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Contabilità generale
Gli stakeholder sono i soggetti economici interessati al bilancio, esterni all’azienda, come, ad
esempio, gli attori che comprano nel mercato azionario le quote di un’azienda così da diventarne
proprietari in “quota parte” e che non si interessano all’organizzazione dell’azienda stessa; essi
sono detti “portatori di interessi”. Esempi di portatori di interessi sono le banche, i fornitori che
devono assicurarsi che il finanziamento effettuato nei confronti dell’azienda gli possa essere
restituito in base ai dati di bilancio a seguito di una scadenza di contratto, gli intermediari
finanziari, clienti, che devono capire a chi affidare i propri soldi per i prossimi investimenti,
concorrenti che devono creare nuove strategie.
Definizione di impresa
Dal Codice civile, l’impresa viene definita derivandola dal concetto di “azienda”. Con “azienda” si
intende il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’impresa; tale
definizione, però, risulta semplicistica e poco pratica perché definisce l’azienda con un concetto
statico che non tiene conto del suo cambiamento nel tempo in base a nuovi progressi economici e,
inoltre, è una definizione parziale e dalla quale si deve derivare quella di impresa, quindi si utilizza
un’altra definizione.
Per definizione, quindi, l’impresa è un istituto economico duraturo che produce beni e servizi. Si
definisce “istituto” in quanto è un organismo caratterizzato da sistemi coordinati tra persone, beni
ed operazioni esecutive; “economico” perché in esso vengono assunte decisioni per adattare i
mezzi scarsi a fini molteplici; “duraturo” perché deve sopravvivere anche oltre la vita fisica delle
persone e dei beni utilizzati e, a tale scopo, si studiano strategie di breve e lungo periodo; con
“produzione di beni e servizi” si fa riferimento alla missione dell’impresa, cioè quella di creare una
nuova utilità che deve soddisfare il bisogno del consumatore.
L’obiettivo dell’impresa è non solo la produzione di profitto a scopo di lucro sia nel breve che lungo
periodo e in maniera continuativa, ma anche la massimizzazione del capitale.
Poiché l’impresa è un sistema dinamico che si autoregola cercando di ottimizzare il profitto, essa
viene studiata attraverso l’equazione di costi, profitto e ricavo: la somma dei costi di produzione e
il profitto dell’impresa rappresenta i ricavi della stessa.
Per garantire un maggior profitto sia nel medio che nel lungo periodo, le scelte dell’azienda
devono essere ponderate in modo tale da aumentare la clientela o la qualità: se, ad esempio,
l’azienda decide di abbassare la qualità diminuendo i costi di produzione nel breve periodo, si
ricava maggior profitto poiché diminuiscono i costi ma, nel lungo periodo, la clientela smette di
acquistare da essa poiché si rende conto dell’abbassamento della qualità della materia prima;
altro esempio è quello di un'azienda che decide di prendere scelte poco sostenibili socialmente e
che, nel lungo periodo, viene scartata dal consumatore.
Obiettivi dell’impresa
Gli obiettivi di un’impresa sono molteplici e possono essere categorizzarti in:
1) Obiettivo generico di soddisfazione di tutti i portatori di interessi, quale il
soddisfacimento degli azionisti che devono vedere massimizzato il capitale azionario poiché
essi non ricevono nel breve periodo il ricavo ed è, inoltre, frammentato in “dividendi”, cioè
la parte di amministrazione da essi investita nell’impresa; il soddisfacimento dei creditori,
aumentando le tutele nei loro confronti garantendo maggiori investimenti, valorizzazione e
coinvolgimento dei lavoratori per evitare che essi si allontanino dall’azienda e tutela
dell’ambiente per andare incontro all’esigenza dei consumatori legati a tale aspetto.
2) Obiettivo di massimizzazione del capitale azionario, che riflette le politiche di lungo
termine dell’azienda. Infatti, per un investitore esterno è un criterio di scelta.
Tipi di società
Analizzando in particolare le società regolate dal Codice civile di tipo lucrativo, esse possono
essere suddivise in base al livello personale o attraverso il patrimonio dell’azienda.
La società che risponde alle obbligazioni sociali e giuridiche a livello personale, cioè attraverso i
soci che la compongono, è una società di persone, la quale non hanno personalità giuridica
autonoma, cioè le persone dei soci non sono assorbite dalla creazione di un nuovo soggetto
giuridico. Ciò significa che se non è possibile distinguere la personalità giuridica delle persone che
compongono la società dalla personalità della società stessa. Con le società di persone, ogni socio
possiede una responsabilità illimitata poiché risponde agli obblighi nei confronti della società
attraverso il suo patrimonio personale e non attraverso un unico patrimonio associato all’azienda
stessa. La società di persone è somma dei contributi dei singoli soci che inseriscono, attraverso
patti e obbligazioni, una quota pattuita ma possono essere colpiti tutti i beni personali dei soci
(non esiste un unico patrimonio).
Le società che rispondono alle obbligazioni sociali giuridiche attraverso il patrimonio dell’azienda
stessa si dicono “società di capitali” e sono quelle le quali acquisiscono personalità giuridica in
seguito alla registrazione del loro atto costitutivo tramite notaio e tale personalità fa venir meno il
rilievo delle figure dei singoli soci. Ciò significa che i soci che compongono la società di capitali non
devono rispondere con il proprio personale patrimonio alle obbligazioni della società stessa ma si
utilizza l’utile della società.
Ad esempio, ciò che cambia profondamente tra una società di persone ed una di capitali è il
metodo di pagamento delle imposte sulla società stessa: per le società di persone, la tassa imposta
è l’IRPEF ed è una tassa progressiva in base al reddito delle persone; sulle società di capitale la
tassa è l’IRES, non progressiva e con un’aliquota uguale per tutti.
In posizione intermedia tra le società a responsabilità illimitata e quelle a responsabilità limitata si
colloca la società in accomandita, cioè società in cui i soci contribuenti sono suddivisi in due
categorie: alcuni rispondono ad obbligazioni illimitatamente, altre limitatamente alla quota
conferita; si tratta di una società ibrida.
Società semplice
La società semplice appartiene alla classificazione di società di persone a responsabilità illimitata
ed è un’attività non commerciale (come, ad esempio, una famiglia che deve ridistribuire i
patrimoni immobiliari). I soci sono obbligati ad eseguire il conferimento promesso, rispondono
illimitatamente alle obbligazioni sociali, acquistano il diritto di ottenere la parte di utili pattuita e
hanno il diritto di partecipare alla gestione sociale. I creditori della società possono soddisfarsi sui
beni sociali e colpire i beni personali dei soci amministratori (cioè sui loro patrimoni poiché non ne
esiste uno collettivo essendo una società di persone).
Criteri di contabilità
I criteri alla base della contabilità sono tre: rilevanza, oggettività e fattibilità e attraverso essi
vengono scritti i principi fondamentali che guidano l’azione.
Per “rilevanza” si intende la caratteristica delle informazioni la cui comunicazione risulta essere
indispensabile per la società; con “oggettività” si fa riferimento alla caratteristica dell’informazione
che la rende uguale per tutti i soggetti (ad esempio, se non è possibile determinare un valore
univoco da associare ad un oggetto dopo il suo acquisto, è preferibile utilizzare il prezzo di vendita
iniziale, andando però incontro ad approssimazioni ed errori deterministici); con “fattibilità” si
tiene conto della reale produzione dell’informazione (ad esempio, se l’oggetto del quale si voleva
determinare il valore sul mercato non può essere però poi utilizzato per ricavarne un utile, è
superfluo determinarne il valore se poi non è fattibile la vendita). Tali principi sono detti in “Trade
off” perché possono andare in contrasto l’uno con l’altro, ad esempio l’oggettività, per essere
garantita, dovrebbe essere studiata tramite un’analisi del prezzo reale dell’oggetto ma questo
processo richiede un costo che potrebbe essere addirittura superiore a quello di vendita, quindi
non è fattibile il processo.
Rendiconti
La finalità della contabilità la produzione di rendiconti che formano il bilancio e possono essere
suddivisi in quattro documenti principali:
1) Stato patrimoniale, un rendiconto calcolato in un istante di tempo determinato che
“fotografa” la contabilità dell’azienda a livello patrimoniale;
2) Conto economico, un rendiconto definito in un periodo di tempo determinato che ha come
data di inizio un primo stato patrimoniale e quello finale lo stato patrimoniale calcolato
nell’istante successivo;
3) Rendiconto dei flussi di cassa, così come il conto economico è redatto in un periodo di
tempo determinato, per tale motivo è definito come un “flusso” ed è calcolato nello stesso
periodo del conto economico.
4) Nota integrativa, documento in formato libero che spiega le principali scelte prese ed i
criteri per redigere i precedenti rendiconti. Infatti, lo stato patrimoniale e i flussi di conto
economico e di cassa sono rendiconti basati su numeri, ad essi non è associata una
spiegazione, che viene fornita successivamente nel documento di nota integrativa.
Tipologie di bilancio
Il bilancio può essere di due tipologie: ad uso interno, il quale non deve rispettare precise regole
poiché viene stilato per un utilizzo interno all’azienda per monitorare l’andamento della stessa; ad
uso esterno, il quale rappresenta il bilancio contabile ufficiale il cui contenuto è redatto
attenendosi al Codice civile ed è definito da parametri determinati che le aziende hanno l’obbligo
di seguire per poi renderlo pubblico. La pubblicazione di un bilancio è necessaria per tutelare gli
interessi dei creditori, rendere comprensibile la lettura persone esterne, rendere comparabili i
bilanci nel tempo.
Esistono, inoltre, diverse categorie di bilancio tenendo conto della stesura in base a:
- Forma giuridica dell’impresa, il bilancio sarà più o meno semplificato;
- Settore, le imprese bancarie ed assicurative focalizzano l’attenzione del bilancio
sull’aspetto dei flussi, le aziende produttive sul valore dei profitti;
- Modalità di reperimento dei capitali, ad esempio per le società quotate in borsa il bilancio
si differenzia da quello di società di produzione;
- Dimensione, può essere più o meno abbreviato in base alla natura dell’azienda;
- Dalla circostanza in cui l’azienda opera, se in continuità di funzionamento o meno (infatti se
l’azienda dichiara la chiusura deve pubblicare il bilancio di chiusura o fallimento, se dichiara
una continuità di esercizio, il bilancio di esercizio).
I bilanci possono essere di tipo civilistico (con finalità giuridica e reperito pubblicamente), fiscale
(finalità fiscale è reso pubblico), gestionale (con finalità gestionali e di reperibilità privata).
Stato patrimoniale
Lo stato patrimoniale è un rendiconto sullo stato di un’azienda, il cui nome è indicato
nell’intestazione, così come l’istante di tempo in cui è stato redatto. È un rendiconto a due
colonne, suddiviso in sezione di sinistra e sezione di destra: la sezione di sinistra riguarda le
attività, quella di destra la passività e il capitale netto.
Le attività, situate nella colonna di sinistra dello stato patrimoniale, riguardano le risorse
dell’azienda, quali caste, macchinari, brevetti, cioè “cose” di valore che servono all’azienda per la
produzione di beni o servizi per cui la società è nata e sulle quali vanta un primato.
Nella colonna di destra sono presenti i diritti vantati verso terzi o dalla proprietà, con riferimento
al diritto residuale. Con “obblighi verso terzi” si indica la passività dell’azienda, cioè la somma di
tutti gli obblighi verso soggetti esterni alla società, come ad esempio le banche e gli investitori, ai
quali l’azienda deve restituire una somma determinata di denaro. Nella creazione di beni e servizi,
infatti, l’azienda contrae degli obblighi verso coloro che non sono i proprietari (cioè i terzi) ai quali
devono restituire il denaro in un tempo definito a priori tramite contratto.
I diritti “vantati dalla proprietà” rappresentano il diritto residuale, cioè il capitale netto. I
proprietari hanno un diritto che può essere valutato solo dopo aver svolto l’obbligo verso terzi;
infatti, la passività e il capitale netto non hanno lo stesso livello di obbligatorietà.
Conto economico
Il conto economico è un rendiconto di flusso relativo a due istanti di tempo, i quali vengono
apposti nell’intestazione (ad esempio, se il periodo è quello dell’anno corrente, il rendiconto di
flusso viene calcolato tra il 1° gennaio e il 31 dicembre del medesimo anno). Il rendiconto
economico è a scalare: si parte da una cifra iniziale, come i ricavi dell’azienda, ai quali si vanno a
detrarre tutti i costi impiegati nella produzione, per poi ricavare come risultato finale, l’utile nel
periodo di tempo determinato. La sottrazione dei costi avviene in maniera ordinata: al ricavo si
sottrae il costo del venduto per ricavare il margine lordo che è indicazione di quanto l’azienda è
stata produttiva; ad esso si sottraggono i costi operativi (come gli stipendi degli impiegati) per poi
ricavare il risultato prima delle imposte; dopodiché si sottraggono le imposte per ottenere, in
conclusione, il risultato netto.
Il rendiconto economico serve a spiegare come il reddito dell’azienda è stato generato. Con “costo
del venduto” si fa riferimento al costo delle risorse direttamente riconducibili ai ricavi, come
l’acquisto delle materie prime per la produzione; con “costi operativi” si fa riferimento ai costi
associati alle singole transazioni di vendita (non parte del CDV, cioè costo del venduto) e i costi
delle attività di gestione.
Dal conto economico, si ricava il risultato netto, cioè l’utile che appartiene ai proprietari
dell’azienda stessa e che viene immagazzinato nelle “risorse degli utili”: tale denaro, che può
anche non essere in forma liquida, viene accantonato per poterlo consegnare ai soci o ripagare gli
obblighi verso terzi. Infatti, le risorse riguardano denaro “fittizio” che può ancora non appartenere
fisicamente alle casse della società (ad esempio, se i creditori devono ancora pagare per l’acquisto
del bene, si deve aspettare che la quota rientri) e si deve prima rendere liquida un’altra voce del
bilancio prima di poter accedere ai soldi delle riserve utili.
La riserva può anche essere suddivisa in “dividendi”, cioè diritti verso i soci. A partire dalle riserve
di utili dell’anno precedente, si somma il risultato netto dell’anno corrente, adesso si sottraggono i
dividendi per ottenere la riserva di utile al termine dell’anno corrente. I dividendi vengono sottratti
alle riserve utili ma non fanno parte del conto economico; soltanto le riserve degli utili calcolate al
termine dell’anno corrente sono inserite nella passività e, quindi, nel CE.
Approcci alla contabilità
Lo studio di un bilancio di contabilità può essere effettuato seguendo due approcci differenti: dal
punto di vista del contabile che segue i concetti e le tecniche necessarie per raccogliere,
sintetizzare comunicare l’informazione contabile; dal punto di vista dell’utilizzatore delle
informazioni contabili.
Attraverso gli strumenti contabili, l’utilizzatore è capace di valutare il profilo economico,
finanziario e patrimoniale della gestione globale di un’impresa, riuscendo a capirne l’analisi nel suo
insieme. Per dedurre lo stato di un’azienda, è necessario osservare la condizione di equilibrio
economico, finanziario e patrimoniale.
Equilibrio economico
L’equilibrio economico è lo stato in cui l’azienda si trova quando il flusso di ricavi è durevolmente
in grado di fronteggiare il flusso dei costi. Il flusso dei ricavi deve fronteggiare “durevolmente” il
flusso dei costi poiché può accadere che in un determinato periodo di tempo l’azienda debba
fronteggiare costi di produzione superiori ai ricavi (ad esempio, per la modernizzazione degli
impianti nel lungo periodo) ma se questa condizione permane nel tempo, dunque diventa
durevole, si perde l’equilibrio economico.
Ciclo produttivo
Il ciclo produttivo di un’azienda riguarda l’acquisizione di fattori produttivi che vengono impiegati
in un processo di trasformazione aziendale e la somma dei costi di acquisizione e di trasformazione
rappresenta il flusso dei costi; dopo la trasformazione, il bene viene posto sul mercato è soggetto
alla vendita dalla quale si ottengono i flussi di ricavi.
Quando il flusso di ricavi è maggiore del flusso dei costi, l’azienda sta producendo un utile
d’esercizio; se il flusso di ricavi è minore del flusso di costi, si ottiene una perdita di esercizio. Dal
ciclo produttivo si può dedurre se è o meno presente un equilibrio economico.
Equilibrio finanziario
L’impresa si trova in una condizione di equilibrio finanziario quando il flusso delle entrate è
costantemente in grado di fronteggiare il flusso delle uscite. Oltre ad un equilibrio economico,
deve essere presente anche un equilibrio finanziario che riguarda le entrate ed uscite economiche
e monetarie di un’azienda: esse, però, non sono sempre simultanee si deve tener conto anche dei
pagamenti successivi al momento in cui si calcola l’equilibrio finanziario. Le entrate e le uscite
monetarie fanno parte anche della gestione e restituzione dei finanziamenti; l’equilibrio finanziario
è sempre legato agli investimenti aziendali. Quando le caratteristiche degli investimenti e dei
finanziamenti sono tra di loro omogenee si ottiene equilibrio finanziario. Con il termine
“omogenee” si intende che gli investimenti producono entrate di denaro che possono produrre un
utile capace di restituire nei tempi previsti la stessa quantità di denaro per ripagare il debito nei
confronti dell’investitore. Gli investimenti devono essere scelti consapevolmente per rispettare
l’equilibrio finanziario e l’azienda deve poter investire con lo scopo finale di aumentare l’utile nel
lungo periodo.
Anche se l’equilibrio economico e finanziario sono correlati, non sempre coincidono poiché i ricavi
e i costi possono non essere immediati, quindi un equilibrio economico non sempre si riflette in un
equilibrio finanziario perché nell’istante di tempo in cui è calcolato è possibile che l’azienda stia
aspettando l’entrata da parte di un cliente o debba sostenere un’uscita verso terzi.
Equilibrio patrimoniale
L’equilibrio patrimoniale rappresentato dalla relazione esistente fra le diverse fonti di
finanziamento, esaminate dal punto di vista della loro provenienza. Le fonti di finanziamento sono
studiate dal punto di vista della loro provenienza: se il finanziamento deriva da una banca si tiene
conto di esso nella passività dello stato patrimoniale e l’azienda deve poter restituire l’importo con
una scadenza prefissata; se il finanziamento è fornito da un socio non si contrae un obbligo nei
suoi confronti, se non nel capitale netto.
Esso è determinato da: situazione patrimoniale precedente e flussi finanziari ed economici
dell’esercizio.
Quoziente di liquidità
Il quoziente di liquidità è un parametro utilizzato per calcolare la liquidità finanziaria ed è dato dal
rapporto tra le attività correnti e le passività correnti:
attività correnti
=x
passività correnti
È detto “quoziente di liquidità primario” per differenziarlo da quello “stretto” che esclude dalle
attività correnti quelle di magazzino.
Il valore del quoziente di liquidità deve essere confrontato con quelli dell’azienda negli anni passati
oppure utilizzato come riferimento con i parametri di aziende esterne, ad esempio con quelle dei
concorrenti. Il valore del quoziente di liquidità deve essere ¿ 1 affinché l’azienda non si trovi in crisi
finanziaria e, in particolare, ¿ 1 ,5 così da garantire anche le approssimazioni di stima. Vi è anche un
limite superiore poiché se fosse troppo elevato significherebbe che l’azienda presenta liquidità in
eccesso e non sta investendo.
Se è troppo basso, è indice di difficoltà finanziaria; se troppo alto, l’azienda si sta proteggendo
troppo.
Attività correnti
Le attività correnti possono essere: liquidità in senso stretto, attività che si trasformeranno in
liquidità entro l’esercizio successivo e attività che produrranno la loro utilità entro l’esercizio
successivo. Per “attività con liquidità in senso stretto” si intendono: cassa usata per gestire spese
giornaliere, conto corrente attivo dove si fanno transitare gli incassi, bollette e pagamenti degli
stipendi, titoli immediatamente smobilizzati (ad esempio, dopo l’acquisto da parte dell’azienda di
titoli utilizzati per ridurre la liquidità in eccesso).
Le attività correnti di altre tipologie sono i crediti commerciali (quelli nei confronti dei clienti),
cambiali commerciali attive (che si differenziano dei crediti commerciali poiché sono un titolo
immediatamente esecutivo, ad esempio per il pignoramento), crediti commerciali verso società
del gruppo e crediti finanziari (che si generano quando è l’azienda a prestare denaro a terzi),
rimanenze (cioè le attività di magazzino che non sono sottoforma di liquidità ma che si
trasformeranno entro l’esercizio successivo), anticipi a fornitori (considerate attività perché
l’azienda acquisisce il diritto di ricevere entro la fine del prossimo esercizio la merce pagata).
Attività immobilizzate
Le attività immobilizzate sono quelle di lungo termine e possono essere: materiali, finanziarie,
immateriali. Le immobilizzazioni materiali sono terreni, immobili, macchinari, attrezzature,
eccetera e sono immobilizzazioni tangibili che produrranno gradualmente in futuro la loro utilità.
Le attività immobilizzate finanziarie sono intangibili, come titoli, crediti finanziari a lungo periodo
e crediti commerciali e rappresentano somme di denaro o diritti a ricevere determinate somme in
futuro. Le attività immobilizzate immateriali sono intangibili, ad esempio l’avviamento, i costi di
impianto e ampliamento, i costi di ricerche sviluppo (vengono riconosciute come attività anche i
beni che l’azienda ha autoprodotto), diritti di brevetto industriale, marchi e i titoli acquistati con
finalità strategiche atti a controllare piccole aziende.
In particolare, l’avviamento rappresenta un’attività immobilizzata immateriale presente solo se
un’impresa ne acquista un’altra ad un prezzo maggiore del fair value, cioè maggiore della
differenza tra attività e passività. Ciò accade perché nell’acquistare un’altra impresa, il valore di
mercato è dato dal valore contabile, cioè dalla differenza tra le attività e la passività ma, al
momento di acquisto, il costo è maggiorato per la presenza di attività intangibili ed immateriali
come la notorietà e il marchio. Se l’azienda acquistata sta per fallire, la si paga addirittura meno
della differenza. La differenza che riconosce elementi immateriali è detta attività netta o
patrimonio netto rettificato. Si può definire, dunque, l’avviamento come la differenza tra il prezzo
pagato per l’acquisto dell’azienda e il fair value del patrimonio netto rettificato.
Ad esempio, nell’acquistare un’azienda, l’impresa deve pagare non solo il suo fair value ma anche
una somma di denaro maggiorata pari all’avviamento e ciò viene inserito nella sezione delle
attività immobilizzate dell’azienda che acquista (poiché si deve sempre rispettare il V principio).
Passività correnti
Le passività correnti sono quelle di breve periodo e posson essere di tipo finanziarie come debiti a
breve verso banche, debiti a breve verso società del gruppo o quote in scadenza di debiti a lungo
termine (ad esempio, nell’accendere un mutuo una delle scadenze può rientrare nelle passività da
ripagare entro la fine dell’esercizio).
Quelle operative, dette anche di funzionamento, sono i debiti verso i fornitori, debiti tributari,
debiti verso il personale, costi sospesi, anticipi da clienti (visti come passività poiché l’azienda,
entro l’anno corrente, comunque dovrà consegnare la merce al cliente).
Capitale netto
Il capitale netto si suddivide in: capitale versato e riserve di utili.
Il capitale versato è l’ammontare di denaro apportato direttamente dalla proprietà (nel caso di
società per azioni, dagli azionisti). Il capitale versato si suddivide, a sua volta, in capitale sociale,
cioè il prodotto tra il numero di azioni per il prezzo pagato, e riserva di sovrapprezzo delle azioni,
cioè il prodotto tra il numero di azioni per la differenza tra il prezzo pagato e il valore nominale
dell’azione (infatti, al momento dell’emissione dell’azione, ad essa viene associato un valore
nominale). La quota di capitale posseduta, quindi la quota di proprietà dell’azionista, rappresenta
il numero di azioni possedute (ad esempio, se un socio possiede 10 azioni su 1000, gli appartiene
l’1% dell’azienda).
Le riserve di utili sono la ricchezza generata attraverso la gestione e non distribuita sottoforma di
dividendi ai soci e si differenzia dal capitale versato perché quest’ultimo è un “capitale di
conferimento” che può essere restituito solo a chiusura dell’azienda mentre le riserve di utili
(capitale di risparmio) possono essere restituite anche sottoforma di dividendi. Le riserve di utili di
una società per azioni sono gli utili netti complessivamente realizzati e non distribuiti, quindi sono
pari alla differenza tra la sommatoria degli utili e la sommatoria di dividendi oppure pari alla
sommatoria degli utili non distribuiti.
Analisi delle transazioni
Per capire come effettuare il bilancio di un’azienda si studia in primis l’analisi delle transazioni,
stilando lo stato patrimoniale (tenendo conto anche del conto economico, cioè la differenza tra
ricavi e costi) dopo ogni operazione, chiedendosi se ognuna di essa presenta un risvolto
patrimoniale o economico o entrambi.
N.B. Si deve sempre rispettare il principio del doppio effetto!
11) Si riceve un’offerta per il capitale netto di 15.000 però viene rifiutata.
In questo caso, non viene modificato il bilancio perché il valore di mercato non lo
influenza.
12) Prelievo di cassa di 200 e di merce di 400 da parte di un proprietario.
Dalla cassa si sottraggono 200, dalle rimanenze 400 e le riserve di utili diminuiscono di
600 (cioè la somma di pagamento in natura, cioè quelle delle merci, e pagamento
contante prelevato dalla cassa). Si è distribuito, sotto forma di dividendo, un utile al
proprietario.
13) L’acquirente dei terreni ha rivenduto gli stessi per 8000.
Non si modifica il bilancio perché si applica il principio di costo ai terreni, che sono beni
non monetari.
14) Trasformazione da impresa individuale a società per azioni.
Non comporta modifica al bilancio.
15) Riduzione del debito bancario per 2000.
Si riduce la cassa di 2000 e si riduce il debito verso le banche di 2000.
Ciclo contabile
Il ciclo contabile parte dall’analisi delle transazioni, esse vengono registrate nel libro giornale
quotidianamente e riportate poi a mastro. Quando si redige il mastro si effettuano anche scritture
di chiusura e di assestamento, si calcolano i rendiconti dello stato patrimoniale alla fine dell’anno
corrente e si riapre il conto dell’anno successivo a partire dagli stessi valori.
Scritture di assestamento
Per modificare i saldi in modo da riflettere la situazione dei valori alla fine del periodo contabile, si
effettuano delle operazioni di assestamento, cioè di rettifica ed integrazione alle voci già aperte
nel mastro per
- Conti già registrati che devono essere modificati perché da ripartire fra due o più periodi
contabili;
- Costi di competenza non registrati;
- Ricavi già rilevati che devono essere modificati perché di competenza di più periodi;
- Ricavi già realizzati ma non registrati;
- Ammortamento, cioè l’indicazione dell’utilizzo dei beni che si consumano in un periodo
determinato di tempo. Un metodo per calcolarlo si basa sulla supposizione che l’utilizzo dei
beni avvenga in maniera costante nel periodo.
A conclusione del mastro, si apre la posta rettificata dell’attivo che corregge i valori del rendiconto
dello stato patrimoniale.
N.B. i costi vengono contabilizzati quando il bene acquistato viene impiegato per la produzione, ad
esempio l’affitto viene considerato un costo e quindi viene inserito nei costi del CE sotto la voce
“costo fitti” solo dopo la conclusione del mese pagato, quando si è esaurita la risorsa; al momento
del pagamento anticipato dell’affitto, quest’ultimo va solo inserito nella voce “costi anticipati”
nelle attività perché non ancora è stato sfruttato per la produzione.
In generale, un’operazione di:
- Acquisto viene inserita solo nello SP, ad esempio debito vs terzi;
- Utilizzo nei costi del CE;
- Pagamento nella cassa dello SP;
- Ricavi (e dopo l’utilizzo delle risorse, i costi) nel CE.
Ciclo finanziario
Il ciclo finanziario di un’impresa è legato alle operazioni di gestione: liquidità (operazioni di
acquisto e produzione), rimanenze (operazioni di gestione e vendita), crediti commerciali
(raccolta di credito), le quali possono essere rappresentate attraverso un flusso continuo. I flussi di
impresa sono continui nel tempo ma c’è necessità di misurare i risultati di un certo periodo, cioè
frazionare lo svolgimento delle attività; infatti, le informazioni con le quali si va a redigere il
bilancio vengono acquisite con una cadenza annuale.
Elementi del conto economico
Il conto economico viene redatto attraverso due voci: ricavi e costi di competenza.
I ricavi sono flussi in ingresso che risultano dalla vendita di beni o servizi e che si concretizzano in
aumenti di valore di attività (ad esempio, la cassa se i pagamenti sono effettuati in contanti, in
crediti commerciali se il cliente paga accredito) e delle riserve di utili.
I costi di competenza sono legati ad uno specifico periodo. Per verificare se un costo appartiene
ad un periodo, si osserva, ad esempio, se è legato a quello di materia prima comprata nel relativo
periodo. Sono flussi in uscita che si concretizzano in riduzioni di cassa o aumento delle passività e
riduzione delle riserve di utili.
La differenza di ricavi e costi di competenza rappresenta il reddito netto.
Con “reddito”, si intende il profitto dell’azienda, il risultato netto o l’utile netto; se i costi di
competenza sono superiori ai ricavi, l’azienda ottiene una perdita, cioè un valore negativo del
risultato netto.
Per un progetto della durata di tre anni, si determinano i pagamenti ricevuti dal committente al
termine dei tre periodi di lavorazione, per un totale di 900 €. Note le spese di progetto, è possibile
applicare le due regole per il riconoscimento dei ricavi: regola della percentuale e regola del
contratto completato.
Secondo la regola della percentuale, in base alle percentuali di completamento del progetto si
determina il valore dei ricavi, dei costi e, di conseguenza, l’utile come differenza delle due voci
precedenti (ad esempio, nel primo anno, con una percentuale di completamento pari al 20% e una
spesa totale di 800 €, si ottiene un costo nel periodo di 160 mentre per i ricavi si calcola il 20% di
900 per il primo periodo e così via).
Secondo la regola del contratto completato, si contabilizzano i ricavi e i costi (di conseguenza
anche l’utile) solo al completamento dell’attività, cioè soltanto nel terzo anno quando si
contabilizza il totale dei ricavi (cioè i pagamenti ricevuti dal cliente pari a 900 €) e i costi totali (le
spese di progetto pari a 800 €); l’utile sarà pari a 100 €.
N.B. applicando la regola del contratto completato, poiché i costi e i ricavi possono essere
riconosciuti solo al termine del servizio, fino a quel momento non vi sono operazioni nel conto
economico ma soltanto nello stato patrimoniale dove, nel lato delle attività, si contabilizzano i
costi come un “lavori in corso” (WIP).
Le due regole sono del tutto equivalenti ma la scelta dell’utilizzarne una piuttosto che un’altra
dipende dalla natura dell’impresa.
In questo esempio, si ipotizza che un bene abbia il valore di 2200 € e che venga venduto al
mercato a 4000 € con un pagamento costituito da due rate annuali di pari importo.
Attraverso la regola della consegna, sarebbe necessario contabilizzare tutti i 4000 € come ricavo
nel momento della consegna (si considera come periodo il 2015) e il costo del venduto pari a 2200
€, da cui si ricava un margine lordo di 1800. Con la regola della consegna, il secondo anno in cui
vengono saldate le rate, non viene contabilizzata alcuna operazione economica.
Con la regola della rata si contabilizzano le due rate nei due periodi separatamente, pari alla
percentuale di importo del 50% l’una.
Con la regola del costo recupero, il ricavo si calcola attraverso la percentuale della rata del 50% sui
due anni mentre i costi del venduto vengono contabilizzati in totale solo quando viene pagata la
seconda rata, quindi nel primo anno si contabilizza un costo del venduto esattamente pari al ricavo
e nel secondo anno si stabilisce il margine lordo.
Esempio:
Stima al 3% di 100.000 €, quindi il fondo di svalutazione crediti è pari a 3000 € (si registrano
nell’avere poiché diminuiscono le attività). Dalla nota di credito, l’azienda dichiara di perdere il
diritto a recuperare 1000 €.
In questo caso, i crediti diminuiscono di 1000 e di quei 3000 che si erano stimati di non incassare
effettivamente 1000 non verranno incassati e quindi vengono registrati nel fondo svalutazione
crediti in dare.
Se il credito inesigibile fosse 4000, verrebbero registrati 3000 nel fondo svalutazione crediti in dare
mentre gli altri 1000 rappresentano una minusvalenza da svalutazione crediti (si apre un conto e
si registrano in dare poiché sono costi e si contabilizzano come le attività), cioè si rettificano le
stime fatte in precedenza in negativo perché l’incasso sarà ancora minore di quanto stimato.
Se invece si incassano precisamente 100.000 € si avrà una plusvalenza, per cui si aprirà un conto
chiamato plusvalenza da rivalutazione crediti e la plusvalenza verrà registrata in avere (poiché è
un ricavo e si contabilizza come le passività).
Sconti
Gli sconti possono essere registrati in due modi:
1) Riduzione dei ricavi lordi, per cui si registrano i ricavi come differenza tra ricavi lordi e
sconti;
2) Costo di periodo, per cui si registra il valore pieno del bene e lo sconto come un costo di
periodo.
Se su un certo bene viene applicato uno sconto, che non viene goduto dall’azienda, si registra il
ricavo del bene al prezzo scontato e poi si apre un conto (ricavi sconti non goduti) il cui valore e la
differenza tra il prezzo pagato dal cliente e il valore del bene scontato.
Resi e abbuoni
Il reso rappresenta la restituzione del prodotto con vendita avvenuta a credito.
L’abbuono, invece, rappresenta la restituzione del prodotto pagato anticipatamente e prevede un
rimborso del cliente.
Quando vengono contabilizzati, bisogna effettuare una stima dei beni che saranno rimandati
all’azienda. In questo caso, non si tratta di una rettifica, ma di un vero e proprio conto (fondo
rischi per resi e abbuoni) che fa parte delle passività.
Costi di garanzia
La garanzia rappresenta l’obbligo da parte dell’impresa di riparare o sostituire in futuro prodotti
difettosi e rappresenta un ridimensionamento del reddito del periodo.
Quando si tiene conto dei costi di garanzia, si effettua una rettifica che comporta un aumento del
costo del venduto, per cui vengono contabilizzati i costi di garanzia e contestualmente viene
istituito un fondo rischi per garanzia con cui l’impresa stima il valore dei prodotti che dovranno
essere riparati o sostituiti. Quando un prodotto viene effettivamente sostituito, si riduce il fondo
rischi per garanzia e diminuiscono le rimanenze.
Attività monetarie
Le attività monetarie (denaro o diritti a ricevere denaro) compaiono nello stato patrimoniale al
valore di mercato e su di loro non è applicato l’ammortamento. Viceversa, le attività non
monetarie compaiono nello stato patrimoniale al valore contabile netto, cioè al valore di acquisto
al netto di rettifiche come l’ammortamento. Fanno eccezione le rimanenze (si indica il valore di
produzione) e alcune immobilizzazioni materiali di società quotate (vale il principio del fair value).
Sono escluse dalle attività monetarie le rimanenze (non hanno valore di mercato in quanto non
ancora vendute) e i costi anticipati. È un indice più restrittivo dell’indice di liquidità, infatti varia in
un intervallo più piccolo.
2) Giorni di cassa
cassa
giorni di cassa=
costi finanziari giornalieri
Indica per quanti giorni l’impresa sarà in grado di fronteggiare i pagamenti con la cassa e le
liquidità a disposizione, se non ci fosse ulteriore incasso. Questo indice non tiene conto degli
esborsi per acquisto di immobilizzazioni o rimborso di debiti o di incassi derivante dall’accensione
di debiti.
I costi finanziari giornalieri (costi finanziari/365) sono quei costi riferiti ad esborsi finanziari
(acquisto di materie prime, pagamento stipendi). Non si considerano l’ammortamento,
minusvalenze o fondi di svalutazione, in quanto non prevedono degli esborsi.
Rappresenta il tempo medio necessario per ricevere il pagamento da parte dei clienti.
Questo indice viene particolarmente utilizzato per effettuare un confronto con il tempo medio di
pagamento del debito (Debiti commerciali/costo al debito/365) e maggiore è la differenza tra
questi due indici, maggiore è l’equilibrio tra incasso e pagamento dei debiti.
Gestione delle rimanenze
Per assegnare un valore alle rimanenze in base alla diversa tipologia di impresa si deve calcolare il
costo del venduto, noti i costi unitari, le quantità acquistate e, di conseguenza, le rimanenze a fine
periodo in cui si redige lo stato patrimoniale.
Per determinare le rimanenze e il costo del venduto, quindi, si devono conoscere le quantità e
applicare ad S. un inventario di tipo periodico o perpetuo; per quanto riguarda i costi unitari, si
possono applicare quattro metodi: identificazione specifica, costo medio, LIFO e FIFO.
A seconda della tipologia di impresa per la quale si redigono i rendiconti, si può applicare un
metodo per valutare le rimanenze e il costo del venduto piuttosto che un altro; le imprese si
differenziano in:
- Imprese commerciali, le quali si occupano di acquisto e rivendita di merci ed hanno a
disposizione principalmente un solo magazzino;
- Imprese di produzione, le quali durante la lavorazione aggiungono il valore di manodopera
alle materie prime, dunque dispongono di tre magazzini per le materie prime, i
semilavorati e i prodotti finiti;
- Imprese di servizio, le quali non possiedono un magazzino fisico poiché la maggior parte di
esse si occupa di immobilizzazioni immateriali.
Imprese commerciali
Per valutare le rimanenze di un’impresa commerciale, si parte dalle rimanenze iniziali, applicando
una scrittura di apertura, che coincidono con le rimanenze finali dello scorso esercizio.
Ad esempio, considerando 800 € di rimanenze iniziali all’apertura, nel corso dell’anno si ipotizza
l’acquisto di merci ad un valore di 2000 €. Nel corso dell’anno, l’azienda ha disponibili 2800 € di
merce valutata da vendere e devono essere divise in rimanenze finali e costo del venduto tra lo
stato patrimoniale e il conto economico.
Per semplificare la valutazione delle rimanenze e del costo del venduto, si effettua un’ipotesi
semplificativo: alla fine del periodo i beni disponibili per la vendita sono parte delle rimanenze
oppure sono stati venduti, dunque vale che
rimanenze iniziali+ acquisti=rimanenze finali+CdV
Tale equazione non è scontata poiché non è detto che tutte le rimanenze iniziali, alla quale si
aggiungono gli acquisti durante il periodo considerato, siano parte di rimanenze finali e costo del
venduto poiché una parte di esse può anche essere sottratta all’azienda tramite furti oppure
essere persa. Inoltre, è possibile che il costo unitario, cioè il costo di acquisto delle rimanenze vari
nel tempo e, quindi, è necessario effettuare una stima per valutarle e ciò può non coincidere
direttamente con il costo del venduto (si escludono, poi, i casi in cui la vendita è stata fatta senza
fattura e, quindi, il costo del venduto non risulta contabilizzato).
Aziende di produzione
Le aziende di produzione trasformano le materie prime in prodotti finiti e il costo del venduto di
un’azienda di produzione è costituito anche dai costi di trasformazione delle materie prime, quindi
il suo calcolo è più complicato di quello per un’azienda commerciale.
Si considerano tre conti di rimanenze: le materie prime, semilavorati e prodotti finiti.
A partire dai materiali diretti (MD) acquistati dall’azienda presso fornitori, essi corrispondono alle
giacenze iniziali inserite nel primo magazzino, quello delle materie prime; da questo primo
magazzino vengono prelevati i prodotti per produrre semilavorati che, nel corso del ciclo
produttivo, finiscono nel magazzino dei semilavorati. In questa prima fase si considerano i costi di
produzione tra i materiali diretti e i semilavorati; tali costi sono diretti se fanno riferimento a quelli
di acquisto dei materiali diretti e alla manodopera (MOD) E costi indiretti di produzione, cioè
utilizzati per produrre diversi prodotti e devono essere spalmati su di essi (ad esempio, il costo per
lo stabilimento produttivo).
Dal magazzino dei semilavorati si prelevano i prodotti finiti che vanno nel magazzino PF e ad essi si
associano i costi dei beni prodotti, ai quali si aggiungono i costi del venduto quando la merce è
consegnata al cliente.
Applicando l’inventario periodico alle aziende di produzione, si considerano esclusivamente gli
scambi con l’esterno (come le fatture le registrazioni delle stesse) che sono di più facile
determinazione rispetto alle operazioni interne. Come svantaggio, applicando l’inventario
periodico si determina il valore dell’inventario finale con una stima, cioè in modo approssimato.
Tipologie di immobilizzazioni
Si deve determinare quando un’attività diventa una risorsa per l’azienda, così da contabilizzare nel
conto economico. I benefici dovuti all’acquisto di una attività (come, ad esempio, un macchinario o
attrezzatura per produrre) si possono verificare nel periodo, contabilizzandoli come costi di
competenza, in periodi futuri, determinando in proporzione all’utilizzo della risorsa la sua stima di
costo, attraverso l’operazione di ammortamento; una generica risorsa che deve essere
ammortizzata è detta “capitalizzata”.
Il processo di correlazione di ricavi e costi delle immobilizzazioni è detto, quindi, ammortamento,
del quale si deve determinare la quota in base alla vita residua della risorsa e al valore residuo.
Al momento dell’acquisto di una risorsa, ci si deve chiedere se è una immobilizzazione da
capitalizzare (cioè il suo utilizzo deve essere contabilizzato in un periodo di tempo più lungo della
redazione dell’esercizio corrente e, quindi, su di essa deve essere applicato il principio
dell’ammortamento) oppure di una risorsa contabilizzata nel periodo, attraverso un costo di
competenza che riduce le riserve di utili.
Le immobilizzazioni si distinguono in materiali o immateriali. Le risorse immobilizzate e
immateriali sono i terreni (i quali non subiscono ammortamento qui che si ipotizza che abbiano
vita infinita e, quindi, la quota di ammortamento risulterebbe infinitesima nel periodo di esercizio
considerato), i fabbricati, gli impianti e i macchinari e le risorse naturali (come, ad esempio, una
miniera) che subiscono ammortamento. Le immobilizzazioni immateriali sono l’avviamento,
immobilizzazioni con vita utile finita o costi di ricerca e sviluppo, tutti i soggetti ad ammortamento,
a differenza delle immobilizzazioni intangibili con vita utile infinita.
Immobilizzazioni materiali
Le immobilizzazioni immateriali legate ad un costo di competenza, quindi nel periodo, sono i beni
a utilità pluriennale di basso costo (in genere inferiori al vecchio milione di lire, per legge) e i costi
di manutenzione ordinaria. I costi per manutenzione straordinaria, invece, sono capitalizzati;
inoltre, in base alla definizione di “unità di attività” si contabilizzano diversamente le risorse.
In genere, ogni immobilizzazione caratterizzata da una vita utile, un costo storico ed un valore
residuo; la sua vita utile è determinata da due fattori, deterioramento (vita fisica) o obsolescenza
(vita economica) e si considera il valore minore tra le due per definire la vita utile.
Ammortamento
Per definizione, l’ammortamento si definisce come il rapporto tra la differenza del costo storico e
il valore residuo (spesso trascurato) e la vita utile assegnata all’immobile.
N.B. si tratta di stima, non valori deterministici.
Per determinare l’ammortamento non si può procedere con osservazione diretta del consumo
fisico poiché sarebbe necessaria una perizia per ogni bene posseduto dall’azienda, effettuata anno
per anno; non è possibile neanche far coincidere l’ammortamento con il valore di mercato poiché
ciò non è rilevante per la determinazione dell’usura del bene come risorsa.
I metodi per calcolare l’ammortamento sono:
1) Ammortamento lineare a quote costanti;
2) Ammortamento accelerato a quote decrescenti;
3) Ammortamento in base alle unità prodotte.
Ad esempio, ipotizzando il costo storico di un macchinario pari a 20.000 € e una vita utile di 5 anni,
se l’ammortamento applicato è lineare, quindi a quote costanti, si considera una quota pari a 4000
€/l’anno. Con l’applicazione di un ammortamento lineare, dal primo al quinto anno di vita del
macchinario, decresce il suo valore non ammortizzato fino a zero mentre le quote di
ammortamento si mantengono costanti a 4000 €.
Quando si registra la quota di ammortamento nel CE come costo, si apre una posta rettificata
dell’attivo (quindi segno opposto), detta fondo ammortamento in cui si registra la diminuzione del
valore dell’attività senza sottrarlo direttamente al conto immobilizzazioni tecniche; ciò si fa per
mantenere traccia del costo storico del bene affinché negli anni successivi in cui verrà redatto il
rendiconto, si possa applicare sullo stesso valore iniziale la nuova quota di ammortamento. Per
questo motivo, il conto “immobilizzazioni tecniche” è detto un conto lordo, cioè al lordo
dell’ammortamento. Il valore di immobilizzazione netta è pari a 20.000 – 4.000 = 16.000 €.
Con l’ammortamento accelerato le quote sono decrescenti: si considerano al massimo due quote
da distribuire sul totale di anni di vita utile dell’immobilizzazione e la prima, applicata sui primi
anni di vita utile è sempre maggiore della seconda, applicata sugli ultimi anni. Si applica questa
procedura si si ipotizza che l’utilità del bene non sia costante nel suo utilizzo poiché magari il
macchinario viene utilizzato nei primi anni per effettuare lavorazioni ad alto valore aggiunto e nei
successivi per operazioni ordinarie.
L’ammortamento in base alle unità prodotte si calcola in base ad un parametro caratteristico del
bene, come ad esempio il numero di chilometri percorsi da un mezzo di trasporto. In questo caso,
non è il tempo il parametro per valutare l’usura del bene ma i chilometri e l’ammortamento è
calcolato in €/km.
N.B: La scelta del metodo di ammortamento può essere effettuata per trarre vantaggio per fini
fiscali o civilistici. Ai fini fiscali, si sceglie un metodo che garantisca il maggior sgravio nei primi
anni, cioè la maggior quantità di ritorno dal fisco.
Dal punto di vista civilistico, si dovrebbe scegliere il metodo che meglio rappresenta l’utilizzo del
bene ma in realtà si sceglie un unico che viene applicato per tutti tipi di risorsa.
Dismissione delle immobilizzazioni
Quando si vende un bene in mobilizzato, si deve tener conto del suo valore residuo per la
valutazione e la determinazione del suo valore di vendita:
Ipotizzando un’immobilizzazione dal valore di 10.000 € è un fondo ammortamento da 7000 €,
suppongo di vendere il bene a 5000 €; il valore effettivo che l’azienda associa all’immobilizzazione
è pari alla differenza tra il costo storico e il fondo ammortamento, quindi pari a 3000 € ma la
vendita avviene per un costo di 5000 €, quindi maggiore del suo valore effettivo. Per
ridimensionare il bilancio, si apre un conto nel CE detto “plusvalenza da alienazione
immobilizzazioni” in cui si registra, così come si fa per i ricavi, in avere i 2000 € di differenza tra il
valore di vendita e quello effettivo (esempio su appunti).
In particolare, nel conto economico si registrano le minusvalenze plusvalenze in corrispondenza
della gestione caratteristica se l’ammortamento riguarda elementi utilizzati per la produzione (cioè
per l’attività primaria svolta dall’azienda), in “gestione accessoria” se si tratta di ammortamento di
beni utilizzati per fini secondari (Ad esempio, se l’azienda possiede un capannone per la
produzione molto grande decide di affittarne una parte, l’ammortamento si registra in gestione
accessoria per la parte relativa al subaffitto e, se dovesse vendere quella parte, se ci fosse
plusvalenza la registrerebbe sempre in gestione accessoria).
N.B. se l’azienda decidesse di vendere un capannone dove al 50% si produce e nell’altro 50% si
subaffitta, le plusvalenze o minusvalenze si registrano al 50% nella gestione caratteristica e al 50%
in quella accessoria.
Si registrano, infine, in “gestione straordinaria” se si tratta di minusvalenza dovuta a eventi fuori
dall’ordinario come furti o incendi di immobilizzazioni.
Svalutazioni e ripristini
Il valore di una immobilizzazione può essere svalutato se il valore più alto fra il valore economico e
il prezzo di vendita netto è più basso del valore contabile netto. L’ammortamento, di conseguenza,
si adegua nuovo valore contabile netto, senza cambiare la vita utile.
(esempio su appunti)
Se i motivi della svalutazione venissero meno, allora il bene deve essere ripristinato. Si tratta di un
ripristino (e non di rivalutazione) perché l’operazione può essere compiuta solo in presenza di
una precedente svalutazione e l’aumento non può determinare un valore superiore a quello
precedente la svalutazione.
(esempio su appunti)
Capitale netto
A partire dal capitale versato per le S.p.A., si analizzano le diverse tipologie di azioni:
1) Azioni di risparmio, non hanno diritto di voto e godono di privilegi come un dividendo
minimo;
2) Azioni privilegiate, possiedono diritto di voto nelle assemblee straordinarie e privilegio di
prelevar Sioni degli utili fino a una certa percentuale del valore nominale;
3) Azioni ordinarie, concedono diritto al voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie e
diritto residuale sulle attività.
Il capitale netto, visto come ammontare direttamente investito dagli azionisti, si divide in capitale
sociale (valore nominale per le azioni in circolazione) e riserva da sovrapprezzo delle azioni: ad
esempio, se si emettono 1000 azioni al valore di 10 € è un prezzo di 100, la cassa aumenta di
10.000 € (il prodotto tra il prezzo della singola azione per il numero totale), il capitale sociale
aumenta di 10.000 € (il prodotto tra il numero di azioni vendute per il valore nominale) E la riserva
da sovrapprezzo azioni aumenta di 90.000 (differenza tra 100.000 e 10.000).
Altre tipologie di azioni sono le azioni proprie: sono azioni acquistate dall’azienda che limite, si
tratta di una riduzione dei diritti vantati dalla proprietà sulle attività, quindi corrispondono ad una
posta rettificata del passivo. La differenza tra le azioni emesse e quelle proprie è il capitale in
circolazione.
Le azioni proprie sono spesso acquistate come incentivo per i manager (stock options), cioè viene
dato al manager un’opzione di acquisto di un’azione tra un certo numero di anni ad un prezzo
fissato oggi. Ad esempio, si fissano 100.000 azioni acquistabili tra 3 anni ad un prezzo di 10 €: si
cerca di allineare gli obiettivi del manager con gli obbiettivi dei proprietari dell’impresa, cioè
aumento del valore delle azioni dell’impresa. Supponendo che il valore nominale dell’azione sia
oggi 8 € e che si stimi che nei prossimi 3 anni possa crescere del 5% all’anno, allora l’azione tra 3
anni varrà ( 8∗( 1 , 05 )3 ) =9,261 €, allora al manager si dà l’occasione di acquietarle a 10 € così da
incentivarlo a lavorare per far aumentare il valore nominale delle azioni. Più riesce a far
aumentare questo valore, più gli converrà esercitare questa opzione di acquisto. A fronte di
1.000.000 € che il manager pagherebbe tra 3 anni acquistando l’azione, potrebbe rivenderle al
valore nominale ormai raggiunto (ad esempio, 12 €) così da guadagnarci 200.000 €. Per poter
applicare una stock options, si devono possedere le azioni oggi e le si acquista al prezzo di 8 €.
Se qualcuno vuole acquistare le quote d’azione, deve fare una OPA, cioè una offerta pubblica di
acquisto, dichiarando che sta comprando le azioni per diventarne il proprietario dell’azienda; per
resistere a questa “scalata ostile”, l’azienda acquista azioni proprie.
Per contabilizzare le azioni proprie, si suppone di avere 10.000 azioni al valore di 1 € e una certa
riserva di sovrapprezzo azioni di 3.000 €. Se l’azienda decide di acquistare 100 azioni proprie, le
deve pagare al prezzo di mercato che potrebbe essere di 2 €, allora in cassa si registra in avere 200
€, 100 vengono registrati in conto “azioni proprie” che è una posta rettificativa del passivo
(quindi segno meno, in dare) e gli altri 100 vanno in dare in riserva sovrapprezzo azioni (100 azioni
* 1 € di valore nominale); ora, la differenza nella riserva di sovrapprezzo è il capitale in
circolazione.
Dividendi
L’azienda può distribuire i dividendi sia in contanti sia in azioni. All’azienda conviene distribuirle in
azioni così da aumentare il capitale sociale che è una garanzia per gli investitori esterni.
Se li si distribuisce in contanti, si registra una uscita di cassa e diminuzione di riserve di utili; se
sottoforma di azioni, aumenta il capitale sociale e diminuiscono le riserve di utili.
Nella riserva legale, per legge, c’è l’obbligo di accantonare 1/20 degli utili fino al 20% del capitale
sociale, quindi con un utile, il 5% si registra in riserva legale e il restante 95% in riserve di utili.
Struttura del capitale
Una società può farsi finanziare da soggetti terzi con mutui o obbligazioni o da soci con azioni. Con
finanziamenti da parti terze, come banche o mercato, ogni anno si pagano gli interessi; se dai soci,
non ci sono obblighi. Confrontano il finanziamento da parte terza o da soci, il primo è molto più
rischioso ma se aumenta il rischio l’azienda deve pagare meno il capitale di prestito (gli interessi)
rispetto al capitale di rischio (i dividendi); allora, si deve cercare di mantenere un’alta redditività
del capitale di rischio, altrimenti quando aumenta il capitale, nessuno lo acquisterà poiché
comprerebbero obbligazioni. Il capitale di prestito è la fonte di finanziamento più rischiosa per
l’azienda, quella di rischio è la più rischiosa per l’investitore, il che significa che quello meno
gravoso (meno costoso e riducibile dalle tasse) è il capitale di prestito mentre quello di rischio
deve essere quello più rischioso altrimenti nessuno lo acquista.
Supponendo di avere un totale di passività e capitale netto di 7.000 €, essi sono divisi in:
Bilancio civilistico
Così come pubblicati, i bilanci devono far riferimento al Codice civile. Nello stato patrimoniale, le
voci dell’attivo sono ben codificate e secondo quattro livelli:
- Per lettera maiuscola (primo livello)
- Per numeri romani
- Per i numeri arabi
- Per lettere minuscole
I primi due livelli (in grassetto) sono obbligatori e devono sempre esserci, analogamente nel
passivo e capitale netto.
Lo stato patrimoniale e, in particolare, attivo e passivo, non è già classificato per esigibilità e
liquidità poiché la classificazione avviene in base all’origine, ad esempio, una volta scelta la
categoria per un asset (titolo), essa non viene cambiata. Nel bilancio civilistico, l’origine resta la
stessa fino alla conclusione di vita dell’asset; dunque, è necessario riclassificare in base a liquidità
ed esigibilità.
N.B. Il capitale circolante, per come è stato definito, è la differenza tra attivo corrente e il passivo
corrente, da non confondere con attivo circolante.
Dalla classificazione del bilancio civilistico, non è possibile calcolare gli indici per liquidità poiché
non seguono la riclassificazione classica.
Nel conto economico, la classificazione avviene con:
- Per lettera maiuscola (primo livello)
- Per numero arabo (secondo)
- Per lettera minuscola (terzo)
Non è classificato a coto del venduto che non è esplicitato, infatti non è scritto il margine lordo
industriale, vi sono solo il valore e costi della produzione (in cui si inseriscono sia i ricavi da
proventi che accessori). Per utilizzare la classificazione a costo del venduto, si deve riclassificare.
Esempio
Nel redigere il CE a costo del venduto (classificazione classica), nel 2017 ai ricavi delle vendite (30 *
100) si sottraggono i costi del venduto (30 * 20) e si ottiene 2.400 €; nel 2018 analogamente. La
percentuale di margine lordo è di 80% poiché i ricavi corrispondono al 100% e, rispetto ad essi, si
calcola la percentuale di 20%, cioè rapporto di (600/3000) * 100.
Nel bilancio civilistico, ai ricavi delle vendite si aggiunge la variazione delle rimanenze, ad esso si
sottrae il costo della produzione (40 * 20) e si ottiene lo stesso 2.400 €.
Le percentuali, in questo caso, diventano il 75% nel 2017 e 60% nel 2018 e sembrerebbe che si sia
persa efficienza di vendita: ciò è dovuto alla minore vendita e aumento di scorte e le percentuali
sono diverse poiché sono calcolate rispetto al valore della produzione e non del venduto.
Metodo diretto
Con il metodo diretto si registrano le entrate e le uscite di tutto l’estratto conto raggruppate per
macro categorie: è di facile comprensione per coloro che possiedono poche conoscenze in ambito
amministrativo ma è poco utile al manager poiché non si deducono i flussi di cassa e i loro legami
con elementi di natura patrimoniale o economica; infatti, la differenza tra gli estratti conto di due
anni successivi non fornisce informazioni su cosa ha generato aumenti o diminuzioni di cassa
poiché non sono correlate a voci di conto economico e stato patrimoniale.
N.B. Non sempre l’aumento di cassa o la diminuzione di essa corrispondono ad un effetto sempre
positivo o sempre negativo: ad esempio, se l’azienda in un anno effettua numerosi investimenti, le
uscite di cassa aumenteranno ma ciò comporta un effetto positivo sulla vita futura dell’azienda.
Si potrebbe anche effettuare un confronto riga per riga tra i rendiconti di due anni successivi e,
confrontando le varie voci di stessa natura, ne risulterebbe un confronto più efficace ma
comunque non fornisce informazioni su come sono cambiate queste voci (ad esempio, se la cassa
aumenta di 300 € tra due anni, allo stesso modo potrebbero essere cresciuti i crediti verso i clienti
e non corrisponde ad un effetto positivo).
Metodo indiretto
Il metodo indiretto deduce la variazione di cassa ricorrendo a concetti economici e finanziari,
utilizzando il linguaggio della gestione.
A partire dall’utile ricavato dal conto economico, si devono effettuare delle rettifiche per
trasformare il metodo di competenza utilizzato per la sua redazione in una contabilizzazione per
cassa.
Per rettificare il reddito calcolato attraverso la competenza economica del periodo in competenza
di cassa si aggiungono ammortamenti e quote di fondo svalutazione poiché rappresentano costi
non finanziari che vengono contabilizzati nel conto economico ma che non corrispondono ad
un’uscita di cassa nel periodo. A partire dall’utile, quindi, si sommano l’ammortamento dedotto
dal conto economico e le quote ai fondi di svalutazione.
N.B. Per rettificare il rendiconto è necessario conoscere il CE dell’anno corrente e lo stato
patrimoniale dell’anno precedente e dell’attuale.
Un’altra rettifica si effettua per le variazioni del capitale circolante operativo netto, cioè la
differenza tra le attività operative e le passività operative correnti, cioè tutte quelle voci dello stato
patrimoniale che servono a gestire la normale operatività dell’azienda, ad esempio, i crediti
commerciali, i debiti verso i clienti e si escludono da questi i debiti di breve periodo.
Quando si va a sommare la quota di ammortamento all’utile per rettificare i flussi di cassa, non si
deve considerare questa aggiunta come un fattore positivo poiché è esclusivamente un fattore
tecnico che non è indicativo della bravura dell’azienda.
Rettifiche nel metodo indiretto
La regola generale per le rettifiche dei rendiconti di flussi di cassa: le variazioni di attività si
registrano con il segno – (si registrano al segno opposto), le variazioni di passività con il + (cioè non
cambiano segno).
Dunque, le possibili operazioni di rettifica per gestione corrente (capitale circolante) sono:
1) Variazione di crediti commerciali quando tutti i ricavi sono a credito, si sottrae poiché è una
differenza tra voci dell’attivo (ad esempio, se la differenza è -3, si registra +3 al rendiconto
e se la differenza è +3, si registra -3);
2) Variazione di crediti commerciali quando parte dei ricavi sono di cassa e altri a credito, dal
ricavo si sottrae di nuovo la differenza tra crediti finali e iniziali;
3) Variazione di rimanenze, si sottrae poiché è una differenza dell’attivo;
4) Variazione debito verso fornitori, si somma poiché è una differenza di passivo (se, ad
esempio, la variazione di debiti è pari a -3, resta -3 e viceversa, cioè mantiene il segno);
5) Variazione del TFR, si somma poiché passività.
Analisi di bilancio
Effettuato il bilancio di un’azienda, a partire da esso si deduce il valore dell’impresa sul mercato,
tenendo conto di un’analisi che vada a correggere le stime e le approssimazioni con le quali è stato
redatto (ad esempio, per il fondo ammortamento e le rimanenze). Il valore di mercato di
un’impresa è collegato all’utile ma non riflette le aspettative sulle performance future della stessa:
non si può, in base solo i dati di bilancio che tengono conto di fonti passate, dedurre direttamente
il valore di mercato; di conseguenza, si necessita di indicatori per l’analisi.
Esistono diverse tipologie di indicatori e sono utilizzati per osservare il soddisfacimento degli
obiettivi da parte dell’azienda e applicati gerarchicamente a partire da aspetti macroscopici fino a
quelli microscopici, si classificano in quattro gruppi: indicatori di performance globale, di
profittabilità, di efficienza e finanziari.
Il confronto applicabile ad un’impresa può essere di due tipologie: confronto longitudinale (di
trend o di andamento) con il quale è possibile confrontare periodi diversi della stessa azienda,
sviluppando un’analisi autoreferenziale; confronto trasversale, con il quale si osserva lo stesso
periodo di tempo e per più aziende diverse, così da confrontare quella principale con una di
riferimento dello stesso ambito di mercato.
Equazione di Modigliani-Miller
L’equazione che lega tutti gli indicatori tra loro e la loro dipendenza dalla leva finanziaria è:
(
ROE= ROI +
( ROI−ROD )∗CT
CN ) (1−TF)
A parità di capitale netto, imposte sul reddito e interessi sul debito finanziario, al risultato
operativo si sottraggono gli oneri finanziari così da ottenere il reddito ante imposte e ad esso si
sottraggono le imposte per ottenere il reddito di esercizio: se un’impresa non possiede debito
finanziario, il ROE sarà il valore minimo possibile mentre all’aumentare del debito finanziario
aumenta la percentuale, a parità di altri risultati. Se si confrontano i ROE di due anni successivi in
cui un’impresa riduce il risultato operativo rispetto all’anno precedente, si osserva che, sebbene
all’aumentare del debito finanziario aumenti questo indicatore, al ridursi del risultato operativo, si
riduce l’incremento del ROE; questo rappresenta un effetto negativo poiché se aumentano troppo
i debiti, l’azienda non può più trarre vantaggio poiché aumenta il rischio per l’azienda stessa di
richiedere denaro da parti terze poiché aumentano per essa i tassi di interesse.
Indici di profittabilità
Poiché ogni voce del conto economico può essere espressa in percentuale rispetto ai ricavi, si può
effettuare un’analisi verticale del rendiconto di un’azienda calcolando: il margine lordo
percentuale, il reddito percentuale prima delle imposte e il reddito percentuale netto.
Indici di efficienza
Sono indici ottenuti in base al turn-over:
Noti gli indici di profittabilità e di efficienza, si può esprimere il ROI in funzione di essi:
reddito
∗ricavi
ricavi
ROI= =marginelordo %∗rotazione CI o CN
investimenti
Ad esempio, Si confrontano due aziende con lo stesso ricavo di periodo: la prima è un’azienda più
piccola per la quale il risultato operativo è minore della seconda poiché sono più alti costi delle
materie prime in quanto l’ordinazione delle stesse è minore e non si riescono ad abbattere
correttamente i costi unitari e anche il capitale investito, per l’azienda più grande, risulta essere
maggiore poiché ci sono più immobilizzazioni. A parità di ricavo, poiché il capitale investito è
minore per l’azienda più piccola, la rotazione del capitale sarà superiore di quella più grande.
In base al risultato operativo, poi, è possibile calcolare il ROI.
Misurazione
Al fine di ricoprire il primo scopo, quello di misurazione, si definiscono i costi pieni: sono costi
legati ad una singola legge di variazione, secondo la quale i costi fissi e variabili possiedono un
andamento lineare poiché, date le tante approssimazioni del controllo di gestione, supporre la
linearità dei costi non introduce una approssimazione troppo elevata.
Questa ipotesi si assume vera in un limitato intervallo di tempo e di output (ad esempio, tramite
l’inflazione cambiano i prezzi e i costi del prodotto, di conseguenza, sebbene l’andamento sia
lineare, non è possibile considerarli sempre costanti se l’intervallo di tempo è troppo elevato).
L’andamento dei costi pieni si può rappresentare tramite una retta passante per l’origine nel piano
(Volumi di prodotto; Costo totale) e vale che:
CT =CVu∗X
Dove X è la quantità di volumi, CVu il costo variabile unitario e rappresenta anche la pendenza
della retta (in questo caso, il costo marginale, cioè quello definito sull’ultima unità di prodotto
venduta, coincide con il CVu).
E anche le provvigioni, calcolate in percentuale rispetto ai ricavi, si considerano costanti e ciò vale
se il prezzo di vendita si mantiene costante.
La X ,quindi, non è solo rappresentata dalle unità prodotte o vendute ma anche dai ricavi, dalle
possibili ore lavorate, dalle ore di funzionamento degli impianti, delle ore di servizio, i chilometri
percorsi, in generale anche da quantità non monetarie.
Il costo fisso, rappresentato da una retta orizzontale, non varia con il volume anche se non è detto
che in un intervallo di tempo più ampio esso si mantenga costante; se l’intervallo di rilevanza, cioè
quello all’interno del quale viene calcolato il costo, è sufficientemente piccolo, vale che:
CT =CFT
I costi totali coincidono con i costi fissi totali se l’intervallo di rilevanza tende a un infinitesimo.
Si evidenziano due tipologie di costi fissi:
1. Costi impegnati, che vengono sostenuti per mettere a disposizione dell’organizzazione
delle capacità produttive, ad esempio i macchinari. Rappresenta un costo fisso poiché viene
sostenuto indipendentemente dalle unità di volume prodotte; volendo, però,
implementare la produzione con altri volumi, sarà necessario acquistare ulteriori
macchinari, aumentando così costi impegnati. Nell’intervallo di rilevanza, che rappresenta
l’intervallo di analisi, se vi sono troppi costi impegnati, in corrispondenza di un evidente
riduzione di ricavi, i costi non variano di molto, anche in assenza di produzione.
In generale, i costi impegnati hanno una frequenza bassa e non possono essere
ridimensionati senza compromettere le prestazioni dell’azienda (ad esempio, se si dovesse
rompere un macchinario, la produzione si arresterebbe).
2. Costi discrezionali, i quali si rinnovano periodicamente, come ad esempio i fondi per le
pubblicità. A discrezione del manager si tiene fisso questo costo ma può essere variato con
frequenze più elevate rispetto ai costi impegnati e rappresenta un costo fisso poiché
indipendentemente dalla produzione, deve essere sostenuto.
A differenza dei costi impegnati, possono essere ridimensionati senza mettere a
repentaglio nel breve periodo la sopravvivenza dell’impresa (ad esempio, nel breve periodo
il cliente non si accorgerebbe dell’assenza di pubblicizzazione se questo costo discrezionale
venisse rimosso, quindi la vendita non verrebbe intaccata).
Oltre ai costi variabili e fissi, esistono anche costi semi variabili, caratterizzati da una componente
fissa ed una variabile, ad esempio l’energia elettrica che è un costo fisso ed uno variabile
proporzionato al kilowattora. Per essi vale che:
CT =CFT +CVu∗X
Con l’aggiunta di un ulteriore costo fisso, aumenta l’intercetta; all’aumentare dei costi variabili,
aumenta la pendenza.
Il costo medio unitario rappresenta il rapporto tra il costo unitario e il volume; se ci sono solo costi
variabili, il costo variabile unitario coincide con quello medio ma se i costi totali sono somma di
costi variabili e fissi, il costo medio unitario è diverso da quello variabile unitario e pari a:
CFT
CTM = +CVu
X
Quindi, all’aumentare dei volumi, si riducono i costi fissi e i costi totali medi, a parità di costi
variabili unitari. Quando si parla di costo medio unitario si deve sempre specificare l’unità di
volume corrispondente e, in generale, è meglio ragionare in termini di costo totale piuttosto che di
costo totale medio per la determinazione del budget.
I diagrammi di costo-volume sono definiti nell’intervallo di rilevanza (che non può essere
compreso tra zero e più infinito poiché variano nel tempo i costi), in un periodo temporale nel
quale si effettua l’analisi e anche il contesto ambientale, cioè qual è l’ambiente all’interno del
quale vale il diagramma.
Talvolta, l’ipotesi di linearità non è valida, ad esempio in presenza di costi con comportamento
curvilineo o costi viscosi. Per i costi con comportamento curvilineo, si possono considerare
intervalli sufficientemente piccoli per ricondursi a casi lineari; per i costi viscosi, invece, si fa
riferimento a dei costi con due pendenze diverse in base all’output. In generale, un costo viscoso
(sticky) è un costo che diminuisce più difficilmente rispetto a quando tenda ad aumentare; ad
esempio, il costo del lavoro è legato ai contratti dei dipendenti ma all’aumentare della quantità
prodotta aumenta il numero di lavoratori assunti ma per una riduzione di quantità prodotta non
verranno eccessivamente licenziati lavoratori poiché legati per contatto all’impresa.
X=
(
CTF + ) RN
1−alq
mdc
Infatti, se le aliquote fossero nulle, il risultato netto coinciderebbe con quello operativo e si
otterrebbe l’equazione precedente.
Per rappresentare la retta del RO, l’intercetta corrisponde a -CTF e la pendenza è il mdc:
RO=mdc∗X −CTF
È necessario effettuare il controllo di gestione e l’analisi sulle strutture dei costi per determinare il
punto di pareggio, quindi la quantità necessaria da produrre per evitare di andare in perdita
oppure per assumere decisioni basate su stime future. Un esempio di stima è quella sulla
pubblicità: ipotizzando l’aumento dei costi fissi con l’aggiunta di quelli per la pubblicità e
supponendo di aumentare la quantità di prodotti venduti grazie ad essa, si studia si si ottiene un
effettivo vantaggio dalla pubblicità oppure no. Analogamente, per prendere decisioni su possibili
riduzioni di prezzo sulle quantità da vendere, si osservano i margini di contribuzione: se superiore
nel caso di riduzione di prezzo (e ipotesi di aumento delle quantità vendute), allora conviene;
viceversa, no.
Al denominatore, si ottiene la media pesata del margine di contribuzione del prodotto equivalente
dove i pesi sono i mix dei diversi prodotti.
Nell’andare a costruire un prodotto equivalente fittizio a quelli prodotti in realtà dall’azienda, si
vanno a perdere informazioni su come il prodotto singolo riesca a recuperare tutti i costi fissi
direttamente collegati ad esso.
Per recuperare queste informazioni, a partire dal conto economico classificato a margine di
contribuzione, i ricavi del singolo prodotto si sottraggono i costi variabili per ottenere il primo
margine di contribuzione, ad esso si sottraggono i costi fissi diretti di prodotto per ottenere il
secondo margine di contribuzione, il quale si sottraggono i costi fissi comuni per tutti i prodotti per
ottenere il risultato operativo.
Dall’analisi di più prodotti, per capire come aumentare l’utile si osservano le tendenze delle rette
nel piano (Q ; RO) dove la retta rappresenta il risultato operativo, la cui pendenza è il mdc.
All’aumentare del margine di contribuzione, aumenta la pendenza della retta, quindi in
corrispondenza di una quantità minore prodotta si ottiene un risultato operativo maggiore; per
scegliere quali prodotti devono essere incrementati nella produzione al fine di aumentare l’utile, si
osserva esclusivamente il margine di contribuzione e si aumentano i prodotti che possiedono un
margine di contribuzione più elevato e si riducono quelli con un margine di contribuzione più
basso.