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Diritto commerciale

Capitolo 1

Cos’è il diritto commerciale? Il diritto commerciale costituisce il diritto delle imprese, regola la
pratica del commercio e l’attività di ogni tipologia d’impresa, commerciale o non, individuale,
collettiva, pubblica e privata, for profit o not for profit. Si specializza quindi nella disciplina dei
rapporti delle attività produttive. La sua evoluzione è da sempre interconnessa con le scelte di
politica economica di ogni legislatore.

Come si è sviluppato il diritto commerciale? Il diritto commerciale trova le sue origini nella Roma
repubblicana e nella cultura ellenica. Inizialmente riconducibile ad un’economia in larga misura
agraria e marittima, si sviluppa fino a riguardare nel ‘700 ogni tipo di attività commerciale.

Lo ius mercatorum, nasce a tutti gli effetti durante il Medioevo, in quanto la borghesia necessita di
sicurezza negli scambi commerciali (rapporti disciplinati). Vi è anche il bisogno di coinvolgere nel
commercio quei ceti sociali che convogliano ricchezza statica. L’economia cittadina si basa sempre
di più sulla partecipazione dei cittadini a delle attività imprenditoriali. Lo ius mercatorum viene
imposto a tutte le classi sociali e reso obbligatorio nelle contrattazioni dove è presente anche un
solo commerciante. Chiunque si fosse sottratto a quest’obbligo, non avrebbe poi potuto ricorrere
allo ius mercatorum nelle contrattazioni successive. Le fonti del diritto commerciale sono: statuto,
consuetudini, giurisprudenza mercantile.

Nascono in questo periodo invenzioni ed istituti giuridici di grandissimo rilievo quali:

• Societas mercatorum (compagnia): è la contemporanea società a nome collettivo; nasce come


unione familiare e mezzo per realizzare investimenti comuni. I capitali vengono conferiti da
ciascuno in base alle proprie possibilità mentre i profitti divisi secondo necessità. I soci assumono
responsabilità illimitata e solidale verso la compagnia ossia rispondono con il loro intero
patrimonio personale. Questa clausola fu introdotta per favorire il massimo sviluppo del
commercio, grazie alle garanzie che forniva. Alla compagnia si applicava anche il regime di
amministrazione disgiuntiva (l’obbligazione assunta da un socio vincola anche gli altri, pure se
presa a loro insaputa).
• Società per azioni: responsabilità limitata e capitale sociale costituito da azioni (non vi sono
scadenze né interessi in questo modo). Fu molto utile per far avventurare i mercanti in
commerci molto complessi senza il rischio di perdere il proprio patrimonio.
• Societas per viam accomanditae (società in accomandita) che prevede un doppio ruolo dei soci:
1. Socio accomandante (finanziatore con responsabilità limitata)
2. Socio accomandatario (responsabilità illimitata)
• Cambiale (primi titoli di credito): documento con cui il debitore ordina ad un terzo di pagare la
somma prevista allorché ciò avvenga in un momento e in un luogo differente rispetto a quello dii
emissione. Sviluppo della cartolarizzazione —> far circolare beni attraverso la carta (fedi di
deposito, cambiali ecc) con cui per la classe di mercanti è possibile trasferire credito senza
circolare con del denaro.

Nel ‘700 si verificano altre modifiche nel diritto commerciale. L’economia dei mercanti che si
fanno prestare soldi dai nobili subisce una grande rottura. Nasce così un’epoca in cui l’economia
trova al suo centro una nuova classe sociale che ha surclassato quella della nobiltà.

Con l’affermazione del capitalismo il diritto commerciale subisce sostanziali modifiche: diventa
finalmente applicabile a tutti i cittadini e non si riferisce più ai commercianti bensì alle attività
d’impresa e alla nuova figura dell’imprenditore. Si arriva poi alla crisi degli anni ’29/30, e si ha
un’unificazione del codice commerciale e civile durante gli anni ‘40. Il codice civile fu redatto nel
1942 e contiene il codice di commercio all’interno del Libro V. Ulteriori novità degne di nota sono:
• affermazione contratti standardizzati (arrestano il ricorso a clausole vessatorie)
• nuovi contratti d’impresa (leasing, franchising…)
• stratificazione della legislazione speciale nell’ambito del diritto dell’economia.

Nel dopoguerra molte imprese rimangono in mano allo stato, ciò viene ritenuto dannoso e nasce
l’idea che la concorrenza libera sia molto più adatta a favorire l’economia.

Diritto commerciale e teorie dell’impresa

Le teorie dell’impresa servono ad illustrare le funzioni delle imprese e ad individuare le strategie


che dovrebbero attuare per massimizzare la propria efficienza. Esiste una divisione tra teorie
economiche (riguardano le dinamiche produttive) e teorie giuridiche (interessi da perseguire per
rispettare i principi dell’ordinamento). Le ultime si differenziano poi in contrattualistiche e
istituzionaliste. Nel diritto commerciale italiano prevalgono le prime, che pongono particolare
attenzione agli interessi dei proprietari d’impresa invece che agli stakeholders.

La necessità di regolare il mercato nasce dal bisogno di garantire che il mercato sia: stabile, sicuro
ed efficiente. Il legislatore deve porre attenzione a questi fattori e, contemporaneamente, non
ostacolare o disincentivare l’impresa. Nasce per questo motivo il diritto dell’impresa.

Clausole che regolano l’autonomia privata


“L’iniziativa economica privata è libera” art. 41 costituzione. A quale genere di attività economica
fa riferimento questo principio? C’è un dibattito al riguardo ma si è giunti ad una conclusione
condivisa:
La costituzione afferma il principio secondo cui l’iniziativa economica deve essere tutelata alla
stregua di un diritto di libertà, rispettivamente di iniziare, svolgere e cessare un’attività
imprenditoriale. Il comma 2 dello stesso articolo indica che l’attività non può svolgersi se reca
danno alla sicurezza, libertà e dignità umana. Il legislatore può adottare dei provvedimenti di
natura diversa a seconda degli obiettivi e delle dimensioni organizzative dell’impresa.

L’attività d’impresa può essere disciplinata tramite eteroregolazione e autoregolazione. Il primo


metodo è diviso in due modi: utilizzando regole (ex ante) o utilizzando standard (ex post). L’utilizzo
delle regole individua a priori tutte le circostanze che il legislatore ritiene rilevanti nella disciplina
di un determinato ambito e che dettano il comportamento da tenere. L’utilizzo dello standard
invece prende in considerazione circostanze non espressamente elencate nella propria
formulazione letterale. Le regole sono più costose da promulgare, mentre gli standard risultano più
costosi da applicare. Il ricorrere agli standard può rivelarsi senz’altro più altruistico e flessibile dal
punto di vista applicativo.

Il metodo di autoregolazione invece si divide in imprenditoriale e societaria. Il primo riguarda i


contratti plurilaterali che regolano l’organizzazione interna e l’attività esterna di più imprese che
operano nello stesso luogo (geografico o produttivo). Il secondo, di cui il codice di autodisciplina
delle società quotate rappresenta l’esempio più noto, serve come standard organizzativo e
informativo. È utile in particolar modo agli investitori per valutare il valore e la serietà di una
determinata società.

Le norme dispositive (di default) regolano le imprese in quanto permettono un adattamento alle
esigenze delll’attività d’impresa e ai costi di transazione ricorrenti. I destinatari possono quindi
adottare una disciplina alternativa a quella dettata letteralmente. La regola di default migliore è
quella che garantisce la massimizzazione della ricchezza generabile da un accordo tra parti diverse.
È comunque opportuno, nel disciplinare le imprese, servirsi anche di norme inderogabili per tre
motivi:
1. per tutelare i soggetti contrattualmente deboli
2. quando risulta plausibile che l’esito di una negoziazione si riveli iniquo per una parte a causa
dell’inefficienza del mercato sul quale avviene quella negoziazione.
3. per scongiurare episodi di incertezza su quale sia il diritto applicabile.
Una ulteriore motivazione che rende necessaria l’applicazione di norme inderogabili è la necessità
di tutela dei beni pubblici.

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