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ECONOMIA AZIENDALE 10/10: Musaio

Tavola dei valori: tabella formata da due sezioni che mette in evidenza le due serie di valori che
caratterizzano il movimento del capitale. Sezione di sinistra= impieghi (indica come il capitale è composto).
Sezione di destra= fonti (evidenzia quali sono le fonti che lo caratterizzano).

Dinamica dei valori:


IL FINANZIAMENTO:
Un’azienda per analizzare il suo capitale deve capire da dove proviene (da dove proviene la liquidità) e
come è impiegato (in liquidità).
Per rivelare gli strumenti di funzione noi usiamo la tavola dei valori.
Esempio: Un’azienda viene istituita con un capitale sociale di € 500 mila (versato dai soci in un c/c
bancario), quindi integra quanto sopra con il ricorso ad un finanziamento bancario di € 300 mila (anche
questi accreditati sul c/c bancario).
Per rappresentare questo evento di gestione si usa una tabella con due colonne:
 la colonna di destra si chiama “Fonti” e rappresenta la provenienza del capitale (=chi ha dato alla
nostra azienda il denaro);
 L’altra colonna, quella di sinistra prende il nome di impieghi e ci dice in che modo è oggi impiegato
il nostro capitale.

Per effetto delle varie operazioni si hanno sempre due cambiati.

Il totale degli impieghi è uguale al totale delle fonti perché rappresentano due facce della stessa medaglia
(solo in un caso saranno diversi). Nelle fonti non si specifica da quale ente proviene il capitale, ma si indica
se si tratta di capitale di rischio o capitale di credito:
 nell’esempio invece di dire soci si usa l’area del capitale di rischio e invece di dire banche si usa
l’area capitale di credito.
CAPITALE DI CREDITO:
È un’area e i debiti verso le banche rappresentano solo una voce poiché vi sono anche altre l’ordine delle
voci segue ciò che viene affermato nell’art.2424 del c.c.
Voci presenti all’interno di quest’area (sono tutti debiti di natura finanziaria, ovvero sottendono operazioni
di natura finanziaria, il cui sottostante è una transazione di natura commerciale e quindi denaro):
 Obbligazioni sono dei titoli di debito facenti parte di un unico prestito obbligazionario il quale
viene ripartito in tanti pezzettini: l’azienda emette pezzi di carta chiamate obbligazioni, gli
acquirenti (=obbligazionisti) daranno liquidità all’azienda in cambio delle obbligazioni. Gli
obbligazionisti in cambio della liquidità data per le obbligazioni vorranno gli interessi che vengono
in modo periodico dall’azienda (ogni sei mesi di solito). Gli interessi pagati delle obbligazioni pagati
prendono il nome di “cedula”. Il finanziamento Goullet di solito viene pagato tutto alla fine. Le
obbligazioni possono essere emesse solo dalle società per azioni e le società per accomandita per
azioni. Tuttavia, le società a responsabilità limitata possono emettere titoli simili (“titoli di debito”):
però mentre le obbligazioni possono essere comprate da tutti, i “titoli di debito” possono essere
venduti solo ad investitori istituzionali.
La ragione economica che spinge la società ad utilizzare dei prestiti obbligazionario è che questi
ultimi sono più economici dei prestiti bancari. Gli obbligazionisti inoltre sono interessati a tali
prestiti perché possono fruttare un guadagno maggiore (interessi a tasso più alto che in banca).
Quando vedo delle obbligazioni con un tasso molto elevato, il rischio che l’emittente fallisca è
elevato perché questi tassi vengono parametrati sulla base del rischio effettivo (rischio basso=tasso
inferiore/rischio alto=tasso superiore).
 Obbligazioni convertibili sono obbligazioni convertibili in azioni. Io emetto delle obbligazioni, gli
acquirenti sono quindi dei creditori della società e ogni sei mesi pagherò loro la cedula. Al termine
del rapporto di interesse (3 anni) l’obbligazionista può scegliere il rimborso del finanziamento o la
conversione di esso in azioni così facendo si da all’azionista la possibilità di diventare socio della
società. In questo caso muta la qualifica del soggetto che da creditor della società diventa socio. La
liquidità della società dopo la conversione in azioni cambia? No, rimane la stessa perché la liquidità
è cambiata quando è stato emesso il prestito obbligazionario. Se invece rimborso la liquidità delle
obbligazioni, la liquidità della società diminuisce. Se divento socio acquisisco il diritto a possedere
un dividendo (patrimonio) e il diritto amministrativo.
 Debiti verso soci per finanziamenti sono i soci che invece di apportare capitale di rischio
all’azienda fanno dei prestiti di denaro sotto forma di finanziamento. Se prestano del denaro non
dobbiamo collocare quell’apporto nel capitale di rischio ma in quello di credito perché a scadenza
l’azienda deve rimborsare tale prestito. Il prestito del socio può essere a titolo oneroso (=vuole
degli interessi) oppure gratuito. L’entità del prestito dipende:
o Se sono il socio unico della società il prestito può essere sia oneroso che a titolo gratuito,
perché al socio non cambia niente in quanto alla fine dell’anno il socio sarà sempre l’unico
beneficiario
o Nel caso in cui ci siano più soci bisogna vedere come verrà effettuato il finanziamento:
 Se il finanziamento viene realizzato completamente da un unico socio, quest’ultimo
richiederà di sicuro gli interessi;
 Se saranno più soci ad apportare il finanziamento in parte uguale è indifferente
chiedere gli interessi, perché verranno divisi in parti uguali.
In occasione di crisi aziendale, i soci che hanno prestato soldi alla società non verranno pagati
perché questi finanziamenti vengono considerati per legge come capitele di rischio perché i soci
sanno della vera situazione della società
 Debiti verso banche tutti i finanziamenti che l’azienda accende con il sistema creditizio, quindi
con le banche (es. mutui).
 Debiti verso altri finanziatori vi rientrano tutte quelle voci che non sono esplicitamente citate in
quest’area: es. tipo di finanziatori=terzi/soci. Una società che ci presta del denaro, come per
esempio le società di factoring, fanno parte di quest’area.
 Debiti rappresentati da titoli di credito voce utilizzata soprattutto in passato perché vi rientrano
i titoli di credito il cui esempio lampante sono le cambiali, il titolo era oneroso vi era cioè
un’imposta di bollo ch4 su importi significativi costituiva un ulteriore onere. Oggi è in disuso. La
cambiale era un pezzo do carta che poteva anche essere portata in tribunale e garantire il credito
perché non si indagava il rapporto sottostante. Vi era però un bollo
 Debiti (per prestiti) verso imprese controllate finanziamenti erogati nell’ambito dei gruppi
aziendali. Sono finanziamenti ricevuti da una nostra azienda (che io controllo perché socio con
quota maggioritaria) dove il soggetto che mi ha prestato il denaro è un mio parente (=è un’azienda
controllata). Si tratta di operazioni con parti correlate.
 Debiti (per prestiti) verso imprese collegate società di cui possiedo una partecipazione in misura
significativa ma non ne ho il controllo (non ho la quota maggioritaria).
 Debiti (per prestiti) verso controllanti abbiamo ricevuto del denaro dall’azienda che mi
controlla, il mio controllante (socio di riferimento).
 Debiti verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti imprese cugine: non ci sono
rapporti diretti di controllo con la mia azienda, ma le due aziende fanno parte sempre dello stesso
gruppo.
 …..

CAPITALE DI RISCHIO:
Quando nasca una società il capitale di rischio è rappresentato esclusivamente dalla voce capitale sociale, il
quale esprime il valore nominale delle azioni o delle quote emesse.
Nel tempo il capitale di rischio si arricchisce di ulteriori voci:
 Dell’utile o della perdita dell’esercizio
 Riserve
Nella fase di costituzione il capitale di rischio coincide con il capitale sociale, salvo poi aggiungere delle voci,
quali quelle sopra citate.

11/10:
L’IMPIEGO: la rappresentazione
Fatto riferimento all’esempio precedente, l’azienda sostiene, con pagamento in contanti, spese di
investimento per € 350 mila e spese correnti per € 400 mila.
Con l’acquisto si sostiene un sacrificio economico, detto costo in questo caso il costo totale è di 750 mila.
I costi rappresentano una forma di impiego del mio capitale.
Con l’operazione dell’impiego si formano nell’area degli impieghi le aree dei costi (che qui sono 2), in
corrispondenza delle quali si riduce la liquidità.

Ma il pagamento non è tutto in contanti, solo 600 mila euro sono stati pagati in contanti la liquidità si
riduce solo di 600. Cosa sono questi 150 mila di differenza? Il bene è stato acquistato, il costo è stato
sostenuto, però il fatto di non aver pagato ha comportato il sorgere di un debito nei confronti dei debitori.
Debito= valore che sostituisce temporaneamente la liquidità. Quindi i 150 mila vengono scritte nelle fonti
perché è come se i fornitori mi stessero finanziando.
Nella sezione degli impieghi si formano i costi spesi per i fattori produttivi indipendentemente dalla
modalità di pagamento, dopo di che se il regolamento è in contanti, insieme alla formazione del costo si ha
una riduzione della liquidità, altrimenti si ha tutta la spesa come prestito e si forma il debito, se la spesa in
parte in liquidità e in parte in prestito si ha in parte la diminuzione della liquidità e in parte la formazione
del debito.
Per vedere quanto si ha di debito oggi si somma il capitale di credito e i debiti di dilazione. Non si mettono
tuti insieme perché si tratta di debiti di natura differente.
Debiti di finanziamento= capitale di credito
Debiti di impiego= debiti di dilazione.

Se ho un incremento del capitale di debito, si incremento anche la liquidità. Quando ho un incremento di


debito di dilazione aumenta anche la spesa.
Quando uscirà la liquidità scomparirà anche il debito quando scompare il credito diminuisce la liquidità.
Successivamente devo cercare di capire come l’azienda ha impiegato il capitale. Solo dopo vado a vedere i
debiti di dilazione. Per capire perché i debiti di dilazione sono aumentati nel corso di un anno, vado a
vedere innanzitutto le spese correnti (i debiti verso i fornitori sono correlati alle spese maggiori acquisti,
maggiori debiti di dilazione allo stesso tempo i debiti verso i fornitori sono un indice positivo perché vuol
dire che l’azienda acquista di più dai fornitori perché produce di più. Però se vedo che la produzione
dell’azienda rimane sempre la stessa rispetto all’anno precedente, vuol dire che l’azienda sta attraversando
un periodo di crisi).

16/10:
Le spese di investimento sono le spese connesse all’acquisto di fattori produttivi che normalmente hanno
un’utilità prolungata nel tempo. Questi costi prendono anche il nome di immobilizzazione. Esistono due tipi
di immobilizzazioni:
1. Per IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI non sottendono dei beni tangibili. Comprendono a loro
volta due grandi categorie di costi:
a. Costi relativi a veri e proprio beni acquistati dall’azienda, seppur in natura immateriali 
sono dei diritti, che quindi hanno una loro tutela giuridica
b. Oneri pluriennali costi che possono essere iscritti nelle spese di investimento visti che da
questi si ha un’utilità pluriennale, ma che tuttavia non sottendono un bene. Appartengono
a questi:
 Costi di impianto e di ampliamento questa voce accoglie tipicamente i costi che
un’azienda sostiene nell’avvio della sua attività e che non si riferiscono ad altri investimenti.
Es.: per la costituzione della società si sosterranno delle spese dal notaio, per capire in che
aerea investire potremmo aver richiesto uno studio di fattibilità ad uno studio di consulenza
che rappresenta un altro costo quindi i costi di impianto si riferiscono all’impianto
dell’attività dell’impresa. Costi di ampiamento= costi che si sostengono dopo la nascita
dell’azienda caratterizzati da uno sviluppo strategico dell’azienda. Sono posti qui perché
sono costi che hanno un’utilità illimitata nel tempo;
 Costi di sviluppo quelli connessi all’attività di ricerca svolta dall’azienda finalizzata
all’innovazione, che può essere di prodotto o di processo (ad esempio quando vediamo che
un’azienda presenta un nuovo prodotto sul mercato ha passato gli ultimi anni a svolgere
una ricerca in modo tale da realizzare il prodotto che meglio risponde ai bisogni degli
acquirenti). Si tratta di spese di investimento. In realtà però non tutta l’attività di ricerca che
un’azienda svolge è una spesa di investimento: si ha sia la ricerca finalizzata a un prodotto
specifico (=ricerca applicata) nuovo da immettere nel mercato, ma si ha anche la cosiddetta
ricerca di base che costituisce una spesa corrente.
La ricerca applicata però non sempre porta alla scoperta di un prodotto finalizzato e che
soddisfi tutte le richieste degli acquirenti, per questo la ricerca applicata è un po’ un rischio,
allora nell’incertezza si tende a spostare le spese di ricerca, anche quando si tratta di spese
correnti, nelle spese di investimento.
 Avviamento l’avviamento di un’azienda è la differenza tra il valore economico del
capitale di un’azienda e il valore patrimoniale di essa. Ogni azienda è dotata di una serie di
elementi patrimoniali (immobili, macchinari, debiti ecc.), se io faccio la somma dei valori
degli elementi del patrimonio di un’azienda arrivo ad avere un valore, detto valore
patrimoniale di un’azienda. Questo è il valore che guarda all’azienda in modo statico, e cioè
come insieme disgiunto di elementi patrimoniali, mentre l’azienda non è un insieme di
aggregati disgiunti, bensì è un sistema che grazie alla combinazione delle forze che vi sono
all’interno è orientata alla produzione di un risultato ( l’azienda è un sistema dinamico).
Dunque, quando si parla di valore di un’azienda intesa come sistema, non ci si può limitare
ad osservare il valore patrimoniale, poiché quest’ultimo coglie solo la dimensione statica. Al
contrario il valore di un’azienda intesa come sistema va ricercato nella sua capacità di
produrre i risultati. Se noi ad esempio vogliamo acquistare un’azienda (=diventarne soci), lo
facciamo perché speriamo che inventando soci alla fine di ogni anno potremmo trarre degli
utili. Quindi quando noi vogliamo vedere quanto andremo a spendere per l’azienda
andiamo a vedere quanto ci aspettiamo di trarre sotto orma di utili. Un’azienda che ha delle
prospettive di reddito sostanziose merita di essere pagata abbastanza, un’azienda che ha
una prospettiva di reddito bassa verrà pagata di meno e un’azienda che ha una prospettiva
di perdita non viene comprata. Dunque, il valore di un’azienda intesa come sistema, detto
valore economico del capitale, dipende fondamentalmente dalla capacità dell’azienda di
conseguire i risultati per i quali viene gestita e quindi dalla sua capacità di produrre nel
futuro dei risultati economici. Quando il valore economico del capitale di un’azienda è
maggiore del suo valore patrimoniale vuol dire che come sistema vale di più che come
insieme di elementi patrimoniali. In questo caso si ha una differenza positiva che prende il
nome di avviamento (è un avviamento positivo=goodwill). Quando invece il valore
economico del capitale coincide con il suo valore patrimoniale, allora l’azienda non
presenta alcun avviamento. Se per ipotesi il valore economico del capitale è inferiore al
valore patrimoniale, vuol dire che l’azienda rende molto poco come azienda e dunque vale
più come immobile (si ha una differenza negativa e cioè un avviamento negativo= badwill).
Molto importante quando si tratta di valutare un’azienda per poi comprarla è il rischio,
perché maggiore è il rischio, minore sarà il valore dell’azienda perché sarà maggiore anche
il rendimento che ci si aspetta che l’azienda avrà in futuro; minore è il rischio, maggiore
sarà il valore dell’azienda, perché minore sarà il rendimento che ci si aspetta dal futuro
dell’azienda. In genere i soci per quando riguarda il rendimento ragionano così: io posso
fare degli investimenti con meno rischi (es.: titoli di stato), se invece investo in un’azienda,
che dunque è più rischiosa, voglio un po’ di più. Questo di più si chiama “premio per il
rischio”, che può variare in base al rischio stesso. Avviamento= capacità di rendere in
misura superiore rispetto a un reddito soddisfacente, ovvero quello che remunererebbe il
capitale sociale. L’avviamento entra in gioco quando io voglio conoscere il valore di
un’azienda, cosa che succede quando essa diviene oggetto di una transazione. Tra le spese
di investimento, l’avviamento compare quando acquisisco un’altra azienda in quando esso
è parte inscindibile di un’azienda (l’avviamento non può essere ceduto disgiuntamente
dall’azienda).
**l’avviamento originario di un’azienda non si iscrive nella tavola dei valori**
Appartengono ai beni immateriali:
 Diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno brevetto=
diritto che io ho a realizzare un determinato prodotto in esclusiva oppure ad utilizzare un
determinato strumento che non appartiene a me. Quando io ho un brevetto la legge mi
tutela e in linea teorica io potrei rivendere questo brevetto;
 Concessioni, licenze, marchi e diritti simili concessione= diritto a realizzare una
determinata società. Se io acquisto un autodromo per la mia attività, la spesa relativa
all’acquisto la scriverò nelle spese di investimento dei beni immateriali, in quanto comprare
l’autodromo è qualcosa di non tangibile. Anche i marchi sono dei beni immateriali, però
acquistandoli facci osi che nessuno possa utilizzare questo marchio oltre me nel lasso di
tempo che il mio acquisto copre;

 Altre immobilizzazioni immateriali: voce residuale che si trova anche nelle immobilizzazioni
materiali. Tutto ciò che non trova posto nelle varie classificazioni, viene posto qui. La voce
principale per cui viene mobilizzata la voce “altre immobilizzazioni” è “migliorie su beni di
terzi”.
 Immobilizzazioni in corso;
 Acconti per immobilizzazioni immateriali.
2. Per IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI sottendono dei beni tangibili. Contiene tutte quelle cose che
non sono analiticamente espresse: es. computer, arredi ecc.
 Terreni e fabbricati se acquistiamo un immobile sano di conseguenza abbiamo acquistato
anche il terreno (anche se qui è un’unica voce, sono intese come due voci separate).
Movimento questa voce solo qualora io sia il proprietario di quel bene.
 Impianti e macchinario:
 Attrezzature industriali e commerciali;
 Altre immobilizzazioni materiali;
 Immobilizzazioni in corso immobilizzazioni in corso di costruzione, ossia vi rientrano tutti quei
costi che l’azienda sostiene durante un anno che non sono rivolti alla produzione di quei
prodotti finiti che poi andranno ad essere venduti sul mercato, ma quei costi che l’azienda
sostiene per realizzare un bene che poi utilizzerà all’interno del proprio ciclo produttivo. Si parla
di costruzioni in economi: es. azienda che opera nel settore edile e realizza la propria sede (la
realizza l’azienda stessa perché ha le risorse e le capacità per farlo). Es. dei costi: costi della
materia prima, salari dei dipendenti, quota dell’energia (non tutta l’energia che abbiamo usato
durante l’anno è usata per realizzare il prodotto finito). Per immobilizzazione in corso si
intendono quei beni in corso di realizzazione al momento della predisposizione di questo
bilancio. Quando il bene finisce dobbiamo giro contare la voce (chiudi quella voce e ne apri
un’altra) si dirà quindi che non è più in corso di costruzione, ma è finito.
 Acconti per immobilizzazioni materiali un acconto è una parte del prezzo data in anticipo
rispetto al ricevimento del bene, quindi in questo caso ancora non sono in possesso del bene,
ma do al fornitore una parte del prezzo in anticipo in modo tale da assicurarmi quel bene in
futuro. La tavola dei valori, a seguito del pagamento di un acconto si movimenta con una
diminuzione dell’attività e in contropartita aumenta la spesa delle immobilizzazioni materiali e
in particolare la voce acconti per immobilizzazioni materiali.

17/10:
Le immobilizzazioni materiali e immateriali prendono il nome di investimenti tecnici e sono funzionali
all’attività caratteristica della nostra azienda.
Gli altri tipi di investimento sono detti investimenti accessori o extra-caratteristici e cioè non sono riferiti
alla gestione caratteristica dell’azienda. Sono investimenti accessori:
1. INVESTIMENTI FINANZIARI:
 Partecipazioni in imprese controllate titolo rappresentativo del capitale di rischio di un’altra
azienda. Se io possiedo una partecipazione significa che sono socio di un’altra azienda. Da ciò ne
derivano dei diritti: diritti amministrativi (votare all’interno delle assemblee=decidere sul futuro
dell’azienda) e diritti patrimoniali (diritto a ricevere una remunerazione che in questo caso prende il
nome di dividendo, ovvero la quota di utile che l’assemblea decide di destinare ai soci). Nelle
società in cui si ha una partecipazione, si deve sempre specificare in modo analitico il tipo di
partecipazione. In questo caso sono io che stabilisco le strategie della società perché ho la
maggioranza delle quote della società;
 Partecipazioni in imprese collegate società dove io non ho il controllo della partecipata perché
non possiedo il 51% del capitale di rischio, ma possiedo sempre una quota significativa (range che
va dal 20% al 49%);
 Partecipazioni in imprese controllanti io detengo una partecipazione nella società che mi
controlla. È un caso molto particolare, che non viene ben visto dal legislatore perché da luogo a dei
fenomeni particolari. Si possono detenere delle partecipazioni in società controllanti solo a
determinate condizioni restrittive e comunque per una percentuale mai superiore al 5%;
 Partecipazioni in imprese sottoposte al controllo delle controllanti es. delle imprese cugine. Non
si hanno rapporti diretti con questa società, ma sono controllate anch’esse da una società che
controlla anche me. La società A controlla la società X (noi) al 100%. Se c’è un’azienda C, allora
anch’essa è controllata da A, ma non è detto che sia controllata al 100% (può essere anche solo il
75%) non è completa perché noi abbiamo una partecipazione sottoposta al controllo dei
controllanti. Quindi nel nostro bilancio avremo partecipazione in C pari al 30%;
 Partecipazioni in altre imprese tutti quegli investimenti di capitale di rischio che l’azienda può
porre in essere, ma che non fanno riferimento al gruppo aziendale;
Gli investimenti finanziari, oltre alla partecipazione, riguardano anche i crediti:
 Crediti (per prestiti) verso imprese controllate il finanziamento è stato fatto da A a X. Si tratta di
un credito perché io sto prestando del denaro e alla fine riceverò lo stesso denaro più, se pattuiti,
gli interessi che rappresenta la remunerazione di questo investimento. È un’operazione finanziaria:
io ho un credito che si origina a seguito del prestito di denaro.
I prestiti all’interno dei gruppi sono abbastanza fisiologici perché se ho un’azienda che ha dei soldi li
presti ad altre aziende del gruppo, cos’ che quest’ultima non debba andare in banca per un prestito
(riguarda tutti i tipi di azienda, ma dipende dal rapporto che vi è tra esse);
 Crediti (per prestiti) verso imprese collegate;
 Crediti (per prestiti) verso imprese controllanti;
 Crediti (per prestiti) verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti;
 Crediti (per prestiti) verso altri gli latri sono tutte le altre società (o anche persone fisiche) che
non rientrano all’interno di questo gruppo;
 Altri titoli sono titoli che l’azienda acquista. Es.: titoli di stato, titoli di debito di altre società
(ovvero le obbligazioni)
 Strumenti finanziari derivati rientrano all’interno del bilancio solamente a partire dal bilancio
2016. Il valore di questi titoli dipende da un oggetto di riferimento, che prende il nome di
“sottostante” (ad esempio possono dipendere da un indice).
**La partecipazione è un termine generico che si traduce in quote o azioni in base alla forma giuridica della
società**

SPESE CORRENTI:
 Spese di acquisto delle materie (prime sussidiarie e di consumo) e delle merci qui l’azienda
inserisce tutte le materie prime che l’azienda acquista. La differenza tra materie prime e merci è
che le merci, a differenza delle materie prime non devono subire stati di trasformazione industriale,
quindi vengono rivendute allo stesso stato in cui io le ho acquistate;
 Spese per servizi categoria molto estesa in cui vengono ricompresi tutti i servizi di cui un’azienda
si serve;
 Spese per godimento di beni di terzi tutti quei costi che l’azienda sostiene per l’utilizzo di fattori
produttivi. Es.: affitto pagato al proprietario dell’immobile. In Italia, all’interno di questa voce, vi
rientrano anche i “canoni di leasing” (leasing= modalità di acquisizione di un bene mediante il
pagamento delle rate con la facoltà di diventare proprietari di quel bene alla scadenza del contratto
di leasing mediante l0esercizio della cosiddetta opzione di riscatto);
 Salari e stipendi salari= corrispettivo degli operai. Stipendio=corrispettivo degli impiegati
 Oneri sociali contributi che l’azienda deve versare agli enti previdenziali e agli enti assistenziali
(per ogni dipendente). È un costo aggiuntivo obbligatorio e mensile;
 Altri costi del personale indennità varie riconosciute al personale
 Altri costi operativi tutti i costi che non sono precedentemente in maniera analitica dettagliati

Parte dell’aerea delle spese (aerea finanziaria intesa in senso ampio) sono:
 Interessi passivi costi legati al finanziamento
 Minusvalenze su titoli e partecipazioni è il costo associato alla vendita a un prezzo inferiore
rispetto a quello di acquisto di un titolo (in questo caso di partecipazione). Es.: oggi acquistiamo una
partecipazione in fiat di 10 000 euro, domani siamo costretti a smobilizzare l’investimento e il
valore di mercato in quel momento è di 7 000 euro ci abbiamo perso 3 000 e la perdita prende il
nome di minusvalenza
 Perdite su cambi tuti quei costi che l’azienda sostiene quando fa operazioni in una valuta di conto
differente rispetto alla propria e vi è una variazione del tasso di cambio tra le sue valute;
 Altri oneri finanziari voce residuale in cui vengono inseriti tutti gli altri oneri di natura finanziari.
Es.: commissioni che l’azienda paga alla banca
 Sopravvenienze e insussistenze costi atipici collegati a fenomeni non ripetibili, non ricorrenti. Es.:
l’azienda subisce un furto e questo viene descritto all’interno della tavola dei valori come
sopravvenienza. Evento non prevedibile avvenuto all’azienda, anche eventi naturali
 Minusvalenze le altre minusvalenze, come quelle legate alla vendita di un qualsiasi altro bene
iscritto nei beni immateriali o materiali
 Imposte sul reddito dell’esercizio racchiude le imposte obbligatorie che l’azienda deve pagare sul
reddito d’esercizio (es.: ires e irap). Il costo di queste imposte deve essere compendiato all’interno
di questa voce.

I debiti di dilazione sorgono nel momento in cui sostengo un costo diverso dal debito di finanziamento
allocati nel capitale di credito:
 Debiti verso fornitori di impianti
 Debiti verso fornitori di materie
 Debiti verso fornitori di servizi
 …
 Debiti verso il personale
 Debiti verso enti previdenziali
 Debiti tributari
 …
Chiusura del circuito delle operazioni di gestione LA VENDITA
Vendita di prodotti o servizi porta ad un ricavo= beneficio economico associato alla vendita.
Il ricavo della vendita dei prodotti rappresenta una fonte del capitale il ricavo quindi rappresenta una
nuova fonte che va ad aggiungersi al capitale di rischio, di credito e di dilazione.

Si inserisce una nuova area che è quella e dei crediti.


Con la vendita si ha che nella sezione delle fonti si aggiungono i ricavi, poi se la vendita è in contanti
aumenta la liquidità, se in controparte il regolamento dei conti è a dilazione avremo un aumento dei crediti.
Il ricavo lo abbiamo iscritto nel momento in cui è sorto il titolo al pagamento poi in base alle modalità
avremo o un aumento delle liquidità o un incremento del credito.
Queste sono tutte le aree che si movimentano per le operazioni di gestione, dal finanziamento alla vendita.
Esempio: (riguardo all’esempio precedente)
Quant’è il capitale apportato dai soci dell’azienda? 500 k. Da questo prospetto, non possiamo vedere come
il capitale sia stato apportato, ovvero se in natura o in immobili (questo perché la tavola dei valori nel
frattempo si è modificata, per capirlo è necessario andare a vedere la tavola dei valori che è stata fatta
subito dopo l’entrata di quei soci).
Quanti debiti ha l’azienda? 450k (capitale di credito e dilazione)
Quanta liquidità ha l’azienda? 300k, però questi sono tali perché è quando abbiamo comprato delle merci
(ad esempio) qualcuno ci ha concesso di pagare un po’ più in la nel tempo e quando abbiamo venduto
abbiamo concesso a qualcuno di non pagarci subito ci sono dunque alcune poste che stabiliscono che c’è
della liquidità che sta per entrare o uscire: debiti di dilazione e crediti di dilazione. Quindi in totale sarà
370k.
Quanto abbiamo speso finora? Spese di investimento e spese correnti.
Quanti ricavi abbiamo conseguito finora? 120k lo vediamo dal fatto che negli impieghi ci sono dei crediti.

RICAVI:
 Ricavi per vendita prodotti Ricavi che derivano dall’attività lavorativa dell’azienda
 Ricavi per prestazioni di servizi
 Altri ricavi complementari
 Interessi attivi io presto i soldi a te, che mi dai gli interessi
 Dividendi se io possiedo delle partecipazioni, i dividendi sono la quota degli utili maturanti da
quell’azienda che per me costituiscono un ricavo
 Plusvalenze su titoli e partecipazioni se io vendo ad un prezzo superiore rispetto a quello che io
ho scritto nelle vendite, avrò una plusvalenza. Può derivare dalla vendita di una partecipazione o
dalle spese di investimento
 Utili su cambi
 Altri proventi finanziari proventi che derivano da investimenti finanziari che l’azienda ha fatto
 Sopravvenienze e insussistenze
 Plusvalenze

Gli spazi lasciati serviranno quando si vorrà trasformare la tavola dei valori nel bilancio vero e proprio.
I colori indicano la causale:
 aree verdi: esprimono i valori monetari intesi in senso ampio abbiamo 2 tipi di causali: o sono
connesse alla gestione finanziaria o a quelle reddituale
 aree rosse: esprimono i valori di causale. Le aree del capitale di rischio e credito esprimono i valori
della causale di natura finanziaria. Le aree delle spese di investimento e dei ricavi indicano le causali
di natura reddituale
Quindi la tavola dei valori indica i cambiamenti successivi alle operazioni di gestione indicando la differenza
tra le loro causali e in più tutti i cambiamenti vengono espressi in un prospetto che individuano la
catalogazione in impieghi e fonti del capitale.
I vari valori espressi nella tavola dei valori sono:
 Valori numerali;
 Valori economico-finanziali;
 Valori economico-reddituale.
 tavola dei valori di un’azienda l termine di un determinato esercizio (attività di un anno) dopo che essa
ha posto in essere una serie di operazione gestionali.
 Quant’è il totale del capitale impiegato? 38.150K;
 Di questo capitale impiegato quando ne hanno impiegato i soci a titolo definito? 10k capitale di
rischio qui è formato da una sola voce capitale sociale) perché poi le altre voci sorgeranno nel
tempo;
 Come hanno apportati i 10k i soci? Da questa tavola dei valori non lo posso vedere perché questa
tavola dei valori nel tempo si è modificata e dovrei andare a vedere la tavola dei valori successiva
all’entrata dei soci;
 Quanti costi ha sostenuto finor? Spese di investimento + spese correnti= 32.800K;
 Crediti area generale dei crediti (crediti di dilazione) crediti dell’area generale finanziario (=voce
prestiti=crediti di finanziamento, investimenti finanziari). Gli investimenti finanziari hanno avuto
quest’anno un rendimento di 40K;
 Tra gli investimenti tecnici (che in complesso sono 900+13.8009 sono già tutti utili? No, perché tra
le immobilizzazioni materiali c’è la voce “anticipi ai fornitori che indica che noi abbiamo dati dei
soldi a un fornitore per un bene materiale che però non ci è ancora stato consegnato (finché non
abbiamo il bene lo scriviamo in una voce separata così da capire che questo bene non ha ancora
prodotto utilità);
 Quante spese correnti abbiamo sostenuto? 17.100. sono state agate tutte? Per rispondere guardo
se tra le fonti ci sono di debiti di dilazione, che in questo caso sono 3 milioni e quindi ho ancora da
pagare 3 milioni. Quanti debiti ha complessivamente l’azienda? 8950 milioni 3 milioni+ 5950
milioni, li distinguiamo perché i 3 milioni sono i debiti di dilazione mentre gli altri sono debiti di
finanziamento
o I debiti di finanziamento (=abbiamo ottenuto dei prestiti) ci vengono dati perché in cambio i
creditori richiedono gli interessi,
o Quanto ci sono costati i debiti di finanziamento? Lo cerco negli oneri finanziari (che sono
sinonimo di interessi passivi) e sono costati 200k. Quindi nel corso di quest’anno ho
affrontato dei costi complessivi di 200k devo calcolare la percentuale di tali costi di
finanziamento rispetto all’entità del debito= 220/6 milioni=3,3%
o Posso dire dunque che quest’azienda si finanzia con un costo del 3,3% circa? 6 milioni è il
valore del debito he io ho in questo momento, 200k è il costo che io ho sostenuto in tutto
l’anno nel capitale di credito ho un valore puntuale, nelle spese correnti ho un valore di
flusso (relativo ad un periodo), dunque la domanda ha un senso se io sono certo che quel
credito di 6 mila euro è rimasto tale durante tutto l’anno, ma non è sempre detto. Dunque,
questa correlazione specifica non si può fare perché si tratta di due valori che hanno
caratteristiche differenti per capire a quanto si finanziano le imprese, in genere gli
analisti prendono i bilanci di 2 anni (per esempio del 2017 e del 2018) e gli oneri finanziari
maturati nel 2018 li rapporto alla media degli oneri finanziari avuti durante l’anno (cerco di
stimare l’indebitamento finanziario medio durante l’anno)
 Quanti ricavi conseguiti? 19.200.:
o Ricavi vendita li abbiamo incassati tutti? No, perché abbiamo dei crediti verso i clienti;
o Assumendo che l’azienda abbia conseguito i ricavi durante tutto l’anno in maniera più o
meno costante, se così è quant’è la dilazione che concediamo ai clienti in termini di tempo
(giorni/mesi)? Circa 3 mesi;
 Secondo voi l’azienda ha guadagnato o ha perso? Quanto? Da dove si vede?

23/10: Musaio

IL REDDITO:
Il reddito è ottenuto dal confronto tra i ricavi e i costi il risultato economico della gestione si
ottiene per differenza tra il confronto di ricavi e costi:
 costi>ricavi il risultato economico negativo che prende il nome di perdita;
 costi<ricavi il risultato economico è positivo e si chiama utile.
Se io dovessi calcolare un risultato economico totale (ovvero che va a prendere in considerazione
tutta la vita dell’azienda) dovrei andare a prendere tutti i costi e ricavi ottenuti, però in genere il
risultato economico non si calcola solo nl momento della fine della vita dell’azienda, ma si misura
ad intervalli più brevi. Questo per vari motivi:
 Per i soci, i quali attendono un rendimento dai loro investimenti (per vederlo
remunerare) comprendo se l’azienda ha generato un reddito che può essere assegnato
poi ai soci che hanno investito in essa;
 Per i creditori, i quali vogliono comprendere la capacità dell’azienda di rimborsare i debiti
he ha in essere (sia i creditori attuali sia quelli con cui avrà debiti in futuro);
 I clienti, che entrano in contatto con l’azienda e vogliono delle garanzie sulle capacità
dell’azienda di adempiere le proprie azioni;
 I fornitori, perché nei rapporti commerciali solitamente le forniture vengono pagate a 30
60 90 giorni (concedendo così un fido, un finanziamento) e quindi i fornitori si devono
assicurare che l’azienda sia in grado di pagare le materie.
Per il bene di tutti i soggetti con cui un’azienda entra in contatto, la cosa migliore è che l’azienda
stipuli periodicamente il proprio reddito in modo tale da controllare e rendere disponibile la
propria situazione economico-finanziaria. Altri soggetti invece accampano sul reddito dei veri e
propri diritti es.: i soci (che vogliono poter conoscere il reddito periodicamente così da prelevare
il reddito sotto forma di dividendi), lo stato (perché così lo stato possa impostare sulla base del
reddito le imposte da richiedere all’azienda).
Per legge, un’azienda deve determinare il proprio reddito almeno una volta l’anno il reddito
totale di un’azienda non viene determinato alla fine della vita dell’azienda, ma viene determinato
ogni anno scomponendole in molteplici redditi, ciascuno riferito ad un determinato esercizio.
Periodo amministrativo= periodo durante il quale si calcola il reddito la vita di un’azienda è
divisa in tanti periodi amministrativi. La gestione riferita a quel periodo amministrativo prende il
nome di esercizio. Dunque, ogni azienda al termine di un determinato periodo amministrativo
deve calcolare il reddito di quell’esercizio= deve calcolare il reddito dell’esercizio.
Nulla vieta poi che oltre al calcolo del reddito annuale previsto dalla legge, l’azienda possa poi
calcolare il reddito anche a degli intervalli di tempo minori ad un anno (le aziende più importanti e
grandi solitamente lo fanno sempre) questo per finalità interne di controllo della gestione e
della situazione economico-finanziari di essa.
Noi dobbiamo far finta di suddividere la gestione di un’azienda che è unitaria nel tempo, in blocchi
temporali e assegnare a ciascun bocco una fetta di reddito questa cosa però non è immediata
perché la gestione aziendale è unitaria. Quella di immaginare che la vita dell’azienda sia divisibile
in blocchi è una finzione, mi devo concentrare sull’effetto di ciascuna operazione, dimenticandomi
che ciascuna operazione è collegata ad un’altra.

Competenza economica: come si fa ad individuare quale parte del reddito totale di un’azienda si
riferisce ad un determinato esercizio? Bisogna introdurre il principio della competenza economica,
in base al quale vengono individuati i ricavi che si riferiscono a un determinato periodo, e cioè che
sono di competenza di un determinato periodo e inoltre, i costi che sono di quel determinato
periodo dalla differenza di questo si ricava cosa reddito del medesimo periodo. Bisogna quindi
individuare un criterio in base al quale individuare i ricavi e i costi di un determinato periodo, tra
tutti quelli che caratterizzano l’azienda.
Definiti i ricavi di competenza, per definire i costi di competenza, concorre il principio della
correlatività i costi di competenza di un determinato periodo sono i costi correlativi ai ricavi di
quel periodo, ovvero i costi relativi ai fattori produttivi attraverso l’utilizzo die quali ho conseguito i
ricavi di competenza. Per conseguire quei ricavi che costi ho sostenuto? I costi devono essere
confrontati con i sacrifici che ho sostenuto per conseguirli.
Siccome noi durate l’esercizio rileviamo tutti i ricavi e tuti i costi nel momento in cui loro si
manifestano (correlazione numeraria-quantitativa), nel momento in cui si rende necessario
calcolare il reddito occorre inserire nella tavola dei valori gli effetti del principio della competenza,
dei quali nel corso dell’esercizio non si tiene conto. Per questo è necessario attuare alcuni
aggiustamenti.
Calcolare il reddito di competenza di un esercizio è complicato perché al di là delle relazioni non
palpabili (che avvengono durante la vita dell’azienda), la gestione di un’azienda è rappresentata
da una serie di cicli e se noi chiudiamo virtualmente la gestione alla fine di un anno può essere che
alcuni cicli siano ancora in corso e non si siano ancora completati, quindi può essere che noi
sosteniamo dei costi che noi abbiamo sostenuto ma che ancora non hanno conosciuto i loro ricavi,
ovvero sono dei costi che devono essere considerati di una altro periodo amministrativo perché
ancora non hanno visti i loro ricavi è giusto che questi costi venano solati e considerati quando
si pensa che questi conosceranno i relativi ricavi. Questo perché consideriamo i costi nel momento
in cui si manifestano.
Schema sopra:
Primo ciclo: acquisto utilizzo vendita.
Secondo ciclo: acquisto utilizzo (la vendita avviene nel ciclo successivo).
Terzo ciclo: ho avuto l’acquisto, ma alla fine del ciclo ne l’utilizzo ne a vendita.
Ne deriva che nella tavola dei valori alla fine dell’anno io registrerò solo gli acquisti.
I cicli che hanno visto i loro correlativi sono i primi due.
Quali sono i costi di competenza del primo anno? Solo i costi connessi agli acquisti dei primi due
cicli.
La prima cosa che devo fare è comprendere quali sono i costi per i fattori produttivi acquistati e
non ancora utilizzati che quindi non sono i costi di competenza. Poi vedo quali costi di acquisto e
costi di utilizzo mi sono serviti per avere il prodotto finito, ma non venduto e che quindi non hanno
ricevuto i loro correlativi ricavi devo vedere quanto mi sono costati (somma fattori produttivi
utilizzati per crearli).
Ciò viene verificato attraverso la verifica dei prodotti in magazzino che sono ancora da vendere:

Quanti sono i costi di acquisizione ottenuti quest’anno? 1400


I ricavi? 1600
Quindi l’azienda ha perso o guadagnato? Dipende se i costi di acquisizione sono tutti costi di
competenza dell’esercizio. Se tutti i fattori produttivi sono anche stati utilizzati e sono anche stati
venduti tutti allora l’azienda ha guadagnato perché tutti i costi di acquisizione sono di competenza.
Però mentre per le materie è facile capire quanta parte è stata utilizzata, per le strutture/impianti
è più difficile in genere si individua la vita utile si deduce l’utilizzo del bene per effetto
dell’analisi della sua vita utile.

Impieghi Fonti c

1600
1400
Sono due sezioni alte uguali
Le due parti più alte rappresentano lo stato patrimoniale, ovvero la fotografia del capitale al
termine dell’esercizio. Però la differenza tra le due indica che i due prospetti non si bilanciano
più lo sbilancio è detto “risultato economico” ovvero il reddito perché in questo caso i ricavi
sono maggiori dei costi quindi ho un utile. L’utile è dato dai 1400 più i 1600, somma che forma il
conto economico.

L‘utile si scrive in entrambi, quando separo, sia come differenza tra i ricavi e i costi che ho nel
conto economico.
Lo trovo anche nello stato patrimoniale dove gli impieghi prendono il nome di attività (in essere in
questo momento) e le fonti il nome di passività. L’utile emerge anche nello stato patrimoniale
come differenza tra attività e passività.
Nello stato patrimoniale ho:
1. Liquidità 1700
2. Crediti
3. Capitale di rischio
4. Capitale di credito
5. Debiti di dilazione
Come si leggono questi due prospetti? La parte alta è lo stato patrimoniale che esprime la
fotografia del capitale alla fine dell’esercizio, quali sono le attività poste in essere in questo
momento.
A pareggio anche nello stato patrimoniale dovrò scrivere che ho l’utile nella sezione delle passività.
Se si comprende dal punto di vista matematico il perché va nella sezione della passività per
pareggiare vi è anche una sua logica, perché l’azienda di è autofinanziata, l’utile dunque esprime
una fonte. Anzi a maggior rigore non lo si scrive neanche alla fine delle passività, l’utile spetta ai
soci, quindi sono mezzi dei soci. Allora non si scrive isolato bensì nell’area del capitale di rischio. Se
poi voglio vedere come si è formato l’utile vado a prendere il conto economico, dove avrò
l’indicazione di tutti i costi e tutti i ricavi che si sono manifestati nel corso dell’esercizio, il conto
economico si riferisce a un periodo (indicati i costi e i ricavi del periodo), non è altro che
un’esplosione dove posso studiarmi come si è formato quell’utile nel dettaglio che ho segnato
nelle fonti. Ecco come si arriva da tavola dei valori al bilancio. 
6/11: Patitucci

Il valore del prodotto finito sarà superiore a quello della materia prima perché incorpora il valore della
materia prima e dei fattori produttivi che hanno contribuito alla sua formazione.
Quindi l’utile è pari alla differenza dei ricavi di vendita (o conto economico) e i costi di vendita.

(Guarda anche slide successive)

I costi di acquisto dei fattori produttivi li inserisco nell’area 5.


Dobbiamo rettificare l’area 5: dobbiamo togliere i 400 ancora a disposizione, 400 che adesso sono dei costi
sospesi, anticipati e quindi non sono dei costi di competenza perché verranno usati il prossimo anno. Il
costo dei fattori produttivi usati (=costo della produzione ottenuta, CPO) è pari al costo di acquisto dei
fattori produttivi meno i fattori produttivi non ancora utilizzati qui il costo dei fattori produttivi sarà 1100.
Tutti i prodotti che l’azienda ha realizzato grazie a quei osti sono stati venduti quindi non sono presenti
rimanenze di prodotti non venduti quindi il reddito sarà pari a 100 perché abbiamo 1200 di ricavi e 1100.

Facendo la sottrazione tra ricavi di competenza e costi di competenza ottengo il REDDITO, che in questo
esempio sarà dato da 1220 (ricavi di vendita, li trovo nell’area 10) -- 1100 (rappresentano la rettificazione
dell’area 5, sono i costi di competenza) avrò dunque un totale di 100 euro, somma che rappresenta
l’UTILE. Quest’ultimo può essere una fonte di investimento (=autofinanziamento) oppure una
compensazione tra attività e passività.
Abbiamo un utile in questo caso, perché i ricavi sono maggiori dei costi.
L’utile serve a compensare lo squilibrio tra i ricavi e i costi. Perché si scrive nei costi? Gli interessi passivi li
iscrivo nei costi e sono la remunerazione che spetta ai portatori di capitale di credito, da questo punto di
vista l’utile è la remunerazione di chi ha portato capitale di rischio e deve essere scritto perché è un
ulteriore costo. L’utile dell’esercizio lo scrivo contemporaneamente nella sezione delle passività (=Fonti)
perché rappresenta un finanziamento, e anche nella sezione delle attività (=Impieghi/Costi) perché
rappresenta la remunerazione per chi ha apportato un capitale di rischio.
I 300k che al termine dell’esercizio rappresentano i fattori produttivi non ancora utilizzati, sono chiamati
COSTI SOSPESI e dunque non sono costi di competenza verranno utilizzati per realizzare prodotti finiti
dell’anno successivo. Allo stesso tempo questi 300k rappresentano il costo dei fattori produttivi (materie
prime) che non hanno contribuito a generare ricavi, quindi io rettificherò l’area 5 (ovvero le spese correnti)
facendo 1400 (costo di acquisto dei fattori produttivi) – 300 (costo fattori produttivi giacenti) = 1100. [nella
vecchia tavola dei valori avevo che 1100+300=14000 costo di acquisto dei fattori produttivi].
In questo esempio non ho rimanenze di prodotti finiti.
I 1100k che rappresentano il costo della produzione venduta indicano anche il costo dei fattori produttivi
queste due voci equivalgono perché non ho prodotti finiti in rimanenza.

In questo caso dobbiamo rettificare l’area 5 perché non tutti i fattori produttivi che abbiamo comprato sono
stati utilizzati questi sono valutati a 300k, somma che rappresenta i costi sospesi dello stato patrimoniale
e che in quanto tali non hanno ancora contribuito a generare dei ricavi. Poi, noi abbiamo realizzato dei
prodotti finiti che non sono stati venduti non abbiamo dei ricavi, quindi i costi che hanno contribuito a
realizzare questi prodotti finiti non sono di competenza e quindi dobbiamo rettificare un’altra volta l’area 5.
I prodotti finiti non venduti sono stati valutati per 150k, somma che non rappresenta un costo di
competenza perché non hanno ancora contribuito a generare dei ricavi.
Qui si dovranno fare 2 rettifiche:
 I costi dei fattori produttivi in rimanenza
 Prodotti finiti in rimanenza questi vengono inseriti all’interno dello stato patrimoniale.
Il costo della produzione di 950k è di competenza e può essere correlata alla voce dell’area 10 “ricavi di
vendita”.
Qual è il reddito? 1200k (ricavi di vendita) – 950k (costo della produzione venduta) = 250k
Esistono due modi per determinare l’utile di questo esercizio, posso usare:
1. Modello “Costi e Ricavi del Venduto” Determiniamo il costo dei fattori produttivi usati e a
seguire, al costo dei prodotti finiti realizzati sottraiamo il costo dei prodotti finiti realizzati non
venduti si ottengono così i ricavi dei prodotti venduti. 1100-150 (va alla rimanenza dei prodotti
finiti) = costi correnti dell’intera produzione di competenza (950k) e solo questa è comparabile con i
ricavi di vendita che si trovano all’interno dell’area 10. 1200-950= reddito pari a 250. È un modello
usato prevalentemente dalle aziende che predispongono un bilancio secondo principi contabili
internazionali (modello diverso usato nell’esempio 3bis).
Questo esempio è diverso dall’esempio 2 poiché il costo della produzione venduta non corrisponde
più con il CPO.
Qua la voce “Ricavi di Vendita” (1200k) cambia.
I prodotti finiti realizzati e non ancora venduti sono valutati 150k li posso considerare circa uguali alla
somma da sottrarre alla produzione ottenuta calcolo il reddito con un modello diverso rispetto a quello
utilizzato nell’esempio 3.
Qua il reddito si può calcolare in modo diverso, si usa il modello “Conto Economico a Costi e Valori della
Produzione Ottenuta” è utilizzato per legge in Italia. Tra i due modelli (questo e quello dell’esempio 3bis)
cambia solo la parte del Conto Economico (parte bassa), mentre lo stato patrimoniale non varia in relazione
alle giacenze.
I prodotti finiti non venduti si possono considerare in due modi:
 Prodotti finiti non venduti sottratti dal costo della produzione non venduta
 Imputo il costo dei prodotti finiti all’area dei ricavi.
Il valore della produzione ottenuta si compone dei ricavi di vendita più il costo dei prodotti finiti realizzati e
non ancora venuti (=150k che possono diventare ricavi per l’esercizio successivo. Li imputo nell’area 10)
l’area 10 cambia nome perché contiene elementi eterogenei.
L’area 5 invece rimane inalterata.
Qui devo fare una rettifica dei ricavi perché i 1200k che rappresentano i ricavi di vendita non sono tutti di
competenza devo iscrivere i 100k anticipati. I ricavi di vendita si riferiscono a prestazioni ancora da
erogare per 100k sono ricavi anticipati (ovvero sarà un ricavo per l’esercizio successivo). Ciò significa che
non tutti i ricavi iscritti nell’area 10 (pari a 1200k) sono di competenza.
Nell’area 9 trovo i ricavi anticipati che sono ricavi sospesi (quindi non di competenza) e andranno a
concorrere nella rettifica della precedente area 10. La nuova area 10 sarà di 1100k e rappresenta i veri
ricavi di competenza per l’esercizio di quest’anno.
Scissione dei ricavi di vendita in due parti: ricavi di vendita e ricavi anticipati.

Calcolo del reddito seguendo il secondo modello:


450k + 950k= 1400k costi di acquisto
1400k – 300k (fattori produttivi in rimanenza) = 1100k CPO

Ricavi 1100k 1100 + 150k (prodotti finiti in rimanenza). Questi 150k sono un eventuale ricavo. Quindi
reddito/utile d’esercizio= 1250k (VPO) – 1100k (CPO) = 150k (valore circa uguale al valore che si ottiene con
il calcolo secondo il primo modello 1100k (ricavi di competenza) – 950k (costi di competenza).

7/11: Musaio
Prima di realizzare gli assestamenti noi abbiamo la tavola dei valori tutta intera, che potremmo già
immaginare divisa idealmente in due: parte bassa (ricavi correnti) e parte alta (spese correnti e ricavi
correnti liquidità crediti e spese di investimento, che in prima battuta sono attività in attesa di recupero).
Alla fine di ogni esercizio però bisogna fare il confronto tra spese correnti e ricavi correnti in quanto, come è
stato sottolineato più volte, dato che non saranno tali valori tutti di competenza, verranno fatti degli
aggiustamenti che permetteranno un confronto valido sulla tavola dei valori. Nello specifico, tra le
Correzioni alle Spese Correnti, si avranno:
1) L’INTEGRAZIONE per i costi (certi, incerti ed in corso di maturazione) di competenza ma a manifestazione
differita
2) Le RETTIFICHE per i costi anticipati relativi a fattori produttivi non utilizzati e connessi a:
2a) le spese di investimento;
2b) le spese correnti (materie e servizi)
3) Le RETTIFICHE per i prodotti finiti in rimanenza (e per le produzioni in economia)
4) Le INTEGRAZIONI per le svalutazioni di specifici impieghi
A questo punto la tavola è pronta per un confronto

GLI ASSESTAMENTI ALLE SPESE CORRENTI:


1) L’INTEGRAZIONE per i costi (certi, incerti ed in corso di maturazione) di competenza, ma a
manifestazione differita. L’area delle spese correnti va integrata perché al momento è carente di
qualcosa e quindi deve essere integrata. Questa integrazione si riferisce alla circostanza che
durante all’esercizio le spese si rilevano quando si manifestano in termini di variazione numeraria
(variazione di liquidità o insorgenza di un debito di dilazione). L’integrazione è necessaria per
inserire nelle spese correnti quei costi che sono di competenza dell’es in quanto si riferiscono a
fattori produttivi che nell’es sono stati utilizzati ma che ancora non sono stati rilevati in quanto non
si è verificata la loro manifestazione numeraria alla fine dell’anno si cambia l’ottica, siamo passati
all’ottica della competenza economica. Per effetto di questo aggiustamento l’area delle spese
correnti dovrò essere caricata di ulteriori costi e dato che si tratta di costi che non hanno ancora
ricevuto la loro manifestazione numeraria (ancora non è sorto l’impegno tecnico) vuol dire che
questi ancora non sono tati pagati a fronte di questa integrazione delle spese correnti bisognerà
rilevare sempre un debito in contropartita. Pertanto, la prima delle correzioni comporta un
incremento delle spese correnti e in contropartita un incremento tra le fonti ei debiti di dilazione
i debiti correlativi (=debiti di dilazione) in funzione della tipologia dei costi che andiamo ad inserire
nelle spese correnti potranno assumere la natura di debiti semplici (senza aggiungere altro), oppure
di fondi, oppure ancora di ratei (nel caso specifico di ratei passivi). La rappresentazione delle
variazioni nella tavola dei valori di questo primo aggiustamento è:

Quindi alla fine dell’anno uno vede quali sono gli acquisti effettuati e se ce ne sono alcuni di cui
dobbiamo ancora ricevere le fatture, si caricano lo stesso tra le spese correnti.
Una percentuale del reddito che un’azienda matura si paga in imposte (IRA) il debito nei
confronti dell’erario sorge nel momento in cui si fa la dichiarazione dei redditi relativa a un anno,
dichiarazione che viene redatta l’anno successivo (le imposte le dichiaro l’anno successivo ed è in
quel momento che sorgono le variazioni numerarie).
Nel momento in cui si fa l’aggiustamento e si calcola il reddito, si hanno anche tutti gli elementi per
calcolare le imposte pur sapendo che la manifestazione numeraria avverrà il prossimo anni io
dovrò scrivere tra le imposte sul reddito tra le spese correnti d’esercizio. Io non le pago subito, ma
avrò l’insorgere di alcuni debiti detti debiti tributari.
In questo tipo di aggiustamenti rientrano anche i cosiddetti accantonamenti ai fondi
aggiustamenti che riguardano dei costi che sono auto-determinati dall’azienda e che presentano
degli elementi di incertezza con riferimento al loro ammontare, e/o con riferimento alla data della
sopravvenienza, e/o con riferimento alla loro stessa esistenza. In quest’ultimo caso (quando vi è
incertezza anche relativi alla loro esistenza) questi accantonamenti non rispondono solo al principio
della competenza ma anche a quello della prudenza. Esempi:
 TFR (=trattamento di fine rapporto) indennità che l’azienda deve corrispondere ai
dipendenti quando cessa il rapporto di lavoro (=liquidazione). Contrattualmente ogni mese
che il dipendente lavora, egli matura una quota di questo trattamento di fine rapporto, il
quale tuttavia gli può essere corrisposto solo quando cessa il rapporto di lavoro. Il TFR è un
costo che ha un elemento di incertezza, ovvero la data della sopravvenienza è per questo
motivo che tra le spese correnti scriverò “accantonamento per TFR”, mentre tra i debiti di
dilazione scriverò “fondo del TFR”. Si tratta sempre di un debito.
 Un possibile costo che presenta dell’incertezza anche nell’ordine dell’ammontare e forse
anche nell’esistenza si parla di fondi rischi e rispondono non solo al principio della
competenza a, ma anche a quello della prudenza. A questo punto, egli potrebbe risponder
che su alcuni punti si ha ragione su altri è più difficile c’è il rischio di dover pagare su questa
richiesta di 80ila€, sul principio della competenza c0è il rischio e sul principio della
prudenza non mi consente di scrivere il contenzioso e attendere il fine dell’anno io dovrò
iscrivere il costo già quest’anno, si tratta tuttavia di un costo autodeterminato addirittura
stimato. Si tratta qui di un accantonamento di un fondo tra le voci di spese correnti scrivo
accantonamento, siccome oggi non lo pago dall’altro lato debiti scriverò fondo nel caso
specifico di costo sentenzioso. In più mi viene contestato che ho venduto prodotti difettosi
per cui ci fanno una causa che richiede un rimborso di 5milioni, questo non si può ignorare
per il principio della prudenza dovremo accantonare un fondo con il supporto di consulenti
che siano in grado di dire il grado di probabilità associato a quest’evento. il giudizio che
viene richiesto ai legali prevede tre gradi di rischi:
o Remoto: è sostanzialmente trascurabile il rischio che si verifichi una cosa del
genere;
o Possibile: più no che si;
o Probabile: più si che no.si che no
Se il rischio è remoto le aziende ignorano per il bilancio, se il rischio è possibile non si rende
necessario l’accantonamento tuttavia è consigliato indicare che è possibile questo rischia
senza indicare che è possibile questo accantonamento, quando è probabile allora bisogna
accantonare un fondo è un fondo autodeterminato con i miei legali sulla base di stime
ipotesi e congetture, proprio perché si proietta da eventi futuri è permeato da elementi di
soggettività sulla stima. Quindi nel bilancio ci sono elementi di discrezionalità i quali si
prestano a manovre opportunistiche, un’azienda che non ha interesse a …. Il proprio diritto
si interessa a sottostimare il rischio. Sia la sottostima che porta a un risultato dell’esercizio
più alto, che la sopra stima che porta a un risultato dell’esercizio più basso. 
Si vede quindi che nel bilancio ci sono anche degli elementi di discrezionalità, i quali si
prestano anche a manovre opportunistiche.
Io nel bilancio devo dare una rappresentazione fedele.
Costi che producono dei debiti che si chiamano ratei passivi. I ratei passivi sono dei debiti che si riferiscono
a costi in corso di maturazione, nel senso che si tratta di costi la cui manifestazione numeraria avverrà oltre
la chiusura dell’esercizio, ma che sono di competenza di due o più esercizi e la maturazione avviene in
proporzione del tempo. Esempio: il 1° Maggio stipuliamo un contratto di manutenzione con un fornitore
che ci assicura la manutenzione di tutti i nostri macchinari per un importo predefinito (da contratto,
l’importo è di 30 000 euro alla fine di ogni trimestre). Stipuliamo il contratto e iniziamo a godere
dell’assistenza. Il 1° maggio non rileviamo niente perché non ci è arrivata la fattura e non abbiamo neanche
effettuato il pagamento la fattura arriverà dopo 3 mesi, ovvero il 1° agosto, e quindi sarà in questo
momento che scriveremo tra le spese correnti spese di servizio di manutenzione e meno liquidità. Il 1°
novembre arriva l’altra fattura. Arriviamo alla fine dell’anno, ma non ci è arrivato niente perché la fattura
arriverà il 1° febbraio. È giusto che i 30000 euro vendano per intero rilevati supinamente l’anno successivo?
No, perché in parte ne ho goduto quest’anno. Questi 30 000 sono in arte di competenza perché stanno
maturando in proporzione del tempo e per due mesi dei tre sono di competenza di questo esercizio (20
000) che andranno aggiunti nelle spese correnti, benché non siano maturati. Alla fine dell’anno però non li
pago e quindi dall’atra parte scriverò debito e quando si tratta di debiti per prende il nome di “Ratei
passivi” (sono sempre al plurale). Si chiamano così perché è una parte, una rata delle spese, ed è la
contropartita dl costo che ho considerato per la parte di competenza. Al 1° febbraio cosa c’è nella tavola
dei valori rispetto questo? Meno liquidità per 30 000, si riduce il debito per 20 000 e la differenza 10 000 si
troverà nelle spese per servizi in questo modo abbiamo ripartito i 30 in 20 dell’anno precedente e 10
nell’anno attuale, attuando il principio della competenza.
Questo tipo di aggiustamento decreta sempre un incremento delle spese correnti e dei debiti (vari tipi di
debiti).
Un rateo è un debito che sorge a fronte di un costo in corso di maturazione.

2) Le RETTIFICHE per i costi anticipati relativi a fattori produttivi non utilizzati e connessi a:
2a) le spese di investimento;
2b) le spese correnti (materie e servizi)
L’area può non esprimere il costo dei fattori produttivi usati nell’anno perché:
 ci sono altri fattori produttivi che sono iscritti altrove, ovvero tra le spese di investimento (area
delle spese correnti non tiene conto di questa quota di costi) 2a
 potrebbe anche darsi che dei fattori produttivi dell’anno corrente non siano stati ancora usati e
quindi da questo punto di vista l’area delle spese correnti potrebbe contenere dei costi che non
sono di competenza 2b
Servono 2 aggiustamenti:
1. uno che va ad alleggerire l’area delle spese correnti;
2. uno che va a caricare l’area dei costi correnti.
2a) Le rettifiche per i fattori produttivi non utilizzati connessi alle spese di investimento:
L’AMMORTAMENTO:
Per avviare la nostra produzione oltre ai costi che abbiamo iscritto nell’area 5 abbiamo bisogno di altri
fattori produttivi che iscriviamo nelle spese di investimento, quindi anche a spese di investimento devono
partecipare al reddito. Il processo con cui le spese di investimento prendono parte al reddito si chiama
“ammortamento”, che è il processo tecnico contabile tramite cui si distribuisce il costo di
un’immobilizzazione negli anni in cui essa produrrà dei benefici per la nostra azienda.
Es: acquistiamo un impianto questo non verrà usato tutto il primo anno, infatti generalmente si può dire
che gli impianti vengono usai per 5 anni. Se noi dobbiamo imputare a reddito i costi dei fattori produttivi
usati, non è giusto scrivere tutto il costo dell’impianto, ma solo una quota. Questa quota si chiama
ammortamento. Il periodo in cui il bene viene usato in azienda si chiama vita utile, ed essa viene stabilita
dagli amministratori dell’azienda questi ultimi se non hanno idea di quanto possa essere funzionante un
impianto si riferiscono a degli ingegneri, tuttavia molti utilizzano alcune percentuali predeterminate dal
legislatore fiscale (si chiamano percentuali fiscali). È sbagliato andare ad affidarsi alle percentuali fiscali.
Alla fine dell’anno dobbiamo riportare all’interno delle spese correnti dell’area 5 l’utilizzo dell’impianto.
Aggiungendo questo però devo anche aggiungere altro per andare a ristabilire l’equilibrio tra fonti e
impieghi, allora la stessa somma di denaro verrà sottratta al valore dell’impianto.
L’ammortamento si applica solo sulle immobilizzazioni tecnico-operative (quelle usate nel core business
dell’azienda materiali e immateriali). Quindi l’ammortamento non lo devo applicare a quelle finanziarie
(=immobilizzazioni accessorie). Inoltre, non si applica a tute le voci delle immobilizzazioni materiali e
immateriali ma solo se si è in presenza di un bene pronto e disponibile per l’uso su quali voci non devo
mai applicare l’ammortamento?
 Immobilizzazioni in corso;
 Acconti addirittura qui non abbiamo neanche il bene.
La logica dell’ammortamento è la perdita di valore del bene per il suo utilizzo ci sono delle
immobilizzazioni materiali che non perdono valore a causa del loro utilizzo e sono: i terreni, gli immobili
(potrebbero valere di meno, ma anche in quel caso non si applica l’ammortamento ma la svalutazione
perché l’ammortamento è legato all’utilizzo da parte dell’azienda), opere d’arte (tipo un quadro di
Picasso lo iscriviamo in altre immobilizzazioni materiali e qui non si applica l’ammortamento perché non
è un bene che perde valore per l’utilizzo).
Es: un’azienda compre un impianto la cui vita utile è 4 anni. Alla fine del quarto anno l’impianto non ha più
valore per l’azienda con l’ammortamento distribuiamo il costo nei 4 anni di esercizio di vita utile. Il
decremento all’interno delle spese di investimento può essere fatto in 2 modi:
 Maniera indiretta si parla di ammortamento fuori-conto. Significa che usiamo una nuova voce in
cui si racchiudono le svalutazioni per via dell’utilizzo la nuova voce si chiama “fondi di
ammortamento di impianti” che avrà come valore un meno;
 Maniera diretta detta in-conto. Si usa meno perché questa tecnica permette di serbare memoria
del coto storico dell’impianto, ovvero il costo d’acquisto (costo storico=costo d’acquisto).
Quant’è la quota di ammortamento del secondo anno? Sempre la stessa=250. Quant’è il valore
dell’impianto alla fine del secondo anno? 500.
Nel terzo anno il fondo di ammortamento sarà 750 perché questo fondo accoglie anche il valore dei fondi di
ammortamento degli scorsi anni.
Come si determina il valore del bene nel bilancio? Costo storico - valore degli ammortamenti.
L’ultimo anno il valore dell’impianto sarà pari a 0 l’azienda deve acquistare un nuovo impianto.

2b) Le rettifiche per i fattori produttivi non utilizzati connessi alle spese correnti:
ogni anno si fa l’inventario ovvero si contano le materie prime ancora in rimanenza non sono un costo di
competenza di quest’anno poiché ancora non le ho utilizzate tutte.
Esempio: (slide 4)
Spese di acquisto delle materie prime= 750k.
In magazzino però ho delle rimanenze di materie prime, valore= 500k (scritte nell’inventario).
Di queste due sezioni, i costi di competenza dell’ano sono 250k.
Nell’area 5 il costo che deve rimanere è 250k in quanto si tratta del costo di competenza. Al contrario devo
rettificare la voce acquisti per arrivare ad una situazione di equilibrio tra fonti e impieghi, oppure
mantenere la voce spese d’acquisto (=750k) e aggiungere però la voce “rimanenza finale e materie prime”
con segno negativo= -500K. Questo secondo tipo di rettifica si chiama rettifica indiretta e prevede l’aggiunta
di +500k in una nuova area generata all’interno della tavola dei valori.
Area 4: spese anticipate di esercizio. In questo che si hanno materie in maggioranza che rappresentano un
costo anticipato dall’azienda durante quest’anno, relativo al costo d’acquisto delle materie prime. La nuova
voce è “spese anticipate di esercizio” e rappresenta il costo che l’azienda ha anticipato quest’anno relativo
all’acquisto di materie prime non è un costo di competenza, ma è un costo anticipato, quindi la contro-
patita di questa rettifica dovremmo scriverla con segno positivo nell’area 4, in particolare nella voce spese
di magazzino.
Altro esempio: in data 1/10/2018 l’azienda prende in locazione un immobile per un periodo di un anno
(quindi scade l’1/10/2019). Il canone è di 12k, ci viene chiesto un pagamento anticipato.
In data 1/10/2018 l’azienda che cosa fa nella propria tavola dei valori? Meno liquidità (per 12k), più spese
correnti (fitti passivi per 12k). Alla fine dell’anno, all’interno delle spese correnti c’è qualche fattore
produttivo interamente pagato ma che ancora non è stato interamente utilizzato? Si, ed è quello legato
all’affitto passivo, ovvero al servizio di locazione abbiamo pagato 12k ma in realtà abbiamo goduto per 3
mesi dell’immobile nell’esercizio in chiusura, quindi solo 3k su 12k. Il costo che deve essere
mantenutonell0area 5 relativa alla voce “fitti passivi” deve essere rettificata da 12k a 3k rettifico di 9k. Se
noi abbiamo scritto 12k noi dobbiamo rettificare questo costo di 9k la liquidità non si muove e i 9k sono
dei costi anticipati d’esercizio (si iscrivono nella nuova area 4 nella voce “risconti attivi”). I 9k rappresentano
i costi anticipati che l’azienda ha sostenuto per godere del bene, quindi è come se fosse una rimanenza, ma
di servizi ma non di bene. Quindi i risconti attivi sono dei costi anticipati legati a fattori produttivi che
maturano durante 2 o più esercizi e che prevedono una manifestazione monetaria anticipata. Differenza tra
ratei passivi e risconti attivi: sono due categorie eterogenee, perché i ratei sono dei debiti (o dei crediti), i
risconti sono dei costi anticipati (o ricavi anticipati) nel bilancio sono insieme però è necessario spiegare
la differenza nella nota integrativi. I risconti sono attivi perché abbiamo già pagato il servizio e quindi
abbiamo una sorta di obbligazione positiva a nostro favore (una sorta di credito), quindi abbiamo diritto ad
usufruire del bene per tutto l’esercizio successivo.

13/11:
Valore residuo/costo ancora da ammortizzare , sempre minore (riduzione valore spese di investimento
aumento spese correnti) per effetto delle quote di ammortamento.
L’ammortamento si calcola bene per bene.
Il fatto che il costo di ammortamento venga suddiviso in maniera costante durante tutta la vita utile del
bene non è stabilito da nessuna parte, infatti può anche succedere che l’ammortamento venga suddiviso in
quote decrescenti perché si ha una sorta di andamento decrescente dell’utilità del bene. Nel caso
dell’ammortamento a quote crescenti, si ha un atteggiamento imprudente perché l’attribuzione alle spese
correnti si rinvia per lo più al futuro in questo modo.
Esempio: supponiamo di acquistare un impianto per 1 milione e decido di ammortizzarlo per 10 anni. Alla
fine del primo anno nella tavola dei valori, dopo aver calcolato l’ammortamento, avrò tra le spese correnti
100k come quota di ammortamento e tra le spese di investimento 900k. Alla fine del secondo anno, avrò
tre le spese di investimento 800k, tra le spese correnti 100k (perché ogni anno avrò la quota di
ammortamento solo dell’anno in corso). Fine del terzo anno nelle spese di investimento 700k, nelle
spese correnti 100k. Nel corso del quarto anno (a marzo) vendo il bene a 780k, come rilevo questo evento?
Le spese di investimento si riduce di 700k, la liquidità aumenta di 780k, la differenza è una plusvalenza di
80k che si scrive sui ricavi. Qual è il valore di iscrizione di un bene? È il valore del bene (=costo storico)
meno il fondo di ammortamento questo è il valore che il bene ha in quel momento, quindi dato che lo
vendo a marzo dovrò prendere in considerazione questo valore, perché questo è il valore del bene in quel
momento.
Dal punto di vista formale, in genere, nella contabilità delle aziende non si tocca il costo storico di un bene
(1 milione) per mantenerne traccia nel tempo.
Il processo di ammortamento fa comprendere perché l’investimento in beni pluriennali per un’azienda
costituisce un fattore di rigidità. Un investimento in beni strutturali, essendo un investimento che si proietta
su un arco temporale pluriennale, determina per l’azienda un fattore di rigidità in quanto richiede che nel
medesimo arco temporale di utilizzo l’azienda sia in condizione di recuperare il relativo costo. esempio: se
io investo in impianti per 1 milione e immagino di usarli per 10 anni, io ogni anno già so che tra le spese
correnti ho 100k di costi. Se l’investimento lo faccio per beni milioni, per i prossimi 10 anni, ogni anno è
destinato a ricevere costi sotto forma di quote di ammortamento per 1 milione di euro maggiore è il
costo degli investimenti, maggiore è l’ipoteca che mi porto dietro nei prossimi anni. Margine di
contribuzione= la differenza tra i ricavi e i soli costi variabili questo esprime anche quanto ogni prodotto
contribuisce per coprire gli altri costi, cioè quelli fissi. Supponiamo che i costi fissi siano solo gli impianti, se
io ogni anno ho 1 milione di quote di ammortamento e so che ogni prodotto mi da un margine di 4, so che
ogni anno devo vendere almeno 250 prodotti per rientrare delle spese fisse.
Le aziende con tanti investimenti hanno tante preoccupazioni e invece di effettuare investimenti per
immobilizzazione preferiscono esternalizzare, trasformando costi fissi in costi variabili.
Come faccio a far diventare i costi fissi costi variabili?
Compro ogni pezzo a 2€  ricavo 1€.
Se ne vendo 100k invece di 250k non ho quote di impianti perché me le produce qualcun altro  ho
trasformato un costo fisso in costo variabile.
Ho trasformato un costo fisso in un costo variabile. Ho ridotto i margini e i rischi connessi al fatto che possa
venderne di meno. Questo significa trasformare i costi fissi in variabili, quindi trasformare una struttura
rigida in una più elastica. Un minimo di costi fissi c’è sempre in un’azienda. Questo per dire che le spese di
investimento quando si fanno, richiedono una programmazione a lungo termine (devo pensare a quanto
produrrò in 5/6/7 anni perché io quel costo lo recupero in 5/6/7 anni). Questo progresso si chiama
pianificazione e i risultati sono i Piani aziendali che in genere si fanno a 3/5 anni.
L’area 4 è quella in cui scriviamo le materie o servizi (detti risconti attivi) in magazzino.
Una volta fatti tutti questi aggiustamenti, l’area delle spese correnti esprime il costo di tutti i fattori
produttivi utilizzati nell’esercizio, quanto consumato nell’esercizio, ovvero il costo di tutta la produzione
realizzata nell’anno.
Prima ipotesi: vendo tutti i 1000 pezzi  il costo ha trovato il relativo ricavo e quindi è interamente costo di
competenza dell’esercizio.
Seconda ipotesi: supponiamo che una volta fatti gli aggiustamenti nelle spese correnti, supponiamo che alla
fine dell’es ci siano ancora dei prodotti da vedere allora il costo della produzione è sempre lo stesso, parte
della produzione avvenuta è stata venduta mentre un’altra parte è ancora da vendere, quindi quest’ultima
quota non è un costo di competenza perché sono costi che ancora non hanno ottenuto il corrispettivo
ricavo, però sarà contenuto in quelle spese correnti scritte.
Esempio: dopo gli aggiustamenti alle spese correnti, l’area delle spese correnti fa 500k. Supponiamo di aver
prodotto durante l’esercizio 5 pennarelli 500k è il costo della produzione ottenuta (=5 pennarelli).
Sapendo prima dell’inizio dell’esercizio che ogni pennarello mi costa 100k, ogni pennarello lo vendo a 250k.
1 ipotesi: ho venduto tutti e 5 i pennarelli tra i ricavi ho 750k (ricavi) e facendo un confronto vedo che ho
guadagnato 250k.
2 ipotesi: ho venduto 3 pennarelli tra i ricavi ho 450k, tra i costi ho 500k, ho guadagnato perché da un
lato ho il costo di 5 pennarelli, dall’altro ho il ricavo di 3 pennarelli quindi non posso fare il confronto. Allora
per capire se ho guadagnato o parto dai ricavi (rettifico l’area delle spese correnti in modo da avere solo il
costo di 3 pennarelli che sono quelli venduti, quindi avrò il costo della produzione venduta avendo ricavi
450k e costi 300k ho guadagnato 150k) oppure parto dai costi (il costo della produzione di quest’anno è
500k, ma dall’altro caso ho i ricavi solo di 3 pennarelli a questi ricavi vado ad aggiungere il valore degli
altri 2 pennarelli rimasti, però qui devo essere prudente perché non devo dire che venderò i pennarelli
rimasti a 150k, ma dico che per prudenza i 2 pennarelli li vendo a 100k l’uno tra i costi ho 500k, nell’area
dei ricavi ho 650k quindi avrò sempre una guadagno di 150k).
Ho due alternative:
 Sottraggo alle spese correnti i costi dei prodotti non ancora venduti arrivando ad avere i costi della
produzione venduta. Questa struttura prende il nome di “modello a costi e ricavi del venduto”;
 Faccio in modo che l’area dei ricavi esprima sia il valore dei prodotti finiti venduti che di quelli non
venduti (in relazione al costo). Questa seconda struttura prende il nome di “Modello a costi e
valore di tutta la produzione ottenuta”.
In entrambi i casi la somma che io tolgo o aggiungo, in contro-partita vado a scriverla nell’area delle spese
anticipate di esercizio, in cui scriverò “prodotti in magazzino”. Nella parte bassa rettifico il conto economico
facendo:
 Sottraggo dalle spese correnti;
 Aggiungo ai ricavi.
L’area dei ricavi a questo punto, diventa improprio continuare a chiamarla ricavi perché al suo interno c’è
anche una parte di produzione che non esprime ancora ricavi per questo al suo interno c’è una parte che
prende il nome di “Valore della Produzione” (quando inserisco anche le rimanenze finali di prodotto).
Della produzione ancora in rimanenza si deve calcolare ancora il costo, cosa che non è immediata, perché
questo calcolo richiede il passaggio della determinazione del costo delle singole materie ancora in
magazzino. Ciò è complicato perché un’azienda presenta al suo interno si dei costi diretti che indiretti in
riferimento ai prodotti.
 Costi diretti  posso creare una correlazione specifica con i beni.
 Costi indiretti  si riferiscono anche ad alte produzioni  devono essere ripartititi con un qualche
criterio
Spese correnti= rettifica delle rimanenze finali della produzione (costo di produzione intero scritto
integralmente.)
Si fa una rettifica indistinta di una serie di costi, ciò comporta che io posso calcolare il costo di ciascun
prodotto.
Costo di ciascun prodotto= costi diretti + quota costi indiretti, che dovrò calcolare in base a dei criteri di
ripartizione solo così calcolo il costo di produzione intero e quindi lo iscrivo integralmente.
Distinta base= lista componenti per realizzare singolo prodotto e i costi medi di ognuno somma totale=
costo diretto

3-bis) Le rettifiche per le produzioni “in economia”:


Produzioni in economia= si intende le produzioni che sono destinate alla realizzazione di beni pluriennali,
destinati all’utilizzo da parte della stessa azienda. Esempio: siamo un’impresa di costruzioni costruisco un
immobile, decido di vendere diversi appartamenti tranne l’ultimo piano che ci teniamo per metterci gli
uffici direzionali. Per noi gli appartamenti sono i prodotti finiti, il costo dell’attico è giusto che venga lasciato
tra le spese correnti? No, perché è una spese di investimento che utilizzerò per un certo numero di anni.
Però quel costo si è manifestato nelle spese correnti, diffuso tra le varie spese correnti (non c’è una sola
voce in cui lo trovo) per il bene prodotti in economia il costo si manifesta nelle spese correnti nelle
diverse voci che esprimono i vari fattori produttivi impiegati nella realizzazione. Esso costituisce una spesa
di investimento. Si tratta di una produzione che non è stata venduta, che non è da vendere, ma che è
destinata all’utilizzo dell’azienda. Non si opera una rettifica analitica di ogni voce, ma il costo del piano
adibito costituisce una spesa di investimento che però si manifesta tra le spese correnti nelle diverse voci
che esprimono i fattori produttivi impiegati in quella produzione.
Anche qui come per i prodotti io posso avere una duplice rappresentazione.
Una parte l’ho venduta= ricavi.
Una parte ce l’ho da vendere.

14/11:
4) LE SVALUTAZIONI DI SPECIFICI IMPIEGHI
Queste voci la fine dell’anno devono essere valutate anche secondo il principio della prudenza. Secondo
questo principio i ricavi sono di competenza eco quando sono certi, i costi sono di competenza economica
quando hanno dei ricavi, ma dobbiamo considerare sia quando sono certi che incerti. Le voci di bilancio
devono essere valutate alla fine dell’anno. La prima voce cha andiamo a valutare sono i crediti dobbiamo
stimarne il valore di realizzo.
Se uno dei clienti che non ci ha pagato subito fallisce e quindi non è più in grado di pagarmi devo rettificare
la voce crediti verso clienti e scriviamo un costo in più che chiamiamo “svalutazione crediti” all’interno delle
spese correnti costo incerto per il quale dobbiamo tenere conto già oggi (PRINCIPIO DELLA PRUDENZA).
Per rettificare la voce dell’are 2 posso procedere:
 Direttamente
 Indirettamente tramite l’iscrizione di un fondo che si chiama “fondo svalutazione crediti”  in
questo caso avremmo crediti verso clienti nell’area 2 per 50’000€ e poi sempre nella 2 fondo
svalutazione credito con segno negativo per 3’000€.
Il saldo dell’area 3 sarà sempre 47’000€.
 Indirettamente tramite l’iscrizione di un fondo che si chiama  in questo caso avremmo crediti
nell’area 2 per 50k e poi sempre nella il saldo dell’area 3 sarà sempre 47k.
I crediti verso clienti hanno natura numeraria. Il fondo quando è un fondo di rettifica segue la natura del
fondo di riferimento fondo di svalutazione crediti ha una natura numeraria cioè uguale a quella del conto
che rettifica.
Altra ipotesi di svalutazione è possibile ottenerla con riferimento alle partecipazioni. Queste si scrivono
all’interno delle spese di investimento sulle partecipazioni non si applica l’ammortamento, però se la
partecipazione perde valore per un qualsiasi altro motivo noi saremo costretti a svalutare quella
partecipazione (es.: la partecipata fallisce).
Se crolla il valore azionario di una partecipazione noi dobbiamo svalutarla, ma se la stessa partecipazione
(che ho pagato 10k all’inizio dell’anno) alla fine dell’anno ha un valore di borsa di 40k che cosa devo fare?
Niente, perché per il principio della prudenza non devo fare niente, cioè non devo rivalutare se non in
occasioni molto particolari (ovvero nei casi previsti dalla legge). Quindi la nostra operazione si esaurisce
sono nella svalutazione.

In particolare: i FONDI
Due categorie:
 Fondi relativi a poste rettificative di specifici impieghi es. fondo ammortamento che accoglie gli
ammortamenti accumulati nel corso degli anni, fondo svalutazione crediti, fondo svalutazione
partecipazioni. In tutti questi casi il fondo è solo una rettifica e in quanto tale ha natura pari alla
voce che rettifica.
Es: che natura ha il fondo ammortamenti? Economico-reddituale.
Qual è la natura del fondo svalutazione crediti? Economico-numeraria.
Qual è la natura del fondo svalutazione partecipazioni? Economico-reddituale.
 Fondi di debiti relativi a costi incerti sono debiti veri e propri che però presentano elementi di
incertezza. L’incertezza può essere legata al quantum (non so quanto devo pagare) al tempo (non
so quando devo pagare), ma potrei anche avere incertezza sul debito stesso (  potrei anche non
dover pagare nulla). in base a queste 3 discriminanti ho tre tipi di fondi:
o Fondi di debiti per rischi  presentano il maggior grado di incertezza, ovvero sono quei
fondi a cui stessa esistenza del debito non è certe (potrei non dovere pagare nulla). Es:
fondi per contenziosi in corso.
Terza ipotesi: Il giudice riconosce la colpa della nostra azienda e ci impone di pagare 14k,
ma noi avevamo guadagnato solo 10k meno liquidità per 10k, il fondo verrà azzerato (è
come se pagassimo il debito), però essendo che il fondo era solo di 10k dobbiamo
rettificare la voce “sopravvenienze passive” di 4k nelle spese correnti.
Il fondo imposte serve se, ipoteticamente, durante l’esercizio abbiamo una visita della
finanza a seguito della quale riteniamo che ci spetterà una sanzione useremo i soldi di
questo fondo per pagare la sanzione. Essendo anche questo un debito, il fondo imposte ha
natura numeraria.
o Fondi per oneri es: fondo TFR è un fondo onere perché di sicuro dovremmo pagarlo,
quindi l’esistenza del debito è certa, ma non so quando devo pagarlo, quindi qui
l’incertezza è il tempo.
GLI ASSESTAMENTI AI RICAVI
1) L’INTEGRAZIONE per i ricavi (certi e definiti o in corso di maturazione) di competenza ma a
manifestazione differita:
Il primo ricavo che andiamo ad integrare è quello con le fatture da ricevere noi vendiamo dei prodotti
finiti durante l’esercizio per i quali non emettiamo la fattura. Questo ricavi è un ricavo di competenza
perché fa riferimento ad un’operazione completata nel corso dell’esercizio quindi devo aggiungere la voce
“ricavi di vendita”. Se non ho incassato oggi, ma lo faccio domani avrò un credito verso clienti e però per
distinguerlo rispetto agli altri crediti per cui ho già emesso fattura lo chiameremo “crediti verso cliente per
fatture da emettere” o più semplicemente “fatture da emettere”. Non è subito necessario emettere la
fattura però il principio della competenza economica non ha niente a che fare con l’emissione della fattura.
Esempio: sono proprietario di un immobile che affitto a terzi (lo porto a reddito) con un contratto annuale
in data 1/10/2018 che ha scadenza 1/10/2019 a un prezzo di 12k. Il pagamento verrà fatto in un’unica
soluzione posticipato quindi incasserò i 12k in data 1/10/2019. In data di sottoscrizione del contratto, che
cosa registro nella tavola dei valori? Nulla, perché durante l’anno registriamo dei cambiamenti per il
principio numerario. Alla fine dell’anno però mi devo chiedere se c’è qualche ricavo che, durante l’anno, sia
maturato economicamente che però non ho rappresentato nella tavola dei valori perché ancora non
incassato? Si, quindi al 31/12/2018 devo considerare la voce “affitti attivi” nell’area dei ricavi (area 10) per
3k (=un rateo del ricavo più ampio, ho maturato solo un rateo del credito complessivo. È il rateo che si
riferisce al mese di ottobre, novembre e dicembre). A un ricavo che non abbiamo incassato si associa un
credito, ma questa volta non è un credito completo ma è un pezzo di credito che prende il nome di “rateo
attivo”. Questo rateo attivo va scritto nell’area dei crediti (area 2) per 3k.
All’1/10/2019 l’inquilino ci paga i 12k di contratto, cosa scrivo nel contratto?
 Più liquidità per 12k;
 Meno ratei per 3k;
 Più ricavi “affitti attivi” per 12k.
Con questa operazione abbiamo ripartito in 2 parti il ricavo connesso al contratto: una parte nel 2018 per
3k, una parte nel 2019 per 9k. Abbiamo rispettato il principio della competenza eco che prevede di iscrivere
i ricavi solo se realmente incassati.

2) LE RETTIFICHE PER I RICAVI ANTICIPATI


Quale scrittura faremo nel caso in cui un cliente paga 5k di acconto per una partita di beni:
 Più liquidità per 5k;
 Controparte economica: più acconti da iscrivere nei ricavi (area 10) per 5k questi acconti però
non sono ricavi di competenza perché la prestazione promessa ancora non è stata eseguita.
Alla fine dell’anno vado nell’area 10 e vedo se tutti i ricavi sono di competenza economica. Controllo tutte
le voci e trovo una voce che non è di competenza economica e dunque diventa un ricavo anticipato da
scrivere all’interno della nuova area 9, che diventa l’area dei ricavi anticipati di esercizio. Quest’area
accoglie tutti i ricavi anticipati e ad esempio l’acconto costituisce una sorta di ricavo anticipato perché non è
di competenza in quanto la prestazione che abbiamo promesso non è stata ancora eseguita quindi il ricavo
va spostato dall’area 10 all’area 9 nell’esempio devo spostare i 5k dall’area 10 all’area 9.
Se io avessi pagato acconti per materie prime pari a 3k, quale operazione devo fare?
 Meno liquidità per 3k;
 Più spese correnti nella voce acconti per 3k  questa voce però non è una voce di competenza e
quindi alla fine dell’anno devo spostarla nell’area 4 sotto la voce “spese anticipate di esercizio”.
Esempio: In data 1/10/2018 stipulo un contratto per la vendita di un immobile per 12k, contratto che scade
in data 1/10/2019. Richiedo però un pagamento anticipato per la somma totale, quindi ricevo 12k e nella
mia tavola dei valori avrò:
 Più liquidità per 12k (incremento liquidità causa affitti attivi);
 Più ricavi per 12k causale affitti attivi, che scrivo nell’area 10.
Però alla fine dell’anno, quindi in data 31/12/2018, mi pongo la domanda: c’è qualche ricavo incassato ma
che ancora non è maturato economicamente? Si, perché il ricavo effettivo dell’esercizio 2018 dovrà essere
solo 3k, mentre io ad oggi nella tavola dei valori ho scritto 12k. Dunque, devo rettificare il ricavo della parte
non competente (che invece appartiene al 2019) 9 mesi di ricavi.
Questa rettifica ai ricavi prende il nome di risconto passivo in questo caso sarà un risconto passivo di 9k
ed è detto passivo perché noi abbiamo una sorta di obbligazione nei confronti dell’inquilino, ovvero quella
di farlo restare per nove mesi all’interno dell’appartamento (da gennaio a ottobre 2019). Il risconto passivo
viene iscritto all’interno dei ricavi anticipati d’esercizio.
Natura dei ratei (o crediti o debiti) = numeraria.
Natura risconti= economico-reddituale.

15/11:
A questo punto si può attuare la separazione della tavola dei valori tra parte alta e parte bassa così
facendo si produce uno sbilancio che è uguale nella parte alta e nella parte bassa. Abbiamo quindi il
passaggio dalla tavola dei valori al BILANCIO.
Nel bilancio la parte alta prende il nome di “stato patrimoniale”, mentre la parte bassa conto del risultato
economico. La parte alta conterrà nelle attività: liquidità, crediti, spese di investimento, spese anticipate di
esercizio. Le spese correnti sono nella parte bassa. Nelle attività invece c’è: capitale di rischio, di credito,
debiti di dilazione, ricavi anticipati di esercizio. I ricavi correnti si trovano nella parte bassa.
Se nel conto economico ricavi>costi si produce l’utile dell’esercizio. Conseguentemente si produce uno
sbilancio anche nella parte alta dove le attività>passività che è sempre l’utile dell’esercizio l’utile è
dunque una differenza, uno spareggio.
Nello stato patrimoniale l’utile lo troviamo a destra sia perché si tratta di una differenza, sia perché si tratta
di una sorta di fonte perché rappresenta un autofinanziamento inserito nell’area del capitale di rischio. In
quest’area c’era una voce detta “capitale sociale”, ma alla fine di un anno di vita dell’azienda ci sarà anche
un’altra voce che è “Utile dell’esercizio”
Utile=ricavi—costi esso esprime anche però l’incremento che si registra nel capitale di rischio per effetto
della gestione svolta in un determinato periodo amministrativo.
Se guardiamo lo stato patrimoniale vediamo che:
 Attività= impieghi in essere, quindi le risorse che l’azienda ha ancora a disposizione per le attività a
venire; la liquidità in rimanenza; il valore delle rimanenze in generale è il valore di tutto ciò che
mi rimane in rimanenza oggi (già domani sarà un altro valore);
 Passività= rappresenta le obbligazioni che l’azienda ha in essere nei confronti di qualcuno oggi. Es:
capitale di rischio=obbligazioni che l’azienda oggi ha in essere nei confronti dei soci. In genere con il
termine di passivo si intendono le obbligazioni dell’azienda verso tutti i soggetti esterni
prescindendo dai soci (capitale di credito, debiti di dilazione, ricavi anticipati), cosicché il capitale di
rischio può anche essere espresso in termini di differenza tra le attività e le passività che ha
un’azienda. Ecco allora che l’utile che si produce in un esercizio esprime la variazione che si registra
nelle diverse attività e nelle diverse passività e quindi per sintesi nel capitale di rischio.
Ogni volta che si consegue un costo o si produce un ricavo ci sarà anche un effetto sul patrimonio
di fatto i ricavi e i costi si proiettano in variazioni del mio patrimonio nelle attività e passività.
Quindi l’utile può essere visto come ricavi—costi, o come variazione che subisce il capitale di rischio in un
determinato momento (in quanto il capitale di rischio è attività—passività).
Patrimonio netto= variazione che subisce il capitale di rischio in un determinato momento (in quanto il
capitale di rischio è attività—passività). Sinonimo di capitale di rischio è quindi “patrimonio netto delle
passività”.
Se io al termine di un determinato esercizio, dopo tutte le valutazioni, arrivo a vedere che ho un utile di 1
mln, questo milione lo trovo diffuso dappertutto non c’è una sola voce che esprime questa variazione,
perché l’entità dell’utile esprime il totale delle variazioni che ho registrato e la differenza delle variazioni
allo stesso tempo darà l’entità dell’utile. L’utile si determina alla fine dell’esercizio, ma non è che si forma
all’ultimo, perché esso si forma nel corso dell’esercizio, a mano a mano che esso si forma. Allo stesso modo,
nel corso dell’esercizio l’utile viene anche reintegrato. Chi pensa che, se alla fine dell’anno ho un utile di 1
mln allora ho in banca 1 mln in più, sbaglia. Se invece avessimo una perdita? Sarebbe scritta nell’altro lato
del conto eco perché se le passività variano in maniera superiore rispetto alle attività vuol dire che
avremmo avuto più costi che ricavi. Nello stato patrimoniale lo trovo nella sezione delle attività questo
però non è semplicemente una questione aritmetica, ma ciò indica che la gestione di un anno invece di aver
funzionato come autofinanziamento ha al contrario assorbito delle risorse e cioè ha rappresentato non una
fonte di capitale, bensì un impiego. Così come l’utile va al beneficio dei soci (aumentando il capitale di
rischio), così la perdita va a svantaggio sempre dei soci, tanto che la perdita al pari dell’utile si scrive nel
capitale di rischio (la scriveremo con il segno meno alla voce “perdita dell’esercizio”).
Stato patrimoniale= fotografia del capitale l termine dell’esercizio.
Conto economico= prospetto dei costi e dei ricavi relativi a un periodo.
Lo stato patrimoniale esprime anche il momento di collegamento tra un esercizio e quello successivo
perché rappresenta anche la foto del capitale all’inizio dell’esercizio successivo. Se vogliamo la tavola sulla
quale si innestano le variazioni dell’esercizio successivo, dobbiamo allora guardare lo stato patrimoniale.
Il conto economico è vuoto perché è già scritto nello stato patrimoniale nella voce “Utile” ( quindi questa
è una voce di sintesi).
Significato delle aree:
 Attività:
o Liquidità natura numeraria (addirittura monetaria);
o Crediti valore di natura numeraria;
o Spese di investimento valore di natura economico-reddituale perché esprimono dei costi
anticipati (relativi a fattori produttivi ancora da utilizzare alla fine dell’anno infatti stacco
la quota di ammortamento e la porto nelle spese correnti);
o Spese anticipate valore di natura economico-reddituale perché esprimono dei costi. Sono
scritti qui perché si tratta i costi che al termine dell’es sono ancora anticipati (es: materie
prime ancora da usare, prodotti finiti ancora da vendere, servizi di cui ancora devo godere);
 Passività e netto (netto= capitale di rischio):
o Capitale di rischio natura economico-finanziaria;
o Capitale di credito natura economico-finanziaria;
o Debiti di dilazione valore di natura monetaria;
o Ricavi anticipati di esercizio economico-reddituale perché accoglie dei ricavi. Si trovano
qui perché ancora non sono di competenza dell’esercizio.
I costi e ricavi sospesi in un anno, l’anno successivo diventano costi e ricavi ripresi queste 2 aree infatti
all’inizio dell’anno successivo vengono spostate nell’area dei costi correnti e ricavi correnti, come voci
ereditate dall’anno precedente. Quindi le area 4 e 9 sorgono alla fine dell’esercizio quando bisogna rilevare
i costi e ricavi sospese e muoiono all’inizio dell’esercizio successivo ( servono ad accogliere dei costi che
un anno vengono sospesi e che l’anno successivo vengono ripresi).
Sopravvalutazioni e sottovalutazioni si traducono in uno spostamento temporale dei redditi di competenza
da un esercizio a quello successivo.

Qual è l’effetto nel bilancio della vendita di prodotti a dilazione?


 Appena li vendo:
o Aumento dei ricavi;
o Aumento ei crediti;
 Alla fine dell’anno:
o Eventuali svalutazioni scrivo le svalutazioni nelle spese correnti;
o Aumento dei ricavi;
o Aumento dei crediti;

1. Se acquisto 120 quintali di materie prime a fronte di un consumo di 100 quintali ho:
 Quando acquisto:
o Più spese correnti per 120
o Meno liquidità per 120
 Alla fine dell’anno:
o Se ne ho usato 100 devo ridurre le spese correnti
2. Se invece acquisto solo 100 quintali di materie prime a fronte del completo utilizzo di esse ho:
o Meno liquidità per 100
o Più spese correnti per 100

I due redditi quindi saranno uguali o diversi? Apparentemente son uguali ma nel primo caso io ho anche
una modifica qualitativa del mio capitale invece di avere liquidità ho magazzino. Sono due impieghi che
hanno un diverso atteggiamento all’interno dell’azienda: la liquidità la tengo in banca e mi rende qualcosa,
mentre il magazzino mi costa qualcosa quindi non solo rinuncio alla rendita che ho avendo solo liquidità,
ma avrò anche una serie di costi in più. Ecco perché si tende a ridurre il più possibile l’impiego del
magazzino, perché ha un impiego più costoso. È per questo che conviene essere fin da subito coscienti
dell’esatta quantità di materie prime che userò durante l’anno così da ridurre al minimo l’impiego del
magazzino.

20/11:
LA TAVOLA DEI VALORI DOPO GLI ASSETAMENTI:
Dopo gli assestamenti ciascun costo e ciascun ricavo iscritto nella tavola dei valori è di competenza
economica alla fine dell’anno dobbiamo fare il bilancio dell’esercizio per arrivare poi a dichiarare il
reddito dell’esercizio (utile se è positivo, perdita se è negativo). L’utile o la perdita è la remunerazione che
spetta ai portatori di capitale di rischio se l’azienda produce un utile il capitale di rischio aumenta, se
l’azienda subisce una perdita, il capitale di rischio subisce un decremento.
II bilancio si scompone di due documenti:
 Stato patrimoniale rappresenta una fotografia delle grandezze economiche e patrimoniali
dell’azienda in un determinato momento dell’anno. All’interno di questo troviamo per differenza:
o L’utile valore statico all’interno dello stato patrimoniale, perché se, ad esempio, vi è un
utile di 10k all’interno dello stato patrimoniale, da questo documento noi possiamo sapere
solo l’ammontare di esso (cioè 10k);
 Conto economico Per sapere come si è formato quell’utile devo andare a leggere il conto
economico, doc in cui vengono riepilogati costi ei ricavi di competenza economica.

LA TAVOLA DEI VALORI DI APERTURA:


La parte del conto economico a nuovo esercizio dovrà essere svuotata perché quei costi e quei ricavi sono
di competenza dell’esercizio chiuso. All’inizio dell’anno nuovo, nella tavola di apertura, questi costi e ricavi
sono ancora presenti e li trovo nella voce “Utile d’Esercizio” all’interno del capitale di rischio (questa è
l’espressione sintetica di valori flusso che trovano collocazione all’interno dell’area “Capitale di Rischio” con
la voce “Utile dell’Esercizio Precedente”).
Alla fine dell’anno, in sede di assestamento, abbiamo introdotto l’area 4 (“Spese Anticipate di Esercizio”) e
area 9 (“Ricavi Anticipati di Esercizio”) queste due nuove aree, all’inizio del nuovo anno diventano di
competenza economica e quindi l’area 4 viene spostata nell’area 5 e l’area 9 viene spostata nell’area 10 del
bilancio.

AREE ANTICIPATE:
1) I costi e i ricavi ripresi:
Quando e perché rileviamo materie prime in magazzino nell’area 4? Noi rileviamo la presenza di materie
prime in rimanenza nel magazzino in data 31 dicembre dell’anno N, perché, andando in magazzino, registro
la giacenza di materie che di sicuro non ho usato nella mia produzione e quindi che sono di sicuro anticipati
(ovvero essendo le ho già pagate, ma non le ho usate e in più so che le potrò usare l’anno successivo).
Quindi al 31/12 scrivo: all’interno dell’area 4 la voce “materie prime in magazzino” e nell’area 5 registro
una diminuzione delle rimanenze finali.
In data 1/01, invece, quelle materie prime devono essere giro contate all’interno dell’area 5 (= “spese
correnti d’esercizio”), perché per costituzione queste rappresentano i primi costi in magazzino. Per non
confonderci con gli acquisti che facciamo durante l’anno questa voce la chiamiamo “Esistenza iniziale di
materie”.
 Materie prime:
Durante l’anno io acquisterò nuove materie prime e queste la registrerò nell’area 5 come “Costi per
materie prime” ogni anno nell’area 5 troveremo come voci relative alle materie prime (seguendo il
modello a “Costi e ricavi del venduto”):
 Esistenze iniziali di materie: sono quelle avanzate dall’anno scorso. Questa voce ha valore
economico-reddituale, perché è un costo, anche se lo abbiamo ereditato dall’esercizio precedente.
Questa voca è di competenza economica del nuovo esercizio;
 Spese di acquisto materie prime: spese sostenute durante l’anno per l’acquisto di nuove materie
prime (spese fatte nel momento del bisogno);
 Rettifica a questi costi per le giacenze che abbiamo stimato alla fine dell’anno attraverso
l‘inventario (=rimanenze finali di materie).
In generale possiamo sintetizzare tutte queste voci relative alle materie prime all’interno dell’area 5 come
“Variazione delle rimanenze di materie” e “Spese di acquisto delle materie”.
Se invece adotto il modello a “Costi e valore della produzione ottenuta”, ogni anno nell’area 5 avrò come
voci relative alle materie prime:
 Spese di acquisto delle materie prime;
 Esistenze iniziali di materie;
 Rimanenze finali di materie.
Queste voci si possono sintetizzare in “Variazione delle rimanenze di materie” e “Spese di acquisto delle
materie”.

 Prodotti finiti in magazzino:


Nell’esercizio relativo all’anno N, la mia azienda ha realizzato dei prodotti finiti che però non sono ancora
stati venduti quindi alla fine dell’anno devo fare una rettifica dei costi sostenuti che non sono di
competenza. Nell’area 4 avevamo “Prodotti finiti in rimanenza”. All’inizio del nuovo anno allora dovremmo
chiudere questa voce nell’area 4 e iscrivere i relativi costi all’interno dell’area 5 sotto la voce “Esistenze
iniziali di prodotti finiti” (faccio la stessa cosa che faccio con le materie prime, ma i prodotti finiti sono
diversi dalle materie prime). Ogni anno quindi nell’area 5, seguendo il modello a “Costi e ricavi del venduto”
avrò come voci relative ai prodotti finiti:
 Esistenze iniziali di prodotti finiti: prodotti finiti che mi sono avanzati dall’anno precedente e
dunque oltre ad essi ho ereditato anche i relativi costi, che ancora non avevano maturato i loro
ricavi, dall’anno precedente;
 Rimanenze finali di prodotti finiti: prodotti finiti realizzati durante questo esercizio, ma che
ancora non sono stati venduti e non hanno maturato i loro ricavi.
In generale possiamo sintetizzare queste voci relative ai prodotti finiti come “Variazione delle rimanenze
dei prodotti finiti”.
Se invece adotto il modello a “Costi e valore della produzione ottenuta”, le voci relative ai prodotti finti si
sposteranno nell’area 10 e saranno:
 Rimanenze finali di prodotti finiti;
 Esistenze iniziali di prodotti finiti.
Queste voci si possono sintetizzare in “Variazione delle rimanenze di prodotti finiti”.

2) Ricavi anticipati connessi a costi a cavallo tra 2 o più esercizi: i RISCONTI ATTIVI:
Quando e perché possiamo registrare risconti attivi? Esempio: l’azienda sottoscrive un contratto di
assicurazione di un immobile in data 1/09 con valenza di un anno. Il premio assicurativo si paga subito,
quindi nella tavola dei valori dobbiamo registrare:
 Costo pagamento premio assicurativo;
 Meno liquidità.
Dobbiamo però rettificare un costo già presente nell’area 5 per mancato utilizzo, perché ancora io non ho
completamente goduto di tutto il premio per questo è un risconto attivo. All’inizio dell’anno, quel costo
che l’anno precedente era anticipato, diventa di competenze economiche quindi elimino la voce “risconti
attivi” e scriverò nelle spese correnti il costo di competenza, che nel nostro caso è “premi assicurativi”.
Perché nei risconti attivi troviamo anche l voce “onere finanziario”? L’onere finanziario matura un po’ alla
volta, perché è il costo relativo al capitale di credito (es.: interessi che dobbiamo pagare alla banca)
anche in questo caso avremmo dovuto eliminare un risconto e scrivere “oneri finanziari”.

I RISCONTI PASSIVI:
É possibile trovare questa voce all’interno dell’area 9 quando per esempio abbiamo delle obbligazioni nei
confronti di un affittuario nell’anno dopo questo è di competenza economica e quindi lo dobbiamo
spostare nell’area 10 con la voce, ad esempio, “Fitti attivi”.
Questo può anche essere connesso a proventi finanziari (in questo contesto questi sono i ricavi connessi a
un finanziamento erogato da noi a una società terza=interessi attivi) se incassiamo degli interessi attivi
che non fanno parte completamente dell’anno in corso, lo dovremmo scrivere l’anno successivo nell’area
10 nella voce “oneri finanziari”.
In riferimento ai prodotti finiti in rimanenza, possiamo rappresentare nel conto economico (perché nello
stato patrimoniale non variano mai) questi prodotti finiti con
 Più area 5
 Meno area 10 con la voce  se usiamo questa tecnica, all’inizio dell’anno successivo siamo
obbligati a riportare non più la voce “es…” con segno negativo, ma dobbiamo iscrivere con segno
positivo la voce “esistenza iniziale di prodotti finiti” all’interno dell’area 10.
Alla fine di un esercizio n che cosa troviamo all’interno di un bilancio dove l’azienda adotta il modello a costi
e ricavi del venduto (modello che rappresenta da un lato i ricavi di vendita e dall’altro i costi che l’azienda
ha sostenuto per realizzare i prodotti)? Avremo
 Esistenza iniziale di materie
 Spese di acquisto di materie spese sostenuto durante l’esercizio
 Rimanenza finali di materie
 Nelle spese correnti di esercizio troviamo: con segno positivo l’esistenza iniziale di prodotti finiti e
con segno negativo le rimanenze finali di prodotti finiti queste le troviamo sinteticamente come
“variazione di prodotti finiti”. Posso fare la stessa cosa con le materie prime (quindi esistenza
iniziale di materie prime e rimanenze finali di materie prime, sintetizzate in “variazioni di materie
prime”).
Per determinare il costo di utilizzo delle materie (=quante materie ho usato nel corso dell’anno) cosa devo
fare? Esempio:
 Esistenze iniziali 900
 Spese per acquisto materie 100
 Rimanenze finali 200
Devo fare spese + esistenze – rimanenze= (in questo caso) 800. Posso anche fare acquisti + variazioni di
materie. La variazione può essere negativa quando rimanenze finali>esistenze iniziali.

LE MATERIE E I PRODOTTI FINITI: IL MODELLO A “COSTI E RICAVI DEL VENDUTO”


Questo modello confronta il costo della produzione ottenuta con il valore della produzione (valore
eterogeno). Alla fine dell’anno segnavamo prodotti finiti nell’area 4 e con segno negativo segnavamo
rimanenze finali di prodotti finiti. Quando nel nuovo esercizio vai a modificare il bilancio, troveremo:
 Ricavi di vendita;
 Esistenze iniziali di prodotti finiti costo dei prodotti finiti che l’azienda ha realizzato nell’esercizio
precedente e che ancora però non ha venduto e che quindi ipoteticamente venderà oggi. Devo
scrivere una rettifica di quei costi che scriverò nella voce “rimanenze finali di prodotti finiti”.
Anche qui il c.c. impone la parola variazione. Nel valore della produzione la variazione corrisponde alla
differenza tra rimanenze finali con segno positivo e esistenze iniziali con segno positivo è l’opposto di
quello che accade nell’area 5. Quindi se il nostro magazzino aumenta avremmo un segno positivo
(rimanenze>esistenze), e diminuisce avremmo un segno negativo (rimanenze<esistenze).
Se un anno adottiamo un modello dicono economico, l’anno successivo dovremmo continuare ad utilizzare
sempre lo stesso modello.

LA DESTINAZIONE DELL’UTILE: LA SITUAZIONE DI PARTENZA:


Siamo nell’es 2020, nell’es 2019 l’azienda ha realizzato un utile che nell’es del 2020 passa nel capitale di
rischio. Che cosa può fare l’azienda con quell’utile?
 L’utile (di 100) viene distribuito tra i soci. Per effetto di ciò come si muove la tavola dei valori?
Meno liquidità e si elimina la voce “utile d’esercizio”. Quindi il capitale di rischio diminuisce
(variazione negativa) perché l’utile è già presente all’interno del capitale di rischio quindi se
distribuiamo l’utile stiamo distribuendo anche il capitale di rischio. Capitale di rischio subisce un
decremento;
 Manteniamo l’utile all’interno dell’azienda. Se l’utile viene mantenuto all’interno dell’azienda, il
capitale di rischio rimane uguale, cambierà solo la denominazione di quella voce di bilancio, che
non si chiamerà più “utile dell’es precedente”, ma si chiamerà per esempio “Riserva” si diche che
l’utile viene accantonato a riserva ( autofinanziamento, perché l’azienda ha creato un utile che
sarà usato all’interno dell’azienda). Dovremmo quindi cancellare la voce “utile di esercizio” e
scrivere una nuova voce sempre nel capitale di rischio detta “Riserva”.

LA DESTINAZIONE DELL’UTILE: L’accantonamento a riserva


L’utile non viene distribuito e questa mancata distribuzione non comporta alcuna variazione del
patrimonio, semplicemente rimane nella sua posizione precedente il patrimonio rimane inalterato.
L’iscrizione tra le riserve serve solo come traccia per far capire che l’utile non è stato distribuito e anzi i soci
hanno deciso di mantenere l’utile all’interno dell’azienda (=riserva). Le riserve possono essere articolate in
più vocine:
 Riserva legale quella obbligatoria, prevista dalla legge. L’azienda non può destinare tutto l’utile ai
soci, ma ne deve accantonare una parte (pari al 5%) all’interno di una riserva, fino a quando questa
riserva non raggiunga 1/5 del capitale sociale. Questo deve essere fatto ogni anno sull’utile che
l’azienda realizza fino a quando quella voce non raggiunge il 20% del capitale sociale. Dopo che si
raggiunge questo limite, l’azienda può destinare tutto l’utile ai soci;
 Riserva statutaria non è imposta dalla legge, ma dallo statuto dell’azienda. Gli stessi soci, quando
creano l’azienda, si creano una sorta di cuscinetto detto “riserva statutaria” quindi decidono di non
distribuire tutto l’utile ma di accantonarne un po’;
 Riserva straordinaria quando l’azienda decide di non distribuire l’utile tra i soci e ciò non dipende
né dalla legge né dallo statuto.
L’effetto di un accantonamento di utile a riserva è semplicemente che si rinuncia a ridurre il capitale di
rischio, riduzione che invece si sarebbe verificata in caso di distribuzione dell’utile.
L’utile si forma nel corso dell’esercizio, ma io lo determino alla fine dell’esercizio e dato che rappresenta
una variazione del capitale di rischio, anche questa variazione si sarà creata nel corso dell’esercizio. Se
quell’utile lo distribuisco riporto il capitale di rischio, che si è incrementato nel corso dell’esercizio con la
creazione dell’utile, al valore iniziale.
Utile= auto-finanziamento che però è soggetto alla decisione dei soci in ordine alla destinazione, pertanto
nel momento in cui l’utile viene accantonato a riserva, in quel momento si stabilisce che l’auto-
finanziamento dell’utile diventa definitivo (salvo eventuali decisioni che potrebbero essere prese in un
secondo momento rispetto a quell’auto-finanziamento).
Se io prendo il bilancio del primo anno di vita dell’azienda con capitale sociale di 1 mln ed è stato
conseguito un utile di 100k l’assemblea ha deciso di distribuirlo per 60k e si accantonarlo a riserva per
40k, cosa trovo nel bilancio alla fine della vita dell’azienda? Trovo 1 mln e 100k perché la distribuzione
dell’utile è un’operazione che avviene nell’anno successivo, quindi questa distribuzione io la potrò vedere
solo nel bilancio successivo alla fine dell’anno in corso l’utile viene allocato per tutto il suo importo nel
capitale di rischio e non se ne può vedere la sua destinazione. Nel secondo anno realizzo un utile di 200k e
alla fine dell’anno nel bilancio troverò un valore di 1 mln e 240k perché ho i 200k di utile e i 40k di riserve.
APPROFONDIMENTO SULLE RISERVE:
Il capitale di rischio è un valore differenza tra attività e passività, un valore fondo. Questo unico valore lo
suddivido in una serie di voci per mia comodità, ma sono suddivisioni ideali ed è per questo che le voci che
compongono il capitale di rischio si chiamano. Queste parti sono:
 Capitale;
 Utile;
 Riserva.
A ciò viene aggiunto un aggettivo per ricordare la genesi o la natura giuridica del capitale.
La CLASSIFICAZIONE DELLE RISERVE IN FUNZIONE DELLA MODALITA’ DI FORMAZIONE: quando si parla di
riserve in genere si distinguono due grandi categorie: RISERVE DI UTILI e RISERVE DI CAPITALE, basandosi in
modo in cui si forma questa parte del capitale di rischio.
 Riserve di utili si intendono quelle che vengono costituite mediante l’accantonamento di utili
netti che sorgono in sede di destinazione dell’utile (es. riserva legale, statutaria, straordinaria 
queste esprimono auto-finanziamento;
 Riserve di capitale queste esprimono quote del capitale di rischio che si forano per effetto di
apporti a titolo di capitale di rischio, effettuati normalmente dai soci, i quali tuttavia non vengono
effettuati a titolo di capitale sociale. Quando un socio fa un conferimento lo fa normalmente
quando si costituisce la società o quando c‘è un aumento del capitale sociale. Può verificarsi
tuttavia che i soci effettuino di conferimenti a titoli definitivo senza che v sia assegnazione di quote
o di azioni e cioè senza che questa vengano attribuite formalmente al capitale sociale. In questi casi
il valore dei conferimenti viene attribuito a delle riserve che costituiscono delle riserve di capitale.
Quando nasce una riserva di utili non si modifica niente nella tavola dei valori, semplicemente
l’utile cambia nome modificazione qualitativa delle sue parti reali. Quando invece ci sono le
riserve di capitali vuol dire che c’è un incremento effettivo del capitale di rischio e degli impieghi.
Tipiche riserve di capitale sono:
o Riserva da sovrapprezzo delle azioni/quote sorge quando, in occasione di un aumento di
capitale, le azioni o le quote di nuova immissione vengono offerte in sottoscrizione ai soci
ad un prezzo superiore rispetto al valore nominale. Esempio: aumento capitale sociale
mediante apportamento di immobili con valore nominale complessivo pari a 1 mln
devono essere sottoscritte dai soci/gli vengono offerte in proporzione a quelle già
possedute (secondo la percentuale di partecipazione questa rimane inalterata). Queste
possono emettersi a un prezzo pari a quello nominale IMMISSIONE ALLA PARI. Oppure
potrebbero anche emettersi a un prezzo superiore al valore nominale, cioè sopra la pari (è
vietata l’immissione sotto la pari). Nel caso di un aumento del capitale sopra la pari. I soci
apportano risorse per un valore superiore rispetto all’ammontare del capitale sociale
emesso. In questo caso l’ulteriore incremento del capitale di rischio viene iscritto in una
riserva che viene detta riserva da sovrapprezzo delle azioni.
Il sovrapprezzo nasce dalla circostanza che il valore del capitale di rischio può essere
diversa dal valore del capitale nominale: innanzitutto perché il capitale di rischio contiene
riserve (apportate perché la loro distribuzione un domani sarà formalmente meno
impegnativa rispetto alla distribuzione di un capitale) e in secondo luogo perché il capitale
di rischio non esprime tutti i valori possibili dell’azienda. Non esprime ad esempio la
componente fondamentale dell’avviamento.
o Riserve da versamenti in conto-capitale;
 Riserve di rivalutazione sono semplici riserve di adeguamento del capitale di rischio, nel senso
che quel capitale di rischio è una differenza tra attività e passività, le quali attività erano in parte
rappresentate con un metro di misura non attuale, quindi sto semplicemente aggiornando la
qualità (per esempio da lire a euro). Valore monetario.  quando si parla delle riserve di utili le
finalità possono essere diverse: auto-finanziamento, auto-assicurazione

LE FINALITA’ DELLE RISERVE DI UTILI: Normalmente per il principio della prudenza non si tiene conto di un
incremento id valore, ma si tiene conto se c’è una perdita di valori. Le riserve di utili hanno diverse finalità:
 Autofinanziamento
 Autoassicurazione a fronte del rischio che nel futuro si possano produrre delle perdite. Ogni
azienda è soggetta al rischio economico-generale di impresa, ovvero il rischio che essa nel corso
della sua vita possa non essere in grado di remunerare i fattori produttivi, cioè subire o non
remunerare delle perdite. Queste perdite incidono negativamente nel capitale di rischio, dunque la
costituzione di riserve si traduce in un rafforzamento di capitale di rischio e dunque nell’incremento
della sua capacità di poter assorbire nel futuro eventuali perdite.

L’UTILIZZO DELLE RISERVE


 Distribuzione il fatto che le riserve derivino da una non distribuzione immediata dell’utile, non
esclude il fatto che dopo un certo arco di tempo i soci possano decidere di operarne la
distribuzione. Ciò si traduce in una distribuzione del capitale di rischio formalmente attingendo da
una riserva e ciò si sostanzia nella riduzione della liquidità e del capitale di rischio, cioè della riserva
intaccata. In questo caso si tratta di un utilizzo che intacca il capitale di rischio questo si riduce;
 Aumento di capitale è un utilizzo virtuale, cioè che non si traduce in una modifica complessiva
del capitale di rischio, ma solo una modifica delle parti/poste ideali. In questo caso si hanno degli
aumenti gratuiti di capitale, ovvero quelli che si hanno quando, a fronte delle immissioni delle
nuove azioni/dell’aumento del capitale nominale, gli assegno le riserve gratuitamente in modo
equo, in proporzione alle quote che loro hanno  imputo formalmente una riserva al capitale
sociale (la riserva si riduce e il capitale si aumenta per la stessa cifra). I soci così facendo hanno
deciso che una quota del capitale di rischio anziché essere una riserva è capitale sociale e dal punto
di vista formale la riserva è diversa dal capitale sociale perché la riserva i soci possono decidere di
distribuirla solo tramite assemblea, mentre il capitale sociale no.
 Copertura di perdite è un utilizzo virtuale, cioè che non si traduce in una modifica complessiva
del capitale di rischio, ma solo una modifica delle parti/poste ideali. Questa operazione si traduce
nella eliminazione della perdita.

LA CLASSIFICAZIONE DELLE RISERVE IN FUNZIONE DELLA POSSIBILITA’ DI UTILIZZO


 Riserve disponibili indica i possibili utilizzi che se ne possono fare, nel senso che in
considerazione della loro natura non tutte possono essere usate per tutti gli scopi. Ad esempio, una
riserva legale non può essere ridistribuita ai soci. Nel conto economico dovrò specificare tutti i
possibili utilizzi di ogni riserva;
 Riserve indisponibili.

27/11:
LA SISTEMAZIONE DELLA PERDITA: LA SITUAZIONE DI PARTENZA:
Lì dove si produce una perdita, quella la troviamo tanto nello stato patrimoniale del bilancio di un anno
quanto nella situazione di partenza dell’anno successivo si trova nell’area del capitale di rischio con
segno meno. L’anno successivo si riparte con una nuova tavola di valori dove come eredità dall’anno
precedente troviamo la perdita. Come abbiamo visto che dopo la creazione dell’utile esso viene distribuito
(o lasciato all’interno dell’azienda), allo stesso modo si deve sistemare anche una perdita.
Come si sistema una perdita all’interno della tavola dei valori? La perdita viene sistemata attraverso diverse
modalità:
1. La copertura mediante reintegro dei soci. I soci effettuano dei conferimenti all’azienda a copertura
della perdita si può trattare di conferimenti di varie tipologie di risorse: in denaro, in natura (es.
immobile), in termini i conversione di finanziamenti (se i soci nel passato hanno effettuato dei
finanziamenti a favore della società, la società dovrebbe poi rimborsarli  i soci possono anche
conferire una conversione dei finanziamenti, cioè rinunciano al rimborso effettivo di quei
finanziamenti reintegrandoli all’interno dell’azienda è come se la società li rimborsasse, però i
soci reintroducono direttamente i soldi nell’azienda). In questo caso il capitale di rischio che si era
creato per la perdita, rientra, ritorna come prima della creazione della perdita  quindi una volta
che cancelliamo la perdita, il capitale di rischio sarà formato solo dalla voce capitale sociale. Se la
copertura fosse stata fatta sempre con reintegro da parte dei soci, ma con l’apporto di un immobile
avremmo avuto l’aumento della voce immobili negli impieghi e l’aumento del capitale di rischio. Se
fosse stato per rinuncia al rimborso di un finanziamento avremmo avuto: nessuna movimentazione
negli impieghi, il capitale di credito si riduceva alla voce “finanziamenti soci” e in contropartita
sarebbe aumentato il capitale di rischio mediante la cancellazione della voce “perdita”.
Nel caso di copertura della perdita con apporto mediante la rinuncia al rimborso di finanziamenti, la
movimentazione è solo nelle fonti:
 Meno debiti;
 Più capitale di rischio.
Si dice che in questi casi la sistemazione della perdita è una sistemazione reale (o concreta) perché la
perdita viene cancellata mediante l’apporto di ulteriori risorse, cioè viene ricostituito il capitale di rischio
nella sua entità preesistente rispetto alla formazione della perdita.
A fronte di questa sistemazione possono esiste anche altre sistemazioni che sono dette “sistemazioni
virtuali, fittizie”, nel senso che non comportano una variazione del capitale di rischio ma solo la copertura
della perdita attraverso altre voci già presenti nel capitale di rischio. Le sistemazioni virtuali, fittizie sono:
1. La copertura mediante utilizzo delle riserve. In questo caso ci sarà una riduzione o cancellazione
della perdita a fronte della riduzione (quindi c’è una compensazione) di una o più riserve
preesistenti. Esempio:
 La mia azienda all’inizio di un esercizio ha come capitale di rischio:
o Capitale sociale 1 mln (come capitale di rischio avrò un totale di 1 mln 100k
perché è: 1mln + 300k – 200k= 1mln e 100k);
o Riserve 300k;
o Perdita per 200k;
 Ripartendo l’anno successivo (la destinazione dell’utile e la copertura della perdita sono
eventi che si verificano nell’anno successivo), nel mio capitale di rischio avrò:
o La perdita si cancella per 200k;
o Le riserve vanno a 100k (meno 200k rispetto all’anno precedente);
o Il capitale sociale sarà 1mln e 100k (dato dal capitale sociale di partenza più le
riserve, rimane come era prima ciò dimostra come questo tipo di
sistemazione della perdita sia fittizio).
2. La copertura mediante il rinvio agli esercizi successivi. Nel caso in cui invece non ci siano riserve,
devo necessariamente coprire la perita con la reintegrazione dei soci? No, perché se la perdita non
supera degli importi tali da influire tanto nel capitale sociale, i soci possono decidere di rinviarla a
futuro, cioè non coprirla subito sperando che nel futuro ci siano degli utili in grado di reintegrare la
nostra perdita. Tecnicamente si dice che la perdita viene rinviata agli esercizi successivi. In questi
casi dal punto di vista formale la perdita si denomina con la voce “perdita degli esercizi precedenti”
presente nel capitale di rischio  di solito nel denominarla si usa il plurale in modo tale da poter
accogliere (in caso) le perdite di più anni.
3. La copertura mediante la riduzione del capitale sociale. Il caso più estremo di ha quando la perdita
viene coperta con la riduzione del capitale sociale. Ciò avviene quando: non ci sono riserve che
possano fronteggiare la perdita, i soci non sono in condizione di reintegrarla e l’entità della perdita
è tale da non poterla rinviare agli esercizi successivi. A quel punto non si può che prendere atto
dell’entità di questa perdita e ridurre il capitale sociale per coprirla  è il c.c. a stabilire il tetto
massimo entro il quale la perdita può essere rinviata in futuro.

L’EQUILIBRIO ECONOMICO:
La capacità di individuare i riflessi economici di un’azienda è fondamentale quando voglio conoscere le
condizioni di equilibrio di un’azienda. Si parla di equilibrio perché l’azienda è un sistema dinamico, che
cammina, e quindi se è in equilibrio vuol dire che in grado di continuare a proseguire nella sua vita futura.
Dunque, le condizioni di equilibrio attendono alla capacità, alla sussistenza dei presupposti, perché
un’azienda possa proseguire nella sua vita futura. Un’azienda in disequilibrio è un’azienda nella quale
esistono degli aspetti patologici di vario tipo tali da far sì che la sua sopravvivenza futura sia a rischio. Ci
sono diversi stati di disequilibrio: lievi, seri, irreversibili. Quando sono lievi si possono individuare dei
meccanismi e strumenti per recuperare l’equilibrio si dice che si devono individuare dei piani di
risanamento aziendale o di ristrutturazione. Quando lo stato di disequilibrio di un’azienda è serio, è più
complicato trovare questi piani di risanamento.
Quando si parla di equilibrio del sistema aziendale questo viene declinato in due dimensioni, che insieme
fanno l’equilibrio economico generale:
 Equilibrio economico: il fluire della gestione si sostanzia, dal punto di vista economico, nell’utilizzo
di risorse per la realizzazione di beni e servizi dalla cui cessione c’è un ritorno di risorse. Le risorse
impiegate per i fattori produttivi esprimono i costi che l’azienda sostiene, mentre le risorse
recuperate dalla cessione sono i ricavi che si conseguono attraverso la vendita dei servizi o dei
prodotti. Un’azienda è in una condizione di equilibrio dal punto di vista economico quando i ricavi
derivanti della cessione dei beni e servizi sono in grado di coprire i costi connessi ai fattori
produttivi impiegati. Tuttavia, l’aspetto economico non coincide con quello monetario, nel senso
che il fluire della gestione produce degli effetti che possono essere letti anche in chiave
monetaria in termini di entrate o uscite di liquidità. Esse se sono osservate in orizzonti di tempo
più breve rispetto alla vita dell’azienda non coincidono con la dinamica economica (potrebbe
accadere che durante un esercizio un’azienda abbia più uscite che entrate, cosa che può portare a
credere che essa sia in disequilibrio, ma trovare il fatto di trovare uscite>entrate in un esercizio non
basta a stabilire che l’azienda è in condizione di disequilibrio devo prendere in considerazione più
esercizi). Siccome l’acquisizione dei fattori produttivi e la vendita dei prodotti hanno anche degli
effetti monetari, i quali intervengono nel rapporto con i terzi ( quando incasso, incasso da
qualcuno), è necessario che oltre a un equilibrio sul piano economico ci sia anche un equilibrio sul
piano finanziario;
 Equilibrio finanziario: esso attiene alla correlazione tra entrate e uscite. In questi termini si può
parlare di equilibrio finanziario quando un’azienda, sulla base delle entrate previste, è in grado di
fronteggiare in ogni momento le uscite connesse alla gestione se io guardo il futuro dell’azienda
per capire se questa è in equilibrio e dunque se esistono le condizioni per cui essa continui a vivere
in futuro, mi interrogo sull’equilibrio finanziario dell’azienda domandandomi se questa sarà in
grado di fronteggiare le uscite che sono dovute giorno per giorno alla gestione con i propri costi, e
soprattutto se sarà in grado di farlo da qui fino a che riesco a guardare (così facendo sto guardando
alla dimensione finanziario).
Un’azienda è in equilibrio quando sussistono sia l’equilibrio economico sia l’equilibrio finanziario.
Se un’azienda è in equilibrio economico, allora è anche in equilibrio finanziario?
Esempio: io guardo il futuro dell’azienda, guardo all’anno prossimo e dico che:
 Venderò prodotti per 200k
 Acquisirò materi prime per 120k
 Quindi avrò dei ricavi per 200k, costi di competenza d’esercizio per 120k utile=80k.
Posso dire quindi di essere in condizione di equilibrio economico (sempre se non succeda in futuro qualcosa
di particolare. Supponiamo che per realizzare quei ricavi io abbia dovuto comprare degli impianti per 300k, i
soldi non li avevo e quindi ho chiesto un finanziamento bancario. Il finanziamento di 300k che ho chiesto
prevede un rimborso in due anni: dovrò rimborsare 150k l’anno prossimo e altri 150k quello ancora
successivo. Nell’assetto economico quindi avrò ricavi per 200k, costi per 120k, quindi vale la pena tenere in
piedi l’azienda (=guadagniamo). Se alla fine dell’anno incasso i ricavi previsti e spendo per quanto ho
previsto nei costi, avrò in banca 80k essendo che devo dare 150k alla baca, in questo caso siamo in
condizione di disequilibrio finanziario. Cosa avrei dovuto fare quando ho acquistato gli impianti? Dovevo
pensare anche che c’è l’equilibrio finanziario in quanto tempo sarei riuscito a rimborsare il finanziamento in
base al flusso di cassa che avrò in futuro dovrei prevedere un periodo di rimborso allineato, di almeno 4
anni (in questo caso) così da rispettare anche le esigenze dell’equilibrio finanziario.
Quindi possiamo dire che se un’azienda è in equilibrio economico di conseguenza è anche in condizione di
equilibrio finanziario. Però se è in disequilibrio economico può darsi pure che l’azienda abbia
temporaneamente delle condizioni di equilibrio finanziario di breve termine, ma è ragionevole ritenere che
nel lungo termine queste condizioni di squilibrio economico con il tempo si traducano anche in uno squilibrio
finanziario.

Le condizioni di equilibrio economico:


L’equilibrio economico esprime la capacità dell’azienda di rimunerare congruamente e nel medio lungo
termine i fattori produttivi impiegati.
Queste condizioni vanno verificate nel medio lungo termine cioè io quando osservo le condizioni
dell’azienda per valutare le sue condizioni di equilibrio economico, mi devo rifare ad un largo arco di tempo
ed esprimere il mio giudizio in base a tutto questo arco tempo. Questo perché un’azienda nel tempo può
attraversare periodi miglior e periodi più complessi. Se un’azienda in un esercizio sostiene una perdita,
questo non vuol dire che questa non sia in grado di remunerare i fattori produttivi, perché può darsi che
negli esercizi successivi riesca a reintegrare la parte che non è riuscita a reintegrare negli esercizi
precedenti. Si dice che per valutare la situazione di equilibrio economico bisogna osservare le condizioni di
un periodo pluriennale, perché considerare solo un periodo breve potrebbe portare a valutazioni scorrette.
Esempio:
 Supponiamo che io abbia un’azienda di cui voglio valutare le condizioni di equilibrio economico 
prendo la documentazione dell’anno prossimo relativa al budget (=previsione dei ricavi e dei costi
che l’azienda sosterrà nell’esercizio) e vedo che esso reca tra i ricavi 5 mln e tra i costi 3,8 mln. Poi
entro nel dettaglio. Supponiamo che io questi ricavi li consegua vendendomi tutto il magazzino ce
ho, ma comunque vendendo i prodotti già a disposizione e avendo rinunciato a investire in ricerca
per realizzare nuovi prodotti da mettere nel mercato negli anni successivi. Questa è un’azienda che
magari per l’anno prossimo sarà in grado di fronteggiare i costi, magari l’anno dopo pure, ma è
ragionevole ritenere che nel medio termine farà fatica. Considerando solo questo breve periodo di
tempo, l’anno prossimo non sarebbe espressivo delle condizioni di vita dell’azienda nel medio-
lungo termine.
 Supponiamo che io abbia un’azienda dove ricavi>costi: dato che abbiamo visto che esistono delle
possibilità di efficientamento produttivo (=ci sono modi per migliorare il rapporto ricavo-costi), ho
previsto per l’anno prossimo di vendere tutti i beni che riguardano la parte del processo produttivo
che non è ottimale e affidarli a terzi, che sono più efficienti di me. Questo dovrebbe tradursi in un
vantaggio, tuttavia la vendita di questi beni (dato che non sono molto richiesti dal mercato) dovrò
farla a un prezzo più basso di quello che ho sostenuto ho una minusvalenza. Quindi se guardo il
conto economico dell’anno prossimo potrei trovare una perdita connessa al fatto che, essendo
prevista la vendita di questi macchinari, io subirò una minusvalenza. Quest’azienda dato che
sostiene una perdita l’anno prossimo, è in squilibrio economico? No, perché si tratta di una perdita
dovuta ad un evento straordinario che quindi potrebbe non verificarsi tutti gli anni e quindi
guardare solo l’anno successivo non è espressivo delle condizioni generali dell’azienda.
Quando si fa il bilancio e si valutano gli impianti si fa una stima delle quote di ammortamento, ragionando
in base a per quanto tempo il bene mi sarà utile in sostanza il bilancio presuppone che l’azienda sia in
condizioni di continuità (presupposto previsto dalla legge). Quindi: innanzitutto gli amministratori quando
predispongono il bilancio, poi chi lo controlla (i revisori), devono domandarsi se l’azienda è in continuità,
ovvero se è in equilibrio, così che il bilancio sia predisposto in coerenza con le condizioni dell’azienda. Se
invece l’azienda non fosse in condizione di equilibrio, il bilancio dovrà essere fatto in maniera
completamente diversa.
Quando un’azienda non presenta dei caratteri di criticità quasi non ci si pone la domanda della continuità
perché viene spontanea la risposta che l’azienda è in equilibrio. Invece quando un’azienda subisce una
perdita durante un esercizio (per esempio l’anno scorso), in questo caso bisogna controllare. In
quest’ultimo caso si deve predisporre un piano di riparazione di solito sono piani che hanno validità dai 3
ai 5 anni ( importanza del lungo termine).
L’attività di pianificazione che riguarda un periodo temporale esteso è propedeutica ad assicurare le
condizioni di equilibrio.
Temporaneo disallineamento/allineamento non è qualcosa che mi indica per forza una condizione di
equilibrio/squilibrio.

L’EQUILIBRIO ECONOMICO: la RIMUNERAZIONE DEL CAPITALE DI RISCHIO


Supponiamo che i ricavi siano inferiori rispetto alle perdite situazione di disequilibrio.
Supponiamo che i ricavi siano uguali ai costi io ho la percezione che con i ricavi riuscirò a coprire tutti i
costi dei fattori produttivi impiegati, però qual è il margine economico (differenza tra ricavi e costi)? È zero,
quindi io ho un’azienda che per il prossimo periodo genererà un margine economico pari a zero. Posso dire
che è in equilibrio economico? No, perché non è sufficiente che i ricavi coprano i costi, ma è necessario che
il margine ottenuto sia tale da, dopo aver coperto i costi residui, remunerare in maniera equa (secondo
delle valutazioni di carattere economico razionale) il capitale di rischio.
È necessario, quindi, che:
RICAVI = COSTI + Remunerazione Equa del capitale di rischio.
C’è bisogno che l’azienda produca un minimo di utile, utile che può considerarsi equo. Quindi l’azienda è in
condizioni di equilibrio economico quando RICAVI = COSTI + Reddito equo.
Nell’ottica della società utile=costo del capitale di rischio.
Nell’ottica del socio utile=remunerazione dell’investimento.

28/11:
GUARDA SCHEMA.

29/11:
LE POSSIBILI CONDIZIONI DI EQUILIBRIO ECONOMICO:
Esempi di varie possibilità di costi che si possono presentare nelle diverse fattispecie.
1. Disequilibrio economico assoluto vi è un margine negativo e dunque una perdita perché i ricavi
che vi sono, sono insufficienti a coprire i costi. In questo caso la differenza tra costi e ricavi
determina il sotto-reddito (nel momento in cui si considera anche il reddito equo). Esempio: a fine
anno ho una perdita di 100k, questa somma esprime anche il sotto-reddito? Ne esprime una parte
perché a fronte di un reddito equo d 200k ho una perdita di 100k dunque il sotto-reddito è la
differenza tra il reddito effettivo (-100 in questo caso) e il reddito equo (200) = -100-200= -300k.
Sottoreddito =reddito effettivo−reddito equo
In ogni suo esercizio un’azienda produce un reddito:
o Se è maggiore rispetto al reddito equo allo avrò un sopra-reddito rendimento superiore
rispetto a quello di puro equilibrio;
o Se il reddito effettivo è inferiore rispetto al reddito equo allora avrò un sotto-reddito
l’azienda non è in grado di remunerare a titolo di capitale di rischio i suoi investitori, né i
costi dei fattori produttivi (simile all’esempio delle slide).
2. Disequilibrio economico relativo ricavi=costi. In questo caso avremmo il risultato di esercizio
uguale a zero. Il reddito effettivo è zero, quindi inferiore al reddito equo che è 200k situazione di
sotto-reddito (-200k in questo caso). Qui però l’azienda riesce a remunerare i costi dei fattori
produttivi, ma non quello degli investitori disequilibrio.
Altro caso di disequilibrio economico relativo è quello in cui i ricavi sono maggiori dei costi (ho un
utile). Tuttavia, quest’utile è inferiore rispetto al reddito equo, dunque l’utile prodotto è
insufficiente e non si ha un utile equo situazione di disequilibrio economico relativo, si può
remunerare parte degli investimenti, ma non in maniera soddisfacente.
3. Equilibrio economico utile pari al valore equo, dunque l’azienda è in condizione di equilibrio
economico: i ricavi coprono tutti i costi, poi generano reddito equo e infine generano anche
qualcosa in più= sovra-reddito. Un’azienda che presenta un sovra-reddito, presenta un avviamento
(=capacità dell’azienda di generare un sovra-reddito). Inoltre. Il sovra-reddito è l’elemento che
determina la sussistenza dell’avviamento, ovvero la capacità dell’azienda di generare un risultato
prospettico positivo e un sovra-reddito.
Esempio: in un’azienda i soci investono capitale di rischio pari a 1 mln. Supponiamo che il
rendimento giudicato equo dagli investitori è pari al 10% (10% del loro investimento= una
remunerazione dovuta). Come si stima il valore economico di un’azienda? Consiste nella
determinazione del valore dei risultati positivi che questa riesce a generare corrisponde al
rapporto tra il reddito che si presume essa produrrà in totale e il tasso di remunerazione equo.
R
W=
i
Dove “R” rappresenta il reddito medio prospettivo e “i” il tasso di attualizzazione (= rendimento
equo del capitale di rischio).
Tasso di attualizzazione giudicato equo= 10% (i):
a. Stimo che il reddito (R) sia pari a 100k annui:
R 100 k
W= = = 1 mln valore economico. Valore capitale di rischio= 1 mln
i 10 %(¿ 0,10)
L’AVVIAMENTO È UGUALE A ZERO.
b. R= 90k:
90 k
W= = 900k valore economico. Investimento capitale di rischio= 1 mln abbiamo una
0,10
differenza negativa, quindi L’AVVIAMENTO È NEGATIVO PER 100K.
c. R=120k:
120 k
W= = 1 mln e 200k 1,2 mln – 1 mln= 200k AVVIAMENTO POSITIVO. Il reddito
0,10
prospettico di 120k è maggiore del reddito equo che è 100k quindi qui l’avviamento di 200k
è il valore attuale del sovra-reddito, infatti se il reddito prospettico lo divido in 2 parti avrò:
o Parte equa= 100k 100/10= 1 mln che è il valore del capitale di rischio;
o Sovra-reddito di 200k che ottengo facendo 200k/0,10 e che mi dà l’avviamento
È possibile però che pure in presenza di un utile ci sia un avviamento negativo.

LA LETTURA DEL REDDITO “PER AREE”:


La verifica delle condizioni di equilibrio economico corrisponde alla verifica dei ricavi e dei costi
prospettici/futuri di un’azienda non solo bisogna vedere la differenza tra ricavi e costi, ma è anche
fondamentale comprendere la qualità/ come si forma quel reddito. A questo fine è utile la lettura del
reddito per aree. Questa è il riflesso economico della gestione (=comprensione le operazioni di un’azienda).
Come si fa?
Si individuano una serie di aree gestionali (suddivisione funzionale alla lettura del reddito).
 Gestione operativa: è la gestione tipica riguardante la parte produttiva/dell’attività alla quale è rivolto il
business dell’azienda (è un’area caratteristica). Connessa a questa gestione operativa ci sono tot ricavi e
tot costi scomponendo la gestione in aree avrò per ciascuna di esse i relativi costi (costi della
gestione operativa) e i relativi ricavi (ricavi della gestione operativa) connessi. In questo caso posso fare
una prima differenza per calcolare un margine economico, arrivando al “risultato operativo” che può
essere:
o Utile operativo;
o Perdita operativa.
 Aree extra-operative (gestione extra-operativa): eventuali altre attività prodotte poste in essere
dall’azienda, che però sono secondarie rispetto a quelle principali (essendo attività eventuali esse
potrebbero anche non esserci). La formazione di queste aree comporterà però la formazione di ulteriori
operazioni che necessitano di costi, ma che producono anche ulteriori ricavi (  non operativi ovvero
non principali). Attraverso queste aree calcolo un secondo margine. I risultati della gestione extra-
operativa possono essere:
o Positivi: ovvero contribuiscono all’attività principale;
o Negativi: sono accessorie quindi se non rendono possono essere facilmente vendute.
 Area finanziaria (gestione finanziaria): relativa alla gestione delle fonti di finanziamento aziendale e
gestione della tesoreria. Ha l’obiettivo di controllare che ci sia sempre liquidità necessaria a regolare le
obbligazioni/spese che l’azienda deve fronteggiare.
o Costi= interessi passivi, relativi a fonti debiti finanziari;
o Ricavi relativi all’impiego della liquidità.
Questi sono detti proventi e oneri finanziari e esprimono il risultato della gestione finanziaria che può
essere:
o Positivo: un’azienda che opera in condizioni di equilibrio= risultato della gestione operativa;
esprime il risultato economico delle attività principali verso il quale tende l’azienda;
o Negativo.
I possibili risultati determinano un saldo che ragionevolmente sarà negativo (perché le fonti di
finanziamento costano).
 Area straordinaria: attiene agli eventi con carattere di non ripetitività nell’ordinaria gestione aziendale.
Si tratta di eventi che si verificano eccezionalmente (però non è detto che non siano prevedibili).
Quest’area genera proventi e oneri straordinari:
o Se i proventi sono maggiori rispetto agli oneri si ha un risultato della gestione straordinaria
positivo;
o Se i proventi sono minori degli oneri si ha un risultato della gestione straordinaria negativo.
 Area tributaria: riguarda ciò che rappresenta un costo oneri tributari. Consiste nel sezionare in tanti
piccoli redditi il reddito complesso risultato del conto economico in forma scalare.

Risultato al lordo delle imposte= somma delle diverse aree da queste tolgo le imposte e così calcolo per
differenza il risultato netto.
Esempio, slide 10:
 Guardo il risultato operativo:
o A, a parità di fatturato, svolge meglio l’attività rispetto a B A ha costi operativi maggiori rispetto a
B e dunque A è più efficiente;
o Ma il reddito di A è simile a quello di B.
 Guardo la gestione extra-operativa:
o A= quasi irrilevante;
o B=ha peso rilevante (i proventi su partecipazione sono importanti) dunque B ha investito di più
su tali attività.
 Guardo la gestione finanziaria che è quasi allo stesso livello;
 Guardo l’area straordinaria:
o A= saldo negativo calcolo del risultato prudente (in realtà avrò un reddito maggiore);
o B= saldo positivo che ha inciso molto 50% rispetto alle gestioni precedenti e che quindi segna una
plusvalenza, ma non è pronta per eventuali rischi.

Dal risultato operativo in giù vedo come tale reddito viene distribuito.
Le aree eventuali (extra-operativa e straordinaria) vanno ad aumentare o ridurre tali risultati.

DINAMICA DEI COSTI E IL PUNTO DI PAREGGIO:


Punto di pareggio= individuazione dei volumi di attività (produzione e vendita) che un’azienda dovrà
realizzare per coprire i propri costi di produzione guardo la composizione dei costi e la lo loro
suddivisione in:
1. Costi variabili intendiamo quei costi che variano in funzione dei volumi di produzione e di
vendita:
o Costi materie prime;
o Costi per servizi;
o Utenze (parte fissa e parte variabile);
o Provvigioni di vendita;
o Manodopera diretta.
2. Costi fissi rimangono tali perché sono insensibili alle variazioni che si registrano nei volumi di
prodotti realizzati e venduti.
Questi determinano il punto di equilibrio dell’azienda e la sua sensibilità rispetto alle variazioni delle
vendite che si possono registrare.
La differenza tra ricavi e costi variabili dà il Margine di Contribuzione.
o Esso può essere calcolato anche a livello di singolo prodotto  prezzo vendita unitaria del bene
margine di contribuzione unitario;
o Deve esser in grado di coprire i costi fissi.
Ogni volta che vendo un prodotto attuo una combinazione e una variazione all’interno del mio conto
economico. Per stare in equilibrio quanto devo venderne? Tanti quanti quelli necessari a coprire i costi fissi.
Determinare in anticipo il volume di equilibrio devo già sapere all’incirca quanti costi fissi ho così da
essere sicura di coprirli.
Tot costi fissi /margine di produzione
Formula del prodotto di equilibrio.
Costi fissi
Q=
Pr u−Costo delle variazione per unità
Dove Q è la quantità di equilibrio e il denominatore rappresenta il margine di contributo che è dato dalla
produzione unitaria – i costi variabili unitari. Per essere in equilibrio non basta solo essere in equilibrio zero,
ma devo generare anche un reddito equo:
Costi fissi+reddito equo
Q=
Margine dicontribuzione
Dove il reddito equo è caratterizzato dal reddito netto e del reddito lordo (allora prescindo dalle imposte).

04/12
Le SPA sono delle società di capitale, ovvero sono società in cui si risponde per le obbligazioni sociali
esclusivamente con il patrimonio della società.
Esempio: ho un capitale minimo di 50k, esso può essere:
 Interamente sottoscritto e versato almeno per il 25% (quando si tratta di capitale in forma di
denaro);
 Per i conferimenti in natura l'apporto deve essere contestuale (cioè si deve andare dal notaio) no
conferimenti in prestazioni d’opera o servizi.
Gli unici conferimenti che possono essere fatti sono in denaro o in natura.
Il capitale è diviso in azioni.
Cosa sono le azioni? Le azioni sono titoli rappresentativi del capitale di una società per azioni (per le SRL è
diverso perché esse hanno le quote). Caratteristiche delle azioni:
 Sono indivisibili
 Sono uguali al possessore di quella determinata azione spettano gli stessi diritti che spettano ad
un altro soggetto che detiene la stessa azione
 Possono circolare liberamente la vendita non è soggetta a nessuna condizione (nelle SRL i soci
potevano precluderne la vendita per esempio nell’atto costitutivo)
Categorie di azioni (le azioni sono tutte uguali se sono nella stessa categoria):
 Azioni ordinarie gli spetta il diritto di voto sia nelle assemblee ordinarie (effettuate
periodicamente) che in quelle straordinarie. A chi le possiede spetta anche un dividendo;
 Azioni di risparmio agli azionisti di risparmio non spetta diritto di voto, ma hanno vantaggio sulle
remunerazioni:
 Ne esistono tanti altri tipi:
o Azioni privilegiate danno diritto all’azionista a votare solamente nelle assemblee
straordinarie. Beneficiano di un dividendo che sarà maggiore rispetto a quello delle azioni
ordinarie, e minore rispetto a quello che spetta agli azionisti di risparmio, i quali non votano
mai (da nessuna parte). È una sorta di compensazione per i due diritti principali;
invece, fino all’anno scorso, non esistono categorie di quote. In realtà da quest’anno per alcune SRL
esistono anche varie tipologie di quote una differenza classica che esisteva rispetto alle azioni oggi non
esiste più.
Le azioni possono essere anche acquistate dalla stessa azienda. La nostra azienda può acquistare le proprie
azioni, però le società a responsabilità limitata non possono acquistare quote proprie.
Nelle SPA si può optare per diversi modelli di governance, infatti oltre a quello tradizionale esistono anche il
sistema dualistico e monistico:
 Sistema tradizionale. All’apice di tutto c’è l’assemblea dei soci la quale nomina sia l’organo di
controllo (=l’organo sindacale) e l’organo amministrativo. Nelle SPA è obbligatorio avere un organo
sindacale. All’interno di questo sistema di governance (che viene adottato dalla maggioranza delle
SPA in Italia) è possibile che sia presente un altro organo, il “revisore legale” che ha il compito di
verificare che i dati scritti all’interno del bilancio siano reali e legali (effettua l’operazione di
revisione legale). È possibile affidare questa operazione ad altri enti in grado di effettuarlo in modo
appropriato.
Cosa fa l’organo amministrativo? Devono tenere i libri sociali (obbligatori) che sono costituiti dal
libro delle assemblee, libro giornale, libro mastro, libro sindacale ecc. hanno l’obbligo di redigere il
bilancio di esercizio sebbene a volte si fanno aiutare da un ausilio, sostanzialmente lo firmano
loro e quindi sono loro i responsabili del bilancio. Agli obblighi son connessi anche alcuni divieti:
l’amministratore non può essere socio di una società che sia in concorrenza con quello di cui è
amministratore (ad esempio)
 Sistema dualistico. Sistema adottato da alcune società (soprattutto le banche) dove all’apice di
tutto c’è l’assemblea che nomina solo il consiglio di sorveglianza. Che sostanzialmente è l’organo di
controllo (è l’organo che svolge tutte le funzioni dell’organo sindacale). In aggiunta però in questo
modello il bilancio di esercizio viene approvato dal consiglio di sorveglianza. Inoltre, il consiglio di
sorveglianza nomina il consiglio amministrativo detto anche consiglio di gestione (nell’altro sistema
questo veniva nominato sempre dall’assemblea). Questo organo, a differenza del sistema
tradizionale, è sempre un organo collegiale, ovvero formato da più persone in particolare questo
deve essere formati da almeno 2 persone che restano in carica per una durata di tempo non
superiore a 3 anni (mentre invece nel sistema tradizionale c’è un solo soggetto). Infine, il revisore
legale viene nominato dall’assemblea.
 Sistema monistico. Modello adottato da pochissime società (una delle poche società che lo adotta è
la Lazio). In questo modello l’assemblea nomina l’organo amministrativo che prende il nome di
“consiglio di amministrazione” come nel modello tradizionale (nel modello precedente si chiama
“consiglio di gestione”). Questo organo nomina al proprio interno l’organo di controllo che prende
il nome di “comitato per il controllo sulla gestione”. Ciò implica che una parte degli amministratori
saranno anche membri del comitato per il controllo sulla gestione questi membri avranno il
compito di controllare che si operi in nome della legge e dello statuto (hanno un compito simile al
collegio sindacale). Il revisore dei conti anche in questo caso viene nominato dall’assemblea.

I gruppi aziendali:
in generale le aziende, per sopravvivere ad un’accesa competizione, tendono ad aggregarsi. Ci possono
essere aggregazioni di diverso tipo:
 aggregazione informale non c’è un vero e proprio accordo
 aggregazione formale basta su contratti
 legame di natura patrimoniale  caso in cui un’azienda diventa socia di un’altra azienda andando a
creare il fenomeno dei gruppi aziendali. È il legame più forte.
All’interno del c.c. non esiste una definizione puntuale di “gruppo”, in quanto una definizione generale è
ritenuta inutile per una categoria così ampia. Ad esempio, per Terzani un gruppo è: Il gruppo è un «istituto
economico formalmente costituito da più aziende, ciascuna individuata da un proprio soggetto giuridico,
ma tutte gestite secondo gli indirizzi di un comune soggetto economico».
Gli elementi distintivi dei gruppi:
 la presenza di più società con propria autonomia giuridica
 l’esistenza di un unico soggetto economico che esercita una direzione unitaria di tutte le imprese
aggregate chi di fatto governa il gruppo;
 il controllo della capogruppo, basato abitualmente sul possesso di partecipazioni di controllo, sulle
controllate io divento capogruppo di un’azienda acquistando una quota dell’azienda.
All’interno di un gruppo troviamo un soggetto economico immediato (individuazione di una società che
controlla le altre), ma troveremo anche un soggetto economico formato da persone fisiche, perché anche la
controllante sarà un0azienda controllata da altre persone che sono persone fisiche. All’interno di un gruppo
troveremo anche una molteplicità di soggetti giuridici più soggetti giuridici ma un solo soggetto
economico.
Generalmente il controllo si instaura tramite il possesso di partecipazioni. Il c.c. definisce le società
controllate all’art. 2359 che dice: Sono considerate società controllate:
1. le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea
ordinaria (controllo di diritto) andiamo a guardare la maggioranza dei diritti di voti all’interno
dell’assemblea ordinaria.
2. le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante
nell'assemblea ordinaria (controllo di fatto) ciò succede quando all’interno dell’azienda ci sono
molti soci: ad esempio io posso controllare la società anche solo avendo il 40% se il restante 60% è
detenuto da altre migliaia di soci in pochissime percentuali. Questo si può verificare ma in concreto
è necessario verificare due aspetti (dobbiamo guardarle entrambe):
a. il grado di polverizzazione dei soci: la percentuale di quote che ogni socio detiene;
b. il grado di assenteismo in assemblea.
Ad esempio, nell’esempio 4 potrebbe succedere che tutti gli 1% arrivino ad un voto unanime ce
quindi supera il 48% però in questo caso bisogna vedere il grado di assenteismo in assemblea.
Il 51% però non sempre garantisce il controllo legale di una società, perché nei rari casi in cui lo statuto (che
è lasciato alla libertà dei soci) prevede che per cambiare importanti decisioni sia necessario una
percentuale più alta, allora il socio da solo non può decidere del futuro dell’azienda.

La struttura dei gruppi:


Distinguiamo 3 tipi di strutture:
 Struttura semplice qui vi è un solo livello di controllo, cioè c’è la controllante che controlla. Può
controllare un solo soggetto (c’è la presenza di partecipazioni dirette), oppure più soggetti (che si
chiamano società figlie o controllate);
 Struttura complessa sono presenti livelli intermedi di controllo (gli schemi che rappresentano
questo tipo di struttura si chiamano “grafici di partecipogramma”). Ad esempio, A controlla B che a
sua volta controlla C nel bilancio di A non troveremo la voce “partecipazioni in C però il soggetto
economico (colui che controlla cosa farà C) è A perché controlla il suo controllore. Alcuni parlano di
gruppi a scatole cinesi perché ci sono tanti livelli intermedi che servono a non far capire subito chi è
il soggetto economico. La convenienza per A di fare un investimento a struttura complessa prende il
nome “leva azionaria”, ovvero A controlla C attraverso B e dunque attraverso un esborso monetario
inferiore rispetto a quello che subirebbe controllandola direttamente.
 Struttura a catena.

Classificazione dei gruppi:


Possiamo distinguere i gruppi in base a diversi discriminanti:
 Relazione economico-produttiva:
o Gruppi verticali: gruppi in cui le aziende si collocano all’interno di una stessa filiera
produttiva e quindi o nel mercato degli approvvigionamenti o in qualche sbocco. Le diverse
azienda si specializzano in una fase del processo produttivo;
o Gruppi orizzontali: le aziende che vi rientrano fanno tutte quante la stessa attività (ad
esempio producono tutte beni simili)
 Natura giuridica del soggetto economico (per distinguere i due tipi di gruppo dobbiamo guardare il
soggetto economico):
o Gruppi privati;
o Gruppi pubblici: sono gruppi derivanti dal comune.
 In funzione del legame tecnico-economico:
o Gruppi economici: quelli che sviluppano sinergie tra le varie azienda che compongono il
gruppo. Alla base della creazione del gruppo ci sono motivazioni economiche;
o Gruppi finanziari: le varie aziende non sviluppano nessun tipo di sinergia, generalmente gli
investimenti vengono effettuati per motivi speculativi.
 Area geografica di riferimento:
o Gruppi nazionali: operano in un territorio ristretto;
o Gruppi internazionali: hanno società anche all’estero.

05/12:
Punto di pareggio:
Analisi dell’equilibrio economico (B.E.A.)
Tasso di combinazione il risultato è il valore dei ricavi di equilibrio (non più la quantità di prodotti, che
trovavo con il Margine di contribuzione). La differenza tra costi fissi (CF) e i costi variabili (CV) sono alla base
della B.E.A.
Sulle ascisse abbiamo le quantità (=i volumi di produzione di vendita) dopo di che disegniamo una retta in
base a come si muovono le varie voci al variare delle quantità prodotte. L’inclinazione della retta dipende
dal prezzo di vendita unitario:
 Prezzo di vendita basso= angolo chiuso quindi crescita meno significativa;
 Prezzo di vendita alto= angolo aperto quindi crescita maggiore.
I ricavi si muovono in misura proporzionale rispetto all’andamento della variazione (delta) dei volumi.
Per disegnare la curva dei costi bisogna tenere conto del fatto che ci sono i costi variabili e i costi fissi ( i
costi totali sarà la somma dei due). I costi fissi come si muovono? Sono sempre uguali quindi saranno
rappresentati da una retta parallela all’Asse delle ascisse, mentre l’altezza della retta dipende dalla quantità
dei costi fissi. In realtà nessun costo può considerarsi fisso in assoluto, infatti il concetto di osto fisso
presuppone l’individuazione di una certa capacità produttiva. Quindi i costi fissi sono quelli che rimangono
tali all’interno della capacità produttiva esistente noi li abbiamo disegnati come una retta parallela
immaginando di esser sempre all’interno della capacità produttiva esistente. I costi fissi sono variabili “a
scatti”.
I costi variabili invece si muovono analogamente ai ricavi variano con il volume della produzione.
Esempio: il costo delle materie. I costi variabili possono essere espressi con una retta che varia
proporzionalmente al variare del volume di produzione. La pendenza della retta varierà al variare del costo
variabile unitario. I costi variabili partono sempre da zero (come i ricavi).
I costi totali si ottengono facendo la somma di ogni livello di produzione di costi variabili e costi fissi se
volessi disegnare la somma avrei una retta che parte dai costi fissi e ha la stessa pendenza dei costi variabili
(è come se fosse una traslazione dei costi variabili).
Una volta disegnati i ricavi e i costi tot il punto di equilibrio (prescindendo dall’utile) è il punto in cui si
intersecano la retta dei ricavi con quella dei costi questo è il cosiddetto punto di equilibrio detto “Break
Even Point” (B.E.P.). Rispetto al BEP accade che se io mi colloco oltre questo punto, i costi si troveranno
nella zona di utile, mentre al di sotto del BEP mi trovo nella “zona di perdita”. Questo BEP e dunque la
dinamica della perdita e dell’utile dipendono dall’entità dei costi fissi, dall’incidenza dei costi variabili
unitari e dall’incidenza del costo di vendita unitario.
L’analisi del punto di equilibrio non sono è funzionale ad individuare in via anticipata qual è la condizione di
equilibrio, ma mi consente anche di individuare anche le altre grandezze in funzione di particolari obiettivi.
Questo ci fa capire che modificandosi queste grandezze si modifica anche il grafico il BEP può spostarsi
avanti e indietro o la differenza tra costi ricavi può ridursi.
La differenza tra costi fissi e costi variabili si dovrebbe capire guardando i grafici: slide 14.
Effetto dell’incidenza della differenza tra costi fissi e costi variabili:
L’azienda B sostiene più costi variabili per esempio fa fare lavori di produzione interna a terzi. Ha
investito di meno in costi fissi e quindi c’è una prevalenza dei costi variabili. Invece nel dell’azienda A c’è un
maggior carico di costi fissi e quindi il punto di equilibrio un po’ più di 7k nella zona utile gli utili sono
significativi così come per le perdite. Dove i costi fissi sono prevalenti, il risultato economico (utile e perdite)
varia in maniera più sensibili rispetto ai volumi della produzione di vendita.
Nelle aziende in cui prevalgono i costi variabili il risultato operativo è meno sensibile rispetto ai risultati di
variazione dei volumi e vendita.
Le aziende che presentano una maggiore incidenza di costi fissi, potenzialmente possono conseguire dei
risultati maggiori, ma anche delle perdite maggiore hanno una possibile maggiore redditività, ma corrono
anche die maggiori rischi. Quindi la scelta per un modello piuttosto che per l’altro dipende anche dalle
previsioni in base alla previsione dei livelli di vendita e di redditività.
Esempio: un’azienda che presenta una variabilità nei volumi di produzione e di vendita dovrebbe
fronteggiare il rischio della vendita con una struttura più elastica, mentre se già so che avrò un tot di
vendite costanti posso anche decidere di adottare una struttura più rigida,
la soluzione più equilibrata per un’azienda che non sia in fase di startup (in cui si deve essere elastici)
sarebbe quello di fare un po’ e un po’ dovrebbe combinare i vantaggi delle due strutture:
 vantaggio della maggiore redditività struttura rigida
 vantaggio di fronteggiare maggiormente il rischio  struttura elastica
Ogni azienda rischia che i suoi risultati effettivi possano discostarsi dai valori previsti rischio economico
generale dell’impresa. Questo è il rischio che valutano gli investitori nel momento in cui devono decidere se
effettuare un investimento su un’azienda o meno. Quado si parla del rischio economico generale, in genere
si dice che è formato da due componenti:
 Rischio operativo (connesso all’attività operativa) che sta ad indicare qual è il rischio che il mio
risultato economico si discosti da quello previsto per effetto della gestione operativo. Questo
dipende dl settore in cui opero (concorrenza), ma anche dal modo in cui sto nel mercato (in base al
mercato di riferimento potrei adottare una struttura o l’altra;
 Rischio finanziario (connesso alla gestione finanziaria). Dipende da come l’azienda si è finanziata.
Da questo punto di vista si ritiene che quanto più un’azienda si finanzi con capitale di rischio, tanto
più è solida dal punto di vista finanziario. Quanto più invece un’azienda si dota di capitale di
credito, tanto più è debole dal punto di vista finanziario perché è soggetta ai vincoli dei finanziatori.
Le aziende che si dotano per lo più del capitale di rischio hanno un maggior potenziale di redditività, ma allo
stesso tempo hanno maggiore rischio operativo. Esempio: supponiamo un’azienda che abbia come costi
fissi 1 mln, i costi variabili sono il 40% dei ricavi: qual è l’utile operativo dell’azienda se i ricavi sono 5 mln e
se poi passano a 6 mln?
 Ricavi 5 mln
o Costi variabili 2 mln
 Prima differenza= margine di contribuzione totale= 3 mln
o Costi fissi 1 mln
o Utile 2 mln
 Ricavi 6 mln
o Costi variabili 2.4 mln
 Margine di contribuzione 3.6 mln
o Costi fissi 1 mln
o Utile 2.6 mln
Dalla prima alla seconda situazione i ricavi sono aumentai del 20%.
L’utile si è incrementato di 600k, quindi un incremento del 30% (su 2 mln).
In presenza di un incremento del fatturato del 20% ho un incremento dell’utile del 30%  più che
proporzionale. Io questa variazione avrei potuto calcolarla anche senza rifare il conto economico,
attraverso la leva operativa, che è data dal rapporto tra
Margine di contribuzione
Leva Operativa=
Risultato operativo
La leva operativa indica che il risultato operativo (=utile) di un’azienda si moltiplica di 1,5 volte rispetto alla
variazione del fatturato (in questo caso).
Un’azienda che ha un’alta leva operativa è un’azienda che ha un utile che risagisce in modo più sensibile. La
leva operativa di un’azienda dipende dall’incidenza dei costi fissi e dei costi variabili un’azienda che ha
alti costi fissi è un’azienda che ha un’alta leva operativa.

06/12:
PARTITA DOPPIA:
Contabilità generale: strumento attraverso cui si annotano gli eventi aziendali nei loro effetti economici e
finanziari. La contabilità si basa su uno strumento che è il CONTO, ovvero uno strumento/documento che
ha ad oggetto un determinato valore e che è volto a rappresentare, di questo valore, tutte le variazioni che
nel tempo si verificano. Andranno usati tanti conti quanti sono i valori di cui si vuole tenere traccia e i valori
di cui tenere traccia sono connessi al tipo di informazioni che si vogliono ottenere.
Se la contabilità è volta alla rappresentazione del capitale del reddito, questa si basa sull’utilizzo di diversi
conti ciascuno riferito ai valori che sono già presenti all’interno della tavola dei valori. Quindi nella
contabilità saranno presenti tanti conti, ognuno intestato a un valore così da avere un documento che
esprime le variazioni idi ciascuno di questi valori. Per questo motivo, ogni volta che si effettua
un’operazione aziendale occorre domandarsi quali sono i valori interessati e poi annotare la variazione di
questi valori nei rispettivi conti. Esempio: supponiamo che venga costituita una società con capitale sociale
di 1 mln depositato in banca:
 Il capitale bancario aumento
 Il capitale sociale aumenta
Il contabile prende il conto “capitale bancario” e il conto “capitale sociale” e scriverà in entrambi aumentati
di 1 mln. Poi ho un aumento di spese per acquisto di materie prime a dilazione allora prenderà il conto
“spese di acquisto materie” dove annota un aumento, poi prende il conto “debiti verso i fornitori” e
segnalerà un aumento.
Si parla di partita doppia perché, così come avviene nella tavola dei valori, di ogni fenomeno si osservano i
due aspetti:
 Aspetto originario;
 Aspetto di causale mi domando come mai questo evento è avvenuto.
Il funzionamento della contabilità avviene attraverso un insieme di regole.
Ogni conto è intestato a un determinato valore e di questo valore ne accoglie le variazioni
(aumento/diminuzione). Per far ciò ciascun conto presenta un’intestazione (ad esempio “Depositi
bancari”), ma soprattutto è diviso in due sezioni, che servono per rappresentare gli aumento o le
diminuzioni di quel valore. Le due sezioni per convenzione prendono il nome: quella sinistra di DARE, quella
di destra di AVERE (sono due termini convenzionali).

DEPOSITI BANCARI
DARE AVERE

1. Queste due sezioni funzionano in maniera antitetica: una accoglie le variazioni in aumento, l’altro
accoglie le variazioni in diminuzione.
2. Per far si che funzioni come partita doppia è necessario che ci siano due serie di conti: i “conti
intestati a valori originari” (=valori numerari) e i “conti intestati a valori causali” (=spiegano le
variazioni del numerario, sono i valori economici).
3. I conti numerari e i conti di causale funzionano in maniera opposta, antitetica, ovvero mentre i
conti numerari accolgono le variazioni numerarie positive (in aumento) nel dare e le variazioni
numeraria negative nell’avere, quelli economici accolgono le variazioni economiche positive
nell’avere e le variazioni economiche negative in dare:
a. Valori economico-finanziari negativi= meno finanziamenti/positive= più finanziamenti;
b. Valori economico-reddituali negative= più costi/positive= più ricavi.

Conti numerari
DARE AVERE
+ -
Meno liquidità Meno liquidità
Più crediti Meno crediti
Meno debiti Più debiti

Conti economici:
DARE AVERE
- +
Meno finanziamenti Più finanziamenti
Più costi Più ricavi

ESEMPIO:
Vendita prodotti in contanti.
Acquisto di materie in contanti per 30k (nei debiti bancari -30k).
Ho un debito di 1 mln accreditato sul conto corrente aumento di un milione i depositi bancari (variazione
numeraria positiva), il capitale di credito aumenta di 1 mln, aumentano di 1 mln i debiti

Debiti bancari
DARE AVERE
80k 30k
1 mln

Ricavi per vendita prodotti:


DARE AVERE
80k

Spese acquisto materie prime:


DARE AVERE
30k

Debiti verso banche:


DARE AVERE
1mln

Grazie al fatto che i due conti funzionano in maniera antitetica io avrò sempre che i valori che io scrivo nel
dare in o più conti equivalgono come totale con i valori che scriverò in avere di altri conti. È un sistema
bilanciante.
Quando il contabile vuole vedere la situazione dell’azienda, espone nella tavola dei valori tutti i conti che
ha.

Terminologia:
 Accendere un conto= intestare un conto a un determinato oggetto (per la prima volta iscrivo un valore
in questo conto);
 Addebitare= Iscrivere un valore nel dare;
 Accreditare un conto= iscrivere un valore in avere;
 Fare il saldo di un conto= calcolare la differenza tra i valori in dare e in avere;
 Chiudere un conto= fare il saldo e iscriverlo nella sezione opposta così che il saldo diventi zero.

La tavola dei valor imi aiuta perché guardandola io già so dove scrivere le vari voci nei conti, ovvero se
inserire le voci in dare o avere.
Esempio: pago debiti verso fornitori. Si riduce la liquidità variazione numeraria negativa che devo scrivere
in avere. Debiti verso fornitori diminuiscono variazione numeraria positiva che scriverò nel dare.
Quindi guardando la tavola dei valori, se un valore aumenta, lo lascio nello stesso posto in cui lo trovo, se
aumento lo scrivo nella parte opposta rispetto a quella in cui l’ho trovato.

Posto che ogni singola gestione si annotano in ogni singolo conto (il libro in cui ci sono tutti i conti si chiama
Libro Mastro), capiamo che non c’è la possibilità di ricostruire le operazioni di gestione e i movimenti
connessi (dato che abbiamo conto per conto), allora le annotazioni che si fanno nei singoli conti si fanno
anche in un libro che li annota in maniera corologica (“Libro Giornale”). Il libro giornale è fatto a colonne:
 Data;
 Conti;
 Se sono addebitati o accreditati;
 Se sono stati importati.

Esempio:
DATA CONTI D/A IMPORTATI
Depositi bancari D 80
Ricavi vendita prodotti A 30
Spese per acquisti D 30
Depositi bancari A 30
Depositi bancari A 10
Interessi passivi D 7
Debiti verso banche D 3

Il libro giornale si aggiorna tutti i giorni.


In genere per ogni operazione si scrive anche una breve causale, ovvero una breve spiegazione così che si
possa comprendere che azione si è rilevata (sempre all’interno del libro giornale).
Ogni conto ha un suo codice alfa-numerico così che sia non modificabile.
Ogni azienda all’inizio della sua vita si dota di un “Piano dei conti” che è l’insieme dei conti che possono
essere utilizzati nella vita di un’azienda non è uguale per tutte le aziende, ma è simile. Sicché ogni volta
che il contabile usa un nuovo conto, va a cercarlo tra quelli presenti all’interno del piano dei conti.

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