titoli di Stato italiani ed esteri i cui partecipanti sono:
1. Autorità monetarie (es.: Banca d’Italia);
2. Enti incaricati della gestione del debito pubblico (es.: Dipartimento del Tesoro del Ministero
dell’Economia e delle Finanze);
3. Banche e imprese di investimento (es.: SIM).
•Segmenti:
1. (1) MTS a Pronti: compravendita di titoli e strips (negoziazione separata di cedola e mantello);
2. (2) MTS Pronti contro Termine.
•Gli unici dealer autorizzati a effettuare proposte di negoziazione sono i market maker, aventi le
seguenti caratteristiche:
1. patrimonio di vigilanza ≥ 39 mln €;
2. hanno effettuato compravendite di titoli per almeno 20 mld € nei 12 mesi precedenti;
3. struttura organizzativa adeguata.

CONFIGURAZIONE IDEM – MERCATO DEGLI STRUMENTI DERIVATI (generalizzabile nell’ambito


della negoziazione dei valori mobiliari). Gli intermediari mobiliari possono operare secondo diverse
configurazioni:
Broker (operatori in conto terzi)
Broker/dealer (operatori in conto proprio e conto terzi)
Dealer (operatori in conto proprio)
Market maker/ specialisti (dealer obbligati a quotare almeno uno strumento)
negoziazione continua di: futures, MiniFutures e opzioni su FTSE MIB, Futures su FTSE MIB
Dividend, Futures e opzioni su azioni

Raggruppamento in base all’assunzione o meno del rischio che l’intermediario assume o no


nell’intermediazione, abbiamo 2 categorie: 1) broker, che non assumono rischio, fanno pura
intermediazione mobiliare. 2) dealer, market maker e specialist, che si assumono rischio. Broker è
l’intermediario immobiliare che si interpone tra acquirente e venditore dello strumento
finanziario. Non assume rischio perché va alla ricerca delle due controparti e li mette in contatto, e
51
lucra sul margine che si ottiene differenziando i prezzi acquirente-venditore. Ha un profitto risk
free. Il broker chiude le due posizioni istantaneamente. Non ha alcun rischio.
Dealer: fa la stessa cosa del broker ma assume rischio. Non aspetta che ci sia la chiusura dei
circuiti. Trova l’acquirente e si pone come controparte, quindi acquista i titoli, sapendo che in un
momento successivo deve cercare a chi venderli. In questo lasso temporale assume una posizione
a rischio. Il dealer, a differenza del broker, interpone il suo stato patrimoniale. Il margine deriva
sempre dalle condizioni di prezzo acquisto e prezzo vendita, ma il margine è soggetto a rischio.
Tocca al dealer dover gestire i rischi che si assume ponendosi come controparte degli acquirenti o
venditori. Questa situazione si complica ulteriormente quando la gestione è di portafogli di
strumenti derivati, a causa delle condizioni intrinseche contrattuali.
Ulteriore soggetto intermediario: la cassa di compensazione e garanzia, che è la società che
garantisce l’esecuzione degli ordini, svolge il ruolo di controparte centrale. Si interpone tra
acquirenti e venditori nella negoziazione di strumenti derivati. Il funzionamento prevede il
versamento di un margine iniziale, un deposito cauzionale per le posizioni aperte. Questo
permette alla cassa di intervenire laddove le singole parti risultassero inadempienti per sia il
meccanismo dei margini, raccoglie questi depositi cauzionali, ha essa stessa una dotazione
patrimoniale che può impiegare insieme ai margini per ripianare la mancata esecuzione eventuale
di alcuni operatori.
Ecco come il fatto di essere regolamentati dà la garanzia di maggiore stabilità di un mercato
piuttosto che negoziare options, futures sugli indici o azioni in un segmento OTC. Non avremmo la
cassa di compensazione come tutela, che neutralizza il rischio di insolvenza di una delle
controparti.

FUNZIONI DEL MERCATO E DEFINIZIONI DI EFFICIENZA


Funzioni dei mercati finanziari:
Trasferimento e allocazione delle risorse finanziarie e trasferimento dei rischi à efficienza
allocativo-funzionale
Set di informazioni nei prezzi di negoziazione (trasparenza) à efficienza informativa
Semplificazione degli scambi e contenimento dei costi di transazione à efficienza tecnico-
operativa

Efficienza allocativa à in relazione alla capacità del sistema di allocare le risorse disponibili fra i
richiedenti in base ai rendimenti attesi (per massimizzare l’utilità attesa dei soggetti che
intervengono negli scambi):
1. Non vi deve essere convenienza a procedere ad una riallocazione (si raggiunge un punto di
equilibrio tale per cui l’utilità attesa è massimizzata).
2. Mercati e intermediari sono perfettamente fungibili, nel senso che si può vendere direttamente
sul mercato o fare una sorta di passaggio intermedio e andare sugli intermediari, comunque
ottimizzando la funzione di utilità.
3. Il sistema dei prezzi svolge una funzione critica di triplice natura: allocativa – distributiva –
informativa. Allocativa: consente, tramite l’analisi sia del profilo di rendimento che di rischio, di
trovare delle soluzioni che permettono di massimizzare il rendimento atteso a parità di rischio.
Quindi è anche un concetto di distribuzione della ricchezza sul mercato finanziario. Informativa:
presupposto è che i prezzi riescano a svolgere questa funzione, quindi nell’allocativa è implicita
anche un’efficienza informativa.
4. Perché si realizzino condizioni di efficienza allocativa è necessario che:
a) si raggiungano condizioni di efficienza informativa

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b) tutte le unità economiche agiscano in modo razionale per ottimizzare la propria funzione di
utilità

Efficienza informativa (Fama, 1970) à in relazione alla capacità del sistema dei prezzi di
sintetizzare le informazioni. Quindi analizzando l’evoluzione del prezzo si può capire se il mercato
è efficiente in diversi gradi (infatti l’efficienza fa riferimento alla capacità di incorporare le
informazioni, quindi si può avere differenti gradi di set informativo contenuto nei prezzi):
1. efficienza debole: i prezzi incorporano soltanto informazioni di tipo storico, processando
informazioni del passato e facendo proiezioni future; non ci sono possibilità di conseguire extra-
profitti (rispetto a quanto il mercato già farà) utilizzando le informazioni storiche. Servono
informazioni superiori a quelle storiche.
2. efficienza semi-forte: i prezzi sintetizzano tutte le informazioni pubbliche (es. info contenute nei
giornali), oltre a quelle passate; non ci sono possibilità di conseguire extra-profitti (rispetto al
mercato) utilizzando le informazioni storiche e pubbliche (solo informazioni insider lo
consentono). Perché semi-forte: solo con informazioni private, insider, che non sono di pubblico
dominio, si possono conseguire extra profitti.
3. efficienza forte: i prezzi sono la risultante di tutte le informazioni disponibili; nemmeno
utilizzando tutto il set informativo (storiche, pubbliche, insider) ci sono possibilità di conseguire
extra-profitti. Il rendimento si allinea al mercato.

Efficienza tecnico-operativa à capacità del mercato a livello operativo in senso stretto di


funzionare, aumenta la capacità di stabilizzazione dei prezzi e il grado di liquidità del mercato.
Parametri che qualificano il grado di efficienza tecnico-operativo:
1. Ampiezza: presenza nel mercato di ordini di acquisto e vendita di importi elevati in
corrispondenza dei diversi possibili livelli di prezzo.
2. Spessore: presenza nel mercato di numerosi ordini sia di acquisto sia di vendita a prezzi tra loro
vicini.
3. Elasticità: capacità del prezzo di riflettere variazioni infinitesime delle quantità domandate e
offerte. Capacità di rispondere istantaneamente a flussi di scambio che intervengono ma cercando
di attutire il prezzo e quindi la volatilità del prezzo, quindi stabilità del prezzo nonostante piccole
variazioni di acquisti e vendite.

7. I PROCESSI DI INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA


ORGANIZZAZIONE DEGLI SCAMBI

Modalità di scambio alternative in un sistema finanziario:


A. scambio diretto e autonomo: datori e prenditori non ricorrono ad alcun intermediario;
B. scambio diretto e assistito: datori e prenditori sono controparti dirette, ma sono assistiti da
intermediari che svolgono una funzione di mediazione; gli intermediari assistono, agevolano,
migliorano il contatto tra datori e prenditori di fondi;
C. scambio indiretto: il trasferimento di risorse avviene attraverso uno scambista intermedio che
svolge una funzione di intermediazione. Vengono spezzati i circuiti interponendo un intermediario
finanziario: uno lega datore di fondi e intermediario, il secondo intermediario e prenditore di
fondi. Questo reso possibile tramite contratti (strumenti finanziari).

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A e B hanno per oggetto valori mobiliari. C può avere per oggetti valori mobiliari ma più
propriamente ci sono strumenti finanziari poco liquidi e difficilmente trasferibili o per nulla
trasferibili.
Gli scambi finanziari sono comunque costituiti da prestazioni monetarie di segno opposto e
distanziate nel tempo che si differenziano per: grado di incertezza e durata. L’incertezza è
strettamente dipendente dalla durata dello strumento finanziario: aumenta la durata, aumenta il
grado di incertezza. Alcuni scambi sono molto incerti (molto rischiosi), altri poco incerti. A parità di
condizioni, un investimento di breve durata è meno rischioso di uno di lunga durata.

RUOLO E FUNZIONI DEGLI INTERMEDIARI


Punto di partenza (classico, neoclassico) à la teoria economica assume l’ipotesi di mercati
perfetti: senza l’intervento esterno, i mercati si autoregolano, gli stessi soggetti si scambiano
risorse finanziarie e tendono a raggiungere una condizione di equilibrio generale massimizzando
l’utilità di tutti i soggetti che vanno ad alimentare gli scambi. Questo non si giustifica l’esistenza di
intermediari finanziari o, al più, l’intermediario è considerato un operatore economico come un
altro con un proprio portafoglio di attività/passività prevalentemente finanziarie

I FATTORI DI IMPERFEZIONE DEI MERCATI


L’osservazione empirica ha spinto gli economisti a ripensare a quel paradigma di efficienza e
ammettere l’esistenza di mercati non efficienti, o quantomeno non efficienti nella stessa misura in
cui postulava la teoria classica. È nell’identificare il fattore di inefficienza di un mercato che
nascono delle teorie alternative per spiegare la presenza di intermediari finanziari nei mercati.
1) Costi di transazione (da cui la teoria dei costi di transazione)
Presupposto: la mancata esecuzione di un rapporto diretto fra debitore e creditore è dovuto a
imperfezioni quali:
-divisibilità finita degli strumenti (non sono divisibili in misura tale da rendere agevole lo scambio,
non sono divisibili in senso infinito; sostanzialmente non posso comprare un valore unitario)
-costi di informazione e negoziazione
-costi operativi (supporti contrattuali, controllo, ecc.)
Ruolo dello specialista (intermediario): rendere possibili operazioni altrimenti non eseguibili o
realizzarle a costi inferiori, grazie non tanto ad una tecnologia esclusiva, quanto alla natura fissa o
poco flessibile di parte dei costi. L’intermediario fa dell’elemento di imperfezione un suo business
interno, cercando di eliminarla, interponendosi tra i soggetti che vogliono scambiare, internalizza
parte dei costi e rende possibile gli scambi che altrimenti non sarebbero eseguibili.

2) Divergenza delle preferenze


Lo scambio diretto presuppone una combinazione delle schede di preferenze (chi vuole acquistare
e chi vendere), in senso generale tra i datori di fondi e i prenditori di fondi. Se le preferenze non si
incastrano, il mercato autonomamente non può realizzare il volume di scambi che corrisponde
all’effettivo fabbisogno totale. Questo porta, nell’ambito degli scambi diretti, ad avere
strutturalmente un volume di scambi che è inferiore a quanto il mercato teoricamente vorrebbe
scambiare. Questa divergenza delle preferenze, la meno che perfetta compatibilità delle schede, è
complicata anche dal fatto che gli strumenti finanziari (ovvero il contratto che stabilisce gli
elementi che legano i soggetti che intervengono nello scambio finanziario) sono soggetti a rischi
diversi come rischio di liquidità, di credito, volatilità del prezzo. Questo elemento di rischiosità
porta alcuni soggetti all’astenersi dallo scambio finanziario perché troppo avversi al rischio.
Presupposto
I contratti sono caratterizzati da molteplici forme di rischi (es. di liquidità, di credito).

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Il rapporto è diretto solo se c’è piena concordanza sulle modalità di distribuzione del rischio, in
caso contrario il mercato autonomamente realizza un volume di scambi inferiore al fabbisogno
complessivo. L’intermediario riesce a rispondere alle esigenze dei vari soggetti spezzando il
circuito diretto.

3) Asimmetrie informative
Presupposto
Gli investitori (soggetti in surplus) sono in svantaggio sul piano informativo rispetto ai prenditori
(soggetti in deficit), che conoscono rischio e redditività dei progetti da finanziare. Il prenditore ha
più informazioni rispetto alle informazioni che ha l’investitore: asimmetria informativa.
Anche l’emittente può non saper interpretare il mercato e stabilire correttamente i termini
dell’emissione. Quindi l’asimmetria informativa può svantaggiare lo stesso prenditore di fondi
quando trattasi di soggetto emittente che deve confrontarsi con il mercato.
Possono riscontrarsi 2 problematiche:
-Azzardo morale. Gli investitori subiscono il rischio di comportamenti opportunistici (moral hazard)
ex-ante ed ex-post (prima o durante lo scambio finanziario). Vuol dire che il prenditore di fondi
non ha reso note tutte le informazioni circa l’effettivo grado di rischiosità del progetto di
investimento, o le ha date, ma nel momento in cui riceve il finanziamento decide di usare le
risorse raccolte per progetti di investimento più rischiosi. Situazione di azzardo morale imputato al
prenditore a danno dell’investitore che può precedere la negoziazione o essere successiva alla
negoziazione.
-L’emittente può subire processi di selezione avversa. Esempio: mercato dei prestiti. Qui ci sono
soggetti prenditori (con necessità di raccogliere risorse); ce ne saranno di molto rischiosi o poco. Il
prezzo di un loans è il tasso di interesse, che dovrebbe variare teoricamente a seconda della
rischiosità. Ma se il prezzo e quindi il tasso è unico, esso sarà troppo elevato per i soggetti poco
rischiosi, e un buon tasso per i più rischiosi. Quindi i prenditori di buona qualità, non essendo
disposti a pagare tassi così elevati, usciranno dal mercato e rimarranno solo quelli di cattiva
qualità. Il rischio tende ad elevarsi portando ad un problema di market failure.
Ruolo dell'intermediario
L’intermediario produce “informazione interna” in misura utile a colmare l’asimmetria informativa
fra debitori e creditori, grazie all’accesso a informazioni riservate, rendendo possibile una
valutazione corretta, una selezione adeguata e la fissazione di prezzi corretti dal punto di vista del
rapporto rischio-rendimento.
L’informazione interna prodotta dall’intermediario è attendibile e di buona qualità, in quanto si
assume il rischio e si gioca la reputazione. Quindi è incentivato a raccogliere informazioni utili per
colmare il gap dell’investitore o emittente. Se così non fosse, la disciplina del mercato punirà
l’intermediario.

4) Razionalità limitata
Presupposto
La razionalità degli scambisti non è assoluta, ma limitata, in quanto i modelli decisionali degli
scambisti sono incompleti. I soggetti che si scambiano risorse finanziarie prendono le proprie
decisioni, processano il set informativo a disposizione in modo razionale, ma la razionalità è
limitata. Se si assume razionalità nella scelta dell’investitore, le variabili sulla base delle quali
l’investitore prende le decisioni (rendimento atteso e rischio) devono essere processate quasi
matematicamente, per ottimizzare le scelte. Ma nella realtà non è così, non c’è esatta coincidenza
tra le scelte e quelle che deriverebbero da una valutazione quantitativa. Si assume quindi che i

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soggetti operino in uno stato di razionalità limitata, quindi i modelli decisionali assunti sono
incompleti.
Le scelte degli scambisti e il funzionamento del mercato (non è in grado di far in modo che
l’investitore possa massimizzare la propria utilità attesa) possono essere inefficienti, anche in
assenza di vincoli informativi. C’è una razionalità meno che perfetta; per colmare questa
inefficienza nella scelta migliore interviene l’intermediario finanziario che aiuta, si sostituisce,
assiste i vari soggetti nella scelta migliore, cercando di rimuovere il gap di razionalità che insiste su
ogni soggetto disposto a scambiare.

RIDUZIONE NEL TEMPO DELLE IMPERFEZIONI E CRESCENTE ORIENTAMENTO AL MERCATO


-Organizzazione del mercato, sia in senso tecnico ma anche normativo
-Regolamentazione
-Norme comportamentali
-Commitment reciproco di intermediari mobiliari e operatori economici: sorta di rapporto di
complementarietà con i mercati
-Specializzazione degli strumenti per esigenze diversificate. Varietà elevata
-Standardizzazione delle formule contrattuali
-Meccanismi di liquidità, che prevedono un’agevolazione della negoziazione
-Tecnologia negli scambi: concetto di efficienza tecnico-operativo. Agevolare lo scambio e la
negoziazione degli elementi fondamentali di un contratto, la fissazione del prezzo, le quantità
scambiate.
-Accentramento/decentramento degli scambi à modalità con cui avvengono gli scambi. Questo
ha portato a vari trading venue, che grazie ad un minimo di regolamentazione fa svolgere in
maniera ordinata le contrattazioni.
Sintesi: c’è stato e continua un graduale orientamento al mercato. Ma non necessariamente
l’intermediario finanziario è destinato a scomparire proprio per svolgere comunque un ruolo
fondamentale nell’assistere il circuito diretto, ed è sempre crescente il ruolo di questa attività
mobiliare che gli intermediari finanziari svolgono sui mercati.
à globalizzazione/innovazione/tecnologia favoriscono forme di concorrenza / complementarità

Gli intermediari finanziari, anche in una condizione di mercati efficienti postulata dalla teoria
classica e neoclassica, esisterebbero e avrebbero un ruolo.

ATTIVITÀ DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI


Le attività possono essere mappate facendo leva su 3 fattori
1.Prodotti/processi adottati dagli intermediari à cosa fa l’intermediario in termini di realizzazione
di strumenti, prodotti e offerta di servizi. Pagamenti, investimenti, investimenti (strumenti
finanziari).
2.Segmentazione della domanda da parte dell’intermediario à come combina prodotto/servizio
offerto sul mercato.
3.Esistenza/estensione della delega formale o sostanziale à strumento giuridico per regolare il
rapporto intermediario/cliente.

1. Prodotti
Perveniamo ad una identificazione degli intermediari concentrando l’attenzione sul fabbisogno
espresso dalla domanda. Sulla base di esso, riusciamo ad identificare i prodotti (strumenti) e
tipologie (che specificano gli strumenti che raccolgono i prodotti o processi, che vanno a denotare
le attività di intermediazione finanziaria). Identifico gli intermediari che si concentrano in questa

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gamma di prodotti, il cui obiettivo è di soddisfare un fabbisogno di trasferimento di potere di
acquisto (essenzialmente mezzi di pagamento). Un fabbisogno di investimento: gli strumenti
adottati sono vari, il ruolo degli intermediari può essere di soggetto debitore perché possiamo
avere strumenti finanziari di investimento, sul lato domanda, che possono essere rappresentati da
passività prodotte dagli intermediari (es. obbligazioni emesse, depositi...) passività nominali =
l’intermediario deve rimborsare il valore nominale; passività di mercato = l’intermediario ha delle
obbligazioni sottoforma di passività il cui valore è determinato direttamente dai mercati.

Servizi di negoziazione, di gestione di


patrimoni individuali (di investimento).
Con o meno preventivo assenso cliente
Polizze assicurative a contenuto finanziario
(quindi di investimento).
Prestiti di firma: garanzia di buon esito apposta
attraverso la firma dell’intermediario.
Forme di finanziamento mobiliare, è il
caso dell’acquisizione di azioni, quindi di
assunzione di partecipazioni di parte di soggetti
che svolgono questo tipo di attività.
Servizi che si collocano nell’ambito del finanziamento sia di tipo assicurativo che di gestione dei
rischi.

2. Segmentazione della domanda e personalizzazione del servizio

Perveniamo ad una mappatura delle attività vedendo la combinazione domanda-prodotti che gli
intermediari fanno. In genere questa mappatura ha un risvolto operativo gestionale molto forte
perché è trasversale alle attività di intermediazione creditizia e mobiliare. Spesso, notiamo anche
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nell’articolazione interna degli intermediari, la combinazione tra domanda e servizio prodotto
avviene incrociando la dimensione del patrimonio del cliente con il contenuto dei servizi offerti. Si
realizza così una matrice a due dimensioni: dimensione degli asset, quindi del patrimonio
individuale (soglia di accesso al servizio), basso-medio-elevato; livello di personalizzazione del
servizio basso-medio-elevato quindi standardizzato o modulato su specifiche esigenze del cliente.
Facendo questa combinazione identifichiamo 2 combinazioni di frontiera che vanno a denotare le
tipiche combinazioni fatte dagli intermediari. 1^ basso-basso: retail banking (transaction banking
fa riferimento al fatto che un intermediario può presidiare un mercato facendo leva su clienti di
dimensione bassa relativamente al patrimonio gestito e facendo leva sulla numerosità dei servizi
offerti che hanno un contenuto prevalentemente standardizzato. Si fa leva sul numero di
transazioni che intercorrono con la clientela). 2^ elevato-elevato: private e corporate banking
(relationship banking= relazione specifica con la singola clientela, più personalizzato, anche per
configurare al meglio servizi che si adeguino alle richieste della clientela). Questa mappatura ci
consente di vedere come sono presidiate le aree del mercato dagli intermediari combinando le
due dimensioni.

Private banking: prodotti e servizi volti a soddisfare in modo integrato e personalizzato le esigenze
finanziarie e patrimoniali della clientela High Net Worth (con patrimoni elevati). Servizi più
personalizzati a clientela privata con patrimoni elevati, ad hoc, specifici.
Retail banking: attività al dettaglio contrassegnata dalla ricerca della massima efficienza e da
un’efficace segmentazione della clientela. Avviene con soglie di accesso contenute.
Corporate banking: prodotti e servizi volti a soddisfare le esigenze finanziarie (gestione ordinaria e
straordinaria) delle imprese. Soglie di accesso elevate, prodotti e servizi per soddisfare esigenze
articolate di imprese di elevata dimensione.

3. Estensione della delega


Consideriamo sostanzialmente
attività che si inseriscono negli
scambi finanziari. 1.Possono essere
a supporto dello scambio diretto.
Agenzie di rating: valutano il merito
di credito di soggetti emittenti,
offrono quindi un servizio
consulenziale, di supporto allo
scambio diretto perché dare una
valutazione di merito di credito ad
un soggetto emittente aiuta il
potenziale investitore a capire se il
profilo di rischio del titolo è
adeguato a combinazioni con il rendimento che si attende per scegliere se acquistare o meno il
titolo. Questa prima categoria di intermediari va a connotare intermediari orientati alla
formazione di un margine provvigionale. C’è una provvigione richiesta per il servizio offerto, non
c’è assunzione di rischio. 2. Attività di negoziazione di valori mobiliari, che può assumere due
forme: negoziazione delegata, ovvero il cliente invece di operare direttamente sul mercato, delega
un soggetto, un intermediario finanziario che, proprio per svolgere istituzionalmente in forza della
delega il ruolo di investitore, assume la classificazione di investitore istituzionale. Sono
intermediari che negoziano per conto del cliente, che definiamo con passività di mercato. Il
riferimento è ai FCI, SICAV. Es. FCI: è la tipica delega dell’investimento, infatti il rapporto tra il

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cliente che acquista quota del fondo e il fondo stesso si può esaminare sottoforma di negoziazione
delegata, nel senso che il cliente delega l’intermediario a gestire il suo patrimonio in mercati
mobiliari. Passività di mercato: il fondo, con il suo patrimonio, le quote hanno una valorizzazione
che riflette il valore degli strumenti finanziari acquistati attraverso la raccolta del patrimonio
collettivo. Negoziazione in proprio: c’è una posizione diretta con il cliente. C’è un’assunzione di
rischio pura, in questa classe di intermediari collochiamo da un lato gli intermediari mobiliari
(finanziamento mobiliare) che operano quali finanziatori di capitale di rischio (qui collochiamo i
venture capital, quindi fondi che vanno ad investire in società, il cui obiettivo è di uscire
dall’investimento, vendere la partecipazione quando si porta a quotazione la società o comunque
il valore del patrimonio è abbastanza elevato e tale da compensare il rischio assunto dal venture
capital. Questi soggetti configurano un’attività di business che punta a generare plusvalenza à
acquistano per poi vendere). Finanziamento creditizio: intermediari creditizi à prestiti. Banche e
altri intermediari che orientano l’attività alla formazione di un margine di interessi (raccolgono
risorse, pagano un interesse passivo per loro, prestano le risorse, ottenendo un tasso di interesse
attivo. Il margine di profitto dipende da margine interessi attivi meno interessi passivi).

AGGLOMERAZIONE IN CATEGORIE OMOGENEE DELLE CATEGORIE DEGLI INTERMEDIARI


FINANZIARI (etichettate per un certo orientamento del proprio margine economico)

Mappatura secondo le funzioni svolte degli intermediari finanziari presenti in Italia e Europa.

8. GLI INTERMEDIARI FINANZIARI


LE BANCHE
Caratteristiche evolutive
Banche: primo intermediario finanziario, poi l’evoluzione ha portato ad altre categorie. Dal 1936
possiamo identificare alcuni passaggi fondamentali che vanno a connotare l’aspetto evolutivo
delle banche che oggi hanno una configurazione differente da quella dell’inizio di secolo scorso.
Avvenimenti storici: crisi del sistema bancario che nasce con il fallimento della banca italiana di
sconto anni 20, crisi 29-32 che trova in Italia un rimbalzo che porta ad un ripensamento profondo,
congiuntamente alla memoria di quanto avvenuto alla banca italiana di sconto. Si arriva alla legge
del 1936. Dopodichè, fino al 1993, abbiamo un periodo di forte controllo e accentramento da
parte di banca d’Italia, fino a quando abbiamo il TUB con la vigilanza europea e gli assetti bancari
che oggi vediamo sul mercato domestico. Sintesi per contenuti e caratteristiche dell’evoluzione
per elementi fondamentalià 4 connotazioni che hanno caratterizzato le banche dal secolo scorso
fino ai giorni nostri:
•Svolgimento funzione monetaria (ampliamento offerta fiduciaria in via esclusiva di strumenti di
pagamento). Conferma, rafforzamento, ampliamento della funzione monetaria svolta dalle

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banche, che si è evoluta anche in considerazione della tecnologia e si è ampliata, perché la gamma
di strumenti di pagamento ha avuto specie negli ultimi anni un’accelerazione molto forte spinta
dalla tecnologia, che ha portato un cambiamento significativo nel lavoro bancario quotidiano.
•Despecializzazione/diversificazione (modello di banca universale dal 1993). Dall’inizio di secolo
scorso fino ai giorni nostri, progressivo allentamento della specializzazione temporale che era
stato introdotto dalla legge del 36 che imponeva le banche dovessero concentrarsi o su raccolta e
credito nel medio lungo termine o nel breve termine. Infatti erano due le categorie istituzionali
riconosciute dall’ordinamento previgente per fare attività bancaria: istituto di credito speciale
(specializzato nella raccolta e impiego a medio lungo termine), aziende di credito ordinario (si
occupavano della raccolta a vista e concessione di crediti a breve medio termine). Questa
specializzazione temporale viene rimossa dal testo unico del 1993, una banca rispettando i vincoli
normativi può sia operare nel medio lungo termine -raccolta, impiego-, sia nel breve e brevissimo
anche con raccolta a vista. Ecco perché si parla di despecializzazione. Non c’è più il modello
indotto dalla legge del 1936, viene lasciata libertà alle banche anche in termini di diversificazione
delle proprie attività (NB elenco delle attività ammesse a mutuo riconoscimento), il modello
implicito assunto è quello di una banca universale.
•Da retail a private/corporate banking (crescente focalizzazione dell’offerta). Passaggio da
un’attività prevalentemente bancaria retail, quindi al dettaglio, ad una focalizzata sull’offerta e
quindi con l’incrocio rispetto alla domanda. Graduale spostamento verso servizi che vengono
modellati con un forte contenuto personalistico ma anche alla ricerca di una clientela con una
soglia dimensionale elevata.
•Da commercial a investment banking. C’è un cambiamento strategico gestionale di un modello di
business tradizionale (è il modello del commercial bank, quindi prevalentemente raccolta di
depositi a vista presso il pubblico con una prevalenza di depositi a retail e una prevalenza
dell’investimento di queste banche nelle attività di prestito. Nell’investment banking abbiamo
invece una quota di depositi relativamente alla raccolta più contenuta, che fa leva
prevalentemente su mercati all’ingrosso, specie del canale interbancario quindi raccolta da altre
banche, o con il ricorso a emissioni obbligazionari quindi ricorso al mercato. In sostanza meno
depositi, più raccolta sul segmento all’ingrosso e sul mercato. Inoltre una investment bank,
relativamente agli investimenti, si caratterizza per una più contenuta allocazione degli impieghi
verso attività di prestito rispetto ad invece attività sui mercati mobiliari (quindi acquisizione di
partecipazioni, titoli obbligazionari). Sulla base dei dati processati dal prof, si nota invece un
ritorno ad un business model prevalentemente orientato su attività commerciale, un ritorno al
retail, una raccolta prevalentemente fatta sui depositi, una riduzione quindi della raccolta
all’ingrosso e sul mercato e attività maggiormente focalizzata su una buona quota di prestiti e
un’espansione (rispetto al vecchio modello commerciale tradizionale) in investimenti in titoli di
statoà la ragione è perlopiù da imputarsi ad un effetto indotto dalla regolamentazione. Per
ridurre il peso prodotto dalla normativa in termini di assorbimento del capitale, il patrimonio di
vigilanza, le banche hanno eseguito una sorta di esercizio di ottimizzazione di portafoglio,
cercando di investire in quelle attività per le quali è previsto un coefficiente di assorbimento
patrimoniale inferiore.

Modello istituzionale per le banche


Si definisce in funzione di 3 elementi:
•Natura e integrazione dei processi produttivi, quanti processi produttivi attivati dalla banca,
grado di diversificazione dell’attività
•Assetto giuridico

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- Banca universale (un unico soggetto è titolare dell’esercizio di tutte le attività svolte, che
svolge direttamente)
- Gruppo bancario (banca capogruppo, il TUB dà possibilità anche a società finanziarie,
controlla una pluralità di società finanziarie secondo un disegno strategico unitario) es.
Intesa San Paolo
•Assetto organizzativo
- Modello funzionale à approccio tradizionale, forma di organigramma tradizionale che fa
perno sull’identificazione dell’area operativa: crediti, finanza, tesoreria… / Modello
divisionale (ragiona per combinazioni prodotto/mercato, le unità di business sono divisioni:
corporate banking, private banking, international banking …). Da un lato vi è il focus delle
attività, di competenze delle varie aree di business, da un’altra l’autonomia decisionale che
è più elevata nel modello divisionale, dove c’è un decentramento dalla direzione generale
alle varie divisioni, richiedendo processi di delega e di programmazione e controllo più
stringenti rispetto al modello funzionale, il quale vede un forte accentramento delle
decisioni presso la direzione generale e per cui risulta più semplice il monitoraggio e il
meccanismo delle deleghe è meno forte rispetto al divisionale.
- Livello di accentramento (più alto nelle strutture funzionali rispetto alle divisionali) /
decentramento (accompagnato da sistemi di programmazione e controllo più stringenti)

Il bilancio delle banche


Bilancio come aspetto che permette di creare categorie di intermediari finanziari che possono
trovare collocazione nello stesso cluster, gruppo di riferimento. Esaminando il bilancio di banche e
altri intermediari si può trovare qualche analogia che permette di mettere nello stesso
macrogruppo sia banche sia altri intermediari che pur non bancari sono assimilabili con
riferimento all’orientamento strategico.
STATO PATRIMONIALE – ATTIVO
Attività finanziarie: 3 categorie. 2
criteri: fair value, costo ammortizzato.
La distinzione segue il recepimento di
una direttiva recente che ha modificato
i criteri di valutazione di alcune poste.
Fair value: altro sdoppiamento, impatto
a conto economico e impatto a stato
patrimoniale. Nel fair value alcune
attività gravitano per il tramite di una
transizione a conto economico (20),
con 3 sottocategorie.
40-I prestiti, attività che va a
caratterizzare l’attività tradizionale di
una banca, mettono in evidenza un peso significativo dei c.d. loans, distinti in crediti alle banche e
alla clientela non banca. Questi loans sono valutati al costo ammortizzato. 70-partecipazioni:
quote sottoforma di partecipazioni che la banca ha nei limiti previsti dalla normativa. NERO:
attività che fruttano un certo tasso interesse o dividendo (nel caso delle partecipazioni) à attività
fruttifere di interessi. BLU: attività reali, che non fruttano interessi. 60- Adeguamento di valore
delle attività fin oggetto di copertura generica: sono rettifiche che si riferiscono alla valutazione di
derivati di copertura. ROSSO: altre attività.
PASSIVO

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Struttura simmetrica a quella dell’attivo.
NERO: passività su cui maturano interessi passivi.
Sono passività onerose, avendo quindi una certa
sensibilità all’andamento della variabile che
maggiormente quantifica questo onere, che è dato
dall’andamento dei tassi di interesse. Attività
sensibili all’evoluzione dei tassi: se cambiano, c’è
un impatto sia sul valore dell’attivo/passivo, sia in
termini di flussi di interessi attivi/passivi. ROSSO:
altre passività, non soggette ai tassi di interesse,
BLU: poste patrimoniali.

CONTO ECONOMICO

CE parte dai ricavi e costi


caratteristici di un intermediario
bancario, inerenti all’attività
caratterizzante della banca, che è
l’attività bancaria. Essa si identifica
nel temporaneo esercizio della
raccolta e dell’impiego: da una
parte raccolgo risorse finanziarie
(interessi passivi e oneri assimilati),
dall’altra impiego (interessi attivi e
proventi assimilati). La differenza
dà il margine di interesse, che è il
risultato dell’intermediazione
creditizia e finanziaria in senso
stretto – raccolta e impiego –. Poi ci
sono altre voci che entrano con segno +/- a seconda siano ricavi o costi. Commissione nette in un
intermediario in equilibrio positive. 100-110: gruppo di voci riferendoci ad un risultato delle
attività di investimento in attività finanziarie, distinte in base ai criteri già citati. Qui è una
distinzione contabile perché mette in evidenza il risultato che proviene dalla chiusura (cessione o
riacquisto) per le attività 100-a,b; poi c’è l’evidenziazione del risultato (110) che una banca mette
in evidenza quando si chiude la posizione di attività e passività finanziarie valutate al fair value che
hanno un impatto a conto economico. Quindi vengono distinte ma poi vengono sommate
nell’aggregato e sono riferibili a ricavi inerenti operazioni finanziarie in senso lato. Insieme ai ricavi
netti da servizi (commissioni attive) posso idealmente immaginare un aggregato che parte dalla
voce 40 fino alla 110 (quindi ricavi netti da servizi e risultati da operazioni finanziarie). Con
l’aggiunta del margine di interesse ottengo il margine di intermediazione, che evidenzia il risultato
della pura intermediazione creditizia insieme a quella mobiliare e di tutte le altre attività
caratteristiche. Il margine di intermediazione è importante per esaminare le performance di una
banca perché è un po’ equivalente al valore aggiunto di una società non finanziaria e non bancaria.
È importante anche nel raffronto con il margine di interesse, perché in genere si vede quanto pesa
l’attività di pura intermediazione creditizia, che teoricamente dovrebbe essere prevalente, rispetto
a tutte le altre attività, le quali negli ultimi anni hanno avuto un peso preponderante per varie
ragioni: l’andamento dei tassi negativi sul segmento a breve ma anche medio-lungo della curva dei
62
tassi; sostanzialmente tassi a differenti scadenze hanno ridotto il margine di interesse, quasi anche
negativo e per compensare la compressione del margine di interesse le banche hanno spinto verso
altri servizi che producono ricavi netti e spostandosi su altre attività di investimento.
Quindi tra 30 e 120: quantifica il peso di tutte le altre attività rispetto a quelle di intermediazione
creditizia nella gestione di un intermediario bancario.

130: voce importante che quantifica


l’impatto negativo associato ai c.d.
non performing loans; in passato ha
avuto peso significativo à perdite su
credito che sono derivate dalla crisi
dei mercati finanziari ma soprattutto
dalla crisi del debito sovrano con il
picco del 2011 ma con effetti fino al
2013-2014 e in prospettiva anche con
quanto accadrà con l’impatto covid.
150: è il valore aggiunto rettificato da
perdite, rettifiche di valori per il
rischio di perdite.

Rappresentazione più sintetica.

Riclassificazione impiegata per esaminare


in termine prospettici cosa potrebbe
succedere cambiando alcuni scenari, ad
esempio come i tassi di interesse
potrebbero impattare sul valore delle
attività e passività. Quindi di distinguono
le varie attività e passività (SP). Mezzi
propri: voce da 100 a 180 del passivo di
SP. Da 10 a 40: passività onerose.
Da 50 a 90: passività non onerose.

NORMATIVA IAS-IFRS (International Accounting Standards)-(International Financial Reporting


Standards)
Era nata l’esigenza di avere regole condivise, ovvero indentificare una serie di principi contabili che
fossero almeno simili nell’impostazione.

63
In Italia e in sede UE è stata adottata una regolamentazione contabile in materia di bilancio con
l’intento di armonizzare “l’adozione e la utilizzazione di principi contabili internazionali nella
Comunità”.
Gli obiettivi che si pone la normativa IAS-IFRS sono quelli di:
•Garantire una maggiore comparabilità delle informazioni contabili prodotte dalle diverse imprese
(comparability); che i bilanci fossero omogenei e quindi comparabili.
•Garantire una maggiore trasparenza dei bilanci (disclosure). Avere regole per garantirne
maggiore trasparenza, non solo CE e SP, ma anche per i documenti di accompagnamento.
•Far prevalere la sostanza sulla forma. Fu un cambio di paradigma molto importante, perchè
spesso, in un’epoca pre principi internazionali, i bilanci occultavano, seppur rispettando la
normativa allora vigente, la fotografia reale degli aspetti patrimoniali, economici e finanziari; vi era
solo il rispetto delle regole formali. Quindi si è diffusa l’idea per la quale una valorizzazione sempre
più portata verso il mercato fosse l’approccio più corretto, perché valutare secondo l’occhio del
mercato darebbe una visione oggettiva che rispetta il sentiment variabile nel tempo degli stessi
agenti operatori del mercato, ma allo stesso tempo potenzialmente soggetta anche alla volatilità
del mercato. Quindi valutazione mark to market, per cui la valorizzazione delle poste di bilancio
rispecchia l’evoluzione del mercato. In ipotesi di mercati efficienti la valorizzazione di bilanci al
mercato è una valutazione fair, corretta; in periodi di tensione e stress dei mercati l’approccio al
mercato può avere un riflesso della volatilità del mercato sulla valorizzazione di bilancio. Nelle
varie versioni dei principi contabili, nel 2009 si è creata l’esigenza di modificare i criteri della
disciplina bancaria portando a neutralizzare quegli effetti riconducibili alla volatilità del mercato.
Nei principi che di seguito vediamo nell’IFRS 9 ora vigente (riferimento a fair value) c’è il risultato
di questa rimodifica dell’assetto neutralizzando una volatilità del mercato che si impattava sulla
valorizzazione di bilancio.

Gli IAS-IFRS privilegiano un bilancio orientato agli investitori (utilità delle informazioni a fini
decisionali) anziché un bilancio orientato agli azionisti (criterio prudenziale). Questo perché sono
gli investitori che valutano esternamente il bilancio in modo oggettivo e prendono la loro
decisione se ad esempio acquistare titoli emessi dalla banca o avere interazioni che può assumere
posizioni creditorie o debitorie sulla base della valutazione del bilancio.
Gli impatti maggiori sui bilanci bancari sono relativi a: 1. Valutazione titoli 2. Valutazione crediti

CRITERI VALUTATIVI: CENNI SUI PRINCIPI IAS-IFRS


[Criteri valutativi contenuti nel IFRS 9 che ha sostituito il previgente IAS 39 e da qualche anno ha in
parte ripreso il previgente schema apportando delle modifiche].
Relativamente alla valutazione delle attività finanziarie, la normativa IAS-IFRS effettua una
distinzione in base alla finalità dell’investimento. In particolare, le disposizioni previste dal
principio IFRS 9 definiscono i seguenti criteri valutativi per titoli e crediti:
a. Fair Value (FV): (a) valutazione a prezzo di mercato, se il titolo è quotato, se invece il titolo non è
quotato (b1) si ricorre a prezzo medio di titoli simili o (b2) valore attuale netto (tramite
attualizzazione finanziaria es. titoli obbligazionari à determino il valore teorico di un’obbligazione
che presenta un flusso finanziario prospettico -cedole- con il rimborso del capitale a scadenza. Si
attualizzano questi flussi proiettati in futuro. Tasso di attualizzazione: tasso di rendimento medio
di titoli simili a quello che sto valutando). b1 e b2 dovrebbero equivalersi circa.
FV: valorizzazione al mercato
b. Costo Ammortizzato (CA): valutazione al costo di acquisto (inclusivo di commissioni e altri costi
“capitalizzati”) con possibilità di svalutazione (rettifica) in presenza di rischio creditizio. CA:
procedura tipicamente contabile.

64
CRITERI VALUTATIVI ATTIVITÀ FINANZIARIE
Le attività finanziarie sono classificate in due categorie:
•Attività finanziarie valutate al fair value con impatto a conto economico à FVPL (fair value
through profit and loss) con imputazione a Conto Economico nelle voci “80 Risultato netto
dell’attività di negoziazione” o “110 Risultato netto delle attività e passività finanziarie valutate a
fair value con impatto a conto economico”. Questo criterio perlopiù per attività di negoziazione.
Negoziazione: banca compra e vende con periodicità inferiore all’anno, soddisfa esigenze della
clientela. Frequenza molto elevata, non c’è un orizzonte di detenzione che supera l’anno e questo
motiva la scelta del legislatore di seguire come valutazione quella a prezzi di mercato, quindi i
risultati netti di attività di negoziazione seguono il principio del fair value e l’impatto è
direttamente sul conto economico; non c’è alcun effetto di neutralizzazione della volatilità, anche
perché queste si chiudono entro l’anno.
•Attività finanziarie valutate al fair value con impatto sulla redditività complessiva à FVOCI (fair
value through other comprehensive income) con imputazione a Stato Patrimoniale in “110 Riserve
da valutazione”; al momento della vendita l’utile/perdita rilevato in riserva viene trasferito nella
voce del Conto Economico “100 b) Attività finanziarie valutate al fair value con impatto sulla
redditività complessiva”.
Abbiamo un effetto di neutralizzazione dell’impatto fino a chiusura dell’operazione: c’è un impatto
a SP in riserve di valutazione e nel momento in cui abbiamo la chiusura (vendita) il risultato
utile/perdita viene rilevato in riserva e trasferito alla voce di 100 b) di CE. Quindi c’è un
girocontabile che proviene dalla riserva che ho alimentato nel momento in cui ho aperto la
posizione: ecco come avviene la sterilizzazione della volatilità dei prezzi di mercato. Quindi se nella
negoziazione ho un impatto diretto su CE, qui viene compensato dalla precedente riserva di
valutazione. Sterilizzazione dell’impatto: quando apro la posizione, si crea una riserva di
valutazione che compensa l’utile o perdita netto quando si chiude la posizione. Quindi lo SP riduce
la volatilità che originerebbe se non avessimo questa imputazione a SP.

L’attuale classificazione IFRS 9 riprende e aggiorna la logica seguita in precedenza dal principio
contabile IAS 39, nel quale le attività finanziarie erano suddivise a seconda dello scopo che
stabilito dalla banca per la loro detenzione:
•Titoli held for trading (HFT): acquistati con intento di negoziazione di breve periodo, attività
negoziabili, assimilabili alle attuali attività FVPL (CE voce 80, impatto diretto su CE).
•Titoli available for sale (AFS): acquistati con generico intento di detenzione fino a scadenza, ma
che potrebbero essere ceduti prima della scadenza se le condizioni di mercato fossero favorevoli,
assimilabili alle attuali attività FVPL (CE voce 110).
•Titoli held to maturity (HTM): acquistati con intento di detenzione fino a scadenza, assimilabili
alle attuali attività FVOCI. Assimilabili alle attività immobilizzate fino a scadenza, quindi valutate
come fossero attività soggette a valutazione FVOCI.
Quindi i titoli sono valutati secondo l’orientamento strategico che deve essere dichiarato dalla
banca: comprati e detenuti per finalità negoziazione, o generico intendimento di detenzione fino a
scadenza con possibilità di venderle prima à queste valutate al fair value senza alcun meccanismo
di sterilizzazione tramite l’imputazione di riserva a SP. Invece i titoli tenuti fino a scadenza sono
valutati col meccanismo della riserva da imputare a SP.

CRITERI VALUTATIVI CREDITI (LOANS)


Le regole previste dal principio IFRS 9 dispongono che la banca valuti i propri crediti in base al
criterio del costo ammortizzato, con possibilità di svalutazioni (impairment) da imputare a Conto

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Economico (voce “130 a) Rettifiche/riprese di valore nette per rischio di credito di attività
finanziarie valutate al costo ammortizzato”). CA: riferimento al costo storico inclusivo di varie
commissioni e di tutti gli elementi capitalizzati nel costo di acquisto e la possibilità prevista per una
svalutazione, impairment. La voce 130: grosso peso soprattutto tra 2010-2013 che ha portato
quasi al collasso diverse banche, o almeno a perdite per tre anni consecutivi riconducibili perlopiù
ai non performing loans quindi alle perdite indotte dalla gestione dei crediti (dai prestiti erogati).
Secondo IFRS 9 la valutazione dell’impairment oggi è fatta in via prospettica (forward looking).
Precedentemente si provvedeva a uno sguardo storico (quando si verificava un deterioramento
del credito si provvedeva in quell’istante a ribaltare sulla voce 130. Oggi viene anticipato perché la
valutazione deve essere prospettica).
- I crediti per i quali esiste ed è concreta la possibilità che vi sia un inadempimento anche
solo parziale devono essere sottoposti a una valutazione in senso stretto, mediante
attualizzazione dei flussi futuri attesi alle condizioni attuali.
- Se il nuovo valore risulta inferiore a quello contabile determinato alle originarie condizioni
contrattuali: la differenza è imputata a “rettifiche di valore”.

GLI INTERMEDIARI NON BANCARI, MOBILIARI E ASSICURATIVI


Intermediari non bancari ma comunque creditizi: facciamo riferimento a delle categorie
istituzionali che, al pari delle banche, sono prevalentemente orientate alla formazione di un
margine da interessi. Sono quindi categorie riconducibili alle banche per quanto riguarda
l’orientamento strategico (società di leasing, factoring, credito al consumo).

SOCIETÀ DI LEASING
Disciplina: TUB (iscrizione nell’albo intermediari finanziari tenuto dalla Banca d’Italia, che vigila
sull’operato di tali società. Tali società devono seguire le prescrizioni imposte dall’autorità di
vigilanza).
Natura attività: attività creditizia mediante contratti di locazione finanziaria. Simile all’attività di
prestito di una banca, ma se la banca lo fa in termini di erogazione di disponibilità di cassa o di
firma, le società di leasing operano un’attività creditizia che fa leva su contratti particolari chiamati
di locazione finanziaria à funzione di finanziamento ma direttamente sul bene che serve al
soggetto cliente. È diverso dalla classica erogazione di denaro.
Contenuto servizio: funzione di finanziamento (vedremo che è imputabile solo ai contratti di
locazione finanziaria, quindi il leasing finanziario) che consente al locatario di disporre di un bene,
di sfruttare la forza contrattuale del locatore nei confronti dei fornitori e attribuisce al locatario
vantaggi fiscali (sempre più ridotti). Un soggetto, la società di leasing, mette a disposizione al
soggetto locatario la disponibilità di un bene dietro pagamento di canoni periodici.
Stato patrimoniale: crediti/beni in locazione all’attivo e finanziamenti bancari (raccolta di risorse
finanziarie per l’acquisto di beni dati in locazione) al passivo.
Conto economico: ricavi tipici rappresentati da canoni, costi tipici rappresentati da ammortamenti
e interessi passivi.
IL CONTRATTO DI LEASING
Definizione: è un contratto con cui un soggetto - il locatore, società di leasing - concede la
disponibilità di un bene ad un altro soggetto - il locatario, cliente - per un determinato periodo di
tempo, dietro il pagamento di un canone periodico.
1^ classificazione per struttura impegni. In base alla struttura degli impegni che il contratto
determina, si distingue tra:
- leasing operativo, definibile come contratto di noleggio di beni strumentali à non è
assimilabile ad una operazione di finanziamento

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- leasing finanziario, attraverso cui il locatario si impegna a corrispondere un determinato
numero di canoni per un ammontare globale superiore al costo del bene à è
un’operazione equiparabile ad un’operazione di finanziamento.
2^ classificazione per natura dei beni. In base alla natura dei beni si distingue tra:
- leasing mobiliare à beni mobili: autoveicoli, navi, imbarcazioni, aerei, beni strumentali in
genere.
- leasing immobiliare à immobili di natura industriale e commerciale
- leasing di beni immateriali à principalmente software.
3^ classificazione per soggetti coinvolti. In base alle caratteristiche dei soggetti si distingue tra
leasing:
- agevolato à agevolazioni di varia natura
- pubblico à l’utilizzatore è un ente pubblico
- internazionale à soggetti di diversa nazionalità
- lease-back à un leasing che viene preceduto da una preventiva acquisizione del bene: un
soggetto vende un bene in suo possesso ad una società di leasing (ricevendo liquidità),
riprendendolo poi in leasing. Lo vende e lo riprende in leasing. Sostanzialmente non cambia
nulla: il bene è sempre a disposizione del processo produttivo da parte della società.
Cambia molto in termini di status: si passa da uno status di proprietario, ad uno in cui non
lo è. Aspetto importante: la liquidità che viene generata da questa operazione. Spesso in
tema di corporate finance ci si riferisce ad operazioni di leas-back come strumenti di
intervento in grado di rendere flessibile il bilancio generando liquidità quando necessaria.

-non necessario che soc. di leasing


incarichi un produttore per realizzazione
del bene nel l.operativo.
-durata: elemento più importante per
distinguere il tipo di leasing. Correlazione
quasi perfetta tra durata contrattuale e
vita utile del bene (durata contratto
copre processo di deperimento del valore
nel leasing finanziario, copre tutta la vita
utile dell’immobile valorizzata secondo il
processo di ammortamento). Leasing
operativo: durata contratto molto
inferiore alla vita economica del bene.
-utilizzatore non proprietario. Alla fine del
contratto concessa opzione di riscatto per
diventare proprietario. L.finanz: riscatto
generalmente scelto. L.oper: riscatto
raramente scelto. Abbiamo una struttura
triangolare di soggetti nel finanziario, per l’operativo possiamo avere anche un contratto bilaterale che lega la società proprietaria
del bene di leasing operativo con il locatario. Operativo: noleggio di bene standard per tempo limitato, è ancillare rispetto l’attività
caratteristica d’impresa. Finanziario: bene fondamentale, strumentale per l’attività del locatario.
Durata: elemento discriminante. Dentro la durata contrattuale e il rapporto alla vita economica del bene c’è la funzione che svolge
il contratto di leasing. Se il contratto ha funzione di acquisizione, finanziamento di un bene strumentale: operazione di
finanziamento quindi leasing finanziario. Leasing operativo: operazione di renting.

Il leasing finanziario è sostanzialmente un’alternativa al mutuo; cambia la struttura dell’operazione


finanziaria attraverso cui un’impresa viene in possesso di un bene strumentale fondamentale per
l’attività produttiva caratteristica dell’azienda. Una opzione è quella tramite cui l’azienda ricorre
ad un indebitamento a medio-lungo termine (accende un mutuo) e la disponibilità finanziaria che
la banca mette a disposizione dell’impresa viene poi utilizzata per l’acquisto del bene stesso. Il
bene entra nell’attivo SP, nel passivo entra il debito, mutuo contratto per l’acquisizione del bene
(fonte di finanziamento). La seconda alternativa è il leasing finanziario, in cui viene bypassato il
primo step e superato lo status giuridico di acquisto del bene stesso; lo si utilizza e come
67
contropartita vi è il pagamento periodico di canoni di leasing, che nella loro natura economico-
finanziaria devono tenere conto di una quota riconducibile al costo che si sostiene quando si
acquista il bene. Quindi una parte del canone è ascrivibile al costo degli ammortamenti, l’altra
parte agli interessi.
Una struttura triangolare è
obbligatoria per il leasing
finanziario: la società di leasing
finanziario è un intermediario
finanziario, e quindi la cosa che può
fare è di acquistare da un soggetto
produttore il bene che avrà le
caratteristiche indicate dalla società
di leasing, le quali sono state
definite con il soggetto cliente
(locatario). La proprietà rimane
della società di leasing, ma dirà al
produttore di consegnare il bene al
locatario che utilizza il bene. Il
locatario non è proprietario, paga i
canoni periodici ed eventualmente
paga il prezzo di riscatto. Quindi società di leasing: acquista, è proprietaria del bene, non lo usa. Il
produttore: interagisce con la società di leasing, incassa il prezzo e consegna il bene al locatario.
Quest’ultimo lo utilizza, paga canoni periodici lungo tutta la durata del contratto. NB: le durate
variano in base alla natura del bene, ma la caratteristica comune del leasing finanziario è di avere
durate contrattuali allineate alla vita economica del bene stesso. È possibile sia previsto un
maxicanone iniziale seguito da canoni costanti o variabili a seconda dell’indicizzazione degli
interessi previsti dal contratto. La struttura contrattuale è equivalente a quella per il mutuo. Nel
contratto è specificato il tasso nominale, la periodicità dei canoni (nel mutuo rate).
Leasing operativo: possiamo avere struttura del genere, ma è ammessa anche una struttura
bilaterale. Il produttore diventa anche il locatore: il produttore costruisce, consegna al locatario, il
quale paga canoni al locatore. Questo può valere solo per il leasing operativo, ovvero per
operazioni non equiparabili ad operazioni di finanziamento. È vietato dal TUB l’esercizio del
credito, quindi erogazione di finanziamenti, da soggetti che non sono iscritti nell’albo. Ecco perché
l’obbligo di seguire una struttura triangolare nel primo caso: se avessimo il produttore finanziatore
che vuole confezionare contratti di leasing finanziario la Banca d’Italia non concederebbe
l’autorizzazione perché non sarebbe un’attività finanziaria nel senso indicato dal TUB.

SOCIETÀ DI FACTORING
Disciplina: TUB (iscrizione albo intermediari finanziari tenuto dalla Banca d’Italia, per poter
esercitare tale attività), Legge 52/91 su cessione dei crediti.
A differenza della società di leasing, il contratto cambia punto di riferimento: l’istituto giuridico su
cui fa perno l’attività del factoring è la cessione dei crediti. La cessione del credito è la natura
propria dell’attività svolta.
Natura attività: attività basata su cessione pro-soluto o pro-solvendo di crediti commerciali.
L’oggetto della cessione sono crediti commerciali documentati da fatture. La fattura rappresenta il
veicolo contrattuale sul quale si procede alla cessione del credito stesso. Le società clienti
ricorrono al factoring cedendo il loro credito incorporato nella fattura, e la cessione può essere
quella in cui mi libero della responsabilità indiretta (nel caso in cui il debitore ceduto non adempia

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alla sua obbligazione). L’eventuale inadempimento del nostro cliente è un problema che lo si
risolvono la società di factoring e il nostro debitore cedutoà cessione pro-soluto. Pro-solvendo à
rimaniamo obbligati in un secondo momento, il cliente non paga, interveniamo ma possiamo
rivalerci sul nostro cliente successivamente.
La società di factoring può far valere le sue pretese su di noi: siamo obbligati in via diretta.
Contenuto servizio: offre un insieme di servizi di varia natura:
- Servizi informativi: es. mappatura del rischio della clientela
- Servizi di amministrazione, gestione, incasso crediti commerciali à questo punto in generale
va a connotare oggi l’attività di società di factoring. Gestisce, amministra tutto il ciclo di
incasso e riscossione dei crediti per le fatture che vengono emesse e vengono girate alla
società di factoring, la quale ha due opzioni: 1) anticipa il valore dei crediti ceduti 2) fa una
semplice gestione di cassa, quindi aspetta la scadenza e riscuoterà il credito andando sui
clienti.
- Altra operazione svolta negli ultimi anni: gestione del contenzioso (prima di ricorrere
all’autorità giudiziaria ci sono delle operazioni tramite il sollecito, la telefonata, la lettera di
intimazione). La fase di recupero del credito e gestione del contenzioso è un’attività che la
società di factoring offre insieme agli altri servizi svolti.
- Garanzia di buon esito dell’incasso (comunque operazione di finanziamento, perché trattasi
di finanziamento di firma)
- Factoring inteso come operazione di finanziamento à anticipo valore crediti ceduti
incorporati in fattura. Cediamo le fatture alla società di factoring, la quale ci anticipa il valore
delle fatture, trattenendosi gli interessi e le commissioni. Questo aspetto va a connotare
l’attività di finanziamento: servizio offerto in via prevalente. Gli altri servizi sono svolti in via
secondaria. L’anticipazione del valore del credito deve essere attività prevalente per
caratterizzare la società di factoring quale intermediario creditizio (finanziario in senso lato).
Stato patrimoniale: crediti verso debitori ceduti all’attivo e finanziamenti bancari al passivo
(risorse finanziarie raccolte, l’indebitamento bancario è prevalente).
Conto economico: ricavi tipici rappresentati da commissioni e interessi legati all’anticipazione dei
crediti, costi tipici rappresentati da perdite su crediti (è fisiologico sull’ammontare dei crediti
ceduti una percentuale di insoluti) e interessi passivi connessi ai finanziamenti bancari.
[In termini generali: analogia nelle voci di CE di società di factoring, rispetto a società di leasing e
rispetto all’attività tradizionale della banca. NB: banca, abbiamo interessi attivi sui prestiti erogati
e interessi passivi sulla raccolta. Società di leasing: interessi attivi sui canoni nell’attivo, interessi
passivi e ammortamenti da sostenere per l’acquisizione dei beni nel passivo].

SOCIETÀ DI CREDITO AL CONSUMO


Disciplina: TUB (iscrizione albo intermediari finanziari tenuto dalla Banca d’Italia). Per poter
eseguire le attività tipiche di credito al consumo è necessaria un’autorizzazione preventiva da
parte di Banca d’Italia, quindi è obbligatorio iscriversi.
Natura attività: concessione di finanziamenti al mercato retail, al dettaglio, da parte di società
indipendenti o di società "captive", per buona parte del mercato, (facenti parte di gruppi
industriali, distributivi, bancari e assicurativi). Società indipendenti: svolgono attività in modo
indipendente, quindi scollegata dalla ragione per cui la clientela retail prevalentemente ricorra a
questa forma di finanziamento, che nella maggior parte dei casi è finalizzata all’acquisto di un
bene specifico es. autovettura, tv. In altre parole, si ricorre a una società per ottenere un
finanziamento.
Contenuto servizio: concessione di finanziamento. Sulla base di valutazioni di tipo statistico (credit
scoring) vengono concessi:

69
- Prestiti personali: finanziamento pluriennale senza vincolo di destinazione. Prestiti legati
dalla finalità che ha il soggetto richiedente fondi.
- Crediti finalizzati: finanziamento dell’acquisto di un bene specifico (cellulare, autovettura…).

Stato patrimoniale: crediti verso clienti, quindi i finanziamenti all’attivo e finanziamenti bancari, la
raccolta al passivo. Notiamo una similarità più accentuata con le banche nell’attivo.
Conto economico: ricavi tipici rappresentati da interessi attivi, costi tipici rappresentati da interessi
passivi. Similarità con struttura di bilancio di una banca relativamente all’attività tradizionale.

SOCIETÀ DI INTERMEDIAZIONE MOBILIARE


Per la regolamentazione dell’intermediazione mobiliare il riferimento è il TUF. Noi ci concentriamo
sui soggetti, le attività e i mercati. Abbiamo fatto le distinzioni contenute nel TUF: servizi di
investimento e servizi di gestione collettiva del risparmio. La gestione collettiva del risparmio è
oggetto di riserva di legge: solo alcune categorie possono svolgerla. Per i servizi di investimento
abbiamo richiamato due categorie: banche e società di intermediazione mobiliare SIM. Parlare di
SIM fa riferimento ad imprese di investimento in senso lato che possono essere esaminate dal
punto di vista gestionale-strategico sulla base di alcune scelte che possono compiere; perché dal
punto di vista gestionale le SIM, sono diversi gli aspetti che definiscono le tipologie di SIM presenti
sul mercato italiano. Anzitutto possono essere mono o polifunzionali. VEDI DOPO.

ASPETTI CRITICI SCELTE GESTIONALI


•Mono/polifunzionalità:
→ dato l’elenco dei servizi di investimento, le SIM possono chiedere autorizzazione a svolgere più
attività o un solo tipo di attività.
•Possono essere di emanazione bancaria oppure indipendenti. Qui è prevalente l’emanazione
bancaria (ovvero capogruppo c’è una banca, quindi la proprietà e il controllo sono detenuti da un
soggetto bancario), anche se in Italia sono presenti comunque delle SIM indipendenti.
•SIM possono essere distinte in base al tipo di clientela cui fanno riferimento:
→ clientela istituzionale: investitori istituzionali, tipicamente fondi pensione, imprese di
assicurazione, banche. Possono ricorrere alla SIM per operazioni di underwriting (sottoscrizione),
selling (vendita). Sono operazioni nelle quali l’investitore istituzionale chiede supporto nel vendere
i propri prodotti o piazzarli. Questo può avvenire attraverso attività di sottoscrizione preventiva e
successione, vendita. Esempio: obbligazioni bancarie (o altri prodotti) emesse e vendute, la SIM
interviene a supporto del collocamento, agevolando la vendita, ovvero la sottoscrizione e poi il
classamento sul mercato.
→ clientela istituzionale e non: tutte le altre operazioni.
•Specializzazione per strumenti finanziari:
→ ad esempio gestioni patrimoniali individuali (in azioni/obbligazioni). Una SIM può specializzarsi
in vari strumenti oppure ancora una volta offrire una diversificazione di specializzazione.
•Modalità distributive del prodotto: riferimento alla necessità di avere contatto con la clientela, in
genere richiesto per la gestione dei patrimoni mobiliari (offerta fuori sede)
→ il modello assunto non è generalizzabile (dipende dalla attività svolta): per servizi di Gestione di
Patrimoni Mobiliari è una necessità primaria il contatto con il cliente. La modalità di distribuzione
dei prodotti non ha tipicamente una configurazione specifica. In alcuni casi è necessaria un’offerta
fuori dalla sede istituzionale, in atri è richiesto il contatto con il cliente, in altri casi ancora si può
optare per forme standardizzate di prodotti e non è necessario il contatto cliente con la clientela.
Aspetto più importante nel mappare gli intermediari finanziari rispetto all’orientamento
strategico. Questa distinzione in queste due classi è come rivedere gli aspetti precedenti e

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ricombinandoli facendo leva sulla tipologia di attività svolta, che può essere senza assunzione di
rischio à sim di puro servizio.
•SIM di PURO SERVIZIO:
1. Negoziazione c/terzi (broker). Attività di brokeraggio. Il broker non prende posizione a rischio,
ma fa pura intermediazione mobiliare. La SIM mette in contatto chi vuole acquistare e chi
vendere.
2. Collocamento senza garanzia (broker). La SIM si occupa di classare i titoli emessi da un soggetto
senza garantire il buon esito dell’emissione, ovvero i titoli non acquistati tornano all’emittente.
Non c’è alcuna garanzia di sottoscrizione dei titoli in emissione.
3. Gestione c/terzi. Gestire patrimoni individuali per la clientela.
4. Ricezione/trasmissione ordini.
Il margine a cui punta questa SIM è un margine c.d. da provvigione: non assumendosi rischio
chiederà una commissione/provvigione per l’attività svolta. Non c’è assunzione di rischio.

•SIM DEALER/UNDERWRITER (sim assume rischio):


1. Negoziazione c/proprio (dealer). La SIM si interpone tra acquirente e venditore di strumenti
finanziari ma chiude la posizione senza aspettare la chiusura complessiva del ciclo acquisto-
vendita. Le due operazioni sono indipendenti e si chiudono in momenti differenti. (la sim vende a
chi vuole acquistare strumenti finanziari, e in un momento successivo la sim acquista da chi vuole
vendere gli strumenti finanziari). C’è una discrasia temporale che espone a rischio il dealer.
2. Collocamento con garanzia (dealer). C’è la garanzia di buon esito della collocazione dei titoli. Nel
caso in cui i titoli emessi da una società, la quale chiede il servizio del placement alla sim non
venissero collocati direttamente sul mercato, l’invenduto sarà acquistato dalla stessa sim. C’è la
garanzia per la società emittente che tutti i titoli si trasformeranno in raccolta sul 100% dei titoli
emessi.
C’è assunzione di rischio e il profitto si riconduce alla differenza tra prezzo di vendita e di acquisto.
Orientamento alla formazione di un margine da plusvalenza.

INVESTMENT BANKING
Parlare di investment banking vuol dire affrontare una mappatura di attività comunque
riconducibili all’intermediazione mobiliare che è molto diversificata. La stessa definizione di
investment banking non è universalmente accettata; ci sono alcuni orientamenti che tendono a
porre l’accento su alcune attività, altri ne considerano invece ulteriori. Nostro approccio:
generalizzazione delle definizioni di investment banking, mettendo insieme buona parte della
letteratura che si è occupata di dare una definizione all’attività di investment banking.
Storicamente il nome evoca un modello alternativo di “fare banca”, un’alternativa nell’ambito
delle attività svolte dalle banche, rispetto a quello tradizionale. Quello tradizionale è commercial
banking. Investment banking è qualcosa che va oltre il private e corporate banking (NB: passaggio
evolutivo da commercial a investment banking).
Glass-Steagall Act è quel divieto che viene imposto negli Stati Uniti a seguito del 1929-1932
distinguendo tra attività commercial e investment banking. Poi nel tempo è stato rimosso, e
ulteriormente ripreso.

CARATTERISTICHE DISTINTIVE
Investment banking: offerta di servizi finanziari originariamente collegati al funzionamento del
mercato dei capitali destinati a favorire:
- l'emissione di strumenti di finanziamento (azioni, obbligazioni) da parte di imprese ed enti
à raccolta di risorse finanziarie

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- la loro sottoscrizione da parte degli investitori
L’investment banking, pur avendo riferimento principale il collegamento con il mercato dei
capitali, si rivolge tanto ai soggetti emittenti quanto ai soggetti investitori.

GAMMA DEI SERVIZI FINANZIARI OFFERTI: di Capital market e di Corporate finance


Investment banking ricomprende servizi finanziari di tipo capital market e corporate finance.
•Capital market: attività di negoziazione di valori mobiliari e altre attività di servizio che attengono
al buon funzionamento dei circuiti diretti.
• Corporate finance:
- Attività in cui l’intermediario si pone come controparte diretta dell’impresa cliente,
interagendo nelle sue scelte finanziarie, ma anche di investimento e di misura e gestione del
rischio.
- Fa riferimento alle attività di mercato primario; comprende operazioni di fund raising
(raccolta di risorse finanziarie) e operazioni complesse in caso di collegamento con
operazioni di finanza straordinaria (operazioni complesse di finanza es: cartolarizzazione
finanziaria in cui alcune attività finanziarie vengono cartolarizzate, quindi vendute ad una
società veicolo dietro emissione di titoli obbligazionari). Ci sono anche operazioni collegate
a fusioni, acquisizioni riconducibili a corporate finance.

INVESTMENT BANKING: CAPITAL MARKET


Si articola nelle seguenti attività:
• Trading: negoziazione di valori mobiliari.
• Asset management: gestione dei patrimoni mobiliari, sia gestione individuale che gestione
collettiva.
• Risk management: misurazione e gestione dei rischi finanziari.
• Ricerca: attività di ricerca, che ha ruolo strategico e fondamentale nel guidare le scelte di
investimento. L’attività di ricerca va ad elevare il set informativo, offrire supporto per l’incremento
dell’efficienza informativa dei mercati.

INVESTMENT BANKING: CORPORATE FINANCE


Si articola nelle seguenti attività:
• Corporate lending: prestiti tradizionali e anche più sofisticati, arrivando anche a confezionare
operazioni di cartolarizzazione finanziaria. Ci sono anche operazioni che ad hoc si vanno a
configurare richiamando diversi intermediari finanziari, ad es. prestiti in pool.
• Cash management: gestione della tesoreria. Sovente ciò che capita per grandi imprese, che
hanno una tesoreria, una liquidità importante che deve essere gestita in modo strategico. Questo
servizio permette anche di minimizzare i costi di tenere una liquidità infruttifera nella cassa delle
imprese. Ad es. tesoreria della grande distribuzione.
• Finanza straordinaria: operazioni di fusioni e acquisizioni.
• Merchant banking: tutte le operazioni di private banking, di venture capital, ovvero investitori
sottoforma anche di fondi che acquisiscono quote di partecipazioni in società tipicamente start-up
di piccole dimensioni, talvolta in situazioni di crisi, tramite l’inserimento nello stesso organo
amministrativo e dirigenziale, di personale che consente loro di incidere nelle scelte gestionali
nell’impresa, per poi uscire dall’investimento della partecipazione, tipicamente portando il
soggetto a quotazione, recuperando anche dalla crisi, e quindi orientando le proprie scelte verso la
generazione di una plusvalenza che origina quando si liquida il pacchetto delle partecipazioni
detenute.

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• Finanza strutturata: attività volte a definire gli aspetti organizzativi di quelle società veicolo che
vanno ad organizzare tutte le operazioni di securitisation e cartolarizzazione.

GLI INTERMEDIARI ASSICURATIVI

FUNZIONI
Soddisfano il bisogno di trasferire a terzi i rischi puri espresso da imprese/individui.
L’assicurazione neutralizza il rischio che insiste su imprese e individui. Essi sono esposti ad un
rischio puro e per eliminarlo lo trasferiscono. Questa è una forma di gestione del rischio.
Per definire i rischi puri possiamo distinguere:
-Rischi speculativi (o finanziari): possono avere manifestazione positiva o negativa sulla situazione
finanziaria del soggetto, ed originano dalla aleatorietà di quantità economico-finanziarie (ad
esempio tassi di interesse, di cambio, prezzi di mercato). Il rischio finanziario è l’aleatorietà,
l’incertezza che circonda il valore atteso di uno strumento finanziario. Es. variabilità del prezzo di
un’azione.
- Vengono neutralizzati per compensazione tramite tecniche di hedging o matching (ad
esempio con strumenti derivati o assumendo posizioni speculari che neutralizzano
l’impatto negativo). [hedging=tecniche di copertura dei rischi attraverso il ricorso a
strumenti derivati; tecniche di compensazione con poste di segno inverso].
-Rischi puri: hanno manifestazione esclusivamente negativa e determinano un danno che può
riguardare:
- i beni (furto, distruzione, smarrimento).
- la persona (morte, invalidità, incidente, malattia).
à L’unico modo per gestire rischio puro e neutralizzarlo è attraverso il trasferimento a terze
economie (à imprese assicurative)

CLASSIFICAZIONI RAMI
A seconda della tipologia di rischio si distinguono:
• Le Assicurazioni Danni, relative ai rischi attinenti:
- ai beni (es. furto, incendio, etc.)
- ai soggetti (es. malattie, infortuni)
- al patrimonio (responsabilità civile).
• Le Assicurazioni Vita, relative ai rischi attinenti alla vita umana:
- Rischi di morte
- Rischi di sopravvivenza

LE IMPRESE DI ASSICURAZIONE COME INTERMEDIARI FINANZIARI


Le imprese di assicurazione gestiscono in via istituzionale e sistematica (lo fanno come attività
caratterizzante dell’impresa e con una continuità tipica del business caratterizzante delle
assicurazioni) i rischi che imprese/individui trasferiscono ad esse in forma di contratti omogenei (le
c.d. polizze assicurative).

L’attività assicurativa è interessante dal punto di vista aziendale perché, osservando il ciclo
produttivo naturale di questa categoria di imprese, notiamo che cronologicamente: visto che il
contratto assicurativo prevede il pagamento iniziale di un premio, per poi accumulare una somma
utile per l’impresa di assicurazione nell’eventualità di dover risarcire il danno, si va a delineare
l’inversione del ciclo produttivo. Questo perché l’attività assicurativa raccoglie ex-ante tutti i premi

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nel momento in cui vengono emesse le polizze assicurative; le assicurazioni hanno disponibilità
finanziarie ingenti perché sono esattamente parametrate alle sottoscrizioni, quindi alle vendite
delle polizze, che successivamente saranno indirizzate in investimenti tipicamente mobiliari che
hanno un livello di liquidità sufficiente per poter far fronte a pagamenti anche improvvisi. Quindi
guardando il ciclo produttivo c’è una sorta di inversione: i premi (ricavi per l’assicurazione)
precedono il costo tipico di un’assicurazione, che è il risarcimento del danno. Incassi prima e paghi
dopo.
Questa inversione del ciclo produttivo è la ragione per cui le imprese assicurative possono essere
equiparate ad intermediari finanziari. Si caratterizzano per essere degli investitori istituzionali. La
raccolta ex-ante dei premi permette loro di avere una disponibilità elevata poi veicolata in
investimenti, tipicamente in valori mobiliari (caso tipico è l’investimento in titoli obbligazionari,
perché un investimento obbligazionario è un investimento nel quale sono note ex-ante le modalità
in cu avviene il rimborso e il pagamento degli interessi). Questo è molto utile per l’impresa
assicurativa, perché avendo raccolto i premi e dovendo investire la disponibilità in attività, è
fondamentale che l’investimento dia una ragionevole certezza sulla dinamica dei cash-flow attesi.
L’impresa assicurativa deve programmare con attenzione il momento in cui si prevede ci saranno
degli incassi e confrontarli con la programmazione degli esborsi. Questo tipo di attività va a
connotare le imprese assicurative come un investitore istituzionale, e questo spiega perché
possiamo collocare le assicurazioni nell’ambito negli intermediari finanziari.

Riassumendo:
L’attività assicurativa si realizza attraverso la raccolta ex ante dei premi che vengono investiti in
valori mobiliari e immobili per costituire i capitali necessari ad onorare gli impegni assunti verso gli
assicurati.
- Inversione del ciclo produttivo: i ricavi (premi) precedono i costi (risarcimento del danno).
L’incasso dei ricavi (premi) prima di sostenere i costi (pagamento sinistri) comporta la disponibilità
di una massa di risorse considerevole che le assicurazioni provvedono ad investire à sono quindi
qualificabili come Investitori Istituzionali.
Poiché alla fase di investimento è abbinata la fase di raccolta (premi), le assicurazioni sono
classificabili nell’ambito degli Intermediari Finanziari.

LE RISERVE TECNICHE
Fanno riferimento ai premi. Abbiamo definizioni distinte a seconda ci si riferisca alla tipologia
dell’attività assicurativa danni/vita. Si parla di riserve tecniche facendo riferimento ad una
sommatoria di premi che dovranno essere rinviati al futuro. Stiamo ragionando assumendo la
prospettiva di dover fare la fotografia a fine anno del nostro bilancio à bilancio assicurativo.
Le varie definizioni relative a parti di premi (raccolti ex-ante) seguono la natura danni/vita e, per il
fatto che i premi vengono raccolti ex-ante e servono per pagare il danno che alcuni assicurati
subiranno, devo rinviare la massa di premi che dovrà essere utilizzata nell’anno seguente, per il
principio di competenza. Questo è il principio generale collegato alla ratio di dover prevedere delle
riserve tecniche.

Rappresentano le passività nei confronti degli assicurati e si distinguono in:


• Rami danni e vita (parte comune ad entrambi)
- Riserva premi: parte di premi non di pertinenza dell’esercizio e da rinviare al futuro
(“competenza economica”).
• Rami danni

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- Riserva sinistri: somme destinate alla copertura dei sinistri avvenuti nell’esercizio e non
ancora liquidati (valore stimato à ripercussione sull’equilibrio economico patrimoniale).
• Rami vita
- Riserve matematiche: somme accantonate al fine di permettere all’impresa di far fronte
alle obbligazioni future già note dall’impresa derivanti dalle polizze in essere
(contrattualizzate in prestazioni garantite, etc.). L’impresa, ad esempio, vende delle polizze
per le quali sa già che nell’esercizio futuro dovrà corrispondere alcune somme parametrate
da alcune variabili finanziarie.
Riserve tecniche = Riserve premi + Riserve sinistri (o matematiche)

LE ATTIVITÀ
Lo stato patrimoniale delle assicurazioni comprende attività:
-patrimoniali: attività reali, strumenti finanziari, mutui e finanziamenti erogati, liquidità, ecc.
-tecniche: crediti verso altre assicurazioni, verso agenti, ecc.

L’attivo è connotato da investimenti tipicamente in obbligazioni. È maggiore nel ramo danni, per il
quale l’impresa assicurativa deve avere la possibilità di convertire in denaro facilmente le proprie
immobilizzazioni per far fronte a sinistri che possono manifestarsi improvvisamente. La necessità
primaria, soprattutto nel ramo danni, è che il grado di liquidità dell’attivo sia elevato; questo
spiega perché massimamente abbiamo investimenti in titoli, strumenti altamente liquidi. Nel ramo
vita, dove abbiamo strutture contrattuali che hanno spesso contenuto finanziario significativo, la
liquidità richiesta per gli investimenti nell’attivo è di minor priorità rispetto al ramo danni. Questo
per una maggiore prevedibilità delle prestazioni future legate al passivo, quindi nell’attivo
possiamo rischiare di più investendo anche in attività meno liquide, che comporterebbero un
rischio significativo nel caso in cui l’impresa assicurativa fosse chiamata a risarcire delle prestazioni
non previste.

Riassumendo:
Le attività patrimoniali rappresentano una copertura delle riserve tecniche e devono quindi essere
coerenti con il passivo in termini di solidità, redditività e liquidità. In particolare:
-Ramo danni: attività con liquidità relativamente più elevata e minore rischiosità, perché le
previsioni sull’andamento dei sinistri non sono sempre precise e costanti nel tempo; presenza di
crediti verso riassicuratori.
-Ramo vita: attività con liquidità minore e rischiosità maggiore, grazie alla più elevata prevedibilità
dell’andamento del passivo e dei sinistri (ricorso a tavole di mortalità).
-In generale, è rilevante il matching tra profilo temporale del passivo e dell’attivo (Asset-Liability
Management). In ambito assicurativo nasce questa modalità di gestione dei rischi: collegare
l’attivo al passivo.

PROFILI GESTIONALI
La gestione assicurativa può essere distinta in:
• Gestione tecnico-assicurativa
Rappresenta la componente tipica dell’attività assicurativa e si sostanzia in:
- Assunzione dei rischi puri, sostanzialmente la vendita di polizze assicurative, direttamente
o tramite reti di intermediari (agenti, broker, banche).
- Costruzione e gestione del portafoglio rischi (formare portafogli di clienti
matematicamente scorrelati tra di loro, ovvero non c’è una correlazione, sono solo pochi i

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soggetti che subiscono un danno, quindi per il principio di mutualità i premi raccolti
saranno sufficienti a ripagare il danno subito dai clienti dello stesso cluster).
- Cessione dei rischi ad altre compagnie (riassicurazione passiva). Cessione di parte del
portafoglio polizze a società di riassicurazione.
- Ispezione sinistri (fase preliminare per la il punto successivo).
- Valutazione e liquidazione sinistri.

• Gestione patrimoniale-finanziaria
- Attività di tesoreria, incasso premi, pagamento sinistri e gestione dei flussi finanziari
- Investimento delle riserve tecniche in attività finanziarie e reali

Modello economicità =
orientamento strategico
assunto dall’intermediario. A
seconda dell’orientamento
su cui fa perno l’attività
strategica degli intermediari,
possiamo identificare classi
di intermediari.

SGR: non prendono rischio


proprio, gestiscono il
patrimonio del fondo
comune, che non è suo, e si
fanno corrispondere delle fis
di varia natura, comunque
riconducibili a provvigioni.
Merchant banks: obiettivo strategico di acquisire partecipazioni per poi liquidarle. Puntano ad un
margine di plusvalenza che origina dalla differenza tra prezzo di vendita e di acquisto.
FCI: l’ammontare delle quote rappresenta il patrimonio comune, la cui valorizzazione segue il
valore degli strumenti sui quali la SGR ha investito. Ecco perchè si parla di passività di mercato.
SICAV/SICAF: strutture societarie la cui azione, quindi il passivo, riflette il valore degli strumenti su
cui la società ha investito la parte di patrimonio che ha raccolto sottoforma di capitale di rischio.
Imprese assicurative: a differenza degli altri intermediari, si caratterizzano per essere orientate alla
formazione di un margine assicurativo, dato dalla differenza tra i premi incassati (ricavi) e i sinistri
che devo risarcire, + i rendimenti che l’impresa assicurativa ottiene attraverso l’investimento nei
mercati finanziari per quell’inversione del ciclo produttivo che le consente di avere masse di
disponibilità ex-ante anche ingenti, successivamente veicolate perlopiù in strumenti finanziari.

9. I RISCHI DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI (CREDITIZIO)

I rischi vanno ad indentificare il business tipico dell’intermediario. L’intermediario finanziario va a


connotarsi come distinto soggetto rispetto alle società non finanziarie per fare perno su un
concetto di rischio che si declina in diverse categorie.
Gli intermediari finanziari hanno come obiettivo il perseguire l’equilibrio di gestione, ovvero le
condizioni necessarie e sufficienti perché l’intermediario mantenga nel tempo stabilità e
continuità di funzionamento.
Equilibrio in 3 dimensioni:

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1. economico: conseguimento nel tempo risultati economici atti a garantire stabilità e continuità in
termini di relazioni di scambio con i mercati. Il concetto di equilibrio economico fa strettamente
riferimento alla dinamica di costi e ricavi. Avere una dinamica stabile nel tempo permette di
evidenziare risultati economici netti stabili e non soggetti a volatilità, e pertanto condizione
ottimale per poter crescere di valore nel tempo.
2. finanziario: mantenimento equilibrio tra flussi in entrata e in uscita (b.p.) e tra struttura
dell’attivo e del passivo (l.p.). Concetto che attiene alla dinamica dei flussi finanziari in entrata e in
uscita; equilibrio finanziario à riferimento al necessario equilibrio tra flussi in entrata e in uscita
tanto nel breve che nel medio-lungo periodo.
3. patrimoniale: mantenimento dell’eccedenza stabile dell’attivo sul passivo.

IL SISTEMA DEI RISCHI TIPICI DELL’INTERMEDIARIO FINANZIARIO (CREDITIZIO)


Ha più senso far riferimento ad un intermediario creditizio (quindi implicito riferimento ad una
banca) perché la struttura tipica di una banca perché la struttura tipica di una banca è del tipo
banca universale, quindi è prevalentemente intermediario creditizio ma fa anche altre attività
riconducibili ad intermediazione mobiliare, assicurativa, offrendo anche servizi ausiliari rispetto
all’attività principale. Si comporta anche come investitore istituzionale (per conto proprio investe
sui mercati finanziari prendendo posizioni a rischio), ha delle partecipazioni comportandosi come
merchant bank, e ricorre anche a strumenti finanziari sia in termini di negoziazione sia in termini di
assunzione a rischio; assume posizione su strumenti derivati.
Tutte le attività espongono l’intermediario creditizio ad una serie di rischi. Data la già vista
distinzione tra rischio puro e rischio finanziario, qui siamo nell’ambito dei rischi finanziari. La
distinzione faceva perno sulla prevedibilità, sul grado e sulla relazione che sussiste con le
dinamiche di variabili economiche à l’operatività di un intermediario finanziario creditizio si va a
configurare come una serie di posizioni che in maniera diretta o indiretta si relaziona con
dinamiche di mercato (es. posizioni attivo/passivo legate all’andamento dei tassi di interesse del
mercato monetario, operazioni correlate all’evoluzione dei prezzi di mercato degli strumenti
finanziari, oppure prende posizione su valuta estera quindi evoluzione del tasso di cambio).
Il criterio che seguiamo per procedere ad una mappatura dei rischi tipici a cui si espone
l’intermediario: identificare i fattori che nel tempo che incidono sulla variabilità del reddito netto
economico, variabile che meglio sintetizza tutte le attività (o in termini relativi il ROE, o il ROI).
Quindi identificando i fattori che più impattano sulla variabilità del reddito, identifichiamo le
categorie principali di rischi cui si espone l’intermediario:

Rischi reddituali (influenti sul livello e variabilità del reddito)


Rischi di controparte:

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- Rischio di credito
- Rischio di regolamento
Rischi di mercato:
- Rischio di interesse
- Rischio di cambio
- Rischio di prezzo
Rischi operativi
Rischi di variazione del livello generale dei prezzi: rischi legati all’andamento dell’inflazione.
L’andamento dell’inflazione in sé si lega poi ad altre dinamiche, ribaltandosi anche sulle altre
tipologie di rischio.

1) Rischi operativi: categoria residuale, classe di rischi che ha come elemento caratterizzante il
fatto di manifestarsi come un evento slegato da dinamiche di mercato e quindi di difficile se non
impossibile previsione. Eventi non legati a fattori a variabili di mercato. Es. caso opposto:
prevedere l’evoluzione della dinamica dei tassi di interesse mi permette di posizionarmi per
neutralizzare i possibili movimenti avversi dei tassi. Così non posso fare per alcuni fattori che si
presentano come eventi, def. matematica, stocasticamente inaccessibili. Ciò richiama tutti gli
eventi che si presentano improvvisamente, con una certa intensità e che producono delle perdite.
A differenza delle altre tipologie di rischio, per questa abbiamo una situazione in alcuni contesti
simile a quella dei rischi puri, che si presentano improvvisamente senza possibilità di previsione.
DEF rischi operativi: Categoria residuale relativa ad eventi la cui manifestazione non è
riconducibile a variabili di mercato. Rischi non legati a fattori, variabili di mercato. Rischi connessi
ai processi gestionali.
- Rischio legale: ad esempio avere delle controversie (di carattere civilistico, penale) di tipo legale
legate all’operatività. Riferimento all’eventualità che la banca chiamata in causa civile o penale
debba rispondere, traducendosi in una perdita diretta.
- Rischio informatico: riferimento alla robustezza di tutta la struttura hardware e software di cui si
deve dotare un intermediario finanziario. Il cyber risk è riconducibile al rischio informatico; la
banca d’Italia ha messo in evidenza l’importanza per le banche di dotarsi di strumentazione per il
monitoraggio di attacchi hacker. Sia la normativa che le società di consulenza stanno lavorando
per offrire servizi di questo tipo alle banche. IPOTESI: i sistemi software non sono in grado di
processare tutte le operazioni, nel momento in cui c’è un malfunzionamento dovuto all’assetto
informatico, abbiamo sia una perdita diretta sia una per la mancata operatività legata al
malfunzionamento. Rischio informatico è per sua natura operativo, in quanto slegato da
dinamiche di variabili di mercato; si manifesta improvvisamente, non può essere previsto così
come si fa in ambito di rischi finanziari.
- Rischio reputazionale: come si è percepiti sul mercato e l’impatto generato dalla reputazione
modificata a seguito di comportamenti poco leciti. Qual è l’impatto che si genera in termini di
reputazione che è riconducibile ad avvenimenti per i quali l’opinione pubblica tende a punire e
considerare poco affidabile l’intermediario finanziario? La quantificazione del rischio reputazionale
si fa con riguardo all’impatto sul patrimonio (quindi riduzione del valore del patrimonio
assumendo una valutazione al mercato) e quindi si va a cercare di isolare l’impatto della notizia
che modifica la reputazione e che si traduce in una variazione negativa dei prezzi.
- Rischi di frode e furto: impatto direttamente negativo, non si possono prevedere.
- Rischi di disfunzione dei sistemi di controlli interni: anche per l’effetto della normativa sono
previsti dei controlli interni per l’intermediario finanziario. In mancanza di un sistema di controllo
interno possono manifestarsi eventi potenzialmente ad impatto molto rilevante.

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2) Rischi di controparte: rischio che l’intermediario finanziario ha relativamente alla sua
controparte, rischio attinente all’ipotesi che la controparte non sia disposta o non possa assolvere
al proprio obbligo contrattuale (perché non in grado o non voglia) di:
a) Rimborso di capitale:
b) Pagamento degli interessi:
c) Regolamento connesso alla compravendita di valori mobiliari/valute (in generale di strumenti
finanziari)
nell’ambito di un’operazione creditizia (rischio di credito) o di negoziazione di strumenti finanziari
(rischio di regolamento).
Prime due tipologie vanno a connotare il rischio di credito. Vi è un rapporto di debito-credito: la
banca è creditrice, il soggetto che deve ripagare capitale e interessi è il soggetto debitore.
Terza tipologia: rischio di regolamento. Qui è differente lo status (collegato alla compravendita di
valori mobiliari e valute) rispetto al precedente, non abbiamo una posizione di credito-debito, ma
semplicemente due controparti con obblighi differenti: obbligo di consegnare lo strumento
finanziario e obbligo di pagare il controvalore. Nell’ipotesi in cui la controparte non adempia alla
propria obbligazione in termini di consegna o pagamento nell’ambito di un’operazione di
strumenti finanziari, si parla di rischio di regolamento. Nel momento in cui la controparte non
adempie e si attesta l’inadempienza tramite l’intervento dell’autorità giudiziaria, si apre
un’ulteriore tipologia di rischio, che è quello di credito: l’inadempiente diventa debitore, chiamato
a rimborsare o consegnare quanto dovuto.

2a) Rischio di credito: tipologia più importante riconducibile all’attività di prestito


Parlando di intermediari creditizi (banche), significa considerare la tipologia di rischio più
importante che oggi attiene alla gestione bancaria in senso stretto.
I problemi di controllo e remunerazione del rischio di credito sono inquadrati nell’ambito della
politica dei prestiti, definibile come l’insieme di decisioni che il soggetto bancario con riferimento
ad essenzialmente 4 aspetti:
a. Dimensione del portafoglio à soglia di accettazione riferita alla singola posizione di
affidamento. Quanto prestare, essenzialmente. I prestiti sono la categoria degli asset più rilevanti
in un’attività caratteristica di una banca che lavora nel settore del credito. Primo aspetto di
decisione è la dimensione del portafoglio perché date le risorse disponibili una banca può decidere
se espandere o ridurre i prestiti con risorse aggiuntive da veicolarsi su altre attività, ad esempio
investimenti in titolo obbligazionari. La dimensione si riflette poi nella quantità di esposizione al
rischio che ne deriva (rischio di credito).
b. Composizione del portafoglio à diversificazione per settore, per localizzazione geografica
(questi due riducono il rischio di credito a parità di condizioni), per forma tecnica dei prestiti (non
solo una forma tecnica di prestito, ma differenti). Non investire tutto in un solo paniere riduce il
rischio.
c. Criteri di affidamento à istruttoria e attribuzione rating in funzione capacità di rimborso o
sostituzione del debito, modalità di recupero. Sono tutte le decisioni, analisi di carattere
quantitativo, contabile, finanziario, qualitativo che prende il nome di istruttoria di fido e
attribuzione del rating finale. Giudizio di sintesi che ci dice l’affidabilità del soggetto richiedente
credito, sia in fase di erogazione che nel successivo monitoraggio per rilevare possibili segnali di
rischio.
d. Pricing à determinazione premio al rischio (in funzione probabilità di insolvenza e stima perdita
attesa) e condizioni. Determinazione di quella remunerazione da riconoscere alla banca a
compensazione del rischio che si assume prestando denaro. Pricing significa determinare un
prezzo (è il tasso sul prestito) che dovrà crescere in funzione del rischio assunto. Questo è il

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principio di carattere generale che attiene alla funzione di utilità di un soggetto, che è
positivamente correlata al rendimento e negativamente correlata al rischio. A parità di condizioni
e assumendo avversione al rischio, è ragionevole assumere che il rendimento atteso di un
investimento dovrà crescere più che proporzionalmente rispetto alla crescita del rischio, a
compensazione del maggiore rischio assunto rispetto rispetto ad un’alternativa priva di rischio.
Questo gap che misura la compensazione del rischio assunto prende il nome di premio al rischio. Il
pricing è il principio che vuole una compensazione per il rischio assunto, qui parliamo di rischio di
credito, quindi la logica che sta dietro la definizione del prezzo del prestito segue la stessa
impostazione, ovvero il tasso crescerà in funzione del rischio di credito assunto dalla banca stessa.
Il prezzo deve essere abbastanza elevato da compensare il rischio assunto dalla banca.

Il rischio di credito oggi è riconducibile alla perdita attesa, ovvero quanto una banca si attende di
perdere relativamente ad un’esposizione nei confronti di un soggetto. La perdita attesa è funzione
di tre componenti, non solo della probabilità/rischio di insolvenza:
a. Probability of default (PD) à probabilità di insolvenza del debitore (misura il rischio di
insolvenza). Probabilità di insolvenza: probabilità che si possa verificare il mancato pagamento di
interessi e capitale.
b. Loss given default (LGD) à perdita percentuale sul credito in caso di insolvenza (misura il tasso
di recupero). Qui incidono ulteriori variabili riconducibili a garanzie. Maggiore il grado di liquidità
dell’attivo di bilancio del soggetto debitore, maggiore è il tasso di recupero. LGD è il complemento
a 1 del tasso di recupero. Il tasso di recupero è quanto generalmente la banca è in grado di
recuperare sulla base di vari elementi, soprattutto guardando alla serie storiche.
c. Exposure at default (EAD) à ammontare del credito utilizzato dal debitore al momento
dell’insolvenza (misura il livello di esposizione).
PD e LGD sono valori espressi su base annua. La perdita attesa è la previsione che faccio su un
orizzonte predefinito ad un anno relativamente ad una posizione assunta; l’anno successivo la
banca deve fare lo stesso esercizio, EAD potrebbe diminuire e bisognerebbe ristimare PD e LGD.
Quindi PD e LGD devono essere parametrate ad un orizzonte temporale predefinito, tipicamente
posto pari ad un anno.
La perdita attesa assoluta (expected loss, EL) è pertanto: EL = PD × LGD × EAD
Esempio: PD = 6%, LGD = 40%, EAD = 50.000 €
EL = 6% × 40% × 50.000 € = 1.200 €
Per questo cliente l’accantonamento perdite su credito è 1200 €, ma questo nell’ipotesi in cui
effettivamente la perdita stimata corrisponda ad esattamente quanto previsto. La perdita attesa è
una variabile stocastica, non deterministica, ovvero il valore medio è expected, ma può variare
rispetto al valore medio atteso. Se abbiamo una perdita effettiva ex post superiore a quanto
atteso, allora il maggior importo della perdita deve trovare compensazione nel patrimonio. Ecco
perché l’importanza di legare la perdita inattesa alla dimensione del patrimonio di vigilanza
secondo quanto prescritto in tema di Basilea 2. Il patrimonio di vigilanza è determinato con la
finalità di essere sufficientemente capiente per coprire le perdite inattese, quindi legando il
patrimonio al rischio. Posso fare attività molto rischiosa, prestando a soggetti con PD elevata, ma
posso farlo se ho patrimonio abbastanza elevato per coprire la perdita inattesa, cioè quanto può
essere maggiore la perdita rispetto al valore atteso.

Rischio di credito: il pricing


Per determinare il prezzo corretto che dovrebbe essere assegnato ad un prestito, si dovrebbe
seguire una logica risk-neutral. Questa logica risuona come neutrale al rischio, che in prima analisi
potrebbe contrastare con l’avversione al rischio prima citata dicendo che deve esserci una

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compensazione del rischio assunto perché un soggetto è disposto ad assumere rischio se è
sufficientemente remunerato. Risk-neutral attiene alla prospettiva che un soggetto, la banca, deve
assumere quando valuta due ipotesi: l’ipotesi in cui non ci sia alcuna assunzione di rischio, e
l’ipotesi in cui c’è una posizione a rischio. Con questa logica, il prezzo ip dovrà essere di un livello
tale da compensare il rischio della posizione assunta soggetta al rischio di credito, e questo tipo di
esercizio viene fatto in termini comparativi rispetto all’altra alternativa, che è quella di un
ipotetico investimento in attività priva di rischio if.
Operando in logica risk-neutral, la definizione del tasso di un prestito (pricing), ip, si fonda
sull’equivalenza tra il montante di un investimento effettuato al tasso target privo di rischio (if) e il
montante del prestito medesimo, soggetto a rischio di insolvenza e di recupero:
1 + if = (1 – PD) (1 + ip) + (1 – LGD) PD (1 + ip)

Montante del prestito Montante del prestito


andato a buon fine in caso di default

Spiegazione equazione: un soggetto (banca) che assume una logica risk-neutral. Lato sinistro:
abbiamo un investimento in un’attività priva di rischio che consente di ottenere un montante su
base annua pari a 1 + if . Di sicuro il tasso di un’attività priva di rischio sarà basso rispetto al tasso
associato ad un’attività rischiosa. Lato destro: risultato associato ad un investimento rischioso,
l’erogazione di un prestito ad un soggetto il cui rischio è quantificato tramite PD e LGD. Devo
stimare il valore atteso di un’attività rischiosa, e siccome in termini di default abbiamo due eventi
(default e non default), quantifico il risultato atteso come media ponderata dei due payoff.
Risultato caso default: (1 – LGD) PD (1 + ip)
1 + ip = fattore di capitalizzazione con ip incognito, moltiplicato per il tasso di recupero 1 – LGD,
perché gli interessi matureranno solo sulla parte recuperata. Moltiplicato per PD, perché va a
misurare la probabilità associata all’evento default. Quindi riassumendo: gli interessi maturati sul
tasso di recupero, ponderato per la probabilità associata all’evento default.
Risultato caso non default: (1 – PD) (1 + ip)
1 – PD = probabilità di sopravvivenza. Nel caso di non default il risultato sarà il montante di un
prestito andando a buon fine con 1 + ip = fattore di montante. Probabilità con cui si manifesta
questo risultato: 1 – PD.
à Quindi valore atteso come media ponderata 1 + ip e (1 – LGD) (1 + ip), i pesi sono le rispettive
probabilità 1 – PD e PD. Parte destra formula: valore atteso relativamente all’investimento in
attività rischiosa, nel nostro caso erogazione del prestito.
Abbiamo specificato una variabile ip incognita: per il principio della logica risk-neutral, in equilibrio
il nostro soggetto deve essere indifferente, in termini di valore atteso, tra un investimento in
attività priva di rischio e in attività rischiosa, perché ip è di dimensione tale da compensare il
maggior rischio assunto nell’attività di prestito. Ora bisogna determinare quel tasso ip che
consente di far valere l’uguaglianza.

2b) Rischio di regolamento


NB: non ci riferiamo ad un rapporto debito/credito, ma ci sono delle prestazioni che devono
essere erogate in forza di un contratto preesistente: la controparte della banca dovrà consegnare
strumenti finanziari o pagare, la banca simmetricamente è acquirente e la sua obbligazione è
quella di pagare o consegnare lo strumento finanziario. La banca adempie alla sua obbligazione,
ma la controparte no: nasce un rischio di regolamento.
L’esposizione al rischio di regolamento dipende da:

81
a. Contestualità effettiva delle controprestazioni. La contestualità perfetta non esiste quasi mai
per ragioni tecniche, generando problemi di disallineamento nell’adempimento delle proprie
obbligazioni. Se non c’è contestualità, il rischio di regolamento si può trasformare in rischio di
credito con possibili problemi di recupero del credito.
b. Scadenza temporale dell’esecuzione del contratto (pronti o termine). In caso di insolvenza della
controparte, si può sostenere un costo di sostituzione della controparte. Tale costo può risultare
più elevato nel caso di operazioni a termine.
Il problema del rischio di regolamento si moltiplica quando abbiamo scadenze temporali differenti
(es. operazioni pronti o termine). Nel disallineamento degli orizzontali temporali delle
controprestazioni si insinua il rischio.

3) Rischi di mercato: distinguiamo tra rischio di interesse, rischio di cambio, rischio di prezzo
Facciamo riferimento alla variabilità riconducibile a tassi di interesse, tassi di cambio e prezzi di
strumenti finanziari e come impattano su reddito, principali fonti di reddito di un intermediario
creditizio ma anche in termini di valore dell’intermediario stesso.
Riconducibili ai fattori che condizionano il valore atteso di un’attività, passività o dell’impresa nel
suo complesso. In questo modo superiamo la definizione iniziale di rischio, considerando non solo
l’impatto in termini economici (sul reddito netto) ma anche in termini patrimoniali (perché
soprattutto la variabilità dei tassi di interesse, ma anche dei tassi di cambio e dei prezzi, impattano
sui valori dell’attivo e del passivo di un intermediario e poiché il valore di mercato di un
intermediario è comunque riconducibile all’eccedenza dell’attivo sul passivo).
Consideriamo i fattori che impattano sulla variabilità del reddito netto, ma anche sul valore delle
attività, delle passività e quindi anche dell’intermediario/impresa nel suo complesso.
Si connotano per il fatto di avere relazioni con dinamiche di mercato: sono variabili economiche
che incidono sulla dimensione del rischio specifico, pertanto se l’intermediario finanziario è in
grado di studiare e capire quali sono le dinamiche di questi fattori di rischio è possibile prevedere
l’evoluzione e l’impatto del rischio medesimo.

3a) Rischio di interesse


Immaginiamo l’evoluzione dei tassi di interesse di mercato: che tipo di impatto e di quale
dimensione possiamo aspettarci sulle dinamiche economiche di un intermediario finanziario?

La gestione del rischio di interesse da parte dell’intermediario


La prima fase è quella di misurare il rischio, e siccome l’obiettivo della direzione generale è quello
di avere dimensione sui possibili impatti che derivano da movimenti avversi dei tassi di interesse,
in questa fase è posta molta attenzione all’evoluzione dei tassi. Strutture a termine dei tassi di
rendimento (interesse): ovvero identificare i valori medi sul mercato dei tassi di interesse per
diverse scadenze, a vista, a un giorno, a una settimana, a un mese, fino ad arrivare a scadenze
molto lunghe. Sono scadenze relative a strumenti negoziati sui mercati. La struttura a termine è
una fotografia dell’offerta dei rendimenti medi che ci sono sui mercati, intendendo per mercati gli
strumenti finanziari da cui si derivano le valorizzazioni dei tassi. Quando un intermediario deve
gestire il rischio di tasso di interesse, deve partire da una conoscenza adeguata della term
structure e della sua evoluzione. La domanda che deve porsi l’intermediario che vuole gestire il
rischio di tasso di interesse è, conoscendo la term structure, che tipo di movimento subirà la term
structure nelle sue differenti scadenze? Il movimento dei tassi può infatti essere di varia natura.
Capire i movimenti che possono verificarsi in futuro, che tipo di impatto possono esercitare sulle
varie dimensioni economiche, finanziarie e patrimoniali del nostro soggetto. Qual è l’approccio per
fare questo tipo di valutazione?

82
1. Riclassificazione delle poste di bilancio, che generano direttamente il margine di interesse
(attività fruttifere e passività onerose), sulla base della possibilità di variazione del relativo tasso
d’interesse entro l’orizzonte temporale prescelto per l’analisi del rischio:
a. operazioni sensibili (il tasso di interesse può variare à attività che fruttano interessi indicizzati a
tassi variabili, attività i cui interessi attivi sono legati ad un parametro indicizzato. ES. i prestiti,
loans fruttano interessi che possono essere quantificati per il tramite di tassi variabili. Es. mutuo la
cui rata è indicizzata all’Euribor, tasso di interesse di mercato. Tassi variabili in forza della
variabilità del parametro di indicizzazione; i tassi si muovono giorno per giorno, quindi anche le
rate si muovono in funzione dell’evoluzione dei tassi. Quindi se le rate sono indicizzate a tassi
variabili, gli interessi seguono l’andamento dei tassi. Se i tassi aumentano, devo pagare interessi
maggiori e la banca incassa interessi attivi più elevati).
b. operazioni non sensibili (il tasso rimane fisso). à Può accadere che la posta frutta interessi
attivi, determinati con un tasso fisso che non varia al variare dei tassi di mercato, perché è
contrattualmente fissato ad un certo valore ES. mutuo a tasso fisso. Questa seconda ipotesi
potrebbe comunque essere inserita come operazione sensibile, perché quando devo capire quali
sono le attività e passività sensibili ai tassi, il concetto di sensibilità è condizionato all’orizzonte
temporale che specifico. Se io dico il mio orizzonte è ad 1 anno, guardando a scadenze di 1 anno
devo estrapolare tutte le poste attive e passive i cui interessi possono modificarsi in funzione della
variabilità dei tassi. Vado ad includere i tassi variabili ma anche le attività e passività (il cui tasso
pur essendo fisso) scadono prima dell’orizzonte temporale predeterminato. È ugualmente
sensibile perché dopo che l’operazione scade (es. un’attività con interessi attivi), viene rinegoziata
una nuova attività sempre a tasso fisso, ma i tassi saranno modificati. Quindi il tasso sarà
anch’esso più alto pur essendo costante.
OP. SENSIBILE: tasso variabile + op. che scadono prima dell’orizzonte temporale predeterminato.
Bisogna capire quali sono le classi di attività e di passività che sono soggette a variazioni collegate
a dinamiche di tassi di interesse: attività e passività che sono sensibili ai movimenti di tasso. Un
primo tentativo, approccio nel misurare l’impatto dei movimenti avversi dei tassi di interesse è
quello di capire che tipo di impatto noi (come intermediario) potremmo avere sul margine di
interesse. Questo è un primo approccio che si concentra solo su una variabile economica, il
margine di interesse. Esercizio per misurare il potenziale impatto che i tassi di interesse possono
generare sul margine di interesse (interessi attivi – interessi passivi). Ci sono delle poste attive e
passive che sono sensibili ai movimenti dei tassi di interesse, perché ci sono delle attività che
originano, fruttano interessi attivi; chiaramente se i tassi si muovono, per esempio al rialzo, e
queste attività sono legate a tassi variabili, gli interessi attivi aumenteranno. Se invece i tassi si
riducono, gli interessi attivi ridurranno la loro dimensione media. Analogamente per le passività,
dove abbiamo poste legate ad interessi (passivi) variabili. Se i tassi aumentano, gli interessi passivi
aumentano; viceversa se i tassi si riducono, gli interessi passivi si riducono. Analizzando le poste di
bilancio, bisogna capire quali sono tutte le voci che possono essere riconducibili ad attività e
passività sensibili, tutto il resto lo valutiamo come non sensibile.

2. Determinazione del maturity GAP = AV − PV rispetto all’orizzonte temporale predeterminato.


La ragione per cui faccio questa estrazione delle poste direttamente legate all’evoluzione dei tassi
di interesse: il mio obiettivo è di misurare l’impatto sul margine di interesse (interessi attivi –
passivi) e semplifico questa stima considerando anche la dimensione di tutte le poste attive e
passive cosiddette sensibili. Andrò a ragionare sulla dimensione complessiva degli interessi attivi e
passivi. Se faccio questo tipo di operazione, è dimostrabile che la quantificazione dell’impatto che
origina da movimenti attesi dei tassi di interesse si può ottenere semplicemente concentrando

83
l’attenzione sul margine di interesse. Siccome esso è funzione delle attività e passività sensibili,
tanto vale concentrarsi sulla differenza tra attività e passività sensibili, che è il gap. GAP = AV – PV.
V indica variabile; ma è un concetto di variabilità che indica sia tassi variabili sia attività e passività
che scadono prima dell’orizzonte temporale di riferimento e saranno rinegoziate ai nuovi tassi
variati. Il secondo step è quindi la determinazione del GAP.

3. Scelta della strategia di gestione


È una gestione di tipo Asset and liability management (ALM). Ne avevamo già parlato a proposito
dello stato patrimoniale delle assicurazioni e la stretta corrispondenza che deve sussistere tra gli
elementi del passivo (riserve tecniche) e le attività, investimenti collegati alla natura e tipologia
delle polizze assicurative i cui premi sono, nelle forme delle riserve tecniche, collocate nel passivo.
Questo obbliga a fare una gestione integrata attivo-passivo (ALM). Storicamente le tecniche di
ALM nascono in ambito assicurativo. Strategie possibili:
a) immunizzazione: GAP = 0. Una scelta può essere di immunizzarsi dalle variazioni del tasso di
interesse. Se il gap misura la differenza tra le attività e passività sensibili, e noi ragioniamo in
termini di variazione attesa del margine di interesse, avere un gap nullo equivale ad immunizzarsi
dai movimenti avversi dei tassi di interesse. Infatti gap nullo significa attivo sensibile = passivo
sensibile, e quindi l’incremento degli interessi attivi è compensato dall’incremento degli interessi
passivi. Il margine di interesse non varia. Analogamente la riduzione degli interessi attivi è
compensata dalla riduzione degli interessi passivi. Anche in questo caso il margine di interesse
rimane costante. Questa è la strategia più semplice, perché l’intermediario non si preoccupa della
previsione dei tassi e qualunque sia il movimento dei tassi esso si immunizza. In questo modo non
vi è il beneficio di movimenti dei tassi che possono elevare il margine di interesse, ma il prezzo del
mancato profitto incrementale connesso ad una capacità previsionale dei tassi ha come
contropartita positiva eliminare alla radice movimenti avversi, in parte negativi sul margine di
interesse à immuni dal rischio di tasso di interesse.
b) Gestione del GAP in funzione delle previsioni dei tassi di mercato.
Prevedo l’andamento dei tassi di interesse e vado a posizionarmi in modo tale da elevare il
margine di interesse. Identifico le poste attive e passive, misurarne l’impatto in termini di
variazione del margine di interesse e scelgo come posizionarmi e quindi fare attenzione al gap.
c) Ricorso a strumenti derivati.

Immunizzazione viene utilizzata? Forse da qualcuno sì, ma la maggior parte degli operatori cerca di
fare una gestione attiva del gap à se l’intermediario è bravo a prevedere l’andamento dei tassi e a
quantificare l’impatto su poste attive e passive, allora può fare una gestione attiva del gap,
spostandosi da gap positivo/negativo a seconda della variazione dei tassi. Quindi se mi attendo
una variazione dei tassi al ribasso ΔT conviene un gap negativo, liquido attività sensibili per
investire in attività non sensibili oppure aumento le passività sensibili, per fare in modo che il gap
sia negativo.

Il controllo del rischio di interesse: Maturity GAP Analysis


MI = Ta × (AV+AF) – Tp × (PV+PF)
ΔMI = ΔTa × AV – ΔTp × PV
se ΔTa= ΔTp = ΔT (variazione tassi uniforme):
ΔMI = (AV − PV) × ΔT = GAP × ΔT

84
ES: GAP <0 e ΔT e ΔMI in attesa al
rialzo. Se i tassi scendono,
scenderanno gli interessi sia attivi che
passivi. Ma poiché gap<o, vuol dire
che la dimensione del passivo è
superiore a quella dell’attivo. Quindi
in termini assoluti la riduzione degli
interessi passivi sarà superiore a
quella degli interessi attivi, con
risultato netto che il margine di
interesse (int. attivi – passivi)
registrerà un incremento.

Spiegazione prima equazione.


Il margine di interesse è la differenza tra interessi attivi e interessi passivi. Interessi attivi sono
connessi a poste sensibili, le quali possono essere a tasso variabile e a tasso fisso (di attività che
scadono prima della scadenza). Analogamente per gli interessi passivi. Posso calcolare per attività
e passività un unico tasso, che posso determinare come tasso medio ponderato. Quindi tutti gli
elementi dell’attivo avranno tassi diversi ma posso calcolarne uno come media ponderata, dove i
pesi solo le valorizzazioni al mercato delle attività.
MI = tasso attivo unico medio ponderato × poste sensibili dell’attivo che sono AV e AF – (passività
a tasso variabile + passività a tasso fisso) × Tp
(PV+PF) è l’aggregato su cui vanno a maturare interessi passivi al tasso Tp.
Seconda equazione: qual è la variazione del margine di interesse ΔMI a variazioni dei tassi attivi e
passivi? Mi concentro sulla variazione dei tassi. ΔTa × AV perché mi concentro solo su quelle
attività sensibili alla variazione attesa ΔTa, e che per semplicità identifico solo con AV ma so che
AV include sia attività il cui tasso è per definizione contrattuale variabile, ma anche quella parte di
attività a tasso fisso che scadono prima dell’orizzonte temporale di riferimento. Stesso
ragionamento per gli interessi passivi: ΔTp × PV. Variazione sui tassi passivi × parte delle passività
sensibili alla variazione dei tassi passivi (passività indicizzate a tassi variabili e passività a tasso fisso
che scadono prima dell’orizzonte temporale).
Terza riga à ulteriore semplificazione: assumiamo ipotesi di una variazione dei tassi c.d. uniforme.
Significa che la variazione che mi attendo sui tassi è di dimensione uguale per i tassi attivi come
per quelli passivi. Questo porta alla quarta equazione. So che il termine in parentesi AV – PV è il
gap. Quindi concludo che la variazione del margine di interesse è approssimabile al prodotto tra
gap e la variazione dei tassi.

85
2° modello in tema di misurazione e gestione del rischio di tasso di interesse: DURATION GAP
Il maturity gap (1° modello) non considera gli effetti delle variazioni dei tassi d’interesse sui valori
di mercato dell’attivo e del passivo bancario, in quanto si concentra solamente sull’impatto
relativo al margine d’interesse nel conto economico.
Per valutare, invece, l’effetto delle variazioni nei tassi d’interesse sullo stato patrimoniale e in
particolare sul valore economico del patrimonio netto si ricorre al duration gap.
Il focus dell’analisi si sposta sul valore economico del patrimonio che corrisponde al valore attuale
netto dei flussi di cassa futuri derivanti dalle attività e dalle passività della banca. Su tale valore
incidono le variazioni dei tassi di interesse, sia perché modificano l’ammontare dei flussi di cassa,
sia perché comportano l’utilizzo di tassi di attualizzazione diversi nella valutazione di attività e
passività.

SPIEGAZIONE DAL MATURITY GAP AL DURATION GAP: anziché ragionare sull’impatto, sulla
variazione del margine di interesse del conto economico, il duration gap considera l’impatto dei
tassi di interesse su tutte le poste dell’attivo e del passivo includendo sia l’impatto sul margine di
interesse ma anche sul valore dell’intermediario nel suo complesso. Se quindi consideriamo il
valore del patrimonio di un intermediario come la differenza tra l’attivo e il passivo valorizzato al
mercato, il ragionamento con duration gap è di determinare la sensibilità del valore di mercato di
ciascuna posta dell’attivo e del passivo e, in ipotesi di variazione dei tassi, quantificare l’impatto
sul valore del portafoglio dell’attivo e sul valore del portafoglio del passivo. Ci chiediamo come
varia il valore delle singole poste dell’attivo e del passivo, sensibili ai tassi, a variazione dei tassi.
Ragionando per il tramite delle duration, determino la variazione attivo – passivo prodotta dalla
variazione dei tassi.

Duration GAP analysis


Lo stato patrimoniale della banca è assimilato ad un portafoglio di attività finanziarie costituito
mediante l’apporto di mezzi propri e l’emissione di passività finanziarie.
Il valore degli elementi di stato patrimoniale attivi e passivi non è tratto dalla contabilità
tradizionale a costi storici, ma deriva da un sistema contabile a valori di mercato (“mark to
market”) nel quale la valutazione delle attività e delle passività è effettuata attraverso
l’attualizzazione dei flussi di cassa futuri da esse prodotti (per capitale e interessi) e utilizzando
come fattore di attualizzazione il tasso di mercato e non il tasso storico al quale l’operazione è
stata conclusa.
L’esposizione al rischio di interesse è rappresentata dalla variazione del valore netto del
patrimonio al variare dei tassi di mercato.

Maturity gap: impatto sul valore del margine di interesse.


Duration gap: impatto sul valore del patrimonio espresso a valore di mercato (concentrandosi
sull’aggregato attivo e passivo sensibili ai tassi di interesse, e misurare l’impatto in termini di
variazione di prezzo delle attività e delle passività). Ma se il patrimonio a valore di mercato non è
nient’altro che la differenza dei valori espressi a mercato attivo e passivo, calcolare le variazioni a
seguito di variazione dei tassi per il tramite della duration porta a quantificare l’impatto in termini
differenziale sul valore di mercato del patrimonio.
Quindi con duration gap si supera il limite di maturity gap perché si considera l’impatto sul valore
complessivo del patrimonio; ma sempre trattiamo il tema della misurazione dell’impatto sulle
poste che originano dal tasso di interesse. Si ragiona sempre il tema di rischio di tasso di interesse.

3° approccio: MODELLISTICA VALUE AT RISK (VaR)

86
Approccio più sofisticato, ragiona in modo completamente diverso e lo fa in termini probabilistici.
A seconda dei precedenti approcci, consente di misurare il potenziale impatto negativo che origina
da diverse tipologie di rischio (non solo rischio di tasso di interesse, ma anche quello di prezzo, di
cambio, di credito). È la modellistica più complessa, ma anche la più utilizzata a livello operativo
perché consente di quantificare l’impatto di tutte le tipologie di rischio prima identificate.
Il VaR quantifica la massima perdita possibile, su un orizzonte temporale predefinito, in termini
probabilistici. Il risultato di questo modello è in termini probabilistici e a discrezione del valutatore
(es. determino massima perdita al 99%, ma rimane un 1% in cui la perdita può eccedere quanto
detto). Partendo dal presupposto che il capitale è una risorsa scarsa, i principali utilizzi della
modellistica VaR sono:
a. misurazione e controllo dei rischi del portafoglio di negoziazione (rischi prima citati);
b. fissare limiti attribuiti ai singoli desk delle trading room (operatori che si dedicano alla
negoziazione sui mercati finanziari hanno un limite fissato in termine di VaR);
c. misurazione e controllo dei rischi di credito;
d. misurazione e controllo delle performance: gli indicatori di redditività corretta per il rischio. Le
performance che possono originare dalle varie business unit rappresentano la parte ascrivibile al
rendimento. Si determina quindi una misura del rendimento c.d. corretta per il rischio, facendo il
rapporto tra quel rendimento per il rischio assunto, e così si riesce a comparare i vari risultati in
termini omogenei e relativi rispetto al rischio che le varie posizioni si sono assunte;
e. adeguatezza patrimoniale e allocazione del capitale a copertura dei rischi.

MODALITÀ DI CALCOLO DEL VaR: L’APPROCCIO VARIANZE-COVARIANZE


*** Spiegazione a lezione
L’approccio base implementato in logica VaR fa leva sulla matrice varianze-covarianze.
Varianza: misura la dispersione del rendimento rispetto al valore medio. Deviazione standard:
facendo la radice della variazione, ottengo una quantificazione più vicina in ordine di scala al
rendimento. Se con varianza e deviazione standard considero il rischio specifico di ogni titolo, la
covarianza misura come si comuovono i titoli due a due (si parla infatti di matrice varianza
covarianza, i cui gli incroci quantificano come si comuovono un titolo rispetto all’altro. Gli incroci
sulla diagonale principale, che mostra gli incroci perfetti con lo stesso titolo, equivalgono alla
varianza).
Attraverso il computo del rischio specifico, quindi della deviazione standard, e anche dei
comovimenti, si riesce a quantificare un VaR di portafoglio. Esso non è l’equivalente della somma
dei singoli VaR associati a ciascun titolo/posizione, ma tiene conto dei comovimenti per il tramite
delle covarianze.
Altra ipotesi fondamentale: i fattori di rischio si distribuiscono seguendo una distribuzione
normale. Distribuzione normale: è la rappresentazione classica a campana.
Immaginiamo il rischio collegato alla variabilità dei prezzi, quindi del rendimento dei titoli azionari.
μ = media dei rendimenti.
σ = deviazione standard, variabilità del rendimento stesso.
Se ragioniamo in termini standardizzati, la media assume valore nullo. Assume distribuzione
normale, vuol dire assumere che la variabilità del rendimento è descritta così: può assumere
variazioni al rialzo e al ribasso. L’area sottesa dell’integrale (di Gauss) mi dice che avrò il 50% delle
probabilità che il rendimento vada al rialzo (lato dx), 50% che vada al ribasso (lato sx).
Ciò si basa sulla distribuzione normale del mio fattore di rischio.
Ragionamento in termini di intervalli di confidenza: quanto è il campo di variazione del
rendimento? Posso ragionare in termini di variabilità intorno al μ (per simmetria) e facendo così,
ragionando in termini del rischio come variabilità intorno al valore medio atteso (=0 caso

87
standardizzato), posso ragionare in termini di variabilità tra + σ e – σ, perché il rendimento può
essere più alto o più basso rispetto al valore medio atteso.
Fare così è come calcolare l’integrale
definito tra – σ e + σ. Il risultato è
l’intervallo di confidenza. Dal punto di
vista finanziario, equivale a dire che se
mi concentro su un rischio la cui
variabilità è nell’ordine di +/- 1σ,
equivale a considerare il 68% dei casi.
Posso poi estendere ad un campo
maggiore (+/- 1,96 σ): intervallo di
confidenza = 95%.
Tornando all’approccio VaR: massima perdita potenziale fissato un orizzonte temporale di
riferimento e predeterminato un intervallo di confidenza à posso chiedermi qual è la massima
perdita al 95%, usando in questo caso +/- 1,96 come multiplo di σ. Tuttavia se facessi questa
operazione (considerassi i multipli dell’intervallo di gauss cui corrispondono le tabulazioni dei
valori, es. 95%) andrei a quantificare un rischio in modo inappropriato. Questo perché considero
rischio tanto le variazioni al rialzo quanto quelle al ribasso. Per esempio, in ipotesi di acquisto di
titoli, il rischio è al ribasso dei prezzi. Quando uso 1,96, tiene fuori la coda destra e sinistra. La coda
destra estrema positiva, equivalendo ad un rischio positivo poiché vi corrisponde un rendimento
più alto, non la prendo in considerazione. Dirò quindi che con multiplo 1,96 copro il 95% dei casi +
il 2,5% (coda sx). Nelle tabelle delle probabilità e rispettivi multipli, non si considera il rischio
positivo; leggermente differenti dalle tabulazioni di Gauss. Esempio: multiplo 1σ, non considero il
rischio positivo, nello spazio di probabilità considero dallo scenario negativo (coda estrema
negativa) fino ad 1σ, che equivale all’84% come area sottesa fino ad 1σ (non più 68%).

I valori dei multipli di σ da selezionare con associati i rispettivi livelli di confidenza prescelti sono
quindi i seguenti (diverse dai multipli originali di Gauss):

***

Quindi riprendendo l’approccio varianze-covarianze (slides):


1. Ipotizza che i fattori di rischio si distribuiscano seguendo una distribuzione normale.
2. Stimati i parametri statistici media e deviazione standard, si associa ad un determinato livello di
confidenza un multiplo di quest’ultima. Calcolo la massima perdita potenziale associata ad una
posizione, con criteri che possono variare a seconda della scelta dell’intervallo di confidenza. Tutto
varia in funzione del multiplo n del σ (importanza hp di lavoro della distribuzione normale).
3. Per determinare il VaR di portafoglio non si sommano i singoli VaR ma si considera anche la
matrice delle correlazioni per tenere conto dell’effetto diversificazione.

Il livello di confidenza è determinato sulla base dell’ipotesi che la funzione di distribuzione dei
valori di mercato della posizione da valutare sia “normale”.

88
Considerando ad esempio uno scostamento dalla media pari a + o - σ, la probabilità che il valore di
mercato si mantenga in detto intervallo è pari al 68% dei casi e quindi nel 32% dei casi la variabile
avrà valore distante dalla media maggiore della deviazione standard σ.
Calcolando un intervallo di 2 volte la deviazione standard σ, la probabilità che i valori di mercato
siano compresi in tale intervallo è pari al 95,4% dei casi.
Se la finalità è determinare le perdite potenziali, ogni posizione è di fatto esposta solo a metà della
distribuzione di probabilità e cioè alla metà che provoca uno scostamento negativo per la
posizione assunta: la metà destra per una posizione corta (es: vendita «allo scoperto», ovvero
vendere delle azioni senza possederle à si prendono a prestito per venderle – oggi – e comprarle
successivamente sul mercato per restituirle) e la metà sinistra per una posizione lunga (es:
acquisto di azioni).
Quindi, nel primo esempio, la probabilità di scostamenti negativi dalla media maggiori della
deviazione standard è solo del 16% e il rischio è coperto nell’84% dei casi (68% + 16%).

La determinazione del VaR


(ci occupiamo solo di VaR di posizione singole, tralasciando il VaR di portafoglio e quindi anche
delle covarianze). In formule, il Valore a Rischio di una posizione si determina applicando la
seguente formula:
VaRi = VMi × ni × σi
Dove: VM è il valore di mercato della i-esima posizione
n è il multiplo delle deviazioni standard: incrementandolo aumenta la probabilità che la perdita
attesa sia contenuta entro il valore stimato (livello di confidenza)
σ è la deviazione standard del fattore di rischio
Il risultato è la quantificazione della massima perdita a vari livelli di probabilità (da cui prendo il
corrispondente multiplo).

ESEMPIO
Si detengono in portafoglio azioni Alfa per un valore corrente di €1.000.000. La deviazione
standard giornaliera del prezzo delle azioni è stimata pari a 2,1%. Si calcola il VaR supponendo un
livello di confidenza del 95%:
VaRi = VMi × ni × σi
dove: 1. VM = € 1.000.000 2. n = 1,65 3. σ = 2,1%
VaR =1.000.000 × 1,65 × 2,1% = 34.650 €
La massima perdita su un giorno in cui posso incorrere nel 95% dei casi è pari a 34.650 €.
La perdita può eccedere con probabilità complementare al livello prescelto di probabilità stessa
(perdita maggiore con p = 5%).

Il VaR e il suo utilizzo nella determinazione dei limiti di rischio


Ai vari operatori viene riconosciuta ampia possibilità di operare sui mercati ma nei limiti VaR. Il
VaR viene utilizzato per definire i limiti massimi di rischio cui sono esposti i desk che negoziano
titoli per conto di un intermediario finanziario.
L’operatore deve scegliere tra le diverse attività disponibili, selezionando quella con il maggior
rapporto tra utile atteso e VaR.
L’ammontare massimo investibile in un’attività rischiosa i sarà quindi pari a: VMi = VaRi /(ni × σi ). Il
massimo deriva quindi dai limiti VaR assunti.

89
DEV ST: Valorizzazioni in termini di scostamento
medio dal rendimento atteso (calcolabile su base di
osservazione storiche o prospettiche)

Risultato: massimo ammontare che può investire

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CORPORATE FINANCE
Elementi base per una gestione finanziaria che consenta di mantenere l’azienda in una situazione
di equilibrio gestionale. È importante occuparsi della gestione finanziaria perchè se è corretta, crea
valore per l’impresa.

1. LA PROGRAMMAZIONE FINANZIARIA
L’EQUILIBRIO GESTIONALE DELL’IMPRESA
Per creare valore l’impresa deve riuscire a mantenersi in condizioni di Equilibrio Gestionale:
Equilibrio economico
• Capacità di generare un risultato netto di esercizio mediamente positivo (utile), stabile nel
tempo e in linea con i livelli di remunerazione attesa dai portatori di capitale di rischio (patrimonio
netto).
– il RN tramite la gestione caratteristica operativa deve essere in grado di remunerare
adeguatamente tutti i fattori produttivi e i rischi sostenuti dai finanziatori (creditori che finanziano
esternamente e proprietari che detengono il capitale di rischio). Facciamo riferimento agli
stakeholders, ovvero i detentori di interessi differenti che ne beneficiano laddove il valore
dell’impresa venga generato.
Equilibrio finanziario
• Capacità di far fronte in via continuativa e in modo puntuale alle uscite di cassa connesse alla
gestione operativa e finanziaria (sia nel breve che nel medio-lungo termine).
– deve esserci una coerenza soprattutto in via prospettica, ma anche guardando lo storico, tra
l’ammontare dei flussi di cassa generati dalla gestione operativa e il (i) fabbisogno richiesto dalla
crescita degli investimenti e (ii) quello richiesto dalle esigenze di rimborso e remunerazione dei
finanziatori.
Con questo equilibrio puntiamo l’attenzione sulla capacità di generare cash-flow, di autogenerare
flussi di cassa che permettono di far fronte alle fuoriuscite di denaro connesse ad un programma
di investimenti e al rimborso dei debiti.
Equilibrio patrimoniale
• Struttura finanziaria equilibrata à nel passivo abbiamo le fonti di finanziamento: debito e
capitale proprio. Il punto è dove collocare quell’ipotetica linea di confine che li separa: con il
teorema di Modigliani-Miller daremo una risposta. Utilizzo controllato della leva finanziaria.
• Coerenza tra la struttura delle passività (forme tecniche di finanziamento) e le caratteristiche
dell’attivo.

L’equilibrio gestionale può essere ottenuto facendo leva in modo combinato su:
• Corretta impostazione della gestione operativa (commerciale e produttiva). Concentrarsi sulla
gestione commerciale, industriale produttiva in modo tale da controllare il risultato in termini di
ricavi e di controllo dei costi che permette di generare quell’equilibrio economico prima citato
• Corretta impostazione della gestione finanziaria. Sia in termini di struttura patrimoniale
adeguata con la composizione ideale di debito ed equity sia di gestione integrata attivo-passivo.
Contemporaneamente essere in grado di far fronte alle uscite di m/l termine e avere una struttura
coerente finanziamenti e investimenti. La gestione finanziaria risulta essere funzionale rispetto agli
obiettivi della gestione operativa dell’attivo.

IL FABBISOGNO FINANZIARIO E LA SUA COPERTURA


• La crescita dell’azienda genera due tipologie di investimenti:
– Investimenti in capitale fisso (impianti, immobili, attrezzature ecc.)

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– Investimenti in capitale circolante operativo (scorte di magazzino e crediti alla clientela).
• Fabbisogno finanziario: complesso di risorse monetarie e finanziare indispensabili per assicurare
il corretto esercizio dell’attività d’impresa.
• Il fabbisogno finanziario dipende inoltre da altri elementi oltre che gli investimenti:
– dilazioni di pagamento concesse ai clienti
– dilazioni ottenute dai fornitori
– diversa distribuzione temporale del flusso dei costi e dei ricavi
Le fonti di finanziamento vengono classificate in:
• fonti di finanziamento interno
– autofinanziamento: rappresentato dagli utili conseguiti nel corso dell’attività aziendale, non
distribuiti agli azionisti ma reinvestiti nel ciclo produttivo. È il reddito netto che viene reinvestito
nell’attività aziendale ed entra a far parte del ciclo produttivo.
• fonti di finanziamento esterno
– capitale proprio: rappresenta l’apporto finanziario conferito dai soci dell’impresa, ossia da quei
soggetti legati alla stessa da rapporti di proprietà e/o controllo
– capitale di terzi: costituisce una fonte di finanziamento concessa all’impresa da soggetti esterni
alla compagine sociale:
o Forme di finanziamento per finanziare il fabbisogno finanziario di breve termine:
§ Operazioni di smobilizzo (sconto cambiario, anticipi sbf su ricevute bancarie e
fatture). Smobilizzo è da intendersi l’anticipazione di un documento che può essere
un titolo di credito come la cambiale, o una ricevuta bancaria o fattura, ma l’aspetto
comune è quello di farsi anticipare il credito al netto di commissioni e interessi che
possono essere pagati in via anticipata o posticipata.
§ Operazioni di prestito (finanziamenti a scadenza fissa o in conto corrente)
§ Factoring…
o Forme di finanziamento per finanziare il fabbisogno finanziario di medio- lungo termine:
§ Mutui
§ Leasing…

IMPOSTAZIONE DELLA GESTIONE FINANZIARIA


Obiettivo: rappresentare la dinamica finanziaria dell’impresa nel perseguimento dell’equilibrio
gestionale esaminando:
1. Divario tra entrate ed uscite di cassa nel breve periodo
2. Coerenza della struttura finanziaria dell’impresa
3. Relazione tra rendimento reale e/o nominale del capitale investito e costo reale e/o nominale
delle risorse finanziarie utilizzate (il rendimento che origina dall’attività caratteristica tipica
d’impresa deve essere in grado di coprire la remunerazione delle risorse finanziarie e in più,
possibilmente, creare valore quindi essere di una dimensione più che in grado di compensare il
costo delle risorse finanziarie)
4. Relazione tra dinamica finanziaria e sviluppo aziendale nel tempo. Facendo delle proiezioni dello
sviluppo aziendale devo capire quale deve essere la dinamica finanziaria più adeguata per
sostenerlo e renderlo concretamente realizzabile.
à Necessario pervenire ad un modello semplificato in grado di coniugare i diversi aspetti
dell’intera dinamica finanziaria.

MODELLO DI EQUILIBRIO FINANZIARIO DINAMICO DELL’IMPRESA


Il modello vuole rispondere a 2 domande:

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1. Le risorse finanziarie autogenerate dalla gestione aziendale (utili netti reinvestiti nel processo
produttivo) sono sufficienti a coprire il fabbisogno finanziario connesso agli investimenti
programmati?
2. Lo sviluppo aziendale programmato è coerente con le condizioni economico-finanziarie attuali e
prospettiche dell’impresa? Se io riesco a descrivere dinamicamente l’evoluzione della mia impresa
in termini di piano di investimento e quantifico la necessità di ricorrere ad un indebitamento
esterno, risulta ragionevole un piano strategico di questo tipo? Infatti lo sviluppo aziendale
potrebbe essere insostenibile perché sarebbe insostenibile il peso di un debito molto elevato per
far fronte alle esigenze di copertura finanziaria degli investimenti.

Il problema è di natura dinamica, cioè andiamo a risolverlo anno per anno. È un discorso
intertemporale, perché la soluzione di un periodo successivo risulta essere strettamente legata a
quello precedente. Noi per semplificare ci concentriamo in un periodo essenzialmente.
CI: concetto di capitale investito strettamente correlato all’attività caratteristica dell’azienda,
ovvero devo togliere tutte le voci nell’attivo che non sono strettamente correlate all’attività
caratteristica (che non hanno a che fare coi ricavi caratteristici dell’attività d’impresa).
Investimenti: consentono di svolgere i processi produttivi caratteristici e con ciò generando ricavi.
Il problema che risolve questo modello è: guardare T1 (sguardo prospettico) e quantificare un
piano di investimenti tale da far crescere CI per una dimensione pari a ∆𝐶𝐼 ed elevare con ciò il
totale del CI. Di conseguenza saranno necessarie nuove fonti di finanziamento che cresceranno per
∆𝐹𝐹. Il punto è capire da cosa esso sarà rappresentato, debito o mezzi propri o un mix, perché nei
mezzi propri passando da un anno all’altro andiamo ad includere anche quella componente di
autofinanziamento. Quindi il ∆𝐶𝐼 potrebbe essere anche direttamente compensato
dall’autofinanziamento. Bisogna quindi quantificare ∆𝐶𝐼 e capire se le risorse autogenerate sono
in grado di coprire quanto ci è richiesto. Per quanto l’azienda non è in grado di coprire si ricorre ad
un debito esterno.

Logica: noi siamo al tempo T0, la fotografia è da una parte il capitale investito, dall’altra le fonti di
finanziamento utilizzate a copertura nel capitale investito. È quindi ovvia l’equivalenza fra attivo e
passivo, sia in senso statico che dinamico (se in T1 prevedo un incremento di investimenti ∆𝐶𝐼
analogamente dovrà crescere la dimensione delle fonti di finanziamento ∆𝐹𝐹).

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T0 :
ulteriore suddivisione degli
investimenti e delle fonti di
finanziamento in due
categorie.
T1 :
non ragiona di ∆ ma solo di
aggregati del bilancio (a
differenza della
rappresentazione
precedente). ∆𝐶𝐼 𝑒 ∆𝐹𝐹 li
andrò a determinare per
differenza dei valori T1 – T0.

∆𝐶𝐼 = ∆𝐹𝐹
𝐶𝐼 = 𝐴𝐹 + 𝐴𝑅 à ∆𝐶𝐼 = ∆𝐴𝐹 + ∆𝐴𝑅
𝐹𝐹 = 𝐷 + 𝑀𝑃 à ∆𝐹𝐹 = ∆𝐷𝐸𝐵 + ∆𝑀𝑃
∆𝑀𝑃 è il risparmio (risorse autogenerate) perché esso è equivalente al delta incrementale dei
mezzi propri (NB: il reddito netto va ad entrare nel patrimonio netto). La grandezza è una
grandezza di flusso, S.
∆𝐴𝑅 sono gli investimenti, entrano con segno negativo. Quindi ritroviamo lo stesso concetto di
saldo finanziario, con eccedenza del risparmio rispetto agli investimenti.
Calando nella realtà aziendale: mi dice che devo porre in confronto gli investimenti programmati
per quell’anno I con le risorse, risparmio accumulato l’anno precedente. La differenza quantifica il
saldo finanziario.
𝑆𝐹 = ∆𝐴𝐹 − ∆𝐷𝐸𝐵 à riequilibrio del divario S – I. Se S > I riequilibrio con nuovi investimenti o
pagamento dei debiti, aumentando ∆𝐴𝐹 o riducendo ∆𝐷𝐸𝐵. Se S < I (saldo finanziario negativo,
deficit finanziario), riequilibrio liquidando ∆𝐴𝐹 o incremento il debito.
Il modello di equilibrio finanziario dinamico è la rappresentazione più articolata del concetto di
saldo finanziario.
A noi interesserà la quantità SF che indica quel delta incrementale o decrementale del debito che
anno dopo anno si manifesta in funzione delle scelte strategiche riconducibili al piano di
investimenti e della capacità di autogenerazione dei flussi finanziari S, quindi l’autofinanziamento.

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T1: prevedo un incremento di 50 degli
investimenti. Per questo le AR da 150
passano a 200.

L’aumento di 50 delle FF compensa


l’aumento di 50 del CI.

Finanzio gli investimenti incrementando


per 40 il debito e con autofinanziamento
pari a 10.
- 40 = SF che è uguale all’incremento del
debito. SF mi indica che per quell’anno
incrementerò il debito per 40.

Non è un modello di previsione in senso stretto di quello che ci aspettiamo succederà. Ma è un


modello di equilibrio, che mi indica quali dovrebbero essere le condizioni per mantenere l’impresa
in condizioni di equilibrio finanziario, ma siccome alcune quantità derivano da scelte strategiche è
allo stesso modo anche un equilibrio strategico e quindi gestionale.

• S è il risparmio generato dall’impresa e utilizzato per coprire i nuovi investimenti à capacità di


autofinanziamento.
• I sono gli investimenti programmati à variazione di CI.
• SF è il Saldo Finanziario ed esprime la “variazione finanziaria netta” di periodo, ovvero il riflesso
finanziario derivante dalle scelte dell’impresa relative agli investimenti strategici à flusso di cassa.

Da S – I devo individuare le variabili


che mi consentono di quantificare la
capacità di autofinanziamento ecc…

FRt-1 = flussi reinvestibili. Le risorse, flussi finanziari che possono essere reinvestiti a
compensazione almeno a quota parte delle risorse finanziarie che mi servono per gli investimenti
programmati.
La quantificazione degli investimenti segue una logica di connessione che ipotizziamo sussista tra
gli investimenti e il fatturato (cioè quantificare un ammontare di risorse in funzione del fatturato).
Questo perché stiamo cercando di capire quante risorse da investire per ottenere un certo
fatturato atteso. Posso aumentare il fatturato solo se investirò in modo adeguato. Il concetto di
capitale investito supera la definizione contabile per arrivare ad una definizione di capitale
investito in senso strategico, cioè quel capitale che appartiene sia al capitale fisso, circolante,
operativo strettamente collegato alla realizzazione del fatturato e quindi direttamente correlato ai
processi produttivi caratteristici dell’azienda.
Vt – Vt-1 = crescita del fatturato attesa, è una quantificazione in termini assoluti del fatturato.
Questo lo lego all’investimento in capitale che mi serve per ottenere quel fatturato à
l’ingrediente fondamentale è l’intensità di capitale.

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Queste 3 variabili mi servono per rappresentare il flusso di cassa del periodo al tempo t: mi
attendo una situazione di surplus finanziario con FC > 0 (posso usarlo per ripagare il debito o per
nuovi investimenti) o FC < 0 che è l’indebitamento incrementale che deve essere coperto. Laddove
FC < 0 ipotizzo che quel valore negativo vada ad aggiungersi al debito pregresso. FC negativo è
stima del debito incrementale previsto per quell’anno, che deriva dal raffronto tra la capacità di
autofinanziamento e quanto complessivamente richiesto come sviluppo atteso delle vendite.
FC negativo indicata l’indebitamento incrementale ed è il valore adeguato, idoneo, corretto tenuto
conto della capacità di autogenerare risorse finanziarie e del fabbisogno finanziario complessivo
che mi serve a fronte dello sviluppo del fatturato atteso. Es: FC = - 30 à per quell’anno per
mantenere l’impresa in condizione di equilibrio finanziario la stessa impresa dovrebbe
incrementare il debito per quel valore. Questo modello evita il rischio di eccessivo indebitamento,
perché mi dà una stima del valore ideale di indebitamento legandolo ad un ragionamento reale. È
un concetto che fa andare di pari passo i circuiti, i flussi reale con quelli finanziari. L’impresa si
indebita esattamente ad uno stesso valore rispetto a quanto richiesto dalle dinamiche dei flussi
reali (che sono gli investimenti).

• FR sono i Flussi Reinvestibili (CAPACITÀ DI AUTOFINANZIAMENTO) cioè quantità incrementale di


risorse generate, e quindi reinvestibili, nel periodo al netto del reinvestimento necessario per
mantenere invariata la capacità produttiva installata e lo stock dei fattori produttivi necessari:

sono le risorse finanziarie autogenerate che


vado a stimare secondo un approccio un po’
semplicistico.

• CI/V misura l’intensità di capitale data dal rapporto tra il capitale investito nell’impresa e relativo
fatturato V.
– CI è da intendersi come la somma delle immobilizzazioni nette operative (capitale fisso netto
operativo) connesse dunque all’attività tipica dell’impresa e del capitale circolante netto operativo
(CCN è l’investimento nelle attività correnti al netto delle passività correnti à magazzino + crediti
commerciali – debiti commerciali). Bisogna quindi esaminare le poste dell’attivo e filtrare tutti gli
elementi strettamente e direttamente collegati alla generazione del fatturato e quindi
appartengono alla gestione caratteristica.
CI = Imm. Nette + CCN
Con CCN = Magazzino + Crediti Commerciali – Debiti Commerciali
– Non rientrano nella nozione di CI gli investimenti reali, finanziari e immateriali che non
appartengono alla gestione tipica. [non c’è una regola generale, universale per quantificare CI,
dipende dalla struttura e natura dei processi produttivi tipici dell’azienda. L’esercizio di
imputazione degli investimenti al fatturato varia a seconda della tipologia dell’azienda e della
natura stessa del settore in cui opera.]
Considerazioni su CI/V
– I fattori che incidono sulla dimensione dell’intensità di capitale sono:
• natura e tipo di attività economico-produttiva svolta. Strutturalmente abbiamo imprese ad
elevata intensità di capitale (ratio molto alto, per avere un certo fatturato serve capitale di
dimensione significativa);
• tecnologia produttiva: può elevare o ridurre CI, perché talvolta un’elevata tecnologia non
richiede immobilizzazioni (e quindi investimenti) di importo elevato e quindi il numeratore tende

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ad essere contenuto. In altri casi le immobilizzazioni, e quindi gli investimenti in capitale fisso,
risultano prevalenti rispetto al capitale circolante e quindi il numeratore tende ad elevarsi.;
• il grado di integrazione produttiva e distributiva verticale: a parità di condizioni, una maggiore
integrazione produttiva porta a ridurre CI e quindi il ratio;
• il livello di efficienza nell'impiego delle risorse (ovvero la produttività);
• la forma contrattuale con cui l'impresa si procura la disponibilità dei mezzi di produzione:
proprietà o leasing/noleggio. Noi imputiamo al numeratore in base alle valorizzazioni collocate
nello SP. Gli impeghi dello SP sono di proprietà. Se il bene è utilizzato con forme di
leasing/noleggio posso artificiosamente distogliere quel valore e ridurre l’importo di CI.
– Come dato storico CI/V indica l’efficienza con cui l’impresa utilizza le proprie risorse nell’ambito
dei processi produttivi. Infatti:
questo dato ci dice quanto capitale ci serve (numeratore) per ottenere un certo fatturato
(denominatore). È come se determinasse quindi la capacità di generare fatturato con il capitale a
disposizione. In chiave storica, se il livello del ratio tende a ridursi è un segnale importante che
potrebbe denotare una maggiore efficienza nei processi produttivi; si riesce a combinare in modo
più efficiente le risorse produttive e con ciò a generare un maggior fatturato o, parità di fatturato,
richiede un capitale minore nel tempo.
– Come dato prospettico CI/V indica il fabbisogno finanziario per lo svolgimento dell’attività
economica. Infatti in chiave prospettica, quindi prevedendo negli anni l’andamento di CI/V vado a
quantificare quanto mi costa in termini di capitale investito richiesto un euro di fatturato. È il costo
unitario in termini di capitale investito per avere un euro di fatturato. Per quantificare
complessivamente quanto è il fabbisogno finanziario richiesto per lo sviluppo del fatturato per
quell’anno, lo moltiplico poi per Vt – Vt-1 (variazione assoluta attesa del fatturato).
CI/V: è la variabile più importante: svolge un ruolo potenzialmente arbitrario che fa variare di
molto anche le risultanze in termini del flusso di cassa (risultato dell’applicazione del modello).

• Vt – Vt-1 è una variabile input connessa alla previsione di crescita del fatturato.
Operativamente, si parte dall’ultimo dato storico su V e anno per anno si formulano previsioni di
! #!
crescita in termini di tassi di variazione (%): ! ! !"# = %
!"#
[si parte dall’anno 0 con un fatturato e lo si incrementa anno dopo anno per percentuali attese
della crescita]
Per calcolare Vt à Vt = Vt-1 (1+%)

• Moltiplicando CI/V per (Vt – Vt-1) otteniamo la stima del fabbisogno finanziario totale richiesto
legato allo sviluppo delle vendite atteso.
– CI/V da questo punto di vista rappresenta il fabbisogno finanziario “unitario” per unità
incrementali di fatturato (“quanti euro mi servono per un euro di fatturato”).
Quindi:
A. Da un lato abbiamo le risorse generate dall’impresa, FRt-1
B. Dall’altro sappiamo l’ammontare del fabbisogno finanziario complessivamente richiesto,
CIt / Vt x (Vt – Vt-1)
Il modello di equilibrio ci fa raffrontare il fabbisogno finanziario totale (entra con segna negativo
perché sono risorse finanziarie che ci servono) e le risorse reinvestibili all’inizio del periodo. La
differenza può essere:

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- devo indebitarmi

- break even finanziario: risorse


coprono il fabbisogno finanziario
complessivo
- oltre coprire il fabbisogno, ho un
margine da poter impiegare in nuovi
cicli di investimento

ESEMPIO NUMERICO

Se FC < 0 (in t+1), il nuovo debito sarà 2000 + il valore negativo di FC. Se FC > 0, il nuovo debito
sarà 2000 – il valore positivo di FC. Risultato: si prevede una crescita del 12% dell’indebitamento. Il
valore del debito che stimo per l’anno t + 1, non è la previsione di ciò che ragionevolmente mi
aspetto che accadrà, ma è la stima di un indebitamento ideale che dovrebbe essere quel valore da
utilizzarsi per mantenere l’azienda in condizioni di equilibrio strategico e finanziario (perché c’è
un’interazione stretta tra ipotesi strategiche in senso lato -il piano di sviluppo del fatturato-, e
l’evoluzione finanziaria -nel caso specifico FC che è l’evoluzione dell’indebitamento in senso
dinamico-).
L’impresa potrebbe decidere per quell’anno di indebitarsi per 300: potrei pensare che, nonostante
il modello stimi 239,09 come adeguato incremento però come imprenditore voglio essere più
prudente e avere maggiori risorse finanziarie e mi indebito quindi per un maggiore importo.
Questo si traduce in un comportamento più avventato, esponendosi in una posizione di rischio
maggiore elevando il debito rispetto alle condizioni ideali; potrebbe esserci quell’avvicinamento ad

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un eccesso di indebitamento. Se mi indebito meno di 239,09 non ho le risorse finanziarie per
coprire il fabbisogno finanziario complessivo e devo recuperarle in qualche modo: potrei chiedere
ai soci di mettere nuovo capitale o posso investire di meno (ciò però vorrebbe dire meno
fatturato).

CICLO DI VITA DELL’AZIENDA E PROFILO FINANZIARIO


La strategia di un’azienda ha come obiettivo principale il fatturato; l’azienda cresce in funzione
della capacità di generare fatturato (è chiaro che poi tutti gli altri elementi devono essere posti
nella giusta dimensione per capire se la capacità di generare fatturato è adeguata ai costi, agli
investimenti, alla struttura finanziaria dell’azienda). Il fatturato è la variabile target strategica che
incorpora la strategia delineata dal soggetto imprenditore.
Sul concetto di fatturato si poggia l’intera teoria del ciclo di vita dell’azienda con il correlativo
profilo finanziario. La teoria del ciclo di vita può essere riferibile ad un prodotto, ad un’area
strategica di affari, ad un’impresa nel suo complesso. L’impresa è rappresentabile secondo alcune
fasi in funzione dell’evoluzione del fatturato, perché ci si attende che all’inizio nella fase di
introduzione il fatturato sia basso ma crescente, poi si innesca un processo di crescita più che
proporzionale (la fase di crescita). Il punto di flesso è in concomitanza del break even finanziario,
per poi passare ad una crescita meno che proporzionale per attestarsi ad un tasso di crescita quasi
nullo (fase di maturità). Queste solo le 3 fasi cui segue anche un riposizionamento strategico (può
arrivare un declino in mancanza di quello). Con la simmetria tra ciclo di vita e l’evoluzione del
fatturato scandito nelle varie fasi si dà la possibilità di rappresentare l’evoluzione dell’analogo ciclo
finanziario in cui i flussi di cassa all’inizio sono negativi, c’è il punto di flesso (break even
finanziario) per poi passare a flussi di cassa positivi. I flussi di cassa tornano negativi in occasione
del riposizionamento strategico e l’avvio di un nuovo ciclo di vita e finanziario.

FASE 1: INT. DI CAPITALE decresce man mano l’impresa capisce come meglio combinare i fattori produttivi e
rendere più efficienti gli stessi processi produttivi. MARG. DI AUTOFINANZIAMENTO: poiché fatturato basso e
crescente. EVOLUZIONE STRUTTURA: non abbiamo un track record che consente di convincere un finanziatore
esterno a fornirci debito, quindi la richiesta di fonti di finanziamento si concentra su capitale di rischio. Quindi
leva finanziaria e indebitamento bassi ma crescenti man mano che passa il tempo, auspicabilmente il fatturato
cresce e il track record diventa positivo (si può convincere il finanziatore esterno a concedere debito). FASE 2:
INT. DI CAPITALE e MARG. DI AUTOFINANZIAMENTO arrivano ad un valore medio e si stabilizzano. Abbiamo il
punto di flesso in cui il fatturato inizialmente cresce in maniera più che proporzionale, tende a linearizzarsi, per
poi crescere meno che proporzionalmente: da flussi negativi a positivi. FASE 3: FATTURATO non cresce più anzi
se non mi riposiziono strategicamente tenderà ad avere un tasso negativo, quindi contrazione di fatturato.
EVOLUZIONE STRUTTURA: avvio di nuovi cicli strategici.

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Tendenzialmente le banche si collocano nella fase di crescita e mai presidiano la fase di
introduzione che è troppo rischiosa. Sono altri gli intermediari finanziari che erogano
finanziamenti prevalentemente sottoforma di capitale di rischio (private equity, venture capitalist,
business angel). Le cose sono cambiate per la natura di banca universale a offrire finanziamenti
anche sottoforma di debito per imprese start-up e quindi stanno presidiando anche la fase di
introduzione. Questo è lo specchio della natura universale delle banche: tendono sia ad operare in
termini di finanziatori esterni sia in termini di proprietari di capitale di rischio (offro finanziamenti
sottoforma di partecipazione azionaria) e in questo abbiamo un mercato dinamico in termini di
intermediari finanziari, abbiamo le banche tradizionali che operano nel settore dell’investment
banking insieme ad altri operatori (fondi di private equity, venture capitalist, business angels).

LA STRUTTURA FINANZIARIA OTTIMA


• Per struttura finanziaria si intende l’insieme delle fonti di finanziamento utilizzate da un’impresa
(guardiamo il passivo dello SP non in ottica contabile, ma come fotografia delle fonti di
finanziamento. L’obiettivo è capire il mix ottimale delle fonti di finanziamento che dovrebbe
essere utilizzato da un’impresa nel perseguimento del suo obiettivo à FF: debito + equity).
• Alcuni tra i fattori più importanti che influenzano (indirettamente) la struttura finanziaria sono:
– il tasso di sviluppo delle vendite future (le vendite sono il driver principale utilizzato dalla teoria
del ciclo di vita dell’impresa, con le fasi scandite sulla base dell’evoluzione di V);
– la stabilità delle vendite future: seguire un trend costante senza che vi siano dei cambiamenti e il
tasso di sviluppo del fatturato sia molto volatile;
– la struttura concorrenziale del settore;
– la struttura dell’attivo aziendale: connessione attivo e passivo, la richiesta di risorse finanziarie
aggiuntive deve essere collegata ad investimenti programmati nell’ambito della strategia
aziendale;
– la situazione di controllo e l’atteggiamento rispetto al rischio da parte dei proprietari e della
direzione;
– l’atteggiamento dei creditori verso l’azienda ed il settore.
La struttura finanziaria non può prescindere da elementi che impattano indirettamente (es.
dinamiche del fatturato), ma anche di sistema, quindi fattori esogeni, di contesto che impattano in
modo più o meno rilevante sulla struttura finanziaria d’impresa.
• Obiettivo: dare una risposta alle 2 seguenti domande:
1. Esiste una struttura finanziaria ottima?
2. Qual è il mix ottimale delle fonti di finanziamento che permette di avere una struttura
finanziaria ottima? Ovvero guardare lo SP, vedere le fonti di finanziamento e capire dove
idealmente conviene posizionare quell’asticella che separa il debito dall’equity.

La teoria di Modigliani-Miller è un punto di svolta fondamentale in tutta la teoria della finanza.


Prima del 1950 l’idea di non indebitarsi era considerata come la strategia migliore. Invece
indebitandosi in modo corretto e scientifico, l’azienda può disporre di una quantità di risorse
maggiori che, se opportunatamente investite, permettono di conseguire dei livelli di redditività tali
da coprire il costo delle risorse finanziarie prese a prestito e generare valore in misura maggiore
rispetto al caso di un’azienda che non si indebita. Il tema riporta al 1950 e rappresenta un
cambiamento filosofico che è stato rivoluzionario nel campo della finanza. Corporate finance
nasce con Modigliani e Miller.

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1. Esiste una struttura finanziaria ottima? Sì, ed è quella che permette di massimizzare il valore
dell’impresa. Parlare di struttura finanziaria ottima d’impresa equivale a determinare il mix
ottimale debito-equity che consente di massimizzare il valore dell’impresa.
2. Qual è il mix ottimale delle fonti di finanziamento che permette di avere una struttura ottimale?
La risposta va ricercata nelle determinanti che agiscono sul valore dell’impresa.

Valore dell’impresa: idealmente osserviamo lo SP e diamo valore all’insieme delle attività. Valutare
l’azienda vuol dire attribuire un valore agli elementi dell’attivo, ma si potrebbe vedere anche
l’elemento del passivo. Queste considerazioni portano a metodi differenti di valutazione
dell’impresa. Per quanto ci riguarda la determinazione del valore d’impresa farà perno sul
concetto del valore delle attività, ma guardare al valore delle attività vuol dire guardare anche al
valore delle passività (vale sempre il principio di equivalenza contabile, valore attivo=valore
passivo. Ma anche per come abbiamo impostato il modello dinamico, le fonti di finanziamento
sono strettamente legate agli elementi dell’attivo, con le risorse finanziarie nel passivo sono usate
per una serie di investimenti nell’attivo. Quindi quantificare gli elementi nel passivo e quindi
valorizzare le FF à la somma mi dà il valore d’impresa).

Step 1 – WACC costo complessivo medio ponderato delle FF


Si inizia con il considerare quanto ci deve costare il capitale complessivo, che è un concetto di
capitale che deve tenere conto di tutte le fonti di finanziamento, sia quelle sottoforma di debito
sia quelle sottoforma di equity. Il WACC è la quantificazione su base annua espressa in % di quanto
ci viene a costare l’insieme delle fonti di finanziamento.
Consideriamo il costo totale delle fonti di finanziamento (o costo totale del capitale), che si ottiene
come media tra:
a) Il costo connesso ai mezzi propri: redditività attesa degli azionisti. (soci, azionisti vanno a
contribuire con capitale di rischio, mezzi propri. A questi finanziatori interni verrà riconosciuta una
remunerazione, che è una redditività che l’azionista si aspetta come contropartita del proprio
investimento). Si instaura un rapporto di compartecipazione: il socio che acquista l’azione diventa
proprietario della società.
b) Il costo connesso all’indebitamento esterno tenuto conto dello “scudo fiscale”, al netto del
risparmio fiscale à gli interessi passivi sul debito sono deducibili ai fini delle imposte dirette
(pagando interessi passivi, questi possono essere portati in deduzione ai fini delle imposte dirette).
I creditori esterni ci concedono un debito, per l’azienda è un indebitamento esterno nei confronti
del quale si deve riconoscere una remunerazione, che per la stessa si qualifica come un costo
dell’indebitamento esterno.
Si instaura un rapporto di credito-debito, con il finanziatore esterno avente il diritto a ricevere la
remunerazione così come prevista contrattualmente e il rimborso del capitale a scadenza.
a) + b) à i soggetti che forniscono le fonti di finanziamento sono i soci e i creditori esterni.

à La media tra a) e b) è ponderata per le rispettive quote percentuali di Mezzi Propri e Debiti.

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à D: ci riferiamo al debito finanziario oneroso, quindi i debiti sui quali gravano gli oneri finanziari
(debiti onerosi per i quali pago interessi passivi). La prassi mi porta a porre attenzione, nella
quantificazione di D come quantità contabile, a considerare la posizione finanziaria netta. Cioè
prendo in considerazione i debiti finanziari a breve e medio-lungo termine e ci tolgo le liquidità
immediate. Quindi dobbiamo fare riferimento alla PFN, da un punto di vista contabile, piuttosto
che la somma dei debiti finanziari complessivi su cui gravano gli interessi passivi.
à Nella quantificazione contabile della 2^ componente delle fonti di finanziamento dobbiamo
calcolare il debito finanziario netto che in termini operativi richiama al concetto di PFN: prendo il
debito finanziario oneroso, tenuto conto delle componenti a breve e medio-lungo termine, e
decurtare la parte di liquidità immediata; con ciò quantificando il debito finanziario netto, trattasi
PFN. Tolgo le liquidità immediate a disposizione dell’azienda perché in teoria potrebbero essere
utilizzate per ripagare in parte i debiti finanziari in essere. Quindi nella quantificazione del costo
connesso all’indebitamento, la base di riferimento deve essere la PFN.

Il Costo totale del capitale – WACC (Weighted Average Cost of Capital) si ottiene come segue:
WACC = Ke * E /(E+D) + Kd (1-t) * D/(E+D)
Ke = costo del capitale proprio à cresce al crescere dell’indebitamento (aumenta il rischio e gli
azionisti richiedono un rendimento maggiore). È la redditività che l’azionista si aspetta
relativamente a quanto investe. Quindi lo si lega ad E, che è il capitale di rischio sottoscritto
dall’azionista.
Kd = costo del capitale di debito à cresce al crescere dell’indebitamento (aumenta il rischio di
insolvenza). È il costo dell’indebitamento è legato al debito D. È espresso in termini % su base
annua.
t = aliquota d’imposta marginale, che quantifica il peso in termini unitari delle imposte dirette
(abbiamo oneri finanziari collegati all’indebitamento esterno D. Poiché gli oneri finanziari sono
deducibili, dovrò nettizzare il loro costo riducendo in termini unitari in % l’ammontare Kd per (1-t).
Quindi riduco percentualmente il peso (la %) che quantifica su base annua il costo del debito.
E = valore di mercato dei mezzi propri
D = valore di mercato dell’indebitamento
WACC esprime in termini percentuali su base annua il costo del capitale totale, cercando di
determinarlo a valori di mercato (E e D non sono rappresentazioni contabili, ma devono essere
valutazioni al mercato). Valori espressi al mercato à l’ipotesi implicita da cui si muove la teoria di
Modigliani-Miller è che i mercati siano efficienti, e le valorizzazioni delle poste di bilancio siano
mark-to-market ovvero valorizzate al mercato (è come se l’impresa sia negoziata sul mercato e
quindi gli stessi elementi che vanno a valorizzare gli elementi dell’attivo e del passivo siano essi
stessi potenzialmente oggetto di negoziazione, e quindi hanno un valore di mercato. NON
approccio contabile).

Step 2 – Il Valore dell’Impresa


Il valore dell’impresa è il valore dell’attivo o del passivo, valendo l’equivalenza contabile. Quindi se
ci concentriamo sui due elementi debito ed equity, la somma delle due componenti quantificate al
mercato mi dà il valore dell’impresa. Questo perché la struttura ottima debito-equity è quel mix
che mi permette di massimizzare il valore dell’impresa, quindi cambiando le componenti cambiano
i valori, e sceglierò quel trade-off, composizione che mi permette di avere un D+E=valore impresa
massimizzato. Il concetto di massimizzazione del valore dell’impresa non è solo a favore di una
categoria dei soggetti interessati all’azienda (stakeholders), perché consideriamo il valore
dell’impresa che va a beneficio tanto degli azionisti quanto dei creditori esterni. Massimizzare il
valore d’impresa è a beneficio di tutti i soggetti che sono coinvolti nell’attività d’azienda.

102
Il valore di mercato dell’impresa viene determinato come somma di D ed E, questi ultimi calcolati
in logica di attualizzazione (infinita):
a) Il valore di mercato dei mezzi propri (E) viene visto come una rendita perpetua che riconosce
all’azionista un flusso costante ed “infinito” (ogni anno e ipoteticamente senza scadenza) pari ai
dividendi
K+-+*60*+
𝐸= L
formula per il valore di una rendita perpetua che riconosce all’azionista il flusso pari ai dividendi
'
Il valore di mercato dei mezzi proprio viene visto come una rendita perpetua, ovvero l’azionista
acquistando anche una sola azione, ha diritto ad un flusso costante ed infinito pari ai dividendi
(per un tempo infinitamente esteso à il concetto di infinito è da intendersi come estremamente
lontano nel tempo, quindi tendenzialmente infinito). Ogni anno, e ipoteticamente fino ad un
tempo senza scadenza, l’azionista riceve dei dividendi dal suo investimento. Per ogni azione
acquistata, ha diritto ad un dividendo.
Dividendi: quelli futuri in logica di attualizzazione.
Ke: rendimento riconosciuto all’azionista (%). Redditività riconosciuta all’azionista.
Riferimento all’attualizzazione: al numeratore ci sarebbe la sommatoria dei dividendi, al
denominatore i vari fattori di attualizzazione per i vari t all’esponente, fino ad un tempo infinito. È
quindi una valorizzazione in logica di attualizzazione: dividendi à futuri attualizzati. Tasso di
attualizzazione à esprime il rendimento dell’azione. In questo senso è un approccio utilizzabile
per valorizzare il prezzo atteso delle azioni e il prezzo atteso delle obbligazioni bond sul mercato
(punto b).

b) Analogamente, il valore di mercato dei debiti (D) viene visto come una rendita perpetua che
riconosce ai creditori un flusso pari agli oneri finanziari
M062+ /+0,01+,2+
𝐷= L (
Chi compra il debito (i creditori che concedono il finanziamento) ha il diritto ad ottenere un flusso
che ipotizziamo costante che equivale agli oneri finanziari. Sono oneri per l’azienda da riconoscere
ai creditori esterni. Nel caso precedente, i dividendi è quanto incassa l’azionista, qui gli oneri
finanziari è ciò che incassa il creditore. Allo stesso modo possiamo immaginare una scadenza
infinita, quindi una rendita perpetua che riconosce ai creditori questo flusso.
Kd: tasso che quantifica gli oneri finanziari, espresso in% e su base annua. Costo
dell’indebitamento esterno per l’azienda (redditività per i creditori esterni).
à La somma di a) e b) determina il valore di mercato dell’azienda V = E + D

In che modo cambiano i valori D e E e come impattano su V? Questo è l’oggetto di studio di


Modigliani e Miller.
C’è da tenere conto che se aumenta il debito, aumenta la rischiosità dell’azienda, il grado di
rischiosità percepito del mercato relativamente all’azienda. Aumenta la rischiosità, analogamente
aumenta il premio al rischio che deve essere riconosciuto ai finanziatori, sia agli azionisti che ai
creditori. Quindi Ke e Kd cresceranno al crescere dell’indebitamento, mentre l’impatto sul valore
d’impresa varia (considerare l’aspetto della deducibilità degli oneri finanziari). Ke e Kd sono quindi
funzioni della rischiosità dell’azienda.
Per capire come varia il valore V al variare di D/E è necessario identificare le determinanti che
incidono su V:
i. L’incremento del debito comporta un beneficio fiscale connesso alla deducibilità degli oneri
finanziari: il WACC diminuisce.

103
Spiegazione à aumentando il debito, aumenta la base di riferimento su cui gravano gli oneri
finanziari. Gli oneri finanziari aumenteranno e, essendo costi, ci porta a ridurre la base imponibile,
pago meno imposte: ho un beneficio fiscale.
ii. L’indebitamento produce un innalzamento oltre che del relativo costo (kd) anche della
redditività attesa degli azionisti (ke): aumentano i costi di fallimento e il WACC aumenta.
Spiegazione à l’indebitamento aumenta la percezione del rischio del mercato relativamente
all’azienda. Se aumenta il debito, bisogna capire se l’azienda è in grado di sostenere un
indebitamento via via crescente, perché si espone ad un rischio di insolvenza. L’incremento del
debito produce un incremento sia del costo del debito stesso Kd sia della redditività attesa degli
azionisti. Sia gli azionisti che i creditori esterni vogliono essere compensati per il maggior rischio
assunto. La remunerazione, sia in termini di remunerazione da riconoscere agli azionisti sia costo
del debito, crescerà al crescere del rischio. Quindi aumenta il debito e quindi aumentano Ke e Kd:
aumentano i costi di fallimento
iii. L’effetto combinato di i. e ii. produce un andamento del WACC convesso (andamento ad U
rispetto all’evoluzione D/E):

grafico con impatto di D/E


sugli elementi di costo di wacc

ASSE Y: WACC e gli altri elementi di costo K. ASSE X: vari valori di D/E in termini di leva finanziaria.
Parto da 0 e mi sposto verso destra: tende ad incrementare la leva finanziaria, il debito, il rischio di
insolvenza e i costi di fallimento aumenteranno.
WACC in un primo momento tende a decrescere perché il beneficio fiscale supera il costo del
fallimento (effetto di due forze contrapposte, una tende a ridurre e una ad elevare WACC). Fino ad
un certo livello l’impatto prodotto dal beneficio fiscale è superiore rispetto all’effetto prodotto
dall’innalzamento di Ke e Kd: WACC complessivamente decresce. Poi WACC tocca il punto di
minimo, poi cresce (quando l’impatto di Ke e Kd è superiore rispetto al beneficio fiscale i costi di
fallimento aumentano). 1° TEOREMA DI MODIGLIANI-MILLER: in ipotesi di mercati perfetti, senza
costi di transazione, è dimostrabile che l’andamento del valore dell’impresa tende ad evidenziare
questa tendenza, con il costo complessivo che tende a ridursi, tocca il punto di minimo e poi tende
ad elevarsi. È anche dimostrabile che nel punto minimo di WACC si colloca anche il valore massimo
dell’impresa. Perché: abbiamo detto che WACC decresce in un primo momento per l’effetto del
beneficio fiscale del debito e risale quando il costo in particolare del capitale proprio tende a più
che compensare il beneficio fiscale; i costi del fallimento tendono ad innalzarsi ad un livello tale
per cui WACC tende ad incrementarsi dopo il punto di minimo. Il livello di indebitamento D/E*
ottimale è corrispondente al punto di minimo di WACC perché lì abbiamo il valore dell’impresa
massimizzato.

• La Struttura Finanziaria ottima corrisponde al livello D/E che rende massimo il valore di V.
• In corrispondenza di tale livello, il WACC è minimo.

104
à Operativamente, il criterio utilizzato per determinare il D/E ottimo consiste, dunque, nel
ricercare il valore minimo del WACC.

Grafico seguente: impatto su V = E+D valutati al mercato.


Mettiamo in evidenza V rispetto all’indebitamento D/E, partendo da 0 ed elevando la leva
finanziaria. V viene scomposto in diversi elementi e come base abbiamo un valore di impresa non
indebitata (VN, costante). Se invece consideriamo l’ulteriore componente, ovvero un valore di
impresa indebitata, possiamo anzitutto chiederci cosa accadrebbe in ipotesi di assenza di costi di
fallimento à valore impresa = valore impresa non indebitata + valore scudo fiscale, cioè della
deducibilità degli oneri finanziari. Se non avessi l’impatto dell’incrementata rischiosità su Ke e Kd
sarebbe conveniente per l’azienda indebitarsi infinitamente: idealmente un’impresa che non ha
costi di fallimento incrementa il valore facendo leva sul suo debito. Quindi in ipotesi di assenza di
costi di fallimento, il valore cresce al crescere dell’indebitamento. Tuttavia tanto Ke quanto Kd
aumentano
all’incrementare del
debito, quindi V tenderà
a crescere fino ad un
certo punto, raggiunge il
punto di massimo, poi
decrescerà perché
aumentano i costi di
fallimento. Quindi la
differenza tra VN + VSF
(valore complessivo
impresa indebitata
senza costi di fallimento, c’è solo beneficio fiscale) e V (valore effettivo impresa che tiene conto
dell’impatto prodotto dall’innalzamento di Ke e Kd) mi dà i costi di fallimento.
Quindi il valore dell’impresa indebitata soggetta a costi di fallimento V = valore impresa non
indebitata + valore scudo fiscale (deducibilità interessi passivi) – valore costi di fallimento [perché
va a produrre un innalzamento di Ke e Kd che porta a flettere il valore].
Idealmente, posso spingere fino ad un indebitamento così alto che avere un debito nullo o averlo
molto alto porta ad una situazione identica, perché il valore è il medesimo. Ecco l’utilità di
Modigliani-Miller: trovare un trade-off tra debito ed equity in modo tale da trovare quella
combinazione ottimale che mi permetta di ottenere un valore dell’impresa c.d. massimo.

La Struttura Finanziaria ottima – esercitazione


L’azienda vuole capire quale è la sua struttura finanziaria ottima. Cerca di sviluppare le
considerazioni di Modigliani e Miller per trovare quel valore ottimo che permette di massimizzare
il valore dell’impresa. Finalità: applicazione del teorema di Modigliani-Miller, ovvero la
determinazione del livello ottimo di indebitamento (il livello ottimo di indebitamento è quello in
corrispondenza del quale il valore di mercato dell’azienda risulta massimizzato, ma è anche
corrispondente al valore del costo medio ponderato del capitale wacc che risulta minimizzato. In
effetti trovare il punto in cui wacc è minimizzato è lo stesso che trovare il punto in cui il valore di
mercato dell’azienda è massimizzato).
VC dell’impresa: 500.000 è il totale complessivo contabile dell’azienda.
Differenza tra valore contabile e valorizzazione al mercato. Al mercato: ipotesi che l’azienda sia
liquidabile sul mercato, quindi acquistabile a prezzi di mercato. Per valorizzare l’azienda a prezzi di
mercato ho necessità di input che mi permettano di capire come l’azienda è valutata sul mercato.

105
riferimento alle formule di E e D, calcolare il valore di un’azienda equivale a sommare il valore
degli elementi dell’attivo, che sono corrispondenti a quelle del passivo. Se nel passivo ho le fonti
di finanziamento mezzi propri e debito, devo valorizzare al mercato i mezzi propri e il debito, e
facendone la somma trovo il valore di mercato. L’assunzione è quella per la quale andiamo a
valutare a prezzi di mercato tenendo conto della remunerazione che è da riconoscere a:
- azionisti Ke - rendimento che si aspettano gli azionisti per il loro investimento sottoforma di
capitale di rischio. Ke cresce al crescere della rischiosità dell’azienda. È il riconoscimento di un
premio al rischio all’azionista, egli viene compensato da un maggiore rischio che si prende
nell’effettuare il suo investimento in capitale di rischio. Questo spiega perché aumentando la
percentuale di debito sul totale delle FF, il valore di Ke tende a crescere: aumenta il rischio, riflesso
del maggior indebitamento, e deve aumentare anche Ke.
- finanziatori esterni. Anche il debito deve essere espresso a valori di mercato. Immagiamo le
obbligazioni bond. I bond sono esattamente prestito, debito negoziato sui mercati. Quindi “D
valutato a valori di mercato” dobbiamo intenderlo come un’ipotetica obbligazione valutata al
mercato. Kd è la remunerazione richiesta dai bond holders, cioè i detentori del bond emesso
dall’azienda. Kd cresce al crescere del rischio, ovvero la remunerazione da riconoscere ai creditori
cresce aumentando il livello del debito (perché aumenta il rischio, deve aumentare il premio al
rischio e quindi Kd crescerà con il livello di indebitamento).
La valutazione che facciamo è in logica di rendita perpetua. Relativamente ai mezzi propri, chi
acquista l’azione ottiene come flusso finanziario il dividendo, che viene ipotizzato costante e
infinito. Si tratta quindi di attualizzare per un tempo infinito un flusso costante quantificato dai
dividendi. È come dire io azionista quanto incasso dal mio investimento fatto acquistando azioni.
Ottengo come rendimento, come cash flow derivante dal mio investimento il flusso di dividendi.
Siccome il tempo è infinito, si può calcolare il limite per t tendente all’infinito che si riduce ad una
rendita perpetua, ovvero ad una attualizzazione in cui al numeratore ho i dividendi e al
denominatore il tasso per la remunerazione del capitale proprio Ke. Quantifico quindi il valore di E
a prezzi di mercato. Analogamente procedo per il debito. Gli oneri finanziari sono il flusso
finanziario riconosciuto a chi ha investito in bond, in debiti (ai creditori). Kd è la remunerazione.
Anche qui si procede ad attualizzare per un tempo infinito un flusso costante di oneri finanziari, si
riduce ad una rendita perpetua e quindi ad una attualizzazione per un tempo infinito per la quale
abbiamo il rapporto tra OF (cash inflows degli investitori in bond) e Kd. Ottengo D valutato al
mercato. Il valore di mercato dell’azienda è la somma di E e D, che differisce dal valore contabile,
che è costante.
QUALE È LA % OTTIMA DI INDEBITAMENTO?
Per fare questo, si sviluppa una serie di ipotesi relative al rapporto di indebitamento espresso in
termini percentuali come D/(D+E), il peso percentuale del debito sul totale delle fonti di
finanziamento essenzialmente. Supponiamo valori ipotizzati compresi tra 0 e 50%.
Sono valori di libro, cioè valori contabili.
Si parte da 0 assenza di debito, fino ad arrivare al 50% (quindi 50% debito e 50% equity).
Da Modigliani-Miller: la struttura finanziaria di un’impresa non incide sul valore della stessa à
assumiamo che il reddito operativo sia costante alle variazioni dell’indebitamento, RO
indipendente dalla struttura finanziaria (120.000). Avendo a disposizione un capitale totale di
500.000, al di là del fatto che siano debito o equity, abbiamo un RO costante pari a 120.000.
In base ai livelli di indebitamento ipotizzati in %, calcolo i corrispondenti VC del debito e VC del
capitale azionario.
Oneri finanziari determinati in funzione del costo del debito Kd, che varia al variare
dell’indebitamento (Kd aumenta all’aumentare dell’indebitamento, quindi della leva finanziaria).
Oneri finanziari = costo del debito Kd x valore contabile del debito (VC del debito)

106
Kd e Ke: valori input. Il valore degli oneri è funzione sia di un incrementato Kd sia di un valore
contabile del credito che cresce in funzione della percentuale di debito sul totale delle fonti di
finanziamento.
Oneri finanziari: flussi da riconoscere ai creditori esterni.
DATO INPUT à Assumiamo che il valore complessivo contabile (tot attivo contabile) dell’impresa
sia 500.000. Le componenti di debito e di capitale azionario variano in funzione delle percentuali
che ipotizzo.
Reddito operativo – oneri finanziari = reddito ante imposte (RAI). Tende a decrescere man mano ci
spostiamo a destra, perché gli oneri tendono a crescere.
Ipotizziamo aliquota fiscale 35%, calcolo le imposte sulla base imponibile à 35% x RAI
Reddito netto = RAI – imposte
RN è considerato quale flusso pari ai dividendi. Nell’ambito della valorizzazione al mercato
dell’equity dell’azienda prescinde il fatto che siano o meno distribuiti, perché sono comunque da
riconoscere all’azionista. Consideriamo RN = dividendi. È come dire che RN è il flusso che viene
teoricamente riconosciuto agli azionisti. Non c’è distinzione tra RN e dividendo perché a livello
teorico tutto quanto il RN potrebbe essere distribuito sottoforma di dividendi.
Dividendi: elemento da considerare come rendita perpetua per gli azionisti. Flussi da riconoscere
agli azionisti. Li pongo uguali al reddito netto.
Riga verde: flussi totali per i finanziatori = dividendi + oneri finanziari. È la successione dei flussi
complessivi riconosciuti ai finanziatori (azionisti e creditori esterni). L’azienda riconosce
complessivamente dei cash flow pari a dividendi + oneri finanziari.
La composizione debito-equity varia in base alle % di ogni colonna. Questo mi permette di
calcolare ROE e ROI, utilizzando i valori contabili.
Costo del debito Kd à li prendiamo come dati input. I valori sono crescenti al crescere
dell’indebitamento, al pari del costo del capitale azionario Ke.
Dobbiamo riconoscere il risparmio fiscale. Quindi Kd deve essere nettizzato ipotizzando l’aliquota
di imposta 35%. Il valore di Kd da considerare nella determinazione di WACC come media
ponderata del costo del capitale proprio e del costo di capitale di debito è quello al netto del
risparmio fiscale.
Ke>Kd: (> leggasi strutturalmente superiore). Questo è corretto da un punto di vista economico-
finanziario. Il grado di rischio assunto da un’azionista è infatti superiore rispetto a quello di
un’obbligazionista, perché l’azionista può perdere tutto il capitale in caso di fallimento, invece chi
ha sottoscritto un’obbligazione (il finanziatore esterno) è in una posizione di privilegio nel riparto
dei fondi laddove ci fosse il fallimento (prima vengono rimborsati i creditori esterni, quando
residua viene riconosciuto agli azionisti). In funzione della maggiore rischiosità, il rendimento
richiesto dall’azionista deve essere maggiore del costo dell’indebitamento.
Ora posso procedere al calcolo del valore di mercato del debito e delle azioni (logica della rendita
perpetua).
VM delle azioni = dividendo/ke
VM del debito = oneri finanziari/kd
La somma dei due = valore di mercato dell’impresa
Aumentando il debito fino al 30%, aumenta il valore di mercato dell’impresa. Dopodichè con
ke=11% e kd=14,5% c’è sempre beneficio fiscale, ma pesa di più il passaggio di ke che porta ad
incrementare il costo, che è un costo molto alto dovuto alla componente dei costi di fallimento,
cioè il mercato chiede una compensazione del rischio molto alta che si traduce in un costo elevato
per l’azienda. Impatto sul valore di mercato: riduzione del valore di mercato.
Evoluzione valore di mkt d’impresa: cresce à punto di massimo à decresce

107
30% è la percentuale di debito ottimale, cioè l’indebitamento che mi permette di massimizzare il
valore dell’impresa. Beneficio che va a favore tanto degli azionisti quanto dei creditori esterni. È
un’unica soluzione che va bene a tutti gli stakeholders dell’azienda.
Calcolo WACC con i valori di mercato di D e E. I pesi di ponderazione sono: la composizione del
debito sul totale D + E per il costo netto del debito, e dell’equity sul totale D + E per il costo del
capitale azionario. Con debito ed equity a valori di mercato.
Evoluzione WACC al variare dell’indebitamento da 0 a 50%: scende à punto di minimo à cresce
Fino al punto di minimo è preponderante il risparmio fiscale legato all’indebitamento (lo scudo
fiscale riesce a generare un risparmio tale da ridurre il costo complessivo del capitale).
Successivamente il costo dell’equity tende ad assumere valori crescenti tali da più che compensare
il risparmio fiscale. WACC, espressione del costo complessivo del capitale, nel punto di minimo
corrisponde al valore massimizzato al mercato d’impresa.
30% è l’indebitamento ottimale per l’impresa.

108
2. LA VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI
In ambito di gestione aziendale, capita sempre un momento in cui doversi interrogare sulla
fattibilità di un generico progetto di investimento. Noi parlando di progetto di investimento
intendiamo un investimento reale, in capitale reale. Non finanziario, anche se la metodologia di
valutazione è la stessa, procedendo con un calcolo finanziario che fa riferimento all’attualizzazione
finanziaria. Diamo un significato generale al concetto investimento: es. valutazione acquisto di un
macchinario, valutazione ampliamento della capacità produttiva, valutazione dell’avvio di
un’attività d’impresa.
Le operazioni di investimento
DEF: impiego iniziale di capitale per realizzare in futuro flussi monetari di maggiore entità. È come
dire oggi impiego un capitale, che può essere anche in periodi successivi; ho una serie di esborsi
iniziali seguiti da una serie di introiti.
à Un’operazione di trasferimento di risorse nel tempo, caratterizzata da:
1. Uscite monetarie nette in prima fase (di impianto)
2. Entrate monetarie nette in una fase successiva (di esercizio)
Quando si parla di investimento abbiamo a mente una successione di flussi che deve essere di
questo tipo. Dire flussi finanziari implica che le quantità devono essere espresse come cash flow,
cash flow in uscita in una prima fase, cash flow in entrata in una seconda fase. La classificazione tra
fase di impianto e di esercizio riflette anche l’assunzione per cui si fa riferimento implicitamente
alla costruzione di un’azienda, in cui inizialmente c’è la fase di impianto, si costruiscono gli impianti
stessi, successivamente si inizia l’operatività e la fase di esercizio.
In questo caso: nella fase di impianto ho due
esborsi in T0 (immediato, come se pagassi
istantaneamente nel momento in cui procedo a
valorizzare la fattibilità del progetto di
investimento) e T1 (fine primo anno), e
successivamente delle entrate monetarie nette al
tempo T2, T3, T4 e T5. Il primo anno di esercizio,
che si colloca alla fine del secondo anno a partire
da T0, ho delle entrate nette, fino a T5. Lì c’è un
flusso più elevato rispetto ai precedenti: questo
per due ragioni. 1) ipotesi di crescita delle entrate nette. 2) fissato a 5 l’orizzonte temporale del
nostro investimento, ed equivale a dire che alla fine del quinto anno ipoteticamente liquido il mio
investimento, e vendendolo incasso un valore residuo. Oltre alle entrate nette, nell’ultimo anno
considero anche il valore residuo o di rimborso.
Vi è inserita un’ipotesi che potremo successivamente rimuovere: all’inizio abbiamo l’esborso/i e
poi degli incassi netti. Può anche essere disattesa questa ipotesi, cioè avere una fase di impianto
nella quale ci sono flussi di cassa netti negativi, seguiti da flussi netti positivi per 2 anni (T3 e T4),
poi può esserci un flusso negativo in T4 e poi si riprende con flussi positivi. Ci sono alcuni casi,
settori (es. aeronautica nella costruzione di aerei) in cui nella valutazione di progetti di
investimenti a lungo termine, anche periodi 15/20 anni, abbiamo anche queste fasi.
Il progetto di investimento è fattibile quando entrate > uscite.
Siccome la valutazione considera un periodo temporale predefinito, e quindi da T0 guardiamo la
successione dei flussi collocati in momenti successivi, dobbiamo verificare che le entrate
complessive > uscite, ma devo valorizzare i flussi in modo che siano omogenei rispetto al tempo.
Questo principio di valorizzare in modo omogeneo flussi collocati in epoche differenti porta alla
necessaria operazione di attualizzazione: esprimere ciascun flusso collocato in un momento

109
successivo al valore cosiddetto attuale. Attualizzazione secondo il tempo nel quale è collocato
ciascun flusso.
La valutazione di un progetto di investimento
La logica di valutazione di un investimento aziendale è basata sul concetto dell’attualizzazione
finanziaria:
Ci troviamo al tempo 0 (oggi) e “vediamo” una serie di flussi finanziari proiettati lungo l’orizzonte
di investimento che vanno valutati al tempo 0: 1 € oggi non è equivalente a 1€ fra un anno,
indipendentemente dall’inflazione à è necessario recuperare alcuni elementi di matematica
finanziaria.
Oggi abbiamo un esborso, ed è già espresso al tempo attuale, non si avrà necessità di attualizzare
questo valore. In T1 ci sono uscite nette: siamo in un momento successivo rispetto a 0, quindi
serve il procedimento di attualizzazione per esprimere quei flussi al tempo 0. Così anche per i
seguenti.
L’attualizzazione finanziaria prevede di riesprimere i flussi finanziari collocati nelle varie epoche al
valore attuale. Ciascun flusso che è collocato in un momento successivo rispetto all’epoca di
valutazione deve essere espresso ad un valore attuale (è come se guardassi ai flussi futuri come
fossero montanti: quale è il capitale oggi che corrisponde al montante domani?). Successivamente
verificando che il totale delle entrate nette attualizzate sia superiore al totale delle uscite nette
attualizzate (caso di scuola: può non esserci necessità di attualizzare perché l’esborso è unico e
ipotizzato al tempo 0).
Gran parte della teoria finanziaria ruota attorno al concetto dell’attualizzazione. Valutare
un’attività o una passività finanziaria equivale a procedere ad un calcolo di attualizzazione
finanziaria. Oggi sono al tempo 0 e vedo dislocati nel tempo una serie di flussi finanziari. Il valore
che associo ad un’attività finanziaria è la somma dei cash flow che questa attività genera, e che
devo esprimere al valore attuale. L’osservatore oggi si pone al tempo T0, vede in futuro una serie
di flussi finanziari: il valore dell’attività finanziaria è la somma attualizzata dei flussi generati da
essa. Questo concetto è replicabile per un investimento reale.
Il valore finanziario nel tempo
Il procedimento di attualizzazione/capitalizzazione equivale ad uno spostamento ipotetico dei
flussi di cassa nel tempo. Posso spostarli in avanti oppure riportarli indietro, anticipare e
posticipare. Si parla di costo del capitale K ogni qualvolta ci riferiamo ad una anticipazione di una
entrata o posticipazione di una uscita.
Qualsiasi spostamento di flussi di cassa nel tempo comporta il sostenimento di un costo o la
percezione di un provento. In termini più precisi si avrà:
A. COSTO DEL CAPITALE (K)
– Anticipazione di una entrata. Implica un costo del capitale: contrattualmente attendiamo un
incasso fra tot tempo, ma posso anticipare quell’entrata chiedendo a qualcuno di anticiparmi quel
cash inflows che naturalmente prevedo di incassare nel tempo previsto contrattualmente, ma
devo sostenere un certo costo.
– Posticipazione di una uscita. Associato a questa
operazione c’è il costo del capitale, cioè quel capitale
che andiamo a posticipare nella restituzione del
medesimo.
B. RENDIMENTO DEL CAPITALE (r)
– Posticipazione di una entrata. Ci riferiamo ad una
sostituzione di consumo attuale per un consumo
futuro, compiendo un’operazione di investimento.
L’operazione di investimento vuol dire fare una

110
sostituzione del consumo attuale, che potremmo fare utilizzando la disponibilità oggi, per una
disponibilità e quindi un consumo futuro impiegando le risorse a nostra disposizione. Questo tipo
di operazione può essere eseguito se la remunerazione riconosciuta a questa sostituzione del
consumo oggi per il futuro sia in grado di compensare il mancato consumo attuale. Quindi:
posticipare un’entrata equivale a riconoscere una remunerazione per l’impiego, la sottrazione di
consumo attuale di risorse che potrebbero essere usate oggi per il tempo nel quale ci priviamo
della nostra disponibilità. Maggiore il tempo in cui ci priviamo della disponibilità di tali risorse
finanziarie immediate, maggiore deve essere la remunerazione da riconoscerci. Ecco perché
parliamo di r. Il rendimento deve essere crescente al crescere dell’orizzonte temporale di
investimento.
– Anticipazione di una uscita. Anticipare una uscita implica uno sconto: a livello teorico è
equiparabile al concetto di rendimento.
à Passaggio importante nell’ambito della teoria moderna finanziaria: spesso si assume che il
costo del capitale sia equivalente al rendimento del capitale (impiego o prendo a prestito risorse
finanziarie allo stesso tasso di interesse).

CAPITALIZZAZIONE E ATTUALIZZAZIONE
Sono 2 i metodi di computo degli interessi e determinazione del montante che deriva dalla somma
del capitale iniziale + interessi: regime semplice e composto.
1. Capitalizzazione semplice: il calcolo degli interessi avviene utilizzando come base di riferimento
il capitale iniziale à M(t) = C(0) + C(0)*i*t = C(1+it)
ES: Investo €100 per un periodo pari a 1 anno ad un tasso di interesse del 5%. Il montante a
scadenza sarà:
M1 = C(0)(1+it) = 100(1+0.05*1) = 100 + 5 = 105
se invece avessi investito i 100 € per un semestre avrei ottenuto:
M1 = 100(1+0.05*1/2) = 100 + 2.5 = 102.5

Il procedimento inverso, ovvero di determinazione del capitale che devo costituire oggi per avere
un montante domani, si chiama attualizzazione: alternativamente, posso chiedermi quale debba
essere il capitale “C” che oggi devo investire per ottenere alla fine di un periodo di impiego “t” un
dato montante “M”, supponendo un tasso di interesse noto “i”: Attualizzazione in regime di
capitalizzazione semplice à C(0) = M(t)/(1+it)
Sorta di equivalenza nei valori che sussiste tra C e M: guardare un valore proiettato ad un tempo
successivo t, che è pari al montante, equivale ad un valore iniziale di C al tempo 0. Il capitale visto
all’inizio ha valore pari a C(0), il quale valore a fine periodo è pari a M, dove il montante tiene
conto sia del capitale iniziale sia degli interessi maturati per il periodo t al tasso i.
In sostanza C(0) rappresenta il prezzo di un investimento che mi rende un montante M alla fine di
un dato periodo di impiego.
Spesso si usa il RIS per valutazione di operazioni con scadenza inferiore all’anno.

2. Capitalizzazione composta: M(t) = C(0)(1+i)t


Calcolo degli interessi: ad ogni periodo computo gli interessi del periodo preso in considerazione, li
sommo al capitale iniziale e determino un montante di periodo, sul quale andranno a maturare
interessi sul periodo successivo. Si può dire che gli interessi maturano non solo sul capitale iniziale,
ma maturano anche su i vari interessi calcolati nei periodi di capitalizzazione precedenti. Noi nella
valorizzazione di un progetto di investimento (operazioni pluriennali) adottiamo il RIC: infatti alla
fine di ciascun periodo di capitalizzazione è come se incassassi gli interessi al tasso i e li andassi a
reimpiegare nella stessa operazione di investimento. Ipotesi implicita nel RIC: gli interessi via via

111
incassati nel tempo siano reimpiegati al medesimo tasso di interesse. In genere si procede al
computo dei vari elementi di interesse facendo riferimento alla capitalizzazione composta. Con
questo modo di procedere, implicitamente si assume che gli interessi siano reimpiegati al
medesimo tasso di interesse.
Gli interessi maturati alla fine di ciascun periodo si capitalizzano nel capitale iniziale, determinando
il capitale investito del periodo successivo. Gli interessi si maturano anche sugli interessi maturati
nei vari periodi precedenti.

Quindi, sostituendo a C l’espressione per il montante del periodo precedente:


M(3) = C(0)(1+i)(1+i)(1+i)=C(0)(1+i)3
à M(t) = C(0)(1+i)t
da cui: C(0) = M(t)/(1+i)t Attualizzazione in regime di capitalizzazione composta
C(0) il prezzo da sostenere oggi per avere un montante domani.
Valutare un progetto di investimento può essere ridotto a questa espressione C(0) = M(t)/(1+i)t
Valorizzare la fattibilità di un progetto di investimento sarà equivalente alla determinazione della
somma algebrica di tutti i flussi, ipotetici montanti, attualizzati per le varie epoche in cui sono
collocati i vari flussi finanziari ad un certo tasso.

LA DETERMINAZIONE DEI FLUSSI FINANZIARI


I flussi finanziari da utilizzare nella valutazione dei progetti di investimento devono essere:
– MONETARI: devono rappresentare effettive entrate o uscite finanziarie e non possono essere
dipendenti da ipotesi contabili.
– DIFFERENZIALI: devono essere conseguenza (diretta o indiretta) del progetto che si sta
analizzando. I flussi devono essere il riflesso del progetto che stiamo valutando. Il concetto di
flusso differenziale è complesso quando stiamo valutando un progetto di investimento di una
realtà imprenditoriale già avviata. ESEMPIO: valutazione l’opportunità di acquistare un
macchinario in azienda già avviata. È economicamente e finanziariamente fattibile il progetto? I
flussi da stimare devono essere la conseguenza diretta o indiretta dell’acquisto del macchinario.
Operativamente o riusciamo a stimare direttamente i cash flow in entrata/uscita imputabili al
macchinario (costo che è un CF in uscita, e margine di contribuzione netto associato al nuovo
macchinario). Ma in genere nella valutazione dei progetti di investimento incrementali (cioè che
portano alla necessità di stimare flussi finanziari del nuovo progetto rispetto ad una realtà
aziendale già in essere: a) si procede a valutare l’insieme dei flussi finanziari generati dall’azienda
nel caso in cui si è acquistato il macchinario. Si avranno quindi una serie di flussi in uscita e in
entrata che tengono conto da un lato dell’acquisto del macchinario e dall’altro della capacità di
produrre di più avendo impatto diretto nei flussi finanziari netti (positivi); b) si determina i flussi
finanziari in uscita e in entrata nell’ipotesi di non eseguire l’investimento. Quindi da un lato ho una
successione di flussi imputabili all’azienda nel caso di acquisto del macchinario, dall’altra ho i flussi
associati all’ipotesi di non eseguire l’investimento. Il flusso differenziale si ottiene determinando la
differenza tra i flussi a) e i flussi b). Così determino indirettamente i flussi finanziari imputabili
all’investimento. Chiaramente che diventa complicato quando trattasi di realtà imprenditoriali già
in essere. Quindi la prassi assume un approccio di stima diretta: quantifica il costo e il mcd netto.
In ipotesi di lancio di nuova attività imprenditoriale, per definizione tutti i flussi sono differenziali.

112
– LORDI DI ONERI FINANZIARI: i flussi non devono considerare gli oneri finanziari connessi alla
modalità di finanziamento. Si ipotizza che l’impresa non si indebiti, non sostenendo quindi gli oneri
finanziari. Perché non considero gli oneri nel calcolo dei flussi finanziari? La ragione è collegata
all’impostazione che stiamo adottando, che è quella della logica unlevered, che è la più utilizzata
nella prassi. La logica è quella di anzitutto determinare i flussi finanziari lordi, e successivamente
confrontarli con quanto bisogna riconoscere da una parte agli azionisti, sottoforma di
remunerazione del loro capitale, e dall’altra ai finanziatori esterni, da riconoscere sottoforma di
oneri finanziari. Verifico quindi se il progetto di investimento, al netto dei costi che devo sostenere
in termini di remunerazione agli azionisti e oneri finanziari, riesce a generare una ricchezza netta.
Questa logica quindi li considera in un momento successivo. Unlevered: ipotesi di impresa non
indebitata. Il percorso seguito, che evita anche errori di calcolo, parte dall’assunto secondo cui
conviene inizialmente stimare i flussi lordi (generati dal progetto di investimento) e poi
confrontarli con le richieste avanzate dai finanziatori dell’investimento in termini di
remunerazione (in termini di costo di indebitamento per finanziatori esterni, rendimento del
capitale proprio per i finanziatori interni). Gli oneri, il finanziamento si considerano ma in un
momento successivo.
– NETTI DI IMPOSTE: i flussi devono essere depurati del prelievo fiscale.

LA DETERMINAZIONE DEI FLUSSI FINANZIARI: FLUSSI DI CASSA OPERATIVI NETTI (logica unlevered)
Per determinare i flussi finanziari, ovvero (in gergo tecnico) i Flussi di Cassa Operativi Netti, si
seguono i 2 seguenti step:
1. Si redige il Conto Economico riclassificato con determinazione dell’Utile Netto contabile. Stiamo
ragionando in termini di conto economico prospettico, perché la valutazione che stiamo facendo è
di un progetto di investimento. Questo è un esercizio da svolgere per tutti gli anni presi in
considerazione nell’orizzonte di investimento.
2. Partendo dal precedente schema di Conto Economico riclassificato si apportano le necessarie
rettifiche per «tradurre» l’Utile Netto contabile in flusso di finanziario (flussi di cassa operativi
netti), in particolare tenendo conto:
• dei costi non monetari (ammortamenti e accantonamenti). Vanno aggiunti perché non sono
manifestazioni monetarie, ovvero non sono costi per i quali sosteniamo un’effettiva uscita;
• delle variazioni del capitale circolante netto (che assorbono risorse finanziarie quando sono
incrementali, mentre liberano risorse finanziarie nel caso contrario). CCN = attivo a breve – passivo
a breve. La variazione da un anno con l’altro del ccn impatta nei flussi finanziari perché: se c’è un
aumento di ccn, vuol dire che l’attivo a breve è cresciuto rispetto al passivo a breve, quindi sono
trattenute maggiori risorse nell’attivo, e quindi essendo trattenute più risorse non sono liberate
risorse finanziarie à la variazione positiva di ccn si traduce in un assorbimento di risorse
finanziarie. Viceversa le risorse finanziarie sono liberate quando il ccn ha una variazione negativa:
se aumenta il passivo a breve, ciò equivale ad avere maggiori risorse finanziarie, e questo si
traduce in una variazione incrementale di flussi finanziari e quindi di risorse disponibili. Rettifiche:
aggiungere la variazione di ccn quando negativa, sottrarre la variazione di ccn quando positiva.
Flussi finanziari in entrata e in uscita: flussi finanziari liberati e assorbiti. Avere un ccn al tempo t
che risulta incrementato rispetto l’anno precedente, vuol dire che per quell’anno in termini
differenziali c’è stato un ulteriore assorbimento di risorse perché nell’attivo colloco delle
immobilizzazioni di risorse finanziarie: aumentando l’attivo c’è un maggiore assorbimento di
risorse finanziarie (al netto di ciò che accade nel passivo). Aumentando in termini proporzionali di
più l’attivo rispetto al passivo a breve, equivale ad un assorbimento di risorse finanziarie che
vengono sottratte dalla disponibilità dell’impresa: variazione positiva ccn entra con segno negativo
nel computo dei flussi finanziari. Invece in caso di variazione negativa di ccn, in termini differenziali

113
pesa di più il passivo circolante; quando esso aumenta, aumentano le risorse finanziarie a
disposizione. Quindi la variazione negativa di ccn entra con segno positivo.
• dei flussi connessi all’investimento, ovvero:
i. flussi relativi all’esborso iniziale;
ii. eventuali investimenti incrementali previsti dal progetto (nel caso il progetto di investimento
richieda dopo qualche anno nuovi investimenti: in tal caso si deve aggiungere con segno negativo i
costi di tali investimenti incrementali);
iii. valore residuo o di rimborso relativo al recupero ottenibile mediante cessione dell’investimento
a fine periodo. Esso è il valore recuperabile con la cessione dell’investimento a fine periodo.
Dovrebbe essere un valore di mercato dell’investimento che ho realizzato; il valore residuo è
espressione del valore di mercato, di fine periodo del progetto di investimento (idealmente è
l’ipotetico valore di liquidazione/cessione dell’investimento realizzato).

Quindi, per determinare i flussi finanziari, bisogna partire dall’EBIT del CE, ma successivamente
calcolare le imposte senza considerare gli oneri finanziari (logica «unlevered»), e procedere con le
suddette rettifiche.
Facendo la somma algebrica di tutti questi elementi si ottiene il flusso di cassa operativo netto. È
un flusso di cassa operativo netto che immagina di non avere un indebitamento, infatti dal CE ho
tolto la voce degli oneri finanziari; tuttavia ho calcolato un impatto fiscale maggiore rispetto a
quello effettivo, le imposte calcolate sull’EBIT saranno maggiori rispetto a quelle effettive, e poi
vado ad effettuare le suddette rettifiche. (imposte maggiori perché calcolate su una base
imponibile maggiore, l’EBIT, che non prende in considerazione gli oneri finanziari. Tenere conto
della deducibilità effettiva degli interessi per determinare correttamente il costo del debito al
netto dello scudo fiscale.)
La logica sottostante («unlevered») è quella di determinare i flussi di cassa totali, i quali andranno
a remunerare i finanziatori del progetto, ovvero:
a. i finanziatori esterni (debiti) à costo dell’indebitamento esterno
b. i finanziatori interni (mezzi propri) à remunerazione da riconoscere agli azionisti
Determinati i flussi di cassa totali, andrò a confrontarli con le remunerazioni richieste dai
finanziatori del progetto: finanziatori esterni con i debiti (costo indebitamento esterno,
remunerazione in termini di oneri finanziari) e i soci che apportano capitale di rischio
(remunerazione agli azionisti, collegata al tasso di rendimento per ipotesi pari ai dividendi che
vanno riconosciuti agli azionisti).
Rappresentazione della determinazione dei flussi finanziari attraverso i 2 step:

1.
2.

I flussi (cash flow) vanno determinati per tutti gli anni presi in considerazione che vanno a scandire
la durata del progetto di investimento, l’orizzonte temporale di investimento.

114
I CRITERI DI VALUTAZIONE: IL PERIODO DI RECUPERO O PAYBACK PERIOD
Esprime il numero di anni necessari affinché i flussi di cassa cumulati previsti siano uguali
all’investimento iniziale. È il criterio più semplice e immediato per valutare il grado di liquidità di
un progetto di investimento. È la somma cumulativa dei flussi, positivi e negativi, con ciò
determinando il periodo nel quale si ha la copertura degli esborsi iniziali. Indica il periodo di
rientro dall’esborso iniziale. Investimenti per i quali il punto di recupero è più ravvicinato: più
liquidità. Viceversa, investimenti con punto di recupero più distante nel tempo avranno un grado
di liquidità inferiore.

200: è la somma di tutti i flussi. Equivale


a entrate totali – uscite totali. Questi
calcolati anno per anno à somma
cumulata algebrica dei flussi finanziari.
PP: tra il 1° e 2° anno.

L’output di questo indicatore è in termini di anno (periodo) nel quale si rientra dall’investimento
iniziale.
Perché viene usato:
•Riduce l’implementazione di progetti che richiedono lunghi intervalli di tempo per recuperare
l’investimento iniziale in termini nominali (misura il grado di liquidità di un investimento).
•Non necessita di definire il costo opportunità del capitale. Significato costo opportunità: il
rendimento che un soggetto può ottenere impiegando le sue disponibilità in alternative di
investimento. Noi attribuiamo a questo concetto un fattore specifico: il riferimento ad esso è fatto
per differenziare questo criterio dai successivi, per i quali sarà necessario determinare il costo
opportunità del capitale (nel nostro caso costo medio ponderato del capitale richiesto per
realizzare l’investimento).
•È una metodologia intuitiva (è diretto il significato attribuibile al pp). È di semplice
determinazione.

Potenziali errori:
•Non procede ad attualizzare i flussi. Ignora il valore monetario del tempo (il tempo di recupero
attualizzato invece viene calcolato a partire dai flussi di cassa attualizzati). Non tiene conto
dell’attualizzazione necessaria da eseguire in via preliminare sui flussi.
•La data in cui l’investimento iniziale viene recuperato è piuttosto arbitraria.
•Ignora tutti i flussi di cassa successivi al tempo di recupero. Il PP indica il progetto di investimento
con il recupero più ravvicinato. Di conseguenza la metodologia tende a scartare i progetti a lungo
termine. Se scegliessi con il PP andrei a considerare solamente un aspetto nella valutazione
complessiva da fare nella selezione dell’alternativa ottimale, migliore. Si potrebbe scegliere un
progetto con pp più ravvicinato a spese di un altro investimento con pp più lontano ma con
redditività maggiore. Trade-off: peso di più la liquidità dell’investimento rispetto alla redditività del
medesimo (sono molto più avverso al rischio). Il PP non permette di misurare la redditività:
bisogna passare ad altri criteri.

Il criterio prevalentemente usato nella scelta se eseguire o meno un investimento è il payback


period, soprattutto in contesti di rischio, di potenziale criticità. In uno scenario in cui si
prospettano significativi elementi di rischio, c’è un’elevata avversione al rischio, quindi una
propensione a considerare gli investimenti poco rischioso. Questo spinge gli imprenditori a

115
selezionare il grado di liquidità come il criterio migliore per valutare la fattibilità o meno degli
investimenti.

Il difetto del criterio PP connesso all’utilizzo di valori monetari non attualizzati viene facilmente
rimosso mediante la preventiva attualizzazione dei flussi, secondo le modalità del VAN (vedi slide
successive). Si determina in questo modo un Payback Period Attualizzato (PPA) che è un
indicatore più affidabile rispetto al PP relativamente al grado di liquidità del progetto di
investimento. Si effettua quindi il cumulo dei flussi attualizzati.

VALORE ATTUALE NETTO (VAN)


Formula generale (preferibile)
"
𝑁𝐶𝐹!
𝑉𝐴𝑁 = %
(1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶)!
!#$
Formula che suppone un solo esborso iniziale all’anno 0
"
𝑁𝐶𝐹!
𝑉𝐴𝑁 = % − 𝐼$
(1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶)!
!#%
Prima formula: generalizzata, include anche l’ipotesi che nella fase di impianto ci siano più esborsi
in periodi successivi. È la somma di tutti i flussi, positivi e negativi, netti generati dall’investimento,
attualizzati al tasso WACC (costo medio ponderato del capitale). È la differenza tra entrate nette e
uscite nette attualizzate al tasso WACC. La seconda formula: separa l’esborso ipotizzato unico al
tempo 0 dalle entrate nette. Quindi la sommatoria dei flussi di cassa netti attualizzati è relativa a
quelli positivi.
•NCFt = flussi di cassa netti, flusso netto di liquidità differenziale con manifestazione al termine del
generico intervallo temporale t (al netto degli effetti dell’imposizione fiscale ed al lordo degli oneri
finanziari);
•WACC = costo medio ponderato del capitale impiegato per il finanziamento del progetto di
investimento (weighted average cost of capital). È il tasso usato per attualizzare i flussi di cassa
netti à tasso di attualizzazione, di sconto;
•n = numero degli intervalli temporali in cui si articola l’orizzonte temporale di valutazione e in cui
si manifestano i flussi netti di liquidità derivanti dal progetto. È l’estensione temporale del
progetto di investimento. La durata può essere molto variabile. La regola generale vuole che la
lunghezza temporale del progetto di investimento rispecchi la vita economica utile del bene
oggetto dell’investimento (tipicamente non si va oltre i 30 anni);
È molto importante determinare in modo appropriato l’estensione dell’orizzonte temporale
oggetto di valutazione che dipende dalle caratteristiche del settore cui appartiene l’impresa che
stima il progetto, dalla peculiarità del progetto stesso, dai piani strategici di coloro che stanno
valutando la fattibilità del progetto, dalla sua presunta vita economica, dalla prevedibilità dei flussi
liberati e assorbiti dall’investimento in esame.
•Io = esborso monetario iniziale.

Regola: VAN > 0 il progetto risulta fattibile (sommatoria entrate nette > sommatoria uscite nette,
con sommatorie attualizzate).
Il VAN positivo di un progetto di investimento esprime la capacità dell’investimento di generare
flussi di liquidità tali da:
1. Reintegrare l’esborso monetario iniziale e gli eventuali esborsi successivi, necessari per avviare il
progetto.
2. Remunerare i creditori e gli azionisti, relativamente ai capitali impiegati nel progetto.

116
Con VAN > 0 si dice che riesco a generare ricchezza nell’esecuzione del progetto di investimento.
Con VAN < 0 non riesco nemmeno a coprire l’esborso iniziale, erodendo ricchezza.
Il VAN è un numero non direttamente interpretabile, che deriva dalla differenza tra la somma delle
entrate e la somma delle uscite. Però solo con questo non riesco ad apprezzare direttamente il
grado di redditività implicita associata all’investimento. Mi servirà un’altra espressione. Si può
bypassare questo problema, esprimendo il VAN in termini di rapporto. Se cioè riesco a separare le
entrate e uscite attualizzate, il VAN lo posso esprimere come rapporto tra totale delle entrate
nette attualizzate e il costo dell’investimento (che è la somma laddove ci siano più cash outflows
nella fase di impianto, o dell’unico esborso, da sostenere per realizzarlo. Se ho più esborsi e sono
collocati nel tempo, andranno attualizzati).

PROCEDIMENTO DI CALCOLO
Step 1: determinazione dei flussi di cassa generati dal progetto e collocarli sull’asse temporale,
negli anni nei quali sono previsti quei flussi di cassa stimati.
Step 2: determinazione del tasso di attualizzazione WACC che deve essere coerente rispetto ai
flussi di cassa. Valutando un progetto di investimento, il quale prevede una serie di flussi in entrata
e in uscita che sono futuri, idealmente si dovrebbe tenere conto dell’effetto inflattivo che incide
sulla valorizzazione dei flussi di cassa. Operativamente si può procedere in due modi:
1) stimare i flussi, e nell’esercizio di stima considerare il tasso di inflazione anno per anno. Quindi
bisogna prevedere un tasso di inflazione per ogni anno considerato, calcolare valore del flusso ×
(1+tasso di inflazione annuale), con ciò ottenendo la stima dei flussi di cassa nominali. A questo
punto ho la successione dei flussi di cassa nominali e come tasso di attualizzazione posso usare un
tasso nominale. Il tasso nominale non tiene conto dell’effetto inflazione, ed è quello che troviamo
applicando la formula del WACC. Infatti i tassi 𝑘* e 𝑘6 sono previsti per l’orizzonte temporale di
riferimento, sono futuri e per loro natura nominali. Il WACC è espressione come tasso di una
valorizzazione nominale, non reale.
2) stimare i flussi di cassa reali e successivamente attualizzare ad un tasso reale. - I 2 modi
schematizzati di seguito -
- Flussi di cassa nominali à attualizzati ad un tasso nominale.
- Flussi di cassa reali à attualizzati ad un tasso reale (≅ tasso nominale meno tasso di inflazione
attesa). Tasso reale: calcolo WACC e gli sottraggo il tasso di inflazione attesa. Questa opzione è più
facile e che noi suggeriamo.
𝐷 𝐸
𝑊𝐴𝐶𝐶 = (1 − 𝑡) × 𝑘* + × 𝑘6
𝐷+ 𝐸 𝐷+𝐸
C’è una alternativa: non considerare il problema inflazione, forse l’approccio più attualizzato. Si
stimano i flussi, si determina WACC e si procede a calcolare le attualizzazioni. A livello di prassi
adottata, si omette il calcolo dell’inflazione (tasso inflazione considerato nullo).
Step 3: attualizzazione dei flussi e calcolo del VAN.
"
𝑁𝐶𝐹!
𝑉𝐴𝑁 = %
(1 + 𝑊𝐴𝐶𝐶)!
!#$

117
55% = E/D+E Ke=8,00%
45% = D/D+E Kd=4,15%
5,74%: costo del cap tot
22.500 è il costo dell’invest.
come esborso finanziario. Ma
in termini di remunerazione
complessiva (azionisti+banca)
mi costa 5,74% (netto perché
considera il risparmio fiscale).

Flusso di cassa
attualizzato =
Flusso nom/(1+wacc)^t

VAN > 0. Quindi dal


punto di vista eco e fin il
progetto d’investimento
risulta fattibile.

Posso vedere quale è la sensitività tra VAN e WACC. Il VAN è inversamente proporzionale al WACC.
Tra WACC e VAN sussiste una relazione inversa. Aumenta WACC, diminuisce VAN. Aumentare
WACC vuol dire che mi costa di più raccogliere le risorse finanziarie per eseguire l’investimento, a
parità tuttavia dei flussi netti generati. Quindi la creazione di ricchezza, espressione del VAN,
tenderà a comprimersi quanto più risulta essere alto il WACC.

118
con wacc = 0 ottengo
8.725 (somma flussi
nominali). Man mano
aumento wacc, il van
scende. Per wacc =
5,74% ho van = 4254.
Aumentando sempre
di più wacc, arrivo ad
un punto in cui il van
risulta nullo. Se
effettivamente avessi il
wacc tale da rendere
van nullo, otterrei una
situazione in cui
quanto riesco a generare come ricchezza, quindi la redditività del progetto di investimento, è
sufficiente solo per coprire i costi. NB: van > 0 la redditività generata dall’investimento è maggiore
del suo costo: copro il costo e genero ricchezza netta. VAN < 0 quanto si genera come redditività
non riesce nemmeno a coprire il costo sostenuto per l’investimento; redditività inferiore rispetto
al costo. VAN = 0 il costo da sostenere è pari al rendimento dell’investimento, il rendimento
dell’investimento è utilizzato complessivamente per coprire tutti i costi. Non genero né distruggo
ricchezza: indifferenza.
à il tasso di attualizzazione che rende il van nullo equivale al rendimento implicito
dell’investimento (tasso interno di rendimento, determinato calcolando quel tasso di
attualizzazione che rende il van nullo).

UNA PRECISAZIONE SU Ke (stima della redditività richiesta dall’azionista per un suo investimento)
•Il tasso esprime la redditività attesa dei mezzi propri, ovvero, dal punto di vista della società, il
costo connesso ai finanziamenti ottenuti dai soci.
•In una logica di valutazione al mercato è come chiedersi qual è il rendimento azionario atteso:
𝑘6 = 𝑟/ + 𝛽(𝑟9 − 𝑟/ )

Logica di mercato: è come se andassimo a valutare l’ipotetico investimento azionario nell’ambito


di un mercato, quindi una sorta di borsa valori. Il ragionamento che in condizioni di equilibrio un
investitore fa nella scelta di investimento: investe solo se il rendimento atteso è sufficiente a
compensare il rischio che si porta nell’acquistare le azioni. Ecco perché è importante pervenire ad
una stima del rendimento azionario cosiddetto atteso. A livello teorico è quello che viene richiesto
dagli azionisti.
Dobbiamo porci idealmente in una logica di mercato azionario. Come ci aspettiamo possa variare il
rendimento azionario di un titolo specifico rispetto al mercato? Se ci aspettiamo che il mercato
azionario sia destinato a crescere (rendimento positivo) è ragionevole attenderci che anche il
rendimento del mio titolo specifico azionario sarà positivo. Analogamente se il mercato va al
ribasso, il rendimento del mio titolo va al ribasso. È ragionevole perché il mercato è una media dei
rendimenti dei singoli titoli, quindi il titolo che sto valutando è un elemento che va a determinare
la media complessiva del mercato. Questo spiega la ragionevolezza nell’assumere che ci sia una
correlazione positiva tra rendimento del mercato e rendimento del mio titolo azionario. Se vale
questo, allora posso anche chiedermi che tipo di reattività sussiste tra il rendimento del mio titolo
e quello del mercato. Potrebbe essere che il rendimento del mio titolo sia esattamente allineato
all’evoluzione del rendimento del mercato. Ci può essere il caso in cui la sensibilità del mio titolo,

119
in termini di rendimento, sia maggiore di quella del mercato: più reattivo, rischioso del mercato.
Terza ipotesi: la reattività del mio titolo è più contenuta rispetto al mercato, si attutiscono i
movimenti del mercato, è più difensivo, riducendo l’apprezzamento del mercato ma anche le
perdite nel caso in cui il mercato vada al ribasso.
à Quindi posso immaginarmi una relazione lineare tra rendimento del mio titolo e del mercato.
Ipotesi di equilibrio generale del mercato (siamo in ipotesi di mercato efficienti, ipotesi che tutti i
soggetti abbiano le stesse aspettative circa l’evoluzione dei prezzi dei titoli e del mercato, e altre
ipotesi…). In questo contesto è preferibile ragionare in termini di premio al rischio del mercato e
premio al rischio del titolo, anziché in termini di rendimento del mercato e del titolo. Il premio al
rischio è l’extra rendimento che l’investitore richiede per investire in un’alternativa rischiosa
rispetto al rendimento previsto per un’attività priva di rischio. L’attività priva di rischio tipicamente
è l’investimento in un titolo che ha un rendimento predeterminato, per esempio il titolo
governativo. Rendimento privo di rischio intendendo il rendimento in un’alternativa in cui so già
oggi quale sarà il rendimento nel periodo di investimento considerato: 𝑟/ rendimento risk free. È
ovvio quindi che valutando l’alternativa di investire in un’attività rischiosa ci debba essere un
rendimento maggiore, quindi la differenza tra il rendimento di un investimento rischioso e il
rendimento risk free misura il premio al rischio, che è la compensazione in termini di rendimento
addizionale del maggiore rischio assunto nell’investimento in attività rischiosa.
à la relazione tra il titolo e mercato posso esprimerla in termini di premio al rischio. Il premio al
rischio del mercato 𝑟9 − 𝑟/ si muoverà in sintonia con il premio al rischio del mio titolo 𝑘6 − 𝑟/ .
Per misurare la differente reattività che possiamo vedere per il premio al rischio del titolo
azionario rispetto a quello del mercato, inseriamo un coefficiente 𝛽 che indica la reattività rispetto
al mercato. Avrei quindi 𝑘6 − 𝑟/ = 𝛽(𝑟9 − 𝑟/ ) à 𝑘6 = 𝑟/ + 𝛽(𝑟9 − 𝑟/ )
𝑘6 = 𝑟/ + 𝛽(𝑟9 − 𝑟/ ) Questa è l’equazione fondamentale del modello del CAPM (capital asset
pricing model).
Formula: il rendimento atteso dell’azionista è calcolato aggiungendo al risk free una componente
pari a coefficiente 𝛽 moltiplicato per il premio al rischio del mercato. 𝛽 misura il grado di reattività
del mio titolo rispetto al mercato. Se la reattività fosse uguale ad 1, avremmo lo stesso risultato
del mercato, >1 rendimenti amplificati, <1 rendimenti più contenuti rispetto all’evoluzione del
mercato.

rf è il tasso di un investimento privo di rischio. Nella prassi operativa, generalmente viene reso pari
al rendimento esibito dal BTP 10-30 anni (BTP 10/30 yr). BTP: buoni del tesoro poliennali, sono i
titoli emessi dal governo italiano, che hanno per differenti scadenze una cedola fissa. È
considerato risk free perché, al netto del rischio sovrano ed ovvero alla probabilità che anche
l’emittente Italia non sia in grado di rimborsare, se oggi investo in un BTP a 10 anni, siccome la
cedola è fissa e il rimborso è 100 a scadenza in percentuale, io ho già predeterminato il
rendimento che incasserò tenendo la posizione per tutta la durata del mio investimento. ecco
perché il riferimento ad un titolo molto liquido e privo di rischio è un’approssimazione valida per la
variabile rf. La regola vorrebbe che la durata, la scadenza del titolo sia allineata all’orizzonte
temporale del progetto di investimento. In realtà però anche per progetti molto lunghi, comunque
si prende in considerazione il decennale perché è un titolo più liquido, sicuramente più del
trentennale. La prassi vede una convergenza verso l’utilizzo del BTP a 10 anni.
rm è il tasso di rendimento del mercato di riferimento (indice di mercato). Il mercato di riferimento
è il mercato azionario, se stiamo ragionando in Italia si prende il rendimento atteso dell’indice
FTSE MIB, che è l’indice di mercato che esprime la media dell’andamento dei primi 40 titoli più
importanti del mercato azionario.
𝛽 esprime il rischio connesso all’investimento:

120
• < 1 il rischio è minore di quello di mkt (il rendimento oscilla meno rispetto all’andamento del
mercato)
• = 1 il rischio è identico a quello di mkt
• > 1 il rischio è maggiore di quello di mkt (la volatilità del rendimento supera quella del mkt)
Il rendimento risk free lo pesco dalle quotazioni dei rendimenti oggi del BTP a 10 anni, e ottengo la
stima del rendimento implicito: lo yield, espressione su base annua in percentuale del rendimento
associato all’investimento in BTP.
𝛽 è il coefficiente che misura la reattività del rendimento del titolo rispetto al mercato. Il 𝛽, il cui
valore ruota attorno ad 1, indica il rischio sistematico: è il contributo marginale che il titolo che sto
esaminando (quel Ke) contribuisce al rischio complessivo del mercato rm.

Calcolo formula ke : ci siamo posti nella prospettiva di mercato, ipotizzando la quotazione


dell’azienda sul mercato. Valendo questa ipotesi, si può ragionare determinato il costo del capitale
proprio come la redditività attesa di un investitore che valuta l’alternativa rischiosa in funzione
della relazione che sussiste con il mercato di riferimento. Il ragionamento da fare è in termini di
redditività attesa del titolo rispetto a redditività attesa del suo mercato nel complesso. La
reattività può essere più accentuata rispetto all’evoluzione della dinamica di mercato, può
muoversi con il mercato, o può essere più contenuta. La relazione è lineare: in modo simmetrico
se il mercato va al rialzo anche il nostro rendimento andrà al rialzo, viceversa se va al ribasso
subiremo un rendimento negativa (l’entità è parametrata rispetto al coefficiente beta).

IL TASSO INTERNO DI RENDIMENTO


DEF.: Il Tasso Interno di Rendimento è quel tasso di sconto che rende il VAN nullo. Quel valore
esprime la redditività implicita del progetto di investimento. È implicita nella successione dei flussi
che stimiamo nel progetto di investimento.
Formula generale (preferibile)
"
𝑁𝐶𝐹!
% =0
(1 + 𝑇𝐼𝑅)!
!#$
Formula che suppone un solo esborso iniziale all’anno 0
"
𝑁𝐶𝐹!
% − 𝐼$ = 0
(1 + 𝑇𝐼𝑅)!
!#%

PREGI:
• Possibilità di massimizzare il valore di ciascun euro investito attraverso la scelta di progetti che
presentano un TIR elevato. Utilizzo del TIR nella massimizzazione delle risorse che
complessivamente possono essere allocate in progetti, perché si può seguire il TIR come criterio di
allocazione delle risorse disponibili (investimenti in più progetti usando TIR come criterio di

121
allocazione, allocando su una graduatoria redatta in base al TIR associato alle alternative, dal
progetto con TIR maggiore a quello con TIR minore).
• Possibilità di valutare l’implementazione di progetti in un contesto caratterizzato da risorse
scarse.
• Metodologia più intuitiva del VAN in quanto legata al concetto di redditività. Infatti il risultato è
espresso su base annua in termini percentuali. Alla domanda quanto rende un investimento riesco
a dare una risposta precisa, facilmente intuibile, misurabile, confrontabile con altre alternative. Il
TIR facilita il confronto comparativo rispetto ad altre alternative di investimento.
DIFETTI:
• Ignora i differenti gradi di rischio associati ai vari progetti, perché esprime solo una redditività.
Non ho alcuna misura del rischio associato al progetto di investimento.
• Possibilità di incorrere in errori nel calcolo del TIR. Possiamo trovarci di fronte a delle valutazioni
di progetti di investimento in cui vi è una successione dei flussi che non è esattamente come
quella generalmente ipotizzata, dove si ha una prima fase con flussi in uscita seguita poi da una
fase con una successione di flussi positivi. Invece possiamo trovarci di fronte ad un’alternanza di
flussi nella dinamica delle entrate nette: negativi, positivi, negativi, positivi… In questo caso si
verifica un problema di tassi multipli, ovvero con più tassi di sconto si può avere van=0. Problema:
dei tassi determinati che analogamente rendono van nullo, quale è quello vero? Se il TIR soffre di
questo problema, allora il criterio nuovamente più robusto risulta essere il VAN. Quando invece
abbiamo una successione dei flussi come nel caso generale (negativi, poi positivi), non c’è il
problema metodologico appena discusso, quindi il segnale che proviene circa il giudizio di
fattibilità di un progetto adottando il TIR risulta essere esattamente compatibile con quando
emerso dal VAN; anzi, i due criteri vanno a complementarsi, anche con il punto di pareggio
attualizzato.

ESEMPIO: ho diverse alternative di investimento. Ne determino il TIR, faccio una graduatoria. Fisso
anche un livello soglia, pari a TIR = WACC (situazione di indifferenza tra fare o non fare
l’investimento). Ma in genere le imprese aggiungono un mark-up rispetto al WACC, e nella
selezione preliminare dei progetti di investimento eliminano quelli che hanno una redditività
implicita inferiore a questa soglia.
Data una limitata disponibilità di capitale da investire, solo i progetti con TIR più elevato (e
comunque superiori al WACC) vengono scelti per essere implementati.

122
TIR = 12,80%
Il TIR separa due
aree del VAN,
maggiore e
minore di 0.

INDICE DI RENDIMENTO ATTUALIZZATO (IRA)

È legato al VAN. Con l’IRA si esprime sottoforma di rapporto il VAN.


DEF.: l’Indice di Rendimento Attualizzato rapporta i flussi netti attualizzati generati nella fase di
esercizio ai costi sostenuti della fase di impianto. Esprime il VAN in termini percentuali, o meglio in
termini di ratio, che aiuta ad interpretare il VAN poiché non sarà espresso in termini assoluti, ma in
termini di risorse liberate (cioè risorse finanziarie che si trasformano in entrate nette) per euro
impiegato (costo).
Al denominatore: totale dei costi sostenuti per l’investimento. Questi costi possono essere
sostenuti tutti all’anno 0 in un’unica soluzione (formula a dx). Oppure sostenuti in momenti
successivi à formula a sx. In questo caso procedo alla identificazione dei flussi di cassa netti
negativi della fase di impianto, li attualizzo, e questo determina il determinatore. Rappresentano i
costi sostenuti per l’investimento. Al numeratore si mette la successione dei flussi positivi generati
nella fase di esercizio e attualizzati.
Si potrebbe avere anche il caso di una sovrapposizione dei flussi, con la fase di impianto che si
mischia con la fase di esercizio. In uno anno potremmo avere da una parte la coda ultima degli
esborsi collegati alla fase di impianto unitamente alla generazione dei flussi in entrata della fase di
esercizio. Bisogna procedere alla separazione dei flussi netti positivi che stanno al denominatore
(sono riferibili alla fase di esercizio) rispetto ai flussi negativi che si riferiscono al costo sostenuto
per il progetto di investimento.

123
Significato di 1.189: per un euro investito genero entrate nette pari a 1.189.

L’utilizzo dell’IRA è utile in presenza di operazioni concorrenti (alternative di investimento) e in


condizioni di carenza di risorse finanziarie per la realizzazione di tutti i progetti che presentino un
VAN maggiore di 0. È necessario fare una selezione, che dipende dalla disponibilità delle risorse
finanziarie. Con questo criterio, vi è la capacità di meglio massimizzare l’impiego delle risorse
disponibili, perché selezionando i progetti di investimento che esibisco IRA più alto ottengo una
allocazione ottima, massimizzando la redditività e la generazione di ricchezza dei progetti investiti.

VAN più alto associato a C. In senso assoluto C genera più ricchezza. Ma, in condizioni di risorse
limitate, bisogna concentrare le risorse in progetti di investimento che esibiscono l’IRA più elevato.
Determino quindi l’indice di rendimento attualizzato. L’investimento D è quello che in termini
relativi presenta la maggiore capacità di liberare risorse a parità di euro investiti. L’allocazione
ottimale deve senz’altro includere l’alternativa D, per la quale è richiesto un esborso almeno pari a
20, e devo avere almeno queste risorse per poter investire in D. Laddove avessi più risorse, si
segue il ranking determinato in funzione dell’IRA: in ordine A, C, B, tenendo conto dei costi iniziali.

In base al VAN sceglierei C, ma l’IRA mi consiglia di prestare attenzione a D.


à misura l’efficienza dell’allocazione delle risorse monetarie
à indica quante unità monetarie possono essere liberate per ogni unità investita

Nella prassi si procede ad una determinazione di tutti i criteri, con ciò avendo una mappatura di
tutti i criteri (punto di pareggio attualizzato, van, tir, ira e con la rappresentazione del wacc) che
consentono di valutare meglio la fattibilità economico finanziaria del progetto di investimento. Ad
eccezione per il punto di pareggio attualizzato, gli altri indicatori si concentrano di più sulla
dimensione economica.
VAN: misura di ricchezza netta generata in termini assoluti.
TIR: espressione di una redditività implicita su base percentuale e su base temporale annua

124
IRA: rappresentazione del van in termini di ratio.
Questi 3 indicatori danno una misurazione economica, perché solo indirettamente si tiene conto
della dimensione finanziaria. Peraltro l’aspetto di fattibilità finanziaria non è esprimibile facendo
esclusivamente riferimento a tali indicatori. Con van > 0, tir > wacc, e ira che riflette il risultato del
van (nb convergenza: van <0 tir < wacc, ira <1, van>0 tir > wacc, ira>1) posso dire che il progetto di
investimento risulta redditizio. C’è quindi convergenza nei risultati di tali indicatori; ho solo un
potenziale problema per il tir laddove ci sia inversione dei segni con il tir che potrebbe non
corrispondere alle indicazioni riferibili a van e ira. à il VAN è l’indicatore più robusto dal punto di
vista metodologico.
Il punto di pareggio attualizzato esprime una qualche valutazione sulla sostenibilità finanziaria.
Ricordiamo che il grado di liquidità maggiore è ascrivibile a quell’investimento il cui punto di
pareggio risulta ravvicinato rispetto all’epoca 0 di valutazione. Vi è un problema di sostenibilità
finanziaria laddove il punto di pareggio si collochi praticamente al termine dell’orizzonte
temporale del progetto di investimento. Talvolta esso può essere addirittura alla fine
dell’orizzonte.
Eventuali criticità associate a successioni di flussi che si concentrano per più anni su punte estreme
negative: queste sono uscite nette associate ai costi, il che significa che saranno necessarie quelle
risorse à problema di finanziamento. Il giudizio sulla sostenibilità finanziaria si può iniziare già
nella valutazione del progetto di investimento con il PPA, ma in termini di reperibilità delle risorse,
costo delle risorse e scelta della forma ottimale è qualcosa che appartiene ad un’altra attività di
valutazione. Dunque separiamo la valutazione delle operazioni di investimento da quelle di
finanziamento.

3. I FINANZIAMENTI A BREVE E MEDIO-LUNGO TERMINE


IL FABBISOGNO FINANZIARIO
Il fabbisogno finanziario di lungo periodo è costituito da:
- Investimenti in immobilizzazioni tecniche materiali, immateriali e in partecipazioni (investimenti
a lungo termine)
- Rimanenze e crediti verso la clientela stabilmente legati all’azienda
- Liquidità minima stabilmente necessaria per il regolare svolgimento dell’attività aziendale
Queste ultime due componenti formalmente appartengono all’attivo circolante, ma sono qui
comprese perché hanno una funzione a lungo termine.
Il fabbisogno finanziario di breve periodo è causato da tutte quelle oscillazioni di attività circolanti
(cassa, rimanenze, crediti) connesse alle normali operazioni di gestione
La copertura del fabbisogno finanziario è offerta da:
- Autofinanziamento (Mezzi Propri)
- Debiti di finanziamento (debiti a breve e medio-lungo termine, obbligazioni). Si richiede una
disponibilità finanziaria a breve o medio-lungo termine sottoforma di tecnica differente,
tipicamente l’interlocutore è bancario. Obbligazioni: strumento di mercato, con la sua emissione
c’è il contatto diretto con gli investitori, circuito diretto introdotto appunto con gli strumenti
finanziari.
- Debiti di funzionamento (debiti di fornitura). Acquisto di merce (beni o servizi), il pagamento è
dilazionato, beneficiando una sorta di finanziamento. Naturale funzionamento che origina dalle
operazioni caratteristiche dell’azienda di acquisto (e vendita) di natura commerciale.

RELAZIONE TRA FF E SUE COPERTURE


Passivo SP: in prospettiva finance, è l’insieme delle coperture. Attivo: elementi da cui origina il
fabbisogno finanziario, distinto in attivo corrente e attivo immobilizzato.

125
È importante che le caratteristiche delle fonti siano compatibili con quelle degli impieghi e
viceversa. Coprire le attività correnti: passività con stessa scadenza temporale, idealmente le
passività concorrenti. Debiti a m/l e mezzi propri: orientati alla copertura delle attività
immobilizzate e della parte che pur essendo attivo circolante ha funzione a lungo termine
(liquidità permanente e magazzino e crediti stabilmente legati all’azienda).
Le coperture devono seguire nel tempo le evoluzioni del fabbisogno finanziario cercando di
adeguarsi in termini di caratteristiche di scadenza.

L’EVOLUZIONE NEL TEMPO DEL FF E SUA


COPERTURA
Nel tempo serve un andamento dinamico tra
copertura e fabbisogno finanziario: le
coperture devono adeguarsi alle
caratteristiche dell’attivo. Nel tempo si
assume una evoluzione degli impieghi
crescente. LINEA ROSSA: totale impieghi.
Componenti: capitale circolante variabile,
permanente e attivo immobilizzato. Il
permanente formalmente fa parte del
circolante, ma una parte è equiparata alle
attività immobilizzate: coperti da debiti m-l e
mezzi propri. Invece i debiti a breve dovrebbero coprire il capitale circolante variabile. Questo
deve valere anche nel tempo: l’evoluzione della dimensione dei debiti a breve e medio-lungo
termine e dei mezzi propri che varia in funzione dell’evoluzione dell’attivo.

I FINANZIAMENTI A BREVE TERMINE


Come dovrebbe avvenire la scelta della copertura del fabbisogno finanziario a breve?
Analisi della dinamica finanziaria
1. Analizzare i movimenti monetari (per loro natura sono di breve o brevissimo periodo) à saldo
monetario
2. Quantificare il fabbisogno finanziario a breve (esamino dinamica saldi monetari e cumulativi)
3. Individuare le risorse
4. Destinare le risorse
3+4: Scelta delle coperture possibili, per poi definire le effettive coperture del fabbisogno
finanziario a breve che dovranno essere decise sulla base del costo che l’impresa deve sostenere
relativamente alla raccolta delle risorse a copertura del fabbisogno finanziario a breve.

FLUSSI DI CASSA (ENTRATE E USCITE MONETARIE) – BUDGET DI CASSA –

126
Tutto parte dalla realizzazione del budget di cassa. Serve per mappare, almeno con cadenza
mensile su un anno di riferimento, tutte le voci che hanno una manifestazione finanziaria in
entrata e in uscita. Distinguo tra entrate e uscite. Le voci si inseriscono nel momento in cui vengo
pagato/pago. È uno strumento interessante dal punto di vista previsionale. A monte di questo
budget di cassa, potrei fare un budget degli acquisti e delle vendite, tentando di fare previsioni da
una parte circa l’ammontare complessivo delle vendite (ricavi e quindi crediti verso clienti), e
dall’altra debiti verso fornitori. Questa è l’attività più importante, perché di fatto una strategia
aziendale, gestionale è misurata principalmente sul tasso di variazione del fatturato.
Come strumento previsionale, bisognerebbe poi imporre i mesi di dilazione a clienti e da fornitori.
Questo perché si tiene conto che i valori di fatturato inseriti nei vari mesi, si incassano dopo la
dilazione temporale. Entrate: crediti commerciali, altri crediti.
Faccio lo stesso per i fornitori, ma se prima il segno era positivo ora è negativo. Idem per tutte le
altre uscite.
Totale entrate – totale uscite = saldo monetario (mese per mese)
Successivamente calcolo il saldo cumulativo, che è la somma mese per mese di tutti i saldi
precedenti. Su questi due valori si inizia a ragionare su quanto serve per coprirsi finanziariamente:
la quantificazione del fabbisogno finanziario a breve termine.
La copertura del fabbisogno finanziario a breve termine
Prevediamo quindi il fabbisogno di liquidità temporaneo (stima di quanto dovrebbe servirci mese
per mese). Successivamente scegliere le fonti di finanziamento, gli strumenti di copertura. La
distinzione è debiti di finanziamento rispetto a debiti di regolamento. Chiedere una dilazione ad un
fornitore è un debito, con un onere implicito. Per i debiti finanziamento gli oneri sono espliciti,
interessi e commissioni. Tipologia di debiti di finanziamento a breve:
- apertura di credito c/c
- smobilizzi di crediti di fornitura: l’azienda ha una fattura e la utilizza a testimonianza del fatto
che, sottostante una richiesta di finanziamento, c’è un rapporto commerciale, e quindi la banca
concede le risorse finanziarie. Gli smobilizzi si distinguono in:
- rappresentati da effetti: cambiali, titoli di credito. Le cambiali a scadenza utilizzate per regolare
la vendita, si portano allo sconto in banca facendoci anticipare il van, quindi dedotte gli interessi
passivi e le commissioni. Gli effetti possono anche non essere dei titoli di credito, quindi si fa
riferimento alle ricevute bancarie. Tipicamente lo strumento utilizzato dalle imprese è il
finanziamento sul c.d. portafoglio s.b.f. delle ricevute.
- non rappresentati da effetti: riferimento al documento attestante il rapporto commerciale,
quindi le fatture. Gli strumenti sono anticipi su fatture e il factoring.

Individuare e destinare le risorse: esamino ogni possibile forma di finanziamento a breve termine
che mi permetta di compensare mese per mese i valori negativi dei saldi monetari. Le risorse
possono essere interne o esterne, derivanti da forme di finanziamento suddette.
Nell’individuazione di risorse rientra anche il debito di fornitura. La scelta ottimale si base sulla
determinazione del costo. In termini generali, la scelta ottimale della forma di finanziamento porta
ad identificare l’alternativa a minore costo.
Esaminiamo quindi i metodi per determinare il costo delle varie alternative.

CREDITO COMMERCIALE (DEBITI DI FORNITURA)


Questa forma di sostanzia nella possibilità di rinviare nel tempo il pagamento dei debiti di
fornitura, beneficiando di una dilazione del pagamento. L’onere implicito del credito di fornitura si
quantifica confrontando il prezzo di acquisto in caso di pagamento immediato con l’importo

127
richiesto nell’ipotesi di pagamento differito. Il costo non è esplicito, non implica uscita monetaria,
si paga il prezzo identificato a scadenza. Se invece si paga a pronti, si beneficia di uno sconto.

Formula: regime semplice. I = C i t


i = I / C t dove:
i esprime l’onere implicito collegato
alla dilazione dei pagamenti, quindi al
debito di fornitura
I è lo sconto S
C è il prezzo scontato pagando subito
t sono i giorni indicati nella dilazione
(anni o frazione di anni)

APERTURA DI CREDITO IN C/C


Contratto nel quale la banca mette a disposizione una somma di denaro per un dato periodo di
tempo o a tempo indeterminato. Elementi di costo sulla somma utilizzata: 1. tasso debitore
2. commissioni.

Portafoglio sconti: parliamo di cambiali allo sconto.


Portafoglio s.b.f: la banca accredita le ricevute bancarie.

PORTAFOGLIO SCONTI
La banca anticipa il valore attuale di cambiali con scadenza futura, per un importo al netto dello
sconto commerciale e delle commissioni, complessivamente interessi passivi e commissioni
passive (netto ricavo).

Tasso per sconti passivi 6,75%


Sconto passivo = interessi passivi
Sconto passivo = C i t
Valore attuale = netto ricavo
Il cliente incassa 2000 – 19,14 à valore
nominale – tot competenze
Per calcolare il tasso effettivo, uso
formula inversa in funzione di i = I/Ct
7,84% tasso di interesse effettivo. È
superiore a 6,75% perchè oltre a
pagare gli interessi passivi al 6,75%
pago anche 2,5.

PORTAFOGLIO S.B.F.
La banca accredita il valore nominale delle ricevute bancarie facendo pagare interessi e
commissioni posticipati. Non anticipa il valore attuale perché anticipare il valore attuale significa
che si pagano gli interessi in via anticipata. Con le ricevute bancarie si pagano in via posticipata.

128
Per calcolare il tasso effettivo, nella formula prima al
posto di C mettevo il netto ricavo. Ora metto quanto
incasso al tempo 0, il valore nominale. Prima incassavo il
netto ricavo, qui il valore nominale perché le
competenze si pagano ex-post. La differenza tra 7,84% e
7,76% quantifica il risparmio di costo nel pagare in via
posticipata gli interessi.

La scelta della composizione del debito


Si parte dal budget di cassa, determinazione del costo delle alternative di debito e confronto per
capire il mix ideale.
Una copertura implicita del fabbisogno a breve si ha nella rimodulazione del ciclo del circolante:
acquisti e vendite che implicano uno sfasamento temporale collegato al pagamento del fornitore
(pagamento in un momento successivo e riscuoti in un momento successivo alla vendita).
Idealmente se si riduce il ciclo del circolante, in particolare riducendo la distanza temporale della
riscossione del credito e con l’estensione quella del pagamento del fornitore, si riduce il
fabbisogno finanziario a breve.

I FINANZIAMENTI A LUNGO TERMINE


La funzione dei finanziamenti a m-l termine
Se un’impresa ha necessità di risorse finanziarie per un periodo medio-lungo, gli strumenti ha
disposizione sono: debito bancario (mutuo) o contratto di leasing.
• La funzione d’uso principale dei debiti a medio e lungo termine è quella di consentire l’utilizzo di
dati beni materiali ed immateriali.
• Le alternative che si prospettano sono essenzialmente riconducibili a
– Credito a medio lungo termine, con il quale si viene a disporre direttamente delle risorse
finanziarie necessarie per l’acquisizione del bene à MUTUO
– Locazione finanziaria, attraverso la quale si acquisisce la disponibilità del bene senza assumere lo
status di proprietario à LEASING

IL CONTRATTO DI MUTUO
Forma di prestito a medio-lungo termine erogata dalle banche in un’unica soluzione, in
corrispondenza della quale il mutuatario è obbligato al versamento di rate periodiche - anticipate
o posticipate - destinate al pagamento degli interessi e del rimborso del capitale. Possibili
configurazioni: rate costanti (ammortamento francese con rata costante. La rata ha in sé la quota
capitale e quota interessi che è calcolata sul debito residuo. Periodo per periodo restituisco quota
parte del capitale; la quota interessi quindi si determina su una quota via via decrescente. Nella
rata quindi si determinano quota interessi e quota capitale in modo tale che la somma sia sempre
costante nel tempo) o decrescenti (ammortamento italiano, quota capitale costante, interessi
determinati sul debito residuo, quindi quota interessi sarà decrescente).

129
A seconda del tasso applicato:
– tasso FISSO, quando il tasso non varia durante la durata del prestito (tasso di riferimento: EURIRS
+ spread à tasso sugli Interest Rate Swap con scadenza pari più o meno a quella della durata del
mutuo + spread. Interest Rate Swap: sono uno strumento derivato. È un contratto che prevede
scambi di flussi finanziari parametrati a tassi differenti. Il tasso fisso del contratto di interest rate
swap è il parametro preso come base di riferimento per la determinazione del tasso fisso per i
mutui. Esempio stipulazione contratto di interest rate swap: implica che per una certa scadenza
es. 10 anni, a varie scadenze es. ogni semestre, pago degli interessi e nello stesso giorno incasso
degli interessi. I = C i t. Per i quando pago posso decidere di pagare un tasso fisso, tasso interest
swap. Quando incasso può essere un parametro variabile, e generalmente quello di riferimento è il
tasso Euribor. L’Euribor è un tasso di riferimento variabile che indica il costo al quale le banche si
scambiano i depositi, a scadenze brevi.
– tasso VARIABILE, quando il tasso varia in dipendenza di determinati parametri, quali i tassi del
mercato monetario o finanziario (tasso di riferimento: Euribor + spread). Euribor: è il tasso al quale
si scambiano risorse finanziarie le banche (prestiti interbancari). Sono delle medie dei tassi prese
da un paniere di banche europee. È sulla piazza euro, dove la moneta, la divisa scambiata è l’euro.
L’euribor è un tasso variabile, poiché ogni giorno questo tasso è un tasso negoziato che deriva da
domanda e offerta di fondi che si fanno le banche, quindi ogni giorno cambia. Ogni giorno si può
vedere quanto è l’euribor per varie scadenze, le quali sono scadenze dei prestiti interbancari.
– tasso MISTO, quando è possibile modificare, alle scadenze e alle condizioni stabilite nel
contratto, il tipo di tasso iniziale scegliendo tra tasso fix e var.
– tasso CAPPED RATE, tasso var. con limite max predeterminato oltre il quale il tasso non potrà
mai salire, anche se i tassi di mkt dovessero superarlo. La copertura non è priva di costi, spesso
non facilmente individuabili.
– tasso BILANCIATO (o mix), composto da una parte a tasso fix e una a tasso var. La composizione
tra le due parti può essere scelta tra diversi mix, a seconda del peso che si preferisce dare ai due
tassi.
– VARIABILE CON RATA COSTANTE, in cui si combinano caratteristiche del tasso fisso con quelle
del tasso variabile. In particolare, al variare del tasso di interesse si modifica la durata del mutuo,
ma non anche la rata che invece rimane costante. Rialzi del costo del denaro (dei tassi)
determinano un allungamento della scadenza, mentre i ribassi la riducono.

Il piano di rimborso
Le rate periodiche da versare si compongono di una quota capitale (Ct) e di una quota interessi (It):
Rt = Ct + It
0

𝐶 = B 𝐶&
&NO
C è il prestito concesso dalla banca. Sommatoria quote capitali deve corrispondere all’importo
concesso dalla banca. Gli interessi si calcolano sul debito residuo.

Determinazione della rata costante nell’ammortamento francese (rata costante)


EX: Supponete di considerare un piano di rimborso con le seguenti caratteristiche:
• capitale: €200,000 • durata: 10 anni • rate: annue posticipate • tasso di interesse annuo: 7%

130
Come posso vedere in logica di attualizzazione finanziaria à i 200.000 euro incassati oggi
equivalgono alla sommatoria delle rate che dovrò pagare nei 10 anni successivo. Equivalenza tra i
200.000 incassati oggi al tempo 0 e i vari montanti collocati nelle varie periodicità nelle quali pago
le rate. Questi montanti sono di fatto le mie rate, che sono costanti.
200.000 = sommatoria di tutte le rate attualizzate
Piano di ammortamento
Esso è in forma tabellare la programmazione di quanto si dovrà rimborsare distinguendo tra quota
capitale e quota interessi, la cui somma dà la rata, e specificando anche l’evoluzione del debito
residuo. Il debito residuo si ricalcola anno per anno levando le quote capitali. Con
l’ammortamento francese, per prima cosa si calcola la rata costante. La quota capitale è
l’incognita. Dopodichè calcolo la quota interessi (C i t) sul debito residuo del primo anno. La
differenza tra rata e quota interessi mi dà la quota capitale. Primo anno compilato. Inizio il
secondo anno, calcolando il debito residuo = C – quota capitale 1° anno. Calcolo quota interessi
come debito residuo x tasso x tempo. Per sottrazione calcolo quota capitale. E via dicendo.
Debito estinto: è la somma cumulativa della quota capitale.
QUOTA CAPITALE: crescente
QUOTA INTERESSI: decrescente
RATA: costante. La quota capitale compensa la riduzione della quota interessi. La somma di tutte
le rate è quanto pago complessivamente. L’altro totale è la quota interessi.

Ammortamento italiano (quota capitale costante)


Stavolta è la rata la variabile incognita. Anno 1: calcolo la quota interessi sul debito residuo. La
quota capitale è costante quindi 200.000/10 anni. Calcolo quindi il debito residuo sottraendo la
quota capitale. La rata è la somma di quota interessi e quota capitale. E via per dicendo. Le rate
sono decrescenti (infatti la quota capitale è costante, la quota interessi decrescente).
Complessivamente pago la somma di tutte le rate.
Confronto con il francese: la quota interessi totale e la sommatoria delle rate dell’ammortamento
italiano sono inferiori. Quale tipologia è più conveniente? Se guardo il costo, esso è il 7%, e vale
tanto per l’ammortamento francese quanto per l’italiano. Mi costano identici. Dal punto di vista
economico è il medesimo. Dal punto di vista di finanziario, osservo che nei primi anni dell’italiano
pago rate molto più alte rispetto al francese. Mentre nella seconda parte del mutuo pago meno
rispetto a quello francese. L’unica differenza è nella dinamica finanziaria delle rate, quindi il
problema non è economico. C’è una differenza nella successione dei flussi. In logica di
attualizzazione finanziaria, determino un costo che si basa sul calcolo dell’attualizzazione
finanziaria, ma a livello intuitivo le due operazioni sono indifferenti per il costo è lo stesso, e il
fatto di avere quella dinamica delle rate prima citata, porta a dire che i due piani di rimborso sono
equivalenti dal punto di vista economico. Cambia da un punto di vista finanziaria: si potrebbe
essere più propensi al francese perché nei primi anni pago meno dell’italiano, ma in seguito il tutto
si ribalta in una seconda fase.

Il costo del mutuo


Il costo di un finanziamento è da terminarsi in logica di attualizzazione finanziaria. Lo stesso
discorso è da fare in termini di rendimento; il rendimento di un investimento interno (tir) è
determinato in logica di attualizzazione. Dal profilo finanziario di un tipico finanziamento,
ribaltato, ottengo il profilo finanziario di un investimento. Dal punto di vista metodologico,
calcolare un rendimento interno o un costo interno non cambia nulla. Il rendimento interno tir era
quel tasso di attualizzazione che permette di avere un van nullo. Nella valutazione delle
obbligazioni, lo stesso concetto di tasso interno di rendimento o yield, è quel tasso che permette

131
di avere tutti i flussi in entrata (cedole, rimborso del capitale) attualizzati esattamente pari al
prezzo da sostenere per l’acquisto del bond. È un’equivalenza tra quanto si incasserà
complessivamente rispetto a quanto si paga oggi. Ecco perché il tasso di attualizzazione da
utilizzare per lo sconto di ogni montante indica il rendimento, cioè pagando oggi quel prezzo
incasserò quella somma di montanti collocati lungo l’orizzonte temporale di riferimento. Questo
vale per il rendimento, ma anche per il costo. Ecco perché la logica di determinazione di costo del
finanziamento multiperiodale segue la stessa logica. Cambia solo la successione dei flussi: ribaltata
rispetto a quella della valutazione di un progetto di investimento. Nel finanziamento abbiamo
prima un’entrata, seguita da una serie di esborsi. Devo calcolare quel tasso che mi permette di
avere la sommatoria attualizzata degli esborsi effettivi esattamente pari a quanto incasso oggi.

Gli elementi di costo del contratto di mutuo sono le rate periodiche, posticipate o anticipate, che il
mutuatario è chiamato a versare.
Il costo del contratto di mutuo corrisponde al TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale). à Quel tasso
che rende la somma dei flussi negativi attualizzati pari all’importo ricevuto.
Secondo le disposizioni vigenti nel nostro paese, disciplina secondo le circolari di Banca d’Italia, il
costo del contratto di mutuo che esprime tutte le componenti di costo (tasso di interesse e altri
oneri direttamente imputabili all’erogazione del credito) prende il nome di tasso annuo effettivo
globale. Esso tecnicamente è un tir, un tasso interno, effettivo.

Criteri di selezione ottima tra due forme tecniche di mutuo


Quel tasso di attualizzazione che rende la sommatoria di tutti i pagamenti attualizzati pari a
100.000. Ottengo 9,28% francese. 9,25% italiano.

IL CONTRATTO DI LEASING
Definizione: è un contratto con cui un soggetto - il locatore - concede la disponibilità di un bene ad
un altro soggetto - il locatario - per un determinato periodo di tempo, dietro il pagamento di un
canone periodico.
Classificazione: in base alla struttura degli impegni che il contratto determina, si distingue tra:
– LEASING OPERATIVO, definibile come contratto di noleggio di beni strumentali ® non è
assimilabile ad una operazione di finanziamento
– LEASING FINANZIARIO, attraverso cui il locatario si impegna a corrispondere un determinato
numero di canoni per un ammontare globale superiore al costo del bene ® è un’operazione di
finanziamento. Una naturale alternativa rispetto al mutuo è il leasing finanziario, che di fatto è una
forma di finanziamento. La stessa normativa italiana, sia secondaria sia sottoforma di regolamenti
di Banca d’Italia, equipara il contratto di leasing finanziario ad una forma di finanziamento. Il
leasing finanziario, a differenza di quello operativo, ha una durata che è correlata alla vita
economica del bene stesso. Inoltre il prezzo di riscatto al termine del contratto è una percentuale
modesta del valore nominale del bene su cui si è stipulato il contratto, ed è notevolmente
inferiore al valore di mercato di beni analoghi sul mercato stesso (questo a differenza del leasing
operativo, dove peraltro la soluzione di riscatto raramente viene esercitata).

Differenza mutuo – leasing finanziario come forma di finanziamento


Mutuo: ho un incasso e poi pago delle rate. Le risorse incassate servono per comprare un
macchinario. Sono proprietario del bene, che entrerà negli elementi dell’attivo del bilancio.
Successivamente negli anni si ammortizzerà. Negli anni nel passivo SP avrò anche il debito residuo,
che è il mutuo che ho accesso per l’acquisto del bene.

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Leasing: non ho un incasso, ho solo una serie di esborsi (canoni di leasing) lungo tutto la durata
contrattuale. Spesso all’inizio è richiesto anche un maxicanone iniziale. Come faccio a calcolare
quel taeg del leasing in logica di tasso interno di rendimento se non ho un’entrata iniziale? Oggi gli
operatori bancari o di leasing danno per scontato un passaggio logico che negli anni ’80 non era
così logico. Si racconta che affrontando l’argomento in classi di corsi master in America, i docenti
con gli stessi studenti si siano resi conto che a livello operativo si poteva ricostruire il profilo
finanziario del leasing uguale a quello di un finanziamento. Questo perché anche se non incasso in
modo esplicito una somma, è pur sempre vero che utilizzo il bene. Se con il mutuo acquisto il bene
con le risorse ottenute, con il leasing utilizzo direttamente il bene non di mia proprietà. Dal punto
di vista della disponibilità non cambia nulla. Con il leasing non ho l’esborso iniziale consistente, che
è equivalente al prezzo del bene. Quindi la logica è: se non ho l’esborso inziale, è come se avessi
un risparmio esattamente pari all’importo del bene, quindi come avere una sorta di entrata
virtuale. Questo passaggio logico oggi viene preso come una regola generale. L’operatività più
comune indica come modalità di determinazione del costo del leasing questa procedura: da un
lato considero il prezzo del bene come se fosse una somma di entrata, dall’altro, relativo ai
pagamenti, considero i canoni e gli altri oneri direttamente imputabili. A questo punto posso
costruire una dinamica dei cash flow analoga a quanto abbiamo per il mutuo, con la differenza che
la somma virtualmente in entrata è pari al prezzo del bene collocato idealmente al tempo 0, e gli
esborsi, che per il mutuo erano le rate, per il leasing sono i canoni periodici.

Determinazione del costo del leasing: TAEG leasing


La determinazione del costo del leasing va eseguita analogamente al calcolo del TAEG del mutuo:
§ Si determinano tutti i flussi finanziari del contratto:
1. Il valore del bene oggetto del contratto viene considerato come una entrata al tempo 0
2. I canoni periodici e tutte le altre spese vanno collocate alle varie periodicità e sono uscite
finanziarie
3. Il prezzo di riscatto indicato nel contratto va inserito al termine del contratto con segno
negativo (è una uscita finanziaria)
§ Sulla successione dei flussi che vede una entrata netta (valore del bene al netto dell’eventuale
maxi-canone e ulteriori spese) e una serie di uscite (canoni e spese) si determina il tasso di sconto
che rende il valore attualizzato di tutte le uscite uguale all’entrata netta iniziale, ovvero il TAEG.
§ Esempio: leasing immobiliare 15 anni

La società addebita
ad ogni periodicità

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In logica di attualizzazione finanziaria,
devo calcolare quel tasso che rende la
somma di tutti i valori negativi pari a
967,800.00

Conviene prendere il bene in leasing o acquistarlo con il mutuo? Dal punto di vista dell’utilità e
dell’utilizzo del bene non cambia, cambia invece relativamente ai costi e ai risparmi.
TAEG mutuo VS TAEG leasing: scelgo l’alternativa con TAEG minore.

Valutazione del leasing rispetto al mutuo (Lease or buy)


LEASING:
• si utilizza il bene senza sostenere l’uscita finanziaria del prezzo del bene (equivalente ad una
entrata virtuale).
• si sostengono dei canoni periodici (una serie di uscite al pari del mutuo).
• eventualmente si sostiene un prezzo di riscatto a fine del contratto. Si diventa proprietari del
bene, che entra nell’attivo di bilancio, e si procede all’ammortamento.
• imposizione indiretta: viene pagata l’iva sui canoni versati, da portare a credito nelle liquidazioni
dei periodi successivi. È un’iva sugli acquisti, quindi iva a credito, che alimenta il conto iva che
prevede il versamento periodico del saldo iva a debito – iva a credito. Quindi è un credito la parte
di iva che calcolo sui canoni.
• imposizione diretta: si gode del beneficio fiscale relativo ai canoni deducibili. I canoni che si
pagano sono deducibili ai fini fiscali, quindi c’è un risparmio fiscale.
ACQUISTO TRAMITE MUTUO
• si acquista il bene sostenendo una uscita finanziaria pari al prezzo del bene.
• viene pagata l’iva sul prezzo di acquisto, da portare a credito nelle liquidazioni dei periodi
successivi. Anche qui è iva a credito.
• si gode del beneficio fiscale relativo all’ammortamento. I costi di ammortamento sono detraibili.

A livello qualitativo e descrittivo osservo i due profili finanziari


Data una scadenza N e con la prospettiva di partire dal leasing e confrontarlo con acquisto tramite
mutuo à relativamente al flusso leasing ho il pagamento di canoni periodici e nell’ultimo periodo
il pagamento del prezzo di riscatto. Non ho l’uscita che corrisponde al prezzo del bene. Il primo
canone potrebbe essere un maxicanone più alto.
Acquisto con mutuo: data una scadenza N, ho l’uscita che corrisponde al prezzo del bene al t=0.
Determino i flussi differenziali leasing – acquisto à – canoni – (– prezzo del bene) = prezzo del
bene – canoni
– Flusso leasing – (–) flusso acquisto bene = flusso acquisto bene – flusso leasing

Considerando il flusso di imposte dirette e indirette


Leasing: i flussi leasing avranno la parte del canone, con l’iva che mi porto a credito nel periodo
successivo. Nel periodo successivo ho nuovamente canone + iva, che rappresenta un’uscita, ma ho
(se la periodicità della liquidazione iva è la medesima) una sorta di entrata corrispondente all’iva a
credito maturata nel periodo precedente. Peraltro, essendo nel primo periodo calcolata sul
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maxicanone, se presente, per il periodo 1 il saldo iva diventa a credito del soggetto, perché l’iva sul
maxicanone è maggiore sull’iva in uscita del canone: ho valore in entrata più alto rispetto al valore
iva in uscita. Nelle periodicità successive, laddove il canone sia fisso, avrò una compensazione
perfetta, perché l’iva è calcolata sullo stesso canone, e l’entrata iva si compensa con l’uscita iva.
Stessa cosa per il riscatto iva.
Anno “n”: per i periodi entro l’anno ho l’ammontare dei canoni deducibili, che generano risparmio
fiscale di cui beneficerò l’anno successivo. Canoni deducibili x aliquota fiscale marginale =
risparmio fiscale. Se ne beneficia l’anno successivo rispetto a quello di versamento dei canoni, e
così si procede fino a scadenza.
Acquisto: pago iva sull’acquisto del bene che mi porto a credito nel periodo successivo. Ho un
risparmio fiscale determinato sugli ammortamenti deducibili. Il bene è di proprietà, è in bilancio,
calcolo la quota di ammortamento annuale. Ammortamenti deducibili x aliquota fiscale marginale
= risparmio fiscale per l’anno successivo.
I flussi del risparmio fiscale corrispondono ad entrate finanziarie.
Calcolo i flussi differenziali come flussi leasing – flussi acquisto. I flussi saranno modulati sulla base
anche dell’impatto fiscale (imposte dirette e indirette) e dei vari costi aggiuntivi.

La determinazione del costo dell’operazione di leasing


Criteri da applicare per valutare l’alternativa più conveniente: VAN e TIR.
à La successione dei flussi finanziari differenziali (LEASING minus ACQUISTO) costituisce la base
per la valutazione del costo effettivo dell’operazione, ricorrendo alla metodologia del valore
attuale netto (VAN) o del tasso interno di rendimento (corrispondente al TAEG).
VAN (o NPV)
§ Se il VAN calcolato sui flussi differenziali è maggiore di 0 il contratto di leasing è conveniente.
§ Il tasso di attualizzazione da utilizzare è il tasso del contratto di finanziamento alternativo, cioè
IL TASSO DEL MUTUO (taeg mutuo).
TIR (o TAEG)
§ Sulla successione dei flussi differenziali si determina il TIR, che esprime IL COSTO PERCENTUALE
DEL LEASING; successivamente lo si confronta con il tasso di finanziamenti alternativi (MUTUO).
§ se il TIR del leasing è inferiore il contratto è conveniente.

Lease or buy? (nell’ipotesi di non considerare i flussi da imposte dirette e indirette)


TIR: tir leasing 9,05%: è il costo del
leasing, da confrontare con il costo
del mutuo 9,25%
Scelgo il tir leasing che è minore:
leasing più conveniente dal punto
di vista economico rispetto
all’acquisto del bene tramite
mutuo. VAN: attualizzo la
successione dei flussi differenziali
con tasso di sconto il tir del mutuo
9,25%. Ottengo un VAN > 0: vuol
dire che in termini attualizzati gli
esborsi sostenuti con il leasing
sono inferiori agli esborsi collegati
all’acquisto del bene finanziato
con il mutuo.

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