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1.

L’azienda

a)  Definizione: l’azienda può essere definita in due diversi modi.


Secondo l’economia aziendale e Zappa, è un istituto economico destinato a
perdurare nel tempo che per il soddisfacimento dei bisogni umani ordina e svolge
in continua coordinazione la produzione di beni e di servizi. Questa azienda deve
poter perdurare per tutto il tempo necessario nel quale l’azienda stessa riesca a
mettere in atto tutte le azioni, gli equilibri di gestione, che le permettano una
continuità nel tempo per arrivare al suo obiettivo finale.
Il suo scopo deve essere quindi quello della perdurabilità, cioè della condizione di
gestione dell’azienda che le permetta di durare per un tempo tale da portare a
termine gli obiettivi che si era prefissata (principio finalistico).

Nel codice civile, l’articolo 2555 (libro 5), definisce dal punto di vista giuridico
l’azienda: questa definizione è molto diversa da quella precedente.
L’azienda viene definita come un complesso di beni organizzati dall’imprenditore
per l’esercizio dell’impresa. Inoltre questo articolo non parla propriamente di
azienda, ma si riferisce piuttosto all’imprenditore. In realtà, in economia aziendale,
l’impresa è una cosa diversa rispetto all’azienda: l’impresa per l’economia
aziendale è infatti un’azienda a rischio di mercato, cioè un’impresa che rischia di
fallire e per questo di uscire dal mercato.
Non tutte le aziende sono imprese, perché non tutte le aziende possono fallire: lo
Stato ad esempio non può fallire (Grecia).
Il codice civile definisce l’imprenditore in due articoli:
• -  art. 2082: in base a questo articolo, l’imprenditore è colui che esercita
professionalmente un’attività economica organizzata, al fine della
produzione e dello scambio de beni e di servizi;
• -  art. 2195: questo articolo parla invece di imprenditore commerciale, cioè
imprenditore che si occupa di determinate attività come, l’attività
industriale diretta alla produzione di beni e servizi. L’unico imprenditore non
commerciale è l’agricoltore che lavora con lavoro proprio e della propria
famiglia, senza chiaramente eccedere nelle dimensioni, altrimenti
diventerebbe anch’egli un imprenditore commerciale.

b)  Le varie classi di aziende: esistono 4 classi di istituti in cui l’attività economica è
particolarmente rilevante, e questi sono:

• L’azienda familiare di consumo e gestione patrimoniale, che ha interessi e


caratteristiche di ordine sociale, etico, religioso.
• L’azienda di produzione, che ha carattere tipicamente economico.
• L’azienda composta pubblica, che ha interessi sociali, etici, religiosi e politici.
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• L’azienda non profit, che è un istituto che opera sul mercato ma privo di scopo
di lucro; prevalgono contenuti economico o sociali e politici.

c)  Le finalità economiche delle imprese: Le 4 classi sono accumunate dal fine
generale del soddisfacimento dei bisogni umani e dal mezzo comune dell’attività
economica. Sono però differenti i particolati fini immediati.
• Nell’azienda familiare di consumo e gestione patrimoniale il fine è
l’appagamento dei bisogni dei membri della famiglia mediante il reddito
derivante dal lavoro e dalla gestione patrimoniale.
• Nell’azienda di produzione il fine è la produzione di remunerazioni monetarie e
di altra specie per soddisfare i bisogni di coloro che gravitano attorno a questa
economia (prestatori di lavoro e conferenti di capitale di rischio).
• Per l’azienda composta pubblica, il fine è l’appagamento dei bisogni pubblici
delle persone mediante la produzione di beni pubblici e il loro consumo e la
remunerazione dei prestatori di lavoro.
• Per l’azienda non profit, il fine è l’appagamento dei bisogni di associati e altre
categorie di persone e la remunerazione dei prestatori di lavoro.

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2. L’assetto proprietario delle imprese:

a)  La possibile classificazione: l’assetto proprietario è una variabile complessa


che può essere definita come la distribuzione dei diritti di proprietà tra i vari
soggetti che partecipano alla vita dell’istituto. Per diritto di proprietà si intende sia
il diritto/dovere di governo dell’istituto, ossia il diritto di prendere le decisioni
aziendali, sia il diritto dovere di godere dei risultati aziendali. In genere questi due
diritti fanno capo allo stesso insieme di persone: chi governa l'impresa è anche chi
in genere gode dei risultati residuali. Un’eccezione è rappresentata dall’assetto
proprietario degli istituti non-profit in cui, chi governa non può appropriarsi dei
risultati residuali.
La teoria di Henry Hansmann, che ha un’impostazione di tipo contingency,
afferma che non esiste un assetto proprietario ottimale per qualsiasi tipo di
impresa; l’assetto proprietario deve essere scelto in funzione di due variabili: i costi
di marketing contracting e i costi di ownership suscitati da ciascun possibile
assetto proprietario. La scelta razionale è quella che in ciascun caso minimizza la
sommatoria dei due insiemi di costi.

In base all’assetto proprietario si possono avere diversi tipi di imprese: ad assetto


proprietario capitalistico, ad assetto proprietario non capitalistico, ad assetto
proprietario misto e con diritti proprietari limitati.

Le scelte di assetto proprietario sono scelte complesse poiché esse: devono tener
conto di numerose circostanze ed esigenze; possono dar luogo a soluzioni
differenti (per scegliere bisogna considerare: i costi di marketing contracting e i
costi di ownership; i tipi e i volumi dei benefici privati; le qualità, i volumi e la
criticità relativa degli input necessari per lo svolgimento delle combinazioni
economiche di impresa).

b)  Le caratteristiche delle imprese ad assetto proprietario capitalistico: si


distinguono diverse fattispecie in base al grado di concentrazione del capitale di
rischio, alla natura pubblica o privata dei titolari del capitale di rischio e alla
distribuzione dei diritti di voto e di rimunerazione.

Con riguardo alla concentrazione del capitale di rischio, si considerano tre casi
emblematici:
a) l'impresa con un solo proprietario, spesso l’imprenditore fondatore; in genere è
un’impresa di piccole dimensioni in cui i diritti di proprietà sono tutti concentrati in
un’unica persona;
b) l'impresa in forma di società per azioni, quotata in borsa, con numerosissimi
azionisti minori e un azionista di controllo;
c) l'impresa in forma di società per azioni, quotata in borsa e senza azionisti di
controllo, ossia con numerosi azionisti che non possono partecipare direttamente
alla nomina degli amministratori e al governo dell’impresa; è il caso delle public
company.

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In tutti e tre i casi i diritti di proprietà fanno capo all'insieme dei conferenti di
capitale di rischio, ma si tratta di assetti completamente diversi.

I conferenti di capitale possono essere di natura pubblica o privata, in alcuni Paesi


lo Stato ha un ruolo fondamentale come conferente di capitale di rischio o come
azionista di controllo di grandissime imprese quotate in borsa.
I diritti di governo e i diritti ai risultati residuali possono essere distribuiti in modo non
uniforme.

c)  Le caratteristiche delle imprese con assetto proprietario non capitalistico:


imprese in cui i diritti di proprietà non sono assegnati ai conferenti di capitale di
rischio, bensì ad altre categorie di soggetti.
In questi tipi di imprese spesso si pongono particolari limiti all’appropriabilità dei
risultati reddituali, e così si avvicinano alla forma degli istituti non- profit.
Ne sono un esempio le cooperative, nelle quali i diritti di proprietà vengono
assegnati ai prestatori di lavoro, o ai clienti, o ai fornitori.

d)  Le caratteristiche delle imprese ad asseto proprietario misto: imprese in cui i


diritti di proprietà vengono assegnati a più di una categoria di soggetti, ripartiti
spesso tra i conferenti di capitale di rischio e i prestatori di lavoro.
Due casi emblematici:
a) la grande impresa tedesca, nella quale i membri del consiglio di
amministrazione sono eletti dai membri del consiglio di sorveglianza che è formato
dai rappresentanti dei prestatori di lavoro e dai rappresentanti dei capitali di
rischio;
b) la grande impresa giapponese, che per decenni ha visto nei consigli di
amministrazione i rappresentanti dei sindacati dei prestatori di lavoro.

In alcuni casi, una parte dei diritti di proprietà è attribuita ai conferenti di capitali di
prestito quali le banche.

e) Le caratteristiche delle imprese con diritti di proprietà limitati: sono quelle


imprese in cui diritti di proprietà vengono in misura rilevante esercitati da soggetti
esterni all’impresa. Le due situazioni principali sono:
-  Imprese facenti parte di gruppi di imprese nelle quali un capogruppo esercita
un’attività di indirizzo sulle altre aziende
- Imprese operanti in contesti fortemente regolamentati dallo Stato che impone
scelte fondamentali

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3. La break even analysis:

a)  Il contesto di utilizzo: L’analisi costi-volumi-risultati consente di illustrare le


relazioni che esistono tra i volumi di beni effettivamente prodotti e venduti da
un’impresa e i risultati operativi da questa conseguiti. Uno degli elementi più
rilevanti dell’analisi costi-volumi-risultati è la determinazione del punto di pareggio
o break even point, cioè dell’ammontare di vendite che consente di coprire tutti i
costi aziendali, al fine di chiudere il periodo di riferimento senza profitti né perdite.
Il punto di pareggio può essere inteso come numero di pezzi da produrre e
vendere per andare a pareggio (punto di pareggio in volumi) o come fatturato
da conseguire per andare a pareggio (punto di pareggio in fatturato).

I costi di gestione caratteristica (si considerano solo i costi di produzione) possono


essere classificati in due grandi categorie: i costi variabili e i costi fissi.
I costi variabili sono quei costi direttamente e strettamente correlati al volume di
produzione e vendita; sono quei costi che variano al variare della quantità
prodotta e venduta. Rientrano in questa categoria costi quale le provvigioni di
vendita, i consumi di materie prime, le lavorazioni esterne.
L’analisi costi-volumi-risultati assume l’ipotesi semplificatrice che fra volumi e costi
variabili esiste una relazione lineare.

I costi fissi sono tutti i costi che non risultano direttamente e strettamente correlati
al volume di produzione e di vendita; sono quei costi che non variano al variare
della quantità prodotta e venduta. Rientrano in questa categoria costi quali la
manodopera indiretta e diretta (se non facilmente aumentabile, riducibile o
riallocabile), gli affitti, la pubblicità, le manutenzioni, le quote di ammortamenti, le
consulenze legali e amministrative. L’analisi costi-volumi-risultati assume l’ipotesi
semplificatrice che i costi fissi rimangano invariati, qualsiasi sia il volume
realizzato.
I costi fissi di gestione caratteristica a loro volta possono essere:
• costi fissi di struttura: si tratta di costi fissi strettamente connessi alla capacità
produttiva dell’azienda in un certo momento.
• costi fissi di sviluppo: si tratta di costi che sono fissi in quanto non variano
direttamente al variare della quantità di produzione o di vendita; sono però dei
costi che non dipendono direttamente dalla capacità produttiva dell’azienda,
ma sono destinati a sostenere l’attività corrente e a porre le condizioni per lo
sviluppo futuro dell’azienda.

Sommando i costi fissi e i costi variabili si ottengono i costi totali di gestione


caratteristica. Dal punto di vista grafico, la retta dei costi totali ha un punto di
minimo che corrisponde ai costi fissi e la stessa inclinazione dei costi variabili.
Dividendo i costi totali per il volume dei beni prodotti e venduti, si ottiene il costo
totale unitario; totale perché include sia la parte fissa sia la parte variabile, unitario
perché riferito a un’unità di prodotto.

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b)  L’esemplificazione grafica e matematica: I passaggi matematici che
consentono di determinare questo punto di pareggio sono molto semplici.
Il punto di pareggio operativo espresso in quantità (QP) è rappresentato dal
volume di produzione per il quale i ricavi totali (R) sono pari ai costi totali (CT) di
gestione caratteristica, ovvero:
R = CT
I costi totali sono dati dalla somma tra costi fissi e costi variabili, quindi:
R = CF + CV
Sia i ricavi che i costi variabili totali dipendono dalla quantità prodotta (QP);
quindi:

Ru X QP = CVu X QP + CF

Da passaggi matematici si ottiene:


Ru x QP – Cvu X QP = CF

QP (Ru – Cvu) = CF

QP = CF / (Ru – Cvu)

La differenza fra ricavi unitari e costi variabili unitari (Ru – Cvu) viene detta margine
di contribuzione unitario (MDCu) per cui possiamo scrivere:

Q = CF / MDCu

Il punto di pareggio è il punto nel quale la retta dei ricavi totali incrocia la retta dei
costi totali; a sinistra del punto di pareggio il reddito operativo è negativo
(essendo i costi più alti dei ricavi), a destra del punto di pareggio il reddito
operativo è positivo. La distanza fra la retta dei ricavi e quella dei costi di gestione
caratteristica totali rappresenta il reddito operativo.

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Significato del punto di pareggio:
• Soluzione contabile: corrisponde a un reddito nullo
• Soluzione economica: corrisponde a un reddito pari alla rimunerazione dei fattori
di produzione non onerosi
• Soluzione finanziaria: è un punto finanziario, indica il volume delle vendite
necessario ad assicurare la reintegrazione finanziaria o monetaria nel breve
periodo dei costi.

c) Il limite della BEA:


1. È riferita al breve periodo
2. È statica: si ipotizza l’invariata di costi variabili unitari e prezzi
3. Non viene considerato il magazzino
4. Il volume di produzione è considerato l’unico driver dei costi rilevante
5. Si basa su una distinzione non sempre attuabile tra costi fissi e costi variabili
6. Si utilizzano semirette (relazioni lineari tra le varie quantità economiche), porta
ad errori trascurabili

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4. L’espansione internazionale:

Un’altra modalità di crescita è data dall’espansione internazionale, cioè la


strategia volta ad ottenere nuovi sbocchi della propria produzione effettuata nel
paese d’origine o all’estero, sbocchi collocati all’estero (perseguibile in tempi non
brevi).

a)  la definizione di impresa multinazionale: è un’impresa che svolge all’estero una


parte rilevante della propria attività mediante unità operative. La gestione delle
unità operative è controllata direttamente dalla casa madre. L’approccio
strategico considera più nazioni come facenti parte di un solo grande mercato.
È possibile individuare tre categorie di imprese multinazionali:
• la prima riguarda quelle imprese che si sono sì sviluppate all’estero ma
mantengono una posizione dominante sul mercato interno;
• la seconda, che in seguito verrà detta internazionale, è quella impresa che ha
superato la tradizionale distinzione fra mercato interno ed esterno ma
mantenendo la propria origine nazionale nella proprietà e nel management;
• la terza categoria di imprese, che verranno definite globali o transnazionali,
tendono ad avere una visione multinazionale sia nella composizione societaria,
sia nel management, sia nelle strategie di sviluppo.

b)  le fasi storico-culturali di sviluppo dell’impresa multinazionale:


-  imprese multinazionali: sono tipiche dell’espansione avvenuta prima della
seconda guerra mondiale. è caratterizzato dalla necessità delle imprese di
decentralizzare la propria attività e la propria capacità organizzativa per venire
incontro alle differenti esigenze nazionali.
Gli aspetti che caratterizzano tale struttura sono:
• federazione decentralizzata: si intende sia la distribuzione delle risorse alle filiali
estere sia la delega organizzativa a favore dei responsabili locali;
• controllo personale: il controllo tra direzione centrale e responsabili locali
avviene in base ad un rapporto personale di tipo fiduciario;
• mentalità multinazionale del management: la strategia consiste nel
miglioramento dell’azienda nei mercati mondiali più importanti gestendo le
unità all’estero come un insieme di imprese indipendenti il cui obiettivo era
quello di aver presente il solo mercato locale, adattandosi alle sue esigenze
(gusti, cultura, tradizioni) cercando solo di ottimizzare la propria posizione.

-imprese internazionali: sono tipiche della realtà economica dei primi decenni del
secondo dopoguerra.
Nacquero dall’esigenza di trasferire conoscenze agli ambienti stranieri meno
progrediti tecnologicamente e commercialmente.
Sono caratterizzate da federazione coordinata. Le consociate locali erano portate
ad adottare prodotti e/o strategie della casa madre con la conseguenza, rispetto
alle imprese multinazionali, di una maggiore dipendenza della consociata estera
rispetto alla sede centrale. In tema di controllo amministrativo i legami sono molto
più stretti e formalizzati tramite complessi e raffinati sistemi di pianificazione e di
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gestione, tale da permettere all’alta dirigenza della casa madre non solo un
accurato controllo sulle consociate, ma anche un punto di riferimento per
indirizzarne lo sviluppo. Naturale conseguenza di questo stretto rapporto di
conseguenza appare la mentalità dei dirigenti della casa madre nei confronti del
management locale, basata su un rapporto di superiorità nei confronti di
quest’ultimo. In definitiva, si tratta di una mentalità di tipo coloniale non solo a
livello di management, ma anche nell’ottica dello sfruttamento delle risorse.

-  imprese globali: L’impresa globale vede invece una centralizzazione delle


attività, delle risorse e delle responsabilità: le consociate estere si limitano alla sola
funzione di marketing e sono utilizzate per raggiungere i mercati stranieri.
Le unità locali sono meno indipendenti in termine di progettazione e svolgono
un’attività prettamente esecutiva.
L’idea cardine di questo modello è quella di considerare il mondo come un unico
mercato integrato e con modeste differenze.

c)  le relazioni con l’impresa transnazionale: si pone in una situazione intermedia


fra impresa globale e multinazionale.
Cerca di coniugare i vantaggi legati all’integrazione e quindi all’efficienza propri
dell’impresa globale, con la possibilità di sfruttare opportunità locali tipiche
dell’impresa multinazionale.
In definitiva, l’impresa transazionale si prefigge, attraverso le attività collocate nel
mondo, il raggiungimento di determinati scopi a livello nazionale.
Vi è la concentrazione di certe risorse presso sede centrale (per risorse
strategiche), mentre altre funzioni in paesi differenti (es: produzione dove i costi
sono bassi).

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5. La gestione finanziaria delle imprese:

a)  il contesto di riferimento: è una tipologia di coordinazione economica parziale


ed è l’insieme delle operazioni volte a coprire il fabbisogno finanziario, ossia il
fabbisogno dei mezzi monetari necessari per avviare l’impresa e per sostenerne lo
sviluppo, con l’uso di capitale proprio e capitale di credito.
La gestione finanziaria copre i fabbisogni originati da tutte le gestioni,
caratteristica, patrimoniale, assicurativa e tributaria.

b)  il concetto di fabbisogno finanziario: è il fabbisogno di mezzi monetari necessari


per avviare l’impresa e per sostenerne lo sviluppo, con l’uso di capitale proprio e
capitale di rischio. Il fabbisogno finanziario delle imprese deriva essenzialmente dal
fatto che le imprese devono sostenere dei costi per effettuare pagamenti prima di
poter vendere i loro prodotti, di conseguire i relativi ricavi e di realizzare i
conseguenti incassi (gli incassi derivanti dalle “vendite” si manifestano
successivamente ai pagamenti derivanti dagli “acquisti”).

Il fabbisogno finanziario di un’impresa può essere coperto mediante due fonti:


✓ capitale proprio, o capitale di rischio: questo è il capitale che i soci investono
nell’azienda o l’utile conseguito ma non distribuito; le decisioni in merito al
capitale proprio sono sì decisioni di copertura del fabbisogno finanziario, ma
anche decisioni di assetto istituzionale in quanto al capitale di rischio sono
collegati i diritti di proprietà, quindi di governo dell’impresa
✓ capitale di prestito: capitale ottenuto da terzi. Questo capitale produce dei costi
sotto forma essenzialmente di interessi passivi, cioè il prezzo che viene pagato
dalla nostra impresa per poter disporre di un certo ammontare di denaro per un
certo periodo di tempo.

c) negoziazioni coinvolte: la gestione finanziaria è caratterizzata da due classi di


negoziazioni:

o negoziazioni di capitale proprio – di rischio: queste negoziazioni derivano


direttamente
dalle scelte di configurazione dell’assetto istituzionale dell’azienda.
I conferenti di capitale proprio, infatti, apportano all’impresa mezzi monetari
attendendosi poi una remunerazione correlata ai risultati reddituali dell’azienda
stessa, incerta quindi nel suo importo e nel suo segno, che può essere positivo
(utile) o negativo (perdita): proprio per questo motivo, questo tipo di capitale
viene chiamato “di rischio”.
Il conferimento di capitale di rischio dà agli investitori il diritto di voto nelle
assemblee dei conferenti di capitale di rischio, ossia negli organi ai quali sono
riservate le decisioni essenziali per la vita dell’impresa.

o negoziazioni di capitale di prestito: queste negoziazioni hanno per oggetto


l’acquisizione o la cessione di mezzi monetari destinati alla copertura di fabbisogni
finanziari delle aziende. Il soggetto che riceve capitale di credito si impegna a
rimborsarlo entro certi tempi e concorda di pagare un prezzo sotto forma di

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interessi passivi, che sono proporzionati ad esempio alla quantità di denaro
ricevuta, o al livello di rischio che il conferente di capitale di rischio attribuisce alla
negoziazione.
Il tasso di interesse può essere fisso oppure variabile, cioè collegato a determinati
indicatori come il tasso di inflazione.

-prestito o credito
-proprio o di rischio

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6. La struttura organizzativa di base:

a)  la definizione: La struttura organizzativa dell’azienda può esser definita come la


configurazione unitaria e coordinata degli organi aziendali e dell’insieme di
compiti e di responsabilità assegnate a ciascuno di tali organi.
Il concetto di struttura organizzativa si basa su tre aspetti:
• processo di progettazione;
• output formali del processo di progettazione;
• sistema di ruoli: per ruolo si intende l’insieme delle attese di comportamento che
l’azienda si aspetta nei confronti di una persona che occupa una determinata
posizione.

Processo di progettazione - può sintetizzarsi nel modo seguente:


1. Si definisce l’insieme complessivo dei compiti che devono essere svolti
dall’organismo personale;
2. Si sceglie un criterio di divisione del lavoro
3. Le varie unità organizzative vengono disposte in un ordine gerarchico
4. Si assegnano le singole mansioni alle singole posizioni che compongono l’unità.

Gli output formali del processo di progettazione della struttura organizzativa sono:
• Un elenco di unità organizzative rappresentato negli organigrammi;
• Un corrispondente elenco di insiemi di compiti e responsabilità assegnati a
ciascuna unità rappresentato in mansionari;
• Un insieme di relazioni gerarchiche che collega le varie unità organizzative;
rappresentato negli organigrammi.

b)  le varie forme alternative: la progettazione della struttura organizzativa al


momento della creazione di un’impresa consiste nella scelta tra le quattro forme
di base e dipende dalle caratteristiche dell’impresa stessa facendo riferimento ai
differenti criteri di divisione e coordinamento del lavoro.
- Struttura di base elementare
- Struttura di base funzionale (pura o mista)
- Struttura di base divisionale (pura o mista)
- Struttura a matrice/mista

La scelta della struttura si compie attraverso 5 variabili:


1. le economie di scala ottenibili con funzioni centralizzate,
2. il grado di specializzazione richiesta all’interno delle singole funzioni,
3. le economie di raggio di azione che si possono realizzare con la gestione
centralizzata di competenze core,
4. le interdipendenze tra le funzioni relative a ciascuna linea di prodotto,
5. le circostanze favorevoli alla divisionalizzazione.

c) si parli della struttura elementare: viene adottata dalle aziende di piccole


dimensioni e semplici; in tale struttura la funzione di governo economico e la
funzione di direzione sono svolte da un unico organo di direzione generale, da cui
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dipendono direttamente le unità operative.
La struttura elementare è analoga a quella funzionale ma manca il livello delle
direzioni di funzione. Vi è la massima concentrazione del potere organizzativo al
vertice dell’azienda. Le unità operative sono fortemente condizionate
dall’imprenditore.

d) si parli della struttura funzionale:


Definizione: è un modello di struttura in cui l’organizzazione si basa sulla
suddivisione del lavoro in base alle funzioni; le funzioni sono un modo di
suddividere i processi in modo che siano della medesima specie (acquisti,
produzione, vendite…).
Principali caratteristiche: è basata sulle funzioni, un direttore generale coordina
l’attività di altri direttori di funzione, è particolarmente adatta per produzioni molto
specializzate (aziende di medie dimensioni). Possiede una direzione generale dalla
quale dipendono le direzioni per funzione.
PREGI: ho un solo direttore, altissima specializzazione
DIFETTI: visione eccessivamente settoriale, lentezza risposta a cambiamenti
ambientali che richiedono coordinamento tra le varie unità organizzative, lenta
innovazione.
Tipo di combinazioni economiche per le quali è più adeguata: combinazioni
produttive semplici. Si applica ad imprese con un solo prodotto o una linea
omogenea di prodotti, destinati a un solo tipo di clienti, cioè imprese che
effettuano una produzione standardizzata, che realizzano prodotti
sostanzialmente identici e che differiscono solo per elementi di secondaria
importanza.

e)  si parli della struttura divisionale:


Definizione: è un modello di struttura in cui la società ha più aree strategiche di
affari. Non interessa solo l’impresa unica, ma anche gruppi di imprese.
Principali caratteristiche: dalla direzione generale dipendono le divisioni per
prodotto. Vi è una parte funzionale, ma ho dirigenti per le singole divisioni.
PREGI: permette di gestire le aziende di grandi dimensioni e alleggerisce le attività
della Direzione generale.
DIFETTI: pagare i singoli livelli dirigenziali, l’impiego delle risorse non è sempre
efficiente.
Tale struttura è articolata per combinazioni parziali, cioè per funzioni. Ciascuna
divisione è responsabile del proprio risultato reddituale.
Tipo di combinazioni economiche per le quali è più adeguata: viene adottata
dalle aziende con combinazioni produttive articolate molto disomogenee tre loro
negli aspetti tecnici e commerciali, cioè quando le combinazioni produttive sono
articolate in più combinazioni parziali corrispondenti a linee di prodotto destinate
a più mercati specifici.

f)  si parli della struttura matriciale: nella realtà delle imprese, raramente accade
che le combinazioni economiche siano perfettamente omogenee (struttura
funzionale pura) o assolutamente disomogenee (struttura divisionale pura); in molti

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casi di presentano situazioni intermedie nelle quali si dovranno adottare strutture
matriciali o strutture miste.
È la struttura più flessibile perché riduce i livelli dirigenziali.
È l’insieme della struttura divisionale e funzionale.
Ciascuna persona è soggetta alle due direzioni.
Ogni organo operativo è soggetto al doppio comando, sia delle direzioni delle
singole funzioni, sia della direzione del singolo progetto o prodotto.
PREGI: costi minori, elevata efficienza e flessibilità, facilità di discussione.
DIFETTI: rallentamento dei processi decisionali, maggior numero di conflitti tra i
responsabili, senso di insicurezza nelle unità operative.

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7. L’integrazione verticale:

a)  definizione: si tratta di una modalità di espansione dell’azienda. Riguarda la


specializzazione in un maggior numero di operazioni, tramite l’ampliamento delle
fasi della catena produttiva controllate direttamente dall’impresa.
Si ha integrazione verticale quando l’azienda di sviluppa controllando processi
produttivi o controllativi posti a monte o a valle rispetto alla propria tradizionale
attività. Si distingue infatti tra integrazione:

L’integrazione a monte o ascendente: avviene quando l’impresa si integra con


aziende che svolgono lavorazioni che nella filiera produttiva si collocano in una
posizione precedente rispetto a quelle svolte dall’azienda che si sta integrando;
l’azienda finirà con introdurre nel proprio ciclo produttivo lavorazioni preliminari e
intermedie rispetto al prodotto finale.

L’integrazione a valle o discendente: invece avviene quando un’impresa si integra


con aziende che svolgono lavorazioni che nella filiera produttiva si collocano in
una posizione successiva rispetto a quelle svolte dall’azienda che si sta
integrando; l’azienda finirà per modificare il mercato di sbocco.

Per filiera tecnologico-produttiva si intende l’insieme di lavorazioni che devono


essere effettuate in “cascata” per passare dalla materia prima al prodotto finito.

L’integrazione verticale può essere di due tipi:


• completa: si ha quando l’azienda, a seguito dell’integrazione, viene a collocarsi
in un ambito differente rispetto al passato; per esempio si colloca ad un livello
più a monte o più a valle rispetto alla preesistente posizione;

• parziale: si ha quando l’azienda, a seguito dell’integrazione, non modifica la


propria posizione sul mercato, in quanto la maggior parte dei beni necessari alla
produzione e dei beni venduti continuano ad essere acquistati o venduti sui
mercati tradizionali.

b)  vantaggi:
1. riduzione dei costi di transazione, specie per le integrazioni a monte in cui si
ha una riduzione dei costi di approvvigionamento;
2. aumento del valore aggiunto: produce benefici in termini d rischi
d’azienda;
3. maggior controllo e riduzione dei costi di produzione;
4. continuità e sicurezza negli approvvigionamenti, in quanto sono gestiti
dall’impresa stessa;
5. riduzione dei rischi di vendita: questo è un vantaggio dell’integrazione a
valle che permette all’impresa di ampliare il proprio mercato,
influenzandone più attivamente la domanda e riducendo i rischi connessi
alla fase di vendita;
6. vantaggi competitivi e concorrenziali.

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c)  misurabilità: Il grado di integrazione verticale può essere oggetto di misurazioni
dirette e indirette.
Le misurazioni dirette prendono in esame le modalità di impiego di fattori nei
processi produttivi e le cause che limitano il loro miglioramento; sono quindi dei
veri e propri esami sul campo che richiedono conoscenze del processo produttivo
conoscibili solo da un insider dell’impresa. Si finisce pertanto con l’elaborare
coefficienti empirici di misurazione dell’integrazione verticale secondo modalità
indirette.
Un esempio di misurazione è quello proposto da Adelman, che si riferisce al
rapporto tra valore aggiunto e fatturato:
Iv = VA / F
Alcuni autori sottolineano che sarebbe più corretto misurare il rapporto tra valore
aggiunto e valore della produzione.

L’indice di integrazione verticale può essere poi calcolato per la singola azienda o
per l’intero settore. Nell’ultimo caso, si dovranno sommare i valori aggiunti e i
fatturati di tutte le imprese operanti in quel comparto.

Sono state però fatte delle obiezioni a questo indice: ambiguità, influenzabilità da
parte dell’inflazione e efficienza e grado di integrazione.

Nonostante i limiti individuati però, si può concludere che l’indice Valore


Aggiunto/Fatturato sia un valido indicatore; con una raccomandazione: quella di
leggere criticamente il risultato dell’indice, cercando di confrontarlo e
interpretarlo con la sottostante realtà.
Possiamo quindi concludere che non esiste un solo indice che possa racchiudere
l’intero concetto dell’integrazione verticale, senza la perdita di informazioni.
Nessuna misura dell’integrazione verticale generalmente accettata è emersa
nella lettura economica, e molto probabilmente nessuna misura con tali requisiti
emergerà nel futuro: un concetto multidimensionale quale quello in esame non
può essere riassunto in un singolo parametro statistico senza la perdita di
informazioni rilevanti.

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8. L’economicità:

a)  definizione: è contemporaneamente un principio e un obiettivo fondamentale


di buon governo degli istituti. L’economicità o equilibrio economico di un istituto è
una delle condizioni fondamentali dell’equilibrio istituzionale.
Con economicità si intende la capacità dell’istituto di operare senza accumulare
perdite.

b)  legami con l’equilibrio istituzionale: si ha equilibrio istituzionale quando tutti i


membri del soggetto d’istituto condividono valori, obiettivi, logiche organizzative e
ricevono ricompense e benefici giudicati equi rispetto ai contributi forniti. Si ha
equilibrio istituzionale quando tutti gli attuali e potenziali membri del soggetto
d’istituto sono motivati a entrare a far parte dell’istituto e a permanervi.

L’economicità è una delle condizioni fondamentali dell’equilibrio istituzionale e i


due tipi di equilibrio sono interconnessi, ma non sincroni. Si può infatti manifestare
equilibrio istituzionale per un certo periodo di tempo anche in condizioni di perdita
(perdite di piccole dimensioni possono protrarsi anche per lunghi anni). Quando
però le perdite sono di importo elevato e si protraggono nel tempo, l’equilibrio
istituzionale viene compromesso e ciò può portare a:
• Chiusura dell’istituto
• Acquisizione dell’istituto da parte di un altro istituto
• Altri soggetti possono ripianare le perdite.

c)  economicità e condizioni di svolgimento delle imprese: il principio di


economicità si declina in due forme complementari: il perseguimento dei fini
economici istituzionali e il rispetto simultaneo di condizioni di svolgimento
dell’attività economica.
Con “condizioni di svolgimento” si fa riferimento a delle condizioni che bisogna
rispettare in modo simultaneo. Queste sono:

1. equilibrio reddituale: la condizione di equilibrio reddituale impone che


l’azienda arrivi a un equilibrio tra costi e ricavi, cioè che essa sia in grado di
coprire tutti i costi sostenuti con i suoi ricavi. Viene valutato in funzione al tempo
(breve/lungo periodo) e all’oggetto di riferimento (equilibrio aziendale/
superaziendale).

2. efficienza e flessibilità:
l’efficienza è espressa in termini di rendimento fisico-tecnico dei processi
produttivi, cioè quei rapporti che esprimono risultati non monetari dello
svolgimento di operazioni, processi e combinazioni.
Si persegue l’efficienza: applicando metodi di lavoro che consentono di
svolgere le operazioni senza sprechi di risorse e di tempi oppure ricercando
l’innovazione dei processi.
La flessibilità o elasticità in un mondo sempre più dinamico e mutevole. Essa
riguarda la predisposizione di strutture e di combinazioni efficienti in grado di
adeguarsi prontamente all’ambiente.
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3. congruità delle remunerazioni: deve essere valutata in base alle condizioni di
ambiente che caratterizzano i diversi mercati in cui le imprese operano.

4. capacità di risparmio

5. equilibrio monetario: impone che l’azienda debba essere sempre in grado di


far fronte agli impegni di pagamento.

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9. La contabilità analitica:

a) le caratteristiche e l’utilizzo: è un sistema configurato a costi consuntivi e costi


standard. Nasce come naturale sviluppo delle rilevazioni extra-contabili dei costi
di produzione. Essa infatti elabora i costi e i ricavi provenienti dalla contabilità
generale, al fine di svolgere analisi spaziali e temporali del risultato reddituale che
servono a risolvere problemi di gestione. Il suo scopo è fornire una serie di
informazione gestionali periodiche indispensabili per gestione stessa.
Può essere inserita nella contabilità generale (sistema unico) o essere svolta in
stretto collegamento con essa (sistema duplice contabile).
In questo secondo caso occorre precisare:
1. il periodo infrannuale al quale riferire le elaborazioni;
2. La trasformazione dei valori contabilizzati in valori di competenza;
3. La definizione della “dimensione” del costo di produzione da utilizzare;
4. La definizione dei centri di costo, cioè centri a cui imputare i costi;
5. La definizione delle combinazioni produttive per le quali si vogliono
determinare i risultati parziali annuali.
Quando nella contabilità analitica vengono inseriti solo i costi standard, si parla di
contabilità analitica a costi standard. Se vengono inseriti anche ricavi standard, si
parla di contabilità analitica a valori standard.

b) i concetti di costo fisso e costo variabile e il loro utilizzo


COSTO FISSO: sono tutti i costi che non risultano direttamente e strettamente
correlati al volume di produzione e di vendita; sono quei costi che non variano al
variare della quantità prodotta e venduta. Rientrano in questa categoria costi
quali la manodopera indiretta e diretta (se non facilmente aumentabile, riducibile
o riallocabile), gli affitti, la pubblicità, le manutenzioni, le quote di ammortamenti,
le consulenze legali e amministrative.
I costi fissi di gestione caratteristica a loro volta possono essere:
• costi fissi di struttura: si tratta di costi fissi strettamente connessi alla capacità
produttiva dell’azienda in un certo momento.
• costi fissi di sviluppo: si tratta di costi che sono fissi in quanto non variano
direttamente al variare della quantità di produzione o di vendita; sono però dei
costi che non dipendono direttamente dalla capacità produttiva dell’azienda,
ma sono destinati a sostenere l’attività corrente e a porre le condizioni per lo
sviluppo futuro dell’azienda.
COSTO VARIABILE: sono quei costi direttamente e strettamente correlati al volume
di produzione e vendita; sono quei costi che variano al variare della quantità
prodotta e venduta. Rientrano in questa categoria costi quale le provvigioni di
vendita, i consumi di materie prime, le lavorazioni esterne.

c) i concetti di costi comuni e costi speciali e il loro utilizzo


COSTO SPECIALE: sono costi relativi a fattori produttivi che partecipano in modo
esclusivo alla coordinazione produttiva, oggetto di determinazione del costo di
produzione;
COSTO COMUNE: sono costi relativi a fattori che concorrono allo svolgimento di
più coordinazioni produttive.
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10. Le coordinazioni parziali delle imprese:

(COMBINAZIONI ECONOMICHE: sono parte del sistema degli accadimenti e


indicano le operazioni svolte dalle persone in un istituto. Il sistema degli
accadimenti è l’insieme di azioni e fenomeni che si manifestano nell’azienda e nel
suo ambiente. È un insieme molto vasto e include, ad esempio, i comportamenti
dei clienti)

a)  la definizione: il sistema degli accadimenti è l’insieme di azioni e fenomeni che


si manifestano nell’azienda e nel suo ambiente. Le combinazioni economiche,
cioè le operazioni svolte dalle persone in un istituto, sono parte del sistema degli
accadimenti. Le combinazioni economiche si articolano in coordinazioni
economiche parziali, ossia in processi caratterizzati da una comune funzione
(ideare prodotti) e da un insieme di competenze specialistiche applicate al loro
svolgimento (marketing).

b)  la classificazione: sono riconducibili alle seguenti classi di operazioni:

La configurazione dell’assetto istituzionale: determina il disegno complessivo


secondo il quale l’azienda nasce, si trasforma e si svolge; ha a che fare con le
scelte dei i fini dell’azienda, i suoi campi di attività, le strutture di governo, le
alleanze e così via. Nell’assetto entrano in gioco più persone: il soggetto
economico.
Si parla di pianificazione > stabilire dei piani, che hanno un effetto a lungo
termine.
Importanti scelte:
- Scelta di configurazione del capitale proprio
- Scelte riguardanti l’organismo personale
Le altre classi (gestione, organizzazione e rilevazione) sono influenzate dalle scelte
della configurazione dell’assetto istituzionale.

La gestione: è il grande insieme di operazioni attraverso le quali l’impresa attua


direttamente la produzione economica. Si compone di cinque sottoinsiemi:
➢ Caratteristica:
a)  ricerca e sviluppo
b)  approvvigionamenti
c)  fabbricazione
d)  commercializzazione
e)  logistica

➢ Finanziaria:
a) gestione del capitale di rischio
b) dei debiti di prestito

➢ Patrimoniale
➢Tributaria
➢ Assicurativa
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(tributaria e assicurativa sono trasversali alle prime tre)

L’organizzazione: si sostanzia nel disegnare la struttura organizzativa dell’impresa,


nell’assegnare i compiti e le responsabilità a chi vi lavora, nel gestire i sistemi di
ricompensa e di sviluppo delle persone stesse (retribuzione, carriera, formazione).

La rilevazione/contabilità: consiste nella raccolta delle informazioni per prendere


buone decisioni e per informare i soggetti interessati all’impresa.

c)  gli aspetti propri della gestione patrimoniale: Si possono verificare situazioni in


cui l’impresa disponga di una quantità di capitale maggiore rispetto a quella
richiesta dalla gestione caratteristica. La gestione patrimoniale è caratterizzata da
tutte quelle attività di investimento delle risorse monetarie eccedenti i fabbisogni
della gestione caratteristica dell’impresa; si configura come combinazione
economica parziale avente come scopo la produzione di redditi addizionali
rispetto a quelli della gestione caratteristica.
In corrispondenza delle scelte di investimento, la gestione patrimoniale si attua
attraverso vari tipi di negoziazioni:
- Negoziazioni di capitale di prestito, se si decide di investire in titoli di Stato o in
obbligazioni emesse da imprese;
- Negoziazioni di capitale di rischio, se si decide di comprare azioni di imprese;
- Negoziazioni di beni privati, se l’investimento consiste nell’acquisto di beni da
reddito e da rivalutazione (immobili, preziosi, opere d’arte).

Tutti gli investimenti della gestione patrimoniale si ispirano all’obiettivo di ottenere


proventi netti positivi addizionali a quelli della gestione caratteristica, ma è
possibile anche che i risultati netti siano negativi.

d)  gli aspetti propri della gestione caratteristica: è composta dell’insieme delle


operazioni di gestione che identificano la funzione economico-tecnica tipica di
ciascuna azienda; ciò comprende attività come l’acquisto di materie prime, di
impianti, di macchinari.
Questo tipo di gestione porta ad originare costi e ricavi e la loro differenza
costituisce il reddito operativo della gestione caratteristica, che può essere un utile
(ricavi>costi) o una perdita (ricavi<costi).
La gestione caratteristica di un’impresa manifatturiera si articola nelle seguenti
coordinazioni economiche parziali:
✓operazioni di ricerca e sviluppo: queste sono le attività che hanno lo scopo di
configurare le caratteristiche che un prodotto deve avere e le modalità di
svolgimento dei processi di fabbricazione; si tratta di ideare dei prodotti che
rispondano alle esigenze dei clienti e che siano prodotti a basso costo;

✓operazioni di acquisto di merci e di servizi destinati alla produzione: queste


attività comprendono l’acquisto di fabbricati, impianti, macchinari destinati a
produrre per lungo tempo, ma anche l’acquisto di materie prime destinate alle
lavorazioni e l’acquisto di servizi privati di varia natura come la sicurezza e la
pulizia.

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✓operazioni di fabbricazione: queste operazioni sono tutte quelle di lavorazione e
di assemblaggio delle materie prime e dei componenti acquistati; inoltre fanno
parte di queste operazioni anche le attività di programmazione e di controllo della
produzione, di installazione e di manutenzione dei fabbricati.

✓operazioni di commercializzazione: si tratta delle operazioni di vendita dei


prodotti, in modo che la loro vendita massimizzi la convenienza economica
dell’azienda, analizzando attentamente le aspettative dei clienti e l’offerta dei
concorrenti.

✓operazioni di logistica: si tratta dell’insieme di operazioni svolte per trasportare,


immagazzinare e movimentare le materie prime, i semilavorati e i prodotti finiti.

La gestione caratteristica suscita vari insiemi di negoziazioni: di beni privati, di beni


pubblici, di lavoro, di coperture rischio particolari.
Le negoziazioni di beni privati sono le operazioni di acquisto e di vendita di merci
e servizi che sono ceduti da soggetti privati (imprese, famiglie, istituti non profit).
Di regola, nelle economie moderne, le negoziazioni di beni privati si svolgono
secondo la forma dello scambio monetario, ossia mediante lo scambio di un bene
a fronte di una quantità di moneta; in rari casi lo scambio avviene secondo la
forma del baratto, ossia mediante lo scambio di un bene con un altro bene.

e) gli aspetti propri della gestione finanziaria: è quella parte dell’attività


dell’impresa che è volta a coprire il fabbisogno finanziario, cioè il fabbisogno di
mezzi monetari necessari per avviare l’impresa e per sostenerne lo sviluppo, con
l’uso di capitale proprio e capitale di rischio. Il fabbisogno finanziario delle imprese
deriva essenzialmente dal fatto che le imprese devono sostenere dei costi per
effettuare pagamenti prima di poter vendere i loro prodotti, di conseguire i relativi
ricavi e di realizzare i conseguenti incassi (gli incassi derivanti dalle “vendite” si
manifestano successivamente ai pagamenti derivanti dagli “acquisti”).

Il fabbisogno finanziario di un’impresa può essere coperto mediante due fonti:


✓ capitale proprio, o capitale di rischio: questo è il capitale che i soci investono
nell’azienda o l’utile conseguito ma non distribuito; le decisioni in merito al
capitale proprio sono sì decisioni di copertura del fabbisogno finanziario, ma
anche decisioni di assetto istituzionale in quanto al capitale di rischio sono
collegati i diritti di proprietà, quindi di governo dell’impresa
✓ capitale di prestito: capitale ottenuto da terzi. Questo capitale produce dei costi
sotto forma essenzialmente di interessi passivi, cioè il prezzo che viene pagato
dalla nostra impresa per poter disporre di un certo ammontare di denaro per un
certo periodo di tempo.
La gestione finanziaria è caratterizzata da due classi di negoziazioni:
o negoziazioni di capitale proprio – di rischio: queste negoziazioni derivano
direttamente
dalle scelte di configurazione dell’assetto istituzionale dell’azienda.
I conferenti di capitale proprio, infatti, apportano all’impresa mezzi monetari
attendendosi poi una remunerazione correlata ai risultati reddituali dell’azienda
22
stessa, incerta quindi nel suo importo e nel suo segno, che può essere positivo
(utile) o negativo (perdita): proprio per questo motivo, questo tipo di capitale
viene chiamato “di rischio”.
Il conferimento di capitale di rischio dà agli investitori il diritto di voto nelle
assemblee dei conferenti di capitale di rischio, ossia negli organi ai quali sono
riservate le decisioni essenziali per la vita dell’impresa.

o negoziazioni di capitale di prestito: queste negoziazioni hanno per oggetto


l’acquisizione o la cessione di mezzi monetari destinati alla copertura di fabbisogni
finanziari delle aziende. Il soggetto che riceve capitale di credito si impegna a
rimborsarlo entro certi tempi e concorda di pagare un prezzo sotto forma di
interessi passivi, che sono proporzionati ad esempio alla quantità di denaro
ricevuta, o al livello di rischio che il conferente di capitale di rischio attribuisce alla
negoziazione.
Il tasso di interesse può essere fisso oppure variabile, cioè collegato a determinati
indicatori come il tasso di inflazione.

f)  gli aspetti propri della gestione assicurativa: riguarda la copertura di rischi


specifici con la stipula di contratti assicurativi negoziabili a fronte del pagamento
di premi di assicurazione. Le negoziazioni sono volte a coprire in forme varie i danni
derivabili da possibili eventi negativi nell’ambito della gestione caratteristica,
patrimoniale e tributaria.

g)  gli aspetti propri della gestione tributaria: riguarda le attività di accertamento e


liquidazione dei tributi. Comporta costi e non ricavi.
Si possono distinguere:
• Tributi correlativi direttamente ai beni acquisiti
• Tributi non correlativi direttamente ai beni acquisiti: imposte sul reddito o indirette

23
11. La dimensione di impresa:

a) alcuni indicatori utilizzabili e i loro limiti: La definizione di “dimensione


aziendale” è una definizione complessa e difficile da formulare.
Possiamo prendere in considerazione la definizione classica che ne dà Onida e
che dice che: “Il concetto di dimensione dell’azienda si ricollega al volume di
produzione o di affari che l’azienda è idonea a sviluppare periodicamente, col
pieno impiego dei fattori produttivi stabilmente a disposizione e quindi entro i limiti
posti dal complessivo capitale disponibile, dagli impianti costituti e
dall’organizzazione in atto”.
Si sono però riscontrati dei limiti in questa definizione e delle difficoltà nel
determinare la dimensione d’azienda, anche a causa dell’alto numero di fattori
che devono essere presi in considerazione.

Ci sono dei fattori quantitativi come:


1. di natura economica: tra questi fattori ritroviamo il fatturato e il valore aggiunto.
Il fatturato è l’ammontare delle vendite realizzato dall’impresa in un anno;
questo può essere elemento sviante se il confronto viene effettuato tra aziende
con diverso grado di integrazione verticale.
Il valore aggiunto è inteso come la differenza tra il valore dei beni e dei servizi
prodotti e il valore dei prodotti intermedi.
2. di natura tecnica: tra questi fattori ritroviamo la capacità degli impianti e la
quantità di prodotti lavorati in un determinato periodo di tempo.
3. di natura patrimoniale: tra questi fattori ritroviamo il capitale proprio e il
capitale investito. Il capitale proprio è il capitale, monetario o sotto forma di
beni, che viene conferito dai soci; quello monetario viene definito capitale
sociale.
Il capitale investito è inteso come il capitale usato per acquistare beni
strumentali, che servono cioè alla produzione di altri beni;
4. di natura organizzativa: tra questi fattori ritroviamo ad esempio il numero dei
dipendenti; tuttavia, anche il fattore lavoro è opinabile nelle indagini
dimensionali, in quanto vi sono attività ad alta meccanizzazione in cui non è
necessaria la presenza numerosa di manodopera e attività in cui la presenza
umana è di vitale importanza.

Bisogna anche valutare i fattori qualitativi:


1. stile di direzione e possesso dell’impresa: un’impresa può essere piccola o
grande a seconda di come essa viene guidata;
2. caratteristiche strutturali: si fa qui riferimento alla forma giuridica con cui è retta
l’impresa;
3. rapporti con altre imprese: si fa riferimento ai legami di dipendenza
economica;
4. influenza sul mercato: con questo si intende il peso che l’impresa considerata
ha rispetto alle altre sul mercato; con il termine “peso” si indica la maggiore o
minore capacità che l’impresa ha di permanere sul mercato e di influenzarlo
intervenendo sia sul prezzo che sulla quantità negoziata.

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Risulta quindi chiaro che i soli elementi quantitativi non possono essere usati per
determinare le dimensioni dell’azienda, ma che ogni parametro preso
singolarmente può solamente fornire delle “indicazioni” che devono essere
attentamente vagliate congiuntamente ad altri parametri.

b) le caratteristiche della piccola impresa:


1. è composta da pochi soci, spesso uniti da legami familiari;
2. è indipendente, in quanto non appartiene a nessun gruppo economico;
3. è dotata di un livello tecnologico limitato;
4. detiene una quota piccola sul mercato di sbocco;
5. offre una gamma di prodotti limitata;
6. è gestita personalmente dai proprietari, raramente affiancati da professionisti;
7. esiste la possibilità che i vertici dell’azienda instaurino e mantengano contatti
aziendali diretti con i propri dipendenti;
8. Ha meno di 50 dipendenti;
9. non palesa apprezzabili capacità di economica sopravvivenza al mutare di
date condizioni di mercato e non è in grado di influire sensibilmente sulla
dinamica dello stesso;
10. Competenze non eccessivamente specialistiche.

c) le caratteristiche della grande impresa:


1. alto numero di addetti e soci;
2. apporto di manager nell’attività di governo;
3. competenze funzionali specialistiche e livello tecnologico avanzato (capacità
di organizzazione autonoma di taluni fattori di produzione);
4. detiene una grande quota sul mercato di sbocco;
5. politica di diversificazione del prodotto e ripartizione del rischio;
6. i vertici direzionali sono composti da più persone;
7. Ha più di 250 dipendenti;
8. possiede la forza di imporsi nell’ambiente economico circostante,
sopravvivendo al mutamento delle condizioni di mercato e riuscendo ad
influenzare fenomeni come i prezzi e le quantità oggetto di negoziazione;
9. Fatturato superiore a 50 milioni di euro;
10. Bilancio annuo superiore a 43 milioni.

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12. I sistemi di pianificazione, programmazione e controllo:
I sistemi di autoregolazione costituiscono un modello di comportamento
gestionale. L’anticipazione degli accadimenti interni ed esterni aziendali, la
definizione di obiettivi di breve e lungo termine collegati con il reperimento e
l’assegnazione di adeguate risorse, il continuo confronto tra obiettivi e risultati,
sono i principi su cui impostare l’azione manageriale in qualsiasi azienda.
(si valutano a posteriori i risultati)

-  I sistemi di pianificazione strategica: è il processo mediante il quale vengono


definiti gli obiettivi, le politiche e gli assetti delle combinazioni economiche
dell’azienda: si tratte di stabilire dove l’impresa intende operare (settore, area
geografica), quali obiettivi intende perseguire, come si vuole operare in quel
contesto.
In pratica si stabilisce la mission dell’azienda: la mission è volta a specificare
l’ambito competitivo in cui l’impresa intende operare, a fornire un quadro di
riferimento per regolare i rapporti con gli interlocutori sociali e a stabilire gli
obiettivi da perseguire.
La pianificazione strategica si ispira a tre finalità:
1. elaborare obiettivi e piani di medio e lungo periodo, cioè elaborare le strategie
aziendali;
2. decidere l’assegnazione di risorse strategiche alle varie coordinazioni e
combinazioni parziali;
3. produrre condizioni organizzative.

-  I sistemi di programmazione: processo che, sulla base delle strategie prestabilite


in sede di pianificazione, traduce le strategie in azioni concrete da attuare nel
breve periodo, di solito un anno, stabilendo le risorse da impiegare e definendo i
compiti dei vari responsabili.
Il risultato di questo è la definizione di un programma di esercizio o budget, che
contiene oltre che le azioni da svolgere, l’indicazione dei risultati economici attesi
dalle diverse aree di attività coinvolte

-  I sistemi di controllo: processo che, sulla base di un continuo riscontro tra


obiettivi e risultati, è volto ad assicurare la realizzazione degli obiettivi aziendali.
Con il controllo si segnala l’esistenza di problemi decisionali spingendo al riesame
della congruenza degli indirizzi seguiti.
Il controllo stimola il comportamento degli operatori aziendali indirizzandolo verso il
conseguimento degli obiettivi d’impresa.
Il documento del controllo è il reporting, che prende i dati dalle risultanze della
contabilità direzionale integrata.

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13. Si definiscano i concetti e si fornisca un’esemplificazione per:

a)  ambiente economico: è l’insieme di condizioni e di fenomeni esterni allo stesso


che ne influenzano la struttura e la dinamica. L’ambiente è circoscritto alle
condizioni e ai fenomeni che vincolano e stimolano le scelte dell’istituto.
L’ambiente economico d’azienda si compone di fenomeni e condizioni quali:
✓Mercati, insiemi omogenei di negoziazioni di beni privati, di rischi particolari e di
credito di prestito;
✓Strutture di domanda e di offerta di lavoro, di capitale proprio, di beni pubblici;
✓Settori, insiemi di aziende con combinazioni economiche simili ed operanti negli
stessi mercati e nelle stesse strutture di domanda e offerta;
✓Politiche economiche, monetarie, finanziarie attuate dagli enti pubblici e dalla
pubblica amministrazione.
(ES. mercati con i quali l’azienda entra in contatto)

b)  ambiente non economico: comprende fenomeni e condizioni quali la cultura


della collettività sociale in cui l’azienda opera, la normativa giuridica nazionale e
internazionale, lo stato e la dinamica delle scienze, delle tecnologie e delle
tecniche, le infrastrutture e la configurazione fisica e climatica del territorio.
(ES. tutto ciò che incide su gusti ed esigenze, cambiando l’attività dell’azienda in
funzione di questi fattori)

c)  confini: è la linea di distinzione tra ambiente e azienda. Tale confine non è


definibile univocamente; per la sua identificazione si ricorre a due criteri
complementari:
o Il primo criterio consiste nell’assumere come confini dell’azienda i limiti ai quali si
estende la struttura giuridica formale, ossia gli elementi della struttura aziendale
che la normativa vigente indica come campo d’azione degli organi di governo
economico della singola azienda.

o Il secondo criterio assume come confini dell'azienda i limiti d’influenza degli


organi di governo economico.

I confini dell’azienda possono essere modificati dalle scelte degli organi di


governo economico. La loro estensione non è un dato fisso > es. estensione
orizzontale o verticale porta a un mutamento nei confini.

d)  mercato: complesso dinamico e omogeneo di negoziazioni che ha per


oggetto una certa classe di beni e che si manifesta con continuità e con elevata
frequenza da un certo insieme di aziende. I mercati possono essere distinti per
area geografica e quindi si avranno mercati nazionali, regionali o locali, anche se
attualmente il progresso dei sistemi di comunicazione ha dato luogo ai mercati
globali.
Uno stesso bene è di regola negoziato in più mercati.
(ES. negoziazioni di beni privati, credito, prestito…)

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e)  settore: in economia aziendale, è l’insieme omogeneo di aziende con
combinazioni economiche simili ed operanti negli stessi mercati e nelle stesse
strutture di domanda ed offerta.

La struttura dei settori viene studiata in base a tre variabili: il grado di


concentrazione (numero delle imprese che operano nel settore e quota di
mercato che detengono), la struttura dei costi (si tende a verificare se al crescere
della produzione e al protrarsi del tempo, i costi diminuiscano) e il livello delle
barriere all’entrata (grado di protezione, ostacoli che incontra un’azienda esterna
al settore per entrare nello stesso).

Ci sono tre diverse strutture: la struttura di concorrenza perfetta, la struttura di


oligopolio non differenziato e la struttura di oligopolio differenziato.

In ogni settore, oltre alle imprese appartenenti al settore stesso ci sono anche i
clienti, i fornitori, i potenziali entranti e i produttori di beni sostitutivi.
(ES. settore energia, dei trasporti…)

f)  sistema competitivo: spazio economico popolato da clienti, fornitori e


concorrenti, e nei quali l’impresa si presenta con i sistemi di prodotto risultato della
sua attività caratteristica.
Il modello della concorrenza allargata è uno dei riferimenti più noti per la
rappresentazione della struttura dei sistemi competitivi. Esso si discosta dalla
tradizione, in quanto amplia la gamma di attori considerati. La teoria di base è la
seguente: in ogni settore, la concorrenza non coinvolge solo le aziende di quel
settore (i concorrenti in senso stretto) ma è allargata ad altre quattro classi di
soggetti:
o I clienti – imprese di distribuzione e/o utilizzatori finali

o I fornitori di materie prime e di servizi

o I potenziali entranti: le imprese che potrebbero entrare nel settore perché già
svolgono combinazioni analoghe ma operano in mercati differenti o perché
svolgono attività economiche diverse, ma correlate, o perché intendono
diversificarsi;

o I produttori di beni sostitutivi: le imprese che offrono beni simili a quelli proposti
dall’impresa di riferimento.

In questo modello, il termine concorrenza ha un significato molto ampio. Esso


infatti sta ad indicare le pressioni, ossia le forze esercitate sulle imprese di un settore
da ciascuna delle cinque classi di attori, e quindi non solo dalle imprese stesse
nelle loro relazioni di competizione.
(ES. competizione tra due aziende che operano nel settore vestiario)

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14. I cartelli di imprese:

a) la loro classificazione all’interno delle aggregazioni: i cartelli fanno parte delle


aggregazioni non equity su base contrattuale, ovvero si basano su specifici legami
di tipo giuridico derivanti dalla stipula di un contratto ben determinato.

Con il termine cartello si intende un’associazione di aziende operanti nel


medesimo settore con prodotti scarsamente differenziati che hanno l’obiettivo di
attuare politiche di contenimento o riduzione della concorrenza.

b) le caratteristiche specifiche e le motivazioni che portano alla loro costituzione:


l’obiettivo del cartello è quindi quello di ridurre la pressione competitiva
esercitando sul mercato un’azione volta ad eliminare la concorrenza,
trasformando un ambiente altamente competitivo in un mercato sostanzialmente
orientato all’oligopolio o al monopolio.

Questa limitazione della concorrenza viene generalmente perseguita tramite


intese che riguardano i volumi di produzione e di vendita, i prezzi, la ripartizione dei
mercati, le caratteristiche dei beni da produrre e le condizioni.

Tanto maggiore è il numero delle imprese che il cartello coagula, tanto più
efficace sarà la politica perseguita dallo stesso creando barriere ai potenziali
entranti e scoraggiando l’utilizzo di prodotti sostitutivi.

Diversamente dal consorzio tende a creare obbligazioni di tipo negativo e non


porta alla creazione di nuove strutture.

c) le varie tipologie di cartelli:


• cartelli di zona: frazionano il mercato e se lo spartiscono in diverse aree di
influenza.
• cartelli di prezzo: fanno in modo che non si verifichino guerre sui prezzi (fissano
prezzi minimi e prezzi massimi).
• cartelli di produzione: riguardano accordi su aspetti propriamente produttivi
come la qualità e le produzioni stesse.

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15. Le economie di scala, scopo e transazione + esemplificazioni:

a)  Economie di scala: riduzioni del costo unitario nella produzione e nella vendita
di un bene ottenute passando da un’entità produttiva minore ad una di maggiori
proporzioni.
Le economie di scala possono presentarsi su diversi piani:

✓piano tecnologico: sul piano tecnologico, le economie di scala sono legate alla
diminuzione dei costi di produzione conseguenti alla crescita delle dimensioni
degli impianti;

✓piano commerciale: sul piano commerciale, le economie di scala possono


riguardare sia gli approvvigionamenti che la politica delle vendite:
approvvigionamenti: risparmi effettivi nell’ordinazione e nei costi di spedizione
promozione delle vendite: l’azienda di grandi dimensioni ha maggiore possibilità
aperte in tema di pubblicità e di tecniche di vendita;

✓piano finanziario: sul piano finanziario, le economie di scala sono connesse alla
riduzione dei costi di acquisizione dei capitali; questo permette alle imprese di
maggiori dimensioni di ottenere credito bancario a condizioni più favorevoli;

✓piano della ricerca: sul piano della ricerca, possiamo affermare che le grandi
società possono più facilmente sostenere ricerche di una certa portata, e possono
possedere laboratori di ricerca, impiegando tecnici e scienziati specializzati e
costosi impianti.

✓piano del management: dal punto di vista del management, le grandi imprese
hanno maggiore possibilità di darsi una struttura organizzativa che consenta di
utilizzare competenze specializzate a livello di personale tecnico-direttivo o il
vantaggio di poter assumere, selezionare o promuovere un management più
capace; possiamo quindi dire che le imprese di grandi dimensioni sono in grado di
attirare più facilmente elementi dotati di elevate qualità manageriali e specialisti
nei vari settori di gestione.

Si è osservato che esistono dei limiti alla crescita dimensionale. Sussiste un limite
oggettivo, rappresentato dalla progressiva perdita di controllo delle informazioni
nel passaggio da un livello gerarchico all’altro e dai confini interni che diventano
sempre maggiori con l’aumentare delle dimensioni dell’impresa, provocando
costi di produzione più alti e, quindi, diseconomie di scala.
Secondo alcuni economisti classici (come Marshall), i vantaggi delle economie di
scala possono essere perseguiti non soltanto da imprese di notevoli dimensioni, ma
anche raggruppando un gran numero di produttori più piccoli all’interno di un
distretto.
Vi è quindi la possibilità dell’alternativa fra crescita delle dimensioni di un’unica
impresa e la creazione di un distretto industriale, inteso come un complesso di
piccoli produttori per i quali l’intero processo produttivo è suddiviso in diverse fasi,

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ciascuna delle quali viene svolta in differenti stabilimenti mantenendo costi ed
economie proprie della grande dimensione.

Pertanto nella visione di Marshall le economie di scala possono adattarsi anche


alle imprese di piccole dimensioni distinguendole in:
• Le economie di scala interne sono quelle che dipendono dalle risorse delle
singole aziende, dalla loro organizzazione e dall’efficienza della loro
amministrazione.
• Le economie di scala esterne dipendo dallo sviluppo generale dell’industria.
(ES: revisione libro, industrie energetiche)

b)  Economie di scopo: riduzioni dei costi derivante dalla produzione congiunta di


prodotti diversi con i medesimi fattori produttivi. È un fenomeno di tipo sinergico.
Queste economie sono caratterizzate dalla capacità di integrazione dell’impresa
con terzi o di parti dell’impresa tra di loro.
È da sottolineare come la traduzione italiana di economies of scope in economie
di scopo è fuorviante; infatti il termine scope sta a significare estensione, confine
dell’impresa. Sarebbe quindi meglio chiamarle economie di estensione o
economie di raggio d’azione.
Il limite delle economie di scopo è dovuto al fatto che sono difficilmente
individuabili i confini dell’impresa sui quali è possibile far valere la
complementarietà.
(ES: una casa di moda si unisce a una casa di profumi, una sola pubblicità)

c)  Economie di transazione: si ottengono quando si diminuiscono gli scambi con


terzi e quindi quando l’azienda decide di integrarsi verticalmente, a monte o a
valle, con altre aziende.
Con questa espressione si indicano i minori costi cui si va incontro se si integrano
più aziende; diminuiscono infatti i costi legati allo scambio (costi di transazione).

I costi di transazione sono legati al trasferimento di un bene o di un servizio


attraverso un’interfaccia tecnologicamente separabile. Questi sono riconducibili
a: costi d’uso del mercato e costi di controllo del mercato.

I costi transazionali sono tanto più elevati, quanto maggiore è la tecnologia


incorporata nel prodotto, cioè quanto più è alto il know how.
(ES: industria farmaceutica che compra i punti vendita)

31
16. I costi:

a) definizione: è l’espressione in moneta o altro valore numerario del valore di beni


e servizi utilizzati per la produzione o l’acquisto di un bene o servizio.

b) classificazione:
A seconda dei dati in base ai quali si calcolano i costi:
• Costi effettivi: determinati in base a immediate deduzioni della realtà.
• Costi standard: determinati in base a ipotesi prefissate, in funzione delle
condizioni particolari poste alla base del calcolo.

A seconda del momento in cui si effettua il calcolo:


• Costi preventivi o ipotetici: costi che si ipotizza di sostenere in un dato periodo
che non è ancora decorso. Tra questi ci sono i costi standard.
• Costi consuntivi: costi sostenuti in un dato periodo di tempo che è già decorso e
determinati alla conclusione del periodo di tempo oggetto di osservazione, in
occasione della stesura dei “rapporti di gestione”, nei quali i responsabili attuano
il confronto con i costi preventivi, per individuare le cause dello scostamento fra i
due e adottare le azioni correttive più appropriate.

A seconda delle relazioni esistenti tra livello dei costi e volumi di produzione:
• Costi variabili: variano in relazione alle quantità prodotte;
• Costi fissi: il loro ammontare è commisurato alla struttura tecnico-organizzativa
aziendale, quindi non variano al variare di quantità prodotte;
• Costi semi-variabili;
• Costi parziali: riferiti ai singoli centri operativi;
• Costi totali: somma di tutti i costi sostenuti per la produzione.

A seconda della relazione con l’oggetto per il quale sono stati impiegati i fattori
produttivi:
• Costi speciali o diretti: sono costi relativi a fattori produttivi che partecipano in
modo esclusivo alla coordinazione produttiva oggetto di determinazione del
costo di produzione;
• Costi comuni o indiretti: riguardano i fattori impiegati per ottenere più produzioni
nello spazio e nel tempo.
• Costi generali: sono costi sostenuti per l’azienda nel suo complesso.

Costi speciali e comuni sono costi elementari. Il costo di produzione è il risultato di


una ripartita attribuzione di costi elementari ad un dato oggetto.

c) la rilevazione: è il processo mediante il quale si individuano, si raccolgono e si


diffondono i dati e le informazioni necessarie alla gestione dell’azienda. Una
classica suddivisione è quella che considera lo strumento utilizzato per la raccolta
dei dati:
• rilevazioni elementari: con documenti originari di raccolta (fatture)
• rilevazioni contabili: con il conto
• rilevazioni statistiche: con documenti diversi dal conto (grafici, tabelle)

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Le rilevazioni elementari e quelle statistiche vengono denominate nel loro insieme
rilevazioni extra- contabili.
L’insieme di questi processi di rilevazione costituisce il complessivo sistema
informativo aziendale.

d) i sistemi di rilevazione:
-  la contabilità generale: si riferisce a tutte le operazioni di gestione che l’impresa
compie con terzi. Il suo scopo è la determinazione del bilancio d’esercizio (risultato
economico d’esercizio + capitale di funzionamento) e la documentazione degli
accadimenti.
È un sistema ordinato di scritture che porta alla redazione del bilancio d’esercizio.
La contabilità generale è un sistema informativo che si fonda sul conto, quale
strumento elementare di raccolta dei valori e che ha per obiettivo principale la
misurazione di quantità complesse come il reddito di esercizio e il capitale di
funzionamento.
La contabilità generale si fonda sul conto, cioè una tavola a due sezioni che
accoglie valori di segno opposto e che è un mezzo per verificare l’esattezza della
raccolta e della classificazione dei valori.

La contabilità generale si avvale del metodo della partita doppia: questo metodo
non mette in luce un parallelismo meramente artificiale, ma è il risultato della
realtà di funzionamento dell’azienda in un’economia monetaria dalla quale
scaturisce il sistema dei valori.
Questo metodo stabilisce che occorre registrare ogni quantità due volte,
contemporaneamente in diversi conti e in sezioni opposte, in modo da attuare
sempre l’uguaglianza tra sezione Dare e sezione Avere.

I supporti della contabilità generale sono:


- prima nota, in vengono registrati, in ordine cronologico, gli accadimenti e i
relativi valori, partendo dai documenti originari (fatture, note di credito, etc.);

-giornale, libro obbligatorio previsto dal Codice Civile, che accoglie gli
accadimenti e i relativi valori in ordine cronologico;

-mastro (insieme di conti funzionanti) accoglie gli accadimenti e i relativi valori in


ordine sistematico per classi di fenomeni.

Il crescente sviluppo tecnologico ha determinato in tutte le aziende il passaggio


dalla contabilità manuale alla contabilità automatizzata.

Nella contabilità generale sono compresi dei sottosistemi contabili come:


-contabilità finanziaria, cioè quella che rileva i movimenti monetari e i rapporti con
le banche;
-contabilità clienti, che rileva i rapporti con i clienti;
-contabilità fornitori, che rileva i rapporti con i fornitori.

33
-  la contabilità analitica: è un sistema configurato a costi consuntivi e costi
standard. Nasce come naturale sviluppo delle rilevazioni extra-contabili dei costi
di produzione. Essa infatti elabora i costi e i ricavi provenienti dalla contabilità
generale, al fine di svolgere analisi spaziali e temporali del risultato reddituale che
servono a risolvere problemi di gestione. Il suo scopo è fornire una serie di
informazione gestionali periodiche indispensabili per gestione stessa.
Può essere inserita nella contabilità generale (sistema unico) o essere svolta in
stretto collegamento con essa (sistema duplice contabile).
In questo secondo caso occorre precisare:
1. il periodo infrannuale al quale riferire le elaborazioni;
2. La trasformazione dei valori contabilizzati in valori di competenza;
3. La definizione della “dimensione” del costo di produzione da utilizzare;
4. La definizione dei centri di costo, cioè centri a cui imputare i costi;
5. La definizione delle combinazioni produttive per le quali si vogliono
determinare i risultati parziali annuali.
Quando nella contabilità analitica vengono inseriti solo i costi standard, si parla di
contabilità analitica a costi standard. Se vengono inseriti anche ricavi standard, si
parla di contabilità analitica a valori standard.

Contabilità generale Contabilità analitica

SCOPI Informazioni verso terzi Gestionali

OGGETTO DI RILEVAZIONE Fatti di gestione esterna Fatti di gestione interna ed


esterna
CRITERI DI CLASSIFICAZIONE Per natura e origine Per destinazione
DEI COSTI E DEI RICAVI
MOMENTO DI RILEVAZIONE Contabilizzazione sulla base del Per competenza
documento originario
FREQUENZA DELLE Annuale Infrannuale
INFORMAZIONI DI SINTESI

-  la contabilità direzionale integrata: è formata da:


-contabilità generale
-contabilità analitica
-sottosistema di budget e standard
-sottosistema delle variazioni
-sottosistema di rilevazioni elementari ed extra-contabili

Legame con il reporting: dalla contabilità direzionale si genera un reporting,


ovvero un flusso di output, che consente di soddisfare tre fabbisogni direzionali:

-stabilire le tendenze evolutive del rapporto impresa-ambiente,

-verificare se si stanno realizzando gli obiettivi prestabiliti,

34
-disporre di una base di dati che consentano di creare e richiamare archivi di dati.

Regole di comportamento: l’impresa, nell’acquisizione di tale massa di dati, deve


rispettare alcune regole di comportamento:

-principio di selettività e pertinenza: il responsabile aziendale deve disporre di


limitate (selezionate) ma significative (pertinenti) info.

-bilanciamento tra tempestività (ampiezza dell’intervallo di tempo tra la


manifestazione del fenomeno e la disponibilità dell’informazione) e attendibilità
(grado di precisione con cui vengono rilevati i dati).

35
17. I consorzi:

a) la natura del rapporto aggregativo: i consorzi fanno parte delle aggregazioni


non equity su base contrattuale, ovvero si basano su specifici legami di tipo
giuridico derivanti dalla stipula di un contratto ben determinato.

Il consorzio è un’associazione di persone fisiche o giuridiche liberamente creata o


obbligatoriamente imposta per il soddisfacimento in comune di un bisogno
proprio di queste persone.

b) le caratteristiche: le imprese che partecipano al consorzio mantengono


autonomia giuridica ed economica più o meno condizionata dai limiti imposti dal
consorzio.
Queste imprese finiscono per operare in comune, sfruttando dimensioni più ampie.

Quindi, i vantaggi dei partecipanti al consorzio sono riconducibili ad alcuni aspetti


positivi tipici della grande dimensione (forza contrattuale, capacità di farsi
conoscere a livello nazionale o internazionale, possibilità di svolgere attività di
ricerca e sviluppo).
La funzione principale del consorzio è però quella del coordinamento delle
autonome attività svolte dalle singole imprese partecipanti.

c) le varie tipologie:
✓consorzi volontari: organizzazioni la cui costituzione è lasciata alla volontà delle
parti (es. Melinda, Parmigiano Reggiano). Questi consorzi volontari possono
riguardare:
-settore privato: per esempio in campo agricolo (bonifica, irrigazione,
miglioramento fondiario) o in campo industriale.
-settore pubblico: questi consorzi possono riguardare l’ambito della pubblica
amministrazione, come per opere di pubblica utilità).

✓consorzi obbligatori: essi sono obbligatori per l’alto interesse di tutela della
collettività (es. per il riciclaggio di contenitori o imballaggi per liquidi, degli oli
usati);

✓consorzi coattivi: ormai in disuso, essi sono motivato dai vantaggi che dovrebbe
produrre ad una determinata categoria suddividendo, tra i partecipanti, anche i
relativi oneri (esempio è l’Istituto cotoniero italiano).

A loro volta i consorzi in campo industriale possono essere di diversa tipologia:


✓i consorzi orizzontali: tali consorzi hanno l’obiettivo di ridurre gli effetti negativi
della concorrenza fra i partecipanti;

✓i consorzi verticali: hanno l’obiettivo di ridurre i costi attuando in comune


l’acquisto dei beni, la gestione di magazzini, effettuando servizi di consulenza
aziendale e di ricerca, realizzando campagne pubblicitarie;

36
✓i consorzi misti

Si può fare ancora una distinzione tra:


✓consorzi di servizi: svolgono funzioni di assistenza nei confronti dei consorziati
(fiscale, amministrativa, legale);

✓consorzi funzionali: non si limitano all’assistenza di supporto ma si occupano dei


fenomeni gestionali dei partecipanti;

✓consorzi monofase: se sono aggregazioni aventi un’attività in comune


riguardante una sola area funzionale;

✓consorzi plurifase: se sono aggregazioni aventi un’attività in comune riguardante


più aree funzionali;

✓consorzi con attività interna: presuppongono interventi a favore dei consorziati


miranti ad un migliore svolgimento dei loro processi gestionali (servizi di consulenza
legale, tenuta della contabilità);

✓consorzi con attività esterna: svolgono per conto dei consorziati determinate
attività a monte o a valle dell’attività svolta dai singoli partecipanti.

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18. Aggregazioni equity e non equity:

a) definizione e caratteristiche:
equity: prevedono un legame patrimoniale, cioè si richiede un impegno di
capitali. Il soggetto economico è unico. I rapporti di tipo equity sono più stabili, in
quanto il vincolo patrimoniale che si genera costituisce di per se stesso un freno
alla risoluzione del rapporto. Inoltre, vi è un maggior livello di criticità (difficoltà che
causerebbe alle imprese la risoluzione dell’accordo).

non equity: prevedono rapporti che non richiedono un impegno di capitali. Sono
volte al trasferimento di conoscenze, allo sviluppo di aree gestionali o di comuni
progetti, alla limitazione della concorrenza. Il soggetto economico è diversificato,
in quanto le imprese partecipanti a tali accordi mantengono la propria identità. I
rapporti sono meno stabili in quanto non c’è il vincolo patrimoniale. Infine, il livello
di criticità è minore e l’accordo può essere sciolto più facilmente.

b) possibile classificazione:
EQUITY
SU BASE PATRIMONIALE PARZIALE
- Partecipazioni minoritarie o scambi azionari
- Joint venture

SU BASE PATRIMONIALE TOTALE


- Trust
- Konzern
- Keiretsu
- Gruppi economici
- Fusioni

NON EQUITY
A CARATTERE INFORMALE
SU BASE PRODUTTIVA
- Reti di subfornitura
- Costellazioni
- Distretti

SU BASE FINANZIARIA

SU BASE PERSONALE
- City community of interests
- Gentlemen’s agreement

A CARATTERE FORMALE
SU BASE CONTRATTUALE
- Cartelli
- Affitto d’azienda
- Associazione in partecipazione
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- Associazioni temporanee tra imprese
- Unioni volontarie e gruppi d’acquisto
- Franchising
- Consorzi
- Geie

c) caratteristiche aggregazioni non equity di tipo informale: sono aggregazioni


d’azienda che non prevedono nè legami di tipo patrimoniale né contrattuale ma
si basano su accordi interpersonali o interaziendali.
-  su base produttiva: reti di subfornitura, costellazioni, distretti

-  su base finanziaria

-  su base personale: city community of interests, gentlemen’s agreement

d) specificità delle costellazioni: fanno parte di aggregazioni non equity a


carattere informale su base produttiva, accordi per i quali è massimo il grado di
coordinamento e nullo quello della dominanza, prevalendo l’aspetto della
collaborazione.
Sono un insieme di aziende, generalmente di medio-piccole dimensioni, tutte
interessate alla produzione o alla commercializzazione di beni inseriti in settori
maturi.
La nascita di queste costellazioni avviene generalmente come risultato di una crisi
di domanda e dei conseguenti licenziamenti.

Sicuramente importante nelle costellazioni è la funzione di un’impresa-guida, non


necessariamente di grandi dimensioni, avente il compito di coordinare l’attività
delle singole imprese. La capofila può essere il nucleo forte rimasto dalla
precedente grande azienda deverticalizzatasi oppure è la risultante di un
processo lento in cui da una costellazione di fatto si afferma e si consolida la
posizione di un’impresa avente dei significativi fattori strategici.

Il peso che le varie aziende esercitano all’interno della costellazione dipende dei
loro specifici fattori strategici; il peso è inoltre spesso influenzato dal ruolo
dell’azienda guida.

Il rapporto che si instaura tra le imprese è un rapporto interattivo: infatti non ci sono
rapporti solo tra l’impresa-guida e le imprese medio-piccole, ma anche tra le
imprese medio-piccole.
Anche nelle costellazioni, come nelle reti di subfornitura, l’importanza del singolo
accordo è modesta salvo competenze specifiche.
Tra le varie imprese, gli accordi che vengono stipulati sono di modesta importanza.

e) specificità delle reti di subfornitura: sono date dalla presenza di un’impresa


principale di grandi dimensioni che utilizza imprese esterne, di piccole-medie
dimensioni, per far svolgere loro determinate lavorazioni.
L’attività delle imprese medio-piccole fornitrici è spesso indirizzata quasi
esclusivamente alla grande impresa cliente, con la creazione di vincoli di vera e
39
propria subordinazione e dipendenza dell’impresa fornitrice.
Il rapporto che si viene a creare è simile a quello di un gruppo: l’impresa fornitrice
è alle dipendenze della maggiore, che ha il peso preponderante nel rapporto.
Solamente se le aziende subordinate hanno competenze specifiche, esse possono
modificare questo rapporto tra impresa maggiore quelle minori.
Gli accordi che vengono stipulati sono di modesta importanza.

f) specificità dei distretti: il termine indica la concentrazione di industrie medio-


piccole specializzate in particolari località e con capacità competitive e di
sviluppo. Queste imprese sono tutte di modeste dimensioni senza che esista
un’impresa leader.

Lo studio del fenomeno dei distretti industriali prende avvio dall’osservazione dello
sviluppo industriale nel corso del XIX secolo, quando ci si accorse che da una
parte si stata affermando la produzione di massa, mentre dall’altra parte
permanevano zone in cui sopravvivevano piccole aziende che sviluppavano
nuove tecnologie senza però ingrandirsi.
Fu Marshall a studiare per la prima volta il fenomeno delle piccole e medie
imprese territorialmente concentrate e con capacità competitive e di sviluppo.
Coniò anche il termine distretto industriale, inteso come la concentrazione di
industrie specializzate in particolari località.

Nel distretto si finisce per suddividere la produzione di beni tra differenti piccole
entità specializzate in determinate fasi.
Queste imprese sono tutte di modeste dimensioni senza che esista un’impresa
leader.
Si forma perciò un mercato locale competitivo, ma caratterizzato dalla presenza
di un unico “ambiente sociale” degli imprenditori, quindi mossi dalla reciproca
cooperazione: possiamo quindi dire che il rapporto è sia di cooperazione che di
concorrenza.

Questa atmosfera favorisce nuove invenzioni e miglioramenti delle tecniche e


degli impianti, grazie al continuo scambio di suggerimenti costruttivi tra i diversi
soggetti.
Nasce così la possibilità di dar vita a imprese specializzate e di attirare lavoratori
specializzati e imprenditori.

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19. Joint venture:

a) classificazione all’interno delle aggregazioni: sono una forma aggregativa


equity su base patrimoniale parziale, non espressamente prevista e definita nella
realtà economico-giuridica del nostro Paese e sono accordi tra due o più imprese
che si impegnano a collaborare per il perseguimento di uno specifico obiettivo. È
un fenomeno tipicamente statunitense.

b) forme tecnico/giuridiche: le classificazioni in tema di joint-venture appaiono


complesse. Esistono differenti forme:
• le joint venture corporation, che presuppongono la costituzione di una realtà
societaria appositamente costituita con responsabilità limitata per lo
svolgimento di un’attività congiunta;
• le unicorpored o contractual jointventure, nelle quali tra i partecipanti esiste un
rapporto di tipo contrattuale per lo svolgimento in comune di una data attività.

Accanto alla precedente distinzione segue quella tra:


• Joint venture operative: promosse ad effettuare la gestione di un investimento
effettuato congiuntamente.
• Joint venture strumentali: sono caratterizzate dalla gestione e organizzazione
comune di specifici contratti complessi.

A seconda del grado di integrazione, abbiamo:


• joint-venture orizzontali: caratterizzate dal fatto di svolgere un’attività simile a
quella propria dei singoli partecipanti all’accordo (le imprese partecipanti
operano tutte nello stesso settore);
• joint-venture verticali: costituite per effettuare determinate attività a monte o a
valle dei processi produttivi dei co-ventures (partecipanti) per ottenere vantaggi
economici nella fornitura e nella distribuzione;
• joint-venture diversificate: si avranno quanto i partecipanti hanno l’esigenza di
inserirsi in settori con grosse barriere all’entrata per le quali è estremamente
difficile l’ingresso della singola azienda, mentre attraverso tali accordi si sfruttano
le specifiche competenze delle singole imprese.

In tutte queste joint-ventures, tutti i partecipanti mantengono la propria


indipendenza giuridica.

c) situazioni di utilizzo: le motivazioni quindi per la creazione di joint-ventures sono:


1. ridurre i rischi insiti in progetti con elevati investimenti;
2. penetrazione produttiva e commerciale in determinati mercati: questi accordi
spesso sono gli unici per potersi affacciare su mercati fortemente protetti;
3. trasferimento di tecnologia, inteso come trasferimento di conoscenze da
un’impresa a un’altra in cambio di un corrispettivo monetario o il diritto di
fabbricare certi prodotti;
4. complementarietà tecnologica, cioè lo scambio tecnologico tra le parti;

5. accelerare l’innovazione tecnologica, la diversificazione e la possibilità di


disinvestimento.
41
Le dimensioni delle aziende interessate alle joint venture tendono a mutare,
coinvolgendo anche imprese di minore entità. Infatti sempre più frequenti sono gli
accordi fra grandi complessi es imprese medio-piccole, ma dotate di alcuni
importanti punti di forza.

L’accordo darà buoni risultati se tutti i partecipanti concordano sugli obiettivi da


raggiungere o quando un partecipante assume decisamente un ruolo guida non
contestato dagli altri.

La conclusione dell’accordo porta normalmente uno dei partecipanti alla joint-


venture a rilevare la totalità delle quote o azioni.

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20. portatori di interessi:

a) definizione: è l’insieme di soggetti che offrono contributi all’istituto e che


ricevono ricompense o traggono benefici da essi. Si dividono in portatori di
interessi istituzionali e non istituzionali.

b) un quadro di riferimento:

c) principali portatori di interessi e le loro relazioni con l’impresa:


1. Prestatori di lavoro: coloro che lavorano per l’azienda e il loro lavoro è
quantificabile in termini di: tempo dedicato all’impresa; impegno ed energia
profusi nell’attività lavorativa; competenze possedute e messe a disposizione
dell’impresa; risultati conseguiti.

2. Conferenti di capitale di rischio: conferiscono mezzi monetari a titolo di capitale


proprio soggetto al rischio generale di impresa; hanno diritto agli utili via via
prodotti dall’impresa e possono cedere i loro diritti vendendo le proprie quote di
capitale di rischio. In caso però di cessazione dell’attività e di liquidazione
dell’azienda stessa, ciascun conferente di capitale di rischio ha diritto ad ottenere
una quota del patrimonio che rimane dopo aver soddisfatto tutti gli obblighi verso
terzi.
I conferenti di capitale di rischio si aspettano quindi una rimunerazione.
Caratteristica distintiva di questo rapporto è il fatto che la rimunerazione del
capitale di rischio è incerta e può configurarsi anche in forma di perdita.

3. Conferenti di capitale di credito: apportano mezzi monetari che sono messi a


disposizione dell’impresa per un dato periodo di tempo e l’impresa dovrà
rimborsare il capitale e gli interessi nella misura e nei tempi stabiliti.

4. Fornitori: apportano all’impresa condizioni di produzione di varia natura


secondo una pluralità di condizioni di scambio: qualità dei beni, volumi, prezzi
unitari e complessivi, garanzie.

5. Imprese di assicurazione: coprono rischi particolari delle imprese clienti a fronte


di premi. Il contenuto del rapporto tra assicurato e assicuratore varia
notevolmente in relazione al grado di prevedibilità dei possibili sinistri. Esistono due
tipologie di rischio: rischio standard: cioè i rischi più comuni; rischio speciale: cioè i
rischi per i quali è difficile sia prevedere ex ante la probabilità che
avvengano, sia valutare ex post la loro entità economica (comportamenti
opportunistici).

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6. Clienti: coloro che acquistano i beni prodotti dall’impresa e ne rappresentano il
patrimonio commerciale di tutte le imprese.

7. Alleati istituzionali: imprese partner in aggregati quali i gruppi di imprese.

8. Concorrenti: attuali o potenziali, sono le imprese che offrono o potrebbero offrire


prodotti analoghi a quelli della nostra impresa nei mercati nella quale essa opera.

9. Stato: è sempre legato alle imprese da una molteplicità di rapporti come:


• lo Stato come produttore ed erogatore di beni pubblici e percettore di tributi;
• lo Stato come regolatore del comportamento delle imprese mediante
l’emanazione di norme e la gestione delle autorizzazioni;
• lo Stato come dispensatore di incentivi finanziari e fiscali;
• lo Stato come cliente a cui vendere i propri prodotti (costruzione di scuole,
ospedali,
infrastrutture).

10. Collettività locali: instaurano relazioni particolarmente significative con le


imprese che hanno un ruolo economico molto rilevante nelle stesse. A fronte di
produttività e fedeltà delle imprese che lavorano per essa si impegna ad
assumere una quota rilevante di abitanti di una certa area geografica (Ferrero ad
Alba).

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21. Costi di produzione:

a) definizione: è la somma dei valori attribuiti ai fattori produttivi impiegati o


utilizzati in una data attività produttiva.

b) scopi che ne rendono opportuna la determinazione: sapere qual è il costo di


una fase di produzione per valutare se conviene ancora svolgerla all’interno
dell’azienda, conoscere il costo di un prodotto per accertare se il suo prezzo di
vendita è conveniente, valutare qual è il prodotto più redditizio tra quelli offerti
alla clientela: questi sono i motivi che rendono utile la determinazione del costo di
produzione (scopi di analisi e decisione).

c) componenti del costo di produzione: in termini più operativi, il costo di


produzione può considerarsi come il risultato di una ripartita attribuzione di costi
elementari ad un dato oggetto.

Presenta una molteplicità di configurazioni:


• costi consuntivi: sono costi che vengono sostenuti in un dato periodo di tempo
che è già decorso (= costi effettivi);
• costi preventivi: sono costi che si ipotizza di sostenere in un dato periodo di
tempo non ancora decorso (= costi ipotetici). Tra questi ci sono anche i costi
standard, cioè quei costi che si ipotizza di sostenere ipotizzando un certo livello di
efficienza nello svolgimento dell’attività produttiva;
• costi di produzione parziali: essi sono costi che sono riferiti ai singoli centri
operativi (es. costo industriale);
• costi di produzione completi: essi sono costi che risultano dalla somma di tutti i
costi sostenuti per la produzione;
• costi fissi;
• costi variabili.

d) costi specifici e comuni: questi costi elementari si distinguono in:


costi speciali o diretti: essi sono costi relativi a fattori produttivi che partecipano in
modo diretto o esclusivo alla coordinazione produttiva oggetto di determinazione
del costo di produzione (=alla produzione di un dato bene); per i costi diretti si
segue un’attribuzione diretta all’oggetto di calcolo, mediante la misurazione
diretta dei volumi fisici di impiego, valorizzati con opportuni prezzi unitari;

costi comuni o indiretti: essi sono costi relativi a fattori che concorrono allo
svolgimento di più coordinazioni produttive (=alla produzione di più beni); per i
costi comuni si segue un’attribuzione indiretta mediante criteri di ripartizione che
cercano di cogliere la relazione funzionale che lega il fattore produttivo
all’oggetto di calcolo.

La classificazione dei costi elementari in speciali o comuni è una suddivisione


relativa che dipende solo dall’oggetto di riferimento.

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22. Crescita interna ed esterna:
a) caratteristiche:
crescita interna: si verifica quando l’impresa aumenta le proprie dimensioni
accrescendo gradualmente le proprie strutture produttive, commerciali,
amministrative, di ricerca, senza far ricorso ad alleanze o fusioni. Consente di
programmare e ampliare autonomamente le linee e gli obiettivi della crescita.

crescita esterna: si verifica quando l’impresa effettua una completa integrazione


con strutture prima esterne di aziende terze.

b) vantaggi crescita interna:


1. scelta dell’investimento: vantaggio di poter calibrare o modellare
l’acquisizione in base alle specifiche esigenze dell’azienda
2. entità dell’investimento: si ha maggiore elasticità e si può inglobare solo ciò
che interessa
3. minimizzazione dei costi: i costi di mercato si riducono notevolmente
4. presenza di normative antitrust: queste disposizioni tendono di impedire la
formazione di oligopoli e monopoli per garantire la naturale concorrenza sul
mercato; la crescita interna è l’unica forma di crescita che è permessa alle
imprese che perseguono strategie finalizzate al dominio del mercato

c) vantaggi crescita esterna:


1. tempi rapidi di attuazione: permette di acquisire un’impresa già funzionante,
con la conseguente rapida acquisizione di risorse manageriali, forza lavoro,
know how
2. incrementi in termini di valore: permette di acquisire un’impresa il cui prezzo di
cessione è inferiore al costo di sostituzione dei beni propri dell’azienda stessa
3. situazioni di mercato: permette comportamenti difensivi eliminando dei
concorrenti dal mercato
4. aspetti finanziari: se attuata tramite fusione, non causa uscite finanziarie
5. considerazioni giuridico-fiscali: ogni operazione delle imprese deve essere
valutata nei suoi risvolti giuridico-fiscali che possono causare sia costi che
benefici
6. aumento delle alternative strategiche: le alternative di aggregazione sono
varie, da quelle più coinvolgenti a quelle con un grado di integrazione minimo
7. maggiore verificabilità del successo o insuccesso della manovra: è più facile
scorporare i risultati ottenuti dalle singole unità a seguito della crescita esterna

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23. Soggetto d’istituto e soggetto economico

a) Definizione di soggetto d’istituto: Il soggetto di istituto, ovvero l’insieme dei


portatori di interessi ai quali viene assegnato il diritto- dovere di governare l’istituto
(l’organo massimo di governo dell’azienda), ha due fondamentali diritti-doveri:
- diritto-dovere di governare, cioè di guidare l’istituto e di prendere le decisioni di
fondo;
- diritto di godere dei risultati residuali positivi (utili) dell’istituto e dovere di farsi
carico degli eventuali risultati residuali negativi (perdite).
Il soggetto d’istituto deve essere scelto in modo da massimizzare la probabilità che
l’istituto perduri nel tempo.
È opportuno assegnare i diritti di proprietà di un certo istituto:
-Alle persone il cui benessere dipende dall’esistenza e dallo sviluppo dell’istituto;
-Alle persone che hanno effettuato investimenti specifici rilevanti nell’istituto e che
quindi subirebbero gravi danni dal suo cattivo governo;
-Alle persone disposte ad assumersi una quota consistente del rischio generale di
istituto;
-Alle persone i cui contributi sono molto critici per l’istituto ma scarsamente
definibili ex ante
e scarsamente controllabili ex post.

b) Definizione di soggetto giuridico: persona o gruppo di persone fisiche nel cui


prevalente interesse l’azienda è amministrata. Il soggetto giuridico è il titolare dei
diritti ed obblighi.
-  Soggetto giuridico di responsabilità: insieme delle persone che hanno la
responsabilità per legge dell'attività dell'azienda

-  Soggetto giuridico di rappresentanza: comprende tutti i soggetti che hanno


facoltà di rappresentare l'azienda nei rapporti che questa intrattiene nei confronti
dei terzi.

c) Definizione di soggetto economico: insieme delle persone a cui fanno capo gli
interessi economici istituzionali e che esercitano di fatto il governo economico
dell’azienda.
Il soggetto economico ha dei diritti-doveri:
1. deve fissare gli obiettivi,
2. scegliere i soggetti che contribuiranno alla vita economica dell’istituto,
3. progettare e mettere in atto le strutture di governo e di controllo dell’istituto,
4. sorvegliare il funzionamento dell’istituto.
Il soggetto economico è unitario e unico.

Se il soggetto economico è costituito da una sola categoria di interessi, si codifica


con l’esistenza di tre organi:
-  organo supremo di indirizzo, che prendere le decisioni più importanti;
-  organo decisionale di governo economico, che configura e indirizza l’attività
della struttura organizzativa dell’azienda;
-  organo di controllo, che verifica l’operato dell’organo decisionale di governo
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economico.

Esistono casi in cui il governo economico viene esercitato da persone che non
fanno parte del soggetto economico e si forma il soggetto economico improprio,
che può essere deleterio per lo sviluppo dell’impresa poiché non rispetta il
principio del contemperamento degli interesso.

(SOGGETTO OPERATIVO: insieme di individui che prestano la propria opera


nell’azienda, sviluppando l’amministrazione, in generale, e la gestione, in
particolare)

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24. La diversificazione:

a) caratteristiche: è una strategia di crescita aziendale che consiste


nell’allontanamento simultaneo dai prodotti e dai mercati familiari in cui l’azienda
era solita operare, realizzando un processo appunti di diversificazione produttiva;
un’azienda è diversificata quando opera in una serie di business differenti.

- diversificazione omogenea o correlata o orizzontale: si ha quando i nuovi


prodotti presentano aspetti tecnologici o di mercato legati alla precedente
attività dell’impresa.
• diversificazione concentrica: presuppone l’esistenza di un’attività principale
(core business) dalla quale si sviluppano circolarmente nuove attività;
• diversificazione sequenziale: non esiste un fattore consolidato che funziona da
propulsore per le nuove attività, ma lo sviluppo è conseguito utilizzando e
sfruttando fattori sinergici di volta in volta diversi e tali da condurre l’impresa
verso nuovi settori anche molto lontani rispetto all’originaria attività;
• diversificazione piena: con tale diversificazione l’impresa finirà con il produrre un
insieme di prodotti diversi sostanzialmente imposti all’impresa dai consumatori
che si aspettano di ottenere tali beni dallo stesso produttore.

-  diversificazione eterogenea o conglomerale: tale modalità presuppone, per i


nuovi prodotti frutto della diversificazione, l’utilizzo di tecnologie produttive e
l’indirizzo verso mercati diversi rispetto a quelli dei beni prodotti fino a quel
momento.
• diversificazione eterogenea semplice;
• diversificazione eterogenea conglomerale: l’impresa cresce senza caratterizzarsi
per la prevalenza di un’attività rispetto alle altre ma per la sostanziale
equidistribuzione fra diversi settori-mercato.

- diversificazione orientata: oscilla tra le due

b) vantaggi:
1. Ripartizione dei rischi
2. Massimizzazione della crescita
3. Ricerca del potere di mercato
4. Economie di scopo e valorizzazione delle risorse in eccesso
5. Internalizzazione laterale legata all’efficienza transazionale
6. Vantaggi informativi
7. Riduzione del rischio finanziario imprenditoriale

c) aspetti negativi: legati agli errori di valutazione che possono essere fatti al
momento della pianificazione strategica della diversificazione, l’assenza di una
seria pianificazione e motivi psicologici legati al rifiuto dell’operazione da parte dei
dirigenti dell’impresa originaria.

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25. Integrazione orizzontale:

a) definizione: con lo sviluppo orizzontale l'azienda tende ad aumentare le proprie


dimensioni incrementando il suo peso nello specifico campo di attività in cui
opera, aumentando la possibilità di controllo su produzione, prezzi, mercati. In
questo modo, l’azienda ha la possibilità di provocare una maggiore
concentrazione del mercato, arrivando anche a posizioni monopolistiche.

b) metodi di attuazione: si attua accorpando più unità producenti il medesimo


bene, o uno differenziato, aumentando quindi la presenza in termini quantitativi su
uno specifico mercato. In definitiva, l’espansione tramite integrazione orizzontale
viene attuata quando l’impresa acquisisce o fonde imprese che in gran parte
usano gli stessi processi per produrre lo stesso prodotto rivolto al medesimo
mercato.
Le differenti tipologie con cui si può effettuarsi un’integrazione orizzontale:
• Linea di prodotti esistente: questa alternativa non comporta la modifica dei
prodotti già esistenti e può essere attuata sia sugli stessi mercati in cui l’impresa
già opera, sia su mercati geograficamente nuovi.
Nella situazione di sviluppo su mercati in cui l’impresa è già presente, il maggior
sforzo sarà legato all’utilizzo di differenti strumenti di marketing (fenomeni
promozionali e pubblicitari) per aumentare le vendite. Questo obiettivo
(aumentare le vendite) può essere conseguito sia facendo acquistare di più ai
singoli clienti sia acquisendo nuovi consumatori.

• Prodotti differenziati: questa alternativa è sicuramente più complessa e può


nascere come necessità di differenziare il proprio prodotto rispetto a quello dei
concorrenti.

Si possono poi distinguere anche altri due tipi di integrazione orizzontale:


- integrazione orizzontale laterale: questa prevede l’integrazione tra imprese che
producono
varianti dello stesso tipo di prodotto;
- integrazione orizzontale diagonale: questa prevede invece l’aggiunta al proprio
prodotto di servizi ausiliari.

c) motivazioni che spingono alla crescita orizzontale: Le motivazioni strategiche


che portano ad un’integrazione orizzontale sono:
1. aumento della quota di mercato: con ciò si intende la maggiore forza che
l’azienda acquisisce a livello di marketing;
2. acquisizione di know how: se l’azienda non si integrasse orizzontalmente, essa
dovrebbe sostenere dei costi altissimi per ottenere queste conoscenze,
investimento rischiosissimo e non sempre dal risultato positivo;
3. miglioramento dell’efficienza operativa: con l’efficienza produttiva l’azienda
sarà in grado di ampliare la propria produzione e, in questo modo, anche di
ripartire i costi fissi su una produzione appunto più ampia;

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4. salvaguardia dal calo di domanda: aumentando, diversificando la produzione
e i mercati di sbocco della produzione, l’azienda può limitare il calo della
propria domanda;
5. volontà di acquisire maggior potere monopolistico: spesso l’integrazione
orizzontale ha come fine quello di “togliere” dal mercato alcuni concorrenti o
creare delle barriere all’entrata nei confronti di potenziali concorrenti.

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26. La specializzazione economica

a) definizione: è un fenomeno pervasivo che si presenta a tre livelli – per macro


classi di istituti, nell’ambito di ciascuna classe di istituti (soprattutto per le imprese e
gli istituti pubblici), nell’ambito delle singole aziende (dove le varie unità
organizzative e le singole persone svolgono compiti particolari, utilizzando speciali
competenze e risorse).

b) vantaggi: i vantaggi che la specializzazione economica comporta sono detti


economie di specializzazione, e sono i seguenti:
✓ Il lavoro è svolto più efficientemente
✓ Il lavoro è più rapido
✓ Il lavoro comporta meno fatica
✓ I risultati sono di migliore qualità

Tali vantaggi, che in economia si chiamano economie di specializzazione,


derivano essenzialmente dalle seguenti circostanze:
1. i processi di apprendimento che derivano dalla ripetizione di una medesima
attività;
2. i limiti e le non uniformi distribuzioni delle competenze individuali;
3. la differenziazione degli orientamenti tecnici e manageriali: a compiti
specializzati si possono far corrispondere persone con capacità tecniche e
manageriali particolarmente focalizzati;
4. i costi di apprestamento e di passaggio tra le fasi: se una stessa persona deve
compiere più di una fase di un certo processo produttivo, ogni volta che passa
da una fase all’altra, deve dedicare tempo e attenzione per preparare la
nuova fase e per concentrarsi sulla stessa; si sostengono dei costi di
apprestamento, detti costi di setting;
5. le diverse performance tecniche degli impianti e delle attrezzature: gli impianti
di produzione possono essere generici oppure specializzati; spesso le scelte di
specializzazione degli impianti portano ad una specializzazione anche del
lavoro;
6. l’identificazione e la motivazione al lavoro: una forte specializzazione del
lavoro può produrre effetti positivi sulla motivazione individuale.

c) svantaggi: La specializzazione produce però anche degli svantaggi ed è


dunque dal bilanciamento dei vantaggi e degli svantaggi che deriva il grado di
specializzazione opportuno. I principali limiti e svantaggi sono:
1. costi di coordinamento elevati;
2. costi di rigidità e gli investimenti specifici: le persone e gli impianti fortemente
specializzati sono tipicamente rigidi e quando occorre modificare le attività da
svolgere, i tempi e i costi di cambiamento possono essere particolarmente alti;
3. demotivazione: la specializzazione del lavoro può produrre effetti sia positivi
che negativi sulla motivazione del lavoro. L’effetto è negativo quando la
specializzazione porta ad attribuire alle singole persone compiti molto isolati,
semplici e ripetitivi, ossia compiti che non consentono il soddisfacimento di
bisogni di socialità, di stima e di realizzazione.
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27. Le combinazioni economiche parziali

a) definizione: Una combinazione economica parziale è una combinazione


prodotto-mercato con propri caratteri distinti rispetto alle altre combinazioni
prodotto-mercato attuate dalla stessa impresa. Molte imprese, soprattutto di
grandi dimensioni, attuano più combinazioni economiche parziali, cioè operano in
più aree di affari.

b) metodologie: Queste imprese, nel corso del loro sviluppo, decidono di


compiere mosse di diversificazione e scegliendo quindi di entrare in un’area di
affari diversa:
-  decidono di aggiungere alla gamma di prodotti sino a quel momento offerti una
linea di prodotti molto diversa rispetto alle precedenti (produrre prodotti nuovi);

-  decidono di spostarsi in un mercato più disomogeneo di quello in cui operavano


precedentemente.

Ognuna di queste combinazioni comporta costi e ricavi e per le quali è possibile


calcolare un risultato economico parziale (parziale perché riferito a quella
particolare combinazione), utile o perdita.

c) struttura: Le imprese che attuano contemporaneamente più combinazioni


economiche parziali si dicono imprese diversificate.
Spesso questa diversificazione si riflette anche sulla struttura organizzativa
dell’impresa che diventa una struttura divisionale, cioè una struttura articolata per
divisioni che corrispondono alle varie aree di affari e quindi alle varie combinazioni
economiche parziali.

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28. L’attuazione dell’espansione internazionale

a) Le principali fasi di espansione di un’impresa industriale possono essere


ricondotte a:
1. esportazione (indiretta o diretta): è la prima forma di sviluppo internazionale; è
la modalità che presenta minori rischi e più contenuti investimenti,
consentendo di verificare la capacità del mercato estero di assorbire i beni;
2. reti di distribuzione: tali reti consentono di acquisire più facilmente il cliente
abituato a servirsi di venditori locali; la rete di distribuzione può essere acquisita
direttamente, ottenendone il controllo, oppure con forme di
compartecipazione (joint-venture, franchising);
3. accordi di licenza con produttori esteri: il successivo passo verso i mercati esteri
è attuato con la produzione nel paese stesso; si cedono licenze di
fabbricazione o brevetti ad imprese locali;
4. assemblaggio all’estero di prodotti: consente di non dover far fronte ad ingenti
costi di trasporto del prodotto finito;
5. produzione all’estero: alternativa alla precedente direttrice di sviluppo appare
la possibilità di sottoscrivere un accordo con un produttore locale affinchè
costruisca, su direttive e con il marchio del venditore, i beni.
6. strutture estere autosufficienti: ciò significa predisporre una struttura produttiva
e distributiva autosufficiente, una consociata estera.
7. si attua infine lo sviluppo multinazionale.

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29. I gruppi di imprese:

a) definizione e caratteristiche: Il gruppo di imprese è una forma classica di


aggregazione di tipo equity totale (su base patrimoniale).
Un gruppo è caratterizzato da:
1. elementi giuridico-formali:
• presenza di due o più società giuridicamente autonome
• legami di partecipazione fra le società;
• forma giuridica generalmente costituita da società di capitali;

2. elementi sostanziali
• unità (o unitarietà) del soggetto economico.

b) possibile struttura:
-  gruppi verticali: sono quei gruppi in cui la gestione è affidata ad una società
capogruppo o
holding, società che ha la possibilità di esercitare un controllo sulle società del
gruppo in quanto possiede delle partecipazioni nel capitale sociale delle
controllate. È il tipo di legame partecipativo più ricorrente.

- gruppi orizzontali: sono insiemi di imprese legate tra di loro da vincoli di varia
natura; in questi gruppi la direzione viene esercitata congiuntamente dalle
imprese di gruppo che si trovano in una situazione di reciproca uguaglianza.

Per quanto riguarda la struttura dei legami di partecipazione, possiamo


distinguere:
-  partecipazioni dirette: si parla di gruppo a struttura semplice, che si ha quando è
la stessa capogruppo a detenere le partecipazioni nelle società controllate
-  partecipazioni indirette: si parla di gruppo a struttura complessa. Queste
partecipazioni presuppongono il controllo della partecipata tramite un’altra
società che a sua volta è controllata dalla holding; questa partecipazione è
denominata anche “a cascata” ed è finalizzata alla minimizzazione del rischio da
parte del soggetto economico
-  partecipazioni reciproche: si parla di gruppo a catena. Questo gruppo
presuppone l’esistenza di rapporti diretti o indiretti di partecipazione tra le società
del gruppo.

In merito alla funzione della capogruppo è possibile individuare:


- holding pura (o finanziaria): in cui la funzione di tale holding si limita alla
gestione delle partecipazioni possedute e al loro coordinamento tecnico e
finanziario, ma la holding non svolge alcuna attività industriale o operativa;
- holding mista: all’interno di tale holding vengono svolte sia funzioni industriali, sia
funzioni proprie del coordinamento del gruppo.

Per quanto riguarda la holding pura, vengono individuati due particolari gruppi
strutturati in due diversi modi:
- gruppo “a pettine”: questo è un gruppo in cui la holding controlla tutte le
controllate in maniera diretta; così anche se una delle società controllate viene
55
persa, la perdita si limita solamente a quella società.
Questo sistema di controllo è quindi sicuro, anche se però è un sistema costoso in
quanto bisogna avere partecipazioni dirette in ogni controllata, si devono
impegnare cioè ingenti mezzi finanziari;

- gruppo “a grappolo”: questo è invece un gruppo in cui la holding esercita un


controllo indiretto sulle controllate→la holding detiene infatti una partecipazione
diretta in una sola impresa e controlla invece le altre aziende in maniera indiretta,
sfruttando le partecipazioni che la sua controllata ha nelle altre.
Questo sistema di controllo è meno sicuro di quello “a pettine”: infatti se ad
esempio la holding decidesse la cessione dell’impresa C, si finirebbe con il perdere
anche le società D e E direttamente possedute dalla società C.
D’altro canto invece, questo sistema è meno costoso in quanto la holding deve
avere la partecipazione diretta in una sola impresa.

c) la genesi: la formazione dei gruppi può avvenire secondo 3 differenti modalità:


- per acquisizione: questa è la modalità più ricorrente, che prevede la costituzione
di un gruppo a seguito di acquisizioni graduali e successive da parte di una
società destinata a diventare la capogruppo;

-  per concentrazione dei pacchetti di controllo: questa modalità è meno


ricorrente e prevede che più soggetti possessori di pacchetti di controllo di diverse
società conferiscono tali pacchetti ad una preesistente società la cui funzione
sarà quella tipica di una holding;

- per scorporo o conferimento:


o lo scorporo presuppone la creazione di un gruppo a seguito della
“frantumazione” di un’unica grande azienda destinata, a seguito dello scorporo, a
rimanere in vita assumendo il carattere di holding e detenendo le partecipazioni
nelle imprese scorporate.
o il conferimento è invece uno scorporo di aziende o rami di azienda con
contestuale apporto in società di nuova costituzione o società già esistenti ( non è
quindi la società che si è scissa a divenire holding, come invece avviene nello
scorporo)

d) le finalità: svariate sono le motivazioni per la formazione di un gruppo:


-  Le motivazioni che portano alla costituzione di un gruppo sono relative prima di
tutto all’aumento delle dimensioni;
- Poi vi sono le motivazioni finanziarie, in quanto la formazione di un gruppo
permette un
accentramento della gestione finanziaria e consistenti vantaggi finanziari;
- Rilevante è anche l’aspetto economico, poiché la formazione di un gruppo
permette il miglioramento delle condizioni economiche, e quindi
dell’economicità delle aziende del gruppo;
- Per quanto riguarda l’aspetto organizzativo, la costituzione di un gruppo porta
anche vantaggi legati alla responsabilizzazione dei dirigenti intermedi posti in
posizioni decisionali nelle società controllate.

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30) L’impresa multidivisionale:

Per superare le problematiche derivanti dalla grande dimensione, le imprese


hanno in alcuni casi deciso di organizzarsi secondo una struttura multidivisionale.
Una struttura organizzativa di questo tipo si fonda su degli elementi fondamentali:
-  decentramento di funzioni operative a unità omogenee, dotate di un elevato
grado di autonomia operativa;

-  decentramento delle responsabilità e del potere di decisione ai dirigenti delle


singole divisioni; l’intervento da parte della direzione centrale deve essere infatti
moderato;

-  adozione di complessi sistemi di programmazione e di controllo nei confronti


delle strutture divisionali, per la corretta definizione degli obiettivi e delle
valutazioni delle performances;

-  attribuzione all’alta direzione delle funzioni di indirizzo strategico, come la


definizione dei piani finanziari e strategici dell’impresa.

Le imprese organizzate per divisioni si prefiggono quattro obiettivi:


-  attuare un forte decentramento;
-  incoraggiare l’indipendenza;
-  massimizzare il contributo reddituale delle singole divisioni;
-  formare i futuri manager ad alto livello.

Esistono però dei prezzi di trasferimento per le transazioni che avvengono tra le
singole divisioni: si possono basare sui prezzi di mercato o sui costi realmente
sostenuti, anche se non esiste un metodo assoluto per stabilire tali prezzi, in quanto
bisogna tener conto delle caratteristiche dei beni oggetto di scambio interno e
delle strutture operative delle singole divisioni.

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