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L'individuazione di una pacifica definizione di “intermediario finanziario”
presenta non poche difficoltà. Difficoltà dovute in primo luogo al silenzio
del legislatore sul punto, ma anche, e soprattutto, discendenti dall’assenza di
una chiara definizione di attività finanziaria; nozione presente in diversi testi
normativi, a partire dall’art. 10 comma 3 del TUB, ma che continua ad avere
contorni sfumati. In termini economici gli intermediari sono soggetti che,
come abbiamo visto, agevolano il collegamento tra emittenti e risparmiatori,
ma la loro qualificazione giuridica deve essere ricostruita a partire dal
quadro normativo che presenta complessità e stratificazioni che non
agevolano l’interprete. L’art. 1 della legge 2 gennaio 1991, n. 1 parlava di
“attività di intermediazione mobiliare”. In seguito, e nel più recente passato,
il legislatore ha mutato la sua terminologia fino ad attestarsi con il d.lgs. n.
58/1998 (Testo Unico della Finanza) sulla nozione di servizio di
investimento. Per servizi di investimento si devono intendere quelle attività
necessarie per agevolare l’incontro fra domanda e offerta di risparmio e
quelle finalizzate all’investimento ottimale delle risorse. I soggetti deputati a
prestare questi servizi sono definibili intermediari finanziari.
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svolgono la funzione distributiva e di collegamento tra emittenti e
risparmiatori che la legge riconosce alle SIM, alle imprese di investimento
comunitarie ed extra-comunitarie e alle banche.
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Ai fini di una tesi che si preoccupa di indagare quale sia la disciplina degli
intermediari finanziari, con particolare riguardo alle regole di condotta
degli stessi, sembra opportuno limitarsi ad utilizzare la nozione di
intermediario finanziario come soggetto che svolge quei servizi di
investimento finalizzati a mettere in contatto domanda e offerta di
strumenti finanziari, a fornire un utile strumento alla ricerca di investimenti
dei risparmiatori e, di riflesso, a consentire che il mercato in esame sia
efficiente, stabile e integro. I soggetti che, concretamente, nel nostro
ordinamento svolgono la generalità dei servizi di investimento sono le
Società di intermediazione mobiliare (SIM), le imprese di investimento
comunitarie e non, e le banche: sarà pertanto a questi soggetti che ci
riferiremo quando si parlerà genericamente di “intermediari finanziari”
Essi sono elencati nel Testo Unico della Finanza (d.lgs n. 58/1998) all’articolo 1,
comma 2 e sono:
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a) valori mobiliari, con i quali si intendono tutte le categorie di valori negoziati nel
mercato dei capitali. Si tratta quindi di:
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connessi a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in
contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei
casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la
risoluzione del contratto;
f) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),
«swap» e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire
attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato
regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione;
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precedenti, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando,
tra l'altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale
di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione
riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini.
NB: Non sono invece strumenti finanziari tutti i mezzi di pagamento.
I servizi di investimento
Con il contratto di cui all’art. 23 del Tuf, i soggetti abilitati alla prestazione di servizi
di investimento (cioè gli intermediari finanziari: banche, SIM ed altri) mettono in
relazione domanda e offerta di strumenti finanziari.
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a) negoziazione per conto proprio;
d) gestione di portafogli;
Per “negoziazione per conto proprio” l’art. 1 c. 5-bis intende “l’attività di acquisto e
vendita di strumenti finanziari, in contropartita diretta e in relazione a ordini dei
clienti, nonché l’attività di market maker”, definita dal successivo c. 5-quater come
l’attività di chi “si propone sui mercati regolamentati e sui sistemi multilaterali di
negoziazione, su base continua, come disposto a negoziare in contropartita diretta
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acquistando e vendendo strumenti finanziari ai prezzi da esso definiti”. Tale servizio
costituisce una particolare modalità di quello di “esecuzione di ordini per conto dei
clienti”, in quanto l’intermediario soddisfa le esigenze d’investimento e
disinvestimento della clientela attraverso gli strumenti finanziari presenti nel proprio
portafoglio. Ciò comporta che per poter prestare il servizio in esame l’intermediario
dovrà essere autorizzato anche per il servizio di esecuzione di ordini per conto dei
clienti. Una volta ricevuto un ordine dal cliente, l’intermediario può internalizzarlo
soltanto nel rispetto della regola della best execution. L’intermediario che negozia per
proprio conto assume la veste di venditore o di acquirente, per cui il suo guadagno è
rappresentato dalla differenza tra i prezzi di vendita e di acquisto degli strumenti
finanziari.
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d’interesse) oppure si limiti a ricercare investitori senza alcun tipo di rischio del buon
esito dell’operazione.
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negli ultimi dieci anni, una sorta di zona franca per la quale finivano per transitare le
operazioni più pericolose, con un meccanismo estremamente semplice: si consigliava
al cliente un investimento ad alto rischio e il cliente ordinava all’intermediario di
eseguirlo, così inconsciamente abdicando al sistema di tutele previsto
dall’ordinamento” . È invece ricompresa nei servizi accessori la consulenza alle
imprese in materia di struttura finanziaria, di strategia industriale e di questioni
connesse, nonché la consulenza su concentrazioni e acquisto di imprese , in quanto si
tratta di attività non aventi direttamente ad oggetto un’operazione relativa a strumenti
finanziari. Parte della dottrina ritiene che il servizio di consulenza accompagni ogni
altro tipo di servizio d’investimento. Tale tesi è argomentata sulla base
dell’affermazione della Consob per la quale “non è escluso, in via astratta, che i
servizi di collocamento o di ricezione e trasmissione ordini (o di esecuzione di ordini o
negoziazione per conto proprio) siano posti in essere senza essere accompagnati da
consulenza” . Tale ricostruzione non convince per diverse ragioni: innanzitutto perché
la Consob non esclude che i servizi d’investimento possano essere prestati senza il
servizio di consulenza ma, anzi, consapevole della contiguità dei servizi, detta delle
linee guida affinché l’intermediario possa prestare il servizio richiesto senza dare
raccomandazioni personalizzate; in secondo luogo è da rilevare che se la consulenza
accompagnasse ogni tipo di servizio, non avrebbe senso distinguere tra “valutazione
di adeguatezza” (richiesta per il servizio di consulenza e gestione di portafogli) e
“valutazione di appropriatezza” (richiesta per tutti gli altri servizi), dato che in ogni
caso dovrebbe essere compiuta soltanto la prima; in terzo luogo ritenere che il servizio
di consulenza accompagni ogni tipo di servizio significa anche imporre al cliente
ulteriori oneri finanziari. In definitiva la ricostruzione criticata, seppure animata
dall’intento di evitare il c.d.“suicidio economico dell’investitore” si pone in netto
contrasto con il sistema di tutele predisposto dal nostro ordinamento .
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l’incontro, al loro interno ed in base a regole non discrezionali, di interessi multipli di
acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari in modo da dare luogo a
contratti”. I sistemi multilaterali svolgono la stessa funzione dei mercati regolamentati,
ma a differenza di questi possono essere gestiti non solo da società di gestione di
mercati regolamentati, ma anche da banche e SIM che siano state autorizzate alla
prestazione del servizio.
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nell’art. 37); negli artt. 54-55 del reg. intermediari (nei quali trovano disciplina gli
obblighi di rendicontazione). Solo in via residuale ( e in mancanza di disposizioni di
settore) si ritiene possano applicarsi le norme sul mandato professionale . D’altronde
il mandato costituisce l’archetipo della gestione di portafogli, grazie da un lato alla sua
duttilità e dall’altro al suo oggetto tipico: l’attività gestoria. La sua disciplina, tuttavia,
sembra aver oggi perso gran parte della sua capacità integrativa delle lacune, a causa
del progressivo processo di tipizzazione che ha contraddistinto il contratto di gestione
di portafogli .
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È da notare come nelle gestioni individuali il legislatore utilizzi il termine
“patrimonio” soltanto all’art. 22 del T.U.F., allorché stabilisce il suo carattere
“distinto” rispetto a quello d’intermediario, mentre nel vigore della legge Sim era
utilizzato frequentemente come oggetto del contratto di gestione. Nelle altre
disposizioni il T.U.F. utilizza il termine “portafogli”, introdotto a partire dal decreto
Eurosim (d.lgs. 415/1996). Si tratta di una variazione terminologica legata alla
necessità di adeguare l’ordinamento nazionale alla direttiva 93/22/CE che ad ogni
modo non sembra modificare l’oggetto della fattispecie anche perché, come si è già
osservato, lo stesso legislatore continua ad utilizzare il termine “patrimonio”. L’unico
elemento che sembrerebbe differenziare il “portafoglio” rispetto al “patrimonio”
potrebbe consistere nel fatto che il primo riuscirebbe a liberare i beni che lo
costituiscono dallo schema della proprietà. In tal modo i beni costituenti il portafoglio
possono anche non appartenere al cliente, bastando che questi ne abbia il legittimo
possesso . Quanto alla composizione del portafoglio d’investimento, l’art. 1 c. 5-
quinquies del T.U.F. prevede che esso includa “uno o più strumenti finanziari”.
Chiaramente il portafoglio del cliente potrà contenere anche il denaro necessario
all’acquisto degli strumenti finanziari o derivante dalla loro vendita. Si ritiene inoltre
che i portafogli possano contenere anche prodotti finanziari e depositi bancari . Il
denaro e gli strumenti finanziari sono immessi rispettivamente in un conto corrente ed
in un deposito titoli a custodia ed amministrazione che possono essere accesi sia
presso l’intermediario, sia presso un terzo, a condizione che l’intermediario abbia il
potere di movimentare il portafogli. È rimessa all’autonomia delle parti stabilire se e
con quali modalità, il cliente possa disporre dei valori costituenti il portafoglio
d’investimento.
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di cui gode il gestore non è assoluta, in quanto, secondo il disposto dell’art. 24 c. 1
lett. a) del T.U.F., “il cliente può impartire istruzioni vincolanti in ordine alle
operazioni da compiere”. L’imperatività di tale disposizione risulta dalla previsione
per la quale l’eventuale patto contrario contenuto nel contratto di gestione è nullo e la
nullità può essere fatta valere solo dal cliente . Le modalità attraverso cui le istruzioni
vengono impartite sono indicate nel contratto di gestione a norma dell’art. 37 c. 2 lett.
c) del reg. intermediari.
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È opportuno allora cercare di individuare il punto di equilibrio tra la
“personalizzazione” del servizio e la discrezionalità del gestore. È evidente al riguardo
che, se la facoltà di impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da
compiere fosse esercitata dal cliente con frequenza e con caratteri tali da rilegare
l’attività dell’intermediario a quella di un mero esecutore, il servizio prestato non
sarebbe più quello di gestione, ma quello di “ricezione e trasmissione di ordini” . Tale
situazione peraltro comporterebbe l’applicazione di sanzioni nei confronti
dell’intermediario che, autorizzato a prestare il servizio di gestione di portafogli, non
lo sia anche con riferimento al servizio di ricezione e trasmissione . La facoltà del
cliente di impartire istruzioni, deve quindi (se si vuole rispettare la natura gestoria
dell’attività ) “inserirsi all’interno di un servizio, bensì “personalizzato”, ma pur
sempre “pensato” e proposto dal gestore” . Occorre rilevare che la personalizzazione
del rapporto tra intermediario e cliente risulta nella prassi pressoché inesistente , dato
che normalmente il servizio in questione è prestato nei confronti dei clienti al
dettaglio, i quali non avendo adeguate competenze, si affidano alle scelte
dell’investitore. Ne consegue che la standardizzazione accomuna non solo le gestioni
collettive, ma anche quelle individuali, almeno nei confronti dell’insieme dei clienti di
ogni intermediario . I soggetti abilitati sono infatti soliti predisporre delle cc.dd. “linee
di gestione” descritte normalmente in fogli allegati al contratto.
Risulta controversa la legittimità delle cc.dd. gestioni con “preventivo assenso”, ossia
dei rapporti gestori nei quali ogni operazione d’investimento, per essere eseguita, deve
ottenere la preventiva autorizzazione del cliente. Parte della dottrina ha ritenuto un tale
tipo di gestione contrastante con il carattere discrezionale dell’attività
dell’intermediario . Al contrario, il preventivo assenso dell’investitore non sembra
incompatibile con il servizio in questione “ a condizione che l’investimento sia scelto
e proposto (…) dal gestore, il quale poi si limiti a verificarne il gradimento” .
D’altronde , come è stato osservato, la facoltà di impartire istruzioni vincolanti è stata
prevista al fine di assicurare all’investitore la possibilità di mantenere la propria
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autonomia decisionale in relazione alle scelte riguardanti la gestione del proprio
portafoglio .
Nell’ipotesi in cui l’intermediario ritenga che l’ordine impartito dal cliente non sia
consono al progetto gestorio, si ritiene che, fermo restando il dovere di non eseguire
operazioni non adeguate, il soggetto abilitato possa recedere dal contratto . L’art. 24 c.
1 lett. b) del T.U.F. prevede infatti che l’intermediario possa recedere dal contratto di
gestione ai sensi dell’art. 1727 del c.c. Tale articolo disciplina la rinunzia del
mandatario distinguendo a seconda che il mandato sia a tempo determinato o
indeterminato: nel primo caso, consente la rinunzia solo se sussiste un’ipotesi di giusta
causa; nel secondo, invece, stabilisce soltanto il dovere di darne congruo preavviso. In
ogni caso la rinunzia deve essere fatta in modo e in tempo tali che il mandante possa
provvedere altrimenti, salvo il caso di impedimento grave da parte del mandatario. A
differenza dell’intermediario, l’art. 24 del T.U.F. dispone che il cliente può recedere
dal contratto in ogni momento e che l’eventuale patto contrario è nullo e la nullità può
esser fatta valere solo dal cliente.
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La consulenza finanziaria post MIFID II
Consulenza
la consulenza è basata su un’analisi del mercato ampia o più ristretta delle varie
tipologie di strumenti finanziari;
Alla base del servizio di consulenza resta sempre quel fondamentale presidio di tutela
dell’investitore che è rappresentato dalla valutazione di adeguatezza. Tale valutazione
si basa, anzitutto, sulla raccolta di una serie di informazioni sul cliente:
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i suoi obiettivi di investimento, inclusa la tolleranza al rischio.
Agenti collegati
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il disegno, la scelta per la creazione di mercati regolamentati fondati sul modello
privatistico, già effettuata dal legislatore europeo con le precedenti direttive
93/22/CEE e 93/6/CEE, relative ai servizi di investimento nel settore dei valori
mobiliari e all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti
creditizi.
Diverse, e profonde, sono per contro le modifiche introdotte nel testo unico in materia
di strumenti finanziari e servizi di investimento, ove la novella ha comportato anche
significativi mutamenti dell’impianto normativo.
Prendendo le mosse dalla disciplina dei mercati, va detto che essa si ritrova, anche
dopo la novella, nel titolo I della parte III del t.u.f., ora però articolata in un capo I
(artt. 60 ter-77), dedicato ai mercati regolamentati, in un capo II (artt. 77 bis-79),
dedicato ai sistemi di negoziazione diversi dai mercati regolamentati, e in un capo II
bis (artt. 79 bis-79 ter) contenente disposizioni comuni.
Una delle novità di maggior rilievo introdotte dal decreto Eurosim era certamente stato
– lo si è detto – il passaggio da un modello di mercato pubblico, istituito e gestito dalla
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pubblica autorità, a un modello privatistico, incentrato sull’iniziativa dell’autonomia
privata e sottoposto all’autorizzazione e alla vigilanza pubblica.
Alla base della scelta effettuata dal nostro legislatore vi era la convinzione che il
superamento della visione pubblicistica dei mercati mobiliari costituisse un passaggio
obbligato nel processo di integrazione internazionale dei mercati, risultante
dall’emanazione delle direttive comunitarie sopra menzionate, le quali avevano
sancito il principio di liberalizzazione dei servizi di investimento in ambito
comunitario e il mutuo riconoscimento dei mercati .
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società di gestione ha naturalmente uno scopo di lucro, sebbene quest’ultimo non sia
essenziale e possa essere escluso.
Dal testo dell’art. 61, 1° co., t.u.f., si desume, inoltre, che l’adozione del modello
privatistico ha comportato il superamento della struttura monopolistica dei mercati
finanziari. La distinzione tra «mercato» e «società di gestione» comporta, infatti, la
possibilità della compresenza di più mercati regolamentati, gestiti da diverse società in
concorrenza tra loro.
Il decreto Eurosim prevedeva la costituzione di una o più società per azioni, alle quali
affidare la gestione della borsa valori, del mercato ristretto e del mercato dei
“derivati”. Al Consiglio di borsa era stato demandato il compito di procedere alla
privatizzazione dei mercati regolamentati esistenti, mediante la costituzione – per atto
unilaterale e previa approvazione del relativo progetto da parte della Consob – delle
società di gestione, secondo le modalità stabilite dall’art. 56 d.lg. n. 415/1996 .
Conseguenza della privatizzazione del soggetto che gestisce i mercati è stata, pertanto,
la sostituzione delle fonti legislative e regolamentari di disciplina dei mercati con fonti
di natura privatistica.
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A norma dell’art. 62 t.u.f., infatti, l’organizzazione e la gestione dei mercati sono
disciplinate da un regolamento deliberato dall’assemblea ordinaria o dal consiglio di
sorveglianza della società di gestione, regolamento che altresì può attribuire al
consiglio di amministrazione o al consiglio di gestione il potere di dettare disposizioni
di attuazione. Tale regolamento deve essere reso pubblico secondo le modalità
stabilite dalla Consob e ha un contenuto minimo prestabilito dalla legge. Tra le
materie che devono in ogni caso essere previste dal regolamento vi sono le condizioni
e le modalità di ammissione, di esclusione e di sospensione degli operatori e degli
strumenti finanziari dalle negoziazioni; le condizioni e le modalità per lo svolgimento
delle negoziazioni e gli eventuali obblighi degli operatori e degli emittenti; le modalità
di accertamento, pubblicazione e diffusione dei prezzi; i tipi di contratti ammessi alle
negoziazioni e i criteri per la determinazione dei quantitativi minimi negoziabili.
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Secondo questo orientamento, dalla disposizione sopra riportata sarebbe altresì
possibile trarre argomenti per ricondurre la società di gestione alla categoria del
«privato incaricato di pubblico servizio», anche in considerazione della stretta
connessione tra l’attività svolta e il pubblico interesse alla tutela del risparmio.
La disciplina delle società di gestione del mercato contenuta nel t.u.f. si colloca,
pertanto, nel contesto di un’avvenuta privatizzazione dei mercati e detta,
conseguentemente, una regolamentazione in chiave privatistica .
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Le società di gestione.
Il legislatore italiano ha ritenuto che la forma giuridica più appropriata per l’esercizio
dell’attività di gestione dei mercati fosse quella della società per azioni. Si è in
presenza, peraltro, di una società di diritto speciale, contraddistinta dalla possibile
assenza di uno scopo lucrativo e dalla soggezione a particolari controlli, motivati
dall’esigenza di salvaguardia degli interessi pubblici coinvolti (pubblico interesse alla
tutela del risparmio).
Norme particolari sono dettate dall’art. 61 per quanto riguarda i requisiti degli
esponenti aziendali della società di gestione e dei soggetti che partecipano in misura
rilevante al capitale, nonché per il trasferimento di partecipazioni significative.
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Alle società di gestione dei mercati sono stati inoltre conferiti poteri di
autoregolamentazione e di intervento sul funzionamento dei mercati stessi .
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emanati dalla Consob per dare attuazione all’art. 114 t.u.f. , e quelli inerenti al
controllo del prospetto per offerte riguardanti strumenti finanziari comunitari ammessi
alle negoziazioni ovvero oggetto di domanda di ammissione alle negoziazioni in un
mercato regolamentato, nel rispetto dei principi stabiliti dalle disposizioni comunitarie
(art. 94 bis, 3° co., t.u.f.).
Il potere di vigilanza sulle società di gestione investe diversi profili e si colloca su più
livelli.
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finanziarie sufficienti per rendere possibile il funzionamento ordinato dei mercati
regolamentati gestiti, tenendo conto della natura e dell’entità delle operazioni concluse
nei mercati, nonché della portata e del grado dei rischi ai quali essi sono esposti (art. 3
del regolamento «mercati»).
Sempre con riferimento alle partecipazioni nella società di gestione, si osserva come
l’art. 61, 6° co., disponga che gli acquisti e le cessioni di partecipazioni – effettuati
direttamente o indirettamente – devono essere comunicati dall’acquirente, entro
ventiquattro ore, alla società di gestione, unitamente alla documentazione attestante il
possesso, da parte degli acquirenti, dei requisiti di onorabilità prescritti a norma del 5°
co. del medesimo articolo.
Il medesimo articolo, al co. 6-bis, lett. a), prevede che la Consob disciplini con
regolamento contenuto, termini e modalità di comunicazione, da parte della società di
gestione, delle informazioni relative ai partecipanti al capitale, individuando la soglia
partecipativa rilevante a tale fine e ai fini del possesso dei requisiti di onorabilità di cui
al 5° co. e delle comunicazioni di cui al 6° co.
L’esercizio del voto in spregio del divieto di cui sopra è sanzionato con l’annullabilità
della deliberazione adottata con il voto determinante dei soci che si sarebbero dovuti
astenere e con l’ampliamento dei soggetti legittimati ad agire per l’annullamento alla
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Consob, la quale può agire entro sei mesi dalla data della deliberazione, ovvero
dell’iscrizione nel registro delle imprese, ove tale obbligo sussista .
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requisiti tassativamente previsti dalla legge. Conseguenza ulteriore sarebbe che
l’autorizzazione non potrebbe essere negata ad altre società che, avendone i requisiti di
legge, intendano esercitare la medesima attività, dando vita a tanti mercati quante sono
le società di gestione .
Altri ha per contro rilevato come l’autorità pubblica, pur essendo vincolata sul punto
al rispetto del principio di legalità – e non potendo, pertanto, negare l’autorizzazione
in presenza dei requisiti richiesti dalla legge – goda di un elevato margine di
discrezionalità, soprattutto in relazione all’accertamento della conformità del
regolamento del mercato alla disciplina comunitaria e la sua idoneità «ad assicurare la
trasparenza del mercato, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli
investitori» [art. 63, 1° co., lett. b)] .
L’art. 74, 1° co., t.u.f. riconosce alla Commissione un generale potere di vigilanza sui
mercati regolamentati, diretto ad «assicurare la trasparenza, l’ordinato svolgimento
delle negoziazioni e la tutela degli investitori». Come è stato osservato, la disposizione
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riconosce alla Consob un potere di vigilanza di secondo grado, in quanto presuppone
la competenza di carattere generale della società di gestione per quel che concerne
l’organizzazione, la gestione ed il funzionamento dei mercati (art. 64), che si estende,
peraltro, a un controllo di merito .
Sul presupposto della estrema delicatezza del rapporto che interviene proprio tra
l’investitore, specie se non esperto, e l’operatore qualificato, la circolazione dei
prodotti e degli strumenti finanziari è presidiata dalla normativa speciale (D.lgs
n°58/1998 c.d. t.u.f.) integrata, per gli aspetti di dettaglio, dai regolamenti attuativi
Consob (regolamento emittenti ed intermediari ) .
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La procedura di appello al pubblico risparmio, in particolare, è scandita da una serie
di attività predeterminate tese a regolamentare, in un’ottica di tutela della parte più
debole del rapporto, le modalità attraverso le quali l’offerta e la domanda e di prodotti
e strumenti finanziari possano entrare in contatto.
La seconda, è definita dall’ art. 1,1°co. lett.v, t.u.f.: come: “ogni offerta, invito a
offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma effettuati, finalizzati all'acquisto
o allo scambio di prodotti finanziari e rivolti a un numero di soggetti e di ammontare
complessivo superiori a quelli indicati nel regolamento previsto dall'art. 100, 1°co.,
lett.b e c, ossia ad un numero di soggetti pari a 100 e per un ammontare pari o
superiori a 2.500.000 euro”.
Delle due tipologie di appello la prima presenta senz’altro un grado di pericolosità per
il pubblico dei risparmiatori maggiore della seconda perché mentre nell’offerta
pubblica d’acquisto (c.d. O.P.A.), come anche nell’offerta pubblica di scambio (c.d.
O.P.S.), agli oblati è proposto di vendere, ovvero di scambiare, prodotti o strumenti
finanziari già noti in quanto di loro appartenenza, nell’offerta di vendita o
sottoscrizione viene viceversa proposto ai risparmiatori di investire i propri averi in
prodotti sconosciuti, le cui caratteristiche, in termini di redditività e di sicurezza,
rappresentano delle incognite.
Come è agevole evincere dalla lettura delle definizioni contenute nell’art. 1 del t.u.f.,
norma che nel suo complesso rappresenta senz’altro l’impianto definitorio di
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riferimento dell’intera disciplina di rango primario dedicata al diritto dei mercati
finanziari, dal legislatore è assegnata un’importanza preminente all’informazione,
vero ago della bilancia su cui oscillano i delicati equilibri delle negoziazioni aventi ad
oggetti prodotti e strumenti finanziari.
E’ netta, sul punto, la differenza tra le due tipologie di appello al pubblico risparmio:
nell’O.P.A. (così come nella O.P.S.) la pubblicazione del documento d’offerta non è
subordinata ad alcuna autorizzazione da parte dell’organo di vigilanza che, in ogni
caso, può richiedere che vengano fornite al pubblico, in relazione all’offerta, ulteriori
o diverse informazioni rispetto a quelle divulgate attraverso la pubblicazione del
documento d’offerta.
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Anzitutto, a norma dell’art.101 t.u.f., nei momenti antecedenti la pubblicazione del
prospetto informativo, è vietata la diffusione di qualsivoglia documentazione relativa
all’offerta, anche se legata ad un annuncio non avente le caratteristiche di proposta
vincolante. Solo a seguito della pubblicazione del prospetto tale documentazione potrà
essere diffusa ma dovrà contestualmente essere trasmessa alla Consob, alla quale,
anche con riferimento allo svolgimento dell’attività pubblicitaria, sono attribuiti, dal
T.U. poteri ispettivi, sospensivi ed interdittivi.
Come si avrà modo di esaminare nel corso della trattazione, sovente il legislatore
distingue, sul piano della disciplina, l’appello al pubblico risparmio avente ad oggetto
prodotti finanziari comunitari emessi da società già note, dalle procedure d’appello
riguardanti prodotti non diffusi ovvero emessi da società che non hanno mai emesso
titoli quotati in mercati regolamentati comunitari .
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proponente, mentre talune altre regole valgono in via esclusiva per i proponenti e per i
collocatori .
L'adesione all’appello infine, sia nel caso della sollecitazione sia nelle ipotesi di
O.P.A./O.P.S., è effettuata mediante la sottoscrizione del modulo predisposto
dall'offerente.
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c) quelle aventi ad oggetto prodotti finanziari per un corrispettivo totale di almeno
50.000 euro per investitore e per ogni offerta separata;
Del pari non costituiscono offerte al pubblico di prodotti finanziari quelle rivolte
esclusivamente ad investitori qualificati (banche, imprese di assicurazione, S.G.R. ,
SICAV, Governi nazionali , amministrazioni regionali, fondazioni bancarie).
Al di fuori delle ipotesi sopra descritte, nel caso dunque di offerta di prodotti o
strumenti finanziari destinata a raggiungere il pubblico dei risparmiatori, gli emittenti
e gli intermediari responsabili del collocamento, saranno tenuti ad osservare gli
obblighi per le offerte al pubblico (art.94 ss.), così come, gli stessi soggetti,
soggiaceranno alle regole di condotta predisposte dal t.u.f. e dai regolamenti attuativi
predisposti dalla Consob.
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In ossequio a tale normativa il procedimento di emissione si caratterizza, come detto,
per essere scandito da una serie preordinata di atti.
L’art. 94 comma 1° t.u.f. stabilisce infatti che: “coloro che intendono effettuare
un’offerta al pubblico pubblicano preventivamente un prospetto a tal fine, per le
offerte aventi ad oggetto strumenti finanziari comunitari nelle quali l’Italia è Stato
membro d’origine e per le offerte aventi ad oggetto prodotti finanziari diversi dagli
strumenti finanziari comunitari, ne danno preventiva comunicazione alla Consob
allegando il prospetto destinato alla pubblicazione. Il prospetto non può essere
pubblicato finché non è approvato dalla Consob”; al 2° comma la stessa disposizione
insiste sulla forma del documento informativo, prevedendo che il prospetto debba
essere facilmente analizzabile e comprensibile e debba altresì contenere “tutte le
informazioni che possano consentire agli investitori di pervenire a un fondato giudizio
sulla situazione, sui risultati e sulle prospettive dell’emittente e degli eventuali garanti,
nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti”, ed introduce poi la distinzione fra
prospetto e nota di sintesi (quest’ultima da allegare al prospetto).
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La disciplina di rango primario, quanto ai contenuti del prospetto e della nota di
sintesi, deve essere raccordata con quanto stabilito dal regolamento Consob
(regolamento emittenti) a mente del quale “la comunicazione prevista nell’articolo 94,
comma 1, del testo unico è redatta in conformità al modello in allegato 1A, contiene la
sintetica descrizione dell’offerta e l’indicazione dei soggetti che la promuovono” (art.
4 reg. emittenti). Dal tenore della norma che precede può comprendersi quanto
“blindato” sia il contenuto del prospetto in relazione ai contenuti obbligatori che, ai
fini del via libera alla pubblicazione, tale documento deve descrivere.
Per i prodotti finanziari diversi dagli strumenti comunitari spetta alla Consob stabilire,
su richiesta dell'emittente o dell'offerente, il contenuto del prospetto, ove questo non
sia già stato determinato in via generale in conformità alla normativa comunitaria
richiamata nel successivo art. 95, 1° comma, lett. b.
Fino alla chiusura definitiva dell'offerta, inoltre, fatti nuovi o sopravvenuti, errori
materiali o imprecisioni che attengano alle informazioni contenute nel prospetto,
dovranno essere comunicati in un apposito supplemento. In tali ipotesi i termini di
adesione all’offerta subiranno una proroga, mentre gli investitori che hanno già
concordato di acquistare o sottoscrivere i prodotti finanziari potranno revocare
l'accettazione entro il termine indicato nel supplemento (comunque non inferiore a due
giorni lavorativi).
38
Le offerte pubbliche di acquisto.
39
partecipazione sufficiente a esercitare un’influenza dominante in assemblea. In queste
ipotesi, accanto all’esigenza di proteggere i destinatari di un’operazione standardizzata
e di massa, emergono interessi ulteriori, che riguardano la “tutela selettiva” di una
particolare categoria di investitori e, più in generale, il “mercato del controllo
societario”.
Quanto sin qui osservato trova un riscontro normativo nella suddivisione del capo
relativo alle offerte pubbliche di acquisto o di scambio in due sezioni, dedicate,
rispettivamente, alle “disposizioni generali”, comuni a tutte le offerte pubbliche, e alle
offerte obbligatorie. La disciplina “speciale” è applicabile soltanto alle società italiane
con titoli ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati italiani (art. 105
T.U.F.) .
40
soggetti e di ammontare complessivo superiori a quelli indicati nel regolamento
previsto dall’articolo 100, comma 1, lett. b) e c) (art. 1, co. 1, lett. v) .
Nel caso in cui un soggetto intenda acquistare o scambiare strumenti finanziari diversi
da “titoli”, l’offerta pubblica costituisce una mera opportunità, una tecnica per
semplificare la negoziazione con una pluralità di soggetti . Se, però, l’aspirante
acquirente decide di ricorrervi, sarà obbligato a rispettare la relativa disciplina e, in
particolare, le regole di correttezza, trasparenza e parità di trattamento degli oblati.
Quando oggetto dell’offerta sono “titoli”, per contro, può esservi un obbligo di
promuovere l’offerta, alle condizioni stabilite dalla legge, sia per quel che riguarda il
41
quantitativo di titoli da acquistare, sia per quel che concerne il prezzo da corrispondere
(infra, par. 4).
Disposizioni generali.
Per quel che concerne lo svolgimento dell’offerta, il Testo Unico si limita a stabilire
alcuni principi fondamentali, quali la irrevocabilità dell’offerta, l’obbligo di assicurare
parità di condizioni a tutti i titolari dei prodotti finanziari che formano oggetto
dell’offerta, l’inammissibilità di limiti al numero di rilanci che possono essere
effettuati fino alla scadenza del termine massimo (art. 103, T.U.F.). Le norme di
dettaglio sono, invece, contenute nel regolamento di attuazione emanato dalla Consob
(artt. 37-44, regolamento emittenti) .
42
originaria. Il corrispettivo offerto può essere aumentato, purché l’offerta di aumento
sia comunicata in conformità con la disciplina prevista nel regolamento emittenti (art.
36) e sia pubblicata entro il giorno antecedente la data prevista per la chiusura del
periodo di adesione, che dovrà essere prorogato, se necessario per assicurare il rispetto
del termine di tre giorni dalla data della modifica (art. 43).
La prima fase del procedimento di offerta è incentrata sulla trasmissione alla Consob
di due documenti, la “comunicazione” e il “documento di offerta” .
43
Entro venti giorni dalla comunicazione, l’offerta deve essere promossa, presentando
alla Consob il documento di offerta, destinato alla pubblicazione.
44
Il comunicato dell’emittente.
L’apporto conoscitivo del comunicato sarà particolarmente evidente nel caso di offerte
di acquisizione ostili, là dove nel caso di offerte concordate è ragionevole attendersi
una sostanziale coincidenza di giudizi da parte dell’offerente e degli amministratori
della società emittente, i quali raccomanderanno agli azionisti di aderire all’offerta. In
ogni caso, il comunicato deve precisare se la valutazione del consiglio di
amministrazione in merito all’offerta è stata espressa con deliberazione assunta a
maggioranza, indicando il numero dei dissenzienti e i nominativi di quelli tra essi che
ne abbiano fatto richiesta.
L’apporto conoscitivo del comunicato dell’emittente è stato reso più incisivo dalla
previsione di un parere espresso dagli amministratori indipendenti. In effetti, nelle
offerte aventi ad oggetto “titoli”, promosse da soggetti aventi, anche in virtù
dell’adesione a un patto parasociale, una partecipazione superiore alla soglia del trenta
per cento ovvero da amministratori o consiglieri di gestione o di sorveglianza
dell’emittente o, infine, da soggetti che agiscono di concerto con le persone sopra
indicate, è imposta, prima dell’approvazione del comunicato dell’emittente, la
redazione di un parere motivato, da parte degli amministratori indipendenti che non
siano parti correlate dell’offerente, ove presenti. Il parere deve contenere una
45
valutazione dell’offerta e della congruità del corrispettivo, anche con l’ausilio, a spese
dell’emittente, di un esperto indipendente. Il parere degli amministratori indipendenti,
ove non integralmente recepito dall’organo di amministrazione, e l’eventuale parere
dell’esperto indipendente sono resi noti con le modalità previste per il comunicato (art.
39-bis reg. emittenti).
Lo svolgimento dell’offerta.
La durata del periodo di adesione può variare tra un minimo di quindici e un massimo
di venticinque giorni per le offerte obbligatorie e tra un minimo di quindici e un
massimo di quaranta giorni per tutte le altre offerte, ad eccezione delle offerte aventi a
oggetto obbligazioni o altri titoli di debito, per le quali la durata minima è ridotta a
cinque giorn . Entro questi limiti, la durata è, di volta in volta, concordata
dall’offerente con la società di gestione del mercato e, nel caso di offerte aventi a
oggetto strumenti finanziari non quotati, con la Consob. Quest’ultima ha facoltà di
concedere una proroga – sentiti l’offerente e la società di gestione del mercato – fino a
46
un massimo di cinquantacinque giorni, con provvedimento motivato da esigenze di
corretto svolgimento dell’offerta e di tutela degli investitori (art. 40, co. 2, reg.
emittenti) .
Per la modalità di adesione sono previste norme particolari, che impongono la forma
scritta e un contenuto predefinito della dichiarazione di accettazione e la cui
inosservanza comporta senz’altro l’inefficacia dell’accettazione (art. 40, commi 6 e 7,
reg. emittenti e Allegato 2B).
47
(art. 103, co. 4, lett. d, T.U.F.). Le modifiche ammesse sono quelle che arrecano
esclusivamente vantaggi agli oblati o in termini di aumento del corrispettivo ovvero in
termini di più agevole alienazione degli strumenti finanziari. Qualora altri soggetti
promuovano un’offerta concorrente sui medesimi strumenti finanziari, promettendo un
corrispettivo più elevato ovvero condizioni più vantaggiose, tutte le precedenti
adesioni all’offerta originaria diventano automaticamente revocabili, onde consentire
agli oblati di beneficiare dell’opportunità di scelta tra le offerte concorrenti. Al
contempo l’offerente originario avrà la possibilità di “rilanciare”, ossia modificare
l’offerta originaria, alla luce di quella (o di quelle) concorrente, senza poter tuttavia
ridurre il quantitativo di strumenti finanziari richiesto.
Un altro evento che può alterare il normale corso del procedimento di offerta è la
convocazione di un’assemblea da parte della società emittente per deliberare sulle
materie previste dall’art. 104, T.U.F.. Ove la data della riunione assembleare cada
negli ultimi dieci giorni del periodo di adesione, questo è automaticamente prorogato
in misura tale da assicurare un termine di ulteriori dieci giorni dalla data della riunione
assembleare.
Le società italiane quotate i cui titoli costituiscono oggetto di offerta devono astenersi
dal compiere “atti od operazioni che possono ostacolare il conseguimento degli
obiettivi dell’offerta” (c.d. passivity rule). L’obbligo di astensione può essere tuttavia
rimosso mediante un’autorizzazione deliberata dall’assemblea dei soci – in sede
ordinaria o straordinaria, in base alla regole generali – con il voto favorevole di tanti
soci che rappresentano almeno il trenta per cento del capitale sociale, anche nelle
convocazioni successive alla prima (art. 104, T.U.F.).
48
La disciplina in esame regola la condotta della società destinataria di un’offerta di
acquisizione, tentando di contemperare l’interesse dell’offerente al buon esito
dell’operazione con quello della società a proseguire la gestione dell’impresa.
L’assunto implicito nella scelta del legislatore è che il lancio di un’OPA costituisca un
evento che giustifica la previsione di deroghe alla normale ripartizione di competenze
tra assemblea e amministratori e alla dialettica interna all’organo assembleare, tra
“maggioranza” e “minoranze” .
L’istituto è ispirato al modello britannico del City Code on Take-overs and Mergers,
contraddistinto da un atteggiamento di tendenziale “sospetto” nei confronti degli
49
amministratori della società destinataria dell’offerta, per la presenza di un possibile
conflitto di interessi, derivante dal timore di essere estromessi dalla gestione, a seguito
del mutamento del controllo. Donde la regola di “passività”, superabile soltanto con
un’autorizzazione assembleare .
Una soluzione decisamente più “salomonica” è stata alla fine accolta in sede
comunitaria, pur muovendo dall’enunciazione di un principio chiaramente ispirato al
modello britannico, che, tuttavia, ha incontrato forti resistenze durante la travagliata
gestazione della Direttiva. La regola generale, che impone l’autorizzazione
assembleare per l’adozione di misure “difensive” è integrata, sempre in un’ottica di
salvaguardia del “mercato del controllo societario”, la c.d. break-through rule (art.11),
il cui effetto è quello di rendere inefficaci (donde la “neutralizzazione”) nei confronti
dell’offerente eventuali misure difensive di carattere “preventivo”, consistenti in limiti
(statutari o parasociali) al trasferimento dei titoli o all’esercizio del voto ovvero
nell’attribuzione di diritti speciali ai soci attuali . Le regole di “passività” e di
“neutralizzazione”, tuttavia, possono essere, in tutto o in parte, derogate in sede di
attuazione dagli Stati membri (c.d. opt-out statale), purché, in tal caso, gli statuti
societari siano lasciati liberi di adottarle (c.d. opt-in statutario). Il sistema comunitario
è completato dalla “regola di reciprocità”, in virtù della quale le società prive di
50
“difese” – per scelta dello Stato di appartenenza ovvero per opzione statutaria –
possono essere “esonerate” dalla relativa applicazione, se (i loro titoli sono) oggetto di
offerta da parte di una società che abbia adottato misure difensive (art. 12, co. 3) .
Le tipologie di OPA
Le offerte obbligatorie
L’obbligo di promuovere un’offerta pubblica di acquisto trova, storicamente, la sua
giustificazione nell’acquisizione (o nel consolidamento) di una partecipazione di
controllo ovvero nella riduzione del flottante al di sotto della soglia minima per
assicurare la regolare negoziazione dei titoli. In questo secondo caso, come si vedrà,
l’obbligo di offerta (c.d. residuale) è stato sostituito da un obbligo di acquisto.
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A norma dell’art. 106 T.U.F., chiunque, a seguito di acquisti, venga a detenere una
partecipazione superiore alla soglia del trenta per cento , è tenuto a promuovere, entro
venti giorni, un’offerta pubblica di acquisto rivolta a tutti i “possessori di titoli” per la
totalità dei titoli, ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato. Per
ciascuna categoria di titoli, l’offerta è promossa a un prezzo “non inferiore a quello più
elevato” pagato dall’offerente e da persone che agiscono di concerto con lui, nei
dodici mesi anteriori alla comunicazione dell’offerta, per acquisti di titoli della
medesima categoria .
Il Testo Unico, dunque, prevede l’obbligo di offerta pubblica di acquisto come
conseguenza dell’avvenuta concentrazione di una partecipazione significativa in capo
a un unico soggetto (o a una coalizione, ex art. 109 T.U.F.) . Questa circostanza di
fatto è vista dall’ordinamento come una alterazione rilevante della situazione nella
quale gli investitori avevano posto in essere la scelta di investimento e, pertanto,
come il presupposto per accordare loro una opportunità di ripensamento, a condizioni,
quanto meno, non penalizzanti rispetto all’andamento del mercato. Lo “strumento” a
tal fine predisposto consiste, per l’appunto, nella previsione di un obbligo di offerta
totalitaria in capo al soggetto che ha determinato l’alterazione del mercato .
Il “fatto nuovo” consiste, sostanzialmente, nell’acquisizione (o nel consolidamento)
del controllo di una società quotata. La legge, peraltro, non considera – come nel
regime previgente – l’acquisizione del controllo un elemento costitutivo della
fattispecie, ma, semmai, la sua mancata acquisizione, nonostante l’acquisto rilevante,
una ragione per escludere l’obbligo di offerta. Tanto si desume da una lettura
sistematica della norma che regola la “fattispecie base” e delle norme che, in taluni
casi, escludono l’obbligo di offerta, nonostante l’avvenuto superamento della soglia
rilevante, proprio perché a quest’ultimo evento, in realtà, non consegue
quell’alterazione degli assetti di controllo, che giustifica l’obbligo di offerta .
Diversa è l’alterazione rilevante che determina l’obbligo di acquisto, di cui all’art. 108
T.U.F. Il primo comma contempla l’obbligo di acquisto “successivo” a un’opa
totalitaria, disponendo che l’offerente che venga a detenere, a seguito di un’offerta
52
pubblica totalitaria, una partecipazione almeno pari al novantacinque per cento del
capitale rappresentato da titoli in una società italiana quotata ha l’obbligo di acquistare
i restanti titoli da chiunque ne faccia richiesta. L’obbligo di acquisto “sostitutivo”
dell’opa residuale è, invece, disciplinato dal secondo comma dell’art. 108 e ha quale
unico presupposto la “detenzione” di una partecipazione al capitale rappresentato da
titoli superiore al novanta per cento, senza che rilevi il titolo che ha condotto a questa
concentrazione rilevante.
Non identico è, nelle due fattispecie, il “bisogno di tutela” che giustifica l’intervento
del legislatore. Nella prima, il “fatto nuovo” che giustifica la compressione
dell’autonomia privata, a tutela degli investitori, è rappresentato dal “successo” di una
precedente offerta totalitaria, che ha portato l’offerente a una soglia di partecipazione
almeno pari al novantacinque per cento. Agli azionisti che non hanno aderito viene, in
tal caso, concessa una sorta di seconda opportunità di accettare, che probabilmente si
inquadra nella logica – studiata soprattutto dalla letteratura gius-economica – dei c.d.
problemi di azione collettiva e, in particolare, in quella che è stata chiamata la
“coazione a vendere” (pressure to tender) . Nell’ipotesi contemplata dal secondo
comma, per contro, il problema che si presenta all’ordinamento del mercato
finanziario è quello della perdita di un “mercato” del titolo, a causa di una
concentrazione rilevante, comunque raggiunta. Tanto si desume dalla previsione di
una “facoltà alternativa” per il destinatario dell’obbligo, consistente nel ripristinare un
flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni, in tal
modo garantendo comunque l’interesse dell’investitore alla “fluidità” del mercato e,
dunque, a un “attendibile” canale di disinvestimento. L’obbligo di acquisto ex art. 108,
2° co., T.U.F., dunque, tutela l’investitore rispetto alla perdita definitiva di un mercato
dei titoli.
L’acquisto indiretto e il consolidamento della partecipazione.
La fattispecie base delineata dall’art. 106, T.U.F., non esaurisce tutte le situazioni
nelle quali può sorgere un problema di disciplina dell’acquisizione del controllo di una
società quotata. Quest’ultimo, in effetti, può essere conseguito anche, indirettamente,
53
mediante l’acquisto di una partecipazione nella società controllante . In tal caso
l’obbligo di OPA totalitaria sorge nel caso di acquisto, anche di concerto, di una
partecipazione che consenta di detenere più del trenta per cento delle azioni con diritto
di voto sugli argomenti indicati nell’art. 105, T.U.F., di una società quotata o il
controllo di una società non quotata, qualora l’acquirente venga così a detenere,
indirettamente o per effetto della somma di partecipazioni dirette e indirette, più del
trenta per cento dei “titoli” (ex art. 105 T.U.F.) in una società quotata. Per
partecipazione indiretta deve intendersi, in questo contesto, la detenzione di azioni di
una società, il cui patrimonio sia costituito in prevalenza da partecipazioni in società
quotate o in società che detengono in misura prevalente partecipazioni in società
quotate .
L’obbligo di offerta può sorgere anche a carico di chi già detenga la partecipazione
superiore alla soglia del trenta per cento, ma non la maggioranza dei diritti di voto
esercitabili nell’assemblea ordinaria, allorché questi incrementi la partecipazione, in
misura significativa (cinque per cento) .
Le esenzioni.
In determinati casi il superamento della soglia di cui all’art. 106, co. 1 non comporta
l’obbligo di promuovere un’offerta pubblica di acquisto totalitaria successiva.
Una prima esenzione dall’obbligo di promuovere l’OPA successiva sussiste
nell’ipotesi in cui la soglia rilevante sia conseguita in presenza di altri soci che
detengono il controllo, nel qual caso, evidentemente, viene meno quella presunzione
di controllo di fatto della società emittente, che il Testo Unico ha ricollegato alla
detenzione di una partecipazione superiore al trenta per cento.
Il superamento della partecipazione rilevante non determina l’obbligo di OPA anche
nel caso in cui sia determinato da operazioni dirette al salvataggio di società in crisi,
ovvero dal trasferimento di azioni ordinarie tra soggetti legati da rilevanti rapporti di
partecipazione, o da cause indipendenti dalla volontà dell’acquirente, o, infine, da
operazioni di carattere temporaneo o di fusione o scissione (art. 106, co. 5).
54
Il legislatore ha demandato alla Consob il potere di regolare nel dettaglio le fattispecie
esenti (art. 49 regolamento emittenti). L’Autorità di vigilanza ha, altresì, il potere di
disporre, con provvedimento motivato, che il superamento della soglia rilevante non
comporti l’obbligo di offerta, con riferimento a ipotesi riconducibili a quelle indicate
dalla legge, ma non espressamente previste, in termini generali, in sede di regolamento
(art. 106, co. 6).
Le offerte preventive.
Meritevoli di autonoma considerazione sono le fattispecie dell’offerta preventiva
totalitaria (art. 106, co. 4, T.U.F.) e dell’offerta preventiva parziale (art. 107, T.U.F.),
che pure hanno l’effetto di esimere il soggetto che abbia superato la soglia rilevante
dall’obbligo di procedere a offerta successiva totalitaria.
L’obbligo di offerta non sussiste se la partecipazione superiore alla soglia rilevante è
raggiunta a seguito di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio rivolta a tutti i
possessori di titoli per la totalità dei titoli in loro possesso, purché, nel caso di offerta
di scambio, siano offerti titoli quotati in un mercato regolamentato di uno Stato
comunitario o sia offerto come alternativa un corrispettivo in contanti (art. 106, co. 4,
T.U.F.). La ratio dell’esenzione è, verisimilmente, da ricercare nella circostanza che,
nell’ipotesi in considerazione, l’acquisizione del controllo avviene nel rispetto di un
procedimento che dovrebbe assicurare la trasparenza e la parità di trattamento degli
azionisti . In realtà la disciplina in esame accorda una tutela soltanto parziale, in
quanto non attribuisce alcuna rilevanza alle condizioni di prezzo alle quali l’offerta è
promossa. Il che significa che gli oblati potranno trovarsi nella condizione di dover
scegliere se aderire all’offerta alle condizioni decise dall’offerente – che potrebbero
essere non particolarmente vantaggiose rispetto all’andamento delle quotazioni –
ovvero restare nella società, correndo il rischio di una depressione del prezzo delle
azioni a seguito del mutamento del controllo .
L’altra ipotesi di offerta preventiva esimente è regolata dall’art. 107, T.U.F., ai sensi
del quale l’obbligo di offerta non sussiste se la partecipazione rilevante viene a essere
55
detenuta a seguito di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio avente a oggetto
almeno il sessanta per cento dei titoli di ciascuna categoria, ove ricorrano
congiuntamente determinate condizioni . L’istituto realizza un compromesso tra
l’esigenza di consentire l’acquisizione del controllo di società quotate, senza dover
passare necessariamente per l’acquisto della totalità delle azioni rilevanti per
l’esercizio del controllo, e quella di proteggere gli azionisti esterni dal pericolo di
“pressione a vendere”.
L’acquisto di concerto.
La regola che impone l’obbligo di offerta totalitaria (o di acquisto) si presta, in
astratto, a essere elusa, attraverso l’escamotage del frazionamento dell’acquisto
rilevante tra una pluralità di soggetti, formalmente distinti, ma, in realtà, appartenenti a
una coalizione. L’istituto dell’acquisto di concerto mira a prevenire questa elusione
della legge.
La prova di un’azione concertata può, per vero, rivelarsi tutt’altro che agevole in
concreto. L’impostazione originaria del Testo Unico attenuava queste difficoltà
probatorie, ricorrendo a un’elencazione di situazioni tipiche di acquisti rilevanti, posti
in essere da parte di più soggetti, in qualche modo “aggregabili” nella locuzione
“acquisto di concerto”, e rinunciando a fornire una (sempre infida) definizione. Nella
sua versione originaria, l’art. 109, ancorché rubricato “acquisto di concerto”, non
attribuiva alcun valore normativo alla “azione di concero”, limitandosi a imporre una
sommatoria di partecipazioni riferibili a diversi soggetti, al fine di determinare la base
di calcolo per un eventuale successivo incremento rilevante, in termini di obbligo
(solidale) di opa .
La disciplina dell’acquisto di concerto è stata novellata, in sede di recepimento della
Direttiva OPA (d. lgs. n. 229/07), con un successivo intervento “correttivo”, ad opera
del d. lgs. n. 146/09.
56
La riforma dell’istituto si segnala, innanzi tutto, per il tentativo di fornire una
definizione di “persone che agiscono di concerto” (art. 101-bis, co. 4, T.U.F.),
ricorrendo a una clausola generale – mutuata dalla Direttiva comunitaria (art. 2, co. 1,
lett. d) –, alla quale segue la consueta elencazione dei “concertanti ex lege”, per i quali
l’appartenenza alla categoria è predicata “in ogni caso” (art. 101-bis, co. 4-bis).
La clausola generale contenuta definisce “persone che agiscono di concerto” “i
soggetti che cooperano tra di loro sulla base di un accordo, espresso o tacito, verbale o
scritto, ancorché invalido o inefficace, volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il
controllo della società emittente o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di
un’offerta pubblica di acquisto o di scambio”.
Un primo aspetto che emerge dalla lettura della “definizione” è l’esplicitazione della
ratio sottesa alla disciplina del concerto, chiaramente inquadrato nella
regolamentazione degli assetti proprietari e, in particolare, del problema “classico”
dell’acquisizione, del mantenimento e del trasferimento del controllo, nel cui contesto
si colloca – entro i limiti sopra chiariti – la regolamentazione delle offerte
obbligatorie. Il legislatore sembra considerare rilevante l’azione di concerto soltanto
allorché essa risulti attuazione di un accordo, “volto a” incidere sul controllo di un
emittente, per acquisirlo, mantenerlo, o rafforzarlo ovvero diretto a contrastarne
l’acquisizione, mediante opa.
La legge richiede ora, in termini generali, l’esistenza – e, dunque, l’accertamento – di
un accordo; il che sembrerebbe costituire una presa di posizione contro l’ipotizzata
sufficienza di una mera condotta “convergente” di due o più soggetti . Certo, l’accordo
non richiede alcuna formalità e assume rilievo come mero fatto giuridico, a nulla
rilevando il profilo negoziale, dell’idoneità a produrre gli effetti giuridici
programmati. Ma un accordo deve, comunque, essere ricostruibile e, per di più, non
nel senso, del tutto generico, di (reciproca) “condivisione” dell’altrui condotta, ma in
un’accezione assai più pregnante, dovendo avere un oggetto determinato, come sopra
osservato . La definizione parrebbe, dunque, escludere la possibilità di un “concertiste
malgré soi” , dovendosi, in ogni caso, procedere a un’operazione di qualificazione
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della fattispecie, al fine di valutare se tra due o più soggetti sia stato effettivamente
concluso un contratto, pur in assenza di “una formale stipulazione” .
Il successivo comma 4-bis individua le “persone che agiscono di concerto” “in ogni
caso” (corsivi aggiunti). I “concertanti per elencazione” sono (i) gli aderenti a un patto
parasociale ex art. 122 T.U.F., ancorché nullo ; (ii) un soggetto e le società da esso
controllate ; (iii) le società sottoposte a comune controllo; (iv) una società e i suoi
amministratori o direttori generali. Per questi soggetti, dunque, parrebbe non
necessario l’accertamento di una cooperazione attuativa di un accordo, essendo
sufficiente il riscontro della “situazione” descritta. Apparentemente nulla di nuovo,
rispetto all’approccio originariamente seguito dal legislatore del Testo Unico, il quale,
peraltro, aveva coerentemente espunto dall’articolato normativo l’azione di concerto,
limitandosi ad applicare una disciplina in presenza di determinate situazioni, che
davano luogo ex lege a un “acquisto di concerto”.
Alla luce di quanto sin qui osservato sembra potersi affermare che la nuova disciplina
sia incentrata su due regole generali. La cooperazione attuativa di un accordo avente le
caratteristiche previste dall’art. 101-bis, co. 4, T.U.F., comporta la qualificazione in
termini di “concertanti” e giustifica l’aggregazione di cui all’art. 109 T.U.F.
L’appartenenza a una delle “categorie” elencate nell’art. 101-bis, com. 4-bis, T.U.F., è
equiparata alla cooperazione e comporta le medesime conseguenze, pur in assenza
(della prova) di un’azione concertata. Si noti, peraltro, che la concertazione, quando
rilevante, non ha per oggetto un acquisto di azioni, bensì la “gestione” del controllo
societario ovvero il contrasto di un’offerta di acquisizione. Parrebbe permanere,
dunque, la regola in virtù della quale i “concertanti” – per legge o per l’effettiva
cooperazione rilevante – sono solidalmente tenuti all’obbligo di offerta, se pongono in
essere un acquisto che comporta l’incremento significativo della partecipazione
aggregata, anche se a seguito di un comportamento non concertato e, probabilmente,
anche se, per così dire, “dissonante”.
In realtà l’ultimo comma (4-ter) dell’art. 101-bis introduce un’eccezione, la cui
ampiezza e indeterminatezza rischia di sgretolare ogni certezza esegetica. L’eccezione
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parrebbe circoscritta alle sole “persone che agiscono di concerto” in virtù di
un’effettiva cooperazione (co. 4), con esclusione dei “concertanti ex lege” (co. 4-bis).
Depone in tal senso l’incipit della disposizione (“fermo restando il comma 4-bis”).
Il Testo Unico ha demandato alla Consob il compito di individuare con regolamento
“a) i casi per i quali si presume che i soggetti coinvolti siano persone che agiscono di
concerto ai sensi del comma 4, salvo che provino che non ricorrono le condizioni di
cui al medesimo comma”; (b) i casi nei quali la cooperazione tra più soggetti non
configura un’azione di concerto ai sensi del comma 4”. La disposizione non si segnala
per la chiarezza della formulazione. Il legislatore parrebbe aver voluto agevolare
l’attività di vigilanza, consentendo alla Consob di prevedere, sia pure in termini
generali e astratti, fattispecie di presunzioni (semplici) di cooperazione rilevante, e
addossando ai presunti concertanti l’onere di provare l’insussistenza degli elementi
costitutivi della fattispecie (dunque: l’accordo e il suo oggetto). Parimenti, la
Commissione ha il potere di individuare fattispecie astratte nelle quali, pur sussistendo
una cooperazione, questa non è rilevante, ai fini della qualificazione dei “cooperanti”
in termini di “persone che agiscono di concerto” (art. 44-quater, co. 2, reg. emittenti ).
Diritto di acquisto.
L’offerente che, a seguito di un’offerta totalitaria (anche volontaria), si trovi a
detenere una partecipazione pari ad almeno il novantacinque per cento del capitale
rappresentato da titoli in una società quotata italiana, ha un diritto di acquisto dei titoli
residui (art. 111 T.U.F.) . Condizione per avvalersi del diritto in parola è che
l’offerente abbia dichiarato la sua intenzione nel documento di offerta (si veda anche
l’art. 50 reg. emittenti). Il corrispettivo e la forma che esso deve avere sono
determinati secondo le modalità previste dalle norme che regolano l’obbligo di
acquisto (art. 108, commi 3, 4, 5, nonché art. 50 reg. emittenti). Il diritto di acquisto
può essere esercitato entro tre mesi dalla scadenza del termine per l’accettazione
dell’offerta che ha determinato il raggiungimento della soglia sopra indicata e il
trasferimento dei titoli ha efficacia dal momento della comunicazione alla società
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emittente dell’avvenuto deposito del prezzo di acquisto presso una banca. La società
provvede alle conseguenti annotazioni nel libro dei soci.
L’istituto presenta qualche analogia con il retrait obligatoire del diritto francese, sotto
il profilo dell’«espropriazione» delle partecipazioni degli azionisti di minoranza .
L’istituto francese, peraltro ha quale presupposto una precedente offerta pubblica,
all’esito della quale i titoli “residui” non rappresentino più del 5% del capitale o dei
diritti di voto, là dove il diritto di acquisto in esame sorge a seguito di un’OPA
totalitaria, non necessariamente residuale, e trova la sua giustificazione,
principalmente, nell’opportunità di consentire al socio ormai quasi totalitario di
sottrarsi a possibili “interferenze” da parte dei soci “minimi”.
Disposizioni sanzionatorie.
Pur nella diversità di opinioni circa la giustificazione dell’obbligo di offerta, una
conclusione che sembra confortata dal dato positivo è che l’istituto costituisca uno
strumento di tutela dei soggetti che abbiano investito in particolari categorie di
strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati. L’individuazione di una
finalità di “tutela degli investitori” rende legittimo l’interrogativo circa il grado di
effettività della protezione accordata e, dunque, orienta l’indagine verso
l’approfondimento degli strumenti di reazione predisposti dall’ordinamento, nel caso
di inosservanza della disciplina da parte dei soggetti destinatari degli obblighi di legge.
Il Testo Unico reca un apparato sanzionatorio incentrato, fondamentalmente, sulla
frustrazione del “programma contrattuale” perseguito con l’acquisto contra legem. Il
che avviene non già invalidando l’atto di autonomia privata , ma “demolendone” gli
effetti, con la dismissione coatta della partecipazione eccedente e l’inibizione
dell’esercizio del potere acquisito in seno all’organizzazione societaria (art. 110
T.U.F.) .
L’approccio del legislatore appare coerente con l’idea che il meccanismo dell’opa
totalitaria a un prezzo “equo” costituisca un presidio dell’interesse degli investitori a
una consapevole destinazione del risparmio nel mercato regolamentato, accordando
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l’opportunità di riconsiderare l’investimento iniziale, allorché mutino circostanze
rilevanti, rispetto alla (e alla luce della) scelta iniziale di investimento. Può dirsi
congruo, a fronte di questo assetto di interessi, un apparato sanzionatorio di carattere
“ripristinatorio” dello status quo ante e di inibizione, medio tempore, delle prerogative
acquisite illegittimamente (il “potere di voto”), poiché il loro esercizio potrebbe
condurre a un’ulteriore (e potenzialmente irreversibile) alterazione della “situazione”
dell’emittente e, dunque, del “valore” dell’investimento, inteso, appunto, quale
finanziamento di un’attività produttiva da altri gestita.
In sede di recepimento della Direttiva opa, l’art. 110 T.U.F. è stato novellato, con
l’aggiunta di un secondo comma, a mente del quale “in alternativa all’alienazione di
cui al comma 1 la Consob può imporre, con provvedimento motivato, la promozione
dell’offerta di cui all’articolo 106 al prezzo da essa stabilito, anche tenendo conto del
prezzo di mercato dei titoli”. La norma – che si segnala per gli ampi margini di
discrezionalità che parrebbe attribuire all’Autorità di vigilanza – regola pur sempre
l’apparato sanzionatorio di settore, prevedendo una sorta di singolare esecuzione in
forma specifica, rimessa alla discrezionalità della Consob, che dovrà esercitare il
potere a essa attribuito in un’ottica di tutela degli investitori e del mercato nel suo
complesso (art. 91 T.U.F.), anche alla luce degli eventi sopravvenuti. E ciò sebbene
non sfugga la presenza anche di una logica, in qualche misura, risarcitoria, pur se
sottratta – a conferma della natura degli interessi protetti – all’iniziativa dei potenziali
beneficiari dell’offerta.
La prospettiva “settoriale” del Testo Unico non esime, però, l’interprete dal valutare la
possibilità di un raccordo fra le sanzioni previste dalla legislazione speciale e i princìpi
generali desumibili dal diritto delle obbligazioni .
In proposito giova richiamare quanto già osservato circa la centralità della disciplina
del procedimento, anche nel caso di offerta obbligatoria. La conclusione del contratto
di compravendita (o di permuta), anche in questo contesto, costituisce soltanto un esito
eventuale di un procedimento imposto. L’obbligatorietà di una condotta attiva (la
promozione dell’offerta, secondo le modalità puntualmente scandite dalla legge), è
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funzionale ad attribuire a soggetti determinati un’opportunità, consistente nel
pervenire a una consapevole decisione circa un’operazione di disinvestimento e,
eventualmente, nel realizzare quella operazione, con la cooperazione (anche) del
soggetto (che diventa allora) obbligato ad acquistare, in un contesto alternativo
rispetto al mercato . Al contenuto positivo dell’obbligo gravante sul soggetto che abbia
superato la soglia rilevante sembra, dunque, fare riscontro l’attribuzione ai beneficiari
della condotta imposta dalla legge di una “pretesa giuridicamente tutelata”, secondo lo
schema del rapporto obbligatorio . L’inattuazione del rapporto, pertanto, pone il
problema della responsabilità da inadempimento, ai sensi dell’art. 1218 c.c.
Certo, in concreto, la responsabilità potrà essere esclusa, ove risulti che
dall’inadempimento non è conseguito alcun danno, eventualmente anche per effetto
della tempestiva applicazione delle sanzioni. Ma a questa conclusione si potrà
pervenire esclusivamente applicando le regole di cui agli artt. 1223 ss. c.c., non già
invocando la “esaustività” delle sanzioni previste dall’art. 110 T.U.F. E ciò per la
semplice, ma decisiva, ragione che quelle norme regolano un diverso tipo di problema,
rispetto alla perdita dell’opportunità di riconsiderare l’investimento iniziale, per
approdare, eventualmente, a un “disinvestimento informato”, a condizioni che meglio
riflettono la valutazione di mercato dei titoli, a seguito dell’acquisto rilevante.
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