Sei sulla pagina 1di 390

DIRITTO COMMERCIALE 1

Diritto dell’impresa

Capitolo 1
L’imprenditore
Nel nostro sistema giuridico la disciplina delle attività economiche ruota attorno alla figura
dell’imprenditore, del quale il legislatore dà una definizione generale all’art 2082 cod.civ.
Il codice civile distingue diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a 3 criteri di selezione,
operanti su diversi piani:
1. L’oggetto dell’impresa che determina la distinzione tra imprenditore agricolo e
imprenditore commerciale
2. La dimensione dell’impresa che serve ad enucleare la figura del piccolo imprenditore e
quella dell’imprenditore medio-grande
3. La natura del soggetto che esercita l’impresa che determina la tripartizione legislativa tra
impresa individuale, impresa costituita in forma di società e impresa pubblica
Il codice civile detta innanzitutto un corpo di norme applicabile a tutti gli imprenditori e sono le
norme che fanno riferimento all’imprenditore o all’impresa senza ulteriori specificazioni. È questo
lo statuto generale dell’imprenditore, che comprende parte della disciplina dell’azienda e dei segni
distintivi.
È poi identificabile uno specifico statuto dell’imprenditore commerciale pur se taluni istituti che lo
compongono trovano applicazione anche nei confronti di taluni imprenditori non commerciali
(società) ed altri non trovano applicazione nei confronti di determinati imprenditori commerciali
(piccoli uffici pubblici). Rientrano nello statuto tipico dell’imprenditore commerciale: l’iscrizione
nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, la disciplina della rappresentanza
commerciale, le scritture contabili il fallimento e le altre procedure concorsuali disciplinate dalla
legge fallimentare e l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi.
Poche e scarsamente significative sono invece le disposizioni del codice civile specificamente
riferite all’imprenditore agricolo e al piccolo imprenditore. Imprenditore agricolo e piccolo
imprenditore anche commerciale sono esonerati dalla tenuta delle scritture contabili e
dall’assoggettamento alle procedure concorsuali dell’imprenditore commerciale, mentre
l’iscrizione nel registro delle imprese è oggi estesa anche a tali imprenditori.
Anche la distinzione soggettiva tra impresa individuale, società e impresa pubblica rileva
essenzialmente al fine di definire l’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore
commerciale.

1
Infatti, le società diverse dalla società semplice (società commerciali) sono tenute all’iscrizione nel
registro delle imprese, con effetti di pubblicità legale anche se l’attività esercitata non è
commerciale.
Riforma diritto fallimentare 2006: è stata soppressa la regola per cui le società non potevano
essere mai considerate piccoli imprenditori; in passato le società erano sempre esposte al
fallimento se esercitavano attività commerciale. Oggi, gli enti pubblici che esercitano impresa
commerciale sono sottratti in misura più o meno ampia alla disciplina dell’imprenditore
commerciale e non sono mai esposti al fallimento.
Nozione generale di imprenditore
“È imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o servizi.”
Tale nozione si richiama al concetto economico di imprenditore. Tuttavia, la derivazione
economica della nozione di imprenditore non significa che vi debba essere piena coincidenza tra
nozione giuridica e nozione economica. La figura dell’imprenditore è identificata nel soggetto che
nel processo economico svolge funzione intermediaria tra chi dispone dei necessari fattori
produttivi e chi domanda prodotti e servizi. Nello svolgimento di tale funzione l’imprenditore
coordina, organizza e dirige il processo produttivo assumendo su di sé il rischio relativo (che i costi
sopportati non siano coperti dai ricavi conseguiti) per la mancanza di domanda per la situazione di
mercato. L’esposizione al rischio di impresa giustifica poi il potere dell’imprenditore di dirigere il
processo produttivo e legittima l’acquisizione da parte dello stesso dell’eventuale eccedenza dei
ricavi rispetto ai costi (profitto).
Un cosa è però individuare funzioni e moventi tipici dell’imprenditore, altro è fissare i requisiti
minimi necessari e sufficienti che devono ricorrere perché un dato soggetto sia esposto a una data
disciplina: la disciplina dell’imprenditore.
Art 2082: l’impresa è attività (serie coordinata di atti unificati da una funzione unitaria) e attività
caratterizzata sia da uno specifico scopo (produzione o scambio di beni o servizi), sia da specifiche
modalità di svolgimento (organizzazione, economicità, professionalità). Altri requisiti non sono
specificatamente richiesti.
Si discute se ciò se sia sufficiente o se altri requisiti siano necessari perché si abbia attività di
impresa e acquisti della qualifica di imprenditore. È controverso se siano indispensabili:
a. L’intento dell’imprenditore di ricavare un profitto dall’esercizio dell’impresa
b. La destinazione al mercato dei beni o servizi prodotti
c. La liceità dell’attività svolta
Una posizione su tali problemi potrà essere assunta solo dopo aver esaminato i requisiti
espressamente enunciati e perciò certamente necessari.
Inoltre, i requisiti posti dall’art 2082 sono quelli rilevanti ai fini della nozione civilistica di
imprenditore, quindi non deve sorprendere se le nozioni giuridiche elaborate in altri settori non
coincidono puntualmente con quella fissata dall’art 2082 cod. civ.

2
L’attività produttiva
L’impresa è attività finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi. È attività produttiva
anche l’attività di scambio in quanto volta ad incrementare l’utilità dei beni spostandoli nel tempo
e nello spazio.
Requisiti: è impresa anche la produzione di servizi di natura assistenziale, culturale o ricreativa. È
altresì irrilevante che l’attività produttiva possa nel contempo qualificarsi come attività di
godimento o di amministrazione di determinati beni o del patrimonio del soggetto agente.
Certo non è impresa l’attività di mero godimento, cioè che non dà luogo alla produzione di nuovi
beni o servizi (es: proprietario di immobili che ne gode i frutti concedendoli in locazione.
Può invece esserci sia attività di godimento che produttiva, come quella del proprietario di fondo
agricolo che destina lo stesso a coltivazione. È godimento e produzione di servizi l’attività del
proprietario di un immobile che adibisca lo stesso ad albergo, pensione o residence.
Gli atti di investimento, speculazione e finanziamento quando sono coordinati in serie in modo da
configurare un’attività unitaria possono dar vita ad impresa se ricorrono gli ulteriori requisiti
dell’organizzazione e professionalità.
Sono certamente imprese commerciali le società di investimento, società che hanno per oggetto
l’impiego del proprio patrimonio nella compravendita di titoli secondo il criterio della
diversificazione degli investimenti e del frazionamento dei rischi, in modo da offrir ai soci un
dividendo tendenzialmente costante. Sono altresì imprese commerciali le società finanziarie, che
erogano credito con mezzi propri.
Anche le cosiddette Holdings sono qualificate come imprese commerciali: sono le società che
hanno per oggetto esclusivo l’acquisto e la gestione di partecipazioni di controllo in altre società,
con finalità di direzione, coordinamento e finanziamento della loro attività dando così vita al
fenomeno del gruppo di società di cui sono a capo.
L’organizzazione
Non è concepibile attività senza programmazione e coordinamento della serie di atti in cui essa si
sviluppa. Non è concepibile attività di impresa senza l’impiego coordinato di fattori produttivi
propri e altrui (capitale e lavoro).
È normale e tipico che la funzione organizzativa dell’imprenditore si concretizzi nella creazione di
un apparato produttivo stabile e complesso, formato da persone e da beni strumentali. Questo
tipico aspetto del fenomeno imprenditoriale è sottolineato dal legislatore quando qualifica
l’impresa come attività organizzata; quando disciplina il lavoro e l’organizzazione del lavoro
nell’impresa, ponendo in rilievo il potere direttivo e la supremazia gerarchica dell’imprenditore;

3
quando definisce l’azienda come il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa.
Visto che ciò è normale resta da precisare ciò che è essenziale affinchè una data attività produttiva
possa dirsi organizzata in forma di impresa. Non è necessario che la funzione organizzativa
dell’imprenditore abbia per oggetto anche altrui prestazioni lavorative autonome o subordinate. È
imprenditore anche chi opera usando solo il fattore capitale ed il proprio lavoro. Es: una gioielleria
gestita dal solo titolare.
Non è necessario inoltre che l’attività organizzativa dell’imprenditore si concretizzi nella creazione
di un apparato strumentale fisicamente percepibile. È ben vero che non vi può essere impresa
senza impiego e organizzazione di mezzi materiali, ma questi possono ben ridursi al solo impiego
di mezzi finanziari propri o altrui come nell’attività di finanziamento o investimento.
Non vi può essere impresa senza impiego e organizzazione di mezzi materiali, ma questi possono
ben ridursi a solo impiego di mezzi finanziari propri o altrui, come per e attività di finanziamento o
di investimento. Non si può inoltre affermare che in tali casi manca un’organizzazione di tipo
imprenditoriale solo perché manca un apparato aziendale composto da beni mobili e immobili.
Ciò che qualifica l’impresa è l’utilizzazione di fattori produttivi e il loro coordinamento da parte
dell’imprenditore per un fine produttivo. Non invece il tipo di apparato strumentale di cui
l’imprenditore si avvale e che può variamente atteggiarsi a seconda del tipo di attività e delle
scelte organizzative dell’imprenditore.
In definitiva, la qualità di imprenditore non può essere negata per difetto del requisito
dell’organizzazione, sia quando l’attività è esercitata senza l’ausilio di collaboratori, sia quando il
coordinamento degli altri fattori produttivi non si concretizzi nella creazione di un complesso
aziendale materialmente percepibile.
Impresa e lavoro autonomo
Si può parlare di impresa anche quando il processo produttivo si fonda esclusivamente sul lavoro
personale del soggetto agente? (quando non vengono utilizzati né capitali né lavoro altrui e perciò
faccia difetto la cosiddetta etero-organizzazione).
Il problema assume pratico rilievo nel settore della produzione di servizi e con riferimento
specifico ai prestatori autonomi di opera manuale o di servizi fortemente personalizzati. Questi
operatori economici che sono sempre e comunque imprenditori?
No: la semplice organizzazione a fini produttivi del proprio lavoro non può essere considerata
organizzazione di tipo imprenditoriale e in mancanza di un coefficiente minimo di etero-
organizzazione deve negarsi l’esistenza di impresa, seppure piccola.
La dottrina tuttavia non è univoca.
Economicità dell’attività
L’impresa è attività economica. Si ritiene tuttavia che nell’art 2082 attività economica sia sinonimo
di attività produttiva e perciò altro non significhi che attività rivolta alla produzione o allo scambio
di beni o servizi.

4
Tuttavia questa conclusione riduttiva non può essere condivisa, poiché l’economicità è richiesta in
aggiunta allo scopo produttivo dell’attività e al concetto di attività economica può essere
recuperato un proprio e autonomo significato.
Ciò che qualifica un’attività come economica non è solo il fine produttivo cui essa è indirizzata. È
anche il modo, il metodo con cui essa è svolta. E l’attività produttiva può dirsi condotta con
metodo economico quando è tesa al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi
usati; quando è svolta con modalità che consentono nel lungo periodo la copertura dei costi con i
ricavi. Altrimenti si ha consumo e non produzione di ricchezza.
Non è perciò imprenditore chi produca beni o servizi che vengono erogati gratuitamente o a
prezzo politico, tale da far oggettivamente escludere la possibilità di coprire i costi con i ricavi.
La professionalità
L’ultimo dei requisiti espressamente richiamati dall’art 2082 è la professionalità. L’impresa è
stabile inserimento nel settore della produzione e della distribuzione e solo tale stabile
inserimento giustifica l’applicazione della disciplina dell’impresa a chi opera nel mondo degli affari.
Professionalità significa perciò esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva.
Non è quindi imprenditore chi compie un’isolata operazione di acquisto e di successiva rivendita di
merci, dato che in tal caso non si può neppure parlare di attività in senso proprio. Ma imprenditore
non è neppure chi compie una pluralità di atti economici coordinati quando circostanze oggettive
palesano in modo inequivoco il carattere non abituale ed occasionale dell’attività.
La professionalità non implica però che l’attività imprenditoriale debba essere necessariamente
svolta in modo continuato e senza interruzioni. Per le attività cicliche o stagionali è sufficiente il
costante ripetersi di atti di impresa secondo le cadenze proprie di quel dato tipo di attività.
La professionalità non implica neppure che quella di impresa sia l’attività unica o principale.
Impresa si può infine avere anche quando si opera per il compimento di un unico affare. Non vi è
infatti incompatibilità assoluta tra unicità dell’affare ed attività professionale; e anche il
compimento di un singolo affare può costituire impresa quando implichi il compimento dii
operazioni molteplici e complesse e l’utilizzo di un apparato produttivo idoneo ad escludere il
carattere occasionale e non coordinato dei singoli atti economici.
La professionalità va accertata in base a indici esteriori ed oggettivi.
Attività di impresa e scopo di lucro
Esaurita l’esposizione dei requisiti espressamente richiesti dal legislatore, bisogna valutare se ce
ne siano altri non espliciti.
Un primo controverso punto è quello se costituisca requisito essenziale dell’attività di impresa
l’intento di conseguire un guadagno o profitto personale: lo scopo di lucro. Vero è che lo scopo che
normalmente anima l’imprenditore è la realizzazione del massimo profitto consentito dal mercato.
Altro è però chiedersi se giuridicamente tale movente sia necessario e quindi se debba essere
negata la qualità di imprenditore e l’applicabilità della relativa disciplina quando ricorrano tutti i
requisiti fissati dall’art 2082 ma manchi lo scopo di lucro.

5
Lo scopo di lucro non può ritenersi essenziale per l’assorbente motivo che l’applicazione della
disciplina dell’impresa deve fondarsi su caratteri esteriori ed oggettivi. È essenziale perciò che
l’attività venga svolta secondo modalità oggettive astrattamente lucrative. È irrilevante poi che per
esempio l’imprenditore devolva integralmente a fini altruistici il profitto conseguito.
Segue: è sufficiente che l’attività venga svolta secondo modalità oggettive tendenti al pareggio tra
costi e ricavi (metodo economico) o è ulteriormente necessario che le attività di gestione tendano
alla realizzazione di ricavi eccedenti i costi (metodo lucrativo)?
La nozione di imprenditore si riferisce sia all’impresa privata che a quella pubblica e ciò implica che
requisito essenziale possa essere considerato solo ciò che è comune a tutte le imprese e a tutti gli
imprenditori. L’impresa pubblica in quanto tale è tenuta ad operare secondo criteri di
economicità. Alle imprese sociali inoltre è fatto esplicito divieto di distribuire in qualsiasi forma a
soci, amministratori, partecipanti, lavoratori e collaboratori.
Il problema dell’impresa per conto proprio
Le imprese operano di regola per il mercato, destinano cioè allo scambio i beni o servizi prodotti.
Ma può essere considerato imprenditore anche chi produce beni o servizi destinati ad uso e
consumo personale?
La destinazione al mercato della produzione in realtà non è richiesta da alcun dato legislativo,
perciò in linea teorica si dovrebbe considerare imprenditore anche l’imprenditore per conto
proprio. È tuttavia largamente prevalente l’opinione contraria, per via della concezione economica
dell’imprenditore come soggetto che svolge funzione intermediaria tra proprietari dei fattori
produttivi e consumatori, e ciò indurrebbe a ritenere che la destinazione allo scambio della
produzione sia implicitamente richiesta dal carattere professionale dell’attività di impresa. Si arriva
perciò alla conclusione che l’impresa per conto proprio non è impresa, pur concedendosi che per
l’acquisto della qualità di imprenditore basta una destinazione parziale o potenziale della
produzione al mercato.
Tuttavia c’è una tesi minoritaria che non considera la destinazione al mercato requisito essenziale
dell’attività di impresa. In ogni caso sotto il profilo giuridico non possono essere considerate
imprese: la cooperativa che produce esclusivamente per i propri soci, le aziende costituite dallo
Stato o altri enti pubblici per la produzione di beni o servizi da fornire dietro corrispettivo
esclusivamente all’ente di pertinenza.
Possono invece considerarsi vere e proprie imprese per conto proprio:
a. La coltivazione del fondo finalizzata al soddisfacimento dei bisogni dell’agricoltore e della
sua famiglia
b. La costruzione di appartamenti non destinati alla rivendita
Problema dell’impresa illecita
Può considerarsi imprenditore anche colui che svolge un’attività illecita? Es: contrabbando di
sigarette, fabbricazione e smercio di droga, attività bancaria senza prescritta autorizzazione della
Banca d’Italia,…

6
Indubbiamente l’illecito va represso e sanzionato ed è esclusa qualsiasi forma di protezione
giuridica per chi la svolge, tuttavia può dar luogo al compimento di una serie di atti leciti e validi, in
quanto l’illiceità del risultato globalmente perseguito dall’imprenditore non comporta di per sé
illiceità della causa o dell’oggetto dei singoli atti di impresa.
Es: è illecito e nullo il contratto con cui il fabbricante di droga acquista la materia prima necessaria,
ma leciti e validi sono i contratti che lo stesso stipula con terzi del tutto ignari. In breve, terzi
creditori meritevoli di tutela possono esistere anche quando l’attività di impresa è illecita.
Ne consegue che l’esposizione al fallimento di chi eserciti attività commerciale illecita non sia
ingiustificata. Da quest’ordine di considerazioni, è ormai pacifico considerare che tale tipo di
illecito non impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore e con pienezza di effetti, ferma
restando l’applicazione delle previste sanzioni amministrative e penali che possono giungere fino
all’inibizione dell’esercizio ulteriore dell’attività.
Si esita invece a pervenire alla stessa conclusione quando illecito sia l’oggetto stesso dell’attività:
contrabbando, fabbricazione di droga, ecc… In questi casi si teme che per tutelare i terzi estranei
all’illecito si finisca col dover tutelare anche chi dell’illecito è stato autore o complice. Tuttavia nel
nostro ordinamento vige il principio generale per il quale non possono mai derivare effetti
favorevoli per l’autore dell’illecito o per chi ne è stato parte. Perciò ne consegue che egli potrà
fallire al pari degli altri imprenditori ma non potrà avanzare le pretese dei titolari di un’azienda o
agire in concorrenza sleale contro altri imprenditori.
Impresa e professioni intellettuali
Lo svolgimento di attività rispondente ai requisiti fin qui esposti non sempre determina l’acquisto
della qualità di imprenditore. Esistono infatti attività produttive per le quali la qualifica
imprenditoriale è esclusa in via di principio dal legislatore. È questo il caso delle professioni
intellettuali: i liberi professionisti (avvocati, ingegneri, notai, ecc…) non sono mai in quanto tali
imprenditori. I liberi professionisti diventano imprenditori solo se ed in quanto la professione
intellettuale è esplicata nell’ambito di altra attività di per sé qualificabile come impresa. Es: medico
che gestisce una clinica privata nella quale opera, artista titolare del teatro nel quale recita,…
Per contro, l’artista o il professionista intellettuale che si limita a svolgere la propria attività non
diventa mai imprenditore: il codice civile puntualizza che l’esercizio di una professione non
costituisce di per sé esercizio di un’impresa neppure quando l’espletamento dell’attività
professionale richieda l’impiego di mezzi materiali e dell’opera di qualche ausiliario.
La giustificazione risiede nel fatto che nell’attività intellettuale mancherebbero sempre e
comunque l’uno o l’altro dei requisiti richiesti dall’art 2082: carattere economico dell’attività,
scopo di lucro, organizzazione o quanto meno organizzazione di tipo imprenditoriale.
Tuttavia, l’attività professionale è attività produttiva di servizi suscettibili di valutazione economica;
è attività di regola condotta con metodo economico e a scopo di lucro.
In questo contesto si inserisce anche l’esonero dei professionisti intellettuali dallo statuto di
imprenditore, con i suoi vantaggi (sottrazione al fallimento) e svantaggi (inapplicabilità della
disciplina dell’azienda, dei segni distintivi e della concorrenza sleale).

7
Nella pratica però, non è sempre agevole stabilire se una data attività costituisca professione
intellettuale e ricade perciò nell’ambito di applicazione dell’art 2238. Per tale qualificazione è
decisivo il criterio sostanziale rispetto a quello formale ovvero il carattere eminentemente
intellettuale dei servizi prestati. Es: farmacista è qualificato dalla legge come professionista
intellettuale ma oggi è pacifico che sia un imprenditore commerciale. Oggetto prevalente
dell’attività del farmacista è infatti la vendita al pubblico di specialità farmaceutiche acquistate
dalle case produttrici. Tra farmacista e clienti perciò intercorrono rapporti di compravendita e non
di prestazione d’opera intellettuale.

Capitolo 2
LE CATEGORIE DI IMPRENDITORI
A. IMPRENDITORE AGRICOLO E IMPRENDITORE COMMERCIALE
Il ruolo della distinzione
Imprenditore agricolo (art 2135) e imprenditore commerciale (art.2195) sono le due categorie di
imprenditori che il codice distingue in base all’oggetto dell’attività.
L’imprenditore commerciale è destinatario di un’ampia ed articolata disciplina fondata sull’obbligo
di iscrizione nel registro delle imprese, sull’obbligo della tenuta delle scritture contabili,
sull’assoggettamento al fallimento e altre procedure concorsuali.
La nozione di imprenditore agricolo invece ha valore essenzialmente negativo. La sua funzione è
sostanzialmente quella di restringere l’ambito di applicazione della disciplina dell’imprenditore
commerciale. Chi è imprenditore agricolo è sottoposto alla disciplina prevista per l’imprenditore in
generale ma è esonerato dalla tenuta delle scritture contabili, non fallisce e non è soggetto alle
altre procedure concorsuali dell’imprenditore commerciale, fatta eccezione per gli accordi di
ristrutturazione dei debiti. Però può accedere alle procedure concorsuali da sovraindebitamento
dei soggetti non fallibili.
Originariamente era esonerato anche dall’iscrizione nel registro delle imprese, salvo una deroga
per le società. Oggi tuttavia la situazione è cambiata, l’iscrizione nel registro delle imprese è stata
infatti introdotta per tutti gli imprenditori agricoli nel 1993. Resta tuttavia fermo che
l’imprenditore agricolo gode ancora di trattamento di favore rispetto all’imprenditore
commerciale.
È controverso se debba ammettersi anche una terza categoria di imprese: le imprese civili. Esse
non sono menzionate espressamente dal legislatore e sono individuabili in base al criterio
meramente negativo di non poter essere qualificate né come agricole né come commerciali. Esse
sarebbero perciò sottoposte solo alla disciplina generale dell’imprenditore ma non a quella
dell’imprenditore commerciale.

8
L’imprenditore agricolo: le attività agricole essenziali
Il testo originario dell’art 2135 c.c. stabiliva che “è imprenditore agricolo chi esercita un’attività
diretta alla coltivazione del fondo, alla viticoltura, all’allevamento de bestiame e attività connesse.”
Al secondo comma poi specifica che “si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o
all’alienazione dei prodotti agricoli quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura.”
Le attività agricole possono dunque essere distinte in due grandi categorie:
a. Attività agricole essenziali
b. Attività agricole per connessione
L’impresa agricola fonata su semplice sfruttamento della produttività naturale della terra permane
ancora in alcune zone del nostro paese, ma cede sempre più il passo ad un altro tipo di agricoltura:
l’agricoltura industrializzata. Ci sono poi coltivazioni artificiali o fuori terra, che prescindono del
tutto dallo sfruttamento della terra e dei suoi prodotti.
Diviene perciò necessario stabilire fino a che punto l’evoluzione tecnologica dell’agricoltura sia
compatibile con la qualificazione agricola dell’impresa agli effetti del codice civile. Al riguardo si
era delineato un netto contrasto di opinioni: chi riteneva che impresa agricola fosse ogni impresa
che produce specie vegetali o animali e all’opposto chi riteneva che doveva essere dato rilievo
anche al modo di produzione tipico dell’agricoltore (e che quindi dovesse essere qualificato come
imprenditore commerciale chi producesse specie vegetali o animali in modo del tutto svincolato
dal fondo agricolo e dallo sfruttamento della terra.
Con la recente riforma il legislatore ha decisamente optato per la prima impostazione, con scelta
ispirata dall’esigenza di contrastare l’abbandono delle campagne e di favorire lo sviluppo
tecnologico dell’agricoltura, ma che rende ancor più difficile giustificare la persistente sottrazione
al fallimento dell’imprenditore agricolo medio-grande.
Art 2135: “è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo,
selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”.
La produzione di specie animali o vegetali è sempre qualificabile giuridicamente come attività
agricola essenziale, anche se realizzata con metodi che prescindono del tutto dallo sfruttamento
della terra e suoi prodotti.
L’allevamento di animali è la forma di attività agricola essenziale più ricca ed è perciò quella che ha
determinato in passato i più vivaci contrasti: il criterio del ciclo biologico porta a riconoscere come
attività agricola essenziale anche la zootecnia svolta fuori dal fondo o usando questo come mero
sedimento dell’azienda di allevamento (allevamenti in batterie), né è necessario che gli animali
siano alimentati con mangimi naturali ottenuti dal fondo. Rimane invece attività commerciale
l’acquisto di animali all’ingrosso al solo scopo di rivenderli.
Inoltre, per allevamento di animali si deve intendere non solo l’allevamento diretto ad ottenere
prodotti tipicamente agricoli, potendosi oggi far rientrare nella nozione di allevamento di animali
anche l’allevamento di cavalli da corsa o di animali da pelliccia, nonché l’attività cinotecnica.
All’imprenditore agricolo è stato equiparato anche l’imprenditore ittico (che esercita attività di
pesca professionale), l’allevamento di animali da cortile, apicoltura e acquacoltura.

9
Le attività agricole per connessione
La seconda categoria di attività agricole è costituita da quelle per connessione: anche in questo
caso l’attuale nozione ha realizzato un significativo ampliamento rispetto alla previgente, che le
individuava: a) in quelle dirette alla trasformazione o all’alienazione di prodotti agricoli che
rientravano nell’esercizio normale dell’agricoltura; b)in tutte le altre attività esercitate in
connessione con la coltivazione del fondo, la silvicoltura e l’allevamento del bestiame.
Questo duplice criterio di individuazione (normalità-accessorietà) oggi scompare in quanto in base
al terzo comma dell’art 2135 si intendono comunque connesse:
a) Le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione
e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale.
b) Le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzo prevalente di
attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, comprese
quelle di valorizzazione del patrimonio rurale e forestale e le attività agrituristiche.
Le une e le altre sono attività oggettivamente commerciali: infatti è industriale e non agricoltore
chi produce olio e formaggi o chi ha un negozio di frutta e verdura. Queste attività sono però
considerate agricole quando sono esercitate in connessione con una delle 3 attività agricole
essenziali. Due sono le condizioni al riguardo necessarie:
1. È necessario innanzitutto che il soggetto che la esercita sia già qualificabile imprenditore
agricolo in quanto svolge in forma di impresa una delle tre attività agricole tipiche e inoltre
attività coerente con quella connessa (connessione soggettiva). È quindi certamente
imprenditore commerciale chi trasforma o commercializza prodotti agricoli altrui.
2. Con uno strappo alla connessione soggettiva la qualifica di imprenditori agricoli è estesa
alle cooperative di imprenditori agricoli e ai loro consorzi quando usano prevalentemente
prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni o servizi diretti alla cura e
allo sviluppo del ciclo biologico.
La connessione soggettiva non è tuttavia sufficiente: è necessario che ricorra anche una
connessione oggettiva tra le due attività. E sotto tale profilo l’attuale nozione innova sensibilmente
rispetto a quella precedente: non si richiede più che le attività di trasformazione e alienazione dei
prodotti agricoli rientrino nell’esercizio normale dell’agricoltura, né che le attività connesse diverse
da quest’ultime abbiano carattere accessorio. Entrambi questi criteri infatti sono sostituiti da
quello della prevalenza: necessario e sufficiente è infatti solo che si tratti di attività aventi ad
oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dall’esercizio dell’attività agricola essenziale. In breve,
è sufficiente che le attività connesse non prevalgano per rilievo economico sull’attività agricola
essenziale.
Imprenditore commerciale
È imprenditore commerciale l’imprenditore che esercita una delle seguenti categorie di attività
elencate dall’art 2195 1 comma:
1. Attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi
2. Attività intermediaria nella circolazione di beni
3. Attività di trasporto per terra, acqua o aria
10
4. Attività bancaria o assicurativa
5. Altre attività ausiliarie delle precedenti (commerciali)
Ma, come si dovranno qualificare allora le imprese ausiliarie rispetto ad attività non commerciali?
Gli elementi che distinguono l’impresa commerciale da quella agricola sono tutti racchiusi nelle
prime 2 categorie e risiedono nel carattere industriale dell’attività di produzione di beni o servizi
(1) e nel carattere intermediario dell’attività di scambio (2).
Il problema dell’impresa civile
La categoria delle imprese civili non è espressamente prevista da alcun dato legislativo.
L’imprenditore civile, in quanto non catalogabile né come commerciale né come agricolo, sarebbe
sottoposto solo allo statuto generale dell’imprenditore ma non a quello dell’imprenditore
commerciale, perciò non fallirebbe.
L’opinione propensa ad ammettere l’esistenza delle imprese civili ritiene che il requisito
dell’industrialità debba essere inteso nel suo significato tecnico-economico di attività che implichi
l’impiego di materie prime e la loro trasformazione in nuovi beni ad opera dell’uomo.
Sarebbero quindi imprese civili:
a. Le imprese che producono beni senza trasformare materie prime quali le imprese
minerarie e le imprese di caccia e pesca
b. Le imprese che producono servizi senza trasformare materie prime e che non rientrino
ovviamente tra le imprese produttrici di servizi espressamente previste ai numeri 3,4,5 del
2195.
Imprenditore civile sarebbe inoltre chi eroga credito con mezzi propri (impresa finanziaria) e
che perciò non integra i caratteri propri dell’attività bancaria.
La teoria dell’impresa civile tuttavia non è condivisa dalla maggioranza, che ritiene che sia altro il
significato da attribuire ai requisiti dell’industrialità e dell’intermediazione. Si ritiene infatti che
“attività industriale” altro non significhi che attività non agricola. Inoltre, alcune delle pretese
imprese civili erano sicuramente commerciali sotto l’abrogato codice di commercio e nulla induce
a pensare che il legislatore abbia voluto restringere l’area della commercialità. Anzi, la logica del
sistema è tutta nel senso di ampliare l’ambito di applicazione degli istituti tipicamente
commerciali. Esistono, per contro, norme che confermano che per il legislatore il binomio agricolo-
commerciale esaurisce la tipologia di imprese in base all’oggetto dell’attività.
È perciò preferibile interpretare il requisito dell’industrialità come sinonimo di attività non agricola
e quindi qualificare come imprese commerciali anche quelle che producono beni o servizi senza
dar luogo a trasformazione di materie prime ecc…
È altresì preferibile interpretare il requisito dell’intermediazione nella circolazione di beni come
sinonimo di attività di scambio: perciò sarà impresa commerciale ogni attività che comporti
circolazione di beni non inquadrabile tra quelle agricole per connessione.

11
B. PICCOLO IMPRENDITORE, IMPRESA FAMILIARE
Il criterio dimensionale. La piccola impresa.
La dimensione dell’impresa è il secondo criterio di differenziazione della disciplina degli
imprenditori. Al riguardo il codice civile individua la figura del piccolo imprenditore,
contrapponendola a quella dell’imprenditore medio-grande.
Il piccolo imprenditore è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore. È invece esonerato,
anche se esercita attività commerciale, dalla tenuta delle scritture contabili; è altresì esonerato dal
fallimento e dalle altre procedure concorsuali dell’imprenditore commerciale, potendo usufruire
solo delle procedure concorsuali da sovraindebitamento disciplinate dalla legge 27-1-2012.
L’iscrizione nel registro delle imprese, originariamente esclusa, ha di regola solo funzione di
pubblicità notizia. Anche la nozione di piccolo imprenditore ha perciò nel sistema del cc rilievo
essenzialmente negativo: serve per restringere ulteriormente l’ambito di applicazione dello
statuto dell’imprenditore commerciale.
Discorso diverso vale per la legislazione speciale. In questa la piccola impresa o determinate figure
di piccole imprese sono destinatarie di una ricca e articolata disciplina ispirata dalla finalità di
favorirne la sopravvivenza e lo sviluppo attraverso molteplici e non sempre coordinate
provvidenze ed agevolazioni finanziarie, lavoristiche e tributarie.
Individuare chi sia piccolo imprenditore ai fini del codice civile non è stato però semplice fino a
qualche anno fa. Ciò perché il piccolo imprenditore era definito sia dal codice civile sia dalla legge
fallimentare. Era poi controverso se per talune figure tipiche di piccoli imprenditori i criteri di
individuazione desumibili dal cc dovevano ritenersi modificati da quelli fissati nella legislazione
speciale. Oggi però la situazione si è notevolmente semplificata e chiarita.
Il piccolo imprenditore nel codice civile
“Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro
che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente col lavoro proprio e dei
componenti della famiglia” art 2083 cc.
L’art 2083 va letto come dicesse: la prevalenza del lavoro proprio e familiare costituisce il carattere
distintivo di tutti i piccoli imprenditori. Il criterio della prevalenza opera solo per le figure non
nominate di piccoli imprenditori, mentre per quelle nominate i dati di qualificazione andrebbero
ricercati in altre disposizioni del cc o di leggi speciali.
Non sussistono plausibili ragioni per differenziare ai fini del codice civile le singole figure di piccoli
imprenditori. Inoltre sia la genesi storica dell’art 2083 sia la Relazione del codice civile confermano
che il criterio della prevalenza è stato concepito dal legislatore come criterio generale e comune.
Per aversi piccola impresa è necessario che:
a. L’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa
b. Il suo lavoro e quello degli eventuali familiari prevalgano sia rispetto al lavoro altrui sia
rispetto al capitale investito nell’impresa

12
La stessa prevalenza del lavoro familiare deve intendersi in senso qualitativo-funzionale, non come
prevalenza quantitativo-aritmetica.
Il piccolo imprenditore nella legge fallimentare
L’art 2083 cc non era la sola norma a definire il piccolo imprenditore. Anche la legge fallimentare
ne fissava una definizione che recentemente è stata radicalmente riformulata per due volte.
La vecchia originaria versione nel ribadire che piccoli imprenditori commerciali non falliscono
stabiliva “Sono considerati piccoli imprenditori, gli imprenditori esercenti un’attività commerciale
che sono stati riconosciuti titolari di un reddito inferiore al minimo imponibile. Quando è mancato
l’accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile sono considerati piccoli imprenditori quelli
esercenti un’attività commerciale nella cui azienda risulta essere stato investito un capitale non
superiore a 900mila lire.” Inoltre le società commerciali non sono mai considerate piccoli
imprenditori.
Perciò, il piccolo imprenditore era individuato esclusivamente in base a parametri monetari e
quindi con criterio non coincidente con quello fissato dal Codice Civile (prevalenza funzionale del
lavoro familiare). Bisognava trovare un coordinamento tra le due norme.
Questo rebus era venuto meno per effetto di due modifiche nel sistema normativo:
a. L’imposta di ricchezza mobile è stata soppressa a partire dal 1 gennaio 1974 e il suo posto è
stato preso da una diversa imposta (l’Irpef). Il criterio del reddito fissato dalla legge
fallimentare perciò non era più applicabile per abrogazione della relativa previsione
normativa.
b. Il criterio del capitale investito oltre 900mila lire fu dichiarato incostituzionale nel ’89 in
quanto non più idoneo in seguito alla svalutazione monetaria.
Dalla nozione originaria data dalla legge fallimentare sopravviveva quindi solo la parte secondo cui
in nessun caso erano considerati piccoli imprenditori le società commerciali. Il permanere in vigore
della sola definizione codicistica di piccolo imprenditore individuale creava però non trascurabili
inconvenienti pratici in sede di dichiarazione di fallimento, anche perché accertare in concreto la
prevalenza del lavoro familiare sugli altri fattori produttivi non è sempre agevole.
Per queste ragioni la riforma del diritto fallimentare 2006 ha reintrodotto nell’art 1,2 comma 1.
Fall., un sistema di regole basato su criteri esclusivamente quantitativi e monetari.
In primo luogo la nuova disposizione fallimentare non definisce più chi è piccolo imprenditore ma
semplicemente individua i parametri fondamentali dell’impresa, al di sotto dei quali l’imprenditore
commerciale non fallisce. L’intervento correttivo del 2007 ha inoltre cercato di definire meglio le
soglie dimensionali rilevanti, date le incertezze della riforma del 2006.
In base all’attuale disciplina non è soggetto a fallimento l’imprenditore commerciale che dimostri il
possesso congiunto di:
a. Aver avuto nei 3 esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento un attivo
patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300mila euro.
b. Aver realizzato nei 3 esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento ricavi
lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200mila euro.
13
c. Avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a 500mila euro.
Basta aver superato anche uno solo dei limiti dimensionali per essere esposti a fallimento.
L’attuale disciplina pone l’onere della prova a carico de debitore.
L’impresa artigiana
La piccola impresa e l’impresa agricola e artigiana godono di una copiosa e articolata legislazione
speciale di ausilio e sostegno. Tali leggi speciali prevedono autonomi criteri di identificazione delle
imprese destinatarie, non coincidenti con quelli fissati dall’art 2083. Tuttavia resta fermo che per
stabilire se un dato imprenditore è esonerato dal fallimento si deve guardare solo al rispetto dei
limiti dimensionali fissati dall’art 1, 2° comma, 1 fall.
Questo principio però subiva fino a qualche tempo fa una vistosa eccezione per l’impresa
artigiana.
La legge 25-7-1956 n. 860 conteneva le norme per la disciplina giuridica delle imprese artigiane e
la nozione speciale sostituiva quella del codice e della legge fallimentare. Inoltre, delineava un
modello di impresa artigiana difficilmente conciliabile con quello del codice civile: il dato
caratterizzante l’impresa artigiana risiedeva nella natura artistica o usuale dei beni o servizi
prodotti e non più nella prevalenza del lavoro familiare nel processo produttivo. Perciò, l’impresa
doveva ritenersi sottratta a fallimento anche quando per gli ingenti investimenti di capitali e
manodopera impiegata, non era più rispettato il criterio della prevalenza.
La qualifica artigiana era riconosciuta anche alle imprese costituite in forma di società, purchè si
trattasse di società cooperative o in nome collettivo e alla condizione ulteriore che la maggioranza
dei soci partecipi personalmente al lavoro e nell’ impresa il lavoro abbia funzione preminente sul
capitale. Perciò in deroga al vecchio art 1,2° comma 1 fall. Le società artigine dovevano
considerarsi esonerate dal fallimento.
La legge del 1956 è stata abrogata dalla legge quadro per l’artigianato del ’85, la quale contiene
una propria definizione dell’impresa artigiana basata su:
a. L’oggetto dell’impresa, che oggi può essere costituito da qualsiasi attività di produzione di
beni o prestazioni di servizi
b. Sul ruolo dell’artigianato nell’impresa, richiedendosi in particolare che svolga in misura
prevalente il proprio lavoro nel processo produttivo.
Il personale dipendente deve essere personalmente diretto dall’artigiano ed è stabilito che
l’imprenditore artigiano può essere titolare di una sola impresa artigiana.
Legge 1985: riafferma anche la qualifica artigiana delle imprese costituite in forma di società
cooperativa o in nome collettivo, a condizione che la maggioranza dei soci svolga prevalentemente
lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo che nell’impresa il lavoro abbia
funzione preminente sul capitale.
Inoltre, la qualifica di impresa artigiana è stata poi estesa dapprima alla società a responsabilità
limitata unipersonale e alla società in accomandita semplice, purchè il socio unico o tutti i soci
accomandatari siano in possesso dei requisiti previsti per l’imprenditore artigiano e non siano nel
contempo socio unico di un’altra s.r.l. o di un’altra società in accomandita semplice; più di recente
14
anche alla s.r.l. pluripersonale a condizione che la magg. dei soci svolga in prevalenza lavoro
personale, anche manuale, nel processo produttivo e detenga la maggioranza del capitale sociale e
degli organi deliberanti della società.
In sostanza la categoria delle imprese artigiane è stata notevolmente ampliata per tipologia e
dimensioni rispetto alla legge precedente; è scomparso ogni riferimento alla natura artistica o
usuale dei beni e servizi prodotti e si qualificano come artigiane anche le imprese di costruzioni
edili. La generale elevazione del numero massimo dei dipendenti consente di conservare la
qualifica artigiana anche raggiungendo le dimensioni di una piccola industria di qualità.
Oggi, il riconoscimento della qualifica artigiana in base alla legge quadro non basta per sottrarre
l’artigiano allo statuto dell’imprenditore commerciale: è necessario che sia rispettato anche il
criterio della prevalenza fissato dall’art 2083 cc e per quanto riguarda il fallimento che non siano
stati superati i limiti dimensionali fissati dall’art. 1,2° comma 1 fall.
In mancanza, l’imprenditore sarà artigiano ai fini delle provvidenze regionali ma dovrà qualificarsi
imprenditore commerciale non piccolo ai fini civilistici e/o del diritto fallimentare.
L’impresa familiare
È impresa familiare l’impresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli
affini entro il secondo grado (fino ai cognati). Cosiddetta famiglia nucleare.
L’impresa familiare non va confusa con la piccola impresa: è frequente che la piccola impresa sia
anche impresa familiare ma tra le due fattispecie non vi è coincidenza. Può aversi piccola impresa
che non sia impresa familiare, perché l’imprenditore non ha familiari o non si avvale della loro
collaborazione. Viceversa, anche l’impresa non piccola può essere impresa familiare.
Il lavoro familiare nell’impresa era ed è fenomeno largamente diffuso e prima della riforma del
diritto di famiglia poteva dar luogo a gravi abusi ed ingiustizie in quanto il lavoro familiare si
presumeva prestato a titolo gratuito. Inoltre, nessun diritto particolare era riconosciuto a chi
lavorava nell’impresa, sia nei confronti del congiunto imprenditore sia rispetto agli altri membri
della famiglia. Il legislatore ha voluto perciò predisporre una tutela minima ed inderogabile del
lavoro familiare nell’impresa destinata a trovar applicazione quando non sia configurabile un
diverso rapporto giuridico.
La tutela legislativa è realizzata riconoscendo ai membri della famiglia nucleare, che lavorino in
modo continuato nella famiglia o nell’impresa, determinati diritti patrimoniali e amministrativi.
Sul piano patrimoniale sono riconosciuti i seguenti diritti:
a. Diritto al mantenimento
b. Diritto di partecipazione agli utili dell’impresa in proporzione alla quantità del lavoro
prestato nell’impresa o nella famiglia
c. Diritto sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda, ance dovuti
ad avviamento, sempre in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato
d. Diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria o di trasferimento
dell’azienda stessa

15
Sul piano gestorio è poi previsto che le decisioni in merito alla gestione straordinaria dell’impresa
e talune altre decisioni di particolare rilievo sono adottate a maggioranza dai familiari che
partecipano all’impresa stessa. Ciascun familiare ha diritto ad un solo voto e alle decisioni non
prende parte l’imprenditore in quanto destinatario delle decisioni adottate dagli altri membri della
famiglia.
È infine previsto che il diritto alla partecipazione è trasferibile solo a favore degli altri membri della
famiglia nucleare e con il consenso unanime dei familiari già partecipanti. È inoltre liquidabile in
danaro qualora cessi la prestazione di lavoro e in caso di alienazione dell’azienda.
L’art 230bis esaurisce l’istituto dell’impresa familiare in una particolare disciplina delle prestazioni
lavorative dei familiari dell’imprenditore, a carattere esclusivamente obbligatorio che non altera la
struttura individuale dell’impresa e non incide sulla titolarità dei beni aziendali che rimangono di
proprietà esclusiva dell’imprenditore.
Secondo questa configurazione i diritti patrimoniali dei partecipanti vanno concepiti come semplici
diritti di credito nei confronti del familiare imprenditore.
Sul piano gestorio il silenzio sugli atti di gestione ordinari va risolto nel senso che essi rientrano
nella competenza esclusiva dell’imprenditore e che nessun potere competa al riguardo agli altri
familiari. D’altro canto la violazione da parte dell’imprenditore dei poteri gestori ex lege
riconosciuti ai familiari lo esporrà al risarcimento dei danni ma non inciderà sulla validità/efficacia
degli atti compiuti, che saranno ugualmente produttivi di effetti nei confronti dei terzi.
Se l’impresa infine è commerciale, e non piccola, solo il capo famiglia-datore di lavoro sarà esposto
al fallimento in caso di dissesto.

C. IMPRESA COLLETTIVA. IMPRESA PUBBLICA.


L’impresa societaria.
Il terzo ed ultimo criterio di differenziazione della disciplina delle imprese è rappresentato dalla
natura giuridica del soggetto titolare dell’impresa. Tre sono le figure espressamente contemplate
dal legislatore: impresa individuale, impresa societaria ed impresa pubblica. Anche tale distinzione
incide sull’ambito di applicazione dello statuto dell’imprenditore commerciale.
Solo gli imprenditori commerciali non piccoli e tutti gli imprenditori commerciali non piccoli sono
esposti all’applicazione degli istituti del registro delle imprese, delle scritture contabili e delle
procedure concorsuali principio che prima delle innovazioni del 2001 per l’imprenditore agricolo
trovava piena e puntuale applicazione quando titolare dell’impresa è una persona fisica. Principi
parzialmente diversi invece valevano e valgono quando titolare dell’impresa sia una società o un
ente pubblico.
Le società sono le forme associative tipiche previse dall’ordinamento per l’esercizio collettivo di
attività di impresa. Esistono diversi tipi di società e la società semplice è utilizzabile solo per
l’esercizio di attività non commerciale, mentre altri tipi di società possono svolgere sia attività
agricola sia commerciale.

16
Le società diverse dalla società semplice si definiscono tradizionalmente società commerciali e
potranno essere imprenditori agricoli o commerciali a seconda dell’attività esercitata. Si distingue
perciò tra società di tipo commerciale con oggetto agricolo e società di tipo commerciale con
oggetto commerciale.
Regole per l’applicazione alle società commerciali degli istituti tipici dell’imprenditore
commerciale:
a. Parte della disciplina propria dell’imprenditore commerciale si applica alle società
commerciali qualunque sia l’attività svolta. Il principio è enunciato per l’obbligo di
iscrizione nel registro delle imprese ma deve ritenersi valido anche per la tenuta delle
scritture contabili.
Resta invece fermo l’esonero delle società commerciali che gestiscono un’impresa agricola
dal fallimento e dalle altre procedure concorsuali riservate all’imprenditore commerciale.
Inoltre a seguito della riforma del diritto fallimentare del 2006, anche le società
commerciali che esercitano impresa commerciale sono esonerate dal fallimento se non
superano le soglie dimensionali fissate dall’art 1,2° comma 1 fall.
b. Nelle società in nome collettivo e in accomandita semplice parte della disciplina
dell’imprenditore commerciale trova poi applicazione solo o anche nei confronti dei soci a
responsabilità illimitata: tutti i soci nella società in nome collettivo; i soci accomandatari
nella società in accomandita semplice.
Trovano applicazione solo nei confronti dei soci norme che regolano l’esercizio di impresa
commerciale da parte di un incapace. Trova invece applicazione anche nei confronti dei
soci la sanzione del fallimento in quanto il fallimento della società comporta
automaticamente il fallimento dei singoli soci a responsabilità illimitata.

Le imprese pubbliche
Attività di impresa può essere svolta anche dallo Stato e dagli enti pubblici ed il fenomeno ha
assunto dimensioni cospicue e manifestazioni poliedriche. Bisogna distinguere tra 3 possibili forme
di intervento dei pubblici poteri:
a. Lo Stato o altro ente pubblico territoriale possono svolgere direttamente attività di impresa
avvalendosi di proprie strutture organizzative, prive di distinta soggettività ma dotate di
una più o meno ampia autonomia decisionale e contabile.
In questi casi l’attività di impresa è per definizione secondaria e accessoria rispetto ai fini
istituzionali dell’ente pubblico. Si parla perciò di imprese-organo. Esempi di imprese-
organo sono le varie aziende municipalizzate erogatrici di pubblici servizi.
b. La pubblica amministrazione può altresì dar vita ad enti di diritto pubblico il cui compito
istituzionale esclusivo o principale è l’esercizio di attività di impresa. Sono questi i cosiddetti
enti pubblici economici che fino al 1990 costituivano il nucleo centrale delle imprese
pubbliche.
A partire dall’inizio anni ’90 però è stato avviato un processo di ristrutturazione del settore
degli enti pubblici economici, quasi tutti gli enti p.e. sono stati trasformati in società per

17
azioni a partecipazione statale quando non sono stati posti in liquidazione. In tempi più
recenti inoltre è stata avviata la dismissione delle partecipazioni pubbliche di controllo.
c. Lo Stato e gli altri enti pubblici possono infine svolgere attività di impresa servendosi di
strutture di diritto privato: attraverso la costituzione di società generalmente per azioni.

Gli enti pubblici economici sono sottoposti allo statuto generale dell’imprenditore e, se l’attività è
commerciale, allo statuto proprio dell’imprenditore commerciale con una sola eccezione:
l’esonero dal fallimento e dal concordato preventivo, sostituiti dalla liquidazione coatta
amministrativa o da altre procedure previste in leggi speciali.
Per quanto riguarda le imprese-organo è meno agevole capire quanta parte dello statuto
dell’imprenditore commerciale si applichi agli enti titolari: l’art 2093 cc dispone che nei confronti
di tali enti si applicano le disposizioni del libro quinto limitatamente alle imprese da essi esercitate,
compresa la disciplina dell’impresa commerciale. Il terzo comma dell’art 2093 dichiara tuttavia che
“sono salve le diverse disposizioni di legge”. Gli enti titolari di imprese organo sono implicitamente
esonerati dall’iscrizione nel registro delle imprese; sono inoltre espressamente esonerati dalle
procedure concorsuali.
Attività commerciale delle associazioni e delle fondazioni
Le associazioni, le fondazioni e più in generale tutti gli enti privati con fini ideali o altruistici
possono svolgere attività commerciale qualificabile come attività di impresa. Essenziale per aversi
impresa è infatti che l’attività produttiva venga condotta con metodo economico e tale metodo
può ricorrere anche quando lo scopo perseguito sia ideale.
Il fallimento di un’associazione non riconosciuta comporta anche il fallimento degli associati? È più
corretta la soluzione negativa in quanto dalla nuova formulazione dell’art 147 comma 1° e dall’art
9 de d.lgs. 240/1991 è desumibile il più generale principio che il fallimento di un’impresa collettiva
senza scopo di lucro non comporta il fallimento di chi risponde illimitatamente per le relative
obbligazioni.
L’impresa sociale
“Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private che esercitano in
via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio
di beni o servizi di utilità sociale.” Tali sono i beni o servizi che ricadono nei settori tassativamente
indicati nel decreto.
Un ulteriore elemento caratterizzante l’impresa sociale è l’assenza dello scopo di lucro: l’impresa
sociale è impresa ai sensi dell’art 2082 cc perché è espressamente tenuta ad operare con metodo
economico. Nulla vieta inoltre, che l’esercizio dell’attività imprenditoriale produca un avanzo dei
ricavi sui costi. È vietata soltanto l’autodestinazione dei risultati della gestione. Utili e avanzi di
gestione devono essere destinati allo svolgimento dell’attività statuaria o all’incremento del
patrimonio dell’ente. Sul patrimonio dell’impresa grava poi un vincolo di indisponibilità in quanto
né durante l’esercizio dell’impresa, né allo scioglimento è possibile distribuire fondi o riserve a
vantaggio di coloro che fanno parte dell’organizzazione: amministratori, partecipanti, lavoratori,
collaboratori. In caso di cessazione dell’impresa, il patrimonio residuo è devoluto ad organizzazioni
18
non lucrative di utilità sociale, associazioni, comitati, fondazioni ed enti ecclesiastici, secondo
quanto previsto dallo statuto.
Apposite regole fanno sì che l’assenza dello scopo di lucro venga preservata anche in caso di
operazioni di trasformazione, fusione e scissione cui partecipi l’impresa sociale o di cessione
d’azienda.
Le finalità di interesse generale realizzate dalle imprese sociali vengono favorite dal legislatore con
un singolare privilegio sul piano civilistico: quello di potersi organizzare in qualsiasi forma di
organizzazione privata. In particolare può essere impiegato qualsiasi tipo societario, sebbene
l’impresa non persegua scopo lucrativo. Più imprese sociali possono inoltre formare tra loro un
gruppo di imprese.
Non possono essere sociali invece: le amministrazioni pubbliche e le organizzazioni che erogano
ben e servizi esclusivamente a favore dei propri soci, associati o partecipi.
L’impresa sociale dunque non è un nuovo tipo di ente diverso da quelli già previsti e regolati
dall’ordinamento, bensì una qualifica che gli enti di diritto privato possono assumere a certe
condizioni e che comporta l’applicazione di una disciplina speciale. Ne consegue che, ove non
venga derogata, continuerà a trovare applicazione la disciplina propria dell’ente che esercita
l’impresa sociale.
Altro privilegio concesso alle imprese sociali è la possibilità di limitare a certe condizioni la
responsabilità patrimoniale dei partecipanti, anche quando è impiegata una forma giuridica che
prevederebbe invece responsabilità personale ed illimitata di costoro. Più precisamente, se
l’impresa sociale è dotata di un patrimonio netto di almeno 20000 euro, dal momento
dell’iscrizione nel registro delle imprese risponde delle obbligazioni assunte soltanto
l’organizzazione con il suo patrimonio. Qualora il patrimonio però diminuisca in conseguenza di
perdite di oltre 1/3 al di sotto del limite di 20000 euro, delle obbligazioni assunte rispondono
personalmente e solidalmente anche coloro che hanno agito in nome e per conto dell’impresa.
È fatta salva tuttavia l’applicazione della disciplina più favorevole, se l’impresa sociale è
organizzata in una forma societaria che prevede una più ampia limitazione di responsabilità per i
soci o per il soggetto agente.
Le imprese social sono poi soggette a regole speciali per quanto riguarda l’applicazione degli
istituti tipici dell’imprenditore commerciale. Indipendentemente dalla natura agricola o
commerciale dell’attività esercitata esse infatti:
a. Devono iscriversi in un’apposita sezione del registro delle imprese
b. Devono redigere le scritture contabili
c. In caso di insolvenza, sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa invece che
al fallimento
Le organizzazioni che intendono assumere la qualifica di impresa sociale devono costituirsi per
atto pubblico, osservando le speciali disposizioni di legge in merito al contenuto dell’atto
costitutivo. In particolare l’atto costitutivo deve:

19
1. Determinare l’oggetto sociale individuandolo tra le attività di utilità sociale riconosciute
dalla legge
2. Enunciare l’assenza di scopo di lucro
3. Indicare la denominazione dell’ente che va integrata con la locuzione “impresa sociale”
4. Fissare i requisiti e le regole per la nomina dei componenti delle cariche sociali
5. Disciplinare le modalità di ammissione ed esclusione dei soci nel rispetto del principio di
non discriminazione
6. Prevedere forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari dell’attività di impresa
nell’assunzione delle decisioni che possono incidere direttamente sulle condizioni di lavoro
e sulla qualità delle prestazioni erogate. Il “coinvolgimento” di lavoratori e utenti può
essere attuato in diverse forme, dalla semplice informazione e consultazione a una vera e
propria compartecipazione dell’attività decisionale.
L’atto costitutivo deve inoltre prevedere un sistema di controlli fondato sulla distinzione tra
controllo contabile, affidato a uno o più revisori, e il controllo di legalità della gestione e sul
rispetto dei principi di corretta amministrazione che invece è riservato a uno o più sindaci, salva
diversa disposizione di legge. Ai sindaci è riconosciuto il potere di procedere in qualsiasi momento
ad atti di ispezione e controllo e chiedere notizie agli amministratori.
Le imprese sociali sono soggette alla vigilanza del Ministero del lavoro, che dispone la perdita della
qualifica in due circostanze:
1. Se rileva l’assenza delle condizioni per il riconoscimento (natura di ente privato,
indipendenza da enti pubblici o imprese lucrative, attività in settori di utilità sociale,
assenza dello scopo di lucro)
2. Se riscontra violazioni della relativa disciplina e, diffidati gli organi direttivi a porre fine ai
comportamenti illegittimi, l’impresa non vi ottempera entro un congruo termine
Ne consegue la cancellazione dell’impresa dal registro e l’obbligo di devolvere il patrimonio ad enti
non lucrativi determinati dallo statuto.

CAPITOLO 3
L’ACQUISTO DELLA QUALITÀ DI IMPRENDITORE
Premessa
Quando si diventa imprenditore commerciale? A prima vista la risposta sembra semplice: si
diventa imprenditori (art 2082) con l’esercizio di attività di impresa. Tuttavia, per poter affermare
che un dato soggetto è diventato imprenditore è necessario che l’esercizio dell’attività di impresa
sia a lui giuridicamente riferibile, imputabile. La nozione generale di imprenditore tuttavia è muta
al riguardo: nulla dice in merito al criterio di imputazione soggettiva dell’attività di impresa e dei
relativi effetti.
20
D’altro canto l’esercizio dell’impresa è vicenda che si sviluppa nel tempo e si articola nel
compimento di una serie di atti eterogenei. E l’art 2082 nulla dice in merito al momento in cui
deve ritenersi iniziato l’esercizio dell’impresa e nemmeno circa il momento finale dell’attività di
impresa.
È necessario infine esaminare i criteri che regolano l’esercizio dell’attività di impresa da pare dei
soggetti totalmente o parzialmente privi della capacità di agire.

A. L’IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITÀ DI IMPRESA


Esercizio diretto dell’attività di impresa
L’individuazione del soggetto cui è imputabile la disciplina dell’attività di impresa non solleva
particolari problemi quando gli atti di impresa sono compiuti direttamente dall’interessato o da
altri in suo nome. È principio generale del nostro ordinamento che centro di imputazione degli
effetti dei singoli atti giuridici posti in essere è il soggetto e solo il soggetto il cui nome è stato
validamente speso nel traffico giuridico. Solo questi è obbligato nei confronti del terzo contraente
e ciò quand’anche altro sia il reale interessato nell’affare e il terzo sia a conoscenza della
dissociazione tra il soggetto agente ed il reale destinatario dei risultati economici dell’atto.
(spendita del nome). Questo criterio risponde ad esigenze di certezza giuridica ed è enunciato in
tema di mandato senza rappresentanza.
Il mandatario è un soggetto che opera nell’interesse di un altro soggetto e può porre in essere i
relativi atti giuridici sia spendendo il proprio nome, sia spendendo il nome del mandante se questi
gli ha conferito il potere di rappresentanza (mandato con rappresentanza).
- Quando il mandatario agisce in nome del mandante, tutti gli effetti negoziali si producono
direttamente nella sfera giuridica di quest’ultimo.
- Per contro, il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi
derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del
mandato. I terzi non hanno alcun rapporto col mandante.
È quindi il principio formale della spendita del nome che domina nel nostro ordinamento
l’imputazione dei singoli atti giuridici e dei loro effetti (e non il criterio sostanziale della titolarità).
Il legislatore non fissa un diverso criterio di imputazione dell’attività di impresa e della sua
disciplina e ciò implica che la qualità di imprenditore è acquistata con pienezza di effetti dal
soggetto e solo dal soggetto il cui nome è stato espresso nel compimento dei singoli atti di
impresa. Diventa imprenditore colui che esercita personalmente l’attività di impresa compiendo in
proprio nome gli atti relativi.
Non diventa imprenditore invece chi gestisce l’altrui impresa quando operi spendendo il nome
dell’imprenditore, per effetto del potere di rappresentanza conferitogli dall’interessato.
Esercizio indiretto dell’attività di impresa: la teoria dell’imprenditore occulto
21
L’esercizio di attività di impresa può dar luogo a dissociazione tra soggetto cui è formalmente
imputabile la qualità di imprenditore ed il reale interessato.
È questo il fenomeno dell’esercizio dell’impresa tramite interposta persona. Altro è il soggetto che
compie in proprio nome i singoli atti di impresa (imprenditore palese o prestanome), altro è il
soggetto che somministra al primo i necessari mezzi finanziari, dirige di fatto l’impresa e fa propri
tutti i suoi guadagni. In altre parole, è un altro il dominus dell’impresa, che non si palesa come
imprenditore di fronte a terzi: cosiddetto imprenditore occulto.
Questo modo di operare solleva dei problemi quando gli affari vanno male ed il soggetto utilizzato
dal dominus sia persona fisica nullatenente o una società per azioni o a responsabilità limitata con
capitale irrisorio (società di comodo o etichetta).
I creditori potranno provocare il fallimento del prestanome: questi ha agito in nome proprio e ha
perciò acquistato la qualità di imprenditore commerciale. È altrettanto indubbio però che data
l’insufficienza del relativo patrimonio i creditori ben poco potranno ricavare dal fallimento di
questi. Il risultato ultimo sarà che il rischio di impresa non sarà sopportato dal reale dominus, ma è
da questi trasferito sui creditori più deboli, quelli che non sono in grado di premunirsi contro il
dissesto del prestanome, costringendo il reale interessato a garantire personalmente i debiti
contratti in proprio nome dal primo. Questo modo fraudolento di operare causa una serie di
dissesti a catena.
Rimedi parte della dottrina ha ritenuto di poter neutralizzare i pericoli per i creditori escludendo
che la spendita del nome sia requisito necessario ai fini dell’imputazione della responsabilità per i
debiti di impresa. Per l’attività di impresa operebbero principi parzialmente diversi da quelli
ricavabili dal mandato senza rappresentanza: essi consentirebbero di imputare anche al reale
dominus i debiti contratti dall’imprenditore palese e, consentirebbero di sottoporre il primo al
fallimento.
La responsabilità cumulativa dell’imprenditore palese e del dominus, con esclusione però dal
fallimento per quest’ultimo, è stata affermata muovendo dall’idea che nel nostro ordinamento
giuridico è espressamente sanzionata la inscindibilità del rapporto potere-responsabilità. Chi
esercita il potere di direzione di un’impresa se ne assume necessariamente anche il rischio e
risponde delle relative obbligazioni.
Questo principio consentirebbe di affermare che quando l’attività di impresa è esercitata tramite
prestanome, responsabili verso il creditore sono sia il prestanome sia il dominus.
Un ulteriore e definitivo passo avanti è compiuto dalla “teoria dell’imprenditore occulto”: secondo
tale teoria il dominus di un’impresa formalmente altrui non solo risponderà assieme a questi, ma
fallirà sempre e comunque qualora fallisca il prestanome. La piena parificazione sul piano della
responsabilità di impresa di chi agisce di fronte ai terzi e di chi sta dietro le quinte, sarebbe
giustificata da una norma della legge fallimentare (vecchio art 147 comma 2).  tale norma
dispone che il fallimento di una società si estende anche ai soci la cui esistenza sia scoperta dopo
la dichiarazione di fallimento e ai soci palesi. (fallimento del socio occulto di società palese).
Nella formulazione originaria la teoria proseguiva affermando che esso fosse applicabile anche
all’ipotesi in cui chi contratta con i terzi si presenta come imprenditore individuale mentre ha in

22
realtà alle spalle uno o più soci occulti, sicchè è socio occulto di una società occulta. L’applicazione
analogica sarebbe giustificata dal fatto che tra le due ipotesi (socio occulto di società palese e
società occulta) la differenza potrebbe essere solo quantitativa, ovvero determinata solo dal
numero dei soci.
Se fallisce la società occulta è inevitabile che fallisca anche l’imprenditore occulto. Proseguendo
per questa via si arriva ad affermare la responsabilità e l’esposizione al fallimento di chiunque
domini un’impresa a lui formalmente non imputabile
È così affermata la responsabilità del socio tiranno di una società per azioni, dell’azionista cioè che
in fatto usa delle società come cosa propria, e ne dispone a suo piacimento con l’assoluto
disprezzo delle regole fondamentali del diritto societario. Es: usa il patrimonio della società per
scopi personali o viceversa la finanzia indirettamente.
È altresì affermata anche la responsabilità dell’azionista o degli azionisti sovrani, ovvero
dell’azionista che pur rispettando le regole di funzionamento della società, in fatto domini
l’impresa societaria in forza del possesso di un pacchetto azionario di controllo.
Si arriva quindi a sanzionare con la responsabilità personale e fallimento ogni forma di dominio
occulto o palese dell’altrui impresa. Tuttavia, questo ragionamento non è corretto.
Critica: l’imputazione dei debiti di impresa
Le tesi esposte nel paragrafo precedente si fondano sulla presunta esistenza nel nostro
ordinamento di due criteri generali di imputazione della responsabilità per debiti di impresa:
a. Criterio formale della spendita del nome
b. Criterio sostanziale del potere di direzione
Quest’ultimo criterio non può essere condiviso, così come non può essere condiviso il più radicale
assunto che la sovranità di fatto sull’impresa rappresenti il solo criterio giuridico di imputazione
dell’attività di impresa.
Non lo dimostra la disciplina societaria, in quanto è vero che nelle società di persone il socio
amministratore non può limitare la propria responsabilità. Non è vero invece che la responsabilità
illimitata è indissolubilmente legata al potere di gestione.
Infatti, nelle società in nome collettivo tutti i soci rispondono illimitatamente, quand’anche la
gestione sia riservata solo a taluni di essi. Lo stesso può dirsi per i soci accomandatari
dell’accomandita semplice. Inoltre, l’assunto che nelle società di capitali la responsabilità illimitata
per le obbligazioni sociali è indissolubilmente legata al dato sostanziale del potere di gestione,
trova oggi una smentita nella disciplina introdotta dapprima del ’93 per la sola società a
responsabilità limitata unipersonale e nel 2003 estesa anche alla società per azioni unipersonale.
D’altro canto l’inscindibile collegamento tra potere di gestione e responsabilità illimitata non è
dimostrabile neppure in base all’art 147 fall. La teoria dell’imprenditore occulto fonda tale
conclusione su un’ estensione analogica. Dal fallimento del socio occulto di società palese e dal
fallimento del socio occulto di società occulta si passa al fallimento dell’imprenditore occulto:
tuttavia la fattispecie non è identica.

23
Nel fallimento del socio occulto di società palese è fuori contestazione che esiste una società con
soci a responsabilità illimitata; è fuori contestazione inoltre che il soggetto successivamente
scoperto sia socio di tale società; infine è fuori contestazione che gli atti di impresa sono stati posti
in essere in nome della società. Ciò che è stato occultato è sollo il reale numero dei soci e il socio
occulto risponde e fallisce esattamente per lo stesso motivo per cui falliscono i soci palesi. Il
criterio è sempre formale: partecipazione ad una società di persone.
Nel fallimento di socio occulto di società occulta è del pari fuori contestazione che esiste una
società a responsabilità illimitata e che i soggetti successivamente scoperti ne fanno parte. I soci
occulti sono tuttavia chiamati a rispondere di atti che non sono stati posti in essere in nome della
loro società, bensì di un solo socio che opera all’esterno come mandatario senza rappresentanza. I
soci occulti mediante la non esteriorizzazione del vincolo sociale perseguono l’obiettivo di sottrarsi
al fallimento personale e alla responsabilità illimitata per i debiti di impresa comune: i soci che
intendono limitare la propria responsabilità per i debiti sociali devono farlo costituendosi in uno
dei tipi societari per i quali è previsto tale beneficio. L’ordinamento perciò intende colpire l’uso
distorto della forma societaria.
Invece è estraneo alla disciplina dell’art 147 1. Fall. Il fine di affermare in via generale la
responsabilità de dominus di un’impresa gestita sotto altrui nome. Lo si può dedurre dal primo
comma che circoscrive il fallimento dei soci illimitatamente responsabili solo a 3 tipi societari:
società in nome collettivo, società in accomandita semplice, società in accomandita per azioni.
Non falliscono pertanto né l’unico azionista, né l’unico socio di società a responsabilità limitata.
Dai comma 4,5 i deduce il principio che chi è socio di una società a responsabilità illimitata
risponde verso i terzi anche se la sua partecipazione alla società non è stata esteriorizzata o non è
stata esteriorizzata l’esistenza di una società.
Nella fattispecie imprenditore occulto-imprenditore palese nessuna società esiste tra dominus e
prestanome, dato che nel rapporto che si instaura tra tali soggetti mancano tutti gli elementi
costitutivi del contratto di società: fondo comune, esercizio in comune dell’attività, divisione degli
utili. Il prestatore è infatti mandatario del dominus, non socio dello stesso.
La situazione giuridica è perciò diversa da quella dei comma 4,5 art 147 e in quanto tale non può
essere trattata alla stessa maniera.
Il che trova conferma nei principi che regolano le società di capitali: in queste è sempre
individuabile un socio o un gruppo di soci che di fatto controlla e dirige la società. Ma l’azionista o
gli azionisti di comando non sono in quanto tali chiamati dal legislatore a rispondere
personalmente dei debiti della società. E non possono essere chiamati a rispondere dall’interprete
senza sovvertire uno dei cardini dell’attuale sistema: la liceità dell’esercizio dell’attività di impresa
in regime di responsabilità limitata attraverso l’uso di una società di capitali, purchè si rispettino le
regole di organizzazione per la stessa dettate. Esse sono regole che prevedono la perdita del
beneficio della responsabilità limitata solo quando ricorre la situazione formale ed oggettiva della
concentrazione di tutte le azioni o quote nelle mani di un solo soggetto e nel contempo ricorrono
ulteriori condizioni.
Non meno significativa è la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento di società
introdotta con la riforma organica del diritto societario del 2003. Le nuove norme riconoscono che
24
le società o gli enti che esercitano il potere di direzione e coordinamento su altre società possono
incorrere in responsabilità nei confronti dei soci e dei creditori di quest’ultime. Tale responsabilità
sussiste solo in caso di abuso del potere di controllo, ovvero quando la controllante ha agito
nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione
societaria e imprenditoriale delle società controllate. E in ogni caso, la responsabilità in questione
non comporta mai la diretta imputazione in capo alla capogruppo dei debiti delle controllate, ma
solo il sorgere di un’obbligazione risarcitoria a carico di chi ha abusato del potere di direzione e
coordinamento per il danno cagionato ai creditori e ai soci delle società controllate.
Tutte queste regole vengono cancellate dalla teoria in esame quando afferma la responsabilità
illimitata e l’esposizione al fallimento sia del socio tiranno che del socio sovrano. Di chi abusa ma
anche di chi usa lo schermo societario.
In conclusione, è vero che la spendita del nome non è il solo criterio di imputazione dei debiti di
impresa, ma non è meno vero che tale imputazione è pur sempre retta da indici esclusivamente
formali e oggettivi.
Perciò, il dominio di fatto non è condizione sufficiente per esporre a responsabilità e fallimento, né
tantomeno determina di per sé l’acquisto della qualità di imprenditore.
Una tecnica per reprimere gli abusi
Il dominio di fatto su un’impresa individuale o societaria formalmente imputabile ad altro soggetto
non implica di per sé responsabilità illimitata per i debiti di impresa.
Questo principio tuttavia non significa che si debba rinunciare a reprimere i possibili abusi dello
schermo societario. Una cosa è l’uso degli istituti (società di capitali, mandato senza
rappresentanza) che l’ordinamento offre per limitare il rischio e la responsabilità di impresa.
Un’altra è l’abuso. Altro ancora è respingere l’automatica equazione di dominio di fatto-
responsabilità illimitata-esposizione al fallimento.
Ci sono vari criteri legislativi introdotti con la riforma del diritto societario del 2003 e con la riforma
del diritto fallimentare del 2006: responsabilità da attività di direzione di coordinamento,
postergazione dei finanziamenti infragruppo e dei soci s.r.l., fallimento della società occulta, ecc…
Diverse tecniche inoltre sono state proposte per affermare, in applicazione e non in deroga ai
criteri di imputazione previsti dall’ordinamento, la responsabilità personale e l’esposizione al
fallimento di chi abusi della posizione di dominio su una società di capitali.
Tecnica prevalentemente seguita dalla giurisprudenza: essa ritiene che i comportamenti tipici del
socio tiranno possono integrare gli estremi di una autonoma attività di impresa; di un’impresa di
finanziamento e/o gestione a latere della o delle società di capitali dominate. Pertanto i soci che
hanno abusato dello schermo societario risponderanno come titolari di un’autonoma impresa
commerciale individuale o societaria, per le obbligazioni da loro contratte nello svolgimento
dell’attività fiancheggiatrice della società di capitali e in quanto tali potranno fallire, sempre che si
accerti l’insolvenza della loro impresa.

B. INIZIO E FINE DELL’IMPRESA


25
Inizio dell’impresa
La qualità di imprenditore si acquista con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attività di impresa.
L’effettivo inizio fa acquistare la qualità di imprenditore indipendentemente dalle intenzioni del
oggetto agente ed anche se l’attività è esercitata in violazione di norme amministrative abilitanti.
La stessa iscrizione nel registro delle imprese non è condizione né necessaria né sufficiente per
l’attribuzione della qualità di imprenditore commerciale.
È tuttavia convincimento diffuso in dottrina che un principio diverso valga per le società:
quest’ultime acquisterebbero la qualità di imprenditori fin dal momento della loro costituzione
(stipula del contratto per le società di persone e iscrizione nel registro delle imprese per le società
di capitali), e quindi prima ed indipendentemente dall’effettivo inizio dell’attività produttiva. Fin
dalla costituzione si applicherebbe nei loro confronti tutta la disciplina dell’imprenditore.
La giustificazione al riguardo è che per le società lo svolgimento di attività di impresa costituisce la
ragione stessa della loro costituzione e ciò rende superfluo l’accertamento del concreto inizio
dell’attività programmata. Accertamento invece necessario per le persone fisiche data la
molteplicità di attività che queste possono svolgere.
Tuttavia questa ipotetica diversità di trattamento non è da condividere, in quanto l’art 2082
ricollega l’acquisto della qualità di imprenditore all’esercizio e non alla mera intenzione di
esercitare attività di impesa. Il principio dell’effettività perciò può e deve trovare applicazione
anche per le società.
Attività di organizzazione e attività di esercizio
Quando si ha l’effettivo inizio dell’attività di impresa: è necessario al riguardo distinguere a
seconda che il compimento di atti tipici di impresa sia o meno preceduta da una fase organizzativa
oggettivamente percepibile.
In mancanza di tale fase preparatoria, solo la ripetizione nel tempo di atti di impresa omogenei e
funzionalmente coordinati renderà certo che non si tratta di atti occasionali bensì di attività
professionalmente esercitata. Es: attività di un mediatore o agente di commercio
Quando invece venga preventivamente creata una stabile organizzazione aziendale, anche solo un
atto di esercizio sarà sufficiente per affermare che l’attività è iniziata. Né è necessario che sia
portato a compimento il primo ciclo operativo con la vendita a terzi dei beni prodotti o con la
rivendita delle merci acquistate. La stabile organizzazione è già di per sé indice non equivoco di
attività professionale.
È controverso invece se l’inizio dell’impresa possa essere ulteriormente anticipato, se cioè si possa
diventare imprenditori già durante la fase preliminare di organizzazione e prima del compimento
del primo atto di gestione. La risposta affermativa è preferibile: il taglio netto tra atti con carattere
pre-imprenditoriale e atti imprenditoriali non trova riscontro nella realtà. Inoltre, anche
l’organizzazione della produzione è atto tipicamente imprenditoriale e attività che pone esigenze
di tutela del credito non diverse da quelle che sorgono durante l’esercizio. Né l’attività può dirsi
organizzata in forma di impresa solo quando si è già compiutamente precostituito un apparato
aziendale.

26
In definitiva, anche gli atti di organizzazione sono atti di impresa e possono essere equiparati agli
atti di gestione non preceduti da una fase organizzativa. Al pari di quest’ultimi anche gli atti di
organizzazione determineranno l’acquisto della qualità di imprenditore e l’esposizione al
fallimento quando per il loro numero e/o per la loro significatività manifestano in modo non
equivoco lo stabile orientamento dell’attività verso un determinato fine produttivo, sia pure non
ancora realizzato.
Un singolo atto di organizzazione non sarà di regola sufficiente perché una persona fisica diventi
imprenditore e anche più atti potrebbero non bastare se inespressivi. La valutazione invece può
essere in fatto diversa quando gli stessi atti vengono compiuti da una società, organismo di durata
programmato per lo svolgimento di una determinata attività di impresa. Anche solo un atto di
organizzazione imprenditoriale, soprattutto se particolarmente qualificato, potrà essere sufficiente
per affermar che l’attività di impresa è iniziata.
La fine dell’impresa
Mentre per l’imprenditore individuale era pacifico che la qualità di imprenditore si perdesse solo
con l’effettiva cessazione dell’attività (principio di effettività), per le società il punto era più
controverso. Il dibattito verteva sull’applicazione dell’art 10 1. Fall., norma che disciplina il
fallimento dell’imprenditore che ha cessato l’attività. A seguito di un intervento normativo del
2006 e nel 2007 questa disposizione è stata tuttavia riformata.
La versione originaria dell’art 101 disponeva che l’imprenditore commerciale poteva essere
dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell’impresa. Bisogna tenere presente che la fine
dell’impresa è preceduta da una fase di liquidazione più o meno lunga, durante la quale
l’imprenditore completa i cicli produttivi iniziati, vende le giacenze di magazzino e gli impianti,
licenzia i dipendenti, definisce i rapporti pendenti. La qualità di imprenditore si perde solo con la
chiusura della liquidazione, chiusura che non si verifica quando vengono compiute operazioni
intrinsecamente identiche a quelle normalmente poste in essere durante l’esercizio dell’impresa.
La fase liquidativa può definirsi chiusa solo con la definitiva disgregazione del complesso aziendale,
che rende definitiva ed irrevocabile la cessazione.
Ma, questo era il punto controverso, per l’imprenditore individuale la giurisprudenza riconosceva
correttamente che non era necessaria la completa definizione dei rapporti sorti durante l’esercizio
dell’impresa: non era necessario cioè che fossero stati riscossi tutti i crediti e pagati tutti i debiti
relativi. Inoltre, l’anno per la dichiarazione di fallimento avrebbe cominciato a decorrere da
quando l’insolvenza in pratica non era più possibile essendo stati soddisfatti quanto meno tutti i
creditori di impresa.
Per le imprese societarie invece le cose sono andate diversamente: per quest’ultime chi riteneva
che le società diventano imprenditori per effetto della sola costituzione, simmetricamente
affermava che esse perdessero tale qualità solo con la cancellazione dal registro delle imprese.
Inoltre, secondo l’interpretazione della giurisprudenza, la cancellazione avrebbe presupposto non
solo la disgregazione dell’azienda ma anche l’integrale pagamento delle passività ad opera dei
liquidatori e la definizione dei rapporti tra i soci. Solo da tale momento avrebbe cominciato a
decorrere il termine annuale previsto dall’art 10 1. Fall.

27
L’esito di questo ragionamento era che, se si verificava che creditori ritardatari avanzassero
pretese dopo la cancellazione delle società dal registro delle imprese, la giurisprudenza era
irremovibile nell’affermare che una società, benchè cancellata dal registro, doveva ritenersi
ancora esposta al fallimento, fino a quando non fosse stato pagato l’ultimo debito. Una società
poteva essere perciò dichiarata fallita anche a distanza di anni dalla definitiva cessazione di ogni
attività di impresa.
L’irragionevole disparità di trattamento che si era venuta a creare finì alla Corte Costituzionale: la
Consulta dapprima dichiarò incostituzionale l’art 10 1. Fall perché non prevedeva che il termine
annuale decorresse per le società dal momento della cancellazione dal registro. Successivamente
la Corte manifestò l’orientamento che l’analogo principio dovesse valere anche per l’imprenditore
individuale, facendo però salva in questo caso la possibilità per i creditori di dimostrare la
prosecuzione dell’attività di impresa anche dopo la cancellazione. La norma perciò è stata
riformulata dal d.lgs. 9-1-2006 n.5 e corretta poi dal d.lgs. 12-9-2007 n.169.
Il nuovo art 10 1. Fall dispone ora che “gli imprenditori individuali e collettivi possono essere
dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese se l’insolvenza si è
manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo. In caso di impresa individuale
o di cancellazione d’ufficio degli imprenditori collettivi, è però fatta salva la facoltà per il creditore
o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui
decorre il termine del primo comma”.
Perciò, oggi la cancellazione dal registro delle imprese è condizione necessaria affinchè
l’imprenditore individuale o collettivo benefici del termine annuale per la dichiarazione di
fallimento. Il debitore ora non può dimostrare di aver cessato l’attività di impresa prima della
cancellazione per anticipare il decorso di tale termine, nemmeno se si tratti di una persona fisica.
Ne consegue inoltre che le società irregolari e le società occulte potranno essere dichiarate fallite
senza limiti di tempo finchè sussistono debiti insoluti in quanto per loro il termine annuale non
decorre. Del pari, l’imprenditore individuale non iscritto nel registro resta esposto al fallimento fin
quando non ha estinto tutti i debiti di impresa.
Per gli imprenditori persone fisiche e per le società cancellate d’ufficio, la cancellazione dal
registro delle imprese non è però da sola sufficiente: essa deve accompagnarsi anche all’effettiva
cessazione dell’attività di impresa, mediante la disgregazione del complesso aziendale; altrimenti,
il termine annuale non decorre.
Identica soluzione sembra da accogliere anche nel caso in cui una società di persone abbia
proseguito l’attività di impresa dopo essere stata volontariamente cancellata dal registro delle
imprese.

C. CAPACITÀ E IMPRESA
Incapacità e incompatibilità
La capacità all’esercizio dell’attività di impresa si acquista con la piena capacità di agire e quindi al
compimento del 18esimo anno di età. Si perde in seguito a interdizione o inabilitazione.

28
La capacità di agire è presupposto per l’acquisto della qualità di imprenditore in quanto le norme
che regolano le relazioni giuridiche degli incapaci sono disposte a tutela degli stessi. L’esercizio di
attività di impresa in violazione di tali norme non fa perciò sorgere la qualità di imprenditore in
testa all’incapace. Così, il minore che ha con raggiri occultato la sua minore età non diventa
imprenditore, anche se i contratti conclusi non sono annullabili.
Non costituiscono limitazioni della capacità di agire ma semplici incompatibilità i divieti di esercizio
di impresa commerciale posti a carico di coloro che esercitano determinati uffici o professioni. La
violazione di tali divieti non preclude l’acquisto della qualità di imprenditore commerciale, ma
espone solo a sanzioni amministrative e ad un aggravamento delle sanzioni penali per bancarotta
in caso di fallimento.
Analogamente, non impedisce l’acquisto o il riacquisto della qualità di imprenditore commerciale
l’inabilitazione temporanea all’esercizio di attività commerciale che consegue alla condanna per
bancarotta o per ricorso abusivo al credito in caso di fallimento, anche se la trasgressione del
divieto è sanzionata penalmente.
L’impresa commerciale dell’incapace
È possibile l’esercizio di attività di impresa per conto e nell’interesse di un incapace (minore o e
interdetto) o da parte di soggetti limitatamente capaci di agire (inabilitato, minore emancipato e
beneficiario di amministrazione di sostegno), con l’osservanza delle disposizioni al riguardo
dettate.
In materia agricola il codice non prevede regole particolari. Una specifica disciplina è invece
prevista per l’attività commerciale, disciplina che ha carattere derogativo rispetto a quello di diritto
comune e che può essere colta nelle sue peculiarità attraverso un raffronto con la disciplina
generale in tema di amministrazione del patrimonio degli incapaci.
L’amministrazione del patrimonio degli incapaci è regolata in modo da garantirne la conservazione
e l’integrità impedendo che lo stesso venga impiegato in operazioni aleatorie o di pura sorte.
Perciò, il rappresentante legale del minore o dell’interdetto è legittimato a compiere solo gli atti di
ordinaria amministrazione, mentre quelli di straordinaria amministrazione possono essere
compiuti solo in caso di necessità o utilità evidente, accertata dall’autorità giudiziaria con
autorizzazione di regola concessa atto per atto.
Il legislatore considera con sfavore l’impiego del patrimonio degli incapaci in attività commerciali e
in tale prospettiva pone un divieto assoluto di inizio di impresa commerciale per l’interdetto, il
minore, l’inabilitato. Salvo che per il minore emancipato, è pertanto consentita solo la
continuazione dell’esercizio di un’impresa commerciale preesistente quando ciò sia utile per
l’incapace e purchè la continuazione sia autorizzata dal tribunale.
L’esercizio di impresa commerciale per altro verso richiede scioltezza e rapidità di decisioni, che
sono inconciliabili sia con la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, sia col
sistema di autorizzazione atto per atto di questi ultimi su cui si fonda la pura amministrazione
conservativa del patrimonio degli incapaci. Ciò spiega perché l’autorizzazione del tribunale
all’esercizio di impresa commerciale ha carattere generale e comporta anche un sensibile
ampliamento dei poteri del rappresentante legale dell’incapace o de limitatamente capace.

29
In nessun caso è consentito l’inizio di una nuova impresa commerciale in nome e nell’interesse del
minore. Quando questi acquista una preesistente azienda (per successione ereditaria o
donazione), il rappresentante legale può essere autorizzato dal tribunale a continuare l’esercizio
dell’impresa, sia pure con procedure e cautele diverse a seconda che il minore sia sottoposto a
potestà familiare o a tutela. E per evitare l’interruzione sia pure temporanea dell’attività, il giudice
tutelare può consentire l’esercizio provvisorio dell’impresa fin quando il tribunale non abbia
autorizzato la continuazione.
Intervenuta l’autorizzazione definitiva, il genitore o il tutore è legittimato a compiere tutti gli atti
che rientrano nell’esercizio dell’impesa, siano essi di ordinaria o straordinaria amministrazione. La
richiesta di specifica autorizzazione sarà necessaria solo per quegli atti che non sono in rapporto di
mezzo a fine per la gestione dell’impresa. (es: vendita dell’immobile in cui ha sede l’impresa).
Per l’interdetto valgono regole identiche a quelle dettate per il minore sottoposto a tutela. E
l’autorizzazione alla continuazione può riguardare anche l’impresa iniziata dallo stesso interdetto
prima dell’interdizione.
L’inabilitato è un soggetto la cui capacità di agire è limitata agli atti di ordinaria amministrazione.
La sua posizione è tuttavia parificata a quella degli incapaci assoluti per quanto concerne
l’esercizio di impresa commerciale: è possibile solo la continuazione di un’impresa preesistente,
non l’inizio ex novo.
Intervenuta l’autorizzazione alla continuazione, l’inabilitato eserciterà personalmente l’impresa,
sia pure con l’assistenza del curatore e con il consenso di questi per gli atti di impresa che
eccedono l’ordinaria amministrazione, ovvero esulano dall’esercizio dell’impresa.
Il tribunale può tuttavia subordinare l’autorizzazione ala nomina di un institore, nomina che sarà
fatta dallo stesso inabilitato col consenso del curatore.
Diversamente che per gli altri incapaci, il minore emancipato può essere autorizzato da tribunale
ad iniziare una nuova impresa commerciale. Con l’autorizzazione il minore emancipato acquista la
piena capacità di agire. Può esercitare l’impresa senza l’assistenza del curatore e può compere da
solo gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione anche se estranei all’esercizio dell’impresa.
Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno conserva invece capacità di agire per tutti gli atti
che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’amministratore di sostegno. Di
conseguenza egli potrà liberamente iniziare o proseguire un’attività di impresa senza assistenza,
salvo che il giudice tutelare disponga diversamente nel decreto di nomina dell’amministratore di
sostegno o con successivo decreto motivato.
L’esercizio autorizzato dell’impresa determina l’acquisto della qualità di imprenditore commerciale
da parte dell’incapace. Acquistano tale qualità l’inabilitato ed il minore emancipato in quanto
l’impresa è da loro personalmente esercitata, sia pure con l’assistenza del curatore per
l’inabilitato.
L’incapace resta perciò esposto a tutte le conseguenze che derivano dalla titolarità di un’impresa
commerciale, ivi compreso l’assoggettamento a fallimento in caso di insolvenza.

30
Il fallimento del minore e dell’interdetto tuttavia solleva delicati problemi di giustizia sostanziale,
per quanto concerne l’applicazione delle norme fallimentari che stabiliscono incapacità personali e
sanzioni penali per il fallito. Sia pure con qualche sforzo interpretativo, è possibile evitare che le
sanzioni penali colpiscano il minore fallito e nel contempo far ricadere le stesse sul rappresentante
legale, sebbene questi non possa essere qualificato come imprenditore. Infatti al minore
imprenditore non possono essere imputati reati da altri commessi e che egli non poteva impedire.
D’altro canto nei confronti del genitore o tutore è applicabile l’art 227 1. Fall. che punisce i reati
fallimentari dell’institore.
Più arduo è invece sottrarre il minore fallito alle incapacità personali, ciò in quanto tali incapacità
conseguono automaticamente dalla dichiarazione di fallimento e solo il minore in quanto
imprenditore commerciale può essere dichiarato fallito, non invece il genitore/tutore che
imprenditore non è.

Capitolo 4
LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE
A. LA PUBBLICITÀ LEGALE
La pubblicità delle imprese commerciali
Gli imprenditori avvertono la necessità di ricevere e nel contempo di dare informazioni di carattere
organizzativo, rilevanti per il sicuro svolgimento delle relazioni di affari e idonee a conferire
certezza alle contrattazioni evitando il successivo instaurarsi di liti giudiziarie.
Per le imprese commerciali e più in generale per le imprese a struttura societaria, questa esigenza
è soddisfatta dallo stesso legislatore con l’introduzione di un sistema di pubblicità legale. È cioè
previsto l’obbligo di rendere di pubblico dominio determinati atti o fatti della vita dell’impresa,
secondo forme e modalità predeterminate per legge. In tal modo le informazioni legislativamente
ritenute rilevanti non solo sono rese accessibili ai terzi interessati, ma producono l’effetto tipico
proprio di ogni forma di pubblicità legale: l’opponibilità a chiunque degli atti o dei fatti così resi
conoscibili.
Il registro delle imprese è lo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali non piccole e
delle società commerciali previsto dal cc del 1942, in sostituzione delle forme disorganiche
contemplate dal codice di commercio del 1882. L’entrata in funzione del registro delle imprese era
tuttavia subordinata all’emanazione del relativo regolamento di attuazione, che a lungo però si è
fatto attendere.
Durante i lunghi anni di attesa ha trovato applicazione il regime transitorio previsto dagli art
100,101, e 108 disp. Att. Cod.civ.
Il regime era imperniato sull’iscrizione nei preesistenti registri di cancelleria presso il tribunale e
soprattutto caratterizzato dall’esonero temporaneo dall’iscrizione degli imprenditori commerciali
individuali e degli enti pubblici economici, sicchè un sistema di pubblicità legale operava solo per
le società commerciali e per i consorzi con attività esterna.
31
Sempre nell’attesa del registro delle impese la situazione si era ulteriormente complicata per
l’introduzione di nuove ed ulteriori forme di pubblicità per le società di capitali e le società
cooperative.
Società di capitali nel 1969 fu prevista la pubblicazione nel Bollettino ufficiale delle società per
azioni a responsabilità limitata (Busarl) in aggiunta all’iscrizione nel registro dell’imprese, per una
serie di atti
Società cooperative fu introdotta nel ’73 la pubblicazione nel Bollettino ufficiale delle società
cooperative e dei consorzi di cooperative (Busc) sempre in aggiunta all’iscrizione nel registro delle
imprese
Ulteriori adempimenti pubblicitari con valore di pubblicità notizia erano previsti da leggi speciali
quale l’iscrizione nel registro delle ditte, tenuto dalle camere di commercio, disposta a carico di
chiunque esercitava l’industria, il commercio o l’agricoltura.
Ne risultava perciò un sistema di pubblicità delle imprese particolarmente disorganico e
complesso, che da tempo sollecitava una riforma.
La situazione finalmente si sblocca con la legge 29-12-1993 n.580, contenente norme per il
riordino delle camere di commercio. L’art 8 di tale legge ha finalmente istituito il registro delle
imprese, che è divenuto pienamente operante nel 1997. Nel contempo ha cessato di esistere il
registro delle ditte e sono stati soppressi il Busarl e il Busc.
La nuova disciplina del registro delle imprese ha introdotto alcune significative novità rispetto al
sistema previsto dal codice del 1942:
a. L’attuale registro delle imprese non è più solo strumento di pubblicità legale delle imprese
commerciali, ma anche strumento di informazione sui dati organizzativi di tutte le altre
imprese. Infatti, l’iscrizione nel registro delle imprese è stata estesa agli imprenditori
agricoli, ai piccoli imprenditori e alle società semplici. È stata inoltre estesa alle società tra
avvocati e alle alte società tra professionisti.
b. La tenuta del registro delle imprese è affidata alle camere di commercio, con la
conseguente cessazione dei compiti di pubblicità legale delle imprese in passato svolti dalle
cancellerie dei tribunali
c. Il registro delle imprese è tenuto con tecniche informatiche in modo da assicurare
completezza ed organicità della pubblicità, e da garantire la tempestività dell’informazione
su tutto il territorio nazionale
Il registro delle imprese è pubblico. Chiunque può consultarne i dati.

Il registro delle imprese


L’ufficio del registro delle imprese è istituito in ciascuna provincia presso le camere di commercio
ed è retto da un conservatore nominato dalla giunta. L’attività dell’ufficio è svolta sotto la vigilanza
di un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di provincia.
Il registro è attualmente articolato in una sezione ordinaria e in sezioni speciali.

32
Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori per i quali l’iscrizione nel registro delle imprese
era originariamente prevista dal codice civile, categoria che per altro non coincide puntualmente
con quella degli imprenditori commerciali. Sono tenuti all’iscrizione nella sezione ordinaria:
a. Gli imprenditori individuali commerciali non piccoli
b. Tutte le società tranne la società semplice
c. I consorzi tra imprenditori con attività esterna
d. I gruppi europei di interesse economico con sede in Italia
e. Gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale
f. Le società estere che hanno in Italia la sede dell’amministrazione ovvero l’oggetto
principale della loro attività
g. Le reti di imprese dotate di soggettività giuridica

Sono poi previste alcune sezioni speciali, il cui numero è andato via via crescendo in base alla
previsione di leggi speciali:
1. Sezione speciale degli imprenditori agricoli e dei piccoli imprenditori: qui sono iscritti gli
imprenditori che secondo il codice civile ne erano esonerati e per i quali l’iscrizione aveva
originariamente solo la funzione di pubblicità notizia (imprenditori agricoli individuali,
piccoli imprenditori, società semplici, imprenditori artigiani). Tuttavia gli artigiani non
qualificabili come piccoli imprenditori erano tenuti anche all’iscrizione nella sezione
ordinaria come imprenditori commerciali.
2. Sezione speciale delle società tra professionisti. In questa sezione si iscrivono le società tra
avvocati e le altre società tra professionisti con efficacia di pubblicità notizia.
3. Sezione speciale dei soggetti che esercitano attività di direzione e coordinamento: è la
sezione dedicata alla pubblicità dei legami di gruppo.
4. Sezione speciale delle imprese sociali
5. Sezione speciale degli atti di società di capitali in lingua straniera: in questa sezione le
società di capitali possono pubblicare la traduzione giurata in una lingua ufficiale delle
Comunità europee di atti per i quali è obbligatoria l’iscrizione o il deposito. La
pubblicazione in lingua straniera è facoltativa e non sostituisce l’obbligo di pubblicare l’atto
in lingua italiana.
6. Sezione speciale delle start-up innovative e degli incubatori certificati: in questa sezione si
iscrivono le società qualificabili come start-up innovative; sono tali le società di capitali e
cooperative costituite da non più di 4 anni, aventi ad oggetto lo sviluppo, la produzione, la
commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico e che
rispettino gli ulteriori requisiti fissati dall’art 25.
L’iscrizione nella sezione speciale è condizione per poter accedere alla speciale disciplina di favore
di carattere civilistico, tributario e laburistico prevista dalla legge per questo tipo di società. Allo
stesso scopo si iscrivono nella sezione le società che offrono servizi per sostenere la nascita e lo
sviluppo di startup innovative.

33
I fatti gli atti da registrare sono specificati da una serie di nome e sono diversi a seconda della
struttura soggettiva dell’impresa. Riguardano essenzialmente gli elementi di individuazione
dell’imprenditore e dell’impresa, nonché la struttura e l’organizzazione delle società.
Sono poi soggette in via di principio a registrazione tutte le modificazioni di elementi già scritti.
Non è invece consentita l’iscrizione di atti non previsti dalla legge. Le iscrizioni devono essere fatte
nel registro delle imprese della provincia in cui l’impresa ha la sede e negli atti e nella
corrispondenza deve essere indicato il registro presso il quale l’iscrizione è avvenuta.
L’iscrizione è eseguita su domanda dell’interessato ma può avvenire anche di ufficio se l’iscrizione
è obbligatoria e l’interessato non vi provvede. E di ufficio può anche essere disposta la
cancellazione di un’iscrizione avvenuta senza che esistano le condizioni richieste dalla legge.
D’ufficio può essere inoltre disposta la cancellazione dell’impresa che ha cessato l’attività, quando
l’imprenditore non vi provveda. In caso di società di persone, il conservatore del registro se ritiene
necessario provvedere all’ultima liquidazione trasmette gli atti al presidente del tribunale per la
nomina d’ufficio dei liquidatori.
In ogni caso prima di procedere all’iscrizione, l’ufficio del registro deve controllato che l’atto o il
fatto è soggetto a iscrizione e che la documentazione è formalmente regolare, nonché l’esistenza e
la veridicità dell’atto o fatto. È invece da escludersi che il controllo possa investire anche la validità
dell’atto.
Tuttavia, per gli atti societari sottoposti a controllo notarile di legalità, l’ufficio del registro può e
deve verificare solo la regolarità formale della documentazione presentata.
L’iscrizione è eseguita senza indugio e comunque entro 10 giorni dalla data di protocollazione della
domanda, mediante inserimento dei dati nella memoria dell’elaboratore elettronico e messa degli
stessi a disposizione del pubblico sui terminali per la visione diretta.
Contro il provvedimento motivato di rifiuto dell’iscrizione, il richiedente può ricorrere entro 8
giorni al giudice del registro, che provvede con decreto. Contro il decreto del giudice del registro
può essere proposto ricorso al tribunale, che provvede anch’esso con decreto. Identico rimedio è
esperibile contro il decreto del giudice del registro che dispone l’iscrizione o la cancellazione di
ufficio.
L’inosservanza dell’obbligo di registrazione è punita con sanzioni amministrative pecuniarie e con
sanzioni indirette: il mancato decorso del termine annuale per la dichiarazione di fallimento
dell’imprenditore che ha cessato l’attività. L’iscrizione nel registro invece non è più condizione di
ammissione al concordato preventivo.
Per quanto riguarda gli effetti dell’iscrizione, bisogna distinguere tra l’iscrizione nella sezione
ordinaria e quella nelle sezioni speciali. L’iscrizione nella sezione ordinaria ha sempre funzione di
pubblicità legale, ovvero ha anche efficacia dichiarativa, costitutiva o normativa.
Di regola, l’iscrizione nella sezione ordinaria ha efficacia semplicemente dichiarativa; rileva cioè sul
piano dell’opponibilità all’atto o del fatto iscritto.

34
I fatti e gli atti soggetti ad iscrizione ed iscritti sono opponibili a chiunque e lo sono dal momento
stesso della loro registrazione. Intervenuta la registrazione i terzi non potranno eccepire
l’ignoranza del fatto o dell’atto iscritto.
L’omessa iscrizione invece impedisce che il fatto possa essere opposto ai terzi. L’imprenditore che
ha omesso la registrazione non è tuttavia senza difesa in quanto gli è consentito di provare che i
terzi hanno avuto ugualmente conoscenza effettiva del fatto o dell’atto.
In alcune ipotesi, tassativamente previste, l’iscrizione produce effetti ulteriori e più rilevanti: è
anche presupposto perché l’atto sia produttivo di effetti, sia tra le parti che per i terzi (efficacia
costitutiva totale) o solo nei confronti dei terzi (efficacia costitutiva parziale).
Ha efficacia costitutiva totale l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto costitutivo delle
società di capitali e delle società cooperative. Ha invece ad esempio efficacia costitutiva parziale la
registrazione della deliberazione di riduzione reale del capitale sociale di una società in nome
collettivo. L’omissione impedisce il decorso del termine di 3 mesi, entro il quale i creditori possono
proporre opposizione e perciò la riduzione del capitale è per loro improduttiva di effetti.
In altri casi infine, l’iscrizione nella sezione ordinaria, pur non avendo efficacia costitutiva, è
presupposto per la piena applicazione di un determinato regime giuridico. È il caso della società in
nome collettivo e della società in accomandita semplice. Tali società vengono ad esistenza anche
se non registrate ma la mancata registrazione impedisce che operi il regime di autonomia
patrimoniale proprio di tali società e comporta l’applicazione del regime al riguardo dettato per la
società semplice. La società in tal caso si definisce irregolare.
L’iscrizione nelle sezioni speciali invece non produce di regola alcuno di questi effetti, in quanto ha
solo funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia. Questa disciplina è però stata
modificata recentemente per gli imprenditori agricoli e per le società semplici esercenti attività
agricola: il d.lgs. 22/2001 ha stabilito che per tali categorie di imprenditori l’iscrizione nella sezione
speciale ha anche efficacia di pubblicità legale.
La pubblicità delle società di capitali e delle cooperative
La normativa di attuazione del registro delle imprese del 1993 aveva lasciato inalterata:
a. La specifica disciplina della pubblicità delle società di capitali che prevedeva per una serie
di atti la pubblicazione nel Busarl, in aggiunta all’iscrizione nel registro delle imprese e che
faceva inoltre decorrere gli effetti della sola pubblicità dichiarativa non dall’iscrizione nel
registro delle imprese ma dalla successiva pubblicazione nel Busarl
b. La specifica disciplina della pubblicità delle società cooperative introdotta dall’art 9 legge
256/1993 che prevedeva per una serie di atti la pubblicazione nel Busc, sempre in aggiunta
all’iscrizione nel registro delle imprese
L’intervenuta informatizzazione del registro delle imprese e l’avvio della tenuta con tecniche
informatiche anche de Busarl e del Busc avevano però finito col rendere sostanzialmente inutile la
sopravvivenza di questi ultimi, dato che la stessa memoria elettronica valeva come registro delle
imprese e come bollettino e che con unica domanda poteva essere richiesta al’ufficio del registro
competente anche la pubblicazione del Busarl o del Busc.

35
Quindi il duplice regime di pubblicità è stato soppresso con l’eliminazione del Busarl e del Busc dal
1° ottobre 1997. Ne consegue che anche per le società di capitali e le società cooperative lo
strumento di pubblicità legale torna ad essere solo il registro delle imprese.
Restano tuttavia due differenze:
a. Mentre in base alla disciplina generale del registro delle imprese gli atti iscritti sono
immediatamente opponibili ai terzi senza possibilità per quest’ultimi di eccepire l’ignoranza
degli stessi, per le sole società di capitali l’opponibilità diventa invece piena solo decorsi 15
giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese. Per le operazioni compiute in questo
periodo i terzi sono ammessi a provare di essere stati nell’impossibilità di avere conoscenza
dell’atto.
b. Restano ferme le disposizioni che per alcuni atti delle società di capitali e/o delle società
cooperative prevedono la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale anziché nel registro

B. LE SCRITTURE CONTABILI
L’obbligo di tenuta delle scritture contabili
la programmazione consapevole e razionale dell’attività di impresa presuppone una costante
informazione e un costante controllo sull’andamento degli affari; informazione e controllo che
sono facilitati dall’impianto di un ordinato sistema di rivelazione contabile dei fatti aziendali.
Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione dei singoli atti di
impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del risultato economico dell’attività
svolta.
Le scritture contabili contribuiscono a rendere razionale ed efficiente l’organizzazione e la gestione
dell’impresa e perciò sono di regola spontaneamente tenute da qualsiasi imprenditore. La tenuta
delle scritture contabili è elevata ad obbligo ed è legislativamente disciplinata per gli imprenditori
che esercitano attività commerciale.
Non vi è tuttavia perfetta coincidenza tra i soggetti obbligati a tenere le scritture contabili secondo
il codice civile e la categoria degli imprenditori commerciali. La disciplina delle scritture contabili
prevista dal cc non si applica ai piccoli imprenditori e quindi anche ai piccoli imprenditori che
esercitano attività commerciale.
Inoltre, le società commerciali devono ritenersi obbligate alla tenuta delle scritture contabili anche
se non esercitano attività commerciale. Tuttavia manca una norma estensiva analoga a quella
dettata per l’iscrizione nel registro delle imprese.
Altro punto controverso è se l’obbligo civilistico di tenuta delle scritture contabili gravi sugli enti
pubblici e sugli enti di diritto privato diversi dalle società, che svolgono attività commerciale in via

36
secondaria ed accessoria, sia pure limitatamente all’attività commerciale esercitata. La soluzione
sarebbe affermativa.
L’obbligo di tenere le scritture contabili è infine espressamente previsto per le organizzazioni che
assumono la qualifica di impresa sociale.
Le scritture contabili obbligatorie. Regolarità e controllo
Il problema più delicato che il legislatore ha dovuto affrontare e risolvere nel disciplinare le
scritture contabili è stato quello di fissare quali debbano essere obbligatoriamente tenute. Le
scritture necessarie per un’ordinata contabilità variano a seconda del tipo di attività, delle
dimensioni e dell’articolazione territoriale dell’impresa. Il legislatore ha optato per una soluzione
di tipo misto fissata dall’art 2214.
La norma pone il principio generale che l’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili “che
siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa”. Inoltre stabilisce che in ogni caso
devono essere tenuti determinati libri contabili: il libro giornale e il libro degli inventari.
Infine devono essere ordinatamente conservati gli originali della corrispondenza commerciale
ricevuta e le copie di quella spedita.
Il libro giornale è un registro cronologico-analitico. In esso devono essere indicate giorno per
giorno le operazioni relative all’esercizio dell’impresa. Il precetto è però da intendersi in senso
elastico. Basta che le operazioni siano registrate nell’ordine in cui sono compiute e non
necessariamente il giorno stesso del loro compimento.
Il libro giornale può essere anche articolato in libri parziali in relazione alle articolazioni
dell’impresa. Il libro degli inventari è invece un registro periodico-sistematico. Deve essere redatto
all’inizio dell’esercizio dell’impresa e successivamente ogni anno.
L’inventario ha la funzione di fornire il quadro della situazione patrimoniale dell’imprenditore.
Deve perciò contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività
dell’imprenditore, anche estranee all’impresa.
L’inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite, o meglio con il
bilancio comprensivo dello stato patrimoniale e del conto economico. Il bilancio è un prospetto
contabile riassuntivo dal quale devono risultare con evidenza e verità la situazione complessiva del
patrimonio alla fine di ciascun anno, nonché gli utili conseguiti o le perdite sofferte nel medesimo
arco di tempo.
La redazione del bilancio è analiticamente disciplinata in tema di società per azioni, con norme che
fissano sia il contenuto del bilancio, sia i criteri che devono essere seguiti nella valutazione delle
singole voci. Tuttavia, l’art 2217 comma 2 nel fissare in via generale l’obbligo di redazione del
bilancio, rinvia alla disciplina della s.p.a. solo per quanto riguarda i criteri di valutazione. È da
ritenersi peraltro che il rinvio abbia carattere globale e che quindi tutti gli imprenditor debbano
osservare anche le disposizioni che disciplinano il contenuto del bilancio delle s.p.a.
Il rispetto del principio generale sopra enunciato imporrà poi la tenuta di tutte le altre scritture
contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa. Ad esempio: libro mastro, nel quale

37
le singole operazioni sono registrate non cronologicamente ma sistematicamente, libro cassa che
contiene le entrate e le uscite di denaro, libro magazzino che registra le entrate/uscite delle merci.
La scelta in concreto delle “alte scritture” da tenere è peraltro rimessa alla discrezionalità
dell’imprenditore, sia pure nei limiti segnati dalle norme tecniche e dalla prassi di un’ordinaria
contabilità. In pratica però tale principio è largamente disatteso e soprattutto in sede fallimentare
spesso si chiude un occhio, dato che il precetto legislativo si ritiene sempre e comunque
soddisfatto purchè siano state tenute le scritture obbligatorie specificamente indicate.
Per garantire la veridicità delle scritture contabili è imposta l’osservanza di determinate regole
formali e sostanziali della loro tenuta. Le regole formali sono state via via progressivamente
ridotte: in base all’attuale disciplina il libro giornale e il libro degli inventari devono essere solo
numerati progressivamente in ogni pagina prima di essere messi in uso; inoltre l’obbligo della
bollatura foglio per foglio da parte dell’ufficio del registro delle imprese o da un notaio.
Tutte le scritture contabili devono poi essere tenute secondo “le norme di un’ordinaria contabilità”
e in particolare senza spazi in bianco, senza interlinee, abrasioni,…
Oltre che in formato cartaceo oggi è inoltre consentito formare e conservare scritture contabili
esclusivamente con sistemi informatici, purchè le registrazioni possano in ogni momento essere
rese consultabili con mezzi messi a disposizione dall’imprenditore.
L’inosservanza delle formalità prescritte dalla legge rende le scritture irregolari e quindi
giuridicamente irrilevanti. Le scritture contabili e la corrispondenza commerciale devono essere
conservate per 10 anni. Di regola non sono soggette ad alcuna forma di controllo esterno, tuttavia
questa regola subisce molte eccezioni a tutela degli interessi esterni dell’impresa coinvolti dalla
regolare tenuta della contabilità.
L’obbligo di tenuta delle scritture contabili non è assistito da alcuna sanzione generale e diretta,
salvo quelle previste dalla legislazione tributaria. Non mancano però sanzioni eventuali ed
indirette. L’imprenditore che non tiene regolarmente le scritture contabili non può usarle a suo
favore ed è inoltre assoggettato alle sanzioni penali per i reati di bancarotta semplice o
fraudolenta in caso di fallimento.
La rilevanza esterna delle scritture contabili. L’efficacia probatoria
Le scritture contabili sono destinate in via di principio a rimanere nella sfera dell’imprenditore,
l’interesse dell’imprenditore al segreto riceve tutela preferenziale. Tuttavia ci sono eccezioni:
il bilancio delle società di capitali e società cooperative deve essere reso pubblico mediante
deposito presso l’ufficio del registro delle imprese. Inoltre, nelle imprese soggette a controllo
pubblico (imprese bancarie, assicurative, ecc…) il diritto al segreto non sussiste nei confronti
dell’organo pubblico preposto alla vigilanza. Così, nelle società con azioni quotate il diritto al
segreto non esiste nei confronti della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob),
che ha anche il potere di imporre la pubblicazione di dati e notizie necessari per l’informazione del
pubblico. In generale il diritto al segreto contabile cede di fronte alle esigenze conoscitive della
pubblica amministrazione, finalizzate ad accertamenti di carattere tributario o alla repressione di
reati anche di natura economica.

38
L’ipotesi più significativa di rilevanza esterna delle scritture contabili si ha sul piano processuale,
potendo le stesse essere usate come mezzo di prova a favore o contro l’imprenditore. Le scritture
contabili, siano o meno regolarmente tenute, possono essere sempre usate dai terzi come mezzo
processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene. Tuttavia il terzo che intende avvalersene
non può scinderne il contenuto, ovvero avvalersi della parte solo a lui favorevole. L’imprenditore
inoltre potrà dimostrare con qualsiasi mezzo che le proprie scritture non corrispondono a verità.
Più rigorose invece le condizioni per cui l’imprenditore possa usare le proprie scritture contabili
contro i terzi: a tal fine è necessario che ricorrano 3 condizioni. Si deve trattare di scritture
regolarmente tenute, è necessario che la controparte sia a sua volta un imprenditore e che la
controversia sia relativa a rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa.
Quando ai modi di acquisizione nel processo delle s.c., il giudice può chiedere solo l’esibizione di
singole scritture contabili, oppure di tutti i libi ma solo per estrarne le registrazioni concernenti la
controversia in esame. Tuttavia in 3 casi tassativi il giudice può ordinare la comunicazione ala
controparte di TUTTE le scritture contabili: controversie relative allo scioglimento della società, alla
comunione dei beni e alla successione per causa di morte.

C. LA RAPPRESENTANZA COMMERCIALE
Ausiliari dell’imprenditore commerciale e rappresentanza
Nello svolgimento della propria attività l’imprenditore può avvalersi e di regola si avvale della
collaborazione di altri soggetti.
Di soggetti stabilmente inseriti nella propria organizzazione aziendale per effetto di un rapporto di
lavoro subordinato che li lega all’imprenditore. (ausiliari interni o subordinati)
Di soggetti esterni all’organizzazione imprenditoriale che collaborano con l’imprenditore in modo
occasionale o stabile, sulla base di rapporti contrattuali di varia natura: mandato, commissione,
spedizione, agenzia, mediazione (ausiliari esterni o autonomi).
In entrambi i casi la collaborazione può riguardare anche la conclusione di affari con terzi in nome
e per conto dell’imprenditore: l’agire in rappresentanza dell’imprenditore.
Il fenomeno della rappresentanza è regolato in via generale dagli art 1387 e seguenti del cc, è però
regolato da norme speciali, per effetto del rinvio operato dall’art 1400 quando si tratti di atti
inerenti all’esercizio di impresa commerciale posti in essere da alcune figure tipiche di ausiliari
interni: institori, procuratori e commessi.
È regola generale che il conferimento ad altro soggetto dell’incarico di compiere uno o più atti
giuridici relativi alla propria sfera patrimoniale non abilita di per sé l’incaricato ad agire in nome
dell’interessato con conseguente imputazione diretta degli effetti degli atti posti in essere. A tal
fine è necessario l’espresso conferimento del potere di rappresentanza, con ulteriore e specifica
dichiarazione di volontà: la procura. Inoltre, il potere di rappresentanza sussiste nei limiti fissati
39
dalla procura e presuppone che questa sia conferita con le forme prescritte per il contratto che il
rappresentante deve concludere.
Il terzo che contratta con chi dichiara di agire in veste di rappresentante è tenuto perciò ad
accertare esistenza, contenuto e regolarità formale della procura, esigendo che il rappresentante
giustifichi i suoi poteri. Ciò in quanto è sul terzo contraente che ricade il rischio della mancanza o
del difetto di potere rappresentativo della controparte. Il contratto concluso dal falsus procurator
è infatti improduttivo di effetti ed il terzo, anche se in buona fede, non potrà vantare alcun diritto
nei confronti del preteso rappresentato. L’art 1398 gli riconosce solo la possibilità di chiedere al
falsus procurator il risarcimento del danno che ha sofferto “per aver confidato senza sua colpa
nella validità del contratto”.
Queste sono regole che certamente tutelano poco e male il terzo contraente e che ostacolano le
contrattazioni tramite rappresentante e lo sviluppo degli affari. Sono regole inoltre che trovano
applicazione anche quando si tratti di atti compiuti per un imprenditore commerciale da parte di
collaboratori esterni alla sua organizzazione, anche se stabili.
Queste regole cedono invece il passo ad altre quando si è in presenza di determinate figure tipiche
di ausiliari interni (institori, procuratori e commessi) che, per la posizione loro assegnata
nell’impresa, sono destinati ad entrare stabilmente in contatto con i terzi e a concludere affari per
l’imprenditore. Al riguardo vige un sistema speciale di rappresentanza, fissato dagli art 2203-2213
in cui i principi ispiratori possono essere così fissati.
Per la posizione rivestita nell’organizzazione aziendale, institori, procuratori e commessi sono
automaticamente investiti del potere di rappresentanza dell’imprenditore e di un potere di
rappresentanza ex lege commisurato al tipo di mansioni che la qualifica comporta. Il loro potere di
vincolare direttamente l’imprenditore non si fonda cioè sulla presenza e validità di una procura,
ma costituisce effetto naturale di quella determinata collocazione nell’impresa ad opera
dell’imprenditore. Questi potrà modificare il contenuto legale tipico del potere di rappresentanza
di tali ausiliari ma in tal caso sarà necessario uno specifico atto, opponibile ai terzi solo se portato a
loro conoscenza nelle forme stabilite dalla legge.
Sono questi principi comuni a tutte e tre le figure di ausiliari, che si differenziano però fra loro per
la diversa posizione funzionale dell’impresa e quindi per la diversa ampiezza del rispettivo potere
di rappresentanza. Sono principi che facilitano le contrattazioni di impresa in quanto
ridimensionano i pericoli cui è di regola esposto chi contratta con l’altrui rappresentante. Infatti,
chi conclude affari con uno di tali ausiliari dell’imprenditore commerciale dovrà solo verificare se
l’imprenditore ha modificato i loro naturali poteri rappresentativi. Non dovrà invece verificare se
la rappresentanza è stata loro conferita.
L’institore
È istitore colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa o di una sede secondaria o di
un ramo particolare della stessa. È il direttore generale dell’impresa o di una filiale o di un settore
produttivo.
L’institore è di regola un lavoratore subordinato con la qualifica di dirigente. Il dato fattuale che lo
identifica è comunque quello di essere al vertice della gerarchia del personale, in virtù di un atto di

40
preposizione dell’imprenditore. Vertice assoluto se l’institore è preposto all’intera impresa e in tal
caso dipenderà solo dall’imprenditore; solo da lui riceverà direttive e solo a lui dovrà render conto
del suo operato. Vertice relativo se è preposto ad una filiale o ad un ramo dell’impresa e in tal caso
potrà eventualmente trovarsi in una posizione subordinata anche rispetto all’altro institore.
È possibile anche che più institori siano preposti contemporaneamente all’esercizio dell’impresa e
in tal caso essi agiranno disgiuntamente se nella “procura” non è diversamente previsto.
Rilevante è che l’institore sia stato investito dall’imprenditore di un potere di gestione generale,
che abbracci tutte le operazioni della struttura alla quale è preposto. La delineata posizione
comporta innanzitutto che l’institore è tenuto, congiuntamente con l’imprenditore,
all’adempimento degli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture
contabili dell’impresa o della sede cui è preposto.
In caso di fallimento dell’imprenditore, troveranno applicazione anche nei confronti dell’institore
le sanzioni penali a carico del fallito, fermo restando che solo l’imprenditore potrà essere
dichiarato fallito e solo l’imprenditore sarà esposto agli effetti personali e patrimoniali del
fallimento.
Al generale potere di gestione il legislatore fa poi corrispondere un altrettanto ampio e generale
potere di rappresentanza, sia sostanziale sia processuale,
anche in mancanza di espressa procura, l’institore può compiere in nome dell’imprenditore “tutti
gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa” o della sede o del ramo cui è preposto. Questa formula
tuttavia può dar luogo a difficoltà applicative nel caso concreto: è controverso se la pertinenza di
un dato atto all’esercizio dell’impresa debba essere valutata con riferimento astratto alle imprese
di quel determinato tipo (es: imprese edili) o con riferimento alla specifica impresa cui l’institore è
preposto (es: quella determinata impresa edile).
La prima soluzione tutela maggiormente i terzi che entrano in contatto con l’institore, perciò va
preferita in quanto meglio risponde alla ratio della disciplina della rappresentanza commerciale.
È comunque certo che l’institore non è tenuto a compiere atti che esorbitano dall’esercizio
dell’impresa, quali per esempio la vendita o l’affitto dell’azienda, il cambiamento dell’oggetto
dell’attività.
Inoltre gli è espressamente vietato alienare o ipotecare beni immobili del preponente, se non è
stato a ciò specificamente autorizzato. Tale divieto tuttavia non opera quando oggetto
dell’impresa è proprio commercio di immobili poiché in tal caso si rientra negli atti pertinenti
all’esercizio dell’impresa.
Rappresentanza processuale l’institore può stare in giudizio sia come attore (r.p. attiva) sia come
convenuto (r.p. passiva) per le “obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio dell’impresa
a cui è preposto”. Perciò non solo per gli atti da lui compiuti ma anche per quelli posti in essere
direttamente dall’imprenditore.
I poteri rappresentativi dell’institore possono essere ampliati o limitati dall’imprenditore, sia
dall’atto della preposizione sia in un momento successivo. Le limitazioni però saranno opponibili ai

41
terzi solo se la procura originaria o il successivo atto limitativo siano stati pubblicati nel registro
delle imprese. Mancando tale pubblicità legale “la rappresentanza si reputa generale”.
Procura e pubblicità saranno necessarie solo se l’imprenditore vogli limitare i poteri
rappresentativi dell’institore fissati ex lege, altrimenti l’institore potrà ritenersi investito della
rappresentanza generale.
Principi analoghi valgono per la revoca della procura (revoca dell’atto di preposizione). La revoca è
opponibile a terzi solo se pubblicata o se l’imprenditore prova la loro effettiva conoscenza.
Infine, è principio generale che il rappresentante deve rendere paese al terzo con cui contratta tale
sua veste, affinchè l’atto compiuto e i relativi effetti ricadano direttamente sul rappresentato; e
deve renderla palese spendendo il nome del rappresentato. (art 1388) Il rappresentante che non
osservi tale regola obbliga solo sé stesso e il terzo non si può rivolgere al rappresentato. (principio
della contemplatio dominii).
Principio parzialmente diverso è invece dettato dall’art 2208 per la rappresentanza institoria:
l’institore è personalmente obbligato se omette di far conoscere al terzo che tratta per il
preponente. Personalmente obbligato è anche il preponente, quando gli atti compiuti dall’institore
siano pertinenti all’esercizio dell’impresa cui è preposto. Questa disposizione tutela il terzo
contraente, evitando che su di lui ricada il rischio di comportamenti dell’institore che possono
generare incertezze su chi sia il reale dominus dell’affare. Se l’atto è pertinente all’esercizio
dell’impresa nei confronti del terzo risponderanno solidalmente sia l’institore che il preponente.

I procuratori
I procuratori sono coloro che “in base ad un rapporto continuativo abbiano il potere di compiere
per l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur non essendo preposti ad esso”.
(art 2209).
Sono degli ausiliari subordinati di grado inferiore rispetto all’institore in quanto a differenza di
questo:
a. Non sono posti a capo dell’impresa o di un ramo o di una sede secondaria
b. Pur essendo degli ausiliari con funzioni direttive, il loro potere decisionale è circoscritto ad
un determinato settore operativo dell’impresa o ad una serie specifica di atti. Sono
procuratori ad esempio il direttore del settore acquisti, il dirigente del personale, il
direttore del settore pubblicità.
In mancanza di specifiche limitazioni iscritte nel registro delle imprese, i procuratori sono ex lege
investiti di un potere di rappresentanza generale dell’imprenditore; generale però rispetto alla
specie di operazioni per le quali essi sono stati investiti di autonomo potere decisionale.
Ad esempio, il dirigente del settore acquisti potrà compiere in nome dell’imprenditore tutti gli atti
che tipicamente rientrano in tale funzione, ma non ha né potere decisionale né potere di
rappresentanza per quanto riguarda il settore pubblicità o il settore del personale.
Il procuratore:

42
1. Non ha la rappresentanza processuale dell’imprenditore, neppure per gli atti da lui posti in
essere, se tale potere non gli è stato espressamente conferito
2. Non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle
scritture contabili. Inoltre non trova applicazione nei suoi confronti l’art 2208:
l’imprenditore non risponderà per tutti gli atti computi da un procuratore senza spendita
del nome dell’imprenditore stesso.
I commessi
I commessi sono ausiliari subordinati cui sono affidate mansioni esecutive e materiali, che li
pongono in contatto con i terzi. Ad esempio, commesso di negozio, impiegato di banca addetto
agli sportelli, cameriere di bar o ristorante.
Per questa loro posizione ai commessi è riconosciuto potere di rappresentanza dell’imprenditore
anche in mancanza di specifico atto di conferimento; potere però più limitato rispetto a quello
degli institori e dei procuratori. Il principio base (art 2210) è che essi possono compiere atti che
ordinariamente comporta la specie di operazioni di cui sono incaricati.
Salvo espressa autorizzazione i commessi:
a. Non possono esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, né
concedere dilazioni o sconti che non siano d’uso
b. Non hanno il potere di derogare alle condizioni generali di contratto predisposte
dall’imprenditore o alle clausole stampate nei moduli di impresa
c. Se preposti alla vendita nei locali dell’impresa, non possono esigere il prezzo fuori dei locali
stessi né possono esigerlo all’interno dell’impresa se alla riscossione è destinata apposita
cassa
A tutti i commessi è poi riconosciuta la legittimazione a ricevere per conto dell’imprenditore le
dichiarazioni che riguardano l’esecuzione dei contratti ed i reclami relativi alle inadempienze
contrattuali. È riconosciuta altresì la legittimazione a chiedere provvedimenti cautelari
nell’interesse dell’imprenditore.
L’imprenditore può ampliare o limitare tali poteri. Non è tuttavia previsto un sistema di pubblicità
legale; perciò le limitazioni saranno opponibili a terzi solo se portate a conoscenza di questi con
mezzi idonei o se si prova l’effettiva conoscenza.

CAPITOLO 5
L’AZIENDA
Nozione di azienda. Organizzazione ed avviamento.
“l’azienda è i complesso di beni organizzati dell’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.

43
L’azienda costituisce l’apparato strumentale di cui l’imprenditore si avvale per lo svolgimento e
nello svolgimento della propria attività.
Organizzazione: l’azienda è un insieme di beni eterogenei che subisce modificazioni qualitative e
quantitative anche radicali nel corso dell’attività. È però e rimane un complesso caratterizzato da
unità di tipo funzionale per l’unitaria destinazione ad uno specifico fine produttivo.
Organizzazione e destinazione ad un fine produttivo sono dati fattuali che attribuiscono ai beni
costituiti in azienda e all’azienda nel suo complesso specifico e particolare rilievo economico,
prima ancora che giuridico.
I beni organizzati ad azienda consentono la produzione di utilità nuove, diverse e maggiori di
quelle traibili dai singoli beni isolatamente considerati. Il valore dinamico dell’azienda acquista
rilievo per quanto con lo stesso entrano in contatto concedendogli credito.
D’altro canto il rapporto di strumentalità e complementarietà fra i singoli elementi costitutivi
dell’azienda fa sì che il complesso unitario acquisti di regola un valore di scambio maggiore della
somma dei valori dei singoli beni. Tale maggiore valore si definisce avviamento.
L’avviamento di un’azienda è in sostanza rappresentato dalla sua attitudine a consentire la
realizzazione di un profitto e può dipendere sia da fattori oggettivi sia da fattori soggettivi.
- Avviamento oggettivo: quello ricollegabile a fattori suscettibili di permanere anche se muta
il titolare dell’azienda, in quanto insiti nel coordinamento funzionale esistente tra i diversi
beni
- Avviamento soggettivo: quello dovuto all’abilità operativa dell’imprenditore ad operare sul
mercato, ed in particolare la sua abilità nel formarsi, conservare ed accrescere la clientela
L’unità economica dell’azienda e gli interessi al mantenimento di tale unità trovano significativo
riconoscimento nella disciplina dettata dal cc per il trasferimento di azienda dettata dagli art 2556-
2562.
Il trasferimento a titolo definitivo o temporaneo dell’azienda è sottoposto ad un regime normativo
che sotto più profili deroga alla disciplina di diritto comune delle corrispondenti vicende
circolatorie aventi ad oggetto singoli beni o complessi di beni non finalizzati allo svolgimento di
attività di impresa.
Il passaggio dell’azienda da un soggetto ad un altro comporta peculiari effetti ex lege, ispirati dalla
finalità di favorire la conservazione dell’unità economica e del valore di avviamento dell’azienda, a
tutela di quanti su tale unità e su tale valore hanno fatto specifico affidamento. È tutelato anche
l’interesse generale alla circolazione dell’azienda come complesso unitario e quindi al
mantenimento dell’efficienza e funzionalità dei complessi produttivi.

Gli elementi costitutivi dell’azienda


Elementi costitutivi dell’azienda sono tutti i beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa. Per qualificare un dato bene come aziendale è rilevante perciò solo la destinazione
funzionale impressagli dall’imprenditore. Irrilevante è invece il titolo giuridico che legittima

44
l’imprenditore a usare un dato bene nel processo produttivo. Non possono essere considerati beni
aziendali i beni di proprietà dell’imprenditore che non siano da questi effettivamente destinati allo
svolgimento dell’attività di impresa.
Viceversa, la qualifica di bene aziendale compete anche ai beni di proprietà di terzi di cui
l’imprenditore può disporre in base ad un valido titolo giuridico, purchè attualmente impiegati
nell’attività di impresa.
Art 2555: significato di beni è al riguardo largamente diffusa la tendenza ad ampliare la nozione
di bene aziendale e a ricomprendere tra gli elementi costitutivi dell’azienda ogni elemento
patrimoniale facente capo all’imprenditore nell’esercizio della propria attività e più in generale
tutto ciò che può costituire oggetto di tutela giuridica. Si afferma perciò che l’azienda è
organizzazione non solo di beni ma anche di servizi; che della stessa fanno parte integrante i
rapporti di lavoro col personale, nonché tutti i rapporti contrattuali stipulati per l’esercizio
dell’impresa, anche se aventi ad oggetto beni non attualmente impiegati nell’azienda. Ed elementi
costitutivi dell’azienda sono considerati anche i crediti verso la clientela, i debiti verso i fornitori e
lo stesso avviamento che non è né un bene né un diritto ma una semplice qualità dell’azienda.
Questa concezione onnicomprensiva non è però condivisibile: più corretta è l’opinione che
considera elementi costitutivi dell’azienda solo le cose in senso proprio di cui l’imprenditore
attualmente si avvale per l’esercizio dell’impresa.
Beni infatti sono le “cose che possono formare oggetto di diritti” (art 810).
Trasferimento dell’azienda: comporta ex lege il subingresso del cessionario nei contratti stipulati
per l’esercizio dell’impresa, si tratta tuttavia di effetti solo naturali del trasferimento, potendo le
parti escludere la successione. È convincente l’osservazione che non possono essere considerati
elementi essenziali dell’azienda quelli che le parti possono eliminare, senza compromettere la
qualificazione come azienda del residuo.
Crediti e debiti aziendali: vengono trasferiti in testa al cessionario? Manca un appiglio testuale che
possa far considerare i crediti e i debiti come elementi costitutivi dell’azienda.
In definitivo l’azienda è un complesso di soli beni (cose) e non è concepibile come un complesso di
beni e rapporti giuridici.
L’azienda fra concezione atomistica e concezione unitaria. Azienda e universalità di beni
Teorie unitarie: considerano l’azienda come un bene unico, un bene nuovo e distinto rispetto ai
singoli beni che la compongono. Un bene nuovo e distinto rispetto ai singoli beni che la
compongono. Così si è affermato che l’azienda è un bene immateriale, rappresentato
dall’organizzazione stessa. E sempre nella stessa prospettiva l’azienda è stata qualificata come
universalità di beni.
Si ritiene perciò che il titolare dell’azienda abbia sulla stessa un vero e proprio diritti di proprietà
unitario, destinato a coesistere con i diritti che vanta sui singoli beni. Potrebbe perciò tutelare il
suo diritto sul complesso aziendale con gli strumenti che l’ordinamento concede al titolare del
diritto di proprietà, anche se tale diritto non vanta su taluni dei beni aziendali.

45
Teoria atomistica: concepisce l’azienda come una semplice pluralità di beni tra loro
funzionalmente collegati e sui quai l’imprenditore può vantare diritti diversi. Si esclude perciò che
esista un bene azienda formante oggetto di autonomo diritto di proprietà o di altro diritto reale
unitario e quindi si attribuisce significato atecnico alle norme che parlano di proprietà o
proprietario dell’azienda e di usufrutto della stessa.
Tuttavia, la possibilità di concepire l’azienda come un nuovo bene sotto ogni profilo e a tutti gli
effetti, quindi come nuovo bene nel significato proprio e pieno del termine, trova significativo e
decisivo ostacolo nei dati normativi. Da questi emerge con chiarezza che l’unificazione giuridica dei
beni aziendali è solo relativa e funzionale, dato che per il trasferimento del complesso aziendale
dovranno essere necessariamente osservate le forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei
singoli beni che compongono l’azienda.
Quindi, la concezione atomistica si lascia preferire come opzione di base. Tuttavia, l’azienda
rimane la stesa nonostante il mutare dei suoi elementi costitutivi, in quanto l’unità funzionale
dell’azienda trova ampio riconoscimento nella relativa disciplina.
Ne consegue che la salvaguardia dell’unità funzionale dell’azienda debba ungere da criterio
interpretativo della relativa disciplina nei punti in cui essa non risulti chiara e debba ispirare la
soluzione dei problemi pratici della stessa lasciati aperti.
L’azienda è espressamente equiparata all’universalità di beni dell’art 670cpc che prevede il
sequestro giudiziario di aziende o altre universalità di beni. È altrettanto vero però che il
considerare l’azienda come una universalità di beni non offre argomenti per concepire la stessa
come un bene nuovo ed unitario: infatti, oltre all’art 670 non esiste alcuna altra norma che
disciplini direttamente le universalità di beni.
Norme specifiche sono dettate per le universalità di mobili definite dall’art 816 cc come “la
pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria”. Questi
aggregati di cose mobili sono sottoposti ad un regime normativo parzialmente coincidente con
quello previsto per i beni immobili ma non totalmente coincidente. Le universalità di mobili infatti
possono costituire oggetto di pegno.
La disciplina applicata per le universalità di mobili è applicabile anche all’azienda?
L’applicabilità diretta ed integrale è certamente da escludere, in quanto l’azienda può
comprendere anche beni (mobili e immobili) che non sono di proprietà dell’imprenditore. Questi
problemi non si superano nemmeno qualificando l’azienda come universalità mista, dato che la
disciplina delle universalità mobiliari non è applicabile direttamente ad altre forme di universalità.
Le indubbie diversità strutturali tra azienda e universalità di mobili tuttavia non implicano che
debba ritenersi senz’altro preclusa anche l’applicazione per analogia (parziale). Il comune profilo
strutturale unitario legittima il riferimento alle norme dettate in tema di universalità di mobili per
la soluzione di problemi pratici lasciati insoluti dalla disciplina dell’azienda.
Così può ammettersi che:
a. L’insieme dei beni mobili aziendali di proprietà dell’imprenditore sia sottratto
all’applicazione della regola “possesso di buona fede vale titolo”

46
b. Il complesso mobiliare aziendale può essere acquistato per usucapione solo in virtù del
possesso continuato per 20 anni (in luogo del termine decennale per i singoli beni mobili)
c. Il titolare di un’azienda può avvalersi dell’azione di manutenzione anche per tutelare il
possesso dell’insieme dei beni mobili aziendali

La circolazione dell’azienda. Oggetto e forma dei negozi traslativi.


L’azienda può formare oggetto di atti di disposizione di diversa natura. Può essere venduta,
conferita in società, donata e sulla stessa possono essere costituiti diritti reali (usufrutto) o
personali (affitto) di godimento a favore di terzi.
Problema: stabilire in concreto se un determinato atto di disposizione dell’imprenditore sia da
qualificare come trasferimento di azienda o come trasferimento di singoli beni aziendali. È
principio consolidato che la qualificazione di una data vicenda circolatoria come trasferimento di
azienda o trasferimento di singoli beni aziendali deve essere operata secondo criteri oggettivi:
guardando cioè al risultato realmente perseguito e realizzato e non al nomen dato al contratto
dalle parti o alla loro intenzione soggettiva. Ciò perché il trasferimento di azienda produce effetti
che incidono anche sui terzi.
Inoltre, per aversi trasferimento di azienda non è necessario che l’atto di disposizione comprenda
l’intero complesso aziendale; nell’ambito del trasferimento di azienda si rimane anche quando
l’imprenditore trasferisca un ramo particolare della sua azienda, purchè dotato di organicità
operativa.
Necessario, ma al tempo stesso sufficiente è che sia trasferito un insieme di beni per sé
potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attività di impresa
(ma non necessariamente la stessa svolta dal trasferente) e ciò quandanche il nuovo titolare
debba integrare il complesso con ulteriori fattori produttivi per farlo funzionare. È però necessario
che i beni esclusi dal trasferimento non alterino l’unità economica e funzionale di quella data
azienda, come x es si verificherebbe se si escludesse dal trasferimento il brevetto industriale su cui
si onda l’attività di impresa.
Accertato con criteri oggettivi che si è in presenza di un trasferimento di azienda, l’atto di
disposizione comprenderà tutti i beni presenti in quel dato momento nell’azienda, anche se non
specificamente menzionati nel contratto. Il collegamento funzionale tra i beni aziendali legittima
tale interpretazione della volontà sinteticamente espressa dalle parti.
Le forme da osservare nel trasferimento di azienda sono fissate dall’art 2556: al riguardo è da
operare una netta distinzione tra forma necessaria per la validità del trasferimento e forma
richiesta a fini probatori per l’opponibilità a terzi.
In merito al primo punto è dettata una disciplina identica per ogni tipo di azienda. I contratti sono
validi solo se stipulati con l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei
singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto.
il trasferimento di beni quindi segue il regime generale, non c’è un’unitaria legge di circolazione
dell’azienda. La forma scritta è necessaria pena di nullità. Dovranno essere altresì rispettate le

47
regole di forma previste per il particolare tipo di negozio traslativo posto in essere. (es:
conferimento dell’azienda in una società di capitali dovrà sempre avvenire per atto pubblico).
Solo per le “imprese soggette a registrazione” (non per le piccole imprese e per le imprese agricole
individuali o costituite in forma di società semplice) poi è previsto che ogni atto di disposizione
dell’azienda dev’essere provato per iscritto. La scrittura è chiaramente richiesta solo ad
probationem e la sua mancanza comporterà solo che in una eventuale controversia giudiziaria le
parti non potranno avvalersi della prova per testimoni per dimostrare l’esistenza del contratto.
Sempre per le “imprese soggette a registrazione”, il secondo comma dell’art 2256 stabilisce che i
relativi contratti sono soggetti ad iscrizione nel registro delle imprese e a tal fine il contratto di
trasferimento deve essere sempre redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve
essere depositato a cura del notaio per l’iscrizione nel termine di 30 giorni.
La disposizione persegue anche finalità di ordine pubblico (prevenire e reprimere operazioni di
riciclaggio di denaro da parte della criminalità organizzata).
Solo l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro, se dovuta, produce la funzione dichiarativa
(opponibilità del trasferimento) nei confronti dei terzi a suo tempo esposta.
La vendita dell’azienda. Il divieto di concorrenza dell’alienante.
Oltre gli effetti dedotti in contratto, l’alienazione dell’azienda produce ex lege effetti ulteriori che
riguardano il divieto di concorrenza dell’alienante, i contratti, i crediti e i debiti aziendali.
Chi aliena un’azienda commerciale deve astenersi per un periodo massimo di 5 anni dal
trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che possa “per l’oggetto, l’ubicazione o altre
circostanze”, sviare la clientela dell’azienda ceduta. Se l’azienda è agricola, il divieto opera solo per
le attività ad essa connesse e sempre che rispetto a tali attività sia possibile sviamento della
clientela.
Le due opposte esigenze che ottempera la norma sono:
- Quella dell’acquirente dell’azienda di trattenere la clientela dell’impresa e quindi di godere
dell’avviamento, del quale di regola si è tenuto conto nella pattuizione del prezzo di
vendita
- Quella dell’alienante a non vedere compromessa la propria libertà di iniziativa economica
oltre un determinato arco di tempo sufficiente per consentire all’acquirente di consolidare
la propria clientela.
Il divieto di concorrenza è derogabile ed ha carattere relativo: sussiste nei limiti in cui la nuova
attività di impresa dell’alienante sia potenzialmente idonea a sottrarre clientela all’azienda ceduta.
Le parti possono anche ampliare la portata dell’obbligo di astensione, purchè non sia impedita
ogni attività professionale all’alienante. È in ogni caso vietato prolungare oltre i 5 anni.
Il divieto è da ritenersi applicabile anche quando la vendita è coattiva quindi non volontaria: il
divieto graverà in testa all’imprenditore fallito nel caso di vendita in blocco dell’azienda da parte di
organi fallimentari, dato che la vendita ha pur sempre per oggetto l’azienda del fallito e non
possono che ricadere sullo stesso tutti gli effetti ex lege collegati alla vendita.

48
Maggiori incertezze sono legate a tali ipotesi non regolate:
1. Divisione ereditaria con assegnazione dell’azienda caduta in successione ad uno degli eredi
2. Scioglimento di una società con assegnazione dell’azienda sociale ad uno dei soci quale
quota di liquidazione
3. Vendita dell’intera partecipazione sociale o di una partecipazione sociale di controllo in una
società di persone o di capitali.
Nei primi due casi non si può affermare che vi è stato trasferimento di azienda da un erede
all’altro o da un socio all’altro, sicchè sembrerebbe da escludersi che gli altri eredi o soci siano
tenuti a rispettare il divieto di concorrenza. Nel terzo caso poi un negozio traslativo c’è, ma ha per
oggetto le quote o le azioni della società e non l’azienda, che formalmente rimane della società.
Non ricorre quindi il presupposto per l’applicazione dell’art 2557.
È indubbio però che in sede di divisione ereditaria o nello stabilimento di quote di liquidazione
spettante a ciascun socio si tiene di regola conto anche del valore di avviamento dovuto alla
clientela. Non è perciò senza fondamento applicare il divieto di concorrenza a favore dell’erede o
del socio che subentra nell’azienda ed a carico degli altri eredi o degli altri soci.
La vendita dell’intero pacchetto azionario o di una partecipazione di controllo permettono di
raggiungere un risultato economico sostanzialmente coincidente con la vendita dell’azienda,
anche se formalmente non vi è stato alcun trasferimento dell’azienda stessa. Perciò vi è chi
considera non decisiva la diversità formale dei negozi e assoggetta al divieto di concorrenza il socio
alienante, purchè ricorra la specifica attitudine dell’alienante a sviare la clientela per la posizione
rivestita nell’impresa sociale.
Il divieto di concorrenza ha per oggetto l’inizio di una nuova impresa concorrente. Esso però non è
sempre e puntualmente rispettato dall’alienante e sono frequenti i tentativi di eludere il divieto,
ad esempio: si vende l’azienda e si inizia attività concorrente avvalendosi di un prestanome o
costituendo una società di comodo. In questi casi ci troviamo di fronte ad un inizio di nuova
azienda? Il dettato legislativo induce a propendere per un’interpretazione estensiva della formula.
Il divieto dovrà ritenersi violato ogni qualvolta si sia avuto sviamento di clientela dall’azienda
ceduta, per fatto concorrenziale direttamente o indirettamente imputabile all’alienante.
La successione dei contratti aziendali
La disciplina del trasferimento di azienda si preoccupa di favorire il mantenimento dell’unità
economica della stessa. A tal fine è agevolato il subingresso dell’acquirente nella trama dei
rapporti contrattuali in corso di esecuzione che l’alienante ha stipulato con fornitori, finanziatori,
lavoratori e clienti, per assicurarsi i fattori produttivi necessari all’organizzazione dell’impresa e
allo svolgimento dei cicli produttivi, nonché per dare sbocco ai suoi prodotti.
Il legislatore muove dalla premessa che l’acquirente dell’azienda ha interesse a subentrare in tali
contratti e tale interesse tutela introducendo significative deroghe alla disciplina generale della
cessione dei contratti.
È infatti previsto che “se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei
contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale”. Al terzo

49
contraente è riconosciuto il diritto di recedere dal contratto “entro 3 mesi dalla notizia del
trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante.”
Il subingresso dell’acquirente nei contratti in corso di esecuzione e in tutti i contratti inerenti
all’organizzazione e all’esercizio dell’impresa non aventi carattere personale, prescinde perciò da
un’esplicita manifestazione di volontà in tal senso nell’atto di alienazione dell’azienda. Un’espressa
pattuizione fra alienante ed acquirente è necessaria solo se si vuole escludere la successione in
uno o più contratti in corso di esecuzione.
La deroga ai principi di diritto comune è ancora più vistosa per quanto concerne la posizione del
terzo contraente. Per diritto comune la cessione del contratto non può avvenire senza il consenso
del contraente ceduto. La situazione invece muta radicalmente quando il contratto è stipulato con
un imprenditore ed ha per oggetto prestazioni inerenti all’esercizio dell’impresa. Il consenso del
terzo contraente non è più necessario per il trasferimento del contratto e l’effetto successorio si
produce dal momento stesso in cui diventa efficace il trasferimento dell’azienda.
Il terzo contraente non resta senza tutela, ma la protezione legislativamente offertagli è molto
limitata. È vero che si può recedere dal contratto, ma con effetto ex tunc dal vincolo contrattuale
con l’acquirente. Perciò il recesso potrà essere validamente esercitato solo se sussiste una giusta
causa e spetterà quindi al terzo contraente provare che l’acquirente dell’azienda si trova in una
situazione oggettiva (personale, patrimoniale o aziendale) tale da non dare affidamento sulla
regolare esecuzione del contratto.
Inoltre, il recesso non determina il ritorno del contratto in testa all’alienante, bensì la definitiva
estinzione dello stesso. Resta al terzo contraente solo la possibilità di chiedere il risarcimento dei
danni dando la prova che questi non ha osservato la normale cautela nella scelta dell’acquirente
dell’azienda.
È evidente il favor legislativo per il mantenimento dell’unità funzionale dell’azienda.
La disciplina fin qui esposta non trova applicazione per i contratti stipulati per l’esercizio
dell’impresa che abbiano carattere personale: per il trasferimento di tali contratti saranno
necessari sia un’espressa pattuizione contrattuale tra alienante ed acquirente dell’azienda, sia il
consenso del contraente ceduto. (disciplina comune della cessione del contratto)
Stabilire tuttavia quali siano i contratti che rientrano in tale categoria non è semplice; è tuttavia
opinione prevalente che i contratti personali siano quei contratti nei quali l’identità e le qualità
personali dell’imprenditore alienante sono state in concreto determinanti nel consenso del terzo
contraente.
I crediti e i debiti aziendali
La disciplina esposta nel paragrafo precedente si applica ai contratti a prestazioni corrispettive non
integralmente eseguiti da entrambe le parti al momento del trasferimento dell’azienda.
Se invece l’imprenditore ha già adempiuto le obbligazioni a suo carico, residuerà un credito a suo
favore nei confronti del terzo. Viceversa, residuerà un debito dell’imprenditore qualora il terzo
contraente abbia integralmente eseguito le proprie prestazioni.

50
Le disposizioni normative in questi casi (art 2559,2560) introducono deroghe ai principi di diritto
comune in tema di cessione di crediti e di successione nei debiti.
Limitata è la deroga introdotta per i crediti aziendali dall’art 2559: alla disciplina di diritto comune
è sostituta una sorta di notifica collettiva: l’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel registro
delle imprese. Da tale momento la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta ha effetto nei
confronti dei terzi anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione. Tuttavia, “il
debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante”.
Questa disciplina è limitata alle imprese soggette a registrazione nella sezione ordinaria, mentre
negli alti casi trova applicazione la disciplina generale della cessione dei crediti.
Più vistosa è la deviazione dei principi di diritto comune per quanto riguarda i debiti inerenti
all’azienda ceduta sorti prima del trasferimento. È mantenuto fermo il principio generale per cui
non è ammesso il mutamento del debitore senza il consenso del creditore. L’alienante infatti non è
liberato da tali debiti se non risulta che i creditori vi hanno consentito.
È invece derogato per le sole aziende commerciali l’altro ed altrettanto generale principio secondo
cui ciascuno risponde solo delle obbligazioni da lui assunte. È infatti previsto che “nel
trasferimento di un’azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente
dell’azienda se essi risultano dai libri contabili obbligatori”. Perciò, anche se manca un patto di
accollo, l’acquirente di un’azienda commerciale risponde in solido con l’alienante nei confronti dei
creditori che non abbiano consentito alla liberazione di quest’ultimo.
La responsabilità ex lege dell’acquirente però sussiste solo per i debiti aziendali che risultano dai
libri contabili obbligatori.
Le disposizioni degli art 2559-2560 nulla dispongono circa la sorte di tali crediti e tali debiti nel
rapporto tra alienante e acquirente. La questione è tuttora controversa ed è destinata a rimanere
aperta perché i dati normativi non offrono alcun argomento decisivo. Solo per l’usufrutto di
azienda è espressamente previsto che è necessario un patto espresso affinchè esso di estenda ai
crediti.
Prevale comunque negli orientamenti più recenti la tesi che crediti e debiti non passino
automaticamente in testa all’acquirente ma sia a tal fine necessaria un’espressa pattuizione. In
mancanza l’acquirente riceverà il pagamento dei crediti anteriori come semplice legittimato a
riscuotere per conto dell’alienante e sarà tenuto a trasferirgli quanto riscosso; nonché pagherà i
debiti anteriori al trasferimento di azienda quale garante ex lege dell’alienante e avrà diritto di
rivalsa per l’intero nei confronti di questo.
Usufrutto e affitto dell’azienda
L’azienda può formare oggetto di un diritto reale o personale di godimento. Può essere costituita
in usufrutto o può essere concessa in affitto.
La costituzione in usufrutto di un complesso di beni destinati allo svolgimento di attività di impresa
modifica la disciplina generale dell’usufrutto: comporta infatti il riconoscimento in testa
all’usufruttuario di particolari poteri-doveri fissati dall’art 2561. Ciò sia per consentire
all’usufruttuario la libertà operativa necessaria per gestire proficuamente l’impresa, sia per

51
tutelare l’interesse del concedente che non sia menomata l’efficienza del complesso aziendale,
che dovrà a lui tornare alla fine del rapporto.
L’usufruttuario perciò deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue, lo stesso
deve condurre l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservarne l’efficienza
dell’organizzazione e degli impianti. La violazione di tali obblighi o la cessazione arbitraria della
gestione dell’azienda determinano la cessazione dell’usufrutto per abuso dell’usufruttuario.
Il potere-dovere di gestione dell’usufruttuario comporta che lo stesso non solo può godere di beni
aziendali, ma ha anche il potere di disporne nei limiti segnati dalle esigenze della gestione. Tale
potere di disposizione sussiste non solo rispetto alle scorte/capitale circolante, ma anche rispetto
al capitale fisso (immobili, impianti, macchinari) purchè tali atti di disposizione non alterino
l’identità e l’efficienza dell’azienda. Allo stesso modo l’usufruttuario potrà acquistare ed immettere
nell’azienda nuovi beni che diventano di proprietà del nudo proprietario, sui quali l’usufruttuario
avrà diritto di godimento e potere di piena disposizione.
Al termine dell’usufrutto l’azienda sarà comporta in tutto o in parte da beni diversi da quelli
originari. È perciò previsto che venga redatto un inventario all’inizio e alla fine dell’usufrutto e che
la differenza tra le due consistenze sia regolata in denaro.
La disciplina prevista per l’usufrutto si applica anche all’affitto di azienda (art 2562). L’affitto di
azienda è contratto diverso dalla locazione di un immobile destinato all’esercizio di attività di
impresa: nel primo caso oggetto del contratto è un insieme di beni organizzati, nel secondo caso il
contratto ha per oggetto il locale in quanto tale. In pratica tuttavia non è sempre facile qualificare
il contratto in un senso o nell’altro.
Usufrutto e affitto di azienda sono poi parzialmente regolati dalle norme precedentemente
esaminate in tema di vendita. Si applicano ad entrambe le fattispecie degli art 2557 e 2558 (divieto
di concorrenza e successione nei contratti aziendali). Il nudo proprietario e il locatore sono perciò
tenuti a non iniziare una nuova impresa idonea a sviare la clientela per la durata dell’usufrutto e
dell’affitto. Inoltre, l’usufruttuario e l’affittuario subentrano automaticamente nei contratti
aziendali per la durata dell’usufrutto o dell’affitto; i contratti originari ancora in corso al termine
del rapporto torneranno di nuovo automaticamente in testa al proprietario o locatore.
La disciplina dei crediti aziendali si applica solo all’usufrutto, non all’affitto.
Non si applica ad alcune delle due fattispecie l’art 2560: dei debiti aziendali anteriori alla
costituzione di usufrutto o affitto risponderanno esclusivamente il nudo proprietario o il locatore.

CAPITOLO 9
I CONSORZI TRA IMPRENDITORI
52
Nozione e tipologia
Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la
disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese. (art 2602).
Questa definizione comporta che il consorzio è oggi schema associativo tra imprenditori idoneo a
ricomprendere due fenomeni distinti della realtà.
Un consorzio può essere costituito al fine prevalente esclusivo o di disciplinare, limitandola, la
reciproca concorrenza sul mercato tra imprenditori che svolgono la stessa attività o attività similari
(consorzio con funzione anticoncorrenziale). In tal caso il contratto di consorzio si presenta come
una delle possibili manifestazioni dei patti limitativi della concorrenza previsti e regolati dall’art
2596. Esempio classico di consorzio anticoncorrenziale è quello costituito per il contingentamento
della produzione o degli scambi tra imprenditori concorrenti.
Più imprenditori possono però dar vita ad un consorzio anche per conseguire un fine parzialmente
o totalmente diverso: “per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese.” In tal caso
il consorzio rappresenta anche uno strumento di cooperazione interaziendale finalizzato alla
riduzione dei costi di gestione delle singole imprese consorziate (consorzio con funzione di
coordinamento). Ad esempio più imprenditori si consorziano per acquistare in comune
determinate materie prime necessarie alle rispettive imprese o creano un ufficio vendite in
comune dei propri prodotti.
A queste forme di cooperazione reciproca ricorrono in modo particolare imprese di piccole e
medie dimensioni, per raggiungere e recuperare competitività sul mercato attraverso la riduzione
delle spese generali di esercizio.
Consorzi anticoncorrenziali e consorzi di cooperazione interaziendale si prestano a valutazioni
politiche diverse e sollevano problemi legislativi quando si consideri il regime pubblicistico della
loro incidenza sulla struttura concorrenziale del mercato.
I consorzi anticoncorrenziali sollecitano controlli volti ad impedire che si instaurino situazioni di
monopolio contrastanti con l’interesse generale. Questa esigenza oggi è soddisfatta dalla disciplina
antimonopolistica in tema di intese.
I consorzi di cooperazione rispondono all’esigenza di conservare ed accrescere la competitività tra
imprese e, in quanto favoriscono la sopravvivenza di piccole e medie imprese, concorrono a
preservare la struttura concorrenziale del mercato. I consorzi che perseguono tale finalità sono
quindi guidati con favore dal legislatore che ne agevola la costituzione e il funzionamento.
Sul piano della disciplina di diritto privato, consorzi anticoncorrenziali e consorzi di cooperazione
aziendale sono regolati in modo tendenzialmente uniforme; diversa però è la rilevanza sul piano
civilistico. La distinzione tra consorzi con sola attività interna e consorzi destinati a svolgere anche
attività esterna assume rilevanza: in entrambi si dà luogo alla creazione di un’organizzazione
comune; ma nei consorzi con sola attività interna il compito di tale organizzazione si esaurisce nel
regolare i rapporti reciproci tra consorziati e il rispetto di quanto convenuto. Il consorzio quindi
non entra in contatto con terzi.

53
Nei consorzi con attività esterna invece le parti prevedono l’istituzione di un ufficio comune,
destinato a svolgere attività con i terzi nell’interesse delle imprese consorziate. Questa è la
struttura più diffusa dei consorzi di cooperazione aziendale. A questo proposito il codice detta
disposizioni relative ai soli consorzi con attività esterna che regolano i rapporti tra il consorzio e i
terzi.
Il contratto di consorzio
Il contratto di consorzio può essere stipulato solo tra imprenditori, non sono richiesti ulteriori
requisiti soggettivi e perciò al consorzio potrà partecipare qualsiasi imprenditore.
Il contratto di consorzio è un contratto formale che dev’essere stipulato per iscritto a pena di
nullità. Il contratto deve inoltre contenere una serie di indicazioni specificate dal secondo comma
dell’art 2603. È essenziale in particolare la determinazione dell’oggetto del consorzio, degli
obblighi assunti dai consorziati e degli eventuali contributi in denaro da essi dovuti per il
funzionamento del consorzio. Se si tratta di consorzio di contingentamento il contratto deve anche
stabilire le quote dei singoli consorziati o i criteri per la loro determinazione.
Il contratto di consorzio è per sua natura un contratto di durata, che può essere liberamente
fissata dalle parti ma una previsione contrattuale al riguardo non è necessaria. Nel silenzio il
contratto è valido per 10 anni. (è una scelta legislativa opposta a quella enunciata dal testo
originario dell’art 2604 che fissava 10 anni come limite massimo di durata del consorzio). Inoltre è
una deroga all’art 2596 che fissa in 5 anni la durata massima dei patti limitativi della concorrenza.
Il contratto di consorzio è un contratto tendenzialmente aperto, perciò è possibile la
partecipazione di nuovi imprenditori senza che sia necessario il consenso di tutti gli attuali
consorziati. Le condizioni di ammissione dei nuovi consorziati devono però essere predeterminate
nel contratto.
Se il contratto nulla prevede a riguardo è da ritenersi che il consorzio abbia struttura chiusa. Nuovi
imprenditori potranno aderire solo con il consenso di tutti i consorziati.
L’art 2610 che prevede il caso di trasferimento dell’azienda di uno dei consorziati dispone che, il
trasferimento a qualsiasi titolo dell’azienda comporta l’automatico subingresso dell’acquirente nel
contratto di consorzio. Tuttavia se sussiste una giusta causa e solo se il trasferimento dell’azienda
è avvenuto per atto tra vivi, gli altri consorziati potranno deliberare l’esclusione dell’acquirente dal
consorzio entro un mese dalla notizia dell’avvenuto trasferimento.
Il contratto di consorzio può sciogliersi limitatamente ad un consorziato, per volontà di questo
(recesso) o per decisione degli altri consorziati (esclusione). Le cause di recesso ed esclusione
devono essere indicate nel contratto e causa tipica di esclusione può essere l’inadempimento degli
obblighi consortili.
Se nulla è pattuito a riguardo, opererà pur sempre la clausola di esclusione prevista dall’art 2610 a
carico dell’acquirente dell’azienda di un consorziato. Inoltre l’esclusione potrà essere sempre
deliberata in caso di gravi inadempienze. Il rapporto individuale inoltre può essere interrotto
quando un consorziato cessa di essere imprenditore.

54
Al consorziato receduto o escluso competerà la liquidazione della sua quota di partecipazione al
fondo patrimoniale consortile.
Dalle cause di recesso ed esclusione vanno tenute distinte le cause di scioglimento dell’intero
contratto di consorzio. Esse sono elencate dall’art 2611 che consente lo scioglimento con delibera
maggioritaria dei consorziati quando sussiste una giusta causa. In mancanza, lo scioglimento
anticipato dovrà essere deciso all’unanimità.
I consorzi con attività interna. L’organizzazione consortile.
Carattere strutturale essenziale dei consorzi è la creazione di un’organizzazione comune cui è
demandato il compito di attuare il contratto assumendo e portando ad esecuzione le decisioni a
tal fine necessarie. Organizzazione che può avere rilievo solo interno o anche nei confronti dei
terzi, ma che in ogni caso non può mancare.
La disciplina legislativa in materia è largamente lacunosa essendo prevalsa l’idea di lasciare ampia
libertà all’autonomia contrattuale dei consorziati. Dai dati normativi emerge comunque che la
struttura organizzativa di ogni consorzio si fonda di regola sulla presenza di un organo con funzioni
deliberative composto da tutti i consorziati (assemblea) e da un organo con funzioni gestorie ed
esecutive (organo direttivo).
Estremamente sintetica è la disciplina dell’assemblea. Si prevede al riguardo che le delibere
relative all’attuazione dell’oggetto del consorzio sono prese con voto favorevole dalla
maggioranza dei consorziati. È invece richiesto il consenso di tutti i consorziati per le modificazioni
del contratto. Entrambe le regole hanno carattere dispositivo perché è fatta salva la possibilità
delle parti di disporre diversamente per contratto.
Per le delibere adottate a maggioranza è poi previsto che esse possono essere impugnate entro 30
giorni davanti all’autorità giudiziaria dai consorziati se non prese in conformità della legge o del
contratto.
Nulla invece è disposto circa le regole procedurali da osservare nelle deliberazioni. È tuttavia
ragionevole pensare che almeno le deliberazioni a maggioranza debbano essere adottate
rispettando le cadenze che reggono il funzionamento di ogni organo collegiale: preventiva
convocazione, riunione, discussione, votazione. Ciò anche in assenza di specifiche previsioni
contrattuali.
Ancora più ampio è lo spazio dedicato all’organo direttivo, almeno nei consorzi destinati a non
svolgere attività esterna, nei quali la funzione tipica di tale organo è quella di controllare l’attività
dei consorziati al fine di accertare l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte.
Articolazione dell’organo direttivo, attribuzioni ulteriori oltre quella di controllo, modalità di
nomina, di revoca ed esercizio delle funzioni sono rimesse all’autonomia contrattuale. È
comunque disposto che la responsabilità verso i consorziati degli organi preposti al consorzio è
regolata dalle norme sul mandato.
I consorzi con attività esterna
Una specifica disciplina è prevista per i consorzi destinati a svolgere attività con i terzi attraverso
un ufficio a tal fine istituito. Disciplina che trova fondamento sia nell’esigenza di regolare i rapporti
55
patrimoniali consorzio-terzi, sia nel carattere tipicamente imprenditoriale dell’attività di tali
consorzi. I consorzi costituiscono una delle possibili forme organizzative per l’esercizio collettivo di
attività di impresa.
Per essi è innanzitutto previsto un regime di pubblicità legale destinato a portare a conoscenza dei
terzi i dati essenziali della struttura consortile. Un estratto del contratto di consorzio, contenente
le indicazioni specificate dall’art 2612, deve essere depositato per l’iscrizione presso l’ufficio del
registro delle imprese, entro 30 gg dalla stipulazione, a cura degli amministratori. Ad analoga
forma di pubblicità sono soggette le modificazioni degli elementi scritti.
Le persone che hanno la direzione nel consorzio sono altresì tenute a redigere annualmente la
situazione patrimoniale del consorzio, osservando le norme previste per il bilancio dell’esercizio
della società per azioni e a depositarla presso l’ufficio del registro delle imprese.
Nei consorzi con attività esterna trovano migliore definizione articolazione e funzioni dell’organo
direttivo. È disposto che il contratto specifichi le persone cui è attribuita la presidenza, la direzione
e la rappresentanza del consorzio ed i relativi poteri. Questi dati devono essere iscritti nel registro
delle imprese.
Inoltre è previsto che il consorzio può essere chiamato in giudizio (rappresentanza processuale
passiva) nelle persone del presidente e del direttore, anche se la rappresentanza (sostanziale e
processuale) è attribuita ad altre persone. Perciò la mancanza di rappresentanza processuale
passiva del presidente e del direttore è inopponibile ai terzi.
Nei consorzi di attività esterna è poi espressamente prevista la formazione di un fondo
patrimoniale costituito dai contributi iniziali e successivi dei consorziati e dai beni acquistati con
tali contributi. Tale fondo consortile è elevato a patrimonio autonomo rispetto al patrimonio dei
singoli consorziati: esso è destinato a garantire il soddisfacimento dei creditori del consorzio e solo
da questi è aggredibile fin quando dura il consorzio. Infatti, per la durata del consorzio i consorziati
non possono chiedere la divisione de fondo e i creditori particolari dei consorziati non possono far
valere i loro diritti sul fondo del medesimo.
Art 2615: distingue tra obbligazioni assunte in nome del consorzio e obbligazioni assunte dagli
organi del consorzio per conto dei singoli consorzianti. Per le prime risponde esclusivamente il
consorzio ed i creditori possono far valere i loro diritti sul fondo consortile. Quanti contrattano con
un consorzio sono perciò esposti a non pochi pericoli dato che non è prevista alcuna forma di
controllo sulla consistenza del patrimonio consortile, sulla rispondenza al vero della situazione
patrimoniale annualmente redatta dagli amministratori e sul rispetto del vincolo di destinazione
del patrimonio consortile. La tutela dei terzi è affidata solo all’estensione agli amministratori del
consorzio alle sanzioni penali previste per gli amministratori di società.
Maggiormente tutelati sono invece i terzi quando si tratta di obbligazioni assunte dagli organi del
consorzio per conto dei singoli consorziati. Per tali obbligazioni rispondono solidalmente sia il
consorziato o i consorziati interessati, sia il fondo consortile. Inoltre, in caso di insolvenza del
consorziato interessato, il debito dell’insolvente si ripartisce tra tutti gli altri consorziati in
proporzione delle loro quote. Per tali obbligazioni la responsabilità del fondo consortile ha
funzione di garanzia. Il consorzio sarà costretto a pagare, avrà azione di rivalsa per l’intero nei

56
confronti del consorziato interessato e qualora questi sia insolvente, azione di rivalsa pro quota
verso gli altri consorziati.
Le società consortili
Consorzi e società (art 2247) sono istituti diversi. La diversità è netta e chiaramente percepibile
quando il consorzio svolge attività esclusivamente interna. Manca in tal caso l’esercizio in comune
di un’attività economica da parte dei consorziati, che invece costituisce elemento essenziale delle
società.
La distinzione è invece più sottile quando il consorzio è destinato a svolgere anche attività con i
terzi. Infatti società e consorzi con attività esterna sono fenomeni associativi che presentano in
comune sia il normale carattere imprenditoriale dell’attività esercitata, sia il fine di realizzare
attraverso tale attività un interesse economico dei partecipanti (scopo egoistico). Essi si
differenziano tuttavia per la diversità dello scopo egoistico programmato e tipicamente
perseguito.
In cosa consista lo scopo consortile è possibile desumerlo dalla stessa nozione legislativa del
contratto di consorzio. Dall’art 2602 si ricava che il consorzio si caratterizza per un duplice atto:
a. La qualità di imprenditore di tutti i partecipanti del consorzio
b. Lo stretto nesso funzionale che esiste tra l’attività del consorzio e l’attività svolta dai singoli
imprenditori consorziati
Da questi dati è possibile desumere che funzione tipica di un consorzio è quella di produrre beni o
servizi necessari alle imprese consorziate ed almeno tendenzialmente destinati ad essere assorbiti
dalle stesse. Il che implica a sua volta che l’attività di impresa del consorzio non si può ritenere
tipicamente finalizzata né alla produzione di beni o servizi destinati ad essere ceduti a terzi, né al
conseguimento di utili, poiché i rapporti di scambio sono posti in essere con gli stessi imprenditori
partecipanti al consorzio.
L’intento tipico perciò non è quello di ricavare un utile, bensì quello di usufruire dei beni e servizi
prodotti e messi a loro disposizione dall’impresa consortile in modo da conseguire un vantaggio
patrimoniale diretto nelle rispettive economie, sottoforma di minori costi sopportati o di maggiori
ricavi conseguiti nella gestione delle proprie imprese.
Lo scopo tipico dei consorzi è perciò diverso da quello delle società lucrative, in quanto finalità
tipica di quest’ultime è quella di produrre utili da distribuire tra i soci, perciò esse svolgono
tipicamente attività di scambio con i terzi. In ogni caso e comunque, ad esse è estraneo lo scopo
tipico dei consorzi di agevolare l’attività di preesistenti imprese dei soci: di regola, una società per
azioni acquista merci per rivenderle sul mercato e ricavarne un guadagno da dividere tra i soci. Un
consorzio invece di regola acquista merci che servono alle imprese dei consorziati, per rivenderle
ai consorziati stessi ad un prezzo calcolato in modo da coprire i costi di gestione e non di più.
Lo scopo consortile presenta invece più accentiate affinità con lo scopo tipicamente perseguito
dalle società cooperative: lo scopo mutualistico. Anche l’impresa mutualistica non mira
tipicamente a conseguire un utile dall’attività con terzi, ma tende a procurare ai soci un vantaggio
patrimoniale diretto, sottoforma di un risparmio di spesa o di un maggior guadagno personale.
Perciò si parla anche di scopo mutualistico dei consorzi e di “mutualità consortile”.
57
La mutualità consortile si differenzia però dalla generica mutualità delle cooperative. Ciò in quanto
specifico e tipico è il vantaggio mutualistico perseguito dai partecipanti ad un consorzio: riduzione
dei costi di produzione o aumento dei ricavi delle rispettive imprese. L’interesse economico dei
consorziati è un interesse tipicamente imprenditoriale: migliorare l’efficienza e la capacità di
profitto delle rispettive preesistenti imprese.
Se consorzi e società sono forme associative tipiche previste dal legislatore per la realizzazione di
finalità non coincidenti, è però da dire che già prima della modifica della disciplina dei consorzi, era
largamente diffusa la prassi di perseguire gli obiettivi propri del contratto di consorzio non già
costituendo un consorzio bensì attraverso la costituzione di una società: in particolare si preferiva
dar vita ad una società per azioni o ad una società cooperativa. Ciò che spingeva in tal verso era la
possibilità di beneficiare di un regime di responsabilità limitata (allora negato ai consorzi) e
l’opportunità di disporre di una struttura organizzativa il cui funzionamento è dettagliatamente
disciplinato dal legislatore.
La prassi dell’utilizzazione di forme societarie per scopi consortili ha trovato riconoscimento
legislativo con la riforma dei consorzi ne 1976. L’art 2615-ter dispone che “tutte le società
lucrative, ad eccezione della società semplice, possono assumere con oggetto sociale gli scopi di
un consorzio”.
È quindi oggi perfettamente lecito costituire una società per azioni nel cui atto costitutivo si
dichiari espressamente l’esclusiva finalità consortile perseguita ed altrettanto espressamente si
dichiari che la società non persegue lo scopo di conseguire utili da dividere tra i soci.
Un problema che rimane tuttora dibattuto è quello se una società consortile sia integralmente
regolata dalle norme che il codice detta per il tipo di società prescelto oppure se debba ritenersi
sottoposta ad una disciplina mista. In breve, una società per azioni consortile è regolata solo dalla
disciplina della società per azioni o in parte da questa ed in parte dalle disposizioni in tema di
consorzi?
I sostenitori della disciplina mista sostengono che questi organismi sarebbero regolati dalle norme
societarie per quanto riguarda i profili formali (articolazione degli organi, competenze e
funzionamento degli stessi), resterebbero invece regolati dalla disciplina dei consorzi per quanto
riguarda i profili sostanziali (rapporti tra soci e tra questi e terzi).
Questa impostazione tuttavia non merita di essere accolta: l’ipotizzata disciplina mista delle
società consortili non trova alcun sicuro fondamento nel sistema legislativo e soprattutto presenta
il grave inconveniente di rendere estremamente incerta la disciplina delle società consortili.
Esigenze di certezza del diritto perciò inducono a preferire l’impostazione che vede nelle società
consortili vere e proprie società, in via di principio integralmente assoggettate alla disciplina del
tipo societario prescelto. Gli imprenditori che daranno vita ad una società consortile potranno
inserire nell’atto costitutivo specifiche pattuizioni volte ad adattare la struttura societaria alla
specifica finalità consortile perseguita, purchè tali clausole non siano incompatibili con norme
inderogabili del tipo societario prescelto.
L’enunciazione di uno scopo consortile non implica di per sé, né l’automatica disapplicazione di
alcuna norma societaria, né l’automatica applicazione di alcuna norma consortile.

58
CAPITOLO 10
IL GRUPPO EUROPEO DI INTERESSE ECONOMICO
Caratteri generali
Il Gruppo Europeo di interesse economico (GEIE) è un istituto giuridico predisposto dall’Unione
Europea per favorire la cooperazione tra imprese appartenenti a diversi stati membri, rimuovendo
gli ostacolo al riguardo frapporti dalla diversità delle singole legislazioni nazionali.
La disciplina base del GEIE è fisata dal regolamento comunitario 25-7-2985 n.2137 direttamente
applicabile in tutti gli stati membri. Ciascun legislatore nazionale ha poi provveduto ad emanare
specifiche norme integrative, applicabili ai gruppi con sede centrale nello Stato, per disciplinare i
punti che il regolamento rinvia agli ordinamenti nazionali o per i quali consente la scelta tra
diverse alternative. L’Italia a provveduto al riguardo col d.lgs. 23-7-1991 n.240.
Struttura e funzione del GEIE in larga parte coincidono con quelle dei consorzi di cooperazione con
attività esterna. Parti del contratto costitutivo del gruppo possono infatti essere solo persone
fisiche o giuridiche che svolgono una attività economica. Diversamente dai consorzi però non è
necessario che si tratti di imprenditori. È invece necessario che almeno due membri abbiano
l’amministrazione centrale e/o esercitino la loro attività economica in Stati diversi dalla Comunità.
L’istituto non può essere perciò usato per forme di cooperazione tra imprese nazionali.
Al pari dei consorzi con attività esterna il Geie è un organismo associativo a rilievo esterno. Ha
infatti “la capacità a proprio nome di essere titolare di diritti ed obbligazioni di qualsiasi natura” ed
è dotato anche di capacità processuale. Costituisce quindi un centro autonomo di imputazione di
rapporti giuridici distinto dai suoi membri.
Finalità del gruppo è quella di agevolare e sviluppare l’attività economica dei suoi membri. La sua
attività deve perciò necessariamente collegarsi a quella dei partecipanti: il gruppo non ha lo scopo
di realizzare profitti per sé stesso. In ciò il Geie si differenzia dalle società e assolve funzione
identica a quella dei consorzi di coordinamento con attività esterna.
La disciplina
Il contratto costitutivo del Geie deve essere redatto per iscritto a pena di nullità, così come
previsto per i conorzi. Nel contratto devono essere indicati almeno: la denominazione del gruppo,
la sede (che dev’essere situata nell’unione europea), l’oggetto, il nome dei membri, la durata (che
può essere anche a tempo indeterminato).
Il contratto è soggetto a pubblicità legale, mediante iscrizione nel registro delle imprese e
successiva pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. Dell’intervenuta pubblicazione
deve essere poi data comunicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee.

59
La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica ha efficacia meramente dichiarativa,
mentre l’iscrizione nel registro delle imprese ha efficacia costitutiva in quanto solo con l’iscrizione
il gruppo acquista la capacità di essere titolare di diritti ed obbligazioni.
Per gli atti compiuti in nome del gruppo prima dell’iscrizione sono responsabili solidalmente ed
illimitatamente coloro che li hanno compiuti, qualora il gruppo non assuma gli obblighi che
derivano da tali atti.
Le cause di nullità del contratto costitutivo del gruppo sono quelle previste dai singoli ordinamenti
nazionali. La nostra legge di attuazione non dispone nulla al riguardo; per i gruppi con sede in Italia
opereranno perciò le cause di nullità di diritto comune fissate dalla disciplina generale dei contratti
associativi.
Svincolata dai diritti nazionali ed uniforme è invece la disciplina degli effetti della nullità: essa
sostanzialmente coincide con quella propria delle società di capitali e perciò si discosta da quella di
diritto comune. La dichiarazione di nullità del gruppo non ha effetto retroattivo, non pregiudica la
validità degli atti precedentemente compiuti, opera solo come causa di scioglimento ex lege del
gruppo e la sentenza che dichiara la nullità provvede alla nomina dei liquidatori determinandone i
poteri. Infine la nullità del Geie è sanabile ed il tribunale se ritiene possibile la regolarizzazione
della situazione del gruppo, deve concedere un termine che consenta di provvedervi.
L’organizzazione interna e le regole di funzionamento del Geie sono in larga parte rimesse
all’autonomia privata. Sono comunque espressamente previsti due organi: un organo collegiale
(composto da tutti i membri) ed un organo amministrativo.
I membri del gruppo possono adottare collegialmente qualsiasi decisione per la realizzazione
dell’oggetto del gruppo. Le decisioni più importanti devono essere prese all’unanimità. Per tutte le
altre il contratto fissa le maggioranze richieste. In mancanza, tutte le decisioni sono prese
all’unanimità.
Ciascun membro dispone di un solo voto. Il contratto può tuttavia attribuire più voti ad alcuni
membri, a condizione che nessuno disponga da solo della maggioranza dei voti.
Nulla è disposto circa l’invalidità delle delibere assembleari, ma si ritiene che per analogia si possa
applicare la disciplina dettata per i consorzi.
La gestione del Geie è affidata ad uno o più amministratori, nominati con il contratto costitutivo
del gruppo o con decisione dei membri. Può essere nominato amministratore anche una persona
giuridica, la quale esercita le relative funzioni tramite un proprio rappresentante, persona fisica.
I poteri degli amministratori sono fissati dal contratto. Tuttavia soltanto ad essi spetta per legge la
rappresentanza del gruppo verso i terzi. Se gli amministratori sono più, la rappresentanza spetta a
ciascuno disgiuntamente, salvo che il contratto preveda la rappresentanza congiunta.
Specifiche norme tutelano i terzi che entrano in contatto con i rappresentanti legali del Geie.
Il Geie deve tenere le scritture contabili previste per gli imprenditori commerciali,
indipendentemente dalla natura commerciale o meno dell’attività esercitata. Gli amministratori
redigono il bilancio, lo sottopongono all’approvazione dei membri e provvedono a depositarlo nel
registro delle imprese entro 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio.
60
In applicazione del principio che il Geie non ha lo scopo di realizzare profitti per sé tesso, i profitti
risultanti dall’attività del gruppo sono considerati direttamente profitti dei membri e ripartiti tra gli
stessi secondo la proporzione prevista nel contratto o in parti uguali. Con lo stesso criterio i
membri contribuiscono a coprire l’eccedenza delle uscite rispetto alle entrate del Geie.
La disciplina del Geie non prevede la formazione obbligatoria di un fondo patrimoniale iniziale, né
eleva espressamente il fondo patrimoniale eventualmente costituito a patrimonio autonomo. A
ciò funge da contrappeso un regime di responsabilità per le obbligazioni particolarmente rigoroso.
Delle obbligazioni di qualsiasi natura assunte dal Geie rispondono solidalmente ed illimitatamente
tutti i membri del gruppo oltre a questo col proprio patrimonio. Diversamente che per i consorzi,
non è introdotta alcuna distinzione e tale disciplina ha costituito un serio ostacolo alla diffusione
dell’istituto.
La responsabilità dei membri è tuttavia sussidiaria rispetto a quella del Geie: i creditori possono
agire nei confronti dei membri “soltanto dopo aver chiesto al gruppo di pagare e qualora il
pagamento non sia stato effettuato entro un congruo termine”.
Ogni nuovo membro del gruppo risponde anche delle obbligazioni anteriori al suo ingresso, salvo
patto contrario opponibile ai terzi solo se pubblicato. Inoltre, i membri che cessano di far parte del
Geie continuano a rispondere delle obbligazioni anteriori e la responsabilità permane anche dopo
lo scioglimento del Geie, per un termine massimo di 5 anni.
L’ammissione di nuovi membri deve essere decisa all’unanimità e l’unanimità è necessaria anche
per l’efficacia della cessione della quota di partecipazione, sia ad un terzo sia ad altro membro.
Le cause di recesso ed esclusione devono essere fissate nel contratto. Il recesso tuttavia è sempre
possibile se sussiste una giusta causa o con l’accordo unanime di tutti i componenti. Inoltre, in
caso di gravi inadempienze l’esclusione può essere comunque pronunciata dal giudice su richiesta
della maggioranza degli altri membri.

Sono poi esclusi di diritto:


1. Il componente che perda i requisiti soggettivi per la partecipazione al Geie
2. Il membro insolvente che sia assoggettato a procedura concorsuale
Il componente che cessa di far parte del gruppo ha diritto alla liquidazione del valore della sua
quota di partecipazione, determinato tenendo conto del patrimonio del gruppo al momento dello
scioglimento parziale.
Sono cause obbligatorie di scioglimento del Geie: la scadenza del termine; il conseguimento
dell’oggetto o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo; il venir meno della pluralità dei membri
o della diversa nazionalità degli stessi. Inoltre il giudice può sempre pronunciare lo scioglimento
del gruppo per giusta causa. Il verificarsi di una causa di scioglimento del gruppo apre il
procedimento di liquidazione dello stesso, che è regolato dalle disposizioni in tema di società di
persone.

61
Al pari di ogni imprenditore commerciale il Geie che esercita attività commerciale è esposto a
fallimento in caso di insolvenza. Il fallimento del Geie non determina però l’automatico fallimento
dei suoi membri, benchè responsabili illimitatamente. Tuttavia gli organi del fallimento potranno
chiedere ai membri del Geie il versamento delle somme necessarie per estinguere i debiti secondo
la proporzione prevista nel contratto o, nel silenzio, in parti uguali.

DIRITTO COMMERCIALE 2
Diritto delle società

Capitolo 1
LE SOCIETÀ
Il sistema legislativo
Le società sono organizzazioni di persone e di mezzi create dall’autonomia privata per l’esercizio in
comune di una attività produttiva. Sono le strutture organizzative tipiche previste
dall’ordinamento per l’esercizio in forma associata dell’attività di impresa.
Le società costituiscono la categoria di imprese collettive nel contempo più numerosa e più
importante; largamente diffusa è l’utilizzazione della forma societaria anche da parte dell’iniziativa
economica pubblica.
Le società formano un sistema composto da una pluralità di tipi. Il legislatore pone a disposizione
dell’autonomia privata 8 tipi di società, 8 modelli di organizzazione dell’attività di impresa in forma
societaria tra i quali le parti possono liberamente scegliere.
I tipi di società previsti sono: la società semplice, la società in nome collettivo, la società in
accomandita semplice, la società per azioni, la società in accomandita per azioni, la società a
responsabilità limitata, la società cooperativa, le mutue assicuratrici. A queste si sono
recentemente affiancati altri due tipi regolati dal diritto comunitario: la società europea e la
società cooperativa europea.
I singoli tipi di società sono diversi l’uno dall’altro ma presentano anche vari punti in comune che
consentono di raggrupparli in categorie omogenee. Così, la società semplice, la società in nome
collettivo e la società in accomandita semplice sono tradizionalmente definite come società di
persone; mentre le società per azioni, la società in accomandita per azioni e la società a
responsabilità limitata sono definite società di capitali.
La nozione legislativa è unitaria, fissata dall’art 2247 cc: “Con il contratto di società due o più
persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di
dividerne gli utili”.

62
A. LA NOZIONE DI SOCIETÀ
Il contratto di società
“Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune
di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili”.  art 2247.
Fino al 1993 questa era la nozione stessa di società, dato che il codice del 1042 non consentiva la
costituzione di società da parte di una sola persona e quindi con atto non contrattuale. Questa
possibilità è stata poi prevista per la società a responsabilità limitata e per la società per azioni,
che possono essere costituite anche con atto unilaterale.
A parte queste eccezioni le società sono enti associativi a base contrattuale, nascono dall’accordo
di due o più parti per costituire e regolare tra loro un rapporto giuridico a contenuto patrimoniale.
Sotto il profilo contrattuale le società possono essere inquadrate nella più ampia categoria dei
contratti associativi o con comunione di scopo. Contratti che si caratterizzano e si differenziano
rispetto ai contratti di scambio perché in essi l’avvenimento che soddisfa l’interesse di tutti i
contrenti è unico. (Al contrario nei contratti di scambio l’avvenimento che soddisfa l’interesse di
una delle parti è diverso dall’avvenimento che soddisfa l’interesse dell’altra).
Caratteri strutturali dei contratti associativi e del contratto di società:
a. Nei contratti associativi le prestazioni di ciascuna parte possono anche essere di diversa
natura e di diverso ammontare. Esse infatti non sono destinate a scambiarsi tra loro
secondo un rapporto di corrispettività. Tutte sono finalizzate alla realizzazione di uno scopo
comune e tutte trovano il loro corrispettivo nella partecipazione ai risultati dell’attività
comune.
b. Il contratto associativo è un contratto potenzialmente plurilaterale e aperto. Può essere
stipulato da più parti e da un numero illimitato di partecipanti. Inoltre il numero di parti
può liberamente variare in aumento o diminuzione durante lo svolgimento del rapporto
senza che si abbia lo scioglimento dell’originario contratto.
c. Il contratto associativo ed il contratto di società è contratto di organizzazione di una futura
attività. L’attuazione del contratto presuppone infatti lo svolgimento di un’attività comune
e la conseguente creazione di un’organizzazione di gruppo deputata alla produzione di una
serie non definita di nuovi atti giuridici a rilievo sia interno sia esterno. Ne consegue che il
contratto di società non esaurisce la sua funzione con l’esecuzione delle prestazioni
(conferimenti) in quanto fissa le basi organizzative della futura attività comune e
predetermina e modalità di partecipazione individuale all’attività di gruppo e ai risultati
della stessa. Dal contratto nascono situazioni strumentali, non situazioni finali.
Nei contratti associativi la nullità, annullabilità, risoluzione per inadempimento o per impossibilità
sopravvenuta che colpiscono il vincolo di una delle parti non comportano nullità, annullabilità o
risoluzione per l’intero contratto, salvo che la partecipazione venuta meno debba considerarsi
essenziale. A questa specifica disciplina soggiace anche il contratto di società.
Viene poi applicata la disciplina generale dei contratti fissata dal codice civile, nei limiti in cui essa
è compatibile con i caratteri propri dei contratti associativi, anche se numerose sono le deroghe.

63
I conferimenti
Le società sono enti associativi che si caratterizzano per la contemporanea presenza di 3 elementi:
a) i conferimenti dei soci; b) l’esercizio in comune di una attività economica; c) lo scopo di divisione
degli utili.
La contemporanea presenza di tali elementi consente di distinguere le società dagli altri fenomeni
associativi in senso lato.
I conferimenti sono le prestazioni cui le parti del contratto di società si obbligano. Essi
costituiscono i contributi dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della società. La loro
funzione è quella di dotare la società del capitale di rischio iniziale per lo svolgimento dell’attività
di impresa. Col conferimento ciascun socio destina stabilmente parte della propria ricchezza
personale all’attività comune e si espone al rischio di impresa: corre il rischio di non ricevere
alcuna remunerazione per l’apporto se la società non consegue utili, o di perdere tutto o in parte il
valore del conferimento se la società subisce perdite.
È coessenziale che tutti i soci partecipino al rischio di impresa e quindi che essi eseguano un
apporto a titolo di conferimento.
Quanto all’oggetto dei conferimenti essi possono essere costituiti da beni o servizi: denaro, beni in
natura, prestazioni di attività lavorativa, ecc… (ogni entità suscettibile di valutazione economica
che le parti ritengono utile o necessaria per lo svolgimento della comune attività di impresa).
Questo ampio principio tuttavia trova piena applicazione solo nelle società di persone e nelle
società a responsabilità limitata; nelle società per azioni incontra invece significative limitazioni in
quanto è espressamente stabilito che non possono formare oggetto di conferimento “le
prestazioni d’opera di servizi”.

Patrimonio sociale e capitale sociale.


Il patrimonio sociale è il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo alla società.
Esso è inizialmente costituito dai conferimenti eseguiti o promessi dai soci; successivamente
subisce continue variazioni qualitative e quantitative in relazione alle vicende economiche della
società.
La consistenza del patrimonio sociale è accertata periodicamente attraverso la redazione annuale
del bilancio di esercizio. Patrimonio netto: differenza positiva tra attività e passività.
Il patrimonio sociale costituisce la garanzia generica principale od esclusiva dei creditori della
società. Garanzia principale se per le obbligazioni sociali rispondono anche i soci col loro
patrimonio, garanzia esclusiva se si tratta di un tipo di società in cui per le obbligazioni sociali
risponde solo la società col proprio patrimonio.
Il capitale sociale nominale invece è un’entità numerica, è una cifra che esprime il valore in denaro
dei conferimenti quale risulta dalla valutazione compiuta nell’atto costitutivo della società. Esso

64
rimane immutato nel corso della vita della società finquando, con modifica dell’atto costitutivo
non se ne decide l’aumento o la riduzione. Il capitale sociale è quindi un valore storico.
Assolve però due importanti funzioni: una funzione vincolistica ed una organizzativa.
Il capitale sociale indica l’ammontare dei conferimenti dei soci, che i soci non possono liberamente
ripartirsi per tutta la durata della società, è assoggettato ad un vincolo di stabile destinazione
dell’attività sociale. I soci possono perciò ripartirsi durante la vita della società solo parte del
patrimonio netto che supera l’ammontare del capitale sociale.
La funzione vincolistica del capitale sociale si risolve poi per i creditori in un margine di garanzia
patrimoniale supplementare. Essi infatti possono fare affidamento per soddisfare i propri crediti su
un attivo patrimoniale eccedente le passività, per un valore corrispondente almeno all’ammontare
del capitale sociale.
È termine di riferimento per accertare periodicamente se la società ha conseguito utili o perdite: vi
è un utile se dal bilancio risulta che le attività superano le passività aumentate del capitale sociale
nominale. Es: se il valore di bilancio delle attività è 600, il valore delle passività è 300 e il capitale
sociale è 100, l’utile è 200. ( 600-(300+100) =200 ). Solo attività per tale ammontare potanno
essere liberamente distribuite ai soci a titolo di utili.
Vi è invece una perdita se le attività sono inferiori alle passività più il capitale sociale. Es se le
passività sono 600 nell’esempio precedente, la perdita sarà di 100. ( 600-(600+100)=-100 ).
Inoltre, il capitale sociale nominale funge anche da base di misurazione di alcune fondamentali
situazioni soggettive dei soci, sia di carattere amministrativo (diritto di voto) sia di carattere
patrimoniale (diritto agli utili e alla quota di liquidazione). Tali diritti spettano a ciascun socio in
misura proporzionale alla parte del capitale sociale sottoscritto.

L’esercizio in comune di attività economica


L’esercizio in comune di una attività economica è il secondo degli elementi caratterizzanti fissati
dalla nozione di società.
È questo lo scopo-mezzo del contratto di società ed oggetto sociale si definisce la specifica attività
economica che i soci si propongono di svolgere. Tale attività deve essere predeterminata nell’atto
costitutivo della società ed è modificabile nel corso della vita della stessa solo con l’osservanza
delle norme che regolano le modificazioni dell’atto costitutivo.
In tutte le società l’oggetto sociale deve consistere nello svolgimento di un’attività e di un’attività
economica. Più esattamente deve trattarsi di un’attività produttiva, cioè a contenuto patrimoniale,
condotta con metodo economico e finalizzata alla produzione o allo scambio di beni/servizi. In
sintesi, di un’attività che di regola presenta i caratteri propri dell’attività di impresa.
Essenziale per aversi società è che l’attività produttiva sia esercitata in comune.
Fissare i caratteri minimi costanti che devono ricorrere affinchè un’attività possa giuridicamente
definirsi comune a più soggetti non è però agevole. Ciò non toglie tuttavia che alcuni requisiti
minimi possano essere fissati sotto il profilo oggettivo.
65
Perché un’attività economica possa definirsi comune a più soggetti è certamente necessario che
essa sia preordinata alla realizzazione di un risultato unitario e comune. Non si ha società se due
persone acquistano in comune un camion per poi servirsene a turno per l’esercizio di distinte e
separate attività di trasporto, che potranno concludersi per l’uno con profitto, per l’altro con
perdite. Si hanno in tal caso due distinte imprese.
È quindi il modo di svolgimento dell’attività che consente di qualificare la stessa come comune a
più soggetti e a tal fine non basta che l’attività venga svolta nell’interesse comune e per un
programma comune: è necessario ulteriormente che i singoli atti di impresa siano prodotti
secondo modalità che ne consentano l’imputazione al gruppo unitariamente considerato. In altre
parole, è necessario che chi agisce nei rapporti esterni sia abilitato ad agire per conto del gruppo
ed ulteriormente agisca in nome dello stesso.
Ciò consente una distinzione tra società ed associazione in partecipazione: in quest’ultima l’attività
di impresa rimane propria ed esclusiva dell’associante; i singoli atti di impresa devono essere posti
solo in suo nome e a lui sono giuridicamente imputabili, anche se compiuti dall’associato. Titolare
dell’impresa è sol l’associante e la gestione dell’impresa è riservata all’associante, sebbene anche
l’associato partecipi al relativo rischio economico. Proprio la mancanza di attività giuridicamente
comune impedisce che l’apporto dell’associato dia vita alla formazione di un patrimonio comune.

Società ed impresa. Le società occasionali.


L’attività delle società presenta di regola tutti i caratteri propri dell’attività di impresa: è attività
produttiva e attività che almeno normalmente è esercitata in modo professionale ed organizzato.
Le società sono quindi di regola titolari di un’impresa collettiva e ad esse è applicabile la disciplina
dell’attività di impresa.
Vi possono però anche essere società produttive a carattere non imprenditoriale, e sono le società
occasionali e le società tra professionisti.
Società occasionali: l’attività delle società deve avere carattere produttivo, ma non è fatto cenno
all’art 2247 del requisito della professionalità (richiesto per l’acquisto della qualità di
imprenditore). Alle società occasionali è applicabile la disciplina del tipo di società prescelto, ma
non la disciplina dell’impresa e in particolare se l’attività è commerciale, la società occasionale
deve ritenersi sottratta al fallimento.
Delimitazione delle società occasionali: sono al riguardo da distinguersi 3 ipotesi:
1. Certamente non si ha né società né impresa quando due persone realizzano assieme un
affare che si risolve nel compimento di un solo atto economico o anche più atti non
coordinati da un disegno unitario.
2. Certamente si ha sia società sia impresa quando due persone decidono di compiere
insieme un singolo affare complesso: un affare cioè che per sua natura implica il
compimento di operazioni numerose e l’utilizzo di un apparato produttivo idoneo ad
escludere il carattere occasionale e non coordinato dei singoli atti economici.
3. L’ammissibilità di società senza impresa resta perciò circoscritta alle ipotesi di marginale
rilievo e di limitato riscontro pratico in cui si sia in presenza di esercizio comune di attività
66
oggettivamente non duratura: di un’attività cioè che si esaurisce nel compimento di pochi
atti elementari coordinati, che non richiedono la predisposizione di alcun apparato
produttivo oggettivamente apprezzabile.
In definitiva la figura della società occasionale è ammissibile, ma il fenomeno ha rilievo pratico del
tutto marginale se correttamente inteso come esercizio in comune di attività non duratura.

Le società tra professionisti.


L’attività dei professionisti intellettuali è attività economica ma non è legislativamente considerata
attività di impresa. Una società tra professionisti per l’esercizio in comune della loro attività dà
perciò vita ad un’ulteriore ipotesi di società senza impresa.
L’art 2247 parla di “attività economica” e non di attività di impresa; esso però va coordinato con
altre norme:
a. Con le norme del codice che regolano l’esercizio delle professioni intellettuali, dalle quali
emerge con chiarezza il carattere rigorosamente personale dell’attività del professionista
intellettuale. Quest’ultimo deve sempre operare sotto la sua direzione e responsabilità.
b. In passato la legge 23-11-1939 n.1815 che disciplinava gli studi di assistenza e consulenza
sosteneva che le persone munite dei titoli di abilitazione che si associavano per l’esercizio
della professione dovevano usare nella denominazione del loro ufficio e nei rapporti coi
terzi, esclusivamente la dizione di “studio tecnico, legale, commerciale, contabile,
amministrativo o tributario, seguito dal nome e cognome coi titoli professionali dei singoli
associati”. L’art 2 poi vietava ogni forma di esercizio associato delle professioni intellettuali
diversa da quella prevista dall’art 1.
Questo quadro normativo ha determinato per lunghi anni un acceso dibattito sull’ammissibilità
delle società tra professionisti anche se aveva finito per prevalere la soluzione negativa.
La realtà però spingeva in senso opposto, infatti l’evoluzione delle professioni intellettuali spinge
inevitabilmente verso l’utilizzazione di strutture organizzative di tipo imprenditoriale per il loro
esercizio in forma associata. Dopo diversi progetti non andati in porto si ebbe nel ’97 un intervento
solo parziale e non risolutivo: venne abrogato l’art 2 della legge 1815; ma nel maggio del ’98 il
governo rinunciò ad emanare il regolamento sulle società tra professionisti e così il problema
rimase aperto e dibattuto.
In seguito sono proseguiti gli interventi parziali sulla materia: nel 2001 è stata ammessa la
costituzione di società tra avvocati, nel 2006 è stata consentita la costituzione di società di persone
tra professionisti per la prestazione di servizi interdisciplinari. Tuttavia queste figure di società
hanno avuto scarsa diffusione nella pratica.
Nel frattempo lunghi anni di dibattito hanno condotto ad alcuni punti ormai fermi, che riguardano
la necessità di distinguere le società tra professionisti vere e proprie da altri fenomeni associativi o

67
societari che vedono coinvolgere i professionisti ma che non ricadono nell’ambito di applicazione
delle norme sopra richiamate.
La società tra professionisti non va confusa col fenomeno dell’assunzione congiunta di un incarico
da parte di professionisti; in tal caso non si ha società in quanto ciascun professionista si impegna
nei confronti del cliente ad eseguire personalmente una propria prestazione intellettuale. Si è
perciò in presenza di distinte attività professionali coordinate e non di una esercitata in comune.
La società tra professionisti va ancora tenuta distinta dalla società di mezzi tra professionisti:
quest’ultima è una società costituita da professionisti per l’acquisto e gestione in comune di beni
strumentali all’esercizio individuale delle rispettive professioni. Queste sono certamente lecite
perchè svolgono attività di impresa e non attività intellettuale.
Ulteriore fenomeno che va tenuto distinto dalle società tra professionisti è quello delle società di
servizi che offrono sul mercato un prodotto complesso, per la cui realizzazione sono necessarie
anche prestazioni professionali dei soci o dei terzi. Quest’ultime prestazioni hanno tuttavia
carattere strumentale e servente rispetto al servizio unitario offerto dalla società che non si
identifica con quello tipico di alcuna delle professioni intellettuali. Es: società di ingegneria. In
queste società l’attività non si esaurisce nella semplice progettazione di opere di ingegneria ma
comprende anche ulteriori prestazioni, quali le relative ricerche di fattibilità ed il reperimento di
fondi, fino alla realizzazione e la vendita degli impianti ed attrezzature progettate. Esse svolgono
un’attività che non è identificabile con quella propria degli ingegneri ed architetti, rientrano nello
schema dell’appalto di servizi.
Nella stessa categoria possono essere inserite anche le società di revisione legale dei conti, nelle
quali si è in presenza di una tipica attività nelle quali le prestazioni d’opera intellettuale hanno
carattere strumentale e servente rispetto all’unitaria prestazione di revisione legale dei conti in cui
tali società sono tenute.
Le società tra professionisti perciò possono essere considerate le società tra professionisti
intellettuali che hanno come oggetto unico ed esclusivo l’esercizio in comune dell’attività
professionale agli stessi riservata per legge. Gli incarichi professionali sono cioè assunti dalla
società ed è la società che giuridicamente si obbliga ad eseguire le relative prestazioni
professionali.
Distinzione tra professioni protette (il cui esercizio era subordinato all’iscrizione in appositi albi
professionali come avvocati, dottori commercialisti, ingegneri, notai, ecc…) e professioni non
protette (es: pubblicitari, sociologi, amministratori di condominio, ecc…).
Il problema dell’ammissibilità delle società tra professionisti si poneva solo per le professioni
protette, in quanto solo a quest’ultime era riferibile la legge del ’39 e perché si ritiene che i
professionisti non protetti non siano tenuti ad operare inderogabilmente secondo le norme fissate
per il contratto d’opera intellettuale. La legge 14-1-2013 n.4 stabilisce che le professioni non
organizzati in ordini o collegi possono essere esercitate in forma individuale, in forma associata,
societaria, cooperativa o nella forma del lavoro dipendente. Perciò le società di professionisti per
le professioni non protette sono perfettamente lecite.

68
Tuttavia bisogna puntualizzare: può ammettersi che chi svolge una professione non protetta possa
operare con i clienti secondo modelli giuridici diversi da quelli inderogabilmente fissati per le
professioni intellettuali, sottraendosi così all’obbligo di esecuzione personale della prestazione;
dev’essere però altrettanto chiaro che la sua prestazione non è più così giuridicamente
qualificabile come prestazione d’opera intellettuale, essendo venuto meno un carattere
inderogabile della stessa. Egli non è più qualificabile come professionista intellettuale ma come un
comune produttore di servizi.
Quanti esercitano professioni non protette possono validamente costituire una società e qualsiasi
tipo di società, non essendo vincolati rispetto all’art 2232; in tal caso si sarà per contro in presenza
di una comune società che è perciò certamente da qualificare come imprenditore commerciale.
Restano le professioni intellettuali protette, alle quali doveva essere propriamente riferito
l’abrogato art.2 della legge 1815/1939.
Per queste il panorama delle posizioni espresse in dottrina era estremamente variegato. Era
pressochè monolitica la giurisprudenza nel negare la liceità di tali società, qualunque fosse il tipo
di società prescelto, ritenute in contrasto sia con la legge 1815/1939, sia con la disciplina dettata al
codice per le professioni intellettuali. E nelle pronunce più recenti si sottolineava che la ratio del
divieto di esercizio in forma societaria delle professioni risiedeva nella tutela dell’inderogabile
carattere personale delle prestazioni professionali, il cui rispetto resta irrimediabilmente precluso
dall’esercizio comune di tali attività.
In altri termini si riteneva che il carattere rigorosamente personale della prestazione non fosse
conciliabile con l’esercizio della professione da parte di un ente impersonale qual è una società.
Invero, l’esercizio in comune di un’attività, attraverso la creazione di un centro unitario di
imputazione dei rapporti giuridici, comporta inevitabilmente spersonalizzazione delle prestazioni
professionali: impedisce che le stesse possano essere giuridicamente riferite ai soci professionisti
che le hanno effettivamente eseguite ed altera inevitabilmente anche il regime della responsabilità
professionale. In breve il timore era che con l’esercizio dell’attività professionale in forma
societaria, le persone fisiche che hanno eseguito materialmente la prestazione intellettuale
potessero sottrarsi da ogni forma di responsabilità civile personale e diretta nei confronti dei terzi.
Nel quadro di un più ampio disegno di riforma degli ordini professionali, art 10 della legge 12-11-
2011 n.183:
a. Ha abrogato completamente la legge 1815/1939 facendo nel contempo salve le
associazioni professionali, nonché i diversi modelli societari già vigenti alla data di entrata
in vigore del provvedimento
b. Ha espressamente consentito in via generale la costituzione di società per l’esercizio di
attività professionali regolamentate dal sistema ordinistico secondo i modelli societari
regolati dai titolo V e VI del libro V del codice civile.
Ne consegue che, ferma restando la libertà di mantenere in vita o costituire nuove associazioni
professionali nella vecchia forma degli “studi professionali”, i professionisti che intendono
esercitare in comune una professione protetta possono oggi optare per lo strumento giuridico
della società e di qualsiasi tipo di società regolato dal codice civile.

69
Inoltre, un altro elemento di rottura rispetto al passato è che si ammette che alla società possano
partecipare anche soci non professionisti, per la fornitura di prestazioni tecniche o per finalità di
investimento: si apre quindi la strada all’intervento di soci capitalisti nella compagine sociale,
purchè dotati dei requisiti di onorabilità determinati dal regolamento di attuazione.
Con successive modifiche alla legge è stato però scongiurato il pericolo che i soci “capitalisti”
assumano il sopravvento sui soci professionisti: il numero e la partecipazione al capitale dei soci
professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di 2/3 delle deliberazioni o decisioni
dei soci. Se viene meno questa condizione la prevalenza dei soci professionisti deve essere
ristabilita nel termine di 6 mesi, altrimenti la società si scioglie e dev’esser cancellata d’ufficio
dall’albo dei professionisti in cui è iscritta.
Altri aspetti sono:
1. L’atto costitutivo della società tra professionisti deve prevedere l’esercizio in via esclusiva
dell’attività professionale da parte dei soci (principio di esclusività dell’oggetto sociale); può
tuttavia trattarsi anche di più attività professionali, se i soci svolgono professioni diverse.
(società multiprofessionali). Ad esempio in altri paesi esistono società che
contemporaneamente offrono servizi di avvocato e di commercialista. Può inoltre
ammettersi che lo statuto preveda lo svolgimento anche di attività strumentali all’esercizio
della professione da parte dei soci.
2. La partecipazione ad una società è incompatibile con la partecipazione ad altra società tra
professionisti (principio di esclusività della partecipazione).
3. La denominazione deve contenere l’indicazione di società tra professionisti.
4. Il socio professionista è tenuto all’osservanza del codice deontologico del proprio ordine e
può opporre agi altri soci il segreto professionale sulle attività a lui affidate. La
cancellazione del socio professionista dall’albo di appartenenza comporta anche
l’esclusione dalla società, secondo le modalità fissate dall’atto costitutivo. Ma anche la
società è a sua volta soggetta al regime disciplinare dell’ordine al quale risulti iscritta.
La società tra professionisti è inoltre tenuta ad iscriversi in un’apposita sezione speciale nel
registro delle imprese, con funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, in aggiunta
all’iscrizione nella sezione ordinaria eventualmente richiesta dalla disciplina del tipo societario
prescelto.
A tutela del cliente, l’atto costitutivo deve prevedere criteri e modalità affinchè l’esecuzione
dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti
per l’esercizio della prestazione professionale richiesta. Il cliente ha diritto di chiedere che la
prestazione sia realizzata da un particolare socio professionista di sua fiducia; in mancanza, la
designazione viene effettuata dalla società ed il nominativo prescelto deve essere comunicato
previamente e per iscritto al cliente (principio di individuazione del professionista incaricato della
prestazione).
L’art 10 della legge per quanto riguarda la responsabilità si limita a disporre che la società assicuri i
rischi derivanti dalle responsabilità civile per i danni causati ai clienti dai singoli soci professionisti
nell’esercizio dell’attività professionale.

70
L’estensione analogica della regola sulla responsabilità diretta del socio professionista autore della
prestazione si impone tuttavia per la necessità di conciliare l’esercizio delle professioni intellettuali
in forma societaria con i principi codicistici in tema di contratto d’opera professionale. In altre
parole il rispetto del principio della personalità della prestazione e di quello della diretta
responsabilità del professionista nei confronti del cliente.
Da ciò ne consegue che il socio professionista incaricato della prestazione non può farsi sostituire
se non per sopraggiunte esigenze imprevedibili, ma può invece servirsi della collaborazione di
ausiliari sotto la propria direzione e responsabilità.

Le società tra avvocati.


La società tra avvocati è tata introdotta dal d.lgs. 2-2-2001 n.96, con cui è stata data attuazione
alla direttiva 98/5/CE volta a facilitare il libero esercizio della professione di avvocato nell’ambito
dell’UE.
La società tra avvocati ha per oggetto l’esclusivo esercizio in comune dell’attività professionale dei
propri soci, ovvero l’attività di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio nonché le altre
attività professionali proprie dell’avvocato, quale quella della consulenza legale. La società può
inoltre acquistare beni e diritti strumentali all’esercizio della professione e compiere qualsiasi
attività a tale scopo.
La società tra avvocati è regolata dalle norme della società in nome collettivo ove non
diversamente disposto dalla relativa disciplina speciale. Quanto a quest’ultima si prevede in
particolare che tutti i soci devono essere in possesso del titolo di avvocato e che non è consentita
la partecipazione ad alta società di avvocati.
Il socio che è stato cancellato dall’albo è escluso di diritto dalla società, mentre è causa di
esclusione facoltativa la sospensione dall’albo.
La ragione sociale deve contenere l’indicazione società tra avvocati (s.t.a.) ma non è più
obbligatoria l’indicazione del nome e del titolo professionale di uno o più soci. È inoltre
specificatamente disciplinata la conservazione nella ragione sociale del nome dell’ex socio.
Per la costituzione della società fra avvocati vale la disciplina dettata per le società in nome
collettivo. La società tra avvocati è però iscritta nella sezione speciale del registro delle impree
relativa alle società tra professionisti e l’iscrizione ha solo funzione di certificazione anagrafica e di
pubblicità notizia. È inoltre iscritta una sezione speciale dell’albo degli avvocati ed alla stessa si
applicano le norme professionali e deontologiche che disciplinano la professione di avvocato.
Specificamente regolata è poi l’invalidità della società tra avvocati, così colmando il silenzio del
codice civile in tema di invalidità delle società di persone. Per gli effetti è dettata una disciplina
speciale che si discosta vistosamente da quella di diritto comune in quanto sostanzialmente
recepisce quella dettata in tema di nullità della società per azioni. Infatti:
a. La dichiarazione di nullità o la pronuncia di annullamento non pregiudica l’efficacia degli
atti compiuti in nome della società
b. Resta ferma la responsabilità personale dei soci per le obbligazioni anteriori
71
c. La sentenza di nullità o di annullamento nomina uno o più liquidatori dando avvio ad un
procedimento di liquidazione della società che porterà all’estinzione della stessa dopo aver
soddisfatto i creditori sociali e ripartito tra i soci l’eventuale residuo atto di liquidazione
d. L’invalidità non può esser pronunciata se la causa di essa è stata eliminata per effetto di
una modifica dell’atto costitutivo iscritta nel registro delle imprese.
Nel contempo è assoggettata ad una peculiare disciplina volta a conciliare l’esercizio in forma
societaria della professione forense con il rispetto del principio della responsabilità della
prestazione e di quello della diretta responsabilità del professionista nei confronti del cliente. È
inoltre riconosciuto e tutelato il diritto del cliente di scegliere il proprio difensore.
Non solo l’amministrazione della società non può essere affidata a terzi ma l’incarico professionale
conferito alla società può essere eseguito solo da uno o più soci in possesso degli specifici requisiti
prescritti per l’esercizio dell’attività professionale richiesta.
È dettata una specifica disciplina anche per la responsabilità professionale: solo il socio o i soci
incaricati sono personalmente e illimitatamente responsabili per l’attività professionale svolta in
esecuzione dell’incarico. Con essi risponde la società con il proprio patrimonio. Tuttavia, anche
delle obbligazioni derivanti dall’attività professionale svolta da uno o più soci sono responsabili
illimitatamente e solidalmente tutti i soci qualora la società ometta di comunicare il nome
dell’avvocato incaricato, prima dell’inizio dell’esecuzione del mandato.
Lo scopo-fine delle società.
L’ultimo elemento caratterizzante le società è costituito dallo scopo perseguito dalle parti. Tuttavia
l’art 2247 enuncia solo uno dei possibili scopi del contratto di società: lo scopo di divisione degli
utili.
Una società può essere costituita per svolgere attività di impresa con terzi allo scopo di conseguire
utili (lucro oggettivo) destinati ad essere poi divisi tra i soci (lucro soggettivo). È questo lo scopo di
lucro o di profitto. Ed è questo lo scopo che il legislatore assegna alle società di persone di capitali,
definite società lucrative.
Società sono però anche le società cooperative e queste per legge devono perseguire uno scopo
mutualistico. Lo scopo cioè di fornire direttamente ai soci beni, servizi od occasioni di lavoro a
condizioni più vantaggiose di quelle che i soci stessi otterrebbero sul mercato. Il loro scopo quindi
non è quello di produrre utili ma di procurare ai soci un vantaggio patrimoniale diretto, che potrà
consistere in un risparmio di spesa o in una maggiore remunerazione del lavoro prestato dai soci
nella cooperativa. Un vantaggio patrimoniale che comunque si produce direttamente nelle sfere
individuali dei singoli soci per effetto di distinti rapporti di scambio che ciascuno di essi instaurerà
con l’impresa cooperativa durante la vita della società.
In sintesi, anche la società cooperativa è un’impresa che deve operare con metodo economico e
per la realizzazione di uno scopo economico dei soci. Non è però una società istituzionalmente
preordinata per la realizzazione di uno scopo di lucro in senso proprio.
Infine, tutti i tipi di società possono essere usati anche per la realizzazione di uno scopo consortile.
Anche una società consortile è tenuta ad operare con metodo economico e per la realizzazione di
uno scopo economico dei soci, consistente in un particolare vantaggio patrimoniale degli
72
imprenditori consorziati; per contro non devono necessariamente perseguire uno scopo di lucro in
senso proprio.
In definitiva a seconda dello scopo le società possono essere distinte in: società lucrative, società
mutualistiche, società consortili.
Un dato che rimane costante è che le società sono enti associativi che operano con metodo
economico e per la realizzazione di un risultato economico a favore esclusivo dei soci. La società è
perciò un fenomeno essenzialmente egoistico.

Società ed associazioni. L’impresa sociale.


La distinzione tra società e associazioni risiede nella natura dell’attività esercitabile e nello scopo-
fine perseguibile. Infatti:
a. L’attività delle società è positivamente individuata: deve essere un’attività produttiva ed
un’attività condotta con metodo lucrativo o economico
b. Lo scopo fine delle società è uno scopo economico, mentre è estraneo allo schema causale
delle società e di tutte le società l’istituzionale devoluzione a terzi degli eventuali risultati
positivi dell’attività comune. Principi opposti valgono invece per le associazioni, che sono
enti con scopo ideale o altruistico.
In breve, la linea di confine tra società ed associazioni risiede nell’autodestinazione ai membri del
gruppo o dell’eterodestinazione dei risultati economici dell’attività.
Il modello associativo delle società presenta indubbi e consistenti vantaggi operativi rispetto a
quello delle associazioni anche riconosciute, quindi è forte la tendenza dei gruppi associativi con
scopo ideale a servirsi del più comodo strumento della società per azioni; lo fanno ricorrendo
all’espediente di dichiarare nell’atto costitutivo un’attività economica ed uno scopo lucrativo che
poi in fatto non vengono perseguiti. Tuttavia queste forme di utilizzazione anomala dell’istituto
societario non possono essere considerate legittime, se non nei casi espressamente previsti dalla
legge.
Tra le società di diritto speciale senza scopo di lucro soggettivo possono essere comprese le
società sportive professionistiche. Per quanto riguarda la destinazione degli utili conseguiti,
l’attuale disciplina si limita a stabilire che l’atto costitutivo deve prevedere che una quota parte
degli utili, non inferiore al 10%, sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione
tecnica-sportiva.
Una vistosa deroga al principio di lucratività nelle società è prevista nella nuova disciplina
sull’impresa sociale. Possono acquistare la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni
private che esercitano senza scopo di lucro e in via stabile e principale attività di impresa al fine
della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale. Tali sono i beni o servizi che
ricadono in settori tassativamente specificati dalla legge, quali assistenza sociale e sanitaria,
educazione ed istruzione, tutela dell’ambiente e valorizzazione del patrimonio culturale,
inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati o disabili.

73
Il legislatore in considerazione delle finalità perseguite dalle imprese sociali, concede alle stesse il
privilegio di poter assumere la forma di qualsiasi organizzazione privata; in particolare può essere
impiegato qualsiasi tipo societario. Se viene adottata la forma societaria rimane fermo il divieto di
distribuire gli utili.
Le imprese sociali sono soggette alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
In definitiva, anche se ci sono parecchie società di diritto speciale senza scopo di lucro, esse non
avvalorano la tesi del tramonto dello scopo lucrativo: esse devono essere valutate come eccezioni.
Società e comunione.
La società è un contratto che ha per oggetto l’esercizio in comune di un’attività economica
produttiva.
La comunione invece è una situazione giuridica che sorge quando “la proprietà o altro diritto reale
spetta in comune a più persone”. È una situazione giuridica che ha per oggetto il semplice
godimento diretto o indiretto della cosa comune, secondo la sua normale destinazione economica.
Nella società i beni comuni (patrimonio sociale) hanno funzione servente rispetto all’attività di
impresa, sono quindi un mezzo per lo svolgimento di quest’ultima. E l’organizzazione di gruppo è
investita dei più ampi poteri di disposizione sul patrimonio sociale.
Nella comunione invece il rapporto beni-attività si inverte. È l’attività che svolge funzione servente
rispetto ai beni; essa è un mezzo per assicurare la conservazione della cosa comune e consentirne
il miglior godimento individuale da parte dei comproprietari.
Profondamente diverso è poi il regime patrimoniale dei beni in società rispetto a quello dei beni in
comunione. I beni facenti parte di un patrimonio sociale sono affetti da un vincolo di stabile
destinazione allo svolgimento dell’attività di impresa; vincolo che opera sia tra i soci sia nei
confronti dei terzi. Tale vincolo è invece assente nella comunione.
In tutte le società operano questi principi cardine:
a. Il singolo socio non può servirsi liberamente delle cose appartenenti al patrimonio sociale
per fini estranei allo svolgimento dell’attività di impresa programmata
b. Il singolo socio non può provocare a sua discrezione lo scioglimento anticipato della società
e la conseguente divisione del patrimonio sociale
c. I creditori personali dei soci non possono soddisfarsi direttamente sul patrimonio della
società; questo è aggredibile solo dai creditori sociali, da coloro che vantano credito per
ragioni inerenti all’esercizio dell’impresa.
Principi opposti valgono per la comunione; infatti:
a. Ciascun comproprietario può liberamente servirsi della cosa comune, purchè non ne alteri
la naturale destinazione e non impedisca agli altri comproprietari di farne uso.
b. Ciascuno dei comproprietari può in ogni momento chiedere lo scioglimento della
comunione ponendo fine allo stato di comproprietà.
c. I creditori personali dei singoli comproprietari possono liberamente aggredire anche la
cosa comune per soddisfare il proprio credito.

74
Nella comunione quindi manca un vincolo di destinazione nei rapporti interni e manca anche un
vincolo di destinazione nei rapporti esterni. Non gode perciò di autonomia patrimoniale.
Il regime patrimoniale delle società è applicabile solo quando i beni sono destinati allo
svolgimento di un’attività di impresa. Solo tale destinazione legittima un patrimonio comune,
indivisibile su iniziativa unilaterale ed insensibile alle pretese dei rispettivi creditori personali.
Quando invece lo scopo perseguito è solo quello di godere i beni messi in comune, la disciplina è
quella della comunione. Sono quindi vietate le società di mero godimento. Certamente vietate
sono le società immobiliari di comodo, le quali patrimonio attivo è costituito esclusivamente dagli
immobili conferiti dai soci e la cui attività di esaurisce nel concedere tali immobili in locazione ai
terzi o agli stessi soci, senza produrre o fornire agli uni e agli altri un servizio collaterale.
È invece una società perfettamente valida una società immobiliare che ha per oggetto la gestione
di un albergo o di un residence, utilizzando l’immobile conferito dai soci in quanto l’organizzazione
dei fattori produttivi è finalizzata alla produzione di servizi che non si esauriscono nelle pure
prestazioni locative.
Società e comunione di impresa.
Il criterio distintivo tra ambito di operatività della disciplina della comunione (scopo di mero
godimento) e ambito di operatività della disciplina delle società (scopo produttivo) non è sempre
di agevole applicazione. E in particolar modo non lo è quando si è in presenta di un bene
produttivo o di un complesso di beni produttivi, di beni cioè il cui godimento presuppone lo
svolgimento di attività produttiva.
È necessario distinguere nel caso concreto tenendo conto che l’esercizio in comune di attività di
impresa non è mai di mero godimento e che solo quest’ultimo è sottratto al regime patrimoniale
delle società. È quindi la presenza o meno di un’attività comune di impresa che deve fungere da
scriminante.
È poi possibile che dalla comunione si passi alla società: ciò si verifica ad esempio quando più figli
ereditano l’azienda paterna e proseguono in comunione l’attività di impresa. È necessario e
sufficiente perché una comunione si trasformi in società che i comproprietari si servano dei beni
relativi per l’esercizio di una comune attività.
Obiezione: l’art 2247 richiede un accordo tra le parti per dar vita ad una società. Questa obiezione
porterebbe ad ammettere che è possibile l’esercizio di impresa collettiva, ferma restando
l’applicazione del regime patrimoniale della comunione dei beni usati; che è ammissibile cioè
un’impresa collettiva priva di autonomia patrimoniale (comunione di impresa). L’obiezione e la
conclusione sono però prive di fondamento. Un contratto di società può essere concluso anche
per fatti concludenti e per fatti concludenti può avvenire anche il conferimento. Non vi è dubbio
quindi che l’effettivo esercizio dell’attività di impresa da parte dei comproprietari di un’azienda è
oggettivamente apprezzabile come non equivoco atto di destinazione societaria dei relativi beni.

L’impresa coniugale

75
In base all’art 177 lett.d) cod.civ., formano oggetto della comunione legale tra coniugi anche “le
aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio”. L’impresa coniugale è
certamente un’impresa collettiva e nulla vieta ai coniugi di costituire una società per il relativo
esercizio. Nel silenzio è però applicabile la disciplina propria della comunione familiare.
L’applicazione della disciplina della comunione familiare comporta che i creditori di impresa
potranno soddisfarsi su tutti i beni della comunione (anche se estranei all’azienda) ma alla pari con
gli altri creditori della comunione e senza avere alcun diritto di preferenza rispetto a quest’ultimi
sui beni aziendali. I creditori d’impresa possono inoltre aggredire anche il patrimonio personale
(fuori comunione) di ciascun coniuge, ma solo nella misura della metà del credito, in via sussidiaria
e solo se i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti sulla stessa gravanti.
I creditori del singolo coniuge possono a loro volta soddisfarsi direttamente anche sui beni della
comunione legale quindi anche sui beni aziendali; tale diritto tuttavia è riconosciuto solo fino al
valore corrispondente alla quota del coniuge loro debitore e purchè i beni di questo non siano
sufficienti a soddisfarli.

B. I TIPI DI SOCIETÀ
Nozione. Classificazioni.
L’attività delle società solleva problemi di disciplina di carattere organizzativo che riguardano:
a. L’ordinamento interno delle società
b. I rapporti tra terzi
Le società formano un sistema composto da una pluralità di tipi, da una pluralità di modelli
organizzativi ciascuno dei quali costituisce una diversa combinazione di risposte legislative a tali
problemi. Gli 8 tipi di società tuttavia possono essere aggregati in categorie omogenee sulla base
di alcuni fondamentali criteri di classificazione.
Una prima distinzione è quella basata sullo scopo istituzionale perseguibile. Le società cooperative
e le mutue assicuratrici si contrappongono alle altre, e sono definite società lucrative.
Una seconda distinzione è quella basata sulla natura dell’attività esercitabile. La società semplice è
utilizzabile solo per l’esercizio di attività non commerciale. Tutte le altre società lucrative possono
esercitare sia attività commerciale sia attività non commerciale e sono sempre soggette ad
iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale.
Altra distinzione è quella tra società con personalità giuridica e società prive di p. giuridica. Hanno
personalità giuridica le società di capitali e le società cooperative; ne sono invece prive le società
di persone.
Nelle società di capitali:
a. È legislativamente prevista ed è inderogabile un’organizzazione di tipo corporativo, cioè
basata sulla necessaria presenza di una pluralità di organi, ciascuno investito per legge di
proprie specifiche funzioni e competenze

76
b. Il funzionamento degli organi sociali è dominato dal principio maggioritario. In particolare
l’assemblea delibera a maggioranza anche le modifiche dell’atto costitutivo e le
maggioranze assembleari sono calcolate in base alla partecipazione di ciascun socio al
capitale sociale, non per teste.
c. Il singolo socio non ha alcun potere diretto di amministrazione e di controllo; ha solo il
diritto di concorrere con il suo voto in assemblea alla designazione dei membri dell’organo
amministrativo e/o di controllo. Il peso di ciascun socio in assemblea è proporzionato
all’ammontare di capitale sociale sottoscritto (criterio puramente capitalistico).
Nelle società di persone invece:
a. Non è prevista un’organizzazione di tipo corporativo
b. L’attività della società si fonda su un modello organizzativo che per un verso riconosce ad
ogni socio a responsabilità illimitata il potere di amministrare la società, e per altro verso
richiede di regola il consenso di tutti i soci per le modificazioni dell’atto costitutivo.
c. Il singolo socio a responsabilità illimitata è investito del potere di amministrazione e di
rappresentanza della società e ciò indipendentemente dall’ammontare del capitale
conferito e dalla consistenza del suo patrimonio personale.

Ultimo criterio di distinzione è quello basato sul regime di responsabilità per le obbligazioni sociali.
Sotto tale profilo vi sono:
1. Società nelle quali per le obbligazioni sociali rispondono sia il patrimonio sociale sia i singoli
soci personalmente ed illimitatamente, in modo inderogabile o con possibilità di deroga
pattizia per i soli soci non amministratori.
2. Società, come l’accomandita semplice e per azioni, nelle quali coesistono istituzionalmente
soci a responsabilità illimitata (accomandatari) e soci a responsabilità limitata
(accomandandanti).
3. Società nelle quali per le obbligazioni sociali di regola risponde solo la società col proprio
patrimonio (s. per azioni e a responsabilità illimitata e s. cooperative).
L’unica regola costante a riguardo è che nelle società di persone non è consentito che tutti i soci
siano a responsabilità limitata e l’amministrazione della società può essere affidata solo ai soci a
responsabilità illimitata.

Personalità giuridica ed autonomia patrimoniale delle società.


Il codice di commercio del 1882 definiva unitariamente i 3 tipi di società allora previsti (società n
nome collettivo, società in accomandita e società anonima) come enti collettivi distinti dalle
persone dei soci e questa formula diede luogo ad una vivace disputa sul punto se tutte le società
dovessero considerarsi persone giuridiche. Il legislatore operò una netta distinzione: società di
captali e società cooperative sono persone giuridiche; la personalità giuridica è invece negata alle
società di persone. Quest’ultime però godono di autonomia patrimoniale.

77
Queste scelte tuttavia alimentano ancora dei contrasti teorici e pratici: personalità giuridica ed
autonomia patrimoniale costituiscono due diverse tecniche legislative per realizzare un medesimo
disegno di politica economica: creare le condizioni di diritto privato più propizie per la diffusione e
lo sviluppo delle imprese societarie. Condizioni che risiedono per un verso nella previsione di
un’adeguata tutela dei creditori delle imprese societarie e per altro verso in incentivi giuridici che
facciano propendere l’iniziativa economica privata verso il modello societario.
Sotto il primo profilo il legislatore concede ai creditori sociali un trattamento preferenziale rispetto
ai creditori personali dei sci, facendo del patrimonio delle società un patrimonio in via di principio
aggredibile solo dai primi e non anche dai secondi. Sotto il secondo profilo il legislatore consente a
quanti costituiscono una società di creare un diaframma tra il proprio patrimonio personale e le
obbligazioni contratte collettivamente nell’esercizio dell’impresa comune.
Nelle società di capitali e nelle società cooperative questo duplice obiettivo è conseguito in modo
diretto e lineare con il riconoscimento della personalità giuridica. In quanto persone giuridiche
queste società sono trattate come soggetti di diritto formalmente distinti dalle persone dei soci. la
società è posta in posizione di alterità soggettiva rispetto ai soci e gode di autonomia patrimoniale.
I beni conferiti dai soci diventano formalmente beni di proprietà della società: questa è titolare di
un proprio patrimonio, di propri diritti e di proprie obbligazioni, distinti da quelle personali dei
soci. Ne consegue che sul patrimonio sociale non possono più soddisfarsi i creditori personali dei
soci in quanto si tratta di un patrimonio giuridicamente appartenente ad altro soggetto. Né i
creditori sociali possono soddisfarsi sul patrimonio personale dei soci: delle obbligazioni sociali
risponde solo la società col proprio patrimonio.
Tuttavia la personalità giuridica dee società non implica sempre e comunque irresponsabilità dei
soci per le obbligazioni sociali. Responsabili personalmente sono infatti per legge in via sussidiaria:
l’unico azionista e l’unico quotista di società a responsabilità limitata, i soci accomandatari
dell’accomandita per azioni. Il che non toglie però che tale responsabilità personale dei soci deve
essere formalmente configurata come responsabilità per debito altrui a carattere eccezionale, e
deve perciò essere riconosciuto alle norme che la sanciscono.
La soggettività delle società di persone.
Ad esse il legislatore ha formalmente negato la personalità giuridica. Nel contempo però ha
provveduto a soddisfare le esigenze di tutela dei creditori sociali e di incentivazione dei soci con
rispettive disposizioni che rendono il patrimonio della società autonomo rispetto a quello dei soci,
oltre che stabilmente vincolato allo svolgimento di attività di impresa.
Infatti, nelle società di persone:
a. I creditori personali dei soci non possono aggredire il patrimonio della società per
soddisfarsi. Finchè dura la società, possono solo far valere i loro diritti sugli utili spettanti al
proprio debitore e compiere atti conservativi sulla quota allo stesso spettante nella
liquidazione della società. Questo principio subisce un parziale temperamento nella società
semplice ed in caso di proroga delle altre società di persone in quanto è concesso al
creditore personale del socio di ottenere la liquidazione della quota del proprio debitore,
qualora gli altri beni di questo siano insufficienti a soddisfare i suoi crediti.

78
b. I creditori della società non possono aggredire direttamente il patrimonio personale dei soci
illimitatamente responsabili. È necessario che prima tentino di soddisfarsi sul patrimonio
della società e solo dopo aver infruttuosamente escusso il patrimonio sociale potranno
agire nei confronti dei soci. La responsabilità di quest’ultimi per le obbligazioni sociali è
sussidiaria rispetto a quella delle società.
In sintesi anche nelle società di persone il patrimonio della società è relativamente autonomo
rispetto a quello dei soci; il patrimonio dei soci è relativamente autonomo rispetto a quello della
società.
Tuttavia, nelle società di persone la distinzione formale società-soci si esaurisce sul terreno
oggettivo (autonomia patrimoniale) oppure è da ritenersi che anche tali società sono trattate
come centri di imputazione giuridica (soggetti di diritto) distinti dalle persone dei soci?
Decisamente prevalente è la risposta negativa; poiché a tali società non è riconosciuta la
personalità giuridica si sostiene che nelle stesse i beni sociali devono essere considerati beni in
comproprietà, sia pure “speciale e modificata” dei soci. Si ritiene poi che le obbligazioni sociali
debbano essere qualificate come obbligazioni proprie dei soci (obbligazioni collettive) e che la
responsabilità personale ed illimitata degli stessi si atteggia come responsabilità per debito
proprio. Inoltre, si qualificano i soci come veri e propri coimprenditori in quanto ad essi sarebbe
direttamente imputabile l’attività d’impresa e la loro esposizione a fallimento in caso di fallimento
della società trova fondamento nella loro personale qualità di imprenditori commerciali.
Se le cose stanno così sul piano sostanziale, non vale lo stesso per il piano giuridico-formale.
Numerosi dati legislativi infatti testimoniano con chiarezza che un fenomeno di unificazione
soggettiva è presente anche nelle società di persone.
Art 2266 co.1: “la società acquista diritti ed assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno
la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi.” È quindi la società (gruppo
unificato dei soci) che diventa titolare dei diritti e delle obbligazioni relative, al pari di qualsiasi
altro soggetto di diritto. Ed ogni possibile dubbio al riguardo è fugato dall’art 2659 cod.civ. che
stabilisce espressamente che la trascrizione negli acquisti immobiliari è effettuata anche per le
società di persone, al nome della società. Ed analoga regola è dettata per l’iscrizione delle
ipoteche.
Se a tutto ci si aggiunge che e società di persone hanno un proprio nome e una propria sede, è
gioco forza concludere che anche esse sono trattate come autonomi centri di imputazione, come
soggetti di diritto distinti dalle persone dei soci.
In sostanza:
a. Anche nelle società di persone i beni sociali non sono beni di comproprietà speciale tra i
soci, bensì beni in proprietà della società
b. Le obbligazioni sociali non sono obbligazioni personali dei soci ma obbligazioni della
società, cui si aggiunge a titolo di garanzia la responsabilità di tutti o di alcuni dei soci
c. La responsabilità personale dei soci non è qualificabile come responsabilità per debito
proprio

79
d. Imprenditore è la società non il gruppo dei soci, anche se il fallimento della società
determina automaticamente il fallimento dei soci illimitatamente responsabili.
Forse per descrivere la specifica forma di alterità delle società di persone sarebbe più appropriata
la formula “soggetto collettivo non personificato”, ipotizzato tertium genus tra persone fisiche e
persone giuridiche.

Tipi di società e autonomia privata.


Quanti costituiscono una società possono liberamente scegliere tra tutti i tipi di società previsti se
l’attività da esercitare non è commerciale; tra tutti i tipi tranne la società semplice se l’attività è
commerciale.
La scelta di un determinato tipo non è tuttavia condizione essenziale per la valida costituzione di
una società. Non lo è certamente se l’attività non è commerciale. L’art 2249 co.2 stabilisce che in
tal caso si applica la disciplina della società semplice, nel silenzio dei soci.
Anche quando l’attività è commerciale un’esplicita scelta del tipo non è necessaria. Il silenzio delle
parti in merito può essere interpretato come implicita opzione per il regime della società in nome
collettivo.
Accertato che sussiste l’accordo delle parti sui requisiti fissati dall’art 2247 il contratto di società è
perfetto. Se l’attività dedotta in contratto è un’attività commerciale, a disciplina applicabile non
può che essere quella collettiva.
La società semplice e la società in nome collettivo costituiscono perciò i regimi residuali
dell’attività societaria, rispettivamente non commerciale e commerciale.
Scelto un determinato tipo di società le parti possono disegnare un assetto organizzativo della loro
società parzialmente diverso da quello del tipo prescelto. I modelli fissati dal legislatore per i
singoli tipi di società infatti non sono del tutto rigidi, è necessario però che le clausole a tal fine
introdotte nell’atto costitutivo (clausole atipiche) non siano incompatibili con la disciplina del tipo
di società prescelto.
Tuttavia i limiti che l’autonomia privata incontra nell’inserimento di clausole atipiche non sempre
sono agevolmente definibili in concreto. In via generale può solo osservarsi che carattere cogente
e non derogabile rivestono i regimi di responsabilità per le obbligazioni sociali e ciò per l’ovvia
ragione che essi coinvolgono anche la posizione dei terzi. Più ampio spazio va invece riconosciuto
nelle società di persone all’autonomia privata per quanto riguarda l’ordinamento interno della
società.
Accertato che una determinata clausola è incompatibile col tipo di società prescelto, la sanzione di
regola sarà la nullità della clausola stessa (nullità parziale), non la nullità dell’intero contratto di
società.
È invece da ritenersi inammissibile la creazione di un tipo di società del tutto inconsueto e
stravagante: i tipi di società costituiscono un numero chiuso, non sono ammissibili società atipiche,

80
principio che trova fondamento nell’esigenza di tutela dei terzi. La sanzione prevede la nullità della
società atipica e la sua eliminazione dal mercato.
Dalle clausole societarie atipiche vanno poi tenuti distinti i patti parasociali. È frequente che, al
momento della costituzione della società, i soci stipulino al di fuori dell’atto costitutivo accordi
destinati a regolare il loro comportamento nella società o verso la società. Es: si impegnano ad
effettuare futuri apporti di danaro a titolo di conferimento o prestito, o a concordare
preventivamente il modo in cui voteranno nelle assemblee della società (sindacati di voto), ecc…
Tali accorti si definiscono patti parasociali perchè non risultano consacrati nell’atto costitutivo
della società e rimangono distinti da questo.
A differenza delle clausole dell’atto costitutivo, i patti parasociali hanno efficacia meramente
obbligatoria, vincolano cioè solo gli attuali soci contraenti e non anche i soci futuri a meno che
questi non ne aderiscano esplicitamente. La loro eventuale invalidità non incide sulla validità della
società e sugli atti societari su cui sono destinati a riflettersi. Infine, la loro violazione espone solo
all’obbligo del risarcimento dei danni nei confronti degli altri soci.
Contratto di società ed organizzazione.
La società di regola è un contratto ma è al contempo forma di organizzazione giuridica di una
futura attività economica. Dall’atto di autonomia privata che dà vita ad una società nasce
un’organizzazione di persone e mezzi destinata a dare attuazione al contratto di società, attraverso
la produzione di una serie indefinita di nuovi atti giuridici in cui si concretizza l’esercizio della
comune attività.
Con la stipula del contratto di società le parti contraenti diventano membri della struttura
organizzativa così creata; acquistano la qualità di soci e diventano titolari di una serie articolata di
situazioni soggettive di diversa natura, sia attive che passive, distinguibili in:
a. Situazioni di natura amministrativa, aventi ad oggetto la partecipazione individuale
all’attività comune (diritto di voto, potere di amministrare la società e rappresentarla di
fronte ai terzi)
b. Situazioni di natura patrimoniale, aventi ad oggetto la partecipazione individuale ai
risultati dell’attività comune, durante la vita delle società ed al momento dello scioglimento
della stessa (diritto agli utili e alla quota di liquidazione, partecipazione alle perdite).
Le situazioni soggettive di cui ciascun socio è investito variano per contenuto e grado nei singoli
tipi di società.
I diritti di cui ciascun scio gode vanno inseriti e valutati nell’ambito dell’organizzazione di gruppo
creata col contratto di società. In essa sono destinati ad esprimersi i diritti amministrativi, per la
realizzazione dell’interesse di gruppo in comune programmato, e tramite l’organizzazione di
gruppo è destinato a trovare soddisfacimento l’interesse individuale e finale di ciascun socio alla
percezione del risultato positivo dell’attività comune.
Perciò, l’inserimento del singolo in un gruppo organizzato giustifica la subordinazione degli
interessi individuali al comune interesse di gruppo, nei punti in cui l’ordinamento rimette alla
maggioranza dei soci la definizione delle scelte relative all’attuazione del contratto sociale.

81
L’organizzazione societaria resta pur sempre però un’organizzazione strumentale: è mezzo per
migliorare attuazione del contratto di società ed è quest’ultimo a fissare le basi della
partecipazione di ciascun socio all’attività comune ed ai risultati della stessa. Ne consegue che il
sacrificio delle posizioni individuali deve sempre trovare fondamento e giustificazione nell’esigenza
di una migliore realizzazione del risultato finale di comune interesse. Non è legittimo il sacrificio
del sinolo socio o di gruppi di soci a vantaggio degli altri, ma solo in nome dell’interesse finale di
tutti.
Principi cardine che regolano la fase attuativa di ogni contratto:
a. Principio dell’esecuzione del contratto secondo correttezza e buona fede
b. Quello ulteriore del rispetto della parità di trattamento sostanziale tra i soci
Questi principi sono argini ai possibili comportamenti abusivi della maggioranza.

CAPITOLO 2
LA SOCIETÀ SEMPLICE.
LA SOCIETÀ IN NOME COLLETTIVO.

Le società di persone.
La società semplice, la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice formano la
categoria delle società di persone.
La società semplice è un tipo di società che può esercitare solo attività non commerciale, la società
in nome collettivo è un tipo di società che può essere utilizzato sia per l’esercizio di attività
commerciale, sia per l’esercizio di attività non commerciale.
La società in accomandita semplice è una società di persone che si caratterizza rispetto alla società
in nome collettivo per la presenza istituzionale di due categorie di soci:
a. i soci accomandatari che rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni
sociali
b. i soci accomandanti che rispondono limitatamente alla quota conferita

82
è un tipo di società che dev’essere in ogni caso scelto dalle parti.

La società semplice ha un particolare rilievo normativo nell’ambito delle società di persone, in


quanto la disciplina per essa dettata è in linea in linea di principio applicabile anche alla collettiva
ed all’accomandita semplice per i rinvii operati dal legislatore.
La società semplice costituisce perciò il prototipo normativo delle società di persone, tuttavia nella
pratica non ha avuto una significativa diffusione. Il codice infatti ne circoscrive l’utilizzabilità al
settore delle attività non commerciali e ciò ha comportato che essa fino a poco fa poteva essere
legittimamente impiegata solo per le imprese agricole.
Vero è però che in tempi recenti la legislazione speciale ha ampliato l’ambito di utilizzazione della
società semplice, ma finora con risultati deludenti.

A. LA COSTITUZIONE DELLE SOCIETÀ


L’atto costitutivo. Forma e contenuto.
Il contratto di società semplice non è soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura
dei beni conferiti. Inoltre, non sono dettate disposizioni specifiche per quanto riguarda il
contenuto dell’atto costitutivo.
In base al codice del 42 la società semplice non era altresì assoggettata ad iscrizione nel registro
delle imprese. A riguardo la situazione è però oggi cambiata in seguito ad un duplice intervento
legislativo.
Con la riforma del registro delle imprese del 93 anche per le società semplici era prevista
l’iscrizione nel registro delle imprese. La legge 580/1993 stabilisce che l’iscrizione avviene nella
sezione speciale ed è priva di specifici effetti giuridici avendo solo funzione di certificazione
anagrafica e di pubblicità notizia. Sul punto è però intervenuto il d.lsg. 18-5-2001 che ha attribuito
funzione di pubblicità legale, efficacia dichiarativa, all’iscrizione delle società semplici esercenti
attività agricola.
Per lo stratificarsi nel tempo di interventi legislativi non organici si è venuto a creare un duplice e
poco razionale sistema di pubblicità.
La costituzione della società semplice resta comunque improntata alla massima semplicità formale
e sostanziale, anche perché la registrazione non incide né sull’esistenza né sulla disciplina della
società.
In particolare il contratto di società semplice può essere concluso anche verbalmente o può
risultare da comportamenti concludenti (società di fatto). L’eventuale silenzio delle parti in merito
ad aspetti anche essenziali del contratto di società, è colmato dal legislatore con norme suppletive
Regole analoghe valgono per la nascita della società in nome collettivo. Sono sì dettate regole di
forma e di contenuto per l’atto costitutivo, le une e le altre sono però prescritte solo ai fini
dell’iscrizione della società nel registro delle imprese; iscrizione che a differenza della s. semplice è
condizione di regolarità della società, ma non è elevata a condizione di esistenza della stessa.

83
Da qui la distinzione tra società in nome collettivo regolare ed irregolare. È regolare la società in
nome collettivo iscritta nel registro delle imprese. Essa è integramente disciplinata dalle norme
della società in nome collettivo. Invece è irregolare la società in n.coll. non iscritta nel r. delle
imprese.
Quindi, solo ai fini della registrazione e della regolarità della società l’atto costitutivo della s. in
nome collettivo deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata. Deve
inoltre contenere le seguenti indicazioni:
1. Il cognome e nome, il luogo e la data di nascita, il domicilio, la cittadinanza dei soci
2. La ragione sociale, che deve essere costituita da nome di uno o più soci con l’indicazione
del rapporto sociale
3. I soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza della società
4. La sede della società e le eventuali sedi secondarie
5. L’oggetto sociale
6. I conferimenti di ciascun socio, il valore ad essi attribuito e il modo di valutazione
7. Le prestazioni a cui sono obbligati i soci d’opera
8. Le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli
utili e nelle perdite
9. La durata della società
Anche ai fini della registrazione non tutte queste indicazioni sono però essenziali. E non lo sono in
particolare quelle di cui ai n.3 e 8, la cui mancanza è supplita da norme di legge.
La libertà di forma per la costituzione di società di persone incontra un limite quando forme
speciali sono richieste dalla natura dei beni conferiti. La forma scritta a pena di nullità sarà quindi
necessaria quando il conferimento ha per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, anche
per il semplice godimento a tempo indeterminato o superiore a 9 anni.
È tuttavia opinione diffusa che la forma scritta è richiesta solo per la validità del conferimento
immobiliare, non per la validità del contratto di società. In mancanza perciò sarà nullo solo il
vincolo del socio conferente e la nullità della società potrà aversi solo quando la partecipazione di
quel socio rivesta carattere essenziale.
Inoltre, il conferimento senza atto scritto di un immobile non darà sempre luogo alle conseguenze
sovracitate. Qualora il conferimento a titolo di proprietà non sia indispensabile per lo svolgimento
dell’attività sociale, l’applicazione del principio di conservazione del contratto consente di
interpretare la volontà delle parti nel senso che l’immobile è stato conferito a titolo di godimento
infranovennale. (durata massima compatibile con la mancanza di forma scritta).

Società di fatto. Società occulta.


Per la costituzione di una società di persone non è necessario l’atto scritto. Società di fatto: il
contratto di società può perfezionarsi anche per fatti concludenti.
La società di fatto è regolata dalle norme della società semplice se non esercita attività
commerciale, dalle norme della collettiva irregolare se svolge attività commerciale.

84
Una società di fatto che esercita attività commerciale è esposta al fallimento al pari di ogni
imprenditore commerciale. Ed il fallimento della società determina automaticamente il fallimento
di tutti i soci, sia i soci palesi sia i soci occulti. La prova dell’esistenza dei soci occulti può basarsi
anche su presunzioni rivelatrici degli elementi essenziali del contratto di società nei soli rapporti
interni, purchè gli indizi siano univoci e concordanti.
L’esteriorizzazione della qualità di socio perciò non è necessaria. L’aver celato ai terzi la propria
partecipazione ad una società di fatto non esonera da responsabilità per le obbligazioni sociali e
dal fallimento.
Dalla società con soci occulti va distinto il fenomeno della società occulta. È società occulta la
società costituita con l’espressa e concorde volontà dei soci di non rivelarne l’esistenza all’esterno.
La società occulta può essere una società di fatto, ma può risultare anche da un atto scritto tenuto
ovviamente segreto dai soci. Ciò che la caratterizza comunque è che l’attività di impresa deve
essere svolta ed è svolta per conto della società, ma senza spendere il nome.
La società esiste nei rapporti interni tra i soci ma non viene esteriorizzata. Lo scopo che le parti si
propongono di realizzare è quello di limitare la responsabilità nei confronti dei terzi al patrimonio
del solo gestore; di evitare quindi che la società e gli altri soci rispondano delle obbligazioni di
impresa e siano esposti al fallimento.
Questi obiettivi sono di per sé leciti e possono essere conseguiti con gli strumenti appositamente
apprestati dall’ordinamento: in particolare è possibile costituire e controllare una società di
capitali anche unipersonale; in questo caso la limitazione della responsabilità e l’esenzione al
fallimento vengono conseguiti in modo trasparente e trovano applicazione in una serie di istituti
posti a tutela dei terzi.
Tramite la società occulta invece i soci mirano a conseguire tali benefici segretamente, e pertanto
al di fuori di ogni regola e controllo. La giurisprudenza ha perciò da tempo reagito contro questo
fenomeno. Necessario e sufficiente a tal fine, si afferma, è che i terzi provino a posteriori
l’esistenza del contratto di società e che gli atti posti in essere dal soggetto agente siano riferibili a
tale società. Quindi, dichiarato il fallimento di un imprenditore individuale, il fallimento viene
esteso alla società e agli altri soci occulti.
Il nuovo art 147 co.5 con la riforma del diritto fallimentare prevede che qualora dopo la
dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l’impresa è riferibile ad una
società di cui è fallito il socio illimitatamente responsabile, si applica agi altri soci illimitatamente
responsabili la regola del fallimento del socio occulto.
In breve: ai fini della dichiarazione di fallimento la legge tratta allo stesso modo il socio occulto di
società palese e la società occulta.
Sono considerati indici probatori di una società occulta il sistematico finanziamento di un
imprenditore individuale anche attraverso il rilascio di fideiussioni omnibus, la partecipazione a
trattative di affari con i fornitori, il compimento di atti di gestione, il prelievo di somme di
pertinenza dell’impresa e così via.
La parificazione operata in tal senso tra le due tuttavia non deve confondere i due fenomeni, che
sono profondamente diversi sotto il profilo giuridico.
85
Nel caso di socio occulto di società palese l’attività di impresa è svolta in nome della società e ad
essa è certamente imputabile in tutti i suoi effetti.
Nel caso di società occulta invece l’attività di impresa non è svolta in nome della società; gli atti di
impresa non sono ad essa formalmente imputabili. Chi opera nei confronti dei terzi agisce in nome
proprio, quindi come mandatario senza rappresentanza della s. occulta. Quindi a lui e non alla
società sono imputabili gli atti di impresa ed i relativi effetti. Il fallimento della società occulta è
dunque norma eccezionale.
A diversa conclusione si potrebbe giungere solo ammettendo che ai fini dell’imputazione della
responsabilità per i debiti di impresa non vale solo il criterio formale della spendita del nome ma
anche il criterio sostanziale della titolarità dell’interesse. Tuttavia ragioni di giustizia sostanziale
inducono ad optare per il solo criterio formale di imputazione.
Se è così troverà applicazione la disciplina del mandato e l’imprenditore individuale potrà agire nei
confronti della società o dei soci occulti per farsi somministrare i mezzi necessari per l’esecuzione
del mandato e per l’adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratto in
proprio nome. In breve, fuori dalle procedure concorsuali è l’actio mandati contraria il mezzo di
tutela dei creditori dell’imprenditore individuale nei confronti della società occulta
successivamente scoperta.
La società apparente
Capita spesso che il giudice si convinca che dietro un imprenditore individuale, insolvente o fallito,
ci sia una società. Si convince di ciò in base a comportamenti degli indiziati nei confronti dei terzi,
quali il rilascio di fideiussioni o di avvalli a favore dell’imprenditore individuale, il pagamento di
debiti e/o partecipazione a trattative di affari insieme allo stesso.
Nello stesso tempo però il giudice si accorge che gli indici probatori raccolti sono fragili e non
totalmente convincenti. È per questo che è emersa una creazione giurisprudenziale, quella della
società apparente: la giurisprudenza afferma infatti che una società ancorchè non esistente nei
rapporti tra i presunti soci, deve tuttavia considerarsi esistente all’esterno quando due o più
persone operino in modo da ingenerare nei terzi la ragionevole opinione che essi agiscono come
soci e quindi da determinare in essi l’incolpevole affidamento circa l’esistenza effettiva della
società. Viene così preclusa la possibilità degli apparenti soci di eccepire l’inesistenza della società
e la società apparente è assoggettata a fallimento come una s. di fatto esistente.
Ci sono state parecchie critiche nei confronti di questo istituto, che tuttavia non hanno scalfito
l’atteggiamento della giurisprudenza che continua ad applicare questo istituto.

La partecipazione degli incapaci.


La partecipazione ad una società di persone richiede la capacità di agire ed è atto eccedente
l’ordinaria amministrazione.
La partecipazione degli incapaci ad una società in nome collettivo è inoltre per legge equiparata
all’esercizio individuale di un’impresa commerciale. Infatti è subordinata in ogni caso

86
all’osservanza degli art 320,371,397,424,4225: norme che regolano l’esercizio di un’impresa
commerciale individuale da parte degli incapaci.

Perciò:
a. Il minore, l’interdetto e l’inabilitato non possono partecipare ex novo ad una società in
nome collettivo. Con l’autorizzazione del tribunale possono solo conservare la
partecipazione che ad essi provenga per donazione o per successione. Inoltre, in caso di
interdizione o inabilitazione sopravvenuta, il tribunale può autorizzare la continuazione
della partecipazione
b. Il minore emancipato può anche partecipare alla costituzione di una collettiva o aderirvi
successivamente, sempre con l’autorizzazione del tribunale.
c. Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può partecipare alla costituzione di una
società in nome collettivo o aderirvi successivamente senza autorizzazione, salvo che sia
diversamente disposto nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno o con
successivo decreto del giudice tutelare.

Partecipazione di società in società di persone.


Prima della riforma del diritto societario la giurisprudenza era nettamente contraria mentre la
dottrina era prevalentemente favorevole alla partecipazione di società di capitali in società di
persone.
Con singolare inversione di posizioni la giurisprudenza era favorevole e la dottrina era divisa
sull’ammissibilità di società di perone in altre società di persone.
Per le società di capitali la questione è definitivamente risolta dagli art 2361 co.2 e 111-duodecies
disp. Att. Cod.civ. :
a. L’assunzione di partecipazioni comportanti responsabilità illimitata deve essere deliberata
dall’assemblea. Ciò induce ad escludere che una società di capitali possa partecipare ad
una società di fatto per comportamento concludente posto in essere dai propri
amministratori senza approvazione assembleare.
b. Gli amministratori devono dare specifiche informazioni nella nota integrativa del bilancio
su tali partecipazioni
c. Se tutti i soci illimitatamente responsabili di una società in nome collettivo oppure di una
società in accomandita semplice sono società di capitali, il bilancio della società di persone
deve essere redatto secondo le norme della società per azioni e dev’essere redatto e
pubblicato anche il bilancio consolidato.
È da ritenere lecito anche che una società di capitali sia amministratore di una società di persone.

87
Risposta affermativa doveva e deve darsi anche per la partecipazione di società di persone in altre
società di persone, sia come socio a resp. Illimitata sia come socio a resp. limitata (accomodante).
Obiezioni passate: le società di persone sono caratterizzate dall’intuitus personae e un rapporto
fiduciario è concepibile solo tra persone fisiche.  smentita, tale intuitus è configurabile anche nei
confronti degli enti con soggettività giuridica ed esso costituisce carattere normale ma non
essenziale delle società di persone.
Non vale poi nemmeno l’obiezione principale per le società di persone che induceva in passato ad
escludere la partecipazione di società di capitali in società di persone: cioè che le persone fisiche
socie della società di capitali avrebbero potuto di fatto gestire direttamente la società di persone
sottraendosi alla responsabilità illimitata prevista dalla legge. Infatti, il solo effetto rilevante che si
produce quando una società di persone è socio illimitatamente responsabile di altre società di
persone, è una parziale modifica del regime della responsabilità dei soci della società partecipante.
I creditori della società di persone partecipata potranno aggredire il patrimonio personale dei soci
della società partecipante solo dopo aver inutilmente escusso sia il patrimonio della prima società
che della seconda.
L’invalidità della società.
Il codice non detta alcuna disposizione specifica per quanto riguarda l’invalidità del contratto
costitutivo di una società di persone. Valgono perciò in materia le cause di nullità e le cause di
annullabilità previste dalla disciplina generale dei contratti. Si avrà perciò nullità quando il
contratto è contrario a norme imperative, quando l’oggetto è impossibile o illecito o quando
illecito è il motivo comune determinante. Si avrà annullabilità in caso di incapacità delle parti o di
consenso viziato per errore, violenza o dolo.
È necessario tuttavia distinguere tra cause di invalidità che colpiscono originariamente ed
immediatamente l’intero contratto di società e cause di invalidità che colpiscono direttamente solo
la singola partecipazione. Infatti, l’applicazione della disciplina dei contratti associativi prevede che
l’invalidità della singola partecipazione comporta invalidità dell’intero contratto solo se la
partecipazione viziata è essenziale per il conseguimento dell’oggetto sociale.
La dichiarazione di nullità o l’annullamento dell’intero contratto di società non soleva particolari
problemi se l’attività della società non è ancora iniziata. In particolare la sentenza che accerta la
nullità produrrà effetto ex tunc: le parti sono liberate dall’obbligo di eseguire i conferimenti
promessi ed hanno diritto alla restituzione di quelli eventualmente eseguiti.
La situazione è problematica invece quando l’attività sociale è di fatto iniziata, dando luogo
all’acquisto di diritti ed all’assunzione di obbligazioni nei confronti dei terzi.
Questi problemi sono affrontati dal legislatore in tema di società di capitali e sono risolti con
soluzioni che si discostano dalla disciplina generale dei contratti. Infatti, la dichiarazione di nullità
di una società per azioni non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo
l’iscrizione nel registro delle imprese. Inoltre, non libera i soci dall’obbligo di eseguire i
conferimenti ancora dovuti. Infine, la nullità non può più essere dichiarata se la causa di essa è
stata eliminata per effetto di una modificazione dell’atto costitutivo.

88
È opinione diffusa che questa disciplina abbia carattere eccezionale e non sia applicabile per
analogia alle società di persone, ritenendo che l’art 2332 trovi fondamento in aspetti peculiari
delle società di capitali e cooperative, quali la personalità giuridica delle stesse e l’effetto
costitutivo che per esse riveste l’iscrizione nel registro delle imprese.
Tale opinione tuttavia non merita di essere condivisa, in quanto le cause di invalidità di una società
che ha iniziato la propria attività legittimano l’eliminazione della stessa per il futuro, ma non
rendono improduttiva di effetti tra le parti e per i terzi l’attività in fatto svolta prima
dell’accertamento giudiziale dell’invalidità. E tale principio può ritenersi valido per tutti i gruppi
associativi con attività esterna in quanto espressione dell’autonomo rilievo giuridico dell’attività
effettivamente svolta e non di caratteri propri ed esclusivi delle sole società dotate di personalità
giuridica.
L’art 2332 è applicabile perciò anche alle società di persone.
Fermo restando che le cause di invalidità delle società di persone sono quelle previste dalla
disciplina generale dei contratti, la sentenza di nullità intervenuta dopo l’inizio dell’attività opererà
come semplice causa di scioglimento della società. Perciò:
a. Restano in vita tutti gli atti precedentemente posti in essere in nome della società
b. I soci non sono liberati dall’obbligo di eseguire i conferimenti promessi
c. Resta ferma l’autonomia patrimoniale della società e la responsabilità personale dei soci
per le obbligazioni sociali
d. Con la sentenza di nullità si apre il procedimento di liquidazione della società che porterà
all’estinzione della stessa dopo aver soddisfatto i creditori sociali e ripartito tra i soci
l’eventuale residuo attivo di liquidazione
Possibile sarà anche la “sanatoria” della nullità. La relativa deliberazione dovrà però essere
adottata col consenso di tutti i soci.

B. L’ORDINAMENTO PATRIMONIALE
I conferimenti.
L’obbligo di conferimento è essenziale per l’acquisto della qualità di imprenditore. Questo
principio è ribadito per e società di persone all’art 2253 co.1, il quale stabilisce “il socio è obbligato
ad eseguire i conferimenti determinati nel contratto sociale”.
La determinazione convenzionale del conferimento dovuto da ciascun socio non è però condizione
essenziale per la valida costituzione di società di persone. All’eventuale silenzio delle parti
supplisce la legge con norme dispositive suscettibili di prova contraria. Infatti:
a. Nel silenzio del contratto si presume che tutti i conferimenti devono essere eseguiti in
danaro
b. Se i conferimenti non sono determinati si presume che i soci siano obbligati a conferire in
parti uguali tra loro quanto è necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale (attività
programmata all’epoca della stipulazione del contratto)

89
Diversamente da quanto avviene nelle società per azioni, nessuna limitazione è posta poi
all’autonomia privata per quanto riguarda le entità conferibili. Nelle società di persone può essere
conferita ogni entità (bene o servizio) suscettibile di valutazione economica ed utile per il
conseguimento dell’oggetto sociale. Quindi in sostanza qualsiasi prestazione di dare, fare o non
fare.
Il conferimento quindi può essere costituito anche dal trasferimento in proprietà o in godimento di
un’azienda pur se gravata da debiti; dalla prestazione di garanzie (fideiussione, avallo o atra firma
cambiaria) a favore della società; dall’inserimento del nome del socio nella ragione sociale quando
si tratti di persona che gode credito sul mercato e perciò ne può apportare alla società
consentendo che il proprio nome figuri in ditta.
Si è inoltre propensi ad ammettere che il conferimento possa essere costituito anche dalla
semplice responsabilità personale ed illimitata per le obbligazioni sociali. Il che però significa
negare l’essenza stessa del conferimento, infatti la resp. personae è effetto legale dell’acquisto
della qualità di socio, acquisto che presuppone un conferimento.
In verità l’enunciazione che il conferimento è costituito dall’assunzione di responsabilità personale
rappresenta un espediente per affermare nel caso concreto l’esistenza di una società di fatto
(occulta o apparente) quando proprio non si riesce a trovare null’altro sotto tale profilo.
La disciplina dei conferimenti.
Il codice detta una specifica disciplina per alcuni tipi di conferimenti diversi dal danaro:
conferimento di beni in natura, conferimento di crediti, conferimento d’opera. Tuttavia questa
disciplina è frammentaria e in larga parte si risolve nel rinvio ad altre norme.
Per il conferimento dei beni in proprietà è disposto che “la garanzia dovuta dal socio e il passaggio
dei rischi sono regolati dalle norme sulla vendita”. Il socio quindi è tenuto alla garanzia per
evizione e per vizi. Sul socio grava inoltre il rischio del perimento per caso fortuito della cosa
conferita finquando la proprietà non sia passata alla società, (il trasferimento di proprietà alla
società si verifica con la stipulazione del contratto di società per le cose determinate, a seguito
della loro specificazione invece se si tratta di cose individuate solo nel genere.)
L’applicazione del principio res perit domino subisce tuttavia un adattamento per le peculiarità del
contratto di società: il perimento della cosa promessa prima che la proprietà sia acquistata dalla
società comporta che il socio può (ma non deve) essere escluso dalla società. Inoltre, fin quando
l’esclusione non sia stata deliberata, il socio partecipa ai risultati attivi e passivi dell’attività sociale.
Per le cose conferite in godimento il rischio resta a carico del socio che le ha conferite. Questi
potrà essere escluso dalla società qualora la cosa perisca o il godimento diventi impossibile per
causa non imputabile agli amministratori.
La garanzia per il godimento è poi regolata con rinvio alle norme sula locazione. Il bene conferito
rimane ovviamente in proprietà del socio, la società ne può godere ma non disporne. Il socio ha
diritto alla restituzione del bene al termine della società nello stato in cui si trova. Se il bene è stato
deteriorato per causa imputabile alla società, il socio ha diritto al risarcimento dei danni a carico
del patrimonio sociale, salva l’azione contro gli amministratori.

90
Caso di conferimento di crediti: in caso di insolvenza del debitore ceduto, il socio risponderà ex
lege nei confronti della società nei limiti del valore assegnato al suo conferimento. Sarà inoltre
tenuto al rimborso delle spese e a corrispondere gli interessi.
Socio d’opera.
Nella società di persone il conferimento può essere costituito anche dall’obbligo del socio di
prestare la propria attività lavorativa (manuale o intellettuale) a favore della società.
Il socio d’opera non è un lavoratore subordinato e non ha diritto al trattamento salariale e
previdenziale proprio dei lavoratori subordinati. Il compenso per il suo lavoro è rappresentato
dalla partecipazione ai guadagni della società. Il socio d’opera perciò corre il rischio
dell’impossibilità di svolgimento della prestazione, anche per causa a lui non imputabile. Gli altri
soci infatti possono escluderlo anche per la “sopravvenuta inidoneità a svolgere l’opera conferita”.
In sede di liquidazione della società inoltre egli parteciperà in proporzione alla sua part nei
guadagni solo alla ripartizione dell’eventuale attivo che residua dopo il rimborso del valore
nominale del conferimento ai soci che hanno apportato capitali. Non ha invece diritto al rimborso
del valore del suo apporto, ovvero a percepire una somma di denaro pari al valore globale dei
servizi prestati in società.
Il punto tuttavia non è pacifico; il timore che in tal modo il socio d’opera subisca un trattamento di
sfavore induce parte della dottrina a sostenere che anch’egli abbia diritto al rimborso del
conferimento. L’obiezione tuttavia non è decisiva, nessun conferimento da rimborsare è infatti
stato effettuato dal socio d’opera: egli si è impegnato a lavorare in società e da tale obbligo è
liberato con lo scioglimento della stessa.
In ogni caso nulla vieta che anche ai soci d’opera sia pattiziamente riconosciuto il diritto alla
restituzione del valore dell’apporto. In mancanza però concorrerà solo nel riparto dell’eventuale
eccedenza, secondo la quota di partecipazione agli utili. Quest’ultima diventa perciò decisiva ai fini
dell’equilibrio delle posizioni reciproche. In mancanza di pattuizioni la parte del socio d’opera è
determinata dal giudice secondo equità.
Patrimonio sociale e capitale sociale.
I conferimenti dei soci formano il patrimonio iniziale della società. Questa in particolare diventa
proprietaria dei beni conferiti a tal titolo dai soci. I soci non possono pertanto servirsi delle cose
appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quello della società. La violazione del divieto
espone al risarcimento dei danni ed all’esclusione dalla società. Il divieto è però derogabile col
consenso di tutti gli altri soci.
La nozione di capitale sociale, illustrata precedentemente, è del tutto assente nella disciplina della
società semplice. E nessuna norma è dettata per garantire che il patrimonio netto della società
(differenza tra attività e passività) presenti un’eccedenza pari almeno alla cifra del capitale sociale
(ovvero pari al valore originariamente attribuito ai conferimenti). Anzi, non è neppure richiesta la
valutazione iniziale dei conferimenti. Il che nella società semplice si spiega probabilmente col fatto
che essa non è obbligata alla tenuta delle scritture contabili ed alla redazione annuale del bilancio.

91
Una sia pur frammentaria disciplina del captale sociale è invece dettata per la società in nome
collettivo; è prescritto che l’atto costitutivo indichi non solo i conferimenti dei soci ma anche il
valore ad essi attribuito ed il modo di valutazione. Diversamente da quanto dettato per le società
di capitali però non è dettata alcuna disciplina per la valutazione dei conferimenti diversi dal
danaro, valutazione che deve quindi ritenersi rimessa alla libertà delle parti.
È poi questione dibattuta se sia obbligatorio sottoporre a valutazione ed imputare a capitale tutti i
conferimenti, quindi anche i conferimenti d’opera e di beni in godimento (conferimenti di
patrimonio). Un’indicazione emerge almeno per i conferimenti d’opera, dal fatto che l’art 2295 ne
prevede una separata indicazione nell’atto costitutivo e non prescrive la loro valutazione,
oltretutto estremamente aleatoria.
Queste lacune normative si riflettono anche sulla corretta applicazione delle norme a tutela
dell’integrità del capitale sociale. L’art 2303 vieta la ripartizione tra i soci di utili non realmente
conseguiti (somme che non corrispondono a un’eccedenza del patrimonio netto) rispetto al
capitale sociale nominale. La stessa norma stabilisce poi che se si verifica una perdita del capitale
sociale, non può farsi luogo alla ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o
ridotto in misura corrispondente.
La riduzione del c.s. per perdite consiste nell’adeguare la cifra del capitale sociale nominale alla
consistenza attuale del patrimonio netto, ed è sempre facoltativa nelle società in nome collettivo.
L’omesso adeguamento comporta solo che gli eventuali utili conseguiti negli esercizi successivi non
potranno essere distribuiti finquando le perdite pregresse non siano ripianate.
L’art 2306 vieta poi agli amministratori di rimborsare ai soci i conferimenti eseguiti o liberarli
dall’obbligo di ulteriori versamenti in assenza di una specifica deliberazione di riduzione del
capitale sociale, secondo le norme che regolano la modifica dell’atto costitutivo.
L’operazione comporta una riduzione reale del patrimonio netto e può quindi pregiudicare i
creditori sociali: a questi pertanto è riconosciuto il diritto di opporsi alla riduzione di capitale.
Nonostante l’opposizione tuttavia il tribunale può disporre che la riduzione abbia ugualmente
luogo previa prestazione da parte della società di un’idonea garanzia a favore dei creditori
opponenti.
La partecipazione dei soci agli utili e alle perdite.
Tutti i soci hanno diritto di partecipare agli utili e partecipano alle perdite della gestione sociale.
Essi godono tuttavia della massima libertà nella determinazione della parte a ciascuno spettante e
non è particolarmente necessario che la ripartizione sia proporzionale ai conferimenti.
Il solo limite posto all’autonomia privata è rappresentato dal divieto di patto leonino. Infatti è
nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite.
Nulli devono considerarsi anche i criteri di ripartizione congegnati in modo tale da determinare la
sostanziale esclusione di uno o più soci dalla partecipazione agli utili o alle perdite.
Sono nulli anche i patti parasociali, ovvero le convenzioni tra soci non risultanti nell’atto costitutivo
che violano il contenuto precettivo dell’art 2265. (Devono tuttavia essere privi di una propria
giustificazione causale tra le parti stipulanti).

92
Nullo è in via di principio solo il patto leonino (non la singola partecipazione o il contratto sociale),
con la conseguenza che troveranno applicazione i criteri legali di ripartizione degli utili e perdite
previsti per l’ipotesi in cui l’atto costitutivo non disponga nulla a riguardo.
L’art 2263 stabilisce che:
a. Se il contratto nulla dispone, le parti spettanti ai soci nei guadagni e perdite si presumono
proporzionali ai conferimenti
b. Se neppure il valore dei conferimenti è stato determinato, le parti si presumono uguali
c. Se è determinata solo la parte di ciascuno nei guadagni, si presume che nella stessa misura
debba determinarsi la partecipazione alle perdite (e viceversa)
La determinazione della parte di ciascun socio negli utili e nelle perdite può essere demandata
anche ad un terzo, che opererà come arbitratore.
Nella società semplice il diritto del socio di percepire la sua parte di utili nasce con l’approvazione
del rendiconto che deve essere predisposto dai soci amministratori al termine di ogni anno, salvo
che il contratto stabilisca un termine diverso.
Nella società in nome collettivo tale norma va coordinata con l’obbligo di tenuta delle scritture
contabili; il documento destinato all’accertamento di utili e perdite è un vero e proprio bilancio di
esercizio.
Inoltre, le società i cui soci siano tutti società di capitali sono anche tenute a redigere e pubblicare
il bilancio consolidato.
Il bilancio dev’essere predisposto dai soci amministratori ed è da ritenersi che l’approvazione
competa a tutti i soci, compresi i soci amministratori che l’hanno predisposto. Il punto tuttavia non
è pacifico.
Certo è invece che l’approvazione del rendiconto o del bilancio è condizione sufficiente perché
ciascun socio possa pretendere l’assegnazione della sua parte di utili.
Le perdite invece incidono direttamente sul valore della singola partecipazione sociale riducendolo
proporzionalmente con la conseguenza che in sede di liquidazione della società, il socio si vedrà
rimborsare una somma inferiore al valore originario del capitale conferito.
La responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali.
Nella società semplice e nella società in nome collettivo delle obbligazioni sociali risponde
innanzitutto la società col proprio patrimonio: “i creditori della società possono far valere i loro
diritti sul patrimonio sociale” che costituisce perciò la garanzia primaria di quanti concedono
credito alla società. Garanzia primaria ma non esclusiva, dato che per le obbligazioni sociali
rispondono personalmente ed illimitatamente anche i soci.
La disciplina è diversa tuttavia per i due tipi di società.
Nella s. semplice la responsabilità personale di tutti i soci è principio dispositivo, parzialmente
derogabile. In tale società “per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e
solidalmente tutti i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario,

93
gli altri soci”. Per quest’ultimi la responsabilità personale può quindi essere esclusa o limitata da
un apposito patto sociale.
In nessun caso comunque può essere esclusa la responsabilità di tutti i soci.
Nella società in nome collettivo invece la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci è
inderogabile. L’eventuale patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi.
In entrambe le società poi la responsabilità per le obbligazioni sociali precedentemente contratte è
estesa anche ai nuovi soci.
Inoltre, lo scioglimento parziale del rapporto sociale per morte, recesso o esclusione nonché per
cessione della quota non fa venir meno la responsabilità personale del socio per le obbligazioni
sociali anteriori al verificarsi di tali eventi. Infatti l’ex socio o gli eredi del socio defunto “sono
responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali sorte fino al giorno in cui si verifica lo
scioglimento”.
Inoltre, verso i terzi che hanno fatto affidamento incolpevole sulla persistente qualità di socio (ma
non nei rapporti interni) l’ex socio risponderà anche per le obbligazioni sorte dopo lo scioglimento
del rapporto sociale. Altrimenti il socio uscente non è responsabile per le obbligazioni sorte
successivamente allo scioglimento del rapporto sociale.
Questa norma è dettata in tema di società semplice e collettiva irregolare.
Per quanto riguarda la collettiva regolare, l’opponibilità ai terzi delle cause di scioglimento del
rapporto sociale resta soggetta al regime di pubblicità legale delle modificazioni dell’atto
costitutivo. Quindi, intervenuta l’iscrizione nel registro delle imprese dello scioglimento del
rapporto, la cessazione della responsabilità personale sarà opponibile anche ai terzi che l’abbiano
di fatto ignorato.
Responsabilità della società e responsabilità dei soci.
Nella società semplice e nella società in nome collettivo i creditori sociali hanno di fronte a sé più
patrimoni su cui soddisfarsi: il patrimonio della società e il patrimonio dei singoli soci
illimitatamente responsabili. Queste due responsabilità però non sono sullo stesso piano.
I soci sono responsabili in solido tra di loro ma sono responsabili in via sussidiaria rispetto alla
società in quanto godono del beneficio di previa escussione del patrimonio sociale.
Il beneficio di previa escussione opera però diversamente nella società semplice e nella collettiva
irregolare, rispetto alla società in nome collettivo regolare.
Nella s.semplice il creditore sociale può rivolgersi direttamente al singolo socio illimitatamente
responsabile e sarà questi a dover invocare la preventiva escussione del patrimonio sociale
indicando “i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi”. Il beneficio di escussione
opera quindi in via d’eccezione e il socio sarà tenuto a pagare ove non provi che nel patrimonio
sociale esistono beni sufficienti e prontamente ed agevolmente aggredibili dal creditore.
Questa disciplina si applica anche nella società in nome collettivo irregolare.

94
Nella società in nome collettivo regolare invece, il beneficio di escussione è più intenso: opera
automaticamente. Anche se la società è in liquidazione, i creditori sociali “non possono pretendere
il pagamento dai singoli soci se non dopo l’escussione del patrimonio sociale”. Quest’ultima è
quindi condizione per l’esercizio dell’azione contro il singolo socio.
È tuttavia opinione corretta che la preventiva escussione del patrimonio sociale non è necessaria
quando circostanze oggettive dimostrino con certezza l’inutilità della stessa.
Ricorrendo comunque le condizioni per poter agire contro i soci, il creditore potrà chiedere a
ciascuno di essi il pagamento integrale del proprio credito. Il socio che ha pagato potrà a sua volta
esercitare azione di regresso verso gli altri soci, secondo la misura della partecipazione di ciascuno
nelle perdite. Ma ancor prima dovrà agire in regresso verso la società stessa per l’intero debito,
anche se tale possibilità è solo teorica nella collettiva regolare.
Nella pratica è frequente che i creditori sociali più forti (es: banche) si facciano rilasciare dai soci
specifiche garanzie personali (avvalli o fideiussioni) per sottrarsi alle lungaggini della preventiva
escussione del patrimonio sociale in caso di inadempimento.
I creditori personali del socio.
Il patrimonio della società è insensibile alle obbligazioni personali dei soci e intangibile da parte dei
creditori di quest’ultimi. Il creditore personale del socio non può in alcun caso aggredire
direttamente il patrimonio sociale per soddisfarsi.
Inoltre, se è nel contempo debitore della società, non può compensare tale suo debito col credito
che vanta a titolo personale verso il socio.
Il creditore personale del socio non è però del tutto sprovvisto di tutela. Sia nella società semplice
sia nella collettiva egli può:
a. Far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al socio suo debitore
b. Compiere atti conservativi sulla quota allo stesso spettante nella liquidazione della società
Nella società semplice e nella società in nome collettivo irregolare, il creditore particolare del socio
può inoltre chiedere anche la liquidazione della quota del suo debitore: deve però provare che “gli
altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti”.
Neppure nel caso di esclusione di diritto del socio il creditore personale del socio può soddisfarsi
direttamente sul patrimonio sociale. La società sarà solo tenuta a versargli una somma di danaro
corrispondente al valore della quota al momento della omana.
Una diversa disciplina è dettata per la società in nome collettivo regolare. In questa, “il creditore
particolare del socio, finchè dura la società, non può chiedere la liquidazione della quota del socio
debitore”, neppure se prova che gli altri beni dello stesso siano insufficienti a soddisfarlo.
Tale regola vale tuttavia fino alla scadenza della società fissata nell’atto costitutivo. I soci possono
prorogare la durata della società con una specifica decisione ma tale decisione non può
pregiudicare i creditori particolari dei soci.
A tal riguardo l’art 2307 distingue due ipotesi:

95
a. Se la proroga è espressa ed iscritta nel registro delle imprese, il creditore particolare può
opporsi giudizialmente alla proroga entro 3 mesi dall’iscrizione della delibera. Se
l’opposizione è accolta la società deve liquidare a suo favore la quota del socio debitore,
entro 3 mesi dalla notifica della sentenza di accoglimento dell’opposizione.
b. Se la proroga è tacita, si applica la disciplina dell’art 2270 per la società semplice: il
creditore personale potrà chiedere in ogni tempo la liquidazione della quota dimostrando
l’insufficienza degli altri beni del socio suo debitore.

C. L’ATTIVITÀ SOCIALE
Modello legale e modelli statuari.
La disciplina dell’attività sociale nella società semplice e nella società in nome collettivo è
estremamente scarna e si caratterizza per l’ampio spazio lasciato all’autonomia negoziale. Il
legislatore prevede un modello di organizzazione fondato sulla distinzione amministrazione-
modificazioni dell’atto costitutivo e basato sui seguenti principi:
a. Ogni socio illimitatamente responsabile è investito del potere di amministrazione e di
rappresentanza della società
b. È per contro necessario il consenso di tutti i soci per le modificazioni del contratto sociale
Questo modello legale non ha però carattere rigido; i principi enunciati hanno in larga parte
carattere dispositivo e trovano applicazione solo se i soci non hanno diversamente disposto
nell’atto costitutivo.
Il descritto quadro legislativo pone altri due problemi di fondo dell’interprete: quello di individuare
gli eventuali limiti che i soci incontrano nel modellare a loro piacimento la struttura organizzativa
della società, quello di colmare i numerosi silenzi del legislatore in materia e soprattutto il silenzio
in merito alle regole procedimentali da osservare nella formazione della volontà di gruppo quando
trova applicazione il principio maggioritario.
L’amministrazione della società
L’amministrazione della società è l’attività di gestione dell’impresa sociale. Il potere di
amministrare è il potere di compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, che si pongono
cioè in rapporto di mezzo a fine rispetto all’attività di impresa dedotta in contratto.
Secondo il modello legale ogni socio illimitatamente responsabile è amministratore della società.
L’atto costitutivo può tuttavia prevedere che l’amministrazione sia riservata solo ad alcuni soci,
dando così luogo alla contrapposizione tra soci amministratori e soci non amministratori.
Quando l’amministrazione della società spetta a più soci ed il contratto sociale nulla dispone in
merito alle modalità dell’esercizio del potere di amministrazione, trova applicazione il modello
legale dell’amministrazione disgiuntiva. Ciascun socio amministratore è investito del potere di
intraprendere da solo tutte le operazioni che rientrano nell’oggetto sociale, senza essere tenuto a

96
richiedere il consenso o il parere degli altri soci amministratori, né è tenuto ad informarli
preventivamente delle operazioni progettate.
L’ampio potere di iniziativa individuale è tuttavia temperato dal diritto di opposizione riconosciuto
a ciascuno degli altri soci amministratori. L’opposizione dev’essere esercitata prima che
l’operazione sia stata compiuta e, se tempestiva, paralizza il potere decisorio del singolo
amministratore in ordine all’operazione contestata.
Con l’opposizione di determina un conflitto dei soci amministratori in merito a quella operazione;
conflitto la cui decisione è rimessa alla collettività dei soci (amministratori e non). Sulla fondatezza
dell’opposizione decide infatti la maggioranza dei soci, determinata secondo la parte attribuita a
ciascun socio negli utili. Si tratta quindi di una maggioranza per quote, non per teste.
In alternativa l’atto costitutivo può stabilire che la decisione sul contrasto tra gli amministratori
venga deferita ad uno o più terzi, in qualità di arbitratori. In tal caso è possibile anche consentire
all’arbitratore di impartire indicazioni vincolanti anche sulle questioni collegate con quelle
espressamente deferitegli, nonché prevedere che le decisioni rese siano reclamabili davanti ad un
collegio, determinandone termini e modalità.
L’amministrazione disgiunta offre vantaggi in termini di rapidità delle decisioni, ma non è senza
pericoli dato che il singolo amministratore può porre in essere operazioni non proficue per a
società ad insaputa degli altri.
Quindi il legislatore prevede anche un metodo alternativo, l’amministrazione congiuntiva.
Quest’ultima dev’essere espressamente convenuta dai soci nell’atto costitutivo o con
modificazione dello stesso; nel silenzio delle parti opera l’amministrazione disgiunta. Con
l’amministrazione congiuntiva “è necessario il consenso di tutti i soci amministratori per il
compimento delle operazioni sociali”. L’atto costitutivo può tuttavia prevedere che “per
l’amministrazione o per determinati atti sia necessario il consenso della maggioranza dei soci
amministratori” (calcolata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili). Tuttavia se i soci
scelgono l’amministrazione congiunta e nulla specificano, la regola è quella dell’unanimità.
La maggior rigidità dell’amministrazione congiunta è però temperata dal riconoscimento ai singoli
amministratori del potere di agire individualmente “quando vi sia urgenza di evitare un danno alla
società”.
Infine, amministrazione disgiuntiva e amministrazione congiuntiva possono essere tra loro
combinate.

Amministrazione e rappresentanza.
Tra le funzioni di cui gli amministratori sono per legge investiti vi è anche quella di rappresentanza
della società.
Il potere di rappresentanza è il potere di agire nei confronti dei terzi in nome della società dando
luogo all’acquisto di diritti e all’assunzione di obbligazioni da parte della stessa.

97
Il potere di gestione riguarda l’attività amministrativa interna, il potere di rappresentanza riguarda
l’attività amministrativa esterna, la fase di attuazione coi terzi delle operazioni sociali.
Secondo il modello legale vi è puntuale coincidenza tra potere gestorio e potere di
rappresentanza, sia per i soggetti investiti dell’uno e dell’altro, sia per le modalità di esercizio e
l’ampiezza dei poteri.
In mancanza di diversa disposizione nell’atto costitutivo, la rappresentanza della società spetta a
ciascun socio amministratore, disgiuntamente o congiuntamente. Nel caso di amministrazione
disgiunta, ogni amministratore può da solo decidere e stipulare atti in nome della società (firma
disgiunta). Nell’amministrazione congiuntiva invece tutti i soci amministratori devono partecipare
alla stipulazione dell’atto (firma congiunta).
Inoltre, sia il potere di gestione sia il potere di rappresentanza si estendono a tutti gli atti che
rientrano nell’oggetto sociale, senza distinzione tra atti di ordinaria e di straordinaria
amministrazione. La rappresentanza inoltre è non solo sostanziale ma anche processuale: la
società può agire e anche esser convenuta in giudizio in persona dei soci amministratori che ne
hanno la rappresentanza.
L’atto costitutivo tuttavia può prevedere delle deroghe: può ad esempio, riservare la
rappresentanza legale della società solo ad alcuni soci amministratori, dando luogo a dissociazione
soggettiva tra il potere di gestione e il potere di rappresentanza. Può anche stabilire per la
rappresentanza modalità di esercizio diverse da quelle valevoli per il potere di gestione.
L’atto costitutivo può infine limitare l’estensione del potere di rappresentanza al singolo
amministratore. Può ad esempio prevedere la firma disgiunta per gli atti di ordinaria
amministrazione e la firma congiunta per gli atti di straordinaria amministrazione.
Queste limitazioni convenzionali del potere di rappresentanza tuttavia sollevano il problema
dell’opponibilità a terzi: nelle società in nome collettivo regolare il problema è linearmente risolto
attraverso lo strumento della pubblicità legale. Le limitazioni del potere di rappresentanza degli
amministratori non sono opponibili a terzi se non sono iscritte nel registro delle imprese o se non
si provi che i terzi ne hanno avuto effettiva conoscenza.
Nelle società in nome collettivo irregolare l’omessa registrazione si ritorce contro i soci, quindi i
patti modificativi del potere di rappresentanza non sono opponibili ai terzi a meno che non si provi
che questi ne erano a conoscenza.
Diversa è infine la situazione delineata per la società semplice: per la mancanza all’epoca di un
regime di pubblicità legale, la norma rinvia alla disciplina di diritto comune: le limitazioni originarie
sono sempre opponibili a terzi sicchè su costoro incombe l’onere di accertare se il socio che agisce
in nome della società ha effettivamente il potere di rappresentanza. Le limitazioni successive o
l’estinzione del potere di rappresentanza devono invece essere portate a conoscenza dei terzi con
i mezzi idonei ed in mancanza sono loro opponibili solo se la società prova che le conoscevano.
I soci amministratori.

98
La regola secondo cui ogni socio è illimitatamente responsabile è investito del potere di
amministrare la società ha carattere dispositivo. L’atto costitutivo può riservare l’amministrazione
solo ad alcuni soci.
In tal caso i soci investiti dell’amministrazione possono essere nominati direttamente nell’atto
costitutivo. Nell’atto costitutivo si può però anche stabilire che gli amministratori saranno
nominati dai soci con atto separato.
La distinzione tra amministratori nominati nell’atto costitutivo e amministratori nominati con atto
separato acquista rilievo ai fini della revoca della facoltà di amministrare.
La revoca dell’amministratore nominato nel contratto sociale comporta una modifica di
quest’ultimo; quindi dev’essere decisa dagli altri soci all’unanimità, se non è convenuto
diversamente. È inoltre espressamente stabilito che la revoca non ha effetto se non ricorre una
giusta causa.
L’amministratore nominato per atto separato invece, è “revocabile secondo le norme del
mandato”. Quindi, è certamente revocabile anche se non ricorre una giusta causa, salvo il diritto al
risarcimento dei danni.
Infine è stabilito che “la revoca per giusta causa può in ogni caso essere chiesta giudizialmente da
ciascun socio”. Questo è un potere di iniziativa del singolo socio che presuppone l’inerzia della
società o il disaccordo tra i soci e che, essendo riconosciuto in ogni caso, è esercitabile anche
quando l’atto costitutivo nulla disponga in merito all’amministrazione.
La qualità di amministratore va comunque tenuta distinta dalla qualità di socio. Il rapporto di
amministrazione costituisce un rapporto autonomo e distinto dal rapporto sociale, inoltre il
rapporto di amministrazione è fonte per l’investito di diritti, poteri, obblighi e responsabilità
diversi e distinti da quelli che gli competono come socio.
Per quanto riguarda i diritti e gli obblighi degli amministratori, l’art 2260 stabilisce che “essi sono
regolati dalle norme sul mandato”. Tuttavia i poteri e i doveri degli amministratori sono sotto più
profili diversi e più ampi di quelli di un mandatario generale o dell’institore, pur non potendo
essere identificati con quelli dell’imprenditore.
L’amministratore è investito per legge del potere di compiere tutti gli atti che rientrano
nell’oggetto sociale; per esso non opera perciò il limite degli atti di ordinaria amministrazione
posto per il mandatario generale, né il limite ai poteri dell’institore posto dall’art 2207, dato che
l’amministratore può certamente alienare o ipotecare gli immobili sociali.
Dai poteri degli amministratori restano esclusi solo gli atti che comportano modificazione del
contratto sociale. Ciò basta per escludere che i soci amministratori siano investiti di poteri
corrispondenti a quelli dell’imprenditore.
Numerosi ed articolati sono poi i doveri specifici che incombono sugli amministratori. In
particolare, nella società in nome collettivo essi devono tenere le scritture contabili e redigere il
bilancio di esercizio; devono poi provvedere agli adempimenti pubblicitari connessi all’iscrizione
nel registro delle imprese. Specifiche sanzioni penali sono previste anche in caso di fallimento della
società.

99
Gli amministratori sono poi responsabili solidalmente verso la società, con conseguente obbligo di
risarcire i danni alla stessa arrecati. Tuttavia la responsabilità non si estende a quegli
amministratori che dimostrino di essere esenti da colpa. L’azione di responsabilità è diretta a
reintegrare il patrimonio sociale danneggiato dal comportamento illecito degli amministratori e si
prescrive in 5 anni.
È da ritenersi inoltre che gli amministratori incorrano in responsabilità anche nei confronti dei
singoli soci, per i danni agli stessi arrecati in via diretta ed immediata.
Ne consegue che la disciplina del mandato sarà applicabile agli amministratori di società nei limiti
compatibili con le peculiarità del relativo rapporto e semprechè non contrasti con principi
desumibili dalla disciplina societaria. L’integrazione non può essere in ogni caso acritica e generale.
Tra le norme sicuramente applicabili si può comprendere quella secondo cui il mandato si
presume oneroso. I soci amministratori avranno il diritto al compenso per il loro ufficio; tuttavia la
presunzione di onerosità è destinata a cadere quando l’esercizio dell’amministrazione sia oggetto
di conferimento da parte del socio d’opera, quando tutti i soci siano amministratori o quando
risulti che della specifica attività amministrativa di alcuni soci si è già tenuto conto nell’atto
costitutivo, con il riconoscimento di una più elevata partecipazione agli utili.

I soci non amministratori


Quando l’amministrazione della società è riservata soltanto ad alcuni soci il legislatore riconosce ai
soci esclusi dall’amministrazione ampi e penetranti poteri di informazione e di controllo.
Ogni socio non amministratore ha:
a. Il diritto di avere dagli amministratori notizie dello svolgimento degli affari sociali
b. Il diritto di consultare i documenti relativi all’amministrazione e quindi tutte le scritture
contabili della società
c. Il diritto di ottenere il rendiconto degli affari sociali quando gli affari per cui fu costituita la
società sono stati compiuti
È invece questione controversa se i soci non amministratori possano impartire direttive vincolanti
ai soci amministratori in merito alla condotta degli affari sociali.
Che tale potere non competa al singolo socio è fuori discussione. Ciò non significa tuttavia che non
spetti in alcun caso al gruppo dei soci non amministratori. In un caso quest’ipotesi è imposta con
certezza: quando si è in presenza di amministratore unico nominato per atto separato e perciò
revocabile dai soci non amministratori anche senza giusta causa.
Il problema dell’amministratore estraneo
Per le società in accomandita semplice non è possibile che sia un “non socio” ad amministrare la
società.
È invece controverso se tale divieto valga anche per la società semplice e per la società in nome
collettivo. Tuttavia almeno in quest’ultimo tipo di società la figura dell’amministratore estraneo
dovrebbe ritenersi ammissibile, sia pure con l’eccezione introdotta per la società di avvocati.
100
L’unico significativo argomento che ostacola la soluzione permissiva nella società semplice è il
pericolo che la nomina di un amministratore estraneo costituisca un espediente per eludere il
principio della responsabilità personale ed illimitata dei soci per le obbligazioni sociali.
Nella società in nome collettivo però, diversamente che nella società semplice, tutti i soci sono
sempre e comunque responsabili personalmente nei confronti dei creditori sociali, siano o meno
investiti dell’amministrazione della società. La posizione dei terzi creditori della società non è
quindi in alcun modo compromessa dalla clausola statutaria che riservi l’amministrazione ad un
terzo.
Posizione del terzo amministratore: egli gestisce pur sempre l’impresa sociale nell’interesse dei
soci. Quindi è revocabile ad nutum anche se designato nell’atto costitutivo ed è tenuto a rispettare
le direttive che provengono dai soci. La sua posizione, a differenza di quella del socio
amministratore, può essere assimilata a quella di un mandatario generale o di un institore, sia
pure con poteri estesi al compimento di tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale.

Il divieto di concorrenza.
Nella società in nome collettivo (ma non nella società semplice) incombe su tutti i soci l’obbligo di
“non esercitare per conto proprio o altrui un’attività concorrente con quella della società” ed
inoltre di non partecipare “come socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente”.
È vietata quindi ad esempio l’assunzione della qualità di amministratore in società di capitali
concorrente o di direttore generale di altra impresa concorrente.
Il divieto non impedisce però al socio di partecipare come socio limitatamente responsabile in altra
società concorrente di persone o capitali. Non gli impedisce inoltre né lo svolgimento di altra
attività di impresa, né lo svolgimento della medesima attività di impresa quando debba escludersi
l’esistenza di un rapporto concorrenziale.
La violazione del divieto espone il socio al risarcimento dei danni nei confronti della società e
legittima gli altri soci a deciderne l’esclusione.
Il divieto tuttavia non ha carattere assoluto: può essere rimosso dagli atri soci e il consenso si
presume se la situazione concorrenziale preesisteva al contratto sociale e gli altri soci ne erano a
conoscenza.
Le modificazioni dell’atto costitutivo.
Nella società semplice e nella società in nome collettivo il contratto sociale può essere modificato
solo col consenso di tutti i soci, se non è convenuto diversamente.
Tra le modificazioni del contratto sociale rientrano anche i mutamenti nella composizione della
compagine sociale. Per il rapporto fiduciario che normalmente intercorre tra i soci, il consenso di
tutti gli altri soci è necessario per il trasferimento della quota sociale sia tra vivi che a causa di
morte. In mancanza il trasferimento per atto tra vivi ed anche la costituzione di diritti reali sulla
quota (usufrutto e pegno) sono improduttivi di effetti per la società e gli altri soci.

101
Il consenso al trasferimento della quota può però essere dato anche in via preventiva. Può inoltre
risultare da comportamenti concludenti (es: quando gli altri soci consentono all’acquirente della
quota o agli eredi del socio defunto l’esercizio dei diritti spettanti a dante causa).
Nella società in nome collettivo le modificazioni dell’atto costitutivo sono soggette a pubblicità
legale e finchè non sono state iscritte nel registro delle imprese non sono opponibili a terzi, a
meno che non si provi che questi ne erano a conoscenza. La modificazione è tuttavia perfetta e
improduttiva di effetti indipendentemente dall’iscrizione. Inoltre in linea di principio è
immediatamente eseguibile.
Nella collettiva irregolare le modificazioni dell’atto costitutivo devono essere portate a conoscenza
dei terzi con mezzi idonei e non sono opponibili a coloro che le abbiano senza colpa ignorate.
Quest’ultimo era anche il regime delle società semplici, tuttavia per quelle esercenti attività
agricola la recente previsione dell’iscrizione nel registro delle imprese porta a ritenere oggi
operante una disciplina analoga a quella della società in nome collettivo.
È frequente inoltre nella pratica la clausola che prevede la modificabilità dell’atto costitutivo a
maggioranza (invece che all’unanimità). Opinione diffusa tuttavia è che debba essere interpretata
restrittivamente: si esclude che la maggioranza possa modificare le “basi essenziali” della società e
quindi x es modificare radicalmente l’oggetto sociale. Inoltre parte della dottrina ritiene che le
modificazioni dell’atto costitutivo rimesse alla maggioranza debbano essere specificamente
determinate.
Riforma diritto societario 2003: si è disposto che, salvo diversa disposizione nell’atto costitutivo, le
decisioni riguardanti la trasformazione in società di capitali, la fusione e la scissione sono
approvate nella società di persone a maggioranza, calcolata secondo le quote di partecipazione
agli utili, salvo il diritto di recesso del socio non consenziente. Queste nuove disposizioni rendono
manifesto che non esiste un principio inderogabile in forza del quale le <<basi essenziali>> di una
società di persone non potrebbero essere modificate senza il consenso di ciascun socio.
Comunque i poteri modificativi della maggioranza non sono senza limiti! Devono trovare
applicazione i principi generali a suo tempo enunciati: obbligo di esecuzione del contratto secondo
buona fede e rispetto della parità di trattamento tra i soci.

Metodo collegiale e principio maggioritario.


Il consenso di tutti i soci è espressamente richiesto dal legislatore per le modifiche dell’atto
costitutivo. Il principio maggioritario è invece enunciato espressamente per la soluzione di conflitti
tra i soci amministratori in regime di amministrazione disgiunta: sull’opposizione decide la
maggioranza dei soci calcolata per quote di interesse.
A maggioranza calcolata per teste invece va decisa l’esclusione di un socio.
Ci sono alcune norme che prevedono una decisione dei soci senza specificare se debbano essere
adottate all’unanimità o alla maggioranza: revoca dell’amministratore nominato nell’atto
costitutivo, nomina e revoca dell’amministratore per atto separato, approvazione del bilancio di

102
esercizio nella collettiva, consenso al singolo socio di usare i beni sociali per fini extrasociali,
esonero dall’obbligo di non concorrenza.
L’art 2252 esprime il principio che il consenso di tutti i soci è necessario quando la decisione tocca
le basi organizzative (legali o convenzionali) della società. Quindi l’unanimità sarà necessaria per la
revoca del socio amministratore nominato nell’atto costitutivo, per il consenso al singolo socio di
usare i beni sociali per fini extrasociali, per l’esonero dall’obbligo di non concorrenza.
Viceversa la regola della maggioranza troverà applicazione quando si tratti di decisioni che
attengono alla gestione dell’impresa comune: nomina e revoca degli amministratori per atto
separato, approvazione del bilancio, ecc…

Un altro problema per quanto riguarda la disciplina delle società di persone è quello se le
deliberazioni sociali debbano essere adottate osservando il metodo collegiale o assembleare,
oppure possano essere prese nella più assoluta libertà di forme.
La dottrina prevalente e la giurisprudenza quasi unanime sono dell’opinione che il metodo
assembleare sia superfluo nelle società di persone. Per le decisioni all’unanimità basterebbe
l’accordo di tutti i soci comunque raggiunto; per quelle a maggioranza non sarebbe neppure
necessario consultare tutti i soci sicchè le decisioni potrebbero essere prese dalla maggioranza
anche ad insaputa dei soci di minoranza. A sostegno di tale scelta si invoca sul piano formale
l’assenza di personalità giuridica della società, sul piano sostanziale l’esigenza di rapidità ed
elasticità delle decisioni.
Non è tuttavia mancata una schiera di giuristi che si oppone a tale metodo di ragionare, poiché il
metodo collegiale è largamente presente in tutti i gruppi associativi di diritto privato, siano o meno
dotati di p. giuridica. È inoltre metodo che consente decisioni più ponderate attraverso il
confronto delle diverse opinioni e il concorso di tutti i soci nella valutazione dell’interesse comune.
Inoltre, dopo la riforma del 2003 nella società a responsabilità limitata il metodo collegiale non è
più inderogabile; è quindi difficile sostenere che nelle società di persone debbano valere regole
procedimentali più rigorose di quelle previste per una società di capitali come la società a
responsabilità limitata.
Proprio la nuova disciplina della società a r. limitata ribadisce 2 principi fondamentali:
a. In mancanza di diversa disposizione nell’atto costitutivo le deliberazioni dei soci vanno
adottate con metodo collegiale
b. Ciascun socio ha diritto di partecipare alle decisioni anche assunte senza metodo collegiale,
sicchè non è consentito alla maggioranza decidere all’insaputa della minoranza.
Quindi, pur nel silenzio del dato legislativo, si deve in primo luogo ritenere che tutti i soci abbiano
diritto ad essere preventivamente informati delle decisioni da adottare.
Non è poi del tutto infondato ritenere che anche nelle s. di persone i soci siano tenuti a rispettare
un sia pur embrionale metodo assembleare e che tale regola sia inderogabile quanto meno per le
decisioni a maggioranza di maggior rilievo (modificazioni atto costitutivo, compimento operazioni

103
che modificano sostanzialmente l’oggetto sociale o implicano una rilevante modificazione dei
diritti dei soci).

D. SCIOGLIMENTO DEL SINGOLO RAPPORTO SOCIALE


Scioglimento del singolo rapporto e scioglimento della società.
Il singolo socio può cessare di far parte della società per morte, recesso o esclusione.
Il principio ispiratore di fondo di queste vicende è quello della conservazione dell’ente societario: il
venir meno di uno o più soci non determina in alcun caso lo scioglimento della società. Esso opera
anche quando resta un solo socio: infatti il venir meno della pluralità dei soci opera come causa di
scioglimento della società solo se la pluralità non è ricostituita nel termine di 6 mesi.
La disciplina generale dei contratti associativi subisce perciò profondi adattamenti e mutamenti in
materia societaria quando l’attività di impresa è iniziata. Nel duplice senso che: a) la valutazione
del carattere essenziale della partecipazione venuta meno è in definitiva rimessa ai soci superstiti.
b) il contratto e l’organizzazione sociale rimangono temporaneamente in vita (6 mesi) anche se
rimane un solo socio.
La morte del socio
La morte del socio può produrre come effetto ex lege lo scioglimento del rapporto tra tale socio e
la società, col conseguente obbligo per i soci superstiti di liquidare la quota del socio defunto ai
suoi eredi nel termine di 6 mesi. I soci superstiti non sono quindi tenuti a subire il subingresso in
società degli eredi del defunto.
Tale disciplina tuttavia ha carattere dispositivo. L’art 2284 concede ai soci superstiti altre due
possibilità:
a. Essi possono decidere lo scioglimento anticipato della società. In tal caso gli eredi del socio
defunto non hanno diritto alla liquidazione della quota nel termine di sei mesi. Essi devono
attendere la conclusione delle operazioni di liquidazione della società, per partecipare coi
soci superstiti alla divisione dell’attivo che residua dopo l’estinzione dei debiti sociali.
b. I soci superstiti possono decidere di continuare la società con gli eredi del socio defunto,
ma in tal caso è necessario sia il consenso di tutti i soci superstiti sia il consenso degli eredi,
che perciò diventano soci per atto tra vivi e non iure successionis. Salvo diverso accordo si
ha una divisione automatica della partecipazione sociale tra gli eredi, ciascuno dei quali
diventa socio in proporzione della sua quota ereditaria.
Lo scioglimento anticipato della società o la continuazione con gli eredi possono essere decisi dai
soci superstiti nel termine di 6 mesi concesso per la liquidazione della quota e per la ricostituzione
della pluralità di soci ove ne sia rimasto solo uno.
Sembrerebbe poi che gli eredi non dispongano di alcuno strumento giuridico per rimuovere lo
stato di incertezza e costringere i soci ad una decisione anticipata.
L’art 2284 fa poi salve le diverse disposizioni del contratto sociale, lasciando così ai soci ampia
libertà di predeterminare le conseguenze della morte di ciascuno di essi.
104
Tra le clausole più diffuse nella pratica vanno ricordate:
a. La clausola di consolidazione, con cui si stabilisce che la quota del socio defunto resterà
senz’altro acquisita dagli altri soci, mentre agli eredi sarà liquidato solo il valore della stessa
b. La clausola di continuazione con gli eredi con la quale i soci manifestano in via preventiva il
consenso al trasferimento della quota mortis causa, precludendosi le altre due alternative
(liquidazione della quota o scioglimento della società)
Le clausole di continuazione possono a loro volta distinguersi in 3 gruppi:
1. La clausola vincola solo i soci superstiti, mentre gli eredi sono liberi di scegliere se
aderire alla società o chiedere la liquidazione della quota (clausola di continuazione
facoltativa)
2. La clausola prevede anche l’obbligo degli eredi di entrare in società, con la conseguenza
che essi saranno tenuti a risarcire i danni ai soci superstiti ove non prestino il proprio
consenso. Consenso che rimane comunque necessario per l’assunzione della qualità di
socio (clausola di continuazione obbligatoria).
3. La clausola prevede l’automatico subingresso degli eredi in società (clausola di
successione). Essi diventano quindi automaticamente soci per effetto dell’accettazione
dell’eredità.
Questi ultimi due tipi di clausole comportano una limitazione della libertà di decisione degli eredi.

Il recesso.
Il recesso è lo scioglimento del rapporto sociale per volontà del socio.
Se la società è a tempo interminato o è contratta per tutta la vita di uno dei soci, ogni socio può
recedere liberamente. Il recesso deve essere comunicato a tutti gli altri soci con un preavviso di
almeno tre mesi e diventa produttivo di effetti solo dopo che sia decorso tale termine. Costituisce
poi applicazione di tale regola, la possibilità di recesso in caso di proroga tacita di una società in
nome collettivo.
Se la società è a tempo determinato, il recesso è ammesso per legge solo se sussiste una giusta
causa, cioè quando il recesso costituisce reazione ad un illegittimo comportamento degli altri soci
tale da incrinare la fiducia reciproca.
Anche la volontà di recedere per giusta causa dev’essere portata a conoscenza degli altri soci ma
in tal caso ha effetto immediato. Il recesso per giusta causa può essere naturalmente esercitato
anche se la società è a tempo indeterminato, con il vantaggio che il socio non è tenuto ad
attendere il decorso dei 3 mesi previsto per il recesso ad nutum.

L’esclusione
L’ultima delle cause di scioglimento parziale del rapporto sociale è costituita dall’esclusione del
socio dalla società. Essa in alcuni casi ha luogo di diritto, in altri è facoltativa cioè rimessa alla
decisione degli altri soci.

105
È escluso di diritto:
a. Il socio che sia dichiarato fallito, salvo ovviamente che non si tratti di fallimento
conseguente al fallimento della società
b. Il socio il cui creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota nei casi
consentiti per legge
Nel primo caso (fallimento) l’esclusione opera dal giorno stesso della dichiarazione di fallimento.
Nel secondo caso invece il socio cessa di far parte della società solo quando la liquidazione della
quota sia effettivamente avvenuta. Medio tempore il socio può partecipare all’attività sociale e
può tacitare il creditore particolare impedendo la sua esclusione.
I fatti che legittimano la società a deliberare l’esclusione di un socio sono:
a. Gravi inadempienze degli obblighi che derivano dalla legge o dal contratto sociale. Ad
esempio mancata esecuzione dei conferimenti promessi, violazione del divieto di
concorrenza, ecc…
Tra i fatti che legittimano l’esclusione del socio può comprendersi anche il sistematico
comportamento ostruzionistico del socio. Naturalmente deve trattarsi di comportamenti
ostruzionistici gravi, sistematici e tali da porre in pericolo la sopravvivenza della società e
non dev’essere un espediente per estromettere dalla società, con motivazioni pretestuose,
soci non graditi o scomodi
b. L’interdizione, l’inabilitazione del socio o la sua condanna ad una pena che comporti la sua
interdizione anche temporanea dai pubblici uffici.
c. Casi di sopravvenuta impossibilità di esecuzione del conferimento per causa non imputabile
agli amministratori. Cioè, perimento della cosa che il socio si era obbligato a conferire in
proprietà, prima che la proprietà stessa sia stata acquistata dalla società; perimento della
cosa conferita in godimento per causa non imputabile agli amministratori; sopravvenuta
inidoneità del socio d’opera a svolgere l’opera conferita.
L’esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci calcolata per teste, non computandosi nel
numero il socio da escludere. La deliberazione (motivata) deve essere comunicata al socio escluso
ed ha effetto decorsi 30 giorni dalla data di comunicazione. Entro tale termine il socio può fare
opposizione davanti al tribunale il quale può anche sospendere l’esecuzione della delibera. In caso
di accoglimento dell’opposizione il socio è reintegrato nella società con effetto retroattivo e quindi
partecipa ai risultati medio tempore dell’attività sociale.
Questo procedimento non è possibile quando la società è composta soltanto da due soci: in tal
caso l’esclusione di uno di essi è pronunciata direttamente dal tribunale su domanda dell’altro. Per
evitare le lungaggini del giudizio di opposizione quando la società è composta da soli due soci,
l’atto costitutivo può prevedere che le questioni relative all’esclusione siano deferite alla decisione
di arbitri (clausola compromissoria).

La liquidazione della quota.

106
In tutti i casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio, questi o i suoi eredi
hanno diritto alla liquidazione della quota sociale.
Più esattamente “hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della
quota”. Il che significa che il socio non può pretendere la restituzione dei beni conferiti in
proprietà quand’anche ancora presenti nel patrimonio sociale. Né può pretendere la restituzione
dei beni conferiti in godimento finquando dura la società, salvo che non sia stato diversamente
pattuito.
Il valore della quota è determinato in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in
cui si verifica lo scioglimento del rapporto, tenendo però conto anche dell’esito delle eventuali
operazioni ancora in corso. Per legge la situazione patrimoniale della società va determinata
attribuendo ai beni il loro valore effettivo, nonché tenendo conto del valore di avviamento
dell’azienda sociale e degli utili/perdite sulle operazioni in corso.
Il pagamento della quota spettante al socio dev’essere effettuato entro 6 mesi dal giorno in cui si
sia verificato lo scioglimento del rapporto e nell’ipotesi di scioglimento su richiesta del creditore
personae, entro 3 mesi dalla richiesta.
Il socio uscente o gli eredi del socio defunto continuano a rispondere personalmente nei confronti
dei terzi per le obbligazioni sociali sorte fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento.

E. SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ


Le cause di scioglimento.
Le cause di scioglimento della società semplice, valide anche per la collettiva, sono fissate dall’art
2272 e sono:
1. Il decorso del termine fissato nell’atto costitutivo
È tuttavia possibile la proroga della durata della società, sia espressa sia tacita.
2. Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo.
Tra le cause che rendono impossibile il conseguimento dell’oggetto sociale, la
giurisprudenza comprende gli ostacoli al funzionamento della società determinati
dall’<<insanabile discordia>> tra i soci; è però necessario che si tratti di contrasti che
determinano la paralisi assoluta e definitiva dell’attività sociale e quest’ultima non sia
imputabile a gravi inadempienze di uno o più soci, tali da legittimare gli altri a deliberarne
l’esclusione.
3. La volontà di tutti i soci, salvo che l’atto costitutivo non preveda che lo scioglimento
anticipato della società può essere deliberato a maggioranza.
4. Il venir meno della pluralità dei soci, se nel termine di 6 mesi questa non è ricostituita.
5. Le altre cause previste dal contratto sociale.
Sono poi cause specifiche di scioglimento della società in nome collettivo, il fallimento della
stessa ed il provvedimento dell’autorità governativa con cui si dispone la liquidazione
coatta amministrativa della società.

107
Tutte le cause di scioglimento operano automaticamente per il solo fatto che si sono verificate.
Ogni socio può agire in giudizio per il loro accertamento e gli effetti dello scioglimento decorrono
in ogni caso da quando la causa si è verificata, non da quando è accertata.

La società in stato di liquidazione


Verificatasi una causa di scioglimento la società entra automaticamente in stato di liquidazione e
nella società in nome collettivo tale situazione deve essere espressamente indicata negli atti e
nella corrispondenza.
La società però non si estingue immediatamente. Si deve prima provvedere al soddisfacimento dei
creditori sociali e alla distribuzione tra i soci dell’eventuale residuo attivo. Si producono tuttavia
taluni effetti preliminari e funzionali alla realizzazione di tali obiettivi e all’estinzione della società.
L’ulteriore attività della società deve ormai tendere solo alla definizione dei rapporti in corso e
quindi i poteri degli amministratori sono per legge limitati al compimento degli “affari urgenti”.
Sorge inoltre il diritto dei soci a che si dia avvio al procedimento di liquidazione attraverso la
nomina dei liquidatori ed il diritto ulteriore alla liquidazione della quota, una volta estinti i debiti
sociali. Resta fermo invece l’obbligo di eseguire i conferimenti ancora dovuti.
Muta anche la posizione dei creditori personali dei soci: essi non potranno più ottenere la
liquidazione della quota del proprio debitore, ma dovranno attendere l’espletamento della
liquidazione della società per potersi rivalere sulla quota di liquidazione. Non muta invece la
posizione dei creditori della società, che dovranno sempre attendere la normale scadenza per
essere pagati.
Il verificarsi di una causa di scioglimento non menoma la capacità giuridica o di agire della società.
I soci potranno sempre autorizzare o ratificare gli atti non urgenti compiuti dai soci amministratori
e le nuove operazioni effettuate dai liquidatori, così rimuovendo i limiti legali posti ai loro poteri.
Comporta ancora che lo stato di liquidazione può essere revocato dai soci col conseguente ritorno
della società alla normale attività di gestione. La decisione di revoca dovrà tuttavia essere adottata
all’unanimità.

Il procedimento di liquidazione.
Il procedimento di liquidazione è regolato dagli art 2275-2283 nonché dagli art 2309-2312. Tale
disciplina non ha comunque carattere inderogabile. Le modalità del procedimento possono essere
liberamente determinate dai soci nel contratto sociale o al momento dello scioglimento.
Il procedimento legale di liquidazione inizia con la nomina di uno o più liquidatori, che richiede il
consenso di tutti i soci se nell’atto costitutivo non è diversamente previsto. In caso di disaccordo
tra soci i liquidatori sono nominati dal presidente del tribunale.
I liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci e in ogni caso dal tribunale per giusta
causa, su domanda di uno o più soci.

108
Nella s. in nome collettivo ed oggi anche nella s. semplice la nomina dei liquidatori e la loro
cessazione dalla carica sono soggette ad iscrizione nel registro delle imprese.
Nella società irregolare deve essere portata a conoscenza di terzi con mezzi idonei, per rendere
loro opponibile il mutamento intervenuto nella gestione e rappresentanza della società.
Con l’accettazione della nomina i liquidatori prendono il posto degli amministratori. Questi devono
consegnare ai liquidatori i beni e i documenti sociali e presentare loro il conto della gestione
relativo al periodo successivo all’ultimo rendiconto. (bilancio).
Gli amministratori e i liquidatori devono poi redigere insieme l’inventario dal quale risulta lo stato
attivo e passivo del patrimonio sociale. In tal modo vengono fissate nel tempo le eventuali
responsabilità degli amministratori per la gestione di loro competenza e l’attività degli stessi si
esaurisce.
Il compito dei liquidatori è definir i rapporti che si ricollegano all’attività sociale: conversione in
danaro dei beni, pagamento dei creditori, ripartizione tra i soci dell’eventuale residuo attivo. Ad
essi compete anche la rappresentanza legale della società, anche in giudizio.
Inoltre, per procedere al pagamento dei creditori sociali, i liquidatori possono chiedere ai soci i
versamenti ancora dovuti, ma solo se i fondi disponibili risultano insufficienti.
Sui liquidatori incombe un duplice divieto:
1. non possono intraprendere nuove operazioni, che non sono quindi in rapporto di mezzo a
fine rispetto all’attività di liquidazione. Se violano tale divieto essi rispondono
personalmente e solidalmente per gli affari intrapresi nei confronti dei terzi.
2. Non possono ripartire tra i soci i beni sociali finchè i creditori non siano stati pagati o non
siano state accantonate le somme necessarie per pagarli. La violazione del divieto espone i
liquidatori a responsabilità civile nei confronti dei creditori sociali ed è anche sanzionata
penalmente.
Per il resto gli obblighi e le responsabilità dei liquidatori sono regolati dalle norme stabilite per gli
amministratori. Essi saranno tenuti a redigere il rendiconto-bilancio annuale se la liquidazione si
protrae per oltre un anno.
Estinti tutti i debiti sociali la liquidazione si avvia all’epilogo con la definizione di tutti i rapporti tra i
soci. i liquidatori dovranno restituire ai soci i beni conferiti in godimento nello stato in cui si
trovano. Se tali beni sono periti o deteriorati per causa imputabile agli amministratori, i soci hanno
diritto al risarcimento dei danni a carico del patrimonio sociale
Resta infine da ripartire l’eventuale attivo patrimoniale residuo convertito in danaro, se i soci non
hanno convenuto che la ripartizione avvenga in natura (in quest’ultimo caso si applicheranno le
norme sulla divisione delle cose comuni).
Il saldo attivo di liquidazione è destinato innanzitutto al rimborso del valore nominale dei
conferimenti, determinato secondo la valutazione fattane in contratto o secondo il valore che essi
avevano quando furono eseguiti. L’eventuale eccedenza è poi ripartita tra tutti i soci in
proporzione della partecipazione di ciascuno nei guadagni.

109
Nella società semplice non è prevista nessuna regola per la chiusura del procedimento di
liquidazione.
Nella società in nome collettivo invece i liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione
ed il piano di riparto. Il primo è il rendiconto della gestione dei liquidatori: esporrà le entrate e le
uscite verificatesi, nonché la situazione patrimoniale finale. Il secondo invece è una proposta di
divisione tra i soci dell’attivo residuo.
Il bilancio e il piano di riparto vanno comunicati ai soci mediante raccomandata e si intendono
approvati se non sono impugnati dai soci nel termine di due mesi dalla comunicazione. In caso di
impugnazione giudiziale sia del bilancio sia del piano di riparto, i liquidatori possono chiedere che
le questioni relative alla liquidazione siano esaminate separatamente da quelle relative alla
divisione. A quest’ultime i liquidatori possono rimanere estranei, non coinvolgendo il loro operato
e la loro responsabilità.
Con l’approvazione del bilancio i liquidatori sono liberati di fronte ai soci.
L’estinzione della società.
Il procedimento infine ha termine. Non è necessario, diversamente da quanto previsto per le
società di capitali, che i liquidatori procedano all’effettiva ripartizione dell’attivo residuo tra i soci.
Nella s. in nome collettivo irregolare, la chiusura del procedimento di liquidazione determina
l’estinzione della società, sempre che siano stati soddisfatti tutti i creditori sociali.
Principi diversi valgono per la società in nome collettivo registrata e per la società semplice. In
particolare, per la s. in nome collettivo l’art 2312 co.1 stabilisce che “approvato il bilancio finale di
liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle
imprese”. Sui liquidatori poi incombe l’obbligo ulteriore di depositare le scritture contabili e i
documenti che non spettano ai singoli soci, affinchè siano conservati per 10 anni dalla
cancellazione dal registro delle imprese.
La cancellazione può anche essere disposta d’ufficio, quando l’ufficio del registro rilevi alcune
circostanze sintomatiche dell’assenza di attività sociale (irreperibilità presso la sede legale,
mancato compimento degli atti di gestione per 3 anni consecutivi, mancanza del codice fiscale,
mancata ricostruzione della pluralità dei soci nel termine di 6 mesi, decorrenza del termine di
durata senza proroga tacita).
L’atto formale di cancellazione dal r. delle imprese è condizione necessaria per l’estinzione della
società. Prima della cancellazione i creditori sociali possono ancora agire nei confronti della
società. Con la cancellazione dal registro delle imprese la società si estingue quand’anche non tutti
i creditori sociali siano stati soddisfatti. E ciò sia nell’ipotesi in cui i liquidatori ignoravano
l’esistenza di ulteriori debiti sociali, sia nell’ipotesi in cui ne fossero a conoscenza.
I creditori insoddisfatti non sono però senza tutela: essi possono agire nei confronti dei soci che
restano personalmente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali insoddisfatte.
Possono inoltre agire anche verso i liquidatori se il mancato pagamento è imputabile a colpa o
dolo di quest’ultimi.
Il fallimento della società estinta.
110
I creditori della società in nome collettivo possono infine chiedere il fallimento della società entro
un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese. Per le società irregolari invece
non ci sono limiti di tempo per la dichiarazione di fallimento, mancando un atto formale di
cancellazione dal registro.

CAPITOLO 3
LA SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE
Nozione e caratteri distintivi
La società in accomandita semplice è una società che si differenzia dalla società in nome collettivo
per la presenza di due categorie di soci:
a. Soci accomandatari che rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni
sociali
b. Soci accomandanti che rispondono limitatamente alla quota conferita. Essi sono obbligati
solo nei confronti della società ad eseguire i conferimenti promessi, mentre i creditori
sociali non hanno azione diretta nei loro confronti
Per quanto riguarda l’amministrazione della società, questa compete solo ai soci accomandatari. I
soci accomandanti sono invece esclusi dalla direzione dell’impresa. La disciplina della società in
accomandita semplice è modellata su quella della società in nome collettivo, sia pure con gli
adattamenti imposti dalla presenza di due categorie di soci con diversi poteri e con diverse
responsabilità per le obbligazioni sociali.
L’accomandita semplice nell’ambito della società di persone, risponde alla specifica funzione
economica di consentire l’aggregazione di soggetti che intendono gestire personalmente gli affari
sociali assumendo responsabilità illimitata e di soggetti che intendono finanziare l’attività dei primi
con rischio e poteri limitati, ma assumendo pur sempre la veste di soci.
L’accomandita semplice è il solo tipo di società di persone che consente l’esercizio in comune di
un’impresa commerciale con limitazione del rischio e non esposizione al fallimento personale per
alcuni soci. Per tale motivo è un tipo di società che potrebbe facilmente prestarsi ad abusi: infatti,
servendosi di un accomandatario di paglia (compiacente e nullatenente) i soci accomandanti
potrebbero in fatto cumulare i vantaggi della società di persone (esercizio personale e diretto del
potere di direzione dell’impresa) con quelli delle società di capitali (beneficio della responsabilità
limitata).

111
Il nodo centrale però della disciplina della s. in accomandita semplice risiede nella ricerca di un
punto di equilibrio tra due esigenze:
a. L’esigenza dominante di evitare un uso anomalo e distorto di tale tipo di società, con la
previsione di rigorosi divieti e rigorose sanzioni patrimoniali
b. L’esigenza di non estraniare del tutto i soci accomandanti dall’attività della società. A
questa finalità risponde la disciplina dei poteri riconosciuti per legge o attribuibili per
contratto ai soci accomandanti.
La costituzione della società. La ragione sociale
Per la costituzione della s. in accomandita semplice valgono le regole esposte per la società in
nome collettivo. L’atto costitutivo dovrà ovviamente indicare distintamente quali sono i soci
accomandatari e quali accomandanti.
Anche l’atto costitutivo dell’accomandita semplice è soggetto ad iscrizione nel registro delle
imprese, ma l’omessa registrazione comporta solo irregolarità della società.
Una significativa deviazione alla disciplina della società collettiva tuttavia si ha per quanto riguarda
la formazione della ragione sociale. Nella società in accomandita semplice essa dev’essere formata
col nome di almeno uno dei soci accomandatari. Non può essere inserito nella ragione sociale il
nome di uno dei soci accomandanti; infatti, “l’accomandante il quale consente che il suo nome sia
compreso nella ragione sociale, risponde di fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente con i soci
accomandatari per le obbligazioni sociali”.
L’accomandante perde cioè il beneficio della responsabilità limitata e lo perde per tutte le
obbligazioni sociali e nei confronti di qualsiasi creditore sociale. L’accomandante quindi di fronte ai
terzi (ma non nei rapporti interni) diventa un socio a responsabilità illimitata; non diventa però un
socio accomandatario quindi non acquista il diritto di partecipare all’amministrazione della società.
La partecipazione di incapaci in veste di accomandatari è soggetta alla disciplina dell’art 2294 per
la società in nome collettivo.
Per quanto riguarda i poteri di controllo degli accomandanti, è previsto che “in ogni caso essi
hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite e
di controllarne l’esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società”. È opinione
prevalente e corretta che gli accomandanti hanno anche il diritto di concorrere all’approvazione
del bilancio, senza che ciò implichi violazione del divieto di immistione.
In quanto esclusi poi, gli accomandanti non sono tenuti a restituire gli utili fittizi eventualmente
riscossi, purchè ricorra la duplice condizione che essi siano in buona fede e che gli utili risultino da
un bilancio regolarmente approvato.
Il divieto di immistione
Il contenuto del divieto di immistione degli accomandanti nella gestione della società e le sanzioni
per la violazione dello stesso sono fissati dal co.1 art 2320. La norma stabilisce che gli
accomandanti “non possono compiere atti di amministrazione né trattare o concludere affari in
nome della società se non in forza di una procura speciale per i singoli affari”.

112
L’accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i
terzi per tutte le obbligazioni sociali. Può inoltre essere escluso dalla società con decisione a
maggioranza degli altri soci.
Tuttavia bisogna precisare che per quanto riguarda l’amministrazione interna l’accomandante
deve ritenersi privo di ogni potere decisionale autonomo in merito alla condotta degli affari sociali.
Perciò i pareri o le autorizzazioni eventualmente previsti nell’atto costitutivo, non possono essere
di carattere generale cioè non possono riferirsi a tutti gli atti di amministrazione, ma devono
riguardare solo operazioni determinate. In ogni caso di avrebbe violazione del divieto di
immistione qualora agli uni o alle altre fosse riconosciuto carattere vincolante.
Per lo stesso motivo è da escludersi (ma il punto non è pacifico) che in regime di amministrazione
disgiuntiva, gli accomandanti possano partecipare alla decisione sull’opposizione di un
amministratore a compimento di un altro atto da parte di altro amministratore.
Non contrasta invece col divieto di immistione la collaborazione degli accomandanti
nell’amministrazione interna della società (es: tenuta della contabilità, direzione del personale)
sotto le direttive degli accomandatari e nel quadro di un rapporto di subordinazione rispetto a
quest’ultimi.
Meno rigido è il contenuto del divieto di immistione per quanto riguarda l’attività esterna.
L’accomandante può legittimamente trattare e concludere affari in nome della società in forza di
una procura speciale per singoli affari. È quindi necessario che siano predeterminati gli affari per i
quali l’accomodante è investito del potere di rappresentanza della società, così garantendosi che il
potere di direzione degli affari sociali resti nelle mani degli accomandatari anche per il
compimento di singole operazioni. L’accomodante, godrà del margine di autonomia decisionale
proprio di ogni mandatario con rappresentanza nella fase esecutiva dell’operazione decisa dagli
accomandatari.
All’accomandante è invece preclusa ogni possibilità di agire di fronte ai terzi come procuratore
generale o come institore.
L’accomandante che viola il divieto di immistione si espone ad una sanzione patrimoniale
particolarmente grave: egli infatti risponde di fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente per
tutte le obbligazioni sociali (presenti, passate, future) che a qualsiasi titolo siano imputabili alla
società. Con l’ulteriore conseguenza che in caso di fallimento della società, egli sarà
automaticamente fallito al pari degli accomandatari.
L’accomandante che viola il divieto di immistione però non diventa un socio accomandatario a
tutti gli effetti, in particolare perde il beneficio della resp. limitata solo nei confronti dei terzi. Se ne
deduce perciò che per le somme pagate ai creditori sociali in base ad atti imputabili alla società,
egli avrà azione di regresso per l’intero non solo verso la società ma anche verso gli
accomandatari. Viceversa gli accomandatari non hanno azione di regresso verso l’accomandante
che ha violato il divieto di immistione, salva l’azione di risarcimento per gli eventuali danni arrecati
dallo stesso alla società.
Per quanto riguarda la posizione della società in questi casi, trovano applicazione i generali principi
in tema di rappresentanza: la società rimane obbligata solo se l’accomandante ha agito in base a

113
regolare procura (generale o speciale) o se il suo operato è stato successivamente ratificato dagli
amministratori. In caso contrario, responsabile verso il terzo sarà solo l’accomandante che ha
compiuto l’atto. E ovviamente l’accomandante non avrà azione di rivalsa né verso la società né
verso gli accomandatari.
L’accomandante che ha violato il divieto di immistione è esposto infine all’ulteriore sanzione
dell’esclusione dalla società. Esclusione che tuttavia non potrà essere deliberata qualora l’atto di
ingerenza sia stato autorizzato o ratificato dagli amministratori.

Il trasferimento della partecipazione sociale.


La diversa posizione degli accomandatari e degli accomandanti si riflette sulla disciplina del
trasferimento della partecipazione sociale.
Resta ferma per i soci accomandatari la disciplina prevista per la società in nome collettivo. Se
l’atto costitutivo non dispone diversamente, il trasferimento per atto tra vivi della quota degli
accomandatari può avvenire solo col consenso di tutti i soci (accomandanti e accomandatari). E
per la trasmissione mortis causa sarà necessario anche il consenso degli eredi.
Diversa è la disciplina dettata per il trasferimento della quota degli accomandanti. La loro quota è
liberamente trasferibile per causa di morte, senza che sia perciò necessario il consenso dei soci
superstiti. Per il trasferimento per atto tra vivi è invece necessario il consenso dei soci che
rappresentano la maggioranza del capitale sociale, salvo che l’atto costitutivo non disponga
diversamente.
Lo scioglimento della società
La duplice categoria di soci che caratterizza la società in accomandita semplice deve permanere
per tutta la vita della società. Infatti tale società si scioglie anche quando rimangono soltanto soci
accomandanti o accomandatari, sempre che nel termine di 6 mesi non sia sostituito il socio che è
venuto meno.
Durante il periodo di 6 mesi l’attività della società continua normalmente se sono venuti meno i
soci accomandanti. Se sono venuti meno i soci accomandatari, gli accomandanti devono nominare
un amministratore provvisorio i cui poteri sono per legge limitati “al compimento degli atti di
ordinaria amministrazione”. L’amministratore provvisorio non assume la qualità di
accomandatario e non risponderà quindi illimitatamente per le obbligazioni sociali, salvo che non
compia atti eccedenti l’ordinaria amministrazione.
Spirato il termine di 6 mesi senza che venga ricostituitala categoria dei soci mancanti e senza che si
dia inizio al procedimento di liquidazione, la società si trasformerà tacitamente in una collettiva
irregolare.
Per il procedimento di liquidazione e l’estinzione della società valgono le stesse regole dettate per
la società in nome collettivo. Tuttavia, cancellata la società dal registro delle imprese, i creditori
rimasti insoddisfatti potranno far valere i loro crediti nei confronti dei soci accomandanti solo nei

114
limiti di quanto dagli stesi ricevuto a titolo di quota di liquidazione, dato che essi non erano soci a
responsabilità illimitata.
La società in accomandita irregolare.
È irregolare la società in accomandita semplice il cui atto costitutivo non è stato iscritto nel registro
delle imprese. L’omessa registrazione non impedisce la nascita della società e rimane ferma la
distinzione tra soci accomandatari e accomandanti.
Nell’accomandita irregolare il divieto di immistione degli accomandanti ha portata più ampia, cioè
per quanto riguarda l’attività esterna il divieto di immistione ha carattere assoluto. Neppure il
rilascio di una procura speciale per singoli affari esonera l’accomandante da responsabilità
illimitata verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali.
Per il resto, la disciplina prevede che:
a. I creditori sociali possono agire direttamente nei confronti dei soci illimitatamente
responsabili e incombe su questi ultimi l’onere di chiedere la preventiva escussione del
patrimonio sociale, indicando i beni sui quali i creditori possono agevolmente soddisfarsi.
Viene meno cioè il beneficio di escussione automatica operante nella collettiva e
nell’accomandita regolari.
b. I creditori particolari del socio possono chiedere in ogni tempo la liquidazione della quota
del loro debitore, provando che gli altri beni di questi siano insufficienti a soddisfarli.
Possibilità questa invece preclusa quando la società è regolare, per la durata prevista in
contratto.
c. Si presume che ciascun socio che agisce per la società abbia la rappresentanza sociale
anche in giudizio.

CAPITOLO 4
LA SOCIETÀ PER AZIONI.
Nozione e caratteri generali
La società per azioni è una società di capitali nella quale:
a. per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società col suo patrimonio
b. la partecipazione sociale è rappresentata da azioni

115
Il primo dato differenzia la s. per azioni dalla s. in accomandita per azioni, in cui vi è una categoria
di soci (accomandatari) responsabili solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali,
fermo restando che le quote di partecipazione di tutti i soci sono rappresentate da azioni.
Il secondo dato differenzia la società per azioni dalla società a responsabilità limitata. In
quest’ultima le quote di partecipazione dei soci non possono essere rappresentate da azioni né
possono costituire oggetto di offerta al pubblico.
La società per azioni è il tipo di società più importante nella realtà economica.
La società per azioni, in quanto dotata di personalità giuridica, è per legge trattata come soggetto
di diritto fondamentalmente distinto dalle persone dei soci e gode perciò di una piena e perfetta
autonomia patrimoniale. La società e solo la società è qualificabile come imprenditore.
Nella società per azioni i soci e tutti i soci non assumono alcuna responsabilità personale, neppure
sussidiaria, per le obbligazioni sociali; di queste risponde soltanto la società col suo patrimonio.
I soci sono obbligati ad eseguire solo i conferimenti promessi e possono perciò predeterminare
quanta parte della propria ricchezza personale intendono esporre al rischio dell’attività sociale.
I creditori della società per azioni possono quindi fare affidamento solo sul patrimonio sociale per
soddisfarsi. Il legislatore tuttavia predispone anche forme di tutela alternativa degli stessi:
disciplina dell’effettività e dell’integrità del capitale sociale e dell’informazione contabile periodica
sulla situazione patrimoniale e sui risultati economici della società.
La responsabilità limitata dei soci trova inoltre contrappeso nell’organizzazione di tipo corporativo
della società per azioni, in un’organizzazione basata cioè sulla necessaria presenza di distinti
organi: l’assemblea, un organo di gestione, un organo di controllo.
Il singolo socio in quanto tale non ha alcun potere di amministrazione e di controllo. Ha solo il
diritto di concorrere col suo voto in assemblea alla designazione dei membri dell’organo
amministrativo e di controllo. Quest’ultimi restano perciò formalmente distinti dalle persone dei
soci e rispondono personalmente dei danni arrecati in seguito a violazione dei doveri di condotta
ricollegati all’esercizio delle relative funzioni.
Il funzionamento dell’assemblea è poi dominato dal principio maggioritario ed il peso di ogni socio
in assemblea è proporzionato alla quota di capitale sottoscritto e al numero di azioni possedute.
Nel contempo è però neutralizzato il pericolo che l’eventuale disinteresse dei soci possa
paralizzare la vita corrente della società. Ciò sia perché le competenze dell’assemblea sono
circoscritte alle decisioni di maggior rilievo, mentre la gestione sociale dell’impresa è nelle mani
degli amministratori, sia perché le maggioranze assembleari sono articolate in modo da consentire
che anche una frazione minima del capitale sociale possa adottare le decisioni necessarie per il
funzionamento della società: nomina e revoca degli amministratori e dei sindaci, approvazione del
bilancio di esercizio.
È infine predisposto un assetto organizzativo che, se correttamente operante, è in grado di
assicurare un adeguato equilibrio tra ponderazione nelle decisioni ed efficienza e rapidità nella
condotta degli affari sociali.

116
L’ultimo dato tipizzante le società per azioni è che le quote di partecipazione dei soci sono
rappresentate da partecipazioni-tipo omogenee e standardizzate. Le azioni sono infatti
partecipazioni sociali di uguale valore e che conferiscono ai loro possessori uguali diritti.
La divisione del capitale sociale in parti è infatti operata secondo un criterio astratto-matematico
che prescinde dalle persone dei soci e dal loro numero. Di regola è la divisione del capitale sociale
sottoscritto secondo un’unità di misura liberamente predeterminata, che costituisce il valore delle
azioni.
Questi caratteri che presentano le quote di partecipazione espresse in azioni, le rendono
liberamente trasferibili e soprattutto consentono la loro circolazione attraverso documenti
assoggettati alla disciplina dei titoli di credito. È così favorito il pronto smobilizzo del capitale
investito ed il ricambio delle persone dei soci.

Società per azioni e tipologia della realtà.


Limitazione del rischio individuale dei soci e possibilità di pronta mobilitazione dell’investimento
costituiscono strumenti che favoriscono la raccolta degli ingenti capitali di rischio di cui ha
tipicamente bisogno una grande impresa. Anche e soprattutto perché consentono di orientare
verso l’investimento in azioni la massa dei piccoli risparmiatori, privi di specifico interesse e
propensione per l’attività di impresa.
Si rende così possibile la compartecipazione di un ristretto numero di soci che assumono
l’iniziativa economica e sono animati da spirito imprenditoriale (azionisti imprenditori), con una
gran massa di piccoli azionisti animati dal solo intento di investire fruttuosamente il proprio
risparmio (azionisti risparmiatori) e rassicurati dalla possibilità di pronto disinvestimento,
soprattutto se le azioni sono quotate in borsa.
Le società per azioni di grandi dimensioni con azioni diffuse tra il pubblico sono relativamente
poche; con esse coesiste un gran numero di società per azioni composte da un numero non
elevato di soci e costituite per la gestione di imprese di dimensioni modeste. Si tratta anzi talvolta
di vere e proprie società a carattere familiare, con base azionaria stabile e omogenea nelle quali
l’appello al pubblico risparmio per la raccolta di capitale di rischio è del tutto assente.
Nella società a ristretta base azionaria (e che comunque non fanno ricorso al mercato per
finanziarsi), i problemi sono e restano quelli tradizionali della tutela più energica dei soci di
minoranza e dei creditori, di fronte a possibili abusi dei soci che detengono la maggioranza del
capitale. Il principio cardine della società per azioni infatti è che chi ha più conferito è chi più
rischia, e perciò ha più potere, ma proprio perché più rischia è pensabile che il potere sia
esercitato in modo ponderato.
Questa situazione invece cambia radicalmente in quel ristretto numero di società che fanno
istituzionalmente appello al pubblico risparmio. La presenza accanto a pochi azionisti imprenditori
(attivi e competenti) di una massa di azionisti investitori con partecipazioni individuali minuscole
(ma che nel complesso costituiscono la maggioranza del capitale) altera profondamente i

117
meccanismi di funzionamento della società per azioni. Il naturale disinteresse degli azionisti
investitori per la vita della società favorisce inevitabilmente il dominio della stessa da parte di
gruppi minoritari di controllo e rende anzi il controllo minoritario fenomeno istituzionale,
fisiologico ed irreversibile.
Infatti, nelle società con azioni diffuse tra il pubblico, le assemblee sono dominate stabilmente da
gruppi minoritari che detengono talvolta non più del 10/20% del capitale sociale. È il gruppo
minoritario degli azionisti imprenditori che nomina amministratori e sindaci e decide le sorti della
società. Chi decide è chi rischia meno e potrà sempre defilarsi in tempo (vendendo le azioni).
Inoltre, quando la società fa stabilmente appello al mercato e quindi le azioni sono quotate in
borsa, emerge anche un’altra e più generale esigenza: quella di garantire il corretto
funzionamento dell’intero mercato azionario e di tutelare il pubblico indifferenziato dei potenziali
investitori.
A questi problemi il codice del 1942 non dava adeguate soluzioni, ma oggi lo scenario è
profondamente cambiato.
All’investimento diretto in azioni da parte dei piccoli risparmiatori si è affiancato l’investimento
indiretto tramite operatori professionali specializzati, che raccolgono risparmio tra il pubblico e lo
investono in partecipazioni di minoranza in società quotate secondo il criterio della
diversificazione del rischio. Perciò alla massa incompetente degli azionisti investitori si è affiancata
quella degli investitori istituzionali, dotati di specifiche competenze professionali e perciò attento
all’andamento delle società in cui investono il risparmio raccolto.
È emerso poi anche un altro fenomeno: quello dei gruppi di società. Per darsi maggiore snellezza
operativa e tenere distinto il rischio d’impresa nei vari settori in cui opera, la grande impresa
frequentemente si articola in una pluralità di società per azioni. Società tutte formalmente
autonome ed indipendenti l’una dall’altra, ma tutte nel contempo partecipi di un unitario disegno
economico in quanto tutte sono sotto l’influenza dominante di un’unica società, che le controlla
disponendo della maggioranza delle loro azioni.
Questo fenomeno di gruppo pone nuovi problemi giuridici: impone in particolare la
predisposizione di specifici congegni di tutela dei soci estranei al gruppo di comando e dei
creditori, che tengano conto della più complessa struttura economica in cui la singola società è
inserita. Del fatto cioè che singole scelte formalmente autonome, ma sostanzialmente ispirate
all’interesse di gruppo, possono invece risultare lesive degli interessi dei soci di minoranza e dei
creditori della singola società che le adotta.
L’evoluzione della disciplina.
La disciplina della società per azioni dal ’42 ha subito numerosi interventi legislativi.
Il movimento di riforma è iniziato nel 1974 e poi proseguito con altre numerose leggi, fino a
sfociare nel 2003 nella riforma della disciplina delle società non quotate.
In primo luogo è stato posto un freno al proliferare di minisocietà per azioni con capitale del tutto
irrisorio. Ad oggi il capitale minimo per la costituzione della società per azioni è stato elevato a
50mila euro nel 2014.

118
La seconda linea di tendenza è che si è preso atto che la disciplina dettata dal codice del ’42 era di
per sé inidonea ad assicurare il corretto funzionamento delle società per azioni che fanno appello
sistematico al pubblico risparmio. Con una serie di interventi legislativi si è dettata una specifica
disciplina per le società con azioni quotate in mercati regolamentati, ispirata dalla diversa realtà
di tali società.
Un primo intervento si è avuto con la legge 216/1974 e con i successivi decreti del 1975. Il
legislatore prende atto che il dominio minoritario è in tali società fenomeno irreversibile e
introduce strumenti di eterotutela della massa inerte e disorganizzata degli azionisti risparmiatori:
- possibilità di emettere una particolare categoria di azioni (azioni di risparmio) prive del
diritto di voto e privilegiate solo sotto il profilo patrimoniale;
- maggior trasparenza degli assetti proprietari e più ampia informazione del mercato;
- certificazione del bilancio da parte di un’autonoma società di revisione;
- istituzione di un organo pubblico di controllo, la Consob (Commissione nazionale per le
società e la borsa), diretto a garantire la completezza e la veridicità dell’informazione
societaria.

La consapevolezza che la tutela degli azionisti investitori esige anche efficienza e trasparenza del
mercato del capitale di rischio, ha nel contempo prodotto a partire dal 1983 ad una progressiva
riforma della disciplina del mercato mobiliare, con l’introduzione di nuove figure di intermediari
(società di intermediazione mobiliare), di organismi di investimento collettivo (fondi comuni di
vario tipo, fondi pensione) e di specifiche regole di comportamento per l’offerta al pubblico di
valori mobiliari e per il trasferimento di partecipazioni di controllo in società quotate (offerta al
pubblico obbligatoria).
Poi dal 1996 viene dato avvio ad una risistemazione normativa dell’intera materia e ad un’ulteriore
riforma della disciplina delle società quotate per rafforzare la tutela del risparmio e degli azionisti
di minoranza e per rendere più efficiente la gestione di tali società (come già anticipato vengono
introdotti i potenti investitori istituzionali nazionali ed esteri, dotati di elevata competenza
professionale).
Proprio l’obiettivo di stimolare l’afflusso del risparmio gestito dagli investitori istituzionali, nonché
di valorizzare il ruolo attivo degli stessi come correttivo del prepotere di gruppi di comando
minoritario, sono i motivi ispiratori della riforma culminata nel Testo unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria.
Nel contempo, l’esigenza di modernizzare la disciplina delle società per azioni non quotate e delle
altre società di capitali ha portato da ultimo ad una riforma organica della disciplina generale delle
società di capitali che sostituisce le originarie disposizioni in materia del codice civile. (2003 n.6).
Obiettivo di fondo della riforma è semplificare la disciplina delle società di capitali e ampliare lo
spazio riconosciuto all’autonomia statuaria al fine di favorire la nascita, crescita e competitività
delle imprese italiane.
Novità più significative della riforma del 2003: introduzione della società per azioni unipersonale e
a responsabilità limitata; semplificazione del procedimento di costituzione e della disciplina delle
119
modifiche statutarie; disciplina più flessibile dei conferimenti; previsione di nuove categorie
speciali di azioni,…..etc

Società per azioni e modelli societari


La nuova disciplina introdotta col d.lgs. 6/2003 si caratterizza soprattutto per il fatto di prevedere
una disciplina differenziata e dotata di un maggior grado di imperatività non solo per le società con
azioni quotate, ma anche per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Categoria che include le società con azioni quotate e quelle con azioni diffuse tra il pubblico in
misura rilevante, secondo i parametri fissati dalla Consob.
La disciplina delle società per azioni oggi si compone di:
a. regole valide per tutte le società per azioni
b. disposizioni riferite alle sole società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio
(società chiuse)
c. norme dedicate alle sole società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (quindi
sia società non quotate con azionario diffuso, sia società quotate)
d. previsioni destinate alle sole società quotate
Il modello delle “società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio” è stato introdotto allo
scopo di rendere più graduale, alle società che intendono procedere verso l’ammissione alla
negoziazione in un mercato regolamentato, la transizione dalla disciplina delle società non quotate
a quella più rigorosa delle società quotate.
Tuttavia a causa degli stringenti requisiti fissati dalla Consob per l’attribuzione della relativa
qualifica, il numero di emittenti non quotati con azioni diffuse tra il pubblico è molto esiguo.
In questo arco di tempo si è inoltre accentuata la tendenza ad introdurre statuti speciali per le
società operanti in settori di particolar rilievo economico e sociale, per le quali l’adozione della
forma della società per azioni è spesso imposta per legge: società bancarie, assicurative, editoriali,
di intermediazione mobiliare, di gestione del risparmio, ecc… Per tutte queste società la
legislazione speciale di settore introduce deroghe rispetto alla disciplina generale delle società per
azioni (es: capitale minimo più elevato, limiti ai possessi azionari, ecc…)
Si va delineando infine una specifica disciplina per i gruppi di società, con la previsione della
responsabilità a carico del capogruppo per abuso di potere di direzione unitaria e con
l’introduzione di specifici obblighi a carico delle società di gruppo volti ad assicurare maggiore
trasparenza sulla composizione del gruppo e sulle operazioni intragruppo.

A. LA COSTITUZIONE.
Il procedimento.
La costituzione della società per azioni si atteggia come un procedimento complesso che oggi si
articola in due fasi essenziali:

120
a. La stipulazione dell’atto costitutivo per atto pubblico
b. L’iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese. Solo con l’iscrizione la società
per azioni acquista la personalità giuridica e viene ad esistenza.
Al fine di semplificare la costituzione della società di capitali è stata invece soppressa nel 2000 la
fase intermedia dell’omologazione dell’atto costitutivo da parte dell’autorità giudiziaria.
I relativi controlli restano oggi affidati in via esclusiva al notaio che redige l’atto costitutivo, mentre
il controllo giudiziario può essere attivato facoltativamente per le sole modificazioni dell’atto
costitutivo.
La stipulazione dell’atto costitutivo
La stipulazione dell’atto costitutivo può avvenire secondo due diversi procedimenti:
a. Stipulazione simultanea
b. Stipulazione per pubblica sottoscrizione
Nella costituzione simultanea l’atto costitutivo è stipulato immediatamente da coloro che
assumono l’iniziativa per la costituzione della società (soci fondatori). E tali soggetti provvedono
contestualmente all’integrale sottoscrizione del capitale sociale.
Nella costituzione per pubblica sottoscrizione invece si addiviene alla stipulazione dell’atto
costitutivo al termine di un complesso procedimento che consente la raccolta tra il pubblico del
capitale iniziale ed è congegnato in modo da subordinare la stipulazione dell’atto costitutivo alla
preventiva sottoscrizione del capitale sociale. Si tratta tuttavia di un procedimento notevolmente
complesso quindi raramente utilizzato.
La costituzione per pubblica sottoscrizione di articola in 4 fasi.
Coloro che assumono l’iniziativa, i promotori, predispongono un programma della costituenda
società, il quale deve indicare “l’oggetto e il capitale, le principali disposizioni dell’atto costitutivo,
l’eventuale partecipazione che i promotori si riservano agli utili e il termine entro il quale
dev’essere stipulato l’atto costitutivo”. Il programma deve essere depositato presso un notaio
prima di essere reso pubblico.
La diffusione tra il pubblico del programma deve avvenire rispettando le procedure e le modalità
attualmente previste per il collocamento di strumenti finanziari mediante offerte pubbliche di
sottoscrizione: preventiva pubblicazione di un “prospetto informativo”.
Si apre così la fase delle adesioni al programma con la sottoscrizione delle azioni che deve risultare
da atto pubblico o da scrittura privata autenticata. Sottoscritto integralmente il capitale sociale, i
promotori devono assegnare ai sottoscrittori un termine, non superiore ai 30 giorni, per il
versamento del 25% dei conferimenti in denaro presso una banca designata dai promotori. È in
facoltà dei promotori di agire giudizialmente contro i sottoscrittori morosi o di liberarli dall’obbligo
assunto. Ma in questo secondo caso il procedimento si blocca finquando non siano collocate le
azioni rimaste non sottoscritte.
Completato il versamento del 25% i promotori convocano l’assemblea dei sottoscrittori secondo le
modalità previste dall’art 2334 co.3.

121
L’assemblea dei sottoscrittori:
1. Accerta l’esistenza delle condizioni richieste per la costituzione della società.
2. Delibera sul contenuto dell’atto costitutivo e dello statuto che non sia già stato fissato nel
programma
3. Delibera sulla riserva di partecipazione agli utili fatta a proprio favore dai promotori
4. Nomina i primi amministratori e i primi sindaci della costituenda società e il soggetto
incaricato di effettuare la revisione legale dei conti
L’assemblea è validamente costituita con la presenza della metà dei sottoscrittori e ciascun
sottoscrittore ha diritto ad un solo voto quale che sia l’ammontare del capitale sottoscritto. Per la
validità delle deliberazioni è richiesto il voto favorevole della maggioranza dei presenti. Tuttavia
per modificare le condizioni stabilite dal programma, è necessario il consenso di tutti i
sottoscrittori.
Si addiviene infine alla stipulazione dell’atto costitutivo. A tanto provvedono gli intervenuti in
assemblea, anche in rappresentanza dei sottoscrittori assenti.
I promotori sono solidalmente responsabili verso i terzi per le obbligazioni assunte per la
costituzione delle società. Obbligazioni che essi potranno riversare sulla società solo se sono state
necessarie per la costituzione o siano state approvate dall’assemblea. Sui promotori dunque
incombe il rischio dell’insuccesso dell’operazione.
Inoltre, sia i promotori sia coloro per conto dei quali essi anno eventualmente agito, sono
responsabili verso la società e verso i terzi:
1. Per l’integrale sottoscrizione del capitale sociale e dei versamenti richiesti per la
costituzione della società
2. Per l’esistenza dei conferimenti in natura in conformità della relazione giurata di stima
3. Per la veridicità delle comunicazioni da essi fatte al pubblico per la costituzione della
società
È infine consentito che i promotori si riservino una partecipazione agli utili della società,
indipendentemente dalla loro qualità di soci. Per evitare che essi sfruttino la loro posizione per
accaparrarsi vantaggi eccessivi è tuttavia stabilito che tale partecipazione non può superare
complessivamente il 10% degli utili netti risultanti dal bilancio e non può avere una durata
superiore a 5 anni. Identica regola vale per i soci fondatori nella costituzione simultanea.

L’atto costitutivo: forma e contenuto


La società per azioni può costituirsi per contratto e anche per atto unilaterale.
In ogni caso l’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico. La forma solenne è
espressamente richiesta a pena di nullità della società. Ne consegue che anche il contratto
preliminare di società per azioni sarà nullo se non redatto per atto pubblico.
I requisiti di contenuto dell’atto costitutivo sono fissati dall’art 2328; l’atto costitutivo deve
indicare:

122
1. Il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o lo Stato di
costituzione, il domicilio o la sede di cittadinanza dei soci e degli eventuali promotori,
nonché il numero delle azioni assegnate a ciascuno di essi.
2. La denominazione e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi
secondarie
La denominazione sociale può essere liberamente formata, ma deve contenere
l’indicazione di società per azioni. Non può essere però uguale o simile a quella già adottata
da altra società concorrente, quando ciò possa creare confusione.
La sede sociale è il luogo dove risiedono l’organo amministrativo e gli uffici direttivi della
società. Essa tra l’altro individua l’ufficio del registro delle imprese presso il quale deve
avvenire l’iscrizione della società. Sono sedi secondarie quelle dotate di una
rappresentanza stabile.
3. L’oggetto sociale, vale a dire il tipo di attività economica che la società si propone di
svolgere. È questa un’indicazione di particolare rilievo organizzativo in quanto il suo grado
di specificità condiziona la corretta applicazione di numerose norme. È tuttavia pratica
diffusa quella di indicare nell’atto costitutivo una pluralità di attività o un’attività principale
ed ulteriori attività complementari o strumentali rispetto alla prima.
4. L’ammontare del capitale sottoscritto e versato.
5. Il numero e l’eventuale valore nominale delle azioni, le loro caratteristiche e le modalità di
emissione e circolazione
6. Il valore attribuito ai crediti e ai beni conferiti in natura, sempre che ci siano conferimenti di
tale tipo
7. Le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti. Tale indicazione è però
necessaria solo se si voglia modificare la relativa disciplina legale.
8. I benefici eventualmente accordati ai promotori o ai soci fondatori
9. Il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri,
indicando quali tra essi hanno la rappresentanza della società
10. Il numero dei componenti del collegio sindacale
11. La nomina dei primi amministratori e sindaci, e quando previsto, del soggetto incaricato di
effettuare la revisione legale dei conti
12. L’importo globale delle spese per la costituzione poste a carico della società
13. La durata della società. Si può stabilire anche che sia a tempo indeterminato, in tal caso se
le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato, i soci possono liberamente
recedere dalla società, decorso un periodo di tempo fissato dall’atto costitutivo comunque
non superiore ad un anno. Inoltre il socio deve dare un preavviso di almeno 180 giorni, che
lo statuto può allungare fino ad un anno.
L’omissione di uno o più di tali indicazioni legittima il rifiuto del notaio di stipulare l’atto
costitutivo. Non tutti i requisiti di contenuto fissati dall’art 2328 sono però richiesti a pena di
nullità della società una volta intervenuta l’iscrizione nel registro delle imprese.
L’atto costitutivo della società per azioni ha nella pratica un contenuto più ampio ed articolato di
quello minimo richiesto per legge, anche perché è prassi consolidata riprodurre nel contratto
aspetti della disciplina legale che regolano il funzionamento degli organi sociali. Infatti spesso si
preferisce procedere alla redazione di due distinti documenti: l’atto costitutivo e lo statuto.

123
L’atto costitutivo contiene la manifestazione di volontà di costituire la società e i dati fondamentali
della relativa struttura organizzativa; lo statuto contiene le norme legali e convenzionali di
funzionamento della società. Essi costituiscono un contratto unitario. Ne consegue che anche lo
statuto dev’essere redatto per atto pubblico pena la nullità.

Le condizioni per la costituzione


L’art 2327 prevede che la società per azioni deve costituirsi con un capitale non inferiore a 50mila
euro, salvo i casi in cui le leggi speciali impongono un capitale minimo più elevato (es: società
bancarie e finanziarie).
Tuttavia opinione comune è che la società per azioni non sia in ogni caso tenuta a costituirsi con
un capitale adeguato o quanto meno non palesemente inadeguato rispetto all’oggetto sociale da
realizzare.
D’altro canto la misura del capitale sociale iniziale non costituisce di per sé indice significativo o
decisivo per valutare le possibilità di conseguimento dell’oggetto sociale. Non si può infatti
trascurare il ruolo del ricorso al credito sia mediante prestiti degli stessi soci a favore della società,
sia mediante appello al pubblico risparmio per il finanziamento dell’attività di impresa.
Ne consegue che il notaio che redige l’atto costitutivo non può sindacare la congruità del capitale
rispetto all’oggetto sociale.
Per procedere alla costituzione della società per azioni è poi necessario che ricorrano le seguenti
condizioni:
1. Che sia sottoscritto per intero il capitale sociale
2. Che siano rispettate le disposizioni relative ai conferimenti in sede di costituzione ed in
particolare che sia versato presso una banca il 25% dei conferimenti in danaro o, nel caso
di conferimento unilaterale, l’intero ammontare
3. Che sussistano le autorizzazioni governative e le altre condizioni richieste da leggi speciali
per la costituzione della società in relazione al suo particolare oggetto
Di regola, tutte le condizioni per la costituzione previste dall’art 2329 devono preesistere alla
redazione dell’atto costitutivo da parte del notaio. Pertanto, viola la legge notarile ed è soggetto
alle sanzioni disciplinari il notaio che riceve l’atto costitutivo senza accertare che sia stato
preventivamente versato il 25% dei conferimenti in danaro.
Fanno tuttavia eccezione quelle autorizzazioni che per legge devono essere rilasciate
successivamente ala stipula dell’atto costitutivo. Es: l’autorizzazione all’esercizio dell’attività
bancaria. Tali autorizzazioni si configurano come condizione per l’iscrizione della società nel
registro delle imprese, cioè condizionano solo il perfezionamento del procedimento di
costituzione, senza impedire che il procedimento stesso possa essere iniziato in loro assenza.
In tal caso, il termine di 20 giorni entro cui il notaio deve chiedere l’iscrizione decorre da quando il
provvedimento di autorizzazione gli è stato consegnato. E se l’iscrizione è avvenuta nonostante la
mancanza dell’autorizzazione, l’autorità competente al rilascio è legittimata a chiedere la
cancellazione della società dal registro delle imprese.
124
Gli effetti della stipulazione dell’atto costitutivo
La stipulazione dell’atto costitutivo non è di per sé sufficiente per la costituzione della s. per azioni.
Produce tuttavia una serie di effetti immediati e preliminari i contraenti restano vincolati alla
dichiarazione di costituire la società e non possono ritirare il loro consenso finquando non risulti
che alla costituzione della società non si può addivenire per fatti estranei alla loro volontà.
Le somme depositate a titolo di conferimento presso una banca restano vincolate fino al
completamento del procedimento di costituzione. Esse possono essere consegnate solo agli
amministratori e a condizione che questi provino l’avvenuta iscrizione della società nel registro
delle imprese.
I sottoscrittori hanno tuttavia il diritto di rientrare in possesso delle somme versate se la società
non è iscritta nel r. delle imprese entro 90 giorni dalla stipulazione dell’atto costitutivo o dal
successivo rilascio delle prescritte autorizzazioni. Decorso tale termine l’atto costitutivo perde
efficacia. Con la stipulazione dell’atto costitutivo sorge inoltre l’obbligo del notaio di depositarlo
entro 20gg presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della
società allegando all’atto costitutivo i documenti che comprovano l’osservanza delle condizioni
richieste per la costituzione.
Se il notaio non provvede l’obbligo incombe sugli amministratori nominati nell’atto costitutivo.
Nell’inerzia di entrambi ogni socio può provvedervi a spese della società.

Il controllo notarile
Con il deposito dell’atto costitutivo si apriva in passato la seconda fase, il giudizio di omologazione
da parte del tribunale. Compito del tribunale era quello di verificare “l’adempimento delle
condizioni stabilite dalla legge per la costituzione della società”.
Nel diritto vivente si era tuttavia consolidata l’opinione che il controllo del tribunale era un
controllo di legalità (e non di merito) ed un controllo non solo formale ma anche sostanziale, volto
ad accertare la conformità alla legge della costituenda società.
Per esigenze di semplificazione, il giudizio di omologazione del tribunale in sede di costituzione è
stato soppresso nel novembre del 2000, mentre sopravvive come facoltativo per le sole modifiche
nell’atto costitutivo. Il controllo di legalità in sede di costituzione rimane perciò affiato in via
esclusiva al notaio che redige l’atto costitutivo. Il notaio non può ricevere atti “espressamente
proibiti dalla legge o manifestatamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico”.
Inoltre sono previste sanzioni amministrative a carico del notaio che chiede l’iscrizione nel registro
delle imprese di un atto costitutivo da lui rogato quando “risultino manifestatamente inesistenti le
condizioni richieste dalla legge”.

125
Continua a prevalere l’opinione che il notaio abbia la stessa ampiezza di poteri del controllo
esercitato in passato dal tribunale in sede di omologazione. Quindi rimane un controllo di legalità
e non di formalità, che ha carattere sia formale che sostanziale.
Iscrizione nel registro delle imprese
Se ritiene che sussistono le condizioni di legge, il notaio redige l’atto costitutivo e contestualmente
richiede l’iscrizione della società nel registro delle imprese. L’ufficio del registro delle imprese,
prima di procedere ad iscrizione deve verificare solo la regolarità formale della documentazione
ricevuta.
L’iscrizione nel registro delle imprese determina il completamento della fattispecie costitutiva
della società per azioni. Con l’iscrizione la società acquista la personalità giuridica.
Le operazioni compiute prima dell’iscrizione
Può verificarsi che tra la stipulazione dell’atto costitutivo e l’iscrizione della società nel registro
delle imprese, vengano compiute operazioni in nome della costituenda società perché rese
necessarie dello stesso procedimento di costituzione (es: spese notarili e di registrazione) o per
dare sollecito avvio all’attività d’impresa.
È innanzitutto stabilito che “per le operazioni compiute in nome della società prima dell’iscrizione
sono illimitatamente e solidalmente responsabili verso i terzi coloro che hanno agito”.
L’attuale disciplina amplia tuttavia la tutela dei terzi stabilendo che sono altresì solidalmente ed
illimitatamente responsabili il socio unico fondatore e, in caso di pluralità di soci fondatori, quelli
che hanno autorizzato o consentito il compimento delle operazioni.
Nel codice è vietata l’emissione delle azioni prima dell’iscrizione della società nel registro delle
imprese. L’attuale disciplina però non dispone più che l’emissione anticipata dei titoli azionari è
nulla; e non vieta più il trasferimento della partecipazione azionaria prima dell’iscrizione che
pertanto potrà essere validamente effettuato secondo le regole della cessione del contratto.
La società resta automaticamente vincolata solo se le operazioni compiute in suo nome erano
necessarie per la costituzione. E purchè l’atto costitutivo abbia espressamente previsto che le
relative spese siano a carico della società, provvedendo altresì a specificarne l’obbligo globale
almeno approssimativo.
La società è invece libera di accollarsi o meno le obbligazioni derivanti da operazioni non
necessarie per la costituzione. Quindi, pur se si tratta di atti compiuti da futuri amministratori, è
necessario che dopo l’iscrizione l’organo competente della società approvi l’operazione perché su
di essa ricadano le relative obbligazioni. Inoltre, l’accollo da parte della società esterno o anche
eventualmente solo interno, non fa venir meno la responsabilità verso i terzi dei soggetti agenti.
Può tuttavia verificarsi che il procedimento di costituzione non giunga a compimento perché per
esempio l’iscrizione è rifiutata. Per tale ipotesi l’art 2338 co.3 stabilisce che i promotori non hanno
alcuna rivalsa verso i sottoscrittori delle azioni per le spese sostenute per la costituzione.
La norma tuttavia ha carattere eccezionale: gli stessi promotori avranno azione di rivalsa verso i
sottoscrittori qualora abbiano agito su specifico incarico di quest’ultimi. E persone designate come

126
amministratori hanno inoltre comunque azione di rivalsa verso i soci per le spese strettamente
necessarie per la costituzione della società (notarili e di registro). I futuri amministratori sono
infatti obbligati per legge a compiere gli atti necessari per il completamento della fattispecie
costitutiva della società e l’art 2338 co.3 non è perciò loro applicabile.
I problemi più delicati sorgono quando il procedimento di costituzione non venga a compimento e
l’attività d’impresa sia iniziata e continuata in nome della società, nonostante la definitiva
interruzione del procedimento costitutivo. Tuttavia, già in base alla previgente disciplina molteplici
argomenti militavano contro la tesi della società per azioni irregolare o in formazione; argomenti
sintetizzabili nell’assenza di un patrimonio sociale di cui gli amministratori possano legittimamente
disporre. Tale disciplina è rafforzata dall’attuale disciplina.
Questa certamente offre più ampia tutela ai terzi che entrano in contatto con una società per
azioni non ancora iscritta, in quando prevede che nei loro confronti sono responsabili non solo
coloro che hanno agito ma anche i soci fondatori che hanno autorizzato o consentito il
completamento dell’operazione. Ne consegue che, in deroga ai principi in tema di mandato,
l’autorizzazione dei soci fondatori determina una responsabilità esterna (e non solo interna) degli
stessi. La società non rimane automaticamente vincolata dagli atti posti in essere in suo nome
prima dell’iscrizione, quand’anche autorizzata da tutti i soci. Solo con l’iscrizione la società acquista
gli effetti attivi degli atti posti in essere in suo nome prima dell’iscrizione.
Corretta è quindi l’opinione prevalente che esclude l’ammissibilità di una società per azioni
irregolare, anche perché i terzi sono in grado di accertare agevolmente che il procedimento
costitutivo della società non si è completato. Quest’ultimi quindi non possono fare alcun
ragionevole affidamento sul patrimonio della società, dato che gli atti di impresa sono stati
compiuti in nome della costituenda società e non dei sottoscrittori.

La nullità della società per azioni


Il procedimento di costituzione della società per azioni ed in particolare l’atto costitutivo possono
essere affetti da vizi ed anomalie. La reazione dell’ordinamento è profondamente diversa prima e
dopo l’iscrizione della società nel registro delle imprese.
Prima della registrazione vi è solo un contratto di società: un atto di autonomia privata che per il
momento è destinato a produrre effetti solo tra le parti contraenti. Pertanto tale contratto può
essere dichiarato nullo o annullato nei casi e con gli effetti previsti dalla disciplina generale dei
contratti e salva l’applicazione delle norme dettate per i contratti associativi.
La situazione muta radicalmente dopo l’iscrizione nel registro, in quanto dopo esiste una vera e
propria società, sia pure invalidamente costituita. È cioè nata un’organizzazione di persone e di
mezzi abilitata ad operare con i terzi e che, anche se invalidamente costituita, è entrata nel traffico
giuridico.
L’ordinamento non può ignorare che la legalità è stata violata, ma la disciplina dell’invalidità dei
contratti è ormai sanzione non più congrua. La sanzione ormai può solo consistere nello
scioglimento della società, previa definizione dell’attività già svolta. Emerge tuttavia l’esigenza di
tutelare i terzi, salvaguardare la sicurezza dei traffici e la certezza dei rapporti giuridici d’impresa,
127
l’esigenza di consentire la conservazione dell’organizzazione societaria e dei valori produttivi che
essa esprime.
Sulle cause di nullità è intervenuta la riforma del 2003, riducendo drasticamente da 8 a 3 le cause
di nullità previste nell’art 2232 co.1.
Intervenuta l’iscrizione nel r. delle imprese, la società per azioni può essere oggi dichiarata nulla
solo nei seguenti casi tassativamente elencati:
1. Mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico
2. Illiceità dell’oggetto sociale
3. Mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la denominazione della
società, o i conferimenti, o l’ammontare del capitale sociale o l’oggetto sociale
Invece non costituiscono più cause di nullità della società la mancanza dell’atto costitutivo;
l’incapacità di tutti i soci fondatori; la mancanza della pluralità dei fondatori; il mancato
versamento iniziale dei conferimenti in danaro che degrada a mera condizione per la costituzione;
la mancanza di omologazione da parte del tribunale.
Inoltre, queste 3 cause di nullità, oltre ad essere tassative, devono essere interpretate in modo
formale e restrittivo, dato che la direttiva comunitaria stabilisce espressamente che “fuori di questi
casi di nullità, le società non sono soggette ad alcuna causa di inesistenza, nullità assoluta, nullità
relativa o annullabilità”.
La dichiarazione della nullità della società per azioni è diversa dalla nullità di un contratto, in
quanto “non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società per azioni dopo
l’iscrizione nel registro delle imprese”. (TUTTI gli atti compiuti, sia nei confronti di terzi che nei
confronti dei soci).
Inoltre, “i soci non sono liberati dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non siano soddisfatti i
creditori sociali”. In breve, la dichiarazione di nullità non tocca minimamente l’attività già svolta;
opera solo per il futuro come semplice causa di scioglimento della società. Si differenzia dalle
cause di scioglimento della società valida solo perché i liquidatori sono nominati direttamente dal
tribunale con la sentenza che dichiara la nullità. Per il resto trova applicazione il normale
procedimento di liquidazione della società per azioni.
Infine, la nullità della società non iscritta “non può essere dichiarata quando la causa di essa è
stata eliminata e di tale eliminazione è stata data pubblicità nel r. delle imprese”, prima che sia
intervenuta la sentenza dichiarativa di nullità.
Quindi, si tratta di una nullità-scioglimento sanabile e sanabile secondo le norme che regolano il
funzionamento di una società valida. Infatti, per impedire la dichiarazione di nullità basterà che si
provveda, anche dopo l’iscrizione nel registro delle imprese, alla redazione per atto pubblico
nell’atto costitutivo; sarà sufficiente una modifica dell’atto costitutivo deliberata a maggioranza
dell’assemblea straordinaria per sanare l’illiceità dell’oggetto sociale.
Inoltre, per quanto riguarda l’invalidità della singola partecipazione, essa non determinerà la
nullità della società anche se essenziale, ma semmai lo scioglimento per impossibilità di
conseguimento dell’oggetto sociale.

128
Inoltre, la dichiarazione di invalidità della singola partecipazione non ha effetto retroattivo. Il socio
avrà diritto alla liquidazione della sua partecipazione in base alla situazione patrimoniale della
società al momento in cui la partecipazione è dichiarata nulla o annullata.

B. LA SOCIETÀ PER AZIONI UNIPERSONALE. I PATRIMONI DESTINATI.


La società per azioni unipersonale.
Il codice civile del 42 vietava la costituzione di una società per azioni da parte di una singola
persona. Stabiliva inoltre la responsabilità illimitata del socio nelle cui mani si concentravano tutte
le azioni nel corso della vita della società, nel caso di insolvenza di quest’ultima.
Queste disposizioni sono venute meno nel nostro ordinamento dal 1993, sia pure limitatamente
alla società a responsabilità limitata (s.r.l.) in sede di attuazione della 12esima direttiva Cee di
armonizzazione del diritto delle società.
Successivamente nel 2003 sono state introdotte anche le società per azioni unipersonali a
responsabilità limitata. Nel contempo è stata anche ridefinita la disciplina della s.r.l. unipersonale.
In base all’attuale disciplina:
a. È consentita la costituzione di società per azioni con atto unilaterale di un unico fondatore
b. Anche nella società per azioni unipersonale per le obbligazioni sociali di regola risponde
solo la società col proprio patrimonio, salvo alcuni casi eccezionali
Nel contempo sono introdotte cautele volte a prevenire i maggiori pericoli cui sono esposti i terzi.
Innanzitutto l’unico socio fondatore risponde in solido con coloro che hanno agito per le
operazioni compiute in nome della società prima dell’iscrizione nel registro delle imprese.
La limitazione di responsabilità per l’unico socio opera dunque solo per le obbligazioni sorte dopo
l’acquisto della personalità giuridica da parte della società mentre per quelle anteriori la sua
responsabilità permane anche dopo la costituzione della società.
In tema di conferimenti invece, sia in sede di costituzione della società, sia in sede di aumento del
capitale sociale, l’unico socio è tenuto a versare integralmente al momento della sottoscrizione i
conferimenti in danaro (e non solo il 25% come previsto per la s. pluripersonale).
Inoltre, se viene meno la pluralità dei soci i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati
entro 90 giorni. La violazione di tale disciplina impedisce che operi la regola della responsabilità
limitata dell’unico socio.
Per consentire ai terzi di conoscere agevolmente se la società è unipersonale, negli atti e nella
corrispondenza della società deve essere indicato se questa ha un unico socio. Nel contempo, per
consentire l’agevole identificazione dell’unico socio, gli amministratori devono depositare per
129
l’iscrizione nel registro delle imprese una dichiarazione contenente i dati anagrafici dello stesso,
anche quando muti la persona dell’unico socio. Dev’essere data pubblicità nel r. delle imprese
inoltre anche quando si ricostituisca la pluralità dei soci.
Anche l’omissione di tale pubblicità impedisce che operi per l’unico socio il beneficio della r.
limitata.
La società per azioni unipersonale continua ad essere assoggettata al complesso delle norme che
regolano l’organizzazione ed il funzionamento di tale tipo di società. Rimane in particolare ferma la
personalità giuridica della società, ragione per cui l’unico azionista non può essere considerato
diretto titolare del patrimonio sociale. Resta inoltre ferma la reciproca autonomia tra patrimonio
dell’unico azionista e patrimonio della società.
Una particolare disciplina è però introdotta per assicurare maggior trasparenza nei rapporti che
intercorrono tra società ed unico socio. Si stabilisce infatti che i contratti tra società ed unico socio
e comunque le operazioni a favore dello stesso, sono opponibili ai creditori della società solo se
risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto
scritto avente data certa anteriore al pignoramento.
Resta invece demandata alla disciplina di diritto comune e fallimentare l’individuazione degli
strumenti di reazione dei creditori contro eventuali abusi.
Regime di responsabilità per le obbligazioni sociali: per la società per azioni unipersonale vale
regola opposta rispetto a quella dettata dal codice del 1942: l’unico socio non incorre in
responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali. Anche la società per azioni può essere quindi
legittimamente usata per l’esercizio sostanzialmente individuale di attività di impresa a
responsabilità limitata.
Sono tuttavia previste 2 eccezioni che comportano in caso di insolvenza della società la
responsabilità illimitata dell’unico socio per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui tutte le
quote sono allo stesso appartenute. Si tratta comunque di eccezioni ricollegate a situazioni
oggettive e formali. Esse sono:
a. L’unico socio risponde illimitatamente quando non sia osservata la disciplina dell’integrale
liberazione dei conferimenti
b. L’unico socio risponde inoltre fino a quando non sia attuata la specifica pubblicità dettata
per la s.p.a. personale
In entrambi i casi però la r. illimitata dell’unico azionista ha carattere sussidiario in quanto può
essere fatta valere dai creditori sociali “solo in caso di insolvenza” della società, cioè solo dopo che
si sia stato infruttuosamente escusso il patrimonio sociale. In pratica solo dopo il fallimento della
società.
Il fallimento della società non produce però come effetto anche l’automatico fallimento dell’unico
azionista; inoltre la r. illimitata viene meno per le obbligazioni sociali sorte dopo che i conferimenti
sono stati eseguiti o dopo che la pubblicità è stata effettuata.
Dalla riforma del 2003 è inoltre consentito il contemporaneo esercizio di più imprese
sostanzialmente individuali in regime di responsabilità limitata.

130
Problema: questa norma è applicabile anche a chi sia intestatario di una partecipazione quasi
totalitaria? Cioè, di una partecipazione tale da rendere sostanzialmente priva di significato la
residua partecipazione degli altri azionisti (es: chi ha il 98% delle azioni).
La giurisprudenza a riguardo è decisamente orientata in senso negativo. La responsabilità limitata
è esclusa inoltre nel caso di controllo totalitario indiretto, che si verifica quando una piccola
percentuale di azioni è intestata ad una società controllata al 100% da quella titolare della
partecipazione quasi totalitaria.
L’art 2362 è applicabile dalla giurisprudenza solo quando si provi il carattere fittizio o fraudolento
dell’intestazione de residuo pacchetto azionario ad altro soggetto.
L’art 2362 è norma eccezionale in quanto chiama l’unico azionista a rispondere per debiti che
sono e restano formalmente imputabili alla società persona giuridica. La norma vincola la perdita
del beneficio della responsabilità limitata al dato oggettivo e formale dell’appartenenza dell’intero
pacchetto azionario e al mancato rispetto delle norme in tema di conferimenti e pubblicità; non al
dato sostanziale del dominio di fatto della società.

I patrimoni destinati.
La creazione di società unipersonali consente di limitare il rischio di impresa attraverso la
moltiplicazione formale dei soggetti cui i relativi diritti e le relative obbligazioni sono imputabili.
La riforma del 2003 consente per la prima volta alle società una tecnica per limitare il rischio di
impresa: quella dei patrimoni destinati ad uno specifico affare. Una tecnica che consente di evitare
la moltiplicazione formale delle società e i relativi costi.
La società rimane unica ma nel suo ambito sono individuati uno o più patrimoni separati che
rispondono solo delle obbligazioni relative a predeterminate e specifiche operazioni economiche.
Al riguardo l’attuale disciplina offre due modelli di patrimoni destinati:
a. La società per azioni può costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via
esclusiva ad uno specifico affare, sia pure entro i limiti del 10% del proprio patrimonio
netto e purchè non si tratti di affari attinenti ad attività riservate in base a leggi speciali
b. La società può inoltre stipulare con i terzi un contratto di finanziamento di uno specifico
affare, pattuendo che al rimborso totale o parziale del finanziamento siano destinati i
proventi dell’affare stesso o parte di essi
Entrambe le operazioni sono assistite da specifiche cautele volte a conciliare le esigenze di tutela
dei creditori sociali preesistenti con quelle dei creditori che possono fare affidamento solo sui
patrimoni destinati.
Patrimoni destinati c.d. operativi
La costituzione di un patrimonio destinato avviene con apposita deliberazione adottata dall’organo
amministrativo della società a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
La delibera costitutiva deve contenere le indicazioni fissate dall’art 2447 bis, cioè:

131
1. L’affare al quale è destinato il patrimonio, che può anche consistere nell’esercizio di
un’attività di impresa
2. I beni ed i rapporti giuridici compresi nel patrimonio separato. Il valore complessivo del
patrimonio destinato non può superare il 10% del patrimonio netto della società. Deve per
nel contempo essere congruo rispetto alla realizzazione dell’affare, il che va attestato
attraverso un piano economico finanziario da allegare alla delibera di costituzione.
Il piano economico finanziario è volto a precisare gli obiettivi che si intende raggiungere e
deve indicare anche le modalità e le regole relative all’impiego del patrimonio destinato,
nonché le garanzie eventualmente offerte ai terzi.
3. Il patrimonio separato può essere incrementato da apporti di terzi. In tal caso la delibera
costitutiva deve indicare le modalità di controllo sulla gestione e di partecipazione ai
risultati dell’affare. Per agevolare la raccolta di foni da terzi è anche possibile l’emissione di
strumenti finanziari di partecipazione allo specifico affare, con l’indicazione dei diritti che
attribuiscono.
4. Infine la delibera di costituzione deve indicare le regole di rendicontazione dello specifico
affare e deve nominare un revisore legale per la revisione dei conti dell’affare
La deliberazione dev’essere verbalizzata da un notaio ed è soggetta ad iscrizione nel registro delle
imprese. Su di essa di esercita il controllo notarile con le modalità previste per la modificazione
dell’atto costitutivo. La separazione patrimoniale diventa tuttavia produttiva di effetti solo dopo
che siano decorsi 60 giorni dall’iscrizione.
Entro tale termine i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono fare opposizione al tribunale
che può disporne l’esecuzione previa prestazione da parte della società di idonea garanzia.
Decorso tale termine si producono gli effetti della separazione patrimoniale. I creditori della
società non possono più far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare né sui
frutti proventi da esso derivanti.
Nel contempo, delle obbligazioni contratte per realizzare lo specifico affare, la società risponde di
regola solo nei limiti del patrimonio destinato, salvo che la delibera di costituzione non stabilisca
diversamente. Resta tuttavia salva la responsabilità illimitata della società per le obbligazioni
derivanti da fatto illecito.
Perché la separazione patrimoniale operi è necessario che gli atti compiuti in relazione allo
specifico affare rechino espressa menzione nel vincolo di destinazione. In mancanza ne risponde la
società col suo patrimonio.
Per ciascun patrimonio destinato inoltre dovranno essere tenuti separatamente i libri e le scritture
contabili e nel bilancio della società dovranno essere distintamente indicati i beni e i rapporti
compresi in ciascun patrimonio, con separato rendiconto in allegato al bilancio.
Se la società ha emesso strumenti finanziari di partecipazione all’affare la stessa deve tenere un
libro indicante le loro caratteristiche, i possessori ed i vincoli ad essa relativi. È prevista poi
un’organizzazione per la tutela degli interessi dei loro possessori.
Principale competenza dell’assemblea speciale è deliberare in ordine alle modificazioni dei diritti
attribuiti dagli strumenti finanziari di partecipazione all’affare nonché sulle controversie con la

132
società e sulle relative transazioni e rinunce. L’assemblea nomina e revoca il rappresentante
comune, con funzione di controllo sul regolare andamento dello specifico affare, e delibera
sull’azione di responsabilità nei suoi confronti. Delibera inoltre sulla costituzione di un fondo per le
spese necessarie alla tutela dei comuni interessi.
Per il resto all’assemblea e al rappresentante comune si applica la disciplina dell’organizzazione
degli obbligazionisti. Come per quest’ultimi si stabilisce che la presenza di un’organizzazione a
tutela degli interessi comuni non preclude le azioni individuali dei possessori di strumenti
finanziari, salvo che queste siano incompatibili con le deliberazioni dell’assemblea.
Realizzato l’affare o negli altri casi di cessazione del vincolo di destinazione (es: fallimento della
società), gli amministratori redigono un rendiconto finale che dev’essere depositato presso
l’ufficio del registro delle imprese.
Se permangono creditori insoddisfatti questi possono chiedere mediante lettera raccomandata (da
inviare entro 90 giorni dal deposito) la liquidazione del patrimonio destinato. Non è prevista però
alcuna procedura concorsuale per il patrimonio destinato insolvente, perché la liquidazione
avverrà osservando esclusivamente le disposizioni sulla liquidazione delle società di capitali.
Questa soluzione tuttavia comporta una grave lacuna della tutela dei creditori del patrimonio
destinato e forte è il dubbio di incostituzionalità.
Se invece nessun creditore chiede la liquidazione del patrimonio dopo il deposito del rendiconto
finale, cessa il vincolo di destinazione e i beni e i rapporti del patrimonio destinato confluiscono in
quello generale.

I finanziamenti destinati
Più semplice è la disciplina dettata per la modalità con contratto di finanziamento di uno specifico
affare, con previsione che al rimborso totale o parziale del finanziamento sono destinati tutti o in
parte i proventi dell’affare stesso.
I contratto deve descrivere gli elementi essenziali dell’operazione che consentano di individuale lo
specifico oggetto, le modalità e i tempi di realizzazione, nonché tutti i costi previsti e i ricavi attesi.
Deve inoltre specificare i beni strumentali necessari per la realizzazione e il relativo piano
finanziario indicando la parte coperta dal finanziamento e quella a carico della società.
Il finanziamento non può essere rappresentato da titoli destinati alla circolazione fuori dall’ipotesi
di cartolarizzazione dei crediti.
Il finanziamento viene rimborsato dai proventi generati dall’affare nel tempo massimo indicato nel
contratto. Decorso tale periodo nulla è più dovuto al finanziatore. La società può garantire il
rimborso, ma solo per una parte del finanziamento, restando il finanziatore esposto al rischio
dell’affare per la parte scoperta.
D’altra parte è anche possibile accentuare i profili di rischio dell’operazione stabilendo che solo
una parte dei proventi sia destinata al rimborso.

133
Per le descritte caratteristiche del finanziamento destinato è consentito che la società presti
specifiche garanzie in ordine all’esecuzione del contratto e alla corretta e tempestiva realizzazione
dell’operazione: il che è presupposto fondamentale affinchè si generino i proventi destinati al
soddisfacimento del finanziatore.
Nel caso di finanziamento destinato, il patrimonio separato è formato dai proventi dell’affare, dai
relativi frutti e dagli investimenti eventualmente effettuati in attesa del rimborso al finanziatore. È
necessario tuttavia che copia del contratto sia iscritta nel registro delle imprese e che la società
adotti sistemi di incasso e di contabilizzazione idonei ad individuare in ogni momento i proventi
dell’affare e a tenerli separati dal restante patrimonio della società.
Adempiuti i requisiti pubblicitari e contabili i creditori della società non possono più esercitare
azioni sui beni oggetto di separazione patrimoniale. Inoltre, non possono aggredire i beni
strumentali alla realizzazione dell’operazione, ma esclusivamente esercitare su di essi azioni
conservative, sino al rimborso del finanziamento.
Il finanziatore a sua volta non ha azione sul residuo patrimonio della società, salva l’ipotesi di
garanzia parziale di rimborso offerta dalla società stessa.
Se però la società fallisce prima della realizzazione dell’affare il finanziatore potrà insinuarsi nel
fallimento della società per le somme non riscosse. In alternativa, quando il fallimento della
società non permette la realizzazione dell’operazione, il curatore può decidere di subentrare nel
contratto assumendone gli oneri relativi, oppure il finanziatore può chiedere di realizzare o
continuare l’operazione in nome proprio o affidandolo a terzi, insinuandosi nel fallimento per
l’eventuale credito residuo.

C. I CONFERIMENTI
Conferimenti e capitale sociale
I conferimenti costituiscono i contributi dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della
società; la loro funzione essenziale è quella di dotare la società del capitale di rischio iniziale per lo
svolgimento dell’attività. Il valore in denaro del complesso dei conferimenti promessi dai soci,
costituisce il capitale sociale nominale della società.
I conferimenti formano quindi il patrimonio iniziale della società ed il loro valore esprime, di
regola, la cifra del capitale sociale nominale. Questo a sua volta individua la frazione ideale del
patrimonio netto (capitale reale) indisponibile a favore dei soci durante la vita della società
(funzione vincolistica) e funge inoltre da termine di riferimento per la misurazione di alcuni
fondamentali diritti dell’azionista (funzione organizzativa).
Per la s.p.a. è prevista una specifica disciplina dei conferimenti, ispirata da una duplice finalità:
a. Quella di garantire che i conferimenti promessi dai soci vengano effettivamente acquisiti
dalla società
b. Quella ulteriore di garantire che i il valore assegnato dai soci ai conferimenti sia veritiero.
Ciò per evitare che il valore complessivo dei conferimenti sia inferiore all’ammontare
globale del capitale sociale.
134
Ne consegue che a ciascun socio deve essere di regola assegnato un numero di azioni
proporzionale alla quota del capitale sociale sottoscritto e per un valore non superiore a quello del
suo conferimento. Questo tuttavia non è principio inderogabile, nei limiti che il valore globale dei
conferimenti non sia inferiore all’ammontare globale del capitale sociale.

Conferimenti in danaro
Nella società per azioni i conferimenti devono essere effettuati in danaro se nell’atto costitutivo
non è stabilito diversamente. È disposto l’obbligo di versamento immediato di almeno il 25% dei
conferimenti in danaro o dell’intero ammontare se si tratta di società unipersonale.
L’esigenza di garantire l’effettività del capitale domina poi la disciplina dettata per l’acquisizione
dei conferimenti residui. Costituita la società, gli amministratori possono chiedere in ogni
momento ai soci i versamenti ancora dovuti, non sono tenuti a rispettare eventuali termini stabiliti
dall’atto costitutivo.
Le azioni non interamente liberate sono trasferibili. Devono però essere necessariamente
nominative e dal titolo azionario devono risultare i versamenti ancora dovuti e in caso di
trasferimento delle azioni l’obbligo di versamento dei conferimenti residui grava sia sul socio
attuale (acquirente) sia sull’alienante. La responsabilità dell’alienante però è limitata nel tempo
(permane solo per 3 anni dall’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci) ed ha carattere
sussidiario (sull’attuale azionista grava in via principale l’obbligo di conferimento).
Qualora il socio non esegua il pagamento delle quote dovute è dettata una speciale disciplina. Il
socio in mora nei versamenti innanzitutto non può esercitare il diritto di voto. Inoltre, la società
può avvalersi di una celere procedura di vendita coattiva delle azioni del socio moroso. Decorsi 15
giorni dalla pubblicazione di una diffida nella Gazzetta Ufficiale, gli amministratori offrono le azioni
agli altri soci in proporzione alla loro partecipazione e per un corrispettivo non inferiore ai
conferimenti ancora dovuti. In mancanza di offerta la società può far vendere le azioni a mezzo di
una banca o di un intermediario autorizzato.
Se la vendita coattiva non ha esito gli amministratori possono dichiarare decaduto il socio,
trattenendo i conferimenti già versati e salvo il risarcimento dei maggiori danni.
Le azioni del socio escluso entrano a far parte del patrimonio della società e questa può ancora
tentare di metterle in circolazione entro l’esercizio in cui fu pronunciata la decadenza. Svanita
anche quest’ultima possibilità per l’acquisizione dei conferimenti, la società deve annullare le
azioni rimaste invendute riducendo per ammontare corrispondente il capitale sociale.
I conferimenti diversi dal danaro
Diversamente da quanto previsto per le società di persone, non ogni entità economica diversa dal
danaro può essere conferita in società per azioni. È infatti espressamente stabilito che “non
possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o servizi”. Le prestazioni di opera
o servizi possono oggi formare oggetto solo di prestazioni accessorie, distinte dai conferimenti o di
apporti dei soci non imputabili a capitale.
135
Limitazioni sono poi introdotte anche per i conferimenti di beni in natura e crediti, ai quali si
applicano comunque i principi dettati per le società di persone quanto alla garanzia cui è tenuto il
socio conferente ed al passaggio dei rischi. “Le azioni corrispondenti a tali conferimenti devono
essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione”. Il socio quindi deve porre in essere
tutti gli atti necessari affinchè la società acquisti la titolarità e la piena disponibilità del bene
conferito, una volta che sia venuta ad esistenza con il completamento del procedimento di
costituzione.
Questa limitazione certamente preclude l’apporto a titolo di conferimento di cose generiche,
future o altrui, nonché di prestazioni periodiche di beni.
È invece da ritenersi ammissibile, benchè il punto sia ancora controverso, il conferimento di diritti
di godimento, dato che la società acquista col consenso del conferente l’effettiva disponibilità del
bene ed è in grado di trarne tutte le utilità.
Anche oggi quindi resta conferibile ogni prestazione di dare suscettibile di valutazione economica
oggettiva e di immediata messa a disposizione della società.

La valutazione
I conferimenti diversi dal danaro (c. in natura e conferimento di crediti) devono formare oggetto di
uno specifico procedimento di valutazione regolato dall’art 2343. Si vuole così assicurare una
valutazione oggettiva e veritiera di tali conferimenti e soprattutto evitare che agli stessi venga
assegnato un valore nominale superiore a quello reale.
Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare una relazione giurata di stima di un esperto
designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società. La stima deve contenere una serie di
indicazioni e in particolare deve attestare che “il loro valore è almeno pari a quello ad essi
attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo”. A
relazione dev’essere allegata all’atto costitutivo e deve rimanere depositata presso l’ufficio delle
imprese.
L’eventuale omissione della relazione di stima non comporta né la nullità della società né la nullità
del singolo conferimento. Resta tuttavia necessaria la successiva fase di controllo del valore.
Il valore assegnato in base alla relazione di stima ha carattere provvisorio. Entro 180 giorni dalla
costituzione della società, gli amministratori devono controllare le valutazioni contenute nella
relazione di stima e devono procedere ala revisione della stima se sussistono fondati motivi. Nel
frattempo le azioni corrispondenti sono inalienabili e devono restare depositate presso la sede
della società.
Se dalla revisione risulta che il valore dei beni o crediti conferiti è inferiore di oltre 1/5 rispetto a
quello per cui avvenne il conferimento, la società deve ridurre proporzionalmente il capitale
sociale e annullare le azioni che risultano scoperte. Al socio però è concessa la duplice alternativa
di non vedere così ridotta la propria partecipazione:
a. Versare la differenza in danaro, mantenendo così inalterato il numero delle azioni
sottoscritte
136
b. Recedere dalla società, con conseguente diritto alla liquidazione del valore attuale delle
azioni sottoscritte. In questo caso il socio recedente ha diritto alla restituzione in natura del
bene conferito, qualora ciò sia possibile in tutto o in parte.
Perciò, i risultati della revisione devono essere preventivamente comunicati al socio in modo da
consentirgli l’esercizio di tali scelte alternative, nonché per permettergli di impugnare di fronte
all’autorità giudiziaria la revisione operata dagli amministratori. Nell’inerzia del socio la riduzione
della sua partecipazione si produrrà solo con la deliberazione dell’assemblea straordinaria che
riduce il capitale e annulla le azioni rimaste scoperte.
L’atto costitutivo può tuttavia prevedere che, intervenuto l’annullamento delle azioni, quelle
residue siano diversamente ripartite tra i soci, nel rispetto del principio che il valore complessivo
dei conferimenti non può essere inferiore all’ammontare globale del capitale sociale.
Del delineato procedimento di stima oggi tuttavia se ne può fare a meno per evitare costi e
lungaggini, quando il valore del conferimento in natura risulta già in modo attendibile da altre
circostanze.
Non è richiesta infatti la stima del perito nominato dal tribunale quando il valore attribuito dal
conferimento in natura, ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale
sovrapprezzo, è pari o inferiore:
1. Per i titoli quotati nel mercato dei capitali (valori mobiliari come azioni o obbligazioni) e per
gli strumenti quotati nel mercato monetario (titoli di debito pubblico, ecc…) al prezzo
medio ponderato al quale tali strumenti finanziari sono stati negoziati nei 6 mesi
precedenti
2. Al fair value iscritto nel bilancio dell’esercizio precedente quello nel quale è effettuato il
conferimento. È però necessario che il bilancio dal quale si ricava il valore del conferimento
sia sottoposto a revisione e che la relazione del revisore non esprima rilievi in ordine alla
valutazione dei beni o crediti oggetto del conferimento.
3. O al valore risultante da una valutazione riferita ad una data precedente di non oltre 6 mesi
il conferimento e conforme ai principi e criteri generalmente riconosciuti per la valutazione
dei beni oggetto del conferimento. Chi intende realizzare un conferimento in natura oggi
perciò può far redigere una stima non giurata da un esperto di sua fiducia, senza ricorrere
alla nomina da parte del tribunale. Deve però trattarsi di un esperto indipendente sia dalla
società sia da chi effettua il conferimento, sia infine dai soggetti che esercitano il controllo
sul soggetto conferente o sulla società medesima. L’esperto deve inoltre essere in possesso
di adeguata e comprovata professionalità.
La documentazione presentata dal conferente è allegata all’atto costitutivo. Inoltre gli
amministratori possono far sottoporre ad una nuova valutazione il conferimento in natura,
qualora essi ritengano inattendibile il valore attribuito; o perché fatti eccezionali hanno
sensibilmente modificato il valore degli strumenti finanziari alla data di iscrizione della società nel
r. delle imprese rispetto al prezzo medio di quotazione dei precedenti 6 mesi; o perché dopo la
data di riferimento del bilancio o della precedente stima sono intervenuti fatti nuovi che hanno
sensibilmente alterato il valore dei beni o crediti conferiti; o infine perché l’esperto che ha
effettuato la stima non era dotato di adeguati requisiti di professionalità ed indipendenza.

137
Tali accertamenti devono essere espletati dagli amministratori entro 30 giorni dall’iscrizione della
società e se conducono alla contestazione del valore di conferimento, la nuova stima dovrà essere
effettuata secondo l’ordinaria procedura di valutazione dell’art 2343.
Diversamente, gli amministratori nel medesimo termine iscrivono nel registro delle imprese una
dichiarazione in cui descrivono la fonte e i metodi di stima dei beni o crediti conferiti, attestano
che il valore così determinato è almeno pari a quello loro attribuito ai fini della determinazione del
capitale sociale e dell’eventuale sovrapprezzo e infine danno atto del risultato positivo dei controlli
da essi effettuati.
Fino all’iscrizione di tale dichiarazione le azioni corrispondenti sono inalienabili e devono restare
depositate presso la sede delle società.

Gli acquisti potenzialmente pericolosi.


L’obbligo di assoggettare a stima i conferimenti in natura poteva essere in passato eluso attraverso
un semplice espediente. Chi intendeva conferire un bene in natura configurava nell’atto costitutivo
come un socio che si era obbligato a conferire denaro; appena costituita la società vendeva alla
stessa il bene, per importo corrispondente alla somma da lui dovuta a titolo di conferimento, con
la conseguenza che il suo debito di apporto si estingueva per compensazione.
Questa operazione era certamente illecita, configurando come una frode alla legge per violazione
dell’art 2343. Era però difficilmente sanzionabile per la difficoltà di provare in concreto l’intento
fraudolento. Per rispondere a questa finalità viene introdotto l’art 2343-bis, il quale neutralizza sia
pure solo per i primi due anni di attività della società, i pericoli connessi all’elusione dell’obbligo di
stima e contemporaneamente anche i pericoli per l’integrità del patrimonio sociale derivanti da
operazioni potenzialmente pericolose.
Questi obiettivi sono perseguiti assoggettando ad una particolare procedura autorizzativa gli
acquisti di beni o di crediti dai promotori, dai fondatori, dai soci attuali o dagli amministratori
quando:
a. Il corrispettivo pattuito sia pari o superiore al decimo del capitale sociale
b. L’acquisto sia compiuto nei 2 anni dall’iscrizione della società nel registro delle imprese
Tali acquisti devono inoltre essere preventivamente autorizzati dall’assemblea ordinaria. Inoltre
l’alienante deve presentare una relazione giurata di un esperto designato dal tribunale, oppure la
documentazione richiesta per la valutazione dei conferimenti con metodi alternativi, “contenente
la descrizione dei beni o dei crediti, il valore a ciascuno di essi attribuiti, i criteri di valutazione
seguiti, nonché l’attestazione che tale valore non è inferiore al corrispettivo che deve comunque
essere indicato”.
In caso di violazione di tale disciplina l’acquisto rimane valido, ma gli amministratori e l’alienante
sono solidalmente responsabili per i danni causati alla società, ai soci e ai terzi.
La disciplina fin qui esposta tuttavia non trova applicazione quando gli acquisti avvengono nei
mercati regolamentati o sotto il controllo dell’autorità giudiziaria o amministrativa, dato che in tal
caso il prezzo di acquisto è ufficiale o comunque soggetto a controllo.
138
Sono inoltre esentati gli acquisti che vengano fatti a condizioni normali nell’ambito delle
operazioni correnti della società.
Inoltre dall’ambito di applicazione dell’art 2343 bis sono esclusi i contratti aventi per oggetto
prestazioni di opere o di servizi.

Le prestazioni accessorie
L’atto costitutivo oltre all’obbligo di conferimenti può prevedere l’obbligo dei soci di eseguire
prestazioni accessorie non consistenti in danaro, determinandone anche contenuto, durata,
modalità e compenso. Es: obbligo del socio di prestare la propria attività lavorativa o professionale
nella società.
Le prestazioni accessorie costituiscono utile strumento per vincolare stabilmente i soci ad
effettuare a favore della società prestazioni che non possono formare oggetto di conferimento.
Le azioni con prestazioni accessorie devono essere nominative e non sono trasferibili senza il
consenso degli amministratori, dato che il trasferimento delle azioni comporta anche il
trasferimento in testa all’acquirente dell’obbligo di esecuzione delle prestazioni accessorie.
Tali obblighi inoltre possono essere modificati solo col consenso di tutti i soci. Nonostante
quest’ultima peculiarità è da ritenersi che le prestazioni accessorie costituiscano adempimento di
obbligazioni sociali e non di un rapporto contrattuale diverso e distinto dal rapporto sociale. Ne
consegue che la disciplina dei rapporti contrattuali aventi ad oggetto identiche prestazioni
(somministrazione, appalto, contratto d’opera o lavoro subordinato) sarà applicabile solo in
quanto compatibile con la disciplina societaria.

139
CAPITOLO 5
LE AZIONI
Nozione e caratteri
Le azioni sono le quote di partecipazione dei soci nella società per azioni. Sono quote di
partecipazione omogenee e standardizzate, liberamente trasferibili e di regola rappresentate da
documenti che circolano secondo la disciplina dei titoli di credito.
Nella società per azioni infatti il capitale sociale sottoscritto è diviso in un numero predeterminato
di parti di identico ammontare, ciascuna delle quali costituisce un’azione ed attribuisce identici
diritti nella società e verso la società. La singola azione rappresenta l’unità minima di
partecipazione al capitale sociale e l’unità di misura dei diritti sociali. È perciò indivisibile.
Se più soggetti diventano titolari di un’unica azione devono nominare un rappresentante comune
per l’esercizio dei diritti verso la società.
In relazione dell’ammontare del capitale circoscritto, ciascun socio diventa titolare non già di
un’unica ed unitaria quota di partecipazione, bensì di tante quote quante sono le azioni
sottoscritte. E ciascuna azione costituisce una partecipazione tendenzialmente distinta ed
autonoma rispetto alle altre possedute dallo stesso soggetto.
A. AZIONI E CAPITALE SOCIALE
Il valore delle azioni
Le azioni devono essere tutte di uguale valore, cioè rappresentare tutte un’identica frazione del
capitale sociale nominale. Si definisce valore nominale delle azioni la parte del capitale sociale da
ciascuna rappresentata espressa in cifra monetaria.
Possono essere emesse anche azioni senza indicazione del valore nominale. Non è però
consentito emettere contemporaneamente alcune azioni con ed altre senza valore nominale.
Nelle azioni con valore nominale lo statuto deve specificare non solo il capitale sottoscritto, ma
anche il valore nominale di ciascuna azione ed il loro numero complessivo.
Il valore nominale delle azioni è insensibile alle vicende patrimoniali della società. Rimane
invariato nel tempo e può essere modificato solo attraverso una modifica dell’atto costitutivo,
dando luogo al frazionamento o al raggruppamento delle azioni.
Nelle azioni senza indicazione del valore nominale lo statuto deve indicare solo il capitale
sottoscritto e il numero di azioni emesse, fermo restando che anche le azioni senza il valore
nominale sono frazioni uguali del capitale sociale.
140
In tal caso la partecipazione al capitale del singolo azionista sarà espressa in una percentuale del
numero complessivo di azioni emesse. Es: l’azionista che ha sottoscritto mille azioni in un capitale
sottoscritto di un milione di € sarà titolare dell’1% del capitale sociale e quindi dell’1% dei diritti di
voto o degli altri diritti.
Tuttavia le azioni senza valore nominale hanno pur sempre un valore che esprime la frazione di
capitale nominale da ciascuna rappresentato: sebbene tale valore non sia espressamente indicato
con una cifra, esso può essere in ogni momento ricavato dividendo l’ammontare del capitale
sociale nominale per il numero di azioni emesse. Per agevolare il calcolo la legge prescrive anzi che
i titoli azionari rechino l’indicazione del numero complessivo di azioni emesse e l’ammontare del
capitale sociale.
Per tutte le azioni vale la regola che in nessun caso il valore complessivo dei conferimenti può
essere inferiore all’ammontare globale del capitale sociale. Perciò, le azioni non possono essere
complessivamente emesse per somma inferiore al loro valore nominale. Ciò è per evitare che il
capitale realmente conferito ai soci sia inferiore di quello dichiarato.
Le azioni invece possono essere emesse per somma superiore al valore nominale (emissione con
sovrapprezzo) sia in sede di costituzione sia in sede di aumento di capitale sociale. L’emissione con
sovrapprezzo è anzi obbligatoria quando venga escluso o limitato il diritto di opzione degli azionisti
sulle azioni di nuova emissione ed il valore reale delle azioni sia superiore a quello nominale.
Il valore di emissione delle azioni infatti va tenuto distinto dal valore reale delle stesse, che si
ottiene dividendo il patrimonio netto per il numero di azioni. Tale valore cambia nel tempo in
funzione delle vicende economiche della società e può essere accertato contabilmente attraverso
il bilancio di esercizio (valore di bilancio).
Diverso ancora è il valore di mercato delle azioni, che risulta giornalmente dai listini ufficiali
quando le azioni sono ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato (borsa valori). Esso
indica il prezzo di scambio delle azioni in quel determinato giorno, prezzo che tendenzialmente
coincide col valore patrimoniale attuale

L’indivisibilità delle azioni


L’uguaglianza del valore delle azioni è principio inderogabile in quanto l’azione è l’unità minima di
partecipazione e ad essa corrisponde un complesso unitario e non frazionabile di diritti e poteri
sociali. Le azioni sono perciò indivisibili.
Se più soggetti diventano titolari di un’unica azione, si instaura per legge una situazione di
comproprietà indivisa, assoggettata ad una specifica disciplina volta ad evitare che la società
subisca intralci o pregiudizi. I diritti dei comproprietari verso la società devono essere esercitati da
un rappresentante comune.
Se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla
società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti. È da ritenersi invece che
l’esercizio dei diritti sociali resti precluso ove non si provveda alla nomina del rappresentante.

141
In ogni caso i comproprietari dell’azione rispondono solidalmente verso la società delle
obbligazioni da essa derivanti e quindi per il versamento dei conferimenti ancora dovuti.
Frazionamento e raggruppamento di azioni
Nel caso di azioni con indicazione del valore nominale, l’indivisibilità delle azioni non impedisce
che la società possa procedere a un loro frazionamento che ne riduce l’originario valore nominale.
Ad esempio si può deliberare di sostituire ogni azione da 10€ con azioni da 1€.
Possibile e più frequente è l’operazione inversa: il raggruppamento delle azioni attraverso
l’aumento del loro originario valore nominale. Es: sostituzione di dieci azioni da 1€ con una da 10€.
Analoghe operazioni possono essere realizzate con le azioni senza valore nominale.
Il raggruppamento delle azioni tuttavia pone delicati problemi di tutela del singolo azionista
quando è congegnato in modo tale da non consentire ad ogni socio la piena conversione delle
azioni possedute (formazione di resti) o peggio ancora non consente ad alcuni di ottenere in
cambio nemmeno una nuova azione, così pregiudicando la stessa conservazione della qualità di
socio.
È tuttavia opinione prevalente che la delibera di raggruppamento può considerarsi legittima
quando è conseguenza di altra operazione che sarebbe impedita o gravemente ostacolata qualora
non si desse luogo alla formazione di resti (ad esempio fusione). Invalidità della delibera si avrà
pertanto solo quando il raggruppamento risulta predisposto al solo fine di pregiudicare la
posizione di singoli azionisti, configurandosi in tal caso un’ipotesi di abuso ai danni della
minoranza.

B. LA PARTECIPAZIONE AZIONARIA
L’uguaglianza dei diritti
Ogni azione costituisce una partecipazione sociale ed attribuisce al suo titolare un complesso
unitario di diritti e poteri di natura amministrativa (diritto di intervento e voto nelle assemblee,
diritto di esaminare determinati libri sociali), di natura patrimoniale (diritto agli utili, diritto alla
quota di liquidazione) e a contenuto complesso amministrativo e patrimoniale (diritto di opzione,
diritto all’assegnazione di azioni gratuite, diritto di recesso).
Le azioni conferiscono ai loro possessori uguali diritti. Il principio di uguaglianza tuttavia va
correttamente inteso: si tratta di uguaglianza relativa e non assoluta, inoltre oggettiva non
soggettiva.
L’uguaglianza è relativa in quanto lo stesso art 2348 consente di creare “categorie di azioni fornite
di diritti diversi”. Da qui la distinzione tra azioni ordinarie ed azioni di categoria o speciali.
L’uguaglianza è poi oggettiva poiché uguali sono i diritti che ogni azione attribuisce, non i diritti di
cui ciascun azionista globalmente dispone, dovendosi tenere conto al riguardo anche del numero
delle azioni di cui ciascuno è titolare.
I diritti sociali possono essere distinti in 4 categorie:
142
1. Diritti indipendenti dal numero di azioni possedute. Sono tali il diritto di voto in assemblea,
il diritto di denuncia al collegio sindacale, il diritto di esame dei libri sociali. Basta possedere
una sola azione per esercitare tali diritti.
2. Diritti che competono solo se si possiede una determinata % del capitale sociale. Sono tali il
diritto di chiedere la convocazione dell’assemblea o di ottenere il rinvio, il diritto di
ottenere che il collegio sindacale indaghi sui fatti denunciati, il diritto di denuncia al
tribunale, il diritto di impugnare deliberazioni assembleari invalide.
Questi sono diritti tradizionalmente definiti come diritti della minoranza, in quanto
possono essere esercitati dai soci che raggiungono le prescritte % del capitale sociale,
anche contro la volontà della maggioranza. Nella disciplina vigente sono stati introdotti per
le società quotate nuovi e specifici strumenti di tutela degli azionisti di minoranza, tra cui la
disciplina dell’azione sociale di responsabilità su iniziativa della minoranza e la nomina da
parte della minoranza di almeno un membro dell’organo amministrativo e di quello di
controllo.
c. Diritti che spettano solo se si possiede una partecipazione azionaria per un certo periodo.
Sono i diritti di maggiorazione del dividendo e del diritto di voto che gli statuti delle società
possono accordare ai soci che detengono le azioni per un tempo minimo predeterminato,
al fine di favorire la stabilità della compagine sociale e premiare gli azionisti più fedeli.
d. Diritti che spettano ad ogni azionista in proporzione del numero delle azioni possedute.
Sono tali il diritto di voto, il diritto agli utili e alla quota di liquidazione, il diritto alla
liquidazione della quota in caso di recesso, il diritto di opzione, il diritto all’assegnazione
gratuita di azioni.
In relazione a questi diritti si coglie la situazione di diseguaglianza soggettiva degli azionisti. Si
tratta tuttavia di diseguaglianze soggettive perfettamente legittime e giuste, poiché su di esse si
forma il funzionamento di un organismo economico a base capitalistica. Chi ha una maggiore
partecipazione al capitale e più rischia ha più potere.
Il che non esclude però, che quando entrano in gioco interessi pubblici di particolare rilevanza, il
legislatore introduca deroghe al principio capitalistico, con il riconoscimento allo Stato o ad enti
pubblici di poteri societari svincolati dall’ammontare della partecipazione azionaria.
In particolare nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, possono essere
riconosciuti poteri speciali allo Stato o ad enti pubblici mediante l’attribuzione agli stessi di
strumenti finanziari partecipativi. Inoltre il codice fa salva per le società di interesse nazionale (es:
Rai) la particolare disciplina per esse dettata da leggi speciali circa “la gestione sociale, la
trasferibilità delle aioni, il diritto di voto e la nomina di amministratori, sindaci e dirigenti”.
Nella stessa prospettiva si collocano i poteri speciali riconosciuti allo Stato sulle società che
svolgono attività di rilevanza strategica nel settore della difesa e della sicurezza nazionale, nonché
sulle società che detengono attivi strategici nel settore dell’energia, trasporti e comunicazioni.
Tuttavia la nuova normativa precisa che l’intervento governativo può giustificarsi solo in casi
eccezionali, in presenza di una “minaccia di grave pregiudizio agli interessi essenziali della difesa e
della sicurezza nazionale o di una minaccia di grave pregiudizio agli interessi pubblici relativi alla
sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti ed alla continuità degli
approvvigionamenti”.

143
Unità ed autonomia delle partecipazioni azionarie
Le azioni costituiscono partecipazioni sociali distinte. L’azionista può sottoscrivere o acquistare più
azioni ed in tal caso diventa titolare di una pluralità di partecipazioni azionarie.
Questo è il principio dell’autonomia delle azioni. L’azionista può disporre in modo autonomo e
separato delle azioni possedute. Ad esempio può venderne solo alcune oppure conservare la piena
proprietà di un certo numero e concederne le altre in usufrutto o in pegno.
Inoltre, anche all’interno della società l’azionista può comportarsi come titolare di distinte
partecipazioni dei diritti proporzionati al numero di azioni possedute. Ad esempio, l’azionista può
esercitare il diritto di voto per alcune azioni e non per altre, oppure potrà votare con alcune
personalmente e con altre tramite uno o più rappresentanti. È lecito anche il voto divergente
(alcune azioni a favore ed alcune contro) quando chi sia intestatario fiduciario di azioni per conto
di più soggetti riceva istruzioni divergenti dai fiducianti.
Un esercizio necessariamente unitario invece è necessario per quei diritti che spettano all’azionista
in quanto tale, indipendentemente dal numero di azioni possedute. Quindi il socio non può
intervenire in assemblea solo per una parte di azioni da lui possedute.
Numerose poi sono le norme che impongono specifici obblighi e specifici divieti all’azionista in
possesso di determinate aliquote del capitale sociale.
Infine è fuori dubbio che un pacchetto azionario abbia un proprio specifico valore, maggiore e
spesso notevolmente maggiore della somma dei valori delle singole azioni atomisticamente
considerate. Ciò ne impone una considerazione unitaria quanto meno in sede di valutazione.

Le categorie speciali di azioni


Sono categorie speciali di azioni quelle fornite di diritti diversi da quelli tipicamente previsti nella
disciplina legale. Esse possono essere create con lo statuto o con successiva modificazione.
La presenza di categorie speciali di azioni comporta una modifica nell’organizzazione interna della
società, per la contemporanea presenta di diversi gruppi di azionisti con interessi parzialmente
non coincidenti. Se esistono diverse categorie di azioni, le deliberazioni dell’assemblea (generale)
che pregiudicano i diritti di una di esse devono essere approvate anche dall’assemblea speciale
della categoria interessata.
Alle assemblee speciali si applica la disciplina delle assemblee straordinarie se le azioni speciali non
sono quotate. Se invece le azioni sono quotate, si applica la disciplina dell’organizzazione degli
azionisti di risparmio, che prevede quorum assembleari meno elevati e la nomina di un
rappresentante degli azionisti speciali.
La previsione normativa indubbiamente tutela gli azionisti di categoria come gruppo (non
individualmente).

144
La delibera dell’assemblea di categoria è necessaria solo se vengono pregiudicati i diritti di una
determinata categoria di azioni, non quando vengono pregiudicati i diritti di tutti gli azionisti. È
necessario inoltre che il pregiudizio subito sia un pregiudizio diretto e non solo indiretto o di fatto.

Il contenuto della partecipazione azionaria


Alcune categorie speciali di azioni sono espressamente previste e regolate dal legislatore.
La società gode tuttavia di ampia autonomia nel modellare il contenuto della partecipazione
azionaria, sia pure con l’osservanza dei limiti espressamente previsti dalla legge.
Con la riforma del 2003 tutte le società possono emettere azioni senza diritto di voto, in passato
consentite solo per le società quotate.
Nel contempo sono scomparse le azioni privilegiate a voto limitato e si consente a tutte le società:
a. La creazione di azioni “con diritto di voto limitato a particolari argomenti”, non
necessariamente di esclusiva competenza dell’assemblea straordinaria
b. Di azioni “con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non
meramente potestative”. Es: azioni senza voto, che riacquistano tale diritto se la società
non consegua e/o non distribuisca utili.
Queste azioni tuttavia non possono superare complessivamente la metà del capitale
sociale in modo da evitare un’eccessiva concentrazione di potere nelle mani degli azionisti
con voto pieno.
Ad oggi le società non quotate possono emettere azioni speciali a voto plurimo (vietate in
passato) che attribuiscono fino ad un massimo di tre voti per ciascuna azione, anche per
particolari argomenti o subordinatamente al verificarsi di particolari condizioni non
meramente potestative.
Gli statuti delle società quotate non possono invece prevedere l’emissione di azioni a voto
plurimo. Però le azioni a voto plurimo eventualmente emesse prima della quotazione
mantengono le loro caratteristiche ed i diritti anche dopo la quotazione.
Per contro, gli statuti delle società quotate possono riconoscere una maggiorazione del voto ai soci
di “lungo periodo” titolari di azioni da non meno di 24 mesi: vale a dire attribuire a costoro un
numero di voti maggiore rispetto alle azioni di cui sono titolari, fino ad un massimo di due voti per
ciascuna azione continuativamente posseduta per il periodo richiesto. A tal fine la durata del
possesso si computa dall’iscrizione in un apposito elenco tenuto dalla società, in cui i soci che
vogliono fruire di tale beneficio sono tenuti a farsi registrare.
Le azioni a cui si applica la maggiorazione del voto non costituiscono una categoria speciale (a
differenza delle azioni con voto plurimo). Se il socio aliena le sue azioni a titolo oneroso o gratuito,
la maggiorazione del voto si perde senza trasmettersi all’acquirente. Si conserva invece nel caso di
successione per causa di morte de socio e lo stesso vale in caso di fusione e scissione del titolare
delle azioni.
La maggiorazione di voto non può essere prevista dalle società quotate che hanno conservato
azioni a voto plurimo emesse prima dell’emissione. Essa inoltre non si estende ai diritti diversi dal

145
voto che dipendono dal possesso di una determinata aliquota di capitale (es diritto di chiedere la
convocazione dell’assemblea).
In tutte le società per azioni è inoltre consentito prevedere che, in relazione alle azioni possedute
da uno stesso soggetto:
1. Il diritto di voto sia limitato ad una misura massima
2. Sia introdotto il voto scalare. Es: fino a 10% del capitale spetta un voto per azione, dal 10 al
20% un voto ogni due azioni e così via.
Nel contempo con l’attuale disciplina è caduto per le società non quotate il principio che il voto
può essere escluso o limitato solo se le relative azioni sono assistite da privilegi patrimoniali. Resta
invece fermo il principio che possono essere emesse azioni privilegiate anche senza limitazione dei
diritti amministrativi.
Le azioni privilegiate sono azioni che distribuiscono ai loro titolari un diritto di preferenza nella
distribuzione degli utili e/o nel rimborso del capitale al momento dello scioglimento della società.
Nessuna disciplina specifica è dettata per quanto riguarda natura e misura del privilegio.
È vietato solamente il patto leonino: la società è quindi libera di articolare come preferisce il
contenuto patrimoniale di tali azioni.
È inoltre consentita l’emissione di azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati
dell’attività sociale di un determinato settore, anche quando non si danno vita a patrimoni separati
destinati ad uno specifico affare. Lo statuto tuttavia deve stabilire “i criteri di individuazione dei
costi e ricavi imputabili al settore, le modalità di rendicontazione, i diritti attribuiti a tali azioni, le
eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria”.
In ogni caso ai possessori di azioni correlate non possono essere corrisposti dividendi in misura
superiore agli utili risultanti dal bilancio generale della società.

Le azioni di risparmio
Tra le categorie speciali di azioni meritano specifica considerazione le azioni di risparmio. Esse
costituiscono la risposta ad un’esigenza unitaria: quella di incentivare l’investimento in azioni
offrendo ai risparmiatori titoli meglio rispondenti ai loro specifici interessi (cioè titoli che tengano
conto del disinteresse degli stessi per l’esercizio dei diritti amministrativi e del rilievo attribuito al
contenuto patrimoniale e alla redditività dei titoli azionari).
Le azioni di risparmio sono del tutto prive del diritto di voto. Tuttavia esse si differenziano dalle
azioni senza voto emesse dalle società non quotate per il fatto che devono essere
necessariamente dotate di privilegi di natura patrimoniale. Inoltre, a differenza delle altre azioni,
possono essere emesse al portatore. Assicurano quindi l’anonimato e ciò costituisce un forte
inventivo alla loro sottoscrizione.
Le azioni di risparmio possono essere emesse solo da società le cui azioni ordinarie sono quotate
in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’UE, sia in sede di aumento del capitale sociale,
sia in sede di conversione di azioni già emesse.

146
Le azioni di risparmio non possono superare, in concorso con le altre categorie speciali di azioni a
voto limitato, la metà del capitale sociale.
Le azioni di risparmio sono prive del diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie. Di
esse perciò non si tiene conto per il calcolo dei relativi quorum costitutivi o deliberativi. Non se ne
tiene conto nemmeno per il calcolo delle aliquote di capitale richieste per l’esercizio dei diritti
attribuiti alle minoranze.
Inoltre, deve oggi escludersi che agli azionisti di risparmio possa essere riconosciuto il diritto di
intervento in assemblea e il diritto di impugnare delibere assembleari invalide, poiché con la
riforma del 2003 tali diritti sono riservati agli azionisti con diritto di voto.
Il singolo azionista di risparmio potrà però domandare il risarcimento del danno a lui provocato
dalla delibera invalida.
Le azioni di risparmio sono azioni privilegiate sotto il profilo patrimoniale. L’attuale disciplina
tuttavia, modificando quella del passato, si limita a stabilire che le azioni di risparmio sono “dotate
di particolari privilegi di natura patrimoniale” e l’atto costitutivo “determina il contenuto del
privilegio, le condizioni, i limiti, le modalità e i termini per il suo esercizio,” nonché i diritti spettanti
alle azioni di risparmio in caso di esclusione dalla quotazione delle azioni ordinarie o di risparmio,
per le quali la quotazione in mercati regolamentati è normale ma non più essenziale.
Resta ferma la regola che in caso di aumento del capitale sociale a pagamento, i possessori di
azioni di risparmio hanno diritto di ricevere azioni di risparmio della stessa categoria oppure, in
mancanza o per la differenza, nell’ordine azioni di risparmio di altra categoria, azioni privilegiate o
azioni ordinarie.
La disciplina delle azioni di risparmio è completata dalla previsione di un’organizzazione di gruppo
per la tutela degli interessi comuni, che in parte ricalca quella prevista per gli obbligazionisti.
L’organizzazione si articola nell’assemblea speciale e nel rappresentante comune. L’assemblea
delibera sugli oggetti di interesse comune ed in particolare sull’approvazione delle delibere
dell’assemblea della società che pregiudicano i diritti della categoria e sulla transazione delle
controversie con la società. Delibera inoltre sulla nomina e sulla revoca del rappresentante
comune e sull’azione di responsabilità nei suoi confronti; nonché sulla costituzione di un fondo per
le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul relativo rendiconto.
Al rappresentante comune è riconosciuto il diritto di esaminare il libro dei soci e il libro delle
adunanze dell’assemblea generale; gli è altresì riconosciuto il diritto di assistere alle assemblee
della società e di impugnare le deliberazioni.

Le azioni a favore dei prestatori di lavoro


Il cointeressamento dei lavoratori alla gestione e ai risultati della società attraverso l’acquisto della
qualità di soci, è favorito sotto più profili dal legislatore.
L’art 2349 consente l’assegnazione straordinaria di utili ai dipendenti delle società o di società
controllate se lo statuto lo prevede, da attuarsi mediante un articolato procedimento: gli utili sono

147
imputati a capitale e la società per l’importo corrispondente emette speciali categorie di azioni che
vengono assegnate gratuitamente ai prestatori di lavoro.
La società può poi escludere o limitare il diritto di opzione degli azionisti sulle azioni a pagamento
di nuova emissione, per offrire le stesse in sottoscrizione ai dipendenti della società o di società
controllate o controllanti.
La società può inoltre concedere prestiti o fornire garanzie a favore dei dipendenti, nonché dei
dipendenti di società controllanti o controllate, per favorire la sottoscrizione o l’acquisto delle
proprie azioni.
La società può infine assegnare ai propri dipendenti o ai dipendenti di società controllate
strumenti finanziari partecipativi. In tal caso possono essere previste norme particolari per
l’esercizio dei diritti attribuiti nonché per le possibilità di trasferimento e le eventuali cause di
decadenza o riscatto.
Negli ultimi decenni la prassi societaria italiana ha manifestato interesse per la diffusione
dell’azionariato dei dipendenti. In particolare nelle società ad azionariato diffuso si va affermando
l’uso di prevedere piani di compensi basati su strumenti finanziari a favore di amministratori ed
altri dirigenti. Tutti questi piani di compensi devono essere approvati dall’assemblea ordinaria e i
contenuti del piano sono illustrati da una relazione, messa a disposizione del pubblico, entro il
termine di convocazione dell’assemblea, presso la sede sociale, sul sito internet della società e con
le altre modalità fissate dalla Consob.

Le azioni di godimento
Le azioni di godimento costituiscono una categoria di azioni speciali la cui funzione è quella di
assicurare la parità di trattamento degli azionisti in occasione di una particolare operazione: la
riduzione reale del capitale sociale, attuata mediante sorteggio ed annullamento di un certo
numero di azioni dietro il rimborso del solo valore nominale delle azioni stesse. Poiché il valore
reale delle azioni può essere notevolmente superiore, agli azionisti rimborsati vengono rilasciati
speciali titoli denominati azioni di godimento.
Esse sono postergate alle altre azioni sotto il profilo dei diritti patrimoniali, appunto perché i loro
titolari hanno già recuperato in parte il valore delle azioni (valore nominale). Esse partecipano alla
ripartizione degli utili solo dopo che sia stato corrisposto alle altre azioni un dividendo pari
all’interesse legale sul valore nominale. Partecipano inoltre alla ripartizione del saldo attivo di
liquidazione solo dopo che alle altre azioni sia stato rimborsato il valore nominale.
Le azioni di godimento non attribuiscono diritto di voto e nemmeno i collegati diritti di intervento
in assemblea e di impugnare le delibere assembleari invalide.
Altri strumenti finanziari partecipativi
Dalle azioni vanno tenuti distinti gli strumenti finanziari partecipativi. La loro emissione è stata
prevista dalla riforma del 2003.

148
A differenza delle azioni, gli strumenti finanziari partecipativi non rappresentano parti del capitale
sociale. Gli apporti con cui essi sono liberati non sono assoggettati alla disciplina propria dei
conferimenti in quanto non sono imputati al capitale sociale, pur contribuendo ad incrementare il
patrimonio sociale.
Gli strumenti finanziari partecipativi non attribuiscono perciò la qualità di azionista e presentano
ampia elasticità per quanto riguarda i diritti propri delle azioni che possono essere loro
riconosciuti. Infatti la loro disciplina legislativa è estremamente scarna.
Essi possono essere forniti solo di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, con
esclusione però del diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti.
Possono tuttavia essere dotati di diritto di voto su argomenti specificamente indicati e, in
particolare può essere ad essi riservata, la nomina di un componente indipendente del consiglio di
amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Alle persone così nominate si
applicano le medesime norme previste per gli altri componenti dell’organo cui partecipano.
Agli strumenti finanziari partecipativi si applica la disciplina delle obbligazioni, rispetto alle quali
tali strumenti finanziari presentano alcune affinità. Ciò significa che la società non può emettere
strumenti finanziari con obbligo di rimborso del capitale per una somma che eccede i limiti fissati
dall’art 2412. Significa inoltre che dev’essere costituita un’organizzazione di categoria dei titolari
degli strumenti finanziari partecipativi, composta dall’assemblea e dal rappresentante comune.
Solo agli strumenti finanziari partecipativi che conferiscono diritti amministrativi si applica infine la
disciplina delle assemblee speciali.
Per il resto è riconosciuto ampio spazio all’autonomia statuaria: lo statuto disciplina “modalità e
condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle
prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione”.

C. LA CIRCOLAZIONE DELLE AZIONI


I titoli azionari
I titoli azionari (o certificati azionari) sono i documenti che rappresentano le quote di
partecipazione nelle società per azioni non quotate, né diffuse tra il pubblico in maniera rilevante e
ne consentono il trasferimento secondo le regole proprie dei titoli di credito.
La loro emissione nelle società non quotate è normale ma non essenziale. Lo Statuto può infatti
escludere l’emissione di titoli azionari. In tal caso il trasferimento delle azioni rimane assoggettato
alla disciplina della cessione del contratto ed ha effetto nei confronti della società dal momento
dell’iscrizione nel libro dei soci.
Qualora emessi, i certificati azionari devono indicare:
1. La denominazione e la sede della società
2. La data dell’atto costitutivo e della sua iscrizione e l’ufficio del r. delle imprese dove la
società è iscritta

149
3. Il loro valore nominale o, se sono azioni senza valore nominale, il numero complessivo
delle azioni emesse, nonché l’ammontare del capitale sociale
4. L’ammontare dei versamenti parziali sulle azioni non interamente liberate
5. I diritti e gli obblighi particolari ad esse inerenti
Le azioni devono essere sottoscritte da uno degli amministratori, anche mediante riproduzione
meccanica della firma, purchè autenticata.
Secondo identiche regole devono essere confezionati gli eventuali certificati provvisori rilasciati ai
soci in attesa dell’emissione dei titoli definitivi, o in occasione di operazioni sui titoli da parte della
società e per il tempo necessario al compimento delle stesse.
Tali certificati assolvono, sia pur temporaneamente, la stessa funzione dei titoli definitivi e sono ad
essi assimilati, condividendone la natura di titoli di credito.
I certificati azionati (provvisori e definitivi) possono essere titoli semplici o multipli, cioè
rappresentare una o più azioni (ferma restando l’indivisibilità del titolo unitario).
Ai titoli azionari è di regola collegato un “foglio cedole” costituito da un determinato numero di
tagliandi (le cedole) contrassegnati dalla denominazione della società e numerati
progressivamente. Le cedole consentono di esercitare diritti che maturano durante la vita della
società, senza necessità di esibire il titolo azionario.
Le cedole sono di regola al portatore e possono formare oggetto di autonoma circolazione una
volta distaccate dal titolo principale, acquistando così natura di veri e propri titoli di credito.

Azioni e titoli di credito


È opinione consolidata in giurisprudenza ed in dottrina che alle azioni debba essere riconosciuta
natura di titoli di credito. Più esattamente le azioni si fanno rientrare nella categoria dei titoli di
credito causali. Sono cioè titoli di credito che possono essere emessi solo in base ad un
determinato rapporto causale, e che sul piano della disciplina si caratterizzano per la parziale
sensibilità del rapporto documentato dal titolo alle eccezioni desumibili dalla disciplina legale del
rapporto societario.
È così fuori contestazione che i titoli azionari costituiscono veicolo necessario per il trasferimento
della partecipazione sociale e pertanto ai titoli azionari è applicabile l’art 1994, cioè: “chi acquista
in buona fede il possesso del titolo azionario, secondo le norme che regolano la circolazione, non è
soggetto a rivendicazione”. Diventa cioè proprietario del titolo e titolare della partecipazione
azionaria nello stesso incorporata, quand’anche tale non fosse il dante causa.
Inoltre, il titolo azionario svolge una funzione di legittimazione nei rapporti interni
all’organizzazione societaria. Il possessore del titolo azionario può esercitare i diritti sociali senza
essere tenuto a provare a proprietà del titolo e la qualità di socio.
Il titolo azionario non attribuisce un diritto letterale, cioè un diritto il cui contenuto è determinato
esclusivamente da quanto è scritto nel documento. Per determinare la posizione del socio nei

150
confronti della società è necessario far riferimento a fonti di cognizione estranee alla lettera del
titolo: atto costitutivo e delibere assembleari.
La teoria dei titoli di credito ha però definitivamente chiarito che la letteralità del diritto cartolare,
con conseguente opponibilità erga omnes delle eccezioni fondate sul contesto del titolo, non viene
meno quando il titolo faccia riferimento ad altre fonti regolamentari soggette a pubblicità legale o
comunque accessibili all’acquirente del titolo. Il che si verifica appunto nei titoli azionari che perciò
sono da inquadrare tra i titoli di credito a letteralità incompleta o per relationem.
Regime delle eccezioni: la disciplina generale dei titoli di credito stabilisce che al terzo portatore
del titolo non sono opponibili le eccezioni personali ai precedenti possessori ed in particolare
quelle fondate sul rapporto causale che ha dato luogo all’emissione del titolo.
È opinione diffusa che tale principio non possa trovare piena applicazione ai titoli azionari.
L’esigenza di tutela dell’acquirente delle azioni dev’essere sacrificata quando può comportare
lesione del diritto di salvaguardia dell’integrità del capitale sociale. Se ne è perciò dedotto che:
1. La società può opporre erga omnes eventuali vizi del procedimento di creazione delle
azioni
2. La società può opporre al terzo acquirente l’intervenuto annullamento del titolo azionario
non risultante dal documento (es: duplicazione dei titoli per la stessa partecipazione)
3. La società può richiedere al terzo acquirente i versamenti dei conferimenti ancora dovuti,
anche se dal titolo non risulta che le azioni non sono interamente liberate
4. La società può opporre le limitazioni statuarie alla circolazione delle azioni non risultanti
dal titolo
In ogni caso è certo che la società non può opporre al terzo acquirente eccezioni fondate sui
rapporti personali col dante causa, qualora non entri in gioco l’esigenza di salvaguardare l’integrità
del capitale.

Azioni nominative e azioni al portatore


Le azioni possono essere nominative o al portatore, a scelta dell’azionista. È questa una scelta di
particolare rilievo; significa infatti concedere il beneficio dell’anonimato, anche e soprattutto a fini
fiscali, all’investimento azionario.
Tuttavia il regime della nominatività obbligatoria dei titoli azionari vigente prima del codice, trova
vigore ancor’oggi, con tre sole eccezioni:
1. Azioni di risparmio
2. Società di investimento a capitale variabile (Sicav)
3. Società di investimento a capitale fisso (Sicat)
Quindi oggi tutte le azioni devono essere nominative, salvo queste tre eccezioni.

La legge di circolazione delle azioni

151
Le azioni nominative devono essere intestate al nome di una persona fisica o giuridica e
l’intestazione deve risultare anche da un apposito registro tenuto dalla società emittente (libro dei
soci).
Per il trasferimento dei titoli azionari è perciò necessario il mutamento della doppia intestazione
sul titolo e sul libro dei soci e quindi la necessaria cooperazione della società emittente.
La doppia annotazione del nome dell’acquirente può avvenire secondo due diverse procedure:
1. Una prima procedura prevede il cambiamento contestuale delle due intestazioni a cura e
sotto la responsabilità della società emittente (transfert). Il transfert può essere richiesto
sia dall’alienante sia dall’acquirente, tuttavia le formalità per i due casi sono diverse.
L’alienante dovrà esibire il titolo e provare la propria identità e la propria capacità di
disporre (cioè di agire), mediante certificazione di un notaio o altro soggetto previsto dalle
leggi speciali.
Se invece è richiesto dall’acquirente, questi deve esibire il titolo e deve inoltre dimostrare il
suo diritto mediante atto con firma autenticata o atto pubblico.
Controllate tali formalità la società annota il nome dell’acquirente nel libro dei soci e sul
titolo, oppure rilascia un nuovo titolo in sostituzione del precedente che viene ritirato.
L’acquirente così entra a far parte della società ed acquista la legittimazione dell’esercizio
dei diritti sociali.
2. La seconda forma di trasferimento è più veloce e diffusa, in quanto non prevede
l’intervento della società ad ogni passaggio di proprietà delle azioni. Nel trasferimento per
girata la duplice annotazione è eseguita da soggetti diversi e in tempi diversi. L’annotazione
sul titolo (girata) è fatta dall’alienante; quella sul libro dei soci si rende necessaria solo
quando l’acquirente voglia esercitare i diritti sociali. Medio tempore l’acquirente può
rivendere le azioni mediante ulteriore girata. Il trasferimento per girata è perciò
largamente preferito nella pratica.
La girata dei titoli nominativi è assoggettata a particolari requisiti di forma: dev’essere
datata, contenere il nome del giratario, dev’essere sottoscritta dal girante ed anche dal
giratario se si tratta di azioni non liberate. La girata dev’essere poi autenticata da un
notaio, da un agente di cambio, da una banca a ciò autorizzata, o da una sim, a garanzia
dell’identità e della capacità del girante e dello stesso giratario se l’azione non è liberata.

Una disciplina speciale ed in parte diversa è prevista per gli effetti della girata dei titoli azionari: la
girata di un comune titolo nominativo di per sé non abilita all’esercizio dei relativi diritti, a tal fine
è necessaria anche la successiva annotazione nel registro dell’emittente.
Per i titoli azionari questa regola è stata dapprima parzialmente derogata ed ora radicalmente
modificata con la riforma del 2003: la preventiva annotazione nel libro dei soci non è più
necessaria in quanto, in base all’attuale disciplina, il giratario che si dimostra possessore in base ad
una serie continua di girate è legittimato ad esercitare tutti i diritti sociali. Resta tuttavia fermo
l’obbligo della società di aggiornare il libro dei soci.

152
Nel trasferimento tramite girata, l’iscrizione nel libro dei soci non ha più efficacia legittimante ma
solo informativa. Nel contempo la società è obbligata a comunicare annualmente all’Agenzia delle
Entrate i nominativi degli azionisti che hanno riscosso dividendi o partecipato alle assemblee.
Molto più semplice è la circolazione delle azioni al portatore. Le azioni al portatore non sono
infatti intestate ad alcuna persona (titoli a legittimazione reale). Il trasferimento avviene mediante
semplice consegna del titolo all’acquirente. Il possessore del titolo è legittimato all’esercizio dei
relativi diritti in base alla semplice presentazione del titolo alla società.

Le azioni dematerializzate
La circolazione delle azioni si fonda sul trasferimento materiale dei titoli e comporta, per le azioni
nominative, il compimento delle complesse formalità connesse alla duplice annotazione. La
circolazione documentale però non è senza pericoli dato il rischio di smarrimento o furto dei titoli.
Da qui l’esigenza di semplificare e rendere più sicuro il mercato dei titoli quotati in borsa e quello
delle azioni in primo luogo, attraverso l’adozione di meccanismi di circolazione svincolati dal
trasferimento materiale del documento e basati su semplici registrazioni contabili.
A tale finalità risponde il sistema di gestione accentrata di strumenti finanziari. Le caratteristiche
essenziali del sistema possono essere così sintetizzate:
a. Il sistema è gestito da apposite società per azioni a statuto speciale, che operano sotto la
vigilanza della Consob e della Banca d’Italia, anche se allo stato l’unico sistema operante in
Italia resta quello gestito dalla Monte Titoli s.p.a.
b. Le categorie di soggetti e le caratteristiche degli strumenti finanziari ammessi alla gestione
accentrata sono determinati d’intesa dalla Banca d’Italia e dalla Consob con proprio
regolamento
c. Le modalità di funzionamento del sistema di gestione accentrata sono diverse a seconda
che gli strumenti finanziari immessi possano o meno essere rappresentati da titoli in base
alla disciplina della dematerializzazione. Infatti dal 5 ottobre 1998 non possono più essere
rappresentati da documenti, e sono immessi nel sistema in regime di dematerializzazione:
1. Gli strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione nei mercati regolamentati
italiani
2. Gli strumenti finanziari (non negoziati in mercati regolamentati ma) diffusi tra il
pubblico in misura rilevante, secondo i criteri individuati dalla Consob e dalla B. d’Italia
È invece di facoltà degli emittenti assoggettare al regime di dematerializzazione gli
strumenti finanziari che non presentano tali caratteristiche. La scelta di assoggettare le
azioni al regime di dematerializzazione deve risultare dallo Statuto.
Coesistono dunque allo stato due sistemi di gestione accentrata (dematerializzata e non
dematerializzata) e per quanto riguarda la circolazione di azioni va tenuto presente che:
- Il sistema di gestione accentrata non dematerializzata si fonda sul deposito accentrato dei
titoli azionari presso la società di gestione (Monte Titoli s.p.a.). L’adesione al sistema è
facoltativa e la scelta è rimessa al singolo azionista. Questi può depositare i propri titoli

153
presso un intermediario autorizzato con un contratto di deposito titoli in amministrazione,
che espressamente autorizza l’intermediario-depositario a subdepositarli presso la società
di gestione accentrata.
Il deposito di gestione accentrata consente di sostituire la circolazione documentale dei
titoli depositati con una circolazione fondata su semplici scritture contabili poste in essere
dalla società di gestione e che producono gli effetti propri del trasferimento secondo la
disciplina legislativa dei titoli di credito. L’accredito contabile è cioè equiparato ex lege al
trasferimento materiale del titolo e determina l’acquisto di un diritto cartolare autonomo
da parte del beneficiario dell’ordine.
Nel contempo l’esercizio dei relativi diritti è svincolato dall’esibizione dei titoli custoditi
dalla società di gestione accentrata. Questa infatti è legittimata a compiere tutte le
operazioni inerenti alla gestione dei titoli e ad esercitare le azioni conseguenti alla
distruzione, smarrimento e alla sottrazione dei titoli immessi nel sistema.
È invece riservato ai titolari delle azioni l’esercizio dei diritti in esse incorporati e nelle
società quotate il diritto di voto non può essere attribuito in veste di rappresentante alla
società di gestione.
L’esercizio dei diritti amministrativi non richiede però l’esibizione dei titoli custoditi dalla
società di gestione; la relativa legittimazione è infatti attribuita da apposite certificazioni,
rilasciate dagli intermediari sulla base delle proprie scritture contabili e contenenti
l’indicazione del diritto sociale esercitabile.
Le certificazioni hanno la sola funzione di legittimare all’esercizio dei diritti amministrativi
in esse menzionati e sono nulli gli atti di disposizione delle stesse.
L’ammissione del socio in assemblea avviene invece sulla base di una semplice
comunicazione effettuata dalla società, su richiesta del socio stesso, da parte
dell’intermediario che tiene il conto.
La gestione accentrata di strumenti finanziari rappresentati da titoli fin qui esposta,
consente di sostituire la tradizionale circolazione documentale delle azioni con una
circolazione fondata su registrazioni contabili (dematerializzazione della circolazione) ma
non comporta una dematerializzazione totale ovvero la soppressione materiale dei titoli.
Gli stessi vengono pur sempre creati e rilasciati dalla società emittente e restano depositati
presso la società di gestione accentrata.
I depositanti possono sempre uscire dal sistema chiedendo la restituzione del quantitativo
di titoli di loro spettanza.
- Gestione dematerializzata: oggi le azioni negoziate nei mercati regolamentati italiani o
diffuse tra il pubblico in modo rilevante non possono più essere rappresentate da titoli
(dematerializzazione obbligatoria) che pertanto sono stati annullati e restituiti alla società
emittente.
è invece in facoltà degli emittenti dematerializzare le azioni non quotate né diffuse dal
pubblico in modo rilevante.
L’emissione ed il trasferimento delle azioni dematerializzate avviene esclusivamente
attraverso il sistema di gestione accentrata, con registrazioni contabili poste in essere
secondo modalità analoghe a quelle sopra esposte. La gestione accentrata dematerializzata
è però totale. Inoltre, il funzionamento del sistema è reso più semplice dalla soppressione
dei titoli, che fa venire meno la necessità di deposito e subdeposito degli stessi.

154
Per le nuove emissioni dematerializzate l’emittente si limita a comunicare alla società di
gestione accentrata prescelta l’ammontare globale dell’emissione, il suo frazionamento e
gli intermediari ai quali accreditare le azioni emesse. La società di gestione accentrata apre
un conto per ogni emittente, suddiviso in sottoconti relativi a ciascuna emissione. Nel
contempo accende per ogni intermediario partecipante al sistema, conti destinati a
registrare i movimenti di strumenti finanziati disposti tramite lo stesso. Gli intermediari a
loro volta registrano in conti distinti per ogni titolare le azioni di pertinenza degli stessi.
Il trasferimento delle azioni dematerializzate può essere effettuato dai titolari solo tramite
gli intermediari autorizzati. Su loro richiesta la società di gestione provvede a registrare i
trasferimenti delle azioni nei conti agli stessi accesi.
Una volta concluso il trasferimento con la registrazione da parte della società di gestione,
gli intermediari dovranno a loro volta registrare lo stesso nel conto del proprio cliente.
La registrazione produce ex lege effetti equivalenti a quelli determinati dal trasferimento
secondo la disciplina dei titoli di credito. “Colui che ha ottenuto la registrazione in suo
favore, in base a titolo idoneo e in buona fede, non è soggetto a pretese o azioni da parte
dei precedenti titolari” ed ha inoltre la legittimazione piena ed esclusiva ad esercitare i
relativi diritti secondo la disciplina propria di ciascuna specie di strumento finanziario.
D’altro canto l’emittente potrà opporgli solo le eccezioni a lui personali e quelle comuni a
tutti gli altri titolari degli stessi diritti.
L’intermediario esercita in nome e per conto del titolare del conto i diritti patrimoniali
relativi alle azioni dematerializzate. I diritti amministrativi sono invece esercitati dal titolare
del conto, se non ha conferito mandato all’intermediario stesso, con le stesse modalità
della gestione accentrata non dematerializzata (certificazioni, comunicazione
dell’intermediario).

I vincoli sulle azioni


Le azioni possono essere costituite in usufrutto o in pegno e possono inoltre formare oggetto di
misure cautelari ed esecutive.
La costituzione in usufrutto o in pegno delle azioni nominative avviene mediante annotazione del
relativo vincolo, a cura della società emittente, sul titolo e sul libro dei soci ed è improduttiva di
effetti nei confronti della società e dei terzi ove non vengano rispettate tali modalità.
La costituzione in pegno può avvenire anche mediante consegna del titolo, girato con clausola “in
garanzia” o ad altra equivalente, fermo restando che il pegno è produttivo di effetti nei confronti
della società solo con l’annotazione nel libro dei soci.
Infine, “i pignoramenti, sequestri e altre opposizioni devono essere eseguiti sul titolo”. È però
controverso se lo spossessamento sia sufficiente per la piena efficacia del vincolo,
indipendentemente dall’esecuzione del transfert.
Per l’esercizio dei diritti sociali relativi alle azioni gravate da vincoli è dettata una disciplina più
organica rispetto a quella lacunosa previgente. Al riguardo è previsto che salvo convenzione
contraria, il diritto di voto compete al creditore pignoratizio o all’usufruttuario. Essi dovranno
comunque esercitarlo in modo da non ledere gli interessi del socio, esponendosi altrimenti al
155
risarcimento dei danni nei suoi confronti. È quindi opportuno ma non necessario che, prima di
deliberazioni particolarmente importanti, il titolare del diritto frazionario richieda istruzioni al
socio.
In ogni caso la violazione di tale dovere di condotta, non potrà in ogni caso condurre
all’annullamento della delibera assembleare, fermo restando l’obbligo degli eventuali danni. Nel
caso di sequestro delle azioni il voto è esercitato dal custode.
Gli altri diritti amministrativi spettano invece disgiuntamente sia al socio sia al creditore
pignoratizio o all’usufruttuario. In caso di sequestro sono invece esercitati dal custode.
Il diritto di opzione spetta invece al socio e l’attuale disciplina stabilisce che solo ad esso sono
attribuite le nuove azioni sottoscritte. Il socio deve tuttavia provvedere almeno tre giorni prima
della scadenza al versamento delle somme necessarie per l’esercizio del diritto di opzione. In
mancanza gli altri soci possono offrire di acquistarlo; altrimenti il d. di opzione dev’essere alienato
per suo conto a mezzo di una banca o di altro intermediario autorizzato alla negoziazione nei
mercati.
L’usufrutto o il pegno si estendono anche alle nuove azioni sottoscritte in sede di opzione? La
nuova disciplina sembra accogliere la tesi che le nuove azioni sottoscritte spettano al socio libere
da vincoli.
Non vi è dubbio poi che al titolare del diritto frazionario spettino gli utili distribuiti dalla società. E
in caso di aumento gratuito di capitale, il pegno l’usufrutto o il sequestro si estendono alle azioni di
nuova emissione.
Versamenti delle somme dovute sulle azioni non liberate: nel caso di pegno è il socio che deve
provvedere al versamento; in mancanza il creditore pignoratizio può far vendere le azioni tramite
una banca o altro intermediario autorizzato, con trasferimento del pegno sul ricavato. In caso di
usufrutto è invece l’usufruttuario che deve provvedere al versamento, salvo il suo diritto alla
restituzione di tale somma al termine dell’usufrutto.

I limiti alla circolazione delle azioni


Le azioni sono in via di principio liberamente trasferibili. La libera trasferibilità è tuttavia limitata o
esclusa per legge in determinate ipotesi:
a. Le azioni liberate con conferimenti diversi dal danaro non possono essere alienate prima
del controllo della valutazione
b. Le azioni con prestazioni accessorie non sono trasferibili senza il controllo del consiglio di
amministrazione
c. Intrasferibili senza il consenso del c.di amministrazione sono anche le azioni delle società
fiduciarie e di revisione
d. Ulteriori limiti alla circolazione delle azioni sono poi previsti quando il trasferimento
riguardi partecipazioni rilevanti o di controllo

156
Dai limiti legali vanno poi tenuti distinti i limiti convenzionali, determinati cioè da accordi intercorsi
tra i soci. Quest’ultimi vanno poi tenuti distinti a seconda che risultino dallo stesso atto costitutivo
(limiti statuali) o da accordi non consacrati nell’atto costitutivo (patti parasociali).
I limiti alla circolazione delle azioni risultanti da patti parasociali vengono definiti “sindacati di
blocco” e hanno lo scopo di evitare l’ingresso in società di terzi non graditi. I sindacati di blocco
vincolano solo le parti contraenti e la loro violazione non comporta invalidità della vendita delle
azioni, né la società potrà rifiutare l’iscrizione dell’acquirente nel libro dei soci. L’inadempiente
sarà solo tenuto al risarcimento dei danni nei confronti degli altri soci contraenti.
Nei limiti statuari invece le clausole limitatrici della circolazione acquistano efficacia reale:
vincolano tutti i soci, anche futuri; devono essere fatte valere dalla società anche verso il terzo
acquirente.
Nel contempo lo statuto può anche, innovando rispetto alla previgente disciplina, vietare del tutto
la circolazione delle azioni sia pure per un periodo non superiore a 5 anni dalla costituzione della
società o dal momento in cui il divieto viene introdotto.
Per le clausole statuarie finalizzate a limitare la circolazione delle azioni, esse possono assumere le
più varie formulazioni. Le più diffuse sono le clausole di prelazione, clausole di gradimento,
clausole di riscatto.
La clausola di prelazione è la clausola che impone al socio che intende vendere le azioni, di offrirle
preventivamente agli altri soci e di preferirli ai terzi a parità di condizioni. La proposta di acquisto
indirizzata ai soci beneficiari del patto di prelazione dovrà quindi specificare il pezzo offerto dal
terzo, nonché le altre modalità rilevanti del contratto che si intende concludere con lo stesso.
Valide sono anche le clausole di prelazione impropria (fissano la determinazione del prezzo di
acquisto a terzi arbitratori nel caso di disaccordo tra i soci).
La clausola di prelazione consente di impedire l’ingresso di soci non graditi, senza precludere
all’azionista che ne voglia uscire di realizzare il valore economico della sua partecipazione.
Clausole di gradimento: esse possono essere suddivise in due sottocategorie:
1. Clausole che richiedono il possesso di determinati requisiti da parte dell’acquirente (es:
cittadinanza italiana, appartenenza a determinate categorie professionali)
2. Clausole che subordinano il trasferimento delle azioni a consenso di un organo sociale,
quasi sempre costituito dal consiglio di amministrazione (clausole di mero gradimento)
Le clausole di mero gradimento (secondo tipo) hanno suscitato antipatia per il timore che esse
possano costituire strumento di abuso a danno dei soci estranei al gruppo di comando. L’attuale
disciplina consente l’inserimento nell’atto costitutivo di tali clausole che subordinano il
trasferimento, anche a causa di morte, delle azioni al mero gradimento di organi sociali o altri soci
se prevedono, in caso di rifiuto del gradimento, un obbligo di acquisto a carico della società o degli
altri soci, oppure il diritto di recesso dell’alienante. Per la determinazione del corrispettivo
dell’acquisto o della quota di liquidazione si applica la disciplina dettata per il recesso.

157
I temperamenti concessi dall’attuale disciplina delle clausole di gradimento (recesso o acquisto da
parte della società o dei soci) ridimensionano il rilievo pratico di un altro problema dibattuto in
passato: le conseguenze del rifiuto del placet tra alienante ad acquirente.
Tuttavia, l’acquirente che si vede rifiutato il placet può retrocedere le azioni e riottenere quanto
pagato.
Espressamente prevista è oggi anche l’introduzione di azioni riscattabili, clausole statuarie che
prevedono un potere di riscatto delle azioni da parte della società o dei soci al verificarsi di
determinati eventi. Es: in caso di morte dell’azionista al fine di evitare che subentrino gli eredi o di
mancata esecuzione delle prestazioni accessorie di cui il socio si è obbligato.
Il valore di rimborso di tali azioni è determinato applicando le corrispondenti disposizioni in tema
di diritto di recesso dell’azionista e trova applicazione anche il relativo procedimento di
liquidazione. In caso di riscatto a favore della società trova inoltre applicazione la disciplina
dell’acquisto di azioni proprie.
Le clausole statuarie limitative della circolazione possono essere introdotte o rimosse nel corso
della vita della società con delibera dell’assemblea straordinaria. Ma in tal caso è riconosciuto
diritto di recesso ai soci che non hanno concorso all’approvazione della delibera.

D. LE OPERAZIONI DELLA SOCIETÀ SULLE PROPRIE AZIONI


La sottoscrizione
L’incorporazione delle partecipazioni azionarie in titoli di credito rende tecnicamente possibile il
compimento da parte di una società di operazioni aventi ad oggetto le proprie azioni ed in
particolare la loro sottoscrizione e compravendita.
Queste operazioni sono tuttavia pericolose per l’integrità del capitale sociale, per il corretto
funzionamento dell’organizzazione societaria, e per il mercato dei titoli.
Per questi motivi le operazioni della società sulle proprie azioni sono guardate con estremo
sfavore dal legislatore e sono in linea di principio vietate, sia pure con alcuni temperamenti.
Tre sono le situazioni attualmente regolamentate: sottoscrizione, acquisto delle proprie azioni ed
altre operazioni sulle stesse.
La società non può sottoscrivere proprie azioni. Il divieto ha carattere assoluto e non soffre
eccezioni. Opera infatti in sede di costituzione della società ed anche in sede di aumento del
capitale sociale. Colpisce inoltre sia la sottoscrizione diretta (compiuta in nome della società) sia la
sottoscrizione indiretta (compiuta da terzi in nome proprio ma per conto della società).
Infatti l’autosottoscrizione darebbe luogo ad incremento del capitale sociale nominale senza alcun
incremento de capitale reale, dato che la società diverrebbe creditrice di sé stessa per i
conferimenti dovuti. La sanzione per la violazione di tale divieto (diretta o indiretta) è singolare:
non si ha nullità della sottoscrizione, ma le azioni si intendono sottoscritte e devono essere liberate
dai soggetti che materialmente hanno violato il divieto. Ciò al fine di consentire l’effettiva
acquisizione dei relativi conferimenti.
158
Nel caso di sottoscrizione diretta i promotori o i soci fondatori o, in caso di aumento del capitale
sociale, gli amministratori, diventano titolari a tutti gli effetti delle azioni sottoscritte in nome della
società.
Nel caso di sottoscrizione indiretta invece è il terzo che ha sottoscritto le azioni che è considerato a
tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Diventa quindi titolare delle azioni ed è obbligato
ad eseguire i conferimenti, senza possibilità di alcuna rivalsa verso la società.
Le probabilità di effettiva acquisizione dei conferimenti sono inoltre rafforzate per ciò che della
liberazione delle azioni rispondono, solidalmente col terzo, anche i promotori e i soci fondatori o
gli amministratori della società. Vale a dire: il solo debito di conferimento (non la titolarità delle
azioni) è imputato ex lege a titolo di responsabilità per colpa, anche ai soggetti che
presumibilmente contribuirono col terzo alla violazione del divieto.

L’acquisizione di azioni proprie


Meno rigido è l’atteggiamento del legislatore per quanto riguarda l’acquisto da parte della società
delle azioni proprie.
Anche tale operazione presenta pericoli, in particolare può dar luogo sotto il profilo patrimoniale
ad una riduzione del capitale reale senza l’osservanza della relativa disciplina. Questa situazione si
determina quando la società impiega nell’acquisto somme eccedenti gli utili e le altre entità
patrimoniali disponibili.
L’acquisto di azioni proprie può tuttavia costituire anche una forma di investimento delle
eccedenze patrimoniali disponibili della società. Inoltre, se la società è quotata in borsa, l’acquisto
e la vendita di azioni proprie è un mezzo per stabilizzare le quotazioni e neutralizzare eventuali
manovre speculative.
Di qui un atteggiamento meno drastico del legislatore: ad eccezione per le Sicav, l’acquisto di
azioni proprie non è vietato in modo assoluto. L’operazione è consentita, ma la società deve
rispettare le condizioni fissate dall’art 2357:
a. Le somme impiegate nell’acquisto non possono eccedere l’ammontare degli utili
distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato.
b. Le azioni da acquistare devono essere interamente liberate. In caso contrario la società
diventerebbe creditrice verso sé stessa per i conferimenti ancora dovuti e resterebbe
preclusa l’effettiva acquisizione degli stessi.
c. L’acquisto dev’essere autorizzato dall’assemblea ordinaria. E la delibera non può essere
generica ma deve fissare le modalità di acquisto, indicando in particolare il numero
massimo di azioni da acquistare, la durata non superiore a 18 mesi per la quale
l’autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo e massimo. Rimangono cosi circoscritti
i poteri discrezionali degli amministratori.
d. Solo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio permane infine la
condizione che il valore nominale delle azioni acquistate non può eccedere la quinta parte
del capitale tenuto conto anche delle azioni possedute da società controllate. Con questo

159
quarto limite si è voluto porre un freno alla possibilità della società di incidere sul mercato
dei propri titoli.
Le società con azioni quotate in borsa devono inoltre realizzare gli acquisti di azioni proprie nel
rispetto delle modalità fissate dalla Consob e dalla normativa comunitaria.
Gli acquisti compiuti senza l’osservanza di queste condizioni restano validi, pur esponendo gli
amministratori a sanzioni penali.
Le azioni acquistate violando queste condizioni devono tuttavia essere vendute entro un anno dal
loro acquisto, secondo modalità fissate dall’assemblea. In mancanza, la società deve procedere
senza indugio al loro annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale sociale.
La disciplina fin’ora esposta vale anche per le società che acquistano azioni proprie per tramite di
società fiduciaria o per interposta persona.
Per contro sono previsti alcuni “casi speciali” di acquisto, sottratti in tutto o in parte alle limitazioni
dettate in via generale. In particolare, nessuna limitazione è applicabile quando l’acquisto avviene
in esecuzione di una delibera assembleare di riduzione del capitale sociale, da attuarsi mediante
riscatto ed annullamento di azioni. In tal caso l’acquisto di azioni proprie costituisce modalità di
attuazione di una riduzione palese del capitale sociale con rimborso dei conferimenti ai soci.
L’acquisto di azioni proprie è subordinato solo all’impiego di utili e riserve disponibili quando
finalizzato al rimborso di un socio recedente e non è stato possibile collocare le azioni presso gli
altri soci o sul mercato.
Altre deroghe sono previste infine quando avviene:
1. A titolo gratuito, sempre che si tratti di azioni interamente liberate
2. Per effetto di successione universale, di fusione o di scissione
3. In occasione di esecuzione forzata per il soddisfacimento di un credito della società,
sempre che si tratti di azioni interamente liberate
In questi 3 casi deve essere rispettato il limite della quinta parte del capitale sociale. Il termine per
l’alienazione delle azioni possedute in eccedenza è tuttavia più lungo: 3 anni invece di un anno.
È regolato infine il regime delle azioni proprie in possesso della società. I diritti sociali relativi alle
azioni proprie sono sterilizzati. Il diritto di voto e gli altri diritti amministrativi sono sospesi. Con la
riforma del 2010 è stata tuttavia introdotta una disciplina articolata per il calcolo delle azioni
proprie nei quorum assembleari.
Nelle società che non fanno ricorso al capitale di rischio prevale l’esigenza di evitare che la
detenzione di azioni proprie abbassi i quorum assembleari, così rafforzando in fatto la posizione
del gruppo di comando: si stabilisce pertanto che le azioni proprie sono sempre computate ai fini
del calcolo del quorum costitutivo e deliberativo dell’assemblea.
Invece, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, al fine di agevolare il
funzionamento dell’assemblea, trova applicazione la regola generale delle azioni a voto sospeso,
che ne prevede il conteggio solo ai fini del quorum costitutivo e non deliberativo.
Il diritto agli utili e il diritto di opzione spettano proporzionalmente alle altre azioni.
160
Gli amministratori non possono disporre delle azioni (ad esempio venderle) senza la preventiva
autorizzazione dell’assemblea, la quale dovrà stabilire anche le relative modalità. L’autorizzazione
alla rivendita può essere tuttavia contestuale all’autorizzazione all’acquisto, in modo che gli
amministratori possano procedere ad operazioni incrociate di compera e vendita nei limiti della
delibera autorizzativa.
Nella relazione sulla gestione degli amministratori, che accompagna il bilancio di esercizio, devono
essere fornite informazioni integrative anche sulle relative operazioni sulle azioni proprie
possedute.

Altre operazioni
Le altre operazioni sulle azioni proprie regolate dalla legge sono l’assistenza finanziaria per
l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie e l’accettazione di azioni proprie in garanzia.
L’attività di assistenza finanziaria consiste nel concedere prestiti o fornire garanzie di qualunque
tipo, direttamente o indirettamente, a favore di soci o ai terzi per la sottoscrizione o acquisto di
azioni proprie.
Si vuole evitare che gli amministratori e/o il gruppo di comando provochino, con denaro della
società, mutamenti nella composizione della compagine azionaria finalizzati ad accrescere le loro
posizioni di potere. Tali operazioni d’altro canto non sono senza rischi sul piano patrimoniale, per
la presumibile difficoltà di recuperare il finanziamento direttamente o indirettamente concesso. Il
compimento delle stesse deve perciò essere preventivamente autorizzato dall’assemblea
straordinaria.
All’assemblea gli amministratori devono sottoporre una relazione nella quale illustrano quale
specifico interesse della società giustifica l’operazione; vi attestano inoltre che l’operazione
avviene a condizioni di mercato e sulla base di una debita valutazione nel merito di credito della
controparte. Il verbale dell’assemblea viene quindi pubblicato nel registro delle imprese.
Resta ferma inoltre la regola che la società non può impiegare in operazioni sulle proprie azioni
risorse economiche superiori alla parte disponibile del patrimonio netto; pertanto l’importo
complessivo dei finanziamenti e delle garanzie non può eccedere l’ammontare degli utili
distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato.
La società può concedere assistenza finanziaria anche per agevolare l’acquisto di azioni proprie
che essa stessa ha in portafoglio e figurare così nella duplice veste di finanziatore e di venditore, a
condizione che l’alienazione sia realizzata ad un giusto prezzo.
La società non può invece accettare azioni proprie in garanzia: ad esempio concedere
finanziamenti ai soci garantiti dal pegno di proprie azioni.
Rispetto all’assistenza finanziaria (prestiti, concessione di garanzie) per l’acquisto di azioni proprie,
l’autorizzazione assembleare si pone oggi come un limite legale al rapporto di rappresentanza
degli amministratori. Pertanto, la sua mancanza rende i relativi contratti validi ma inefficaci.

161
Invece sono nulli (perché posti in essere in violazione di un divieto inderogabile) i contratti di
assistenza finanziaria che impiegano somme non disponibili. E nulla per la stessa ragione sarà
l’accettazione in garanzia di azioni proprie.
Entrambi i divieti poi subiscono una parziale deroga quando le relative operazioni sono effettuate
per favorire l’acquisto di azioni da parte dei dipendenti della società o di quelli di società
controllate o controllanti. In tal caso la concezione di prestiti o di garanzie, nonché l’accettazione
di azioni proprie in garanzia sono consentite, purchè le somme impiegate e le garanzie prestate
siano contenute nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo
bilancio regolarmente approvato.

CAPITOLO 6
LE PARTECIPAZIONI RILEVANTI
L’informazione sulle partecipazioni rilevanti.
Le società quotate in borsa sono esposte a rapidi e frequenti mutamenti dell’assetto proprietario e
la trasparenza della composizione della loro compagine azionaria e delle reali posizioni di potere
acquista rilievo anche per assicurare il regolare funzionamento della borsa.
Su queste premesse si fondano una serie di disposizioni che tendono a far chiarezza sui possessi
azionari rilevanti in società quotate ed in società (anche non quotate) che operano in settori di
particolare rilievo economico e sociale.
Per le società con azioni quotate la relativa normativa è oggi dettata dall’art 120 del tuf e dalla
normativa regolamentare della Consob.
Essa impone obblighi in parte differenziati a seconda che la società partecipata sia o no una
piccola o media impresa (PMI), in base ai criteri dimensionali fissati dalla legge:
- Fatturato fino a 300.000.000 come risultante dal bilancio approvato relativo all’ultimo
esercizio
- Capitalizzazione media di mercato nell’ultimo anno solare inferiore a 500.000.000.
La qualifica di PMI si perde quando si superano per tre volte consecutive entrambi i limiti.
Al riguardo è previsto un sistema di soglie fisse di partecipazione. Sono tenuti a dare
comunicazione alla società partecipata ed alla Consob tutti coloro che partecipano in una società
con azioni quotate in misura superiore al 5% se la partecipata è una PMI; al 2% negli altri casi.
Ulteriori comunicazioni alla società partecipata e alla Consob sono dovute quando la
partecipazione superi le percentuali fissate dalla Consob (5% e successivi multipli di 5 fino al 30%,
e poi 50,55.6,90 e 95%) nonché quando la partecipazione scende sotto tali percentuali.
Le comunicazioni servono anche per reprimere il fenomeno delle partecipazioni incrociate ma la
funzione principale è quella di rendere note le reali posizioni di potere in assemblea. Infatti per il
calcolo delle percentuali si tiene conto solo del capitale presentato da azioni con diritto di voto.

162
Sono computate le azioni votanti intestate ad interposte persone, fiduciari o a società controllate;
sono altresì computate le azioni di cui il dichiarante, pur non essendo titolare, dispone del diritto
di voto: ad es. azioni ricevute in pegno o usufrutto.
Nella società i cui statuti prevedono azioni a voto plurimo o maggiorazioni del diritto di voto, le
partecipazioni si calcolano sul numero complessivo dei diritti di voto.
Analoghi obblighi di comunicazione sono altresì previsti nelle società quotate:
a. Per le partecipazioni oggetto di un patto parasociale in grado di influire sul diritto di voto o
sull’esercizio del controllo della società
b. Per le partecipazioni potenziali: cioè il diritto di acquistare di propria iniziativa azioni già
emesse (es: attraverso un patto di opzione)
c. Per il possesso di strumenti finanziari partecipativi che attribuiscono il diritto di nominare
un componente dell’organo di amministrazione o di controllo
La Consob determina contenuto, modalità e termini per l’inoltro delle comunicazioni, nonché per
l’informazione del pubblico.
Per la violazione degli obblighi di comunicazione sono comminate sanzioni pecuniarie. È inoltre
prevista la sospensione del voto inerente alle azioni o agli strumenti finanziari diversi dalle azioni
per i quali sia stata omessa la comunicazione.
Qualora la società ammetta ugualmente il socio a votare, la relativa deliberazione assembleare è
impugnabile a norma dell’art 2377 cod.civ. qualora il voto di quel socio sia stato determinante per
la formazione della maggioranza. E l’impugnativa può essere proposta anche dalla Consob nel
termine allungato di 180 giorni dalla data della deliberazione o dall’iscrizione nel registro delle
imprese.
Il potere di impugnativa riconosciuto alla Consob sottolinea l’interesse generale alla trasparenza
dei possessi azionari rilevanti in società che fanno istituzionalmente appello al pubblico risparmio.
Dalle comunicazioni prescritte è esonerato il Ministero dell’economia per le partecipazioni
detenute tramite società controllate. I relativi obblighi di comunicazione sono adempiuti da
quest’ultime.
In base al regolamento Consob inoltre, l’obbligo di comunicazione non sussiste per una serie di
operazioni in cui l’acquisto o la cessione di partecipazioni rilevanti avviene a fini esclusivamente
speculativi, finanziari o nell’ambito di attività volte a garantire il corretto funzionamento dei
mercati regolamentati.
Norme integrative della disciplina fin qui esposta, sono state introdotte per garantire la
trasparenza anche delle partecipazioni rilevanti in società per azioni non quotate, ma che operano
in settori di particolare interesse generale e la cui attività è perciò sottoposta a controllo pubblico.
Così, è prevista una disciplina per le partecipazioni rilevanti nella misura determinata dalla relativa
normativa speciale, da chiunque possedute in:
1. Società bancarie e intermediari finanziari

163
2. Società di intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio e società di
investimento a capitale variabile e fisso
3. Società di assicurazione
Oltre che alla società partecipata, le partecipazioni rilevanti in considerazione vanno comunicate
rispettivamente alla Banca d’Italia, alla Consob e all’Ivass. A ciascuno di tali organi di controllo è
riconosciuta la legittimazione ad impugnare le deliberazioni adottate col voto determinante di ci
ha omesso di effettuare una comunicazione dovuta.
Anche per tutte le altre società per azioni non quotate è stato compiuto un piccolo passo avanti
per assicurare la trasparenza degli assetti proprietari. Esse infatti sono tenute a rendere pubblico
annualmente, mediante iscrizione nel registro delle imprese, l’elenco di tutti i soci alla data di
approvazione del bilancio, con l’indicazione del numero di azioni possedute, dei soggetti diversi dai
soci titolari di diritti o beneficiari di vincoli sulle azioni, nonché delle annotazioni effettuate nel
libro dei soci a partire dalla data di approvazione del bilancio dell’esercizio precedente.

L’acquisto di partecipazioni rilevanti in società quotate


Chiunque intenda acquistare una partecipazione di controllo in una società con azioni quotate
deve osservare specifiche regole di comportamento.
In passato queste operazioni avvenivano senza transitare attraverso la borsa. Il pacchetto di
controllo era ceduto direttamente dal titolare dello stesso ad un prezzo spesso notevolmente
maggiore di quello risultante dalle quotazioni di borsa, con la conseguenza che la massa degli
azionisti investitori non beneficiava dei corrispondenti guadagni differenziali.
Diverse erano le tecniche seguite quando l’attuale gruppo di comando non era disposto a cedere
la sua partecipazione, ma nel contempo non disponeva della maggioranza delle azioni. In tal caso
chi intendeva scalzarlo procedeva a massicci acquisti di azioni di borsa (scalate ostili), diluiti nel
tempo e coperti dall’anonimato fin quando l’obiettivo prefissato non era stato raggiunto.
Chi intendeva andare alla conquista di una società quotata (società bersaglio) poteva eseguire
anche una tecnica alternativa. Usciva subito allo scoperto e lanciava un’offerta pubblica di
acquisto delle azioni (opa), rivolta a tutti gli azionisti della società bersaglio. Questa tecnica
garantiva la trasparenza dell’operazioni, però spesso scatenava una vera e propria battaglia tra
l’offerente e l’attuale gruppo di comando, che reagiva al tentativo di deposizione sviluppando una
serie di strategie difensive (acquisto di azioni proprie sul mercato, aumento consistente del
capitale sociale,…)
La situazione è però radicalmente cambiata a partire dalla legge 149/1992. L’idea ispiratrice di
fondo di tale legge è che il passaggio di proprietà di partecipazioni di controllo di società quotate
deve avvenire con la massima trasparenza e con modalità che consentano a tutti gli azionisti di
partecipare al premio di maggioranza che l’operazione può comportare. Per realizzare tali obiettivi
sono introdotti due principi cardine:
1. L’offerta pubblica di acquisto è la sola procedura che consente di tutelare gli azionisti di
minoranza in caso di cambiamento del gruppo di comando, poiché consente loro di

164
disinvestire beneficiando del premio di controllo; l’opa è resa quindi resa obbligatoria
quando è trasferita la partecipazione di controllo di una società quotata
2. L’opa, sia essa obbligatoria o volontaria, deve svolgersi nel rispetto di determinate regole di
comportamento a tutela dei destinatari dell’offerta e del regolare funzionamento del
mercato di borsa
Tuttavia la tutela degli azionisti di minoranza dev’essere pur sempre contemperata con l’esigenza
di evitare che il maggior onere finanziario per l’acquirente che l’opa comporta, ostacoli
eccessivamente il ricambio del gruppo di controllo delle s. quote. La contendibilità del controllo
delle società è infatti condizione necessaria per il buon funzionamento del mercato dei capitali.
La ricerca del difficile equilibrio tra tutela della minoranza e mantenimento della contendibilità del
controllo societario ha fatto sì che la disciplina dell’opa sia stata finora piuttosto instabile.
Per quanto riguarda l’attuale disciplina dell’opa, dei 5 casi di opa obbligatoria previsti dalla legge
del 1992, ne erano rimasti due con la riforma del 98 ed oggi ne sopravvive uno solo: l’opa
successiva totalitaria.
L’opa successiva totalitaria consente agli azionisti di minoranza di società con “titoli” quotati di
uscire dalla società a seguito del mutamento dell’azionista di controllo. Per “titoli” si intendono gli
strumenti finanziari che attribuiscono il diritto di voto nell’assemblea ordinaria o straordinaria.
(Dunque azioni ordinarie, azioni speciali con diritto di voto ed eventualmente strumenti finanziari
partecipativi).
L’attuale disciplina diversifica in parte le soglie di partecipazione che fanno scattare l’obbligo di
opa a seconda delle dimensioni della società bersaglio. Come regola generale è tenuto a
promuovere un’offerta pubblica di acquisto chiunque, in seguito ad acquisti, venga a detenere una
partecipazione superiore al 30% dei titoli che attribuiscono diritto di voto nelle deliberazioni
assembleari riguardanti nomina o revoca degli amministratori o del consiglio di sorveglianza;
ossia il 30% dei titoli che consentono di esercitare un’influenza sulla società.
Gli statuti delle PMI possono prevedere una soglia diversa, compresa tra il 25 e il 40%.
Per le società diverse dalle PMI la soglia del 30% è immodificabile. Per queste società di grandi
dimensioni è stata inoltre introdotta una seconda soglia: è tenuto a promuovere l’opa chiunque, a
seguito di acquisti, venga a detenere una partecipazione superiore al 25% in assenza di altro socio
che detenga una partecipazione più elevata.
La normativa regolamentare della Consob precisa le regole per il calcolo delle soglie dell’obbligo e
prevede in quali casi speciali si debba tener conto anche di acquisti di altri strumenti finanziari non
qualificabili come “titoli”, nonché delle azioni proprie detenute dalla società bersaglio. Se sono
state emesse azioni a voto plurimo o lo statuto prevede maggiorazioni dei diritti di voto, le soglie si
calcolano tenendo conto del numero di voti spettanti all’acquirente sul totale dei diritti di voto
esercitabili nelle deliberazioni riguardanti la nomina/revoca degli amministratori o del consiglio di
sorveglianza.
Quando viene superata la soglia rilevante, l’offerta deve essere promossa entro 20 giorni e deve
avere ad oggetto l’acquisto della totalità dei titoli quotati ancora in circolazione. Non però le
azioni senza voto, come le azioni di risparmio.
165
È fissato per legge anche il prezzo minimo che dev’essere offerto, peraltro reso più oneroso con la
riforma del 2007: è il prezzo più elevato pagato dall’offerente, nei 12 mesi anteriori l’offerta
pubblica, per acquisti di titoli della medesima categoria. Per le categorie di titoli rispetto alle quali
l’offerente non ha invece effettuato acquisti a titolo oneroso nel periodo di riferimento, l’offerta è
promossa ad un prezzo non inferiore a quello medio ponderato di mercato degli ultimi 12 mesi o
del minor periodo disponibile.
La Consob può tuttavia disporre che l’offerta sia promossa ad un prezzo inferiore o superiore,
quando ricorrono particolari circostanze individuate dalla legge.
Il corrispettivo dell’offerta può essere costituito in tutto o in parte da titoli (offerte pubbliche di
scambio o miste). Però l’offerente è comunque tenuto a proporre in alternativa il pagamento del
corrispettivo in contanti quando i titoli offerti in scambio non sono quotati o quando ha effettuato
(durante l’opa o nei 12 mesi antecedenti) consistenti acquisti di titoli in contanti, pari almeno al 5%
dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea della società bersaglio.
Per evitare elusioni, l’obbligo di lanciare l’opa per contro sussiste anche quando la soglia rilevante
è superata sommando gli acquisti e le maggiorazioni di voto di persone che agiscono di concerto:
soggetti cioè che cooperano tra di loro sulla base di un accordo volto ad acquisire, mantenere o
rafforzare il controllo della società emittente, oppure a contrastare il successo dell’opa promossa
da terzi.
Sono in ogni caso “persone che agiscono di concerto” gli acquirenti tra loro legati da determinati
rapporti:
- Aderenti ad un patto parasociale
- Un soggetto, il suo controllante e le società da esso controllate
- Società sottoposte a comune controllo
- Una società ed i suoi amministratori, i componenti del consiglio di gestione o di
sorveglianza, o i direttori generali
La legge quindi pone in questi casi delle vere e proprie presunzioni assolute di concerto che
determinano un significativo ampliamento dell’obbligo di opa.
La Consob può inoltre individuare casi in cui si presume l’esistenza di un’azione concertata, così
invertendo l’onere della prova, o all’opposto circostanze in cui è esclusa fino a prova contraria
l‘esistenza del concerto.
Superata la soglia rilevante, le persone che agiscono di concerto sono obbligate solidalmente a
lanciare l’opa totalitaria anche se gli acquisti a titolo oneroso sono tati effettuati da uno solo di
essi.
È poi affidato alla Consob il compito di definire con proprio regolamento quando sussiste l’obbligo
di lanciare l’opa successiva in alcuni casi particolari:
a. L’acquisto indiretto di una partecipazione superiore alla soglia in una società quotata;
realizzato cioè acquisendo il controllo di una società il cui patrimonio è prevalentemente
costituito da titoli emessi dalla società quotata

166
b. Acquisiti o maggiorazioni del diritto di voto da parte di chi già deteneva una partecipazione
superiore alla soglia, senza però detenere la maggioranza dei voti nell’assemblea ordinaria.
Al riguardo è attualmente stabilito che l’obbligo di lanciare l’opa scatta solo se gli acquisti o
la maggiorazione del voto supera il 5% all’anno.
Entro questo limite è perciò possibile incrementare lentamente e progressivamente la
propria partecipazione senza dover lanciare l’opa e pervenire infine al controllo di diritto.
Chi invece ha già il controllo di diritto perché detiene oltre la metà dei voti può invece
liberamente incrementare la propria partecipazione fino a raggiungere le percentuali oltre
cui scatta l’obbligo di acquisto residuale.

Chi intende acquisire il controllo di una società quotata può tuttavia sottrarsi all’obbligo di
promuovere l’onerosa opa successiva totalitaria, lanciando un’opa volontaria preventiva che lo
porti a detenere una partecipazione superiore alla soglia rilevante.
L’opa preventiva può a sua volta essere totale o parziale. L’opa preventiva diretta a conseguire
tutti i titoli della società bersaglio non è soggetta a condizioni e, in particolare, l’offerente può
fissare liberamente il prezzo di acquisto. Unico limite è che quando l’offerta prevede un
corrispettivo in titoli, l’offerente deve proporre in scambio titoli quotati o l’alternativa del
pagamento in contanti.
Più articolata è invece la disciplina dell’opa preventiva parziale, che deve avere ad oggetto almeno
il 60% dei titoli di ciascuna categoria. L’esonero dall’opa successiva deve essere in tal caso
autorizzato dalla Consob ed è subordinato ad una duplice condizione:
a. L’offerente e le persone che agiscono di concerto con lui non devono aver acquistato
nell’anno precedente partecipazioni nella società bersaglio in misura superiore all’1%
b. L’offerta deve essere condizionata all’approvazione da parte dei soci di minoranza
“indipendenti” della società bersaglio (cioè escludendo dalla decisione le partecipazioni
detenute dall’offerente, dalle persone che agiscono di concerto con lui e dal socio di
maggioranza).
L’offerente è però tenuto ugualmente a promuovere l’offerta successiva totalitaria se nell’anno
successivo alla chiusura dell’opa preventiva acquisti altre partecipazioni nella società bersaglio in
misura superiore all’1% così violando il principio di parità di trattamento degli azionisti, o se
l’assemblea della società emittente abbia deliberato operazioni di fusione o scissione.
L’obbligo di opa non sussiste se la partecipazione superiore alla soglia è detenuta a seguito di
un’offerta pubblica di acquisto o di scambio totalitaria o parziale.
Alla Consob è demandato il compito di disciplinare gli altri casi in cui il superamento della soglia
non comporta l’obbligo di offerta successiva, poiché non ne ricorrono i presupposti o perché
risultano neutri ai fini della tutela degli azionisti di minoranza. Tali casi sono:
1. Acquisti a titolo gratuito o per successione ereditaria
2. Presenza di altri soci che già detengono il controllo di diritto della società
3. Operazioni dirette al salvataggio di imprese in crisi

167
4. Trasferimenti di partecipazioni tra società dello stesso gruppo che si risolvono in semplici
operazioni di riassetto azionario
5. Cause indipendenti dalla volontà dell’acquirente (es: esercizio dei diritti di opzione già
spettanti)
6. Operazioni o superamenti di soglia di carattere temporaneo
7. Fusioni e scissioni

Oltre al caso di opa successiva, la legge impone a chi consegue una partecipazione quasi totalitaria
in una società quotata, di acquistare i titoli ancora in circolazione; però, diversamente dal passato,
non è necessario che l’obbligato lanci a tal fine un’apposita offerta pubblica di acquisto. L’obbligo
di acquisto residuale consente agli azionisti di minoranza di uscire dalla società ad un prezzo equo
quando la tessa è ormai saldamente in pugno di un predeterminato gruppo di controllo.
L’attuale disciplina prevede due casi di obbligo residuale:
1. L’offerente che viene a detenere, a seguito di un’offerta pubblica totalitaria, una
partecipazione almeno pari al 95% del capitale rappresentato da titoli della società
bersaglio, è tenuto ad acquistare i restanti titoli da chi gliene faccia richiesta. La previsione
è posta a tutela della libertà di contrarre dei soci destinatari di un’opa totalitaria, affinchè
gli stessi non siano indotti ad accettare un’offerta sgradita solo per il timore di non riuscire
più a vendere agevolmente le azioni nel caso che l’offerente consegua un controllo
schiacciante sulla società.
2. Chiunque viene a detenere una partecipazione superiore al 90% del capitale rappresentato
da titoli quotati nella società bersaglio ha l’obbligo di acquistare i restanti titoli quotati se
non ripristina entro 90 giorni un flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento
delle negoziazioni. Si tutelano così gli azionisti dal rischio di perdita di liquidità dei titoli.
La Consob, sentita la società di gestione del mercato, può elevare per singole società la
soglia del 90% se ritiene che un flottante inferiore al 10% sia sufficiente ad assicurare il
regolare andamento delle negoziazioni.

In entrambe le ipotesi qualora siano emesse più categorie di titoli, l’obbligo di acquisto residuale
sussiste soltanto in relazione alle categorie per le quali è stata raggiunta la rispettiva soglia limite.
Trovano inoltre applicazione le regole in tema di acquisti effettuati da persone che agiscono di
concerto tra loro.
Il corrispettivo viene determinato dalla Consob tenuto conto anche del prezzo di mercato e del
corrispettivo di un’eventuale opa precedente, salvo alcuni casi in cui il prezzo è per legge uguale a
quello della precedente opa.
La Consob determina con regolamento le norme di attuazione dell’obbligo di acquisto, tra cui le
informazioni da fornire, i termini entro cui i possessori dei titoli possono far valere il diritto di
cederli, la procedura per la determinazione del prezzo. In particolare è previsto che l’obbligato
deve concedere ai restanti soci un termine per l’esercizio del diritto di vendita, concordato con la
società di gestione de mercato tra un minimo di 15 e un massimo di 25 giorni di mercato aperto.

168
Nel contempo oggi è anche tutelato l’interesse di chi ha conseguito con un’opa il controllo quasi
dell’intero capitale e teme comportamenti ostruzionistici o ricattatori da parte della minoranza
che non ha aderito all’opa.
Infatti chi viene a detenere più del 95% del capitale rappresentato da titoli ha diritto di acquistare
coattivamente le azioni residue entro 3 mesi dalla scadenza del termine per l’accettazione
dell’opa, purchè abbia dichiarato nel documento di offerta di volersi avvalere di tale diritto.
La violazione dell’obbligo di promuovere un’opa o di acquisto residuale è colpita con sanzioni
abbastanza persuasive, infatti:
a. Il diritto di voto inerente all’intera partecipazione detenuta non può essere esercitato. In
caso di inosservanza, la delibera è impugnabile qualora il socio che avrebbe dovuto
astenersi sia stato determinante per la formazione della maggioranza.
b. I titoli eccedenti le percentuali che fanno scattare l’obbligo di opa o di acquisto residuale
devono essere alienati entro 12 mesi. In alternativa la Consob può imporre la promozione
di un’offerta totalitaria al prezzo da essa stabilito. La vendita o la promozione dell’offerta
fanno venire meno la sospensione del diritto di voto.
È controverso invece se sussista una responsabilità diretta del mancato offerente nei confronti
degli azionisti della società bersaglio e quindi se costoro possano ottenere a titolo di risarcimento
la differenza tra il prezzo ipotetico dell’offerta non presentata e il prezzo dei titoli nel periodo di
riferimento.

Le offerte pubbliche di acquisto e di scambio


Specificamente disciplinato è anche lo svolgimento delle offerte pubbliche di acquisto e di
scambio, al fine di garantire la massima trasparenza dell’operazione e la parità di trattamento dei
destinatari dell’offerta. Nel contempo sono stati definiti i comportamenti consentiti e quelli vietati
alle parti contendenti: offerente e società bersaglio.
L’offerta pubblica di acquisto o di scambio è una proposta irrevocabile rivolta a parità di
condizioni a tutti i titolari di prodotti finanziari che ne formano oggetto. Ogni clausola contraria è
nulla.
L’offerta può essere però sottoposta a condizioni il cui verificarsi non dipenda dalla mera volontà
dell’offerente. Ad esempio, l’offerta può essere condizionata alla soppressione di limiti al possesso
azionario previsti dallo statuto della società bersaglio.
L’offerta può essere aumentata o modificata durante la pendenza dell’operazione e l’aumento di
estende anche a coloro che hanno già aderito all’offerta. Non è però ammessa la riduzione del
quantitativo richiesto.
La durata dell’offerta è concordata con la società di gestione del mercato tra un minimo di 15 e un
massimo di 25 giorni di mercato aperto per l’opa obbligatoria; tra 15 e 40 giorni per le altre
offerte.

169
L’offerta si svolge sotto il controllo costante della Consob alla quale sono riconosciuti ampi poteri
regolamentari in merito allo svolgimento della stessa. La Consob può inoltre sospendere o
dichiarare decaduta l’offerta in caso di violazione della disciplina legislativa e regolamentare in
tema di opa; la sospensione può essere disposta anche quando sopraggiungano fatti nuovi, tali da
non consentire ai destinatari di pervenire a un fondato giudizio sull’offerta.
L’offerta pubblica si articola in 3 fasi:
i soggetti che intendono lanciare un’offerta pubblica devono darne comunicazione alla Consob e
contestualmente alla società bersaglio e al mercato, con le modalità previste dalla normativa
regolamentare della stessa Consob.
L’opa è promossa mediante la presentazione alla Consob del documento di offerta destinato alla
pubblicazione.
Le offerte pubbliche volontarie devono essere promosse non oltre 20 giorni dalla comunicazione. Il
mancato rispetto del termine comporta che il documento di offerta è dichiarato irricevibile e
l’offerente non può promuovere un’ulteriore offerta volontaria avente ad oggetto prodotti
finanziari del medesimo emittente nei successivi 12 mesi.
Il documento di offerta deve contenere le informazioni necessarie a consentire ai destinatari di
pervenire ad un fondato giudizio sull’offerta. La Consob, entro 15 gg dalla presentazione, ne può
chiedere l’integrazione e può prescrivere all’offerente di prestare particolari garanzie. Decorso tale
termine il documento di offerta si considera tacitamente approvato e può essere reso pubblico.
La società bersaglio a sua volta è obbligata a diffondere un comunicato contenente ogni dato utile
per l’apprezzamento dell’offerta ed una valutazione motivata degli amministratori sull’offerta
stessa, anche con riferimento agli effetti che l’eventuale successo dell’offerta avrà sugli interessi
dell’impresa e sull’occupazione.
Il comunicato dev’essere trasmesso anche alla Consob e può essere già allegato al documento di
offerta se l’opa è amichevole.
Si apre così la fase di adesioni all’offerta: esse sono irrevocabili e possono essere raccolte dagli
intermediari indicati nel documento di offerta (banche, sim,ecc..) nonché dai depositari dei titoli
abilitati alla prestazione dei servizi di investimento.
Con l’attuale disciplina è mutato l’atteggiamento del legislatore nei confronti delle tecniche di
difesa che il gruppo di comando della società bersaglio, aggredita da un’opa ostile, può porre in
essere per ostacolare l’iniziativa dell’offerente. Attualmente l’attuazione di misure difensive è
consentita solo previa autorizzazione dell’assemblea ma lo statuto può derogare in tutto o in
parte a tale divieto.
In base alla regola di passività, gli amministratori della società bersaglio devono astenersi dal
compiere atti od operazioni che possono contrastare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta.
Il divieto può però essere rimosso con delibera dell’assemblea appositamente convocata in
pendenza dell’opa.

170
Resta ferma la responsabilità degli amministratori e dei direttori generali per gli atti e le operazioni
compiuti in violazione della passivity rule, che però non possono essere considerati nulli.
Tra le tecniche di difesa successive consentite senza autorizzazione rientra il lancio di un’opa
concorrente da parte di eventuali alleati della società bersaglio. Chi ha lanciato l’offerta originaria
può a sua volta reagire all’opa concorrente rilanciando il gioco con un aumento del prezzo e/o
quantitativo originariamente richiesto.
Se le tecniche di difesa successive sono oggi rese più agevoli, l’attuale disciplina ha però
neutralizzato per le società quotate alcune tecniche di difesa preventiva usate dal gruppo di
comando per neutralizzare il successo di un’opa ostile.
Infatti, gli azionisti che intendono aderire ad un’opa totalitaria o ad un’opa parziale diretta a
conseguire almeno il 60% delle azioni ordinarie possono liberamente recedere senza preavviso da
eventuali sindacati di voto e/o di blocco stipulati.
Le regole di neutralizzazione delle misure di difesa preventive nelle società quotate dal 2008 sono
destinate ad operare solo se lo statuto lo prevede.
Quando invece lo statuto della società bersaglio quotata ne consente l’applicazione, la regola di
neutralizzazione si articola in una serie di misure che incidono sia sullo svolgimento dell’opa sia
sulla fase immediatamente successiva:
durante l’opa:
a. Non hanno effetto nei confronti dell’offerente eventuali limitazioni statuarie al
trasferimento i titoli (es: clausole di prelazione o gradimento)
b. Nelle assemblee, chiamate a decidere sull’autorizzazione di atti di contrasto all’opa, non
operano le limitazioni al diritto di voto previste nello statuto o da patti parasociali, né le
maggiorazioni statuarie del diritto di voto e le azioni a voto plurimo conferiscono solo 1
voto.
Dopo l’opa la regola di neutralizzazione paralizza temporaneamente l’efficacia di alcune clausole
statuarie o patti parasociali il cui compito è impedire all’offerente vittorioso di conseguire
l’effettivo dominio sulla società bersaglio.
Più precisamente, nella prima assemblea successiva all’opa non operano le limitazioni al diritto di
voto previste nello statuto o da patti parasociali e nemmeno le maggiorazioni statuarie del diritto
di voto. Le azioni a voto plurimo costituiscono solo un voto. Non operano altresì diritti speciali
previsti dallo statuto in materia di nomina o revoca degli amministratori o dei componenti degli
organi del sistema dualistico. Il nuovo gruppo di comando potrà così approfittarne per nominare
amministratori di fiducia e modificare clausole statuarie non gradite. Questi effetti di
neutralizzazione successiva però si producono solo a condizione che a seguito dell’opa l’offerente
venga a detenere almeno il 75% del capitale col diritto di voto nelle deliberazioni riguardanti
nomina o revoca degli amministratori o dei componenti del consiglio di gestione o sorveglianza.
La neutralizzazione ai diritti di voto non opera poi per le categorie speciali di azioni dotate di
privilegi di natura patrimoniale, come le azioni di risparmio.

171
Ai titolari di diritti che la regola di neutralizzazione non ha reso esercitabili è dovuto solo un equo
indennizzo a carico dello stesso offerente.
La passivity rule e la regola di neutralizzazione sono inoltre soggette alla clausola di reciprocità,
cioè non operano quando l’opa è promossa da chi non è a sua volta soggetto a tali disposizioni o a
disposizioni equivalenti.
Nulla prevede l’attuale disciplina per il caso in cui alla scadenza del termine le adesioni siano
inferiori o superiori al quantitativo di titoli richiesto, sicchè ogni determinazione al riguardo è
rimessa al documento di offerta pubblicato dall’offerente.
Salvo che si tratti di opa totalitaria obbligatoria, il documento dovrà comunque specificare il
quantitativo minimo da raggiungere affinchè l’offerta diventi irrevocabile.
I risultati dell’offerta sono resi noti dall’offerente prima di provvedere al pagamento del
corrispettivo, mediante la pubblicazione di un documento, contenente anche le indicazioni
necessarie sulla conclusione dell’offerta e sull’esercizio delle facoltà previste sul documento
dell’offerta.

Limiti all’assunzione di partecipazioni rilevanti


Col rispetto degli obblighi esposti nel paragrafo precedente, l’assunzione di partecipazioni rilevanti
in una società per azioni o da parte di una società per azioni è in via di principio libera. Non
mancano tuttavia limitazioni.
Alcune riguardano l’assunzione di partecipazioni rilevanti o di controllo in società che operano in
particolari settori da chiunque detenute. Altre riguardano specificamente l’assunzione di
partecipazioni da parte di una società di capitali.
Tra i limiti del primo tipo meritano di essere ricordati quelli previsti ex lege per la partecipazione al
capitale di società bancarie ed assicurative: l’acquisizione a qualsiasi titolo di partecipazioni nelle
banche da chiunque effettuato, dev’essere preventivamente autorizzato dalla Banca d’Italia
quando attribuisce alla quota dei diritti di voto o del capitale almeno pari al 10% del capitale o
comunque consente di esercitare un’influenza notevole o il controllo della banca stessa.
Ad autorizzazione sono altresì soggetti i successivi incrementi della partecipazione quando
raggiungono o superano i limiti percentuali fissati dal tub.
A differenza che in passato però, non è più fatto divieto ai soggetti che svolgono in misura
rilevante attività di impresa in settori diversi da quello bancario e finanziario di possedere
partecipazioni anche di controllo delle banche. Era questo il principio di separatezza tra banca e
industria. Tuttavia, la Banca d’Italia nel rilasciare l’autorizzazione all’acquisto della partecipazione
bancaria accerta la competenza professionale di tali soggetti e la sussistenza delle condizioni atte a
garantire una gestione sana e prudente della banca.
La violazione di tali disposizioni espone a sanzioni penali e comporta la sospensione del diritto di
voto inerente alle azioni per le quali l’autorizzazione non è stata concessa o sospesa/revocata. In
caso di inosservanza, le deliberazioni assembleari adottate col voto determinante di tali azioni

172
sono impugnabili a norma dell’art 2377. Inoltre, le partecipazioni per le quali l’autorizzazione non
è stata ottenuta o è stata revocata devono essere alienate entro i termini stabiliti dalla Banca
d’Italia.
Una disciplina simile è prevista anche per le società di assicurazione, ma il potere di autorizzazione
in questo caso è attribuito all’Ivass.
Ulteriori limiti legali all’acquisto di partecipazioni sociali sono contemplati dalla disciplina in tema
di poteri speciali dello Stato. Chiunque acquisisce una partecipazione in imprese che svolgono
attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale deve notificarlo alla
Presidenza del consiglio dei ministri che, entro 15 giorni può opporsi all’acquisto o subordinarlo a
specifiche condizioni. Analogo potere di opposizione è attribuito al Governo qualora un oggetto
extracomunitario acquisisca una partecipazione di controllo in una società che detiene attivi
strategici nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni.
Fino alla scadenza del termine concesso all’autorità pubblica per pronunciarsi sull’acquisto, se
viene fatta opposizione o le condizioni imposte non sono state adempiute, l’acquirente può
esercitare solo i diritti patrimoniali derivanti dalle azioni. In particolare, il diritto di voto è sospeso e
in caso di inosservanza la normativa speciale stabilisce che le deliberazioni assembleari adottate
col voto determinante di tali azioni sono nulle. È inoltre previsto l’obbligo di alienare entro un
anno le partecipazioni per le quali il Governo ha esercitato il potere di opposizione.
Tra i limiti all’assunzione di partecipazioni rilevanti rientrano infine le clausole statutarie, diffuse
nella prassi societaria e in alcuni casi imposte per legge, che fissano limiti massimi ai possessi
azionari dei singoli soci, vietando che essi risultino intestatari di un numero di azioni superiore ad
una determinata percentuale del capitale sociale. Ciò al fine di evitare che si formi un nucleo
stabile di azionisti di controllo o di riferimento.
La possibilità di introdurre a maggioranza clausole statutarie che fissano un tetto massimo al
possesso azionari dei soci è espressamente prevista per le società controllate dallo Stato, operanti
nei settori dei servizi di pubblica utilità, di difesa, sicurezza nazionale, bancario ed assicurativo,
destinate ad essere privatizzate mediante diffusione dell’intero pacchetto azionario tra il pubblico
degli investitori (public company). Ciò al fine di evitare che si formino nuclei stabili di azionisti di
riferimento privati, mediante il rastrellamento di azioni sul mercato o attraverso forme di
coalizioni tra soci.
Il superamento del limite massimo statutario, fissato nel 5% del capitale per le società operanti nei
settori dei pubblici servizi, difesa e sicurezza nazionale, implica il divieto di esercitare il diritto di
voto. La relativa clausola statutaria non può essere modificata per un periodo di 3 anni, ma decade
se il limite è superato per effetto di un’opa all’esito della quale l’offerente venga a detenere
almeno il 65% delle azioni con diritto di voto la nomina o la revoca degli amministratori o dei
componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza.

Le partecipazioni modificative dell’oggetto sociale. Le partecipazioni a responsabilità illimitata.


Un limite di carattere generale all’assunzione di partecipazioni da parte della società per azioni e
da parte della società di capitali è posto dall’art 2361 co.1.
173
La norma stabilisce che “l’assunzione di partecipazioni in altre imprese non è consentita se per la
misura e per l’oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente modificato l’oggetto
sociale determinato nell’atto costitutivo”.
Il divieto riguarda l’assunzione di partecipazioni di qualsiasi tipo e risponde alla finalità di impedire
che l’oggetto sociale fissato nell’atto costitutivo sia in fatto modificato dagli amministratori della
società, cioè modificato senza l’osservanza delle procedure previste per legge e precludendo
l’esercizio del diritto di recesso dalla società in tal caso riconosciuto ai soci assenti o dissenzienti.
Il divieto di assunzione di partecipazioni modificative dell’oggetto sociale tuttavia non è operante
quando l’attività principale o esclusiva della società consiste proprio nell’assunzione di
partecipazioni in altre impese.
Tali società sono definite società finanziarie e nel loro ambito si distinguono le società holdings o
società capogruppo, caratterizzate dal fatto che le partecipazioni sono assunte al fine di dirigere e
coordinare l’attività delle società partecipate.
Si parla di holding pura se in ciò si esaurisce l’attività di impresa della società; holding mista se è
statuariamente previsto anche lo svolgimento di attività operativa in determinati settori produttivi.
In entrambi i casi non ricorrono i presupposti per l’applicazione del divieto.
Per quanto riguarda le altre società (società operative), l’assunzione di partecipazioni non è loro
vietata in modo assoluto. Sono infatti consentite quelle che “per misura e per oggetto” non
comportano una modifica sostanziale del tipo di attività stabilito nell’atto costitutivo; non
comportano cioè una modifica globale e radicale della struttura economica della società quale
inizialmente programmata.
Alle società operative è quindi certamente consentita l’assunzione di partecipazioni di minoranza
in imprese svolgenti la stessa attività o anche attività diversa, purchè tale attività di investimento
non assuma in fatto carattere prevalente.
L’assemblea straordinaria può autorizzare o ratificare a posteriori l’assunzione delle partecipazioni
in esame, con contestuale delibera modificativa dell’oggetto sociale. Ed ovviamente ai soci assenti
o dissenzienti compete il diritto di recesso.
L’assunzione di partecipazioni in altre imprese, ove anche compatibile con l’oggetto sociale,
dev’essere però deliberato dall’assemblea quando comporta la responsabilità illimitata per le
obbligazioni della partecipata.
Gli amministratori che violino il dettato dell’art 2361 sono esposti all’azione di responsabilità.
L’atto di assunzione della partecipazione non autorizzato è inoltre inefficace, in quando posto in
essere in violazione di un limite legale al potere di rappresentanza.

Le partecipazioni reciproche
Le partecipazioni reciproche tra società di capitali (la società A partecipa alla società B e viceversa)
danno luogo a pericoli di carattere patrimoniale ed amministrativo analoghi a quelli previsti per la
sottoscrizione e l’acquisto di azioni proprie.
174
Vi è il pericolo che venga falsata la consistenza patrimoniale delle due società; vi è poi il pericolo
ulteriore che venga alterato il corretto funzionamento delle relative assemblee, attraverso
l’utilizzazione concordata da parte dei rispettivi amministratori dei diritti di voto di cui ciascuna
società dispone nell’altra, con conseguente abbassamento della percentuale di capitale necessaria
ai rispettivi gruppi di comando per controllare la società.
Tutti questi periodi sono poi accentuati quando tra le due società intercorre un rapporto di
controllo, dato che la controllata può facilmente subire le direttive della controllante nella scelta di
propri investimenti azionari e nell’esercizio di voto. La controllante perciò potrebbe agevolmente
eludere la disciplina della sottoscrizione e dell’acquisto di azioni proprie facendo sottoscrivere o
acquistare le stesse da una propria controllata.
Questi pericoli sono evidenti nel caso di sottoscrizione reciproca di capitale. Se due società si
costituiscono o aumentano il capitale sociale sottoscrivendo l’una il capitale dell’altra, si avrà una
moltiplicazione illusoria di ricchezza. Aumenta cioè il capitale nominale delle due società, senza
che si incrementi il rispettivo capitale reale. E nel contempo ciascuna delle due società dispone di
un pacchetto di voti da gestire nell’altra.
Alla repressione di tale fenomeno c’è l’art 2360 cc che vieta alle società di “costituire o di
aumentare il capitale mediante sottoscrizione reciproca di azioni, anche per tramite di società
fiduciarie o di interposta persona”. Il divieto non soffre alcuna eccezione.
La sanzione per la sua violazione è la nullità di entrambe le sottoscrizioni, sempre che si provi che
esse fanno parte di un disegno unitario preordinato alla violazione dell’art 2360.
Tale disciplina non consentiva tuttavia di ritenere di per sé vietata la sottoscrizione reciproca
tramite una società controllata dato che quest’ultima non è senz’altro assimilabile ad un terzo
interposto.
Infine e comunque non consentiva di colpire la sottoscrizione non reciproca di azioni della società
controllante da parte della controllata, possibile quando il controllo si fondi su particolari vincoli
contrattuali ed anch’essa idonea a consentire l’elusione del divieto di sottoscrizione di azioni
proprie da parte della controllante.
Queste lacune oggi sono colmate dall’art 2359-quinquies, che detta per la sottoscrizione di azioni o
quote della società controllante, una disciplina sostanzialmente identica a quella prevista per la
sottoscrizione di azioni proprie.
In nessun caso la società controllata può sottoscrivere un aumento di capitale deliberato dalla
controllante, sia direttamente sia avvalendosi di terzi.
Identiche sono inoltre le sanzioni penali e civili. Non si ha nullità della sottoscrizione, ma
imputazione ex lege delle azioni ai soggetti che hanno materialmente violato il divieto: gli
amministratori della società controllata che non dimostrino di essere esenti da colpa, o il terzo che
ha sottoscritto le azioni in nome proprio ma per conto della società. (e in questo secondo caso
della liberazione delle azioni rispondono solidalmente anche gli amministratori della società
controllata che non dimostrino di essere esenti da colpe).

175
I pericoli patrimoniali ed amministrativi delle partecipazioni incrociate si determinano anche
quando l’incrocio è attuato mediante acquisto di azioni già in circolazione. L’unica differenza è che
la sottoscrizione reciproca dà luogo ad aumento del capitale nominale senza aumentare il capitale
reale; l’acquisto reciproco all’opposto lascia inalterato il capitale nominale ma determina una
riduzione surrettizia dei rispettivi capitali reali, che può giungere fino l completo svuotamento dei
rispettivi patrimoni. Infatti, l’acquisto di azioni per importo eccedente gli utili distribuibili
determina un indiretto rimborso dei conferimenti agli azionisti delle due società.
L’attuale disciplina per l’acquisto reciproco di azioni è così sintetizzata:
a. L’acquisto reciproco di azioni è possibile senza alcun limite quando tra le due società non
intercorre un rapporto di controllo e le stesse non sono quotate in borsa
b. Se l’incrocio è realizzato tra società controllante e sue controllate si applicano gli art 2359-
bis che prevedono limiti qualitativi e limiti quantitativi puntualmente coincidenti con
quelli stabiliti per l’acquisto di azioni proprie
c. Se l’incrocio non intercorre tra controllante e controllata, ma coinvolge entrambe le società
con azioni quotate, si applica l’art 121 del tuf, norma che pone limiti quantitativi ma non
qualitativi
In base al testo attuale dell’art 2359-bis, l’acquisto da parte di una società controllata di azioni o
quote della società controllante, anche tramite società fiduciaria o interposta persona, è
considerato ex lege come effettuato dalla controllante stessa. Perciò è assoggettato alle seguenti
limitazioni:
1. Le some impiegate nell’acquisto non possono eccedere l’ammontare degli utili distribuibili
e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato dalla società controllata
2. Possono essere acquistate solo azioni interamente liberate
3. L’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria della controllata e deve
contenere le stesse specificazioni richieste per l’acquisto di azioni proprie
4. Il valore nominale delle azioni acquistate non può eccedere la quinta parte del capitale
della società controllante, qualora questa sia una società che faccia ricorso al mercato del
capitale di rischio, tenendosi conto anche delle azioni o quote possedute dalla stessa
controllante e dalle altre società da essa controllate
5. La società non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee della controllante
Inoltre, se la società è una società quotata gli acquisti devono essere effettuati secondo le
modalità fissate dalla Consob al fine di assicurare la parità di trattamento degli azionisti.
Le azioni o quote acquistate in violazione ai primi 4 punti devono essere alienate entro un anno
dal loro acquisto secondo modalità fissate dall’assemblea della controllata. In mancanza, la
controllante deve procedere al loro annullamento e alla corrispondente riduzione del capitale
sociale. La società controllata ha però diritto al rimborso delle azioni annullate, determinato
secondo i criteri stabiliti dalla disciplina del diritto di recesso. Nell’inerzia dell’assemblea della
controllante, la riduzione del capitale è disposta d’ufficio dal tribunale, su richiesta degli
amministratori e dei sindaci.
All’acquisto di azioni da parte della controllata si applicano poi i casi speciali di esonero previsti per
l’acquisto di azioni proprie, con esclusione dell’acquisto per riduzione del capitale sociale, non
176
configurabile per le azioni di altra società. Deve essere comunque rispettato il limite del 20% del
capitale ove applicabile, e vale anche qui il più lungo termine di 3 anni per l’alienazione delle azioni
possedute in eccedenza.
La violazione di tali disposizioni espone gli amministratori a sanzioni penali identiche a quelle
dettate per l’acquisto di azioni proprie.

Diversa dalla disciplina dettata finora è la disciplina degli incroci azionari quando entrambe le
società protagoniste dell’incrocio abbiano azioni quotate, ma tra le stesse non intercorre rapporto
di controllo.
L’attuale disciplina (art 121 tuf) fissa solo limiti quantitativi agli incroci azionari; limiti che
coincidono con le percentuali che fanno scattare l’obbligo di comunicazione alla società
partecipata e alla Consob. Perciò, l’incrocio non può superare il tetto del 5% del capitale con diritto
di voto se la partecipata è una PMI, e del 2% se la partecipata è una società diversa da una PMI.
L’attuale disciplina consente inoltre che con un accordo il tetto per gli incroci tra società quotate
possa essere elevato a 10% per le PMI e al 5% per le altre società. Ciò allo scopo di non ostacolare
alleanze strategiche anche attraverso partecipazioni reciproche.
Quando la partecipazione incrociata eccede da entrambi i lati le percentuali massime consentite,
la società che ha superato il limite successivamente:
1. Non può esercitare il diritto di voto per le azioni possedute in eccedenza rispetto alla %
consentita
2. Deve alienare l’eccedenza entro 12 mesi dalla data in cui ha superato il limite
3. In caso di mancata alienazione, la sospensione del diritto di voto si estende all’intera
partecipazione e quindi anche alla parte che può essere legittimamente posseduta
In caso di inosservanza del divieto di esercizio del voto, le delibere assembleari adottate col voto
determinante di tali azioni sono annullabili e l’impugnazione può essere disposta anche dalla
Consob nel termine allungato di 180 giorni.
Per evitare elusioni dei limiti alle partecipazioni reciproche, l’attuale disciplina estende infine la
sospensione del diritto di voto (ma non l’obbligo di alienazione) agli incroci tra società
appartenenti a gruppi diversi composti da società quotate. Anche questi incroci triangolari oggi
non possono superare i limiti fissati dalla legge.

L’art 121 in sostanza si preoccupa essenzialmente di frenare gli abusi di carattere amministrativo
degli incroci azionari (inquinamento del voto), è invece meno sensibile al pericolo di
annacquamento dei patrimoni.
Invece, i rischi patrimoniali si ridimensionano e quelli amministrativi sono neutralizzati quando tra
le società intercorre un rapporto di controllo. In tal caso si applica esclusivamente la disciplina
dettata dall’art 2359-bis, anche per i limiti percentuali.

177
CAPITOLO 7
I GRUPPI DI SOCIETÀ
Il fenomeno di gruppo. I problemi.
Con l’osservanza dei limiti esposti nei paragrafi precedenti, le società per azioni sono libere di
sottoscrivere od acquistare azioni o quote di altre società di capitali. E l’assunzione di
partecipazioni è lo strumento principale attraverso il quale si realizza il fenomeno dei gruppi di
società.
Il gruppo di società è un’aggregazione di imprese societarie formalmente autonome ed
indipendenti l’una dall’altra, ma assoggettate tutte ad una direzione unitaria. Tutte sono infatti
sotto l’influenza dominante di un’unica società (società capogruppo o società madre) che
direttamente od indirettamente le controlla e dirige secondo un disegno unitario la loro attività di
impresa, per il perseguimento di uno scopo unitario e comune a tutte le società del gruppo
(interesse di gruppo).
Da qui la tradizionale affermazione che nei gruppi ad un’unica impresa sotto il profilo economico
corrispondono più imprese sotto il profilo giuridico: tante quante sono le società facenti parte del
gruppo.
Il gruppo di società è fenomeno largamente diffuso nella pratica. È questo infatti l’assetto
organizzativo tipico assunto dalle imprese di grande e grandissima dimensione, a carattere sia
nazionale sia multinazionale.
Il gruppo di società è poi fenomeno che può assumere le più svariate configurazioni e le più
diverse articolazioni. Si distinguono così ad esempio i gruppi a catena, o i gruppi stellari o a
raggiera.
Nei gruppi a catena, la società A (capogruppo) controlla e dirige la società B, che a sua volta
controlla e dirige la società C e così via. Nei gruppi a raggiera invece, la capogruppo A controlla e
dirige contemporaneamente tutte le altre società. È frequente che le due articolazioni si
combinino tra loro.
I vantaggi dell’unità economica della grande impresa combinati con quelli offerti dall’articolazione
in più strutture organizzative formalmente distinte ed autonome sono: rapidità e relativa
autonomia decisionale, delimitazione e separazione del rischio di impresa delle singole unità
operative.
La costituzione di gruppi di società è un fenomeno che l’ordinamento favorisce, tuttavia non è
privo di pericoli per l’ordinato funzionamento dell’economia di mercato, per i profili patologici cui

178
può dar luogo l’articolazione di più strutture giuridiche in un’impresa sostanzialmente unitaria. Di
qui l’esigenza di interventi legislativi, che tuttavia non sono semplici in quando la presenza di
gruppi di società è fenomeno che coinvolge non solo il diritto nazionale delle imprese ma anche
quello comunitario ed internazionale. Nell’ambito dell’ordinamento nazionale i gruppi sollevano
poi problemi che travalicano il diritto delle società per toccare anche i profili della libertà di
concorrenza nonché quelli laburistici e tributari dell’attività d’impresa. In tutti questi settori
emerge perciò l’esigenza di definire una specifica disciplina del fenomeno di gruppo, idonea a
realizzare un adeguato punto di equilibrio tra unità economica e pluralità giuridica.
La presenza di aggregazioni societarie sollecita una disciplina diretta a soddisfare un triplice ordine
di esigenze:
a. Assicurare un’adeguata informazione sui collegamenti di gruppo, sui rapporti finanziari e
commerciali tra società del gruppo, nonché sulla situazione patrimoniale e sui risultati del
gruppo unitariamente considerato
b. Evitare che eventuali intrecci di partecipazioni alternino l’integrità patrimoniale delle
società coinvolte ed il corretto funzionamento degli organi decisionali della capogruppo
c. Evitare che le scelte operative delle singole società del gruppo pregiudichino le aspettative
di quanti fanno affidamento esclusivamente sulla consistenza patrimoniale e sui risultati
economici di quella determinata società. Infatti, decisioni delle società figlie ispirate
all’interesse di gruppo possono risultare dannose per gli azionisti che non fanno parte del
gruppo di comando e per i creditori delle stesse.
Ancora oggi manca una disciplina organica specificamente dedicata al fenomeno del gruppo, ma
attraverso alcuni interventi legislativi ci sono stati numerosi progressi dal 1942 fino ad oggi.

Società controllate e direzione unitaria


È controllata la società che si trova sotto l’influenza dominante di altra società (controllante) che
perciò è in grado di indirizzarne l’attività nel senso da essa voluto.
L’art 93 tuf e le altre nome contenute in leggi speciali fissano criteri particolari per l’individuazione
di una situazione di controllo, per lo più rappresentati dall’introduzione di presunzioni volte ad
agevolare il relativo accertamento. È altrettanto fuori dubbio però che anche tali definizioni
speciali ruotano intorno a concetto di influenza dominante dell’art 2359 cc. Questa norma quindi
costituisce il punto di partenza per stabilire quando una società può ritenersi controllata.
In base all’art 2359 il controllo societario può assumere diverse forme:
1. È controllata la società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti
esercitabili nell’assemblea ordinaria. In tal caso, la possibilità di esercitare influenza
dominante è evidente in quando la società controllante è in grado di nominare gli
amministratori della società controllata.
2. È società controllata inoltre la società in cui un’altra società dispone dei voti sufficienti per
esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria. Il rapporto di controllo si
fonda anche qui sulla partecipazione al capitale; partecipazione di per sé minoritaria ma

179
che consente ugualmente di determinare le deliberazioni dell’assemblea ordinaria per la
polverizzazione dei possessi azionari e l’assenteismo degli altri soci.
3. Si considerano infine controllate le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra
società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Qui la possibilità di esercitare
influenza dominante prescinde dal possesso di una partecipazione azionaria ed è
determinata da particolari rapporti contrattuali, che pongono una società in una situazione
oggettiva di dipendenza economica rispetto ad un’altra, tale da comprometterne esistenza
e sopravvivenza. Es: la società A fornisce alla società B materie prime prodotte in esclusiva
e non agevolmente sostituibili con altre,
Invece è opinione prevalente e corretta che nel nostro ordinamento non è ammissibile un
contratto che attribuisce ad una società il diritto di esercitare influenza dominante su un’altra, che
conseguentemente si obbliga ad agire secondo gli ordini ricevuti anche se le arrecano pregiudizio
(contratto di dominazione). Un tale contratto deve ritenersi nullo. Questo tipo di contratto è
ammesso solo quando la legge applicabile lo consente (es: caso di contratto di dominazione tra
una società quotata italiana che assume la veste di controllante di una società tedesca, dato che
l’ordinamento tedesco ammette tale contratto).
Ai fini del solo controllo azionario si computano poi anche “i voti spettanti a società controllate, a
società fiduciarie e a persona interposta” con esclusione però dei “voti spettanti per conto di terzi”
quali i voti per delega.
Il controllo azionario può quindi essere anche indiretto: A controlla B che a sua volta controlla C;
quest’ultima è controllata indirettamente anche da A.
Inoltre, controllo azionario si ha anche quando le relative situazioni si realizzano sommando
partecipazioni dirette ed indirette. Ad esempio, A controlla 6 società ognuna delle quali possiede il
10% dei voti della società D. A è ugualmente controllante di D per effetto della somma dei voti
esercitabili dalle controllate dirette.
Infine, una situazione di controllo può essere determinata anche dall’esistenza di sindacati di voto,
ma in tal caso la qualità di controllante va di regola riconosciuta solo all’azionista che ha una
posizione di influenza dominante all’interno del sindacato.
Dalle società controllate vanno poi tenute distinte le società collegate. Si considerano collegate “le
società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole”, ma non dominante. E
l’influenza notevole si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno 1/5
dei voti, o 1/10 se la società partecipata ha azioni quotate in mercati regolamentati.

La disciplina dei gruppi


L’esistenza di un rapporto di controllo societario non è sufficiente per affermare che si è in
presenza di un gruppo di società: fa tuttavia presumere l’esercizio dell’attività di direzione e di
coordinamento di società in cui si concretizza l’essenza del fenomeno di gruppo, con conseguente
applicabilità delle specifiche disposizioni introdotte con la riforma del 2003.

180
In base all’attuale disciplina si presume che l’attività di direzione e di coordinamento di società è
esercitata dalle società o enti tenuti alla redazione del bilancio consolidato nonché da quelli che
comunque le controllano.
Si rendono così applicabili a fenomeno di gruppo sia le norme che regolano i rapporti tra società
controllante e società controllate, sia le ulteriori disposizioni introdotte dalla riforma del 2003
dedicate alle società o enti che esercitano attività di direzione e di coordinamento di altre società.
Inoltre, è assoggettato alle nuove norme sull’attività di direzione e coordinamento anche chi
esercita tale attività “sulla base di un contratto con le società medesime o di clausole nei loro
statuti”, come tipicamente si verifica nei gruppi paritetici (o gruppi orizzontali). Vale a dire nei
gruppi nei quali la direzione unitaria di più imprese non si fonda su un rapporto di controllo e
quindi di subordinazione di una società rispetto all’altra, bensì su un accordo contrattuale con cui
più società si impegnano stabilmente a conformarsi ad una direzione unitaria che ciascuna
concorre a determinare su un piano di parità rispetto alle altre.
Inoltre, notevoli passi avanti sono fatti in tema di informazione sull’esistenza e sull’architettura dei
gruppi. In base all’attuale disciplina è infatti istituita un’apposita sezione del registro delle imprese
nella quale sono iscritti (con effetto di pubblicità notizia) le società o gli enti che esercitano attività
di direzione e coordinamento e le società alla stessa sottoposte. Quest’ultime sono inoltre tenute
a indicare negli atti e nella corrispondenza la soggezione all’altrui attività di direzione e
coordinamento. Gli amministratori delle società controllate che omettono di provvedere
all’iscrizione sono responsabili dei danni che i soci o i terzi hanno subito per la mancata
conoscenza di tali fatti.
Ancora, in presenza di una situazione di controllo, scattano limitazioni e divieti a carico delle
società controllate che ridimensionano i pericoli di alterazione dell’integrità patrimoniale della
capogruppo e di inquinamento del funzionamento degli organi della stessa.
La disciplina sotto questi profili è quella in tema di sottoscrizione e di acquisto di azioni della
società controllante da parte delle controllate. Disciplina che oggi: inibisce alle controllate
l’esercizio del diritto di voto per le azioni possedute nel capitale della controllante e limita le azioni
che possono essere complessivamente possedute dalle società appartenenti ad uno stesso gruppo
nel capitale della controllante, quando quest’ultima fa ricorso al capitale di rischio.
Dalla finalità di assicurare il corretto funzionamento degli organi della controllante sono poi
ispirati:
a. Il divieto per le società controllate, per i membri degli organi amministrativi e di controllo e
per i dipendenti delle stesse di rappresentare i soci della controllante nelle assemblee di
questa
b. L’ineleggibilità a sindaci della controllante di coloro che sono legati alle società da questa
controllate o alle società che a loro volta la controllano da un rapporto di lavoro
dipendente oppure da un rapporto continuativo di consulenza o prestazione d’opera
retribuita, o da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettono l’indipendenza
Scattano poi in sede di redazione del bilancio di esercizio specifici obblighi di informazione
contabile, sia a carico della società controllante, sia a carico delle controllate, volti ad evidenziare i

181
reciproci rapporti di partecipazione e finanziari, i relativi risultati economici nonché gli effetti che
l’attività di direzione e coordinamento ha avuto sull’esercizio dell’impresa sociale.
Inoltre, la copia integrale dell’ultimo bilancio delle società controllate ed un prospetto riepilogativo
dei dati essenziali dell’ultimo bilancio delle società collegate devono restare depositati nella sede
della società controllante insieme al bilancio della stessa, durante i 15 gg che precedono
l’assemblea convocata per la relativa approvazione e finchè lo stesso non sia approvato.
Il quadro della disciplina dell’informazione contabile di gruppo è stato completato con
l’introduzione del bilancio consolidato di gruppo: un bilancio cioè, che consente di conoscere la
situazione patrimoniale, finanziaria ed economica del gruppo considerato unitariamente,
attraverso l’eliminazione delle operazioni intercorse tra le società del gruppo.
Questo sistema informativo di gruppo è stato arricchito poi nel 98 quando la controllante è una
società quotata, per garantire la completezza e la trasparenza dell’informazione nei confronti del
pubblico.
È invece restato finora sulla carta l’ulteriore e più ambizioso tentativo di incidere sul delicato
problema dei gruppi multinazionali con ramificazioni su Stati che non garantiscono la trasparenza
societaria. È fenomeno diffuso la costituzione di gruppi nella cui architettura si inseriscono società
aventi sede legale in ordinamenti giuridici che prevedono scarsi controlli e pochi adempimenti
contabili (off-shore). Ciò per beneficiare del più favorevole trattamento fiscale che tali Stati
solitamente riservano alle imprese (paradisi fiscali). Nell’esperienza italiana le società off-shore
sono state usate per realizzare spericolate speculazioni o operazioni vietate/illecite; inoltre tali
rapporti possono essere agevolmente impiegati per occultare perdite.
Per questi motivi la legge sulla tutela del risparmio ha introdotto nel tuf severe disposizioni volte a
contrastare gli abusi. La nuova disciplina ha demandato al Ministro della Giustizia di concerto col
Ministro dell’economia e finanze, il compito di individuare gli Stati che non garantiscono la
trasparenza societaria, sulla base di parametri fissati per legge. È demandato ad un regolamento
della Consob determinare i criteri in base ai quali è consentito intrattenere tali relazioni
“pericolose”. A tal fine devono essere prese in considerazione anche “le ragioni di carattere
imprenditoriale che motivano il controllo e l’esigenza di assicurare la completa e corretta
informazione societaria”.
Per accertare il rispetto della disciplina dei rapporti con società off-shore alla Consob sono
attribuiti penetranti poteri d’indagine sia nei confronti della società italiana, sia nelle società
estere (previo consenso delle competenti autorità straniere).
Queste regole tuttavia sono rimaste fin’ora mai applicate, in quanto non sono mai stati individuati
gli Stati che non garantiscono la trasparenza societaria, né è stata emanata la disciplina secondaria
della Consob.

La tutela dei soci e dei creditori delle società controllate.


Ulteriori passi avanti sono stati compiuti con la riforma del 2003 per quanto riguarda la tutela
degli azionisti esterni e dei creditori delle società controllate contro possibili abusi della

182
controllante, che induca le prime al compimento di atti vantaggiosi per il gruppo unitariamente
considerato, ma pregiudizievoli per il proprio patrimonio.
Ad esempio, acquisto a prezzi vistosamente superiori a quelli di mercato di prodotti della società
capogruppo o di altre imprese del gruppo; vendita sottocosto di propri prodotti alle stesse;
finanziamenti o concessione di garanzie a favore di altre società del gruppo senza alcun vantaggio
economico e così via.
Sotto tale profilo nel nostro ordinamento resta fermo il principio cardine della distinta soggettività
e della formale indipendenza giuridica delle società del gruppo. Il gruppo di società non è
configurabile come un nuovo soggetto di diritto, esso non dà vita a un’attività di impresa
giuridicamente unitaria.
L’indipendenza formale porta infatti ad escludere che la capogruppo sia politica di gruppo. E con la
disciplina della s.p.a. e della s.r.l. unipersonale, la responsabilità diretta della capogruppo per le
obbligazioni assunte dalle società figlie resta esclusa anche quando la prima è unico socio delle
seconde.
L’indipendenza formale comporta però e nel contempo che la capogruppo non può
legittimamente imporre alle società figlie il compimento di atti che contrastino con gli interessi
delle stesse separatamente considerate. Contro gli eventuali abusi dell’influenza dominante della
capogruppo restano azionabili i rimedi previsti in via generale dalla disciplina societaria.
Le norme in tema di conflitto di interessi dei soci possono frapporre ingiustificati ostacoli al
perseguimento della politica di gruppo. Infatti, gli amministratori delle società figlie sono
espressione della società madre e si vengono a trovare formalmente in una situazione di
potenziale conflitto di interessi che li espone al pericolo di sanzioni civili e penali ogni qualvolta si
tratti di deliberare su operazioni infragruppo.
Di questa situazione prende atto la riforma del 2003, che per un verso legittima il perseguimento
dell’interesse di gruppo, per altro verso introduce specifici strumenti di tutela a favore degli
azionisti di minoranza e dei creditori delle società controllate destinati a fungere da limiti
all’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento da parte della capogruppo.
Al riguardo innanzitutto è previsto che le decisioni delle società controllate ispirate da un interesse
di gruppo devono essere adeguatamente motivate, onde consentire una valutazione egli eventuali
danni che le stesse arrecano alla società sottoposta all’altrui attività di direzione.
L’art 2497-ter stabilisce infatti che “le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e
coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e recare
puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione”.
Una specifica disciplina è poi dettata per i finanziamenti concessi alle società controllate dalla
capogruppo o da altri soggetti alla stessa sottoposti al fine di evitare che un eccessivo
indebitamento danneggi gli altri creditori sociali. Trova applicazione infatti la disciplina dettata per
i finanziamenti dei soci nella società a responsabilità limitata. Il rimborso di tali finanziamenti è
perciò postergato rispetto al soddisfacimento degli altri creditori nei limiti e con gli effetti previsti
dagli art 2467 cc e 182-quater 1.fall.

183
Infine e soprattutto, la società capogruppo è tenuta ad indennizzare direttamente azionisti e
creditori delle società controllate per i danni dagli stessi subiti per il fatto che la propria società si è
supinamente attenuta alle direttive di gruppo lesive del proprio patrimonio.
Ferma restando l’azione di risarcimento danni spettante alla stessa società controllata, è infatti
stabilito che “le società o gli enti” che violano i principi di corretta gestione societaria e
imprenditoriale delle società soggette alla loro attività di direzione e coordinamento, “sono
direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività
e al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione
cagionata all’integrità del patrimonio sociale”.
Con successiva norma di interpretazione autentica è stato precisato che gli “enti” soggetti a tale
speciale forma di responsabilità sono i “soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che
detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale o per finalità
di natura economica o finanziaria”.
Rispondono inoltre, in solido con la capogruppo: sia coloro che abbiano comunque preso parte al
fatto lesivo (es: amministratori o dirigenti della capogruppo) sia coloro che ne abbiano
consapevolmente tratto beneficio (es: altre società del gruppo) nei limiti del vantaggio conseguito.
In caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria della
società danneggiata, l’azione spettante ai creditori è esercitata dal curatore o dal commissario.
L’azione esercitata dai soci e dai creditori sociali è azione diretta e non surrogatoria di quella che
eventualmente spetta alla società controllata, sicchè il risarcimento dei danni spetta direttamente
ai primi e non alla seconda. Tuttavia, poiché il danno subito dai soci o dai creditori della società
controllata è pur sempre un riflesso del danno subito da quest’ultima, l’azione di risarcimento
danni nei confronti della capogruppo è esperibile solo se essi non sono stati soddisfatti dalla
società controllata.
Infine, si prevede che il danno va valutato considerando il risultato complessivo dell’attività di
direzione e coordinamento, e quindi i vantaggi compensativi che possono derivare
dall’appartenenza ad un gruppo; nonché il fatto che il danno può essere stato integralmente
eliminato anche a seguito di specifiche operazioni a tal fine dirette.
Un’ulteriore significativa novità della riforma del 2003 è il riconoscimento del diritto di recesso ai
soci di una società soggetta ad attività di direzione e di coordinamento in presenza di eventi
riguardanti la società capogruppo, ma che di riflesso determinano un mutamento delle originarie
condizioni di rischio dell’investimento nelle controllate.
Il diritto di recesso è infatti riconosciuto ai soci di una società non quotata che entra a far parte di
un gruppo o ne esce, se “ne deriva un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento e
non venga promossa un’offerta pubblica di acquisto” che consenta al socio di alienare la propria
partecipazione.
È inoltre riconosciuto quando la capogruppo delibera una trasformazione che comporta il
mutamento del suo scopo sociale (es: trasformazione da società ad associazione) o in un
cambiamento dell’oggetto sociale, tale da alterare in modo sensibile e diretto le condizioni
economiche e patrimoniali della società controllata.
184
È infine riconosciuto quando il socio della controllata abbia esercitato nei confronti della
capogruppo l’azione di responsabilità prevista dall’art 2497 ed abbia ottenuto una sentenza di
condanna esecutiva. In tal caso il diritto di recesso può essere esercitato solo per l’intera
partecipazione.

Il gruppo insolvente
Manca ancora oggi una compiuta disciplina del gruppo insolvente e nessuna disposizione specifica
è dettata in caso di fallimento di una società facente parte di un gruppo.
Un sia pur limitato trattamento unitario del gruppo insolvente o in crisi è previsto tuttavia per:
a. L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi
b. La liquidazione coatta amministrativa delle società fiduciarie e di revisione
c. La crisi dei gruppi bancari
Al riguardo l’attuale disciplina dell’amministrazione straordinaria prevede che, dichiarata
insolvente e sottoposta ad amministrazione straordinaria un’impresa facente parte di un gruppo,
alla stessa procedura sono sottoposte tutte le imprese facenti parte dello stesso gruppo che si
trovano in stato di insolvenza. E ciò anche quando per quest’ultime imprese non ricorrano gli
specifici requisiti richiesti per l’ammissione all’amministrazione straordinaria, purchè le stesse
presentino concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico o comunque risulti
opportuna la gestione unitaria dell’insolvenza nell’ambito del gruppo. E inoltre quand’anche sia
stato già dichiarato il loro fallimento che pertanto è convertito in amministrazione straordinaria
purchè non sia già esaurita la liquidazione dell’attivo.
Il principio di uniformità delle procedure è stabilito anche per i gruppi caratterizzati dalla presenza
di società fiduciarie o di revisione, nonché per i gruppi bancari, ma per il solo caso in cui la
capogruppo sia sottoposta alle speciali procedure di amministrazione straordinaria o di
liquidazione coatta previste per le banche. In tal caso anche le altre società del gruppo bancario
sono sottoposte alla stessa procedura, con esclusione dell’amministrazione giudiziaria e del
fallimento.
Qualora la crisi invece riguardi un’impresa diversa dalla capogruppo, le altre imprese del gruppo
restano assoggettate alle procedure previste dalle norme di legge ad esse applicabili.
L’omogeneità delle procedure così realizzata non incide però sulla reciproca autonomia
patrimoniale delle società del gruppo, quand’anche ricorra lo stato di insolvenza. È infatti pur
sempre necessario un distinto accertamento dello stato di insolvenza delle singole società del
gruppo, condotto con esclusivo riferimento alla propria situazione patrimoniale. Inoltre,
l’uniformità delle procedure comporta identità degli organi e della gestione delle imprese
insolventi, ma non comporta alcuna confusione dei patrimoni, dato che resta ferma la piena
autonomia delle masse attive e passive delle singole società insolventi.
Ciascuna società insolvente risponde perciò solo delle proprie obbligazioni e non vi è
responsabilità della capogruppo nei confronti dei creditori delle società figlie.
185
Sono però previste specifiche norme volte ad assicurare la reintegrazione del patrimonio delle
società figlie e a consentire il ristoro dei danni dalle stese eventualmente subiti per effetto della
politica unitaria di gruppo.
Un primo intervento in tale direzione è costituito dall’allungamento dei termini per l’esercizio delle
azioni revocatorie fallimentari nei confronti degli atti posti in essere con altre imprese del gruppo,
anche non insolventi. Il termine fissato dalla legge fallimentare di un anno anteriore ala
dichiarazione dello stato di insolvenza è portato a 5 anni; quello di 6 mesi è portato a 3 anni.
Ulteriori specifici interventi nella stessa direzione sono previsti dalla disciplina
dell’amministrazione straordinaria e dalla legge 430/1996 per le società fiduciarie, ma non dalla
disciplina del gruppo bancario insolvente.
È infatti stabilito che il commissario giudiziale, il commissario straordinario e il curatore di
un’impresa del gruppo dichiarata insolvente possono proporre la denuncia al tribunale per gravi
irregolarità nei confronti di amministratori e sindaci di altre società del gruppo non assoggettate
alla procedura. E qualora le gravi irregolarità siano accertate, il commissario o il curatore
denunciante può essere nominato amministratore giudiziario della società.
Infine e soprattutto, può trovare applicazione generale la regola enunciata con riferimento
all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi la quale dispone che in caso di
direzione unitaria del gruppo, “gli amministratori delle società che hanno abusato di tale direzione
rispondono in solido con gli amministratori della società dichiarata insolvente dei danni da questa
cagionati alla società stessa”.
Gli amministratori delle società dominanti sono perciò coinvolti nella responsabilità degli
amministratori delle società dominate, per i danni da quest’ultimi cagionati alla propria società per
il fatto di aver supinamente dato attuazione alle direttive di gruppo.
Responsabilità che si cumula oggi con quella prevista dall’art 2497 a carico della stessa
capogruppo nei confronti di creditori e soci della controllata per abusi nell’attività di direzione e
coordinamento.

Le lettere di patronage
L’autonomia patrimoniale delle società di gruppo comporta che una società capogruppo non può
essere chiamata a rispondere dei debiti contratti dalle controllate. Se non ricorrono gli estremi
dell’abuso di attività di direzione e coordinamento, i creditori di quest’ultime potranno pertanto
agire nei confronti della prima solo e dispongono di uno specifico titolo giuridico.
Tra le possibili fonti di responsabilità della capogruppo vanno ricomprese le lettere di patronage.
Sono dichiarazioni della capogruppo, normalmente rilasciate a banche per favorire il
finanziamento delle società controllate, diffusesi soprattutto nella prassi dei gruppi internazionali
in sostituzione delle tradizionali garanzie personali (fideiussioni o firme cambiarie).
Il contenuto delle dichiarazioni contenute nelle lettere di patronage non è omogeneo. Talvolta la
capogruppo si limita ad attestare l’esistenza di una partecipazione di controllo con l’impegno di

186
comunicarne l’eventuale dismissione, nonché a formulare dichiarazioni generiche in merito alla
solvibilità del gruppo (lettere deboli).
Altre volte però le lettere di patronage contengono dichiarazioni più impegnative: ad esempio la
capogruppo afferma che eserciterà tutta la sua influenza afinchè la controllata faccia onore alle
proprie obbligazioni ed eventualmente si impegna anche a fornire alla stessa i mezzi finanziari
necessari (lettere forti).
Il valore giuridico di tali lettere ovviamente varia a seconda di quanto è nelle stesse scritto, pur
dovendosi escludere in genere che esse diano vita a vere e proprie obbligazioni fideiussorie della
capogruppo. È tuttavia opinione pacifica che le lettere di patronage forti sono fonte di
responsabilità in caso di inadempimento della controllata.
È controverso invece se siano fonte di responsabilità per la capogruppo le lettere deboli.

CAPITOLO 8
L’ASSEMBLEA
Gli organi della s.p.a.
La società per azioni si caratterizza per la necessaria presenza di 3 distinti organi:
1. L’assemblea dei soci, organo con funzioni esclusivamente deliberative, le cui funzioni sono
per legge circoscritte alle decisioni di maggior rilievo della vita sociale.
2. L’organo amministrativo, cui è devoluta la gestione dell’impresa sociale e che nello
svolgimento di tale funzione ha per legge ampi poteri decisionali. Gli amministratori hanno
inoltre la rappresentanza legale della società e ad essi spetta il compito di dare attuazione
alle deliberazioni dell’assemblea
3. L’organo di controllo interno, con funzioni di controllo sull’amministrazione della società.
Per quanto riguarda l’amministrazione ed il controllo, il codice civile del 1942 prevedeva un unico
sistema (sistema tradizionale) basato sulla presenza di due organi entrambi di nomina
assembleare:
- L’organo amministrativo
- Il collegio sindacale, che inizialmente svolgeva anche funzioni di controllo contabile. Con la
riforma del 2003 la revisione legale dei conti è stata però sottratta al collegio sindacale ed
affidata ad un organo di controllo esterno alla società: revisore legale o società di revisione.
Tale sistema trova tuttora applicazione in mancanza di diversa previsione statutaria.

187
La riforma del 2003 ha tuttavia affiancato al sistema tradizionale di amministrazione e di controllo,
altri due sistemi alternativi tra i quali la società può scegliere:
a. Il sistema dualistico, di ispirazione tedesca. Con tale sistema l’amministrazione ed il
controllo sono esercitati da un consiglio di sorveglianza di nomina assembleare e da un
consiglio di gestione, nominato direttamente dal consiglio di sorveglianza. Il consiglio di
sorveglianza è inoltre investito anche di ulteriori competenze che nel sistema tradizionale
sono proprie dell’assemblea (es: approva il bilancio).
b. Il sistema monistico, di ispirazione anglosassone. Con tale sistema l’amministrazione ed il
controllo sono esercitati rispettivamente dal consiglio di amministrazione, nominato
dall’assemblea, e da un comitato per il controllo sulla gestione costituito al suo interno ed i
cui componenti devono essere dotati di particolari requisiti di indipendenza e
professionalità.
Anche per le società che adottano il sistema dualistico o monistico è poi previsto il controllo
contabile esterno.
I componenti dell’organo di amministrazione e di controllo interno sono responsabili, sia
civilmente sia penalmente, della legalità dell’attività sociale ed in particolare del rispetto da parte
della stessa assemblea delle norme poste a salvaguardia dell’integrità del patrimonio sociale, sola
garanzia dei creditori.
I modelli legislativi prefigurati dal legislatore inoltre privilegiano le esigenze di efficienza produttiva
dell’impresa per gli ampi poteri gestori riconosciuti agli amministratori: essi infatti possono
compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale.
L’assetto organizzativo della società per azioni, in quanto finalizzato alla tutela di interessi ed
esigenze che trascendono da quelli dei soci, ha carattere tendenzialmente rigido nell’ambito di
ciascun sistema di amministrazione e controllo. Tutti gli organi sono necessari e le funzioni loro
attribuite per legge sono in larga parte inderogabili e non modificabili dall’autonomia statutaria.
All’opposto è possibile un’ulteriore concentrazione di poteri deliberativi in seno all’organo
amministrativo; ampio spazio è poi riconosciuto all’autonomia privata per quanto riguarda la
struttura dell’organo amministrativo e l’articolazione delle funzioni in seno allo stesso. (per
esempio possono esservi amministratori delegati o pluralità di amministratori, come nel caso del
comitato esecutivo).

L’assemblea: nozione e distinzioni


L’assemblea è l’organo composto dalle persone dei soci. La sua funzione è quella di formare la
volontà della società nelle materie riservate alla sua competenza dalla legge o dallo Statuto.
L’assemblea è organo collegiale che decide secondo il principio maggioritario. La volontà espressa
dai soci riuniti in assemblea (maggioranza di capitale) vale come volontà della società e vincola
tutti i soci, anche gli assenti e dissenzienti.
A seconda dell’oggetto delle deliberazioni, l’assemblea si distingue in ordinaria e straordinaria.

188
In seguito alla riforma del 2003, le competenze dell’assemblea ordinaria variano a seconda del
sistema di amministrazione e di controllo adottato.
Nelle società che adottano il sistema tradizionale o quello monistico, l’assemblea in sede
ordinaria:
1. Approva il bilancio
2. Nomina e revoca gli amministratori, i sindaci e il presidente del collegio sindacale (e
quando previsto, il soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti)
3. Determina il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito nello statuto
4. Delibera sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci
5. Delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell’assemblea, nonché
sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli
amministratori
6. Approva l’eventuale regolamento dei lavori assembleari
Più ristrette sono invece le competenze dell’assemblea ordinaria nelle società che optano per il
sistema dualistico.
Rientrano comunque nella competenza dell’assemblea ordinaria tutte le deliberazioni che non
sono di competenza dell’assemblea straordinaria.

L’assemblea in sede straordinaria a sua volta delibera:


1. Sulle modificazioni dello statuto
2. Sulla nomina, sostituzione e sui poteri dei liquidatori
3. Su ogni altra materia espressamente attribuita dalla legge alla sua competenza
L’attuale disciplina tuttavia amplia rispetto a quella previgente la possibilità che lo statuto
attribuisca alla competenza dell’organo amministrativo specifiche materie per legge riservate alla
competenza dell’assemblea straordinaria. Il trasferimento statutario di competenza è possibile
anche per: fusione tra società controllante e controllata, indicazione degli amministratori che
hanno la rappresentanza della società, istituzione e soppressione delle sedi secondarie
trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale, riduzione del capitale sociale in caso di
recesso del socio e adeguamento dello statuto a disposizioni normative.
Diversi sono i quorum costitutivi e deliberativi richiesti per l’assemblea ordinaria e straordinaria.
Per evitare che l’assenteismo degli azionisti impedisca di deliberare, è poi prevista una seconda
convocazione con quorum inferiori per entrambe le assemblee.
In tutte le società lo statuto può prevedere convocazioni successive qualora la seconda
convocazione vada deserta. Però nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio, la regola è
che l’assemblea si tiene in unica convocazione alla quale si applicano direttamente quorum
ribassati, se lo statuto non prevede diversamente.

189
L’assemblea è unica e generale se la società ha emesso solo azioni ordinarie. Quando invece sono
emesse diverse categorie di azioni o strumenti finanziari che conferiscono diritti amministrativi,
all’assemblea generale si affiancano le assemblee speciali di categoria.
Alle assemblee speciali si applicano le norme dettate per l’assemblea straordinaria, se le azioni
speciali non sono quotate. Se invece sono quotate si applica la disciplina dell’assemblea degli
azionisti di risparmio.

Il procedimento assembleare
La convocazione dell’assemblea è di regola decisa dall’organo amministrativo, il quale può disporla
ogni qualvolta lo ritenga opportuno. In particolare, quando l’organo amministrativo è un consiglio
di amministrazione, la convocazione deve essere disposta con delibera consiliare.
La convocazione dell’assemblea da parte degli amministratori è tuttavia obbligatoria in una serie di
casi:
a. Almeno una volta all’anno entro il termine stabilito dallo statuto, che comunque non può
essere superiore a 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio per consentire l’approvazione del
bilancio. Lo statuto può stabilire un termine maggiore, non superiore comunque a 180gg,
nel caso di società tenute alla redazione del bilancio consolidato o quando lo richiedono
particolari esigenze.
b. Gli amministratori devono convocare senza ritardo l’assemblea quando ne sia fatta
richiesta da tanti soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale (il
ventesimo nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio), o la minor percentuale
prevista dallo statuto e nella domanda siano indicati gli argomenti da trattare.
Se gli amministratori o in loro vece i sindaci non provvedono, la convocazione
dell’assemblea è ordinata con decreto dal tribunale, il quale designa anche la persona che
deve presiederla. In base all’attuale disciplina però il tribunale deve preventivamente
sentire l’organo amministrativo e di controllo e convocherà l’assemblea solo se il rifiuto
degli stessi risulta ingiustificato.

Nelle società quotate i soci che rappresentano almeno un quarantesimo del capitale, hanno
inoltre il diritto di chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno di un’assemblea già convocata, o
presentare proposte di deliberazione su materie già all’ordine del giorno, con domanda scritta da
presentare entro 10gg dalla pubblicazione dell’avviso di convocazione.
Né la convocazione né l’integrazione dell’ordine del giorno su richiesta della minoranza sono però
ammesse per gli argomenti sui quali l’assemblea deve deliberare su proposta degli amministratori.
La convocazione dell’assemblea deve essere poi disposta dal collegio sindacale:
a. Ogni qualvolta la convocazione sia obbligatoria e gli amministratori non vi avviano
provveduto
b. Quando vengono a mancare tutti gli amministratori o l’amministratore unico

190
c. In base all’attuale disciplina il collegio sindacale può inoltre convocare l’assemblea qualora
nell’espletamento del suo incarico ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia
necessità di provvedere
Nelle società quotate il potere di convocare l’assemblea può essere esercitato anche solo da uno
dei due membri effettivi del collegio sindacale.
L’assemblea è convocata nel comune dove ha sede la società se lo statuto non dispone
diversamente. È quindi necessaria un’espressa previsione statuaria affinchè sia valida la
convocazione disposta in luogo diverso dal comune in cui la società ha la propria sede legale.
Le formalità per la convocazione sono oggi differenziate a seconda che la società faccia o no
ricorso al mercato del capitale di rischio.

Nelle società non quotate, la convocazione è disposta mediante avviso da pubblicare nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica, almeno 15 giorni prima di quello fissato per l’adunanza.
Oppure, l’avviso può essere comunicato ai soci almeno 8 giorni prima con mezzi che garantiscano
la prova dell’avvenuto ricevimento.
Nelle società quotate invece, l’avviso di convocazione deve essere pubblicato almeno 30 giorni
prima della data dell’assemblea sul sito internet della società, nonché con le altre forme ed entro i
termini determinati dalla Consob. Nelle stesse forme viene anche pubblicata l’integrazione
dell’ordine del giorno su richiesta della minoranza, che deve avvenire almeno 15gg prima di quello
fissato per l’assemblea.
L’avviso deve contenere l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo dell’adunanza, nonché
l’elenco delle materie da trattare. Nelle società quotate deve inoltre contenere anche le ulteriori
indicazioni fissate dall’art 125-bis co.4 tuf.
Nello stesso avviso può essere stabilito il giorno della seconda convocazione, che però non può
avere luogo nello stesso giorno fissato per la prima. In mancanza, l’assemblea deve essere
riconvocata entro 30 giorni dalla data della prima, con distinto avviso contenente il medesimo
ordine del giorno, ma il termine di pubblicazione è ridotto ad 8 giorni.
L’ordine del giorno delimita la competenza di quell’assemblea nelle diverse convocazioni ed
impedisce che si possa deliberare su argomenti ulteriori e diversi. Sono tuttavia consentite le
delibere strettamente consequenziali ed accessorie rispetto all’ordine del giorno. (es: se all’ordine
del giorno è la revoca degli amministratori, l’assemblea può deliberare anche sulla nomina dei
nuovi.)
La convocazione preventiva serve per rendere noto a tutti i legittimati ad intervenire che una
riunione si terrà e permette inoltre di conoscere gli argomenti su cui si dovrà deliberare. Perciò,
pur in assenza di convocazione l’assemblea è regolarmente costituita quando è rappresentato
l’intero capitale sociale e partecipa all’assemblea la maggioranza dei componenti degli organi
amministrativi e di controllo. Agli assenti dev’essere tuttavia data tempestiva comunicazione delle
deliberazioni assunte.

191
Questa è l’assemblea totalitaria. Essa può deliberare su qualsiasi argomento, ma la sua
competenza è instabile e precaria. Infatti, ciascuno degli intervenuti può opporsi alla discussione
degli argomenti sui quali non si ritenga sufficientemente informato, impedendo che si arrivi a
deliberare su quel punto.

Costituzione dell’assemblea; validità delle deliberazioni.


Le deliberazioni per essere approvate devono conseguire il voto favorevole della maggioranza dei
soci prevista dalla legge o dallo statuto e le delibere approvate dalla maggioranza vincolano tutti i
soci.
La disciplina delle maggioranze (quorum) assembleari è un complesso sistema di regole che cerca
di bilanciare due obiettivi di fondo: agevolare la capacità decisionale dell’assemblea da una parte,
tutelare la minoranza dall’altra.
Tali contrapposte esigenze si atteggiano in modo diverso a seconda dell’oggetto della delibera: di
qui la distinzione tra assemblee ordinarie e straordinarie, con maggioranze rafforzate per
quest’ultime.
Per contrastare l’assenteismo è prevista la convocazione di successive assemblee con quorum più
bassi; tuttavia per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio si è recentemente
stabilito che, se lo statuto non prevede diversamente, l’assemblea si tenga in un’unica
convocazione a cui si applicano direttamente le maggioranze più basse.
In base all’attuale disciplina quindi, le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio sono regolate da un sistema a pluralità di convocazioni. Invece le assemblee delle società
che fanno ricorso al mercato del capitale si tengono in convocazione unica.
- Si definisce quorum costitutivo la parte del capitale sociale che dev’essere rappresentata
in assemblea perché questa sia regolarmente costituita e possa iniziare i lavori.
- Si definisce quorum deliberativo la parte del capitale sociale che si deve esprimere a
favore di una determinata deliberazione perché questa sia approvata.
L’attuale disciplina espressamente stabilisce che nel computo del quorum costitutivo non si tiene
conto delle azioni istituzionalmente senza diritto di voto, mentre si tiene conto delle azioni per le
quali il voto sia occasionalmente sospeso. Per contro, quest’ultime e le azioni di chi abbia
dichiarato di astenersi dal voto per conflitto di interessi, non sono computate ai fini del calcolo del
quorum deliberativo.
Proprio per evitare lo sfruttamento di questo effetto da parte del gruppo di comando, per il
computo delle azioni proprie valgono tuttavia regole speciali, sebbene oggi circoscritte alle sole
società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Gli astenuti per ragioni diverse dal conflitto di interessi si calcolano nel quorum deliberativo,
contribuendo ad innalzarlo; pertanto la loro posizione ostacola l’approvazione della delibera.
È inoltre stabilito che, quando lo statuto della società accorda ai soci maggiorazioni del diritto di
voto, delle stesse si tiene conto anche ai fini della determinazione dei quorum che fanno

192
riferimento ad aliquote del capitale sociale. E la stessa regola va estesa anche all’emissione di
azioni a voto plurimo.

1) Assemblea ordinaria
L’assemblea ordinaria in prima convocazione è regolarmente costituita quando è rappresentata
almeno la metà del capitale sociale con diritto di voto nell’assemblea medesima. Il quorum
costitutivo è accertato all’inizio dell’assemblea. Essa delibera col voto favorevole della metà +1
(maggioranza assoluta) delle azioni che hanno preso parte alla votazione per quella determinata
delibera
Nessun quorum costitutivo è richiesto per l’assemblea ordinaria di seconda convocazione, che può
validamente deliberare qualunque sia la parte del capitale rappresentato in assemblea. E le
delibere sono approvate se riportano il voto favorevole della maggioranza delle azioni che hanno
preso parte alla votazione.
2) Assemblea straordinaria
Essa è diversa a seconda che la società faccia o meno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Società che non fanno ricorso: non è espressamente previsto un quorum costitutivo, anche se lo
stesso risulta indirettamente dal fatto che il quorum deliberativo è rappresentato da aliquote
dell’intero capitale sociale con diritto di voto, e non del solo capitale intervenuto in assemblea.
Infatti, in prima convocazione l’assemblea straordinaria delibera col voto favorevole di tanti soci
che rappresentano più della metà del capitale sociale.
Per la seconda convocazione la riforma del 2003 ha introdotto una differenziazione tra quorum
costitutivo e quorum deliberativo. L’assemblea straordinaria di 2° convocazione è infatti
regolarmente costituita con la partecipazione di oltre 1/3 del capitale sociale e delibera con il voto
favorevole di almeno 2/3 del capitale rappresentato in assemblea.
Società che fanno ricorso al capitale di rischio: è prevista una distinzione tra q. costitutivo e q.
deliberativo.
Se la società adotta il sistema a pluralità di convocazioni, il quorum costitutivo minimo è almeno la
metà del capitale sociale in prima convocazione e più di 1/3 in seconda convocazione.
Per quanto riguarda i quorum deliberativi è invece stabilito (prima novità) che l’assemblea
straordinaria delibera sia in prima che in seconda convocazione con il voto favorevole di almeno
2/3 del capitale rappresentato in assemblea.
L’ulteriore novità è che sono state soppresse le maggioranze rafforzate in precedenza richieste per
le delibere di particolare importanza.

Lo statuto può modificare solo in aumento le maggioranze previste per l’assemblea ordinaria di
prima convocazione e quelle dell’assemblea straordinaria, nonché stabilire norme speciali per la
nomina alle cariche sociali. L’attuale disciplina consente che lo statuto preveda maggioranze più
193
elevate anche per l’assemblea ordinaria di seconda convocazione, tranne per l’approvazione del
bilancio e per la nomina/revoca di cariche sociali.
Si tende però ad escludere che siano valide le clausole statutarie che prevedono il consenso
unanime o maggioranze molto elevate.
Inoltre è consentito che lo statuto preveda convocazioni ulteriori (3°,4°,…) sia dell’assemblea
ordinaria che straordinaria. A queste si applicano le disposizioni della seconda convocazione.
Tuttavia, nelle società che fanno ricorso al m. del c. di rischio nelle convocazioni in assemblea
straordinaria successive alla 2° il quorum costitutivo è ridotto ad almeno 1/5 del capitale sociale.
In ogni caso nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, se lo statuto non
dispone diversamente l’attuale disciplina stabilisce che le assemblee di queste società si tengono
in un’unica convocazione alla quale si applicano direttamente le maggioranze più basse previste
dal sistema con più convocazioni: cioè le maggioranze richieste per l’assemblea ordinaria di 2°
convocazione e la per quella straordinaria nelle convocazioni successive alla 2°.

Svolgimento dell’assemblea. Verbalizzazione.


L’assemblea è presieduta dalla persona indicata nello statuto o da quella eletta con il voto della
maggioranza dei presenti. Il presidente è assistito da un segretario designato nello stesso modo.
L’assistenza del segretario non è tuttavia necessaria quando il verbale dell’assemblea è redatto da
un notaio.
La funzione del presidente è quella di dirigere il lavoro dell’assemblea, assicurando che la stessa si
svolga in modo ordinato e nel rispetto delle norme che ne regolano l’attività, nonché
dell’eventuale regolamento di assemblea destinato a disciplinarne lo svolgimento contenuto nello
statuto o elaborato dall’assemblea stessa.
È fuori dubbio che il presidente dell’assemblea ha ampi poteri ordinatori e decisori sullo
svolgimento dei lavori assembleari, direttamente attribuiti dalla legge alla sua competenza. Egli
dichiara aperta e chiusa la seduta, pone in discussione gli argomenti all’ordine del giorno, regola gli
interventi e modera il dibattito, mette in votazione le diverse proposte e proclama i risultati.
Può anche impedire la partecipazione alla riunione di soggetti non legittimati, benchè il punto sia
tuttora controverso.
Inoltre, l’assemblea non può sovrapporsi al presidente: non potrà ad esempio imporre al
presidente di ammettere azionisti che non abbiano adempiuto l’obbligo di dichiarazione dei patti
parasociali in apertura di seduta.
Potrà tuttavia revocare per giusta causa il presidente che esercita le proprie funzioni in modo
arbitrario o in conflitto di interessi.
Al presidente dell’assemblea dev’essere riconosciuto anche il potere di assumere decisioni su
aspetti dell’attività dell’assemblea non regolati dalla legge, dallo statuto o dal regolamento
assembleare e perciò rimessi alla discrezionalità dell’assemblea stessa. Sono poteri derivati, in
quanto sono decisioni adottate dal presidente come interprete della volontà dell’assemblea.

194
Estremamente scarna è poi la disciplina legale dello svolgimento dell’assemblea: manca qualsiasi
norma che disciplini il dibattito assembleare; non vi è dubbio tuttavia che ogni votante abbia
diritto di prendere parte alla discussione per cercare di orientare la decisione degli altri soci.
È altrettanto indubbio però che l’esercizio di tale diritto non può sfociare in atteggiamenti
ostruzionistici che turbino l’ordinato svolgimento dell’assemblea.
Ai soci intervenuti che raggiungono il terzo del capitale sociale rappresentato in assemblea, è poi
riconosciuto il diritto di chiedere il rinvio dell’adunanza di non oltre 5gg, dichiarando di non essere
sufficientemente informati sugli argomenti posti in discussione. Per evitare comportamenti
ostruzionistici, il diritto di rinvio può essere esercitato una sola volta dallo stesso soggetto.
Gli azionisti possono certamente porre domande sulle materie dell’ordine del giorno durante e
anche prima dell’assemblea. Ma gli amministratori si possono ritenere tenuti a fornire
informazioni ulteriori rispetto a quelle dovute per legge all’assemblea, solo nei limiti in cui ciò sia
necessario per consentire agli azionisti l’esercizio consapevole del voto.
Alla Consob sono riconosciuti, nell’ambito della più ampia funzione di informazione del mercato,
anche poteri regolamentari e di controllo sull’informazione assembleare preventiva. Nelle società
quotate, tutti i documenti da sottoporre all’assemblea devono essere pubblicati anche sul sito
internet della società in modo che chiunque possa agevolmente prenderne visione. Quando
l’assemblea è convocata su richiesta della minoranza, la relazione è predisposta dagli stessi soci e
così pure in caso di integrazione dell’ordine del giorno su richiesta della minoranza.
Nulla è stabilito per quanto riguarda i sistemi di votazione consentiti nelle assemblee sociali. Il
modo in cui procedere alla votazione può essere quindi liberamente stabilito di volta in volta. In
linea di principio tuttavia non è ammissibile la votazione a scrutinio segreto, in quanto la
manifestazione palese del voto è necessaria per identificare i soci in conflitto di interessi, nonché
quelli dissenzienti ai fini della legittimazione dell’impugnativa delle delibere assembleari.
Le delibere assembleari devono constare da verbale, sottoscritto dal presidente e dal segretario o
dal notaio. Se si tratta di assemblea straordinaria il verbale dev’essere redatto dal notaio. I verbali
devono essere trascritti nell’apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea,
tenuto a cura degli amministratori.
Il verbale deve indicare la data dell’assemblea e l’identità dei partecipanti con il capitale
rappresentato da ciascuno. Deve altresì indicare le modalità ed il risultato delle votazioni e deve
consentire l’identificazione dei soci favorevoli, astenuti o dissenzienti.
Il verbale dev’essere redatto senza ritardo, nei tempi necessari per la tempestiva esecuzione degli
obblighi di deposito o di pubblicazione.
Il diritto di intervento. Il diritto di voto.
Possono intervenire in assemblea coloro ai quali spetta il diritto di voto. Il diritto di intervento va
riconosciuto anche agli azionisti con diritto di voto sospeso. Costoro potranno col loro intervento
agevolare la costituzione dell’assemblea, qualora siano d’accordo con la maggioranza votante.
Il diritto di intervento non compete invece agli azionisti senza diritto di voto eccezion fatta per il
socio che ha dato le proprie azioni in pegno o usufrutto.
195
All’assemblea partecipano inoltre i componenti degli organi di amministrazione e di controllo ed i
rappresentanti comuni degli azionisti di risparmio, degli obbligazionisti e dei titolari di strumenti
finanziari di partecipazione ad uno specifico affare.
Nelle società non quotate, la condizione che legittima l’intervento in assemblea, ossia la titolarità
del diritto di voto, deve sussistere nel giorno stesso dell’adunanza. Tale circostanza va dimostrata
mediante l’esibizione all’ingresso del certificato azionario o da una comunicazione
dell’intermediario che tiene i conti (per le azioni dematerializzate)
Per evitare manovre speculative e cambi di maggioranza a sorpresa lo statuto può introdurre
misure volte ad impedire l’alienazione delle azioni in prossimità dell’assemblea: può in particolare
imporre il deposito delle azioni presso la sede della società o presso le banche indicate nell’avviso
di convocazione entro un termine prefissato, con divieto di ritiro dei titoli prima che l’assemblea
abbia avuto luogo. Qualora le azioni siano diffuse tra il pubblico in maniera rilevante, il termine
però non può essere superiore a 2gg non festivi.
Tali condizioni sono ancora più avvertite nelle società quotate, dato l’elevato n. di soci e la facilità
di negoziazione dei titoli. Tuttavia è altrettanto sentito l’interesse degli investitori a poter
continuare ad operare sulle azioni prima e durante l’assemblea.
La necessità di contemperare tali contrapposti interessi è alla base della riforma del 2010: è
stabilito il principio che nelle società con azioni negoziate sui mercati di strumenti finanziari, la
legittimazione ad intervenire in assemblea si determina immodificabilmente con riferimento alla
situazione esistente il 7° giorno feriale precedente l’adunanza. Più precisamente, gli intermediari
che tengono i conti devono comunicare alla società chi risulta titolare del diritto di voto “al
termine della giornata contabile del 7° giorni di mercato aperto precedente la data fissata per
l’assemblea”. Nel contempo le azioni restano inalienabili anche dopo la data assunta come
riferimento per le certificazioni e lo statuto non può contenere clausole volte ad impedirlo. È però
previsto che le registrazioni in accredito e in addebito compiute sui conti successivamente al
termine di riferimento non rilevano ai fini della legittimazione all’esercizio del diritto di voto in
assemblea. L’acquirente quindi, non consegue con la titolarità delle azioni anche il diritto di
partecipare e votare nell’assemblea; in suo luogo parteciperà e voterà chi risultava titolare del d.
di voto alla data di riferimento, anche se socio non è più.
Lo statuto può permettere poi l’intervento in assemblea mediante mezzi di comunicazione o
l’espressione del voto per corrispondenza o in via elettronica.

La rappresentanza in assemblea
Gli azionisti possono partecipare all’assemblea sia personalmente sia a mezzo di rappresentante.
L’istituto della rappresentanza in assemblea consente la partecipazione indiretta dei piccoli
azionisti alla vita della società e agevola il raggiungimento delle maggioranze assembleari nelle
società con diffuso assenteismo dei soci. Però nel contempo è istituto che può prestarsi ad abusi.
Proprio per prevenire l’uso distorto delle deleghe il legislatore sceglie di introdurre alcune
limitazioni volte ad ostacolare la raccolta delle deleghe.

196
Coloro ai quali spetta il diritto di voto possono farsi rappresentare in assemblea. Nelle società che
non fanno ricorso al mercato del c. di rischio però lo statuto può escludere o limitare tale facoltà.
La delega dev’essere conferita per iscritto e i relativi documenti devono essere conservati dalla
società al fine di consentire il successivo controllo della regolare costituzione dell’assemblea.
La delega non può essere rilasciata col nome del rappresentante in bianco; questi a sua volta può
farsi sostituire da altri solo se la delega lo prevede. Inoltre, nelle società non quotate la delega
deve indicare espressamente anche la persona del sostituto. Se la rappresentanza è conferita a
società o enti, questi possono delegare solo un proprio dipendente o collaboratore. La delega è
sempre revocabile.
Altre e più intense limitazioni valgono poi solo per le società non quotate.
In queste, la rappresentanza non può essere conferita ad una serie di oggetti, espressione del
gruppo di comando della società o sotto l’influenza diretta o indiretta dello stesso. E cioè: membri
degli organi amministrativi e di controllo e dipendenti della società; società da essa controllate e
membri degli organi amministrativi o di controllo dipendenti di quest’ultime. A questo elenco sono
poi da aggiungere le società di revisione cui sia stato conferito il relativo incarico e il responsabile
della revisione.
La rappresentanza però può essere conferita alle banche, essendo caduto nel ’98 il relativo divieto.
Sempre nelle s. non quotate vigono poi limitazioni sul numero dei soci che la stessa persona può
rappresentare in assemblea: non più di 20 soci nelle società che non fanno ricorso al mercato del
c. di rischio. Nelle società che vi fanno ricorso il limite cresce in funzione del valore del capitale
sociale.
I divieti soggettivi e le limitazioni al n. di soci valgono anche nel caso di girata delle azioni per
procura.
Con la riforma del 2003 è stata invece circoscritta alle società che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio la regola secondo cui la rappresentanza può essere conferita solo per singole
assemblee, sia pure con effetto anche per le convocazioni successive.
Per quanto riguarda le società con azioni quotate, la disciplina del tuf ha introdotto una serie di
misure volte ad agevolare l’esercizio per delega del diritto di voto:
1. È stato previsto il conferimento della delega anche per via elettronica
2. Se lo statuto non dispone diversamente, la società è tenuta a designare per ciascuna
assemblea un soggetto al quale gli azionisti possono conferire senza spese una delega con
istruzioni di voto su tutte o alcune proposte all’ordine del giorno. Si offre così, ai soci che
non vogliono o non possono incaricare un rappresentante di fiducia, l’alternativa di
avvalersi gratuitamente di un rappresentante “istituzionale” indicato dalla società.
3. Sono stati soppressi i limiti quantitativi al cumulo delle deleghe da parte del medesimo
rappresentante e sono caduti anche i divieti soggettivi visti per le società non quotate.
Nel contempo tuttavia per le s. quotate è affermato il principio che il rappresentante deve
comunicare per iscritto al socio le circostanze da cui deriva una sua condizione di conflitto di

197
interessi e in questo caso la procura dovrà contenere specifiche istruzioni di voto da parte del
socio per ciascuna delibera per cui è stata conferita la rappresentanza.
Nelle società quotate perciò, invece dei divieti soggettivi di rappresentanza, vige il principio di
trasparenza delle situazioni di conflitto di interessi del rappresentante per consentire il
conferimento consapevole della delega da parte del socio.
La disciplina delle s. quotate contempla infine due istituti volti ad agevolare la raccolta delle
deleghe: la sollecitazione e la raccolta delle deleghe.
La sollecitazione è la richiesta di conferimento di deleghe di voto rivolta da uno o più soggetti a più
di 200 azionisti su specifiche proposte di voto o accompagnata da raccomandazioni, dichiarazioni o
altre indicazioni idonee a influenzarne il voto.
Il promotore effettua la sollecitazione mediante la diffusione di un prospetto e di un modulo di
delega, il cui contenuto è determinato dalla Consob stessa con proprio regolamento. In ogni caso
le informazioni contenute nel prospetto o nel modulo di delega devono essere idonee a consentire
all’azionista di assumere una decisione consapevole. Il promotore è responsabile dell’idoneità e
della completezza delle informazioni rese.
La Consob stabilisce con regolamento regole di trasparenza e di correttezza per lo svolgimento
della sollecitazione.
La delega può essere conferita solo per singole assemblee già convocate; non può essere rilasciata
in bianco: deve indicare nome del delegato, le istruzioni di voto, la data e la sottoscrizione de
delegante. Inoltre la delega può essere conferita anche solo per alcune delle proposte di voto
indicate nel modulo di delega o solo per alcune materie all’ordine del giorno
Le azioni per le quali è conferita una delega parziale sono computate comunque ai fini della
regolare costituzione dell’assemblea; non sono invece computate ai fini del calcolo delle
maggioranze e delle quote di capitale richieste per l’approvazione delle delibere rispetto alle quali
il rappresentante non ha esercitato il voto.
Il voto per delega è esercitato dal promotore che può farsi sostituire solo da chi sia espressamente
indicato nel modulo di delega e nel prospetto di sollecitazione.
La violazione della disciplina espone a sanzioni amministrative pecuniarie ed è destinata a
riflettersi sulla validità delle delibere assembleari qualora comporti invalidità della delega.
Diversa dalla sollecitazione è la raccolta di deleghe, che è la richiesta di conferimento di deleghe di
voto effettuata dalle associazioni di azionisti nei confronti dei propri associati. La raccolta di
deleghe risponde allo scopo di agevolare l’esercizio indiretto del voto da parte di piccoli azionisti
già organizzati in associazione per la difesa di comuni interessi. L’associazione è esonerata dagli
oneri procedurali, dagli obblighi di informazione e dalle responsabilità che gravano sul promotore
di una sollecitazione.
Associazioni tra azionisti possono essere liberamente costituite; affinchè le stesse siano esonerate
dall’applicazione della disciplina della solleticazione, devono però rispondere a determinati
requisiti fissati per legge. In particolare l’associazione dev’essere composta da almeno 50 persone

198
fisiche, ciascuna delle quali deve essere proprietaria di un quantitativo di azioni non superiore allo
0.1% del capitale sociale rappresentato da azioni con diritto di voto.

Limiti all’esercizio del voto. Il conflitto di interessi.


Con l’esercizio del diritto di voto il socio concorre alla formazione della volontà sociale in
proporzione al numero di azioni possedute e la maggioranza esplica il potere di operare le scelte
discrezionali, necessarie o utili per l’attuazione del contratto sociale.
L’esercizio del diritto di voto è in via di principio rimesso all’apprezzamento discrezionale del socio,
il quale però deve esercitarlo in modo da non arrecare un danno patrimoniale alla società. Con
l’osservanza dello stesso limite, il gruppo di comando può liberamente determinare la volontà
della società ed è perciò precluso ogni sindacato dell’autorità giudiziaria sul merito delle
deliberazioni assembleari, cioè sulla convenienza e sull’opportunità delle decisioni della
maggioranza.
Le deliberazioni assembleari regolarmente adottate sono annullabili solo se la maggioranza si sia
ispirata esclusivamente ad interessi extrasociali, con danno per la società. Ne consegue che
l’interesse sociale funge solo da limite alla libertà di espressione del voto: la maggioranza non è
tenuta a conformare le sue decisioni ad un interesse sociale oggettivamente ed astrattamente
predeterminato.
Versa in conflitto di interessi chi in una determinata delibera ha, per conto proprio o altrui, un
interesse personale contrastante con l’interesse della società. Ad esempio: l’assemblea è chiamata
a deliberare sull’acquisto di un immobile di proprietà del socio, o sul compenso al socio
amministratore.
In presenza di tale situazione al socio non è più fatto divieto di votare come prevedeva la
precedente disciplina. In base al testo attuale dell’art 2373, il socio è libero di votare o di astenersi,
ma se vota, la delibera approvata con il suo voto determinante è impugnabile qualora possa
arrecare danno alla società.
La deliberà adottata col voto di un soggetto in conflitto di interessi non è senz’altro annullabile. A
tal fine è necessario che ricorrano due presupposti:
a. Che il suo voto sia stato determinante (prova di resistenza)
b. Che la delibera possa danneggiare la società (danno potenziale)
In particolare, se non ricorre quest’ultima condizione, la delibera resta inattaccabile anche se
approvata col voto determinante di chi versa in conflitto di interessi.
Due ipotesi di conflitto di interessi sono poi previste dall’art 2373 co.2, che:
1. Vieta ai soci amministratori di votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità
2. Vieta, nel sistema dualistico, ai soci componenti del consiglio di gestione, di votare nelle
deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di
sorveglianza.

199
La disciplina del conflitto di interessi consente di reprimere gli abusi della maggioranza a danno del
patrimonio sociale. Si può tuttavia verificare che una deliberazione sia adottata dalla maggioranza
per danneggiare non la società, bensì i soci di minoranza. es: si delibera per aumentare il capitale
sociale a pagamento al solo fine di ridurre la quota di partecipazione di un socio di minoranza
impossibilitato a sottoscrivere l’aumento. Oppure la maggioranza delibera lo scioglimento
anticipato della società per ricostituirne subito dopo un’altra senza un socio sgradito.
In tutti questi casi l’art 2373 non è invocabile, dato che la società non subisce alcun danno
patrimoniale né attuale né potenziale.
La dottrina prevalente tuttavia tende ad applicare in materia il principio di correttezza e buona
fede nell’attuazione del contratto (art. 1375), o un più generale principio di correttezza nel
procedimento deliberativo. Si perviene così ad affermare l’annullabilità della delibera quando la
stessa sia ispirata dal solo scopo di danneggiare altri singoli soci.
In giurisprudenza si giunge al medesimo risultato (annullabilità della delibera) anche invocando la
figura dell’eccesso di potere o meglio dell’abuso del diritto di voto. Si puntualizza però che:
a. Il controllo giudiziario sulla delibera non può risolversi in un sindacato di merito sulla
convenienza e sull’opportunità delle decisioni della maggioranza
b. La delibera è annullabile solo quando risulti arbitrariamente e fraudolentemente
preordinata dai soci di maggioranza per ledere i diritti degli altri soci
Sono tuttavia rari i casi di annullamento per abuso del diritto di voto, per l’evidente difficoltà del
socio di minoranza impugnante di provare l’intenzione di ledere la sua posizione.
Identici principi possono e devono trovare applicazione nei casi in cui sia la minoranza ad abusare
del diritto di voto o degli altri diritti ad essa riconosciuti. In tali casi però la sanzione non potrà
essere l’annullamento della delibera, bensì l’esposizione al risarcimento dei danni, nonché
l’annullamento del voto nei casi in cui il voto contrario della minoranza è in grado di bloccare la
decisione della maggioranza.

I sindacati di voto
I sindacati di voto sono accordi (patti parasociali) con i quali alcuni soci di impegnano a concordare
preventivamente il modo in cui votare in assemblea.
I sindacati di voto possono avere carattere occasionale o permanente. In questo secondo caso
possono essere a tempo determinato o indeterminato, nonché riguardare tutte le delibere
assembleari o solo alcune.
Ancora, si può stabilire che il modo come votare sarà deciso all’unanimità o a maggioranza dei
soci sindacati.
Infine, si può stabilire che il voto sarà esercitato nell’assemblea della società direttamente dai soci
sindacati, oppure che questi rilascino delega ad un comune rappresentante (direttore del
sindacato) il quale voterà secondo quanto preventivamente deciso dallo stesso all’unanimità o a
maggioranza.

200
I vantaggi dei sindacati di voto sono evidenti: essi danno un indirizzo unitario all’azione dei soci
sindacati e se questi vengono a costituire il gruppo di comando, il patto di sindacato consente di
dare una stabilità di indirizzo alla condotta della società. L’accordo di sindacato invece consente
una migliore difesa dei comuni interessi quando è stipulato tra i soci di minoranza.
I pericoli dei sindacati di voto sono altrettanto evidenti: i sindacati di comando cristallizzano il
gruppo di controllo, soprattutto se stipulati a lungo termine e combinati con un sindacato di blocco
delle azioni. Ancora, con i sindacati di comando il procedimento assembleare finisce con l’essere
rispettato solo formalmente, dato che in fatto le decisioni vengono prese prima e fuori
dell’assemblea. Anche il principio maggioritario finisce per ricevere ossequio solo formale, in
quanto sostanzialmente chi decide è solo la maggioranza dei soci sindacati, che può controllare la
società anche senza disporre della maggioranza del capitale.
Era ed è fuori contestazione che il sindacato di voto come patto parasociale è produttivo di effetti
solo tra le parti e non nei confronti della società. Perciò, il voto dato in assemblea resta valido
anche se espresso in violazione degli accordi di sindacato. Inoltre, la presenza di un sindacato di
voto può riflettersi sulla validità delle delibere solo quando uno o più soci sindacati versino in
conflitto di interessi con la società.
I contrasti si manifestavano invece quando si passava a valutare la liceità e la conseguente validità
tra le parti del sindacato. Diffusa in passato era la non condivisibile opinione che contestava la
validità dei sindacati a maggioranza e a quelli a tempo indeterminato, considerando tali patti nulli
per la violazione di norme imperative (perché determinerebbero sostanziali alterazioni nel
procedimento delle deliberazioni assembleari). Validi erano pertanto i sindacati all’unanimità e
con oggetto a tempo determinato.
Invero però, nessuna norma o principio impedisce al socio di predeterminare il modo in cui voterà
prima e fuori dall’assemblea. D’altro canto la presenza di sindacati di voto a maggioranza non
altera di per sé alcuna delle regole procedimentali e perciò strettamente formali di formazione
della volontà sociale: è pur sempre l’assemblea che assume le delibere.
Altro invece è il profilo su cui incidono i sindacati di voto: quello dell’esatta individuazione dei reali
centri di potere della società. Il problema giuridico è perciò essenzialmente un problema di
trasparenza delle situazioni di potere che essi concorrono a determinare attraverso la
concentrazione e l’indirizzo unitario dei voti.
Per questo il legislatore interviene nel 98 e nel 2003, con due discipline articolate su due profili:
a. Regolare la durata dei sindacati di voto
b. Assicurare adeguata pubblicità agli accordi
Nelle società non quotate sono regolati i patti parasociali che hanno ad oggetto l’esercizio del
diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano (sindacati di voto), ed
anche gli altri patti stipulati “al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società”.
E cioè i sindacati di blocco; nonché i patti per l’esercizio anche congiunto di un’influenza
dominante (sindacati di gestione e controllo).

201
La disciplina delle società quotate ha riguardo agli stessi tipi di accordi, nonché ai patti per
l’acquisto concertato di azioni,… in sostanza sono inclusi tutti i patti che incidono o possono
incidere sugli assetti di poteri della società.
Di tali accordi la legge disciplina la durata e la pubblicità.
I patti parasociali sopra indicati possono essere stipulati in qualsiasi forma; il legislatore ne limita
però la durata per non avere una cristallizzazione delle posizioni di potere.
Se stipulati a tempo determinato infatti gli stessi non possono avere durata superiore a 5 anni (3
per le società quotate) ma sono rinnovabili alla scadenza.
Possono anche essere stipulati a tempo indeterminato, ma in tal caso ciascun contraente può
recedere con un preavviso di 180 giorni.
Possono poi inoltre recedere senza preavviso anche ad un patto a tempo determinato, gli azionisti
che intendono aderire ad un’offerta pubblica di acquisto totalitaria o ad un’offerta preventiva
parziale. Il recesso non produce tuttavia effetto se non si perfeziona il trasferimento delle azioni.
I limiti di durata non si applicano tuttavia ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella
produzione e nello scambio di beni o servizi relativi a società non quotate interamente possedute
dai partecipanti all’accordo.
Il secondo aspetto della disciplina dei contratti sociali è relativo al regime di pubblicità, che però è
previsto solo per le società con azionariato diffuso ed è diverso a seconda che a società sia quotata
o non quotata.
Nelle società non quotate che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, i patti parasociali
devono essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea. La dichiarazione
deve essere trascritta nel verbale di assemblea e questo depositato nel r. delle imprese.
L’omessa dichiarazione (ma non l’omessa comunicazione preventiva alla società) è sanzionata con
la sospensione del diritto di voto delle azioni cui si riferisce il patto.
Nelle società quotate invece i sindacati di voto e gli altri patti parasociali previsti entro 5 giorni
dalla stipulazione devono essere comunicati alla Consob e alla società quotata, pubblicati sulla
stampa quotidiana e infine depositati presso il registro delle imprese del luogo dove la società ha
la sede legale.
La violazione di tali obblighi di trasparenza è pesantemente sanzionata: oltre l’applicazione di
sanzioni amministrative pecuniarie, comporta la nullità dei patti. Ne consegue che, scaduti i
termini, non sarà possibile una sanatoria attraverso la pubblicazione tardiva.
Inoltre, per le sole azioni delle società quotate, l’omissione degli obblighi di pubblicità comporta
anche la sospensione del diritto di voto relativo alle azioni sindacate. In caso di inosservanza la
delibera assembleare è impugnabile anche dalla Consob qualora sia stata adottata col voto
determinante di tali azioni.
Nessuna forma di pubblicità è invece prevista per i patti parasociali riguardanti società che non
fanno ricorso al m. del capitale di rischio.

202
Le deliberazioni assembleari invalide.
L’invalidità delle delibere assembleari può essere determinata dalla violazione delle norme che
regolano il procedimento assembleare o da vizi che riguardano il contenuto della delibera.
Anche per le delibere assembleari opera la tradizionale distinzione tra nullità ed annullabilità
propria della disciplina dei contratti. Le cause di annullabilità e nullità delle delibere assembleari e
la relativa disciplina sono però delineati in modo autonomo rispetto alla validità negoziale.
Il codice de 42 privilegiava le esigenze di certezza e stabilità delle delibere assembleari; la nullità
infatti si presentava come sanzione eccezionale prevista solo per le delibere aventi oggetto
impossibile o illecito. Per contro i vizi di procedimento davano vita sempre e solo all’annullabilità.
Tuttavia questo era il diritto del codice, nelle aule dei tribunali ben altro era il diritto vivente.
Larga parte degli interpreti e soprattutto la giurisprudenza avevano ritenuto che le scelte fatte dal
legislatore erano scarsamente protettive del rispetto della legalità e/o della posizione dei soci di
minoranza. Avevano così aggirato l’ostacolo del codice introducendo accanto alle delibere nulle ed
annullabili, una terza categoria: le delibere inesistenti.
Tali erano considerate le delibere che presentavano vizi di procedimento talmente gravi da
precludere la possibilità stessa di qualificare l’atto come delibera assembleare. Si parlava quindi di
delibera inesistente per mancanza di requisiti minimi essenziali di una delibera assembleare. La
sanzione per una delibera inesistente non poteva che essere la nullità.
Si arrivava così ad estendere la nullità anche alle delibere che presentavano vizi di procedimento.
Tuttavia c’era divergenza nel precisare quando una delibera era da considerarsi inesistente e
quando annullabile, da ciò ne emergeva un sistema giurisprudenziale fortemente incerto.
La riforma del 2003 ha quindi come obiettivo di fondo quello di far cessare la categoria delle
delibere inesistenti riconducendo nella categoria di nullità e annullabilità tutti i vizi delle delibere
assembleari.
Delibere annullabili: sono semplicemente annullabili “tutte le deliberazioni che non sono prese in
conformità della legge o dello statuto”. Nel contempo si specifica che possono dar vita solo ad
annullabilità della delibera:
a. La partecipazione all’assemblea di persone non legittimate, ma solo se tale partecipazione
sia stata determinante per regolare la costituzione dell’assemblea
b. L’invalidità dei singoli voti o il loro errato conteggio, ma solo se determinanti per il
raggiungimento della maggioranza
c. L’incompletezza o inesattezza del verbale, ma solo quando impediscono l’accertamento del
contenuto, degli effetti e della validità della delibera
L’impugnativa può essere proposta solo dai soggetti espressamente previsti dalla legge: soci
assenti, dissenzienti o astenuti, amministratori, consiglio di sorveglianza e collegio sindacale.
Legittimato all’iniziativa è anche il rappresentante comune delle azioni di risparmio.

203
La legittimazione all’impugnativa non compete quindi ai soci che abbiano votato a favore della
delibera, né ai titolari di azioni speciali senza voto con riferimento alla delibera contestata. Non
compete inoltre a terzi qualificati come creditori sociali.
In alcuni casi tassativamente indicati in tema di partecipazioni rilevanti, di sindacati di voto e di
blocco e di bilancio di società quotate, l’impugnativa può essere proposta anche dalla Consob,
dalla Banca d’Italia o dall’Ivass.
Inoltre, in base all’attuale disciplina legittimati all’impugnativa sono solo gli azionisti con diritto di
voto che rappresentano l’uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al
mercato del c. di rischio, e il 5% nelle altre. Lo statuto può tuttavia ridurre o escludere questo
requisito.
È riconosciuto poi ai soci non legittimati a proporla il diritto di chiedere il risarcimento dei danni
loro cagionati dalla non conformità della delibera di legge o dall’atto costitutivo.
L’impugnativa o l’azione di risarcimento danni devono essere proposte entro un breve termine di
scadenza: 90 gg dalla data della deliberazione o dal deposito nel registro delle imprese. Il termine
è tuttavia allungato di 180 gg per la Consob, Banca d’Italia e Ivass.
L’azione di annullamento è proposta davanti al tribunale del luogo dove la società ha sede; i soci
impugnanti devono dimostrare di essere possessori al tempo dell’impugnazione del prescritto
numero di azioni. Se questo viene meno nel corso del processo, il giudice non può pronunciare
l’annullamento e provvede solo al risarcimento dell’eventuale danno.
L’impugnativa è preclusa quindi all’azionista che, pur avendo votato contro la delibera, si è nel
frattempo spogliato delle azioni.
Il tribunale può disporre in ogni momento che i soci opponenti prestino idonea garanzia per
l’eventuale risarcimento dei danni. Inoltre, la proposizione dell’azione non sospende di per sé
l’esecuzione della delibera.
Tutte le impugnative relative alla medesima deliberazione devono essere istruite congiuntamente
e decise con unica sentenza, per evitare che si formino giudicati contrastanti.
Il provvedimento di sospensione della delibera e la sentenza che decide sull’impugnativa devono
essere iscritti nel registro delle imprese a cura degli amministratori, anche se la delibera
impugnata non era sottoposta ad iscrizione.
L’annullamento ha effetto per tutti i soci ed obbliga gli amministratori a prendere i provvedimenti
conseguenti sotto la propria responsabilità. Restano salvi in ogni caso i diritti acquistati in buona
fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera.
Infine l’annullamento non può avere luogo se la delibera è sostituita con altra presa in conformità
dea legge o è stata revocata dall’assemblea. La sostituzione ha effetto sanante retroattivo.
Le deliberazioni nulle
I casi di nullità delle delibere assembleari sono stati accresciuti rispetto alla disciplina previgente
(da 1 a 3) al fine di eliminare la categoria giurisprudenziale delle delibere inesistenti.

204
La delibera è nulla solo in 3 casi espressamente indicati dall’art 2379. Sono nulle:
1. Le delibere il cui oggetto è impossibile o illecito, cioè contrario a norme imperative,
all’ordine pubblico o al buon costume (come in passato).
2. Le delibere che hanno oggetto lecito ma contenuto illecito. Es: l’assemblea approva un
bilancio falso o redatto violando i principi di chiarezza, verità e correttezza. Si è avvertita
però la necessità di operare delle distinzioni nell’ambito delle delibere il cui contenuto sia
illecito per contrarietà a norme imperative (al fine di restringere la categoria delle categorie
nulle così eccessivamente ampliata.)
Nulle sono quindi solo quelle delibere il cui contenuto sia in contrasto con norme
imperative “dettate a tutela di un interesse generale che trascende l’interesse del singolo
socio o dirette ad impedire una deviazione dallo scopo economico-pratico del rapporto di
società”. Semplicemente annullabili sono invece le delibere il cui contenuto violi norme
finalizzate esclusivamente alla tutela di singoli soci.
3. Le delibere nei casi di:
- Mancata convocazione dell’assemblea. Tuttavia la convocazione non si considera
mancante nel caso di irregolarità dell’avviso, se questo proviene da un componente
dell’organo amministrativo o di controllo della società ed è idoneo a consentire a coloro
che hanno diritto di intervento di essere preventivamente avvertiti della convocazione e
della data dell’assemblea. In pratica basterà pubblicare data e luogo dell’assemblea.
L’azione di nullità non può inoltre essere esercitata da chi abbia dichiarato il suo assenso
allo svolgimento dell’assemblea.
- Mancanza del verbale: si precisa però che il verbale non si considera mancante se
“contiene la data della deliberazione e il suo oggetto ed è sottoscritto dal presidente
dell’assemblea o dal presidente del consiglio di amministrazione/consiglio di sorveglianza e
dal segretario o dal notaio”. Inoltre la nullità per mancanza del verbale è sanata con effetto
retroattivo mediante verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva.

Resta fermo il principio che la nullità delle delibere assembleari può essere fatta valere da
chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata anche di ufficio dal giudice. Fermo è anche il
principio che la delibera nulla è inefficace, salvo che venga retroattivamente sanata con
conseguente obbligo per gli amministratori di non darvi attuazione.
A differenza dell’azione di nullità di diritto comune, possono essere invece impugnate senza limiti
di tempo solo le delibere che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili.
In tutti gli altri casi è introdotto un limite di decadenza di 3 anni, che decorre dall’iscrizione o
deposito nel r. delle imprese.
Inoltre trovano applicazione le salvezze e la sanatoria previste per le delibere annullabili:
1. La dichiarazione di nullità obbliga gli amministratori a prendere i conseguenti
provvedimenti, inoltre non pregiudica i diritti acquistati in buona fede dai terzi
2. La nullità non può inoltre essere dichiarata se la delibera è sostituita con altra presa in
conformità della legge

205
Una particolare disciplina è poi prevista per le delibere di particolare rilievo: aumento del capitale
sociale, riduzione reale del capitale, emissione di obbligazioni.
Nei primi due casi si tratta di operazioni sul capitale che modificano la compagine sociale e
pertanto l’invalidità delle stesse rischia di propagarsi a catena a tutte le successive deliberazioni
assembleari. Nel terzo si vuole tutelare gli investitori che sottoscrivono le obbligazioni emesse
dalla società.
Per tali delibere l’azione di nullità è soggetta al più breve termine di decadenza di 180gg, anche nel
caso di nullità per illiceità dell’oggetto. E, in caso di mancanza di convocazione, il termine è di 90gg
dall’approvazione del bilancio nel corso del quale la delibera è stata anche parzialmente eseguita.
Ancora più drastica è la soluzione per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio,
la cui nullità della delibera di aumento del capitale sociale non può essere più pronunciata dopo
che è stata iscritta nel registro delle imprese l’attestazione che l’aumento è stato anche
parzialmente eseguito. E l’esecuzione anche parziale preclude la pronuncia di nullità delle
deliberazioni di riduzione reale del capitale sociale e di emissione di obbligazioni. Resta comunque
salvo il diritto al risarcimento dei danni eventualmente spettante ai soci e ai terzi.
L’invalidità della delibera dell’approvazione del bilancio invece non è più impugnabile dopo
l’approvazione del bilancio successivo, e della delibera di trasformazione, fusione e scissione.

CAPITOLO 9
AMMINISTRAZIONE
I sistemi di amministrazione e controllo
La riforma del 2003 ha previsto tre sistemi di amministrazione e controllo:
a. Il sistema tradizionale, basato sulla presenza di due organi entrambi di nomina
assembleare: l’organo amministrativo ed il collegio sindacale (quest’ultimo con funzioni
ora circoscritte al controllo sull’amministrazione). Il controllo contabile è di regola affidato
per legge ad un organo di controllo esterno alla società: revisore contabile o società di
revisione.
b. Il sistema dualistico, che prevede la presenza di un consiglio di sorveglianza di nomina
assembleare, e un consiglio di gestione nominato dal consiglio di sorveglianza. Il consiglio
di sorveglianza è inoltre investito di competenze che nel sistema tradizionale sono proprie
dell’assemblea (es: approva il bilancio).
206
c. Sistema monistico: l’amministrazione ed il controllo sono esercitati rispettivamente dal
consiglio di amministrazione, nominato dall’assemblea, e da un comitato per il controllo
sulla gestione costituito al suo interno, i cui componenti devono essere dotati di particolari
requisiti di indipendenza e professionalità.
Il sistema tradizionale di amministrazione e controllo trova tuttora applicazione in mancanza di
diversa previsione statutaria. Il sistema dualistico o quello monistico devono essere invece
espressamente adottati in sede di costituzione della società o con successiva modifica statuaria.
Struttura e funzioni dell’organo amministrativo
Nel sistema tradizionale la società per azioni non quotata può avere sia un amministratore unico,
sia una pluralità di amministratori, che formano in tal caso il consiglio di amministrazione.
Le società quotate devono avere un’amministrazione pluripersonale, allo scopo di consentire la
nomina di almeno un amministratore da parte dei soci di minoranza e di un amministratore
indipendente. Il numero di componenti del consiglio di amministrazione può essere in ogni caso
liberamente determinato dallo statuto.
Inoltre, il consiglio di amministrazione può essere articolato al suo interno con la creazione di uno
o più organi delegati, che danno luogo alle figure del comitato esecutivo e degli amministratori
delegati. La struttura dell’organo amministrativo non è quindi fissata in modo rigido.
Gli amministratori sono l’organo cui è affidata in via esclusiva la gestione dell’impresa sociale e ad
essi spetta compiere tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale:
a. Gli amministratori deliberano su tutti gli argomenti attinenti alla gestione della società che
non siano riservati dalla legge all’assemblea (potere gestorio)
b. Gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società. Hanno cioè il potere di
manifestare all’esterno la volontà sociale determinata dall’assemblea o dallo stesso organo
amministrativo.
c. Gli amministratori danno impulso all’attività dell’assemblea: la convocano e ne fissano
l’ordine del giorno. Danno altresì attuazione alle delibere della stessa ed hanno il potere-
dovere di impugnare quelle che violino l’atto costitutivo o la legge.
d. Gli amministratori devono curare la tenuta dei libri e delle scritture contabili della società
ed in particolare devono redigere annualmente il progetto di bilancio da sottoporre
all’approvazione dell’assemblea. Devono inoltre provvedere agli adempimenti pubblicitari
prescritti dalla legge.
e. Gli amministratori devono prevenire il compimento di atti pregiudizievoli per la società o
quanto meno eliminarne o attenuarne le conseguenze.
f. Gli amministratori sono infine tenuti ad adottare e ad attuare efficacemente modelli di
organizzazione e di gestione idonei a prevenire la commissione di reati dai quali può
conseguire la responsabilità amministrativa della società.
Le funzioni degli amministratori sono inderogabili da parte dell’autonomia privata. Si tratta inoltre
di funzioni di cui gli amministratori sono investiti per legge e non per mandato dei soci, nonché di
funzioni che essi esercitano in posizione di formale autonomia rispetto all’assemblea.

207
Ciò perché essi devono vigilare sul rispetto della legge anche da parte dell’assemblea ed hanno il
potere-dovere di astenersi dal dare esecuzione alle delibere della stessa qualora ne possa derivare
un danno per la società; inoltre perché dell’adempimento dei loro doveri essi sono personalmente
responsabili civilmente e penalmente.
La particolare disciplina degli amministratori impedisce di qualificare il rapporto intercorrente tra
essi e la società col rapporto di mandato. D’altro canto non vi è dubbio che l’investitura degli
amministratori nel loro ufficio riposa su un atto di nomina dell’assemblea e da questa essi sono
liberamente revocabili. Non è contestabile inoltre che essi sono e restano gestori di un’impresa
altrui da amministrare nell’esclusivo interesse dei soci. La posizione degli amministratori di società
per azioni non può essere quindi assimilata a quella dell’imprenditore.

Il rapporto assemblea-amministratori
Nel sistema tradizionale la ripartizione di competenze tra assemblea e amministratori in merito
alla gestione dell’impresa sociale risulta dal coordinamento di due disposizioni: l’art 2364 n.5 e
l’art 2380-bis co.1
La prima norma stabilisce che l’assemblea ordinaria “delibera autorizzazioni eventualmente
richieste dallo statuto per il compimento degli atti di amministratori, ferma restando in ogni caso
la responsabilità di quest’ultimi per gli atti compiuti.” La seconda dispone che “la gestione
dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori i quali compiono le operazioni necessarie
per l’attuazione dell’oggetto sociale.”
La gestione dell’assemblea ha perciò carattere delimitato e specifico: sussiste solo per gli atti
espressamente previsti dalla legge. La competenza gestoria degli amministratori ha invece
carattere generale: sussiste per tutti gli atti di impresa che non siano riservati all’assemblea e che
si pongono in rapporto di mezzo a fine rispetto al conseguimento dell’oggetto sociale.
Gli amministratori quindi sono investiti di ampi poteri decisionali e di poteri propri non derivanti
dall’assemblea, esercitabili in posizione di piena autonomia rispetto all’assemblea stessa. Essi
infatti sono responsabili civilmente verso la società e vero i creditori per violazione dei doveri di
legge; l’assemblea per contro è “organo irresponsabile”.
Né l’assemblea può impartire direttive vincolanti agli amministratori, né quest’ultimi sono
obbligati a sottoporre alla preventiva approvazione dell’assemblea le loro iniziative.
Con l’attuale disciplina anzi sembra essere venuta meno la possibilità degli amministratori di
sottoporre all’assemblea operazioni attinenti alla gestione sociale.
La competenza degli amministratori viceversa cessa quando si tratta di iniziative che comportano
una sostanziale modifica diretta o indiretta dell’oggetto sociale. Queste decisioni spettano
all’assemblea straordinaria.
Compete inoltre all’assemblea un potere generale di controllo sull’attività gestoria degli
amministratori.

208
L’assetto organizzativo fin qui delineato ha carattere inderogabile: lo statuto può prevedere solo
che l’assemblea sia chiamata ad autorizzare atti di gestione di competenza degli amministratori. In
tal caso l’assemblea è chiamata ad esprimersi su proposta degli amministratori e non può
sostituirsi ad essi. Non sono pertanto ammesse clausole statuarie che riconoscono all’assemblea
una competenza generale ed esclusiva in merito agli atti di gestione.
L’autorizzazione dell’assemblea inoltre non esonera gli amministratori da responsabilità penale e
civile verso i creditori e verso la società stessa.
Nomina. Cessazione della carica.
I primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo. Successivamente la loro nomina
compete all’assemblea ordinaria e il principio è inderogabile.
Lo statuto può tuttavia riservare ai possessori di strumenti finanziari partecipativi la nomina di un
componente indipendente dal consiglio di amministrazione.
Poteri speciali di nomina possono essere inoltre statuariamente previsti a favore dello Stato e altri
enti pubblici. L’attuale disciplina distingue tra società chiuse o aperte. Nelle società che non fanno
ricorso al mercato del capitale, lo statuto può riservare a tali enti la nomina di uno o più
amministratori o sindaci. Gli amministratori così nominati dallo Stato o da enti pubblici hanno gli
stessi diritti e obblighi dei membri nominati dall’assemblea. Essi però possono essere revocati solo
dall’ente che li ha nominati.
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio invece si applicano le disposizioni
dell’art 2346 co.6: cioè possono essere attribuiti speciali poteri di nomina allo Stato o a enti
pubblici mediante l’assegnazione di strumenti finanziari partecipativi e l’applicazione della relativa
disciplina (dunque un solo amministratore indipendente ed un componente dell’organo di
controllo); tali diritti possono in alternativa essere rappresentati da una categoria speciale di
azioni.
Lo statuto può poi stabilire norme particolari per la nomina alle cariche sociali da parte
dell’assemblea ordinaria. Non è consentito però innalzare i normali quorum deliberativi stabiliti
per l’assemblea ordinaria di 2° convocazione; valide invece sono le clausole statuarie che li
riducono.
Poi sono diffusi nella pratica i sistemi di votazione per assicurare la rappresentanza alla minoranza.
In particolare, col voto di lista vengono presentate 2 o più liste di candidati; ogni socio può votare
per una sola lista ed i posti nel consiglio di amministrazione sono distribuiti in proporzione ai voti
riportati da ciascuna lista secondo l’ordine di preferenza dei candidati.
Nelle società quotate è obbligatorio che lo statuto preveda e disciplini l’elezione degli
amministratori sulla base di liste; almeno un componente del consiglio di amministrazione deve
essere espressione della lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior n. di voti.
Sempre nelle società quotate inoltre, lo statuto deve prevedere meccanismi di nomina del c. di
amministrazione volti ad assicurare l’equilibrio tra uomini e donne (quote rosa). Il genere meno
rappresentato deve ottenere almeno 1/3 degli eletti. Si tratta tuttavia di una misura temporanea: il
criterio di riparto tra generi si applica solo per tre mandati consecutivi.

209
Situazioni progressive sono previste in caso di violazione: dapprima una diffida della Consob, in
caso di inottemperanza interviene una sanzione pecuniaria e in caso di ulteriore inottemperanza i
componenti eletti decadono dalla carica.
Il numero degli amministratori è indicato dallo statuto, tuttavia questo può anche limitarsi a
stabilire un n. minimo e un n. massimo e sarà l’assemblea in tal caso di volta in volta a fissare il
numero degli amministratori.
Gli amministratori possono essere soci o non soci. Però è dubbio se possano essere anche persone
giuridiche o solo persone fisiche, tuttavia si propende per la risposta negativa in quanto altrimenti
verrebbe violato il principio della competenza assembleare della nomina e revoca degli
amministratori.
Gli amministratori di società quotate devono tutti possedere i requisiti di onorabilità fissati per i
sindaci con regolamento del Ministro per la giustizia. Inoltre, almeno un componente del c. di
amministrazione deve essere un amministratore indipendente in modo da assicurare un’adeguata
vigilanza sugli amministratori delegati.
Specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza sono poi richiesti da leggi speciali
per gli amministratori di società che svolgono determinate attività (assicurativa, bancaria, ecc…).
Non possono essere nominati amministratori l’interdetto, l’inabilitato, il fallito o chi è stato
condannato ad una pena che comporta l’interdizione anche temporanea dai pubblici uffici o
l’incapacità ad esercitare uffici direttivi.
Numerose clausole di incompatibilità sono poi previste da leggi speciali, ma esse comportano solo
che l’interessato è tenuto ad optare tra l’uno e l’altro ufficio; non rendono perciò invalida la
delibera di nomina.
La nomina degli amministratori non può essere fatta per un periodo superiore a tre esercizi; e
l’attuale disciplina puntualizza che essi scadono alla data dell’assemblea convocata per
l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica. Essi sono però rieleggibili
se l’atto costitutivo non dispone diversamente.
Sono cause di cessazione dall’ufficio prima della scadenza del termine:
a. La revoca da parte dell’assemblea, che può essere deliberata liberamente in ogni tempo,
salvo il diritto al risarcimento dei danni da parte degli amministratori se non sussiste giusta
causa. Liberamente revocabile da parte dell’assemblea è anche l’amministratore nominato
dai possessori di strumenti finanziari partecipativi, mente per gli amministratori nominati
dallo Stato o da un ente pubblico si stabilisce espressamente che gli stessi possono essere
revocati solo dall’ente che li ha nominati.
b. La rinuncia (dimissioni) da parte degli amministratori
c. La decadenza dall’ufficio ove sopravvengano una delle cause di ineleggibilità o perdita di
requisiti di indipendenza nelle società quotate
d. La morte
La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto solo dal momento in cui
l’organo amministrativo è stato ricostituito. Gli amministratori scaduti rimangono perciò in carica

210
con pienezza di poteri fino all’accettazione della nomina da parte dei nuovi amministratori
(prorogatio).
L’amministratore che rinuncia all’ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio di
amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La rinuncia dell’amministratore ha effetto
immediato se rimane in carica la maggioranza degli amministratori. In caso contrario le dimissioni
hanno effetto solo dal momento in cui la maggioranza si è ricostituita.
Nei casi infine in cui gli effetti della cessazione non sono differiti o differibili (morte, decadenza,
dimissioni della minoranza) è dettata una particolare disciplina per la sostituzione degli
amministratori mancanti:
a. Se rimane in carica più della metà degli amministratori nominati dall’assemblea, i superstiti
provvedono a sostituire provvisoriamente quelli venuti meno con delibera consiliare
approvata dal collegio sindacale.
b. Se viene a mancare più della metà degli amministratori nominati dall’assemblea non si dà
luogo alla cooptazione. I superstiti devono convocare l’assemblea perché provveda alla
sostituzione dei mancanti ed i nuovi amministratori così nominati scadono con quelli in
carica all’atto della nomina.
c. Se infine vengono a cessare tutti gli amministratori o l’amministratore unico, il collegio
sindacale deve convocare con urgenza l’assemblea per la ricostituzione dell’organo
amministrativo. Nel frattempo per evitare un vuoto di poteri il collegio sindacale può
compiere gli atti di ordinaria amministrazione.
L’attuale disciplina inoltre riconosce la validità delle clausole statuarie che prevedono la cessazione
di tutti gli amministratori e la conseguente ricostituzione dell’intero collegio da parte
dell’assemblea a seguito della cessazione di taluni amministratori. L’assemblea per la nomina del
nuovo consiglio è convocata d’urgenza dagli amministratori rimasti in carica.
La nomina e la cessazione della carica degli amministratori è soggetta ad iscrizione nel registro
delle imprese. All’iscrizione della nomina devono provvedere i nuovi amministratori entro 30gg
dalla notizia della loro nomina. L’iscrizione della cessazione per qualsiasi causa avviene invece a
cura del collegio sindacale entro lo stesso termine.
Compenso. Divieti.
Gli amministratori hanno diritto ad un compenso per la loro attività. Se il compenso non è stato
determinato esso è determinato dall’autorità giudiziaria su ricorso degli amministratori.
Tale compenso solitamente ha struttura composita che comprende: una remunerazione fissa; una
quota variabile in rapporto al raggiungimento di determinati obiettivi; trattamenti speciali in caso
di cessazione della carica; benefici in natura quali l’uso personale di beni aziendali o
un’assicurazione per la responsabilità civile per i danni causati nell’esercizio delle funzioni con
premio pagato dalla società.
Il compenso può inoltre consistere nell’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo
predeterminato azioni di futura emissione (stock options). A tal fine è però necessario che venga
deliberata dall’assemblea straordinaria l’esclusione del diritto di opzione degli azionisti.

211
In merito alla determinazione del compenso, la legge prevede una sovrapposizione di competenze
tra vari organi societari, dando origine ad un sistema non sempre efficiente. La regola base è che il
compenso spettante all’amministratore singolo o ai componenti del consiglio di
amministrazione/comitato esecutivo, se non è stabilito dallo statuto viene determinato
dall’assemblea ordinaria all’atto della nomina, nei sistemi tradizionale e monistico. Nel sistema
dualistico dal consiglio di sorveglianza, salvo che la relativa competenza sia attribuita dallo statuto
alla stessa assemblea.
Tuttavia, per gli amministratori investiti di “particolari cariche in conformità dello statuto” (es:
amministratore delegato), la remunerazione è invece stabilita dal consiglio di amministrazione. Su
tale compenso, ulteriore rispetto a quella loro dovuta come membri del c. di amministrazione,
l’assemblea non ha quindi competenza.
Questo assetto normativo non ha assicurato un sufficiente grado di trasparenza ed un adeguato
controllo degli azionisti sulle politiche retributive perseguite dal consiglio di amministrazione. Di
qui l’introduzione di una serie di rimedi:
a. Con la riforma del 2003 è stato stabilito che l’assemblea può fissare un importo
complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di
particolari cariche
b. Nelle società quotate o con strumenti finanziari diffusi tra il pubblico, l’attribuzione di
compensi basati su azioni o altri strumenti finanziari (obbligazioni, strumenti finanziari
partecipativi, ecc…) richiede l’approvazione del relativo piano da parte dell’assemblea
ordinaria
c. Nelle sole società quotate infine, il consiglio di amministrazione approva e sottopone gli
azionisti una volta l’anno la relazione sulla remunerazione. La relazione si compone di due
sezioni: la prima illustra la politica della società in materia di remunerazione dei titolari di
cariche sociali e degli altri dirigenti. Nella seconda la relazione rappresenta analiticamente
la remunerazione spettante a ciascun componente degli organi di amministrazione e
controllo, ai direttori generali, ai dirigenti con responsabilità strategiche.
L’assemblea è chiamata a deliberare solo sulla prima sezione della relazione. Però il voto
assembleare riguardante a relazione sulle remunerazioni non è vincolante per il consiglio di
amministrazione. L’esito della votazione è pubblicato sul sito internet della società.
La centralità della posizione degli amministratori nella direzione della società li rende partecipi di
tutti i segreti aziendali e ciò ispira alcuni specifici obblighi e divieti posti a loro carico.
Gli amministratori di società per azioni non possono assumere la qualità di soci a responsabilità
illimitata in società concorrenti, né esercitare un’attività concorrente per conto proprio o altrui, né
essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salva l’autorizzazione
dell’assemblea. L’autorizzazione può essere concessa anticipatamente con clausola generale
contenuta nell’atto costitutivo. L’inosservanza del divieto espone l’amministratore alla revoca
dall’ufficio per giusta causa e al risarcimento degli eventuali danni.
Specifici obblighi di informazione sui possessi azionari degli amministratori sono poi previsti per le
società con azioni quotate in borsa; agli stessi è inoltre fatto divieto di acquistare strumenti
finanziari della società, sfruttando informazioni privilegiate ottenute in ragione del loro ufficio.

212
Il consiglio di amministrazione
L’amministratore unico riunisce in sé ed esercita individualmente tutte le funzioni proprie
dell’organo amministrativo.
Quando invece l’amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di
amministrazione, retto da un presidente scelto dallo stesso consiglio tra i suoi membri.
In presenza di un consiglio di amministrazione è necessario operare delle distinzioni sulle modalità
di esercizio delle funzioni proprie dell’organo amministrativo.
È esercitata collegialmente l’attività deliberativa, relativa sia al compimento degli atti di gestione
sia alle attribuzioni proprie degli amministratori (es: convocazione dell’assemblea, redazione del
bilancio, ecc…). Le relative decisioni devono essere adottate a maggioranza in apposite riunioni
alle quali devono assistere i sindaci.
La rappresentanza della società è invece funzione individuale degli amministratori designati
nell’atto costitutivo o dall’assemblea nell’atto della nomina. Se sono più gli amministratori con
rappresentanza, il relativo potere è esercitato disgiuntamente o congiuntamente e non
collegialmente.
L’attività di vigilanza spetta poi oltre che al consiglio collegialmente, anche al singolo
amministratore individualmente (in quanto egli è in ogni caso personalmente e solidalmente
responsabile per i danni che alla società possono derivare dall’omessa vigilanza).
Ogni amministratore perciò può esaminare e controllare i documenti sociali, compiere atti di
ispezione, nonché chiedere agli amministratori con funzioni delegate che in consiglio siano fornite
informazioni relative alla gestione della società. L’amministratore che nell’attività di vigilanza
individuale ha accertato irregolarità dovrà sollecitare la riunione del consiglio di amministrazione
affinchè questo collegialmente prenda le relative deliberazioni.
Per quanto concerne le delibere consiliari, l’attuale disciplina prevede che se lo statuto non
dispone diversamente, il consiglio di amministrazione è convocato dal presidente dello stesso, il
quale ne fissa anche l’ordine del giorno, ne coordina i lavori e provvede affinchè tutti gli
amministratori dello statuto siano adeguatamente informati sulle materie all’ordine del giorno.
Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della
maggioranza degli amministratori in carica, salvo che lo statuto non preveda un quorum
costitutivo più elevato. Lo statuto può anche prevedere che le riunioni del consiglio di
amministrazione avvengano mediante mezzi di telecomunicazione. Non è però ammesso il voto
per rappresentanza.
Le deliberazioni sono approvate se riportano il voto favorevole della maggioranza assoluta dei
presenti (voto per teste).

213
Il verbale poi dev’essere redatto per atto pubblico nei casi di delibera per delega su materie di
competenza assembleare; null’altro è disposto per la verbalizzazione, tuttavia si ritiene che la
verbalizzazione delle delibere consiliari sia sempre necessaria.
L’attuale disciplina dell’invalidità delle deliberazioni de consiglio di amministrazione, intervenuta
con la riforma del 2003, ha ampliato la categoria delle delibere consiliari annullabili, mentre non
sono previste cause di nullità delle stesse. Possono essere impugnate tutte le delibere del consiglio
di amministrazione che non sono prese in conformità della legge o dello statuto. L’impugnativa
può essere proposta dagli amministratori assenti o dissenzienti e dal collegio sindacale (ma non
dai soci) entro 90gg dalla data della deliberazione.
Inoltre, quando la delibera assembleare leda direttamente un diritto soggettivo del socio, questi
avrà il diritto di agire giudizialmente per far annullare la delibera. L’annullamento delle delibere
consiliari non pregiudica i diritti acquistati in buona fede da terzi.
Interessi degli amministratori. Operazioni con parti correlate.
L’amministratore che in una determinata operazione ha un interesse non necessariamente in
conflitto con quello della società:
a. Deve darne notizia agli altri amministratori ed al collegio sindacale precisandone la natura,
i termini, l’origine e la portata.
b. Se si tratta di amministratore delegato deve inoltre astenersi dal compiere l’operazione
investendo della stessa l’organo collegiale competente (consiglio di amministrazione o
comitato esecutivo). Non è più fatto obbligo però all’amministratore interessato di non
votare in consiglio di amministrazione.
c. In entrambi i casi il consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e
la convenienza per la società dell’operazione.
La delibera del consiglio di amministrazione o del comitato esecutivo, qualora possa recare danno
alla società (danno potenziale) è impugnabile non solo quando l’amministratore interessato ha
votato e il suo voto è stato determinante (prova di resistenza) ma anche quando sono stati violati
gli obblighi di trasparenza, astensione e motivazione sopra indicati.
L’impugnazione può essere proposta entro 90gg dalla data della delibera dal collegio sindacale,
dagli amministratori assenti e dissenzienti, nonché dagli stessi amministratori che hanno votato a
favore se l’amministratore interessato non abbia adempiuto agli obblighi di informazione.
Analoghi obblighi e responsabilità sono previsti se l’amministratore è unico: questi deve dare
notizia degli interessi che ha in una determinata operazione al collegio sindacale e anche alla
prima assemblea utile.
I contratti conclusi dall’amministratore in conflitto di interessi sono annullabili su richiesta della
società in base alla disciplina generale della rappresentanza.
L’amministratore che violi tali obblighi risponde delle perdite che siano derivate alla società dalla
sua azione o omissione, ed altresì dei danni che siano derivati alla società dall’utilizzazione a
vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo
incarico.

214
Poi, maggiori cautele sono imposte alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio
per quanto riguarda le operazioni con parti correlate, vale a dire operazioni aventi come
controparte soggetti particolarmente vicini alla società, agli amministratori o ai soci di controllo.
La Consob stabilisce quali oggetti sono qualificabili come parti correlate. Per queste operazioni
l’organo di amministrazione è tenuto ad adottare procedure che assicurano la trasparenza e la
correttezza delle decisioni. Al riguardo la Consob ha delineato una procedura generale in base alla
quale, in merito al compimento di una operazione tra la società e una parte correlata, deve
preventivamente raccogliersi il parere motivato di un apposito comitato, composto
esclusivamente da amministratori non esecutivi, non correlati, e in maggioranza indipendenti.
Il parere non è vincolante ma la società deve informare il pubblico, con cadenza almeno
trimestrale, sulle operazioni approvate nonostante il parere negativo.
Per le operazioni di maggior rilevanza (identificate da una serie di parametri della Consob) sono
previste regole speciali: un comitato formato da amministratori tutti indipendenti e non correlati
deve essere coinvolto già nella fase istruttoria e delle trattative. La decisione sull’operazione non è
delegabile da parte del consiglio di amministrazione; tuttavia, se il comitato di amministratori
indipendenti ha espresso parere negativo, l’operazione deve essere approvata anche
dall’assemblea ordinaria senza il voto contrario della maggioranza dei soci non correlati.
Delle operazioni più rilevanti con parti correlate la società deve informare la Consob ed il pubblico
entro breve termine della decisione; gli amministratori devono inoltre darne indicazione nella
relazione sulla gestione allegata al bilancio.

Comitato esecutivo. Amministratori delegati.


Se l’atto costitutivo o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare le
proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo o ad uno o più amministratori delegati.
Il comitato esecutivo è un organo collegiale. Le sue decisioni sono adottate in riunioni alle quali
devono assistere i sindaci. Le relative deliberazioni devono risultare da un apposito libro delle
adunanze e delle deliberazioni del comitato esecutivo, tenuto a cura dello stesso organo. Nulla più
è previsto per legge in tema di funzionamento del comitato esecutivo. A tale silenzio sopperisce di
regola lo statuto e solitamente si ritiene siano applicabili in materia le norme dettate per il
consiglio di amministrazione, sia pure con adattamenti.
Gli amministratori delegati sono invece organi pluripersonali. Se vi sono più amministratori
delegati essi agiscono disgiuntamente o congiuntamente. Agli amministratori delegati è di regola
affidata la rappresentanza della società.
È poi possibile la coesistenza di un comitato esecutivo e di uno o più amministratori delegati con
competenze ripartite.
La creazione e l’articolazione degli organi delegati devono essere previste dallo statuto o devono
essere consentite dall’assemblea ordinaria. La designazione dei membri del comitato esecutivo e
degli amministratori delegati è invece fatta dallo stesso consiglio di amministrazione, che
determina inoltre contenuto, limiti ed eventuali modalità di esercizio della delega.
215
In base all’attuale disciplina non possono essere tuttavia delegati:
a. La redazione del bilancio di esercizio
b. La facoltà di aumentare il capitale sociale ed emettere obbligazioni convertibili per delega
c. Gli adempimenti posti a carico degli amministratori in caso di riduzione obbligatoria del
capitale sociale per perdite
d. La redazione del progetto di fusione o scissione
Con la concessione della delega larga parte della gestione corrente della società è svolta dagli
organo delegati nei quali in fatto si concentra il potere decisionale.
La delega però non spoglia il consiglio di amministrazione delle attribuzioni delegate: determina
solo una competenza concorrente del consiglio e degli organi delegati. Il consiglio infatti rimane
formalmente in posizione sovraordinata rispetto al comitato esecutivo ed agli amministratori
delegati. Può inoltre revocare in ogni momento sia la delega sia i delegati ed impartire a
quest’ultimi direttive, che i titolari della delega sono tenuti ad eseguire.
L’attuale disciplina comunque stabilisce che gli organi delegati:
a. Curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società sia adeguato
alla natura e alle dimensioni dell’impresa
b. Riferiscono periodicamente al consiglio di amministrazione ed al collegio sindacale sul
generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione, nonché sulle
operazioni di maggior rilievo
Nel contempo è disposto che tutti gli amministratori devono agire informati e ciascuno può
chiedere agli organi delegati che siano fornite in consiglio informazioni relative alla gestione della
società.
Inoltre, l’attuale disciplina conferisce al consiglio di amministrazione il potere-dovere di:
a. Valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società
b. Esaminare i piani strategici, industriali e finanziari della società, quando elaborati
c. Valutare, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della
gestione

La rappresentanza della società


In presenza di un consiglio di amministrazione, gli amministratori investiti del potere di
rappresentanza devono essere indicati nello statuto o nella deliberazione di nomina. Inoltre, se più
sono gli amministratori con rappresentanza, la pubblicità legale della nomina deve specificare se
hanno il potere di agire disgiuntamente o congiuntamente. Di regola la rappresentanza della
società è attribuita al presidente del consiglio di amministrazione e/o ad uno o più amministratori
delegati.
Il potere di rappresentanza degli amministratori è generale, e non più circoscritto agli atti che
rientrano nell’oggetto sociale. Essi hanno inoltre la rappresentanza processuale della società.

216
Il potere di rappresentanza degli amministratori va tenuto distinto dal potere di gestione. Il p. di
rappresentanza riguarda l’attività esterna: è il potere di agire nei confronti dei terzi in nome della
società. La gestione invece riguarda l’amministrazione interna, la fase decisoria delle operazioni
sociali.
Nella società per azioni (salvo il caso dell’amministratore unico e dell’amministratore delegato) vi
è una scissione tra potere gestorio e potere di rappresentanza degli amministratori. Il primo
compete al consiglio di amministrazione o al comitato esecutivo ed è esercitato collegialmente; il
secondo spetta invece ad uno o più amministratori ed è esercitato disgiuntamente o
congiuntamente.
Fermo restando che gli amministratori non possono essere privati del potere di rappresentanza, la
società può avvalersi anche di altri rappresentanti, nominati dall’assemblea o dagli stessi
amministratori. Può trattarsi sia di soggetti stabilmente inseriti nell’organizzazione dell’impresa
sociale, sia di procuratori esterni generali o per singoli affari. In questi casi si è in forme di
rappresentanza negoziale, regolate dai principi di diritto comune.
Per effetto delle modifiche introdotte dal d.p.r. 1127/1969, la rappresentanza organica degli
amministratori di s.p.a. è assoggettata ad una disciplina peculiare che privilegia al massimo
l’esigenza di tutela dell’affidamento dei terzi, nonché quella di certezza e stabilità dei rapporti
giuridici. I principi cardine sono due:
a. È inopponibile ai terzi di buona fede la mancanza di potere rappresentativo dovuta ad
invalidità dell’atto di nomina.
b. La società inoltre resta vincolata verso i terzi anche se gli amministratori hanno violato
eventuali limiti posti dalla società ai loro poteri. Es: nello statuto o nella deliberazione di
nomina è previsto che i poteri di rappresentanza sono limitati agli atti di “ordinaria
amministrazione”.
Dal 69 risulta che “le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una
decisione degli organi competenti, non sono opponibili a terzi, anche se pubblicate, salvo che si
provi che questi abbiano agito intenzionalmente a danno della società”.
La società può quindi vittoriosamente contestare la validità dell’atto solo se prova l’esistenza di un
accordo fraudolento tra amministratore e terzo diretto a danneggiarla; non è sufficiente invece
che provi l’effettiva conoscenza da parte del terzo dell’esistenza di limitazioni statuarie del potere
di rappresentanza.
Restano invece opponibili ai terzi i limiti legali del potere di rappresentanza degli amministratori,
benchè il nuovo art 2384 non lo preveda più espressamente, probabilmente perché è parso
superfluo ribadirlo. Es: amministratore unico o delegato che stipula un contratto in conflitto di
interessi con la società. Il contratto sarà annullabile su richiesta della società, se il conflitto di
interessi era conosciuto o conoscibile al terzo.
La situazione invece è diversa e più favorevole per il terzo quando l’esercizio del potere di
rappresentanza presuppone una preventiva delibera del consiglio di amministrazione e tale
delibera manchi o sia viziata. In tal caso ci troviamo in presenza di un limite legale o statutario?
L’attuale dato normativo non fa più riferimento all’inopponibilità delle limitazioni statutarie “al

217
potere di rappresentanza”, ma più in generale alle limitazioni ai poteri degli amministratori, che
risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti.
L’art 2384 co.2 è perciò idoneo a tutelare l’affidamento dei terzi anche nel caso di “atti compiuti
dall’amministratore munito del potere di rappresentanza ma privo del potere di gestione”, salvo il
caso di dolo del terzo.
La responsabilità degli amministratori verso la società
Gli amministratori sono responsabili civilmente del loro operato in tre direzioni: verso la società,
verso i creditori sociali, verso i singoli soci o terzi.
1) Responsabilità verso la società
Gli amministratori incorrono in responsabilità verso la società e sono tenuti al risarcimento dei
danni dalla stessa subiti quando non adempiono i doveri ad essi imposti dalla legge o dallo statuto
con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Vale a dire,
con la normale diligenza professionale di un amministratore di società.
Gli amministratori non sono invece responsabili per i risultati negativi della gestione che non
siamo imputabili a difetto di normale diligenza nella condotta degli affari sociali o
nell’adempimento degli specifici obblighi posti a loro carico. La loro è un’obbligazione di mezzi e
non di risultato. Perciò, in sede d’accertamento della responsabilità, il giudice non può sindacare il
merito delle decisioni degli amministratori, ma deve limitarsi a verificare se essi hanno osservato
con diligenza gli obblighi di condotta specifici.
Se gli amministratori sono più di uno, essi sono responsabili solidalmente. Ciascuno può essere
quindi costretto dalla società a risarcirle l’intero danno subito, a meno che si tratti di attribuzioni
proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite a uno o più amministratori.
La presenza di amministratori con funzioni delegate non comporta tuttavia che gli altri siano
senz’altro esonerati da responsabilità solidale per i comportamenti dei primi. Infatti l’attuale
disciplina pone a carico degli amministratori un dovere di vigilanza sulla gestione.
L’art 2381 co.3 pone a carico degli amministratori senza delega specifici obblighi, che consistono
nel:
a. Valutare sulla base della relazione degli organi delegati il generale andamento della
gestione
b. Valutare l’adeguatezza dell’assetto informativo, amministrativo e contabile della società
c. Esaminare i piani strategici, industriali e finanziari della società
Inoltre la legge impone a tutti gli amministratori di agire in modo informato, il che comporta il
potere-dovere dei consiglieri di amministrazione di sollecitare informazioni e chiarimenti agli
organi delegati.
Inoltre, si stabilisce che “in ogni caso gli amministratori sono solidalmente responsabili se, essendo
a conoscenza di atti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il
compimento o attenuarne le conseguenze dannose”.

218
Quindi, se il comportamento dannoso è direttamente imputabile solo ad alcuni amministratori,
con essi risponderanno in solido anche quelli che essendo a conoscenza del pregiudizio imminente
per la società non abbiamo prevenuto o impedito l’attività dannosa dei primi.
La responsabilità degli amministratori è comunque responsabilità per colpa e non responsabilità
oggettiva. Infatti la responsabilità per gli atti e le omissioni non si estende all’amministratore che
tra essi sia immune da colpa, purchè:
a. Abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle
deliberazioni del consiglio di amministrazione
b. Del suo dissenso si dia immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale
L’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori deve essere deliberato
dall’assemblea ordinaria, anche se la società è in liquidazione, oppure dal collegio sindacale a
maggioranza dei 2/3 dei suoi componenti.
Gli amministratori-soci non possono votare nelle deliberazioni assembleari riguardanti la loro
responsabilità, essendo in evidente conflitto di interessi.
La deliberazione dell’azione di responsabilità comporta la revoca automatica dall’ufficio degli
amministratori contro cui è proposta solo se la delibera è approvata col voto favorevole di almeno
1/5 del capitale sociale. In questo caso l’assemblea stessa provvede alla loro sostituzione.
Se non si raggiunge tale percentuale sarà invece necessaria una distinta ed espressa delibera di
revoca.
Che l’azione sociale di responsabilità debba essere deliberata dall’assemblea tutela poco le
minoranze azionarie: la relativa decisione è in sostanza nelle mani del gruppo di comando.
La situazione oggi però è migliore rispetto al passato, in quando la legittimazione all’esercizio
dell’azione di responsabilità è stata estesa anche al collegio sindacale a maggioranza qualificata.
Tuttavia i sindaci sono comunque eletti dall’assemblea, quindi sempre espressione dello stesso
gruppo di comando.
Le cose però cambiano quando la società cade in dissesto ed è dichiarata fallita o assoggettata a
liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria. In tal caso infatti la
legittimazione a promuovere l’azione sociale di responsabilità compete al curatore fallimentare, al
commissario liquidatore o al commissario straordinario.
Una tutela limitata ed indiretta delle minoranze è però prevista anche quando la società è in bonis.
La società infatti può rinunziare all’esercizio dell’azione di responsabilità o pervenire ad una
transazione con gli amministratori. L’una e l’altra però devono essere espressamente deliberate
dall’assemblea e non possono essere desunte da fatti concludenti.
Inoltre è necessario che non vi sia il voto contrario di una minoranza qualificata: il quinto del
capitale sociale, ridotto ad 1/20 nelle società che fanno ricorso al mercato del c. di rischio.
Altrimenti la rinunzia e la transazione sono senza effetto.
Una tutela più energica delle minoranze è stata infine introdotta prima della riforma del 98 per le
sole società con azioni quotate e poi estesa a tutte le s.p.a. con la riforma del 2003.

219
In base all’art 2393-bis, l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori può infatti
essere promossa anche dagli azionisti di minoranza, così superando l’eventuale inerzia del gruppo
di comando. Per evitare azioni giudiziarie pretestuose o ricattatorie contro gli amministratori, i soci
che assumono l’iniziativa devono rappresentare almeno 1/5 del capitale sociale o la diversa misura
prevista nello statuto (comunque non superiore ad un terzo).
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è sufficiente che l’azione sia
promossa dai soci che rappresentano 1/40 del capitale sociale o la percentuale più bassa prevista
dallo statuto.
L’azione è promossa dalla minoranza tramite uno o più rappresentanti comuni, nominati a
maggioranza del capitale posseduto, ed è diretta a reintegrare il patrimonio sociale, non a risarcire
il danno eventualmente subito dai soci agenti. Si tratta infatti della stessa azione di responsabilità
che la società può esperire previa delibera assembleare.
La società dev’essere quindi necessariamente chiamata in giudizio; in caso di accoglimento della
domanda è tenuta a rimborsare agli attori le spese di giudizio che non siano state poste a carico
degli amministratori soccombenti o che non possano essere recuperati dagli stessi.
A vantaggio della società deve inoltre andare ogni corrispettivo che i soci attori abbiano ottenuto
per rinunciare all’azione o transigerla.
La rinuncia o la transazione possono essere deliberate anche dalla società con delibera
assembleare; è però necessario che non vi sia il voto contrario delle minoranze che presentano le
% di capitale sociale indicate dall’art 2393 co.6.
L’azione sociale di responsabilità può essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione
dell’amministratore dalla carica.
La responsabilità degli amministratori verso la società è responsabilità da inadempimento di
preesistenti obbligazioni (responsabilità contrattuale), non da illecito extracontrattuale.
La società che agisce in giudizio sarà quindi tenuta solo a provare l’esistenza di un danno
imputabile a inadempimento degli amministratori, non anche la colpa degli stessi. Spetterà invece
agli amministratori provare che i fatti valgono ad escludere o ad attenuare la loro responsabilità.
La responsabilità verso i creditori sociali.
Oltre che nei confronti della società gli amministratori sono responsabili anche verso i creditori
sociali. Diversi però sono i presupposti di questa azione, infatti:
a. Gli amministratori sono responsabili verso i creditori sociali solo per “l’inosservanza degli
obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”
b. L’azione può essere proposta dai creditori solo quando il patrimonio sociale risulta
insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. Un danno per i creditori infatti non sussiste
finquando il patrimonio è capiente.
L’azione ex art 2394 può essere proposta dai singoli creditori sociali. Tuttavia, in caso di fallimento
della società o di assoggettamento della stessa a liquidazione coatta amministrativa o ad

220
amministrazione straordinaria, l’azione può essere proposta esclusivamente dal curatore, dal
commissario liquidatore o dal commissario straordinario.
L’azione di risarcimento danni dei creditori trova pur sempre fondamento nell’inadempimento di
specifici obblighi posti dalla legge a carico degli amministratori (conservazione dell’integrità del
patrimonio sociale) e tanto basta per escludere che si ricada nell’ambito della responsabilità da
illecito extracontrattuale. Ne consegue che i creditori che agiscono in giudizio non sono tenuti a
provare il dolo o la colpa degli amministratori.
Il danno subito dai creditori non è che un effetto riflesso del danno che gli amministratori hanno
arrecato al patrimonio sociale, rendendolo insufficiente a soddisfare i primi. Ne consegue che se
l’azione risarcitoria è già stata esperita dalla società e il patrimonio è stato reintegrato, i creditori
non potranno più esercitare l’azione di loro spettanza dato che gli amministratori sono ovviamente
tenuti a risarcire una sola volta il danno.
Anche la transazione intervenuta con la società paralizza l’azione dei creditori sociali, salva la
possibilità degli stessi di impugnare la transazione con l’azione revocatoria qualora ne ricorrano gli
estremi. Invece la rinuncia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da
parte dei creditori sociali (per l’ovvia ragione che il patrimonio non è stato reintegrato).
Infine, l’azione dei creditori si prescrive in 5 anni, al pari dell’azione sociale.
Una questione tuttora dibattuta è se l’azione dei creditori sia un’azione diretta ed autonoma
oppure un’azione surrogatoria.
Se si ritiene l’azione di natura surrogatoria, i creditori saranno esposti a tutte le eccezioni che gli
amministratori possono opporre alla società; inoltre quanto corrisposto dagli amministratori a
titolo di risarcimento danni spetterà alla società ed i creditori ne avranno un beneficio solo
indiretto per effetto dell’incremento del patrimonio sociale.
A conclusioni opposte invece conduce la qualificazione dell’azione dei creditori come autonoma e
diretta: gli amministratori non potranno opporre ai creditori agenti le eccezioni opponibili alla
società; i creditori si avvantaggeranno direttamente dei risultati utili dell’azione fino alla
concorrenza del loro credito.
Tuttavia nella pratica le differenze si attenuano notevolmente: nella maggior parte dei casi infatti
l’azione ex art. 2394 è esercitata dopo il fallimento della società ad opera del curatore, che è nel
contempo legittimato ad esercitare anche l’azione sociale di responsabilità. Intervenuto il
fallimento, il risarcimento dei danni va ad incrementare la massa attiva fallimentare.
Comunque, se si accoglie la tesi dell’azione diretta ne consegue che: 1) i creditori sociali che
agiscono contro gli amministratori non sono tenuti a citare in giudizio anche la società. 2) la
sospensione della prescrizione dell’azione sociale, finchè gli amministratori restano in carica, non
opera per l’azione dei creditori sociali.
La responsabilità verso singoli soci o terzi
La disciplina della responsabilità civile degli amministratori è completata dall’art. 2395. Tale norma
stabilisce che le azioni di responsabilità della società e dei creditori sociali “non pregiudicano i

221
diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente
danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori”.
Perché il singolo socio o il singolo terzo possano chiedere agli amministratori il risarcimento dei
danni in base all’art 2395 devono ricorrere perciò due presupposti:
a. Il compimento da parte degli amministratori di un atto illecito nell’esercizio o in occasione
del loro ufficio
b. La produzione di un danno diretto al patrimonio del singolo socio o del singolo terzo; un
danno cioè che non sia un semplice riflesso del danno eventualmente subito dal
patrimonio sociale.
L’azione qui in esame consente al singolo socio o al singolo terzo di chiedere agli amministratori
solo il risarcimento del danno direttamente arrecato al loro patrimonio, indipendentemente dal
fatto che un danno sia derivato anche al patrimonio della società. Es: amministratori che con un
falso bilancio inducono i soci o i terzi a sottoscrivere un aumento di capitale a prezzo eccessivo.
L’art 2395 non copre invece il danno subito dal terzo contraente per l’inadempimento contrattuale
della società.
Il socio o il terzo che agiscono in responsabilità contro gli amministratori devono comunque
provare che esiste un nesso causale diretto tra il danno subito e l’illecito degli amministratori; vale
a dire che solo la condotta illecita di quest’ultimi li ha condotti a compiere l’atto da cui è loro
derivato un danno. Spetta quindi al socio o al terzo provare il dolo o la colpa degli amministratori.
L’azione può essere esercitata entro 5 anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o
il terzo.

I direttori generali
Nella gestione dell’impresa gli amministratori si avvalgono spesso della collaborazione di altri
soggetti stabilmente inseriti nell’organizzazione imprenditoriale.
La disciplina delle s.p.a. non contiene norme specifiche al riguardo, eccezion fatta per la figura dei
direttori generali nominati dall’assemblea o dal consiglio di amministrazione per disposizione dello
statuto.
L’art 2396 stabilisce che a tali direttori si applicano le disposizioni che regolano la responsabilità
degli amministratori in relazione ai compiti loro affidati.
Il codice si astiene dal definire la figura del direttore generale; si ritiene comunque che la qualifica
debba essere riconosciuta ai dirigenti che svolgono attività di alta gestione dell’impresa sociale
(cioè quelli che sono al vertice della gerarchia dei lavoratori subordinati dell’impresa e operano in
rapporto diretto con gli amministratori).
Essi sono quindi investiti di ampi poteri decisionali nella gestione dell’impesa e se esplicano
funzioni che li pongono in contatto con terzi, possono essere assimilati agli institori.

222
La nomina di direttori generali non spoglia gli amministratori dei relativi poteri di gestione e di
rappresentanza e anzi, i direttori sono in posizione formalmente subordinata rispetto agli
amministratori, anche se in fatto spesso assumono rilievo pari o anche preminente.
I direttori sono responsabili verso la società, i creditori sociali e verso i singoli soci o terzi per i
danni arrecati nell’esercizio dei compiti loro affidati. Essi quindi devono rifiutarsi di dare attuazione
alle direttive degli stessi amministratori se illegali o pregiudizievoli per la società.

Gli amministratori in fatto


Si definisce amministratore in fatto il soggetto, privo della veste formale di amministratore per la
mancanza di nomina assembleare, che in fatto si ingerisce sistematicamente nella direzione
dell’impresa sociale: impartisce istruzioni agli amministratori ufficiali, ne condiziona le scelte
operative, tratta direttamente coi terzi.
Tali soggetti sono l’azionista o gli azionisti di comando, detentori del reale potere decisionale.
Gli amministratori di fatto sono equiparati agli amministratori legalmente nominati per quanto
riguarda le norme in tema di responsabilità penale.
È invece problema più delicato e dibattuto se a loro si estenda anche la responsabilità civile. Per
quanto riguarda la società a responsabilità limitata la legge ne dà risposta affermativa, quanto
meno quando la posizione di amministratore di fatto è assunta da un socio, ma solo in presenza di
comportamenti dolosi.
L’opinione prevalente ritiene che a quesito debba darsi risposta affermativa anche per le società
per azioni. E a tale conclusione si perviene o assimilando la posizione degli amministratori di fatto
a quella dei direttori generali, o richiamando la disciplina della gestione di affari.

223
CAPITOLO 10
I CONTROLLI INTERNI
A. IL COLLEGIO SINDACALE
Il collegio sindacale è l’organo di controllo interno della società per azioni nel sistema tradizionale,
con funzioni di vigilanza sull’amministrazione della società.
Il codice del 1942 dettava una disciplina per il collegio sindacale unitaria per tutte le società per
azioni; composizione semirigida dell’organo (3 o 5 membri), limitata competenza professionale
richiesta per i suoi componenti; nomina assembleare che rendeva l’intero collegio espressione
dello stesso gruppo di comando che nominava gli amministratori; eccessiva ampiezza di doveri di
controllo, accompagnata da scarsa incisività dei poteri riconosciuti.
Col tempo tuttavia la situazione è cambiata; la riforma del 74 ha introdotto per le società quotate
anche un controllo contabile esterno da parte di una società di revisione.
Norme volte a migliorare la professionalità e l’efficienza del collegio sindacale sono poi state
introdotte dal d.lgs. 27-1-1992 n.88, che tra l’altro ha istituito un apposito registro dei revisori
contabili.
Successivamente anche con la riforma dei 2003 alcuni aspetti sono stati diversamente articolati
per le società quotate e non quotate.
Composizione. Nomina. Cessazione.
La composizione dell’organo di controllo è diversamente disciplinata per le società quotate e non
quotate.
Nelle società non quotate i sindaci formano di regola un organo pluripersonale e collegiale
(collegio sindacale) composto di 3 o 5 membri effettivi, soci o non soci, secondo quanto stabilito
nello statuto. Devono inoltre essere nominati due membri supplenti.
Diversamente dall’organo amministrativo, l’organo di controllo delle società non quotate ha
struttura semirigida.
Questo ostacolo è stato invece rimosso per le società quotate con la riforma del ’98. Fermo
restando che per tali società l’organo di controllo dev’essere necessariamente pluripersonale e il
numero minimo di 3 sindaci effettivi e 2 supplenti, l’atto costitutivo delle società quotate può oggi
determinare liberamente il numero dei sindaci.
I primi sindaci sono nominati nell’atto costitutivo, successivamente essi sono nominati
dall’assemblea ordinaria. La legge o lo statuto possono tuttavia riservare la nomina di uno o più
224
sindaci allo stato o ad enti pubblici che abbiano partecipazioni nella società. Lo statuto può inoltre
riservare la nomina di un sindaco ai possessori di strumenti finanziari partecipativi.
Per le società quotate inoltre con la riforma del ’98, un membro effettivo del collegio sindacale
deve essere eletto da parte dei soci di minoranza, col sistema del voto di lista. La determinazione
delle relative modalità di nomina è oggi affidata ala Consob, allo scopo di rendere effettivo tale
diritto.
Il collegio sindacale delle società quotate è così reso espressione dell’intera compagine azionaria e
la presenza di sindaci eletti dalla minoranza offre maggiori garanzie di effettivo svolgimento del
controllo.
L’attuale disciplina inoltre presenta un miglioramento rispetto a quella del codice civile per quanto
riguarda i requisiti di professionalità. Oggi tutti i sindaci (e non più solo una parte) devono
possedere i requisiti di professionalità, sia pure diversamente articolati per le società quotate e
non. La legge inoltre consente una composizione diversificata del collegio, cioè la nomina di sindaci
con qualità professionali diverse, affinchè nell’organo siano presenti le necessarie competenze
tecniche per l’efficace assolvimento delle funzioni di controllo.
Nelle società non quotate, in seguito alla riforma del 2003, almeno un sindaco effettivo ed uno
supplente devono essere scelti tra gli iscritti nel registro dei revisori legali, istituito nel 95 presso il
Ministero della Giustizia.
Nel registro dei revisori legali possono iscriversi:
a. Persone fisiche in possesso di specifici requisiti di professionalità e di onorabilità, che
abbiano superato un apposito esame di ammissione
b. Società di persone o capitali che rispondano a determinati requisiti riguardanti soci,
amministratori e soggetti responsabili dell’attività di revisione
Gli altri sindaci se non iscritti in tale registro devono essere scelti tra i professori universitari in
materie economiche o giuridiche, oppure tra gli iscritti negli albi professionali individuati dal
Ministro della giustizia e precisamente avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e periti
commerciali, consulenti del lavoro.
Nelle società quotate i requisiti di professionalità dei sindaci sono invece fissati con regolamento
del Ministro della giustizia. Il regolamento prescrive che solo un sindaco effettivo (su 3) o due (se il
numero è >3) e in ogni caso un sindaco supplente devono essere necessariamente scelti tra gli
iscritti nel registro dei revisori legali dei conti che abbiano esercitato l’attività di controllo legale dei
conti per un periodo non inferiore a 3 anni.
Gli altri sindaci possono anche non essere revisori legali, ma devono in tal caso possedere
predeterminati requisiti di professionalità di tipo giuridico-aziendale.
Solo per i sindaci di società quotate sono inoltre previsti anche specifici requisiti di onorabilità.
Trovano inoltre applicazione per il collegio sindacale delle società quotate le regole sull’equilibrio
tra donne e uomini nella composizione degli organi sociali.

225
Ai sindaci si applicano le stesse cause di ineleggibilità previste per gli amministratori. Per
assicurare la loro indipendenza sono previste però ulteriori e più restrittive cause di
incompatibilità; infatti non possono essere nominati sindaci:
a. Il coniuge, i parenti e gli affini entro il 4° grado degli amministratori, nonché degli
amministratori di società facenti parte dello stesso gruppo
b. Coloro che sono legati alla società da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo
di consulenza o prestazione d’opera retribuita, o da altri rapporti di natura patrimoniale
che ne compromettano l’indipendenza. Mentre per le società quotate, i rapporti di natura
patrimoniale o professionale non devono intercorrere anche con gli amministratori della
società o alcuni dei soggetti indicati alla lettera a).
Lo statuto poi può prevedere ulteriori cause di ineleggibilità o incompatibilità.
Per favorire l’efficacia del controllo la legge si preoccupa inoltre di arginare il diffuso fenomeno del
cumulo di incarichi. A tal fine si prevede che i soggetti designati come sindaci rendano noti
all’assemblea gli incarichi di amministrazione e controllo già ricoperti presso altre società.
In tutte le s.p.a. lo statuto può prevedere limiti al cumulo di incarichi da parte dei sindaci, ma nelle
società quotate o con strumenti finanziari diffusi tra il pubblico un tetto massimo è comunque
fissato dalla Consob.
Finalità di indipendenza dei sindaci persegue anche la disciplina del loro compenso, che dev’essere
predeterminato e invariabile in corso di carica. Infatti la retribuzione annuale dei sindaci se non è
stabilita nello statuto dev’essere determinata dall’assemblea all’atto di nomina per l’intero
periodo di durata del loro ufficio. La misura del compenso è però rimessa all’autonomia privata.
I sindaci restano in carica per 3 esercizi e sono rieleggibili. Costituiscono causa di cessazione
dall’ufficio prima della scadenza del termine: morte, revoca, rinuncia e decadenza dall’ufficio.
L’assemblea può revocare solo se sussiste una giusta causa. Inoltre la delibera di revoca
dev’essere approvata dal tribunale.
I sindaci possono dimettersi in ogni momento dall’incarico; nulla è però disposto circa la
decorrenza della rinuncia dall’ufficio. Si tende tuttavia a ritenere che la rinuncia ha effetto
immediato solo se è possibile l’automatica sostituzione con i supplenti.
Costituisce causa di decadenza dall’ufficio il sopraggiungere di una delle cause di ineleggibilità,
nonché la sospensione o cancellazione dal registro dei revisori. Decade inoltre dall’ufficio il sindaco
che, senza giustificato motivo, non assiste alle assemblee o diserta due riunioni del consiglio di
amministrazione, del comitato esecutivo o del collegio sindacale.
In caso di morte, di rinuncia o di decadenza di un sindaco, subentrano automaticamente i
supplenti in ordine di età.
Il subingresso dei supplenti ha però carattere precario; essi restano in carica fino alla successiva
assemblea, che provvede alla nomina dei sindaci effettivi e supplenti necessari per integrare
l’organo. I nuovi nominati scadono insieme ai sindaci rimasti in carica.

226
La nomina e la cessazione dall’ufficio dei sindaci devono essere iscritte a cura degli amministratori
nel registro delle imprese entro 30gg.
Il controllo sull’amministrazione
Funzione primaria del collegio sindacale è quella di controllo.
In base all’attuale disciplina, il controllo del collegio sindacale ha per oggetto l’amministrazione
della società globalmente intesa, e si estende a tutta l’attività sociale, al fine di assicurare che la
stessa venga svolta nel rispetto della legge e dell’atto costitutivo, nonché dei principi di corretta
amministrazione.
Nelle società quotate ciò comporta la necessità di vigilare sull’esistenza di un adeguato sistema di
controllo interno e sull’affidabilità del sistema amministrativo contabile nel rappresentar
correttamente i fatti di gestione. Il collegio sindacale deve inoltre vigilare sull’adeguatezza delle
disposizioni impartire alle società controllate affinchè queste forniscano le notizie necessarie per
adempiere gli obblighi di informazione nei confronti del pubblico.
La vigilanza del collegio sindacale è esercitata innanzitutto nei confronti degli amministratori in
quanto organo investito della gestione della società, ma riguarda anche l’attività dell’assemblea e
comunque può estendersi in ogni direzione.
A carico dei sindaci poi sono posti specifici poteri-doveri di iniziativa, in sostituzione dell’assemblea
e/o amministratori per assicurare il rispetto dell’attività sociale. In particolare:
a. Devono convocare l’assemblea ed eseguire le pubblicazioni prescritte per legge in caso di
omissione da parte degli amministratori
b. Devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale sociale
obbligatoria per legge, ove l’assemblea non vi provveda e gli amministratori restino inerti
Il controllo dei sindaci sull’amministrazione è un controllo di carattere globale e sintetico, le cui
modalità di esercizio sono rimesse alla discrezionalità tecnica del collegio.
Inoltre il controllo non ha carattere puramente formale: il collegio sindacale deve controllare
anche il rispetto sostanziale da parte degli amministratori degli obblighi di condotta loro imposti,
nonché dei principi di corretta amministrazione. Può altresì ammettersi che sia consentito ai
sindaci di segnalare agli amministratori e all’assemblea fatti e comportamenti che a loro avviso
esprimono una linea di gestione imprudente.
Oltre però il collegio sindacale non può spingersi (non può sindacare l’opportunità e la
convenienza di scelte operative).
Per consentire al collegio sindacale l’efficace svolgimento della propria attività, la legge pone a
carico degli amministratori numerosi obblighi di comunicazione nei confronti del primo. Obblighi
di informazione particolarmente intensi nelle società quotate. In quest’ultime gli amministratori
devono riferire tempestivamente al collegio sindacale sull’attività svolta, sulle operazioni compiute
di maggior rilievo economico, nonché su quelle a rischio di conflitto di interessi.
Infine, nelle società quotate il collegio sindacale deve comunicare senza indugio alla Consob le
irregolarità riscontrate nell’attività di vigilanza.

227
I sindaci hanno il potere-dovere di procedere in qualsiasi momento, anche individualmente, ad atti
di ispezione e controllo, nonché di chiedere agli amministratori notizie (anche con riferimento a
società controllate) sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari.
Il collegio sindacale può convocare l’assemblea “qualora nell’espletamento del suo incarico ravvisi
fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere”.
Ancora più significativo è il potere di promuovere l’azione sociale di responsabilità contro gli
amministratori, nonché sollecitare il controllo giudiziario sulla gestione. Nel contempo, nelle
società quotate la Consob può attivare il controllo giudiziario se ha fondato sospetto di gravi
irregolarità nell’adempimento di doveri dei sindaci.
La revisione legale dei conti.
Il collegio sindacale non svolge più la revisione legale dei conti, oggi affidata ad un revisor legale o
ad una società di revisione. Al riguardo il collegio sindacale è oggi tenuto a vigilare solo
sull’adeguatezza e sull’affidabilità del sistema amministrativo-contabile.
Nelle società non quotate però il suo consenso è necessario per l’iscrizione all’attivo di alcune voci
di bilancio: costi d’impianto e di ampliamento, costi d’impianto, ampliamento e sviluppo aventi
utilità pluriennale.
Conserva inoltre il potere di fare proposte all’assemblea in ordine al bilancio e alla sua
approvazione.
Tuttavia lo statuto può prevedere anche che la revisione legale dei conti sia esercitata dal collegio
sindacale. In tal caso l’intero collegio sindacale dev’essere costituito da revisori legali iscritti
nell’apposito registro. Questa opzione però non è consentita:
a. Per le società tenute a redigere il bilancio consolidato
b. Per le società qualificate come enti di interesse pubblico
c. Per le società che controllano, o sono controllate, o sono soggette a comun controllo con
un ente di interesse pubblico, salvo quelle che non rivestono significativa rilevanza
nell’ambito del gruppo secondo i criteri fissati dalla Consob
Nelle società qualificate come “enti di interesse pubblico” il collegio sindacale non esercita
direttamente il controllo contabile, ma svolge la funzione di “comitato per il controllo interno e la
revisione contabile”: è cioè preposto dalla legge a vigilare sulla revisione legale e sull’indipendenza
del soggetto incaricato di effettuarla.
Al collegio sindacale sono infine devolute per legge altre funzioni di consulenza, propositiva e di
amministrazione attiva che integrano e completano la principale funzione di controllo. Tra l’altro
deve esprimere il proprio parere sulla determinazione da parte del c. di amministrazione della
remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche e (limitatamente alle s. non
quotate) sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni nel caso di esclusione o limitazione del
diritto di opzione. Nelle società quotate invece esprime il proprio parere anche sulla nomina e
sulla revoca della società di revisione contabile.
Funzioni di amministrazione attiva sono chiamati i sindaci quando vengono meno tutti gli
amministratori, sia pure con poteri circoscritti agli atti di ordinaria amministrazione.
228
Il collegio sindacale può infine svolgere la funzione dell’organismo di vigilanza previsto dalla
disciplina in tema di responsabilità amministrativa degli enti per i reati dei propri amministratori e
dipendenti.

Il funzionamento del collegio sindacale


La disciplina del funzionamento del collegio sindacale è molto scarna. Il presidente del collegio
sindacale è nominato dall’assemblea e nelle società quotate deve essere prescelto tra i sindaci
eletti dalla minoranza.
L’organo sindacale di norma funziona collegialmente. Non mancano tuttavia specifici poteri
individuali che risultano oggi rafforzati nelle società quotate, nonché poteri che possono essere
esercitati da una minoranza di sindaci. In particolare i sindaci possono in qualsiasi momento
procedere ad atti di ispezione e di controllo, mentre spetterà sempre al collegio adottare le
decisioni che si rendono necessarie in seguito ad atti di ispezione e di controllo.
È poi certamente potere individuale quello di intervenire alle riunioni degli altri organi sociali.
Il collegio sindacale deve riunirsi ogni 90 giorni e le riunioni possono svolgersi anche con mezzi
telematici se lo statuto lo consente.
Il collegio sindacale è regolarmente costituito con la presenza della maggioranza dei sindaci e
delibera a maggioranza assoluta dei presenti. Delle riunioni dev’essere redatto processo verbale,
sottoscritto da tutti gli intervenuti e trascritto nel libro delle adunanze e deliberazioni del collegio
sindacale.
I sindaci possono avvalersi di ausiliari per lo svolgimento di specifiche operazioni di ispezione e
controllo; tuttavia la società può rifiutare agli ausiliari l’accesso a informazioni riservate.
L’attività di controllo del collegio sindacale può essere poi sollecitata dai soci, privi nella s.p.a. di
poteri individuali di controllo. Ogni socio può denunziare al collegio sindacale fatti che ritiene
censurabili. Il collegio sindacale è però obbligato a tenerne conto nella relazione annuale
all’assemblea.
Doveri specifici sono poi previsti a carico del collegio sindacale quando la denuncia provenga da
tanti soci che rappresentano il 5% del capitale sociale (2% per le s. che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio). In tal caso il collegio sindacale “deve indagare senza ritardo sui fatti denunziati
e presentare le sue conclusioni ed eventuali proposte all’assemblea”.
La responsabilità dei sindaci
Al pari degli amministratori i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la
diligenza richieste dalla natura dell’incarico, da valutare tenendo conto anche della situazione
concreta della società in cui l’ufficio di sindaco è esercitato (dimensione, composizione della
compagine sociale, struttura dell’organo amministrativo, ecc…).
I sindaci sono in particolare responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il
segreto sui fatti e documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.

229
L’obbligo al risarcimento dei danni grava esclusivamente sui sindaci qualora il danno sia imputabile
solo al mancato o negligente adempimento dei propri doveri (es: uno o più sindaci hanno violato il
dovere d’ufficio).
È più frequente però che l’evento dannoso sia conseguenza di un comportamento doloso o
colposo degli amministratori, che i sindaci avrebbero potuto prevenire. I sindaci quindi sono
responsabili in solido con gli amministratori per i fatti o omissioni di quest’ultimi, qualora il danno
non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica.
(culpa in vigilando).
La responsabilità dei sindaci sussiste sia nei confronti della società che nei confronti dei creditori
sociali.
B. LA REVISIONE LEGALE DEI CONTI
Il sistema
Nonostante le varie riforme sulla separazione del controllo sull’amministrazione dal controllo
contabile, permane un corpo di regole speciali di origine nazionale e comunitaria per la revisione
legale esercitata sulle società qualificate come “ente di interesse pubblico”. (enti cioè in relazione
ai quali sussiste un interesse generale all’accuratezza ed affidabilità dell’informazione finanziaria).
Più precisamente sono enti di interesse pubblico le società emittenti azioni o altri strumenti
finanziari quotati o diffusi tra il pubblico in maniera rilevante, nonché alcune società regolate da
leggi speciali.
La Consob, d’intesa con la Banca d’Italia e l’Ivass, può estendere con regolamento la qualifica di
ente di interesse pubblico anche a società che controllano, o sono controllate, o sono soggette a
comune controllo con altro ente di interesse pubblico.
La revisione legale degli enti di interesse pubblico dev’essere inderogabilmente esercitata da un
revisore legale esterno, senza possibilità di affidarne il compito al collegio sindacale.

Conferimento e cessazione dell’incarico


La revisione legale è esercitata da un revisore legale o da una società di revisione iscritti nel
Registro dei revisori legali dei conti, oppure se lo statuto lo consente, dal collegio sindacale.
Il Ministero dell’economia e finanze esercita la vigilanza sugli iscritti nel Registro, con ampi poteri
informativi ed ispettivi. Il Ministro può comminare sanzioni proporzionate alla gravità delle
irregolarità o delle omissioni accertate.
Il revisore esterno è nominato per la prima volta nell’atto costitutivo, successivamente l’incarico è
conferito all’assemblea, su proposta motivata dell’organo di controllo.
Il revisore legale o la società di revisione devono essere soggetti indipendenti dalla società
controllata e non devono in alcun modo essere coinvolti nel suo processo decisionale.
Il revisore è tenuto a dotarsi di procedure idonee a prevenire e rilevare tempestivamente le
situazioni che possono compromettere la sua indipendenza e qualora le stesse si verifichino, deve
230
adottare misure volte a ridurne il rischio. Ma nei casi più gravi deve astenersi dall’effettuare la
revisione legale.
Le stesse regole valgono per la società di revisione, con l’aggiunta che i soci e i componenti
dell’organo di controllo delle stesse o di società affiliate non devono intervenire sull’attività del
responsabile della revisione in modo da comprometterne l’indipendenza.
Il compenso è determinato dall’assemblea all’atto della nomina per l’intera durata dell’incarico e
in misura sufficiente a garantire la qualità e l’affidabilità dei lavori.
L’incarico di controllo o revisione contabile ha la durata di 3 esercizi con scadenza alla data
dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio ed è rinnovabile senza limiti.
L’incarico poi può essere revocato dall’assemblea solo per giusta causa, ricorrendo una delle
circostanze individuate dalla normativa regolamentare. Non costituisce tuttavia giusta causa la
divergenza di opinioni in merito ad un trattamento contabile o a procedure di revisione.
Contestualmente alla revoca, l’assemblea deve conferire l’incarico ad un nuovo revisore.
La normativa regolamentare precisa poi i casi in cui il revisore o la società di revisione possono
dimettersi, fermo restando che la società e il revisore possono sempre decidere di porre fine al
rapporto di comune accordo. In ogni caso però le dimissioni devono essere presentate in tempi e
modi tali da consentire alla società sottoposta a revisione di provvedere altrimenti.

La revisione legale degli enti di interesse pubblico.


La revisione legale degli enti di interesse pubblico è soggetta a regole speciali, a tutela
dell’interesse generale alla correttezza delle informazioni finanziarie diffuse dagli stessi.
Oggi tale attività non è più riservata alle società di revisione iscritte in un albo speciale; l’incarico
può e dev’essere conferito ad un soggetto iscritto nel Registro dei revisori legali, anche ad un
revisore persona fisica. Resta fermo però il potere di vigilanza della Consob sull’organizzazione e
sull’attività dei soggetti incaricati della revisione di un ente di interesse pubblico, al fine di
controllarne l’indipendenza e l’idoneità tecnica.
La Consob effettua periodicamente il controllo della qualità dei revisori e sulle società di revisione
che svolgono la revisione legale di enti di interesse pubblico.
La disciplina della revisione legale degli enti di interesse pubblico è caratterizzata da maggior
rigore e analiticità in merito ai requisiti di indipendenza del soggetto incaricato alla revisione.
L’incarico di revisione legale degli enti di i.p. ha durata di 9 esercizi quando è conferito a società di
revisione e di 7 esercizi per i revisori legali persona fisica. Non può essere rinnovato o nuovamente
conferito al medesimo soggetto se non sia decorso un termine minimo dalla cessazione del
precedente (periodo di raffreddamento), determinato dalla legge nazionale in almeno 3 esercizi, e
prolungato ad un quadriennio con l’entrata in vigore del regolamento UE.
È rimesso alla Consob stabilire con regolamento le situazioni che possono compromettere
l’indipendenza del revisore e le misure da adottare per rimuoverle. Taluni profili sono però
determinati dall’art 17 d.lgs. 39/2010 e dal regolamento comunitario.
231
In particolare la legge interviene sulla delicata questione dell’offerta, da parte del revisore stesso o
di soggetti a lui collegati, di servizi diversi dalla mera attività di revisione legale dei conti.
Il punto critico è che revisori o società di revisione sono in genere legati da rapporti giuridici di
varia natura (relazioni di gruppo, collegamenti azionari, ecc…) con altre società, studi legali o
professionali, esperti e professionisti autonomi. Non di rado la rete (network) di cui fa parte il
soggetto incaricato della revisione è un’organizzazione in grado di offrire una vasta gamma di
servizi giuridici, contabili, informatici, finanziari dai quali ricava lucrosi compensi.
Per recidere il fenomeno alla radice l’attuale disciplina fa divieto al revisore, a tutti i soggetti che
fanno parte della sua rete, nonché ai soci e ai dipendenti della società di revisione, componenti
degli organi di amministrazione e controllo, di prestare una serie di servizi aggiuntivi all’ente di
interesse pubblico che ha conferito l’incarico, nonché alle sue società controllate o controllanti
sottoposte a comune controllo.
Infine, la revisione legale non può essere esercitata da coloro che hanno rivestito cariche sociali, o
funzione di direttore generale o dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili presso
l’ente di interesse pubblico, se non sono trascorsi almeno 2 anni dalla cessazione di tali rapporti.
Vale lo stesso anche per i trasferimenti in senso inverso (il revisore non può rivestire cariche sociali
o funzioni dirigenziali di rilievo presso l’ente revisionato se non sono trascorsi almeno 2 anni dalla
conclusione dell’incarico).
La violazione di tali divieti è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria e l’eventuale
applicazione da parte della Consob degli ulteriori provvedimenti sanzionatori.

Funzioni e responsabilità del revisore legale dei conti.


L’attività di controllo contabile è regolata secondo i principi comuni per gli enti di interesse
pubblico e per le altre società soggette a revisione.
Funzione principale del revisore legale è quella di controllare la regolare tenuta della contabilità e
di esprimere un giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato.
Il revisore legale deve verificare nel corso dell’intero esercizio la regolare tenuta della contabilità
sociale e la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione. Deve inoltre verificare
che il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato siano conformi alle norme che li disciplinano e
rappresentino in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato
economico dell’esercizio.
L’attività di revisione è volta ad esprimere un “giudizio” sul bilancio. Giudizio che può essere
graduato secondo 4 modelli: giudizio senza rilievi, giudizio con rilievi, giudizio negativo,
dichiarazione di impossibilità di esprimere il giudizio.
Negli ultimi 3 casi il revisore espone analiticamente nella relazione i motivi della propria decisione.
Inoltre, in caso di giudizio negativo, di dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio sul
bilancio o di significativi dubbi sulla continuità aziendale di un ente di interesse pubblico, informa
immediatamente la Consob o l’autorità che esercita la vigilanza sulla società esposta a revisione.

232
Il giudizio espresso dal soggetto incaricato della revisione lascia impregiudicato il potere
dell’assemblea di approvare o meno il bilancio, che potrà essere approvato anche se il giudizio è
negativo.
Al revisore legale sono inoltre devolute per legge funzioni di consulenza in occasione di particolari
operazioni. Il soggetto incaricato del controllo contabile ha diritto di ottenere dagli amministratori
documenti e notizie utili per la revisione e può procedere autonomamente ad accertamenti,
controlli, ed esame di atti e documentazione. Tale soggetto ed il collegio sindacale si scambiano
tempestivamente le informazioni rilevanti per l’espletamento dei rispettivi compiti.
Speciali poteri sono poi attribuiti al revisore o alla società di revisione della capogruppo (revisore
di gruppo) in quanto tali soggetti sono interamente responsabili per il giudizio espresso sul bilancio
consolidato. A tal fine essi ricevono i documenti di revisione dai soggetti incaricati della revisione
delle società controllate, e possono chiedere a costoro o agli amministratori delle società
controllate ulteriori documenti o notizie. Possono inoltre procedere direttamente ad accertamenti,
controlli ed esami di documentazione presso le medesime società.
Il revisore o la società di revisione devono conservare i documenti e le carte di lavoro relativi agli
incarichi di revisione legale svolti per 10 anni dalla data della relazione di revisione, in modo da
consentire successive verifiche sul loro operato da parte dell’organo di controllo. Però non è più
richiesto che documentino l’attività svolta in un apposito libro sociale consultabile dagli
amministratori.
Il soggetto incaricato della revisione legale dei conti deve adempiere i propri doveri con diligenza
professionale; è responsabile della verità delle sue attestazioni e deve conservare il segreto su fatti
e documenti di cui ha conoscenza per ragioni del suo ufficio.
Nei confronti della società che ha conferito l’incarico, dei suoi soci e dei terzi, il revisore o la
società di revisione rispondono in solido con gli amministratori per i danni derivanti
dall’inadempimento dei loro doveri.

C. ORGANISMO DI VIGILANZA DEL D.LGS. 231/2001


L’organismo di vigilanza del d.lgs. 231/2001
Esso è un organo incaricato di vigilare sul funzionamento, l’osservanza e l’aggiornamento dei
modelli di organizzazione e gestione predisposti dagli amministratori al fine di prevenire la
commissione di reati quali può conseguire la responsabilità amministrativa della società.
La sua costituzione è sempre facoltativa, ma costituisce una delle condizioni poste dalla legge per
esonerare l’ente da responsabilità amministrativa determinata da reati commessi dai propri organi
o dipendenti. La mancata adozione del modello di prevenzione dei reati, nonché la mancata
istituzione dell’organismo di vigilanza, comportano responsabilità degli amministratori verso la
società.
Nelle società di capitali l’organismo di vigilanza può anche identificarsi con l’organo di controllo
della società (collegio sindacale, consiglio di sorveglianza, comitato per il controllo sulla gestione)

233
ma negli enti di piccole dimensioni i compiti di organismo di vigilanza possono essere svolti
direttamente dallo stesso organo amministrativo.
La legge si limita a richiedere che, ove costituito, l’organismo sia dotato di autonomi poteri di
iniziativa e di controllo. Ampia incertezza invece sussiste sia in merito alla competenza per la
nomina dei suoi componenti, sia riguardo ai poteri da attribuire all’organismo. Incertezze solo in
parte attenuate dalle linee guida redatte in materia da varie associazioni di categoria
(Confindustria, ABI, Confcooperative, ecc…).

CAPITOLO 11
SISTEMI ALTERNATIVI DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO
Il sistema dualistico.
Il sistema dualistico prevede la presenza di un consiglio di gestione ed un consiglio di sorveglianza.
La revisione legale dei conti è poi affidata ad un revisore o ad una società di revisione.
Il consiglio di gestione svolge le funzioni proprie del consiglio di amministrazione nel sistema
tradizionale.
La posizione del consiglio di sorveglianza invece è peculiare: gli sono attribuite sia le funzioni di
controllo proprie del collegio sindacale, sia alcune funzioni i indirizzo della gestione, che nel
sistema tradizionale sono proprie dell’assemblea dei soci (es: nomina e revoca dei componenti del
consiglio di gestione, approvazione del bilancio di esercizio).
La presenza del consiglio di sorveglianza riduce le competenze dell’assemblea ordinaria. Questa
infatti, nomina e revoca i componenti del consiglio di sorveglianza, ne determina il compenso e
delibera in ordine all’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti. Nomina il soggetto
incaricato di effettuare la revisione legale dei conti. Perde però la competenza per la nomina e
revoca degli amministratori ed altresì la competenza per l’approvazione del bilancio.
Lo statuto può inoltre ulteriormente comprimere il ruolo dell’assemblea attribuendo al consiglio di
sorveglianza oppure al consiglio di gestione alcune materie di competenza dell’assemblea
straordinaria (che nel sistema tradizionale possono essere attribuite all’organo amministrativo).
In questo sistema, scelte e valutazioni tipicamente imprenditoriali, sono sottratte ai soci ed
affidate ad un organo professionale, quale il consiglio di sorveglianza.

Il consiglio di sorveglianza

234
I componenti del c. di sorveglianza possono essere soci o non soci. Il loro numero, non inferiore a
3, è fissato dallo statuto. I primi componenti sono nominati nell’atto costitutivo, successivamente
la loro nomina compete all’assemblea ordinaria. La legge o lo statuto possono tuttavia riservare la
nomina di uno o più consiglieri di sorveglianza allo Stato o ad enti pubblici, purchè abbiano
partecipazioni nella società.
Lo statuto può inoltre riservare la nomina di un consigliere di sorveglianza ai possessori di
strumenti finanziari partecipativi.
Come per i sindaci nelle società quotate, almeno un componente dev’essere eletto dalla
minoranza col sistema del voto di lista secondo le modalità fissate dalla Consob. Trovano inoltre
applicazione nelle società quotate le regole sull’equilibrio tra uomini e donne nella composizione
degli organi sociali.
La legge prevede requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza dei consiglieri di
sorveglianza.
Nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio:
1. Almeno un componente effettivo del c. di sorveglianza deve essere scelto tra gli iscritti nel
registro dei revisori legali dei conti
2. Non possono essere eletti: i componenti del consiglio di gestione, nonché coloro che sono
legati alla società “da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o
prestazione d’opera retribuita che ne compromettano l’indipendenza”
3. Trovano inoltre applicazione le cause di ineleggibilità e di decadenza previste dall’art 2382
per gli amministratori

Nelle società quotate e in quelle con strumenti finanziari diffusi tra il pubblico, i consiglieri di
sorveglianza devono ulteriormente rispettare i limiti al cumulo di incarichi determinati con
regolamento dalla Consob.
Nelle sole società quotate infine i consiglieri di sorveglianza devono essere anche in possesso dei
requisiti di professionalità e onorabilità fissati per decreto dal Ministro della giustizia. Sono inoltre
interamente richiamate le cause di ineleggibilità dei sindaci fissate dall’art 148 co.3 tuf. Ne
consegue l’ineleggibilità in presenza di ogni rapporto patrimoniale che ne comprometta
l’indipendenza.
Ne consegue altresì nelle società quotate la regola dell’ineleggibilità del coniuge, dei parenti e
degli affini entro il 4° grado degli amministratori.
La retribuzione annuale dei consiglieri di sorveglianza dev’essere predeterminata ed invariabile in
corso di carica e viene determinata dall’assemblea se non è stabilita nello statuto.
I componenti restano in carica 3 esercizi e sono rieleggibili.
Come gli amministratori nel sistema tradizionale sono inoltre liberamente revocabili
dall’assemblea anche se non ricorre una giusta causa, salvo il diritto al risarcimento. È tuttavia
necessario che la delibera sia approvata con il voto favorevole di almeno 1/5 del capitale sociale.

235
Non sono previsti supplenti né altri meccanismi di reintegrazione come la cooptazione.
La nomina e la cessazione dall’ufficio dei consiglieri di sorveglianza devono essere iscritte, a cura
degli amministratori, nel registro delle imprese entro 30 giorni.

Competenze e funzionamento del consiglio di sorveglianza


Esso esercita il controllo sull’amministrazione che spetta al collegio sindacale nel sistema
tradizionale.
A tal fine vengono riconosciuti al c. di sorveglianza i medesimi poteri e diritti di informazione del
collegio sindacale nei confronti del consiglio di gestione, del soggetto che esercita la revisione
contabile e degli organi delle società controllate.
Presso le società qualificate come enti di interesse pubblico, il consiglio di sorveglianza esercita in
particolare la funzione del “comitato per il controllo interno e la gestione”, che nel sistema
tradizionale compete al collegio sindacale.
I suoi componenti devono assistere alle assemblee e possono (ma non devono) assistere alle
adunanze del consiglio di gestione. Nelle società quotate tuttavia a ciascuna riunione del consiglio
di gestione deve presenziare almeno un consigliere di sorveglianza.
Al pari del collegio sindacale inoltre, può convocare l’assemblea, previa comunicazione al
presidente del consiglio di gestione, qualora ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia
urgenza di provvedere. Deve sostituirsi agli amministratori in caso di omissione o di ingiustificato
ritardo nella convocazione dell’assemblea e nell’esecuzione delle pubblicazioni prescritte per
legge. È destinatario delle denunce dei soci. riferisce per iscritto almeno 1 volta l’anno
all’assemblea sull’attività di vigilanza svolta, sulle omissioni e sui fatti censurabili rilevati. Può
presentare denuncia al tribunale e nelle società quotate è tenuto a denunciare le irregolarità
riscontrate alla Consob.
A differenza del collegio sindacale però non è individualmente riconosciuto ai singoli consiglieri di
sorveglianza il potere di esercitare atti di ispezione e controllo. Tale potere spetta invece nelle
società quotate all’interno del consiglio di sorveglianza, che può esercitarlo tramite un
componente appositamente delegato.
Nel contempo al consiglio di sorveglianza è attribuita larga parte delle funzioni dell’assemblea
ordinaria, infatti:
a. Nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione; ne determina altresì il compenso,
salvo che la relativa competenza sia attribuita all’assemblea dallo statuto
b. Approva il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato, ma la distribuzione degli utili
rimane di competenza dell’assemblea ordinaria. Lo statuto può però prevedere che il
bilancio di esercizio sia approvato dall’assemblea in caso di mancata approvazione del c. di
sorveglianza, o quando ne è fatta richiesta da almeno 1/3 dei componenti del consiglio di
gestione o di sorveglianza
c. Promuove l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti del consiglio di gestione,
competenza quest’ultima che però conserva anche l’assemblea. Inoltre, se previsto dallo
236
statuto il consiglio di sorveglianza delibera in ordine alle operazioni strategiche ed ai piani
industriali, finanziari della società predisposti dal consiglio di gestione.
Il presidente del consiglio di sorveglianza è eletto dall’assemblea ed i suoi poteri sono determinati
dallo statuto. Al pari del collegio sindacale deve riunirsi almeno ogni 90 gg. Nelle società quotate
deve inoltre riunirsi ogni volta che un componente ne faccia richiesta al presidente, indicando gli
argomenti da trattare.
Per la valida costituzione del consiglio è necessaria la presenza della maggioranza dei componenti,
mentre le deliberazioni sono assunte a > assoluta dei presenti. Nessuna decadenza è però prevista
per i consiglieri assenteisti.
Alle deliberazioni del c. di sorveglianza si applicano le disposizioni che regolano la validità delle
deliberazioni del c. di amministrazione.
I componenti del c. di sorveglianza devono adempiere i loro doveri con la diligenza richiesta dalla
natura dell’incarico. Sono solidalmente responsabili con i componenti del consiglio di gestione per
i fatti/omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato in
conformità dei doveri della loro carica.
L’assemblea delibera l’azione di responsabilità, ma stranamente non sono richiamate le
disposizioni in tema di responsabilità verso i creditori sociali ed i singoli soci o terzi.

Il consiglio di gestione
Per il consiglio di gestione la disciplina è più scarna, le sue funzioni coincidono con quelle de
consiglio di amministrazione nel sistema tradizionale.
Il consiglio di gestione è costituito da un numero di componenti non inferiore a 2. I primi
componenti sono nominati nell’atto costitutivo, successivamente la loro nomina compete al
consiglio di sorveglianza, che ne determina anche il numero nei limiti stabiliti dallo statuto ed il
compenso.
Nelle società quotate, se i componenti sono 3 o più, si applicano le regole sull’equilibrio tra uomini
e donne nella composizione degli organi sociali; inoltre, se i componenti sono più di 4, almeno uno
deve possedere i requisiti degli amministratori indipendenti.
I componenti del consiglio di gestione sono revocabili ad nutum dal consiglio di sorveglianza, salvo
il diritto al risarcimento del danno in mancanza di giusta causa.
Essi rimangono in carica per un periodo non superiore a 3 esercizi, ma sono rieleggibili. Il mandato
dei consiglieri di gestione scade alla data della riunione del consiglio di sorveglianza convocato per
l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio.
Non trova nessuna applicazione il meccanismo della cooptazione; se dunque nel corso
dell’esercizio vengono a mancare uno o più componenti del consiglio di gestione, il consiglio di
sorveglianza provvede senza indugio alla loro sostituzione.

237
Il consiglio di gestione può delegare proprie attribuzioni ad uno o più dei suoi componenti ed in tal
caso si applica la disciplina delle deleghe del sistema tradizionale.
L’azione sociale di responsabilità contro i consiglieri di gestione può essere promossa anche dal
consiglio di sorveglianza. La relativa deliberazione è assunta a maggioranza dei componenti e
comporta la revoca di ufficio dei consiglieri di gestione se è approvata con la maggioranza dei 2/3
dei consiglieri di sorveglianza. In tal caso il c. di sorveglianza provvede contestualmente alla
sostituzione.
Lo stesso c. di sorveglianza può rinunciare all’esercizio dell’azione di responsabilità o può
transigerla, purchè la relativa delibera sia approvata dalla > dei suoi componenti e purchè non si
opponga la % dei soci prevista dalla corrispondente disciplina dettata per la rinuncia o transazione
da parte dell’assemblea.
In ogni caso la rinuncia all’azione da pare della società o del consiglio di sorveglianza, non
impedisce l’esercizio dell’azione sciale di responsabilità da parte dei soci di minoranza, nonché
l’azione da parte dei creditori sociali.

Il sistema monistico
Il sistema monistico si caratterizza per la soppressione del collegio sindacale. L’amministrazione ed
il controllo sono infatti esercitati dal consiglio dell’amministrazione e da un comitato per il
controllo sulla gestione, costituito al suo interno, che svolge le funzioni proprie del collegio
sindacale. Anche nel sistema monistico la revisione legale dei conti è poi affidata ad un revisore o
ad una società di revisione.
Al consiglio di amministrazione, eletto dall’assemblea, si applicano in quanto compatibili le
disposizioni dettate per gli amministratori nel sistema tradizionale, con una sola ma significativa
differenza determinata dal fatto che dal suo ambito devono essere estratti i componenti
dell’organo di controllo.
È infatti previsto che almeno 1/3 dei componenti del consiglio di amministrazione dev’essere in
possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci e, se lo statuto lo prevede, di quelli
previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di
mercati regolamentati.
Nelle società quotate, un amministratore indipendente dev’essere nominato dalla minoranza
tramite il sistema delle liste.
Salvo diversa disposizione statutaria, i componenti del comitato per il controllo sulla gestione sono
nominati dallo stesso consiglio di amministrazione tra i consiglieri in possesso di tali requisiti di
indipendenza, nonché dei requisiti di onorabilità e professionalità eventualmente stabiliti dallo
statuto.

238
Almeno uno dei componenti dev’essere scelto tra gli iscritti ne registro dei revisori legali dei conti.
Si richiede inoltre che essi non siano membri del comitato esecutivo e che non svolgano funzioni
gestorie neppure in società controllanti o controllate.
Come per i sindaci e i consiglieri di sorveglianza, nelle società quotate e in quelle con strumenti
finanziari diffusi, i componenti de comitato per il controllo sulla gestione devono rispettare i limiti
al cumulo di incarichi fissati dalla Consob con regolamento.
Se la società è quotata inoltre i componenti del compitato per il controllo sulla gestione devono
essere in possesso dei requisiti di professionalità e onorabilità fissati per decreto dal Ministro della
giustizia. L’amministratore indipendente nominato dalla minoranza è componente del comitato;
tra i componenti della minoranza dev’essere nominato il presidente del comitato per il controllo
sulla gestione.
Il consiglio di amministrazione determina anche il numero dei componenti del comitato per il
controllo sulla gestione, che comunque non può essere >3 nelle società che fanno ricorso al m. del
c. di rischio.
Si ritiene inoltre, anche se la legge non lo precisa, che lo stesso consiglio di amministrazione possa
revocare i componenti del comitato per il controllo sulla gestione anche senza giusta causa.
Concorre con tale potere anche il potere dell’assemblea di revocare gli amministratori, che
comporta anche la perdita della carica di componente del comitato eventualmente ricoperta.
Il c. di amministrazione provvede infine alla sostituzione in caso di morte, rinuncia, revoca o
decadenza di un componente del comitato, scegliendo tra gli amministratori in carica in possesso
dei necessari requisiti di indipendenza, onorabilità e professionalità.
Se non vi sono amministratori eleggibili, il consiglio di amministrazione procede a cooptarne di
nuovi.
Il comitato per il controllo sulla gestione svolge funzioni sostanzialmente coincidenti con quelle del
collegio sindacale, cioè vigila sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società, del
sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sulla sua idoneità a
rappresentare adeguatamente i fatti di gestione.
Il comitato per il controllo sulla gestione svolge anche il compito di “comitato per il controllo
interno e la gestone”, incaricato di vigilare sulla revisione legale e sull’indipendenza del revisore
degli enti di interesse pubblico.
In quanto organo di controllo interno della società è destinatario delle denunzie dei soci di fatti
censurabili ex art 2408 e può a sua volta presentare denunzia al tribunale ex art 2409 ove riscontri
gravi irregolarità di gestione potenzialmente dannose. Nelle società quotate è pure tenuto a
denunciare alla Consob le irregolarità eventualmente riscontrate.
I componenti del comitato per il controllo devono assistere alle assemblee, alle adunanze del c. di
amministrazione e del comitato esecutivo ma non è prevista la decadenza automatica in caso di
assenze ripetute (a differenza dei sindaci) pur potendo tali inadempienze essere valutate come
giusta causa di revoca.

239
La disciplina delle società quotate riconosce al comitato per il controllo sulla gestione i medesimi
poteri e diritti di informazione del collegio sindacale (e del consiglio di sorveglianza) nei confronti
degli altri amministratori, del soggetto che esercita la revisione dei conti e dei corrispondenti
organi delle società controllate.
Estremamente scarna è infine la disciplina del funzionamento del comitato per il controllo sulla
gestione. Il comitato elegge al suo interno un presidente ed opera con l’osservanza delle norme di
funzionamento dettate per il collegio sindacale.
In particolare deve riunirsi almeno ogni 90gg, è regolarmente costituito con la maggioranza dei
componenti e delibera a maggioranza assoluta dei presenti.
Il punto debole di questo sistema consiste nel fatto che i controllori sono direttamente nominati
dai controllati, siedono insieme a quest’ultimi e votano nel consiglio di amministrazione. La
funzionalità del sistema perciò gioca tutta sulla effettiva “indipendenza” dei chiamati alla funzione
di controllori.

CAPITOLO 12
I CONTROLLI ESTERNI
Il sistema.
I controlli esterni sono diretti a tutelare anche interessi ulteriori e diversi rispetto a quelli
tradizionali dei soci di minoranza e dei creditori sociali. Il sistema dei controlli esterni non è però
identico per tutte le società per azioni.
Comune a tutte le s.p.a. è infatti solo il controllo esterno sulla gestione esercitato dall’autorità
giudiziaria in presenza di situazioni patologiche che ne alterano il corretto funzionamento.
Nel contempo, a partire dalla riforma del 1974, le società con azioni quotate in borsa e quelle che
istituzionalmente operano sul mercato mobiliare sono assoggettate al controllo della Consob.
Il quadro dei controlli esterni va poi completato tenendo presenti i controlli pubblici cui sono
sottoposte le società che svolgono la loro attività in settori di particolare rilievo economico e
sociale. Ad esempio sono sottoposte al controllo della Banca d’Italia le società bancarie, le società
di gestione del risparmio, le società di intermediazione mobiliare; alla vigilanza dell’Ivass le
imprese assicuratrici; alla vigilanza del Coni le società sportive professionistiche.

Il controllo giudiziario sulla gestione. Presupposti ed iniziativa.


240
Il controllo giudiziario sulla gestione delle società per azioni è una forma di intervento dell’autorità
giudiziaria nella vita delle società volta a ripristinare la legalità dell’amministrazione delle stesse.
La relativa disciplina ha subìto però significative modifiche con la riforma del 98 e quella del 2003.
In base all’attuale disciplina il procedimento può essere attuato se vi è il fondato sospetto che gli
amministratori (ma non più i sindaci) “in violazione dei loro doveri abbiano compiuto gravi
irregolarità nella gestione” ma, si chiede ulteriormente che le stesse “posano arrecare danno alla
società o a una o più società controllate”. Compito del tribunale è quello di accertare le irregolarità
denunciate e di rimuoverne gli effetti con opportuni provvedimenti.
Il controllo previsto dall’art 2409 è quindi un controllo di legalità o meglio di regolarità della
gestione, azionabile di regola solo in presenza di irregolarità gravi e potenzialmente dannose che
investono l’operato degli amministratori.
L’art 2409 non è quindi azionabile quando si tratta di illegalità o irregolarità imputabili
esclusivamente all’assemblea, dato che altri sono i rimedi esperibili in tal caso.
Inoltre, l’autorità giudiziaria non è legittimata ad intervenire quando vengano denunziate censure
che riguardano esclusivamente il merito (opportunità e convenienza) delle decisioni degli
amministratori.
Le gravi irregolarità possono essere denunziate:
1. Dai soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale; limitazione volta ad
evitare iniziative pretestuose da parte di titolari di % minime del capitale. Nelle società che
fanno ricorso al mercato del capitale di rischio la percentuale richiesta è ridotta al 5%.
Inoltre, in tutte le società lo statuto può prevedere % inferiori.
2. In tutte le società l’iniziativa può essere assunta anche dal collegio sindacale o dal
corrispondente organo di controllo nei sistemi alternativi
3. Nelle società che fanno ricorso al m. del c. di rischio l’iniziativa può essere assunta anche
dal pubblico ministero. Per un verso però il pubblico ministero non può agire ex art 2409
per la tutela di interessi pubblici ulteriori e diversi (es: tutela dell’economia nazionale); per
altro verso lo stesso è legittimato ad agire quand’anche le irregolarità siano state
commesse con l’approvazione nell’assemblea o con l’accondiscendenza di tutti i soci.
4. Nelle società quotate, inoltre, è legittimata anche la Consob, quando sospetti gravi
irregolarità nell’adempimento dei doveri dei sindaci, del consiglio di sorveglianza o del
comitato per il controllo sulla gestione
5. Infine, dal commissario giudiziale o straordinario di una società in amministrazione
straordinaria e dal commissario liquidatore di una società fiduciaria in liquidazione coatta
amministrativa, nei confronti degli amministratori e sindaci di un’altra società facente
parte dello stesso gruppo.
Il tribunale invece non può procedere d’ufficio.
I soci denunzianti e gli altri soggetti legittimati non sono tenuti a provare l’effettiva esistenza delle
gravi irregolarità: è sufficiente che essi documentino l’esistenza di un “fondato sospetto”.

241
Condizione necessaria e sufficiente per l’attivazione del procedimento è che le irregolarità
denunziate sussistano, che siano potenzialmente dannose e non siano nel frattempo rimosse, così
permanendo i pericoli connessi ad una gestione non condotta secondo criteri di legalità.
Il procedimento
Il procedimento attivato con la denunzia si articola in 2 fasi.
Una prima fase di carattere istruttorio, è diretta ad accertare l’esistenza delle irregolarità e ad
individuare i provvedimenti da adottare per rimuoverle. A tal fine il tribunale deve sentire in
camera di consiglio tutti gli amministratori ed i sindaci. La mancata audizione è causa di nullità del
procedimento.
Il tribunale può inoltre far eseguire l’ispezione dell’amministrazione della società da parte di un
consulente designato dallo stesso tribunale. Le relative spese sono a carico dei soci richiedenti, ai
quali potrà essere anche richiesto il versamento di una cauzione; sono invece a carico della società
qualora l’iniziativa sia assunta dagli altri soggetti sopra indicati. Il provvedimento è reclamabile.
Tuttavia, il gruppo di comando della società può evitare l’ispezione ed il controllo ed ottenere dal
tribunale la sospensione del procedimento per un periodo determinato, se l’assemblea sostituisce
amministratori e sindaci “con soggetti di adeguata professionalità, che si attivano senza indugio
per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarle”, riferendo al tribunale
sugli accertamenti e le attività compiute.
Se quest’ultimi risultano insufficienti all’eliminazione delle violazioni denunziate ed accertate dal
tribunale, questo ha di fronte a sé due strade.
Il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti provvisori per evitare il ripetersi di
irregolarità e nel contempo convocare l’assemblea della società per le deliberazioni conseguenti.
Deliberazioni che però l’assemblea è libera di adottare o meno.
Nei casi più gravi, si può rendere necessario l’intervento di un elemento estraneo per riportare
ordine nella gestione della società. In tal caso il tribunale revoca gli amministratori ed
eventualmente anche i sindaci e nomina un amministratore giudiziario.
I poteri e la durata in carica dell’amministratore giudiziario sono determinati dal tribunale con
decreto di nomina. L’amministratore giudiziario è comunque investito per legge del potere di
proporre l’azione di responsabilità contro gli amministratori ed i sindaci (azione che quindi è
sottratta alla preventiva deliberazione dell’assemblea dei soci). La società può tuttavia rinunciare
all’azione o transigerla con l’osservanza della disciplina al riguardo prevista dall’art 2393 ultimo
comma.
L’amministratore giudiziario ha la qualifica di pubblico ufficiale per quanto attiene all’esercizio
delle sue funzioni. Il suo compenso, a carico della società, è determinato dal tribunale. Può essere
revocato dal tribunale su richiesta dei soggetti legittimati a chiederne la nomina. Al termine del
suo ufficio deve rendere al tribunale il conto della propria gestione secondo una particolare
procedura.
L’amministratore giudiziario ha la rappresentanza della società, ma non può compiere atti
eccedenti l’ordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del tribunale.
242
Prima della scadenza del suo incarico deve convocare l’assemblea per la nomina dei nuovi
amministratori e sindaci; egli può però proporre in alternativa all’assemblea la messa in
liquidazione della società o la sua sottoposizione ad una procedura concorsuale. L’assemblea è
comunque libera di deliberare o meno nel senso proposto dall’amministratore giudiziario.

La Consob
La Consob (Commissione nazionale per le società e la borsa) è un organo pubblico di vigilanza sul
mercato dei capitali. Attualmente la Consob è una persona giuridica di diritto pubblico, che gode di
piena autonomia nei limiti stabiliti dalla legge. Ha sede a Roma ed una sede secondaria a Milano.
La Commissione ha ampi poteri normativi e regolamentari nelle materie ad essa riservate per
legge. Le sue deliberazioni sono adottate collegialmente, salvo casi di urgenza previsti dalla legge,
e non è ammessa delega permanente di funzioni ai commissari. Il presidente sovraintende
all’attività istruttoria e cura l’esecuzione delle deliberazioni.
La Commissione e le altre autorità di vigilanza sul mercato finanziario (Banca d’Italia, Ivass,…)
collaborano tra loro, anche mediante scambio di informazioni, al fine di agevolare le rispettive
funzioni e non possono reciprocamente opporsi il segreto d’ufficio.
Al medesimo fine la Consob collabora anche con le autorità competenti dell’UE e di singoli stati
comunitari o extracomunitari.
La Consob è progressivamente divenuta organo di controllo dell’intero mercato mobiliare, dei
soggetti che sullo stesso operano e di ogni operazione di sollecitazione del pubblico risparmio
attraverso l’emissione ed il collocamento di strumenti finanziari.
La Consob attualmente vigila, insieme alla Banca d’Italia, sugli intermediati mobiliari con lo
specifico fine di garantire “la trasparenza e la correttezza dei comportamenti” degli stessi.
Vigila inoltre sui mercati regolamentati di strumenti finanziari al fine di assicurare la trasparenza, il
regolare svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori.
Vigila infine su tutti gli emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico “avendo riguardo alla
tutela degli investitori, nonché all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario
e del mercato dei capitali”.

Ammissione delle azioni alle quotazioni di borsa


La privatizzazione della borsa valori realizzata nel 1997 ha determinato un significativo mutamento
della disciplina in tema di ammissione delle azioni quotate in borsa, sospensione e revoca. Le
relative competenze, in precedenza affidate alla Consob, sono state trasferite alla società di
gestione del mercato regolamentato.
In base all’attuale disciplina le condizioni e le modalità di ammissione, esclusione e sospensione
delle azioni delle negoziazioni sono determinate dal regolamento di mercato predisposto dalla
243
società di gestione dello stesso. La Consob a sua volta autorizza l’esercizio dei mercati
regolamentati previo accertamento che il relativo regolamento è idoneo ad assicurare la
trasparenza del mercato, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori.
A partire dal 98 l’ammissione, la sospensione e l’esclusione delle azioni della borsa sono perciò
disposte dalla società di gestione, con l’osservanza delle condizioni e procedure stabilite nel
relativo regolamento.
L’ammissione avviene esclusivamente su domanda della società interessata “previa deliberazione
dell’organo competente”, da individuare nell’assemblea dei soci.
La società di gestione del mercato delibera entro 2 mesi dalla presentazione della domanda e
comunica l’ammissione o il rigetto della domanda all’emittente ed alla Consob. Di regola però, la
decisione di ammissione può essere eseguita solo dopo 5 giorni dalla ricezione della
comunicazione presso la Consob.
L’inizio delle negoziazioni deve di regola essere preceduto dalla pubblicazione di un prospetto di
quotazione contenente le informazioni necessarie “affinchè gli investitori possano pervenire ad un
fondato giudizio sull’investimento proposto, sui diritti ad esso connessi e sui relativi rischi”.
La prima ammissione delle azioni alle quotazioni in borsa ha rilevanti conseguenze giuridiche: da
tale momento la società è sottoposta al controllo permanente della Consob.
La società di gestione dispone anche la sospensione o l’esclusione delle azioni dalla quotazione,
sempre dandone immediata comunicazione alla Consob. Anche in questo caso la Consob può
entro 5 giorni dalla ricezione vietare l’esecuzione dei provvedimenti di esclusione o ordinare la
revoca della sospensione.
La sospensione può essere disposta se non è temporaneamente garantita la regolarità del mercato
o se lo richiede la tutela degli investitori. Il più grave provvedimento di esclusione invece può
essere adottato in caso di prolungata carenza delle negoziazioni o quando non sia possibile
mantenere un mercato normale e regolare. Solo con l’esclusione dalle negoziazioni la società cessa
di essere sottoposta al controllo della Consob.
La società può inoltre chiedere, con deliberazione dell’assemblea straordinaria, l’esclusione dalle
negoziazioni se ottiene l’ammissione in altro mercato regolamentato italiano o straniero, purchè
sia garantita una tutela equivalente agli investitori. Mentre in assenza di tali condizioni, si tende ad
ammettere che la società possa domandare di essere esclusa dalle negoziazioni con deliberazione
dell’assemblea straordinaria, ma ai soci che non hanno concorso a tale deliberazione spetta il
diritto di recesso.
Consob e informazione societaria
La Consob svolge un ruolo centrale per assicurare un’adeguata e veritiera informazione del
mercato mobiliare sugli eventi di rilievo che riguardano la vita delle società che fanno appello al
pubblico risparmio.
In base all’attuale disciplina sono assoggettati ad obblighi informativi nei confronti del pubblico:
a. Tutti gli emittenti di strumenti finanziari quotati, anche diversi dalle azioni

244
b. Gli emittenti di strumenti finanziari non quotati in mercati italiani, ma diffusi tra il pubblico
in misura rilevante, individuati secondo i criteri fissati dalla Consob
c. Gli emittenti strumenti finanziari negoziati, su richiesta o con il consenso della stessa
società, in un sistema multilaterale di negoziazione avente le caratteristiche fissate dalla
Consob
La disciplina della trasparenza ed il relativo controllo da parte della Consob sono perciò estesi a
tutte le società, quotate e non, con azioni o obbligazioni diffuse tra il pubblico.
Due sono i principi cardine dell’attuale disciplina:
1. I soggetti sopra indicati devono comunicare al pubblico senza indugio le informazioni
privilegiate che li riguardano o che riguardano controllate. Vale a dire, devono comunicare
qualsiasi informazione precisa e non ancora resa pubblica la cui conoscenza può
influenzare sensibilmente il prezzo degli strumenti finanziari.
I soggetti obbligati possono ritardare la comunicazione al pubblico delle informazioni
privilegiate, nelle ipotesi e nelle condizioni stabilite dalla Consob con regolamento (es:
decisioni non ancora definitive,…) ma sempre che ciò non possa indurre il pubblico in
errore su fatti e circostanze essenziali, e a condizione che gli stessi soggetti siano in grado di
garantirne la riservatezza.
2. A tale obbligo di informazione si affianca poi il potere della Consob di richiedere, anche in
via generale, che siano resi pubblici notizie e documenti necessari per l’informazione del
pubblico. Potere che può essere esercitato anche nei confronti dei soggetti che li
controllano, dei relativi componenti degli organi di amministrazione e controllo, dei
dirigenti, dei soggetti titolari di partecipazioni rilevanti e dei partecipanti a patti parasociali.

Avvalendosi degli ampi poteri sovraesposti, la Consob ha prescritto specifici obblighi di


informazione preventiva nei confronti del pubblico, nonché la trasmissione alla stessa della
relativa documentazione al fine di verificare la correttezza delle informazioni fornite, per una serie
di operazioni straordinarie: acquisizione e cessione di pacchetti azionari, acquisto e vendita di
azioni proprie, fusioni e scissioni, riduzione del capitale sociale per perdite, modifiche dell’atto
costitutivo, emissione di obbligazioni.
La Consob ha inoltre prescritto che siano messi tempestivamente a disposizione del pubblico i
documenti contabili periodici: bilancio di esercizio, relazioni semestrali.
Le società quotate devono inoltre redigere in ogni esercizio una “Relazione sul governo societario
e gli aspetti proprietari” che può consistere in una speciale sezione della relazione sulla gestione
allegata al bilancio, oppure in un separato documento approvato dall’organo amministrativo e
pubblicato congiuntamente alla relazione sulla gestione o, infine, in un documento pubblicato sul
sito internet della società.
Nella relazione sul governo societario sono riportate infine una serie di informazioni stabilite dalla
legge, rilevanti al fine di valutare il grado di contendibilità del controllo della società in caso di
scalata ostile. Vi sono altresì descritte le principali caratteristiche organizzative della società, tra cui
i meccanismi di funzionamento e i poteri degli organi sociali e di eventuali comitati interni.

245
L’organo amministrativo deve anche attestare se la società aderisce ad un codice di
comportamento in materia di governo societario promosso da società di gestione di mercati
regolamentati o associazioni di categoria.
Le informazioni di cui è prescritta la pubblicazione (informazioni regolamentate) devono essere
depositate presso la Consob e la società di gestione del mercato dove avviene la quotazione.
La Consob è investita di ampi poteri di indagine ed intervento al fine di vigilare sulla correttezza
dell’informazione fornita al pubblico.
La Consob può richiedere agli emittenti quotati, ai soggetti che li controllano e alle società dagli
stessi controllate, la comunicazione di notizie e documenti. Può assumere informazioni dai
componenti dei loro organi sociali, dai direttori generali, dai dirigenti e dalle società di revisione,
nonché dai soggetti che vi detengono una partecipazione rilevante o partecipano ad un atto
parasociale. Può eseguire ispezioni presso tutte le società e i soggetti indicati, al fine di controllare
i documenti aziendali ed acquisirne copia.
Nell’accertamento dei reati di abuso di informazioni privilegiate (insider trading) e manipolazione
del mercato, la Consob può nei confronti di chiunque possa essere informato dei fatti, richiedere
notizie, dati, documenti, procedere ad audizione personale, ottenere informazioni ed accedere a
banche dati di altre amministrazioni pubbliche, etc…
Nell’esercizio delle indagini può avvalersi dell’assistenza della guardia di finanza.
La Consob infine stabilisce con quali modalità devono essere comunicate al pubblico o ai singoli
investitori ricerche, valutazioni o altre informazioni volte a proporre o raccomandare strategie di
investimento su strumenti finanziari quotati.
La legge a riguardo fissa il principio che i soggetti che effettuano tali raccomandazioni, devono
prestare le informazioni in maniera oggettiva e devono palesare l’esistenza di ogni loro interesse
riguardo agli strumenti finanziari a cui l’informazione si riferisce.

246
CAPITOLO 13
I LIBRI SOCIALI. IL BILANCIO.
I libri sociali obbligatori.
Oltre i libri e le scritture contabili previsti in via generale per l’imprenditore commerciale, la s.p.a.
deve tenere anche i libri sociali indicati dall’art 2421 e destinati a documentare i profili esenziali
dell’organizzazione e della vita della società.
I libri sociali obbligatori sono:
1. LIBRO DEI SOCI: devono essere indicati il numero delle azioni emesse, il nome e cognome
dei titolari delle azioni nominative, i trasferimenti ed i vincoli ad esse relativi, nonché i
versamenti eseguiti
2. LIBRO DELLE OBBLIGAZIONI: devono essere indicati l’ammontare delle obbligazioni emesse
e di quelle estinte, il cognome e nome dei titoli di obbligazioni nominative, nonché i
trasferimenti ed i vincoli ad esse relativi
3. IL LIBRO DELLE ADUNANZE E DELLE DELIBERAZIONI DELLE ASSEMBLEE
4. IL LIBRO DELLE ADUNANZE E DELLE DELIBERAZIONI DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
5. IL LIBRO DELLE ADUNANZE E DELLE DELIBERAZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE, o del
consiglio di sorveglianza o comitato per il controllo sulla gestione
6. IL LIBRO DELLE ADUNANZE E DELIBERAZIONI DEL COMITATO ESECUTIVO, se tale organo è
istituito
7. IL LIBRO DELLE ADUNANZE E DELIBERAZIONI DELL’ASSEMBLEA DEGLI AZIONISTI
8. IL LIBRO DEGLI STRUMENTI FINANZIARI DI PARTECIPAZIONE AD UNO SPECIFICO AFFARE.
I primi quattro libri sono tenuti a cura degli amministratori, il quinto a cura del collegio sindacale, il
sesto a cura del comitato esecutivo e il settimo a cura del rappresentante comune degli
obbligazionisti.
Il bilancio di esercizio
Al pari di ogni imprenditore assoggettato all’obbligo di tenuta delle scritture contabili, la società
per azioni deve redigere annualmente il bilancio di esercizio. Il bilancio di esercizio è il documento
contabile che rappresenta in modo chiaro, veritiero e corretto la situazione patrimoniale e
finanziaria della società alla fine di ciascun esercizio, nonché il risultato economico dell’esercizio
stesso. Funzione essenziale del bilancio è quindi quella di accertare periodicamente la situazione
del patrimonio (aspetto statico) e la redditività (aspetto dinamico) della società. È il riferimento

247
legislativo per la corretta applicazione del complesso di norme posto a salvaguardia dell’integrità
del capitale sociale.
Nelle spa il bilancio di esercizio costituisce nel contempo un essenziale strumento di informazione
contabile dei soci e dei terzi. Ha inoltre rilievo anche per l’applicazione della normativa tributaria,
in quanto costituisce per il fisco il termine di riferimento per la tassazione periodica del reddito
della società (Ires).
L’attuale disciplina ha tuttavia soppresso la disposizione che in precedenza consentiva di effettuare
rettifiche di valore esclusivamente in applicazione della normativa fiscale, così eliminando le
possibili interferenze di quest’ultima sul risultato d’esercizio in base alla disciplina civilistica. Nel
contempo sono state introdotte disposizioni per l’iscrizione in bilancio delle imposte pagate
anticipatamente e di quelle differite.
Il legislatore si è mosso nel corso degli anni, dall’esigenza che il bilancio fornisca ai soci e ai terzi
un’informazione contabile il più possibile chiara, completa e veritiera sulla situazione patrimoniale
e sui risultati economici della società. In particolare, la disciplina civilistica di carattere generale è
stata profondamente innovata dal d.lgs. 9-4-1991 n.127. ulteriori modifiche sono state apportate
dalla riforma de 2003 per risolvere alcuni problemi che erano rimasti insoluti. Come anticipato, è
stato risolto il problema dei rapporti tra disciplina civilistica e normativa fiscale in tema di bilancio
ed è stato definito il trattamento di alcune operazioni ignorate dalla previgente disciplina (es:
operazioni in valuta estera, locazione finanziaria,…)
Altre e più importanti modifiche sono tuttavia intervenute nella materia per effetto del diritto
comunitario. È stato infatti disposto che a partire dal 2005 alcune società siano obbligate, ed altre
abbiano la facoltà di redigere i propri bilanci in base ai principi contabili internazionali. In tal modo
l’UE ha inteso rendere confrontabili i bilanci di imprese operanti in Stati diversi, superando le
preesistenti divergenze tra le normative nazionali. I principi contabili internazionali riconosciuti
dall’UE sono emanati dall’ International Accouting Standard Board (IASB). Prendono il nome di
International Accounting Standard (IAS) quelli approvati fino al 1 aprile 2001, e di International
Financial Reporting Standard (IFRS) quelli successivi. Costituiscono inoltre parte integrante dei
principi contabili internazionali le interpretazioni degli stessi redatte dallo IASB.
L’impiego dei principi contabili internazionali è obbligatorio per la redazione dei bilanci di esercizio
e consolidato dalle società con azioni o altri strumenti finanziari quotati (in Italia o altro stato
membro dell’UE), o diffusi tra il pubblico in maniera rilevante. È inoltre obbligatorio per le società
che esercitano particolari attività: banche, società di assicurazione, società di intermediazione
finanziaria e mobiliare. L’adozione dei principi contabili internazionali invece non è consentita alle
società che possono redigere il bilancio in forma abbreviata. Queste società di dimensioni medio-
piccole sono dunque tenute a redigere il bilancio secondo la disciplina del codice civile. Per tutte le
altre spa, l’adozione dei principi contabili internazionali è facoltativa. Una volta adottati i principi
contabili internazionali, la scelta non è revocabile, salvo che ricorrano circostanze eccezionali
adeguatamente illustrate in nota integrativa. Si vuole così impedire che la modifica dei criteri di
redazione del bilancio si volta a falsare la rappresentazione dei risultati di esercizio.

Principi fondamentali della disciplina del bilancio


248
Pur divergendo sotto molti profili, la disciplina nazionale e i principi contabili internazionali
condividono alcuni postulati. Infatti, principi cardine che dominano la redazione del bilancio sono
quelli della chiarezza della rappresentazione veritiera e corretta. Il nostro codice afferma al
riguardo che “il bilancio dev’essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e
corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico
dell’esercizio”. Analogamente, i principi contabili internazionali prescrivono che il bilancio debba
fornire una fedele rappresentazione (fair presentation) della situazione patrimoniale, finanziaria,
del risultato economico e dei flussi finanziari della società. Il principio di chiarezza trova poi
sviluppo nelle norme che disciplinano la struttura ed il contenuto del bilancio; quello di verità e
correttezza nelle norme che fissano i criteri di valutazione delle diverse fonti patrimoniali. È oggi
certo poi che chiarezza dell’informazione e rappresentazione veritiera e corretta costituiscono
vere e proprie clausole generali sovraordinate, che integrano e completano la relativa normativa di
dettaglio. È infatti espressamente stabilito che:
a. È obbligatorio fornire le informazioni ulteriori necessarie, se quelle richieste da specifica
disposizione di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta
b. Le specifiche disposizioni di legge non devono essere applicate se, in casi eccezionali, la
loro applicazione è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta. Gli
amministratori sono tenuti a motivare le deroghe in nota integrativa e ad indicarne
l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e sul risultato
economico.
Ulteriori principi comuni di redazione del bilancio, integrano, specificano e rafforzano le sovra
esposte clausole generali. È infatti stabilito che:
a. La valutazione delle voci di bilancio dev’essere fatta secondo prudenza, e nella prospettiva
di continuazione dell’attività, al fine di evitare che dal bilancio risultino utili non
effettivamente realizzati; anche se la disciplina nazionale ed i principi contabili
internazionali danno poi attuazione al principio di prudenza in maniera non sempre
coincidente. Nel contempo si deve altresì tenere conto della funzione economica
dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato, al fine di far prevalere quest’ultima in
caso di contrasto con i criteri formali di iscrizione in bilancio (principio di prevalenza della
sostanza sulla forma)
b. Nella redazione del bilancio si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza
dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento, nonché dei
rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio anche se conosciuti dopo la chiusura
dello stesso ma prima della redazione del bilancio. Il bilancio di esercizio è cioè un bilancio
di competenza e non di cassa.
c. I criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro, se non in casi
eccezionali e con l’obbligo degli amministratori di motivare la deroga nella nota integrativa
e di illustrarne l’influenza. E ciò per un’evidente esigenza di comparabilità di bilanci di
successivi esercizi. Al generale principio di chiarezza si ricollega infine la regola secondo cui
elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente

La struttura del bilancio redatto secondo la disciplina del codice civile


249
Per la nostra legge il bilancio si articola in 4 parti destinate ad integrarsi reciprocamente: lo stato
patrimoniale, il conto economico, la nota integrativa ed oggi anche il rendiconto finanziario. Deve
inoltre essere corredato dalla Relazione sulla gestione degli amministratori, nonché dalle relazioni
del collegio sindacale e del revisore legale dei conti che però non ne costituiscono parte
integrante. In applicazione del principio di chiarezza sono dettagliatamente indicate le voci che
devono figurare nello Stato patrimoniale e nel Conto Economico. Inoltre sono dettate le regole
generali che devono essere rispettate nella redazione di tali documenti:
a. Le singole voci devono essere inserite nello stato patrimoniale e nel conto economico
secondo l’ordine tassativo previsto per legge
b. Le voci sono organizzate in grandi categorie omogenee, a loro volta articolate in
sottocategorie, in voci, e in alcuni casi anche in sottovoce
c. Per ogni voce dello SP e del CE dev’essere indicato l’importo della voce corrispondente
all’esercizio precedente al fine di consentire l’agevole confronto col bilancio degli esercizi
precedenti
d. È vietato il compenso delle partite
Ne contempo, data la maggiore complessità ed analiticità dell’attuale bilancio, alle società che non
superano determinate dimensioni, in base a parametri riferiti all’attivo patrimoniale, al fatturato e
al numero di dipendenti, è consentita la redazione di un bilancio in forma abbreviata, nel quale è
ridotto il numero di voci dello stato patrimoniale e del conto economico, nonché delle indicazioni
richieste nella nota integrativa.
Lo stato patrimoniale rappresenta in modo sintetico la composizione quantitativa e qualitativa del
patrimonio della società (attività e passività) e la sua situazione finanziaria nel giorno di chiusura
dell’esercizio. Consente inoltre l’immediata conoscenza del patrimonio netto della società. Lo
stato patrimoniale dev’essere redatto nella forma a colonne secondo lo schema rigido fissato
dall’art 2434. Le voci dell’attivo sono ordinate in 4 grandi categorie ordinate secondo il criterio di
liquidità crescente (salvo la prima):
a. Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti
b. Immobilizzazioni
c. Attivo circolante
d. Ratei e risconti attivi
Passando al passivo dello stato patrimoniale, le relative voci sono aggregate in 5 categorie:
a. Patrimonio netto
b. Fondi rischi e oneri
c. Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato
d. Debiti
e. Ratei e riscontri passivi
In calce allo stato patrimoniale sono infine iscritti i CONTI D’ORDINE, la cui funzione è quella di
informare sull’esistenza di rischi ed impegni futuri, che non incidono attualmente sulla consistenza
patrimoniale.

250
Il conto economico espone il risultato economico dell’esercizio (utile o perdita) attraverso la
rappresentazione dei costi e degli oneri sostenuti, nonché dei ricavi e degli altri proventi conseguiti
nell’esercizio. Dev’essere redatto in forma espositiva scalare; questa struttura consente una
miglior valutazione del risultato d’esercizio, attraverso una serie di totali parziali che permettono
di tenere distinto il risultato della specifica attività della società (utile o perdita nella gestione
ordinaria) da quello determinato da oneri e proventi di diversa natura (risultato della gestione
finanziaria straordinaria).
A tal fine il conto economico è articolato in 4 sezioni scalari:
a. Valore della produzione
b. Costi della produzione
c. Proventi ed oneri finanziari
d. Rettifiche di valore di attività finanziarie
e. Proventi e oneri straordinari
La somma algebrica dei diversi totali parziali così ottenuti costituisce il risultato globale di
esercizio, che va indicato prima al lordo e poi al netto delle imposte sul reddito, correnti, differite e
anticipate. Si ottiene così l’utile o la perdita dell’esercizio che va riportato nello stato patrimoniale.
Gli amministratori devono redigere altri 2 documenti volti ad illustrare il contenuto e in alcuni casi
ad integrarlo: la nota integrativa e la relazione sulla gestione.
La nota integrativa illustra e specifica le voti dello stato patrimoniale e del conto economico.
Fornisce una serie di informazioni integrative sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sul
risultato economico, nonché sui dipendenti, sui compensi di amministratori e sindaci, sulle azioni e
sugli altri strumenti finanziari emessi dalla società,…
La Relazione sulla gestione è un allegato esterno al bilancio, che assolve una funzione di resoconto
sulla gestione della società e sulle prospettive. Essa deve infatti contenere un’analisi fedele,
equilibrata ed esauriente della situazione della società e dell’andamento della gestione nel suo
complesso e nei vari settori in cui essa ha operato.
Oggi un altro documento diventato parte integrante del bilancio di esercizio è il rendiconto
finanziario.
La struttura del bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali
Il bilancio redatto secondo i PCI ha struttura più articolata rispetto a quello previsto dal codice
civile, poiché oltre al prospetto della situazione patrimoniale-finanziaria (stato patrimoniale), al
conto economico complessivo e alle note al bilancio (nota integrativa), esso si compone di altri 2
documenti: un prospetto delle variazioni del patrimonio netto e un rendiconto finanziario. Resta
fermo l’obbligo di allegare al bilancio le relazioni degli amministratori, del collegio sindacale e del
revisore dei conti, che però non ne costituiscono parte integrante.
Tale più complessa struttura risponde ad una più ampia funzione informativa assegnata al bilancio
dai principi contabili internazionali: quella di rappresentare non solo la situazione del patrimonio e
la redditività, ma anche i flussi di cassa; vale a dire accertare di quanta liquidità ha potuto disporre
la società nel corso dell’esercizio, come è stata procurata e come è stata impiegata.

251
Nel contempo però i principi contabili internazionali non prescrivono rigidi schemi di bilancio,
limitandosi ad elencare le informazioni minime da esporre in ciascuna parte. È quindi rimesso agli
amministratori individuare ed organizzare le poste di bilancio nella maniera più idonea a fornire
un’informazione chiara ed attendibile.

I criteri di valutazione nel codice civile


La redazione del bilancio di esercizio comporta per molti cespiti patrimoniali il compimento di una
serie di stime da parte degli amministratori, volte a determinare il valore da iscrivere nel bilancio.
Questo è un punto di estrema delicatezza perché coinvolge i margini di discrezionalità degli
amministratori, ed è punto di estrema importanza per la corretta determinazione del risultato
economico dell’esercizio. Infatti sopravvalutazioni arbitrarie delle attività o sottovalutazioni
arbitrarie delle passività gonfiano artificiosamente l’utile dell’esercizio o ridimensionano le perdite.
Viceversa, le sottovautazioni delle attività deprimono l’utile dando luogo alla formazione delle
“riserve occulte”. Per evitare tali fenomeni il legislatore nazionale e i PCI fissano i principi generali
da osservare nelle valutazioni (prudenza e continuità dei criteri di valutazione) e determinano
dettagliatamente criteri a cui gli amministratori devono attenersi nella valutazione dei cespiti.
Il criterio storico del codice è quello del costo storico di acquisto o produzione del bene
contabilizzato. Le immobilizzazioni di ogni tipo sono iscritte in bilancio al costo storico. Si tratta
perciò di un valore spesso notevolmente inferiore a quello attuale. Il valore delle immobilizzazioni
materiali e immateriali (non quelle finanziarie) la cui utilizzazione è limitata nel tempo, dev’essere
inoltre AMMORTIZZATO in ogni esercizio, in relazione alla residua possibilità di utilizzazione,
attraverso la diretta riduzione del valore iscritto nell’attivo patrimoniale.
Criteri di valutazione dei principi contabili internazionali
I criteri di valutazione prescritti dai PCI divergono in più punti da quelli del Codice, poiché mirano
ad impedire non solo le sopravvalutazioni del patrimonio non conformi col principio di prudenza,
ma anche le sottovalutazioni conseguenti all’impiego del criterio del costo storico. Criterio con il
quale i PCI tendono ad affiancare/sostituire la valutazione in base al fair value. Il fair value (valore
equo) è il corrispettivo al quale un bene potrebbe essere scambiato, o un debito estinto, in una
transazione tra parti consapevoli ed indipendenti; è quindi il valore di mercato. Tale criterio è
ampliamente impiegato dai PCI, soprattutto per la valutazione di un bene nei bilanci successivi a
quello della sua prima rilevazione contabile; ciò in quanto il valore di mercato esprime in genere il
valore del costo storico rettificato. Nel contempo però, la nostra legge non consente che i maggiori
valori normalmente conseguiti all’impiego del fair value conducano alla distribuzione di utili non
giustificati secondo la disciplina del codice. Quindi gli eventuali utili di esercizio dovuti dall’impiego
del criterio de fair value del patrimonio netto, devono essere iscritti in un’apposita riserva di
patrimonio netto non distribuibile fino a quando tale maggior valore non sia stato effetivamente
realizzato.

Procedimento di formazione del bilancio

252
Alla redazione del bilancio, nel sistema tradizionale, cooperano tutti e 3 gli organi sociali:
amministratori, collegio sindacale e assemblea, nonché il soggetto incaricato alla revisione legale
dei conti. Il procedimento di formazione è cadenzato nel tempo dall’art 2364; in base a tale
norma, l’assemblea ordinaria competente per l’approvazione del bilancio, dev’essere convocata
almeno una volta l’anno, entro il termine stabilito dallo statuto non superiore comunque a 120gg
dalla chiusura del bilancio. Lo statuto può tuttavia stabilire un termine maggiore, non superiore a
180 gg, quando la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato.
Gli amministratori redigono il progetto di bilancio e tale funzione non è delegabile al comitato
esecutivo o agli amministratori delegati. Nelle società quotate gli amministratori si avvalgono della
cooperazione di un dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari. Se si tratta
di una società capogruppo, al bilancio devono essere allegati le copie integrali dell’ultimo bilancio
delle società collegate.
Nelle società quotate va allegata anche una “relazione sul bilancio”, sottoscritta congiuntamente
dagli amministratori delegati e dal dirigente preposto alla reazione sui documenti contabili, in cui
si attesta che “il bilancio fornisce una rappresentazione contabile veritiera e corretta, e che la
relazione sulla gestione comprende un’analisi dell’andamento della gestione e dei rischi a cui è
esposta la società”.
Il progetto di bilancio con la relazione degli amministratori dev’essere preventivamente
comunicato al collegio sindacale. Tale organo deve riferire all’assemblea, sui risultati dell’esercizio
sociale e sull’attività svolta nell’adempimento dei propri doveri, e fare le osservazioni e le proposte
in ordine al bilancio e alla sua approvazione, con particolare riferimento all’esercizio della deroga
ai criteri legali di redazione. Il collegio sindacale, se esercita anche la revisione legale dei conti,
redige anche la relazione del revisore esprimendo il proprio giudizio sul bilancio.
Il progetto del bilancio e i relativi allegati, con le relazioni degli amministratori, dei sindaci e del
soggetto incaricato della revisione legale dei conti, devono restare depositati in copia nella sede
della società durate i 15gg che precedono l’assemblea e finchè il bilancio non sia approvato. I soci
possono prenderne visione. Nelle s. quotate tali documenti sono anche messi a disposizione del
pubblico sul sito internet della società.
L’assemblea può approvare o respingere il bilancio. È inoltre opinione prevalente che può anche
modificare il progetto di bilancio sottoposto al suo esame dagli amministratori. L’approvazione del
bilancio non implica comunque liberazione degli amministratori, direttori generali, dirigenti
preposti alla redazione dei documenti contabili societari e sindaci per le responsabilità incorse
nella gestione sociale.
Entro 30gg dall’approvazione, copia del bilancio corredata dalle relazioni e dal verbale di
approvazione dell’assemblea, dev’essere depositata a cura degli amministratori presso l’ufficio del
registro delle imprese.
Nelle società quotate in borsa gli amministratori devono redigere anche una relazione finanziaria
semestrale sull’andamento della gestione.

Invalidità della delibera di approvazione


253
Il bilancio di esercizio può presentare vizi ed irregolarità che riguardano il procedimento di
formazione dello tesso. In tal caso, la delibera assembleare di approvazione è di regola annullabile.
È nulla in caso di mancanza di convocazione o del verbale.
Il bilancio di esercizio può anche presentare irregolarità che riguardano il suo contenuto perché
redatto violando i principi di chiarezza, verità e correttezza. In tal caso tende a prevalere la tesi più
rigorosa della nullità della delibera di approvazione, ritenendo che in mancanza di chiarezza e
precisione si ha oggetto illecito, in quanto dettata in contrasto con norme imperative inderogabili.
La giurisprudenza tuttavia ha avvertito la necessità di introdurre temperamenti alla riconosciuta
nullità di tale delibera; in tale prospettiva si è escluso che sia sufficiente un generico interesse al
rispetto della legalità per essere legittimati a promuovere l’azione di nullità. Si richiede per contro
un interesse concreto ed attuale ad agire. Se ne deduceva quindi che non si ha nullità della
delibera qualora i vizi di chiarezza siano marginali e non compromettano la precisa
rappresentazione patrimoniale e del risultato economico di esercizio.
Significative limitazioni all’impugnativa dei bilanci sono poi state introdotte dal legislatore, volte a
dare certezza e stabilità alla delibera di approvazione del bilancio. Infatti, le azioni di nullità e/o
annullabilità non possono più essere esercitate dopo che sia stato approvato il bilancio
dell’esercizio successivo. Inoltre, se il soggetto incaricato della revisione legale dei conti ha emesso
un giudizio privo di rilievo, la legittimazione ad impugnare la delibera del bilancio non solo per
cause di annullabilità ma anche per cause di nullità, spetta a tanti soci che rappresentino almeno il
5% del capitale sociale. È così impedita oggi l’impugnativa da parte del singolo azionista.
Nelle società quotate tuttavia è previsto un temperamento: l’impugnativa per mancata conformità
del bilancio alle norme che lo disciplinano può essere in ogni caso promossa dalla Consob, nel
termine di 6 mesi dal deposito del bilancio. Resta comunque ferma la legittimazione
all’impugnativa degli amministratori, dei sindaci, del rappresentante comune degli azionisti di
risparmio. La nullità inoltre può essere fatta valere da ogni terzo interessato.

Utili. Riserve. Dividendi.


L’assemblea che approva il bilancio delibera sulla distribuzione degli utili ai soci. Nel sistema
dualistico a tal fine provvede l’assemblea dopo l’approvazione del bilancio da parte del consiglio di
sorveglianza.
Non tutti gli utili però sono distribuibili tra i soci sottoforma di dividendi, e ciò per la presenza di
alcuni vincoli di destinazione imposti dalla legge. Ulteriori vincoli di destinazione possono essere
poi stabiliti dallo statuto.
- Se negli anni precedenti si è verificata una perdita, non si possono ripartire utili fino a che il
capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente
- Dagli utili netti annuali dev’essere dedotta una somma corrispondente almeno al 5% degli
stessi per costituire una RISERVA LEGALE, fin quando essa non abbia raggiunto il 20% del
capitale sociale. Essa costituisce un accantonamento contabile di utili imposto per legge a
salvaguardia dell’integrità del capitale sociale.

254
- Funzioni e caratteri non diversi dalla riserva legale presenta anche la riserva statuaria. La
differenza consiste nel fatto che la costituzione è imposta dallo statuto, in aggiunto alla
riserva legale, che stabilisce anche la quota parte di utili dell’esercizio da destinare alla
stessa.
- Sono infine riserve facoltative quelle discrezionalmente disposte dall’assemblea ordinaria
che approva il bilancio.
- Vincoli di destinazione degli utili di esercizio possono ancora derivare da norme statutarie
che prevedono una partecipazione agli utili a favore dei promotori, dei soci fondatori e
degli amministratori.

Gli utili di cui l’assemblea che approva il bilancio può disporre a favore dei soci sono quindi
costituiti da:
a. Gli utili distribuibili di esercizio
b. Gli utili accertati e non distribuibili negli esercizi precedenti (riserve disponibili e utili portati
a nuovo)

Nelle società per azioni, diversamente da quanto previsto per le società di persone, la periodica
distribuzione degli utili è rimessa all’apprezzamento discrezionale dell’assemblea. L’interesse del
gruppo di comando al reinvestimento degli utili nell’attività sociale (autofinanziamento) è così
chiaramente privilegiato rispetto all’interesse del singolo socio alla remunerazione periodica del
capitale investito.
Nei limiti del divieto del patto leonino, lo statuto può inoltre incidere sulla misura e sulle modalità
di distribuzione dei dividendi.
La società non può pagare dividendi sulle azioni, se non per utili realmente conseguiti e risultanti
dal bilancio regolarmente approvato; né può procedere alla distribuzione dei dividendi se negli
esercizi precedenti si è verificata una perdita del capitale, fino a quando il capitale non sia
reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
Gli acconti dividendo
Solo con la chiusura dell’esercizio e con l’approvazione del relativo bilancio è possibile sapere se vi
siano utili distribuibili ai soci sottoforma di dividenti. Nelle società che fanno appello al pubblico
risparmio è tuttavia avvertita l’esigenza di una remunerazione infra-annuale del capitale, in modo
da incentivare la propensione al risparmio verso l’investimento azionario. Da qui è nata la prassi
della distribuzione degli acconti su dividendi.
La distribuzione degli acconti dividendo non è consentita a tutte le spa ma solo a quelle il cui
bilancio è soggetto a revisione legale dei conti secondo il regime previsto per gli enti di interesse
pubblico. È inoltre sottoposta ad una serie di condizioni per evitare che vengano distribuiti utili
solo sperati e difficilmente recuperabili.

255
Il bilancio consolidato di gruppo
Il b. consolidato di gruppo è un bilancio redatto dalla capogruppo in aggiunta al proprio bilancio di
esercizio. Esso rappresenta la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica del gruppo
considerato nella sua unità, sulla base di bilanci di esercizio delle singole società del gruppo
opportunamente rettificati. Costituisce perciò un utile strumento di informazione sulla situazione
globale del gruppo, non incide invece sulla determinazione dell’utile distribuibile, che rimane
quello risultante dai bilanci di esercizio delle singole società del gruppo.
Il bilancio consolidato dev’essere redatto dalle società di capitali che controllano altre imprese e
dalle società cooperative che controllano società di capitali. Sono tuttavia esonerati dall’obbligo di
redigere il bilancio consolidato: i gruppi di minore dimensione purchè nessuna delle imprese del
gruppo sia una spa con azioni quotate, quelli in cui le imprese controllate sono irrilevanti ai fini
della rappresentazione veritiera e corretta della situazione del gruppo.
È redatto dagli amministratori della capogruppo assumendo di regola come riferimento la data di
chiusura del bilancio di esercizio della controllante. Le controllate sono obbligate a trasmettere
tempestivamente alla controllante le informazioni richieste ai fini della redazione del bilancio
consolidato.
Il bilancio consolidato ha la stessa struttura del bilancio di esercizio e dev’essere corredato da una
relazione degli amministratori contenente un’analisi della situazione dell’insieme dell’imprese
comprese nel consolidamento.
L’unica differenza che intercorre tra il bilancio consolidato e quello di esercizio è che il b.
consolidato non è assoggettato ad approvazione da parte dell’assemblea: nel sistema tradizionale
e monistico costituisce atto degli amministratori; nel sistema dualistico è approvato dal consiglio di
sorveglianza.

256
CAPITOLO 14
LE MODIFICAZIONI DELLO STATUTO
Nozione.
Costituisce modificazione dello statuto di una spa ogni mutamento del contenuto oggettivo del
contratto sociale (atto costitutivo e statuto); mutamento che può consistere sia nell’inserimento di
nuove clausole, sia nella modificazione o soppressione di clausole preesistenti.
Nella spa le variazioni delle persone degli azionisti non sono trattate come modificazioni dello
statuto. Il trasferimento della partecipazione azionaria si attua infatti sulla base del semplice
accordo tra alienante ed acquirente e non soggiace alle regole procedimentali dettate per le
modificazioni dell’atto costitutivo.
Nelle spa costituiscono perciò modificazioni dello statuto solo le modificazioni oggettive del
contratto sociale e solo a quest’ultime il legislatore si riferisce nel dettare la relativa disciplina (art.
2436).
Le modificazioni oggettive dello statuto d’altro canto possono avere diverso contenuto e possono
incidere sulla preesistente struttura organizzativa della società: possono coinvolgere quest’ultima
nella sua globalità o riguardare singoli aspetti della stessa.
Nel contempo le ripercussioni sulla posizione dei soci attuali e dei creditori non sono per nulla
omogenee; estremamente scarna è perciò la disciplina comune a tutte le possibili modificazioni
statuarie: si risolve in sostanza nella regolamentazione del relativo procedimento.
Il procedimento
Le modificazioni statuarie rientrano nella competenza dell’assemblea dei soci in sede
straordinaria. Tale regola non è tuttavia senza eccezioni: lo statuto può infatti attribuire alla
competenza dell’organo amministrativo una serie di modifiche, ferma restando però l’applicazione
delle regole sul controllo notarile: le deliberazioni concernenti particolari casi di fusione;
l’istituzione o la soppressione di sedi secondarie; l’indicazione di quali amministratori hanno la
rappresentanza della società, etc…
La delibera di modificazione dello statuto è adottata con le maggioranze previste in via generale
per l’assemblea straordinaria, salvo che per talune modifiche di particolare rilievo, per le quali si
prevedono nelle società non quotate maggioranze più elevate: cambiamento dell’oggetto sociale,
trasformazione, scioglimento anticipato, proroga della società, revoca dello stato di liquidazione,
trasferimento della sede sociale all’estero, emissione di azioni privilegiate, introduzione
modificazione o soppressione della clausola compromissoria, trasformazione eterogenea.

257
Per le società quotate sono inoltre previsti specifici obblighi informativi nei confronti della Consob
e del pubblico.
Le delibere modificative dello statuto erano originariamente soggette ad omologazione da parte
del tribunale. La soppressione del controllo giudiziario sullo statuto ed il conseguente affidamento
al notaio dei relativi compiti di controllo non hanno però fatto venire del tutto meno il controllo
giudiziario, lo hanno reso eventuale e facoltativo.
In base all’attuale disciplina (art. 2436), è il notaio che ha verbalizzato la delibera dell’assemblea
che, chiuso il verbale, verifica l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge”, ed entro 30
giorni ne richiede l’iscrizione nel registro delle imprese. L’ufficio del registro a sua volta, verificata
la regolarità formale della documentazione, iscrive la delibera nel registro.
Se il notaio tuttavia non ritiene adempiute le condizioni stabilite dalla legge ne dà comunicazione
tempestiva agli amministratori. Nei 30gg successivi questi possono convocare l’assemblea per gli
opportuni provvedimenti oppure ricorrere al tribunale affinchè lo stesso, verificato l’adempimento
delle condizioni stabilite dalla legge, ordini con proprio decreto l’iscrizione. E l’attuale disciplina
puntualizza che in caso di inerzia degli amministratori la delibera è definitivamente inefficace.
Nel contempo si dispone che la deliberazione non produce effetti se non dopo l’iscrizione e quindi
non può essere eseguita prima della stessa. Non mancano tuttavia casi in cui l’efficacia della
delibera è condizionata o differita: è questo il caso ad esempio della delibera che pregiudica i diritti
speciali riconosciuti a determinate categorie di azioni la cui efficacia è subordinata
all’approvazione dell’assemblea di categoria. Ad efficacia differita sono poi le delibere di riduzione
del capitale sociale, di fusione, di scissione, nonché la delibera di variazione del sistema di
amministrazione e controllo.
Dopo ogni modificazione dello statuto ne deve essere depositato nel registro delle imprese il testo
integrale, nella sua redazione aggiornata.
Diritto di recesso
L’operatività del principio maggioritario anche per le modificazioni dello statuto fa sì che nella spa
l’interesse di gruppo a variare l’assetto organizzativo della società prevalga sull’eventuale opposto
interesse del singolo azionista. L’evidente favor legislativo per la pronta adattabilità della spa alle
mutevoli esigenze della realtà economica comporta che la minoranza non può impedire modifiche
dell’assetto societario.
Tuttavia è necessario che siano rispettati dalla maggioranza i limiti posti da norme inderogabili ed
è necessario inoltre che non siano violati i principi cardine della correttezza e buona fede, nonché
quello della parità di trattamento tra gli azionisti.
In presenza di delibere modificative di particolare gravità, la minoranza è inoltre indirettamente
tutelata dalla previsione di maggioranze più elevate e dal riconoscimento del diritto di recesso
dalla società.
Diritto quest’ultimo la cui disciplina è stata profondamente modificata con la riforma del 2003:
sono stati vistosamente ampliati i casi in cui il diritto di recesso è concesso; inoltre sono stati
radicalmente modificati i criteri di determinazione del valore delle azioni del socio che recede ed il

258
procedimento di liquidazione del relativo importo in modo da contemperare l’interesse dei soci di
minoranza con quello dei creditori sociali.
Mentre la precedente disciplina prevedeva soltanto 3 cause di recesso, l’attuale disciplia
notevolmente le stesse dividendole in cause di recesso inderogabili, derogabili dallo statuto e
cause statuarie. A queste vanno aggiunte le specifiche cause di recesso previste per le società che
fanno parte di un gruppo.
Le cause inderogabili di recesso sono individuate dall’art 2437 co.1: il diritto di recesso può essere
esercitato, anche per parte delle azioni, dai soci che non hanno concorso (in quanto assenti,
dissenzienti o astenuti) alle delibere riguardanti:
a. La modifica dell’oggetto sociale, purchè consista in un cambiamento significativo
dell’attività della società
b. La trasformazione della società
c. Il trasferimento della sede sociale all’estero
d. La revoca dello stato di liquidazione
e. L’eliminazione di una o più cause di recesso derogabili
f. La modificazione dei criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso
g. Le modificazioni dello statuto concernenti il diritto di voto o di partecipazione (diritti
patrimoniali)

Le cause derogabili di recesso sono contemplate dall’art 2437 co.2, per le quali il diritto di recesso
spetta ancora ai soci che non hanno concorso all’approvazione delle delibere riguardanti:
a. La proroga del termine di durata della società
b. L’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni
In questi casi il recesso non può essere esercitato solo per parte delle azioni.
Inoltre, nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio lo statuto può
prevedere ulteriori cause di recesso (cause statuarie).
Dopo la riforma del 2003 il recesso non ha più la sola funzione di rimedio alla tutela della
minoranza. Nelle società a tempo indeterminato non quotate esso costituisce altresì un
temperamento alla durata potenzialmente illimitata del vincolo sociale. Pertanto, in una società a
tempo indeterminato non quotata tutti i soci possono recedere liberamente con un preavviso di
180 giorni, allungabile dallo statuto fino ad un anno.
Lo statuto deve inoltre fissare il periodo di tempo (comunque non >1 anno), decorso il quale il
socio può recedere.
Il diritto di recesso dev’essere esercitato dal socio mediante comunicazione con lettera
raccomandata che dev’essere spedita alla società entro un breve termine: 15 giorni dall’iscrizione
nel registro delle imprese della delibera che lo legittima. Termine portato a 30 giorni dalla
conoscenza da parte del socio, se il fatto che legittima il recesso non è una delibera. La
dichiarazione di recesso non comporta però la perdita immediata della qualità di socio, che si
verifica solo in seguito al rimborso delle azioni.
259
Le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere
depositate presso la sede della società. Quest’ultima può inoltre sottrarsi al rimborso delle azioni
se entro 90gg revoca lo delibera che legittima il recesso o delibera lo scioglimento della società.
L’attuale disciplina modifica radicalmente il criterio di determinazione del valore delle azioni da
rimborsare. È infatti abbandonata per le società non quotate la determinazione in proporzione del
patrimonio sociale risultante dall’ultimo esercizio.
È stabilito infatti che nelle società non quotate il valore delle azioni da rimborsare è determinato
dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della
revisione legale dei conti, “tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue
prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni”.
Lo statuto può tuttavia stabilire criteri alternativi o più analitici di valutazione, nonché indicare
specifici elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione.
I soci hanno il diritto di conoscere la determinazione del valore di rimborso nei 15 gg precedenti la
data fissata per l’assemblea. In caso di contestazione, da proporre con la dichiarazione di recesso,
il valore di liquidazione è determinato entro 90 gg dall’esercizio del recesso da un esperto
nominato dal tribunale con relazione giurata.
Nelle spa quotate invece, il valore di liquidazione delle stesse è determinato facendo riferimento
al prezzo medio di mercato: e precisamente è determinato facendo riferimento alla media
aritmetica dei prezzi di chiusura nei 6 mesi che precedono la convocazione dell’assemblea. Lo
statuto può prevedere l’impiego di criteri alternativi di valutazione, purchè il valore che ne risulta
non sia inferiore.
L’attuale disciplina infine detta un’articolata disciplina del procedimento di liquidazione delle
azioni del socio recedente, al fine di evitare che l’ampliamento delle cause di recesso
compromettano l’integrità del capitale sociale e la tutela dei creditori sociali.
Le azioni del socio che recede devono essere innanzitutto offerte in opzione agli altri soci in
proporzione al numero delle azioni possedute. Per la parte non acquistata dai soci possono essere
collocate sul mercato.
In caso di mancato collocamento presso i soci o presso terzi, le azioni vengono rimborsate
mediante acquisto da parte della società, rispettando il limite degli utili distribuibili e delle riserve
disponibili. Infine, in assenza di utili e riserve disponibili dev’essere convocata l’assemblea
straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale, o lo scioglimento della società. I
creditori possono opporsi alla delibera di riduzione del capitale, secondo la disciplina prevista per
la riduzione reale del capitale. Se l’opposizione è accolta, la società si scioglie.

Le modificazioni del capitale sociale.


L’aumento del capitale sociale può essere reale o nominale. Nel primo caso si ha un aumento del
capitale sociale nominale e del patrimonio della società per effetto di nuovi conferimenti. Nel
secondo caso si incrementa solo il capitale nominale, mentre il patrimonio della società resta
invariato.
260
L’aumento reale del capitale sociale.
Con l’aumento reale del capitale sociale la società intende procurarsi nuovi mezzi finanziari a titolo
di capitale di rischio: nuovi conferimenti. L’aumento reale dà perciò luogo all’emissione di nuove
azioni a pagamento, che vengono sottoscritte dai soci attuali, cui per legge è riconosciuto il diritto
di opzione.
Per evitare la formazione di un vistoso capitale rappresentato prevalentemente da crediti verso i
soci, non è consentito eseguire un aumento del capitale fino a che le azioni precedentemente
emesse non siano interamente liberate.
L’attuale disciplina tuttavia lascia intendere che la violazione di tale disposizione non comporti
nullità della delibera di aumento; restano infatti salvi gli obblighi con la sottoscrizione delle azioni
e, nel contempo gli amministratori sono responsabili in solido per i danni arrecati ai soci ed ai terzi.
Inoltre, in presenza di perdite che rendono obbligatoria la riduzione del capitale, la società non
può procedere ad un aumento dello stesso senza aver prima ridotto il capitale in misura
corrispondente alla perdita.
Competente a deliberare l’aumento del capitale è l’assemblea straordinaria dei soci. La relativa
delibera è soggetta ad un particolare regime di nullità, con drastica riduzione dei termini per
l’impugnazione.
La competenza dell’assemblea non ha tuttavia carattere inderogabile: lo statuto o una successiva
modifica dello stesso possono attribuire agli amministratori la facoltà di aumentare in una o più
volte il capitale sociale. Tuttavia:
a. Dev’essere predeterminato l’ammontare massimo entro cui gli amministratori possono
aumentare il c. sociale
b. La delega può essere concessa per un periodo massimo di 5 anni, che decorrono dalla data
dell’iscrizione della società nel r. delle imprese o da quella della delibera assembleare di
delega. La delega è però rinnovabile
Agli amministratori può essere conferita la facoltà di decidere autonomamente in merito a quali
azioni emettere. Inoltre, l’attuale disciplina consente che agli amministratori sia riconosciuta anche
la facoltà di deliberare in merito all’esclusione o limitazione del diritto di opzione dei soci, ma lo
statuto deve determinare i criteri cui gli amministratori devono attenersi. La modifica statuaria
volta ad attribuire tale facoltà va approvata con le normali maggioranze.
Con la tecnica dell’aumento per delega, la manifestazione di volontà della società di aumentare il
capitale è costituita dalla delibera del consiglio di amministrazione. Perciò il relativo verbale
dev’essere redatto da un notaio e la delibera consiliare è soggetta al controllo di legalità dello
stesso, nonché ad iscrizione nel registro delle imprese.
Una specifica disciplina è dettata per la sottoscrizione dell’aumento de capitale sociale:

261
la deliberazione (assembleare o consiliare) di aumento deve fissare il termine, non inferiore a 30
giorni dalla pubblicazione dell’offerta, entro il quale le sottoscrizioni devono essere raccolte. Può
però verificarsi che l’aumento di capitale non sia integralmente sottoscritto. In tal caso il capitale è
aumentato di un importo pari alle sottoscrizioni raccolte solo se la deliberazione di aumento lo
abbia espressamente previsto. In mancanza di tale previsione l’aumento di capitale è inscindibile e
la sottoscrizione parziale non vincola né la società né i sottoscrittori.
Avvenuta la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, entro 30gg gli amministratori devono
depositare per l’iscrizione nel registro delle imprese un’attestazione che l’aumento di capitale è
stato eseguito.
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, a seguito di tale comunicazione
non è più possibile pronunciare l’invalidità della delibera di aumento del capitale.
Per i conferimenti in sede di aumento del capitale sociale vale la medesima disciplina dei
conferimenti al momento della costituzione della società. In particolare vale la regola che i
conferimenti dei sottoscrittori delle nuove azioni non possono essere complessivamente inferiori
all’aumento di capitale deliberato.
Tuttavia, il versamento del 25% dei conferimenti in denaro dev’essere effettuato all’atto della
sottoscrizione direttamente alla società e non presso una banca. Inoltre, se le azioni sono emesse
con sovrapprezzo, questo dev’essere integralmente versato nell’atto della sottoscrizione.
I conferimenti in natura devono essere sottoposti al normale procedimento di valutazione (stima
giurata) previsto dall’art 2343, ma gli amministratori possono consentire il ricorso ad uno dei
metodi di valutazione alternativi.
In particolare, se si conferiscono titoli quotati al valore medio di mercato, il periodo di riferimento
per il calcolo della media è costituito dai 6 mesi precedenti la data della relazione che gli
amministratori devono sottoporre all’assemblea convocata per deliberare l’aumento del capitale
mediante conferimenti in natura. E il conferimento dev’essere eseguito entro 60gg da tale data.
Del pari, quando il bene è conferito al fair value risultante da un precedente bilancio, è necessario
che il conferimento sia eseguito entro il termine dell’esercizio successivo a quello cui si riferisce il
bilancio.
Infine, nel caso in cui si faccia ricorso alla stima (non giurata) di un esperto indipendente, il
conferimento dev’essere eseguito entro 6 mesi dalla data cui si riferisce la valutazione.
Gli amministratori devono controllare il valore dei conferimenti valutati con metodi alternativi
entro 30gg dalla data di esecuzione del conferimento.
Entro questo termine, quando i conferimenti sono apportati al fair value risultante da un
precedente bilancio oppure stimati da un esperto non nominato dal tribunale, i soci che
rappresentano il 5% del capitale possono chiedere che gli amministratori facciano realizzare una
nuova valutazione secondo il procedimento dell’art 2343.
Il diritto della minoranza di chiedere una nuova valutazione del conferimento è riconosciuto anche
in caso di aumento del capitale delegato. La deliberazione di aumento assunta dall’organo di
amministrazione deve perciò recare le informazioni concernenti il metodo di valutazione
262
alternativo impiegato ed il valore attribuito al conferimento in natura programmato; tra la data di
pubblicazione della deliberazione di aumento del capitale e quella in cui il conferimento diventa
efficace devono intercorrere non meno di 30 giorni.
Si verifica talvolta che, pur senza procedere ad un aumento del capitale sociale, i soci versino alla
società somme a titolo di conferimento denominate “versamenti in conto capitale”, al fine di
sopperire alle esigenze di capitale di rischio e/o di costituire un fondo destinato a ripianare
eventuali perdite future.
I versamenti in “conto capitale” dei soci si caratterizzano per la mancanza di un obbligo di
restituzione a carico della società. La loro liceità è fuori dubbio, anche se gli stessi non possono
essere equiparati ai conferimenti di capitale per la mancanza del relativo procedimento di
aumento.
Ne consegue che tali apporti incrementano il patrimonio della società senza modificane il capitale
sociale e quindi restano sottratti alla disciplina dei conferimenti: possono ad esempio essere
effettuati solo da alcuni soci o non essere proporzionali alle quote di partecipazione al capitale.
Dai versamenti in conto capitale vanno tenuti distinti i versamenti dei soci destinati alla copertura
anticipata di un determinato aumento del capitale sociale non ancora deliberato o perfezionato:
versamenti in conto futuro aumento capitale. Quest’ultimi versamenti costituiscono una
sottoscrizione anticipata del capitale, destinata a perfezionarsi con la successiva delibera da parte
della società. Nel contempo i soci hanno diritto alla restituzione di quanto versato qualora
l’aumento programmato non sia deliberato o non vada a buon fine, sicchè i relativi importi non
possono essere usati medio tempore per la copertura di perdite.

Il diritto di opzione.
Il diritto di opzione è il diritto dei soci attuali di essere preferiti ai terzi nella sottoscrizione
dell’aumento del capitale sociale a pagamento.
Il diritto di opzione consente di mantenere inalterata la proporzione in cui ciascun socio partecipa
al capitale e al patrimonio sociale. Serve a:
- mantenere inalterata la proporzione in cui ciascun socio partecipa alla formazione della
volontà sociale (funzione amministrativa)
- mantenere inalterato il valore reale della partecipazione azionaria in presenza di riserve
accumulate (funzione patrimoniale)
tutto ciò comporta che il diritto di opzione ha un proprio valore economico che l’azionista può
monetizzare cedendolo a terzi qualora non voglia o non possa concorrere all’aumento del capitale
sociale. Il diritto di opzione non è tuttavia un diritto intangibile all’azionista. Esso può essere
sacrificato quando uno specifico interesse della società lo esige.
Attualmente il diritto di opzione ha per oggetto le azioni di nuova emissione di qualsiasi categoria,
e le obbligazioni convertibili in azioni emesse dalla società. Esso compete agli azionisti di ogni
categoria ed ai possessori di obbligazioni convertibili su tutte le azioni di nuova emissione. Il diritto
di opzione è attribuito a ciascun azionista in proporzione del numero di azioni già possedute.
263
Per l’esercizio del diritto di opzione la società deve concedere agli azionisti un termine non
inferiore a 15 giorni, che decorre dalla pubblicazione dell’offerta mediante deposito presso il
registro delle imprese e contestuale avviso sul sito internet della società, o in mancanza presso la
sede sociale. Con decisione unanime i soci possono però rinunciare a tale termine e
all’adempimento delle relative formalità.
Gli amministratori non sono liberi di collocare a loro piacimento le azioni che siano rimaste
inoptate, infatti:
a. se le azioni non sono quotate, coloro che hanno esercitato il diritto di opzione hanno
diritto di prelazione nella sottoscrizione delle azioni non optate, purchè ne facciano
richiesta nell’atto dell’esercizio di opzione
b. se le azioni sono quotate, i diritti di opzione residui devono essere offerti nel mercato
regolamentato dagli amministratori per conto della società, per almeno 5 riunioni entro il
mese successivo alla scadenza, ed il ricavato della vendita va a beneficio del patrimonio
sociale
Solo se gli azionisti non si avvalgono per l’intero del diritto di prelazione o diritti offerti nel mercato
regolamentato restano invenduti, le azioni di nuova emissione potranno essere liberamente
collocate.
Il diritto di opzione degli azionisti è in tutto o in parte sacrificabile in presenza di situazioni
oggettive rispondenti a un concreto interesse per la società:
1. il diritto di opzione è ESCLUSO per legge quando le azioni devono essere liberate mediante
conferimenti in natura. L’interesse della società a procurarsi da terzi beni a titolo di
conferimento è per legge valutato come prevalente rispetto all’interesse individuale dei
soci alla sottoscrizione per l’aumento. La proposta di aumento del capitale dev’essere
illustrata dagli amministratori con apposita relazione dalla quale devono risultare le ragioni
del conferimento in natura.
2. il diritto di opzione può essere escluso o limitato con la delibera di aumento del capitale
“quando l’interesse della società lo esige”. Anche in tal caso la proposta di aumento
dev’essere illustrata dagli amministratori con apposita relazione dalla quale devono
risultare le ragioni dell’esclusione o della limitazione del diritto di opzione. L’interesse della
società inoltre dev’essere necessario e concreto, però non è più richiesta una maggioranza
rafforzata per l’approvazione della delibera: l’esclusione del diritto di opzione può essere
decisa con i normali quorum dell’assemblea straordinaria.
In questi due casi di esclusione del diritto di opzione è obbligatoria l’emissione delle nuove azioni
con sovrapprezzo, in modo da ridimensionare il pregiudizio patrimoniale degli azionisti attuali. Alla
società è però lasciato un margine di discrezionalità nella determinazione del relativo ammontare.
3. Nelle società con azioni quotate lo statuto può escludere il diritto di opzione nei limiti del
10% del capitale preesistente, purchè il prezzo di emissione corrisponda al valore di
mercato delle azioni e ciò sia confermato da apposita relazione di un revisore legale o di
una società di revisione.

264
4. Il diritto di opzione infine può essere escluso quando le azioni devono essere offerte in
sottoscrizione ai dipendenti della società o anche ai dipendenti di società controllanti o
controllate.
Il d. di opzione non si considera però escluso o limitato quando le azioni di nuova emissione sono
sottoscritte da banche, enti o società finanziarie soggetti al controllo della Consob o da altri
soggetti autorizzati al collocamento di strumenti finanziari (es: Sim), con l’obbligo di offrirle
successivamente agli azionisti rispettando la disciplina del diritto di opzione.
È necessario però che tale forma di collocamento (opzione indiretta) sia espressamente prevista
dalla delibera di aumento del capitale. Le spese dell’operazione sono a carico della società e la
delibera di aumento deve indicarne l’ammontare.
È fatto divieto all’intermediario, titolare medio tempore delle azioni sottoscritte, di esercitare il
diritto di voto durante la detenzione delle azioni offerte agli azionisti fin quando non sia esercitato
il diritto di opzione.
La società può ricorrere anche ad altra tecnica per differire o diluire nel tempo un aumento del
capitale sociale l’emissione di appositi buoni di opzione (warrant), che attribuiscono al titolare il
diritto di sottoscrivere le azioni di nuova emissione a condizioni predeterminate.

L’aumento nominale del capitale


L’aumento nominale (o gratuito) del capitale sociale è operazione che non dà luogo a nuovi
conferimenti e non determina quindi alcun incremento del patrimonio sociale. L’aumento
nominale infatti è posto in essere dall’assemblea straordinaria “imputando a capitale le riserve e
gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili”.
Possono quindi essere usati: le riserve facoltative, le riserve statuarie prive di specifica
destinazione, la riserva da sovrapprezzo azioni, i fondi speciali disponibili costituiti con utili o
corrispondenti a plusvalenze dell’attivo patrimoniale.
Non è invece imputabile a capitale la riserva legale, almeno per la parte che non supera il 20% del
capitale sociale.
L’aumento è quindi realizzato usando valori già esistenti nel patrimonio della società; l’operazione
non è però senza conseguenze giuridiche: il passaggio a capitale di riserve e fondi disponibili
comporta che la società non può disporre a favore dei soci dei corrispondenti valori del patrimonio
netto. Essi resteranno assoggettati al vincolo di stabile indisponibilità proprio del capitale sociale.
L’aumento nominale del c.s. può essere attuato aumentando il valore nominale delle azioni in
circolazione o mediante l’emissione di nuove azioni. Quest’ultime devono avere le stesse
caratteristiche di quelle già in circolazione e devono essere assegnate gratuitamente agli azionisti
in proporzione di quelle da essi già possedute.

La riduzione del capitale sociale. La riduzione reale.

265
Al pari dell’aumento, anche la riduzione del c.s. può essere reale o nominale; è reale la riduzione
disciplinata dall’art 2445, è nominale la riduzione del capitale sociale per perdite.
Oggi la riduzione reale può essere disposta dalla società anche per cause diverse dall’esuberanza.
La riduzione reale del capitale resta però circondata da una serie di cautele sostanziali e
procedimentali, in quanto operazione potenzialmente pericolosa per i creditori sociali e per i soci
di minoranza.
Il capitale sociale non può essere ridotto al di sotto del minimo legale di 50mila euro, inoltre se la
società ha emesso obbligazioni, la riduzione reale del capitale sociale non può avere luogo se non
è rispettato il limite legale all’emissione di quest’ultime.
Sono poi previste particolari cautele procedimentali:
l’avviso di convocazione dell’assemblea deve indicare le ragioni e le modalità della riduzione, in
modo che i soci siano preventivamente informati sue une e sulle altre.
La delibera può essere eseguita solo dopo 90gg dall’iscrizione nel registro delle imprese. Entro
questo termine i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono fare opposizione alla delibera di
riduzione, dato che l’esecuzione della stessa può pregiudicare la loro posizione.
L’opposizione sospende l’esecuzione della delibera fino all’esito del giudizio sulla stessa. Il
tribunale può tuttavia disporre che l’esecuzione abbia ugualmente luogo se ritiene infondato il
pericolo di pregiudizio per i creditori o se la società presta idonea garanzia a favore del creditore
opponente.
La riduzione reale può avere luogo mediante liberazione dei soci dall’obbligo dei versamenti
ancora dovuti o mediante rimborso agli stessi del capitale. La società può anche procedere
all’acquisto e al successivo annullamento di proprie azioni; acquisto che per le società quotate
dev’essere per legge secondo modalità fissate dalla Consob.
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio le azioni proprie, eventualmente
possedute dalla società dopo la riduzione, non devono eccedere la quinta parte del capitale
sociale.
Le modalità di riduzione prescelte devono assicurare la parità di trattamento degli azionisti. Ad
esempio, riduzione proporzionale del valore nominale di tutte le azioni; estrazione a sorte ed
annullamento di un certo numero di azioni dietro rimborso del solo valore nominale delle stesse.
In quest’ultimo caso agli azionisti rimborsati vengono rilasciati speciali titoli denominati azioni di
godimento.

La riduzione del capitale sociale per perdite.


Il patrimonio netto della società può scendere per effetto di perdite al di sotto del capitale sociale
nominale. La riduzione del capitale sociale per perdite consiste nell’adeguare la cifra del capitale
sociale nominale all’attuale minor valore del capitale reale. È quindi una riduzione puramente
nominale.

266
La disciplina della riduzione del c.s. per perdite non è unitaria, infatti la legge distingue a seconda
che la perdita del capitale sia più o meno superiore ad un terzo.
La società non è obbligata a ridurre il capitale sociale fino a quando la perdita dello stesso non sia
superiore ad un terzo. Ad esempio, se il capitale sociale nominale è 300, la riduzione è facoltativa
fino a quando il patrimonio netto non sia sceso al di sotto di 200 per effetto di perdite. (comunque
non si ha perdita del capitale fin quando l’importo delle perdite non supera l’ammontare delle
riserve).
Anche se non obbligata, la società può comunque ugualmente ridurre il capitale per perdite per
poter distribuire gli utili successivamente conseguiti (altrimenti la distribuzione sarebbe vietata fin
quando le perdite non siano state colmate).
Inoltre, con la riduzione del capitale si fanno definitivamente gravare sui soci attuali le perdite
pregresse, dandosi luogo alla riduzione nominale delle azioni in circolazione. Si rende così più
agevole la sottoscrizione di un successivo aumento di capitale da parte dei terzi, che altrimenti
avrebbe scarso successo dato il divieto di emettere azioni per somma inferiore al loro valore
nominale.
La riduzione facoltativa per perdite segue la disciplina generale delle modificazioni dell’atto
costitutivo. Se la società ha emesso obbligazioni, la riduzione facoltativa per perdite può essere
disposta solo in proporzione delle obbligazioni rimborsate.
La riduzione del c.s. diventa invece OBBLIGATORIA quando il capitale è diminuito di oltre un terzo
in conseguenza di perdite. La relativa disciplina però è relativamente diversa a seconda che il
capitale sia o meno ridotto anche al di sotto del minimo legale.
Se il minimo legale non è stato intaccato, gli amministratori o nel caso di loro inerzia il collegio
sindacale, devono convocare senza indugio l’assemblea straordinaria e sottoporle una “relazione
sulla situazione patrimoniale della società con le osservazioni del collegio sindacale”.
Gli amministratori sono tenuti a redigere un vero e proprio bilancio, redatto secondo i criteri di
valutazione stabiliti per il bilancio di esercizio e che si differenzia da quest’ultimo solo perché viene
redatto nel corso di esercizio (bilancio straordinario infraannuale).
Situazione patrimoniale, relazione degli amministratori e le osservazioni devono rimanere
depositate nella sede della società durante gli 8gg che precedono l’assemblea, in modo che i soci
possano prenderne visione. Inoltre gli amministratori devono dare conto nell’assemblea dei fatti di
rilievo avvenuti dopo la redazione della situazione patrimoniale.
L’assemblea così convocata prende “gli opportuni provvedimenti”. Può o decidere l’immediata
riduzione del capitale sociale (anche parziale) oppure limitarsi ad un semplice “rinvio a nuovo”
delle perdite.
Tuttavia, se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di 1/3, l’assemblea
ordinaria che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle
perdite accertate. In mancanza, la riduzione del capitale è disposta di ufficio dal tribunale.
Se le azioni emesse dalla società sono senza valore nominale, lo statuto può prevedere che la
riduzione sia deliberata dal consiglio di amministrazione.
267
La disciplina diventa più rigorosa se per la perdita di oltre 1/3 il capitale scende al di sotto del
minimo legale. In tal caso l’assemblea deve necessariamente deliberare o la riduzione del capitale
sociale e il contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo legale o la
trasformazione della società. Se l’assemblea non adotta una di tali decisioni, la società si scioglie
ed entra in stato di liquidazione.
Tuttavia, se la società presenta una domanda di ammissione alla procedura di concordato
preventivo, la disciplina esposta in tema di riduzione obbligatoria del capitale e scioglimento
conseguente alla perdita del minimo legale rimane sospesa per tutta la durata della procedura,
fino al decreto di omologa.
Lo stesso vale quando la società presenta domanda di omologazione di un accordo di
ristrutturazione dei debiti o chiede a tribunale di concederle protezione nelle azioni esecutive dei
creditori al fine di raggiungere con gli stessi un accordo di ristrutturazione dei debiti.
La disciplina dell’art 2447 è applicabile anche in caso di perdita integrale del capitale sociale. In tal
caso la maggioranza potrà evitare la messa in liquidazione della società deliberando la riduzione a
zero del capitale sociale e la contestuale reintegrazione dello stesso, con riconoscimento agli
azionisti del diritto di opzione.

CAPITOLO 15
LE OBBLIGAZIONI
Nozione.
La società per azioni può emettere titoli di credito di massa (valori mobiliari) anche per la raccolta
di capitale di prestito. Le obbligazioni costituiscono il tipico e tradizionale strumento a tal fine
predisposto all’ordinamento.
Le obbligazioni sono infatti titoli di credito (nominativi o al portatore) che rappresentano frazioni
di uguale valore nominale e con uguali diritti di un’unitaria operazione di finanziamento a titolo di
mutuo. I titoli obbligazionari documentano quindi un credito verso la società ed un credito
assoggettato alla disciplina legale del mutuo.
Netta è perciò la distinzione tra azioni ed obbligazioni. L’azione attribuisce la qualità di socio e
quindi di compartecipe ai risultati (positivi e negativi) dell’attività di impresa; l’obbligazione
attribuisce invece la qualità di creditore della società. L’obbligazionista ha quindi diritto ad una
remunerazione periodica fissa (interessi), normalmente svincolata dai risultati economici della
268
società finanziata; ha inoltre diritto al rimborso del valore nominale del capitale prestato alla
scadenza pattuita.
L’azionista per contro, ha diritto al rimborso del suo apporto solo in sede di liquidazione della
società e sempre che residui un attivo netto dopo che sono stati soddisfatti tutti i creditori,
compresi gli obbligazionisti.
Inoltre, la quota di liquidazione dell’azionista può essere uguale, superiore o inferiore al valore
nominale del conferimento eseguito.
Meno netta è invece la distinzione tra obbligazioni e strumenti finanziari partecipativi, che hanno
in comune la caratteristica di essere emessi a fronte di un rapporto non imputato a capitale.
Le obbligazioni hanno però specifiche caratteristiche, precisamente:
a. Sono titoli di massa, in quanto rappresentano frazioni standardizzate di un’unica
operazione economica
b. Attribuiscono il diritto al rimborso di una somma di denaro
In particolare, il diritto al rimborso del capitale delle obbligazioni può essere subordinato al
soddisfacimento dei diritti di altri creditori, ma non può dipendere dall’andamento economico
della società, né può essere escluso o soppresso. Solo i tempi e l’entità del pagamento degli
interessi possono variare in dipendenza di parametri oggettivi anche relativi all’andamento
economico della società.
Gli strumenti finanziari partecipativi sono invece genericamente forniti di diritti patrimoniali o
anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti. Essi
rappresentano una categoria residuale atta a ricomprendere tutti gli strumenti finanziari emessi
dalla società non altrimenti qualificati e disciplinati dalla legge.
Gli strumenti finanziari possono pertanto condizionare il diritto al rimborso del capitale (e non solo
gli interessi) all’andamento della gestione, o escluderlo del tutto.
In sostanza gli strumenti finanziari partecipativi possono essere emessi non solo in base ad
un’operazione di finanziamento a titolo di mutuo, ma anche in base ad un rapporto di diversa
natura: associazione in partecipazione, negozio atipico di capitale di rischio.

Tipi speciali di obbligazioni


Tra i tipi speciali di obbligazioni possono essere ricordati per la loro diffusione:
a. Le obbligazioni a premio, che prevedono l’attribuzione agli obbligazionisti di utilità
aleatorie (in danaro o natura) da assegnare mediante sorteggio o altro sistema
b. Le obbligazioni indicizzate, che mirano a neutralizzare gli effetti della svalutazione
monetaria e ad adeguare il rendimento dei titoli all’andamento del mercato finanziario,
ancorando il tasso di interesse e/o il valore di rimborso ad indici di varia natura, quali le
obbligazioni strutturate indicizzate in base all’andamento dei prezzi di azioni, indici azionari
o valute estere.
c. Le obbligazioni in valuta estera
269
d. Le obbligazioni convertibili in azioni, che attribuiscono all’obbligazionista la facoltà di
trasformare il proprio credito in una partecipazione azionaria della società emittente
(procedimento diretto) o di altra società alla prima collegata (procedimento indiretto)
e. Le obbligazioni con warrant (o con diritto di opzione su azioni) che attribuiscono
all’obbligazionista il diritto di sottoscrivere o acquistare azioni della società emittente o di
altra società, ferma restando la posizione di creditore per le obbligazioni possedute.
f. Le obbligazioni partecipative, in cui tempi ed entità degli interessi variano in dipendenza
dell’andamento economico della società
g. Le obbligazioni subordinate, che sono rimborsabili solo dopo l’integrale soddisfacimento
degli altri creditori (ma prima delle azioni) in caso di liquidazione volontaria o di
assoggettamento a procedura concorsuale della società emittente

La regolamentazione degli altri tipi speciali di obbligazioni che spesso ricalcano i caratteri dei titoli
similari emessi dallo Stato o da enti pubblici, è rimessa all’autonomia negoziale.

I limiti all’emissione di azioni


La legge pone un limite quantitativo all’emissione di obbligazioni da parte della spa.
Il cc del 42 stabiliva al riguardo che le spa non potevano emettere obbligazioni per una somma
eccedente il capitale versato ed esistente risultante dall’ultimo bilancio approvato. Il punto
tuttavia è stato radicalmente modificato dalla riforma del 2003.
In base all’attuale disciplina la spa può emettere obbligazioni per somma complessivamente non
eccedente il doppio del capitale sociale sottoscritto, della riserva legale e delle riserve disponibili
risultanti dall’ultimo bilancio approvato. Così, se il capitale sottoscritto è 100, la riserva legale 20 e
le altre riserve disponibili 30, la società potrà emettere obbligazioni per ammontare non superiore
a 300. (in passato il limite sarebbe stato 50).
Il termine di riferimento per determinare il rispetto dei limiti all’emissione è costituito dall’ultimo
bilancio approvato, che può essere anche un bilancio infraannuale, non è necessario sia un
bilancio di esercizio.
Art 2412 co.2: secondo questo art al computo del limite di emissione di obbligazioni concorrono gli
importi relativi alle garanzie comunque prestate dalla società per obbligazioni emesse da altre
società, anche estere.
La società tuttavia può emettere obbligazioni per ammontare superiore a limite fissato in via
generale quando:
1. Le obbligazioni emesse in eccedenza sono destinate ad essere sottoscritte da investitori
istituzionali soggetti a vigilanza prudenziale (banche, società finanziarie, imprese di
assicurazione) i quali a loro volta, se trasferiscono le obbligazioni sottoscritte, rispondono
della solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non siano investitori
professionali

270
2. Le obbligazioni sono garantite da ipoteca di primo grado su immobili di proprietà della
società sino a 2/3 del valore di bilancio di questi. In tal caso l’emissione delle obbligazioni
non è soggetta al limite generale e non rientra nel calcolo dello stesso
3. Ricorrono particolari ragioni che interessano l’economia nazionale e la società è autorizzata
con provvedimento dell’autorità governativa a superare il limite
4. Le obbligazioni sono destinate ad essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi
multilaterali di negoziazione
5. Le obbligazioni danno diritto di acquisire o di sottoscrivere azioni (obbligazioni convertibili,
obbligazioni con warrant)
Restano in ogni caso salve le disposizioni di leggi speciali relative a particolari categorie di società,
quali le società bancarie e le società di progettazione. L’emissione di obbligazioni da parte delle
banche era già stata sottratta interamente al rispetto del limite quantitativo prima del 2003.
Per le altre società la legge si preoccupa poi di garantire che il rapporto tra capitale più riserve ed
obbligazioni permanga per tutta la durata del prestito obbligazionario.
La società che ha emesso obbligazioni non può ridurre volontariamente il capitale sociale o
distribuire riserve se il limite dell’art 2412 co.1 non risulta più rispettato per le obbligazioni che
restano in circolazione. È però consentita la riduzione (per perdite) obbligatoria. Ma in tal caso
non possono distribuirsi utili finchè non viene ripristinato il predetto rapporto tra obbligazioni da
un lato e capitale più riserve dall’altro.
Il procedimento di emissione
L’emissione di obbligazioni con l’attuale disciplina è deliberata dagli amministratori; la delibera di
emissione deve tuttavia risultare da verbale redatto da un notaio ed è soggetta a controllo di
legalità da parte dello stesso e ad iscrizione nel registro delle imprese. Essa produce effetti e può
essere eseguita solo dopo l’iscrizione.
La delibera di emissione delle obbligazioni che prevede la costituzione di garanzie reali a favore dei
sottoscrittori deve designare un notaio per il compimento delle formalità necessarie per la
costituzione delle stesse.
Il collocamento sul mercato delle obbligazioni è soggetto alla disciplina dell’offerta al pubblico di
prodotti finanziari, ove ne ricorrano i presupposti.
Alla sottoscrizione secondo le modalità fissate nel bando di emissione segue il rilascio di titoli, che
possono essere nominativi o al portatore. Il prezzo di emissione delle obbligazioni può essere
anche inferiore al valore nominale, salvo che per le obbligazioni convertibili.
L’ammontare delle obbligazioni emesse deve risultare da un apposito libro delle obbligazioni, nel
quale devono essere annotati anche l’ammontare delle obbligazioni via via estinte, nonché il
cognome e il nome dei titolari di obbligazioni nominative, i trasferimenti ed i vincoli relativi a
quest’ultime.

271
Le obbligazioni convertibili in azioni
Una specifica disciplina è dettata dall’art 2420-bis per le obbligazioni convertibili in azioni. Tale
norma regola le obbligazioni convertibili in azioni della stessa società di futura emissione
(procedimento diretto).
Sono queste obbligazioni che attribuiscono il diritto di sottoscrivere azioni della stessa società, in
base ad un prefissato rapporto di cambio, usando come conferimento le somme già versate al
momento dell’acquisto delle obbligazioni. Chi esercita il diritto di conversione cessa perciò di
essere obbligazionista e diventa azionista della società.
Norme specifiche sono dettate per l’emissione di questo tipo di obbligazioni. Le obbligazioni
convertibili devono essere offerte in opzione agli azionisti e ai possessori di obbligazioni
convertibili precedentemente emesse, secondo le modalità stabilite dalla disciplina del diritto di
opzione.
Si è innanzitutto voluto prevenire il pericolo che la futura emissione delle azioni avvenga violando
le norme poste a salvaguardia dell’effettività del capitale sociale. A tal fine si è disposto che:
a. La delibera di emissione delle obbligazioni convertibili non può essere adottata se il
capitale sociale precedentemente sottoscritto non è stato interamente versato
b. Le obbligazioni convertibili non possono essere emesse per somma complessivamente
inferiore al loro valore nominale e al valore nominale delle azioni offerte in conversione
Si richiede quindi che siano rispettate, già in sede di emissione delle obbligazioni, le condizioni
richieste per l’emissione di nuove azioni e che a rigore dovrebbero acquistare rilievo solo in sede
di conversione.
Le obbligazioni convertibili non sono invece soggette al limite di emissione dell’art 2412.
Competente a deliberare l’emissione di azioni convertibili è l’assemblea straordinaria. Così come
previsto per gli aumenti di capitale, l’atto costitutivo o una successiva modifica dello stesso
possono tuttavia attribuire agli amministratori la facoltà di emettere obbligazioni convertibili, fino
ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di 5 anni. La delega comprende anche
quella relativa al corrispondente aumento del capitale sociale.
La stessa assemblea che delibera l’emissione delle obbligazioni deve determinare il rapporto di
cambio, nonché il periodo e le modalità di conversione. Deve inoltre contestualmente deliberare
l’aumento del capitale sociale, per un ammontare corrispondente al valore nominale delle azioni
da attribuire in conversione.
L’aumento del capitale così deliberato sarà sottoscritto via via che gli obbligazionisti eserciteranno
il diritto di conversione. È perciò necessariamente ad esecuzione differita e progressiva e la
società è vincolata a darvi esecuzione anche se non è sottoscritto integralmente per il mancato
esercizio di alcuni diritti di conversione.
Sono fissate poi tre regole per conciliare la libertà di decisione della società con l’esigenza di
tutelare i possessori di tali obbligazioni di fronte ad operazioni societarie che possono alterare il
valore del diritto di conversione e la loro eventuale futura posizione di azionisti:

272
a. In caso di aumento del capitale sociale a pagamento e di nuove emissioni di obbligazioni
convertibili, il diritto di opzione sugli stessi spetta anche ai possessori di obbligazioni
convertibili, in concorso coi soci attuali, sulla base del rapporto di cambio. Si permette così
agli obbligazionisti di mantenere inalterata la proporzione della loro futura partecipazione
azionaria.
b. In caso di aumento gratuito del capitale o di riduzione dello stesso per perdite, il rapporto
di cambio è automaticamente modificato in proporzione alla misura dell’aumento o della
riduzione del capitale.
c. Infine, la società non può deliberare la riduzione reale del capitale sociale, la fusione con
altra società, la scissione o la modificazione delle disposizioni dell’atto costitutivo
concernenti la ripartizione degli utili, fin quando non siano scaduti i termini fissati per la
conversione. Il divieto tuttavia non ha carattere assoluto: può essere superato dalla società
concedendo agli obbligazionisti la facoltà di conversione anticipata.
Ai possessori di obbligazioni convertibili che non si avvalgono della conversione anticipata, devono
essere assicurati diritti equivalenti a quelli loro spettanti prima della fusione o della scissione, salvo
che la modifica dei loro diritti non sia stata approvata dall’assemblea degli obbligazionisti. In caso
di riduzione reale del capitale e di modifica delle norme statuarie sulla ripartizione degli utili, il
periodo concesso per la conversione anticipata sostituisce quello inizialmente pattuito e perciò,
scaduto lo stesso, i diritti di conversione non esercitati si estinguono.
La disciplina fin qui esposta riguarda solo le obbligazioni convertibili in azioni della stessa società
(procedimento indiretto), non è invece disciplinato il procedimento indiretto di emissione (quando
le obbligazioni emesse da una determinata società sono convertibili in azioni di altra società). A tal
proposito la dottrina è divisa sull’applicazione per analogia del procedimento dell’art 2420-bis.
Problemi analoghi si pongono per le obbligazioni con warrant o con diritto di opzione su azioni. È
vero che quest’ultime si distinguono nettamente da quelle convertibili in quanto attribuiscono un
diritto cumulativo (e non alternativo) rispetto al rimborso del capitale. È altrettanto vero però che
sollevano problemi di tutela degli obbligazionisti in parte coincidenti con quelli posti dalle
obbligazioni convertibili, sicchè anche per esse è prospettabile l’applicazione analogica della
disciplina dettata per quest’ultime.

L’organizzazione degli obbligazionisti


I prestiti obbligazionari emessi da una spa si caratterizzano per la previsione ex lege di
un’organizzazione di gruppo degli obbligazionisti, articolata in due organi: l’assemblea e il
rappresentante comune.
La costituzione degli obbligazionisti in gruppo organizzato risponde al duplice fine di:
a. Assicurare una più efficace tutela degli interessi comuni degli obbligazionisti
b. Consentire modifiche a maggioranza delle originarie condizioni del prestito così sollevando
la società dalla necessità di ottenere il consenso dei singoli obbligazionisti

273
L’assemblea degli obbligazionisti delibera:
1) Sulla nomina e sulla revoca del rappresentante comune
2) Sulle modificazioni delle condizioni del prestito
3) Sulle proposte di amministrazione controllata e di concordato preventivo e fallimentare
4) Sulla costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul
relativo rendiconto
5) Sugli altri oggetti di interesse comune degli obbligazionisti
Tra le competenze dell’assemblea degli obbligazionisti spicca quella di poter deliberare sulle
“modificazioni delle condizioni del prestito” sia pure con le maggioranze rafforzate previste dall’art
2415 co.3.
La formula è prevalentemente intesa nel senso che modificabile a maggioranza è qualsiasi
modalità del prestito, purchè la modifica sia giustificata da una situazione oggettiva della società
che la rende necessaria nell’interesse degli obbligazionisti.
Resta invece sottratta al potere dispositivo della maggioranza l’alterazione dei caratteri strutturali
di quel determinato prestito obbligazionario. Illegittima sarà perciò una delibera che sopprima il
diritto al rimborso del capitale, o disponga la conversione coattiva delle obbligazioni in azioni o
ancora sopprima il diritto di conversione dei titoli obbligazionari convertibili.
Valgono per l’assemblea degli obbligazionisti le regole di funzionamento dettate per l’assemblea
straordinaria dei soci, salvo alcune regole specifiche.
L’assemblea è convocata dagli amministratori della società o dal rappresentante comune degli
obbligazionisti. La convocazione è obbligatoria quando ne è fatta richiesta da tanti obbligazionisti
che rappresentano 1/20 dei titoli emessi e non estinti. All’assemblea possono assistere
amministratori e sindaci.
Per le delibere di modificazione delle condizioni del prestito è necessario anche in seconda
convocazione, il voto favorevole degli obbligazionisti che rappresentano la metà delle obbligazioni
emesse e non estinte.
Le deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti sono iscritte nel registro delle imprese a cura
del notaio che ha redatto il verbale. Devono inoltre essere trascritte in apposito libro delle
adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti, tenuto a cura del
rappresentante comune. I singoli obbligazionisti hanno diritto di esaminare tale libro e di
ottenerne estratti a proprie spese.
L’art 2416 estende alle delibere dell’assemblea degli obbligazionisti l’intera disciplina dettata per
le delibere assembleari nulle ed annullabili. L’impugnazione è proposta innanzi al tribunale nella
cui giurisdizione la società ha sede, in contradditorio col rappresentante comune degli
obbligazionisti.
Il rappresentante comune degli obbligazionisti è nominato dall’assemblea degli obbligazionisti. Se
questa non vi provvede è nominato dal tribunale, su domanda di uno o più obbligazionisti o degli
amministratori della società. Il rappresentante comune può essere scelto al di fuori degli
obbligazionisti e può essere una persona fisica o una persona giuridica autorizzata alla prestazione

274
di servizi di investimento, o ancora una società fiduciaria. La nomina è soggetta ad iscrizione nel
registro delle imprese.
Il rappresentante comune ha diritto ad un compenso fissato dall’assemblea degli obbligazionisti;
tale compenso deve ritenersi a carico della stessa organizzazione degli obbligazionisti e non della
società.
Il rappresentante comune dura in carica per un periodo non superiore a 3 anni ed è rieleggibile.
Può essere revocato dall’assemblea anche senza giusta causa e salvo in tal caso il diritto al
risarcimento dei danni.
Il rappresentante comune tutela gli interessi comuni degli obbligazionisti nei confronti della
società e dei terzi. In particolare:
1. Esegue le deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti
2. Assiste alle operazioni per l’estinzione a sorteggio delle obbligazioni, operazioni che sono
nulle se svolte senza la sua presenza o, in mancanza, di un notaio
3. Ha diritto di assistere alle assemblee dei soci
4. Ha diritto di esaminare il libro delle obbligazioni, nonché quello delle adunanze e delle
deliberazioni dell’assemblea dei soci e di ottenerne estratti
5. Ha la rappresentanza processuale degli obbligazionisti, anche nelle procedure concorsuali
L’organizzazione di gruppo non priva il singolo obbligazionista del potere di tutelare i propri diritti
nei confronti della società. Sono tuttavia precluse le azioni individuali “che siano incompatibili con
le deliberazioni dell’assemblea previste dall’art 2415”, cioè quando l’accoglimento di tali azioni
porterebbe a risultati contrastanti con le azioni promosse dall’organizzazione per la tutela degli
interessi comuni di gruppo.

275
CAPITOLO 16
LO SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ PER AZIONI
Le cause di scioglimento.
Lo scioglimento della società per azioni è disciplinato dagli art. 2438-2496 cc, con disposizioni che
l’attuale disciplina dedica a tutte le società di captali e quindi anche alla società in accomandita per
azioni ed alla società a responsabilità limitata.
La società per azioni si scioglie ed entra in stato di liquidazione col verificarsi di una delle seguenti
cause:
1. Il decorso del termine di durata, fissato nell’atto costitutivo. Termine che può essere
tuttavia prorogato prima della scadenza con delibera dell’assemblea straordinaria. Per le
società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è richiesta la maggioranza
rafforzata di più di 1/3 del capitale sociale anche in seconda convocazione. In tutte le spa è
inoltre riconosciuto il diritto di recesso agli azionisti che non hanno concorso
all’approvazione della delibera.
2. Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo,
sempre che quest’ultima abbia carattere assoluto e definitivo. In ogni caso tale causa di
scioglimento non opera se l’assemblea delibera le opportune modifiche statutarie.
3. L’impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell’assemblea. È necessario
però che la paralisi dell’organo assembleare per assenteismo degli azionisti o per contrasti
che impediscono la formazione delle prescritte maggioranze, precluda l’adozione di
delibere necessarie per il funzionamento della società (es: nomina di amministratori,
sindaci, consiglieri di sorveglianza, approvazione del bilancio)
4. La riduzione del capitale (per perdite) al di sotto del minimo legale, salvo che l’assemblea
deliberi la riduzione ed il contemporaneo aumento del capitale ad una cifra superiore al
minimo legale, oppure la trasformazione della società.
5. La delibera dell’assemblea straordinaria di scioglimento della società in seguito al recesso
di uno o più soci, o all’impossibilità di provvedere al rimborso delle relative azioni senza
ridurre il capitale sociale o all’opposizione dei creditori alla riduzione.
6. La deliberazione dell’assemblea (straordinaria) di scioglimento anticipato, per la quale nelle
società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è richiesta la maggioranza
rafforzata di più di 1/3 del capitale sociale anche in 2° convocazione. La delibera
assembleare di scioglimento anticipato è soggetta al controllo notarile e dev’essere iscritta
nel registro delle imprese.
7. Le altre cause previste dall’atto costitutivo o dallo statuto, (es: scadenza di una
concessione, morte di un determinato socio) per le quali lo statuto deve determinare la
competenza a deciderle o ad accertarle e ad effettuare i prescritti adempimenti
pubblicitari.

Dopo la riforma del 2003 non è più causa di scioglimento la dichiarazione di fallimento della
società.
276
Verificatasi una causa di scioglimento, gli amministratori devono procedere senza indugio al suo
accertamento e all’iscrizione nel registro delle imprese della relativa dichiarazione o della delibera
assembleare che dispone lo scioglimento. In caso di omissione da parte degli amministratori, il
tribunale su istanza dei singoli soci o sindaci, accerta il verificarsi della causa di scioglimento con
decreto soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese.
Ad iscrizione nel registro delle imprese sono infine soggetti il provvedimento di scioglimento
dell’autorità governativa, nonché la sentenza che dichiara la nullità della società.
Alla denominazione della società dev’essere aggiunta l’indicazione che si tratta di società in
liquidazione.
L’iscrizione nel registro delle imprese della causa di scioglimento acquista con la riforma del 2003
particolare rilievo dato che l’attuale disciplina ha significativamente modificato quella previgente
per quanto riguarda la decorrenza degli effetti connessi al verificarsi di una causa di scioglimento.
Per esigenze di certezza, questi non decorrono più dal momento stesso in cui la causa di
scioglimento si è verificata, bensì da quello successivo dell’iscrizione nel registro delle imprese
della dichiarazione di accertamento del consiglio di amministrazione o della delibera assembleare
che dispone lo scioglimento. Da tale momento si producono tutti gli effetti che l’ordinamento
ricollega al verificarsi di una causa di scioglimento.
In caso di ritardo o di omissione nell’accertamento e nell’iscrizione, gli amministratori sono
personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società, dai creditori sociali e dai
terzi.
La società in stato di liquidazione.
Il verificarsi di una causa di scioglimento non determina l’immediata estinzione della società: si
deve prima provvedere al pagamento dei creditori sociali ed alla ripartizione tra i soci
dell’eventuale residuo attivo. La società entra tuttavia in stato di liquidazione e si producono effetti
che coinvolgono i vari organi sociali e gli amministratori in primo luogo.
Gli amministratori restano in carica fino alla nomina dei liquidatori ma, contestualmente
all’accertamento della causa di scioglimento, devono convocare l’assemblea per le deliberazioni
relative alla liquidazione. Sono inoltre responsabili della conservazione dei beni sociali finquando
non li abbiano consegnati ai liquidatori.
Infine e soprattutto, vedono limitati i loro poteri: per il semplice verificarsi di una causa di
scioglimento (e quindi indipendentemente dall’iscrizione della stessa nel registro delle imprese) gli
amministratori conservano il potere di gestire la società “ai soli fini della conservazione
dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”. Per gli atti o le omissioni poti in essere violando
tale limitazione, gli amministratori sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni
arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi.
Gli atti compiuti dagli amministratori nei confronti dei terzi in violazione del divieto vincolano
tuttavia la società, salvo che lo scioglimento sia a questi opponibile perché hanno agito
intenzionalmente a danno della società stessa.

277
Lo scioglimento della società si ripercuote anche sugli altri organi sociali, dato che “le disposizioni
sulle assemblee e sugli organi amministrativi e di controllo si applicano, in quanto compatibili
anche durante la liquidazione”.
La norma non solleva problemi per quanto riguarda il collegio sindacale, che continuerà a svolgere
la consueta attività di controllo, anche nei confronti dei liquidatori che subentrano agli
amministratori.
Meno agevole è invece definire i limiti che l’attività deliberativa dell’assemblea incontra durante la
liquidazione. È certamente consentita la fusione con altre società fin quando non sia iniziata la
distribuzione dell’attivo; è controverso invece se siano compatibili con la liquidazione alcune
delibere modificative dello statuto come aumento del capitale sociale a pagamento, riduzione
facoltativa, trasferimento della sede sociale all’estero, trasformazione.
Con la riforma del 2003 è stata espressamente disciplinata la revoca dello stato di liquidazione: la
società può in ogni momento revocare lo stato di liquidazione e tornare ad una fase normale di
esercizio con la delibera dell’assemblea straordinaria, previa eliminazione della causa di
scioglimento. Nelle società non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è richiesta la
maggioranza rafforzata di 1/3 del capitale sociale anche in seconda convocazione.
Invece, ai soci che non hanno concorso alla deliberazione è riconosciuto il diritto di recesso. Infine,
anche i creditori sociali sono tutelati: la revoca ha effetto solo dopo 60 gg dall’iscrizione nel
registro delle imprese, termine entro il quale i creditori sociali anteriori all’iscrizione possono
proporre opposizione.
Non è invece necessario rispettare il termine di opposizione se risulta che tutti i creditori sono
consenzienti della revoca, oppure sono stati pagati.
Il procedimento di liquidazione.
Il procedimento di liquidazione si apre con la nomina di uno o più liquidatori; salvo diversa
disposizione dello statuto, i liquidatori sono nominati dall’assemblea straordinaria con delibera
che ne fissa anche il numero, le regole di funzionamento ed i poteri con particolare riguardo “alla
cessione dell’azienda sociale, di rami di essa o anche di singoli beni o diritti”, nonché “agli atti
necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio
anche di singoli rami, in funzione del migliore realizzo”.
Nell’inerzia dell’assemblea i liquidatori sono nominati dal tribunale su istanza dei singoli soci o
amministratori/sindaci. In caso di scioglimento per nullità della società, i liquidatori sono nominati
direttamente dal tribunale, con la sentenza che dichiara la nullità.
I liquidatori rimangono in carica per tutta la durata del procedimento di liquidazione, salvo che
non sia espressamente fissato un termine. Valgono per essi le cause di ineleggibilità e di
decadenza previste per gli amministratori.
I liquidatori possono essere revocati dall’assemblea con le maggioranze prescritte per l’assemblea
straordinaria; se sussiste giusta causa sono revocabili anche dal tribunale su istanza dei soci, dei
sindaci o del pubblico ministero.

278
I provvedimenti di nomina e di revoca dei liquidatori sono soggetti ad iscrizione nel registro delle
imprese. Con l’iscrizione della nomina dei liquidatori, gli amministratori cessano dalla carica e
devono consegnare ai liquidatori i beni sociali.
Poteri, doveri e responsabilità dei liquidatori sono modellati su quelli degli amministratori, sia pure
con alcuni adattamenti imposti dalle peculiarità dello stato di liquidazione. Pertanto:
a. I liquidatori devono adempiere i loro doveri con la diligenza e la professionalità richieste
dalla natura dell’incarico e la loro responsabilità è disciplinata dalle norme in tema di
responsabilità degli amministratori
b. I liquidatori devono prendere in consegna dagli amministratori i beni ed i libri sociali,
nonché redigere con gli stessi l’inventario del patrimonio dei conti (bilancio) alla data di
effetto dello scioglimento ed un rendiconto sulla loro gestione relativo al periodo
successivo all’ultimo bilancio approvato. Di tale consegna viene redatto apposito verbale.
c. I liquidatori possono compiere “tutti gli atti utili per la liquidazione della società” salvo
diversa disposizione statuaria o adottata in sede di nomina e soggetta ad iscrizione nel
registro delle imprese. Scompare invece il previgente divieto di intraprendere nuove
operazioni e la connessa responsabilità degli affari intrapresi. Scompaiono con essi anche i
relativi limiti legali al potere di rappresentanza dei liquidatori: potere che ormai deve
ritenersi generale al pari di quello degli amministratori, salvo l’opponibilità dell’exceptio
doli ai terzi che hanno agito intenzionalmente a danno della società.
L’attività dei liquidatori dev’essere innanzitutto diretta al pagamento dei creditori sociali. Essi non
possono perciò ripartire tra i soci i beni della società finquando non siano stati pagati tutti i
creditori noti o non siano state accantonate le somme necessarie per pagarli.
L’attuale disciplina consente tuttavia la distribuzione ai soci di acconti durante la liquidazione, sia
pure con le opportune cautele volte ad evitare che siano pregiudicati i creditori sociali. È infatti
necessario che dai bilanci risulti che la ripartizione non incide sulla disponibilità di somme idonee
al regolare soddisfacimento dei creditori; e i liquidatori sono personalmente e solidalmente
responsabili per i danni che ne derivano a quest’ultimi.
Se i fondi disponibili risultano insufficienti, i liquidatori possono chiedere proporzionalmente ai
soci i versamenti ancora dovuti sulle azioni non interamente liberate.
Se la liquidazione si protrae oltre l’anno, i liquidatori devono redigere il bilancio e sottoporlo
all’approvazione dell’assemblea con le scadenze previste per il bilancio di esercizio della società.
(bilancio annuale di liquidazione). In via di principio trova applicazione la disciplina dettata per il
bilancio di esercizio, in quanto compatibile con la natura/finalità/stato della liquidazione. In
particolare, lo stato di liquidazione può incidere sui criteri di valutazione delle poste di bilancio per
l’abbandono della prospettiva della continuazione dell’attività.
Nel primo bilancio successivo alla loro nomina i liquidatori devono tuttavia indicare nella nota
integrativa, le variazioni dei criteri di valutazione adottati rispetto all’ultimo bilancio approvato e le
ragioni e le conseguenze di tali variazioni.
Il mancato deposito del bilancio per oltre 3 anni consecutivi comporta la cancellazione d’ufficio
della società dal registro delle imprese.

279
Completata la liquidazione del patrimonio sociale con la conversione in danaro dell’attivo, i
liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione indicando la parte spettante a ciascun
socio nella divisione dell’attivo (piano di riparto).
Il bilancio finale di liquidazione dev’essere approvato dai singoli soci e non dall’assemblea, è
previsto un meccanismo di approvazione tacita.
Il bilancio, sottoscritto dai liquidatori ed accompagnato dalla relazione dei sindaci e del soggetto
incaricato della revisione legale dei conti, è depositato presso l’ufficio del registro delle imprese e
si intende approvato se, entro 90 gg dal deposito, nessun socio abbia proposto reclamo davanti al
tribunale in contradditorio coi liquidatori. Il bilancio inoltre si intende approvato,
indipendentemente dal decorso di tale termine, quando tutto l’attivo sia stato ripartito tra i soci e
questi abbiano rilasciato quietanza senza riserva, all’atto del pagamento dell’ultima quota di
riparto.
L’approvazione del bilancio finale di liquidazione libera i liquidatori di fronte ai soci per l’attività
svolta. Le somme non riscosse dai soci, entro 3 mesi dall’iscrizione dell’eventuale deposito del
bilancio, sono depositate dai liquidatori presso una banca.
Compiuta la liquidazione, i libri della società sono depositati presso l’ufficio del registro delle
imprese.

L’estinzione della società


Il procedimento di liquidazione si chiude con la cancellazione della società dal registro delle
imprese. Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione
della società dal registro. I libri della società sono depositati presso l’ufficio del registro delle
imprese.
La cancellazione dev’essere inoltre chiesta dal curatore fallimentare quando il fallimento si chiude
per insufficienza o integrale ripartizione dell’attivo.
La cancellazione è invece disposta d’ufficio quando per oltre 3 anni consecutivi non viene
depositato il bilancio annuale di liquidazione.
Prima del compimento dell’atto formale di liquidazione la società deve considerarsi ancora
esistente, quand’anche l’attivo sia stato integralmente ripartito tra i soci. Eventuali creditori sociali
rimasti insoddisfatti dovranno perciò ancora rivolgersi alla società, in persona dei liquidatori, salva
la responsabilità degli stessi qualora non riescano a recuperare dai soci le somme da costoro
percepite.
Invece, intervenuta la cancellazione dal registro, ferma restando l’estinzione della società, i
creditori sociali rimasti insoddisfatti possono far valere i loro diritti:
a. Nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al
bilancio finale di liquidazione
b. Nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.

280
La cancellazione dal registro delle imprese segna quindi l’estinzione della società per azioni,
quand’anche vi siano creditori (noti o ignoti) non soddisfatti. E lo stesso vale se dopo la
cancellazione emergono crediti o beni della società che non sono stati oggetto di liquidazione: la
cancellazione determina la successione universale dei soci nel patrimonio residuo della società, e
perciò tutti gli attivi non ripartiti cadono in comunione ordinaria tra gli stessi in proporzione della
loro quota di liquidazione. Ciò a meno che la cancellazione faccia presumere la volontà della
società di rinunciare al diritto: come nel caso di un credito controverso che la società non ha fatto
valere in giudizio prima di cancellarsi.
I creditori possono tuttavia chiedere il fallimento della società entro un anno dalla cancellazione
della stessa dal registro delle imprese.

CAPITOLO 17
LA SOCIETÀ IN ACCOMANDITA PER AZIONI.
Caratteri distintivi.
La società in accomandita per azioni è un tipo di società che, come per l’accomandita semplice, si
caratterizza per la presenza istituzionale di due categorie di soci:
a. I soci accomandatari, che rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni
sociali e sono per legge amministratori della società
b. I soci accomandanti, che sono obbligati verso la società nei limiti della quota di capitale
sottoscritto
La disciplina della società in accomandita per azioni è modellata su quella della società per azioni,
dato che “alla società in accomandita per azioni sono applicabili le norme relative alla società per
azioni in quanto compatibili con le disposizioni seguenti”.
È netta quindi la distinzione tra società in accomandita semplice e società in accomandita per
azioni: la prima è una società di persone, la seconda una società di capitali.
L’azionista accomandatario
L’azionista accomandatario risponde illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali ed è
amministratore della società. La posizione dell’azionista accomandatario presenta significativi
elementi di differenziazione rispetto a quella del socio accomandatario della società in
accomandita semplice.
Società in accomandita semplice:

281
1. Gli accomandatati possono ma NON DEVONO essere necessariamente amministratori,
perciò si possono avere soci accomandatari che non sono amministratori
2. L’accomandatario risponde delle obbligazioni sociali anche se non è amministratore o cessa
di esserlo
3. L’accomandatario risponde anche delle obbligazioni sociali anteriori all’acquisto della
qualità di socio e di quelle successive all’eventuale cessazione dalla carica di
amministratore
In breve, nell’accomandita semplice i soci accomandatari rispondono solidamente ed
illimitatamente in quanto tali, e non in quanto amministratori.
Società in accomandita PER AZIONI:
a. I soci indicati nell’atto costitutivo come accomandatari sono tutti DI DIRITTO amministratori
della società e senza limiti di tempo
b. Il socio accomandatario che cessa dall’ufficio di amministrazione, NON RISPONDE per le
obbligazioni della società sorte posteriormente all’iscrizione nel r. delle imprese della
cessazione dell’ufficio. Da quel momento quindi diventa socio accomandante.
c. Il nuovo amministratore assume la qualità di socio accomandatario dal momento
dell’accettazione della nomina e ciò implica che esso risponde solo per le obbligazioni
sociali che sorgono a partire da tale momento, non quelle anteriori
In breve, nell’accomandita per azioni vi è puntuale coincidenza tra accomandatari ed
amministratori e l’accomandatario-amministratore risponde illimitatamente per le sole
obbligazioni sorte nel periodo in cui ha rivestito la carica di amministratore. Non vi è perciò
necessaria coincidenza tra obbligazioni della società ed obbligazioni di cui risponde l’azionista
accomandatario.
L’unico dato che l’azionista accomandatario certamente condivide con il socio accomandatario
nell’accomandita semplice è il carattere sussidiario della propria responsabilità rispetto a quella
della società. I creditori sociali possono agire nei confronti degli accomandatari solo dopo aver
infruttuosamente escusso il patrimonio sociale.
Costituzione. Conferimenti. Azioni.
Per la costituzione della società, i conferimenti e le partecipazioni azionarie, trova piena
applicazione la disciplina delle società per azioni con due sole differenze.
L’atto costitutivo deve indicare quali sono i soci accomandatari; è invece superflua la nomina
nell’atto costitutivo dei primi amministratori, dato che gli accomandatari sono di diritto
amministratori.
La denominazione sociale dev’essere costituita dal nome di almeno uno dei soci accomandatari,
con l’indicazione di società in accomandita per azioni. Non è richiamato l’art 2314 co.2 che
sancisce la responsabilità solidale ed illimitata dell’accomandante che consente che il suo nome sia
inserito nella ragione sociale: tale norma quindi è inapplicabile nella società in accomandita per
azioni.

282
Nessuna disposizione specifica è dettata per le azioni intestate agli accomandatari. Esse non fanno
parte di una “categoria speciale”, infatti nel corso della vita della società, amministratori si diventa
perché si è nominati tali dall’assemblea, non perché le azioni incorporano un diritto speciale che si
trasferisce col trasferimento del titolo. Chi acquista le azioni da un accomandatario diventa socio,
ma non amministratore; perciò assume la posizione di semplice azionista accomandante.
In mancanza di specifiche limitazioni statuarie, anche le azioni degli accomandatari sono
liberamente trasferibili e non è a tal fine necessario il consenso degli altri accomandatari.
L’acquirente infatti non succede nella carica di amministratore dell’alienante. E questi d’altro
canto, può spogliarsi solo di parte delle azioni così conservando la veste di amministratore.
Anche le azioni dell’accomandita per azioni possono essere ammesse alle quotazioni di borsa e
troverà in tal caso applicazione la specifica disciplina prevista per le società quotate: controllo
della Consob, revisione legale dei conti come ente di interesse pubblico, possibilità di emettere
azioni di risparmio.
Gli organi sociali.
L’organizzazione interna della società in accomandita per azioni, come per la s.p.a., si fonda sulla
necessaria presenza di 3 organi: assemblea, amministratori e collegio sindacale.
All’assemblea si applicano le regole di funzionamento dettate per la società per azioni. Norme
particolari valgono tuttavia per l’adozione di talune delibere:
a. Gli accomandatari non hanno diritto di voto nelle deliberazioni di nomina e revoca dei
sindaci, nonché in quelle concernenti l’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro
confronti.
b. Le modificazioni dell’atto costitutivo non solo devono essere deliberate dall’assemblea
straordinaria con le consuete maggioranze, ma devono essere approvate da tutti i soci
accomandatari. A questi ultimi è quindi riconosciuto il diritto di veto nei confronti di
eventuali modifiche dell’assetto originario della società.
c. Nella competenza dell’assemblea straordinaria rientra anche la nomina e la revoca degli
amministratori. Inoltre, la nomina di nuovi amministratori in sostituzione di quelli cessati
dalla carica, dev’essere approvata anche dagli eventuali amministratori rimasti in carica.

Le più significative deviazioni dalla disciplina della s.p.a. si hanno proprio per quanto riguarda
l’organo amministrativo. I soci accomandatari sono di diritto amministratori ed il loro ufficio ha
carattere permanente, se l’atto costitutivo non dispone diversamente.
Gli accomandatari-amministratori non sono tuttavia inamovibili. Essi possono essere revocati
anche se non ricorre giusta causa, salvo il diritto al risarcimento dei danni. Tuttavia, la revoca
dev’essere deliberata con le maggioranze prescritte per le deliberazioni dell’assemblea
straordinaria.
Gli accomandatari-amministratori possono altresì rinunciare all’ufficio. La nomina di nuovi
amministratori in sostituzione di quelli cessati dalla carica, dev’essere deliberata dall’assemblea
straordinaria e dev’essere approvata dagli amministratori rimasti in carica.

283
Il nuovo amministratore dev’essere scelto tra gli azionisti ed assume la qualità di accomandatario
con l’accettazione della nomina.
Gli accomandatari-amministratori sono soggetti agli stessi obblighi degli amministratori di società
per azioni, essi pertanto oltre che essere personalmente e solidalmente responsabili verso i terzi
per le obbligazioni sociali, sono tenuti al risarcimento dei danni per violazione degli obblighi posti a
loro carico dalla legge e dall’atto costitutivo verso la società, verso i creditori sociali e verso i
singoli soci o terzi direttamente danneggiati.
In caso di pluralità di amministratori trova applicazione la disciplina dettata per il consiglio di
amministrazione della società per azioni, con conseguente applicazione del metodo collegiale e del
principio maggioritario.
Infine, per il collegio sindacale l’unica deviazione della disciplina delle s.p.a. consiste nel divieto per
gli accomandatari di votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina e la revoca dei sindaci e del
soggetto incaricato della revisione dei conti. È così rafforzata l’indipendenza dell’organo di
controllo dagli amministratori.
Analogo divieto è previsto nelle società organizzate secondo il sistema dualistico, per la nomina e
revoca dei consiglieri di sorveglianza.

Lo scioglimento della società.


Per la società in accomandita per azioni è prevista un’ulteriore causa di scioglimento tipica ed
ulteriore rispetto a quelle dettate per la s.p.a.
La società si scioglie in caso di cessazione dalla carica di tutti gli amministratori se nel termine di 6
mesi non si è provveduto alla loro sostituzione ed i sostituti non hanno accettato la carica. Per
questo periodo il collegio sindacale nomina un amministratore provvisorio, i cui poteri sono
circoscritti agli atti di ORDINARIA AMMINISTRAZIONE. L’amministratore provvisorio non assume la
carica di socio accomandatario.
Tra le cause di scioglimento invece non è previsto (diversamente dall’accomandita semplice) il
venir meno di tutti gli accomandanti. In tal caso la società può continuare l’attività con la
compagine azionaria costituita dai soli soci accomandatari, almeno finquando non insorga la
necessità di adottare una delibera che per legge è riservata esclusivamente agli accomandanti
(nomina e revoca dei sindaci).
Per il resto lo scioglimento dell’accomandita per azioni segue la disciplina della s.p.a., salvo le
peculiarità derivanti dalla presenza di soci a responsabilità illimitata.
Così, se il patrimonio sociale è insufficiente al pagamento dei creditori, i liquidatori potranno
chiedere agli accomandatari le somme necessarie, nei limiti della rispettiva responsabilità ed in
proporzione alla partecipazione di ciascuno nelle perdite.
Inoltre, dopo la cancellazione della società, i creditori rimasti insoddisfatti potranno far valere i
loro diritti nei confronti degli accomandatari (responsabili verso di loro) ed anche dei liquidatori, se

284
il mancato pagamento è dipeso da colpa di quest’ultimi. Potranno invece agire nei confronti degli
accomandanti solo nei limiti della quota di liquidazione dagli stessi riscossa.

CAPITOLO 18
LA SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA
Caratteri distintivi.
La società a responsabilità limitata è una società di capitali nella quale:
1. Per le obbligazioni sociali risponde solo la società col suo patrimonio. Tutti i soci godono del
beneficio della responsabilità limitata e perciò nessuna pretesa possono avanzare nei loro
confronti i creditori della società.
2. Le quote di partecipazione dei soci NON POSSONO essere rappresentate da azioni, né
possono costituire oggetto di offerta al pubblico. Tale divieto costituisce un significativo
ostacolo alla raccolta di ingenti capitali di rischio tra il pubblico dei risparmiatori, rendendo
meno agevole la pronta mobilitazione dell’investimento.
Nel contempo alle s.r.l. è fatto divieto di emettere obbligazioni, anche se con la riforma del 2003 è
stato loro consentito di emettere titoli di debito per la raccolta del capitale di credito, ma senza
poterli direttamente allocare presso il pubblico dei risparmiatori. I titoli di debito emessi dalle
società a responsabilità limitata possono essere sottoscritti solo da banche ed altri investitori
qualificati. (Finora quindi hanno avuto scarsa diffusione).
Le ragioni della diffusione della s.r.l. sono molteplici:
a. Minori requisiti di capitale: il capitale sociale minimo richiesto per la società è di 10mila €
anziché 50mila, come per le altre società di capitali.
Dal 2013 inoltre la società può essere costituita anche con un capitale inferiore al minimo
legale, purchè pari ad almeno 1€, con l’unica conseguenza che in questo caso i
conferimenti devono versarsi per intero e in denaro al momento della sottoscrizione nelle
mani degli amministratori, e che è previsto un maggiore accantonamento di utili per la
riserva legale.
L’importo del minimo di capitale continua tuttavia ad avere rilievo come limite per la
riduzione del capitale: è da escludere che le società già dotate del capitale minimo possano
successivamente ridurlo al di sotto di tale soglia. La derogabilità del minimo legale in sede
285
di costituzione è una misura volta a favorire la nascita di nuove società e consentire il loro
graduale rafforzamento patrimoniale mediante l’accumulo di riserve nel corso degli
esercizi; non può e non deve servire invece ad assecondare la decapitalizzazione di società
in cui è stata già raggiunta la soglia del capitale minimo.
Nel contempo la riforma del 2003 ha anche consentito l’apporto di opere e servizi per i
conferimenti, vietato nelle s.p.a.
b. Minori costi di funzionamento: la presenza di un organo di controllo è obbligatoria solo per
le società a responsabilità limitata che superano determinate dimensioni e anche in questo
caso può limitarsi alla nomina di un solo sindaco o di un revisore, anziché un collegio
sindacale.
c. Maggiore flessibilità organizzativa: secondo la disciplina delineata dal codice del ’42
l’assetto organizzativo della s.r.l. ricalcava il modello base della s.p.a., pur caratterizzandosi
per la possibilità di una più snella articolazione e di una più attiva e diretta partecipazione
dei soci alla vita della società. Nella società a responsabilità limitata è oggi consentito
adottare statuariamente anche soluzioni organizzative proprie delle società di persone. Nel
contempo è sotto più profili rafforzata la tutela del singolo socio, con il riconoscimento di
nuovi diritti, quale la legittimazione individuale all’esercizio dell’azione sociale di
responsabilità verso gli amministratori.
d. Minori costi di costituzione: i minori conferimenti richiesti, la possibilità di prevedere una
struttura organizzativa con meno cariche sociali, rendono la costituzione di una società a
responsabilità limitata decisamente più economica di una società per azioni.
Nel 2012 è anche stata introdotta un sottotipo speciale di s.r.l., la “società a responsabilità
limitata semplificata”, la cui costituzione è esentata persino dal pagamento degli oneri
notarili.

In definitiva perciò l’obiettivo di fondo nelle novità introdotte dalla riforma del 2003, è quello di
rendere la s.r.l. come il tipo di società di capitali che si presta meglio delle società per azioni per
l’organizzazione di imprese di modeste dimensioni, a base familiare e comunque con compagine
societaria ristretta ed attiva.

La costituzione della società. La società a responsabilità limitata unipersonale


La costituzione della società a responsabilità limitata presenta alcune deviazioni rispetto al regime
della società per azioni:
a. Non è ammessa la stipulazione dell’atto costitutivo per pubblica sottoscrizione e non trova
perciò applicazione la disciplina prevista per i promotori.
b. Il capitale sociale minimo richiesto per legge per le s.r.l. è di diecimila euro. Però in sede di
costituzione il capitale può essere determinato in una misura inferiore, purchè pari almeno
ad un euro.
c. La denominazione sociale può essere liberamente formata come nella s.p.a., ma deve
ovviamente contenere l’indicazione di società a responsabilità limitata.
Anche la srl può essere costituita a tempo indeterminato.
286
Il contenuto dell’atto costitutivo, dettato dall’art 2463, ricalca quello della società per azioni, salvo
la sostituzione delle indicazioni relative alle azioni con quella della quota di partecipazione di
ciascun socio.
I conferimenti. Le altre forme di finanziamento.
Nella disciplina previgente ai conferimenti nella srl si applicavano le stesse regole dettate per la
società per azioni. La materia tuttavia è stata profondamente modificata dalla riforma del 2003.
Con l’attuale disciplina sono caduti larga parte dei limiti e dei divieti previsti per la società per
azioni per quanto riguarda l’oggetto del conferimento. L’attuale principio base è che, anche nelle
società a responsabilità limitata (come nelle società di persone), “possono essere conferiti tutti gli
elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica”.
Tuttavia se l’atto costitutivo non dispone diversamente, i conferimenti devono farsi in denaro.
Inoltre, se il capitale sociale è determinato in misura inferiore al minimo legale non vi è scelta sui
beni conferibili: può essere conferito esclusivamente denaro ed i conferimenti devono essere
interamente versati al momento della sottoscrizione.
Per semplificare e ridurre i costi di costituzione della società, il versamento iniziale del 25% dei
conferimenti in danaro e dell’intero sovrapprezzo va effettuato direttamente all’organo
amministrativo nominato nell’atto costitutivo, anziché presso una banca. Nell’atto costitutivo sono
indicati i mezzi con cui è stato effettuato il pagamento.
In teoria la legge prevede anche che il pagamento possa esser sostituito dalla stipula di una polizza
di assicurazione o di una fideiussione bancaria, salvo il diritto del socio di sostituire in ogni
momento la polizza o la fideiussione con il versamento del corrispondente importo in denaro.
Questa disposizione tuttavia non è mai diventata operativa, perché il Governo non ha provveduto
a determinare le caratteristiche della polizza assicurativa e della fideiussione bancaria, come
richiesto dal codice civile.
È espressamente consentito il conferimento di prestazioni di opere o servizi (vietato invece nelle
società per azioni), purchè l’intero valore assegnato a tale conferimento sia garantito da una
polizza di assicurazione o da una fideiussione bancaria. Se l’atto costitutivo lo prevede, il socio ha
però facoltà di sostituire la polizza o la fideiussione con il versamento a titolo di cauzione del
corrispondente importo in denaro presso la società.
Semplificata è anche la disciplina dei conferimenti in natura: resta fermo il vincolo che essi devono
essere interamente liberati al momento della sottoscrizione. Non è però necessario che l’esperto
chiamato ad effettuare la valutazione sia designato dal tribunale, ma è sufficiente che si tratti di un
revisore o di una società di revisione iscritti nell’apposito registro.
Analoga semplificazione della stima è prevista anche per gli acquisti pericolosi della società nei
confronti di soci, amministratori e fondatori,