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La gestione valutaria nella finanza aziendale: il rischio di cambio1

La gestione valutaria non ha avuto in passato un grande peso nella finanza delle imprese italiane. Le motivazioni di tale ritardo sono da ricondurre
essenzialmente a due fattori:
1) il nostro paese si è caratterizzato per un elevato grado di apertura commerciale verso l’estero a cui non ha fatto riscontro un analogo grado di
apertura finanziaria.
Tale disparità è stata mantenuta nell’intento di tutelare una moneta più debole di altre: le operazioni valutarie effettuate dalle imprese erano quindi
quelle strettamente connesse al regolamento delle transazioni di beni e servizi.
2) sostanziale stabilità dei mercati valutari fino alla fine degli anni ’60, per cui i rischi di cambio si presentavano notevolmente attenuati.
Il secondo fattore è venuto meno con gli anni ’70, mentre il primo è stato ridimensionato con il processo di deregolamentazione valutaria avviato alla
fine degli anni ’80, in attuazione delle direttive CEE che consentono oggi alle imprese italiane di partecipare a pieno titolo al processo di
integrazione e globalizzazione dei mercati finanziari.

Oggi la finanza aziendale assume una connotazione plurivalutaria: è possibile pianificare opportunamente l’area di ciascuna valuta e organizzare
flussi valutari in entrata e in uscita, non strettamente correlati, quli, invece, quelli connessi al regolamento delle transazioni di beni e servizi,
assumendo e gestendo i rischi connessi.

Definizione del concetto di rischio di cambio


Il rischio di cambio nasce tutte le volte che un operatore ha una posizione di debito o di credito in valuta nel tempo (cioè quando la moneta nella
quale effettua le sue registrazioni contabili è diversa da quella in cui è espresso il suo debito o credito).
Il rischio di cambio può quindi essere definito come la possibilità che si verifichi una divergenza tra il cambio atteso e quello che effettivamente sarà
in vigore nel mercato al momento in cui si effettua il movimento valutario in entrata o in uscita.
Da quanto detto emerge che:
- perché vi sia esposizione al rischio di cambio deve esserci una posizione debitoria o creditoria in valuta;
- la quantificazione del rischio prevede il confronto tra un tasso “atteso” e quello effettivo, noto solo a posteriori;
- il concetto di rischio va in una duplice direzione ed implica sia la possibilità di una perdita sia di un guadagno.
Tale bidirezionalità è sintetizzata nello schema seguente:

Debitore in valuta Creditore in valuta

Apprezzamento EVENTO FAVOREVOLE EVENTO SFAVOREVOLE


moneta nazionale

Deprezzamento EVENTO SFAVOREVOLE EVENTO FAVOREVOLE


moneta nazionale

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Il presente capitolo trae largo spunto dal testo di Caselli C., L’avventura della internazionalizzazione, p.238 e ss.
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Il rischio di cambio si sviluppa in molteplici forme, dando luogo a diversi tipi di esposizione, e producendo così diversi effetti sotto il profilo contabile,
economico e contrattuale.
L’ “esposizione contabile” (translation exposure) emerge in sede di redazione di bilanci e nasce dall’esigenza di esprimere in moneta nazionale
attività o passività denominate in valute diverse.
Il problema emerge in tutta la sua gravità in sede di bilanci consolidati di gruppo. Per la capogruppo si configura un’esposizione ad un rischio di
cambio per così dire ‘contabile’,
- che nasce dal momento in cui viene assunta la partecipazione e
- che non ha effetti sulla gestione finanziaria se non nel momento in cui le poste di bilancio dovessero essere convertite in moneta nazionale in
seguito ad operazioni di negoziazione,
- ma ha importanti conseguenze sulla situazione economica e patrimoniale dell’azienda.
L’ “esposizione contrattuale” (transaction exposure) è connessa ad operazioni di tipo commerciale o finanziario. Nel primo caso, si ha il cosiddetto
rischio operativo, che sorge in relazione ad operazioni legate alla normale operatività aziendale, cioè scambi di merci e servizi. Nel secondo caso, si
ha il cosiddetto rischio finanziario, che è connesso ad operazioni di finanziamento da e verso l’estero.
Il rischio operativo è più difficile da manovrare, poiché le operazioni che stanno alla base non sono sempre flessibili nelle loro manifestazioni
finanziarie, ma è più facilmente recuperabile manovrando ad esempio la leva prezzo.
Il rischio finanziario è meno facilmente trasferibile, ma consente in compenso una maggior flessibilità operativa, grazie anche alla notevole
articolazione degli strumenti.
Nella gestione finanziaria entrambi i rischi vanno tenuti presenti in modo congiunto, anche per la possibilità di reciproche compensazioni, che sono
alla base di numerosi strumenti di copertura.
È possibile evidenziare, inoltre, un “esposizione economica” (economic exposure) causata dall’influenza delle variazioni del tasso di cambio sulle
variabili economicamente rilevanti (costi di produzione, prezzi ai quali vengono effettuate le transazioni, volumi di vendita, ecc) e quindi, in ultima
analisi, sulla capacità competitiva dell’impresa internazionale.
Risulta chiaro, quindi, come per l’impresa che opera sui mercati internazionali, “selling and purchase price decisions” (decisioni in relazione alla
determinazione dei prezzi di acquisto e di vendita) devono essere affrontate alla luce dell’esposizione a rischio di cambio e quindi in relazione
all’eventualità di conseguire (subire) guadagni (perdite) causati(e) dalla differenza fra tassi di cambio programmato ex-ante nella “pricing decision” e
tasso di cambio verificatosi ex post.

L’ atteggiamento nei confronti del rischio di cambio


Un punto fondamentale nella politica finanziaria dell’impresa che opera con l’estero è dato dalla definizione dell’atteggiamento da assumere nei
confronti del rischio di cambio.
Tale atteggiamento è anzitutto funzione delle caratteristiche aziendali: occorre considerare le dimensioni dell’impresa e soprattutto il rilievo
dell’attività con l’estero.
È chiaro che non è la stessa cosa se l’attività con l’estero è un fatto occasionale oppure se si tratta di una costante e se si limita alla sola attività
commerciale oppure si estende anche a forme di internazionalizzazione più complessa e se si accompagna a forme di attività finanziaria.
Ciò premesso, possiamo dire che l’atteggiamento nei confronti del rischio di cambio si muove tra due posizioni estreme:
a) non attuare nessun intervento di difesa nei confronti del rischio di cambio;
b) non assumere alcun rischio o coprire accuratamente qualunque posizione aperta.
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a) Non attuare nessun intervento di difesa nei confronti del rischio di cambio
In questo caso l’opertore assume liberamente posizioni debitorie e creditorie in valuta, così come è richiesto dal normale svolgersi della sua attività,
senza preoccuparsi di coprire o limitare il rischio che ne deriva.
Qual è può essere la logica di tale comportamento?
- l’operatore è uno speculatore che assume deliberatamente determinate posizioni in base all’attenta considerazione dell’andamento del mercato
dei cambi;
- l’operatore non ritiene di dover limitare il rischio perché opera all’interno di aree monetarie che adottano un regime di cambi fissi (è lo scenario
prima dell’entrata in crisi del sistema monetario creato con gli accordi di Bretton Woods);
- l’operatore non ha la competenza e la professionalità necessaria per percepire adeguatamente i rischi che corre (può essere il caso della piccola
impresa che opera sporadicamente con l’estero);
- l’operatore percepisce il rischio di cambio, ma i margini di guadagno con i quali opera non gli consentono di assumere il costo di determinate
forme di copertura (si ha, per così dire, uno speculatore “forzato”).
b) Non assumere alcun rischio o coprire accuratamente qualunque posizione aperta.
La logica di questo tipo di operatore è quella di una concentrazione sull’attività tipica dell’azienda (per esempio per consolidare un forte vantaggio
competitivo di costo e di differenziazione) e dell’esclusione di componenti speculative, per le quali non esistono competenze specifiche né la
convenienza a costituirle.
Non assumere alcun rischio è possibile solo a condizione di fatturare costantemente in moneta nazionale. Ciò richiede peraltro l’assenso della
controparte, che si assume in toto il rischio. In alternativa, ogni rischio assunto può essere immediatamente coperto, con una serie di costi, tanto più
elevati quanto più instabile è la situazione monetaria internazionale.
È chiaro che le due posizioni delineate sono estreme. Più frequentemente gli operatori adotteranno una posizione intermedia, più vicina all’uno o
all’altro polo a seconda della propensione al rischio, dei costi, dei rapporti con la controparte, ecc.
In pratica, l’atteggiamento più frequente è quello di individuare quali rischi coprire e in che misura.
Questo atteggiamento richiede una conoscenza del mercato dei cambi, una qualche capacità di formulare previsioni sugli andamenti futuri delle
monete, un monitoraggio costante dell’evoluzione della situazione internazionale, nonché la conoscenza degli strumenti di copertura e la capacità di
valutarne l’efficacia e i costi.
Con ogni evidenza non si tratta di una questione semplice.

La non assunzione del rischio di cambio


La modalità più ovvia di non assunzione del rischio di cambio è la fatturazione in moneta nazionale: in questo modo il rischio, almeno formalmente,
viene scaricato sulla controparte.
Un sistema più radicale per non assumere il rischio di cambio è anche quello di rinunciare ad operare in valuta in momenti di particolare instabilità
del sistema monetario internazionale, rivolgendosi a controparti sul mercato nazionale. È chiaro che tale politica può essere adottata solo per brevi
periodi, altrimenti comporterebbe la rinunzia all’internazionalizzazione.
Un’altra possibilità di non assunzione del rischio è quella di richiedere sempre regolamenti a vista: in questo modo il cambio è quello noto nel giorno
in cui si effettua o si riceve il pagamento. Una simile eventualità è molto favorevole per il venditore, a meno che non si pensi di trarre profitto da una
futura svalutazione della moneta nazionale, ma non è facilmente accettabile dalla controparte estera, che tenderà viceversa a chiedere dilazioni di
pagamento e vi rinuncerà solo in caso di sostanziosi sconti.
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La copertura interna del rischio di cambio
Altre forme di neutralizzazione del rischio di cambio sono rappresentate dalle cosiddette forme di copertura interna, basate sulla capacità di
correlare le entrate e le uscite di valuta in modo da minimizzare l’esposizione al rischio di cambio.
Le tecniche interne coinvolgono esclusivamente operatori interni all’azienda (o al gruppo di aziende) e possono quindi essere realizzate i termini
relativamente agevoli e con costi contenuti.
Tra le tecniche interne è possibile individuare, fra le altre, la forma più semplice rappresentata dal pairing (o matching), attivabile dalle imprese che
hanno flussi valutari in entrata e in uscita (es. imprese armatoriali).
Il pairing consiste nel bilanciamento per ammontare e scadenza delle attività e passività in valuta.
Nella misura del possibile, il pairing richiederà interventi di leading and lagging cioè di manovra dei tempi degli acquisti e delle vendite, nonché dei
tempi rispettivi di dilazione, in modo da facilitare la compensazione.
Vale a dire, si cercherà di anticipare gli incassi e posticipare i pagamenti effettuati in monete il cui corso del cambio sale nell’ambito dei rapporti tra
le consociate di un medesimo gruppo.
Altre forme più avanzate e sofisticate che possono essere adottate all’interno dei gruppi multinazionali sono:
il netting, il clearing, il factoring intergruppo (intercompany facoring), la rifatturazione (reinvoicing), ecc.
Il netting è la riproposizione del pairing con la differenza che il bilanciamento avviene fra tutte le consociate di un medesimo gruppo. Ne discendono
quindi ampi margini di manovra soprattutto se il gruppo è ampio e articolato.
Sotto il profilo organizzativo, se il netting non è sporadico e occasionale, il coordinamento può essere realizzato passando attraverso un centro di
clearing (spesso presso l’unità centrale), che raccoglierà i dati delle diverse unità locali e provvederà a fare tutte le compensazioni possibili,
attivando eventuali politiche di leading and lagging intergruppo e provvedendo poi a gestire gli squilibri residui.
Con il factoring intergruppo, si ha la cessione ad una società del gruppo (che funge da factor) di tutti i crediti in valuta vantati dalle consociate verso
terzi, pagando in contanti il netto ricavo ed eliminando così il rischio di cambio connesso.
Con la rifatturazione, invece, si ha l’intervento di un centro di rifatturazione, con sede in un paese scelto in base a vantaggi di ordine legislativo e
fiscale. Le controparti estere fatturano a tale centro invece che alle diverse unità locali e il centro di rifatturazione emette a sua volta fattura nei
confronti delle medesime unità locali ma in moneta nazionale. In questo modo viene eliminato radicalmente ogni rischio di cambio, che è
integralmente assunto dal centro.

La copertura esterna del rischio di cambio


La copertura esterna del rischio di cambio avviene ricorrendo al mercato dei cambi e al mercato monetario internazionale. Si tratta di combinare in
vario modo quattro operazioni fondamentali:
- comprare
- vendere
- prendere in prestito
- dare in prestito

Limitandoci al primo gruppo di forme di copertura, è opportuno considerare distintamente il problema a seconda che si faccia riferimento
all’importatore o all’esportatore.

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A) La posizione dell’esportatore
L’esportatore che deve ricevere un importo in valuta estera ha a sua disposizione tre diverse possibilità:
1) Vendere a pronti
L’esportatore che ottiene immediatamente l’importo in valuta estera dalla controparte deve convertirlo in moneta nazionale, al cambio spot del
momento, per eliminare così ogni possibile rischio di cambio futuro. Il ricavo diviene così certo. Il controvalore potrà essere investito in moneta
nazionale e fruttare un rendimento maggiore di quello conseguibile sui mercati esteri.
2) Vendere a termine
L’esportatore che deve ricevere un determinato importo in valuta ad una certa scadenza effettua un’operazione di vendita della valuta stessa a
termine, al cambio a termine vigente sul mercato al momento della copertura, con consegna e pagamento differiti.Se il cambio a termine è
maggiore del cambio spot vi sarà un guadagno e viceversa nel caso opposto. Questa forma di copertura non è molto diffusa nella pratica.
Di fronte alla difficoltà di trovare contropartite a termine, specie se si opera con importi modesti, sta la maggiore facilità di ottenere finanziamenti,
che - oltretutto - presentano tassi vantaggiosi.
Spesso ricorre alla vendita a termine chi non riesce ad ottenere finanziamenti.
3) Accendere un finanziamento e vendere a pronti
L’esportatore che deve ricevere un determinato importo in valuta ad una certa scadenza può aprire un finanziamento in valuta e vendere
immediatamente l’importo ottenuto, in modo da tramutarlo in moneta nazionale.
Alla scadenza, con la valuta ricevuta dalla controparte estera estinguerà il finanziamento.
Palesemente, al vantaggio di annullare il rischio di cambio, si associa quello di fruire di un finanziamento a tassi spesso inferiori rispetto a quelli
nazionali.
B) La posizione dell’importatore
Anche l’importatore ha a sua disposizione tre diverse possibilità:
1) Acquistare a pronti
Se il pagamento è da effettuare immediatamente, l’acquisto di valuta estera sul mercato al cambio spot elimina radicalmente ogni rischio di cambio,
rendendo certi tutti gli elementi dell’operazione. Naturalmente valgono le considerazioni inverse rispetto al caso dell’esportatore. Ci si preclude qui
la possibilità di trarre vantaggio da un apprezzamento della moneta nazionale nei confronti della valuta estera.
2) Acquistare a termine
L’importatore che deve far pervenire alla controparte un determinato importo di valuta estera ad una certa scadenza, può stipulare oggi un contratto
di acquisto a termine, fissando il tasso di cambio dell’operazione ed eliminando così ogni rischio. Se il cambio a termine è maggiore di quello a
pronti la differenza costituisce il costo dell’operazione. Il ragionamento opposto può essere fatto nel caso che il cambio a termine sia inferiore al
cambio spot. Vi è un utile per l’importatore, che compensa però il fatto che un impiego in moneta nazionale rende di meno di uno in valuta estera.
3) Accendere un finanziamento e acquistare a pronti
L’importatore può eliminare ogni incertezza se acquista a pronti la valuta che gli occorrerà a scadenza. Per fare questo si finanzierà in moneta
nazionale. Una volta acquistata la valuta la investirà fino al momento del suo impiego per il pagamento, al tasso di interesse relativo a tale valuta.
La differenza fra i due tassi di interesse potrà essere a vantaggio o a svantaggio dell’importatore (peraltro la differenza cambio a pronti/cambio a
termine giocherà in senso inverso).

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