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Durante la composizione del seguente riassunto sono state omesse le seguenti parti, come da
programma del corso di Economa e Gestione delle Imprese, impartito agli studenti dell'Università degli
Studi di Firenze (cdl in Economia Aziendale) nell'a.a. 2013-2014 dal Prof. Francesco Ciampi:
• Parte III, capitolo 3: L'equilibrio instabile del binomio alta tecnologia – PMI
• Appendice
L'autore dichiara che il seguente è costituito da un'elaborazione originale dell'opera sopracitata, e che in nessun
modo esso deve essere inteso come un tentativo di plagio. Ogni errore è da attribuirsi esclusivamente al
sottoscritto.
L'autore
Vittorio Bellini
i proprietari delle quote). Il livello di capitalizzazione dell'impresa, in condizioni normali, deve comunque
raggiungere un livello minimo fisiologico per:
• limitare l'esborso monetario connesso alla remunerazione del capitale di finanziamento
• generare capacità attrattiva nei confronti di finanziatori esterni (garanzia indiretta e diretta)
• permettere all'impresa un certo livello di autonomia finanziaria
La funzione di nomina o revoca dei soggetti componenti l'organo imprenditoriale riflette la posizione di
supremazia dell'assetto proprietario. I soggetti che compongono l'assetto imprenditoria devono essere capaci.
La funzione di orientamento e controllo delle scelte strategiche di fondo è finalizzata a verificare la coerenza fra
le scelte strategiche dell'organo imprenditoriale e gli obiettivi della proprietà, legittimati dall'assunzione del
rischio economico. Questa funzione è tanto più necessaria quanto fra assetto proprietario e assetto
imprenditoriale c'è una non sovrapposizione soggettiva. Per orientamento strategico di fondo di intende un
insieme di valori e idee relativi alla scelta del campo di business, della filosofia gestionale, degli obiettivi
dell'impresa e in generale all'identità di fondo dell'impresa stessa, e alla sua vocazione.
Gli scopi
Fra gli scopi (categorie teleologiche) che possono animare la volontà generatrice dell'impresa di può distinguere
fra:
• scopi lucrativi di natura economico finanziaria: ricerca del lucro, del guadagno, in termini di
dividendi o di aumento del valore di quote o azioni
• scopi lucrativi di natura tecnico-economica: ricerca del lucro per via indiretta, tramite beni o servizi
ad un minor costo rispetto al mercato
• scopi economico-sociali: ovvero non lucrativi, la motivazione non è economica ma sociale, etica
A loro volta questi scopi possono essere perseguiti da tre diverse categorie di promotori, ognuno appartenente a
una diversa categoria di logica imprenditoriale:
• persone fisiche (logica individuale)
• imprese (logica aziendale)
• Stato (logica pubblica)
Questi tre soggetti possono essere incrociati ai tre diversi scopi creando una matrice 3x3, che riassume i diversi
scopi specifici a seconda della logica adottata dalla proprietà:
INTERESSI
Lucrativi economico- Lucratici tecnico- Non lucrativi
finanziari economici economico-sociali
Proprietario non orientato
Persone fisiche Capitalista visionario Proprietario non orientato al lucro (scopi personali,
Capitalista speculatore al mercato (mutualismo) di immagine)
Le capacità
Fra le capacità necessarie per lo svolgimento delle funzioni competenti all'assetto proprietario si annoverano:
• capacità di impegno personale: i soggetti devono essere motivati e avere un'adeguata propensione al
rischio scelto
• capacità economica e di credito: i soggetti devono poter conferire liquidità per il corretto funzionamento
dell'impresa e offrire solida garanzie reali o personali per una corretta capitalizzazione aziendale
• capacità interpretativa della realtà aziendale: i soggetti devono avere competenze adeguate
• capacità di orientamento e di controllo dell'assetto imprenditoriale: i soggetti devono essere in grado di
orientare il vertice imprenditoriale con orientamenti chiari ma non eccessivamente vincolanti
Assetto imprenditoriale
Il vertice imprenditoriale costituisce l'apice del potere decisionale, e si dovrebbe orientare verso il più ampio
grado di continuità dell'impresa nel tempo.
L'attività imprenditoriale si divide in tre importantissime funzioni essenziali:
• funzione strategica: la presenza di soggetti esterni “ostili” (Stato, banche, fornitori, concorrenti, clienti)
richiede l'attuazione di specifiche strategie per adattarsi all'ambiente mutevole in cui opera l'impresa, e
orientarsi verso specifici scopi di sviluppo e/o guadagno È necessario in questo senso intuire i fattori di
cambiamento ambientale prima che si verifichino, e modificare in senso evolutivo la strategia
• funzione organizzativa: una volta definita la strategia è essenziale che essa venga eseguita
correttamente, con un'attività di comando e coordinazione dei centri decisionali-direzionali.
L'imprenditore dovrà badare dunque a creare una struttura organizzativa nella quale i centri direzionali
operino armoniosamente e non conflittualmente nel raggiungimento degli obiettivi strategici
• funzione politica: consiste nell'attività di armonizzazione delle diverse categorie di scopi, ricercando
soluzioni per conciliare nel miglior modo possibile interessi contrapposti
Imprenditore tradizionale e imprenditore moderno
L'attività imprenditoriale di governo dell'impresa è tipicamente svolta da una persona fisica o da un gruppo
integrato di persone fisiche posto al vertice decisionale. Nell'economia moderna è avvenuto un passaggio da un
modello di “imprenditore tradizionale” a uno di “imprenditore moderno”.
Il modello di imprenditore tradizione è composto da quattro requisiti essenziali:
• titolarità del capitale di rischio: tipico nel caso di azienda individuale, ma anche di società non grandi,
è la situazione in cui lo stesso soggetto appartiene a due diversi assetti costitutivi dell'impresa (assetto
proprietario e assetto imprenditoriale)
• svolgimento diretto dell'attività produttiva (coordinamento delle aree funzionali di impresa)
• accentramento decisionale ed informativo in capo ad un unico soggetto
• propensione allo sviluppo del sistema aziendale: attraverso interventi di innovazione strutturale
Il modello di imprenditore moderno si caratterizza invece per i seguenti requisiti:
• assenza o parzialità di titolarità del capitale di rischio: l'aumento delle dimensioni fa crescere il
bisogno di investimenti e conseguentemente la necessità di maggiori finanziamenti, ottenibili a loro
volta con un congruo aumento del capitale di rischio e dunque l'entrata di nuovi soci. È proprio la scelta
di “aprire” l'impresa al mercato dei capitali che causa la transizione da un modello di imprenditore-
proprietario a quello di imprenditore “professionista”
• impossibilità di esercitare direttamente l'attività produttiva: tanto più grande diventa l'impresa, tanto
più complessi e rilevanti diventano i problemi di gestione generale rispetto a quelli di gestione di singole
aree operative, che vengono delegati
• decentramento delle decisioni e dei flussi informativi aziendali: tanto più grande diventa l'impresa
tanto più è difficile per l'imprenditore accentrare tutte le decisioni direzionali, che devono essere
delegate
La funzione strategica
La funzione strategica assume per sua natura un carattere primario rispetto alle altre due funzioni, poiché
rappresenta la manifestazione della volontà di attuare i mutamenti necessaria alla struttura aziendale per
sopravvivere. Gli obiettivi perseguiti dalla funzione strategica di impostazione e soluzione dei problemi
derivanti da strategie di sviluppo o risanamento dell'attività aziendale mirano a rafforzare o ripristinare i poteri
aziendali, ovvero:
• potere economico: la capacità dell'impresa di mantenere un adeguato livello di equilibrio economico
• potere di mercato: la capacità di mantenere un rapporto durevole con la clientela e controllare un'ampia
quota di mercato
• potere finanziario: inteso come rapporto di forza favorevole nei confronti dei soggetti interni
(proprietà) ed esterni (finanziatori)
• potere tecnologico: la capacità dell'impresa di dominare le tecnologie di processo e di prodotto che
risultano fondamentali per un vantaggio competitivo
La funzione strategica riveste alcune decisioni in merito a elementi fondamentali quali: l'analisi delle condizioni
sterne ed ambientali, individuazione degli obiettivi strategici da perseguire, definizione del tipo di intervento da
implementare, gestione attuativa di tali interventi
La funzione organizzativa
La funzione organizzativa si pone in stretto contatto con la funzione strategia. Come già detto, al
raggiungimento di certe soglie dimensioni di impresa è necessario delegare le autorità decisionali ed il controllo
dei flussi organizzativi. Questo non vuol dire che comunque l'imprenditore non debba svolgere attività quali:
• attività di progettazione della struttura organizzativa: coerentemente ai processi strategici in atto
• attività di effettivo comando e di coordinazione dei centri direzionali-decisionali: ovvero i livelli posti a
livello immediatamente sottostante, per evitare vuoti di controllo. L'imprenditore deve comandare, cioè
orientare i centri direzionale verso gli obiettivi strategici fissati dall'organo direzionale (autorità formale
+ leadership) e anche coordinare, cioè armonizzare l'attività dei centri direzionali per evitare conflitti
L'essenza della funzione organizzativa è dunque quella di progettare, guidare e coordinare una struttura idonea
alla corretta e tempestiva interpretazione ed implementazione dei processi di sviluppo.
La funzione politica
La funzione politica impegna il vertice nel governo delle relazioni con i diversi pubblici aziendali che sono
portatori di vari scopi che gravitano intorno all'impresa. In tale ambito è evidente come rivestano importanza il
personale dipendente e i soggetti titolari del capitale di rischio. L'organo imprenditoriale deve adottare dunque
decisione “politiche”, atteggiamenti ragionati e ponderati, ispirati a una visione globale di sviluppo dell'impresa.
L'imprenditore deve quindi individuare i punti di compatibilità fra gli scopi delle parti, creando attorno ad essi
un consenso reale, sempre orientato a garantire continuità al sistema aziendale.
Gli scopi che gravitano introno al sistema aziendale (teleologia del sistema aziendale)
Intorno all'azienda gravitano numerosi scopi:
• SCOPI MOTIVANTI: riconducibili ai due assetti che si legano alla nascita e allo sviluppo aziendale:
◦ assetto proprietario:
▪ remunerazione diretta a b/t (dividendi, per quanto riguarda i soci di minoranza)
▪ remunerazione indiretta a l/t (aumento del valore delle quote/azioni, soci di maggioranza)
▪ mantenimento del livello di rischio economico al di sotto della soglia di accettabilità
▪ conseguimento di una buona immagine aziendale
◦ assetto imprenditoriale:
▪ remunerazione personale monetaria e non monetaria (fringe benefits)
▪ potere personale nell'ambito dell'impresa
▪ successo conseguibile nell'attività di governo dell'impresa (vantaggio, quote di mercato, ecc.)
• SCOPI FINALISTICI (o dell'utenza): sono le aspettative sul prodotto da parte della clientela
◦ attitudine a svolgere la funzione tecnica
◦ attitudine a svolgere la funzione tecnica con qualità
◦ attitudine a dare soddisfazione psicologica
◦ accessibilità del prodotto
◦ tempi di pagamenti
◦ garanzia e assistenza post vendita
◦ prezzo adeguato
• SCOPI STRUMENTALI: connessi alle categorie di risorse necessarie ai processi aziendali:
◦ del personale aziendale:
▪ remunerazione monetaria e non monetaria (fringe benefits)
▪ sicurezza del posto di lavoro
▪ sicurezza del rapporto di lavoro
▪ clima organizzativo aziendale
▪ soddisfazione lavorativa
◦ dei fornitori:
▪ remunerazione monetaria
▪ termini di pagamento (dilazioni)
▪ sicurezza del pagamento
▪ reiterabilità del rapporto
necessità del rapporto di scambio, autonomia di conoscenza e di utilizzo del bene o servizio acquistato,
dimensione relativa del rapporto
• fattori di convenienza operativa: vantaggi tecnici, finanziari, o economici compensativi che consentono
all'impresa di accettare rapporti di forza sfavorevoli
Struttura dell'organo imprenditoriale
L'organo imprenditoriale esercita le tre funzioni descritte in precedenza. Essere imprenditore significa esercitare
di fatto con continuità le massime funzioni imprenditoriali, assumendosene la responsabilità.
L'organo imprenditoriale assume nell'impresa reale numerose configurazioni strutturali:
• organo imprenditoriale monopersonale: composto da una sola persona, idoneo per piccoli sistemi
• organo imprenditoriale pluripersonale: composto da un gruppo integrato di persone, che governa
l'impresa collegialmente, con una convergenza di decisioni. Le strutture pluripersonali si dividono in:
◦ indifferenziate: assenza di specializzazioni funzionali fra gli interessati
◦ differenziate: situazione di relativa specializzazione nelle diverse funzioni imprenditoriali
Da un altro punto di vista si distingue ancora in:
• organo imprenditoriale a struttura monocentrica: unico livello decisione (vertice dell'impresa)
• organo imprenditoriale a struttura policentrica: tipica delle imprese multidivisionali (ogni divisione è
responsabile di settori a sé stanti) dove il vertice del gruppo di imprese coincide con l'organo
imprenditoriale della holding
Le capacità
Le principali capacità a livello di assetto imprenditoriale sono:
• capacità di impegno e coinvolgimento personale
• capacità “strategica”: programmare e implementare i processi strategici
• capacità “organizzativa”: capacità di strutturare un apparato idoneo a realizzare l'idea imprenditoriale
• capacità “politica”: gestione e risoluzione dei contrasti fra scopi diversi che gravitano sul sistema
I modelli imprenditoriali
Si prova ora adesso ad ampliare la distinzione fra fra imprenditore tradizionale e imprenditore moderno,
individuando nuovi elementi riferibili alla figura del soggetto imprenditoriale quali:
• requisiti personali
• caratteri qualificanti
• funzioni svolte
I requisiti personali sono fondamentalmente quegli attributi personali necessari per lo svolgimento dell'attività
imprenditoriale quali ambizione, intuizione, laboriosità, iniziativa, fiducia in se stessi, ecc.
Caratteri qualificanti
I caratteri qualificanti la figura imprenditoriale sono la titolarità del capitale di rischio, le propensioni, le logiche
di comportamento e la cultura specifica.
In particolare in riferimento alla titolarità del capitale di rischio si può fare riferimento alle situazioni limite in
cui il soggetto imprenditore abbia una completa titolarità del capitale di rischio, oppure non sia titolare di alcuna
quota di capitale di rischio (le figure citate in precedenza).
Le propensioni sono le inclinazioni specifiche legate alla personalità:
• propensione alla delega: l'attitudine ad affidare parte dell'attività decisionale ad altri soggetti, evitando
l'accentramento decisionale, non deve sconfinare però nella delega eccessiva
• propensione al rischio: l'attitudine ad assumere decisioni che mettono a rischio l'impresa, anch'essa deve
essere bilanciata, per non cadere in immobilismo o rapido declino
• propensione all'innovazione: attitudine a sviluppare cambiamenti continui nella struttura e nella strategia
aziendale al mutare dei fattori ambientali, ugualmente deve essere bilanciata e non eccessiva
Le logiche di comportamento sono tre modelli di azione del soggetto economico in tre ambiti specifici:
• logica economica: il modo con cui l'imprenditore gestisce il problema della distribuzione della ricchezza
prodotta dall'impresa, ovvero a quali stakeholders e con quale priorità. Le situazioni limite sono: la
distribuzione ad un unico interlocutore e l'equidistribuzione a tutti gli stakeholders
• logica programmatica: il modo con cui l'imprenditore affronta la valutazione del futuro, che si può
basare su intuito (senza raccogliere e elaborare dati per limitare i costi) o informazioni (elaborando dati).
Inoltre, l'imprenditore può guardare al futuro in una logica estrapolativa (continuità col passato) o in una
logica prospettica (discontinuità)
• logica di controllo: il modo con cui l'imprenditore controlla i processi attraverso il quale opera il sistema
operativo, con differenza fra controllo sull'azione (operato dei dipendenti, prima, dopo o durante
l'azione) e controllo sui risultati (senza interessarsi dell'operato del dipendente)
Ultimo carattere qualificante è la cultura specifica, ovvero il background intellettuale dell'imprenditore, come
studi svolti e precedenti esperienze lavorative. Essa si divide almeno in quattro categorie:
• cultura tecnologica
• cultura di marketing
• cultura finanziaria
• cultura amministrativa
Logica imprenditoriale come logica di piano
Il vertice imprenditoriale assume le proprie decisioni orientato sempre verso il prossimo futuro, sviluppando
obiettivi strategici di sviluppo che guardino a periodi di più ampio respiro. La logica imprenditoriale diventa
allora logica di piano quando consiste nel collocare le problematiche aziendali di sopravvivenza verso
prospettive temporali (prospettive di piano) che superano il singolo esercizio, assumendo prospettive pluriennali
(tre anni, massimo cinque). Ragionare con una logica di piano è allora elaborare disegni anticipatori di decisioni
future.
Questo piano strategico imprenditoriale è tipicamente elaborato a livello di vertice, e dunque composto da linee
generali della futura condotta aziendale, elaborate su una base di aspettative inerenti all'evoluzione futura
dell'ambiente. Le linee generali vengono poi attuate attraverso piani annuali esecutivi, dove essere si traducono
in direttive specifiche. Il piano strategico è infine continuamente aggiornabile sulla base degli effettivi risultati
raggiunti e dello scostamento dalle aspettative, processo questo attuabile solo tramite una continua attività di
verifica o controllo direzionale.
L'imprenditore può avere una sua personale propensione ad attuare o meno una logica di piano, e in che modo.
Si può dividere allora in:
• governo fondato sulla direzione intuitiva: il vertice non elabora né piani né obiettivi strategici e dunque
non si avvale di alcuno strumento informativo di controllo direzionale
• governo fondato sulla direzione orientata: il vertice elabora piani di massima ed obiettivi strategici di
medio periodo non profondamente definiti, senza attuare piani esecutivi annuali, e ricorrendo a
strumenti informativi che operano un controllo direzionale esclusivamente per risultati passati
• governo fondato sulla direzione per obiettivi: il vertice elabora piani di massima ed obiettivi strategici
ben definiti di medio periodo, traducendoli in dettagliati piani esecutivi annuali, ricorrendo infine a
strumenti informativi di controllo direzionale fondati sull'analisi degli scostamenti tra risultati ottenuti
via via ed obiettivi programmatici. Lo scostamento permette di ragionare sulle cause alla base,
spostandosi da una logica di confronto con i risultati passati a una logica di analisi del grado di
progressiva realizzazione dei piani strategici elaborati
L'ultimo metodo di governo, il governo fondato sulla direzione per obiettivi, si può ancora dividere in:
◦ governo fondato sull'autogoverno al vertice per obiettivi: consiste nella creazione di sotto-
obiettivi parziali ritenuti fondamentali, e continuo controllo direzionale con attenzione agli
scostamenti, ma riservandosi di intervenire
◦ governo fondato sulla direzione per obiettivi propriamente detta: sempre con una segmentazione
in sotto-obiettivi parziali, ma molto più analitici, con una quantificazione misurabile di tali obiettivi,
con una precisa attribuzione di responsabilità ai centri direzionali della struttura organizzativa per
ognuno di essi. In questo caso l'obiettivo diventa un vero e proprio mezzo organizzativo che
permette il coordinamento della struttura
Sistema operativo
Il sistema, o assetto, operativo è l'oggetto dell'attività del vertice imprenditoriale, ed è rappresentato dal
complesso sistemico di risorse materiali, finanziarie, umane ed informative (apparato). È dotato di capacità di
implementazione delle funzioni di approvvigionamento, produzione e collocamento sul mercato dei beni o
servizi oggetto dell'attività d'impresa
In capo al sistema operativo si individua innanzitutto una specifica funzione tecnico-economica (relazione con il
particolare settore di appartenenza), quindi una funzione di autostrutturazione.
Quest'ultima è operata attraverso un processo di autostrutturazione composto da una fase di approvvigionamento
di risorse di apparato necessarie allo svolgimento dell'attività aziendale (impianti e macchinari, ecc.) e seguita da
una fase di trasformazione di tutte o di parte delle risorse acquistate in altre risorse di apparato necessario allo
Capitolo 3 – L'impresa “reale”. Dalla visione per assetti a quella per apparati-capacità
L'analisi condotta ci ha portato a descrivere l'impresa come formata da tre assetti: assetto proprietario, assetto
imprenditoriale e assetto operativo. Questa visione di dice per assetti entità costituenti, e permette di distinguere
le problematiche attinenti a ciascuna specifica impresa, allo specifico assetto e all'angolo visuale dal quale esse
sono considerate.
Oltre alla visione per assetti entità costituenti, esiste una seconda prospettiva di analisi del sistema aziendale,
fondata sulla distinzione fra:
• processi di autostrutturazione: rivolti verso l'interno del sistema aziendale e orientati ad organizzare il
sistema spesso, traducendosi in apparati (insieme di elementi materiali o immateriali disponibili) e
capacità funzionali (potenzialità d'uso)
• processi funzionali ricorrenti: dipendono dai primi, e sono rivolti verso l'esterno del processo
aziendale e finalizzati a soddisfare i bisogni di una certa classe di utenza
◦ ripartizione dei poteri decisionali in casi di assetto formato da più soggetti (organo pluripersonale)
significa produrre una quantità tale di ricchezza da soddisfare, in maniera sufficiente, tutti gli stakeholders,
rafforzando le premesse perché gli stakeholders stessi mantengano il loro ruolo di interesse nell'impresa, ad ogni
titolo.
Si definisce equilibrio economico la situazione in cui l'impresa consegue ricavi in grado di coprire tutti i costi di
esercizio, di remunerare adeguatamente la proprietà (i dividendi possono anche essere considerati costi di
esercizio), nonché di generare un surplus di ricchezza (autofinanziamento) idoneo a coprire il fabbisogno
connesso alle esigenze di crescita del sistema operativo (c.d. “costi dello sviluppo”).
Esso va valutato in un'ottica di piano (3-5 anni), perché, come già detto, è in tale ottica che l'imprenditore
imposta ed implementa i processi strategici di stabilizzazione e sviluppo dell'impresa.
É sottinteso come l'equilibrio finanziario possa non essere rispettato in condizioni di perfetto equilibrio
economico, e portare comunque l'impresa al fallimento per non aver adempiuto alle proprie obbligazioni.
L'equilibrio può essere inesistente (prevalenza di divari passivi fra ricavi e costi, cioè perdite di esercizio che si
accumulano), debole (divari nulli o leggermente positivi) o forte (divari molto positivi).
Come detto va valutato in un'ottica di piano, dunque una perdita di esercizio potrebbe anche essere inserita in
una situazione di forte equilibrio economico, quando inserita in un piano strategico di crescita che porterà utili in
futuro. Ciò che è importante è l'analisi dei flussi reddituali globali del periodo di piano.
Infine, appunto, i ricavi non devono coprire solo i costi ma anche i costi del capitale di rischio, ovvero le
aspettative di remunerazione della proprietà, ed i costi dello sviluppo.
Ci sono molteplici elementi da tenere in considerazione per valutare la potenziale economicità dell'impresa
nell'ambito di un piano di sviluppo.
Il primo elemento è l'analisi della soglia tecnica, ovvero il numero minimo di prodotti da vendere per coprire i
costi operativi fissi e i costi operativi variabili. Se l'impresa non riesce a raggiungere un numero di unità
sufficiente, l'impresa non è in grado di operare con economicità (reddito operativo negativo). L'imprenditore
dovrà agire modificando l'offerta proposta ai consumatori o i mercati dove è proposta, ridurre l'incidenza dei
costi fissi operativi, aumentare il prezzo unitario di vendita, ridurre l'entità del costo variabile unitario con più
efficienza, trasformare i costi fissi in costi variabili tramite il processo di outsourcing (decentramento di alcune
funzioni).
Si può distinguere poi fra:
• costi fissi di origine patrimoniale: ammortamenti di beni materiali e immateriali
• costi fissi di origine non patrimoniale: spese per personale, spese di pubblicità non capitalizzate
Per i primi, i costi fissi di origine patrimoniale, è opportuno considerare gli oneri finanziari che l'impresa
sostiene per il finanziamento delle immobilizzazioni. Per i secondi, costi fissi non patrimoniali (e anche per i
costi variabili), è opportuno valutare il livello fisiologico di liquidità che permette all'impresa di far fronte alle
uscite connesse a tali oneri.
Autofinanziamento
Il capitale di rischio va considerato a tutti gli effetti un “fattore produttivo”, la cui adeguata remunerazione
rappresenta un “costo” da coprire con ricavi. La proprietà, quando è azionariato di controllo, non è interessata
tanto alla remunerazione diretta ma a quella indiretta, e dunque preferisce trattenere reddito all'interno
dell'impresa per favorirne la crescita.
Si parla dunque di autofinanziamento da reddito, che si può concretizzare in:
• autofinanziamento da reddito palese: l'utile a bilancio viene accantonato a riserva di utile
• autofinanziamento da reddito occulto: l'utile “reale” viene trattenuto occultamente nell'impresa,
tramite una sottostima di attività (valutazione delle rimanenze con LIFO), sovrastima di passività,
eccessivi accantonamento a fondi rischi, politica di ammortamenti anticipati
L'autofinanziamento da reddito palese permette una maggiore visibilità di solidità finanziaria, utile verso i
finanziatori, possibili nuovi soci di minoranza o maggioranza, i clienti, ecc.
L'autofinanziamento da reddito occulto permette vantaggi fiscali.
Una cosa a parte è il cosiddetto autofinanziamento da costi (o improprio), attuabile mediante l'imputazione
nell'esercizio di costi la cui manifestazione finanziaria avverrà in periodi futuri o si è manifestata in periodi
precedenti. È ciò che accade con ammortamenti, ratei e risconti.
In sintesi l'autofinanziamento da reddito consente una reale accumulazione economica, oltre che finanziaria,
fonte di finanziamento che non produce oneri finanziari ed è disponibile per un periodo illimitato.
L'autofinanziamento da costi permette invece di trattenere risorse finanziare all'interno del sistema aziendale per
limitati periodi di tempo (l'accumulazione è solo finanziaria) e non è quindi tendenzialmente idoneo a finanziare
la crescita dell'impresa, perché prima o poi l'impresa dovrà affrontare la manifestazione finanziaria di quei costi
che ha imputato a esercizi precedenti.
Le decisioni imprenditoriali relative all'assetto operativo possono essere distinte in tre categorie (o aree
decisionali):
• decisioni organizzative: incidono sulla struttura organizzativa, come modello prescelto, e per periodi
prolungati di tempo (si esplicita la funzione organizzativa dell'imprenditore)
• decisioni strategiche in senso stretto: incidono sulla struttura dell'intera impresa, come risultante di
comportamenti strategici, e per periodi prolungati di tempo (si esplicita la funzione strategica
dell'imprenditore)
• decisioni funzionali: relative a singole aree funzionali del sistema operativo, distinguibili in:
◦ decisioni funzionali con rilievo strategico: incidono sulla struttura di parte dell'impresa, per periodi
prolungati di tempo
◦ decisioni funzionali con rilievo essenzialmente operativo: incidono sulla struttura di parte
dell'impresa, ma solo per brevi periodi di tempo
Ogni decisione, nella realtà, assume valenza organizzativa, strategica e funzionale allo stesso tempo, non per
ultima valenza politica, che come funzione imprenditoriale si è già descritta come trasversale. Esistono tre poli
di attenzione che finiscono per influenzare in maniere più o meno rilevante le scelte imprenditoriali inerenti il
sistema operativo:
• il potere (forza): la forza detenuta dall'impresa nei confronti degli stakeholders e della concorrenza
• la sicurezza: valutata in termini di riduzione del rischio associabile a ogni decisione, tramite la
valutazione dell'impatto di ciascuna decisione sul livello dell'equilibrio finanziario
• il valore: la possibilità di generare un valore superiore al costo delle risorse impiegate, creando valore di
prodotto (fatturato), valore interno di conoscenza (routinizzazione), valore esterno di mercato
(quotazione)
Esiste poi un'altra chiave interpretativa generale delle scelte imprenditoriali, dove le decisioni imprenditoriali
danno luogo ad un'innovazione, che genere affetti qualitativi (know-how, competenze, ecc.) e/o quantitativi
(incrementi dimensionali) positivi o negativi, riassunti nella tabella seguente.
+ Effetto qualità -
+ Sviluppo quali-quantitativo Crescita inerziale Crescita delirante
Effetto / Stasi /
dimensione
- Ridimensionamento deliberato Ridimensionamento inerziale Deterioramento
Per settore, si intende invece l'insieme delle imprese che competono fra loro su uno stesso mercato,
soddisfacendo la stessa area di bisogno.
Delimitare questi bisogni, e quindi delimitare mercati e settori, è piuttosto complicato. Per semplificare si usa un
criterio indiretto di delimitazione, fondato sul comportamento effettivo dei consumatori nei confronti dei beni
e/o servizi offerti sui mercati dove cercano soddisfazione dei loro bisogni, in particolare:
• si considerano appartenenti allo stesso mercato tutti i soggetti che acquistano beni tra loro anche diversi
ma in qualche modo “interscambiabili” l'uno con l'altro per la soddisfazione di un bisogno, anche in un
ottica geopolitica di concorrenza internazionale
• si considerano appartenenti allo stesso settore le imprese che producono e vendono (competitors
effettivi) e/o che potrebbero con relativa facilità entrare sul mercato (competitors potenziali)
Definizione del business
Nell'ambito del settore scelto di attività, l'impresa dovrebbe delimitare in modo consapevole l'area di attività
dove intende operare (business), definita in termini di:
• specifiche sotto-funzioni che si intende espletare (complementari e indipendenti)
• specifiche classi di utenza alle quali ci si vuole rivolgere
• tecnologia di prodotto e di processo che si intende utilizzare
• ampiezza geografica del mercato che si intende servire
Scegliere la specifica sotto-funzione è importante per definire quali specifici bisogni l'impresa va a soddisfare:
• se se ne sceglie una si parla di definizione del business concentrata rispetto alle sotto-funzioni
• se ne sceglie più di una si parla di definizione del business ampia rispetto alle sotto-funzioni:
◦ strategia ampia ed indifferenziata rispetto alle sotto-funzioni
◦ strategia ampia e differenziata rispetto alle sotto-funzioni
Discorso simile può essere fatto per la scelta che l'impresa deve compiere della specifica classe di utenza, o più
di una, verso le quali si vuole rivolgere, ovvero porre in essere una segmentazione del mercato. L'impresa può
scegliere:
• una strategia concentrata rispetto alla classe di utenza
• una strategia ampia rispetto alle classi di utenza:
◦ indifferenziata
◦ differenziata
La combinazione della strategia prescelta (scelta della sotto-funzione e della classe di utenza), si hanno
numerosi risultati in termini di definizione mercatistica del business.
La tecnologia, il prodotto e l'ampiezza geografica del business
Importante è poi la scelta della tecnologia di base del prodotto e, parallelamente, della tecnologia di processo (ad
esempio un processo produttivo automatizzato o meno), con il quale viene realizzato il prodotto.
La scelta della combinazione sotto-funzioni, classi di utenza e tecnologie si concretizza fisicamente nella
definizione del prodotto vero e proprio, definito in termini essenziali da: qualità tecnica, qualità immagine,
prezzo.
Per ampiezza geografica del business si intende l'ambito geografico del mercato di riferimento in cui l'impresa
sceglie di operare. L'ambito geografico influenza pesantemente le problematiche strategiche e gestionali.
prodotto
• entrata in nuovi segmenti di mercato: se la forzatura del segmento di mercato e la sottrazione di quote
di mercato ai concorrenti appaiono non praticabili, allora l'impresa può cercare di raggiungere nuove e
potenziali classi di utenza che non sono pienamente soddisfatte dell'insieme di prodotti presenti sui
mercati, per soddisfare un loro bisogno
Direttrici multisettoriali
Nelle direttrici strategiche monsettoriali, le modificazioni significative appartengono solo all'area di business,
mentre nelle direttrici strategiche multisettoriali l'impresa è portata anche ad operare in nuovi settori di attività
tramite:
• integrazione verticale
• diversificazione
Integrazione verticale
Per integrazione si intende un processo di internalizzazione nell'abito dell'impresa di processi, capacità
produttive, prodotti, funzioni e attività che prima venivano svolte all'esterno dell'impresa. In particolare per
integrazione verticale si intende l'internalizzazione delle varie fasi di filiera produttiva caratteristica della
impresa.
Connesso al concetto di integrazione verticale c'è il concetto di filiera produttiva, ovvero le lavorazioni che
devono essere effettuale a cascata per passare da certe materie prima al prodotto finito. Si distingue fra:
• filiere produttive implosive: quando più filiere caratterizzate da traiettorie tecnologiche diverse
convergono con i loro output nell'ambito di un'unica filiera
• filiere produttive esplosive: quando a partire da un'unica filiera, si dipanano due o più filiere diverse
• filiere produttive lineari: quando il prodotto finito viene realizzato nell'ambito di un'unica filiera
Nell'ambito dell'integrazione verticale si distingue fra:
• integrazione verticale a monte (backward integration)
• integrazione verticale a valle (forward integration)
L'implementazione di processo di integrazione comporta normalmente la crescita, per il maggior valore aggiunto
realizzato dall'impresa.
Problematiche di misurazione del grado di integrazione verticale
Sono stati proposti numerosi criteri per misurare il gradi di integrazione verticale:
• numero della fasi elementari della filiera produttiva svolte all'interno dell'impresa: è difficile definire
con precisione una “fase elementare” e la sua rilevanza economica
• rapporto tra valore delle scorte e valore della produzione: indice di scarsa precisione perché il valore
delle scorte dipende dalla capacità di gestione logistica
• rapporto fra capitale investito e capacità produttiva: indice abbastanza buono, ma le economie di scala
possono falsare il risultato
• rapporto fra valore aggiunto e valore della produzione (indice di Adelman): indice buono, rapporto che
tende a 1 per un'impresa totalmente verticalizzata e tende a 0 per un'impresa totalmente deverticalizzata
Direttrici multisettoriali: forme e modalità di attuazione di integrazione verticale
Oltre alla precedente distinzione si distingue anche fra:
• integrazione verticale completa:
◦ a monte completa: quando internalizzando una fase a monte l'impresa produce il 100% di input
necessario al processo di produzione “storico”
◦ a valle completa: quando internalizzando una fase a valle l'impresa lavora all'interno il 100% di
output che prima era solita collocare sul mercato
• integrazione verticale parziale:
◦ a monte parziale: quando internalizzando una fase a monte l'impresa non produce il 100% di input
necessario al processo di produzione, e acquista il resto sul mercato
◦ a valle parziale: quando internalizzando una fase a valle l'impresa lavora solo una parte di output
che prima era solita collocare sul mercato, l'altra parte viene collocata
La realtà mostra come l'integrazione verticale parziale, più facilmente realizzabile, sia molto frequente: permette
di ottenere vantaggi in termini di minor rigidità a fronte della variabilità della domanda finale (si mantiene un
input “fisso” integrato a monte mentre si tiene variabile una quota reperibile all'occorrenza sul mercato), e in
intangibili e umani, per competenze si intendono le azioni che permettono di creare, produrre e vendere
un certo prodotto. La determianante dell'integrazione è la possibilità dell'impresa di sfruttare particolari
risorse e competenze proprie dell'impresa per operare in settori a monte o a valle. La presenza di risorse
e competenze non utilizzate completamente (ridondanza) incentiva l'entrata in nuovi settori per
massimizzarne lo sfruttamento
• ambito del paradigma evoluzionistico: in ottica evoluzionistica l'integrazione verticale può essere
interpretata come una modalità particolare per sviluppare nuove risorse e competenze distintive,
utilizzabili poi per implementare ulteriori processi di sviluppo sia all'interno che all'esterno della filiera
produttiva. L'impresa accumula e sviluppa conoscenza appartenente a domini tecnologici e di mercato
diversi a quelli di partenza, interni alla filiera, sviluppa magari innovazioni di prodotto rilevanti, e
successivamente entra in nuovi settori magari anche lontani, con le competenze acquisite
Gli svantaggi dell'integrazione verticale
Tra i potenziali svantaggi dell'implementazione di processi di integrazione verticale si può elencare:
• appesantimento della struttura dei costi: innalzamento dell'incidenza dei costi fissi
• difficile reversibilità delle scelte: comporta investimenti rilevanti e specifici (barriere all'uscita)
• maggior difficoltà, lentezza ed onerosità nell'adozione di tecnologie innovatrici: smantellamento e
ristrutturazione dell'apparato produttivo è molto lento e costoso per un'impresa fortemente integrata
Recenti tendenze intorno all'integrazione verticale
Negli ultimi anni, a causa del verificarsi di fenomeni destabilizzanti (rallentamento della crescita della domanda
e variabilità qualitativa e quantitativa, incremento della concorrenza, turbolenza ambientale tecnologica, ecc.) si
è accresciuto il grado di variabilità e di incertezza ambientale, così che le imprese hanno dovuto sviluppare la
capacità di rispondere in modo flessibile, modificando in tempi rapidi il processo produttivo e la gamma di
prodotti offerta sul mercato. Si sono create forme “improprie” di integrazione verticale. La tendenza è allora di
implementare forme contrattuali di integrazione verticale per le fasi manifatturiere della filiera, e di integrare
propriamente le fasi diverse (marketing, prodotto, progettazione, R&S).
Diversificazione
La seconda direttrice strategica plurisettoriale è la diversificazione.
La diversificazione produttiva è un direttrice di sviluppo intorno alla quale, verso gli anni '60 e '70, sono sorti
numerosi studi, che la indicavano come la fase finale del processo di evoluzione e di sviluppo della grande
impresa americana.
Successivamente la tendenza si è invertita, e si è assistito al fenomeno opposto a quello di diversificazione, la
cosiddetta rifocalizzazione, portata avanti da grandi gruppi industriali, che sono ritornati sui loro core business, o
comunque su aree di business intensamente correlate fra loro.
Concetto di diversificazione produttiva
Per diversificazione della produzione si intende l'implementazione di un'opzione strategica di sviluppo
consistente nella realizzazione di nuove linee di prodotto, che consento all'impresa l'entrata in settori nuovi,
appartenenti a filiere produttive nuove rispetto a quelle “tradizionali” in cui l'impresa operava fino a quel
momento.
Un'impresa potrebbe decidere di implementare processi di diversificazione produttiva ad esempio perché il
settore nel quale l'impresa è cresciuta non è più attrattivo come un tempo, e non offre particolari opportunità di
ulteriore sviluppo. Si concepisce spesso la diversificazione come “passaggio obbligato” nel processo di naturale
sviluppo di un'impresa, quando si raggiunge un “massimo” nello sviluppo monosettoriale all'interno del settore
originario dell'impresa. Diversificare ovviamente fa sorgere un ingente fabbisogno di capitali, e rappresenta una
scelta corretta esclusivamente quando la dimensione di un'impresa è tale da permetterle di intessere rapporti di
forza molto favorevoli, sopratutto dal lato del credito. Prima di aver raggiunto un'adeguata soglia dimensionale,
una direttrice di sviluppo plurisettoriale come la diversificazione non è una reale alternativa fattibile.
Si è già citato il processo inverso rispetto a quello di diversificazione produttiva, ovvero il processo di
rifocalizzazione, che si concretizza nell'abbandono da parte di un'impresa che ha già diversificato di uno o più
dei vecchi settori di attività, per concentrarsi sul settore o sui settori che presentano maggiori opportunità di
conseguimento di vantaggio competitivo e redditività (oppure ritornare verso il proprio core business
abbandonando settori che si sono rivelati poco redditizi).
Le problematiche di misurazione del grado di diversificazione
Il primo criterio per misurare il grado di diversificazione di un'impresa sarebbe intuitivamente quello del
numero di settori nel quale l'impresa è presente. Tuttavia, esso non è rilevante, perché non dà indicazione della
diversa rilevanza economica assunta dalle diverse linee di prodotto, né il grado di omogeneità/eterogeneità
tecnologia produttiva. Anche le modalità collaborative, per gli stessi motivi, sono indicate sopratutto per i casi di
diversificazione correlata.
Determinanti specifiche dei processi di diversificazione eterogenea
Le determinanti della diversificazione si possono raggruppare secondo le diverse forme di diversificazione.
Per quanto riguarda i processi di diversificazione eterogenea, queste sono:
• ricerca di riduzione del rischio di fallimento dell'impresa: attuata attraverso una ripartizione del rischio
totale d'impresa tra diverse aree di business che presentano tassi di redditività tra loro indipendenti, o
anche negativamente correlati (si compensano gli andamenti negativi di alcuni settori con quelli positivi
di altri)
• opportunità di formazione del “mercato finanziario interno”: nelle imprese presenti in settori tra loro
eterogenei è normale trovare aree di business che producono risorse finanziarie (es. in “cash cows”) e
altre che presentano un alto fabbisogno finanziario e assorbono risorse finanziarie (es. in “question
mark” o “star”), allora in questi contesti la gestione finanziaria centralizzata delle risorse permette di
minimizzare il ricorso al finanziamento esterno, tramite trasferimenti interni tra aree di business, con
conseguenti vantaggi in termini di economicità e velocità di copertura dei fabbisogni
• opportunità di formazione del “mercato interno del lavoro”: specularmente alla determinante
precedente, alcune aree di business possono presentare esuberi di personale, mentre altre fabbisogni di
personale da coprire, allora una gestione centralizzata del personale permette di minimizzare il ricorso al
mercato esterno del lavoro, con vantaggi in termini di costi, efficacia nella selezione del personale e
velocità di copertura di esigenze di personale nelle varie divisioni
• rispetto della normativa antitrust: se un'impresa detiene un elevato potere di mercato nel suo core
business, ulteriori processi di crescita nel settore, o in settori correlati, potrebbero essere sanzionati dagli
organismi pubblici posti a controllo della concorrenza. Allora il vertice imprenditoriale si trova in una
certa misura “obbligato” a scegliere una diversificazione eterogenea, una sorta di opzione second best
rispetto agli obiettivi precedenti di crescita del sistema
Studi sul fenomeno della diversificazione eterogenea hanno evidenziato che si ottengono solitamente risultati
reddituali mediamente inferiori rispetto a quelli conseguibili con la diversificazione correlata, probabilmente a
causa della difficoltà dell'organo imprenditoriale di dominare e coordinare aree di business così diverse.
Capitolo a parte merita la cosiddetta “teoria dell'agenzia”, concetto legato sopratutto alla prima determinante
della diversificazione eterogenea: la riduzione del rischio specifico di impresa. La teoria dell'agenzia afferma
che la motivazione della riduzione del rischio interessa non tanto la proprietà quanto il vertice imprenditoriale.
Questo perché:
• gli azionisti non hanno particolare interesse verso processi di diversificazione, in quanto per ridurre il
rischio associato alla loro partecipazione possono diversificare il loro portafoglio azionario fra imprese
operanti in settori diversi
• i soggetti che compongono il vertice imprenditoriale non possono ovviamente diversificare un impegno
lavorativo, e per questo sono più interessati a ridurre il rischio di fallimento dell'impresa, con la
conseguente perdita del posto di lavoro
In generale la teoria dell'agenzia interpreta il rapporto fra proprietà e management come un contratto di agenzia,
in base al quale la proprietà incarica il management di svolgere in nome e per conto suo e con un certo grado di
autonomia l'attività di governo dell'impresa, dietro corrispettivo. Essa sviluppa poi i problemi che potrebbero
sorgere nel caso che il management, in condizioni di asimmetria informativa, sfrutti la propria posizione in
maniera opportunistica, prendendo decisioni finalizzate a soddisfare propri interessi personali. La proprietà
dovrà allora sostenere “costi di agenzia”: costi connessi dall'adozione di comportamenti scorretti da parte del
management e costi inerenti ad attività di supervisione e controllo dell'operato del management.
Determinanti specifiche dei processi di diversificazione omogenea
Le determinanti di un processo di diversificazione omogenea sono:
• possibilità di sfruttare risorse e competenze ridondanti: la presenza, la ridondanza, di risorse in
eccesso (rispetto alle esigenze reclamate dai settori di attività) provoca la decisione di implementare
processi di diversificazione correlata, specie se è possibile sfruttare economie di scopo, ovvero utilizzare
una stessa risorsa per ottenere due o più prodotti diversificati (risorse e competenze di marketing, di
R&S o risorse e competenze attinenti alle tecnologie di produzione)
• superamento di situazioni di debolezza economica non temporanea nei vecchi settori di attività: spesso
connesse al declino del settore o alla presenza di una situazione competitiva sfavorevole, cosa che si
traduce in una diversificazione omogenea solo “momentanea” in quanto spesso l'impresa esce
completamente dal settore, implementando allora un vero e proprio processo di riconversione Lo
sfruttamento delle risorse e competenze maturate nel settore in declino verso settori omogenei consente
si limitare le perdite di patrimonio di conoscenze storico acquisito nel tempo, e non altrimenti
valorizzabile
Determinanti comuni a tutte le forme di diversificazione
Infine, le determinanti comuni a tutte le forme di diversificazione sono:
• la possibilità di sfruttare evidenti opportunità di redditività entrando in un nuovi settore
• la crescita dimensionale: in situazioni di separazione fra proprietà e vertice imprenditoriale,
quest'ultimo persegue interessi personali e di potere, tendendo a privilegiare obiettivi di crescita
dell'impresa anche se incompatibili con la massimizzazione della redditività
• incrementare il potere di mercato: tramite dumping predatorio (utilizzare le risorse finanziarie
generate per combattere battaglie di prezzo in un settore per volta, fino a piegare la concorrenza) o
tramite politiche di mutuo supporto, ovvero la possibilità di stringere poi accordi “di cartello” fra
imprese molto diversificate che si confrontano in numerosi settori diversi, per evitare rappresaglie a
catena sui mercati, conflitti concorrenziali, e per mantenere un oligopolio nel mercato
La strategia concorrenziale
L'ultimo insieme di decisioni di natura strategica in senso stretto riguarda la strategia concorrenziale, che
comprende tutte le decisioni relative al modo in cui l'impresa affronta la concorrenza nell'ambito dell'area di
attività prescelta
Le prime considerazioni che si possono fare riguardano la possibilità di porre in essere azioni di prevenzione
del conflitto concorrenziale, quali:
• evitare l'ingresso di nuovi concorrenti, meditane barriere all'entrata di varia natura
• evitare il conflitto con i concorrenti già presenti all'interno del settore, mediante accordi tra imprese
concorrenti
Si può poi percorrere la strada di azioni di elusione del conflitto concorrenziale, perseguendo una strategia di
mercato di nicchia, individuando un piccolo segmento del mercato con particolarità specifiche e concentrare
l'attenzione solo su di esso.
Se non si può evitare il conflitto competitivo, l'impresa deve compiere azioni concorrenziali sul prodotto
finalizzate all'ottenimento del vantaggio competitivo (strategia competitiva in senso stretto), tramite:
• miglioramento della qualità tecnica del prodotto (ricerca dell'insostituibilità)
• migliorando la qualità-immagine del prodotto (ricerca dell'insostituibilità)
• riducendo il prezzo del prodotto (ricerca della resistenza economica)
Strategie competitive
L'impresa deve ricercare una strategia competitiva globale, intesa come ricerca di una posizione competitiva
favorevole, redditizia e sostenibile nel tempo, in un certo settore industriale. La scelta di strategia competitiva
globale si fonda su due gruppi di fattori ugualmente rilevanti, dinamici e modificabili:
• i fattori che determinano il grado di attrattività del settore, ovvero la redditività mediamente
conseguibile operando nel settore per un periodo non breve di tempo
• le determinanti della posizione competitiva relativa all'impresa
L'analisi strategica distingue fra due livelli di strategie:
• strategia a livello di “corporate”: o anche strategie globali o complessive, comprende l'insieme delle
decisioni finalizzate all'allocazione delle risorse fra i diversi business e tra i diversi settori in cui
l'impresa opera, nonché le decisioni finalizzate alla scelta vera e propria dei settori in cui operare, del
grado di diversificazione e del grado di integrazione verticale
• strategia a livello di business: comprende la strategia competitiva in senso stretto, riferita cioè a una
determinata area di business (insieme delle decisioni/azioni finalizzate ad ottenere vantaggio
competitivo in quella specifica area di business)
Analisi di attrattività di un settore industriale
L'attrattività, redditività potenziale, di un settore industriale dipende dalla sua struttura, rappresentata
tipicamente attraverso il livello quali-quantitativo assunto da cinque forze competitive settoriali, identificate da
Porter, la cui intensità varia da settore a settore. Quando l'intensità di tali forze è elevata, la redditività media del
settore è bassa, e viceversa.
Le cinque forze competitive sono:
• concorrenza dei prodotti sostitutivi
momento che si è riusciti a mantenere un livello di costi operativi unitari inferiore a quello della
concorrenza:
◦ nell'intero settore: leadership di costo
◦ in un solo segmento: focalizzazione sui costi
• vantaggio competitivo da differenziazione: si differenzia il proprio prodotto in maniera unica rispetto
alla concorrenza, così che i clienti siano disposti a pagare un “premium price”, un prezzo più elevato,
pur di acquistarlo:
◦ nell'intero settore: differenziazione
◦ in un solo segmento: focalizzazione sulla differenziazione
Per quanti riguarda la leadership di costo, essa funziona se l'impresa è in grado di mantenere una situazione di
parità o quasi per quanto riguarda la differenziazione del prodotto, rispetto alla concorrenza, per non azzerare il
vantaggio competitivo. Un'impresa che scelga una strategia di leadership di costo, ovvero sull'intero settore,
deve essere effettivamente il leader, e non essere in competizione di costo, pena il rischio di pericolose “guerre
di prezzi”.
Anche per quanto riguarda la differenziazione, parallelamente l'impresa deve conseguire una situazione di
prossimità rispetto alla posizione di costo.
Porter sottolinea l'importanza di posizionarsi chiaramente rispetto alle alternative di base per ottenere vantaggio
competitivo, per evitare di ritrovarsi in una situazione intermedia in cui non si riesce a conseguire vantaggio.
Tuttavia negli ultimi decenni questo assunto ha perso validità, poiché i fatti hanno dimostrato l'esistenza di
imprese che sono riuscite a mantenere ottimi risultati sia in termini di differenziazione sia in termini di
ammontare di costi unitari, quella che viene definita complessità competitiva bipolare, orientata al
perseguimento contemporaneo di vantaggio di costo e di differenziazione.
Per concludere, la strategia di base perseguita, per essere sostenibile nel tempo, deve essere:
• difficilmente imitabile da parte della concorrenza
• difficilmente attaccabile da altre strategie di base: perché come detto leadership di costo e
differenziazione sono due alternative opposte, se ad esempio aumenta la sensibilità al prezzo da parte
della clientela, la differenziazione è fortemente minata
• accompagnata dalla capacità di mantenere una situazione quantomeno di prossimità per quanto riguarda
la posizione di costo o di differenziazione, se adottata la strategia opposta
La centralità del concetto di vantaggio competitivo indusse Porter a sottolineare come esso dovesse
rappresentare l'elemento cardine del piano strategico di impresa. Spesso il vantaggio competitivo viene
sottovalutato a scapito della quota di mercato, che viene posta come principale obiettivo strategico, senza
comprendere che essa è l'effetto, eventuale, del conseguimento di vantaggio competitivo.
Fonti “tradizionali” del vantaggio competitivo
Le fonti vantaggio competitivo sono principalmente:
• per il vantaggio competitivo di costo:
◦ economie di apprendimento: riduzione del costo unitario del valore aggiunto prodotto
all'aumentare della produzione cumulata, attraverso lo sviluppo ed il consolidamento di routine
organizzative
◦ economie di scala: riduzione del costo unitario attraverso l'incremento della scala di produzione,
ovvero il livello di capacità produttiva. Le economie di scala si manifestano in ragione di:
▪ caratteri di invisibilità di certi input, il cui costo allora può venire ripartito su volumi elevati di
output
▪ relazioni tecniche fra input e output (container – merci trasportate)
▪ caratteri di crescente specializzazione attraverso la divisione del lavoro tra le varie fasi del
processo materiale
◦ tecnologie di processo innovative: minore quantità di input a parità di output
◦ riprogettazione del prodotto o del processo: diminuzione del costo unitario di produzione
◦ gestione efficace di approvvigionamenti di materie prime e servizi
◦ disponibilità di manodopera a costi contenuti
◦ economie di saturazione: riduzione del costo unitario per ripartizione di costi fissi di un impianto
produttivo sul numero massimo di prodotti realizzabili nell'unità di tempo, aumento dei volumi
produttivi nell'ambito di una determinata capacità produttiva, ottica di breve periodo
◦ economie di scopo: la fonte di vantaggio competitivo di costo più associata alle decisioni
strategiche di livello corporate, possibilità per le imprese multiprodotto di utilizzare uno stesso input
per la produzione di output diversi
• per il vantaggio competitivo da differenziazione:
◦ unicità sui caratteri di qualità tecnica
◦ unicità sui caratteri di qualità-immagine
Elencare tutte le fonti di vantaggio competitivo da differenziazione risulterebbe impossibile, perché
sono teoricamente illimitati i modi con cui un'impresa può conferire al prodotto dei caratteri di
unicità. Esse rivestono praticamente tutte le aree funzionali di impresa: marketing, produzione,
approvvigionamento, finanza, gestione del personale, area R&S, ecc.
Un'impresa in grado di segmentare correttamente il mercato può poi correttamente focalizzarsi, o, se
la segmentazione è particolarmente omogenea, decidere per una strategia di ampio settore, e quindi
perseguire una differenziazione seguendo le esigenze dei clienti.
Le “nuove fonti” di vantaggio competitivo
Negli ultimi anni si stanno affermando delle fonti non tradizionali associate al vantaggio competitivo.
Una di queste è la capacitò di accesso alle conoscenza scientifiche generali ed astratte, ovvero la capacità di
generare innovazioni di prodotto o di processo. Il fenomeno nuovo è la capacità di sviluppare conoscenze
scientifiche attraverso una logica deduttiva, che parte da principi scientifici generali, in sostituzione alla
tradizionale logica induttiva, che scaturiva da numerose sperimentazioni empiriche in laboratorio, con alti costi
di R&S. Importante è anche la capacitò relazione non competitiva.
Un altro esempio di nuova fonte è la capacitò di accesso alle nuove tecnologie dell'informazione e della
comunicazione, di cui internet è un chiaro esempio.
Per finire, recentemente si è assistito a un incremento progressivo della concorrenza, per la globalizzazione dei
mercati e per la turbolenza tecnologica, che ha portato le imprese a porsi come obiettivo un vantaggio
competitivo basato sulla differenziazione, poiché sempre più spesso la leadership di costo è aggredibile da
imprese operanti in paesi con un basso costo del lavoro.
Il ruolo della catena del valore per valutare il potenziale del vantaggio competitivo
Per individuare le fonti di vantaggio competitivo sulle quali poi puntare, occorre che l'imprenditore effettui un
analisi delle risorse e delle competenze dell'impresa. La catena del valore è lo strumento imprenditoriale che
consente di classificare, sulla base di criteri di omogeneità/disomogeneità strategica e tecnologica, le attività
generatrici di valore di un'impresa. Questo modello di catena generica del valore individua:
• cinque categorie di attività primarie generatrici di valore, che sono ricollegabili alle diverse fasi di cui
si compone il processo materiale:
◦ logistica in entrata: input acquistati all'esterno che entrano nell'impresa
◦ attività operative: trasformazione dell'input nel prodotto finale
◦ logistica in uscita: distribuzione e collocamento dell'output sul mercato
◦ marketing e vendite: attività finalizzate a promuovere l'acquisto del prodotto
◦ servizi: attività che forniscono servizi al cliente per migliorare o mantenere il valore del prodotto
• quattro categorie di attività di supporto alle attività primarie:
◦ attività infrastrutturali (input informativi): amministrazione, finanza, ecc.
◦ gestione delle risorse umane
◦ sviluppo della tecnologia (input tecnologici): sviluppo tecnologie di processo e di prodotto
◦ approvvigionamento
Infine si definisce “margine” la differenza fra valore generato dall'impresa (fatturato annuo totale) ed il costo
complessivo sostenuto per eseguire le diverse attività generatrici di valore.
La catena del valore rappresenta un modello di analisi finalizzato a individuare le competenze chiave
dell'impresa, quelle che la posizionano in modo favorevole rispetto ad una o più fonti di vantaggio competitivo
Il modello di Porter prevede che si proceda a ricostruire la catena del valore specifico dell'impresa, dell'unità di
business, disaggregando le attività generiche in specifiche sub-attività, delimitate in moto che presentino un
elevato grado di omogeneità interna in termini strategico/tecnologici (raggruppando attività caratterizzate da
determinanti o di differenziazione omogenee), o in generale in termini di determinanti rilevanti del vantaggio
competitivo. Occorre quindi imputare alle diverse sub-attività i costi e gli investimenti sostenuti per
implementarle, individuando poi per ciascuna i fattori che determinano i costi e/o l'unicità del prodotto. Infine è
necessario individuare i legami tra le diverse sub-attività della catena del valore che influenzano i costi e il
potenziale dii differenziazione di altre sub attività: ottimizzare questi collegamenti in funzione del vantaggio
competitivo è molto difficile ma porta a importanti vantaggi. È importante anche individuare i collegamenti
“verticali” ovvero i collegamenti tra la catena del valore dell'impresa e quelle dei clienti e fornitori “in diretto
contatto” con l'impresa, utile per ricostruire anche una complessiva rete di relazioni verticali tra catene del
valore fino a arrivare al consumatore finale del prodotto, a valle, e alle fasi iniziali della filiera produttiva, a
monte. Il vantaggio competitivo va dunque valutato con riferimento alla complessiva catena del valore della
filiera produttiva nell'ambito della quale l'impresa è inserita. Lo stadio finale è individuare il potenziale di
riduzione dei costi e/o incremento di differenziazione ottenibile agendo sui fattori e sui collegamenti appena
individuati. Non secondario è il confronto delle capacità in termini di costi unitari e grado di differenziazione
ottenibile in ogni sub-attività rispetto a quelle che caratterizzano la stessa sub-attività nell'ambito delle imprese
concorrenti che risultano leader nello svolgimento di quella specifica sub-attività (benchmarking competitivo).
L'analisi della catena del valore richiede il supporto di moderne tecniche di controllo gestionale che superino i
limiti della contabilità analitica (che non coglie le interdipendenze fra i costi), quale l'”activity based
management”.
Porter sottolinea infine che il ragionamento sulla “catena del valore” aiuta anche a prendere decisioni inerenti
alla definizione del business, evidenziando in particolare l'impatti sulla catena di quattro dimensioni dell'ambito
competitivo:
• approccio del segmento di mercato (focalizzato o a ampio raggio): permette di adattare la catena del
valore sui bisogni del segmento specifico, o sfruttare le interrelazioni fra catene del valore di segmenti
diversi
• ambito del grado di integrazione verticale: poiché le scelte in merito all'integrazione possono ora essere
lette come finalizzate ad ottimizzare i collegamenti verticali tra catene di valore di stadi diversi
• ambito geografico: a seconda dell'omogeneità o meno dei bisogni generati dal mercato
• ambito settoriale: le scelte in termini di quali settori operare, diversificazione, possono essere
interpretate come finalizzate ad ottimizzare i collegamenti tra catene del valore di settori produttivi
diversi. La diversificazione sarà allora incentivata fino a che questi collegamenti generano benefici in
termini di costi e/o di differenziazione superiori ai “costi” di coordinamento di catene di valore
comunque distinte e diverse
I vantaggi derivanti da una definizione di un ampio ambito competitivo possono essere ottenuti anche tramite
l'attivazione di collaborazioni di lungo periodo, di tipo collaborativo o contrattuale, sfruttando così una sinergia
di catene di valore senza dover sostenere gli investimenti necessari per l'entrata in un nuovo segmento, settore,
mercato.
Da sottolineare infine come la catena del valore riveste un ruolo importante ai fini della progettazione della
struttura organizzativa, e che fra struttura del settore e catene del valore delle imprese in esso operanti si
stabiliscano delle modifiche reciproche.
Contributo della “Resource Based View Theory” (RBVT) alla comprensione del vantaggio competitivo
Come detto, le fonti di vantaggio competitivo hanno natura sia interna che esterna. In realtà studi recenti hanno
dato maggiore rilevanza ai soli fattori esterni, sviluppando il paradigma della “struttura-comportamenti-
performance”, in base al quale la struttura del settore determina i fattori chiave del successo, le condotte
finalizzate ad ottenere un posizionamento favorevole, nonché le stesse performance reddituali ottenibili. Tuttavia
questo paradigma è in grado di fornire spiegazione valide solo ex post, senza comprendere i meccanismi in base
ai quali le imprese potranno eventualmente mantenere vantaggi competitivi.
Per valutare se esistano meccanismi di creazione del valore valutabili ex ante, la risposta è da trovarsi nella
Resource Based View Theory, ovvero nel ricercare le determinanti di base per la realizzazione del vantaggio
competitivo nelle risorse e competenze di cui l'impresa dispone, ponendo quindi l'attenzione sulle fonti interne
di vantaggio competitivo, assets tangibili, intangibili ed umani a disposizione dell'impresa. La RBVT colloca
allora le competenze distintive alla base della generazione di vantaggio competitivo, ovvero intendendo la
capacità dell'impresa di svolgere meglio certe attività rispetto ai concorrenti (costi unitari minori e/o qualità più
elevata). Le risorse e competenze diventano allora realmente “distintive”, utili all'ottenimento ed al
mantenimento del vantaggio competitivo, solo se sono:
• scarse: rare o addirittura uniche, possedute solo da quell'impresa
• non sostituibili: e quindi rare non solo nella forma ma anche nella funzione di soddisfazione del bisogno
• non riproducibili: ovvero protette dall'imitazione
• non trasferibili: ovvero riferibili specificatamente a quella impresa, non monetizzabili
• durevoli: nonostante la turbolenza tecnologica
Ma anche l'approccio tramite RBVT rischia di essere inconcludente perché basato sull'analisi ex post delle
catene del valore delle imprese leader nel gioco competitivo. Si deve porre allora l'accento sullo strategic intent
del management, ovvero sulla capacità di selezionare, coordinare, cumulare le risorse e le competenze critiche,
giungendo ad una sorta di “metacompetenza”, di carattere cognitivo, come ultima fonte del vantaggio
competitivo. Si sposta l'applicazione della resource based ad una concettualizzazione della impresa come
sistema cognitivo, ovvero come sistema che funziona sulla base del proprio patrimonio di risorse di conoscenza,
ovvero con importanza agli schemi cognitivi del management, alle sue capacità percettive dell'ambiente esterno,
di apprendimento e progettuali. L'approccio appare più convincente perché si comprende come i meccanismi
attraverso i quali si realizzano i processi di affermazione del vantaggio competitivo passino dalla proiezione
dell'analisi in un'ottica dinamica. Appare allora come gli spazi di affermazione di vantaggio competitivo sono
tanto più ampi quanto più intensi sono i cambiamenti del gioco competitivo, che impattano in modo asimmetrico
sulle potenzialità di singole imprese operanti in un certo settore, dato che ognuna è caratterizzata da un mix
proprio di risorse e competenze, e quindi una diversa capacità di poter “sfruttare” a proprio vantaggio i
cambiamenti per convertirli in vantaggio competitivo.
L'utilizzo di un criterio di divisione del lavoro fondato sui caratteri dell'output consente la creazione di
meccanismi di responsabilizzazione centrati sul profitto e non unicamente su costi o su ricavi. I manager di
divisione sono responsabili infatti sia dell'input sia dell'output per quanto riguarda l'area di business di loto
competenza. Sono quindi dotati di una maggiore autonomia decisionale rispetto ai manager di funzione
(struttura multidivisionale decentrata), e sono quindi responsabilizzati dal vertice imprenditoriale per quanto
riguarda il risultato complessivo della loro gestione (sono quindi “centri di profitto”).
L'allocazione delle risorse finanziarie disponibili tra le diverse aree di business avviene sulla base dei risulti
economici conseguiti, e responsabilizza quindi ancora di più i manager a ottenere buoni risultati.
La struttura multidivisionale è adatta a gestire contesti aziendali complessi, e la sua efficacia è condizionata dal
grado di diversificazione della produzione, che, aumentando, pone sì problemi di coordinamento fra le diverse
aree funzionali, ma maggiormente superabili per la maggiore “flessibilità” della struttura multidivisionale
rispetto alla multifunzionale.
Un altro vantaggio è la riduzione di carico di lavoro, per l'elevata autonomia delle divisioni e un flusso
informativo più snello (trasmettono solo i risultati di sintesi) verso il vertice imprenditoriale, chiamato ad
assumere decisioni strategiche e non decisioni operative (che spettano alle divisioni). Inoltre, i manager
sviluppano competenze imprenditoriali globali.
Un primo svantaggio della struttura multidivisionale è il fatto di dover replicare all'interno di ogni divisione una
struttura multifunzionale, cosa che fa aumentare generalmente i costi di struttura. Secondariamente poi, i
manager di divisione possono essere orientati verso un'ottica di breve periodo, orientata ad un immediato
profitto. Infine, si possono verificare conflitti interni fra divisioni.
La struttura multidivisionale è adatta alle imprese che adottano strategie plurisettoriali, perché consente di
sfruttare al massimo i vantaggi della diversificazione di produzione.
Varianti della struttura multifunzionale
Esistono due varianti importanti della struttura multifunzionale: la struttura organizzativa per progetto e la
struttura organizzativa a matrice.
La struttura organizzativa per progetto varia dalla struttura multifunzionale per l'introduzione di “organi di
progetto” responsabili del coordinamento di tutte le risorse funzionali necessarie a singoli progetti. Questo tipo
di struttura prevede una durata limitata di questi organi di progetto, che sono distaccati dalle direzioni funzionali
di appartenenza solo temporaneamente e fino alla realizzazione del progetto.
È una struttura molto usata nelle imprese impegnate in attività di innovazione/progettazione di nuovi prodotti
complessi su grandi commesse, che esigono un coordinamento sia interfunzionale che intrafunzionale.
La doppia dipendenza gerarchica (dai direttori di progetto e dai direttori di funzione) amplifica le problematiche
di leadership del vertice imprenditoriale.
La struttura organizzativa a matrice è la naturale evoluzione della struttura per progetto, e riguarda imprese che
operano su un numero elevato di progetti anche molto differenti fra loro, che dunque necessitano di una
combinazione e sovrapposizione di poteri e competenze ancora più marcata.
Quest'ultimo costo potrà essere individuato correntemente quando saranno definiti con precisione gli
investimenti necessari a strutturare la capacità produttiva.
Definizione del processo produttivo
Nella definizione del processo produttivo acquista importanza, come già detto, le decisioni prese in ambito
strategico riguardanti la definizione della tecnologia di processo Bisogna inoltre definire il grado di continuità
del processo produttivo. Si distingue fra:
• processi continui per natura: vengono realizzati attraverso una sequenza di fasi successive svolte senza
soluzione di continuità
• processi resi continui: i processi intermittenti dove sono stati eliminati i punti di discontinuità del
processo produttivo
• processi intermittenti: processi produttivi che per loro natura hanno tempi morti
La definizione del processo riguarda anche la scelta dei procedimenti tecnici specificabili secondo il:
• grado di meccanizzazione: prevalenza del lavoro meccanico su quello manuale, consente di aumentare il
volume di produzione per unità di tempo e talvolta qualità e precisione del prodotto, ma comporta un
incremento dei costi fissi, uno spostamento del BEP e quindi maggiore rigidità economica
• grado di flessibilità produttiva: è tanto più elevato quanto maggiore è la capacità di produrre varianti al
prodotto senza modificare i fattori produttivi, e soddisfare le esigenze di mutevoli segmenti di utenza
• grado di elasticità produttiva: capacità dell'impresa di di variare la quantità di output con limitati effetti
di incremento dei costi unitari di produzione, capacità normalmente acquisita con un processo di
esternalizzazione delle fasi del processo produttivo, trasferendo i costi e i rischi sui fornitori
Scelta del modello di gestione produttiva
Le alternative di scelta del modello di gestione produttiva sono fondamentalmente tre:
• produzione di beni singoli: l'impresa produce di volta in volta un unico prodotto con caratteristiche
tecniche concordate in accordo con il cliente, si può programmare con precisione il prezzo di vendita in
modo da coprire sia i costi variabili che i costi fissi
• produzione in serie (o a lotti): l'impresa produce di volta in volta una serie limitata di beni uguali, su
ordine del cliente, i vantaggi sono di poter produrre solo nel caso in cui la commessa è tale da coprire sia
i costi variabili che i costi fissi
• produzione di massa: l'impresa produce regolarmente ed in modo continuativo un'elevata quantità di
prodotti uguali, programmando il numero da realizzare in base a previsioni sull'andamento della
domanda, è necessaria abilità di marketing per collocare con continuità i prodotti sul mercato
Definizione dell'apparato produttivo
Perché l'impresa presa possa produrre è necessario dotare il sistema operativo delle capacità necessarie per
svolgere il processo produttivo. Sorgono le problematiche di acquisizione dei beni strumentali, dell'assunzione
del personale direttivo ed esecutivo, dell'acquisizione di beni di uso corrente, ovvero specificare correttamente il
livello fisiologico delle scorte di magazzino.
Ma la scelta più importante nell'ambito della progettazione dell'apparato produttivo è certo la definizione del
livello di capacità produttiva del sistema operativo. Esso dovrà essere coerente con le capacità di vendita (e di
approvvigionamento) che possiede l'impresa, pena il sorgere di “costi di insaturazione” o, dall'altra parte,
mancanza di prodotto potenzialmente ancora collocabile.
È importante anche che sia corretta la scelta della localizzazione degli stabilimenti produttivi. Le linee guida
sono principalmente legate all'obiettivo di minimizzare i costi unitari di produzione (paradisi fiscali, zone di
fonti a basso costo, ecc). Per finire, è da considerare anche il livello di sicurezza, sia per il personale dipendente
sia per l'impatto dell'attività produttiva nell'ambiente in cui opera l'impresa, e un sistema di controllo della
qualità, per evitare che i prodotti siano al di sotto degli standard individuati nella definizione del prodotto.
Definizione dei livelli di funzionamento
Infine, l'impresa deve definire correttamente il livello d'uso della capacità produttiva, il grado con cui la capacità
produttiva eventualmente disponibile viene utilizzata in un certo periodo. Si deve quindi predisporre un piano di
produzione annuale, che stabilisce quali e quanti prodotti verranno realizzati nell'arco di tempo, e inoltre definire
i livelli di costi variabili che l'impresa prevede di sostenere per tale programma di produzione.
• maturità: il prodotto continua a diffondersi, livello vendite raggiunge il picco, volume di vendite e
redditività si stabilizzano su valori molto alti. Il marketing mix è incentrato sulle politiche di prezzo, al
fine di battere la concorrenza, sulla politica di prodotto e sulla politica distributiva, sempre per
contrastare i concorrenti che sono sempre più incisivi, le politiche promozionali sono anch'esse
indirizzate al confronto con la concorrenza
• declino: il prodotto inia a rilevare tassi di crescita delle vendite negativi, per la saturazione della
domanda, livello vendite crolla e l'impresa è costretta a eliminare il prodotto dalla propria gamma.
L'obiettivo dell'impresa diventa allora o di rallentare il più possibile la caduta delle vendite con un
marketing mix incentrato sulle politiche di prezzo (tagliando i prezzi) e distributive, oppure agire a
livello di politica di prodotto rinnovando la gamma
Individuare quale delle fasi del ciclo di vita un prodotto stia attraversando è importante per orientare
razionalmente la politica di rinnovamento della gamma (per ritardare il declino, politiche di ringiovanimento del
prodotto) oppure per avere un invecchiamento precoce (politiche di invecchiamento precoce) per immettere un
nuovo prodotto sostitutivo.
Matrice BCG
Le politiche di rinnovamento del prodotto traggono particolare beneficio dall'analisi delle relazioni esistenti tra il
modello del ciclo di vita e la cosiddetta “matrice del portafoglio prodotti” elaborata dal Boston Consoulting
Group. Questa matrice classifica i diversi prodotti presenti nella gamma sulla base di variabili esterne (tasso di
sviluppo del mercato) e interne (quota di mercato relativa detenuta) ai fini della valutazione delle capacità di
contribuzione al reddito ed al cash flow di ciascun prodotto, e quindi per elaborare politiche di rinnovamento
della gamma. Queste classificazioni sono:
• prodotti “dogs”: producono cash flow e risultato economico negativo o alla pari, basso fatturato, bassa
quota di mercato e costi elevati, sono prodotti in declino da cui disinvestire
• prodotti “question marks”: producono il cash flow peggiore, fortemente negativo, perché gli
investimenti richiesti al mercato con un alto tasso di crescita sono elevati, basso fatturato, bassa quota di
mercato, utili però raramente negativi e di poco in aumento, sono prodotti in introduzione su cui merita
fare un analisi di mercato sulle potenzialità che diventi “star”
• prodotti “star”: producono un risultato economico positivo, cash flow leggermente positivo o in
equilibrio, fatturalo elevato, alta quota di mercato, sono prodotti in crescita su cui merita investire
ancora
• prodotti “cash cows”: producono un cash flow altamente positivo e un risultato economico positivo,
fatturato molto alto, costi contenuti perché la situazione non richiede molti investimenti aggiuntivi, il
mercato non cresce più
Matrice GE e Mc Kinsey
Risulta più completa dal punto di vista concettuale la matrice elaborata dalla General Electric e dalla Mc Kinsey,
che classifica i diversi prodotti sulla base dell'attrattività del mercato come variabile esterna e della posizione
competitiva dell'impresa come variabile interna. Il primo parametro è più significativo del tasso di crescita del
mercato perché considera altri fattori quali le barriere all'entrata e all'uscita e i poteri contrattuali. Il secondo
parametro è più significativo della quota di mercato relativa perché considera altri fattori quali la capacità
innovativa, la velocità di crescita della quota di mercato, ecc.
Le situazione di questa matrice sono tre: investire (alta attrattività, medio-bassa competitività), mantenere
(livelli intermedi) o disinvestire (bassa attrattività, alta competitività).
Attività di programmazione dei nuovi prodotti
Come già analizzato, le esigenze di rinnovamento della gamma portano al processo di programmazione di nuovi
prodotti, che si può distinguere nelle seguenti fasi:
• ricerca delle idee di nuovi prodotti: nelle area della R&S o nell'area del marketing
• selezione delle idee innovative
• analisi della fattibilità tecnica del prodotto: in termini di impianti produttivi, materie prime e tecnologie,
mettendo a punto un prototipo
• analisi della fattibilità economica del prodotto: in termini di redditività conseguibile (valutazione degli
investimenti necessari, dei costi da sostenere, dei ricavi potenziali, dei margini di contribuzione attesi)
• analisi della fattibilità finanziaria del prodotto: in termini di possibili fonti di finanziamento utilizzabili
per la copertura degli investimenti necessari
• analisi della fattibilità commerciale: in termini di concreta vendibilità del prodotto
• decisione di realizzare il nuovo prodotto, se le fasi hanno dato esito positivo
• il costo totale unitario del prodotto: per i “prodotti da reddito” solitamente il prezzo è determinato
aggiungendo al costo totale unitario un margine di profitto atteso, anche se questo metodo è utilizzato
secondariamente e per verificare la convenienza economica di certi livelli di prezzi, determinati dai
fattori successivi
• il comportamento dei concorrenti: analisi dei rapporti qualità/prezzo praticati dai competitors nel
segmento di mercato da raggiungere, la determinazione del prezzo è tale da ricercare il vantaggio
competitivo
• il grado di elasticità della domanda: analisi dei diversi volumi di vendita realizzabili ai diversi livelli
di prezzo e determinazione del prezzo in funzione degli obiettivi di fatturato fissati nel piano di
marketing
L'impresa prima determina il prezzo con questi ultimi due criteri esterni, quindi determina i volumi attesi di
vendita per tale livello del prezzo e solo allora calcola il costo totale unitario, e per differenza il margine
reddituale conseguibile.
Dopo aver fissato i prezzi, è necessario che l'impresa amministri tali prezzi in funzione delle variazione
dell'ambiente interno ma sopratutto esterno. Deve gestite, tra l'altro, il prezzo di vendita pagato dal consumatore
finale (prezzo finale), che può essere “prezzo imposto”, “prezzo suggerito” o “prezzo libero”. Deve anche
decidere eventuali discriminanti sui prezzi, ad esempio in funzione dei volumi degli ordini, delle modalità di
pagamento o se il cliente è particolarmente prestigioso.
Analisi previsionale delle fonti e degli impieghi, analisi dinamica dei flussi
L'analisi previsionale delle fonti e degli impieghi fornisce valutazioni sull'evoluzione della struttura del capitale
di finanziamento (fonti) e del capitale di funzionamento (impieghi), con ottica di medio periodo Fonti e impieghi
sono analizzati o con ottica statica (assumono caratteristiche dii grandezze fondo, ad un certa data) o con ottica
dinamica (assumono caratteristiche di grandezze flusso, variazioni)
L'analisi dinamica assume particolare interesse, perché attraverso i flussi di fonti e di impieghi di producono le
trasformazioni della struttura finanziaria. Si considera un singolo esercizio di un'impresa in crescita.
Gli impieghi sono rappresentati da:
• incrementi del livello delle immobilizzazioni, pari alla somma degli incrementi delle immobilizzazioni
materiali, immateriali e finanziarie
• incrementi del livello di capitale circolante commerciale, pari alla somma degli incrementi dei crediti
verso clienti e delle scorte di magazzino, al netto degli incrementi dei debiti verso fornitori
Allora il fabbisogno finanziario totale (FFT), il fabbisogno generato dagli impieghi, è pari a:
FFT =( ∆ Imm.M +∆ Imm.IM +∆ Imm.F )+(∆ Cred.comme+∆ scort.mag ∆ deb.forn)=∆ I +∆ CCC
Le fonti sono rappresentate da:
• cash flow gestionale, calcolato sommando l'utile dell'esercizio ai costi che non hanno avuto
sui finanziamenti da utilizzare per gli investimento e sui flussi economici e finanziari che deriveranno da questi.
n
(1+i ) ∗∑ F t∗(1+r )
n n t
t=1
IR=
Ft 0
Questo indice risulta utile in quanto permette, a differenza del VAN, di effettuare scelte orientate a massimizzare
il VAN ottenibile per unità di risorse finanziarie investite, ovvero massimizzare il rendimento del capitale
investito.
Tasso di rendimento implicito
Un altro metodo particolarmente diffuso è il tasso di rendimento implicito (detto TIR o anche IRR, internal rate
of return). Riferendoci alla formula del VAN, il TIR rappresenta quel tasso che pareggia il valore attualizzato dei
flussi di cassa, ovvero quel tasso i che azzera il valore del VAN semplice. Si ricava dall'equazione:
n
F t +∑ F t∗(1+i ) t=0
0
t =1
Questo metodo sposta la prospettiva di analisi del VAN al tasso i, incognita dell'equazione, e permette al
management di valutare la convenienza degli investimenti confrontando il TIR di diversi progetti con un
parametro di riferimento rappresentato dalla redditività minima attesa dalle strategie imprenditoriali.
Tuttavia questo metodo risulta meno affidabile del VAN, ad esempio perché non permette di tenere conto che il
costo opportunità dei flussi di cassa prodotti in tempi differenti può essere variabile.
Altri metodi
Altri metodi meno diffusi sono:
• metodo del tasso di rendimento semplice: rapporto fra il reddito operativo medio annuo generato
dall'investimento ed il capitale investito nell'iniziativa
• metodo del tempo di recupero: il tempo di recupero è pari al numero di anni necessari a reintegrare il
capitale investito nel progetto
Tasso di riferimento
Il tasso di riferimento da utilizzare ai fini delle applicazioni dei metodi del VAN (tasso di attualizzazione) e TIR
(tasso da confrontare), che misura il cosiddetto “costo opportunità” del capitale investito nel progetto,
rappresenta il tasso di rendimento (al netto delle imposte) che può essere giudicato accettabile in funzione del
grado di rischiosità del progetto (misurato dal livello di leva operativa, l'incidenza dei costi fissi sui costi
variabili dell'impresa) e delle modalità di finanziamento del progetto (il tasso di rendimento dovrà essere almeno
pari al costo medio ponderato delle fonti di finanziamento, debt and equity).
◦ se il proprietario-imprenditore non è dotato di ciò (conflitto fra i due scopi sovrapposti), le esigenze
di ricapitalizzazione sono soddisfacibili solo attraverso una rinuncia all'assetto proprietario, l'entrata
di nuovi proprietari nell'assetto proprietario, e la trasformazione in imprenditore moderno
• per imprese caratterizzate da tendenziale separazione fra assetto proprietario ed assetto imprenditoriale
(l'imprenditore ha partecipazioni di minoranza, o nessuna quota) l'organo imprenditoriale deve soppesar
il fabbisogno di ricapitalizzazione con la ricerca di un accordo nell'assetto proprietario, specie con la
maggioranza, riguardo a:
◦ tempi e entità dell'aumento di capitale sociale (per convincere i vecchi soci a esercitare il diritto dii
opzione sul collocamento di nuove azioni, evitando un mancato collocamento)
◦ modalità tecniche dell'aumento di capitale:
▪ determinazione del prezzo di emissioni (alla pari o sopra la pari con “sovrapprezzo”)
▪ categoria di azioni (azioni privilegiate o azioni di risparmio)
Capitale di debito, o debt
La seconda grande categoria di fonti finanziarie esterne è appunto quelle dei finanziamenti a titolo di capitale di
debito, che si dividono in debiti a medio termine (debiti di finanziamento) e debiti a breve termine (debiti di
funzionamento).
Fra i debiti di finanziamento, medio termine, si trovano:
• prestiti obbligazionari: consistono in prestiti a medio termine (solo per società per azioni e sapa)
rappresentati da obbligazioni (titoli di credito, nominativi o al portatore, emessi sotto la pari) che danno
diritto al sottoscrittore di: aver corrisposto un interesse a tasso fisso o indicizzato (variabile), restituzione
del capitale secondo modalità di rimborso (rimborso integrale alla scadenza con o senza indicizzazione,
rimborso a rate costanti, decrescenti o crescenti). I prestiti obbligazionari possono anche essere
convertibili, ovvero permettere la conversione in azioni della società, oppure esercitare opzioni
• mutui: consistono in finanziamenti a medio termine destinati a finanziare processi di sviluppo
industriale, molto utilizzati dalle PMI, data la difficoltà ad accedere ai mercati dei capitali. Essi sono
assistiti da garanzie reali o personali
• leasing finanziario, o locazione finanziaria, è una forma di finanziamento finalizzata a permettere la
realizzazione di investimenti in beni strumentali (immobili, macchinari, attrezzature). La società di
leasing cede in locazione per alcuni anni il bene dietro un canone, con la possibilità di farlo riscattare
• finanziamenti a medio termine dei fornitori di immobilizzazioni: i fornitori di beni strumentali
dilazionano per lunghi periodi la riscossione dei loro corrispettivi
Fra i debiti di funzionamento, breve temine, si trovano:
• debiti verso fornitori di materie prime, servizi (debiti commerciali)
• prestiti bancari a breve termine (debiti bancari commerciali): quali fidi o altro, finanziano elementi
dell'attivo circolante, e sono concessi dietro fideiussioni o altre garanzie personali o reali
• factoring (cessione di crediti commerciali)
• ricerca applicata (15% della spesa complessiva): finalizzata ad applicare le conoscenze ed i principi
scientifici al fine di creare nuove conoscenze, non del tutto indipendenti da una possibile futura esigenza
di produzione/commercializzazione
• sviluppo (80% della spesa complessiva): finalizzata allo sviluppo tecnico-ingegneristico di nuove
applicazioni con finalità direttamente produttive e commerciali (es. produzione prototipi)
Si parla di una “prima faccia” dell'attività di R&S, per evidenziare uno sviluppo autonomo di conoscenze
interne, da utilizzare per le innovazioni Importante è anche la capacità di saper cogliere e valorizzare le risorse
di conoscenza scientifica generate al di fuori dell'impresa, intuendo per primi una possibile applicazione pratica
in un'innovazione, ed in questo caso di parla di “seconda faccia” dell'attività di R&S.
Risorse di conoscenza
L'output dell'attività di R&S è rappresentato dalle risorse di conoscenza. Esse hanno un valore economico nella
misura in cui risultano in qualche modo funzionali allo sviluppo, produzione ed alla commercializzazione delle
innovazioni.
Le risorse di conoscenza hanno una natura composita, formata da due elementi:
• conoscenza codificata (o generica): la conoscenza che può essere trasmessa, comunicata ed archiviata,
di questa categoria fanno parte le conoscenza scientifiche pubbliche, accessibili a tutti (e sfruttabili con
una conoscenza disciplinare di base). Hanno un basso costo di trasferimento, e sono difficilmente
appropriabili. Per questi elementi, le imprese hanno scarso interesse ad investire nella produzione di
conoscenza codificate
• conoscenza tacita (o specifica): la conoscenza che non può essere trasmessa, o comunque fermata “nero
su bianco”, e può essere trasmessa solo da soggetto a soggetto. Si diffonde quindi meno facilmente, con
costi e vincoli assai più elevati. Le imprese hanno molti più stimoli per investire nella produzione di
conoscenza tacite, perché appropriabili, e dunque economicamente sfruttabili in esclusiva, godendo di
“profitti monopolistici”
Si comprende quindi come le imprese abbiano scarso interesse ad investire nella ricerca di base (ricerca
scientifica pura) e nella ricerca applicata (sviluppo di principi tecnologici di base), e si dedicano principalmente
all'attività di sviluppo, ovvero alla produzione di conoscenza tacita. Altre motivazioni che spingono le imprese
non investire in attività di ricerca di base sono l'incertezza (e dunque l'intrinseca rischiosità) dell'attività di
ricerca, caratterizzata da tempi lunghi e risultati incerti, con ritorno solo eventuale dell'investimento, e il fatto
che non c'è mercato per le informazioni scientifiche, che sono facilmente conoscibili.
Il “chain-linked” model del processo innovativo
Il processo innovativo interno alle imprese è tradizionalmente interpretato come una sequenza lineare, che parte
dalla ricerca di base per arrivare all'attività di sviluppo, a cui segue la fase della produzione e della
commercializzazione. Kline e Rosemberng contrappongono a questo modello lineare un modello definito
modello concatenato (chain-linked model) in base al quale le capacità di innovazione dell'impresa dipende da
un processo di “interazione” complesso fra i vari stadi, caratterizzato dall'agire di feedback tra una fase e
un'altra. Ad esempio un risultato prodotto nella fase di sviluppo, un prototipo, potrebbero portare a un
riorientamento della ricerca di base, o addirittura nuovi campi per la ricerca di base.
Capitolo 9 – Le decisioni gestionali inerenti il sistema informativo
I nuclei informativi
Il processo informativo risulta altamente diffuso all'interno del sistema operativo, con una dispersione di tipo:
• orizzontale: ovvero tra le diverse aree funzionali del sistema operativo
• verticale: in funzione del più o meno elevato decentramento dell'attività decisionale tra i veri livelli
gerarchici della struttura organizzativa
Si analizzano adesso le caratteristiche specifiche assunte dal processo informativo all'interno di ciascuna area
nella quale essa si rivolge:
• area amministrativa: ha come oggetto la gestione di una parte rilevante del processo informativo,
soddisfa due fondamentali esigenze informative:
◦ controllo direzionale (economico): controllo economico per l'alta direzione sull'andamento del
processo materiale (informazioni prodotte all'interno):
▪ controllo sugli obiettivi: analisi dei risultati di sintesi dell'attività di impresa (reddito operativo,
utile, ROI, ROE) da confrontare con gli obiettivi di riferimento in sede di budget
▪ controllo sul comportamento: controllo sui flussi economici periodici, confronto con dati storici
e budget
▪ controllo sulle capacità: verifica della coerenza fra le capacità del sistema d'impresa con i
programmazione e controllo della produzione, ecc.), marketing (informazioni sulle vendite, domanda,
concorrenza), finanziario (informazioni su liquidità, fabbisogni finanziari, condizioni di finanziamento esterno),
personale (andamento del lavoro dipendente, soddisfazione del personale).
Ovviamente il processo di progettazione del sistema informativo direzionale è influenzato da almeno due
elementi principali quali: il modello di struttura organizzativa dell'impresa (multifunzionale o multidivisionale)
ed il grado di automazione del processo informativo in termini di computerizzazione dell'informazione. Il
processo di progettazione può essere scomposto in sei fasi fondamentali:
• analisi del modelli di struttura organizzativa adottato dall'impresa
• definizione degli obiettivi che si vogliono raggiungere con il sistema informativo e dei tempi per farlo
• analisi dei vincoli interni (risorse umane e tecnologiche già presenti) ed esterni
• definizione dei livelli delle risorse di apparato necessarie in termini di attrezzatura da utilizzare
• definizione della struttura formale del sistema informativo direzionale
• definizione delle modalità di funzionamento delle procedure per raccogliere, elaborare, memorizzare e
diffondere le informazioni
Le informazioni oggetto di raccolta ed elaborazione da parte del sistema informativo sono tipicamente
distinguibili in funzione del campo a cui esse si riferiscono:
• informazioni gestionali interne: riguardano la gestione del processo materiale, del processo finanziario,
e devono permettere al vertice imprenditoriale dii controllare l'andamento dell'attività di impresa
• informazioni di mercato: riguardano l'andamento della domanda e dell'offerta per valutare la posizione
competitiva dell'impresa
• informazioni sull'ambiente: inerenti il contesto socio-economico generale nel quale l'impresa è inserita,
consentono al vertice imprenditoriale di elaborare previsioni sull'incidenza dei fenomeni marco-
ambientali sullo specifico campo di attività dell'impresa (inflazione, andamento del PIL, ecc.)
In funzione del periodo temporale a cui fanno riferimento si distingue fra: informazioni storiche, informazioni
attuali e informazioni prospettiche.
In funzione del grado di continuità con il quale vengono raccolte si distingue fra: informazioni ricorrenti
(raccolte con periodicità regolare) e informazioni indotte (non ricorrenti, raccolte in funzione di esigenze
specifiche che si manifestano “una tantum”). Gli organi maggiormente interessati nella raccolta di informazioni
indotte sono gli organi di staff, che effettuano attività di raccolta di dati di tipo occasionale ed eccezionale, per
fornire alla struttura imprenditoriale gli elementi necessari per l'elaborazione delle decisioni strategiche e
gestionali.
L'attività di comunicazione delle informazioni assume un peso rilevante in funzione del crescente grado di
specializzazione che caratterizza i diversi centri decisionali ed operativi. Le procedure standard di informazione
sono i criteri per-determinati di gestione dei flussi di informazioni ricorrenti.
◦ piccola impresa:
▪ meno di 50 dipendenti
▪ fatturato annuo non superiore ai 7 milioni di euro
▪ possesso del requisito di indipendenza
• per le imprese fornitrici di servizi:
◦ piccola e media impresa:
▪ meno di 95 dipendenti
▪ fatturato annuo non superiore ai 15 milioni di euro
▪ possesso del requisito di indipendenza
◦ piccola impresa:
▪ meno di 20 dipendenti
▪ fatturato annuo non superiore ai 2,7 milioni di euro
▪ possesso del requisito di indipendenza
psicologico (autorealizzazione). L'idea può venire ad un singolo manager, che deve poi convincere gli altri
membri a formare un management team. Ovviamente la proprietà deve essere convinta a vendere.
Il management team procede a contattare i potenziali finanziatori e i consulenti per gestire la valutazione di
fattibilità dell'operazione, ovvero:
• una valutazione dell'impresa target: per creare una base di partenza, effettuata con:
◦ metodi di tipo economico: analizzano i redditi futuri attesi per un periodo
◦ metodi di tipo finanziario: valutano l'attualizzazione dei flussi di cassa attesi per un periodo
• una definizione della struttura finanziaria dell'operazione, ovvero la struttura delle fonti di
finanziamento che saranno utilizzate per coprire il fabbisogno finanziario generato, distinte in base al
grado di priorità concesso ai finanziatori sul rimborso e sulla remunerazione:
◦ senior debt (60%): formato da debiti a breve garantiti da attivo di breve e debiti a medio temine
garantiti da attivo immobilizzato
◦ mezzanine debt (20%): finanziamenti non garantiti e rimborso subordinato ai debiti senior, formato
da debiti a medio e lungo termine a tasso fisso, più rischiosi per i finanziatori e quindi più onerosi
per l'impresa, anche detti “junk bonds”, o obbligazioni-spazzatura (molto rischiosi)
◦ equity financing (20%): finanziamento rappresentato dalla sottoscrizione di quote di capitale sociale
della newco costituita dal management team per l'acquisizione della target. I sottoscrittori del
capitale sociale della new company sono, oltre che i membri del management team, spesso anche
società di venture capital, private equity e merchant banks, data la usuale indisponibilità di capitale
da parte del management. Per ottenere il controllo della newco si ricorre ad azioni a voto limitato,
oppure alla stipula di accordi parasociali. Gli investitori in equity partecipano con un'ottica
speculativa a medio/lungo termine, e possono vincolare il management a una futura quotazione
• la elaborazione del business plan: fornisce rassicurazioni in merito alla concreta capacità di rientro del
debito dell'impresa, perché con un credibile piano strategico di sviluppo del sistema operativo
implementato dal management-proprietario nel periodo cosiddetto del post management buy out, i
finanziatori possono essere convinti più facilmente Inoltre rappresenta lo strumento per valutare
l'effettiva fattibilità dell'operazione di MBO, oltre che un orientamento per le decisioni future del
management. I contenuti del business plan sono:
◦ descrizione storica delle strategie competitive, delle politiche funzionali e dei risultati
◦ analisi approfondita del business del settore oggetto di attività dell'impresa
◦ descrizione degli obiettivi strategici per il post management buy out
◦ descrizione della futura struttura organizzativa
◦ piani patrimoniali, economici e finanziari di medio e breve termine
◦ descrizione della composizione del management team: con le competenze dei membri e le future
mansioni, rappresenta una garanzia sul fatto che il management avrà successo nel governo
◦ sensitivity analysis: analisi che mostra come si modificano i risultati economici e finanziari previsti,
in funzioni delle principali variabili ambientali e macroeconomiche, e si effettua facendo almeno tre
ipotesi (ipotesi ottimistica, ipotesi più probabile, ipotesi pessimistica)
Se i risultati conseguiti nelle fasi appena descritte sono positivi, allora il management procede alla formulazione
di una offerta di acquisto condizionata, condizionata dal fatto che le trattative avviate con i finanziatori vadano a
buon fine, e che la due diligence incaricata di effettuare un'indagine sulla situazione patrimoniale della target dia
un risultato ugualmente positivo.
L'ultima fase del processo è ovviamente la stipula dei contratti di finanziamento, e infine del contratto di
acquisizione della target. L'acquisizione può essere effettuala attraverso due modalità alternative:
• tecnica “cash merger”: la newco acquista la totalità o la maggioranza del capitale dell'impresa target,
che viene poi incorporata per fusione per incorporazione della newco
• tecnica “assets for cash”: la newco acquista direttamente una parte (ramo aziendale) delle attività della
target
Principali contesti aziendali che favoriscono l'implementazione del management buy out
Con riferimento al sistema operativo si può distinguere tra assetto operativo efficiente (condizione fisiologiche
di equilibrio, economicità) e assetto operativo inefficiente (condizioni di stato patologico, non economicità).
Con riferimento al sistema proprietario si può distinguere tra imprese pubbliche, imprese quotate in borsa
(tendenziale dispersione dei soci), imprese controllate da gruppi industriali (controllate da holding) e imprese
controllate da un numero ridotto di soci persone fisiche (la situazione più comune per le PMI).
Per quanto riguarda la successione, il MBO risolve problemi di successioni di imprese a conduzione familiare,
quando gli eredi non vogliano subentrare.
Per quanto riguarda la rifocalizzazione, il MBO viene incontro alle esigenze della holding/gruppo industriale di
rifocalizzazione sui propri core business e al contempo consente di mantenere relazioni privilegiate, anche
evitando che le competenze distintive maturate nel business oggetto di disinvestimento non saranno trasferite ad
imprese concorrenti.
Per quanto riguarda la privatizzazione, il MBO è la soluzione per imprese pubbliche funzionanti che vogliano
valorizzare le competenze sviluppate, al di fuori del controllo statale.
Per quanto riguarda il ritiro della quotazione, il MBO è una via che permette al management di acquistare con
un'offerta pubblica le azioni della società e a ritirarla dalla quotazione, per evitare gli oneri connessi alla
quotazione stessa, specie se il mercato borsistico sta mostrando scarso interesse.
Per tutti i casi in cui ci sia assetto operativo inefficiente, si è mostrato come un'operazione di MBO, nonostante
possa sembrare controproducente aumentare il rischio di un'impresa in crisi con un'operazione di acquisizione
tramite leva, è una via per risanare l'impresa e rilanciarne lo sviluppo, con un'operazione di risanamento, ovvero
ripristino delle condizioni di equilibrio economico. Questo a patto ovviamente che la crisi non abbia raggiunto
uno stadio avanzato tale da essere irreversibile, e lo stato patologico non sia imputabile a mancanze del
management ma semmai della proprietà.
I vincoli alla diffusione del management buy out in Italia
Nel nostro Paese ancora oggi vengono effettuate con scarsa frequenza operazioni di MBO. Il principale vincolo
parrebbe riconducibile alla inadeguatezza del nostro sistema finanziario rispetto alle esigenze delle operazioni di
MBO, fra cui certo peso lo scarso livello di propensione al rischio che caratterizza le imprese bancarie italiane.
Ciò limita la possibilità di accedere al mezzanine financing, che copre una quota abbastanza rilevante del
fabbisogno dell'operazione.
Oltretutto, nel nostro paese scarseggiano soggetti interessati a finanziare a titolo di equity, quali venture capital,
merchant banks e fondi di private equity. Ancora, non si può sottovalutare lo scarso grado di sviluppo del
sistema borsistico italiano, oltre alle sue pesanti limitazioni all'ingresso di nuove imprese, così da scoraggiare
fondi di equity a fini speculativi.
Non secondaria è la ridotta dimensione media delle imprese, oltre che alla già ampiamente citata
sovrapposizione tra assetto proprietario ed assetto imprenditoriale, che inibisce la formazione di un assetto
manageriale autonomo che possa effettuare MBO. Ma anche quando un management esista, vi è comunque una
generale scarsa propensione al rischio del management.
Infine pesanti limitazioni provengono dalla legislazione civilistica e tributaria, sempre prendendo a modello le
operazioni di MBO americane o inglesi. Ad esempio, in Italia non si possono emettere obbligazioni per importi
superiori al capitale sociale versato e certificato dall'ultimo bilancio approvato: ciò limita il ricorso a prestiti
obbligazionari. Inoltre un'impresa non può ammettere azioni privilegiate (senza diritto di voto) per importi
superiori al 50% del capitale sociale, e ciò limita l'ammontare di equity che può essere raccolto presso
finanziatori a titolo di equity. Mancano del tutto agevolazioni fiscali che favoriscano le operazioni di MBO.
I vincoli hanno inciso sulla diffusione e sulla stessa struttura delle operazioni MBO portate a termine. In
particolare nel nostro paese le operazioni di MBO sono caratterizzate da un più basso ricorso alla leva
finanziaria rispetto alle controparti anglosassoni, e spesso declinate nella sottospecie del family buy out, che,
come detto, caratterizza spesso un ampliamento del capitale già detenuto per via ereditaria da membri della
famiglia “cresciuti in azienda” (spesso anche già come management), e interessati a governare l'impresa.
Molto più diffuso risulta anche il management buy in.