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Economia imprese prof ciampi fondamenti

Economia e gestione delle imprese (Università degli Studi di Firenze)

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Durante la composizione del seguente riassunto sono state omesse le seguenti parti, come da
programma del corso di Economa e Gestione delle Imprese, impartito agli studenti dell'Università degli
Studi di Firenze (cdl in Economia Aziendale) nell'a.a. 2013-2014 dal Prof. Francesco Ciampi:

• Parte III, capitolo 3: L'equilibrio instabile del binomio alta tecnologia – PMI
• Appendice

L'autore dichiara che il seguente è costituito da un'elaborazione originale dell'opera sopracitata, e che in nessun
modo esso deve essere inteso come un tentativo di plagio. Ogni errore è da attribuirsi esclusivamente al
sottoscritto.

L'autore

Vittorio Bellini

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Parte I – Il sistema d'impresa: elementi costitutivi, condizioni di esistenza e


processi evolutivi

Capitolo 1 – Le due fondamentali chiavi di lettura del sistema impresa


La complessa realtà d'impresa può essere indagata secondo due modelli interpretativi: la visione per soggetti e la
visione per assetti costitutivi.
Il sistema d'impresa, come sistema sociale, è fondato sull'interazione fra gli interessi degli stakeholders (i
soggetti interessati all'attività d'impresa). La visione soggettiva è importante per definire preliminarmente quei
concetti verso i quali si rivolgeranno le decisioni imprenditoriali dall'interno dell'impresa stessa.
L'insieme degli stakeholders esterni all'impresa stessa è di fondamentale importanza per il ruolo che rivestono
nella nascita e nello sviluppo dell'impresa stessa.
Compongono la visione per “soggetti esterni” i seguenti elementi:
• clientela: che fa sorgere una domanda di output del processo materiale, attivando un rapporto di
scambio (condizione essenziale per la nascita e la sopravvivenza dell'impresa)
• fornitori: forniscono risorse materiali e informative, tangibili e intangibili per creare e strutturare il
sistema operativo, attivando anche in questo caso un rapporto di scambio (sempre condizione essenziale
per la nascita e la sopravvivenza dell'impresa)
• Stato: riscuote imposte e garantisce infrastrutture e servizi strumentali all'attività d'impresa
• istituzioni finanziarie (banche): forniscono risorse energetiche (finanziarie), da restituire maggiorate da
oneri finanziari (interessi)
• gruppi di pressione esterni: gruppi di soggetti che si fanno portatori di interessi e esigenze sociali,
talvolta in grado di influenzare pesantemente l'orientamento dell'attività d'impresa
• concorrenza: insieme delle altre imprese che offrono utilità della stessa specie, o sostitutive
A questo modello, che offre una visione per “soggetti esterni”, è necessario affiancare un modello che interpreti
l'impresa reale nel suo interno, come combinazione di tre assetti fondamentali:
• assetto proprietario: costituito dai soggetti (persone fisiche o giuridiche) detentori del capitale di
rischio investito nell'impresa
• assetto imprenditoriale: costituito dal vertice decisionale del sistema-impresa, più difficile da
identificare rispetto ai detentori del capitale sociale
• sistema (o assetto) operativo: governato dal vertice imprenditoriale, è il complesso sistemico delle
risorse materiali, finanziarie, umane ed informative attraverso il quale si svolge concretamente
l'approvvigionamento, la produzione e il collocamento sul mercato dell'output

Capitolo 2 – Gli assetti d'impresa


Verranno ora analizzati i tre assetti principali di impresa: l'assetto proprietario, l'assetto imprenditoriale ed il
sistema operativo. Per ognuno di questi tre assetti ci si focalizzerà sulle tre macro-caratteristiche di: funzioni,
scopi e capacità.
Assetto proprietario
Le funzioni
L'assetto proprietario è costituito dai soggetti detentori del capitale di rischio, organizzati per l'assunzione delle
decisioni legate alle seguenti funzioni:
• funzione generatrice dell'impresa
• funzione di capitalizzazione dell'impresa
• funzione di nomina (revoca) dei componenti dell'assetto imprenditoriale (cda)
• funzione di orientamento e controllo delle scelte strategiche di fondo del vertice imprenditoriale
La funzione generatrice è conseguenza del fatto che l'impresa nasce per volontà di alcuni soggetti promotori di
raggiungere un soddisfacente tasso di redditività del capitale proprio nel medio-lungo periodo, almeno per
quanto riguarda i detentori del capitale di comando.
La funzione di capitalizzazione si basa sull'assunzione del rischio economico conseguente al conferimento di
una parte del capitale di rischio, garanzia per chi intrattiene con l'impresa rapporti di tipo patrimo0niale. Essa si
qualifica sopratutto in base all'entità del capitale sociale e alla veste giuridica assunta dalla società (che incide
sul livello di responsabilità circa le obbligazioni sociali e dunque il livello di rischio economico che si assumono

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i proprietari delle quote). Il livello di capitalizzazione dell'impresa, in condizioni normali, deve comunque
raggiungere un livello minimo fisiologico per:
• limitare l'esborso monetario connesso alla remunerazione del capitale di finanziamento
• generare capacità attrattiva nei confronti di finanziatori esterni (garanzia indiretta e diretta)
• permettere all'impresa un certo livello di autonomia finanziaria
La funzione di nomina o revoca dei soggetti componenti l'organo imprenditoriale riflette la posizione di
supremazia dell'assetto proprietario. I soggetti che compongono l'assetto imprenditoria devono essere capaci.
La funzione di orientamento e controllo delle scelte strategiche di fondo è finalizzata a verificare la coerenza fra
le scelte strategiche dell'organo imprenditoriale e gli obiettivi della proprietà, legittimati dall'assunzione del
rischio economico. Questa funzione è tanto più necessaria quanto fra assetto proprietario e assetto
imprenditoriale c'è una non sovrapposizione soggettiva. Per orientamento strategico di fondo di intende un
insieme di valori e idee relativi alla scelta del campo di business, della filosofia gestionale, degli obiettivi
dell'impresa e in generale all'identità di fondo dell'impresa stessa, e alla sua vocazione.
Gli scopi
Fra gli scopi (categorie teleologiche) che possono animare la volontà generatrice dell'impresa di può distinguere
fra:
• scopi lucrativi di natura economico finanziaria: ricerca del lucro, del guadagno, in termini di
dividendi o di aumento del valore di quote o azioni
• scopi lucrativi di natura tecnico-economica: ricerca del lucro per via indiretta, tramite beni o servizi
ad un minor costo rispetto al mercato
• scopi economico-sociali: ovvero non lucrativi, la motivazione non è economica ma sociale, etica
A loro volta questi scopi possono essere perseguiti da tre diverse categorie di promotori, ognuno appartenente a
una diversa categoria di logica imprenditoriale:
• persone fisiche (logica individuale)
• imprese (logica aziendale)
• Stato (logica pubblica)
Questi tre soggetti possono essere incrociati ai tre diversi scopi creando una matrice 3x3, che riassume i diversi
scopi specifici a seconda della logica adottata dalla proprietà:
INTERESSI
Lucrativi economico- Lucratici tecnico- Non lucrativi
finanziari economici economico-sociali
Proprietario non orientato
Persone fisiche Capitalista visionario Proprietario non orientato al lucro (scopi personali,
Capitalista speculatore al mercato (mutualismo) di immagine)

Strategie di gruppo Strategie di gruppo


Imprese Investimento risorse finalizzate al finalizzate al
SOGGETTI eccedenti rafforzamento economico rafforzamento di
(LOGICA) immagine
Livello
Stato Generazione di risorse per qualitativo/quantitativo Sviluppo sociale
altri interventi pubblici dell'offerta e dei prezzi

Le capacità
Fra le capacità necessarie per lo svolgimento delle funzioni competenti all'assetto proprietario si annoverano:
• capacità di impegno personale: i soggetti devono essere motivati e avere un'adeguata propensione al
rischio scelto
• capacità economica e di credito: i soggetti devono poter conferire liquidità per il corretto funzionamento
dell'impresa e offrire solida garanzie reali o personali per una corretta capitalizzazione aziendale
• capacità interpretativa della realtà aziendale: i soggetti devono avere competenze adeguate
• capacità di orientamento e di controllo dell'assetto imprenditoriale: i soggetti devono essere in grado di
orientare il vertice imprenditoriale con orientamenti chiari ma non eccessivamente vincolanti

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Assetto imprenditoriale
Il vertice imprenditoriale costituisce l'apice del potere decisionale, e si dovrebbe orientare verso il più ampio
grado di continuità dell'impresa nel tempo.
L'attività imprenditoriale si divide in tre importantissime funzioni essenziali:
• funzione strategica: la presenza di soggetti esterni “ostili” (Stato, banche, fornitori, concorrenti, clienti)
richiede l'attuazione di specifiche strategie per adattarsi all'ambiente mutevole in cui opera l'impresa, e
orientarsi verso specifici scopi di sviluppo e/o guadagno È necessario in questo senso intuire i fattori di
cambiamento ambientale prima che si verifichino, e modificare in senso evolutivo la strategia
• funzione organizzativa: una volta definita la strategia è essenziale che essa venga eseguita
correttamente, con un'attività di comando e coordinazione dei centri decisionali-direzionali.
L'imprenditore dovrà badare dunque a creare una struttura organizzativa nella quale i centri direzionali
operino armoniosamente e non conflittualmente nel raggiungimento degli obiettivi strategici
• funzione politica: consiste nell'attività di armonizzazione delle diverse categorie di scopi, ricercando
soluzioni per conciliare nel miglior modo possibile interessi contrapposti
Imprenditore tradizionale e imprenditore moderno
L'attività imprenditoriale di governo dell'impresa è tipicamente svolta da una persona fisica o da un gruppo
integrato di persone fisiche posto al vertice decisionale. Nell'economia moderna è avvenuto un passaggio da un
modello di “imprenditore tradizionale” a uno di “imprenditore moderno”.
Il modello di imprenditore tradizione è composto da quattro requisiti essenziali:
• titolarità del capitale di rischio: tipico nel caso di azienda individuale, ma anche di società non grandi,
è la situazione in cui lo stesso soggetto appartiene a due diversi assetti costitutivi dell'impresa (assetto
proprietario e assetto imprenditoriale)
• svolgimento diretto dell'attività produttiva (coordinamento delle aree funzionali di impresa)
• accentramento decisionale ed informativo in capo ad un unico soggetto
• propensione allo sviluppo del sistema aziendale: attraverso interventi di innovazione strutturale
Il modello di imprenditore moderno si caratterizza invece per i seguenti requisiti:
• assenza o parzialità di titolarità del capitale di rischio: l'aumento delle dimensioni fa crescere il
bisogno di investimenti e conseguentemente la necessità di maggiori finanziamenti, ottenibili a loro
volta con un congruo aumento del capitale di rischio e dunque l'entrata di nuovi soci. È proprio la scelta
di “aprire” l'impresa al mercato dei capitali che causa la transizione da un modello di imprenditore-
proprietario a quello di imprenditore “professionista”
• impossibilità di esercitare direttamente l'attività produttiva: tanto più grande diventa l'impresa, tanto
più complessi e rilevanti diventano i problemi di gestione generale rispetto a quelli di gestione di singole
aree operative, che vengono delegati
• decentramento delle decisioni e dei flussi informativi aziendali: tanto più grande diventa l'impresa
tanto più è difficile per l'imprenditore accentrare tutte le decisioni direzionali, che devono essere
delegate
La funzione strategica
La funzione strategica assume per sua natura un carattere primario rispetto alle altre due funzioni, poiché
rappresenta la manifestazione della volontà di attuare i mutamenti necessaria alla struttura aziendale per
sopravvivere. Gli obiettivi perseguiti dalla funzione strategica di impostazione e soluzione dei problemi
derivanti da strategie di sviluppo o risanamento dell'attività aziendale mirano a rafforzare o ripristinare i poteri
aziendali, ovvero:
• potere economico: la capacità dell'impresa di mantenere un adeguato livello di equilibrio economico
• potere di mercato: la capacità di mantenere un rapporto durevole con la clientela e controllare un'ampia
quota di mercato
• potere finanziario: inteso come rapporto di forza favorevole nei confronti dei soggetti interni
(proprietà) ed esterni (finanziatori)
• potere tecnologico: la capacità dell'impresa di dominare le tecnologie di processo e di prodotto che
risultano fondamentali per un vantaggio competitivo
La funzione strategica riveste alcune decisioni in merito a elementi fondamentali quali: l'analisi delle condizioni
sterne ed ambientali, individuazione degli obiettivi strategici da perseguire, definizione del tipo di intervento da
implementare, gestione attuativa di tali interventi

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La funzione organizzativa
La funzione organizzativa si pone in stretto contatto con la funzione strategia. Come già detto, al
raggiungimento di certe soglie dimensioni di impresa è necessario delegare le autorità decisionali ed il controllo
dei flussi organizzativi. Questo non vuol dire che comunque l'imprenditore non debba svolgere attività quali:
• attività di progettazione della struttura organizzativa: coerentemente ai processi strategici in atto
• attività di effettivo comando e di coordinazione dei centri direzionali-decisionali: ovvero i livelli posti a
livello immediatamente sottostante, per evitare vuoti di controllo. L'imprenditore deve comandare, cioè
orientare i centri direzionale verso gli obiettivi strategici fissati dall'organo direzionale (autorità formale
+ leadership) e anche coordinare, cioè armonizzare l'attività dei centri direzionali per evitare conflitti
L'essenza della funzione organizzativa è dunque quella di progettare, guidare e coordinare una struttura idonea
alla corretta e tempestiva interpretazione ed implementazione dei processi di sviluppo.
La funzione politica
La funzione politica impegna il vertice nel governo delle relazioni con i diversi pubblici aziendali che sono
portatori di vari scopi che gravitano intorno all'impresa. In tale ambito è evidente come rivestano importanza il
personale dipendente e i soggetti titolari del capitale di rischio. L'organo imprenditoriale deve adottare dunque
decisione “politiche”, atteggiamenti ragionati e ponderati, ispirati a una visione globale di sviluppo dell'impresa.
L'imprenditore deve quindi individuare i punti di compatibilità fra gli scopi delle parti, creando attorno ad essi
un consenso reale, sempre orientato a garantire continuità al sistema aziendale.
Gli scopi che gravitano introno al sistema aziendale (teleologia del sistema aziendale)
Intorno all'azienda gravitano numerosi scopi:
• SCOPI MOTIVANTI: riconducibili ai due assetti che si legano alla nascita e allo sviluppo aziendale:
◦ assetto proprietario:
▪ remunerazione diretta a b/t (dividendi, per quanto riguarda i soci di minoranza)
▪ remunerazione indiretta a l/t (aumento del valore delle quote/azioni, soci di maggioranza)
▪ mantenimento del livello di rischio economico al di sotto della soglia di accettabilità
▪ conseguimento di una buona immagine aziendale
◦ assetto imprenditoriale:
▪ remunerazione personale monetaria e non monetaria (fringe benefits)
▪ potere personale nell'ambito dell'impresa
▪ successo conseguibile nell'attività di governo dell'impresa (vantaggio, quote di mercato, ecc.)
• SCOPI FINALISTICI (o dell'utenza): sono le aspettative sul prodotto da parte della clientela
◦ attitudine a svolgere la funzione tecnica
◦ attitudine a svolgere la funzione tecnica con qualità
◦ attitudine a dare soddisfazione psicologica
◦ accessibilità del prodotto
◦ tempi di pagamenti
◦ garanzia e assistenza post vendita
◦ prezzo adeguato
• SCOPI STRUMENTALI: connessi alle categorie di risorse necessarie ai processi aziendali:
◦ del personale aziendale:
▪ remunerazione monetaria e non monetaria (fringe benefits)
▪ sicurezza del posto di lavoro
▪ sicurezza del rapporto di lavoro
▪ clima organizzativo aziendale
▪ soddisfazione lavorativa
◦ dei fornitori:
▪ remunerazione monetaria
▪ termini di pagamento (dilazioni)
▪ sicurezza del pagamento
▪ reiterabilità del rapporto

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◦ del fisco, come contropartita dei servizi dello Stato


• SCOPI AUTOGENI: la naturale propensione alla crescita quantitativa e qualitativa dell'impresa
• SCOPI VINCOLO: gli scopi emergenti nell'ambito socio-economico in cui opera l'impresa, che da
questo vengono imposti in modo coercitivo (legislazione) o non coercitivo (etica aziendale)
Dalla capacità del sistema aziendale di saper fornire a ciascuna delle diverse categorie di scopi un grado di
soddisfacimento almeno accettabile dipendono il conseguimento ed il mantenimento di un adeguato equilibrio di
soddisfazione teleologica.
I fattori che condizionano l'equilibrio teleologico aziendale
I fattori che influiscono e condizionano la soddisfacibilità del complesso sistema di scopi che gravita sul
sistema-impresa sono:
• fattori propri dell'assetto teleologico di base:
◦ natura degli scopi: carattere qualitativo assunto da ciascuno degli scopi
◦ eterogeneità degli scopi: le diverse categorie di scopi sono in contrasto (scopi dii soggetti diversi –
scopi diversi fra soggetti della stessa categoria)
◦ intensità degli scopi
◦ capacità di attesa: disponibilità dei soggetti a posticipare la soddisfazione dei propri scopi
◦ grado di trasparenza: capacità dei soggetti di vedere il grado di soddisfazione di altri scopi
◦ gerarchia naturale degli scopi e lo stato dei rapporti di forza
• caratteri fisiologici del sistema operativo: elementi sia statici che dinamici, condizionanti l'idoneità del
sistema stesso a produrre flussi di valore, influenzano la possibilità di conseguire un equilibrio
teleologico, a prescindere dai fattori propri dell'assetto teleologico di base esposto in precedenza
• funzione armonizzatrice dell'imprenditore: conoscenza imprenditoriale e capacità di azione di
armonizzazione fra scopi
Il bilancio energetico di impresa sotto il profilo economico
Il bilancio energetico di impresa è una costruzione concettuale che permette di rappresentare, con il contrasto tra
il valore economico delle risorse consumate e quello delle risorse generate, il processo di formazione del
risultato economico generato. Si può assumere che le risorse consumate sono risorse attribuite agli scopi che
assumono carattere di strumentalità, mentre gli scopi superiori sono soddisfatti tramite l'attribuzione di risorse
che costituiscono il risultato economico.
In funzione della collocazione gerarchica (superiore o strumentale) delle categorie di scopi si distinguono:
• logica del profitto: scopi motivanti di natura lucrativa (assetto proprietario=assetto imprenditoriale)
• logica del profitto e dell'autofinanziamento: rafforzamento del s.o. di m/l periodo
• logica del profitto, dell'autofinanziamento e del potere di mercato: anche scopi della clientela
• logica del valore aggiunto e del potere di mercato: anche scopi strumentali interni
• logica globale: tutte le categorie di scopi sono soppesate ugualmente (irrealistica)
La contropartita per il rischio patrimoniale e morale assunto (diritto alla titolarità dei risultati economici,
posizione di supremazia rispetto agli altri assetti) giustificano la priorità assunta dagli scopi motivanti di assetto
proprietario nell'ambito della teleologia del sistema-impresa.
Ricerca di modalità favorevoli nei rapporti di forza con gli interlocutori esterni
La gerarchia naturale fra scopi pone gli scopi interni in una posizione di supremazia: assumono allora interesse
le decisioni imprenditoriali finalizzate alla ricerca di modalità favorevoli per lo svolgimento di rapporti con i
soggetti esterni fornitori di risorse. Si parla di rapporto di forza favorevole quando l'impresa è in grado di
esercitare un potere di condizionamento sui suoi interlocutori.
Nella gestione dei rapporti di forza diventano allora rilevanti: la consapevolezza dello stato dei rapporti, la
capacità di programmare a attuare (fare leva sui punti di forza dell'impresa e sulle debolezze del soggetto
esterno, modificare i rapporti di forza sfavorevoli), capacità di saper riconoscere rapporti di forza neutri
(interdipendenza reciproca o indipendenza reciproca) o anche sfavorevoli solo quanto generano vantaggi
compensativi dei rischi del rapporto proporzionalmente adeguati.
I fattori che agiscono sullo stato dei rapporti di forza tra impresa e interlocutori esterni sono:
• fattori connessi con la struttura del settore: costrizioni connesse ad esigenze pubbliche tutelate
dall'ordinamento giuridico, influenza di sistemi di potere para-statale, barriere all'entrata o all'uscita,
numerosità dei potenziali interlocutori, presenza di competenze esclusive rispetto alla concorrenza
• fattori connessi con la specifica posizione dell'impresa nel rapporto con ogni interlocutore: grado di

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necessità del rapporto di scambio, autonomia di conoscenza e di utilizzo del bene o servizio acquistato,
dimensione relativa del rapporto
• fattori di convenienza operativa: vantaggi tecnici, finanziari, o economici compensativi che consentono
all'impresa di accettare rapporti di forza sfavorevoli
Struttura dell'organo imprenditoriale
L'organo imprenditoriale esercita le tre funzioni descritte in precedenza. Essere imprenditore significa esercitare
di fatto con continuità le massime funzioni imprenditoriali, assumendosene la responsabilità.
L'organo imprenditoriale assume nell'impresa reale numerose configurazioni strutturali:
• organo imprenditoriale monopersonale: composto da una sola persona, idoneo per piccoli sistemi
• organo imprenditoriale pluripersonale: composto da un gruppo integrato di persone, che governa
l'impresa collegialmente, con una convergenza di decisioni. Le strutture pluripersonali si dividono in:
◦ indifferenziate: assenza di specializzazioni funzionali fra gli interessati
◦ differenziate: situazione di relativa specializzazione nelle diverse funzioni imprenditoriali
Da un altro punto di vista si distingue ancora in:
• organo imprenditoriale a struttura monocentrica: unico livello decisione (vertice dell'impresa)
• organo imprenditoriale a struttura policentrica: tipica delle imprese multidivisionali (ogni divisione è
responsabile di settori a sé stanti) dove il vertice del gruppo di imprese coincide con l'organo
imprenditoriale della holding
Le capacità
Le principali capacità a livello di assetto imprenditoriale sono:
• capacità di impegno e coinvolgimento personale
• capacità “strategica”: programmare e implementare i processi strategici
• capacità “organizzativa”: capacità di strutturare un apparato idoneo a realizzare l'idea imprenditoriale
• capacità “politica”: gestione e risoluzione dei contrasti fra scopi diversi che gravitano sul sistema
I modelli imprenditoriali
Si prova ora adesso ad ampliare la distinzione fra fra imprenditore tradizionale e imprenditore moderno,
individuando nuovi elementi riferibili alla figura del soggetto imprenditoriale quali:
• requisiti personali
• caratteri qualificanti
• funzioni svolte
I requisiti personali sono fondamentalmente quegli attributi personali necessari per lo svolgimento dell'attività
imprenditoriale quali ambizione, intuizione, laboriosità, iniziativa, fiducia in se stessi, ecc.
Caratteri qualificanti
I caratteri qualificanti la figura imprenditoriale sono la titolarità del capitale di rischio, le propensioni, le logiche
di comportamento e la cultura specifica.
In particolare in riferimento alla titolarità del capitale di rischio si può fare riferimento alle situazioni limite in
cui il soggetto imprenditore abbia una completa titolarità del capitale di rischio, oppure non sia titolare di alcuna
quota di capitale di rischio (le figure citate in precedenza).
Le propensioni sono le inclinazioni specifiche legate alla personalità:
• propensione alla delega: l'attitudine ad affidare parte dell'attività decisionale ad altri soggetti, evitando
l'accentramento decisionale, non deve sconfinare però nella delega eccessiva
• propensione al rischio: l'attitudine ad assumere decisioni che mettono a rischio l'impresa, anch'essa deve
essere bilanciata, per non cadere in immobilismo o rapido declino
• propensione all'innovazione: attitudine a sviluppare cambiamenti continui nella struttura e nella strategia
aziendale al mutare dei fattori ambientali, ugualmente deve essere bilanciata e non eccessiva
Le logiche di comportamento sono tre modelli di azione del soggetto economico in tre ambiti specifici:
• logica economica: il modo con cui l'imprenditore gestisce il problema della distribuzione della ricchezza
prodotta dall'impresa, ovvero a quali stakeholders e con quale priorità. Le situazioni limite sono: la
distribuzione ad un unico interlocutore e l'equidistribuzione a tutti gli stakeholders
• logica programmatica: il modo con cui l'imprenditore affronta la valutazione del futuro, che si può
basare su intuito (senza raccogliere e elaborare dati per limitare i costi) o informazioni (elaborando dati).
Inoltre, l'imprenditore può guardare al futuro in una logica estrapolativa (continuità col passato) o in una
logica prospettica (discontinuità)

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• logica di controllo: il modo con cui l'imprenditore controlla i processi attraverso il quale opera il sistema
operativo, con differenza fra controllo sull'azione (operato dei dipendenti, prima, dopo o durante
l'azione) e controllo sui risultati (senza interessarsi dell'operato del dipendente)
Ultimo carattere qualificante è la cultura specifica, ovvero il background intellettuale dell'imprenditore, come
studi svolti e precedenti esperienze lavorative. Essa si divide almeno in quattro categorie:
• cultura tecnologica
• cultura di marketing
• cultura finanziaria
• cultura amministrativa
Logica imprenditoriale come logica di piano
Il vertice imprenditoriale assume le proprie decisioni orientato sempre verso il prossimo futuro, sviluppando
obiettivi strategici di sviluppo che guardino a periodi di più ampio respiro. La logica imprenditoriale diventa
allora logica di piano quando consiste nel collocare le problematiche aziendali di sopravvivenza verso
prospettive temporali (prospettive di piano) che superano il singolo esercizio, assumendo prospettive pluriennali
(tre anni, massimo cinque). Ragionare con una logica di piano è allora elaborare disegni anticipatori di decisioni
future.
Questo piano strategico imprenditoriale è tipicamente elaborato a livello di vertice, e dunque composto da linee
generali della futura condotta aziendale, elaborate su una base di aspettative inerenti all'evoluzione futura
dell'ambiente. Le linee generali vengono poi attuate attraverso piani annuali esecutivi, dove essere si traducono
in direttive specifiche. Il piano strategico è infine continuamente aggiornabile sulla base degli effettivi risultati
raggiunti e dello scostamento dalle aspettative, processo questo attuabile solo tramite una continua attività di
verifica o controllo direzionale.
L'imprenditore può avere una sua personale propensione ad attuare o meno una logica di piano, e in che modo.
Si può dividere allora in:
• governo fondato sulla direzione intuitiva: il vertice non elabora né piani né obiettivi strategici e dunque
non si avvale di alcuno strumento informativo di controllo direzionale
• governo fondato sulla direzione orientata: il vertice elabora piani di massima ed obiettivi strategici di
medio periodo non profondamente definiti, senza attuare piani esecutivi annuali, e ricorrendo a
strumenti informativi che operano un controllo direzionale esclusivamente per risultati passati
• governo fondato sulla direzione per obiettivi: il vertice elabora piani di massima ed obiettivi strategici
ben definiti di medio periodo, traducendoli in dettagliati piani esecutivi annuali, ricorrendo infine a
strumenti informativi di controllo direzionale fondati sull'analisi degli scostamenti tra risultati ottenuti
via via ed obiettivi programmatici. Lo scostamento permette di ragionare sulle cause alla base,
spostandosi da una logica di confronto con i risultati passati a una logica di analisi del grado di
progressiva realizzazione dei piani strategici elaborati
L'ultimo metodo di governo, il governo fondato sulla direzione per obiettivi, si può ancora dividere in:
◦ governo fondato sull'autogoverno al vertice per obiettivi: consiste nella creazione di sotto-
obiettivi parziali ritenuti fondamentali, e continuo controllo direzionale con attenzione agli
scostamenti, ma riservandosi di intervenire
◦ governo fondato sulla direzione per obiettivi propriamente detta: sempre con una segmentazione
in sotto-obiettivi parziali, ma molto più analitici, con una quantificazione misurabile di tali obiettivi,
con una precisa attribuzione di responsabilità ai centri direzionali della struttura organizzativa per
ognuno di essi. In questo caso l'obiettivo diventa un vero e proprio mezzo organizzativo che
permette il coordinamento della struttura

Sistema operativo
Il sistema, o assetto, operativo è l'oggetto dell'attività del vertice imprenditoriale, ed è rappresentato dal
complesso sistemico di risorse materiali, finanziarie, umane ed informative (apparato). È dotato di capacità di
implementazione delle funzioni di approvvigionamento, produzione e collocamento sul mercato dei beni o
servizi oggetto dell'attività d'impresa
In capo al sistema operativo si individua innanzitutto una specifica funzione tecnico-economica (relazione con il
particolare settore di appartenenza), quindi una funzione di autostrutturazione.
Quest'ultima è operata attraverso un processo di autostrutturazione composto da una fase di approvvigionamento
di risorse di apparato necessarie allo svolgimento dell'attività aziendale (impianti e macchinari, ecc.) e seguita da
una fase di trasformazione di tutte o di parte delle risorse acquistate in altre risorse di apparato necessario allo

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svolgimento efficace ed efficiente dell'attività aziendale (formazione personale, know-how, ecc.).


Processi e funzioni
Il sistema operativo aziendale opera attraverso tre fondamentali processi produttivi ricorrenti:
• processo materiale
• processo energetico
• processo informativo
Il processo materiale ha per oggetto l'attività caratteristica dell'impresa (produzione di beni o servizi) e si attua
nella successione di due fasi fondamentali:
• fase di approvvigionamento: acquisizione delle risorse materiali necessarie
• fase di trasformazione
• fase di collocamento: dei prodotti ottenuti sul mercato di sbocco
Le funzioni corrispondenti sono le funzioni operative di: approvvigionamento, produzione e vendite.
Il processo energetico (o finanziario) coglie il susseguirsi dei flussi finanziari legati allo svolgimento corrente
dell'attività d'impresa. Alcuni derivano dall'implementazione del processo materiale, altre derivano
indirettamente come o condizione necessaria allo svolgimento del processo materiale, o impiego di risorse
generate dallo stesso. La funzione corrispondente è la funzione operativa: finanza.
Il processo informativo ha come oggetto il sistema dei flussi di dati e di informazioni che circolano in modo
corrente all'interno dell'impresa, e fra impresa e soggetti esterni. Esso permea l'intera struttura del sistema
operativo. Non è possibile stabilire specifiche funzioni all'intero processo informativo, ma solo a una parte:
• funzione amministrative: attività dii previsione, contabilizzazione e controllo dei flussi economico-
finanziari
• funzione di R&S (ricerca e sviluppo): ricerca di base, applicata e di sviluppo di nuovi processi e prodotti
A sé sta poi un'area funzionale che è caratterizzata da problematiche di gestione comuni a tutte le aree
funzionali: la funzione di gestione del personale.
Capacità
La complessa articolazione di funzioni operative necessita di un sistema di capacità, ovvero attitudini potenziali
a svolgere certi livelli di attività che siano quali-quantitativamente massime, direttamente connesse con ciò
esposto in precedenza:
• capacità di approvvigionamento, capacità di produzione e capacità di vendita
• capacità finanziaria (attitudine a mantenere l'equilibrio finanziario) e capacità di credito (attitudine ad
accedere a finanziamenti esterni a titolo di debito)
• capacità amministrativa (attitudine a controllare i flussi economico-finanziari), capacità innovativa e
capacità di apprendimento (aumentare il patrimonio informativo)
• capacità di gestione delle risorse umane (motivare, coinvolgere il personale)
Obiettivi strategici
Il sistema operativo non ha scopi in sé a cui tendere, ma essi gli vengono imposti dall'alto, dall'organo
imprenditoriale tramite i suoi obiettivi strategici. L'obiettivo strategico fondamentale verso il quale
l'imprenditore orienta il sistema operativo è la sopravvivenza nel medio periodo, obiettivo raggiungibile solo se
l'impresa è in grado di sviluppare la propria struttura nel tempo, adeguandola ai cambiamenti in atto
nell'ambiente. Le possibilità di sviluppo e di sopravvivenza dell'impresa dipendono essenzialmente dalla
capacità della stessa di produrre ricchezza in misura adeguata a soddisfare tutte le categorie di stakeholders,
nonché a consentire l'autofinanziamento, ovvero in sintesi a mantenere un adeguato livello di equilibrio
economico, condizione essenziale per la sopravvivenza dell'impresa.
Tra gli obiettivi strategici si possono elencare:
• potere di mercato: raggiungere un rapporto con l'utenza il più possibile durevole (il prodotto è
strettamente legato alle esigenze del consumatore) e ampio (quota di mercato posseduta). Connesso con
il potere di mercato è l'obiettivo di conseguimento di un vantaggio competitivo sulla concorrenza
• potere finanziario: raggiungere un rapporto di forza favorevole nei confronti di tutti i soggetti interni
(proprietà) ed esterni (banche ed altri finanziatori), che sono fornitori di risorse energetiche. Ciò è
possibile solo se l'impresa da di sé una buona impressione per quanto riguarda il mantenimento
dell'equilibrio economico e dell'equilibrio finanziario
• potere tecnologico: raggiungere un dominio di tecnologie di processo e di prodotto, che risultano
critiche per il conseguimento del vantaggio competitivo

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Capitolo 3 – L'impresa “reale”. Dalla visione per assetti a quella per apparati-capacità
L'analisi condotta ci ha portato a descrivere l'impresa come formata da tre assetti: assetto proprietario, assetto
imprenditoriale e assetto operativo. Questa visione di dice per assetti entità costituenti, e permette di distinguere
le problematiche attinenti a ciascuna specifica impresa, allo specifico assetto e all'angolo visuale dal quale esse
sono considerate.
Oltre alla visione per assetti entità costituenti, esiste una seconda prospettiva di analisi del sistema aziendale,
fondata sulla distinzione fra:
• processi di autostrutturazione: rivolti verso l'interno del sistema aziendale e orientati ad organizzare il
sistema spesso, traducendosi in apparati (insieme di elementi materiali o immateriali disponibili) e
capacità funzionali (potenzialità d'uso)
• processi funzionali ricorrenti: dipendono dai primi, e sono rivolti verso l'esterno del processo
aziendale e finalizzati a soddisfare i bisogni di una certa classe di utenza

Capitolo 4 – I presupposti esterni per la nascita dell'impresa


L'esistenza della domanda
La nascita di una qualsiasi impresa presuppone necessariamente l'esistenza di un'utenza che generi
potenzialmente una domanda soddisfacibile attraverso il collocamento del prodotto, il bene ottetto dell'attività di
impresa.
La domanda deve essere ben individuabile attraverso un preciso bisogno da soddisfare attraverso uno specifico
prodotto, ed un insieme di utenza reale. Può trattarsi di:
• domanda esistente attualmente insoddisfatta o mal soddisfatta, e maggiormente soddisfacibile
• domanda emergente, potenzialmente rilevante in futuro, si vuole anticipare
• domanda latente, non esistente ancora perché non esiste il bisogno relativo a livello di utenza
Inoltre la domanda deve essere individuata e delimitata da criteri di: ragione di esistenza, categoria di utenza
potenziale, dislocazione geografica, articolazione qualitativa della domanda, articolazione quantitativa della
domanda, limitazione alla effettiva raggiungibilità della domanda (vincoli istituzionali, legali, ambientali,
infrastrutturali), concorrenza, caratteri del prodotto.
Accessibilità delle risorse
Oltre all'effettiva utilizzazione della capacità di vendita, collocamento dell'output, è necessario che oltre
all'esistenza di una domanda raggiungibile esista anche l'effettiva capacità di produrre l'output. Ciò è possibile
solo se esiste una capacità di approvvigionamento delle risorse (materiali, personali, finanziarie, informative) da
impiegare nella strutturazione e autostrutturazione dell'apparato produttivo e nell'ambito della funzionamento
del processo produttivo (processi funzionali correnti).
I problemi che si pongono intorno all'accessibilità delle risorse sono:
• effettiva esistenza
• effettiva accessibilità: magari l'accessibilità è limitata da vincoli esterni o interni che limitano l'accesso
alle risorse
• economicità delle risorse: ovvero accessibilità conveniente
Inoltre è importante introdurre una distinzione fra:
• risorse di apparato e risorse ricorrenti: le prime sono risorse disponibili nel sistema in modo
durevole, mentre le seconde sono invece acquisite via via che vengono impiegate
• risorse primarie e risorse derivate: le prime assumono una natura di “nucleo energetico”, in grado di
generare o condurre all'acquisizione di altre risorse, le seconde sono la risultante dell'applicazione delle
prime, senza le quali non potrebbero essere acquisite, generate e utilizzate
• risorse dirette e risorse indirette: le prime sono impiegate nello stato in cui sono state acquisite
dall'esterno, le seconde sono impiegate in uno stato diverso, frutto di un lavoro di trasformazione
Si individuano allora:
• RISORSE DI APPARATO
◦ primarie: risorse informative, capitale di rischio e finanziamenti (risorse finanziarie), risorse umane
◦ derivate:
▪ aventi rilievo patrimoniale: beni strumentali, scorte di magazzino, crediti commerciali
▪ non aventi rilievo patrimoniale: know-how specifico, affidamenti bancari non utilizzati, struttura
organizzativa, ecc.

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• RISRORSE RICORRENNTI: provengono dall'uso corrente delle risorse di apparato:


◦ dirette: provengono dall'approvvigionamento ricorrente degli inputs materiali, finanziari e
informativi
◦ indirette: provengono dalla produzione ricorrente di prodotti in lavorazione, prodotti finiti, crediti
commerciali ed informazioni operative gestionali
Il livello di impiego di queste risorse trova un limite nei caratteri assunti dalle risorse di apparato che
determinano il livello delle capacità operative aziendali, delimitando i volumi fisici massimi i attività potenziale.
Se le risorse esistono e sono raggiungibili, deve esistere allora un'idonea capacitò di approvvigionamento
costruita da:
• sistema di risorse materiali, umane, informative e finanziarie idoneo alla attività di selezione ed
acquisizione delle risorse (apparato di approvvigionamento)
• sistema di meccanismi operativi in grado di garantire il coinvolgimento e l'orientamento verso gli
obiettivi del personale dell'apparato suddetto
• rapporto stabile con le fonti di risorse esterne, fondato su un certo grado di affidabilità percepita dai
fornitori esterni
Inoltre l'esigenza di trasformare le risorse acquisite nell'output da collocare fa nascere un'idonea capacità
produttiva (esprimibile in termini di volumi fisici massimi di output generabili dall'impresa), costituita da:
• sistema di risorse materiali, umane e informative e finanziarie idoneo all'attività di trasformazione delle
risorse (apparato produttivo)
• sistema di meccanismi che garantiscono il coinvolgimento e l'orientamento verso gli obiettivi aziendali
del personale dell'apparato suddetto
• un coordinamento stabile ed un adeguato grado di compatibilità qualitativa e quantitativa attivati con
l'apparato di approvvigionamento (a monte) e quello di vendita (a valle)

Capitolo 5 – I presupposti interni per la nascita dell'impresa


Per patrimonio genetico dell'impresa, si intende quel nucleo originario di capitale di rischio, unito ad all'idea
imprenditoriale di base, la cui formazione rappresenta lo stadio iniziale della nascita dell'impresa, antecedente
all'accesso alle risorse e alla domanda (presupposti esterni).
Ai fini della dotazione iniziale di capitale di rischio, è necessario definire l'assetto iniziale del “soggetto
economico” (la proprietà), che deve essere tale da garantire gli apporti iniziali di capitale di rischio necessari
allo sviluppo dell'idea imprenditoriale di base. L'idea imprenditiva di base riguarda una serie di intuizioni
riguardanti una qualche domanda (esistenza, emergente o latente) da soddisfare.
La nascita dell'impresa può essere innescata da:
• disponibilità di un capitale di rischio da parte di un soggetto economico motivato da scopi lucrativi o
sociali, che dovrà poi trovare forze imprenditive per creare una vera e propria idea imprenditoriale
• la messa a fuoco appunto di un'idea imprenditoriale vincente da parte di un soggetto dotato di capacità
imprenditive che però non è dotato di mezzi finanziari adeguati, che dovrà cercare
• la contemporanea disponibilità presso lo stesso soggetto dei mezzi finanziari e delle capacità
imprenditoriali necessari alla formazione del patrimonio genetico d'impresa
Ci sono dunque due condizioni interne imprescindibili per la nascita di un'impresa:
• individuazione di uno o più soggetti portatori di capitale di rischio (destinati a ricoprire il ruolo di
proprietà), in modo tale da coprire le esigenze di capitalizzazione generate dal fabbisogno iniziale di
investimento. Ciò può portare alle problematiche di:
◦ ricerca di un equilibrio teleologico a livello dell'assetto proprietario
◦ definizione delle regole di comportamento interno
◦ individuazione dei soggetti ai quali demandare l'esercizio di poteri di leadership della proprietà
◦ gestione dei conflitti tra capitale di comando e capitale controllato
• individuazione di uno o più soggetti portatori di capacità imprenditoriali (destinati a ricoprire il ruolo di
imprenditori), in modo da generare l'idea imprenditoriale e sviluppare il patrimonio genetico attraverso
la strutturazione ed il governo del sistema operativo. Ciò può portare alle problematiche di:
◦ grado di sovrapposizione con l'assetto proprietario (massimo come imprenditore proprietario unico,
minimo come manager esterno alla proprietà)
◦ collocazione formale assunta nell'ambito della struttura organizzativa aziendale

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◦ ripartizione dei poteri decisionali in casi di assetto formato da più soggetti (organo pluripersonale)

Capitolo 6 – La fisiologia del sistema di impresa


Formazione e distribuzione della ricchezza di impresa
Si tratta ora l'analisi del processo di formazione e distribuzione della ricchezza aziendale (processo che
rappresenta la valorizzazione economica del processo ricorrente materiale) in condizioni di “normalità
fisiologica”.
Questa analisi è effettuata attraverso il ricorso del conto economico “a cascata”, interpretato in ottica
imprenditoriale, che supera la visione contabile tradizionale che analizza la gestione in un'ottica ex-post, per
assumere una visione tecnica di fatti soggettivamente e prospetticamente voluti (ex-ante). Si riclassifica quindi
in conto economico in chiave soggettiva (soggetti coinvolti in relazione alle voci del CE) e qualitativa e
quantitativa.
Il conto economico esprime sinteticamente come la ricchezza globale prodotta dell'azienda (fatturato) si forma e
si distribuisce tra i soggetti interni (personale dipendente, proprietà, ecc) ed esterni (banche, Stato, ecc.).
Supponendo che i valori del conto economico configurino una situazione in cui tutte le aspettative degli
stakeholders sono soddisfatte, esisterà un certo reddito residuo positivo, detto reddito disponibile. Questo reddito
disponibile può avere due destinazioni:
• REINVESTIMENTO NEL SISTEMA (autofinanziamento “da reddito”): in modo palese
(accantonamento di utile a riserva) o occulto (incremento dei costi, ecc.) finalizzato a:
◦ alimentare processi di crescita quantitativa o qualitativa del sistema operativo, ovvero un
incremento del capitale investito e/o un incremento della consistenza quali-quantitativa del
personale dipendente. Questo tipo di scelta farà certo crescere i costi del personale, che dovranno
essere bilanciati da una crescita attesa di fatturato
◦ ridurre il livello di indebitamento dell'impresa, e riduzione degli oneri finanziari
• REDISTRIBUZIONE finalizzata a rafforzare la soddisfazione teleologica degli stakeholders, e quindi
aumentare il grado di solidità dei rapporti interni, attraverso ad esempio la soddisfazione dei clienti:
◦ stabilire prezzi di vendita unitari più bassi
◦ garantire consegne tempestive e/o maggiori dilazioni di pagamento
◦ migliorare la qualità tecnica o l'immagine del prodotto
La situazione patrimoniale a valori fisiologici
Si considera adesso la fisiologica dei valori patrimoniali del sistema operativo, e le relazioni che sussistono tra le
principali grandezze patrimoniali economiche. Come già evidenziato dallo studio della ragioneria, le
immobilizzazioni (risorse di apparato), elementi patrimoniali destinati a rimanere per un m/l periodo nelle
disponibilità dell'impresa, generano un fabbisogno finanziario di tipo strutturale. Tuttavia, anche le componenti
dell'attivo di breve termine (attivo circolante), necessitano di un fabbisogno di natura durevole.
Esistono allora livelli fisiologici di liquidità e delle componenti del cosiddetto capitale circolante commerciale,
al di sotto dei quali la sicurezza di svolgimento dei processi operativi ricorrenti (materiale e finanziario), è
compromessa.
Per i livelli fisiologici della liquidità, è necessario considerare per quanto tempo l'impresa vorrebbe far fronte ai
pagamenti che giungono a scadenza se si dovesse bloccare il flusso finanziario in entrata. Questo livello è
stimabile considerando i costi monetari previsti, dividendo per 360, e moltiplicando per il periodo desiderato di
autonomia finanziaria. Va tenuto comunque conto del ritmo e della prevedibilità di entrate e uscite monetarie,
del costo della liquidità disponibile in termini di oneri finanziari, della propensione al rischio dell'imprenditore e
dei desideri della proprietà. Si redige solitamente un apposito piano finanziario.
Per il livello fisiologico dei crediti verso clienti si divide il fatturato per 360 e si moltiplica per il tempo di
dilazione media concesso in base alla propria forza contrattuale Ragionamento analogo si può fare per il livello
fisiologico dei debiti commerciali, componente essenziale della parte passiva del capitale circolante, livello che
è in “positivo”, ovvero che non deve essere superato (si moltiplica per il tempo di dilazione concesso).
Per i livelli fisiologici del terzo elemento del capitale circolante, il magazzino, si divide fra prodotti finiti e
materie prime. Per i prodotti finiti, l'esistenza di un livello minimo serve per permettere all'impresa una
produzione il più possibile regolare (riduzione dell'incidenza unitaria dei costi di apparato sul prodotto) e
assicurare una continuità di collocamento del prodotto sul mercato, che dipende dalla fluttuazione della
domanda. Il livello minimo corrisponde al periodo in cui l'impresa vuole essere in grado di poter continuare a far
fronte alle richieste della clientela. Per le materie prime esso indica il tempo massimo per cui, nel caso, si vuole
riuscire a essere indipendenti dai fornitori.

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Le principali relazioni tra grandezze economiche e patrimoniali


L'imprenditore, gestendo correttamente le interrelazioni fra le grandezze del CE e dello SP, può assicurare
all'impresa il raggiungimento degli obiettivi di equilibrio economico e di costante mantenimento dell'equilibrio
finanziario.
In particolare la liquidità è collegata a tutti i costi monetari del periodo, che determinano un'uscita monetaria:
costi operativi esterni monetari, costi del personale, oneri finanziari, imposte, dividendi.
La comprensione delle relazioni consente all'imprenditore di intervenire sulla struttura del capitale o sui processi
di formazione della ricchezza aziendale, massimizzando le possibilità di conseguimento dell'equilibrio
economico, o il mantenimento dell'equilibrio finanziario. Se ad esempio si nota che il livello del reddito
operativo non è sufficiente a coprire i costi concessi agli oneri finanziari, è necessario operare per ridurre
l'indebitamento (ad esempio ricapitalizzando, e neutralizzando la leva finanziaria negativa) o ridurre il capitale
di funzionamento.
In conclusione si può affermare che le interrelazioni possono essere utilizzate:
• per individuare le disfunzioni presenti nel sistema operativo e le azioni necessarie per farvi fronte
• per impostare le decisioni imprenditoriali al fine di ottenere la massimizzazione dell'efficienza e
dell'efficacia complessiva

Capitolo 7 – Le condizioni di esistenza dell'impresa


L'equilibrio finanziario
L'attività di governo portata avanti dall'organo imprenditoriale deve essere necessariamente impostata nell'ottica
della sopravvivenza nel tempo del sistema operativo aziendale L'equilibrio finanziario rappresenta la prima
fondamentale condizione di esistenza di qualunque impresa, e si divide principalmente in:
• equilibrio finanziario corrente
• equilibrio finanziario strutturale
L'equilibrio finanziario corrente è la capacità dell'impresa di far fronte in ogni momento alle uscite monetarie
attraverso le entrate. A livello di processo energetico (finanziario), si tratta di incamerare risorse in misura
maggiore di quante sono cedute all'esterno.
Più precisamente c'è equilibrio finanziario corrente se i flussi energetici-finanziari positivi (entrate), provenienti
dai rapporti con i clienti, sopravanzano quelli negativi (uscite), derivanti dal processo di approvvigionamento, in
misura tale a compensare il saldo negativo dei flussi energetici-finanziari che derivano dai rapporti con
proprietà, personale, banche, fornitori, Stato.
L'equilibrio finanziario strutturale è una condizione a monte da cui dipende l'equilibrio corrente. Esso esiste
quando il capitale di funzionamento strutturale, e quindi non variabile nel breve termine, è coperto da fonti a
titolo di capitale di rischio (per le quali dunque non è previsto un rimborso) e da debiti a medio termine. Questo
significa che in condizioni di equilibrio finanziario strutturale, solo la parte variabile del capitale di
funzionamento può essere coperta da passività di breve termine (debiti verso fornitori o debiti verso le banche),
poiché una situazione in cui parte dell'attivo strutturale fosse finanziato da passività correnti si tradurrebbe prima
o poi in difficoltà per l'impresa a far fronte alle uscite connesse alla scadenza di tali passività. È importante
sottolineare come non sia importante la distinzione fra immobilizzazioni e disponibilità (quella trattata in
economia aziendale), ma semmai fra parte strutturale del capitale di funzionamento e parte variabile del capitale
di funzionamento. Fanno parte allora della parte strutturale i livelli fisiologici di liquidità, così come quelli di
scorte e di crediti verso clienti.
Si ha equilibrio finanziario strutturale quindi se l'attivo di breve supera il passivo di breve, che in altre parole
equivale a dire che le passività a medio termine e il capitale di rischio coprono l'attivo immobilizzato strutturale
e l'attivo breve strutturale.
Per avere equilibrio finanziario strutturale è necessario mantenere un livello minimo fisiologico di
capitalizzazione, ovvero il rapporto fra capitale netto e passività.
Il manifestarsi di una situazione di squilibrio finanziario strutturale di norma precede lo squilibrio finanziario
corrente, ovvero l'incapacità per l'impresa di far fronte alle uscite con le entrate. Se l'imprenditore forza
l'equilibrio finanziario strutturale, accrescendo eccessivamente il livello dell'indebitamento a breve termine, si
attiva di conseguenza un processo di riduzione del livello di liquidità, dello stock dei crediti e delle rimanenze.
Il termine di questo processo è la situazione in cui l'impresa non è più in grado di far fronte al pagamento dei
debiti, essendo obbligata a liquidare capitale di funzionamento strutturale, compromettendo l'intero sistema.
L'equilibrio economico
L'impresa è in grado di produrre ricchezza solo se opera in condizioni di equilibrio economico, che è un
obiettivo e una fondamentale condizione di esistenza. In sostanza operare in condizioni di equilibrio economico

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significa produrre una quantità tale di ricchezza da soddisfare, in maniera sufficiente, tutti gli stakeholders,
rafforzando le premesse perché gli stakeholders stessi mantengano il loro ruolo di interesse nell'impresa, ad ogni
titolo.
Si definisce equilibrio economico la situazione in cui l'impresa consegue ricavi in grado di coprire tutti i costi di
esercizio, di remunerare adeguatamente la proprietà (i dividendi possono anche essere considerati costi di
esercizio), nonché di generare un surplus di ricchezza (autofinanziamento) idoneo a coprire il fabbisogno
connesso alle esigenze di crescita del sistema operativo (c.d. “costi dello sviluppo”).
Esso va valutato in un'ottica di piano (3-5 anni), perché, come già detto, è in tale ottica che l'imprenditore
imposta ed implementa i processi strategici di stabilizzazione e sviluppo dell'impresa.
É sottinteso come l'equilibrio finanziario possa non essere rispettato in condizioni di perfetto equilibrio
economico, e portare comunque l'impresa al fallimento per non aver adempiuto alle proprie obbligazioni.
L'equilibrio può essere inesistente (prevalenza di divari passivi fra ricavi e costi, cioè perdite di esercizio che si
accumulano), debole (divari nulli o leggermente positivi) o forte (divari molto positivi).
Come detto va valutato in un'ottica di piano, dunque una perdita di esercizio potrebbe anche essere inserita in
una situazione di forte equilibrio economico, quando inserita in un piano strategico di crescita che porterà utili in
futuro. Ciò che è importante è l'analisi dei flussi reddituali globali del periodo di piano.
Infine, appunto, i ricavi non devono coprire solo i costi ma anche i costi del capitale di rischio, ovvero le
aspettative di remunerazione della proprietà, ed i costi dello sviluppo.
Ci sono molteplici elementi da tenere in considerazione per valutare la potenziale economicità dell'impresa
nell'ambito di un piano di sviluppo.
Il primo elemento è l'analisi della soglia tecnica, ovvero il numero minimo di prodotti da vendere per coprire i
costi operativi fissi e i costi operativi variabili. Se l'impresa non riesce a raggiungere un numero di unità
sufficiente, l'impresa non è in grado di operare con economicità (reddito operativo negativo). L'imprenditore
dovrà agire modificando l'offerta proposta ai consumatori o i mercati dove è proposta, ridurre l'incidenza dei
costi fissi operativi, aumentare il prezzo unitario di vendita, ridurre l'entità del costo variabile unitario con più
efficienza, trasformare i costi fissi in costi variabili tramite il processo di outsourcing (decentramento di alcune
funzioni).
Si può distinguere poi fra:
• costi fissi di origine patrimoniale: ammortamenti di beni materiali e immateriali
• costi fissi di origine non patrimoniale: spese per personale, spese di pubblicità non capitalizzate
Per i primi, i costi fissi di origine patrimoniale, è opportuno considerare gli oneri finanziari che l'impresa
sostiene per il finanziamento delle immobilizzazioni. Per i secondi, costi fissi non patrimoniali (e anche per i
costi variabili), è opportuno valutare il livello fisiologico di liquidità che permette all'impresa di far fronte alle
uscite connesse a tali oneri.
Autofinanziamento
Il capitale di rischio va considerato a tutti gli effetti un “fattore produttivo”, la cui adeguata remunerazione
rappresenta un “costo” da coprire con ricavi. La proprietà, quando è azionariato di controllo, non è interessata
tanto alla remunerazione diretta ma a quella indiretta, e dunque preferisce trattenere reddito all'interno
dell'impresa per favorirne la crescita.
Si parla dunque di autofinanziamento da reddito, che si può concretizzare in:
• autofinanziamento da reddito palese: l'utile a bilancio viene accantonato a riserva di utile
• autofinanziamento da reddito occulto: l'utile “reale” viene trattenuto occultamente nell'impresa,
tramite una sottostima di attività (valutazione delle rimanenze con LIFO), sovrastima di passività,
eccessivi accantonamento a fondi rischi, politica di ammortamenti anticipati
L'autofinanziamento da reddito palese permette una maggiore visibilità di solidità finanziaria, utile verso i
finanziatori, possibili nuovi soci di minoranza o maggioranza, i clienti, ecc.
L'autofinanziamento da reddito occulto permette vantaggi fiscali.
Una cosa a parte è il cosiddetto autofinanziamento da costi (o improprio), attuabile mediante l'imputazione
nell'esercizio di costi la cui manifestazione finanziaria avverrà in periodi futuri o si è manifestata in periodi
precedenti. È ciò che accade con ammortamenti, ratei e risconti.
In sintesi l'autofinanziamento da reddito consente una reale accumulazione economica, oltre che finanziaria,
fonte di finanziamento che non produce oneri finanziari ed è disponibile per un periodo illimitato.
L'autofinanziamento da costi permette invece di trattenere risorse finanziare all'interno del sistema aziendale per
limitati periodi di tempo (l'accumulazione è solo finanziaria) e non è quindi tendenzialmente idoneo a finanziare
la crescita dell'impresa, perché prima o poi l'impresa dovrà affrontare la manifestazione finanziaria di quei costi
che ha imputato a esercizi precedenti.

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Capitolo 8 – I processi evolutivi di impresa: sviluppo stabilità e risanamento


Il concetto di struttura aziendale
Parte rilevante degli studi sono i processi di cambiamento dei sistema di impresa (processi strategici di sviluppo)
intesi come modificazioni indotte e deliberate dal vertice imprenditoriale e finalizzate a garantire il
conseguimento degli obiettivi strategici nel m/l periodo.
Il modello utilizzato è fondato sul concetto si “struttura aziendale”, ovvero la rappresentazione semplificata della
realtà di impresa concernente l'assetto proprietario, l'assetto imprenditoriale ed il sistema operativo, che tende a
cogliere il senso globale del sistema attraverso i suoi elementi salienti e tendenzialmente stabili. La struttura
aziendale allora, con riferimento al sistema operativo, si differenzia in sistema degli obiettivi, sistema delle
risorse (apparati, capacità, funzionalità effettive), sistema dei comportamenti strategici, sistema dei valori
conseguiti (prodotto, conoscenza specifica, relazione con i pubblici).
Importante è il sistema degli obiettivi, composto da:
• potere economico (ricerca di un equilibrio economico forte, ovvero soddisfazione degli stakeholders)
• potere finanziario (ricerca della solidità finanziaria e del valore azionario sul mercato)
• potere di mercato (ricerca del successo nei mercati di approvvigionamento e in quelli di vendita)
• potere tecnologico (ricerca della supremazia nella ricerca industriale e nello sviluppo tecnologico)
I processi strategici
Limitandosi all'area del cambiamento strategico attivo, si può individuare tre categorie di processi strategici:
• processo di sviluppo
• processo di stabilità
• processo di risanamento
In condizioni fisiologiche il divenire di un impresa è caratterizzato da processi di sviluppo (cambiamenti verso
la conquista di obiettivi strategici) e da processi di abilità (rafforzamento di obiettivi raggiunti). Il processo di
risanamento riguarda invece il superamento di una situazione di crisi che ha determinato un deterioramento della
struttura aziendale.
Nei tre processi si agisce sugli elementi di: apparati, capacità e livello di funzionamento dei processi ricorrenti.
Il processo di sviluppo si caratterizza per un cambiamento radicale di natura quantitativa e qualitativa, portato
verso la prospettiva di conquista di nuovi obiettivi strategici, che ha per sua natura durata limitata (dipende da
ingenti risorse finanziarie, spesso esterne).
Il processo di stabilità si caratterizza per la prospettiva di mantenimento e difesa degli obiettivi raggiunti dal
processo di sviluppo. Si può in questo modo raccogliere i risultati di lungo periodo di un processo di sviluppo
conclusosi positivamente, riequilibrando una situazione economico-finanziaria potenzialmente modificata in
negativo dall'oneroso processo di sviluppo. In condizioni di normalità il processo di stabilità non assorbe tutta la
ricchezza prodotta dall'impresa, e la parte rimanente viene destinata per equilibrare la situazione teleologica,
raggiungere una crescita equilibrata e porre le basi finanziarie per un nuovo processo di sviluppo.
Il processo di risanamento si caratterizza per la prospettiva di ripristino delle condizioni deterioratesi durante lo
stato di crisi È necessario porre in essere un'accurata attività di diagnosi, per stabilirne le cause, quindi
rigenerare gli apparati, le capacità ed i livelli funzionamento.

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Parte II – Le decisioni imprenditoriali

Le decisioni imprenditoriali relative all'assetto operativo possono essere distinte in tre categorie (o aree
decisionali):
• decisioni organizzative: incidono sulla struttura organizzativa, come modello prescelto, e per periodi
prolungati di tempo (si esplicita la funzione organizzativa dell'imprenditore)
• decisioni strategiche in senso stretto: incidono sulla struttura dell'intera impresa, come risultante di
comportamenti strategici, e per periodi prolungati di tempo (si esplicita la funzione strategica
dell'imprenditore)
• decisioni funzionali: relative a singole aree funzionali del sistema operativo, distinguibili in:
◦ decisioni funzionali con rilievo strategico: incidono sulla struttura di parte dell'impresa, per periodi
prolungati di tempo
◦ decisioni funzionali con rilievo essenzialmente operativo: incidono sulla struttura di parte
dell'impresa, ma solo per brevi periodi di tempo
Ogni decisione, nella realtà, assume valenza organizzativa, strategica e funzionale allo stesso tempo, non per
ultima valenza politica, che come funzione imprenditoriale si è già descritta come trasversale. Esistono tre poli
di attenzione che finiscono per influenzare in maniere più o meno rilevante le scelte imprenditoriali inerenti il
sistema operativo:
• il potere (forza): la forza detenuta dall'impresa nei confronti degli stakeholders e della concorrenza
• la sicurezza: valutata in termini di riduzione del rischio associabile a ogni decisione, tramite la
valutazione dell'impatto di ciascuna decisione sul livello dell'equilibrio finanziario
• il valore: la possibilità di generare un valore superiore al costo delle risorse impiegate, creando valore di
prodotto (fatturato), valore interno di conoscenza (routinizzazione), valore esterno di mercato
(quotazione)
Esiste poi un'altra chiave interpretativa generale delle scelte imprenditoriali, dove le decisioni imprenditoriali
danno luogo ad un'innovazione, che genere affetti qualitativi (know-how, competenze, ecc.) e/o quantitativi
(incrementi dimensionali) positivi o negativi, riassunti nella tabella seguente.

+ Effetto qualità -
+ Sviluppo quali-quantitativo Crescita inerziale Crescita delirante
Effetto / Stasi /
dimensione
- Ridimensionamento deliberato Ridimensionamento inerziale Deterioramento

La soluzione di sviluppo quali-quantitativo è certamente la migliore, rimangono positive le aree di crescita


inerziale (l'impresa sta crescendo senza migliorare le proprie conoscenze ma sfruttando quelle già disponibili) e
di ridimensionamento deliberato (impresa che opera in mercato dinamico e competitivo, perdendo quote di
mercato, oppure in un mercato in declino). Le aree peggiori sono quelle di crescita delirante (l'impresa cresce
consumando il proprio patrimonio di competenze distintive), e, ancora peggio, quella di deterioramento.

Capitolo 3 – Le decisioni strategiche in senso stretto


L'insieme delle decisioni che l'imprenditore assume in ambito strategico possono essere suddivise in tre gruppi
fondamentali:
• scelta del settore e definizione dell'area di attività (definizione del business)
• direttrici strategiche di sviluppo
• strategia concorrenziale
Scelta del settore e definizione dell'area di attività
La scelta del settore e del mercato
La prima cosa da fare è individuare una categoria di bisogno da soddisfare, ovvero la funzione che l'impresa
intenderà svolgere per i propri clienti. Deve ovviamente trattarsi di un bisogno reale, effettivo o latente.
Parallelamente alla definizione del bisogno, è necessario definire il mercato, ovvero l'insieme di soggetti,
persone fisiche o enti, che sono portatori di questa categoria di bisogno.

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Per settore, si intende invece l'insieme delle imprese che competono fra loro su uno stesso mercato,
soddisfacendo la stessa area di bisogno.
Delimitare questi bisogni, e quindi delimitare mercati e settori, è piuttosto complicato. Per semplificare si usa un
criterio indiretto di delimitazione, fondato sul comportamento effettivo dei consumatori nei confronti dei beni
e/o servizi offerti sui mercati dove cercano soddisfazione dei loro bisogni, in particolare:
• si considerano appartenenti allo stesso mercato tutti i soggetti che acquistano beni tra loro anche diversi
ma in qualche modo “interscambiabili” l'uno con l'altro per la soddisfazione di un bisogno, anche in un
ottica geopolitica di concorrenza internazionale
• si considerano appartenenti allo stesso settore le imprese che producono e vendono (competitors
effettivi) e/o che potrebbero con relativa facilità entrare sul mercato (competitors potenziali)
Definizione del business
Nell'ambito del settore scelto di attività, l'impresa dovrebbe delimitare in modo consapevole l'area di attività
dove intende operare (business), definita in termini di:
• specifiche sotto-funzioni che si intende espletare (complementari e indipendenti)
• specifiche classi di utenza alle quali ci si vuole rivolgere
• tecnologia di prodotto e di processo che si intende utilizzare
• ampiezza geografica del mercato che si intende servire
Scegliere la specifica sotto-funzione è importante per definire quali specifici bisogni l'impresa va a soddisfare:
• se se ne sceglie una si parla di definizione del business concentrata rispetto alle sotto-funzioni
• se ne sceglie più di una si parla di definizione del business ampia rispetto alle sotto-funzioni:
◦ strategia ampia ed indifferenziata rispetto alle sotto-funzioni
◦ strategia ampia e differenziata rispetto alle sotto-funzioni
Discorso simile può essere fatto per la scelta che l'impresa deve compiere della specifica classe di utenza, o più
di una, verso le quali si vuole rivolgere, ovvero porre in essere una segmentazione del mercato. L'impresa può
scegliere:
• una strategia concentrata rispetto alla classe di utenza
• una strategia ampia rispetto alle classi di utenza:
◦ indifferenziata
◦ differenziata
La combinazione della strategia prescelta (scelta della sotto-funzione e della classe di utenza), si hanno
numerosi risultati in termini di definizione mercatistica del business.
La tecnologia, il prodotto e l'ampiezza geografica del business
Importante è poi la scelta della tecnologia di base del prodotto e, parallelamente, della tecnologia di processo (ad
esempio un processo produttivo automatizzato o meno), con il quale viene realizzato il prodotto.
La scelta della combinazione sotto-funzioni, classi di utenza e tecnologie si concretizza fisicamente nella
definizione del prodotto vero e proprio, definito in termini essenziali da: qualità tecnica, qualità immagine,
prezzo.
Per ampiezza geografica del business si intende l'ambito geografico del mercato di riferimento in cui l'impresa
sceglie di operare. L'ambito geografico influenza pesantemente le problematiche strategiche e gestionali.

Le direttrici strategiche di sviluppo


Le direttrici strategiche sono le linee di fondo che orientano l'impresa nella realizzazione del suo sviluppo, e
possono essere articolate in funzione del numero di settori nei quali essa intende operare:
• direttrici monosettoriali
• direttrici plurisettoriali
Direttrici monosettoriali
Le direttrici di ampiezza monosettoriale sono:
• forzatura del segmento di mercato: quando esiste una domanda ancora non pienamente soddisfatta
(settore in via di sviluppo), allora l'impresa persegue una crescita di capacità produttive e di vendita al
fine di raggiungere la clientela insoddisfatta
• sottrazione ai concorrenti di quote del segmento di mercato: quando la classe di utenza è già
interamente soddisfatta (settore in fare si maturità), allora l'impresa può crescere solo sottraendo clienti
ai concorrenti, migliorando le caratteristiche del prodotto e/o ampliando le sotto-funzioni svolte dal

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prodotto
• entrata in nuovi segmenti di mercato: se la forzatura del segmento di mercato e la sottrazione di quote
di mercato ai concorrenti appaiono non praticabili, allora l'impresa può cercare di raggiungere nuove e
potenziali classi di utenza che non sono pienamente soddisfatte dell'insieme di prodotti presenti sui
mercati, per soddisfare un loro bisogno
Direttrici multisettoriali
Nelle direttrici strategiche monsettoriali, le modificazioni significative appartengono solo all'area di business,
mentre nelle direttrici strategiche multisettoriali l'impresa è portata anche ad operare in nuovi settori di attività
tramite:
• integrazione verticale
• diversificazione

Integrazione verticale
Per integrazione si intende un processo di internalizzazione nell'abito dell'impresa di processi, capacità
produttive, prodotti, funzioni e attività che prima venivano svolte all'esterno dell'impresa. In particolare per
integrazione verticale si intende l'internalizzazione delle varie fasi di filiera produttiva caratteristica della
impresa.
Connesso al concetto di integrazione verticale c'è il concetto di filiera produttiva, ovvero le lavorazioni che
devono essere effettuale a cascata per passare da certe materie prima al prodotto finito. Si distingue fra:
• filiere produttive implosive: quando più filiere caratterizzate da traiettorie tecnologiche diverse
convergono con i loro output nell'ambito di un'unica filiera
• filiere produttive esplosive: quando a partire da un'unica filiera, si dipanano due o più filiere diverse
• filiere produttive lineari: quando il prodotto finito viene realizzato nell'ambito di un'unica filiera
Nell'ambito dell'integrazione verticale si distingue fra:
• integrazione verticale a monte (backward integration)
• integrazione verticale a valle (forward integration)
L'implementazione di processo di integrazione comporta normalmente la crescita, per il maggior valore aggiunto
realizzato dall'impresa.
Problematiche di misurazione del grado di integrazione verticale
Sono stati proposti numerosi criteri per misurare il gradi di integrazione verticale:
• numero della fasi elementari della filiera produttiva svolte all'interno dell'impresa: è difficile definire
con precisione una “fase elementare” e la sua rilevanza economica
• rapporto tra valore delle scorte e valore della produzione: indice di scarsa precisione perché il valore
delle scorte dipende dalla capacità di gestione logistica
• rapporto fra capitale investito e capacità produttiva: indice abbastanza buono, ma le economie di scala
possono falsare il risultato
• rapporto fra valore aggiunto e valore della produzione (indice di Adelman): indice buono, rapporto che
tende a 1 per un'impresa totalmente verticalizzata e tende a 0 per un'impresa totalmente deverticalizzata
Direttrici multisettoriali: forme e modalità di attuazione di integrazione verticale
Oltre alla precedente distinzione si distingue anche fra:
• integrazione verticale completa:
◦ a monte completa: quando internalizzando una fase a monte l'impresa produce il 100% di input
necessario al processo di produzione “storico”
◦ a valle completa: quando internalizzando una fase a valle l'impresa lavora all'interno il 100% di
output che prima era solita collocare sul mercato
• integrazione verticale parziale:
◦ a monte parziale: quando internalizzando una fase a monte l'impresa non produce il 100% di input
necessario al processo di produzione, e acquista il resto sul mercato
◦ a valle parziale: quando internalizzando una fase a valle l'impresa lavora solo una parte di output
che prima era solita collocare sul mercato, l'altra parte viene collocata
La realtà mostra come l'integrazione verticale parziale, più facilmente realizzabile, sia molto frequente: permette
di ottenere vantaggi in termini di minor rigidità a fronte della variabilità della domanda finale (si mantiene un
input “fisso” integrato a monte mentre si tiene variabile una quota reperibile all'occorrenza sul mercato), e in

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termini di duplice processo di verifica (confronto input integrato – input acquistato).


Ancora, l'integrazione verticale si dice eccedente quando si internalizzano capacità produttive (a monte o a valle
sovradimensionate rispetto alle esigenze di lavorazione dell'input o dell'output la cui produzione viene
internalizzata. L'integrazione verticale eccedente diventa una strategia in termini di: massimizzazione delle
economie di scala (riduzioni di costo unitario ottenibili attraverso l'incremento della scala di produzione),
esigenza di entrare nella nuova fase di filiera con capacità produttiva eccedente da usare in maniera aggressiva a
fini competitivi (battaglia di prezzi), far fronte a mutamenti dell'offerta di input meglio dei concorrenti.
Per quanto riguarda le modalità di attuazione dell'integrazione verticale, si può operare per:
• vie interne: attraverso investimenti finalizzati alla creazione di propri nuovi impianti, stabilimenti o
punti vendita
• via esterne: attraverso acquisizioni di imprese o di rami d'azienda, attraverso fusioni fra aziende operanti
sulla fase della filiera che si vuole integrare
Ci sono poi due tipologie di integrazioni “improprie”, che non comportano incrementi di valore aggiunto e di
dimensione verticale dell'impresa:
• quasi-integrazione “di fatto”: rapporti stabili di fornitura a monte o a valle, con accordi di esclusiva, che
garantiscono stabilità
• integrazione contrattuale: rapporti stabili di fornitura attraverso contratti non brevi
Le determinanti dell'integrazione verticale
Le determinanti dell'integrazione verticale sono le motivazioni che possono spingere le imprese ad implementare
processi di internalizzazione di attività a monte o a valle, e possono essere raggruppate in cinque diverse
categorie:
• ambito del paradigma strutturale: i fattori che rendono conveniente l'implementazione di processi di
integrazione verticale sono individuati in caratteri strutturali a livello del settore:
◦ indivisibilità tecnico-economica di certe tecnologie produttive
◦ fattori legati alla localizzazione
◦ irregolare distribuzione della redditività tra gli stadi della filiera produttiva
◦ fattori legati alle economie di scala
◦ fattori normativi
• ambito della teoria dei costi di transazione: si pone al centro dell'analisi la transazione, lo scambio tra
prestazione fornita da un soggetto ed un corrispettivo erogato da parte di un altro. Si possono ottenere
risorse (e input) con transazioni di mercato (buy) o transazioni interne all'impresa (make). La scelta in
merito all'integrazione verticale (make input) dipende dall'entità dei costi di transazione associati al
mercato (costi di ricerca, informativi, di valutazione, legali, ecc.), più sono elevati più si integra. Essi
dipendono da:
◦ assunzioni relative ai comportamenti umani:
▪ razionalità limitata degli individui, limiti alla previsione
▪ opportunismo nei contratti
◦ caratteristiche economiche delle transazioni:
▪ specificità delle risorse investite nella transazione, generano rischi di opportunismo
▪ incertezza e complessità dell'ambiente
▪ situazioni di “piccoli numeri”, pochi fornitori di input con potere contrattuale
• ambito del paradigma strategico: le determinanti dell'integrazione verticale sono i comportamenti
strategici delle singole imprese, quali:
◦ creazione di barriere finanziarie per limitare l'entrata nel settore di nuovi concorrenti
◦ ricerca di stabilità e sicurezza negli approvvigionamenti
◦ ricerca di stabilità e sicurezza nelle vendite
◦ ricerca del superamento di situazioni di potere contrattuale sfavorevole
◦ accesso a informazioni di mercato di miglior qualità e più tempestive
◦ difesa delle innovazioni realizzate
◦ creazione di nuovi mercati di consumo
• ambito del paradigma della Resource Based Theory (RBT): importanza del sistema di risorse e
competenze per il conseguimento dii vantaggio competitivo, per risorse si intendono asset tangibili,

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intangibili e umani, per competenze si intendono le azioni che permettono di creare, produrre e vendere
un certo prodotto. La determianante dell'integrazione è la possibilità dell'impresa di sfruttare particolari
risorse e competenze proprie dell'impresa per operare in settori a monte o a valle. La presenza di risorse
e competenze non utilizzate completamente (ridondanza) incentiva l'entrata in nuovi settori per
massimizzarne lo sfruttamento
• ambito del paradigma evoluzionistico: in ottica evoluzionistica l'integrazione verticale può essere
interpretata come una modalità particolare per sviluppare nuove risorse e competenze distintive,
utilizzabili poi per implementare ulteriori processi di sviluppo sia all'interno che all'esterno della filiera
produttiva. L'impresa accumula e sviluppa conoscenza appartenente a domini tecnologici e di mercato
diversi a quelli di partenza, interni alla filiera, sviluppa magari innovazioni di prodotto rilevanti, e
successivamente entra in nuovi settori magari anche lontani, con le competenze acquisite
Gli svantaggi dell'integrazione verticale
Tra i potenziali svantaggi dell'implementazione di processi di integrazione verticale si può elencare:
• appesantimento della struttura dei costi: innalzamento dell'incidenza dei costi fissi
• difficile reversibilità delle scelte: comporta investimenti rilevanti e specifici (barriere all'uscita)
• maggior difficoltà, lentezza ed onerosità nell'adozione di tecnologie innovatrici: smantellamento e
ristrutturazione dell'apparato produttivo è molto lento e costoso per un'impresa fortemente integrata
Recenti tendenze intorno all'integrazione verticale
Negli ultimi anni, a causa del verificarsi di fenomeni destabilizzanti (rallentamento della crescita della domanda
e variabilità qualitativa e quantitativa, incremento della concorrenza, turbolenza ambientale tecnologica, ecc.) si
è accresciuto il grado di variabilità e di incertezza ambientale, così che le imprese hanno dovuto sviluppare la
capacità di rispondere in modo flessibile, modificando in tempi rapidi il processo produttivo e la gamma di
prodotti offerta sul mercato. Si sono create forme “improprie” di integrazione verticale. La tendenza è allora di
implementare forme contrattuali di integrazione verticale per le fasi manifatturiere della filiera, e di integrare
propriamente le fasi diverse (marketing, prodotto, progettazione, R&S).

Diversificazione
La seconda direttrice strategica plurisettoriale è la diversificazione.
La diversificazione produttiva è un direttrice di sviluppo intorno alla quale, verso gli anni '60 e '70, sono sorti
numerosi studi, che la indicavano come la fase finale del processo di evoluzione e di sviluppo della grande
impresa americana.
Successivamente la tendenza si è invertita, e si è assistito al fenomeno opposto a quello di diversificazione, la
cosiddetta rifocalizzazione, portata avanti da grandi gruppi industriali, che sono ritornati sui loro core business, o
comunque su aree di business intensamente correlate fra loro.
Concetto di diversificazione produttiva
Per diversificazione della produzione si intende l'implementazione di un'opzione strategica di sviluppo
consistente nella realizzazione di nuove linee di prodotto, che consento all'impresa l'entrata in settori nuovi,
appartenenti a filiere produttive nuove rispetto a quelle “tradizionali” in cui l'impresa operava fino a quel
momento.
Un'impresa potrebbe decidere di implementare processi di diversificazione produttiva ad esempio perché il
settore nel quale l'impresa è cresciuta non è più attrattivo come un tempo, e non offre particolari opportunità di
ulteriore sviluppo. Si concepisce spesso la diversificazione come “passaggio obbligato” nel processo di naturale
sviluppo di un'impresa, quando si raggiunge un “massimo” nello sviluppo monosettoriale all'interno del settore
originario dell'impresa. Diversificare ovviamente fa sorgere un ingente fabbisogno di capitali, e rappresenta una
scelta corretta esclusivamente quando la dimensione di un'impresa è tale da permetterle di intessere rapporti di
forza molto favorevoli, sopratutto dal lato del credito. Prima di aver raggiunto un'adeguata soglia dimensionale,
una direttrice di sviluppo plurisettoriale come la diversificazione non è una reale alternativa fattibile.
Si è già citato il processo inverso rispetto a quello di diversificazione produttiva, ovvero il processo di
rifocalizzazione, che si concretizza nell'abbandono da parte di un'impresa che ha già diversificato di uno o più
dei vecchi settori di attività, per concentrarsi sul settore o sui settori che presentano maggiori opportunità di
conseguimento di vantaggio competitivo e redditività (oppure ritornare verso il proprio core business
abbandonando settori che si sono rivelati poco redditizi).
Le problematiche di misurazione del grado di diversificazione
Il primo criterio per misurare il grado di diversificazione di un'impresa sarebbe intuitivamente quello del
numero di settori nel quale l'impresa è presente. Tuttavia, esso non è rilevante, perché non dà indicazione della
diversa rilevanza economica assunta dalle diverse linee di prodotto, né il grado di omogeneità/eterogeneità

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caratterizzante i settori di attività dove è presente l'impresa.


Un secondo criterio consiste nel distinguere la linea di prodotto principale dalle altre linee di prodotto,
calcolando il cosiddetto rapporto di specializzazione (RS), dato dall'incidenza del fatturato (o valore della
produzione) relativo alla linea di prodotto principale, sul fatturato/valore produzione totale. Questo indicatore
non permette di rilevare l'articolazione dell'attività produttiva nei settori secondari, e non fornisce indicazione
sul grado di omogeneità/eterogeneità.
Il problema può venire superato utilizzando un secondo indicatore, il cosiddetto rapporto di correlazione (RC),
che misura l'incidenza del fatturato attribuibile a un gruppo di attività correlate sul fatturato totale.
Sulla base dei valori assunti da questi due indicatori si possono definire quattro categorie di impresa
diversificata, le cosiddette categorie di Rumelt :
RS > 0,95 Impresa monosettoriale
0,7 < RS < 0,95 Impresa poco diversificata (settore dominante)
RS < 0,7 e RC > 0,7 Impresa diversificata in settori correlati
RS < 0,7 e RC < 0,7 Impresa diversificata in settori conglomerati

Forme e modalità di attuazione della diversificazione produttiva


Si possono distinguere le seguenti forme di diversificazione sulla base del grado di omogeneità esistente tra le
nuove linee di prodotto oggetto della diversificazione e quelle preesistenti:
• diversificazione eterogenea: i nuovi settori non presentano alcun grado di interrelazione con quelli
vecchi. A seconda che poi l'impresa che diversifica si concentri su un settore particolare o meno, si
distingue in:
◦ d.e. con linea di produttiva dominante: prevalenza operativa in un settore al quale è associato il
marchio
◦ d.e. conglomerale: impresa opera in settori non correlati senza avere un settore prevalente
• diversificazione correlata (o omogenea): i nuovi settori presentano stretti rapporti di omogeneità con i
settori vecchi. A seconda del tipo di correlazione si distingue in:
◦ d.c. dal lato della tecnologia: stesse competenze tecnologiche
◦ d.c. dal lato del marketing: stesse competenze di marketing
◦ d.c. dal lato della R&S: stesse competenze nell'area di ricerca e sviluppo
La classificazione appena esposta si basa sul grado di familiarità delle nuove attività rispetto a quelle
preesistenti, e di conseguenza sulla possibilità di sfruttare risorse e competenze già acquisite nelle nuove (alta
per la diversificazione correlata, bassa per la diversificazione eterogenea).
Quando l'entrata in un nuovo settore è seguita da un abbandono della vecchio settore di attività si parla di
riconversione, un'opzione strategica che si caratterizza per una vera e propria metamorfosi dell'attività svolta
dall'impresa. La riconversione si basa essenzialmente su una logica difensiva, ovvero di fuga da un settore il cui
clima competitivo è diventato insostenibile, differentemente dalle strategie di diversificazione, tipicamente
impostate intorno ad una logica offensiva, quale quella di estendere le dimensione aziendali o superare i limiti
del vecchio settore di attività (oppure ancora acquisire vantaggio competitivo da “trasferire” sul vecchio settore
di attività).
Per quanto riguarda le modalità di attuazione della diversificazione, si distingue fra:
• diversificazione per vie esterne: viene realizzata attraverso l'acquisizione di capacità produttive e di
vendita già sviluppate da altre imprese, come partecipazione di controllo, fusione in senso proprio,
fusione per incorporazione oppure ancora dell'acquisizione di uno o più rami d'azienda di un'altra
impresa
• diversificazione per vie interne: viene realizzata attraverso attività di autostrutturazione interna
finalizzata alla creazione di proprie capacità produttive e di vendita, da utilizzare successivamente per
operare nei settori oggetto della diversificazione
• diversificazione per modalità collaborative: lo sviluppo diversificato dell'impresa non avviene in modo
autonomo ma attivando forme di collaborazione con altre imprese. Ciò è opportuno quando risorse e
competenze di due imprese risultano complementari rispetto alle necessitò del business oggetto di
diversificazione, e si crea quindi una joint venture fra di esse per entrare nel nuovo settore
In generale si nota come le vie esterne sono particolarmente idonee per le forme di diversificazione eterogenea
(capacità e risorse di settori non familiari non si possono autostrutturare), mentre conseguentemente le vie
interne sono idonee per le forme di diversificazione correlata, sopratutto nei casi di correlazione dal lato della

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tecnologia produttiva. Anche le modalità collaborative, per gli stessi motivi, sono indicate sopratutto per i casi di
diversificazione correlata.
Determinanti specifiche dei processi di diversificazione eterogenea
Le determinanti della diversificazione si possono raggruppare secondo le diverse forme di diversificazione.
Per quanto riguarda i processi di diversificazione eterogenea, queste sono:
• ricerca di riduzione del rischio di fallimento dell'impresa: attuata attraverso una ripartizione del rischio
totale d'impresa tra diverse aree di business che presentano tassi di redditività tra loro indipendenti, o
anche negativamente correlati (si compensano gli andamenti negativi di alcuni settori con quelli positivi
di altri)
• opportunità di formazione del “mercato finanziario interno”: nelle imprese presenti in settori tra loro
eterogenei è normale trovare aree di business che producono risorse finanziarie (es. in “cash cows”) e
altre che presentano un alto fabbisogno finanziario e assorbono risorse finanziarie (es. in “question
mark” o “star”), allora in questi contesti la gestione finanziaria centralizzata delle risorse permette di
minimizzare il ricorso al finanziamento esterno, tramite trasferimenti interni tra aree di business, con
conseguenti vantaggi in termini di economicità e velocità di copertura dei fabbisogni
• opportunità di formazione del “mercato interno del lavoro”: specularmente alla determinante
precedente, alcune aree di business possono presentare esuberi di personale, mentre altre fabbisogni di
personale da coprire, allora una gestione centralizzata del personale permette di minimizzare il ricorso al
mercato esterno del lavoro, con vantaggi in termini di costi, efficacia nella selezione del personale e
velocità di copertura di esigenze di personale nelle varie divisioni
• rispetto della normativa antitrust: se un'impresa detiene un elevato potere di mercato nel suo core
business, ulteriori processi di crescita nel settore, o in settori correlati, potrebbero essere sanzionati dagli
organismi pubblici posti a controllo della concorrenza. Allora il vertice imprenditoriale si trova in una
certa misura “obbligato” a scegliere una diversificazione eterogenea, una sorta di opzione second best
rispetto agli obiettivi precedenti di crescita del sistema
Studi sul fenomeno della diversificazione eterogenea hanno evidenziato che si ottengono solitamente risultati
reddituali mediamente inferiori rispetto a quelli conseguibili con la diversificazione correlata, probabilmente a
causa della difficoltà dell'organo imprenditoriale di dominare e coordinare aree di business così diverse.
Capitolo a parte merita la cosiddetta “teoria dell'agenzia”, concetto legato sopratutto alla prima determinante
della diversificazione eterogenea: la riduzione del rischio specifico di impresa. La teoria dell'agenzia afferma
che la motivazione della riduzione del rischio interessa non tanto la proprietà quanto il vertice imprenditoriale.
Questo perché:
• gli azionisti non hanno particolare interesse verso processi di diversificazione, in quanto per ridurre il
rischio associato alla loro partecipazione possono diversificare il loro portafoglio azionario fra imprese
operanti in settori diversi
• i soggetti che compongono il vertice imprenditoriale non possono ovviamente diversificare un impegno
lavorativo, e per questo sono più interessati a ridurre il rischio di fallimento dell'impresa, con la
conseguente perdita del posto di lavoro
In generale la teoria dell'agenzia interpreta il rapporto fra proprietà e management come un contratto di agenzia,
in base al quale la proprietà incarica il management di svolgere in nome e per conto suo e con un certo grado di
autonomia l'attività di governo dell'impresa, dietro corrispettivo. Essa sviluppa poi i problemi che potrebbero
sorgere nel caso che il management, in condizioni di asimmetria informativa, sfrutti la propria posizione in
maniera opportunistica, prendendo decisioni finalizzate a soddisfare propri interessi personali. La proprietà
dovrà allora sostenere “costi di agenzia”: costi connessi dall'adozione di comportamenti scorretti da parte del
management e costi inerenti ad attività di supervisione e controllo dell'operato del management.
Determinanti specifiche dei processi di diversificazione omogenea
Le determinanti di un processo di diversificazione omogenea sono:
• possibilità di sfruttare risorse e competenze ridondanti: la presenza, la ridondanza, di risorse in
eccesso (rispetto alle esigenze reclamate dai settori di attività) provoca la decisione di implementare
processi di diversificazione correlata, specie se è possibile sfruttare economie di scopo, ovvero utilizzare
una stessa risorsa per ottenere due o più prodotti diversificati (risorse e competenze di marketing, di
R&S o risorse e competenze attinenti alle tecnologie di produzione)
• superamento di situazioni di debolezza economica non temporanea nei vecchi settori di attività: spesso
connesse al declino del settore o alla presenza di una situazione competitiva sfavorevole, cosa che si
traduce in una diversificazione omogenea solo “momentanea” in quanto spesso l'impresa esce
completamente dal settore, implementando allora un vero e proprio processo di riconversione Lo

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sfruttamento delle risorse e competenze maturate nel settore in declino verso settori omogenei consente
si limitare le perdite di patrimonio di conoscenze storico acquisito nel tempo, e non altrimenti
valorizzabile
Determinanti comuni a tutte le forme di diversificazione
Infine, le determinanti comuni a tutte le forme di diversificazione sono:
• la possibilità di sfruttare evidenti opportunità di redditività entrando in un nuovi settore
• la crescita dimensionale: in situazioni di separazione fra proprietà e vertice imprenditoriale,
quest'ultimo persegue interessi personali e di potere, tendendo a privilegiare obiettivi di crescita
dell'impresa anche se incompatibili con la massimizzazione della redditività
• incrementare il potere di mercato: tramite dumping predatorio (utilizzare le risorse finanziarie
generate per combattere battaglie di prezzo in un settore per volta, fino a piegare la concorrenza) o
tramite politiche di mutuo supporto, ovvero la possibilità di stringere poi accordi “di cartello” fra
imprese molto diversificate che si confrontano in numerosi settori diversi, per evitare rappresaglie a
catena sui mercati, conflitti concorrenziali, e per mantenere un oligopolio nel mercato

La strategia concorrenziale
L'ultimo insieme di decisioni di natura strategica in senso stretto riguarda la strategia concorrenziale, che
comprende tutte le decisioni relative al modo in cui l'impresa affronta la concorrenza nell'ambito dell'area di
attività prescelta
Le prime considerazioni che si possono fare riguardano la possibilità di porre in essere azioni di prevenzione
del conflitto concorrenziale, quali:
• evitare l'ingresso di nuovi concorrenti, meditane barriere all'entrata di varia natura
• evitare il conflitto con i concorrenti già presenti all'interno del settore, mediante accordi tra imprese
concorrenti
Si può poi percorrere la strada di azioni di elusione del conflitto concorrenziale, perseguendo una strategia di
mercato di nicchia, individuando un piccolo segmento del mercato con particolarità specifiche e concentrare
l'attenzione solo su di esso.
Se non si può evitare il conflitto competitivo, l'impresa deve compiere azioni concorrenziali sul prodotto
finalizzate all'ottenimento del vantaggio competitivo (strategia competitiva in senso stretto), tramite:
• miglioramento della qualità tecnica del prodotto (ricerca dell'insostituibilità)
• migliorando la qualità-immagine del prodotto (ricerca dell'insostituibilità)
• riducendo il prezzo del prodotto (ricerca della resistenza economica)
Strategie competitive
L'impresa deve ricercare una strategia competitiva globale, intesa come ricerca di una posizione competitiva
favorevole, redditizia e sostenibile nel tempo, in un certo settore industriale. La scelta di strategia competitiva
globale si fonda su due gruppi di fattori ugualmente rilevanti, dinamici e modificabili:
• i fattori che determinano il grado di attrattività del settore, ovvero la redditività mediamente
conseguibile operando nel settore per un periodo non breve di tempo
• le determinanti della posizione competitiva relativa all'impresa
L'analisi strategica distingue fra due livelli di strategie:
• strategia a livello di “corporate”: o anche strategie globali o complessive, comprende l'insieme delle
decisioni finalizzate all'allocazione delle risorse fra i diversi business e tra i diversi settori in cui
l'impresa opera, nonché le decisioni finalizzate alla scelta vera e propria dei settori in cui operare, del
grado di diversificazione e del grado di integrazione verticale
• strategia a livello di business: comprende la strategia competitiva in senso stretto, riferita cioè a una
determinata area di business (insieme delle decisioni/azioni finalizzate ad ottenere vantaggio
competitivo in quella specifica area di business)
Analisi di attrattività di un settore industriale
L'attrattività, redditività potenziale, di un settore industriale dipende dalla sua struttura, rappresentata
tipicamente attraverso il livello quali-quantitativo assunto da cinque forze competitive settoriali, identificate da
Porter, la cui intensità varia da settore a settore. Quando l'intensità di tali forze è elevata, la redditività media del
settore è bassa, e viceversa.
Le cinque forze competitive sono:
• concorrenza dei prodotti sostitutivi

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• concorrenza dei “nuovi entranti”


• concorrenza tra imprese consolidate (concorrenti)
• potere contrattuale dei fornitori
• potere contrattuale dei clienti
Si elencano adesso i fattori alla base dell'analisi strutturale di settore secondo Porter.
La concorrenza dei prodotti sostitutivi incide sulla elasticità della domanda rispetto al prezzo, poiché abbassa il
prezzo massimo che i consumatori sono disposti a pagare per il prodotto, influendo negativamente sul grado di
attrattività del settore. L'influenza dei prodotti sostitutivi dipende: dalla propensione dei consumatori nei
confronti dei prodotti sostitutivi e dal livello relativo dei prezzi dei prodotti sostitutivi.
La concorrenza dei “nuovi entranti” incide sull'attrattività del settore in funzione dell'esistenza o meno di
barriere all'entrata. Le principali categorie di barriere all'entrata sono: il fabbisogno di capitali necessario per
iniziare l'attività, economie di scala (nei settori dove le economie di scala solo intense, l'economicità si
raggiunge solo attraverso produzioni fatte su vasta scala), vantaggi di costo indipendenti dal volume di
produzione (economie di esperienza), differenziazione del prodotto , accesso privilegiato ai canali di
distribuzione, barriere legali, minacce di ritorsione dei concorrenti. Ovviamente l'efficacia delle barriere
all'entrata dipende dalle risorse di cui possono disporre i potenziali nuove entranti e della propensione di questi
per adottare strategie competitive innovative rispetto a quelle adottate dalle imprese consolidate, andando a
conquistare settori di mercato lasciati “scoperti” dalle imprese consolidate.
La concorrenza fra imprese consolidate è il fattore che incide in maniera più significativa sul livello di
redditività della maggior parte dei settori, attraverso: il grado di concentrazione del settore, il grado diversità dei
concorrenti, il grado di differenziazione del prodotto, l'esistenza di capacità produttive in eccesso, l'esistenza di
barriere all'uscita (costi sommersi, fattori legali, vincoli psicologici), la struttura di costo che caratterizza le
imprese consolidate (se ad esempio le imprese perseguono elevate economie di scala e dunque economie di
saturazione, ci sarà la propensione a battaglie di prezzo per massimizzare il volume di vendite, quindi quello di
produzione, e ottenere la riduzione dei costi unitari per le suddette economie).
Il potere contrattuale degli acquirenti (consumatori finali, imprese di distribuzione, ecc.) influisce sul livello
medio dei prezzi di vendita, in funzione di: sensibilità al prezzo degli acquirenti (incidenza del costo del
prodotto sui costi totali dell'acquirente, dimensione media in valore degli acquisti dell'acquirente, gradi di
differenziazione dei prodotti, livello di intensità competitiva), potere contrattuale relativo (dimensione media
delle imprese del settore rispetto a quella degli acquirenti, grado di concentrazione del settore rispetto al grado
degli acquirenti, completezza delle informazioni di mercato possedute dagli acquirenti).
Il potere contrattuale dei fornitori influisce sul livello medio dei prezzi di acquisto, e quindi sulla redditività del
settore, in funzione degli stessi fattori sopra analizzati, rielaborati ovviamente dal punto di vista dei fornitori.
È dunque la struttura complessiva del settore, struttura settoriale, a determinare la redditività di un settore, e non
certo altri elementi magari più intuitivi, quali la complessità tecnologica del prodotto (i settori ad alta tecnologia
possono non essere i più redditizi), i prezzi unitari o la soddisfazione dei clienti.
Allora, il concetto di struttura settoriale permette di superare le valutazioni di redditività basate sulla relazione
fra domanda e offerta, perché approfondisce le relazioni fra le forze competitive e la domanda/offerta di
mercato. Conoscere gli elementi che stanno alla base della struttura del settore è fondamentale anche dal punto
di vista di una possibile modifica di alcuni di questi elementi da parte dell'impresa (specie le imprese più
importanti possono incidere maggiormente), verso una struttura favorevole. Un'impresa leader lungimirante,
consapevole della struttura settoriale, formula decisioni strategiche consapevole dell'impatto sul settore, in un
ottica di lungo periodo, orientandosi verso il mantenimento della posizione competitiva di leader, ma anche di
una “salute” del settore nel suo complesso.
Il concetto di vantaggio competitivo
Per vantaggio competitivo si intende la capacità di un'impresa di ottenere in modo continuativo una redditività
superiore a quella dei suoi diretti competitori. Perché esista tale capacità, l'impresa deve essere in grado di creare
per i suoi clienti un valore differenziale rispetto ai concorrenti Esso può venire dall'offrire prodotti analoghi a
quelli della concorrenza a prezzi più bassi, oppure offrire prodotti con caratteri (qualità tecnica, qualità-
immagine, ecc.) unici e particolarmente apprezzati dai clienti.
Il vantaggio competitivo è allora una capacità distintiva che posiziona l'impresa in una posizione competitiva
protetta dalla mutabilità dell'ambiente esterno. Tale vantaggio deve essere: significativo, sostenibile e sfruttabile
in tempi non eccessivamente lunghi (traducibile in valore). Come detto, il vantaggio competitivo rappresenta
l'obiettivo specifico della strategia competitiva a livello di business.
Le categorie per perseguire un vantaggio competitivo sono:
• vantaggio competitivo di costo: si offre il prodotto a prezzi più bassi della concorrenza, e questo dal

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momento che si è riusciti a mantenere un livello di costi operativi unitari inferiore a quello della
concorrenza:
◦ nell'intero settore: leadership di costo
◦ in un solo segmento: focalizzazione sui costi
• vantaggio competitivo da differenziazione: si differenzia il proprio prodotto in maniera unica rispetto
alla concorrenza, così che i clienti siano disposti a pagare un “premium price”, un prezzo più elevato,
pur di acquistarlo:
◦ nell'intero settore: differenziazione
◦ in un solo segmento: focalizzazione sulla differenziazione
Per quanti riguarda la leadership di costo, essa funziona se l'impresa è in grado di mantenere una situazione di
parità o quasi per quanto riguarda la differenziazione del prodotto, rispetto alla concorrenza, per non azzerare il
vantaggio competitivo. Un'impresa che scelga una strategia di leadership di costo, ovvero sull'intero settore,
deve essere effettivamente il leader, e non essere in competizione di costo, pena il rischio di pericolose “guerre
di prezzi”.
Anche per quanto riguarda la differenziazione, parallelamente l'impresa deve conseguire una situazione di
prossimità rispetto alla posizione di costo.
Porter sottolinea l'importanza di posizionarsi chiaramente rispetto alle alternative di base per ottenere vantaggio
competitivo, per evitare di ritrovarsi in una situazione intermedia in cui non si riesce a conseguire vantaggio.
Tuttavia negli ultimi decenni questo assunto ha perso validità, poiché i fatti hanno dimostrato l'esistenza di
imprese che sono riuscite a mantenere ottimi risultati sia in termini di differenziazione sia in termini di
ammontare di costi unitari, quella che viene definita complessità competitiva bipolare, orientata al
perseguimento contemporaneo di vantaggio di costo e di differenziazione.
Per concludere, la strategia di base perseguita, per essere sostenibile nel tempo, deve essere:
• difficilmente imitabile da parte della concorrenza
• difficilmente attaccabile da altre strategie di base: perché come detto leadership di costo e
differenziazione sono due alternative opposte, se ad esempio aumenta la sensibilità al prezzo da parte
della clientela, la differenziazione è fortemente minata
• accompagnata dalla capacità di mantenere una situazione quantomeno di prossimità per quanto riguarda
la posizione di costo o di differenziazione, se adottata la strategia opposta
La centralità del concetto di vantaggio competitivo indusse Porter a sottolineare come esso dovesse
rappresentare l'elemento cardine del piano strategico di impresa. Spesso il vantaggio competitivo viene
sottovalutato a scapito della quota di mercato, che viene posta come principale obiettivo strategico, senza
comprendere che essa è l'effetto, eventuale, del conseguimento di vantaggio competitivo.
Fonti “tradizionali” del vantaggio competitivo
Le fonti vantaggio competitivo sono principalmente:
• per il vantaggio competitivo di costo:
◦ economie di apprendimento: riduzione del costo unitario del valore aggiunto prodotto
all'aumentare della produzione cumulata, attraverso lo sviluppo ed il consolidamento di routine
organizzative
◦ economie di scala: riduzione del costo unitario attraverso l'incremento della scala di produzione,
ovvero il livello di capacità produttiva. Le economie di scala si manifestano in ragione di:
▪ caratteri di invisibilità di certi input, il cui costo allora può venire ripartito su volumi elevati di
output
▪ relazioni tecniche fra input e output (container – merci trasportate)
▪ caratteri di crescente specializzazione attraverso la divisione del lavoro tra le varie fasi del
processo materiale
◦ tecnologie di processo innovative: minore quantità di input a parità di output
◦ riprogettazione del prodotto o del processo: diminuzione del costo unitario di produzione
◦ gestione efficace di approvvigionamenti di materie prime e servizi
◦ disponibilità di manodopera a costi contenuti
◦ economie di saturazione: riduzione del costo unitario per ripartizione di costi fissi di un impianto
produttivo sul numero massimo di prodotti realizzabili nell'unità di tempo, aumento dei volumi
produttivi nell'ambito di una determinata capacità produttiva, ottica di breve periodo

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◦ economie di scopo: la fonte di vantaggio competitivo di costo più associata alle decisioni
strategiche di livello corporate, possibilità per le imprese multiprodotto di utilizzare uno stesso input
per la produzione di output diversi
• per il vantaggio competitivo da differenziazione:
◦ unicità sui caratteri di qualità tecnica
◦ unicità sui caratteri di qualità-immagine
Elencare tutte le fonti di vantaggio competitivo da differenziazione risulterebbe impossibile, perché
sono teoricamente illimitati i modi con cui un'impresa può conferire al prodotto dei caratteri di
unicità. Esse rivestono praticamente tutte le aree funzionali di impresa: marketing, produzione,
approvvigionamento, finanza, gestione del personale, area R&S, ecc.
Un'impresa in grado di segmentare correttamente il mercato può poi correttamente focalizzarsi, o, se
la segmentazione è particolarmente omogenea, decidere per una strategia di ampio settore, e quindi
perseguire una differenziazione seguendo le esigenze dei clienti.
Le “nuove fonti” di vantaggio competitivo
Negli ultimi anni si stanno affermando delle fonti non tradizionali associate al vantaggio competitivo.
Una di queste è la capacitò di accesso alle conoscenza scientifiche generali ed astratte, ovvero la capacità di
generare innovazioni di prodotto o di processo. Il fenomeno nuovo è la capacità di sviluppare conoscenze
scientifiche attraverso una logica deduttiva, che parte da principi scientifici generali, in sostituzione alla
tradizionale logica induttiva, che scaturiva da numerose sperimentazioni empiriche in laboratorio, con alti costi
di R&S. Importante è anche la capacitò relazione non competitiva.
Un altro esempio di nuova fonte è la capacitò di accesso alle nuove tecnologie dell'informazione e della
comunicazione, di cui internet è un chiaro esempio.
Per finire, recentemente si è assistito a un incremento progressivo della concorrenza, per la globalizzazione dei
mercati e per la turbolenza tecnologica, che ha portato le imprese a porsi come obiettivo un vantaggio
competitivo basato sulla differenziazione, poiché sempre più spesso la leadership di costo è aggredibile da
imprese operanti in paesi con un basso costo del lavoro.
Il ruolo della catena del valore per valutare il potenziale del vantaggio competitivo
Per individuare le fonti di vantaggio competitivo sulle quali poi puntare, occorre che l'imprenditore effettui un
analisi delle risorse e delle competenze dell'impresa. La catena del valore è lo strumento imprenditoriale che
consente di classificare, sulla base di criteri di omogeneità/disomogeneità strategica e tecnologica, le attività
generatrici di valore di un'impresa. Questo modello di catena generica del valore individua:
• cinque categorie di attività primarie generatrici di valore, che sono ricollegabili alle diverse fasi di cui
si compone il processo materiale:
◦ logistica in entrata: input acquistati all'esterno che entrano nell'impresa
◦ attività operative: trasformazione dell'input nel prodotto finale
◦ logistica in uscita: distribuzione e collocamento dell'output sul mercato
◦ marketing e vendite: attività finalizzate a promuovere l'acquisto del prodotto
◦ servizi: attività che forniscono servizi al cliente per migliorare o mantenere il valore del prodotto
• quattro categorie di attività di supporto alle attività primarie:
◦ attività infrastrutturali (input informativi): amministrazione, finanza, ecc.
◦ gestione delle risorse umane
◦ sviluppo della tecnologia (input tecnologici): sviluppo tecnologie di processo e di prodotto
◦ approvvigionamento
Infine si definisce “margine” la differenza fra valore generato dall'impresa (fatturato annuo totale) ed il costo
complessivo sostenuto per eseguire le diverse attività generatrici di valore.
La catena del valore rappresenta un modello di analisi finalizzato a individuare le competenze chiave
dell'impresa, quelle che la posizionano in modo favorevole rispetto ad una o più fonti di vantaggio competitivo
Il modello di Porter prevede che si proceda a ricostruire la catena del valore specifico dell'impresa, dell'unità di
business, disaggregando le attività generiche in specifiche sub-attività, delimitate in moto che presentino un
elevato grado di omogeneità interna in termini strategico/tecnologici (raggruppando attività caratterizzate da
determinanti o di differenziazione omogenee), o in generale in termini di determinanti rilevanti del vantaggio
competitivo. Occorre quindi imputare alle diverse sub-attività i costi e gli investimenti sostenuti per
implementarle, individuando poi per ciascuna i fattori che determinano i costi e/o l'unicità del prodotto. Infine è
necessario individuare i legami tra le diverse sub-attività della catena del valore che influenzano i costi e il

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potenziale dii differenziazione di altre sub attività: ottimizzare questi collegamenti in funzione del vantaggio
competitivo è molto difficile ma porta a importanti vantaggi. È importante anche individuare i collegamenti
“verticali” ovvero i collegamenti tra la catena del valore dell'impresa e quelle dei clienti e fornitori “in diretto
contatto” con l'impresa, utile per ricostruire anche una complessiva rete di relazioni verticali tra catene del
valore fino a arrivare al consumatore finale del prodotto, a valle, e alle fasi iniziali della filiera produttiva, a
monte. Il vantaggio competitivo va dunque valutato con riferimento alla complessiva catena del valore della
filiera produttiva nell'ambito della quale l'impresa è inserita. Lo stadio finale è individuare il potenziale di
riduzione dei costi e/o incremento di differenziazione ottenibile agendo sui fattori e sui collegamenti appena
individuati. Non secondario è il confronto delle capacità in termini di costi unitari e grado di differenziazione
ottenibile in ogni sub-attività rispetto a quelle che caratterizzano la stessa sub-attività nell'ambito delle imprese
concorrenti che risultano leader nello svolgimento di quella specifica sub-attività (benchmarking competitivo).
L'analisi della catena del valore richiede il supporto di moderne tecniche di controllo gestionale che superino i
limiti della contabilità analitica (che non coglie le interdipendenze fra i costi), quale l'”activity based
management”.
Porter sottolinea infine che il ragionamento sulla “catena del valore” aiuta anche a prendere decisioni inerenti
alla definizione del business, evidenziando in particolare l'impatti sulla catena di quattro dimensioni dell'ambito
competitivo:
• approccio del segmento di mercato (focalizzato o a ampio raggio): permette di adattare la catena del
valore sui bisogni del segmento specifico, o sfruttare le interrelazioni fra catene del valore di segmenti
diversi
• ambito del grado di integrazione verticale: poiché le scelte in merito all'integrazione possono ora essere
lette come finalizzate ad ottimizzare i collegamenti verticali tra catene di valore di stadi diversi
• ambito geografico: a seconda dell'omogeneità o meno dei bisogni generati dal mercato
• ambito settoriale: le scelte in termini di quali settori operare, diversificazione, possono essere
interpretate come finalizzate ad ottimizzare i collegamenti tra catene del valore di settori produttivi
diversi. La diversificazione sarà allora incentivata fino a che questi collegamenti generano benefici in
termini di costi e/o di differenziazione superiori ai “costi” di coordinamento di catene di valore
comunque distinte e diverse
I vantaggi derivanti da una definizione di un ampio ambito competitivo possono essere ottenuti anche tramite
l'attivazione di collaborazioni di lungo periodo, di tipo collaborativo o contrattuale, sfruttando così una sinergia
di catene di valore senza dover sostenere gli investimenti necessari per l'entrata in un nuovo segmento, settore,
mercato.
Da sottolineare infine come la catena del valore riveste un ruolo importante ai fini della progettazione della
struttura organizzativa, e che fra struttura del settore e catene del valore delle imprese in esso operanti si
stabiliscano delle modifiche reciproche.
Contributo della “Resource Based View Theory” (RBVT) alla comprensione del vantaggio competitivo
Come detto, le fonti di vantaggio competitivo hanno natura sia interna che esterna. In realtà studi recenti hanno
dato maggiore rilevanza ai soli fattori esterni, sviluppando il paradigma della “struttura-comportamenti-
performance”, in base al quale la struttura del settore determina i fattori chiave del successo, le condotte
finalizzate ad ottenere un posizionamento favorevole, nonché le stesse performance reddituali ottenibili. Tuttavia
questo paradigma è in grado di fornire spiegazione valide solo ex post, senza comprendere i meccanismi in base
ai quali le imprese potranno eventualmente mantenere vantaggi competitivi.
Per valutare se esistano meccanismi di creazione del valore valutabili ex ante, la risposta è da trovarsi nella
Resource Based View Theory, ovvero nel ricercare le determinanti di base per la realizzazione del vantaggio
competitivo nelle risorse e competenze di cui l'impresa dispone, ponendo quindi l'attenzione sulle fonti interne
di vantaggio competitivo, assets tangibili, intangibili ed umani a disposizione dell'impresa. La RBVT colloca
allora le competenze distintive alla base della generazione di vantaggio competitivo, ovvero intendendo la
capacità dell'impresa di svolgere meglio certe attività rispetto ai concorrenti (costi unitari minori e/o qualità più
elevata). Le risorse e competenze diventano allora realmente “distintive”, utili all'ottenimento ed al
mantenimento del vantaggio competitivo, solo se sono:
• scarse: rare o addirittura uniche, possedute solo da quell'impresa
• non sostituibili: e quindi rare non solo nella forma ma anche nella funzione di soddisfazione del bisogno
• non riproducibili: ovvero protette dall'imitazione
• non trasferibili: ovvero riferibili specificatamente a quella impresa, non monetizzabili
• durevoli: nonostante la turbolenza tecnologica
Ma anche l'approccio tramite RBVT rischia di essere inconcludente perché basato sull'analisi ex post delle

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catene del valore delle imprese leader nel gioco competitivo. Si deve porre allora l'accento sullo strategic intent
del management, ovvero sulla capacità di selezionare, coordinare, cumulare le risorse e le competenze critiche,
giungendo ad una sorta di “metacompetenza”, di carattere cognitivo, come ultima fonte del vantaggio
competitivo. Si sposta l'applicazione della resource based ad una concettualizzazione della impresa come
sistema cognitivo, ovvero come sistema che funziona sulla base del proprio patrimonio di risorse di conoscenza,
ovvero con importanza agli schemi cognitivi del management, alle sue capacità percettive dell'ambiente esterno,
di apprendimento e progettuali. L'approccio appare più convincente perché si comprende come i meccanismi
attraverso i quali si realizzano i processi di affermazione del vantaggio competitivo passino dalla proiezione
dell'analisi in un'ottica dinamica. Appare allora come gli spazi di affermazione di vantaggio competitivo sono
tanto più ampi quanto più intensi sono i cambiamenti del gioco competitivo, che impattano in modo asimmetrico
sulle potenzialità di singole imprese operanti in un certo settore, dato che ognuna è caratterizzata da un mix
proprio di risorse e competenze, e quindi una diversa capacità di poter “sfruttare” a proprio vantaggio i
cambiamenti per convertirli in vantaggio competitivo.

Capitolo 4 – Le decisioni organizzative


Data la complessità delle attività svolte dal sistema operativo, il vertice imprenditoriale deve perseguire
un'attenta definizione si struttura organizzativa idonea a supportare le decisioni strategiche e gestionali che
vengono assunte. In particolare la funzione organizzativa dell'organo imprenditoriale si esplica attraverso le
attività di:
• progettazione della macro-struttura organizzativa: criteri di divisone del lavoro, individuazione delle
unità organizzative e delle loro funzioni, divisione del lavoro, coordinamento
• progettazione della micro-struttura organizzativa: definizione dei ruoli delle persone che operano
nell'ambito di ogni unità organizzativa, e la coordinazione dei ruoli
Si affronteranno ora i due modelli più basilari dii struttura organizzativa: la struttura multifunzionale e quella
multidivisionale. I due modelli si differenziano per il criterio di divisione orizzontale del lavoro “direttivo”
adottato al livello subito inferiore al vertice imprenditoriale. Entrambi i modelli soddisfano esigenze diverse, e
hanno i loro vantaggi e svantaggi
Struttura multifunzionale
Nella struttura multifunzionale la divisione del lavoro è effettuata secondo il criterio delle “funzioni”: i poteri
decisionali delegati al “responsabile di funzione” sono limitati ad una specifica area funzionale, facendo
rimanere al vertice imprenditoriale la prerogativa di prendere decisioni strategiche in senso stretto, sia decisioni
funzionali con rilievo strategico.
Si presenta dunque una situazione di forte limitazione funzionale alle deleghe, per questo si parla anche di
struttura multifunzionale “accentrata”.
Il vantaggio principale della struttura multifunzionale è in ultima analisi l'elevata specializzazione delle risorse e
delle competenze: la divisione del lavoro per specifiche aree funzionali permette di sviluppare effetti di
apprendimento e routinizzazione, così da ottenere vantaggi in termini di efficienza dei processi operativi. Le
direzioni funzionali si configurano come centri di costo e centri di ricavo, così che i centri direzionali
manageriali sono orientati al contenimento del costo o all'ottenere ricavo, piuttosto che focalizzarsi sul profitto.
Lo svantaggio principale è appunto una divergenza di comportamento e di obiettivi, così che si generano
conflitti. Al crescere delle dimensioni di impresa, la complessità della struttura organizzativa cresce, generando
fenomeni di perdita di controllo (che peggiorano la qualità dei flussi informativi) e fenomeni di sovra lavoro del
vertice, costretto a intervenire con continue attività di coordinamento fra direzioni funzionali.
La struttura multifunzionale è adatta alle imprese che adottano strategie monosettoriali, perché consente di
sfruttare al massimo i vantaggi della specializzazione.
Struttura multidivisionale
Nella struttura multidivisionale la divisione del lavoro direzionale è effettuata secondo più criteri:
• prodotto
• mercato come ambito geopolitico
• mercato come segmento di utenza servito
Ogni divisione poi è a sua volta organizzata in modo funzionale: da ogni direttore di divisione dipendono le
diverse aree funzionali. I criteri allora tendono a essere fondati sui caratteri dell'output dell'attività di impresa
piuttosto che su base funzionale.
La scelta del modello divisionale pone per il vertice imprenditoriale il problema di definire e gestire i
meccanismi di coordinamento tra le divisioni, il grado di autonomia decisionale ed i criteri di allocazione delle
risorse finanziarie tra le diverse divisioni.

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L'utilizzo di un criterio di divisione del lavoro fondato sui caratteri dell'output consente la creazione di
meccanismi di responsabilizzazione centrati sul profitto e non unicamente su costi o su ricavi. I manager di
divisione sono responsabili infatti sia dell'input sia dell'output per quanto riguarda l'area di business di loto
competenza. Sono quindi dotati di una maggiore autonomia decisionale rispetto ai manager di funzione
(struttura multidivisionale decentrata), e sono quindi responsabilizzati dal vertice imprenditoriale per quanto
riguarda il risultato complessivo della loro gestione (sono quindi “centri di profitto”).
L'allocazione delle risorse finanziarie disponibili tra le diverse aree di business avviene sulla base dei risulti
economici conseguiti, e responsabilizza quindi ancora di più i manager a ottenere buoni risultati.
La struttura multidivisionale è adatta a gestire contesti aziendali complessi, e la sua efficacia è condizionata dal
grado di diversificazione della produzione, che, aumentando, pone sì problemi di coordinamento fra le diverse
aree funzionali, ma maggiormente superabili per la maggiore “flessibilità” della struttura multidivisionale
rispetto alla multifunzionale.
Un altro vantaggio è la riduzione di carico di lavoro, per l'elevata autonomia delle divisioni e un flusso
informativo più snello (trasmettono solo i risultati di sintesi) verso il vertice imprenditoriale, chiamato ad
assumere decisioni strategiche e non decisioni operative (che spettano alle divisioni). Inoltre, i manager
sviluppano competenze imprenditoriali globali.
Un primo svantaggio della struttura multidivisionale è il fatto di dover replicare all'interno di ogni divisione una
struttura multifunzionale, cosa che fa aumentare generalmente i costi di struttura. Secondariamente poi, i
manager di divisione possono essere orientati verso un'ottica di breve periodo, orientata ad un immediato
profitto. Infine, si possono verificare conflitti interni fra divisioni.
La struttura multidivisionale è adatta alle imprese che adottano strategie plurisettoriali, perché consente di
sfruttare al massimo i vantaggi della diversificazione di produzione.
Varianti della struttura multifunzionale
Esistono due varianti importanti della struttura multifunzionale: la struttura organizzativa per progetto e la
struttura organizzativa a matrice.
La struttura organizzativa per progetto varia dalla struttura multifunzionale per l'introduzione di “organi di
progetto” responsabili del coordinamento di tutte le risorse funzionali necessarie a singoli progetti. Questo tipo
di struttura prevede una durata limitata di questi organi di progetto, che sono distaccati dalle direzioni funzionali
di appartenenza solo temporaneamente e fino alla realizzazione del progetto.
È una struttura molto usata nelle imprese impegnate in attività di innovazione/progettazione di nuovi prodotti
complessi su grandi commesse, che esigono un coordinamento sia interfunzionale che intrafunzionale.
La doppia dipendenza gerarchica (dai direttori di progetto e dai direttori di funzione) amplifica le problematiche
di leadership del vertice imprenditoriale.
La struttura organizzativa a matrice è la naturale evoluzione della struttura per progetto, e riguarda imprese che
operano su un numero elevato di progetti anche molto differenti fra loro, che dunque necessitano di una
combinazione e sovrapposizione di poteri e competenze ancora più marcata.

Capitolo 5 – Le decisioni gestionali inerenti la produzione


Si analizzano le decisioni gestionali che hanno per oggetto le attività svolte in specifiche aree del sistema
operativo. Con riferimento alle decisioni gestionali del processo materiale si distingue fra decisioni di
produzione (processo di trasformazione produttiva interno all'impresa) e decisioni di scambio (rapporti fra
sistema operativo e ambiente, decisioni di acquisto e di vendita) che varranno trattate nel capitolo successivo.
Le decisioni inerenti la produzione si articolano in:
• definizione del prodotto
• definizione dei processi produttivi
• scelta del modello di gestione produttiva
• definizione dell'apparato produttivo
• definizione dei livelli di funzionamento
Definizione del prodotto
La definizione del prodotto prosegue il percorso iniziato nell'ambito strategico, e nelle scelte di produzione
riguarda ora la definizione delle caratteristiche specifiche del prodotto.
È necessario allora definire le funzioni di uso del prodotto, il livello di qualità tecnica del prodotto e il grado di
standardizzazione (tanto più elevato quanto più stabili risultano i caratteri dei prodotti realizzati), il calcolo del
costo industriale unitario di produzione (materie prime, ammortamento macchinari, personale) per valutare la
convenienza complessiva del processo produttivo

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Quest'ultimo costo potrà essere individuato correntemente quando saranno definiti con precisione gli
investimenti necessari a strutturare la capacità produttiva.
Definizione del processo produttivo
Nella definizione del processo produttivo acquista importanza, come già detto, le decisioni prese in ambito
strategico riguardanti la definizione della tecnologia di processo Bisogna inoltre definire il grado di continuità
del processo produttivo. Si distingue fra:
• processi continui per natura: vengono realizzati attraverso una sequenza di fasi successive svolte senza
soluzione di continuità
• processi resi continui: i processi intermittenti dove sono stati eliminati i punti di discontinuità del
processo produttivo
• processi intermittenti: processi produttivi che per loro natura hanno tempi morti
La definizione del processo riguarda anche la scelta dei procedimenti tecnici specificabili secondo il:
• grado di meccanizzazione: prevalenza del lavoro meccanico su quello manuale, consente di aumentare il
volume di produzione per unità di tempo e talvolta qualità e precisione del prodotto, ma comporta un
incremento dei costi fissi, uno spostamento del BEP e quindi maggiore rigidità economica
• grado di flessibilità produttiva: è tanto più elevato quanto maggiore è la capacità di produrre varianti al
prodotto senza modificare i fattori produttivi, e soddisfare le esigenze di mutevoli segmenti di utenza
• grado di elasticità produttiva: capacità dell'impresa di di variare la quantità di output con limitati effetti
di incremento dei costi unitari di produzione, capacità normalmente acquisita con un processo di
esternalizzazione delle fasi del processo produttivo, trasferendo i costi e i rischi sui fornitori
Scelta del modello di gestione produttiva
Le alternative di scelta del modello di gestione produttiva sono fondamentalmente tre:
• produzione di beni singoli: l'impresa produce di volta in volta un unico prodotto con caratteristiche
tecniche concordate in accordo con il cliente, si può programmare con precisione il prezzo di vendita in
modo da coprire sia i costi variabili che i costi fissi
• produzione in serie (o a lotti): l'impresa produce di volta in volta una serie limitata di beni uguali, su
ordine del cliente, i vantaggi sono di poter produrre solo nel caso in cui la commessa è tale da coprire sia
i costi variabili che i costi fissi
• produzione di massa: l'impresa produce regolarmente ed in modo continuativo un'elevata quantità di
prodotti uguali, programmando il numero da realizzare in base a previsioni sull'andamento della
domanda, è necessaria abilità di marketing per collocare con continuità i prodotti sul mercato
Definizione dell'apparato produttivo
Perché l'impresa presa possa produrre è necessario dotare il sistema operativo delle capacità necessarie per
svolgere il processo produttivo. Sorgono le problematiche di acquisizione dei beni strumentali, dell'assunzione
del personale direttivo ed esecutivo, dell'acquisizione di beni di uso corrente, ovvero specificare correttamente il
livello fisiologico delle scorte di magazzino.
Ma la scelta più importante nell'ambito della progettazione dell'apparato produttivo è certo la definizione del
livello di capacità produttiva del sistema operativo. Esso dovrà essere coerente con le capacità di vendita (e di
approvvigionamento) che possiede l'impresa, pena il sorgere di “costi di insaturazione” o, dall'altra parte,
mancanza di prodotto potenzialmente ancora collocabile.
È importante anche che sia corretta la scelta della localizzazione degli stabilimenti produttivi. Le linee guida
sono principalmente legate all'obiettivo di minimizzare i costi unitari di produzione (paradisi fiscali, zone di
fonti a basso costo, ecc). Per finire, è da considerare anche il livello di sicurezza, sia per il personale dipendente
sia per l'impatto dell'attività produttiva nell'ambiente in cui opera l'impresa, e un sistema di controllo della
qualità, per evitare che i prodotti siano al di sotto degli standard individuati nella definizione del prodotto.
Definizione dei livelli di funzionamento
Infine, l'impresa deve definire correttamente il livello d'uso della capacità produttiva, il grado con cui la capacità
produttiva eventualmente disponibile viene utilizzata in un certo periodo. Si deve quindi predisporre un piano di
produzione annuale, che stabilisce quali e quanti prodotti verranno realizzati nell'arco di tempo, e inoltre definire
i livelli di costi variabili che l'impresa prevede di sostenere per tale programma di produzione.

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Capitolo 6 – Le decisioni gestionali inerenti l'area del marketing


Analizzare le decisioni imprenditoriali inerenti l'area del marketing significa esaminare gli aspetti del governo d
impresa per quanto riguarda la fase di vendita, terza fase, del processo materiale. Si definisce “marketing
aziendale” l'insieme delle attività decisionali, informative ed operative volte ad assicurare il collocamento sul
mercato dell'output, per un certo livello qualitativo desiderato, con continuità nel tempo e con un certo grado di
manovrare tale domanda (potere di mercato).
Alcune decisioni inerenti l'area del marketing hanno rilevanza strategica, e rientrano nelle decisioni strategiche
in senso stretto, ad esempio la definizione di quali segmenti di mercati e quali mercati geografici servire, quali
sotto-funzioni svolgere, con quali prodotti e con quale approccio al mercato (indifferenziato, concentrato o
differenziato) e la definizione degli elementi alla base della strategia competitiva. Si analizzeranno però adesso
le decisioni che non rientrato nell'ambito delle decisioni strategiche in senso stretto.
Politiche primarie
Si analizzano innanzitutto le politiche primarie “con matrice di marketing”, poiché influenti sulle possibilità di
collocamento dell'output sul mercato, ovvero:
• politica dell'immagine aziendale: giudizio di valore sull'impresa espresso da tutti i pubblici aziendali
(anche i concorrenti), la politica corrispondente riguarda la determinazione di criteri e modalità di
comportamento finalizzati a perseguire e conservare la fiducia ed il consenso, per esercitare attrazione
verso i clienti e verso i fornitori. Si attua con un'attenta gestione dei flussi informativi da e verso
l'esterno (ricerche di mercato, pubblicità, pubbliche relazioni,ecc.)
• politica ambientale: attività di di “autodisciplina” del processo materiale, mirata al controllo degli input,
dell'output primario e dell'output secondario che dipende dalle tecnologie di processo utilizzate, che
viene immesso nell'ambiente. La politica ambientale si attua attraverso:
◦ controllo dell'input per evitare sprechi di risorse
◦ controllo dell'output primario per rendere sicuro il prodotto
◦ controllo dell'output secondario per non inquinare o danneggiare l'ambiente
Politiche funzionali
Si esaminano ora i contenuti funzionali tipici dell'area di marketing, soffermandoci sulle seguenti aree
decisionali:
• POLITICA DI MERCATO: le decisioni inerenti la segmentazione del mercato, la scelta di segmenti e
dei mercati geografici, la scelta dell'approccio di mercato, scelta del grado di penetrazione del segmento,
ovvero gli obiettivi prescelti all'interno del segmento
• POLITICA DI PRODOTTO: le decisioni riguardanti
◦ aspetti legati alla gamma e all'assortimento: scegliere quali e quante linee di prodotti offrire
(gamma) e all'interno di una gamma quali e quanti modelli offrire (assortimento)
◦ caratteri del prodotto: qualità tecnica e qualità-immagine
◦ ruolo del prodotto all'interno della gamma, rispetto agli obiettivi strategici dell'impresa:
▪ produzione di reddito
▪ produzione di cash-flow
▪ miglioramento dell'immagine
▪ contribuzione alla copertura dei costi fissi (se margine di contribuzione unitario, differenza tra
prezzo unitario di vendita e costo variabile unitario, è maggiore di zero)
▪ traino per la vendita di altri prodotti
▪ richiamo per l'attenzione dell'utenza
◦ posizionamento rispetto alle percezioni dell'utenza e differenziazione dall'offerta della concorrenza
(analizzato in seguito)
◦ governo delle fasi del ciclo di vita del prodotto:
▪ decisione su interventi modificatori del ciclo ed in quali fasi del ciclo del prodotto
▪ decisione su quanto produrre e vendere il prodotto ed in quali fasi del ciclo del prodotto
▪ formulare previsioni in merito al ciclo, impostare politiche di rinnovamento della gamma
◦ programmazione di nuovi prodotti: per la variabilità delle condizioni concorrenziali
• POLITICA DEL PREZZO: tiene conto di numerose variabili quali:
◦ limite inferiore teorico: il livello che azzera il margine di contribuzione unitario

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◦ ruolo del prodotto (vedi sopra)


◦ limite superiore: il prezzo di mercato dei prodotti concorrenti simili per “valore economico”
attribuito dall'utenza potenziale
◦ ruolo del prezzo:
▪ prezzo di scrematura: segmento di consumatori disposti a pagare un prezzo elevato per avere
l'esclusiva di un prodotto, quindi successiva riduzione del prezzo per soddisfare altri segmenti di
mercato. Politica consigliabile se mercato molto segmentato, prodotto è differenziato e protetto
dalla concorrenza, massimizza i margini unitari di profitto
▪ prezzo di penetrazione: entrata nel mercato con prezzo sufficientemente basso per conquistare
molti segmenti di mercato. Politica consigliabile se i segmenti non sono molti differenziati, ci
sono economie di scala ed il prodotto è facilmente imitabile dalla concorrenza, massimizza i
volumi di vendita
◦ comportamento del consumatore al variare del prezzo (elasticità della domanda)
◦ comportamento della concorrenza (come prezzi ai loro prodotti analoghi)
◦ costi e ricavi “indiretti”: indotti dalla produzione o vendita del prodotto (costi di inquinamento
ambientale e ricavi da indotto)
• POLITICA PROMOZIONALE: le decisioni inerenti gli obiettivi, le modalità ed i mezzi dell'attività di
comunicazione con l'ambiente esterno, ovvero le categorie di stakeholders aziendali. Per politica
promozionale in senso stretto si intendono tutte le decisioni aziendali inerenti la gestione dei processi di
comunicazione vero l'esterno ed orientati ad influire sui modelli di comportamento degli stakeholders
aziendali, in particolare i consumatori, per promuovere la vendita dei prodotti e l'immagine aziendale.
La politica promozionale è specificatamente orientata a: indurre, mantenere, modificare i modelli di
comportamento dei consumatori allo scopo di incrementare le vendite attraverso la generazione,
conservazione e miglioramento del vantaggio competitivo. Il consumatore allora deve:
◦ conoscere l'offerta dell'impresa
◦ ricordare tale offerta la momento della decisione di acquisto
◦ essere indotto a preferire tale offerta al momento della decisione di acquisto
Importante è l'identificazione di un “target-group” verso cui adattare strumenti e contenuti dell'azione
promozionale. La politica promozionale viene implementata attraverso una serie di attività, elencata
secondo l'ordine della cosiddetta “piramide rovesciata promozionale”, che indica il livello di ampiezza
orizzontale degli effetti informativi:
◦ pubbliche relazioni: impegno sistematico nel curare le relazioni con tutti i pubblici aziendali, con
l'obiettivo di influire sulle opinioni degli stessi e costruire una buona immagine dell'impresa nel suo
complesso attraverso convegni, conferenze, sponsorizzazione, ecc.
◦ pubblicità: comunicazione “impersonale” a pagamento effettuata attraverso i mezzi di
comunicazione di massa con l'obiettivo di informare il consumatore circa gli attributi del prodotto,
della marca o dell'impresa nel complesso, influenzando i comportamenti di acquisto. La pubblicità
svolge un doppio ruolo in funzione degli obiettivi che persegue:
▪ ruolo ordinario: adegua il livello di promozione a quello dei concorrenti
▪ ruolo strategico: investe in pubblicità per il lancio di un nuovo prodotto, per rivitalizzare un
prodotto in declino, per allungare la fase di maturità di un prodotto (pubblicità “di richiamo),
per creare, rafforzare o ripristinare l'immagine di marca
◦ attività di sales promotion (promozione in senso stretto): attività diretta ai consumatori per creare
particolari incentivi all'acquisto di un prodotto, in un'ottica di breve periodo, e legata a particolari
contingenze (eccedenze, domanda in calo, liquidazioni, ecc.)
◦ attività di personal selling (attività persuasiva dei venditori): incentiva l'impegno del personale di
vendita, per ottenere il più alto rendimento dall'azione persuasiva nei confronti dei potenziali clienti,
con un'attività mirata di relazione
• POLITICHE DI TRASFERIMENTO DEL PRODOTTO: devono essere prese decisioni inerenti:
◦ la politica distributiva:
▪ canale distributivo diretto o indiretto
▪ rado di intensità della distribuzione
▪ rete di vendita, rispetto a consumatori finali (canale diretto) o intermediari commerciali (canale
indiretto)

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◦ il trasporto: mezzi da utilizzare per il trasporto


◦ la sicurezza del trasferimento
◦ la politica negoziale: le clausole giuridiche inerenti i contratti di vendita ai clienti, per limitare i
rischi ed i costi connessi ai contratti
Infine, tutta la precedente serie di decisioni, che si indicano come le decisioni inerenti il marketing mix, devono
essere continuamente sottoposti a test di coerenza in relazione a tre elementi fondamentali quali:
• il comportamenti dei consumatori al variare delle variabili del marketing mix
• le reazioni attese da parte dei concorrenti
• la presenza all'interno dell'impresa delle abilità necessarie a gestire l'attività decisionale ed attuativa
delle politiche di marketing prescelte
Ampiezza e profondità della gamma
Per ampiezza della gamma si intende la numerosità dei tipi di prodotto realizzati (auto, moto, camion)
Per profondità della gamma (assortimento) si intende la numerosità dei modelli che caratterizza ciascun tipo di
prodotto.
Ci sono oggi numerose ragioni che spingono le imprese ad ampliare e/o ad approfondire le gamme offerte sul
mercato, e a non offrire semplici gamme mono-prodotto, esse sono:
• ragioni di economicità: sfruttamento delle “economie di scopo” interne al settore, realizzare più tipi di
prodotto permette di realizzare e vendere a costi decrescenti più ampie categorie merceologiche
• ragioni strettamente mercatistiche: con più tipi di prodotti si possono servire più mercati, accrescendo la
capacità di vendita
• ragioni di complementarietà fra tipi di prodotti diversi: con complementarietà strutturale d'uso (vendita
di un prodotto strategico strumentale alla vendita di un altro prodotto reddituale) o complementarietà
strumentale da richiamo (vendita di un prodotto a prezzi competitivi è strumentale a un effetto richiamo
all'offerta di prodotti da reddito)
• ragioni collegate alla stipula di accordi di produzione e/o di commercializzazione
Differenziazione dalla concorrenza e posizionamento rispetto alle percezioni dell'utenza
Ugualmente è assai raro trovare tipi di prodotti collocati sul mercato in un assortimento mono-modello. Le
imprese infatti hanno convenienza vero l'approfondimento degli assortimenti offerti secondo alcune ragioni:
• caratteristiche intrinseche di certi tipi di prodotto (es. calzature)
• esigenze di differenziazione dell'offerta in funzione della segmentazione del mercato: ciò può essere
diviso in:
◦ procedura di segmentazione
◦ politica di segmentazione: scelta di segmenti diversi di mercato da servire
◦ politica di posizionamento del prodotto: differenziazione dalla concorrenza per vantaggio
competitivo
Il portafoglio prodotti, ovvero l'insieme dei prodotti offerti dall'impresa sul mercato, è la risultate di tre
categorie di decisioni: scelta del settore (strategia di diversificazione), scelta dei tipi (politica di
ampiezza della gamma) e la scelta dei segmenti e sub-segmenti di mercato da servire nell'ambito di
ciascun settore (politica degli assortimenti)
• esigenze connesse al diverso grado di invecchiamento ed alla diversa capacità di contribuzione dei
diversi modelli al reddito di impresa: la mutevolezza dell'ambiente richiede un sistematico
rinnovamento dell'assortimento al fine di mantenere il più possibile stabili sia i volumi di vendita che il
reddito prodotto
Ciclo di vita del prodotto e politiche di rinnovamento della gamma
Il concetto di invecchiamento del prodotto viene interpretato ricorrendo al modello del ciclo di vita del prodotto.
Esso prevede che ciascun prodotto attraversi le fasi di:
• introduzione: il prodotto inizia a diffondersi, livello vendite cresce lentamente con prezzo di vendita
elevato, pochi concorrenti e redditività negativa Il marketing mix è incentrato sulle politiche di prodotto
al fine di convincere i primi clienti, la politica distributiva e la politica pubblicitaria sono di tipo
selettivo, lo sforzo promozionale è intenso
• sviluppo: il prodotto si afferma sul mercato, le vendite crescono rapidamente con prezzo di vendita
decrescete, cresce il numero di concorrenti concorrenti e la redditività diventa positiva (i costi fissi di
produzione e promozionali sono ripartiti su un volume maggiore di vendita). Il marketing mix è
incentrato sulle politiche di prezzo, sulle politiche promozionali e distributive

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• maturità: il prodotto continua a diffondersi, livello vendite raggiunge il picco, volume di vendite e
redditività si stabilizzano su valori molto alti. Il marketing mix è incentrato sulle politiche di prezzo, al
fine di battere la concorrenza, sulla politica di prodotto e sulla politica distributiva, sempre per
contrastare i concorrenti che sono sempre più incisivi, le politiche promozionali sono anch'esse
indirizzate al confronto con la concorrenza
• declino: il prodotto inia a rilevare tassi di crescita delle vendite negativi, per la saturazione della
domanda, livello vendite crolla e l'impresa è costretta a eliminare il prodotto dalla propria gamma.
L'obiettivo dell'impresa diventa allora o di rallentare il più possibile la caduta delle vendite con un
marketing mix incentrato sulle politiche di prezzo (tagliando i prezzi) e distributive, oppure agire a
livello di politica di prodotto rinnovando la gamma
Individuare quale delle fasi del ciclo di vita un prodotto stia attraversando è importante per orientare
razionalmente la politica di rinnovamento della gamma (per ritardare il declino, politiche di ringiovanimento del
prodotto) oppure per avere un invecchiamento precoce (politiche di invecchiamento precoce) per immettere un
nuovo prodotto sostitutivo.
Matrice BCG
Le politiche di rinnovamento del prodotto traggono particolare beneficio dall'analisi delle relazioni esistenti tra il
modello del ciclo di vita e la cosiddetta “matrice del portafoglio prodotti” elaborata dal Boston Consoulting
Group. Questa matrice classifica i diversi prodotti presenti nella gamma sulla base di variabili esterne (tasso di
sviluppo del mercato) e interne (quota di mercato relativa detenuta) ai fini della valutazione delle capacità di
contribuzione al reddito ed al cash flow di ciascun prodotto, e quindi per elaborare politiche di rinnovamento
della gamma. Queste classificazioni sono:
• prodotti “dogs”: producono cash flow e risultato economico negativo o alla pari, basso fatturato, bassa
quota di mercato e costi elevati, sono prodotti in declino da cui disinvestire
• prodotti “question marks”: producono il cash flow peggiore, fortemente negativo, perché gli
investimenti richiesti al mercato con un alto tasso di crescita sono elevati, basso fatturato, bassa quota di
mercato, utili però raramente negativi e di poco in aumento, sono prodotti in introduzione su cui merita
fare un analisi di mercato sulle potenzialità che diventi “star”
• prodotti “star”: producono un risultato economico positivo, cash flow leggermente positivo o in
equilibrio, fatturalo elevato, alta quota di mercato, sono prodotti in crescita su cui merita investire
ancora
• prodotti “cash cows”: producono un cash flow altamente positivo e un risultato economico positivo,
fatturato molto alto, costi contenuti perché la situazione non richiede molti investimenti aggiuntivi, il
mercato non cresce più
Matrice GE e Mc Kinsey
Risulta più completa dal punto di vista concettuale la matrice elaborata dalla General Electric e dalla Mc Kinsey,
che classifica i diversi prodotti sulla base dell'attrattività del mercato come variabile esterna e della posizione
competitiva dell'impresa come variabile interna. Il primo parametro è più significativo del tasso di crescita del
mercato perché considera altri fattori quali le barriere all'entrata e all'uscita e i poteri contrattuali. Il secondo
parametro è più significativo della quota di mercato relativa perché considera altri fattori quali la capacità
innovativa, la velocità di crescita della quota di mercato, ecc.
Le situazione di questa matrice sono tre: investire (alta attrattività, medio-bassa competitività), mantenere
(livelli intermedi) o disinvestire (bassa attrattività, alta competitività).
Attività di programmazione dei nuovi prodotti
Come già analizzato, le esigenze di rinnovamento della gamma portano al processo di programmazione di nuovi
prodotti, che si può distinguere nelle seguenti fasi:
• ricerca delle idee di nuovi prodotti: nelle area della R&S o nell'area del marketing
• selezione delle idee innovative
• analisi della fattibilità tecnica del prodotto: in termini di impianti produttivi, materie prime e tecnologie,
mettendo a punto un prototipo
• analisi della fattibilità economica del prodotto: in termini di redditività conseguibile (valutazione degli
investimenti necessari, dei costi da sostenere, dei ricavi potenziali, dei margini di contribuzione attesi)
• analisi della fattibilità finanziaria del prodotto: in termini di possibili fonti di finanziamento utilizzabili
per la copertura degli investimenti necessari
• analisi della fattibilità commerciale: in termini di concreta vendibilità del prodotto
• decisione di realizzare il nuovo prodotto, se le fasi hanno dato esito positivo

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• messa a punto del prodotto e del processo produttivo


• collaudo di mercato in segmenti di mercato circoscritti
• programmazione della gestione del prodotto: in termini di piani di approvvigionamento, di produzione,
di vendita, pubblicitario, di assistenza tecnica, ecc., si ricorre all'inserimento nella struttura organizzativa
di organi di prodotto con conseguente adozione si una struttura “per progetto” o “a matrice”, quindi si
creano appositi gruppi di lavoro
• lancio del prodotto
Il prodotto come “fascio” di utilità e la politica della marca
In tempi moderni il marketing viene interpretato come “fascio di utilità”, ovvero come mezzo per soddisfare
esigenze di varia natura, tra loro collegate, sia tangibili, che emotive. Il prodotto allora è composito, formato da
più componenti, ciascuna che soddisfa un'esigenza.
Le componenti emotive trovano una sintesi nella ”immagine del prodotto”, per questo è così importante la
costruzione di una buona immagine aziendale, attraverso una politica di immagine. In particolare una sua
componente, la politica di marca, è caratterizzata da:
• decisioni in merito all'adozione della marca o meno: per le piccole imprese può convenire vendere
prodotti “in bianco” (privi di marca) ad un grande distributore, beneficiando del marchio di quest'ultimo
(prodotti “sotto il marchio”)
• decisioni in merito all'adozione di una firm brand, di una family brand (marca diversa per ogni famiglia
di prodotti) o di una product brand (una marca diversa per ogni tipo di prodotto). In particolare una firm
brand è spesso adottata fa imprese che producono linee omogenee di prodotti di largo consumo, o beni
durevoli (aziende automobilistiche), mentre le product brand e le family brand sono indicate dove si
voglia ottenere un grado di differenziazione
Politica del confezionamento
La politica del confezionamento comprende le decisioni riguardanti la confezione con la quale il prodotto si
presenta ai consumatori, e quindi assume rilevanza sia in relazione alla qualità immagine, sia alla qualità tecnica.
Politiche di garanzia e di assistenza tecnica
Queste politiche riguardano tutte le decisioni inerenti le garanzie ed i servizi di assistenza post-vendita da offrire
all'utenza, dove i prodotti siano di una certa complessità tecnica. Alcune garanzie “immateriali” sono quelle di
qualità, implicite nella fama del marchio, o nell'apposizione di marchi europei di qualità. Le garanzie di
funzionamento riguardano i diritti di garanzia per un numero di anni contro i malfunzionamenti.
La politica di prezzo
Se il prodotto è difficilmente differenziabile in termini di qualità tecnica o qualità-immagine, il fattore prezzo
diventa l'elemento chiave su cui si fonda il vantaggio competitivo (price-competition), e la strategia competitiva
vincente non può essere altro che quella della leadership di costo.
Si definisce politica del prezzo l'insieme di decisioni finalizzate alla determinazione del “sistema” dei prezzi di
vendita relativi a tutti i prodotti compresi nella gamma, ed alla amministrazione dei listini di prezzo all'utenza.
Essa comprende decisioni riguardo:
• gli obiettivi di mercato (penetrazione o scrematura) da conseguire tramite la leva del prezzo
• la determinazione del “prezzo base” per ogni linea (tipo) di prodotto anche in relazione con altre linee
• la determinazione delle relazioni fra i prezzi degli articoli (modelli) compresi in ogni linea (i
differenziali di prezzo)
• gli sconti da applicare alle diverse categorie di utenza
Per quanto le relazioni citate ai primi due punti, queste possono essere relazioni originate dal:
• grado di elasticità incrociata (rapporto esistente fra la variazione che subisce la domanda di un bene in
funzione della variazione del prezzo di un altro bene), relazioni che possono essere di:
◦ intersostituibilità (all'aumentare del prezzo di un bene aumentano le vendite dell'altro)
◦ complementarietà (all'aumentare del prezzo di un bene diminuiscono le vendite dell'altro)
• relazioni originate dagli specifici ruoli assunti dai diversi prodotti: ovvero se ad esempio si tratta di un
prodotto “di richiamo”, il suo prezzo dovrà essere mantenuto basso
La politica di prezzo è poi strettamente collegata con tutte le altre politiche di marketing. Il prezzo di vendita è
collegato con la lunghezza del canale distributivo, con le decisioni di segmentazione del mercato e di
posizionamento, con le politiche di sales promotion e con le politiche pubblicitarie, con il ruolo del prodotto.
Ci sono tuttavia tre elementi che risultano assolutamente imprescindibili ai fini delle decisioni imprenditoriali in
materia di prezzi:

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• il costo totale unitario del prodotto: per i “prodotti da reddito” solitamente il prezzo è determinato
aggiungendo al costo totale unitario un margine di profitto atteso, anche se questo metodo è utilizzato
secondariamente e per verificare la convenienza economica di certi livelli di prezzi, determinati dai
fattori successivi
• il comportamento dei concorrenti: analisi dei rapporti qualità/prezzo praticati dai competitors nel
segmento di mercato da raggiungere, la determinazione del prezzo è tale da ricercare il vantaggio
competitivo
• il grado di elasticità della domanda: analisi dei diversi volumi di vendita realizzabili ai diversi livelli
di prezzo e determinazione del prezzo in funzione degli obiettivi di fatturato fissati nel piano di
marketing
L'impresa prima determina il prezzo con questi ultimi due criteri esterni, quindi determina i volumi attesi di
vendita per tale livello del prezzo e solo allora calcola il costo totale unitario, e per differenza il margine
reddituale conseguibile.
Dopo aver fissato i prezzi, è necessario che l'impresa amministri tali prezzi in funzione delle variazione
dell'ambiente interno ma sopratutto esterno. Deve gestite, tra l'altro, il prezzo di vendita pagato dal consumatore
finale (prezzo finale), che può essere “prezzo imposto”, “prezzo suggerito” o “prezzo libero”. Deve anche
decidere eventuali discriminanti sui prezzi, ad esempio in funzione dei volumi degli ordini, delle modalità di
pagamento o se il cliente è particolarmente prestigioso.

Capitolo 7 – Le decisioni gestionali inerenti l'area finanziaria


Funzioni dell'area finanziaria
Per quanto concerne l'area finanziaria, l'obiettivo primario dell'impresa è conseguire un'adeguata capacità
finanziaria, che renda possibile raggiungere un adeguato potere finanziario. Esso può essere riferito alla
proprietà (capacità economica e capacità di credito), all'impresa (capacità di autofinanziarsi) o ai rapporti
interno-esterno (capacità contrattuali per i finanziamenti).
L'area finanziaria comprende l'insieme di decisioni finalizzate a reperire e ad impiegare i fondi necessari per le
attività aziendali. È necessario dunque preliminarmente autostrutturare la direzione finanziaria, creando un
apparato con una propria struttura organizzativa-direzionale, dotandolo delle seguenti funzioni:
• valutazioni relative alla convenienza economica degli investimenti: vengono effettuate con metodi di
valutazione che determinano il tasso di rendimento di un investimento, il tempo necessario per
recuperare le risorse in esso impiegate, ecc. Fornisce al vertice imprenditoriale valutazioni di fattibilità
degli investimento collegati ai processi strategici di sviluppo programmati
• analisi previsionale delle fonti e degli impieghi
• governo dell'evoluzione della struttura finanziaria
• mantenimento dell'equilibrio finanziario corrente
• difesa del valore azionario
• governo delle operazioni di “finanzia straordinaria”

Analisi previsionale delle fonti e degli impieghi, analisi dinamica dei flussi
L'analisi previsionale delle fonti e degli impieghi fornisce valutazioni sull'evoluzione della struttura del capitale
di finanziamento (fonti) e del capitale di funzionamento (impieghi), con ottica di medio periodo Fonti e impieghi
sono analizzati o con ottica statica (assumono caratteristiche dii grandezze fondo, ad un certa data) o con ottica
dinamica (assumono caratteristiche di grandezze flusso, variazioni)
L'analisi dinamica assume particolare interesse, perché attraverso i flussi di fonti e di impieghi di producono le
trasformazioni della struttura finanziaria. Si considera un singolo esercizio di un'impresa in crescita.
Gli impieghi sono rappresentati da:
• incrementi del livello delle immobilizzazioni, pari alla somma degli incrementi delle immobilizzazioni
materiali, immateriali e finanziarie
• incrementi del livello di capitale circolante commerciale, pari alla somma degli incrementi dei crediti
verso clienti e delle scorte di magazzino, al netto degli incrementi dei debiti verso fornitori
Allora il fabbisogno finanziario totale (FFT), il fabbisogno generato dagli impieghi, è pari a:
FFT =( ∆ Imm.M +∆ Imm.IM +∆ Imm.F )+(∆ Cred.comme+∆ scort.mag ∆ deb.forn)=∆ I +∆ CCC
Le fonti sono rappresentate da:
• cash flow gestionale, calcolato sommando l'utile dell'esercizio ai costi che non hanno avuto

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manifestazione finanziaria (ammortamenti e accantonamenti)


• incremento del livello dei debiti finanziari a breve verso banche o altri finanziatori
• incremento del livello dei debiti finanziari a medio verso banche o altri finanziatori
• incremento di capitale sociale al netto dei dividendi corrisposti alla proprietà
Allora le fonti di copertura totali (FCT), sono pari a:
FCT =CFG+∆ DF.brevi+∆ DF.medi+(∆ CS D)
Allora se:
• FFT>FCT, ovvero l'impresa ha sborsato nell'esercizio più denaro di quanto ne abbia incassato, allora il
flusso finanziario di sintesi è negativo, il livello di liquidità si è ridotto della differenza FFT-FCT
• FFT<FCT, ovvero l'impresa ha sborsato nell'esercizio meno denaro di quanto ne abbia incassato, allora
il flusso finanziario di sintesi è positivo, il livello di liquidità è aumentato della differenza FFT-FCT
Queste grandezze permettono di calcolare:
• il flusso monetario generato dalla gestione corrente CFG ∆ CCC , che rappresenta la parte del cash
flow disponibile per finanziare investimenti in immobilizzazioni
• il fabbisogno finanziario esterno FFE =∆ I +∆ CCC CFG , che rappresenta la parte del
fabbisogno totale da coprire con fonti esterne (aumenti di capitale e/o indebitamento finanziario)
Governo dell'evoluzione della struttura finanziaria
Esso è finalizzato a gestire l'accesso alle diverse forme tecniche di finanziamento mantenendo la struttura delle
fonti coerente con i caratteri del fabbisogno finanziario totale. I tre obiettivi fondamentali sono:
• mantenimento dell'equilibrio finanziario strutturale:
◦ attivo di breve superiore al passivo di breve
◦ adeguato livello di capitalizzazione tra le fonti a medio termine
• conseguimento di un'adeguata economicità della gestione finanziaria:
◦ economicità assoluta: ottenere un reddito operativo tale da coprire gli oneri finanziari e
l'imposizione fiscale, garantendo ugualmente una piena remunerazione alla proprietà e un adeguato
livello di autofinanziamento al sistema operativo
◦ economicità relativa: mantenere il rapporto tra oneri finanziari ed indebitamento (ROD, costo
medio del capitale di finanziamento) ad un livello pari o inferiore al ROI, rapporto fra reddito
operativo e capitale investito, ovvero avere un effetto di leva finanziaria positiva
• contenimento del livello di rischio finanziario:
◦ adeguato livello di elasticità della fonti: mantenere una capacità di credito a medio termine e una
capacità attrattiva di capitale, oltre un adeguato grado di diversificazione delle fonti di
finanziamento, evitando casi di “dipendenza finanziaria”
◦ ottimizzazione delle politiche di credito commerciale: contenere i rischi di insoluto, ad esempio
fissando limiti per la concessione di crediti verso i clienti
◦ ottimizzazione del trade-off tra rischio economico e rischio finanziario: ponderare le scelte inerenti
il livello di indebitamento con il rischio economico dell'attività svolta
Mantenimento dell'equilibrio finanziario corrente
Per mantenere l'equilibrio finanziario corrente è necessario innanzitutto elaborare un piano finanziario, che
preveda la dinamica di entrate e uscire sul breve periodo. L'impresa deve poi disporre di riserve di liquidità
immediata (funzione di copertura dai rischi) come di riserve di liquidità potenziale, ovvero elementi del capitale
di funzionamento (working capital) siano superiori ai livelli fisiologici, e possano dunque essere smobilitati per
ottenere un flusso aggiuntivo di liquidità.
Difesa del valore azionario
Questa funzione è collegata con:
• il conseguimento ed il mantenimento di un'adeguata immagine aziendale
• i rapporti fra vertice imprenditoriale e proprietà
• capacità di difesa da “scalate ostili” da parte di azionisti di minoranza, dove non esista un capitale di
comando forte
Governo delle operazioni di “finanza straordinaria”
L'ultima funzione riguarda le valutazioni relative all'opportunità e alla convenienza di realizzare operazioni di
acquisizione, fusione, scissione, trasformazione. La funzione finanziaria viene esercitata con l'elaborazione di
fattibilità economia e finanziaria di questo genere di operazioni, composti da piani che comprendono previsioni

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sui finanziamenti da utilizzare per gli investimento e sui flussi economici e finanziari che deriveranno da questi.

Metodi di valutazione degli investimenti


I metodi moderni di valutazione degli investimenti si fondano su logiche finanziare (potenzialità di produrre
cash flow) piuttosto che su logiche economiche (potenzialità di produrre reddito).
Le logiche finanziare richiedono la valutazione di tre fattori essenziali:
• entità dei flussi monetari (positiva e/o negativi) generati dall'iniziativa
• distribuzione nel tempo dei flussi monetari generati: ovvero rendere confrontabili i flussi di cassa
riferibili ad un certo investimento, tramite la loro attualizzazione, applicando un opportuno tasso di
attualizzazione, che esprime il “costo opportunità” della mancata disponibilità attuale
• incertezza, ovvero il rischio, associati alle previsioni dei flussi monetari: la previsione dei flussi di cassa
associati a un investimento è fondata su probabilità, e dunque sono richiesti rendimenti proporzionati al
grado di rischio assunto (il tasso di attualizzazione viene maggiorato di un valore detto “premio per il
rischio”)
Sulla base di queste premesse si può affermare che il valore di un investimento è una sintesi che tiene conto dei
risultati attesi, in termini di flusso di cassa, dei tempi previsti per conseguire questi risultati e infine del grado di
incertezza associato ai risultati.
Altri criteri da osservare per una razionale valutazione degli investimenti sono:
• relativa indipendenza economica di ciascun progetto: l'impatto economico deve riguardare solo il
progetto che si sta valutando
• determinazione dei flussi di cassa:
◦ effettivamente prodotti (al netto degli oneri tributari)
◦ al lordo degli effetti della gestione finanziaria (pagamento di oneri finanziari)
◦ complessivi (comprendenti anche i flussi generati dall'investimento in modo indiretto)
Una volta che si è determinata la sequenza dei flussi di cassa attesi da una certa iniziativa, i tempi previsti per i
flussi, il loro grado di incertezza, l'imprenditore può avvalersi di numerosi metodi di valutazione, i più comuni
dei quali sono il valore attuale netto e il tasso di rendimento implicito.
Valore attuale netto semplice e rettificato
Fra i metodi maggiormente usati c'è quello del valore attuale netto (VAN). Per valore attuale netto di un progetto
di investimento si intende la somma algebrica del valore attualizzato di tutti i flussi di cassa ad esso riferibili:
n
VAN =F t +∑ F t∗(1+i ) t
0
dove Ft0 è il flusso monetario al momento iniziale, (1+i)-t è f.di attualizzazione
t=1
Il VAN misura il contributo del progetto alla crescita del valore complessivo dell'impresa, dunque un progetto
che presenti VAN negativo andrebbe scartato, poiché distruggerebbe valore interno. Ovviamente l'imprenditore
dovrà orientare le proprie scelte verso progetti che generino, a parità di risorse finanziarie da impiegare, i VAN
più elevati. Si noti che il VAN è decrescente all'aumentare del tasso di attualizzazione i.
L'utilizzo del VAN semplice presenta tuttavia un limite in quanto non permette di valutare i progetti sulla base
della loro attitudine a liberare risorse finanziarie nei momenti in cui si prevede che si concentreranno i
fabbisogni finanziari generati da altri progetti di investimento.
Questo limite può essere superato integrando la formula del VAN per comprendere i benefici del reinvestimento
dei flussi di cassa positivi generati dai progetti.
Innanzitutto si capitalizzano al periodo finale n tutti i flussi di cassa, utilizzando un tasso r che indica il
rendimento medio atteso per altri progetti realizzabili in futuro, utilizzando i flussi finanziari che si prevede di
liberare a partire dalle previsioni attese del progetto in corso di valutazione, dove diventa importante allora
anche l'attitudine a liberare risorse finanziarie.
Successivamente occorre attualizzare al momento iniziale t0 il montante lordo, ovvero il valore ottenuto
attraverso la capitalizzazione descritta precedentemente, usando il solito tasso i. Si può esprimere allora il VAN
rettificato come:
n
VAN RETT.=F t +(1+i ) n∗∑ F t∗(1+r) n t
0
t =1
Indice di rendimento attualizzato
Nell'ipotesi che ad un flusso di cassa negativo al momento iniziale seguano flussi di cassa positivi nei periodi
successivi, è possibile costruire il cosiddetto indice di rendimento attualizzato (IR), che rapporta il valore attuale
lordo (valore del montante lordo) alle risorse assorbite dal progetto al momento iniziale:

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n
(1+i ) ∗∑ F t∗(1+r )
n n t

t=1
IR=
Ft 0

Questo indice risulta utile in quanto permette, a differenza del VAN, di effettuare scelte orientate a massimizzare
il VAN ottenibile per unità di risorse finanziarie investite, ovvero massimizzare il rendimento del capitale
investito.
Tasso di rendimento implicito
Un altro metodo particolarmente diffuso è il tasso di rendimento implicito (detto TIR o anche IRR, internal rate
of return). Riferendoci alla formula del VAN, il TIR rappresenta quel tasso che pareggia il valore attualizzato dei
flussi di cassa, ovvero quel tasso i che azzera il valore del VAN semplice. Si ricava dall'equazione:
n
F t +∑ F t∗(1+i ) t=0
0
t =1
Questo metodo sposta la prospettiva di analisi del VAN al tasso i, incognita dell'equazione, e permette al
management di valutare la convenienza degli investimenti confrontando il TIR di diversi progetti con un
parametro di riferimento rappresentato dalla redditività minima attesa dalle strategie imprenditoriali.
Tuttavia questo metodo risulta meno affidabile del VAN, ad esempio perché non permette di tenere conto che il
costo opportunità dei flussi di cassa prodotti in tempi differenti può essere variabile.
Altri metodi
Altri metodi meno diffusi sono:
• metodo del tasso di rendimento semplice: rapporto fra il reddito operativo medio annuo generato
dall'investimento ed il capitale investito nell'iniziativa
• metodo del tempo di recupero: il tempo di recupero è pari al numero di anni necessari a reintegrare il
capitale investito nel progetto
Tasso di riferimento
Il tasso di riferimento da utilizzare ai fini delle applicazioni dei metodi del VAN (tasso di attualizzazione) e TIR
(tasso da confrontare), che misura il cosiddetto “costo opportunità” del capitale investito nel progetto,
rappresenta il tasso di rendimento (al netto delle imposte) che può essere giudicato accettabile in funzione del
grado di rischiosità del progetto (misurato dal livello di leva operativa, l'incidenza dei costi fissi sui costi
variabili dell'impresa) e delle modalità di finanziamento del progetto (il tasso di rendimento dovrà essere almeno
pari al costo medio ponderato delle fonti di finanziamento, debt and equity).

Le vie finanziarie “esterne”


L'esistenza dell'impresa presuppone l'accesso ai messi finanziari necessari per la copertura dei fabbisogni
generati dalla strutturazione e dal funzionamento corrente del sistema operativo. Questi finanziamenti possono
essere divisi sulla base della “sorgente” da cui provengono in due categorie di “vie finanziarie”:
• vie finanziarie esterne: tutte le forme di finanziamento provenienti dall'esterno a titolo di equity
(capitale di rischio, attraverso sottoscrizioni da parte di soci di maggioranza, minoranza o entranti) o a
titolo di debt (capitale di debito, a breve o a medio termine)
• vie finanziarie interne: le forme di finanziamento autoprodotte dall'impresa (autofinanziamento da
reddito ed autofinanziamento da costi)
Avendo già trattato le vie finanziarie interne, si tratterà ora delle vie finanziarie esterne.
Capitale di rischio, o equity
L'equity rappresenta la principale fonte finanziaria esterna, ed è composto dai finanziamenti effettuati sia in sede
dii costituzione dell'impresa (somme versate dal titolare di ditta individuale, quote o azioni sottoscritte dai soci
di aziende in forme societarie), sia in fasi successive Il carattere essenziale del capitale di rischio è la
indeterminatezza della durata (non c'è una scadenza di rimborso), ed esso rende l'equity la fonte più genuina di
finanziamento degli investimenti aziendali durevoli (attivo immobilizzato).
Per quanto riguarda il caso dell'aumento del capitale sociale a pagamento, le problematiche dipendono dalla
struttura dell'assetto proprietario dell'impresa:
• per imprese caratterizzate da tendenziale sovrapposizione tra assetto proprietario ed assetto
imprenditoriale:
◦ se il proprietario-imprenditore è dotato di disponibilità finanziaria e volontà di sottoscrivere
aumento di capitale, non c'è problema (non esiste conflitto fra scopi)

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◦ se il proprietario-imprenditore non è dotato di ciò (conflitto fra i due scopi sovrapposti), le esigenze
di ricapitalizzazione sono soddisfacibili solo attraverso una rinuncia all'assetto proprietario, l'entrata
di nuovi proprietari nell'assetto proprietario, e la trasformazione in imprenditore moderno
• per imprese caratterizzate da tendenziale separazione fra assetto proprietario ed assetto imprenditoriale
(l'imprenditore ha partecipazioni di minoranza, o nessuna quota) l'organo imprenditoriale deve soppesar
il fabbisogno di ricapitalizzazione con la ricerca di un accordo nell'assetto proprietario, specie con la
maggioranza, riguardo a:
◦ tempi e entità dell'aumento di capitale sociale (per convincere i vecchi soci a esercitare il diritto dii
opzione sul collocamento di nuove azioni, evitando un mancato collocamento)
◦ modalità tecniche dell'aumento di capitale:
▪ determinazione del prezzo di emissioni (alla pari o sopra la pari con “sovrapprezzo”)
▪ categoria di azioni (azioni privilegiate o azioni di risparmio)
Capitale di debito, o debt
La seconda grande categoria di fonti finanziarie esterne è appunto quelle dei finanziamenti a titolo di capitale di
debito, che si dividono in debiti a medio termine (debiti di finanziamento) e debiti a breve termine (debiti di
funzionamento).
Fra i debiti di finanziamento, medio termine, si trovano:
• prestiti obbligazionari: consistono in prestiti a medio termine (solo per società per azioni e sapa)
rappresentati da obbligazioni (titoli di credito, nominativi o al portatore, emessi sotto la pari) che danno
diritto al sottoscrittore di: aver corrisposto un interesse a tasso fisso o indicizzato (variabile), restituzione
del capitale secondo modalità di rimborso (rimborso integrale alla scadenza con o senza indicizzazione,
rimborso a rate costanti, decrescenti o crescenti). I prestiti obbligazionari possono anche essere
convertibili, ovvero permettere la conversione in azioni della società, oppure esercitare opzioni
• mutui: consistono in finanziamenti a medio termine destinati a finanziare processi di sviluppo
industriale, molto utilizzati dalle PMI, data la difficoltà ad accedere ai mercati dei capitali. Essi sono
assistiti da garanzie reali o personali
• leasing finanziario, o locazione finanziaria, è una forma di finanziamento finalizzata a permettere la
realizzazione di investimenti in beni strumentali (immobili, macchinari, attrezzature). La società di
leasing cede in locazione per alcuni anni il bene dietro un canone, con la possibilità di farlo riscattare
• finanziamenti a medio termine dei fornitori di immobilizzazioni: i fornitori di beni strumentali
dilazionano per lunghi periodi la riscossione dei loro corrispettivi
Fra i debiti di funzionamento, breve temine, si trovano:
• debiti verso fornitori di materie prime, servizi (debiti commerciali)
• prestiti bancari a breve termine (debiti bancari commerciali): quali fidi o altro, finanziano elementi
dell'attivo circolante, e sono concessi dietro fideiussioni o altre garanzie personali o reali
• factoring (cessione di crediti commerciali)

Capitolo 8 – L'area della R&S


Considerazioni generali
Generazione, sviluppo e commercializzazione di innovazioni tecnologiche di prodotto e/o di processo, sia
radicali che incrementali (che migliorano solo marginalmente il prodotto/processo), sono alla base della
dinamica competitiva tra imprese in quasi tutti i settori industriali. Concetto già analizzato da Marx e Smith
nell'Ottocento, fu Schumpeter agli inizi del Novecento a approfondirlo analiticamente, delineando un modello di
sviluppo del sistema capitalistico in base al quale:
1. le imprese sono portare a promuovere con continuità l'innovazione
2. a un certo punto viene sviluppato un nuovo prodotto/processo che soddisfa nuovi bisogni
3. l'impresa acquisisce un “monopolio temporaneo” nel mercato del prodotto
4. i concorrenti imitano il prodotto/processo, magari con prestazioni superiori, ed il monopolio finisce
5. l'impresa ha conseguito dei profitti temporanei ed è incentivata nuovamente ad investirli nello sviluppo
di ulteriori innovazioni
Per questo, la concorrenza fra imprese è di tipo “dinamico”, ovvero una continua successione di imprese leader
temporanee nel mercato. La funzione (attività) di R&S è scomponibile in tre attività fondamentali:
• ricerca di base (5% della spesa complessiva): finalizzata a sviluppare nuove conoscenze e nuovi
principi generali, senza alcun obiettivo immediato in termini di produzione/commercializzazione

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• ricerca applicata (15% della spesa complessiva): finalizzata ad applicare le conoscenze ed i principi
scientifici al fine di creare nuove conoscenze, non del tutto indipendenti da una possibile futura esigenza
di produzione/commercializzazione
• sviluppo (80% della spesa complessiva): finalizzata allo sviluppo tecnico-ingegneristico di nuove
applicazioni con finalità direttamente produttive e commerciali (es. produzione prototipi)
Si parla di una “prima faccia” dell'attività di R&S, per evidenziare uno sviluppo autonomo di conoscenze
interne, da utilizzare per le innovazioni Importante è anche la capacità di saper cogliere e valorizzare le risorse
di conoscenza scientifica generate al di fuori dell'impresa, intuendo per primi una possibile applicazione pratica
in un'innovazione, ed in questo caso di parla di “seconda faccia” dell'attività di R&S.
Risorse di conoscenza
L'output dell'attività di R&S è rappresentato dalle risorse di conoscenza. Esse hanno un valore economico nella
misura in cui risultano in qualche modo funzionali allo sviluppo, produzione ed alla commercializzazione delle
innovazioni.
Le risorse di conoscenza hanno una natura composita, formata da due elementi:
• conoscenza codificata (o generica): la conoscenza che può essere trasmessa, comunicata ed archiviata,
di questa categoria fanno parte le conoscenza scientifiche pubbliche, accessibili a tutti (e sfruttabili con
una conoscenza disciplinare di base). Hanno un basso costo di trasferimento, e sono difficilmente
appropriabili. Per questi elementi, le imprese hanno scarso interesse ad investire nella produzione di
conoscenza codificate
• conoscenza tacita (o specifica): la conoscenza che non può essere trasmessa, o comunque fermata “nero
su bianco”, e può essere trasmessa solo da soggetto a soggetto. Si diffonde quindi meno facilmente, con
costi e vincoli assai più elevati. Le imprese hanno molti più stimoli per investire nella produzione di
conoscenza tacite, perché appropriabili, e dunque economicamente sfruttabili in esclusiva, godendo di
“profitti monopolistici”
Si comprende quindi come le imprese abbiano scarso interesse ad investire nella ricerca di base (ricerca
scientifica pura) e nella ricerca applicata (sviluppo di principi tecnologici di base), e si dedicano principalmente
all'attività di sviluppo, ovvero alla produzione di conoscenza tacita. Altre motivazioni che spingono le imprese
non investire in attività di ricerca di base sono l'incertezza (e dunque l'intrinseca rischiosità) dell'attività di
ricerca, caratterizzata da tempi lunghi e risultati incerti, con ritorno solo eventuale dell'investimento, e il fatto
che non c'è mercato per le informazioni scientifiche, che sono facilmente conoscibili.
Il “chain-linked” model del processo innovativo
Il processo innovativo interno alle imprese è tradizionalmente interpretato come una sequenza lineare, che parte
dalla ricerca di base per arrivare all'attività di sviluppo, a cui segue la fase della produzione e della
commercializzazione. Kline e Rosemberng contrappongono a questo modello lineare un modello definito
modello concatenato (chain-linked model) in base al quale le capacità di innovazione dell'impresa dipende da
un processo di “interazione” complesso fra i vari stadi, caratterizzato dall'agire di feedback tra una fase e
un'altra. Ad esempio un risultato prodotto nella fase di sviluppo, un prototipo, potrebbero portare a un
riorientamento della ricerca di base, o addirittura nuovi campi per la ricerca di base.
Capitolo 9 – Le decisioni gestionali inerenti il sistema informativo
I nuclei informativi
Il processo informativo risulta altamente diffuso all'interno del sistema operativo, con una dispersione di tipo:
• orizzontale: ovvero tra le diverse aree funzionali del sistema operativo
• verticale: in funzione del più o meno elevato decentramento dell'attività decisionale tra i veri livelli
gerarchici della struttura organizzativa
Si analizzano adesso le caratteristiche specifiche assunte dal processo informativo all'interno di ciascuna area
nella quale essa si rivolge:
• area amministrativa: ha come oggetto la gestione di una parte rilevante del processo informativo,
soddisfa due fondamentali esigenze informative:
◦ controllo direzionale (economico): controllo economico per l'alta direzione sull'andamento del
processo materiale (informazioni prodotte all'interno):
▪ controllo sugli obiettivi: analisi dei risultati di sintesi dell'attività di impresa (reddito operativo,
utile, ROI, ROE) da confrontare con gli obiettivi di riferimento in sede di budget
▪ controllo sul comportamento: controllo sui flussi economici periodici, confronto con dati storici
e budget
▪ controllo sulle capacità: verifica della coerenza fra le capacità del sistema d'impresa con i

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comportamenti e i risultati di sintesi programmati


◦ produzione di informazioni per gli stakeholders esterni: per soddisfare l'esigenza di informazioni
sui risultati economici dell'impresa, attraverso ad esempio il bilancio d'esercizio civilistico,
• area finanziaria: gestisce la parte del processo informativo inerente l'andamento dei flussi che
alimentano il processo finanziario, e si può dividere in:
◦ controllo direzionale (finanziario): controllo finanziario per l'alta direzione sull'andamento del
processo finanziario (entrate e uscite):
▪ controllo sugli obiettivi: attraverso l'analisi dei risultati finanziari di sintesi dell'attività, quali il
livello del cash-flow gestionale e il valore di mercato delle azioni ad esempio
▪ controllo sul comportamento: controllo dei flussi finanziari
▪ controllo sulle capacità: coerenza tra le capacità finanziarie ed i comportamenti ed i risultati di
sintesi programmati a livello di budget
◦ produzione di informazioni per gli stakeholders esterni: diffondere nel mercato finanziario
output informativi, con business plan, comunicati stampa, ecc, per consolidare l'immagine
dell'impresa, massimizzando l'attrazione di capitali esterni (marketing finanziario)
◦ acquisizione di informazioni finanziarie dall'esterno: raccolta di informazioni sulle diverse fonti
di finanziamento utilizzare ed utilizzabili e sul loro costo, per ottimizzare l'economicità della
gestione finanziaria
• area di marketing: dove si rileva una forte incidenza di informazioni sia in entrata che in uscita:
◦ ricerche di marketing (informazioni in entrata): per ottenere informazioni dall'esterno
(comportamento dei consumatori, ecc.) fondamentali per impostare le strategie competitive delle
imprese
◦ informazioni in uscita: tipicamente costituite da:
▪ pubbliche relazioni
▪ pubblicità
▪ attività di sales promotion
▪ attività di personal selling e attività persuasiva dei venditori
• area di produzione: monitoraggio dell'andamento dei flussi produttivi attraverso la programmazione ed
il controllo della produzione
• area di approvvigionamento: informazioni di provenienza esterna sulle materie prime, ma anche
informazioni interne per conseguire affidabilità nei confronti dei fornitori
• area della R&S: informazioni utilizzabili per migliorare il potere tecnologico (tecnologia
processo/prodotto)
Il sistema informativo direzionale
L'assunzione delle decisioni ai vari livelli organizzativi necessita di un flusso continuo di informazioni, sia
all'interno che tra impresa e ambiente esterno. Il fabbisogno di informazioni complete e tempestive è
particolarmente aumentato negli ultimi anni a causa di un crescente livello di turbolenza a livello di ambiente
economico-politico-sociale che necessita di implementare comportamenti strategici e gestionali in frazioni di
tempo brevi (time based competition), oltre che all'adozione di tecniche direzionali avanzate.
Si definisce sistema informativo direzionali il sistema organico integrato dei flussi di dati e informazioni
finalizzato ad ottimizzare la gestione del processo informativo attraverso la continua alimentazione del
patrimonio informativo aziendale. L'efficacia nella circolazione delle informazioni rappresenta l'agente
essenziale di collegamento tra le diverse parti del sistema aziendale.
Si distinguono tre modelli di sistemi informativi aziendali:
• sistema informativo semplice (simple information system): costituito da sottoinsiemi informativi
indipendenti quante sono le aree funzionali
• sistema informativo integrato (integrated information system): i sottoinsiemi informativi non operano
indipendentemente ma in modo fortemente integrato, con coordinamento dei flussi in entrata e uscita
• sistema informativo direzionale (management information system): contraddistinto dalla produzione di
informazioni non sono storiche ma anche e sopratutto di tipo prospettico, inerenti i mutamenti attesi e
dunque orientate ad indirizzare i processi di pianificazione strategica
Trattando allora il sistema informativo direzionale, esso si articola in quattro sottoinsiemi principali: logistico
(flussi fisici dei prodotti, riguarda la gestione delle scorte di materie prime, semilavorati e prodotti finiti,

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programmazione e controllo della produzione, ecc.), marketing (informazioni sulle vendite, domanda,
concorrenza), finanziario (informazioni su liquidità, fabbisogni finanziari, condizioni di finanziamento esterno),
personale (andamento del lavoro dipendente, soddisfazione del personale).
Ovviamente il processo di progettazione del sistema informativo direzionale è influenzato da almeno due
elementi principali quali: il modello di struttura organizzativa dell'impresa (multifunzionale o multidivisionale)
ed il grado di automazione del processo informativo in termini di computerizzazione dell'informazione. Il
processo di progettazione può essere scomposto in sei fasi fondamentali:
• analisi del modelli di struttura organizzativa adottato dall'impresa
• definizione degli obiettivi che si vogliono raggiungere con il sistema informativo e dei tempi per farlo
• analisi dei vincoli interni (risorse umane e tecnologiche già presenti) ed esterni
• definizione dei livelli delle risorse di apparato necessarie in termini di attrezzatura da utilizzare
• definizione della struttura formale del sistema informativo direzionale
• definizione delle modalità di funzionamento delle procedure per raccogliere, elaborare, memorizzare e
diffondere le informazioni
Le informazioni oggetto di raccolta ed elaborazione da parte del sistema informativo sono tipicamente
distinguibili in funzione del campo a cui esse si riferiscono:
• informazioni gestionali interne: riguardano la gestione del processo materiale, del processo finanziario,
e devono permettere al vertice imprenditoriale dii controllare l'andamento dell'attività di impresa
• informazioni di mercato: riguardano l'andamento della domanda e dell'offerta per valutare la posizione
competitiva dell'impresa
• informazioni sull'ambiente: inerenti il contesto socio-economico generale nel quale l'impresa è inserita,
consentono al vertice imprenditoriale di elaborare previsioni sull'incidenza dei fenomeni marco-
ambientali sullo specifico campo di attività dell'impresa (inflazione, andamento del PIL, ecc.)
In funzione del periodo temporale a cui fanno riferimento si distingue fra: informazioni storiche, informazioni
attuali e informazioni prospettiche.
In funzione del grado di continuità con il quale vengono raccolte si distingue fra: informazioni ricorrenti
(raccolte con periodicità regolare) e informazioni indotte (non ricorrenti, raccolte in funzione di esigenze
specifiche che si manifestano “una tantum”). Gli organi maggiormente interessati nella raccolta di informazioni
indotte sono gli organi di staff, che effettuano attività di raccolta di dati di tipo occasionale ed eccezionale, per
fornire alla struttura imprenditoriale gli elementi necessari per l'elaborazione delle decisioni strategiche e
gestionali.
L'attività di comunicazione delle informazioni assume un peso rilevante in funzione del crescente grado di
specializzazione che caratterizza i diversi centri decisionali ed operativi. Le procedure standard di informazione
sono i criteri per-determinati di gestione dei flussi di informazioni ricorrenti.

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Parte III – Approfondimenti


Griglia interpretativa dei criteri per la definizione di piccola e media impresa
Per molti strumenti di politica industriale a livello nazionale e comunitario, ma anche a livello di analisi e di
studio della dottrina economico-aziendale, è necessaria una delimitazione concettuale fruibile. Esistono
numerose differenti definizioni introno al concetto di piccola e media impresa (PMI), ciò a dimostrare che non
esistono soluzioni univoche, valide in ogni contesto e per ogni obiettivo. Anche solo il fatto di voler ricorrere a
variabili quantitative tralascia quel sistema di risorse proprie di ogni impresa che si sviluppano con l'interazione
fra i tre assetti fondamentali. Tuttavia, si analizzeranno ugualmente i criteri più significativi di individuazione
della categoria delle piccole e medie imprese.
Si proverà a costruire una griglia interpretativa in grado di suddividere i criteri in categorie omogenee, e
distinguendoli in base alla natura qualitativa o quantitativa, all'assetto di impresa a cui si riferiscono e alla loro
connessione con i caratteri di assetto finanziario.
Emergono allora le categorie di determinanti dimensionali d'impresa:
• determinanti di natura quantitativa basate sul sistema operativo di impresa: prendono in
considerazione la dimensione di impresa, identificata di volta in volta con:
◦ valore totale degli investimenti patrimoniali (capitale investito)
◦ capacità produttiva
◦ numero di addetti occupati
◦ entità del capitale proprio, del capitale fisso o del capitale circolane
• determinanti di natura quantitativa basate sui risultati operativi: prendono in considerazione il volume
del fatturato globale (risultato operativo cumulativo) del periodo amministrativo, oppure il più
significativo Valore Aggiunto Operativo (risultato operativo di sintesi, anche se limitato all'efficienza
della gestione tecnico-economica, equilibrio economico)
• determinanti di natura qualitativa basate sui caratteri di stato e attitudini dell'assetto
imprenditoriale:
◦ stili di direzione caratterizzati da un forte accentramento dei compiti, nonché da un approccio
empirico-intuitivo più che razionale
◦ insufficiente ricorso alle fonti di informazione esterne (servizi di consulenza)
◦ numero limitato dei componenti dell'organo imprenditoriale
• determinanti di natura qualitativa basate sui caratteri di stato e attitudini dell'assetto proprietario: la
piccola e media impresa è riconosciuta come non controllata da gruppi industriali o finanziari, ma
semmai caratterizzata da uno o pochi titolari del capitale di rischio, con una chiusura all'allargamento
della compagine sociale
• determinanti di natura qualitativa basate sui caratteri di stato e attitudini del sistema operativo:
◦ elevato grado di flessibilità di funzionamento dei processi operativi e decisionali
◦ assenza di una struttura organizzativa direzionale in posizione intermedia tra vertice e s.o
◦ bassi livelli di capitalizzazione e di fonti a m/l termine, con conseguente dipendenza da
finanziamento a breve termine
◦ instabilità dei flussi di capitale circolante, con particolare riguardo alla liquidità
• determinanti di natura qualitativa basate sul tipo, intensità e sulla direzione delle relazioni tra gli
assetti:
◦ coincidenza tra assetto proprietario ed assetto imprenditoriale (imprenditore “tradizionale”)
◦ interrelazioni continue e dirette, tra l'assetto imprenditoriale-proprietario ed il sistema operativo
La definizione di PMI utilizzate ai fini della concessione delle agevolazioni finanziarie
Si riporta un sunto del contenuto dei decreti ministeriali volti a definire le caratteristiche delle PMI:
• per le imprese operanti in attività estrattive e manifatturiere, costruzioni, produzione e distribuzione di
energia, ecc.:
◦ piccola e media impresa:
▪ meno di 250 dipendenti
▪ fatturato annuo non superiore ai 40 milioni di euro
▪ possesso del requisito di indipendenza (capitale non detenuto da una sola persona/
congiuntamente da imprese per più del 25%)

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◦ piccola impresa:
▪ meno di 50 dipendenti
▪ fatturato annuo non superiore ai 7 milioni di euro
▪ possesso del requisito di indipendenza
• per le imprese fornitrici di servizi:
◦ piccola e media impresa:
▪ meno di 95 dipendenti
▪ fatturato annuo non superiore ai 15 milioni di euro
▪ possesso del requisito di indipendenza
◦ piccola impresa:
▪ meno di 20 dipendenti
▪ fatturato annuo non superiore ai 2,7 milioni di euro
▪ possesso del requisito di indipendenza

Caratteri di assetto finanziario delle piccole e medie imprese


Considerazioni di insieme
Il finanziamento delle aziende di piccole e medie dimensioni presenta delle problematiche specifiche, ed in
generale una certa difficoltà nel reperire un adeguato volume globale di mezzi finanziari.
L'analisi delle problematiche di assetto finanziario delle Pmi, ruota intorno a tre poli di attenzione critici:
• livello di cultura finanziaria del vertice imprenditoriale-proprietario: la piccola impresa raramente
ricorre all'utilizzo di articolati sistemi di pianificazione, programmazione e controllo finanziario, perché
non è in grado di gestirli. Ricorre al credito in ritardo, dopo che si è manifestato il fabbisogno
finanziario
• difficoltà di accesso alle vie dell'aumento di capitale: impossibilità di accesso ai mercati azionari e
atteggiamento di chiusura all'ampliamento dei componenti dell'assetto proprietario, obbliga a usare
autofinanziamento da reddito o patrimoni personali come capitale di rischio, che non riescono a seguire
la dinamica evolutiva dei fabbisogni finanziari permanenti, obbligando a reperire capitale di credito
• difficoltà di accesso al credito a medio termine: perché gli istituti di credito considerano rischioso
effettuare operazioni a medio e lungo termine con piccole e medie imprese, per la coincidenza fra
proprietari e imprenditori e la scarsità relativa di capitali immobilizzati che possano fungere da garanzie
reali
Cultura finanziaria e imprenditorialità nelle PMI
Esiste certamente un carattere principalmente “personale” che qualifica l'equilibrio globale tra gli assetti in
questa categoria di imprese, cosa che garantisce da un lato flessibilità del sistema delle decisioni aziendale, e
dall'altro è caratterizzato dalla difficoltà di gestire contemporaneamente una notevole mole di informazioni,
prendere numerose decisioni a volte complesso e comunque far fronte alla necessità di possedere competenze
differenziate per ogni area dell'impresa. È tipico che il piccolo imprenditore non sia in grado di conoscere
sufficientemente le problematiche operative relative alle aree funzionali quale marketing, finanza, personale,
vendite, occupandosi principalmente di produzione e amministrazione. Ciò causa una tendenziale incapacità di
valutare in modo consapevole le alternative di finanziamento, ed una politica finanziaria inadeguata.
Oltretutto spesso il piccolo imprenditore non ha consapevolezza della propria forza contrattuale, e non è in
grado di avviare una vera e propria “trattativa” in sede di contrattazione dei finanziamenti, spesso accettando
condizioni svantaggiose, senza avere adeguata consapevolezza degli oneri finanziari che impatteranno sui costi
dell'impresa, e accettando ad esempio formule di finanziamento “preconfezionate” che spesso si allontanano
dalle reali esigenze di copertura finanziaria richieste da fabbisogni finanziari, fabbisogni che sono peculiari,
variano per ogni impresa.
Collegato al problema culturale-organizzativo è l'assenza di sistemi di pianificazione, programmazione e
controllo adeguati, per disfunzioni che riguardano essenzialmente:
• natura storica dei dati utilizzati per il controllo direzionale (e non di tipo prospettico)
• insufficienza di adeguate strutture amministrativo-contabili (non viene usata contabilità analitica,
budgets, tecniche di analisi dei fabbisogni finanziari), mancano strumenti “moderni” per convincere
finanziatori esterni
• estrazione professionale di tipo contabile dello staff amministrativo

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• natura essenzialmente informale delle procedure di controllo direzionale


Dotazione di capitali propri: i vincoli e le limitazioni tipiche delle piccole e medie imprese
Le teorie di finanza aziendale hanno convenuto che sia il capitale di credito che il capitale proprio debbano
concorrere in modo equilibrato a soddisfare il fabbisogno finanziario d'impresa. Si analizzeranno gli elementi
che originano nelle PMI, rapporti fra mezzi propri e debiti inferiori a quelli fisiologici.
Una prima limitazione alla raccolta di risorse finanziarie a titolo di capitale è connessa alla difficoltà di accesso
al mercato finanziario, ed in generale ad una difficoltà nel reperire capitale di rischio da fonti esterne, per tutti i
motivi già affrontati:
• eccentuata “personalizzazione” nelle PMI, che spesso non possono sopravvivere al proprietario
• mancanza di adeguati sistemi informativi: spesso volutamente per eludere il sistema fiscale, non
permettono all'investitore esterno di approfondire la conoscenza sull'attività dell'impresa e sulle sue
potenzialità economico-finanziarie
• compressione del livello di notorietà per il fatto di operare su mercati non vasti, essenzialmente locali
• mancanza di flottante sul mercato ovvero di un aggiornamento del corso di quote/azioni, spesso detenute
interamente dalla famiglia dell'imprenditore-proprietario
• chiusura verso l'ampliamento della compagine sociale, sia per paura di ridimensionamento nelle
mansioni (uno “spossessamento” dell'impresa), sia per la perdita di controllo di quote che possono
andare in mano a soci “ostili” al soggetto economico
Come già detto allora le uniche opportunità (vie dette “pseudo-esterne”) di accesso al capitale di rischio: sono
l'immissione nel sistema di impresa di capitali derivanti dai redditi extra-aziendali e dalla liquidazione di quote
del patrimonio personale a disposizione del soggetto economico oppure l'autofinanziamento da reddito, che non
è idoneo a favorire la crescita.
Questa fragilità finanziaria può originare due percorsi distinti, ma ugualmente indirizzati ad alterare la struttura e
gli equilibri fisiologici del sistema:
• fenomeni di “crescita frenata”: provocati da una mancanza di risorse esterne, insufficienti flussi di
autofinanziamento
• fenomeni di “crescita forzata”: provocata da un imperativo di utilizzare tutta la ricchezza prodotta
autonomamente reinvestendola continuamente nel sistema, provocando quindi una crescita forzata non
adeguatamente contemplata e programmata in disegni strategici di sviluppo
Vincoli nell'accesso al credito a medio termine come origine di squilibrio finanziario strutturale
Esistono come detto forti limitazioni nell'accesso a fonti esterne di finanziamento a titolo di capitale di rischio.
Queste possono essere accompagnate da tre diverse situazioni conseguenti:
• compensazione della carenza di capitali esterni con sufficienti flussi reddituali e adeguata politica di
autofinanziamento
• autofinanziamento che concorre solo parzialmente al conseguimento di un adeguato livello di
capitalizzazione
• autofinanziamento non è praticabile per la mancanza di flussi reddituali positivi, situazione tipica di
imprese che attraversano periodi di crisi
Numerose indagini empiriche hanno evidenziato come le PMI siano maggiormente sbilanciate verso il credito a
breve termine, rispetto alle imprese di maggiori dimensioni. Tuttavia, eccedere nel finanziamento a breve
termine significa spostare la funzione fisiologica di copertura di fabbisogni finanziari temporanei (fluttuazioni
dell'attività aziendale di acquisto,produzione e vendita e fluttuazioni di prezzo) ad una funzione di copertura di
fasce durevoli del fabbisogno finanziario, connesse a processi di sviluppo della struttura aziendale.
Come già affermato in precedenza, spesso una condizione inderogabile per ottenere credito a medio termine
dagli istituti bancari italiani è la presentazione di garanzie reali, quando per le caratteristiche proprie delle PMI
(bassa incidenza del capitale fisso rispetto al capitale di funzionamento totale, attivo) esse spesse vengono a
mancare, costringendo l'imprenditore a presentare garanzie personali (generalmente fideiussioni), che
ovviamente fanno uscire il rischio di impresa dalla personalità giuridica della società, se società di capitali.
Date queste condizioni è allora alla capacità di autofinanziamento proprie del sistema aziendale che si devono
ricondurre le possibilità di sopravvivenza e sviluppo delle imprese minori, specie se operanti in settori
turbolenti, dove i mutamenti ambientali accrescono l'importanza di regimi strategici di sviluppo (al posto di
quelli di stabilità), con l'esigenza quindi di reperire risorse finanziarie necessarie.
Lo squilibrio finanziario strutturale delle PMI è infine favorito anche dall'entità degli immobilizzi finanziari
reclamati dalla gestione del capitale circolante, per una maggiore incidenza sul capitale di funzionamento dei
livelli fisiologici di liquidità, ecc, e per una maggiore difficoltà di smobilizzo dei crediti commerciali.

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Capitolo 4 – Il “management buy out” come processo di sviluppo dell'impresa


Definizione del concetto
Per management buy out (MBO) si intende l'acquisizione di un'impresa, o di una parte di impresa, realizzata da
parte del management interno dell'impresa target stessa. La peculiarità di questa operazione sta nel fatto di
operare una “riunificazione” fra assetto proprietario ed assetto imprenditoriale, in una sorta di passaggio
“inverso” fra imprenditore tradizionale e imprenditore moderno (dove tuttavia l'imprenditore diventa
proprietario questa volta consapevole dei conflitti di interessi che si creano nel doppio ruolo).
Normalmente il MBO viene effettuato facendo largo ricorso all'indebitamento, cosa che spinge a definire
l'operazione più precisamente come leveraged management buy out (LMBO).
Per una terminologia più completa si riassume:
• management buy out (MBO) , e dove con leva finanziaria leveraged management buy out (LMBO)
• management buy in (MBI), e dove con leva finanziaria leveraged management buy in (LMBI): quando
acquistano l'impresa target manager che precedentemente lavoravano in imprese diverse
• employee buy out: quando una larga parte dei dipendenti sottoscrive capitale sociale, spesso per
ricapitalizzare un'azienda in crisi e salvarla
• family buy out: per imprese familiari, l'acquisizione di quote fra componenti della famiglia, effettuata da
membri interessati alla conduzione dell'impresa (anche se non riunisce propriamente management e
proprietà)
Risultati empirici hanno dimostrato che i risultati (sopravvivenza nel m/l termine, redditività, e cash flow) delle
imprese oggetto di MBO sono sensibilmente superiori rispetto a quelli di imprese oggetto di normali procedure
di acquisizione
Principali ipotesi interpretative del management buy out elaborate in letteratura
Sono state elaborate tre ipotesi interpretative sul MBO:
• motivazioni fiscali: è fondata sul seguente ragionamento:
◦ la remunerazione corrisposta ai finanziatori a titolo di debito è deducibile dal reddito imponibile,
mentre la remunerazione corrisposta ai soci non è dotata di questa caratteristica
◦ fare operazioni di MBO comporta l'accrescimento del livello di indebitamento dell'impresa, che
comporta risparmi fiscali in termini di riduzione del costo medio del capitale investito
La motivazione fiscale appare però debole, dal momento che una struttura finanziaria fortemente
indebitata, anche se comporta nel breve periodo vantaggi fiscali anche rilevanti, è particolarmente
fragile. Oltretutto, non si spiegherebbe la peculiarità di un'acquisizione da parte del management,
rispetto a qualsiasi altra usuale acquisizione a leva
• motivazioni elaborate in “teoria dell'agenzia”: che si sviluppa lungo due motivazioni opposte
◦ il MBO rappresenta una fonte di riduzione dei costi di agenzia, perché unifica i due assetti
◦ il MBO rappresenta una via che consente al management di realizzare comportamenti
opportunistici a danno della proprietà, poiché in caso di imprese quotate in borsa a capitale diffuso,
il management si ritroverebbe in una posizione privilegiata per diffondere sul mercato false
informazioni, far calare il prezzo delle azioni, e quindi scalare la società
• motivazioni basate sul processo di sviluppo dell'impresa: fanno recuperare rispettabilità al MBO,
perché lo fondano su una necessità di risolvere problemi di squilibrio di capacità fra i due assetti,
rafforzando le possibilità di sopravvivenza e sviluppo dell'impresa incidendo sulla struttura del sistema,
questo quando:
◦ sono presenti importanti esigenze di opportunità e sviluppo del sistema operativo
◦ il management è dotato delle capacità imprenditoriali per governare con successo lo sviluppo
◦ la proprietà non dispone di capacità finanziarie adeguate per favorire le opportunità di sviluppo,
oppure, non approva i programmi elaborati dal management perché divergenti dagli scopi propri
Spesso il management non dispone personalmente di risorse patrimoniali adeguate a rilevare il controllo
dell'impresa, ed è costretto a ricorrere ad elevati livelli di indebitamento, fondati sulla capacità di credito
dell'impresa stessa oggetto di acquisizione, molte volte presentando anche onerose garanzie personali. Il fatto
che sia disposto a rischiare la propria ricchezza personale è certamente un fattore intangibile della fiducia che
ripone nell'impresa, garanzia spesso poco considerata dai finanziatori esterni poco lungimiranti, che basano una
valutazione dell'impresa esclusivamente su garanzie reali e assets materiali dell'impresa target.
Le principali fasi di attuazione del management buy out
L'impulso al MBO è una forte motivazione all'acquisto da parte del management, sia di tipo economico che

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psicologico (autorealizzazione). L'idea può venire ad un singolo manager, che deve poi convincere gli altri
membri a formare un management team. Ovviamente la proprietà deve essere convinta a vendere.
Il management team procede a contattare i potenziali finanziatori e i consulenti per gestire la valutazione di
fattibilità dell'operazione, ovvero:
• una valutazione dell'impresa target: per creare una base di partenza, effettuata con:
◦ metodi di tipo economico: analizzano i redditi futuri attesi per un periodo
◦ metodi di tipo finanziario: valutano l'attualizzazione dei flussi di cassa attesi per un periodo
• una definizione della struttura finanziaria dell'operazione, ovvero la struttura delle fonti di
finanziamento che saranno utilizzate per coprire il fabbisogno finanziario generato, distinte in base al
grado di priorità concesso ai finanziatori sul rimborso e sulla remunerazione:
◦ senior debt (60%): formato da debiti a breve garantiti da attivo di breve e debiti a medio temine
garantiti da attivo immobilizzato
◦ mezzanine debt (20%): finanziamenti non garantiti e rimborso subordinato ai debiti senior, formato
da debiti a medio e lungo termine a tasso fisso, più rischiosi per i finanziatori e quindi più onerosi
per l'impresa, anche detti “junk bonds”, o obbligazioni-spazzatura (molto rischiosi)
◦ equity financing (20%): finanziamento rappresentato dalla sottoscrizione di quote di capitale sociale
della newco costituita dal management team per l'acquisizione della target. I sottoscrittori del
capitale sociale della new company sono, oltre che i membri del management team, spesso anche
società di venture capital, private equity e merchant banks, data la usuale indisponibilità di capitale
da parte del management. Per ottenere il controllo della newco si ricorre ad azioni a voto limitato,
oppure alla stipula di accordi parasociali. Gli investitori in equity partecipano con un'ottica
speculativa a medio/lungo termine, e possono vincolare il management a una futura quotazione
• la elaborazione del business plan: fornisce rassicurazioni in merito alla concreta capacità di rientro del
debito dell'impresa, perché con un credibile piano strategico di sviluppo del sistema operativo
implementato dal management-proprietario nel periodo cosiddetto del post management buy out, i
finanziatori possono essere convinti più facilmente Inoltre rappresenta lo strumento per valutare
l'effettiva fattibilità dell'operazione di MBO, oltre che un orientamento per le decisioni future del
management. I contenuti del business plan sono:
◦ descrizione storica delle strategie competitive, delle politiche funzionali e dei risultati
◦ analisi approfondita del business del settore oggetto di attività dell'impresa
◦ descrizione degli obiettivi strategici per il post management buy out
◦ descrizione della futura struttura organizzativa
◦ piani patrimoniali, economici e finanziari di medio e breve termine
◦ descrizione della composizione del management team: con le competenze dei membri e le future
mansioni, rappresenta una garanzia sul fatto che il management avrà successo nel governo
◦ sensitivity analysis: analisi che mostra come si modificano i risultati economici e finanziari previsti,
in funzioni delle principali variabili ambientali e macroeconomiche, e si effettua facendo almeno tre
ipotesi (ipotesi ottimistica, ipotesi più probabile, ipotesi pessimistica)
Se i risultati conseguiti nelle fasi appena descritte sono positivi, allora il management procede alla formulazione
di una offerta di acquisto condizionata, condizionata dal fatto che le trattative avviate con i finanziatori vadano a
buon fine, e che la due diligence incaricata di effettuare un'indagine sulla situazione patrimoniale della target dia
un risultato ugualmente positivo.
L'ultima fase del processo è ovviamente la stipula dei contratti di finanziamento, e infine del contratto di
acquisizione della target. L'acquisizione può essere effettuala attraverso due modalità alternative:
• tecnica “cash merger”: la newco acquista la totalità o la maggioranza del capitale dell'impresa target,
che viene poi incorporata per fusione per incorporazione della newco
• tecnica “assets for cash”: la newco acquista direttamente una parte (ramo aziendale) delle attività della
target
Principali contesti aziendali che favoriscono l'implementazione del management buy out
Con riferimento al sistema operativo si può distinguere tra assetto operativo efficiente (condizione fisiologiche
di equilibrio, economicità) e assetto operativo inefficiente (condizioni di stato patologico, non economicità).
Con riferimento al sistema proprietario si può distinguere tra imprese pubbliche, imprese quotate in borsa
(tendenziale dispersione dei soci), imprese controllate da gruppi industriali (controllate da holding) e imprese
controllate da un numero ridotto di soci persone fisiche (la situazione più comune per le PMI).

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Incrociando i diversi casi si ottiene il seguente schema.


ASSETTO OPERATIVO
Efficiente Non efficiente
Imprese controllate da un
Successione
numero ridotto di soci
Imprese controllate da
gruppi industriali
Rifocalizzazione
ASSETTO
PROPRIETARIO
Risanamento
Imprese pubbliche Privatizzazione

Imprese quotate in borsa Ritiro della quotazione

Per quanto riguarda la successione, il MBO risolve problemi di successioni di imprese a conduzione familiare,
quando gli eredi non vogliano subentrare.
Per quanto riguarda la rifocalizzazione, il MBO viene incontro alle esigenze della holding/gruppo industriale di
rifocalizzazione sui propri core business e al contempo consente di mantenere relazioni privilegiate, anche
evitando che le competenze distintive maturate nel business oggetto di disinvestimento non saranno trasferite ad
imprese concorrenti.
Per quanto riguarda la privatizzazione, il MBO è la soluzione per imprese pubbliche funzionanti che vogliano
valorizzare le competenze sviluppate, al di fuori del controllo statale.
Per quanto riguarda il ritiro della quotazione, il MBO è una via che permette al management di acquistare con
un'offerta pubblica le azioni della società e a ritirarla dalla quotazione, per evitare gli oneri connessi alla
quotazione stessa, specie se il mercato borsistico sta mostrando scarso interesse.
Per tutti i casi in cui ci sia assetto operativo inefficiente, si è mostrato come un'operazione di MBO, nonostante
possa sembrare controproducente aumentare il rischio di un'impresa in crisi con un'operazione di acquisizione
tramite leva, è una via per risanare l'impresa e rilanciarne lo sviluppo, con un'operazione di risanamento, ovvero
ripristino delle condizioni di equilibrio economico. Questo a patto ovviamente che la crisi non abbia raggiunto
uno stadio avanzato tale da essere irreversibile, e lo stato patologico non sia imputabile a mancanze del
management ma semmai della proprietà.
I vincoli alla diffusione del management buy out in Italia
Nel nostro Paese ancora oggi vengono effettuate con scarsa frequenza operazioni di MBO. Il principale vincolo
parrebbe riconducibile alla inadeguatezza del nostro sistema finanziario rispetto alle esigenze delle operazioni di
MBO, fra cui certo peso lo scarso livello di propensione al rischio che caratterizza le imprese bancarie italiane.
Ciò limita la possibilità di accedere al mezzanine financing, che copre una quota abbastanza rilevante del
fabbisogno dell'operazione.
Oltretutto, nel nostro paese scarseggiano soggetti interessati a finanziare a titolo di equity, quali venture capital,
merchant banks e fondi di private equity. Ancora, non si può sottovalutare lo scarso grado di sviluppo del
sistema borsistico italiano, oltre alle sue pesanti limitazioni all'ingresso di nuove imprese, così da scoraggiare
fondi di equity a fini speculativi.
Non secondaria è la ridotta dimensione media delle imprese, oltre che alla già ampiamente citata
sovrapposizione tra assetto proprietario ed assetto imprenditoriale, che inibisce la formazione di un assetto
manageriale autonomo che possa effettuare MBO. Ma anche quando un management esista, vi è comunque una
generale scarsa propensione al rischio del management.
Infine pesanti limitazioni provengono dalla legislazione civilistica e tributaria, sempre prendendo a modello le
operazioni di MBO americane o inglesi. Ad esempio, in Italia non si possono emettere obbligazioni per importi
superiori al capitale sociale versato e certificato dall'ultimo bilancio approvato: ciò limita il ricorso a prestiti
obbligazionari. Inoltre un'impresa non può ammettere azioni privilegiate (senza diritto di voto) per importi
superiori al 50% del capitale sociale, e ciò limita l'ammontare di equity che può essere raccolto presso
finanziatori a titolo di equity. Mancano del tutto agevolazioni fiscali che favoriscano le operazioni di MBO.
I vincoli hanno inciso sulla diffusione e sulla stessa struttura delle operazioni MBO portate a termine. In
particolare nel nostro paese le operazioni di MBO sono caratterizzate da un più basso ricorso alla leva
finanziaria rispetto alle controparti anglosassoni, e spesso declinate nella sottospecie del family buy out, che,
come detto, caratterizza spesso un ampliamento del capitale già detenuto per via ereditaria da membri della
famiglia “cresciuti in azienda” (spesso anche già come management), e interessati a governare l'impresa.
Molto più diffuso risulta anche il management buy in.

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