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Modulo 6 (Lezioni da 6.1.a 6.

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Il mercato finanziario e gli strumenti finanziari

Quando si utilizza il termine mercato, anche e soprattutto quando il


riferimento ricade sul mercato finanziario, ci si riferisce ad una categoria
più che a un termine, categoria che può essere intesa in una pluralità di
accezioni.

Ci si può infatti riferire ad un luogo fisico, ad una istituzione o in generale


all’insieme degli scambi o alla loro organizzazione. Comunque lo si voglia
interpretare il termine rimanda sempre ad una organizzazione della quale
partecipano soggetti. E’ necessario che ci siano parti con interessi diversi
ma allo stesso tempo congruenti perché si realizzi uno scambio. In termini
economici si dice che è necessaria la presenza di domanda e offerta perché
si crei un interesse allo scambio e dunque si crei un mercato. E quindi sul
mercato finanziario emergono, in via di prima approssimazione, due
interessi rappresentati da due parti:

- coloro i quali emettono strumenti finanziari e


- coloro che investono negli stessi.

Ma questo non basta a creare un mercato efficiente. Affinché domanda e


offerta di strumenti finanziari si incrocino sarebbe infatti necessaria la
coincidenza fra le propensioni dei risparmiatori e le esigenze degli
operatori che cercano risparmio per finanziare le loro attività. Che queste
condizioni si verifichino è sicuramente possibile, ma molto improbabile.
Proprio per questo motivo sono nate nel settore imprese specializzate nella
prestazione dei servizi necessari all’incontro fra domanda e offerta del
risparmio: soggetti che vengono definiti intermediari finanziari.

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L'individuazione di una pacifica definizione di “intermediario finanziario”
presenta non poche difficoltà. Difficoltà dovute in primo luogo al silenzio
del legislatore sul punto, ma anche, e soprattutto, discendenti dall’assenza di
una chiara definizione di attività finanziaria; nozione presente in diversi testi
normativi, a partire dall’art. 10 comma 3 del TUB, ma che continua ad avere
contorni sfumati. In termini economici gli intermediari sono soggetti che,
come abbiamo visto, agevolano il collegamento tra emittenti e risparmiatori,
ma la loro qualificazione giuridica deve essere ricostruita a partire dal
quadro normativo che presenta complessità e stratificazioni che non
agevolano l’interprete. L’art. 1 della legge 2 gennaio 1991, n. 1 parlava di
“attività di intermediazione mobiliare”. In seguito, e nel più recente passato,
il legislatore ha mutato la sua terminologia fino ad attestarsi con il d.lgs. n.
58/1998 (Testo Unico della Finanza) sulla nozione di servizio di
investimento. Per servizi di investimento si devono intendere quelle attività
necessarie per agevolare l’incontro fra domanda e offerta di risparmio e
quelle finalizzate all’investimento ottimale delle risorse. I soggetti deputati a
prestare questi servizi sono definibili intermediari finanziari.

Ad una prima conclusione, finalizzata almeno a delimitare l’ambito dei


soggetti che operano come intermediari sui mercati finanziari, si può
giungere attraverso la lettura dell’art. 18 comma 1 del TUF che stabilisce:

“l'esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi di


investimento è riservato alle imprese di investimento e alle banche”.

Dunque sono intermediari finanziari le imprese di investimento e le banche.


Resta da precisare quali siano in concreto i soggetti che possono essere
ricompresi nella categoria “impresa di investimento”. A questo scopo
soccorre l’art. 1 lett. h) del medesimo TUF che statuisce che sono imprese
di investimento le SIM e le imprese di investimento comunitarie ed extra-
comunitarie. In definitiva sono intermediari finanziari i soggetti che

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svolgono la funzione distributiva e di collegamento tra emittenti e
risparmiatori che la legge riconosce alle SIM, alle imprese di investimento
comunitarie ed extra-comunitarie e alle banche.

Oltre ai soggetti menzionati, tuttavia, ne esistono altri che possono prestare


alcuni servizi di investimento: le società di gestione del risparmio, che
possono prestare il servizio di gestione di portafogli di investimento su base
individuale; agli intermediari finanziari, iscritti nell'elenco previsto dall'art.
107 del d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, che possono svolgere il servizio di
negoziazione per conto proprio di strumenti derivati e il servizio di
collocamento di strumenti finanziari; gli agenti di cambio che, ai sensi
dell'art. 201 del TUF, possono offrire taluni servizi di investimento; le società
fiduciarie iscritte nella sezione speciale dell'albo delle Sim, che possono
prestare il servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimen-
to; e le Poste Italiane S.p.A. che, ai sensi dell'art. 12 del d.PR 14 marzo 2001,
n. 144, possono svolgere nei confronti del pubblico il servizio di
negoziazione per conto terzi; il servizio di collocamento, con o senza
preventiva sottoscrizione o acquisto a fermo, ovvero assunzione di garanzia
nei confronti dell'emittente; e il servizio di ricezione e trasmissione ordini
nonché di mediazione, oltre che alcuni tra i servizi accessori.

Le pretese definitorie potrebbero condurre l’interprete a sovrapporre al


termine “intermediari finanziari” quello di “soggetti abilitati”, nozione
rubricata nel TUF art. 1, lett. r), ma si tratterebbe di un errore di
interpretazione della lettera della legge in quanto da un lato la nozione di
soggetto abilitato non ricomprende la varietà delle imprese finanziarie su
menzionate, dall’altro contiene alcuni soggetti che svolgono anche l’attività
di gestione collettiva del risparmio (che come si accennava non può essere
considerata un servizio di investimento).

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Ai fini di una tesi che si preoccupa di indagare quale sia la disciplina degli
intermediari finanziari, con particolare riguardo alle regole di condotta
degli stessi, sembra opportuno limitarsi ad utilizzare la nozione di
intermediario finanziario come soggetto che svolge quei servizi di
investimento finalizzati a mettere in contatto domanda e offerta di
strumenti finanziari, a fornire un utile strumento alla ricerca di investimenti
dei risparmiatori e, di riflesso, a consentire che il mercato in esame sia
efficiente, stabile e integro. I soggetti che, concretamente, nel nostro
ordinamento svolgono la generalità dei servizi di investimento sono le
Società di intermediazione mobiliare (SIM), le imprese di investimento
comunitarie e non, e le banche: sarà pertanto a questi soggetti che ci
riferiremo quando si parlerà genericamente di “intermediari finanziari”

La nozione di “strumento finanziario”


La nozione di strumenti finanziari è stata introdotta nel nostro ordinamento dal d.lg. 23
luglio 1996 n. 415 (art.1), in attuazione della direttiva comunitaria n. 22 del 10.5.1993
relativa ai servizi di investimento.
Gli strumenti finanziari fanno parte della categoria dei prodotti finanziari (insieme ai
mezzi di pagamento e alle altre forme di investimento finanziario, che non sono
strumenti finanziari: artt. 1.4 e 1.1 lett. u, TUF).
Attualmente la definizione di strumenti finanziari è contenuta dell’art. 1 comma 2 del
TUF che riporta un elenco (pressoché identico a quello del d.lgs 415/1995), suddiviso
in titoli di massa e contratti derivati

Gli strumenti finanziari costituiscono l’insieme dei mezzi di investimento di natura


finanziaria.

Essi sono elencati nel Testo Unico della Finanza (d.lgs n. 58/1998) all’articolo 1,
comma 2 e sono:

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a) valori mobiliari, con i quali si intendono tutte le categorie di valori negoziati nel
mercato dei capitali. Si tratta quindi di:

- azioni (o altri titoli equivalenti) e certificati di deposito azionario;

- obbligazioni e altri titoli di debito, compresi i certificati di deposito relativi a tali


titoli;

- qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permette di acquisire o di vendere i


valori mobiliari indicati alle precedenti lettere;

- qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con


riferimento ai valori mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di
interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure.

b) strumenti del mercato monetario, con i quali si intendono le categorie di


strumenti normalmente negoziati nel mercato monetario, quali, ad esempio, i buoni del
tesoro, i certificati di deposito e le carte commerciali;

c) quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio (ad es., quote di


fondi comuni di investimento);

d) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),


«swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati
connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri strumenti
derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con
consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti;

e) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),


«swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati

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connessi a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in
contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei
casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad altro evento che determina la
risoluzione del contratto;
f) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),
«swap» e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire
attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato
regolamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione;

g) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),


«swap», ontratti a termine («forward») e altri contratti derivati connessi a merci
il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante,
diversi da quelli indicati alla lettera f), che non hanno scopi commerciali, e aventi le
caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l'altro, se sono
compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono
soggetti a regolari richiami di margini;

h) strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito;


i)contratti finanziari differenziali;

j) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»),


«swap», contratti a termine sui tassi d'interesse e altri contratti derivati connessi
a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o
altre statistiche economiche ufficiali, il cui regolamento avviene attraverso il
pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una
delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimento o ad
altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti derivati
connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati alle lettere

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precedenti, aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando,
tra l'altro, se sono negoziati su un mercato regolamentato o in un sistema multilaterale
di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione
riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini.
NB: Non sono invece strumenti finanziari tutti i mezzi di pagamento.

Servizi e contratti di investimento

I servizi di investimento

Con il contratto di cui all’art. 23 del Tuf, i soggetti abilitati alla prestazione di servizi
di investimento (cioè gli intermediari finanziari: banche, SIM ed altri) mettono in
relazione domanda e offerta di strumenti finanziari.

In particolare, “l’intermediario pone la sua organizzazione d’impresa a disposizione


del cliente”, ossia si impegna a prestare uno o più servizi d’investimento. Il legislatore
non ha fornito una definizione generale di tali servizi, limitandosi ad elencarli e a
darne una sintetica descrizione. L’elencazione (ampliabile dal Ministro dell’economia
e delle finanze con regolamento adottato sentite la Banca d’Italia e la Consob) è
tassativa, per cui si tratta di servizi tipici. Occorre segnalare che il T.U.F., dopo
l’entrata in vigore del d. lgs. 164 del 2007, non discorre più soltanto di “servizi” ma
anche di “attività d’investimento”. Tale mutamento, giustificato dal legislatore
dall’inclusione nell’elenco di cui all’art. 1 c.5 del T.U.F. della “gestione di sistemi di
negoziazione”, è stato criticato dalla dottrina. Si è rilevato che, sebbene anche la
direttiva MIFID distingua “servizi” ed “attività”, ciò è giustificato da una loro diversa
regolamentazione. Al contrario, “nel nostro ordinamento non è prevista una disciplina
diversa per le attività e per i servizi (…) per cui non è dato individuare una realtà
fenomenica (…) diversa”.

L’art. 1 c. 5 del T.U.F. individua i seguenti tipi di servizi:

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a) negoziazione per conto proprio;

b) esecuzione di ordini per conto dei clienti;

c) sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di


garanzia nei confronti dell'emittente;

c-bis) collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti


dell'emittente;

d) gestione di portafogli;

e) ricezione e trasmissione di ordini;

f) consulenza in materia di investimenti;

g) gestione di sistemi multilaterali di negoziazione.

I successivi commi 5-bis, 5-quinquies, 5-sexies, 5-septies, 5-octies contengono la


descrizione sintetica soltanto di alcuni dei servizi sopraelencati. Si tratta dei servizi di:
negoziazione per conto proprio, gestione di portafogli, ricezione e trasmissione di
ordini, consulenza ed infine gestione di sistemi multilaterali di negoziazione.
L’introduzione di tali definizioni, operata dal d. lgs. 164 del 2007, ha risolto alcuni
dubbi sorti riguardo la portata dei servizi d’investimento. In assenza di esse la
giurisprudenza di merito aveva di fatto ampliato il novero di attività rientranti nel
campo dei servizi finanziari e la Consob aveva dovuto emettere comunicazioni tese a
restringere la loro interpretazione.

Per “negoziazione per conto proprio” l’art. 1 c. 5-bis intende “l’attività di acquisto e
vendita di strumenti finanziari, in contropartita diretta e in relazione a ordini dei
clienti, nonché l’attività di market maker”, definita dal successivo c. 5-quater come
l’attività di chi “si propone sui mercati regolamentati e sui sistemi multilaterali di
negoziazione, su base continua, come disposto a negoziare in contropartita diretta

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acquistando e vendendo strumenti finanziari ai prezzi da esso definiti”. Tale servizio
costituisce una particolare modalità di quello di “esecuzione di ordini per conto dei
clienti”, in quanto l’intermediario soddisfa le esigenze d’investimento e
disinvestimento della clientela attraverso gli strumenti finanziari presenti nel proprio
portafoglio. Ciò comporta che per poter prestare il servizio in esame l’intermediario
dovrà essere autorizzato anche per il servizio di esecuzione di ordini per conto dei
clienti. Una volta ricevuto un ordine dal cliente, l’intermediario può internalizzarlo
soltanto nel rispetto della regola della best execution. L’intermediario che negozia per
proprio conto assume la veste di venditore o di acquirente, per cui il suo guadagno è
rappresentato dalla differenza tra i prezzi di vendita e di acquisto degli strumenti
finanziari.

Quando presta il servizio di “esecuzione di ordini per conto dei clienti”,


l’intermediario assume l’impegno di acquistare o vendere strumenti finanziari non
presenti nel proprio portafoglio, ma disponibili presso mercati regolamentati o sistemi
multilaterali di negoziazione. La scelta della sede di negoziazione deve essere
compiuta in modo da poter perseguire nel modo migliore l’interesse del cliente. Non
essendo in questo caso controparte contrattuale, l’intermediario guadagna mediante la
provvigione corrisposta dal cliente.

Altro tipo di servizio di investimento che l’intermediario può prestare è quello di


sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di
garanzia nei confronti dell'emittente o di collocamento senza assunzione a fermo né
assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente. Si tratta di un servizio prestato nei
confronti delle società interessate a che gli intermediari distribuiscano presso i
risparmiatori i loro titoli (che possono essere di nuova emissione o meno come emerge
dai termini utilizzati dal legislatore di “sottoscrizione e/o collocamento”) . L’impegno
assunto dall’intermediario è più o meno gravoso a seconda che sottoscriva interamente
i titoli del cliente o comunque garantisca l’acquisto dei titoli rimasti invenduti (in
questi casi l’intermediario dovrà adempiere specifici obblighi posti per evitare conflitti

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d’interesse) oppure si limiti a ricercare investitori senza alcun tipo di rischio del buon
esito dell’operazione.

Il servizio di “ricezione e trasmissione di ordini” consiste in un’attività di mediazione,


in quanto l’intermediario autorizzato a prestare tale servizio non esegue gli ordini dei
clienti, ma li trasmette agli intermediari autorizzati alla prestazione dei servizi di
negoziazione. La Consob ha chiarito che i clienti non entrano in contatto con
l’intermediario negoziatore , ma soltanto con quello incaricato della trasmissione degli
ordini. Per l’investitore la convenienza di affidarsi ad un “trasmettitore” di ordini
anziché direttamente ad un intermediario autorizzato ad eseguirli, consiste nella
possibilità di usufruire dell’esperienza e della professionalità dell’intermediario
“trasmettitore” nella scelta del negoziatore in grado di assicurare il miglior risultato
possibile al risparmiatore . La Consob ha ammesso la possibilità della “doppia raccolta
di ordini”, ossia l’inoltro dell’ordine del cliente da parte dell’intermediario ad altro
intermediario autorizzato allo svolgimento del medesimo servizio di ricezione e
trasmissione di ordini .

Il servizio di consulenza in materia di investimenti è definito dal c. 5-septies dell’art. 1


del T.U.F. come “la prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro
sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni
relative ad un determinato strumento finanziario”. Il legislatore ha avuto cura di
precisare che “la raccomandazione è personalizzata quando è presentata come adatta
per il cliente o è basata sulla considerazione delle caratteristiche del cliente. Una
raccomandazione non è personalizzata se viene diffusa al pubblico mediante canali di
distribuzione”. La consulenza in materia di investimenti è tornata ad essere
configurata come servizio d’investimento (come lo era nel sistema della l. n. 1/1991)
dopo che il T.U.F. l’aveva qualificata come servizio accessorio. La configurazione
della consulenza come servizio “appare opportuna, in quanto proprio la possibile
combinazione di un servizio di esecuzione di ordini (regolamentato, ma con livello di
tutela minimo) e del servizio di consulenza (non regolamentato) aveva di fatto creato,

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negli ultimi dieci anni, una sorta di zona franca per la quale finivano per transitare le
operazioni più pericolose, con un meccanismo estremamente semplice: si consigliava
al cliente un investimento ad alto rischio e il cliente ordinava all’intermediario di
eseguirlo, così inconsciamente abdicando al sistema di tutele previsto
dall’ordinamento” . È invece ricompresa nei servizi accessori la consulenza alle
imprese in materia di struttura finanziaria, di strategia industriale e di questioni
connesse, nonché la consulenza su concentrazioni e acquisto di imprese , in quanto si
tratta di attività non aventi direttamente ad oggetto un’operazione relativa a strumenti
finanziari. Parte della dottrina ritiene che il servizio di consulenza accompagni ogni
altro tipo di servizio d’investimento. Tale tesi è argomentata sulla base
dell’affermazione della Consob per la quale “non è escluso, in via astratta, che i
servizi di collocamento o di ricezione e trasmissione ordini (o di esecuzione di ordini o
negoziazione per conto proprio) siano posti in essere senza essere accompagnati da
consulenza” . Tale ricostruzione non convince per diverse ragioni: innanzitutto perché
la Consob non esclude che i servizi d’investimento possano essere prestati senza il
servizio di consulenza ma, anzi, consapevole della contiguità dei servizi, detta delle
linee guida affinché l’intermediario possa prestare il servizio richiesto senza dare
raccomandazioni personalizzate; in secondo luogo è da rilevare che se la consulenza
accompagnasse ogni tipo di servizio, non avrebbe senso distinguere tra “valutazione
di adeguatezza” (richiesta per il servizio di consulenza e gestione di portafogli) e
“valutazione di appropriatezza” (richiesta per tutti gli altri servizi), dato che in ogni
caso dovrebbe essere compiuta soltanto la prima; in terzo luogo ritenere che il servizio
di consulenza accompagni ogni tipo di servizio significa anche imporre al cliente
ulteriori oneri finanziari. In definitiva la ricostruzione criticata, seppure animata
dall’intento di evitare il c.d.“suicidio economico dell’investitore” si pone in netto
contrasto con il sistema di tutele predisposto dal nostro ordinamento .

Per "gestione di sistemi multilaterali di negoziazione" si intende a norma del c. 5-


octies dell’art. 1 del T.U.F. “la gestione di sistemi multilaterali che consentono

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l’incontro, al loro interno ed in base a regole non discrezionali, di interessi multipli di
acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari in modo da dare luogo a
contratti”. I sistemi multilaterali svolgono la stessa funzione dei mercati regolamentati,
ma a differenza di questi possono essere gestiti non solo da società di gestione di
mercati regolamentati, ma anche da banche e SIM che siano state autorizzate alla
prestazione del servizio.

Il contratto di gestione di portafogli

La gestione di portafogli non costituisce soltanto un servizio d’investimento, ma anche


un contratto nominato e tipico. Esso può esser definito come “un contratto a titolo
oneroso, con cui il cliente incarica l’intermediario di adottare entro margini di
discrezionalità più o meno ampi, decisioni di investimento mediante operazioni su
strumenti finanziari finalizzate alla valorizzazione del patrimonio gestito, i cui risultati
positivi o negativi ricadono direttamente sul patrimonio del cliente stesso” . La
nominatività e la tipicità del contratto derivano dalla sua disciplina, la quale è
contenuta: nell’art. 24 del T.U.F. (dove sono enunciate le principali norme applicabili
al rapporto di gestione); nell’art. 38 del reg. intermediari (che indica gli ulteriori
elementi che il contratto di gestione deve contenere rispetto a quelli già descritti

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nell’art. 37); negli artt. 54-55 del reg. intermediari (nei quali trovano disciplina gli
obblighi di rendicontazione). Solo in via residuale ( e in mancanza di disposizioni di
settore) si ritiene possano applicarsi le norme sul mandato professionale . D’altronde
il mandato costituisce l’archetipo della gestione di portafogli, grazie da un lato alla sua
duttilità e dall’altro al suo oggetto tipico: l’attività gestoria. La sua disciplina, tuttavia,
sembra aver oggi perso gran parte della sua capacità integrativa delle lacune, a causa
del progressivo processo di tipizzazione che ha contraddistinto il contratto di gestione
di portafogli .

L’art. 1 c. 5-quinquies del T.U.F. definisce il servizio di gestione di portafogli come


“la gestione, su base discrezionale e individualizzata, di portafogli di investimento che
includono uno o più strumenti finanziari”.

Dalla lettura della disposizione emergono due tratti caratterizzanti la fattispecie: la


“discrezionalità” e la “personalizzazione”. Quest’ultimo profilo differenzia la gestione
di portafogli individuali dalle gestioni collettive, in quanto in queste il patrimonio è
gestito in monte. Inoltre, pur essendo entrambi i tipi di gestione caratterizzati dalla
formazione di un patrimonio “distinto” rispetto a quello del gestore e rispetto agli altri
patrimoni gestiti dallo stesso intermediario, nella gestione individuale i conferimenti
danno vita ad un “patrimonio separato”, mentre nelle gestioni collettive, data la
pluralità di conferenti, danno vita ad un “patrimonio autonomo” . La differenza
consiste nel fatto che mentre il patrimonio autonomo è “un patrimonio a sé stante e
nuovo con un proprio soggetto collettivo”, il patrimonio separato continua a far capo
al titolare del patrimonio di provenienza, differenziandosi da esso soltanto per
“determinati e limitati effetti” . Dato il carattere dematerializzato di gran parte degli
strumenti finanziari (dematerializzazione obbligatoria per i titoli quotati o diffusi e
facoltativa per gli altri) “l’unica via verso la separazione (patrimoniale) è la
contabilità” . In entrambi casi, a garanzia dei conferenti, non sono ammesse sul
patrimonio “distinto” azioni dei creditori del soggetto abilitato.

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È da notare come nelle gestioni individuali il legislatore utilizzi il termine
“patrimonio” soltanto all’art. 22 del T.U.F., allorché stabilisce il suo carattere
“distinto” rispetto a quello d’intermediario, mentre nel vigore della legge Sim era
utilizzato frequentemente come oggetto del contratto di gestione. Nelle altre
disposizioni il T.U.F. utilizza il termine “portafogli”, introdotto a partire dal decreto
Eurosim (d.lgs. 415/1996). Si tratta di una variazione terminologica legata alla
necessità di adeguare l’ordinamento nazionale alla direttiva 93/22/CE che ad ogni
modo non sembra modificare l’oggetto della fattispecie anche perché, come si è già
osservato, lo stesso legislatore continua ad utilizzare il termine “patrimonio”. L’unico
elemento che sembrerebbe differenziare il “portafoglio” rispetto al “patrimonio”
potrebbe consistere nel fatto che il primo riuscirebbe a liberare i beni che lo
costituiscono dallo schema della proprietà. In tal modo i beni costituenti il portafoglio
possono anche non appartenere al cliente, bastando che questi ne abbia il legittimo
possesso . Quanto alla composizione del portafoglio d’investimento, l’art. 1 c. 5-
quinquies del T.U.F. prevede che esso includa “uno o più strumenti finanziari”.
Chiaramente il portafoglio del cliente potrà contenere anche il denaro necessario
all’acquisto degli strumenti finanziari o derivante dalla loro vendita. Si ritiene inoltre
che i portafogli possano contenere anche prodotti finanziari e depositi bancari . Il
denaro e gli strumenti finanziari sono immessi rispettivamente in un conto corrente ed
in un deposito titoli a custodia ed amministrazione che possono essere accesi sia
presso l’intermediario, sia presso un terzo, a condizione che l’intermediario abbia il
potere di movimentare il portafogli. È rimessa all’autonomia delle parti stabilire se e
con quali modalità, il cliente possa disporre dei valori costituenti il portafoglio
d’investimento.

L’altra principale caratteristica del servizio è la discrezionalità dell’attività del gestore.


Essa evidenzia il carattere fiduciario del rapporto scaturente dal contratto in quanto
l’intermediario ha facoltà di compiere investimenti o disinvestimenti con la finalità di
“valorizzare un determinato patrimonio” . Occorre rilevare però che la discrezionalità

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di cui gode il gestore non è assoluta, in quanto, secondo il disposto dell’art. 24 c. 1
lett. a) del T.U.F., “il cliente può impartire istruzioni vincolanti in ordine alle
operazioni da compiere”. L’imperatività di tale disposizione risulta dalla previsione
per la quale l’eventuale patto contrario contenuto nel contratto di gestione è nullo e la
nullità può essere fatta valere solo dal cliente . Le modalità attraverso cui le istruzioni
vengono impartite sono indicate nel contratto di gestione a norma dell’art. 37 c. 2 lett.
c) del reg. intermediari.

Ulteriori limiti alla discrezionalità dell’intermediario si rinvengono, per il solo


contratto stipulato con il cliente al dettaglio, nell’art. 38 del reg. intermediari, secondo
cui esso deve indicare: “i tipi di strumenti finanziari che possono essere inclusi nel
portafoglio del cliente e i tipi di operazioni che possono essere realizzate su tali
strumenti, inclusi eventuali limiti;… gli obiettivi di gestione, il livello del rischio entro
il quale il gestore può esercitare la sua discrezionalità ed eventuali specifiche
restrizioni a tale discrezionalità;… se il portafoglio del cliente può essere
caratterizzato da effetto leva… la possibilità per l’intermediario di investire in
strumenti finanziari non ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, in
derivati o in strumenti illiquidi o altamente volatili; o di procedere a vendite allo
scoperto, acquisti tramite somme di denaro prese a prestito, operazioni di
finanziamento tramite titoli o qualsiasi operazione che implichi pagamenti di margini,
deposito di garanzie o rischio di cambio”.

Il carattere discrezionale dell’attività convive quindi con la capacità del cliente di


incidere sulla gestione del patrimonio affidato all’intermediario, sia nel momento della
stipulazione del contratto di gestione (attraverso la fissazione degli elementi indicati
dagli artt. 37 e 38 del reg. intermediari) sia in costanza del rapporto, impartendo
istruzioni vincolanti. Questa capacità del cliente rappresenta un ulteriore elemento
discretivo rispetto alle gestioni collettive. In queste ultime infatti i soggetti abilitati
gestiscono il patrimonio conferito da una massa di risparmiatori in piena ed assoluta
autonomia.

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È opportuno allora cercare di individuare il punto di equilibrio tra la
“personalizzazione” del servizio e la discrezionalità del gestore. È evidente al riguardo
che, se la facoltà di impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da
compiere fosse esercitata dal cliente con frequenza e con caratteri tali da rilegare
l’attività dell’intermediario a quella di un mero esecutore, il servizio prestato non
sarebbe più quello di gestione, ma quello di “ricezione e trasmissione di ordini” . Tale
situazione peraltro comporterebbe l’applicazione di sanzioni nei confronti
dell’intermediario che, autorizzato a prestare il servizio di gestione di portafogli, non
lo sia anche con riferimento al servizio di ricezione e trasmissione . La facoltà del
cliente di impartire istruzioni, deve quindi (se si vuole rispettare la natura gestoria
dell’attività ) “inserirsi all’interno di un servizio, bensì “personalizzato”, ma pur
sempre “pensato” e proposto dal gestore” . Occorre rilevare che la personalizzazione
del rapporto tra intermediario e cliente risulta nella prassi pressoché inesistente , dato
che normalmente il servizio in questione è prestato nei confronti dei clienti al
dettaglio, i quali non avendo adeguate competenze, si affidano alle scelte
dell’investitore. Ne consegue che la standardizzazione accomuna non solo le gestioni
collettive, ma anche quelle individuali, almeno nei confronti dell’insieme dei clienti di
ogni intermediario . I soggetti abilitati sono infatti soliti predisporre delle cc.dd. “linee
di gestione” descritte normalmente in fogli allegati al contratto.

Risulta controversa la legittimità delle cc.dd. gestioni con “preventivo assenso”, ossia
dei rapporti gestori nei quali ogni operazione d’investimento, per essere eseguita, deve
ottenere la preventiva autorizzazione del cliente. Parte della dottrina ha ritenuto un tale
tipo di gestione contrastante con il carattere discrezionale dell’attività
dell’intermediario . Al contrario, il preventivo assenso dell’investitore non sembra
incompatibile con il servizio in questione “ a condizione che l’investimento sia scelto
e proposto (…) dal gestore, il quale poi si limiti a verificarne il gradimento” .
D’altronde , come è stato osservato, la facoltà di impartire istruzioni vincolanti è stata
prevista al fine di assicurare all’investitore la possibilità di mantenere la propria

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autonomia decisionale in relazione alle scelte riguardanti la gestione del proprio
portafoglio .

Nell’ipotesi in cui l’intermediario ritenga che l’ordine impartito dal cliente non sia
consono al progetto gestorio, si ritiene che, fermo restando il dovere di non eseguire
operazioni non adeguate, il soggetto abilitato possa recedere dal contratto . L’art. 24 c.
1 lett. b) del T.U.F. prevede infatti che l’intermediario possa recedere dal contratto di
gestione ai sensi dell’art. 1727 del c.c. Tale articolo disciplina la rinunzia del
mandatario distinguendo a seconda che il mandato sia a tempo determinato o
indeterminato: nel primo caso, consente la rinunzia solo se sussiste un’ipotesi di giusta
causa; nel secondo, invece, stabilisce soltanto il dovere di darne congruo preavviso. In
ogni caso la rinunzia deve essere fatta in modo e in tempo tali che il mandante possa
provvedere altrimenti, salvo il caso di impedimento grave da parte del mandatario. A
differenza dell’intermediario, l’art. 24 del T.U.F. dispone che il cliente può recedere
dal contratto in ogni momento e che l’eventuale patto contrario è nullo e la nullità può
esser fatta valere solo dal cliente.

17
La consulenza finanziaria post MIFID II

La MiFID II (entrata in vigore: 3 gennaio 2018) ha come obiettivo lo sviluppo di un


mercato unico dei servizi finanziari in Europa, nel quale siano assicurate la trasparenza
e la protezione degli investitori. 
Sono previste varie disposizioni che, in quanto ispirate al dovere di agire nel miglior
interesse del cliente, garantiscono una corretta informazione per gli investitori, si
occupano dei potenziali conflitti di interesse tra le parti e richiedono un’adeguata
profilatura del risparmiatore.

Di seguito, si elencano alcune delle principali novità che la MiFID II ha apportato in


tema di prestazione dei servizi di investimento.

Consulenza

La MiFID II innova significativamente la materia, introducendo il nuovo concetto di


consulenza su base indipendente. Le imprese di investimento sono pertanto chiamate a
specificare ai clienti se:

 la consulenza è prestata su base indipendente o meno;

 la consulenza è basata su un’analisi del mercato ampia o più ristretta delle varie
tipologie di strumenti finanziari;

 l’impresa fornirà ai clienti la valutazione periodica dell’adeguatezza degli


strumenti finanziari raccomandati.

Alla base del servizio di consulenza resta sempre quel fondamentale presidio di tutela
dell’investitore che è rappresentato dalla valutazione di adeguatezza. Tale valutazione
si basa, anzitutto, sulla raccolta di una serie di informazioni sul cliente:

 le sue conoscenze ed esperienze in materia di investimenti riguardo al tipo di


specifico di prodotto o servizio;

 la sua situazione finanziaria, tra cui la capacità di sostenere eventuali perdite;

18
 i suoi obiettivi di investimento, inclusa la tolleranza al rischio.

Governance del prodotto

La MiFID II introduce una serie di requisiti organizzativi applicati ai rapporti tra


produttori e distributori di strumenti finanziari. I produttori sono chiamati a definire e
applicare un processo di approvazione per ogni strumento finanziario prima della sua
commercializzazione o distribuzione alla clientela. Dal canto loro, i distributori sono
tenuti a contribuire all’implementazione di strategie distributive appropriate rispetto
alle caratteristiche del mercato target.

Agenti collegati

L’agente collegato è persona fisica o giuridica che, sotto la piena e incondizionata


responsabilità di una sola impresa di investimento  per  conto  della  quale  opera, 
promuove  servizi  di  investimento  e/o  servizi  accessori  presso  clienti  o potenziali
clienti, riceve e trasmette le istruzioni o gli ordini dei clienti riguardanti servizi di
investimento o strumenti finanziari,  colloca  strumenti  finanziari  o  presta 
consulenza  ai  clienti  o  potenziali  clienti  rispetto  a  detti  strumenti  o servizi 
finanziari.
In Italia questa figura è riconducibile al consulente finanziario abilitato all’offerta
fuori sede (che, come tale, è persona fisica). La legislazione nazionale non prevede
invece l’agente collegato italiano in forma di persona giuridica: il nostro Paese è
quindi l’unico in Europa a non ammettere entrambe le forme di agente collegato.

I mercati finanziari e il sistema di vigilanza

La direttiva di massima armonizzazione 2004/39/CE, del Parlamento europeo e del


Consiglio, datata 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari (Markets
in Financial Instruments Directive, nel seguito: MiFID), ha confermato, arricchendone

19
il disegno, la scelta per la creazione di mercati regolamentati fondati sul modello
privatistico, già effettuata dal legislatore europeo con le precedenti direttive
93/22/CEE e 93/6/CEE, relative ai servizi di investimento nel settore dei valori
mobiliari e all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti
creditizi.

Il suo recepimento dunque, mediante il d.lg. 17 settembre 2007, n. 164, consolida la


struttura del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria,
d.lg. 24 febbraio 1998, n. 58 (nel seguito: testo unico o t.u.f.).

Diverse, e profonde, sono per contro le modifiche introdotte nel testo unico in materia
di strumenti finanziari e servizi di investimento, ove la novella ha comportato anche
significativi mutamenti dell’impianto normativo.

Prendendo le mosse dalla disciplina dei mercati, va detto che essa si ritrova, anche
dopo la novella, nel titolo I della parte III del t.u.f., ora però articolata in un capo I
(artt. 60 ter-77), dedicato ai mercati regolamentati, in un capo II (artt. 77 bis-79),
dedicato ai sistemi di negoziazione diversi dai mercati regolamentati, e in un capo II
bis (artt. 79 bis-79 ter) contenente disposizioni comuni.

Come noto, il t.u.f. aveva al riguardo recepito – senza apportarvi innovazioni


significative – la regolamentazione introdotta dal d.lg. 23 luglio 1996, n. 415 (nel
seguito: decreto Eurosim), che aveva dato attuazione nel nostro ordinamento alle
direttive 93/22/CEE e 93/6/CEE.

Una delle novità di maggior rilievo introdotte dal decreto Eurosim era certamente stato
– lo si è detto – il passaggio da un modello di mercato pubblico, istituito e gestito dalla

20
pubblica autorità, a un modello privatistico, incentrato sull’iniziativa dell’autonomia
privata e sottoposto all’autorizzazione e alla vigilanza pubblica.

Alla base della scelta effettuata dal nostro legislatore vi era la convinzione che il
superamento della visione pubblicistica dei mercati mobiliari costituisse un passaggio
obbligato nel processo di integrazione internazionale dei mercati, risultante
dall’emanazione delle direttive comunitarie sopra menzionate, le quali avevano
sancito il principio di liberalizzazione dei servizi di investimento in ambito
comunitario e il mutuo riconoscimento dei mercati .

L’assetto normativo previgente era invece contraddistinto, come è noto, dalla


concezione – risalente al modello francese del periodo napoleonico – secondo la quale
il mercato regolamentato costituisce un pubblico servizio e trova la sua origine in un
atto della pubblica autorità, alla quale spettano altresì le competenze relative
all’organizzazione e al funzionamento del mercato medesimo .

Un opposto modello è presente, per contro, nell’esperienza angloamericana, nella


quale le borse e, più in generale, i mercati organizzati, sono tradizionalmente
disciplinati come imprese e organismi autoregolati (self-regulatory organizations),
integrati da elementi di regolazione pubblica .

L’impostazione che caratterizza la disciplina dei mercati è rispecchiata dall’art. 61, 1°


co., t.u.f., il quale dispone che «l’attività di organizzazione e gestione di mercati
regolamentati di strumenti finanziari ha carattere di impresa ed è esercitata da società
per azioni, anche senza scopo di lucro» .

La norma chiarisce come l’attività di organizzazione e di gestione dei mercati non


costituisca un pubblico servizio, ma un’attività economica, ai sensi dell’art. 2082 c.c. ,
esercitata da un soggetto di diritto privato (società per azioni), sottoposto allo statuto
dell’imprenditore commerciale, ivi compresa la soggezione a fallimento, in caso di
insolvenza (art. 75 t.u.f.) . Tale scelta è altresì resa evidente dalla circostanza che la

21
società di gestione ha naturalmente uno scopo di lucro, sebbene quest’ultimo non sia
essenziale e possa essere escluso.

Dal testo dell’art. 61, 1° co., t.u.f., si desume, inoltre, che l’adozione del modello
privatistico ha comportato il superamento della struttura monopolistica dei mercati
finanziari. La distinzione tra «mercato» e «società di gestione» comporta, infatti, la
possibilità della compresenza di più mercati regolamentati, gestiti da diverse società in
concorrenza tra loro.

Il coinvolgimento di un interesse pubblico – riconducibile alla tutela del risparmio, di


cui all’art. 47 Cost. – nell’esercizio dell’attività in parola, peraltro, giustifica, come si
avrà modo di osservare, la sottoposizione dell’attività medesima a controlli e ad
autorizzazione da parte della Consob e del Ministro dell’economia.

Il decreto Eurosim prevedeva la costituzione di una o più società per azioni, alle quali
affidare la gestione della borsa valori, del mercato ristretto e del mercato dei
“derivati”. Al Consiglio di borsa era stato demandato il compito di procedere alla
privatizzazione dei mercati regolamentati esistenti, mediante la costituzione – per atto
unilaterale e previa approvazione del relativo progetto da parte della Consob – delle
società di gestione, secondo le modalità stabilite dall’art. 56 d.lg. n. 415/1996 .

Le modalità seguite per la “privatizzazione” hanno condotto alla creazione di una


società per azioni (Borsa italiana s.p.a.), avente finalità lucrativa, alla quale è stata
affidata l’organizzazione e la gestione dei mercati regolamentati di strumenti
finanziari, in conformità a un regolamento deliberato dall’assemblea ordinaria della
società medesima.

Conseguenza della privatizzazione del soggetto che gestisce i mercati è stata, pertanto,
la sostituzione delle fonti legislative e regolamentari di disciplina dei mercati con fonti
di natura privatistica.

22
A norma dell’art. 62 t.u.f., infatti, l’organizzazione e la gestione dei mercati sono
disciplinate da un regolamento deliberato dall’assemblea ordinaria o dal consiglio di
sorveglianza della società di gestione, regolamento che altresì può attribuire al
consiglio di amministrazione o al consiglio di gestione il potere di dettare disposizioni
di attuazione. Tale regolamento deve essere reso pubblico secondo le modalità
stabilite dalla Consob e ha un contenuto minimo prestabilito dalla legge. Tra le
materie che devono in ogni caso essere previste dal regolamento vi sono le condizioni
e le modalità di ammissione, di esclusione e di sospensione degli operatori e degli
strumenti finanziari dalle negoziazioni; le condizioni e le modalità per lo svolgimento
delle negoziazioni e gli eventuali obblighi degli operatori e degli emittenti; le modalità
di accertamento, pubblicazione e diffusione dei prezzi; i tipi di contratti ammessi alle
negoziazioni e i criteri per la determinazione dei quantitativi minimi negoziabili.

Il regolamento ha natura di atto di autonomia privata, diretto a regolare i rapporti tra la


società di gestione, gli intermediari ammessi alla negoziazione e gli emittenti. In
considerazione della predisposizione unilaterale del regolamento, troveranno
applicazione le norme codicistiche in materia di contratti per adesione (artt. 1341-
1342) .

Dalla riconosciuta natura privatistica dei rapporti originati dall’adesione al


regolamento dovrebbe desumersi, inoltre, la devoluzione alla cognizione del giudice
ordinario delle eventuali controversie che dovessero insorgere tra i soggetti sopra
menzionati. In tal senso è orientata la prevalente dottrina , anche se taluni Autori
hanno ritenuto di poter desumere la competenza del giudice amministrativo dal
disposto dell’art. 33, 1° co., d.lg. 31 marzo 1998, n. 80, a norma del quale «sono
devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in
materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti al credito, alla vigilanza sulle
assicurazioni, al mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle
telecomunicazioni e ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481» .

23
Secondo questo orientamento, dalla disposizione sopra riportata sarebbe altresì
possibile trarre argomenti per ricondurre la società di gestione alla categoria del
«privato incaricato di pubblico servizio», anche in considerazione della stretta
connessione tra l’attività svolta e il pubblico interesse alla tutela del risparmio.

Siffatta soluzione interpretativa è stata, peraltro, contestata, osservandosi che, già a


partire dal quadro normativo introdotto dal decreto Eurosim, poi confermato dal t.u.f.,
anche dopo il recepimento della direttiva MiFID, emerge che la società di gestione è
dalla legge considerata un imprenditore che fornisce un servizio di mercato
perseguendo, di regola, uno scopo lucrativo. Il pubblico interesse alla tutela del
risparmio, pertanto, costituirebbe un vincolo esterno all’attività esercitata dalla società
di gestione; tale vincolo non inciderebbe sulla natura privatistica del soggetto che la
esercita, pur giustificando la presenza di controlli pubblici sull’attività e la necessità di
un’autorizzazione all’esercizio, così come avviene per altre attività – quali quella
bancaria o assicurativa – non riconducibili al concetto di pubblica funzione o di
servizio pubblico .

La disciplina delle società di gestione del mercato contenuta nel t.u.f. si colloca,
pertanto, nel contesto di un’avvenuta privatizzazione dei mercati e detta,
conseguentemente, una regolamentazione in chiave privatistica .

L’autorità pubblica non esercita un’attività di gestione, ma di mera vigilanza esterna,


diretta a garantire la trasparenza del mercato, l’ordinato svolgimento delle
negoziazioni e la tutela degli investitori (art. 74, 1° co., t.u.f.). Alla Consob è, peraltro,
riconosciuto, nei casi di necessità e di urgenza, un potere d’intervento sostitutivo,
circoscritto al conseguimento degli obiettivi sopra menzionati (art. 74, 3° co., t.u.f.).

24
Le società di gestione.

Il legislatore italiano ha ritenuto che la forma giuridica più appropriata per l’esercizio
dell’attività di gestione dei mercati fosse quella della società per azioni. Si è in
presenza, peraltro, di una società di diritto speciale, contraddistinta dalla possibile
assenza di uno scopo lucrativo e dalla soggezione a particolari controlli, motivati
dall’esigenza di salvaguardia degli interessi pubblici coinvolti (pubblico interesse alla
tutela del risparmio).

L’oggetto sociale delle società di gestione è limitato da disposizioni di legge, le quali


prevedono che le società in parola non possano esercitare attività che non siano
«connesse» o «strumentali» all’organizzazione e alla gestione dei mercati. Spetta alla
Consob il compito di stabilire in concreto quali attività connesse e strumentali possono
essere esercitate dalle società di gestione [art. 61, 2° co., lett. b), t.u.f.]. L’elencazione
di tali attività è ora contenuta nell’art. 4 del regolamento «mercati» (adottato con
delibera n. 16191/2007 e successive modifiche e integrazioni).

Norme particolari sono dettate dall’art. 61 per quanto riguarda i requisiti degli
esponenti aziendali della società di gestione e dei soggetti che partecipano in misura
rilevante al capitale, nonché per il trasferimento di partecipazioni significative.

25
Alle società di gestione dei mercati sono stati inoltre conferiti poteri di
autoregolamentazione e di intervento sul funzionamento dei mercati stessi .

Le competenze della società di gestione in relazione all’organizzazione e al


funzionamento del mercato sono elencate dall’art. 64 t.u.f. La norma individua le
competenze in oggetto con riferimento al corretto funzionamento del mercato e alla
vigilanza sull’osservanza del regolamento .

Alla prima categoria appartengono la predisposizione delle strutture, la fornitura di


servizi necessari al funzionamento del mercato e la determinazione dei corrispettivi a
essa dovuti per l’utilizzazione delle strutture apprestate e la fruizione dei servizi forniti
[1° co., lett. a)]. L’elencazione delle competenze in materia di organizzazione e
funzionamento del mercato è completata da una clausola generale, la quale attribuisce
alla società di gestione il potere di adottare «tutti gli atti necessari per il buon
funzionamento del mercato» [lett. b)].

La società di gestione ha, inoltre, il potere di disporre l’ammissione, l’esclusione e la


sospensione degli strumenti finanziari e degli operatori dalle negoziazioni [lett. c)].

Degne di nota sono le competenze in materia di vigilanza, le quali vengono ad


aggiungersi – non senza il rischio di possibili sovrapposizioni – a quelle proprie della
Consob, dirette a garantire la trasparenza, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e
la tutela degli investitori .

Alla società di gestione la legge attribuisce il potere di predisporre e mantenere


dispositivi e procedure efficaci per il controllo del rispetto del regolamento [lett. b),
ult. parte] e impone di comunicare alla Consob le violazioni del regolamento
medesimo, segnalando le iniziative assunte [lett. d)].

Accanto a competenze originarie, la società di gestione può essere delegata dalla


Consob ad espletare altri compiti [lett. f)]. Tra questi ultimi assumono particolare
rilevanza i compiti in materia di informazione societaria, che consistono nella gestione
e diffusione al pubblico delle informazioni e dei documenti indicati nei regolamenti

26
emanati dalla Consob per dare attuazione all’art. 114 t.u.f. , e quelli inerenti al
controllo del prospetto per offerte riguardanti strumenti finanziari comunitari ammessi
alle negoziazioni ovvero oggetto di domanda di ammissione alle negoziazioni in un
mercato regolamentato, nel rispetto dei principi stabiliti dalle disposizioni comunitarie
(art. 94 bis, 3° co., t.u.f.).

Il ruolo delle autorità pubbliche nella gestione dei mercati.

Il riconoscimento della natura imprenditoriale dell’attività di organizzazione e


gestione dei mercati non ha eliminato il ruolo di vigilanza della Consob, la quale
mantiene incisivi poteri sia sulla società di gestione, sia sui mercati. Determinati
compiti sono affidati, inoltre, al Ministro dell’economia.

Il potere di vigilanza sulle società di gestione investe diversi profili e si colloca su più
livelli.

È innanzi tutto previsto un controllo preventivo di tipo prudenziale, che concerne le


risorse finanziarie delle società e i requisiti di onorabilità, professionalità e
indipendenza dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e
controllo, nonché i requisiti di onorabilità dei soggetti che partecipano in misura
rilevante al capitale della società di gestione (art. 61).

Per il primo profilo è competente la Consob, la quale ha stabilito che la società di


gestione deve disporre al momento dell’autorizzazione e continuativamente di risorse

27
finanziarie sufficienti per rendere possibile il funzionamento ordinato dei mercati
regolamentati gestiti, tenendo conto della natura e dell’entità delle operazioni concluse
nei mercati, nonché della portata e del grado dei rischi ai quali essi sono esposti (art. 3
del regolamento «mercati»).

Al Ministro è stato invece demandato il compito di determinare, sentita la Consob, i


requisiti di onorabilità e professionalità degli esponenti aziendali (art. 61, 3° co.,
t.u.f.), nonché i requisiti di onorabilità dei soggetti che partecipano al capitale della
società di gestione (art. 61, 5° co., t.u.f.) .

Sempre con riferimento alle partecipazioni nella società di gestione, si osserva come
l’art. 61, 6° co., disponga che gli acquisti e le cessioni di partecipazioni – effettuati
direttamente o indirettamente – devono essere comunicati dall’acquirente, entro
ventiquattro ore, alla società di gestione, unitamente alla documentazione attestante il
possesso, da parte degli acquirenti, dei requisiti di onorabilità prescritti a norma del 5°
co. del medesimo articolo.

Il medesimo articolo, al co. 6-bis, lett. a), prevede che la Consob disciplini con
regolamento contenuto, termini e modalità di comunicazione, da parte della società di
gestione, delle informazioni relative ai partecipanti al capitale, individuando la soglia
partecipativa rilevante a tale fine e ai fini del possesso dei requisiti di onorabilità di cui
al 5° co. e delle comunicazioni di cui al 6° co.

Non è richiesta l’autorizzazione preventiva da parte della Consob, la quale è chiamata


a effettuare una verifica successiva in ordine alla sussistenza dei requisiti. Ove questi
ultimi manchino, ovvero in assenza della prescritta comunicazione, si ha la
“sterilizzazione” del voto, relativamente alla partecipazione eccedente la soglia di cui
al co. 6-bis.

L’esercizio del voto in spregio del divieto di cui sopra è sanzionato con l’annullabilità
della deliberazione adottata con il voto determinante dei soci che si sarebbero dovuti
astenere e con l’ampliamento dei soggetti legittimati ad agire per l’annullamento alla

28
Consob, la quale può agire entro sei mesi dalla data della deliberazione, ovvero
dell’iscrizione nel registro delle imprese, ove tale obbligo sussista .

I requisiti prescritti dall’art. 61 assumono rilievo anche in sede di modifiche statutarie.


A norma dell’art. 73, 3° co., infatti, la Consob è chiamata a verificare che le modifiche
non contrastino con i requisiti previsti dall’art. 61. La verifica da parte dell’Autorità di
controllo costituisce condizione per l’iscrizione nel registro delle imprese della
deliberazione che adotta le modifiche statutarie.

Un secondo livello di vigilanza – anch’esso di competenza della Consob – attiene


all’accertamento dell’idoneità del regolamento emanato dalla società di gestione ad
assicurare il conseguimento di obiettivi di natura pubblicistica, individuati nella
trasparenza del mercato, nell’ordinato svolgimento delle negoziazioni e nella tutela
degli investitori [art. 63, 1° co., lett. b), t.u.f.].

L’accertamento della sussistenza dei requisiti sopra menzionati è condizione per


ottenere l’autorizzazione della Consob all’esercizio dei mercati regolamentati,
unitamente alla conformità del regolamento alla disciplina comunitaria (art. 63, 1° co.,
t.u.f.). A tale conclusione si perviene in considerazione dell’assenza nell’art. 63 di una
norma analoga a quella contenuta nell’art. 73 per le modifiche statutarie. Il silenzio
della legge è stato interpretato nel senso che l’accertamento della sussistenza dei
requisiti in oggetto non rappresenti una condizione per la costituzione della società,
ma soltanto per ottenere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività .

Relativamente alla qualificazione dell’autorizzazione di cui all’art. 63 è stato sostenuto


– già con riferimento all’analoga disposizione contenuta nell’art. 48 del decreto
Eurosim – che il provvedimento abilitativo all’esercizio dell’attività di organizzazione
e gestione dei mercati è incentrato sul mero riscontro della sussistenza dei requisiti
richiesti dalla legge per l’esercizio dell’attività. Ne discenderebbe che l’autorità
pubblica godrebbe sul punto di un ristretto margine di discrezionalità (c.d.
discrezionalità vincolata) e dovrebbe accordare l’autorizzazione, ove ricorrano i

29
requisiti tassativamente previsti dalla legge. Conseguenza ulteriore sarebbe che
l’autorizzazione non potrebbe essere negata ad altre società che, avendone i requisiti di
legge, intendano esercitare la medesima attività, dando vita a tanti mercati quante sono
le società di gestione .

Altri ha per contro rilevato come l’autorità pubblica, pur essendo vincolata sul punto
al rispetto del principio di legalità – e non potendo, pertanto, negare l’autorizzazione
in presenza dei requisiti richiesti dalla legge – goda di un elevato margine di
discrezionalità, soprattutto in relazione all’accertamento della conformità del
regolamento del mercato alla disciplina comunitaria e la sua idoneità «ad assicurare la
trasparenza del mercato, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli
investitori» [art. 63, 1° co., lett. b)] .

L’autorizzazione costituisce il presupposto per l’iscrizione del mercato regolamentato


in un elenco pubblico; alla iscrizione provvede la Consob, «curando l’adempimento
delle disposizioni comunitarie in materia» (art. 63, 2° co.). Quest’ultima precisazione
fa riferimento alla comunicazione dell’iscrizione dei mercati regolamentati alle
autorità di controllo degli altri Stati comunitari, al fine di consentire alla società di
gestione di beneficiare del diritto al mutuo riconoscimento previsto dall’art. 47 della
direttiva 2004/39/CE.

Una volta iscritta nell’elenco, la società di gestione è sottoposta al controllo della


Consob, la quale è chiamata ad approvare le modificazioni del regolamento del
mercato e, si ritiene, ha il potere di disporre la cancellazione dall’elenco, nel caso in
cui vengano meno i requisiti che hanno condotto all’abilitazione.

L’attività di vigilanza della Consob si esplica, altresì, nella fase successiva di


funzionamento del mercato.

L’art. 74, 1° co., t.u.f. riconosce alla Commissione un generale potere di vigilanza sui
mercati regolamentati, diretto ad «assicurare la trasparenza, l’ordinato svolgimento
delle negoziazioni e la tutela degli investitori». Come è stato osservato, la disposizione

30
riconosce alla Consob un potere di vigilanza di secondo grado, in quanto presuppone
la competenza di carattere generale della società di gestione per quel che concerne
l’organizzazione, la gestione ed il funzionamento dei mercati (art. 64), che si estende,
peraltro, a un controllo di merito .

Il 2° co. dell’art. 74 attribuisce alla Consob il potere di chiedere alla società di


gestione la comunicazione anche periodica di dati, notizie, atti e documenti, nonché di
eseguire ispezioni presso la società e richiedere l’esibizione di documenti e il
compimento degli atti ritenuti necessari.

Particolarmente penetranti sono i poteri di «amministrazione attiva» riconosciuti alla


Commissione dal 3° co. della disposizione in esame. In particolare, si segnala il potere
di intervento sostitutivo nei casi di «necessità ed urgenza», per il perseguimento delle
finalità indicate nel 1° co. Siffatto intervento non presuppone necessariamente
l’inerzia della società di gestione e per ciò pone problemi di compatibilità con il
riconoscimento dell’autonomia della società di gestione. Al riguardo si è osservato che
le norme in oggetto sembrano attribuire alla Consob un vero e proprio potere di
indirizzo e di intervento diretto nei riguardi della società di gestione, con effetti
vincolanti per quest’ultima, benché siffatto potere sia circoscritto al perseguimento
delle finalità di vigilanza sopra richiamate .

Appello al pubblico risparmio

L’appello al pubblico risparmio è una particolare forma di offerta al pubblico avente


ad oggetto la vendita, l’acquisto o lo scambio di prodotti finanziari.

Sul presupposto della estrema delicatezza del rapporto che interviene proprio tra
l’investitore, specie se non esperto, e l’operatore qualificato, la circolazione dei
prodotti e degli strumenti finanziari è presidiata dalla normativa speciale (D.lgs
n°58/1998 c.d. t.u.f.) integrata, per gli aspetti di dettaglio, dai regolamenti attuativi
Consob (regolamento emittenti ed intermediari ) .

31
La procedura di appello al pubblico risparmio, in particolare, è scandita da una serie
di attività predeterminate tese a regolamentare, in un’ottica di tutela della parte più
debole del rapporto, le modalità attraverso le quali l’offerta e la domanda e di prodotti
e strumenti finanziari possano entrare in contatto.

Il nostro ordinamento conosce due tipi di appello al pubblico risparmio: l'offerta al


pubblico di prodotti finanziari e l'offerta pubblica di acquisto o di scambio .

L’offerta al pubblico di vendita o sottoscrizione di prodotti finanziari è definita, dall’


art. 1,1°co., lett. t, t.u.f. come: “ogni comunicazione rivolta a persone, in qualsiasi
forma e con qualsiasi mezzo che presenti sufficienti informazioni sulle condizioni
dell'offerta dei prodotti finanziari offerti così da mettere un investitore in grado di
decidere di acquistare o di sottoscrivere tali prodotti finanziari” .

La seconda, è definita dall’ art. 1,1°co. lett.v, t.u.f.: come: “ogni offerta, invito a
offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma effettuati, finalizzati all'acquisto
o allo scambio di prodotti finanziari e rivolti a un numero di soggetti e di ammontare
complessivo superiori a quelli indicati nel regolamento previsto dall'art. 100, 1°co.,
lett.b e c, ossia ad un numero di soggetti pari a 100 e per un ammontare pari o
superiori a 2.500.000 euro”.

Delle due tipologie di appello la prima presenta senz’altro un grado di pericolosità per
il pubblico dei risparmiatori maggiore della seconda perché mentre nell’offerta
pubblica d’acquisto (c.d. O.P.A.), come anche nell’offerta pubblica di scambio (c.d.
O.P.S.), agli oblati è proposto di vendere, ovvero di scambiare, prodotti o strumenti
finanziari già noti in quanto di loro appartenenza, nell’offerta di vendita o
sottoscrizione viene viceversa proposto ai risparmiatori di investire i propri averi in
prodotti sconosciuti, le cui caratteristiche, in termini di redditività e di sicurezza,
rappresentano delle incognite.

Come è agevole evincere dalla lettura delle definizioni contenute nell’art. 1 del t.u.f.,
norma che nel suo complesso rappresenta senz’altro l’impianto definitorio di

32
riferimento dell’intera disciplina di rango primario dedicata al diritto dei mercati
finanziari, dal legislatore è assegnata un’importanza preminente all’informazione,
vero ago della bilancia su cui oscillano i delicati equilibri delle negoziazioni aventi ad
oggetti prodotti e strumenti finanziari.

Proprio in ragione di quanto esposto, la maggiore pericolosità dell'offerta al pubblico


di prodotti finanziari è stata contrastata da diverse misure tese a ridurre, quanto più
possibile, il gap informativo naturalmente esistente tra offerenti ed oblati.

Tra le misure in parola spicca, quanto ad incisività, l’obbligo di pubblicazione del


prospetto informativo, documento che deve essere redatto secondo uno schema
predefinito dalla Consob e che, prima della diffusione, deve essere approvato dallo
stesso organo di vigilanza.

E’ netta, sul punto, la differenza tra le due tipologie di appello al pubblico risparmio:
nell’O.P.A. (così come nella O.P.S.) la pubblicazione del documento d’offerta non è
subordinata ad alcuna autorizzazione da parte dell’organo di vigilanza che, in ogni
caso, può richiedere che vengano fornite al pubblico, in relazione all’offerta, ulteriori
o diverse informazioni rispetto a quelle divulgate attraverso la pubblicazione del
documento d’offerta.

L’attenzione, rispetto alle modalità di realizzazione dell’appello al pubblico risparmio


nelle due forme previste dal T.U. è massima, tanto che, all’art.101 del t.u.f., il
legislatore detta una specifica disciplina riguardante gli annunci pubblicitari “a latere”,
ovvero quegli annunci o messaggi promozionali che pur non avendo ad oggetto la
conclusione di un contratto, riguardino, o anche solo si riferiscano, ad una offerta al
pubblico di prodotti finanziari dotata delle caratteristiche descritte dall’art.1 lett. t del
t.u.f. .

33
Anzitutto, a norma dell’art.101 t.u.f., nei momenti antecedenti la pubblicazione del
prospetto informativo, è vietata la diffusione di qualsivoglia documentazione relativa
all’offerta, anche se legata ad un annuncio non avente le caratteristiche di proposta
vincolante. Solo a seguito della pubblicazione del prospetto tale documentazione potrà
essere diffusa ma dovrà contestualmente essere trasmessa alla Consob, alla quale,
anche con riferimento allo svolgimento dell’attività pubblicitaria, sono attribuiti, dal
T.U. poteri ispettivi, sospensivi ed interdittivi.

Inoltre, gli annunci pubblicitari riguardanti le offerte al pubblico di prodotti finanziari


diversi dagli strumenti finanziari comunitari, dovranno essere redatti: “secondo i
criteri stabiliti dalla Consob con regolamento in conformità alle disposizioni
comunitarie e, in ogni caso, avendo riguardo alla correttezza dell' informazione e alla
sua coerenza con quella contenuta nel prospetto, se è già stato pubblicato, o con quella
che deve figurare nel prospetto da pubblicare” (art. 101 3° co. t.u.f).

Come si avrà modo di esaminare nel corso della trattazione, sovente il legislatore
distingue, sul piano della disciplina, l’appello al pubblico risparmio avente ad oggetto
prodotti finanziari comunitari emessi da società già note, dalle procedure d’appello
riguardanti prodotti non diffusi ovvero emessi da società che non hanno mai emesso
titoli quotati in mercati regolamentati comunitari .

Quanto agli “attori” dell’appello al pubblico risparmio, possono distinguersi tre


soggetti che rivestono, nell’ambito della procedura , tre diversi ruoli: quello
dell'emittente, quello del proponente e quello degli intermediari - collocatori.

Il proponente può coincidere, ma anche non coincidere, con il soggetto emittente.

La funzione degli intermediari collocatori, nell’ambito dell’appello al pubblico


risparmio, è invece quella di concludere i contratti di acquisto o di vendita dei prodotti
finanziari.

E’ bene premettere che alcune norme riguardanti l’appello al pubblico risparmio si


applicano all’emittente in quanto tale , a prescindere dall’eventuale, ulteriore, ruolo di

34
proponente, mentre talune altre regole valgono in via esclusiva per i proponenti e per i
collocatori .

L'adesione all’appello infine, sia nel caso della sollecitazione sia nelle ipotesi di
O.P.A./O.P.S., è effettuata mediante la sottoscrizione del modulo predisposto
dall'offerente.

Offerta al pubblico di vendita o sottoscrizione di prodotti finanziari.

Occorre preliminarmente considerare che l’intera disciplina predisposta dal legislatore


a tutela degli investitori nel caso di offerta al pubblico di prodotti finanziari, non trova
applicazione allorquando non siano rinvenibili quelle stesse ragioni di tutela che hanno
reso necessaria la predisposizione di una disciplina speciale a tutela degli stessi
investitori privati in presenza di un’attività sollecitatoria.

Già il t.u.f., all’art.100, prevede cause di inapplicabilità della disciplina che


afferiscono la ristretta portata economica dell’offerta, l’esiguo numero dei destinatari,
l’ eccezionale sicurezza dei titoli , ovvero la particolare natura, o qualifica, degli
oblati.

La norma di rango primario lascia poi all’autorità di vigilanza il compito di specificare


il dettato legislativo. In ossequio a quanto precede la Consob, nell’esercizio del
proprio potere regolamentare, ha stabilito (art. 34 ter regolamento emittenti) che non
avrà luogo l’applicazione della disciplina speciale, in quanto non si considerano
offerte al pubblico:

a) quelle rivolte ad un numero di soggetti inferiori a cento;

b) quelle di ammontare complessivo inferiore a 2.500.000 euro, da calcolarsi


nell’arco di un periodo di dodici mesi;

35
c) quelle aventi ad oggetto prodotti finanziari per un corrispettivo totale di almeno
50.000 euro per investitore e per ogni offerta separata;

d) quelle aventi ad oggetto prodotti finanziari di valore nominale unitario minimo


di almeno 50.000 euro.

Del pari non costituiscono offerte al pubblico di prodotti finanziari quelle rivolte
esclusivamente ad investitori qualificati (banche, imprese di assicurazione, S.G.R. ,
SICAV, Governi nazionali , amministrazioni regionali, fondazioni bancarie).

Proprio questa ultima causa di esenzione meriterà un ampio approfondimento nel


corso dei successivi paragrafi per via sia dell’ampio ricorso, riscontrato negli ultimi
anni, a tale procedura agevolata, sia anche per l’introduzione, nel nostro ordinamento,
di una disciplina apposita tesa a ridurre, quanto più possibile, i rischi connessi ad una
rivendita sistematica, da parte degli investitori qualificati, di titoli acquistati da questi
ultimi in totale esenzione dalla disciplina speciale posta a tutela dei risparmiatori.

Al di fuori delle ipotesi sopra descritte, nel caso dunque di offerta di prodotti o
strumenti finanziari destinata a raggiungere il pubblico dei risparmiatori, gli emittenti
e gli intermediari responsabili del collocamento, saranno tenuti ad osservare gli
obblighi per le offerte al pubblico (art.94 ss.), così come, gli stessi soggetti,
soggiaceranno alle regole di condotta predisposte dal t.u.f. e dai regolamenti attuativi
predisposti dalla Consob.

La disciplina in parola è stata fortemente innovata dal recepimento, avvenuto in Italia


con il D. lgs. n. 51 del 28 marzo 2007, della direttiva n. 2003/71/CE (c.d. Direttiva
Prospetti) e del successivo regolamento di attuazione n. 809/2004/CE ; norme
comunitarie che, nel loro complesso, hanno definito regole comuni volte alla
tendenziale armonizzazione, a livello europeo, delle procedure di redazione, controllo
e pubblicazione del prospetto informativo.

36
In ossequio a tale normativa il procedimento di emissione si caratterizza, come detto,
per essere scandito da una serie preordinata di atti.

L’art. 94 comma 1° t.u.f. stabilisce infatti che: “coloro che intendono effettuare
un’offerta al pubblico pubblicano preventivamente un prospetto a tal fine, per le
offerte aventi ad oggetto strumenti finanziari comunitari nelle quali l’Italia è Stato
membro d’origine e per le offerte aventi ad oggetto prodotti finanziari diversi dagli
strumenti finanziari comunitari, ne danno preventiva comunicazione alla Consob
allegando il prospetto destinato alla pubblicazione. Il prospetto non può essere
pubblicato finché non è approvato dalla Consob”; al 2° comma la stessa disposizione
insiste sulla forma del documento informativo, prevedendo che il prospetto debba
essere facilmente analizzabile e comprensibile e debba altresì contenere “tutte le
informazioni che possano consentire agli investitori di pervenire a un fondato giudizio
sulla situazione, sui risultati e sulle prospettive dell’emittente e degli eventuali garanti,
nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti”, ed introduce poi la distinzione fra
prospetto e nota di sintesi (quest’ultima da allegare al prospetto).

Il comando di legge si pone volutamente come un precetto dal contenuto “aperto”,


volto tuttavia a stabilire una precisa finalità: quella di far pervenire gli oblati ad un
fondato giudizio sugli emittenti e sui prodotti emessi, attraverso la comunicazione,
mediante lo strumento-veicolo del prospetto, di una quantità di informazioni aventi un
contenuto descrittivo tale da poter soddisfare tale esigenza.

La nota di sintesi è invece un documento, di agile consultazione, che viene allegato al


prospetto e che deve contenere, in forma stringata ed asciutta, le caratteristiche
dell’offerta nonché informazioni, sommarie, sull’emittente; dati questi ultimi che
possano concorrere a consentire, all’oblato, una rapida valutazione sulle caratteristiche
principali dell’offerta prospettata, potendo egli fondare il proprio giudizio anche sulla
“provenienza” dei titoli offerti.

37
La disciplina di rango primario, quanto ai contenuti del prospetto e della nota di
sintesi, deve essere raccordata con quanto stabilito dal regolamento Consob
(regolamento emittenti) a mente del quale “la comunicazione prevista nell’articolo 94,
comma 1, del testo unico è redatta in conformità al modello in allegato 1A, contiene la
sintetica descrizione dell’offerta e l’indicazione dei soggetti che la promuovono” (art.
4 reg. emittenti). Dal tenore della norma che precede può comprendersi quanto
“blindato” sia il contenuto del prospetto in relazione ai contenuti obbligatori che, ai
fini del via libera alla pubblicazione, tale documento deve descrivere.

Per i prodotti finanziari diversi dagli strumenti comunitari spetta alla Consob stabilire,
su richiesta dell'emittente o dell'offerente, il contenuto del prospetto, ove questo non
sia già stato determinato in via generale in conformità alla normativa comunitaria
richiamata nel successivo art. 95, 1° comma, lett. b.

Fino alla chiusura definitiva dell'offerta, inoltre, fatti nuovi o sopravvenuti, errori
materiali o imprecisioni che attengano alle informazioni contenute nel prospetto,
dovranno essere comunicati in un apposito supplemento. In tali ipotesi i termini di
adesione all’offerta subiranno una proroga, mentre gli investitori che hanno già
concordato di acquistare o sottoscrivere i prodotti finanziari potranno revocare
l'accettazione entro il termine indicato nel supplemento (comunque non inferiore a due
giorni lavorativi).

In ossequio al comando di legge, il prospetto deve dunque essere preventivamente


comunicato alla Consob, la quale l’approva, così permettendone la successiva
pubblicazione.

38
Le offerte pubbliche di acquisto.

Offerte volontarie e offerte obbligatorie

La disciplina delle offerte pubbliche di acquisto e di scambio (OPA) persegue,


fondamentalmente, due finalità.

In primo luogo, essa intende assicurare ai destinatari dell’offerta, quali soggetti


“passivi” di un’operazione di massa, un’adeguata trasparenza delle condizioni
contrattuali e il corretto svolgimento della fase prenegoziale, all’uopo articolata in un
procedimento sottoposto alla vigilanza della Consob (art. 101-ter) . Ciò al fine di
supplire all’impossibilità di una trattativa diretta tra l’offerente e gli oblati, evitando
che l’asimmetria informativa tra il primo – che ha unilateralmente predisposto
l’operazione di investimento o di disinvestimento – e i secondi sia fonte di abusi a
danno di questi ultimi.

Il Testo Unico della Fiananza ha, dunque, opportunamente collocato la disciplina


dell’offerta al pubblico di sottoscrizione o vendita e quella dell’offerta pubblica di
acquisto o di scambio nel titolo secondo della parte quarta, concernente l’appello al
pubblico risparmio. In un medesimo titolo sono state così raggruppate tutte le possibili
forme di sollecitazione pubblica del risparmio.

Quando l’offerta ha per oggetto l’acquisto di azioni (quotate) che attribuiscono il


diritto di voto emerge la possibilità di utilizzare l’offerta pubblica quale strumento per
l’acquisizione (anche “ostile”) del controllo, mediante il “rastrellamento” di una

39
partecipazione sufficiente a esercitare un’influenza dominante in assemblea. In queste
ipotesi, accanto all’esigenza di proteggere i destinatari di un’operazione standardizzata
e di massa, emergono interessi ulteriori, che riguardano la “tutela selettiva” di una
particolare categoria di investitori e, più in generale, il “mercato del controllo
societario”.

La considerazione della “doppia anima” dell’istituto si rivela utile anche per la


comprensione delle regole speciali che disciplinano l’offerta obbligatoria, nelle quali
si apprezza appieno la strumentalità dell’opa rispetto alla tutela dell’interesse a una
consapevole ed efficiente gestione dell’operazione di investimento, per approdare,
eventualmente, a un “disinvestimento informato”. La previsione dell’obbligo di
offerta, in effetti, attribuisce al socio una sorta di “diritto di ripensamento”, in presenza
di un mutamento significativo delle condizioni nelle quali egli aveva destinato il
proprio risparmio al finanziamento di un’impresa, acquistando un “prodotto”, il cui
valore di scambio nel mercato regolamentato dipende anche da quel “pregio latente”,
che emerge allorché si prospetti una “scalata” e, per contro, viene eroso dalla perdita
di contendibilità della società.

Quanto sin qui osservato trova un riscontro normativo nella suddivisione del capo
relativo alle offerte pubbliche di acquisto o di scambio in due sezioni, dedicate,
rispettivamente, alle “disposizioni generali”, comuni a tutte le offerte pubbliche, e alle
offerte obbligatorie. La disciplina “speciale” è applicabile soltanto alle società italiane
con titoli ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati italiani (art. 105
T.U.F.) .

L’ambito di applicazione delle disposizioni generali è delimitato dall’individuazione


della fattispecie “offerta pubblica di acquisto e di scambio”. Questa comprende “ogni
offerta, invito a offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma effettuati,
finalizzati all’acquisto o allo scambio di prodotti finanziari e rivolti a un numero di

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soggetti e di ammontare complessivo superiori a quelli indicati nel regolamento
previsto dall’articolo 100, comma 1, lett. b) e c) (art. 1, co. 1, lett. v) .

La norma di rango primario, dunque, definisce solo parzialmente la fattispecie,


rinviando per il suo completamento alle disposizioni di attuazione dettate dalla Consob
in tema offerta al pubblico di sottoscrizione e vendita e, in particolare, alle norme che
individuano i casi di inapplicabilità della relativa disciplina, isolando, però, due soli
parametri, consistenti nel numero di destinatari dell’offerta e nell’ammontare
complessivo dell’offerta medesima (indicati, rispettivamente, in 100 soggetti e
2.500.000 Euro dall’art. 34-ter, co. 1, lett. a, c, regolamento emittenti); parametri, si
noti, che devono ricorrere congiuntamente perché sussista la fattispecie offerta
pubblica di acquisto o scambio.

In principio, dunque, rientra nella fattispecie in esame anche l’offerta rivolta


esclusivamente a investitori qualificati, purché ricorrano le due condizioni sopra
indicate, contrariamente a quanto previsto per il caso di offerte pubbliche di
sottoscrizione e di vendita (art. 100, co. 1, lett. a, T.U.F.). Il regolamento emittenti,
peraltro, prevede l’inapplicabilità (parziale) della disciplina per le offerte rivolte
esclusivamente a investitori qualificati (ex art. 34-ter, lett. b) e aventi a oggetto
prodotti finanziari diversi da “titoli” (art. 35-bis, co. 3).

Nel caso in cui un soggetto intenda acquistare o scambiare strumenti finanziari diversi
da “titoli”, l’offerta pubblica costituisce una mera opportunità, una tecnica per
semplificare la negoziazione con una pluralità di soggetti . Se, però, l’aspirante
acquirente decide di ricorrervi, sarà obbligato a rispettare la relativa disciplina e, in
particolare, le regole di correttezza, trasparenza e parità di trattamento degli oblati.
Quando oggetto dell’offerta sono “titoli”, per contro, può esservi un obbligo di
promuovere l’offerta, alle condizioni stabilite dalla legge, sia per quel che riguarda il

41
quantitativo di titoli da acquistare, sia per quel che concerne il prezzo da corrispondere
(infra, par. 4).

Disposizioni generali.

La disciplina di rango primario traccia le linee essenziali del procedimento, la condotta


dell’offerente e della società emittente in pendenza dell’offerta e i poteri della Consob
in relazione allo svolgimento dell’offerta. La sezione dedicata alle disposizioni
generali si chiude con l’importante disciplina delle “difese” (artt. 104-104-ter), che
assume rilevanza soprattutto nelle ipotesi di offerte “ostili” per il controllo. Proprio la
considerazione degli interessi protetti ha indotto il legislatore a circoscriverne l’ambito
di applicazione alle sole offerte (volontarie o obbligatorie) aventi a oggetto “titoli”
emessi da società italiane quotate (art. 101-bis, co. 3).

Per quel che concerne lo svolgimento dell’offerta, il Testo Unico si limita a stabilire
alcuni principi fondamentali, quali la irrevocabilità dell’offerta, l’obbligo di assicurare
parità di condizioni a tutti i titolari dei prodotti finanziari che formano oggetto
dell’offerta, l’inammissibilità di limiti al numero di rilanci che possono essere
effettuati fino alla scadenza del termine massimo (art. 103, T.U.F.). Le norme di
dettaglio sono, invece, contenute nel regolamento di attuazione emanato dalla Consob
(artt. 37-44, regolamento emittenti) .

Il principio della irrevocabilità dell’offerta comporta l’inefficacia di qualunque


dichiarazione di revoca. Corollario del principio è la regola che proibisce la previsione
di condizioni di efficacia dell’offerta, il cui verificarsi dipenda dalla mera volontà
dell’offerente (art. 40, co. 1, reg. emtittenti), poiché la natura meramente potestativa
della condizione si porrebbe in contrasto con la “serietà” dell’obbligazione assunta
mediante la comunicazione dell’offerta . Può essere ricondotta al principio in esame,
infine, anche la regola che proibisce la riduzione del quantitativo richiesto (art. 43,
comma 2, reg. emittenti), che condurrebbe, di fatto, a una revoca parziale dell’offerta

42
originaria. Il corrispettivo offerto può essere aumentato, purché l’offerta di aumento
sia comunicata in conformità con la disciplina prevista nel regolamento emittenti (art.
36) e sia pubblicata entro il giorno antecedente la data prevista per la chiusura del
periodo di adesione, che dovrà essere prorogato, se necessario per assicurare il rispetto
del termine di tre giorni dalla data della modifica (art. 43).

L’obbligo di assicurare parità di trattamento ha quale corollario, innanzi tutto, il


divieto di pattuire condizioni “discriminatorie” tra gli oblati che siano titolari di una
medesima categoria di prodotti finanziari, distinguendo, ad esempio, sulla base del
quantitativo di prodotti finanziari da ciascuno posseduto ovvero sulla base di
situazioni particolari di un determinato titolare. Al principio in esame sono altresì
riconducibili la regola del riparto proporzionale tra i destinatari dell’offerta, nel caso di
accettazioni eccedenti il quantitativo richiesto, e l’estensione del maggior prezzo
conseguente ad offerte in aumento anche a chi abbia aderito all’offerta originaria.

La comunicazione e il documento di offerta.

La prima fase del procedimento di offerta è incentrata sulla trasmissione alla Consob
di due documenti, la “comunicazione” e il “documento di offerta” .

La decisione di promuovere un’offerta pubblica di acquisto e di scambio deve essere


comunicata “senza indugio” alla Consob e contestualmente resa pubblica, secondo le
modalità stabilite dalla stessa Consob con regolamento. L’immediata comunicazione è
altresì prevista allorché si verifichi un evento che determini il sorgere dell’obbligo di
promuovere l’offerta (art. 102, T.U.F.).

43
Entro venti giorni dalla comunicazione, l’offerta deve essere promossa, presentando
alla Consob il documento di offerta, destinato alla pubblicazione.

La Consob, nei quindici giorni successivi alla presentazione, approva il documento,


purché esso sia “idoneo a consentire ai destinatari di pervenire a un fondato giudizio
sull’offerta”. In sede di approvazione, la Commissione può indicare agli offerenti
informazioni integrative da fornire e particolari modalità di pubblicazione del
documento di offerta o, ancora, particolari garanzie da prestare. Ove si renda
necessario richiedere all’offerente informazioni supplementari, il termine è sospeso
fino alla recezione delle informazioni medesime.

Il documento di offerta, eventualmente integrato sulla base delle richieste della


Consob, è trasmesso senza indugio all’emittente agli intermediari incaricati, nonché
“diffuso” secondo le modalità previste dal regolamento emittenti (art. 36). L’offerente
e gli intermediari incaricati devono consegnarne copia a chiunque ne faccia richiesta
(art. 38, reg. emittenti).

Con la pubblicazione e la consegna all’emittente e agli intermediari incaricati del


documento di offerta termina la fase preparatoria del procedimento.

Il periodo durante il quale è possibile aderire all’offerta (periodo di adesione) ha inizio


dopo che siano trascorsi cinque giorni dalla diffusione del documento di offerta, al
fine di consentire all’emittente di diffondere un comunicato recante tutte le
informazioni utili per l’apprezzamento dell’offerta nonché la propria valutazione
sull’offerta medesima (art. 103, co. 3, T.U.F.). Nel caso in cui l’offerta sia stata in
qualche modo concordata tra l’offerente e la società emittente, il documento di offerta
potrà già contenere il comunicato dell’emittente e, pertanto, non troverà applicazione
il differimento del termine iniziale sopra indicato (art. 40, co. 5, reg. emittenti).

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Il comunicato dell’emittente.

L’emittente deve diffondere un comunicato “contenente ogni dato utile per


l’apprezzamento dell’offerta e la propria valutazione sull’offerta” (art. 103, T.U.F.). Il
comunicato deve essere trasmesso alla Consob almeno tre giorni prima della data
prevista per la sua diffusione ed è reso noto al mercato – integrato con le eventuali
richieste della Consob – entro il primo giorno del periodo di adesione.

L’istituto ha una chiara finalità di protezione dei destinatari dell’offerta, che


dovrebbero trarre beneficio, in termini di attendibilità e completezza delle
informazioni, dal confronto dialettico tra offerente e amministratori della società
emittente in merito alla convenienza dell’offerta.

L’apporto conoscitivo del comunicato sarà particolarmente evidente nel caso di offerte
di acquisizione ostili, là dove nel caso di offerte concordate è ragionevole attendersi
una sostanziale coincidenza di giudizi da parte dell’offerente e degli amministratori
della società emittente, i quali raccomanderanno agli azionisti di aderire all’offerta. In
ogni caso, il comunicato deve precisare se la valutazione del consiglio di
amministrazione in merito all’offerta è stata espressa con deliberazione assunta a
maggioranza, indicando il numero dei dissenzienti e i nominativi di quelli tra essi che
ne abbiano fatto richiesta.

L’apporto conoscitivo del comunicato dell’emittente è stato reso più incisivo dalla
previsione di un parere espresso dagli amministratori indipendenti. In effetti, nelle
offerte aventi ad oggetto “titoli”, promosse da soggetti aventi, anche in virtù
dell’adesione a un patto parasociale, una partecipazione superiore alla soglia del trenta
per cento ovvero da amministratori o consiglieri di gestione o di sorveglianza
dell’emittente o, infine, da soggetti che agiscono di concerto con le persone sopra
indicate, è imposta, prima dell’approvazione del comunicato dell’emittente, la
redazione di un parere motivato, da parte degli amministratori indipendenti che non
siano parti correlate dell’offerente, ove presenti. Il parere deve contenere una

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valutazione dell’offerta e della congruità del corrispettivo, anche con l’ausilio, a spese
dell’emittente, di un esperto indipendente. Il parere degli amministratori indipendenti,
ove non integralmente recepito dall’organo di amministrazione, e l’eventuale parere
dell’esperto indipendente sono resi noti con le modalità previste per il comunicato (art.
39-bis reg. emittenti).

Oltre a contenere una valutazione motivata sull’offerta, il comunicato deve rendere


nota l’eventuale decisione di convocare l’assemblea per deliberare in merito
all’autorizzazione a compiere atti od operazioni che possono contrastare l’offerta o,
comunque, fornire le informazioni rilevanti in merito alla “strategia difensiva”
dell’emittente (art. 39, comma 1, lett. i-k, reg. emittenti).

Il contenuto del comunicato dell’emittente, infine, è stato “arricchito” in sede di


recepimento della Direttiva opa, con la valutazione degli effetti che l’eventuale
successo dell’offerta avrà sugli “interessi dell’impresa, nonché sull’occupazione e la
localizzazione dei siti produttivi” .

Lo svolgimento dell’offerta.

La pubblicazione del documento di offerta produce l’effetto tipico della proposta


contrattuale di attribuire agli oblati il potere di accettare, determinando in tal modo la
conclusione del contratto.

La durata del periodo di adesione può variare tra un minimo di quindici e un massimo
di venticinque giorni per le offerte obbligatorie e tra un minimo di quindici e un
massimo di quaranta giorni per tutte le altre offerte, ad eccezione delle offerte aventi a
oggetto obbligazioni o altri titoli di debito, per le quali la durata minima è ridotta a
cinque giorn . Entro questi limiti, la durata è, di volta in volta, concordata
dall’offerente con la società di gestione del mercato e, nel caso di offerte aventi a
oggetto strumenti finanziari non quotati, con la Consob. Quest’ultima ha facoltà di
concedere una proroga – sentiti l’offerente e la società di gestione del mercato – fino a

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un massimo di cinquantacinque giorni, con provvedimento motivato da esigenze di
corretto svolgimento dell’offerta e di tutela degli investitori (art. 40, co. 2, reg.
emittenti) .

Le norme di attuazione contenute nel regolamento emittenti contemplano, in alcuni


casi, il differimento del termine iniziale del periodo di efficacia dell’offerta (art. 40,
co. 3). Il periodo di adesione non può avere inizio se non siano state rilasciate le
autorizzazioni previste dalla disciplina di settore per l’acquisto di partecipazioni al
capitale di banche o di intermediari autorizzati alla prestazione di servizi di
investimento e, nel caso di offerte pubbliche di scambio o miste, se non sia stata
assunta la deliberazione di emissione degli strumenti finanziari offerti in scambio (art.
40, co. 3, reg. emittenti).

Per la modalità di adesione sono previste norme particolari, che impongono la forma
scritta e un contenuto predefinito della dichiarazione di accettazione e la cui
inosservanza comporta senz’altro l’inefficacia dell’accettazione (art. 40, commi 6 e 7,
reg. emittenti e Allegato 2B).

Il procedimento si conclude con la pubblicazione dei risultati dell’offerta, che rende


noto l’avvenuto perfezionamento del contratto di compravendita (o di permuta) tra
l’offerente e i destinatari dell’offerta.

Modifiche dell’offerta e offerte concorrenti.

Durante il periodo di efficacia dell’offerta possono tuttavia intervenire alcuni eventi,


che hanno l’effetto di “complicare” il procedimento.

È possibile, innanzi tutto, una modifica dell’offerta originaria da parte dell’offerente,


che dovrà essere resa nota con le medesime formalità previste per la comunicazione
dell’offerta originaria fino a tre giorni prima della data prevista per la chiusura del
periodo di adesione. La regola della modificabilità dell’offerta deroga in parte a quella
della irrevocabilità; nella modifica di un’offerta è implicita una parziale revoca della
proposta originaria. La materia è stata rimessa alla regolamentazione della Consob

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(art. 103, co. 4, lett. d, T.U.F.). Le modifiche ammesse sono quelle che arrecano
esclusivamente vantaggi agli oblati o in termini di aumento del corrispettivo ovvero in
termini di più agevole alienazione degli strumenti finanziari. Qualora altri soggetti
promuovano un’offerta concorrente sui medesimi strumenti finanziari, promettendo un
corrispettivo più elevato ovvero condizioni più vantaggiose, tutte le precedenti
adesioni all’offerta originaria diventano automaticamente revocabili, onde consentire
agli oblati di beneficiare dell’opportunità di scelta tra le offerte concorrenti. Al
contempo l’offerente originario avrà la possibilità di “rilanciare”, ossia modificare
l’offerta originaria, alla luce di quella (o di quelle) concorrente, senza poter tuttavia
ridurre il quantitativo di strumenti finanziari richiesto.

Un altro evento che può alterare il normale corso del procedimento di offerta è la
convocazione di un’assemblea da parte della società emittente per deliberare sulle
materie previste dall’art. 104, T.U.F.. Ove la data della riunione assembleare cada
negli ultimi dieci giorni del periodo di adesione, questo è automaticamente prorogato
in misura tale da assicurare un termine di ulteriori dieci giorni dalla data della riunione
assembleare.

La posizione dell’emittente in pendenza dell’offerta: passivity rule e break-


through rule.

Le società italiane quotate i cui titoli costituiscono oggetto di offerta devono astenersi
dal compiere “atti od operazioni che possono ostacolare il conseguimento degli
obiettivi dell’offerta” (c.d. passivity rule). L’obbligo di astensione può essere tuttavia
rimosso mediante un’autorizzazione deliberata dall’assemblea dei soci – in sede
ordinaria o straordinaria, in base alla regole generali – con il voto favorevole di tanti
soci che rappresentano almeno il trenta per cento del capitale sociale, anche nelle
convocazioni successive alla prima (art. 104, T.U.F.).

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La disciplina in esame regola la condotta della società destinataria di un’offerta di
acquisizione, tentando di contemperare l’interesse dell’offerente al buon esito
dell’operazione con quello della società a proseguire la gestione dell’impresa.
L’assunto implicito nella scelta del legislatore è che il lancio di un’OPA costituisca un
evento che giustifica la previsione di deroghe alla normale ripartizione di competenze
tra assemblea e amministratori e alla dialettica interna all’organo assembleare, tra
“maggioranza” e “minoranze” .

L’ambito di applicazione dell’istituto non è limitato alle offerte “ostili”, ma è evidente


l’importanza che le norme in oggetto assumono soprattutto in questa ipotesi, in
ragione della verisimile contrapposizione, all’interno della compagine sociale, tra il
socio o la coalizione di controllo e i soci intenzionati ad agevolare il mutamento degli
assetti di potere esistenti. In questo contesto, anche operazioni che rientrano nella
normale gestione dell’impresa possono produrre gli effetti di “misure difensive”,
perché oggettivamente idonee a compromettere il successo dell’offerta . Di qui la
scelta di sottoporre all’assemblea la valutazione in merito all’opportunità di
intraprendere l’operazione, ferma restando la responsabilità degli amministratori
(anche verso la società) per il compimento degli atti e delle operazioni autorizzati.
Coerentemente con la ratio sopra illustrata, l’autorizzazione è richiesta anche per
l’attuazione di ogni decisione presa prima dell’inizio del periodo di offerta, che non
sia stata attuata, in tutto o in parte, che non rientri nel corso normale delle attività della
società e la cui attuazione possa contrastare il conseguimento degli obiettivi
dell’offerta. Non rientra fra le operazioni “oggettivamente difensive” la mera ricerca
di un’altra offerta, che ha l’effetto di stimolare un’asta fra una pluralità di contendenti.

Il legislatore ha rinunciato a fornire un’elencazione tassativa o esemplificativa degli


atti e delle operazioni da sottoporre ad autorizzazione, preferendo ricorrere a una
clausola generale, incentrata sull’effetto dell’atto o dell’operazione .

L’istituto è ispirato al modello britannico del City Code on Take-overs and Mergers,
contraddistinto da un atteggiamento di tendenziale “sospetto” nei confronti degli

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amministratori della società destinataria dell’offerta, per la presenza di un possibile
conflitto di interessi, derivante dal timore di essere estromessi dalla gestione, a seguito
del mutamento del controllo. Donde la regola di “passività”, superabile soltanto con
un’autorizzazione assembleare .

Una diversa impostazione caratterizza, per contro, il modello statunitense, che


consente agli amministratori di contrastare offerte ritenute dannose per l’interesse
sociale, salva la possibilità di un successivo sindacato giudiziario sulla condotta dei
gestori. Le corti, peraltro, si astengono dal valutare il merito della decisione degli
amministratori, limitandosi a esaminare la correttezza del procedimento che a quella
decisione ha condotto, accertando, in particolare, se gli amministratori hanno agito
nella ragionevole convinzione di dover proteggere la società e i suoi azionisti. Ne
risulta un criterio di valutazione che impone di apprezzare l’operato degli
amministratori sotto il duplice profilo della “ragionevolezza” e della
“proporzionalità”.

Una soluzione decisamente più “salomonica” è stata alla fine accolta in sede
comunitaria, pur muovendo dall’enunciazione di un principio chiaramente ispirato al
modello britannico, che, tuttavia, ha incontrato forti resistenze durante la travagliata
gestazione della Direttiva. La regola generale, che impone l’autorizzazione
assembleare per l’adozione di misure “difensive” è integrata, sempre in un’ottica di
salvaguardia del “mercato del controllo societario”, la c.d. break-through rule (art.11),
il cui effetto è quello di rendere inefficaci (donde la “neutralizzazione”) nei confronti
dell’offerente eventuali misure difensive di carattere “preventivo”, consistenti in limiti
(statutari o parasociali) al trasferimento dei titoli o all’esercizio del voto ovvero
nell’attribuzione di diritti speciali ai soci attuali . Le regole di “passività” e di
“neutralizzazione”, tuttavia, possono essere, in tutto o in parte, derogate in sede di
attuazione dagli Stati membri (c.d. opt-out statale), purché, in tal caso, gli statuti
societari siano lasciati liberi di adottarle (c.d. opt-in statutario). Il sistema comunitario
è completato dalla “regola di reciprocità”, in virtù della quale le società prive di

50
“difese” – per scelta dello Stato di appartenenza ovvero per opzione statutaria –
possono essere “esonerate” dalla relativa applicazione, se (i loro titoli sono) oggetto di
offerta da parte di una società che abbia adottato misure difensive (art. 12, co. 3) .

Il legislatore italiano aveva mantenuto, in sede di recepimento della Direttiva,


l’originario atteggiamento favorevole alla contendibilità delle società domestiche,
recependo la regola di neutralizzazione (art. 104-bis) e limitandosi a “temperare” il
rigore della disciplina con la regola di reciprocità (art. 104-ter) . Nel contesto degli
interventi “straordinari” adottati per far fronte alla crisi che ha travolto i mercati
finanziari alla fine del 2008, la “nuova” disciplina è stata frettolosamente modificata,
rendendo meramente “opzionali” le regole di passività e di neutralizzazione,
probabilmente nel timore di “scalate” ostili su società italiane, in qualche modo
agevolate dal deprezzamento del corso dei titoli . Re melius perpensa, il recente d. lgs.
n. 146/2009 ha ripristinato la passivity rule “temperata”, offrendo un ulteriore saggio
del “nichilismo giuridico”, che contraddistingue il diritto del mercato finanziario . Gli
statuti possono, però, derogare, “in tutto o in parte”, alla regola, pur se con un obbligo
di pubblicità delle deroghe adottate, verisimilmente con finalità dissuasiva (art. 104,
co. 1-ter). L’adozione della regola di neutralizzazione (art. 104-bis) è, invece, rimasta
affidata all’autonomia statutaria . Permane la regola di reciprocità (art. 104-ter).

Le tipologie di OPA
Le offerte obbligatorie
L’obbligo di promuovere un’offerta pubblica di acquisto trova, storicamente, la sua
giustificazione nell’acquisizione (o nel consolidamento) di una partecipazione di
controllo ovvero nella riduzione del flottante al di sotto della soglia minima per
assicurare la regolare negoziazione dei titoli. In questo secondo caso, come si vedrà,
l’obbligo di offerta (c.d. residuale) è stato sostituito da un obbligo di acquisto.

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A norma dell’art. 106 T.U.F., chiunque, a seguito di acquisti, venga a detenere una
partecipazione superiore alla soglia del trenta per cento , è tenuto a promuovere, entro
venti giorni, un’offerta pubblica di acquisto rivolta a tutti i “possessori di titoli” per la
totalità dei titoli, ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato. Per
ciascuna categoria di titoli, l’offerta è promossa a un prezzo “non inferiore a quello più
elevato” pagato dall’offerente e da persone che agiscono di concerto con lui, nei
dodici mesi anteriori alla comunicazione dell’offerta, per acquisti di titoli della
medesima categoria .
Il Testo Unico, dunque, prevede l’obbligo di offerta pubblica di acquisto come
conseguenza dell’avvenuta concentrazione di una partecipazione significativa in capo
a un unico soggetto (o a una coalizione, ex art. 109 T.U.F.) . Questa circostanza di
fatto è vista dall’ordinamento come una alterazione rilevante della situazione nella
quale gli investitori avevano posto in essere la scelta di investimento e, pertanto,
come il presupposto per accordare loro una opportunità di ripensamento, a condizioni,
quanto meno, non penalizzanti rispetto all’andamento del mercato. Lo “strumento” a
tal fine predisposto consiste, per l’appunto, nella previsione di un obbligo di offerta
totalitaria in capo al soggetto che ha determinato l’alterazione del mercato .
Il “fatto nuovo” consiste, sostanzialmente, nell’acquisizione (o nel consolidamento)
del controllo di una società quotata. La legge, peraltro, non considera – come nel
regime previgente – l’acquisizione del controllo un elemento costitutivo della
fattispecie, ma, semmai, la sua mancata acquisizione, nonostante l’acquisto rilevante,
una ragione per escludere l’obbligo di offerta. Tanto si desume da una lettura
sistematica della norma che regola la “fattispecie base” e delle norme che, in taluni
casi, escludono l’obbligo di offerta, nonostante l’avvenuto superamento della soglia
rilevante, proprio perché a quest’ultimo evento, in realtà, non consegue
quell’alterazione degli assetti di controllo, che giustifica l’obbligo di offerta .
Diversa è l’alterazione rilevante che determina l’obbligo di acquisto, di cui all’art. 108
T.U.F. Il primo comma contempla l’obbligo di acquisto “successivo” a un’opa
totalitaria, disponendo che l’offerente che venga a detenere, a seguito di un’offerta

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pubblica totalitaria, una partecipazione almeno pari al novantacinque per cento del
capitale rappresentato da titoli in una società italiana quotata ha l’obbligo di acquistare
i restanti titoli da chiunque ne faccia richiesta. L’obbligo di acquisto “sostitutivo”
dell’opa residuale è, invece, disciplinato dal secondo comma dell’art. 108 e ha quale
unico presupposto la “detenzione” di una partecipazione al capitale rappresentato da
titoli superiore al novanta per cento, senza che rilevi il titolo che ha condotto a questa
concentrazione rilevante.
Non identico è, nelle due fattispecie, il “bisogno di tutela” che giustifica l’intervento
del legislatore. Nella prima, il “fatto nuovo” che giustifica la compressione
dell’autonomia privata, a tutela degli investitori, è rappresentato dal “successo” di una
precedente offerta totalitaria, che ha portato l’offerente a una soglia di partecipazione
almeno pari al novantacinque per cento. Agli azionisti che non hanno aderito viene, in
tal caso, concessa una sorta di seconda opportunità di accettare, che probabilmente si
inquadra nella logica – studiata soprattutto dalla letteratura gius-economica – dei c.d.
problemi di azione collettiva e, in particolare, in quella che è stata chiamata la
“coazione a vendere” (pressure to tender) . Nell’ipotesi contemplata dal secondo
comma, per contro, il problema che si presenta all’ordinamento del mercato
finanziario è quello della perdita di un “mercato” del titolo, a causa di una
concentrazione rilevante, comunque raggiunta. Tanto si desume dalla previsione di
una “facoltà alternativa” per il destinatario dell’obbligo, consistente nel ripristinare un
flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni, in tal
modo garantendo comunque l’interesse dell’investitore alla “fluidità” del mercato e,
dunque, a un “attendibile” canale di disinvestimento. L’obbligo di acquisto ex art. 108,
2° co., T.U.F., dunque, tutela l’investitore rispetto alla perdita definitiva di un mercato
dei titoli.
L’acquisto indiretto e il consolidamento della partecipazione.
La fattispecie base delineata dall’art. 106, T.U.F., non esaurisce tutte le situazioni
nelle quali può sorgere un problema di disciplina dell’acquisizione del controllo di una
società quotata. Quest’ultimo, in effetti, può essere conseguito anche, indirettamente,

53
mediante l’acquisto di una partecipazione nella società controllante . In tal caso
l’obbligo di OPA totalitaria sorge nel caso di acquisto, anche di concerto, di una
partecipazione che consenta di detenere più del trenta per cento delle azioni con diritto
di voto sugli argomenti indicati nell’art. 105, T.U.F., di una società quotata o il
controllo di una società non quotata, qualora l’acquirente venga così a detenere,
indirettamente o per effetto della somma di partecipazioni dirette e indirette, più del
trenta per cento dei “titoli” (ex art. 105 T.U.F.) in una società quotata. Per
partecipazione indiretta deve intendersi, in questo contesto, la detenzione di azioni di
una società, il cui patrimonio sia costituito in prevalenza da partecipazioni in società
quotate o in società che detengono in misura prevalente partecipazioni in società
quotate .
L’obbligo di offerta può sorgere anche a carico di chi già detenga la partecipazione
superiore alla soglia del trenta per cento, ma non la maggioranza dei diritti di voto
esercitabili nell’assemblea ordinaria, allorché questi incrementi la partecipazione, in
misura significativa (cinque per cento) .

Le esenzioni.
In determinati casi il superamento della soglia di cui all’art. 106, co. 1 non comporta
l’obbligo di promuovere un’offerta pubblica di acquisto totalitaria successiva.
Una prima esenzione dall’obbligo di promuovere l’OPA successiva sussiste
nell’ipotesi in cui la soglia rilevante sia conseguita in presenza di altri soci che
detengono il controllo, nel qual caso, evidentemente, viene meno quella presunzione
di controllo di fatto della società emittente, che il Testo Unico ha ricollegato alla
detenzione di una partecipazione superiore al trenta per cento.
Il superamento della partecipazione rilevante non determina l’obbligo di OPA anche
nel caso in cui sia determinato da operazioni dirette al salvataggio di società in crisi,
ovvero dal trasferimento di azioni ordinarie tra soggetti legati da rilevanti rapporti di
partecipazione, o da cause indipendenti dalla volontà dell’acquirente, o, infine, da
operazioni di carattere temporaneo o di fusione o scissione (art. 106, co. 5).

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Il legislatore ha demandato alla Consob il potere di regolare nel dettaglio le fattispecie
esenti (art. 49 regolamento emittenti). L’Autorità di vigilanza ha, altresì, il potere di
disporre, con provvedimento motivato, che il superamento della soglia rilevante non
comporti l’obbligo di offerta, con riferimento a ipotesi riconducibili a quelle indicate
dalla legge, ma non espressamente previste, in termini generali, in sede di regolamento
(art. 106, co. 6).

Le offerte preventive.
Meritevoli di autonoma considerazione sono le fattispecie dell’offerta preventiva
totalitaria (art. 106, co. 4, T.U.F.) e dell’offerta preventiva parziale (art. 107, T.U.F.),
che pure hanno l’effetto di esimere il soggetto che abbia superato la soglia rilevante
dall’obbligo di procedere a offerta successiva totalitaria.
L’obbligo di offerta non sussiste se la partecipazione superiore alla soglia rilevante è
raggiunta a seguito di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio rivolta a tutti i
possessori di titoli per la totalità dei titoli in loro possesso, purché, nel caso di offerta
di scambio, siano offerti titoli quotati in un mercato regolamentato di uno Stato
comunitario o sia offerto come alternativa un corrispettivo in contanti (art. 106, co. 4,
T.U.F.). La ratio dell’esenzione è, verisimilmente, da ricercare nella circostanza che,
nell’ipotesi in considerazione, l’acquisizione del controllo avviene nel rispetto di un
procedimento che dovrebbe assicurare la trasparenza e la parità di trattamento degli
azionisti . In realtà la disciplina in esame accorda una tutela soltanto parziale, in
quanto non attribuisce alcuna rilevanza alle condizioni di prezzo alle quali l’offerta è
promossa. Il che significa che gli oblati potranno trovarsi nella condizione di dover
scegliere se aderire all’offerta alle condizioni decise dall’offerente – che potrebbero
essere non particolarmente vantaggiose rispetto all’andamento delle quotazioni –
ovvero restare nella società, correndo il rischio di una depressione del prezzo delle
azioni a seguito del mutamento del controllo .
L’altra ipotesi di offerta preventiva esimente è regolata dall’art. 107, T.U.F., ai sensi
del quale l’obbligo di offerta non sussiste se la partecipazione rilevante viene a essere

55
detenuta a seguito di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio avente a oggetto
almeno il sessanta per cento dei titoli di ciascuna categoria, ove ricorrano
congiuntamente determinate condizioni . L’istituto realizza un compromesso tra
l’esigenza di consentire l’acquisizione del controllo di società quotate, senza dover
passare necessariamente per l’acquisto della totalità delle azioni rilevanti per
l’esercizio del controllo, e quella di proteggere gli azionisti esterni dal pericolo di
“pressione a vendere”.

L’acquisto di concerto.
La regola che impone l’obbligo di offerta totalitaria (o di acquisto) si presta, in
astratto, a essere elusa, attraverso l’escamotage del frazionamento dell’acquisto
rilevante tra una pluralità di soggetti, formalmente distinti, ma, in realtà, appartenenti a
una coalizione. L’istituto dell’acquisto di concerto mira a prevenire questa elusione
della legge.
La prova di un’azione concertata può, per vero, rivelarsi tutt’altro che agevole in
concreto. L’impostazione originaria del Testo Unico attenuava queste difficoltà
probatorie, ricorrendo a un’elencazione di situazioni tipiche di acquisti rilevanti, posti
in essere da parte di più soggetti, in qualche modo “aggregabili” nella locuzione
“acquisto di concerto”, e rinunciando a fornire una (sempre infida) definizione. Nella
sua versione originaria, l’art. 109, ancorché rubricato “acquisto di concerto”, non
attribuiva alcun valore normativo alla “azione di concero”, limitandosi a imporre una
sommatoria di partecipazioni riferibili a diversi soggetti, al fine di determinare la base
di calcolo per un eventuale successivo incremento rilevante, in termini di obbligo
(solidale) di opa .
La disciplina dell’acquisto di concerto è stata novellata, in sede di recepimento della
Direttiva OPA (d. lgs. n. 229/07), con un successivo intervento “correttivo”, ad opera
del d. lgs. n. 146/09.

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La riforma dell’istituto si segnala, innanzi tutto, per il tentativo di fornire una
definizione di “persone che agiscono di concerto” (art. 101-bis, co. 4, T.U.F.),
ricorrendo a una clausola generale – mutuata dalla Direttiva comunitaria (art. 2, co. 1,
lett. d) –, alla quale segue la consueta elencazione dei “concertanti ex lege”, per i quali
l’appartenenza alla categoria è predicata “in ogni caso” (art. 101-bis, co. 4-bis).
La clausola generale contenuta definisce “persone che agiscono di concerto” “i
soggetti che cooperano tra di loro sulla base di un accordo, espresso o tacito, verbale o
scritto, ancorché invalido o inefficace, volto ad acquisire, mantenere o rafforzare il
controllo della società emittente o a contrastare il conseguimento degli obiettivi di
un’offerta pubblica di acquisto o di scambio”.
Un primo aspetto che emerge dalla lettura della “definizione” è l’esplicitazione della
ratio sottesa alla disciplina del concerto, chiaramente inquadrato nella
regolamentazione degli assetti proprietari e, in particolare, del problema “classico”
dell’acquisizione, del mantenimento e del trasferimento del controllo, nel cui contesto
si colloca – entro i limiti sopra chiariti – la regolamentazione delle offerte
obbligatorie. Il legislatore sembra considerare rilevante l’azione di concerto soltanto
allorché essa risulti attuazione di un accordo, “volto a” incidere sul controllo di un
emittente, per acquisirlo, mantenerlo, o rafforzarlo ovvero diretto a contrastarne
l’acquisizione, mediante opa.
La legge richiede ora, in termini generali, l’esistenza – e, dunque, l’accertamento – di
un accordo; il che sembrerebbe costituire una presa di posizione contro l’ipotizzata
sufficienza di una mera condotta “convergente” di due o più soggetti . Certo, l’accordo
non richiede alcuna formalità e assume rilievo come mero fatto giuridico, a nulla
rilevando il profilo negoziale, dell’idoneità a produrre gli effetti giuridici
programmati. Ma un accordo deve, comunque, essere ricostruibile e, per di più, non
nel senso, del tutto generico, di (reciproca) “condivisione” dell’altrui condotta, ma in
un’accezione assai più pregnante, dovendo avere un oggetto determinato, come sopra
osservato . La definizione parrebbe, dunque, escludere la possibilità di un “concertiste
malgré soi” , dovendosi, in ogni caso, procedere a un’operazione di qualificazione

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della fattispecie, al fine di valutare se tra due o più soggetti sia stato effettivamente
concluso un contratto, pur in assenza di “una formale stipulazione” .
Il successivo comma 4-bis individua le “persone che agiscono di concerto” “in ogni
caso” (corsivi aggiunti). I “concertanti per elencazione” sono (i) gli aderenti a un patto
parasociale ex art. 122 T.U.F., ancorché nullo ; (ii) un soggetto e le società da esso
controllate ; (iii) le società sottoposte a comune controllo; (iv) una società e i suoi
amministratori o direttori generali. Per questi soggetti, dunque, parrebbe non
necessario l’accertamento di una cooperazione attuativa di un accordo, essendo
sufficiente il riscontro della “situazione” descritta. Apparentemente nulla di nuovo,
rispetto all’approccio originariamente seguito dal legislatore del Testo Unico, il quale,
peraltro, aveva coerentemente espunto dall’articolato normativo l’azione di concerto,
limitandosi ad applicare una disciplina in presenza di determinate situazioni, che
davano luogo ex lege a un “acquisto di concerto”.
Alla luce di quanto sin qui osservato sembra potersi affermare che la nuova disciplina
sia incentrata su due regole generali. La cooperazione attuativa di un accordo avente le
caratteristiche previste dall’art. 101-bis, co. 4, T.U.F., comporta la qualificazione in
termini di “concertanti” e giustifica l’aggregazione di cui all’art. 109 T.U.F.
L’appartenenza a una delle “categorie” elencate nell’art. 101-bis, com. 4-bis, T.U.F., è
equiparata alla cooperazione e comporta le medesime conseguenze, pur in assenza
(della prova) di un’azione concertata. Si noti, peraltro, che la concertazione, quando
rilevante, non ha per oggetto un acquisto di azioni, bensì la “gestione” del controllo
societario ovvero il contrasto di un’offerta di acquisizione. Parrebbe permanere,
dunque, la regola in virtù della quale i “concertanti” – per legge o per l’effettiva
cooperazione rilevante – sono solidalmente tenuti all’obbligo di offerta, se pongono in
essere un acquisto che comporta l’incremento significativo della partecipazione
aggregata, anche se a seguito di un comportamento non concertato e, probabilmente,
anche se, per così dire, “dissonante”.
In realtà l’ultimo comma (4-ter) dell’art. 101-bis introduce un’eccezione, la cui
ampiezza e indeterminatezza rischia di sgretolare ogni certezza esegetica. L’eccezione

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parrebbe circoscritta alle sole “persone che agiscono di concerto” in virtù di
un’effettiva cooperazione (co. 4), con esclusione dei “concertanti ex lege” (co. 4-bis).
Depone in tal senso l’incipit della disposizione (“fermo restando il comma 4-bis”).
Il Testo Unico ha demandato alla Consob il compito di individuare con regolamento
“a) i casi per i quali si presume che i soggetti coinvolti siano persone che agiscono di
concerto ai sensi del comma 4, salvo che provino che non ricorrono le condizioni di
cui al medesimo comma”; (b) i casi nei quali la cooperazione tra più soggetti non
configura un’azione di concerto ai sensi del comma 4”. La disposizione non si segnala
per la chiarezza della formulazione. Il legislatore parrebbe aver voluto agevolare
l’attività di vigilanza, consentendo alla Consob di prevedere, sia pure in termini
generali e astratti, fattispecie di presunzioni (semplici) di cooperazione rilevante, e
addossando ai presunti concertanti l’onere di provare l’insussistenza degli elementi
costitutivi della fattispecie (dunque: l’accordo e il suo oggetto). Parimenti, la
Commissione ha il potere di individuare fattispecie astratte nelle quali, pur sussistendo
una cooperazione, questa non è rilevante, ai fini della qualificazione dei “cooperanti”
in termini di “persone che agiscono di concerto” (art. 44-quater, co. 2, reg. emittenti ).

Diritto di acquisto.
L’offerente che, a seguito di un’offerta totalitaria (anche volontaria), si trovi a
detenere una partecipazione pari ad almeno il novantacinque per cento del capitale
rappresentato da titoli in una società quotata italiana, ha un diritto di acquisto dei titoli
residui (art. 111 T.U.F.) . Condizione per avvalersi del diritto in parola è che
l’offerente abbia dichiarato la sua intenzione nel documento di offerta (si veda anche
l’art. 50 reg. emittenti). Il corrispettivo e la forma che esso deve avere sono
determinati secondo le modalità previste dalle norme che regolano l’obbligo di
acquisto (art. 108, commi 3, 4, 5, nonché art. 50 reg. emittenti). Il diritto di acquisto
può essere esercitato entro tre mesi dalla scadenza del termine per l’accettazione
dell’offerta che ha determinato il raggiungimento della soglia sopra indicata e il
trasferimento dei titoli ha efficacia dal momento della comunicazione alla società

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emittente dell’avvenuto deposito del prezzo di acquisto presso una banca. La società
provvede alle conseguenti annotazioni nel libro dei soci.
L’istituto presenta qualche analogia con il retrait obligatoire del diritto francese, sotto
il profilo dell’«espropriazione» delle partecipazioni degli azionisti di minoranza .
L’istituto francese, peraltro ha quale presupposto una precedente offerta pubblica,
all’esito della quale i titoli “residui” non rappresentino più del 5% del capitale o dei
diritti di voto, là dove il diritto di acquisto in esame sorge a seguito di un’OPA
totalitaria, non necessariamente residuale, e trova la sua giustificazione,
principalmente, nell’opportunità di consentire al socio ormai quasi totalitario di
sottrarsi a possibili “interferenze” da parte dei soci “minimi”.

Disposizioni sanzionatorie.
Pur nella diversità di opinioni circa la giustificazione dell’obbligo di offerta, una
conclusione che sembra confortata dal dato positivo è che l’istituto costituisca uno
strumento di tutela dei soggetti che abbiano investito in particolari categorie di
strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati. L’individuazione di una
finalità di “tutela degli investitori” rende legittimo l’interrogativo circa il grado di
effettività della protezione accordata e, dunque, orienta l’indagine verso
l’approfondimento degli strumenti di reazione predisposti dall’ordinamento, nel caso
di inosservanza della disciplina da parte dei soggetti destinatari degli obblighi di legge.
Il Testo Unico reca un apparato sanzionatorio incentrato, fondamentalmente, sulla
frustrazione del “programma contrattuale” perseguito con l’acquisto contra legem. Il
che avviene non già invalidando l’atto di autonomia privata , ma “demolendone” gli
effetti, con la dismissione coatta della partecipazione eccedente e l’inibizione
dell’esercizio del potere acquisito in seno all’organizzazione societaria (art. 110
T.U.F.) .
L’approccio del legislatore appare coerente con l’idea che il meccanismo dell’opa
totalitaria a un prezzo “equo” costituisca un presidio dell’interesse degli investitori a
una consapevole destinazione del risparmio nel mercato regolamentato, accordando

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l’opportunità di riconsiderare l’investimento iniziale, allorché mutino circostanze
rilevanti, rispetto alla (e alla luce della) scelta iniziale di investimento. Può dirsi
congruo, a fronte di questo assetto di interessi, un apparato sanzionatorio di carattere
“ripristinatorio” dello status quo ante e di inibizione, medio tempore, delle prerogative
acquisite illegittimamente (il “potere di voto”), poiché il loro esercizio potrebbe
condurre a un’ulteriore (e potenzialmente irreversibile) alterazione della “situazione”
dell’emittente e, dunque, del “valore” dell’investimento, inteso, appunto, quale
finanziamento di un’attività produttiva da altri gestita.
In sede di recepimento della Direttiva opa, l’art. 110 T.U.F. è stato novellato, con
l’aggiunta di un secondo comma, a mente del quale “in alternativa all’alienazione di
cui al comma 1 la Consob può imporre, con provvedimento motivato, la promozione
dell’offerta di cui all’articolo 106 al prezzo da essa stabilito, anche tenendo conto del
prezzo di mercato dei titoli”. La norma – che si segnala per gli ampi margini di
discrezionalità che parrebbe attribuire all’Autorità di vigilanza – regola pur sempre
l’apparato sanzionatorio di settore, prevedendo una sorta di singolare esecuzione in
forma specifica, rimessa alla discrezionalità della Consob, che dovrà esercitare il
potere a essa attribuito in un’ottica di tutela degli investitori e del mercato nel suo
complesso (art. 91 T.U.F.), anche alla luce degli eventi sopravvenuti. E ciò sebbene
non sfugga la presenza anche di una logica, in qualche misura, risarcitoria, pur se
sottratta – a conferma della natura degli interessi protetti – all’iniziativa dei potenziali
beneficiari dell’offerta.
La prospettiva “settoriale” del Testo Unico non esime, però, l’interprete dal valutare la
possibilità di un raccordo fra le sanzioni previste dalla legislazione speciale e i princìpi
generali desumibili dal diritto delle obbligazioni .
In proposito giova richiamare quanto già osservato circa la centralità della disciplina
del procedimento, anche nel caso di offerta obbligatoria. La conclusione del contratto
di compravendita (o di permuta), anche in questo contesto, costituisce soltanto un esito
eventuale di un procedimento imposto. L’obbligatorietà di una condotta attiva (la
promozione dell’offerta, secondo le modalità puntualmente scandite dalla legge), è

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funzionale ad attribuire a soggetti determinati un’opportunità, consistente nel
pervenire a una consapevole decisione circa un’operazione di disinvestimento e,
eventualmente, nel realizzare quella operazione, con la cooperazione (anche) del
soggetto (che diventa allora) obbligato ad acquistare, in un contesto alternativo
rispetto al mercato . Al contenuto positivo dell’obbligo gravante sul soggetto che abbia
superato la soglia rilevante sembra, dunque, fare riscontro l’attribuzione ai beneficiari
della condotta imposta dalla legge di una “pretesa giuridicamente tutelata”, secondo lo
schema del rapporto obbligatorio . L’inattuazione del rapporto, pertanto, pone il
problema della responsabilità da inadempimento, ai sensi dell’art. 1218 c.c.
Certo, in concreto, la responsabilità potrà essere esclusa, ove risulti che
dall’inadempimento non è conseguito alcun danno, eventualmente anche per effetto
della tempestiva applicazione delle sanzioni. Ma a questa conclusione si potrà
pervenire esclusivamente applicando le regole di cui agli artt. 1223 ss. c.c., non già
invocando la “esaustività” delle sanzioni previste dall’art. 110 T.U.F. E ciò per la
semplice, ma decisiva, ragione che quelle norme regolano un diverso tipo di problema,
rispetto alla perdita dell’opportunità di riconsiderare l’investimento iniziale, per
approdare, eventualmente, a un “disinvestimento informato”, a condizioni che meglio
riflettono la valutazione di mercato dei titoli, a seguito dell’acquisto rilevante.

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