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LA GESTIONE COLLETTIVA DEL RISPARMIO

13 aprile 2021
Per descrivere la gestione collettiva del risparmio si utilizza anche l'espressione “gestione in monte”, quindi
gestione collettiva o gestione in monte del risparmio vogliono dire la stessa cosa. Siamo di fronte anche qui a
un servizio di natura finanziaria, un servizio che si svolge su un mercato finanziario, che presenta però una
peculiarità, è svolto da determinati intermediari specializzati e consiste nella gestione di un risparmio
collettivo che viene raccolto quindi da una moltitudine di investitori, che avviene questa gestione
nell’interesse comune della moltitudine degli investitori.
Cosa significa che il risparmio viene gestito dai intermediari finanziari nell’interesse comune degli
investitori? Significa che questo risparmio raccolto tra la moltitudine di investitori, che hanno per esempio
sottoscritto quote in fondi comuni di investimento viene ad essere investito in strumenti finanziari sulla base
di una determinata politica d'investimento che viene predeterminata, per raggiungere migliori risultati
possibili, comunque nell'interesse della collettività degli investitori e anche nel rispetto di quelle che sono le
norme legali e regolamentari, negoziali che caratterizzano, per l'appunto, la gestione collettiva del risparmio.
La gestione collettiva del risparmio è in realtà un servizio che così definito è piuttosto ampio, presuppone
alla possibilità che si realizza attraverso diverse modalità operative e anche ricorrendo a diversi soggetti,
intermediari specializzati che si occupano di effettuare questo servizio, indubbiamente, i soggetti principali
che almeno interessano nella nostra prospettiva sono le società a gestione del risparmio (SGR), le società di
investimento a capitale variabile (SICAV).
Questi due soggetti che si occupano della gestione collettiva del risparmio, in realtà lo fanno ricorrendo a due
modelli organizzativi di gestione collettiva del risparmio profondamente diversi.
Quindi, non solo sono diversi i soggetti che se ne occupano, ma anche la modalità di gestione del risparmio
che è imputabile a una SGR è profondamente diversa quella realizzata da una SICAV.
Il modello probabilmente più tradizionale è il modello di gestione collettiva del risparmio che passa
attraverso l’intervento di una SGR.
La SGR è una società per azioni, ha un capitale sociale fisso, nel senso che questo capitale sociale come in
una normale società per azioni viene determinato all’inizio, al momento della costituzione, viene fissato
nello statuto in una cifra fissa, ecco perché si dice che il capitale è fisso. Chiaramente il capitale di una
società per azioni può essere aumentato, può essere ridotto ma le operazioni di aumento o riduzione del
capitale sociale devono passare attraverso un apposito procedimento che si chiama, per l'appunto,
procedimento di modifica dell’atto costitutivo. È necessaria una delibera dell’assemblea straordinaria della
società per azioni, è necessario l’intervento del notaio che verbalizza la delibera, è necessario che poi la
delibera venga pubblicizzata attraverso l’iscrizione nel registro imprese. Se non si segue un procedimento di
modifica dell’atto costitutivo il capitale resta fisso. Ora questa SGR che è una società per azioni a capitale
fisso, si occupa per l’appunto di istituire e gestire fondi comuni di investimento. La SGR che chiaramente
svolge questa attività dietro il corrispettivo di una provvigione annuale, che di regola è proporzionale alle
somme e al patrimonio raccolto e alle somme investite, ed è una gestione che la SGR svolge a vantaggio ma
anche a rischio dei risparmiatori che hanno apportato le somme e hanno sottoscritto quote del fondo comune
di investimento.
Nel senso che se la gestione investimenti effettuati non producono risultati positivi, ovviamente la perdita
verrà ad essere subita dai risparmiatori che hanno sottoscritto quote del fondo comune di investimento.
Quindi abbiamo una situazione in cui una moltitudine di risparmiatori apportano il denaro per costituire
questo patrimonio collettivo, rappresentato dal fondo comune di investimento però nello stesso tempo
perdono ogni possibilità di decidere e influenzare quelle che sono le scelte di investimento che poi fa il
gestore.
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Quindi potrebbe sembrare quindi che la posizione degli investitori che decidono di investire i propri risparmi
in fondi comuni di investimento, sia una posizione di assoluto svantaggio per i risparmiatori.
È veramente così oppure, in realtà, ci sono dei vantaggi significativi nella scelta di questa strada per gli
investimenti?
Allora abbiamo una situazione in cui una moltitudine di investitori affida i propri risparmi alla società di
gestione del risparmio costituendo questo fondo comune investimento e sottoscrivendo le quote del fondo
comune investimento, però allo stesso tempo perde ogni possibilità di decidere e anche influenzare le scelte
del gestore, perché il gestore opera nell’interesse collettivo degli investitori, quindi apparentemente è una
situazione di svantaggio, perché apporto dei capitali però non ho la possibilità di decidere come il mio
investimento, come i miei capitali vengono gestiti e investiti.
Sicuramente è un discorso di strumenti a disposizione, conoscenze specialistiche, strumenti di analisi
finanziaria che chiaramente il singolo investitore non ha mentre il gestore professionista ha, e quindi può
assumere delle scelte che indubbiamente, anche perché ha delle informazioni aggiuntive che il singolo
investitore non ha e può assumere delle scelte che in linea teorica dovrebbero portare a risultati più
vantaggiosi per i clienti, questo è un punto.
Un altro profilo di vantaggio è che già nella scelta degli strumenti finanziari sui quali investire chiaramente si
possono ottenere delle condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbe il singolo investitore che
chiaramente ha la possibilità di sottoscrivere o acquistare un piccolo quantitativo di quella stessa tipologia di
strumenti finanziari. E poi c’è in linea teorica anche la possibilità di diversificare gli investimenti, è chiaro
che più il patrimonio è consistente, maggiore è la possibilità di diversificare gli investimenti.
La diversificazione degli investimenti è la principale strada, opzione per ridurre il rischio legato
all'investimento di natura finanziaria. Quindi ci sono degli indubbi vantaggi che spiegano perché questa
modalità, questo servizio finanziario che caratterizza il mercato finanziario ha nei fatti avuto grande
successo. L'altro modello è quello della SICAV, anche la SICAV è una società per azioni però già tenendo
conto di quello che è il significato un po' dell'acronimo SICAV, che significa società di investimento a
capitale variabile, ci rendiamo che questa società per azioni ha una caratteristica peculiare rispetto alle
ordinarie società per azioni e anche rispetto alla SGR. Cioè, il capitale sociale di una SICAV non è fisso ma
è variabile.
Il che significa che questo capitale, che di regola è sempre corrispondente al patrimonio della stessa società
aumenta o diminuisce sulla base di quelle che sono le adesioni, ovvero il recesso da parte degli investitori.
Nel momento in cui l'investitore aderisce ad una SICAV aumenta il capitale sociale, aumenta il patrimonio
della SICAV perché l'investitore sottoscrive direttamente azioni emesse dalla SICAV.
Nel momento in cui un investitore dovesse abbandonare il proprio investimento e quindi per esempio
recedere dalla società avremo una diminuzione da parte del capitale sociale e del patrimonio della SICAV.
Quindi, la differenza fondamentale del modello organizzativo della SICAV rispetto al modello organizzativo
della SGR, è che nella SICAV non abbiamo una separazione patrimoniale.
Nel modello della SGR abbiamo una separazione patrimoniale tra il patrimonio raccolto mediante le adesioni
degli investitori che è rappresentato dal fondo comune di investimento e la società che lo gestisce, che è la
SGR.
Nel modello della SICAV, invece, questa separazione patrimoniale non c'è, perché la società gestisce
direttamente il proprio patrimonio, e il patrimonio collettivo viene raccolto mediante l'emissione e l'offerta
agli investitori delle proprie azioni. Quindi, mentre gli investitori nel caso del fondo comune di investimento
gestito dalla SGR sono semplici partecipanti al fondo comune di investimento, nel modello della SICAV gli
investitori sono azionisti, soci della stessa SICAV. Perché il loro investimento viene effettuato

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sottoscrivendo le azioni della SICAV, quindi entrano nella compagine sociale della SICAV, come normali
soci di una società per azioni.
È chiaro che a seconda dei risultati della gestione del patrimonio, questo patrimonio raccolto verrà anch'esso
investito in strumenti finanziari e ci saranno dei risultati positivi e negativi a seconda dell’andamento del
valore di questi strumenti finanziari. Se i risultati sono positivi succede che il valore del patrimonio aumenta
e quindi aumenta il capitale sociale, perché è sempre coincidente col patrimonio e aumenta anche il valore
delle azioni, a beneficio degli investitori. Quindi gli investitori qui lucrano proprio sull’incremento del valore
delle proprie azioni, delle azioni che hanno investito, che hanno sottoscritto investendo il proprio patrimonio
nella SICAV.
Se invece gli investimenti dovessero andare male e quindi avremo verosimilmente una diminuzione del
valore del patrimonio, diminuirebbe anche il capitale sociale e diminuirebbe il valore nominale delle azioni,
a decremento dei soci che le detengono. Quindi, nella SICAV abbiamo una società che gestisce direttamente
il patrimonio raccolto tra una moltitudine di investitori che sono soci della società, nella SGR abbiamo una
società che gestisce un patrimonio separato, cioè il fondo comune di investimento al quale hanno aderito gli
investitori sottoscrivendo quote dello stesso.
Fermi questi due modelli di base profondamente diversi tra SGR e SICAV che consentono di tracciare una
linea di demarcazione netta tra i due modelli di gestione collettiva del risparmio, la realtà è un po’ più
complicata, perché esistono ovviamente delle varianti, sia per quanto riguarda il modello della SGR che
gestisce fondi comuni di investimento e sia per quanto riguarda il modello della SICAV. In particolare, i
fondi comuni di investimento si distinguono in fondi comuni di investimento aperti o chiusi, a seconda che il
risparmiatore possa o meno esercitare un diritto di recesso, cioè chiedere il rimborso della propria quota
prima della scadenza del fondo. Se il risparmiatore può uscire dal fondo, chiedere il rimborso della propria
quota, quindi farsela liquidare prima della scadenza del fondo ovviamente in finestre predeterminate, allora il
fondo sarà definito come fondo comune d'investimento aperto. Se invece l’investitore deve attendere la
scadenza del fondo per poter liquidare il proprio investimento, allora il fondo comune di investimento verrà
ad essere qualificato come il fondo di investimento chiuso. È chiaro che i fondi di investimento chiusi
possono essere caratterizzati da scelte di investimento più rischiose perché ovviamente la SGR ha la
possibilità di programmare la liquidazione del patrimonio alla scadenza del fondo e quindi può permettersi di
investire il patrimonio collettivo raccolto anche in investimenti di più lunga durata ma che magari danno
maggiori rendimenti, come per esempio sono i settori del venture capital o i settori mobiliari, oppure le
piccole e medie imprese non quotate ma magari startup innovative che hanno grandi prospettive di crescita.
Insomma, sono tutti settori particolarmente redditizi ma che hanno bisogno per realizzare poi l'investimento
di un’ottica di lungo periodo, chiaramente queste stesse politiche in investimento non possono essere
realizzate nel caso dei fondi aperti, perché nel fondo aperto è necessario assicurare quotidianamente la
possibilità di liquidare gli investimenti a favore degli investitori che dovessero esercitare il diritto di recesso.
A fronte di questa differenziazione che pure ha una rilevanza pratica considerevole, va detto però che il testo
unico della finanza offre una definizione generale di fondo comune di investimento, cioè valevole sia per il
modello del fondo chiuso e sia per il modello del fondo aperto. E si dice che il fondo comune di investimento
è l’OICR quindi l'organismo di investimento collettivo del risparmio, costituito in forma di patrimonio
autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore. Quindi il fondo comune investimento è un
organismo di investimento collettivo del risparmio, organismo non dovete pensare però che sia sempre
comunque un soggetto, perché in questo caso non si tratta di un soggetto, il fondo comune di investimento
non è un soggetto giuridico. È un patrimonio rispetto al soggetto che lo gestisce che è invece la SGR.
Anche per le SICAV, la disciplina prevede alcune distinzioni rispetto al modello di base, la principale è
quella che distingue le SICAV unicomparto dalle SICAV multicomparto.
Nella SICAV unicomparto abbiamo un unico comparto di investimento, nelle SICAV multicomparto
abbiamo più comparti di investimento. Il patrimonio residuo della SICAV è come se fosse suddiviso in più
patrimoni tra loro distinti e autonomi che vengono investiti in strumenti finanziari differenziati a seconda del
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comparto d'investimento. Questo quadro delineato si è ulteriormente complicato e arricchito in tempi recenti,
soprattutto per effetto di questa direttiva AIFM sui gestori di fondi di investimento alternativi, che è una
direttiva del 2011. Ciascuna di queste fattispecie di organismi investimento collettivo del risparmio ha una
sua regolamentazione di base, si tratta di un regolamento europeo nella maggior parte di casi, che le ha
istituite e ciascuno di questi OICR o fondi comuni di investimento ha una sua peculiarità che deriva dalla
natura particolare degli strumenti nei quali vengono investite le risorse raccolte. Quindi abbiamo il fondo
europeo del venture capital, abbiamo il fondo europeo per l’imprenditoria sociale, abbiamo il fondo di
investimento europeo a lungo termine, abbiamo i fondi comuni investimento cosiddetti alternativi, gli OICR
alternativi, o i cosiddetti FIA, fondi comuni di investimento alternativi e abbiamo le società di investimento a
capitale fisso. Quindi un panorama molto ricco che in realtà la cui fonte non va ricercato ovviamente solo
nella normativa, perché in realtà questo quadro di norme tiene conto di un evoluzionista nella prassi
finanziaria, dove sono nate tipologie sempre più particolari di organismi di investimento collettivo del
risparmio che il legislatore ha dovuto ovviamente tener conto cercando un po' di formalizzarla all'interno di
schemi quali quelli che troviamo poi nei regolamenti dell'unione europea.
Anche la gestione collettiva del risparmio è un'attività riservata, il servizio di gestione collettiva del
risparmio chiaramente è riservato ad una serie di soggetti che sono non solo le SGR e le SICAV ma a
seconda della forma che assume la gestione collettiva, in particolare il patrimonio collettivo da gestire
possono essere anche SICAF società di gestione dell’UE e i cosiddetti GEFIA cioè i gestori di fondi di
investimento alternativi. Chiaramente, trattandosi di un'attività riservata per tutti questi soggetti e questo vale
soprattutto per le SGR, e cioè, anche le SGR può svolgere la sua attività previa autorizzazione e previa
iscrizione in un albo tenuto dalla Banca d'Italia. In particolare, questa disciplina dell’autorizzazione e
dell’iscrizione nell’albo tenuto dalla Banca d'Italia implica che anche per la SGR siano previsti chiaramente
dei requisiti. Dei requisiti che sono sostanzialmente analoghi a quelli previsti per le imprese di investimento,
per le SIM.
Anche qui vale il discorso, cioè anche qualora si dovesse riscontrare la presenza formale dei requisiti indicati
dall'articolo 34, vi sarebbe comunque la possibilità di negare l'autorizzazione da parte della Banca d'Italia
qualora non risulti garantita la sana e prudente gestione. La particolarità con riguardo alle SGR risiede nel
fatto che la SGR è autorizzata dalla Banca d'Italia rispetto alla SIM e non dalla Consob, che invece è il
soggetto e l'autorità di vigilanza che rilascia autorizzazione alle imprese di investimento, e questo
fondamentalmente per ragioni storici perché la SGR è un soggetto la cui vigilanza è stata in origine affidata
alla Banca d'Italia e così è rimasta. La SGR ovviamente nasce elettivamente per occuparsi della gestione
collettiva del risparmio è autorizzata dalla Banca d'Italia allo svolgimento della gestione collettiva del
risparmio ma può fare anche ulteriori attività sul mercato finanziario. Cosa può fare oltre la gestione
collettiva del risparmio?
La gestione individuale di portafogli e consulenza, anche la consulenza in materia di investimenti.
La SGR può anche occuparsi di istituire e gestire fondi pensione, quindi oltre ai fondi comuni di
investimento anche i fondi pensioni. I requisiti che le SGR deve possedere ricalcano quelli previsti per le
SIM con alcune peculiarità, ovviamente non c'è nessuna differenza sul fatto che le SGR devono costituirsi
adottando il tipo della società per azioni, e sul fatto che la sede e la direzione generale devono essere
collocate nel territorio italiano, giacché se la sede della SGR fosse collocata in un altro paese membro, si
tratterebbe di una società di gestione dell’UE e non di una SGR. Il capitale sociale versato deve essere di
ammontare non inferiore a quello stabilito con regolamento della Banca d'Italia, questo vale per le SIM e
anche per le banche, ci sono poi dei requisiti soggettivi che sono richiesti sia agli esponenti aziendali, quindi
ai membri degli organi di amministrazione e controllo, e sia ai partecipanti al capitale. Nel primo caso
parliamo di requisiti di professionalità, indipendenza, e onorabilità. Nel secondo caso di requisiti di
onorabilità.
Anche qui ha richiesto la presentazione preliminarmente di un programma sull’attività iniziale di una
relazione sulla struttura organizzativa della società, che vanno accompagnate alla presentazione dello statuto
nell’atto costitutivo, come avviene per le SIM. Ovviamente peculiare è per esempio la denominazione
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sociale perché deve riportare l'acronimo SGR, non solo e non invece quello di SIM, come nel caso
dell'impresa di investimento. Anche qui, questi requisiti devono essere la ricorrenza di questi requisiti deve
essere valutata dalla Banca d'Italia in concreto, perché la Banca d’Italia deve valutare se comunque risulti
garantita una sana e prudente gestione, quindi ciò implica una valutazione della ricorrenza in concreto di
questi requisiti e anche qui l'autorizzazione è poi funzionale all'iscrizione della società in un apposito albo
tenuto dalla Banca d'Italia che è chiaramente diverso dall’albo delle SIM e dall’albo delle banche.
Un’altra peculiarità del modello in esame dell'autorità' di vigilanza nel caso della gestione collettiva del
risparmio, questo modello di gestione collettiva del risparmio non sia solo nella fase di autorizzazione
all'attività del gestore, cioè del SGR ma si ha anche nella fase successiva in cui si approva il regolamento del
fondo comune d'investimento. Oggi è previsto quindi che ciascun fondo comune di investimento debba
essere dotato di un regolamento che deve essere approvato dalla banca d'Italia, da questo punto di vista c'è
stato un passaggio che rende il meccanismo più snello, perché in origine addirittura era prevista
l'autorizzazione per l'istituzione del fondo comune d'investimento. Quindi ogni volta che la SGR avesse
voluto istituire un nuovo fondo comune d'investimento avrebbe dovuto chiedere l'autorizzazione alla Banca
d'Italia, oggi questo sistema non c'è più, perché l'articolo 37 comma IV prevede un meccanismo più snello, in
base al quale semplicemente la SGR deve chiedere l'approvazione del regolamento del fondo. 
Che cos'è questo regolamento del fondo?
è sostanzialmente un documento che contiene le regole di funzionamento, se vogliamo utilizzare
un'espressione un po' generica, del fondo comune di investimento e la banca d'Italia quando è chiamata ad
approvare il regolamento, deve, evidentemente, valutare la completezza del regolamento stesso, cioè, il fatto
che il regolamento contenga le indicazioni previste dalla legge nonché che sia più compatibile con quelli che
sono i criteri generali di funzionamento dei fondi comuni d'investimento indicati dalle norme del testo unico
della finanza. 
Cosa deve prevedere questo regolamento del fondo? 
Innanzitutto la denominazione e la durata del fondo, quindi per esempio la denominazione è un elemento
molto importante, perché deve far riferimento alla tipologia del fondo, attraverso quindi un richiamo
espresso, per esempio fondo aperto o fondo chiuso, o anche fondo visto, o fondo obbligazionario, fondo
azionario. Quindi già la denominazione da all'investitore un'idea fondata sulla tipologia di investimenti che
quel fondo andrà ad effettuare. La durata del fondo è un'altra indicazione importante perché deve essere
coerente con la natura degli investimenti e in ogni caso la durata del fondo non può mai cedere quella della
SGR, che l'ha istituito e lo gestisce. Poi vanno indicate le modalità di partecipazione al fondo, i termini e le
modalità dell’emissione e dei certificati della sottoscrizione del rimborso delle quote, nonché le modalità di
liquidazione del fondo. 
Quindi potremmo dire tutti i meccanismi mediante i quali i partecipanti entrano a far parte del fondo comune
d'investimento possono chiedere il rimborso, la liquidazione delle quote e in sostanza quindi come
avvengono i passaggi fondamentali nella gestione del fondo. 
Gli organi competenti per la scelta degli investimenti e i criteri di ripartizione degli investimenti medesimi, è
fondamentale conoscere chi si occupa concretamente di assumere le scelte gestorie,  ricordiamo che la
motivazione principale del successo e di questa forma di investimento collettiva che passa per i fondi comuni
dell SGR risiede nelle capacità professionali dei gestori dei fondi. 
Quindi è importante sapere poi come queste decisioni vengono assunte a livello di quali organi della società
di gestione e del fondo comune di investimento e particolare se ne occupa. 
Il tipo di beni di strumenti finanziari e di altri valori in cui è possibile investire il patrimonio del fondo è
un'indicazione collegata a quella relativa alla tipologia di fondo e quindi alla denominazione del fondo, è
chiaro che queste indicazioni sono quelle che poi rientrano in maniera decisiva agli investitori nella scelta di
aderire o meno a un determinato fondo comune investimento, perché ovviamente la tipologia di beni degli

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strumenti finanziari e poi quella che ci dà anche informazioni in merito al rendimento e al correlato rischio 
dell’investimento che si sta effettuando. 
Infine, abbiamo i criteri di determinazione dei proventi dei risultati della gestione, nonché le modalità di
ripartizione e distribuzione dei medesimi, le spese a carico del fondo e quello è carico della SGR, la misura e
i criteri di partecipazione delle provvigioni spettanti alla SGR e la modalità di pubblicità del valore delle
quote di partecipazione. Infine, merita di essere rimarcata la circostanza che questo meccanismo di
approvazione che oggi è determinato, è stabilito con riferimento al regolamento del fondo comune
d'investimento è agevolato da una regola di silenzio assenso, in base alla quale l'approvazione è ritenuta
concessa dalla banca d'Italia a meno che non intervenga un esplicito provvedimento di diniego entro il
termine stabilito dalla stessa autorità di vigilanza. 
Vale la pena fare una riflessione sul contenuto del regolamento del fondo, perché abbiamo visto che in realtà
questo contenuto non è libero ma è in un certo senso vincolato dalla legge, perché la legge prevede in
dettaglio quello che è il contenuto minimo che questo fondo comune d'investimento quelli che sono le
indicazioni che necessariamente devono essere previste a livello di regolamento del fondo, ed è una cosa
delicata perché chiaramente siamo di fronte ad un regolamento che si occupa di disciplinare il rapporto tra
soggetti privati. Pensate per esempio a proprio l'indicazione relativa ai rapporti tra i partecipanti al fondo e il
gestore del fondo, si tratta di rapporti tra soggetti privati eppure questi rapporti tra soggetti privati non
vengono rimessi alla regolamentazione, alla libera scelta delle parti come avverrebbe in un normale contratto
ma in un certo qual senso questi rapporti vengono condizionati dalle previsioni legislative che limitano
l'autonomia negoziale della SGR e dei partecipanti al fondo nel definire i contenuti del regolamento e non
solo, c'è una limitazione da parte della legge che a monte richiede determinati contenuti, c'è anche una
limitazione a valle nel momento in cui poi c'è l'autorità di vigilanza, cioè la Banca D'Italia che chiamata a
valutare la conformità di quel regolamento in concreto alle previsioni fissate dalla legge e quindi ad
approvare il regolamento del fondo stesso. Quindi siamo di fronte ad un regolamento di natura privata,
rispetto al quale la legge e le autorità di vigilanza pongono dei condizionamenti molto significativi e questo
sempre ragione esigenze di natura pubblicistica, che caratterizzano tutto il mercato finanziario e ovviamente
la posizione degli investitori che sul mercato finanziario che vengono ad operare. 
Chiaramente questo regolamento viene ad essere accettato dalle parti, implicitamente l'investitore nel
momento in cui aderisce al fondo comune di investimento sottoscrivendo le quote dello stesso accetta le
modalità di svolgimento del rapporto, il gestore, che sono codificate all'interno di questo regolamento del
fondo comune d'investimento. 
Vale la pena spendere qualche parola in relazione alla distinzione più importante, all'interno dei fondi
comuni di investimento, che è quella che sia per l'appunto tra ho OICR aperto e OICR chiuso. 
Cioè tra fondo comune d'investimento aperto e fondo comune d'investimento chiuso. 
La definizione di OICR aperto è contenuta nella solita norma definitoria, cioè l'articolo 1 comma primo
lettera K bis del TUF.  Ci dice che l’OICR  è quell’organismo in cui partecipanti hanno diritto di chiedere il
rimborso delle quote secondo le modalità e con la frequenza previste dal regolamento. Chiaramente non
abbiamo un'analoga definizione di fondi chiusi ma la possiamo ricavare per sottrazione, I fondi chiusi o gli
OICR chiusi sono quelli nei quali i partecipanti non hanno diritto di chiedere il rimborso delle quote secondo
le modalità e con la frequenza prevista dal regolamento. 
Questo implica che nei fondi chiusi gli investitori devono attendere la scadenza del fondo, per ovviamente,
ottenere la liquidazione dell’investimento. 
è abbastanza significativo che la norma definitoria per eccellenza del TUF si soffermi sulla nozione di OICR
aperto, di fondo aperto, è rilevante perché questa distinzione non ha valenza meramente definitoria o
classificatoria, non ci serve solo per fare delle distinzioni fine a se stesse, ma ci serve invece perché la
distinzione rileva sul piano della tipologia degli investimenti che i fondi possono effettuare, questo è il punto.
Le modalità di esercizio del diritto di recesso, cioè libere anche durante lo svolgimento del rapporto oppure
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vincolate alla scadenza del fondo, nel caso dei fondi chiusi, si riverberano poi su quelle che sono le tipologie
di investimenti che il fondo può realizzare, e quindi in quest'ottica diventa una distinzione chiaramente
fondamentale. Nei fondi aperti deve essere assicurata la liquidità del fondo, il fondo deve essere liquido cioè
deve fondamentalmente investire, il patrimonio raccolto deve essere investito in strumenti finanziari quotati,
negoziati nei mercati regolamentati, quindi agevolmente rivendibili, liquidabile a seconda delle esigenze.
In particolare a seconda delle richieste di rimborso da parte degli investitori. Nei fondi chiusi questa esigenza
di liquidabilità dell'investimento non sussiste, perché si può attendere la scadenza del fondo e allora gli
investimenti possono essere anche più rischiosi e soprattutto di più lunga durata come investimenti in
strumenti finanziari non quotati emessi da startup innovative in iniziative di venture capital e così via. 
Una posizione di primo piano che è fondamentale nello schema della gestione collettiva del risparmio viene
ad essere assunta dal depositario, di regola è una banca anche se può essere un'impresa di investimento, non
necessariamente una banca, però di regola una banca. 
Di che cosa si occupa il depositario? 
Si occupa di custodire, quindi a questo soggetto vengono fondamente affidati gli strumenti finanziari e le
disponibilità liquide dei fondi comuni di investimento, quindi, le risorse finanziarie e gli strumenti finanziari
nei quali queste risorse finanziarie sono investiti, non vengono detenuti direttamente dalla SGR ma vengono
affidati e quindi custoditi obbligatoriamente da un soggetto terzo che è depositario, e di regola è una banca.
Quindi abbiamo un’ulteriore separazione, non solo una separazione a livello concettuale tra il soggetto che
gestisce il patrimonio e il patrimonio da gestire, ma anche una separazione materiale tra il soggetto che
gestisce il fondo, cioè la SGR e quello che detiene materialmente i beni di proprietà del fondo, cioè la banca
depositaria. E questa separazione è ulteriormente funzionale, strumentale a garantire l'esistenza e l'integrità
di queste disponibilità liquide e di questi strumenti finanziari, anche perché la banca depositaria ha specifici,
penetranti e importanti obblighi di controllo, quindi non si limita a custodire così gli strumenti e le
disponibilità liquide ma esercita anche un controllo. Questi obblighi di controllo consistono, innanzitutto
nell’accertamento della legittimità dell’emissione e di tutte le operazioni attinenti alla gestione delle quote
dei risparmiatori. Quindi, per esempio, le operazioni di rimborso o le operazioni di calcolo del valore delle
quote che sono svolte dalle SGR vengono controllate dalla banca depositaria, che ha quindi un ruolo
fondamentale di controllo. Ovviamente è un controllo di legittimità delle operazioni cioè non di merito di
opportunità delle scelte che fa la SGR ma di legittimità, cioè di conformità di quelle scelte alle previsioni
normative e regolamentari. In secondo luogo, quando esegue le istruzioni del SGR, quindi anche in una fase
a valle di esecuzione delle istruzioni impartite dalle SGR perché necessariamente la SGR deve impartire
istruzioni alla banca dal momento che gli strumenti finanziari di disponibilità liquide sono depositate presso
di essa, svolge sempre un'attività di controllo che consiste nella esecuzione delle operazioni nella misura in
cui valuta le stesse non contrarie alla legge o al regolamento e le prescrizioni dell'autorità di vigilanza.
Quindi a monte valuta la legittimità delle operazioni svolte dal SGR in relazione alla gestione delle quote del
fondo, a valle valuta nelle fasi di esecuzione delle istruzioni della SGR la conformità delle stesse alle
previsioni di legge, del regolamento e le istruzioni delle autorità di vigilanza. Quindi è un ruolo molto
delicato, e in considerazione di questo ruolo particolarmente delicato svolto dalla banca depositaria, si
aggiunge che gli amministratori e i sindaci della banca depositaria hanno uno specifico obbligo di riferire
senza ritardo alla banca d'Italia e alla Consob in merito a eventuali irregolarità che dovessero riscontrare
nell'amministrazione della SGR e della gestione del fondo comune d'investimento. Quindi si tratta
chiaramente di obblighi particolarmente gravosi per la banca depositaria che si potrebbe pensare che la banca
depositaria opera dietro incarico della SGR, in effetti così è, però, con questi obblighi di controllo dobbiamo
comprendere che in realtà la posizione della banca depositaria è una posizione particolarmente delicata.
Delicata perché opera come una sorta di braccio secolare anche nelle autorità di vigilanza, in particolare,
quindi se dovessero riscontrare delle irregolarità nella gestione, non solo del fondo ma anche della SGR
stessa dovrebbero riferirlo all'autorità di vigilanza contro gli interessi della SGR, questo è il punto delicato.
Ed è fondamentale affinché la banca depositaria possa raggiungere questi obiettivi e adempiere agli obblighi.

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Che essa presenti determinate caratteristiche di indipendenza rispetto alle SGR, i cui aspetti di dettaglio sono,
per l'appunto, fissati a livello regolamentare, il regolamento emanato dalla Banca D'Italia. 
In particolare, il rischio che si vuole e si deve necessariamente evitare è che chiaramente ci sia un conflitto di
interessi palese nella banca che svolge il ruolo di banca depositaria, e questo conflitto di interessi è molto
frequente nelle situazioni dei fondi comuni di investimento e delle SGR che gestiscono, perché solitamente
le SGR tendono a nominare come banche depositarie i soggetti che fanno parte del medesimo gruppo
finanziario. Questo perché a loro volta poi le banche procurano i clienti alla SGR perché hanno il contatto
diretto a livello commerciale con la clientela. 
Si tratta di un gioco reciproco, la SGR nomina la banca depositaria di fiducia, la banca depositaria dirotta i
propri clienti verso i fondi comuni di investimento gestiti dalle SGR. 
Queste situazioni di conflitto di interessi sono affrontate dal testo unico della finanza ma soprattutto a livello
regolamentare cercando, sostanzialmente, di evitare questi conflitti. 
L'articolo 48 del TUF dice che il depositario deve agire in modo indipendente nell'interesse dei partecipanti
al fondo, deve adottare ogni misura idonea a prevenire potenziali conflitti di interesse tra l'esercizio delle
funzioni di depositario e le altre attività svolte. è chiaro che a livello teorico è sicuramente un obiettivo
auspicabile, a livello pratico non è così semplice che si realizzi.
Questo altro modello è un modello un po' antitetico rispetto a quello della SGR che gestisce i fondi comuni
di investimento. Ed è un modello antitetico quindi diverso, innanzitutto perché manca la separazione
patrimoniale. Nel modello della SGR noi abbiamo una separazione patrimoniale netta tra la società di
gestione del risparmio da un lato, e i fondi comuni di investimento, quindi diciamo, il  patrimonio da gestire
dall’altro. Nel modello della SICAV questa separazione non c'è, quindi il gestore del patrimonio è sottoposto
al medesimo rischio economico a cui vanno incontro gli investitori perché a sua volta entrambi detengono
azioni della SICAV. 
Anche questa attività, chiaramente svolta dalla SICAV che è sempre una forma di gestione collettiva del
risparmio, si configura come un'attività riservata. Quindi valgono in parte quelle considerazioni con
riferimento alle SGR ma con alcune peculiarità. Intanto il fatto che la Banca D'Italia qui non autorizza
semplicemente lo svolgimento di un'attività, ma autorizza a monte la costituzione della società. E questo vale
oltre che per la SICAV vale anche per la SICAF. 
Quindi la valutazione della sussistenza dei requisiti che fa la Banca D'Italia nel caso della SICAV è una
valutazione che va fatta prima della costituzione della società. Svolge un’attività ma è una autorizzazione
alla costituzione della società. Chiaramente anche l’autorità di vigilanza valuta conformità delle indicazioni
contenute nell'atto costitutivo e nello statuto con le previsioni, i requisiti fissati dalla legge con alcune
particolarità. Una particolarità è quella della denominazione. 
Ovviamente qui la denominazione della società deve contenere l'acronimo SICAV che significa società di
investimento a capitale variabile. L'altra particolarità è che a differenza per esempio di una SGR che può
svolgere una molteplicità di attività finanziarie, quindi la gestione collettiva del risparmio, subspecie di
gestione di fondi comuni di investimento ma anche alcuni servizi e attività di investimento, la gestione dei
fondi pensioni e così via. La SICAV, ha invece un oggetto esclusivo, cioè può fare solo una determinata
attività e la può fare solo attraverso una specifica modalità. 
Cioè, l'oggetto esclusivo della SICAV, quindi, necessariamente nell'atto costitutivo della SICAV troviamo
questo oggetto sociale, non possiamo trovare altro, consiste nell’investimento collettivo del patrimonio
raccolto mediante offerta al pubblico delle proprie azioni. Significa che la SICAV emette delle azioni, le
offre al pubblico degli investitori, gli investitori sottoscrivono le azioni della Sicav, nel sottoscrivere le azioni
della SICAV effettuano dei conferimenti, quindi apportano delle risorse che confluiscono nel patrimonio
della SICAV, questo patrimonio raccolto tra la moltitudine di investitori che sottoscrivono le azioni e

109
diventano soci della SICAV viene investito poi, in maniera collettiva, cioè nell'interesse comune dei soci in
strumenti finanziari. 
Qual è la specificità fondamentale di una SICAV rispetto ad una normale società per azioni?
La deroga principale alla disciplina di una normale società per azioni risiede nella variabilità del capitale
sociale, nel senso che in una normale società per azioni il capitale è fisso, cioè viene stabilito nell'atto
costitutivo nel momento in cui si costituisce la società se poi lo si vuole variare bisogna seguire un
determinato procedimento di aumento o riduzione del capitale sociale. Quindi ci vuole una delibera
dell'assemblea straordinaria, la verbalizzazione da parte del notaio di questa delibera e l'iscrizione della
stessa nel registro delle imprese. Nelle SICAV, invece, il capitale non è fisso ma varia in aumento e
diminuzione, in considerazione di due eventi. 
Da che cosa dipende la variabilità del capitale sociale di una SICAV? 
Dalle operazioni di investimento, quindi se gli investitori sottoscrivono azioni, quindi apportano risorse, il
capitale aumenta. E questo può avvenire durante lo svolgimento dell'attività perché la SICAV può emettere
nuove azioni. Se invece alcuni investitori disinvestono, quindi, sostanzialmente recedono dalla società, a
questo punto il capitale diminuisce e questo è un primo evento che determina la variabilità del capitale. Ma la
variabilità del capitale dipende anche da un altro evento, cioè se il capitale coincide sempre con il patrimonio
della SICAV, è chiaro che il patrimonio di una società varia al variare dei risultati della gestione. Questo
avviene in una normale società per azioni, se la gestione produce dei risultati è chiaro che il patrimonio
aumenta, nel caso della SICAV, però, il patrimonio netto della società coincide sempre con il capitale
sociale. Quindi che cos'è che nella SICAV noi non possiamo avere all'interno del patrimonio netto che
invece possiamo avere in una qualunque società per azioni? 
Se il patrimonio netto coincide sempre col capitale sociale, che cosa vuol dire? Che manca nel bilancio di
una SICAV rispetto al bilancio di una normale società per azioni? 
Ipotizziamo di avere una società per azioni che produce degli utili, abbiamo due possibilità: 
Vanno ad aumentare il patrimonio netto della società, e confluiscono nelle riserve. Quindi una strada è quella
dei dividendi, cioè se gli utili vengono distribuiti si pagano i dividendi. 
Ipotizziamo che la società non voglia pagare i dividendi, quindi trattenere delle risorse all'interno del
patrimonio, significa che questi utili vanno a finire nelle riserve, quindi aumenta il patrimonio netto, mentre
il capitale resta fermo, questo avviene in una normale società per azioni. 
Nella SICAV le riserve non le abbiamo. Quindi se la gestione produce risultati positivi, quindi le operazioni
di investimento sono andate bene, sale il patrimonio netto, ma il patrimonio netto coincide sempre e
comunque con il capitale sociale e quindi aumenta il valore delle azioni a beneficio dei soci. Questo è il
punto, proprio perché il capitale sociale non è fissato in una cifra ma è variabile al variare dell'andamento
degli investimenti dei disinvestimenti e dei risultati della gestione patrimoniale. 
In una normale società per azioni le azioni sono nominative, nel senso che recano l'indicazione del socio che
le possiede. Quindi c’è un meccanismo di nominatività obbligatoria, sappiamo sempre chi è il titolare,
abbiamo modo di sapere, di conoscere chi è il titolare delle azioni di una società. Nelle SICAV si ha la
possibilità di emettere anche azioni al portatore, quindi che garantiscono fondamentalmente l'anonimato,
quindi senza indicazione di chi è il titolare delle azioni. Questo perché di regola, chi investe in azioni della
SICAV lo fa per ragioni di investimento quindi anche al fine di mantenere la segretezza dell'investimento
che ha effettuato. Per evitare però che le azioni al portatore possano divenire un modo poi per controllare la
società, è previsto che nel caso di azioni al portatore il diritto di voto venga depotenziato. Quindi il socio che
sceglie di avere azioni al portatore ha un solo diritto di voto, indipendentemente dal numero di azioni che
possiede. Invece chi possiede azioni nominative ha, secondo la regola di base di tutte le società per azioni un
voto per ogni azione. 

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Infine, l’ultima cosa che merita di essere un po' evidenziata è che nella SICAV il legislatore si fa anche
carico di un altro problema, e questo l'altro problema risiede nel fatto che i soci di una SICAV quando si
comprano azioni di una SICAV in realtà, l’investitore non è interessato a partecipare alla vita sociale, quindi
ad andare in assemblea, esprimere il proprio voto perché in realtà acquista le azioni per ragioni di
investimento, quindi sperando che il loro valore cresca e possa quindi rivenderle magari sul mercato o
recedere dalla società. Quindi è necessario un meccanismo che agevoli l'attività deliberativa dell'assemblea,
altrimenti se i soci non vanno in assemblea, l'assemblea ha verosimilmente fondate ragioni per non potersi
costituire per raggiungere i quorum fissati dalla legge. L’articolo 35 sexies del TUF per agevolare l'attività
deliberativa dispone che nel caso della SICAV l'assemblea ordinaria e straordinaria in seconda convocazione
è regolarmente costituita e può deliberare qualunque sia la parte del capitale sociale intervenuta. La legge
abolisce, per l'assemblea in seconda convocazione, il cosiddetto quorum costitutivo e quindi anche se in
assemblea dovessero recarsi ipotizziamo, 1 o 2 soci che detengono una minoranza del capitale potrebbero
assumere le delibere, come di regola avviene, nel caso della SICAV. Perché il capitale al di là di quello
detenuto dai soci che hanno assunto iniziative che gestiscono la società la restante parte del capitale è
polverizzata tra una moltitudine di investitori che non hanno alcun interesse a votare in assemblea. 
Ci sono poi altre regole che agevolano l'assunzione delle decisioni, per esempio la possibilità di votare per
corrispondenza, quindi inviando una mail, una lettera senza recarsi in presenza in assemblea. Chiaramente la
Banca D'Italia autorizza la costituzione della SICAV se si volesse modificare l'atto costitutivo e lo statuto
chiaramente sarebbe necessario passare nuovamente per l'autorità di vigilanza, che in questo caso però non
emana una vera e propria autorizzazione ma procede ad una semplice approvazione della modifica dello
Statuto, così come decisa dall'Assemblea straordinaria della società. Ovviamente se le modifiche sono state
approvate dalla Banca D'Italia non sono efficaci, quindi il nuovo atto costitutivo non può essere iscritto nel
registro delle imprese come richiesto nel caso delle società per azioni.

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I MERCATI FINANZIARI
14 aprile 2021
Il mercato finanziario è un luogo dove è possibile acquistare e vendere strumenti finanziari, quindi strumenti
sia derivati, azioni e obbligazioni quote di OICR nei fondi comuni di investimento oppure strumenti derivati
e le sue varianti più o meno complesse. Ovviamente il mercato, soprattutto quando parliamo di mercato
regolamentato può essere inteso anche come un insieme di regole, come un insieme coordinato tra di loro di
regole che serve proprio a governare, disciplinare come avvengono questi scambi. Alla base poi del
funzionamento del mercato, vi è la considerazione per la quale l’acquisto e la vendita di strumenti finanziari
sul mercato, avviene chiaramente sulla base, o tramite per mezzo di contratti che sono i cosiddetti “contratti
di borsa”. Qual è il connotato di questi contratti di borsa storicamente? 
Il connotato di questi contratti di borsa storicamente è che un po' come tutti i contratti del mercato
finanziario, anche nell’ambito bancario sono contratti standardizzati, quindi presentano dei connotati comuni
e ricorrenti nella prassi che li rendono standardizzati. Il primo connotato comune che presentano tutti i
contratti di borsa è il fatto di avere ad oggetto quantitativi o lotti minimi di strumenti finanziari. Di regola,
quando si fanno delle negoziazioni mediante i contratti di borsa si acquista un quantitativo minimo di
strumenti finanziari di beni aventi ad oggetto lo scambio. 
Sono contratti poi stipulati dagli intermediari, questo è l'altro tratto caratterizzante. Quindi c’è sempre un
intermediario che stipula il contratto per conto di un investitore - cliente e quindi la controparte di queste
intermediario che stipula il contratto in nome proprio e per conto del cliente è un altro intermediario che
opera, per l'appunto, in nome proprio e per conto del proprio cliente e il controparte del primo. Lo schema
base di questo contratto di borsa tradizionalmente, è chiaramente il contratto di compravendita. Quindi
abbiamo un contratto sulla base del quale il venditore si obbliga a trasferire una certa quantità di strumenti
finanziari, dietro il pagamento di un corrispettivo. 
La caratteristica peculiare di questi contratti di borsa, l'altra caratteristica peculiare è che si tratta di contratti
che hanno una esecuzione differita, cioè vengono eseguiti a scadenze predeterminate rispetto all'ordine
impartito dal cliente non abbiamo nessuna azione immediata ma abbiamo poi un'esecuzione differita, nel
senso che la transazione si conclude ma viene eseguita con lo scambio di strumenti finanziari verso
corrispettivo a scadenze predeterminate. 
Dal punto di vista storico abbiamo avuto un'evoluzione del mercato, perché un tempo, effettivamente, il
mercato come luogo era in realtà un vero e proprio luogo fisico, quindi vi era una sorta di recinto all'interno
della Borsa Valori, all'interno della quale avevano accesso solo determinati soggetti che erano gli agenti di
cambio e con il cosiddetto sistema delle grida, che era una sorta di meccanismo di asta pubblica, avvenivano
le negoziazioni e gli scambi gli strumenti finanziari. 
Questo meccanismo di asta pubblica perseguiva un'esigenza fondamentale cioè quella di assicurare la
trasparenza dei prezzi, o meglio la trasparenza del meccanismo di formazione dei prezzi a seconda del gioco
dei rilanci tipico delle aste pubbliche e ovviamente era un meccanismo al quale doveva essere assicurato un
112
certo grado di pubblicità, onde evitare che il prezzo non rispecchiasse poi effettivamente quello stabilito.
Chiaramente questo sistema delle grida a partire dal 1991 ha subito una sorta di abbandono da parte degli
operatori, di pari passo con il progresso tecnologico. Perché il progresso tecnologico ha consentito di
sostituire questo sistema tradizionale con un sistema più moderno basato ovviamente sulla telematica e
quindi oggi mercati finanziari, quando li descriviamo come luoghi, in realtà dobbiamo bene considerare che
non si tratta di luogo in senso fisico ma si tratta ovviamente di un luogo in senso figurato, dematerializzato.
Una sorta di piattaforma informatica, possiamo anche definire sede di negoziazione, sulla quale è
direttamente quindi la piattaforma ad incrociare gli ordini di acquisto e di vendita degli strumenti finanziari
che sono immessi nel sistema sempre in via telematica. Chiaramente il contratto di borsa oggi si conclude, si
perfeziona, nel momento in cui si incrocia l'ordine di acquisto con quello della vendita, fermo restando che
poi l’esecuzione differita. Questo sistema che prevede, governa l'incontro tra ordini di acquisto e ordine di
vendita è caratterizzato dalla presenza di criteri oggettivi che eliminano la discrezionalità. 
Il criterio di regola è quello della priorità temporale, quindi si incrociano prima gli ordini che per primi sono
stati immessi all'interno del sistema. Ovviamente il sistema telematico registra tutti gli ordini immessi, li
registra in ordine cronologico e attraverso il meccanismo della domanda e dell'offerta determina anche quello
che è il prezzo, quindi determina i listini degli strumenti negoziati. C’è un'altra esigenza però, della quale nel
tempo il mercato regolamentato ha dovuto tener conto e cioè del fatto che i volumi degli strumenti finanziari
negoziati, chiaramente sono cresciuti in maniera molto veloce, anche in maniera molto consistente fino a
diventare dei volumi enormi tali da imporre, rendere necessaria l'individuazione di un meccanismo che
consenta di raggiungere una certa economia delle operazioni, una maggiore efficienza delle operazioni e
ridurre soprattutto i passaggi sostanzialmente materiali di strumenti finanziari e di denaro. Quindi per rendere
il meccanismo più efficiente, economicamente meno dispendioso o meno articolato, il meccanismo che si è
affermato è quello della stanza di compensazione. Gli organi della stanza di compensazione procedono a
scadenze periodiche a compensare le partite omogenee e a determinare il saldo positivo o negativo per
ciascun intermediario. Quali sono le partite omogenee? 
Le partite omogenee sono gli scambi aventi ad oggetto strumenti finanziari che riguardano due intermediari
A e B, che chiaramente possono essere scambi di segno diversi, una volta A è acquirente, una volta B è
acquirente e viceversa. Una volta A è venditore, una volta B è venditore e sono partite omogenei e non solo
dal punto di vista soggettivo, cioè riguardano due intermediari, ma sono omogenee anche se hanno ad
oggetto gli stessi strumenti finanziari. Queste partite omogenee possono essere chiaramente compensate, può
essere determinato un saldo che sarà positivo per un intermediario e negativo, passivo per l'altro
intermediario e si potrà procedere quindi a liquidare solo la differenza, solo il saldo a favore di un
intermediario che è ovviamente creditore nei confronti dell'altro, quindi a pareggiare la posizione a scadenze
predeterminate. 
Quindi se io liquido solo la differenza è chiaro che consegnerà all'altro solo gli strumenti finanziari per la
quota determinata dal saldo e corrispondentemente l'altro intermediario pagherà il corrispettivo solo per gli
strumenti finanziari compresi nel saldo. Questi due momenti, quindi, servizi, compensazione e liquidazione
sono tra loro integrate, nel senso che solo dopo aver proceduto alla compensazione tra le diverse posizioni, le
diverse partite omogenee si potrà determinare il saldo e procedere quindi a liquidare il saldo. Ovviamente
parliamo di liquidazione del saldo e descriviamo questo fenomeno come la consegna degli strumenti
finanziari da una parte, un intermediario all'altro verso il corrispettivo. In realtà non intendiamo dire o fare
riferimento a una consegna materiale, perché ovviamente oggi non può parlarsi di consegna materiale ma
facciamo riferimento più in particolare, all'effettuazione di registrazioni o annotazioni contabili che un
intermediario fa a favore dell'altro attraverso ovviamente l'intervento della stanza di compensazione che
determina l'accredito degli strumenti finanziari da parte di un intermediario e l'accredito delle somme di
denaro corrispondenti da parte dell'altro intermediario. 
La liquidazione in realtà non coincide con la regolamentazione dell'operazione, mel senso che poi l'esenzione
materiale del contratto si ha in un momento differito e questo genera un rischio di controparte. Cioè un
periodo di tempo che chiaramente è breve, però esiste, all'interno dei quali gli operatori supportano il rischio

113
che la controparte non adempie ai propri obblighi. Sebbene il contratto è concluso, è perfetto ed efficace, poi
l’esecuzione dello stesso viene differita, quindi c'è un minimo di rischio di controparte. Per ridurre questo
rischio di controparte sono stati introdotti dei sistemi appositi, che sono dei sistemi di compensazione e
garanzia che prendono il nome di clearing house, in italiano possiamo dire stanze di compensazione è
garanzia, di cui la più importante è la cassa di compensazione e garanzia. Questi organismi si occupano
proprio di minimizzare il rischio di controparte, perché si interpongono tra il venditore e il compratore, tutti
gli intermediari hanno rapporti con la cassa di compensazione e garanzia, quindi se uno di questi intermediari
non dovesse poi eseguire la prestazione al momento dell'esecuzione del contratto interverrebbe la tassa a
garantire la posizione della controparte. 
Questo è il meccanismo ovviamente, queste casse vengono ad essere così finanziate mediante il contributo di
ciascun intermediario aderente al sistema e quindi si possono far carico poi di assorbire i rischi legati agli
scambi. 
Oggi, a seguito del recepimento delle direttive comunitarie MIFID 1 e 2, in realtà il fenomeno degli scambi
aventi ad oggetto strumenti finanziari non può essere ridotto esclusivamente ai mercati regolamentati, perché
in realtà i mercati intesi come più in generale sedi di negoziazione, di scambio degli strumenti finanziari
possono essere così ripartiti o suddivisi in tre categorie: 
1. I mercati regolamentati; 
2. I sistemi multilaterali di negoziazione detti anche MTF che è un'espressione anglosassone;
3. Sistemi organizzati di negoziazione OTF. 
In tutti e tre casi parliamo di sedi di negoziazione regolamentate, quindi non stiamo parlando di mercati over
the counter, che sono dei regolamentati. Qui abbiamo delle regole che disciplinano queste sedi, però abbiamo
delle alternative ai mercati propriamente detti. 
A fianco a queste sedi di negoziazione alternative, o ai mercati regolamentati abbiamo infine i cosiddetti
internalizzatori sistematici. Dal punto di vista dei modelli di disciplina dei mercati regolamentati,
cominciando quindi la trattazione proprio da queste sedi più tradizionali, dobbiamo dire che i modelli di
disciplina in linea astratta possono essere ricondotti a due fattispecie:
1.  Il mercato privato; 
2. Il mercato pubblico. 
Nel modello di mercato privato le regole di funzionamento del mercato di realizzazione degli scambi sono
predisposte dagli autori dello scambio. In linea teorica potrebbero essere anche gli stessi intermediari che
fanno riferimento a determinate associazioni a stabilire quali sono le regole di funzionamento del mercato, le
regole a cui decidono di assoggettarsi volontariamente, negozialmente per l’effettuazione degli scambi. 
C'è poi un sistema totalmente antitetico che è quello pubblico, in cui la regolamentazione è affidata allo
stato,  ma può essere affidata anche ad autorità amministrative che dettano le regole destinate a governare gli
scambi, effettuano poi controlli, applicano eventualmente le sanzioni. 
Un modello di mercato totalmente pubblico era per esempio presente in Giappone fino alla legislazione del
1992, quindi è effettivamente esistito nella storia, ma va detto che oggi in realtà questi modelli teorici non
sono riscontrabili nella prassi, nel senso che non esiste nessun mercato attualmente dei paesi più evoluti che
può essere definito come totalmente privato o totalmente pubblico. 
Esistono invece mercati e riconducibili al modello, alla fattispecie del mercato o del sistema di tipo misto, in
cui effettivamente abbiamo un'ampia autoregolamentazione ma questa autoregolamentazione degli
intermediari e degli operatori deve necessariamente iscriversi, collocarsi all'interno di una cornice legislativa
che fissa i principi e le regole generali comunque da rispettare. 

114
Il modello visto può essere spostato più verso il privato, più verso il pubblico a seconda delle peculiarità di
ciascun sistema ma il modello è, in linea di massima, un modello di questo tipo e va anche aggiunto che
questo modello si è affermato da prima nel Regno Unito poi ha trovato diffusione in tutti i paesi, in tutti gli
ordinamenti, anche nel nel nostro ordinamento, il legislatore italiano si è ispirato al modello di tipo misto. 
L'articolo 1 comma 1° lettera w-ter del TUF è la definizione che noi abbiamo di mercato regolamentato, non
si tratta certo di una definizione snella.  Nel momento in cui deve essere rappresentata in chiave giuridica,
deve essere descritta dal punto di vista giuridico per diventare una fattispecie giuridica a tutti gli effetti, ecco
che la questione si complica, diventa più complessa che le definizioni non sono certo snelle e questo per la
difficoltà che ha il nostro legislatore di definire fenomeni economici. Il mercato regolamentato è un sistema
multilaterale, amministrato e gestito da un gestore del mercato che consente o facilita l'incontro al suo
interno in base a regole non discrezionali, di interessi multipli di acquisto e rivendita di terzi relativi a
strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti relativi a strumenti finanziari ammessi alla
negoziazione conformemente alle sue regole e/o ai suoi sistemi e che è autorizzato e funziona regolarmente e
conformemente alla parte terza del TUF, che contiene, per l'appunto, la disciplina dedicata ai mercati. A
parte il fatto che si tratta di una definizione anche scritta un po' male, il legislatore certo non ha brillato per
un approccio direi chiaro al fenomeno in questione, quello che colpisce è innanzitutto che si parla di mercato
come sistema, e sistema significa “insieme di regole”. 
Il mercato regolamentato è un sistema come insieme di regole, che disciplinano gli scambi, cioè come dice la
la definizione, l'incontro di interessi utili di acquisto e di vendita relativi a strumenti finanziari. Chiaramente
si tratta di un sistema multilaterale, non bilaterale perché gli scambi che avvengono sul mercato finanziario
non sono scambi che avvengono tra soli due soggetti ma sono scambi che avvengono tra una moltitudine di
soggetti, sempre dalla definizione traspare poi che il mercato regolamentato è per definizione amministrato,
gestito da un soggetto che professionalmente fa questa attività di gestione del mercato e che per l'appunto si
chiama gestore di mercato. Da notare poi che il mercato può anche semplicemente facilitare l'incontro,
quindi non per forza deve consentire lo scambio ma può anche agevolarlo in un certo qual senso, quello che
conta però è che questo incontro tra interessi multipli di acquisto, di vendita debba avvenire in maniera non
discrezionale, questo è un primo elemento. Cioè ci debbano essere dei criteri nel mercato per stabilire come
far incontrare gli ordini di acquisto e gli ordini di vendita. 
L'altro elemento è che l'incontro deve necessariamente condurre alla formazione dei contratti di scambio e
poi possono essere anche autonomamente stipulati tra le parti, perché il mercato lo consente. Ovviamente
questa è una definizione ampia di mercato regolamentato, ma è chiaro che a seconda dell'oggetto del
mercato, il tipo di scambio o degli strumenti finanziari che su di esso vengono ad essere scambiati, a livello
empirico possiamo poi individuare più mercati regolamentati. è chiaro che questa è una definizione in
generale che non implica la presenza di un unico mercato, anzi, dovremmo dire che ammette implicitamente
la presenza di una molteplicità di mercati, tant'è che se andiamo a vedere l'articolo 64-quater comma II del
TUF prevede espressamente che la Consob iscriva i mercati regolamentati in un elenco. Quindi noi abbiamo
effettivamente un elenco di mercati regolamentati italiani che è tenuto dalla Consob che in particolare
distingue i mercati regolamentati a seconda delle società di gestione dei soggetti che si occupano della
gestione degli stessi, e che al momento sono due. La principale società di gestione del mercato italiano è
Borsa Italiana SPA, l'altra società di gestione del mercato è MTS Spa. 
La prima società di gestione del mercato si occupa di gestire mercati privati, di strumenti finanziari emessi
dalle società private. La MTS invece si occupa di gestire un unico mercato che è il mercato telematico dei
titoli di stato e quindi di prodotti finanziari di natura pubblica, emessi per l'appunto dallo Stato. Per quanto
riguarda i mercati gestiti da borsa italiana abbiamo innanzitutto il mercato telematico azionario MTA, poi
abbiamo il mercato telematico degli ETF e degli ETC/ETN cioè gli Exchange traded Fund (ETF), ovvero gli
Exchange Traded Commodities nel caso degli ETC, Exchange Traded Note nel caso degli ETN. Si tratta di
un mercato che ha come unico obiettivo di investimento degli strumenti, il mercato nel quale vengono
negoziati strumenti finanziari che hanno come obiettivo di investimento quello di replicare in maniera
piuttosto passiva quello che è l'indice al quale si riferiscono gli strumenti. Ovviamente nel caso degli ETC

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abbiamo come indice di riferimento al quale da replicare una merce, perché le commodities sono
chiaramente le merci. Nel caso degli exchange traded notes abbiamo strumenti finanziari emessi a fronte
dell'investimento diretto dell'emittente in un sottostante che però è diverso da una merce. Ovviamente, in
entrambi i casi, il prezzo di questi strumenti finanziari è legato direttamente o indirettamente all'andamento
dell'elemento sottostante, come avviene nel caso dei derivati. Sono degli strumenti che hanno una
componente derivata ma di natura piuttosto semplice, perché il meccanismo è quello di replicare
passivamente il valore dell'indice della misura del valore sottostante. 
Poi abbiamo il mercato telematico delle obbligazioni, il mercato telematico dei cosiddetti investment
vehicles, quindi per esempio i ventures capital, rientrano in questa tipologia di mercato e infine il mercato
degli strumenti derivati per la negoziazione, e quindi strumenti finanziari di natura derivata di cui all'articolo
1 comma secondo lettera F. In realtà l'elenco dei derivati oggi sappiamo essere contenuto non più nella
norma definitoria dell’articolo 1, bensì nell'allegato uno sezione b del TUF. Dal decreto legislativo numero
415 del 1996 che è il cosiddetto decreto eurosim se vogliamo la prima forma di intervento del legislatore
europeo in materia di mercati finanziari teso all'armonizzazione di queste discipline, questo decreto ha
introdotto un principio che oggi è tuttora vigente del contenuto dell'articolo 64 comma primo del TUF, in
base al quale l'attività di organizzazione e gestione di mercati regolamentati di strumenti finanziari è
esercitata da società per azioni anche senza scopo di lucro e sono le cosiddette società di gestione dei mercati
come Borsa Italiana SPA, MTS spa. 
Un tempo questo stesso principio era poi ulteriormente articolato con la precisazione in base alla quale
l'attività della società di gestione del mercato a carattere di impresa. Oggi questo non lo si dice più ma è
implicito nel momento in cui si dice che l'attività è esercitata dalla società per azioni, anche senza scopo di
lucro, si sta dicendo che si tratta di un'attività di impresa, un'attività economica che può essere esercitata
anche con scopo di lucro con o senza scopo di lucro, ma soprattutto quello che è rilevante è che la gestione
del mercato nel momento in cui è un'attività di impresa ed è svolta da società per azioni, diventa un'attività
privata. Perché le società per azioni sono evidentemente soggetti privati che il nostro ordinamento istituisce
per l'esercizio in forma collettiva dell'attività d’impresa. 
Implica in sostanza che, gestire un mercato abbiamo detto un'attività svolta da società private con scopo di
lucro, anche se questo può mancare, quindi un’attività in cui tendenzialmente la società per azioni deve
perseguire dei ricavi che siano eccedenti rispetto ai costi e a questo punto un'attività per la quale, in linea
teorica non si può escludere, anzi, si dovrebbe ammettere la possibilità che l'attività avvenga in regime di
libera concorrenza, Quindi che ci possano essere più soggetti che gestiscono i mercati che tra loro si fanno
concorrenza. Questo potrebbe forse indurre a pensare che in realtà il sistema di mercati regolamentati
italiano sia un sistema totalmente privato, questo formalmente è vero perché abbiamo detto che la forma
giuridica dei soggetti che organizzano e gestiscono i mercati è una società per azioni, ma va detto che si
tratta di società per azioni molto particolare soprattutto perché sono società per azioni, quelle che gestiscono
i mercati assoggettate a forti e penetranti controlli di natura pubblicistica da parte dell'autorità di vigilanza
cioè della Consob. Non è un caso che Consob è l'acronimo commissione nazionale per le società e la borsa.
Quindi vuol dire la CONSOB oltre a vigilare sulle società che emettono strumenti quotati, vige anche sui
mercati cioè sulla borsa. 
In concreto va detto che questa ipotetica concorrenza, teorica concorrenza delle società di gestione del
mercato di fatto non è si è mai realizzata perché le uniche due società di gestione del mercato esistenti in
realtà operano non in regime di concorrenza tra di loro, perché borsa italiana si occupa di organizzare e
gestire i mercati privati e qui è l'unica società di gestione del mercato, e MTS si occupa di gestire i mercati
dei titoli pubblici, quindi anche qui non c'è effettivamente alcuna concorrenza tra le società in questione. 
La società di gestione del mercato intanto è una società per azioni, fa attività di impresa dovrebbe
organizzare e gestire il mercato eppure c'è una norma di legge, articolo 64 comma secondo che definisce
quella che è l'attività delle società di gestione del mercato e lo fa anche in una misura piuttosto dettagliata.
Quindi: 

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a) predispone le strutture, fornisce i servizi del mercato, determina i corrispettivi a essa dovuti, cioè
dovuti alla società di gestione;
b) assicura e verifica il rispetto dei requisiti del mercato regolamentato; 
c) Dispone l'ammissione, l'esclusione e la sospensione degli strumenti finanziari dalla quotazione e
dalle negoziazioni e degli operatori dalle negoziazioni; 
d) adotta tutti gli atti necessari per l'ordinato funzionamento del mercato; 
e) adotta le disposizioni e gli atti necessari a prevenire e identificare abusi di informazioni privilegiate e
manipolazioni del mercato, che sono i due reati tipici del mercato finanziario; 
f) provvede agli altri compiti a essa eventualmente affidati dalla Consob. 
Vale la pena riflettere soprattutto sulla lettera C di questo elenco, la società di gestione del mercato è quella
che concretamente dispone l'ammissione, l'esclusione e la sospensione degli strumenti finanziari dalla
quotazione e dalle negoziazioni. Questo sta a significare che l'ammissione alla quotazione degli strumenti
finanziari emessi da una società per azioni emittente, avviene sulla base di un atto che formalmente è
adottato dalla società di gestione del mercato, e questa è una decisione che ha un notevolissimo impatto per
le società emittenti perché di fatto, nel momento in cui una SpA decide di quotare i propri strumenti sul
mercato regolamentato, cambia la disciplina alla quale la società per azioni si assoggetta. 
Quindi, nel momento in cui diventa una SpA quotata con azioni, obbligazioni quotate questo evento
particolare modifica le regole e la disciplina destinate a trovare applicazione con riferimento a tali soggetti.
Ora si tratta di una scelta così delicata e la scelta è assunta a monte, e dovrebbe essere la società emittente
degli strumenti finanziari che decide se quotarsi o meno sul mercato. 
Eppure questa scelta di per sé è a valle, in seconda battuta, deve essere avallata, sottoposta al vaglio a un
intervento conoscitivo e decisorio da parte della società di gestione del mercato che verosimilmente si
occuperà di verificare determinate condizioni e determinati requisiti. 
Allora, uno potrebbe essere un po' spiazzato da un sistema del genere, perché chiaramente pensare che una
scelta così rilevante per una società emittente possa essere condizionata, ha una valutazione della società di
gestione del mercato che a sua volta è un soggetto privato, potrebbe essere di fatto uno scenario poco
soddisfacente, eppure, questa parziale insoddisfazione che probabilmente si potrebbe avere di primo acchito
va un po' ridimensionata alla luce di due considerazioni. 
La prima considerazione è che in realtà, la società di gestione del mercato è una società privata ma
comunque una società particolare che svolge anche attività e funzioni che hanno una natura, una valenza in
parte pubblicistica. 
Il secondo punto, che pure vale la pena rimarcare, è chiaro l'ammissione, o l'esclusione, o la sospensione
degli strumenti finanziari dalla quotazione non viene decisa dalla società di gestione del mercato in maniera
discrezionale, ma sulla base di una verifica, fondamentalmente che fa questa società in gestione di mercato,
della conformità della società emittente degli strumenti da queste emessi rispetto alle condizioni fissate dalla
legge e previste a livello regolamentare. Quindi non è una valutazione discrezionale ma è una valutazione
che in un certo qual senso appare condizionata, vincolata. 
Un’altra considerazione da fare è relativa a quest'ultima lettera F, la società di gestione del mercato provvede
agli altri compiti a essa affidati dalla Consob. è significativo perché sta a così indicare che la Consob che è
un'autorità indipendente, pubblica di controllo ha il potere di stabilire se affidare a soggetti formalmente
privati ulteriori compiti, quali sono per l'appunto le società di gestione del mercato. Ed è un potere strano se
ci si riflette un potere un po' anomalo, singolare dell'autorità pubblica perché l'autorità pubblica a un certo
punto può dire ad un soggetto privato, da domani oltre ai compiti che hai, farai altre altre attività, altri
controlli, svolgerai altre funzioni, presterai altri servizi. 

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è singolare perché è un soggetto privato agisce a proprie spese e a proprio rischio svolge un'attività di
impresa, tendenzialmente sostiene dei costi, dovrebbe perseguire uno scopo di lucro, quindi, questo
condiziona fortemente la sua attività. 
E allora com'è che ci possiamo spiegare l'esistenza di questa norma?
Solo ridimensionando la concezione privatistica che possiamo avere della società di gestione del mercato
riflettendo sul fatto che queste società sono soggetti privati ma effettivamente svolgono un servizio di
carattere pubblico, svolgono dei compiti che hanno una chiara valenza pubblicistica e hanno un rapporto, un
legame fondamentale, indissolubile con l'autorità di vigilanza. 
Sono fondamentalmente bracci secolari attraverso cui l'autorità di vigilanza poi impartisce una certa
direzione, un certo orientamento al mercato. Lo fa funzionare in una determinata maniera. 
Quindi, di fatto, da questa norma quello che noi comprendiamo in maniera anche abbastanza evidente è che
la società di gestione del mercato è una sorta di interlocutore privilegiato dell'autorità pubblica di controllo,
quindi svolge un'attività privata ma nello stesso tempo ha dei compiti molto importanti che sono strumentali
all'esercizio della vigilanza. Oltre a questo la sua attività quella della società di gestione del mercato è
un'attività fondamentalmente orientata a organizzare il mercato, il funzionamento del mercato a gestirne il
funzionamento. 
Va poi aggiunto che lo svolgimento delle attività in questione è disciplinato dal cosiddetto regolamento del
mercato previsto dall'articolo 64-quater del TUF. 
Il regolamento di mercato è un regolamento che ha natura privatistica, quindi ogni mercato regolamentato ha
un suo regolamento, cioè delle regole che in dettaglio ne governano il funzionamento e l'organizzazione. Si
tratta di un regolamento privato perché di fatto lo emana la stessa società di gestione del mercato che è un
soggetto privato, quindi a monte ci sarà una delibera dell'assemblea ordinaria della società di gestione del
mercato, della SpA che gestisce il mercato che delinea il regolamento del mercato stesso. Eppure però anche
questo regolamento è un regolamento privato un po' particolare, perché intanto c'è una norma l'articolo 64-
quater che delinea in maniera puntuale quali sono i contenuti del regolamento. Quindi il regolamento di
funzionamento del mercato non è totalmente libero ma è condizionato dal fatto che la legge imponga, ne
delinei uno specifico contenuto. Quindi per esempio: 
a) le condizioni e le modalità di ammissione, di esclusione e di sospensione degli operatori alle/dalle
negoziazioni; 
b) le condizioni e le modalità di ammissione alla quotazione e alle negoziazioni degli strumenti
finanziari e di esclusione e sospensione dalla quotazione e dalle negoziazioni, e questa è
l'indicazione che rende tutto il sistema accettabile. 
I requisiti per essere ammessi, esclusi, sospesi dalle quotazioni sono stabiliti a monte nel regolamento del
mercato. Quindi la società emittente che vuole fare richiesta di ammissione alle negoziazioni sa e conosce a
priori questi requisiti e sa che la società di gestione del mercato si limiterà a valutarne e a riconoscerne la
ricorrenza prima di procedere all'autorizzazione. 
c) le condizioni e le modalità per lo svolgimento delle negoziazioni e gli eventuali obblighi degli
operatori e degli emittenti, quindi sono le regole attraverso le quali devono avvenire gli scambi,
aventi ad oggetto gli strumenti finanziari; 
d) le modalità di accertamento, pubblicazione e diffusione dei prezzi, quotidianamente avvengono gli
scambi, quotidianamente devono essere fissati, indicati i listini dei prezzi degli strumenti finanziari;
e) i tipi di contratti ammessi alle negoziazioni, nonché i criteri per la determinazione dei quantitativi
minimi negoziabili, a seconda della tipologia di contratto noi abbiamo differenti mercati
regolamentati e quindi anche differenti regolamenti del mercato; 

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f) le condizioni e le modalità per la compensazione, liquidazione e garanzia delle operazioni concluse
sui mercati.
Nel sistema di mercato che abbiamo è un modello, un sistema di tipo misto. 
Può esistere un diritto alla quotazione? Nel senso che se una società emittente si vede rifiutare la propria
istanza di ammissione alle negoziazioni dei propri strumenti finanziari, può fare ricorso ricorrendo al TAR
per chiedere di revisionare questa decisione? Esiste un diritto soggettivo alla quotazione? 
In realtà, ed è qui il punto dolente della questione, se noi concepiamo il vero ruolo che svolge una società di
gestione del mercato che in realtà non è un soggetto totalmente privato e che quando opera lo fa anche sulla
base delle direttive promananti dall'autorità di vigilanza, dalla Consob, allora probabilmente dovremmo
rispondere di no, perché in realtà quella che fa la società di gestione del mercato non è una valutazione
discrezionale, di ammettere o non ammettere  delle società a quotazione, ma semplicemente dovrebbe essere
una decisione che poggia sulla ricorrenza o meno di queste condizioni. Quindi fondamentalmente la società
di gestione del mercato valuta se il regolamento del mercato rispetta i contenuti fissati dalla legge, prima di
decidere se ammettere o meno una determinata società che ha fatto richiesta alla quotazione, e quindi da
questo punto di vista la società che poi viene esclusa sulla base di una difformità delle sue condizioni
concrete rispetto a quelle del regolamento non può dolersi di questa decisione assunta dalla società di
gestione del mercato. Che ruolo ha la Consob sulle società di gestione del mercato? 
In realtà è un ruolo un po' anche qui ambiguo perché la società di gestione del mercato in realtà non è
assoggettata ad autorizzazione, perché la legge invece ci dice che l'autorizzazione che è rimessa alla Consob
riguarda invece il mercato, cioè la Consob deve accertare che il mercato, e in particolare, il regolamento che
lo disciplina presentano i requisiti fissati dall'articolo 64-quater comma terzo del TUF, quindi in particolare
che regolamento sia conforme alla disciplina europea e che sia idoneo ad assicurare quelli che sono gli
obiettivi della vigilanza, cioè: trasparenza del mercato, ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela
degli investitori. Tuttavia, nel fare queste valutazioni l’autorità di vigilanza quando autorizza un mercato
regolamentato deve verificare anche che la società di gestione di quel mercato presenti determinati requisiti
soggettivi, che sono un po’ poi tarati sulla base di quelli che abbiamo con riferimento agli intermediari
finanziari, quindi per esempio il fatto che chi occupa posizioni di amministrazione e controllo abbia
determinati requisiti soggettivi. 
E allora questo sta a significare che la verifica che fa la Consob non è solo una verifica oggettiva sul
regolamento del mercato ma è anche una verifica soggettiva sulla società che lo gestisce, sebbene poi
l'oggetto dell'autorizzazione sia il mercato e non la società di gestione. 
La Consob è chiamata non solo ad autorizzare a monte il mercato regolamentato va poi a vigilare durante lo
svolgimento delle negoziazioni e delle contrattazioni sul funzionamento del mercato. 
Questa vigilanza della Consob è rivolta alle sedi di negoziazioni e ai relativi gestori. 
A dispetto del fatto che i controlli della Consob sono rivolti alle sedi di negoziazione di tali   gestori in
maniera più puntuale dobbiamo dire che questi controlli, queste attività di vigilanza che fa la Consob si
incentrano sul fatto che le regole delle sedi di negoziazione adottati dai relativi gestori del mercato
consentono di raggiungere gli obiettivi della vigilanza. Di fatto i controlli che fa la Consob si appuntano sui
contenuti del regolamento di mercato e viene valutato a monte nel momento in cui si dà l'autorizzazione ma
che viene valutato anche poi durante lo svolgimento delle negoziazioni e delle contrattazioni. Tant’è che la
consob si ritiene che vi siano delle disfunzioni nel funzionamento del mercato potrebbe anche chiedere delle
modifiche al regolamento del mercato. 
Quindi questo regolamento del mercato non è sottoposto solo ad autorizzazione a monte ma a successive
verifiche a valle da parte della Consob e questo induce a riflettere sul fatto che questo sistema che noi
abbiamo in Italia di mercato in realtà è molto meno penalizzato di quello che si potrebbe credere parlando di

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sistema misto. Nel sistema misto è come una presenza dello Stato soprattutto attraverso la leva delle autorità
di vigilanza che è molto forte, molto pregnante.
Questa attività di vigilanza sui mercati è svolta dalla Consob ed è ispirata da tre principi o finalità generali
della vigilanza che sono: 
 la trasparenza; 
 l'ordinato svolgimento delle negoziazioni;
 la tutela degli investitori;
La natura dei poteri di vigilanza che la Consob può esercitare sui mercati e sulle società di gestione del
mercato, in primo luogo e direi soprattutto si tratta di una vigilanza che assume un carattere
fondamentalmente di natura informativo. Quindi quello che fa la Consob nei confronti dei mercati della
società di gestione del mercato e chiedere informazioni, farsi dare informazioni.
Ovviamente ha anche dei poteri più forti che può esercitare, per esempio può nel caso in cui lo ritenga
necessario procedere ad ispezioni, quindi mandare i propri ispettori presso la società di gestione del mercato.
In quella sede gli ispettori possono chiedere anche l'esibizione di documenti. Ci sono poi particolari poteri
straordinari affidati alla Consob in caso di necessità e urgenza, per esempio può compiere atti inerenti
all'attività dei mercati al posto della società di gestione del mercato e questi poteri possono essere esercitati
anche dal solo presidente, quindi non dall’intera commissione ma dal solo presidente della Consob quando vi
è una particolare urgenza. 
Abbiamo una forte presenza di controlli pubblici sul mercato, di esercizio di poteri di vigilanza della Consob,
mentre per quanto riguarda i mercati regolamentati e le società di gestione degli stessi non abbiamo analoghi
poteri affidati alla Banca d'Italia che quindi diciamo tradizionalmente è esautorata da compiti di vigilanza in
materia di mercati finanziari. 
Quali sono le alternative ai mercati regolamentati sul fronte della negoziazione dello scambio degli strumenti
finanziari? 
La prima alternativa ai mercati regolamentati è costituita dai cosiddetti sistemi multilaterali di negoziazione.
I sistemi multilaterali di negoziazione li abbiamo già incontrati con le banche e le SIM, cioè gestire i sistemi
multilaterali di negoziazione è un servizio di investimento. La gestione dei sistemi multilaterali di
negoziazione e uno dei servizi di investimento abbiamo visto nell'elenco del TUF. Quindi
fondamentalmente, gestire una sede alternativa al mercato significa effettuare un servizio di investimento.
Quindi, qual è la differenza fondamentale tra un mercato regolamentato e un sistema multilaterale di
negoziazione sulla base di quanto abbiamo detto? 
Dal punto di vista del soggetto che si occupa della gestione, qual è la differenza? 
Questi sistemi multilaterali di negoziazione possono essere gestiti da intermediari, cioè da banche, imprese di
investimento che non sono società di gestione del mercato, quindi si tratta di sistemi di negoziazione più
snelli. I sistemi multilaterale di negoziazione, sono sistemi che consentono l'incontro al loro interno e sulla
base di regole non discrezionali di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti
finanziari in modo da dare luogo a contratti. 
Se la definizione si fermasse qui, è abbastanza evidente che, è una definizione che ricalca quella di mercato
regolamentato, è quasi identica a quella di mercato regolamentato un po' più complessa. Quindi di fatto, il
sistema multilaterale di negoziazione è un'alternativa al mercato regolamentato, possiamo sul sistema
multilaterale di negoziazione fare quello che faremmo sul mercato regolamentato. Qual è però la differenza
che rende questo sistema più snello? 
Questo sistema può essere gestito da un normale intermediario finanziario che chiede l'autorizzazione a
gestirlo come prestazione di un servizio di investimento. è un meccanismo più snello e potremmo avere tanti
120
sistemi multilaterali di negoziazione quanti sono le banche che chiedono autorizzazione e vogliono svolgere
questo servizio. L'elemento comune al sistema multilaterale di negoziazione rispetto al mercato
regolamentato che poi costituisce una particolarità rispetto all'altro sistema di negoziazione è che l'incontro
tra interessi di acquisto, di vendita di strumenti finanziari, quindi tra ordini contrapposti deve avvenire sulla
base di regole non discrezionali. Quindi anche qui la banca, l’impresa quando matchia gli ordini lo deve fare
in maniera non discrezionale. L'altra sede alternativa di negoziazione, che è una sede che presenta qualche
elemento di complessità in più è il sistema organizzato di negoziazione. Anch’esso presenta le peculiarità del
sistema alternativo di negoziazione dal punto di vista soggettivo, quindi si tratta di un sistema che può essere
gestito da banche, imprese di investimento che chiedono l'autorizzazione a svolgere, a prestare quel
determinato servizio di investimento. 
è stato introdotto dalla MIFID II, quindi è anche più recente dell'altro, è un'alternativa al mercato
regolamentato e al sistema multilaterale di negoziazione, si caratterizza per un elemento peculiare rispetto
agli MTF, cioè ai sistemi alternativi di negoziazione. Questo elemento che caratterizza il sistema organizzato
di negoziazione risiede nel fatto che gli ordini sono incrociati, eseguiti su base discrezionale
dall'intermediario, quindi non c'è l'elemento dell'assenza della discrezionalità che caratterizza gli MTF e i
mercati regolamentati. Questa discrezionalità che la banca, l’impresa di investimento può adottare nel porre
in relazione gli ordini, si realizza in due momenti: 
innanzitutto, quando il gestore decide di collocare un ordine del sistema ovvero di ritirarlo al sistema, quindi
già nel momento temporale in cui mette l'ordine o lo ritira dal sistema può decidere di farlo
discrezionalmente in un determinato momento, quindi non immediatamente sulla base di criteri prestabiliti; il
secondo momento in cui pure si presenta questo elemento di discrezionalità, lo abbiamo al momento
dell'abbinamento, il gestore può decidere di non abbinare uno specifico ordine del cliente con altri ordini
disponibili del sistema in un momento determinato, purché lo faccia nel rispetto delle istruzioni ricevute dal
cliente. Perché questa discrezionalità? 
Perché se gli intermediari in linea teorica prescinde da criteri prestabiliti quando gestisce gli ordini e il loro
incontro, potrebbe realizzare o spuntare condizioni economiche più soddisfacenti a favore della clientela.
Ovviamente c’è un profilo di rischio per il cliente maggiore perché il cliente deve affidarsi ovviamente alle
scelte discrezionali assunte dagli intermediari. 
Gli internalizzatori sistematici, sempre per effetto della MIFID e del recepimento della direttiva nel nostro
ordinamento, esiste un ulteriore possibile alternativa alle sedi di negoziazione che è rappresentata dall
internalizzatore sistematico. Lo stesso termine “internalizzatore” ci fa comprendere che qui la gestione degli
ordini viene internalizzata dall'intermediario. Quindi non è una sede di negoziazione, una piattaforma
separata dall'intermediario ma è lo stesso intermediario che al proprio interno, in modo organizzato,
frequente e sistematico si pone nei confronti dei clienti e a fronte degli ordini dei clienti come negoziatore
per conto proprio e lo fa al di fuori di un mercato regolamentato, al di fuori di un sistema multilaterale di
negoziazione, al di fuori di un sistema organizzato di negoziazione. Quindi qui in effetti le negoziazioni
avvengono over-the-counter e l'intermediario però che sistematicamente è la controparte, lo fa in maniera
organizzata, frequente e sistematica, altrimenti se si tratta di una negoziazione per conto proprio sporadica
l'intermediario non diventa un internalizzatore sistematico ma se lo fa in maniera organizzata, frequente e
sistematico, quindi si deve tener conto del numero delle negoziazioni e delle dimensioni delle negoziazioni
sul totale di quelle che l'intermediario realizza, a quel punto diventa un internalizzatore sistematico e quindi
diciamo sostanzialmente offre alla clientela un'alternativa per gli scambi rispetto ai mercati regolamentati, e
alle sedie alternative di negoziazione.

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GLI STRUMENTI DI PAGAMENTO
15 aprile 2021
La funzione dei mezzi di pagamento è quella di consentire un trasferimento di fondi tra soggetti diversi, in
particolare da un soggetto debitore che ha un'obbligazione nei confronti di un altro soggetto creditore e che
attraverso il mezzo di pagamento estingue l'obbligazione, salda il suo debito. 
Nell'ambito dei mezzi di pagamento conviene fare innanzitutto, una distinzione radicale, perché questa
distinzione radicale tiene separati due mezzi dalle caratteristiche profondamente diversi di pagamento. Da un
lato abbiamo il contante, dall'altro abbiamo tutti gli strumenti di pagamento diversi dal contante che ormai
corrispondono ad una gamma di varianti, di opzioni veramente molto ampi. Quindi si va dagli assegni che
sono comunque un mezzo di pagamento tradizionale a mezzi di pagamento più alternativi, quali bonifici, gli
addebiti diretti fino a quelli ancora più recenti come le carte di pagamento o come, da ultimo, i sistemi che si
avvalgono della tecnologia informatica, sottospecie di e-payments e m-payments a seconda che sfruttino la
rete internet nel primo caso, o un dispositivo mobile come uno smartphone (m-payments che sta per mobile
payments). 
Qui abbiamo dei servizi di pagamento particolarmente innovativi, perché il loro funzionamento si regge
ovviamente sulla presenza della tecnologia informatica. è chiaro che questa evoluzione della platea degli
strumenti di pagamento e della gamma di strumenti pagamento presenti nella prassi deriva da una serie di
vantaggi che si offrono agli utenti; una maggiore flessibilità di utilizzo lo vedremo quando parleremo dei
mezzi di pagamento tradizionali e dei loro inconvenienti; i minori costi, costi di utilizzo di uso dello
strumento di pagamento; e indubbiamente una maggiore sicurezza. Per quanto gran parte della popolazione
sia ancora restia a pensare che i mezzi di pagamento fondati sull'utilizzo della rete internet e dei dispositivi
mobili siano mezzi di pagamento poco sicuri, in realtà è una falsa credenza perché è indubbio che gli
strumenti di pagamento alternativi al contante offrano una maggiore sicurezza nella effettuazione dello
scambio, anche perché la legge, la normativa tutela l'eventuale utilizzo indebito fraudolento di questi
strumenti di pagamento con la possibilità per il cliente di ottenere rimborsi e risarcimenti. Ovviamente, per
realizzare tutti questi vantaggi è importante, è fondamentale che anche nel campo dei servizi di pagamento
sia assicurata quella che è la finalità fondamentale di tutte le normative che abbiamo studiato in materia
finanziaria e cioè la trasparenza. è necessario che anche qui i fruitori dei servizi di pagamento conoscano in
maniera adeguata le regole previste per l'utilizzo degli strumenti di pagamento e a monte abbiano anche la
possibilità di confrontare le diverse offerte sul mercato, in maniera tale da ottenere ovviamente strumenti di
pagamento più adeguati alle loro esigenze. 
Tradizionalmente abbiamo uno scenario in cui i primi mezzi di pagamento che si sono affermati storicamente
nella prassi sono il denaro contante e gli assegni, ed è inutile negare che almeno nel nostro paese il denaro
contante rappresenta ancora, soprattutto se vediamo la frequenza di utilizzo, il principale mezzo di
pagamento utilizzato dai cittadini. 
Già qui dobbiamo rilevare quelli che sono i due limiti fondamentali del denaro contante: 

122
il primo limite è che chiaramente il denaro contante non si presta per effettuare transazioni di importo
significativo, questo perché comporterebbe delle difficoltà pratiche di trasporto e anche il rischio di incorrere
più facilmente in furti, quindi in frodi da parte di terzi; 
il secondo limite è rappresentato dal fatto che il denaro contante può essere utilizzato come mezzo di
pagamento solo per le transazioni che si realizzano tra soggetti che sono fisicamente presenti nello stesso
luogo, le cosiddette transazioni face-to-face, faccia a faccia e questo anche il limite ovviamente la possibile
utilizzabilità del denaro contante in un mondo che va sempre più verso le forme di commercio elettronico a
distanza. Indubbiamente ci sono una serie di vantaggi che spiegano ancora l'utilizzo molto importante del
denaro contante del nostro paese e quindi al di là del vantaggio consistente nel fatto che il denaro contante
consente un immediato trasferimento del valore da un soggetto ad un altro e quindi può essere da subito
riutilizzato dal soggetto che ha ricevuto le banconote in pagamento. Il vantaggio più significativo è
indubbiamente è cioè il fatto che il denaro contante garantisce in via generale l'anonimato delle operazioni, e
quindi si presta anche ad utilizzi poco commendevoli da parte di soggetti che chiaramente vogliono
nascondere, celare la transazione. Non vogliono che questa emerga. Fondamentale per capire l’utilizzabilità
del denaro contante come mezzo di pagamento è il concetto in corso legale delle banconote, della moneta e
quindi in generale del denaro. Il che significa, corso legale, che vi è un vero e proprio obbligo di accettare il
contante quindi il denaro avente corso legale per regolare qualunque tipo di transazione. Ovviamente fatti
salvi i limiti fissati per legge in relazione agli importi perché è chiaro che poi il denaro contante non può
essere utilizzato ormai al di sopra di determinati importi, però, negli altri casi nessuno può rifiutare il
pagamento, banconote e monete aventi corso legale all'interno di un determinato stato nel quale tali monete e
banconote vengono utilizzate. Proprio questo concetto di corso legale mette in dubbio poi la possibilità di
qualificare, cioè i tentativi di qualificare le criptovalute come moneta.
Perché le criptovalute indubbiamente non hanno un corso legale teoricamente in senso economico potrebbero
essere accettate per regolare le transazioni ma sarebbe comunque una libera scelta da parte di coloro che ne
fanno uso, quindi delle parti che stipulano la transazione, che concludono la transazione e che decidono di
regolarla attraverso l'utilizzo di un mezzo alternativo alla moneta avente corso legale. Questo spiega perché
in realtà la criptovaluta abbia un'anima  un po' particolare sui generis, non è una vera e propria moneta, non è
un vero e proprio prodotto finanziario, è un qualcosa di un po' anarchico che sfugge a facili catalogazioni. 
In Italia la moneta legale è l'euro, a partire dal primo gennaio 1999, in realtà per i primi 3 anni era utilizzato
fondamentalmente come moneta scritturale, dopo i primi tre anni quindi, a partire dal primo gennaio 2002,
inizialmente era un utilizzo scritturale soprattutto per transazioni che venivano effettuate attraverso notazioni
contabili dalle banche, dal 2002 è entrata definitivamente anche nell'utilizzo cartaceo, fisico della moneta la
materiale sostituendosi alla Lira. 
Tuttavia vi è limite all'utilizzo del denaro contante per effettuare i pagamenti, in particolare la legge di
bilancio per il 2020 ha ridotto questo limite a € 2,000.  Quindi è la soglia oggi vigente per i pagamenti in
contanti al di sopra, cioè a partire in realtà da € 2,000 i pagamenti devono essere necessariamente tracciati,
effettuati con mezzi alternativi al denaro contante. 
Questa tabella fa capire in realtà che nel corso del tempo si è sempre di più sviluppato un atteggiamento del
nostro legislatore teso a ridurre quanto più possibile l'uso del denaro contante. Inizialmente il limite era 20
milioni di lire che poi è stato convertito in euro a partire dal primo gennaio 2002 in € 10.329, dopo, al di là di
alcuni aumenti a € 12.500, a partire dal maggio 2010 c'è stata una progressiva riduzione nell’utilizzo del
denaro contante fino a venire ai nostri giorni, la legge di bilancio del 2020 ha previsto che a partire da luglio
2020 il limite fosse interessato a € 2.000 e ha già disposto un'ulteriore riduzione a partire dal primo gennaio
2022 a € 1.000. 
Questo perché fondamentalmente il denaro contante è, proprio per la sua natura di garantire l'anonimato,
utilizzabile anche per operazioni illecite, in particolare operazioni di riciclaggio o ancor peggio per
operazioni di finanziamento di attività criminali come iniziative terroristiche e così via. 

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Questo ovviamente ha comportato da subito un man mano che gli obblighi in materia di antiriciclaggio  si
fanno più forti, stringenti che il legislatore abbia cercato per quanto possibile di ridurre l'utilizzo del denaro
contante fino a soglie a partire dal 2022 piuttosto basse. 
A fianco al denaro contante abbiamo un altro strumento di pagamento tradizionale che infatti, in un certo
senso, risolve il principale problema dell'utilizzo del contante, cioè il fatto che il contante non si presta per
regolare transazioni di importo significativo, l'assegno consente invece di essere utilizzato anche per
pagamenti di importo considerevole e per di più, essendo un pagamento tracciato ad esso non si applicano i
limiti previsti per l'utilizzo nei pagamenti del denaro contante. 
Anche per l'assegno vale il discorso che siamo di fronte a un mezzo di pagamento tradizionale, perché è una
disciplina che risale addirittura al 1933, è un regio decreto del 1933 numero 1736.
Tradizionalmente, questo regio decreto lo chiamiamo legge assegni ed è diciamo una legge importante
perché ha dato attuazione nel nostro ordinamento a una convenzione, che la convenzione di Ginevra del 1931
alla quale hanno preso parte la maggior parte dei paesi a livello internazionale, ovviamente paesi più evoluti,
significa che la disciplina che governa questo strumento di pagamento è una disciplina ormai uniforme a
livello internazionale. 
Che cos'è l'assegno? 
L'assegno è un titolo di credito, quindi un titolo cartaceo che incorpora un credito, fondamentalmente di un
soggetto nei confronti di un altro che può assumere due forme o due strutture diverse. 
Possiamo avere da un lato l'assegno bancario e dall'altro l'assegno circolare, sono due titoli di credito che
assolvono la stessa funzione di mezzo di pagamento però hanno strutture, sollevano problemi diversi. Per
quanto riguarda la struttura dell'assegno bancario, va detto che si tratta di una struttura trilaterale, nel senso
che l'assegno bancario coinvolge tre soggetti: 
un primo soggetto è il correntista al quale è stato rilasciato il carnet di assegni, nel momento in cui questo
correntista spicca l'assegno, quindi lo compila e lo stacca dal carnet consegnandolo a un terzo, da un ordine
di pagamento. Quindi il correntista che spicca l'assegno prende il nome di traente ed è colui che dà l'ordine di
pagamento, l'ordine di pagare una determinata somma indicata nell'assegno. 
A chi rivolge questo ordine di pagamento? 
Lo rivolge alla banca presso la quale detiene il proprio conto corrente e che gli ha rilasciato il carnet di
assegni. Questa banca prende il nome di banca trattaria, la quale dovrà pagare l'importo di cui all'ordine e
impartito dal traente a favore di un terzo che è il prenditore dell'assegno. 
Quindi tre soggetti: il traente da l'ordine, la banca trattaria alla quale si rivolge l'ordine effettua il pagamento,
il prenditore dell'assegno, il terzo, beneficia del pagamento della somma di denaro indicata sull'assegno. Gli
assegni bancari devono essere espressamente compilati su moduli appositamente rilasciati dalle banche,
ovvero da Poste Italiane che da questo punto di vista opera come una banca e di regola sono muniti della
clausola di non trasferibilità. 
Cosa comporta la clausola la clausola di non trasferibilità che oggi troviamo in quasi tutti gli assegni?
Comporta che il prenditore dell'assegno, colui a beneficio del quale è stato emesso l'ordine di pagamento non
lo può trasferire ad un terzo, ma può solo presentarlo in banca per incassarlo. 
Il fatto che con la clausola di trasferibilità si limiti la circolazione dell'assegno implica, che, chiaramente,
vengono ad essere ridotti i rischi di falsificazioni, i rischi di frode ai danni dei traenti dei correntisti che
utilizzano questi mezzi di pagamento. è anche vero che in linea teorica un correntista di una banca potrebbe
farsi rilasciare un carnet di assegni privi della clausola di non trasferibilità, quindi trasferibili ma dovrebbe, a
questo punto, pagare €1,50 di bollo su ciascun assegno. 

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Per di più, per assegni che recano un importo superiore a € 1.000, che è il limite di utilizzo del denaro
contante a partire dal 2022 è comunque preclusa la possibilità di utilizzare un assegno che sia privo della
clausola di non trasferibilità. L'assegno può essere pagato dalla banca del cliente che lo ha emesso, che lo ha
spiccato, quindi dal cliente traente nel momento in cui il prenditore lo presenta ad incasso. Tuttavia è chiaro
che quando la banca viene chiamata a pagare deve assicurare tutte le cautele, effettuare tutti i controlli che
consentono di evitare un utilizzo non corretto e fraudolento degli assegni. Tutti questi controlli che poi
comportano una attenta identificazione del soggetto che presenta l'assegno in banca per l'incasso, oltre che
controlli sull'integrità proprio dell'assegno, sul fatto che l’assegno sia stato alterato, falsificato in qualunque
modo, di fatto rende molto difficile il pagamento di assegni da parte della banca trattaria nei confronti di
soggetti che non hanno un conto corrente presso di essa. Se andiamo ad incassare un assegno tratto su una
determinata banca, la banca quindi dovrebbe pagare perché ha ricevuto un ordine di pagamento dal proprio
cliente correntista, in realtà la banca fa sempre delle obiezioni, delle resistenze se colui che presenta
l'assegno non è a sua volta correntista di quella banca. Perché se lo paga, paga chiaramente assumendosi
eventuali rischi di falsificazione dell’assegno, e questo sostanzialmente spiega perché di regola per incassare
l'assegno è molto più facile che il prenditore dell'assegno, colui che possiede l'assegno, anziché presentarla
all'incasso presso la banca trattaria, in realtà lo depositi sul proprio conto corrente che ha su una diversa
banca. La quale poi accrediterà l'importo una volta che ha effettuato i controlli, una volta che la banca
trattaria verrà autorizzata ad accreditarla e avrà effettuato tutti i controlli col tempo necessario per valutare
l'integrità del titolo e l'identità del prenditore beneficiario del pagamento. 
Vi è poi sempre un rischio legato all'utilizzo dell'assegno bancario, e cioè che l'assegno bancario possa essere
scoperto non autorizzato. Questo è un rischio che in realtà riguarda, in particolar modo, il prenditore, il terzo
creditore che ha ricevuto un assegno in pagamento e cioè il rischio è che colui che ha emesso l’assegno, cioè
il traente, abbia in realtà un conto corrente non capiente, sul quale non ci sono fondi necessari per assicurare
la copertura dell'assegno o peggio ancora non sia stato autorizzato per nulla a emettere assegni bancari della
propria banca. Quindi non ci sia una convenzione alla base con la banca, che alla base del rilascio del carnet
di assegni. Questi rischi, ovviamente, sono rischi che rendono il pagamento mediante assegno bancario per il
beneficiario un mezzo comunque non del tutto sicuro, anche perché c'è poi un rischio più generale che è
quello di falsificazione dell'assegno bancario che si realizza quando a seguito dopo il pagamento
dell’assegno si scopre che la firma del traente era stata falsificata antefatto, ovvero che l'importo era stato
alterato. Questo rischio di falsificazione è un rischio che chiaramente può colpire il traente dell'assegno, il
correntista della banca e si pone il dubbio di chi debba rispondere in caso di falsificazione dell'assegno, tra il
traente che ha spiccato l'assegno e teoricamente colui che dà l'ordine di pagamento, ovvero la banca trattaria. 
Chiaramente le banche cercano in tutti i modi di tutelarsi contro i rischi di falsificazione dell'assegno
inserendo apposite clausole nel contratto di conto corrente e mediante le quali scaricano sul correntista il
rischio di perdite relative allo smarrimento, alla sottrazione degli assegni, almeno però fino a quando il
cliente effettivamente non si è accorto dello smarrimento, della sottrazione non ha effettuato una denuncia ai
Carabinieri o all'autorità giudiziaria che blocca la possibilità di imputare a costui la responsabilità.
L'atteggiamento della giurisprudenza di fronte a questi casi di falsificazione è quella di ritenere in linea di
massima la banca responsabile per i danni derivanti al cliente correntista, dal pagamento di assegni alterati o
contraffatti, quando l'osservanza dei principi della diligenza professionale da parte del banchiere che effettua
il pagamento è effettua i controlli a monte, avrebbero consentito a costui di rilevare eventuali difformità o
alterazioni dell’assegno, la giurisprudenza dice ict oculi, cioè un esame attento avrebbe consentito
visivamente di comprendere che vi erano segni di alterazione, segni di falsificazione dell'assegno. In questi
casi la banca chiamata è chiamata a rispondere e chiaramente alla banca si richiede un livello di diligenza
che non è quello medio del buon padre di famiglia ma evidentemente un livello di diligenza professionale
particolarmente elevato. 
Indubbiamente però l'assegno bancario pone veramente dei problemi, dei rischi nell'utilizzo dello stesso,
rischi che in un certo qual senso scompaiono, o comunque si riducono fortemente nel caso degli assegni
circolari, quindi dell'altra tipologia di assegno che il nostro ordinamento conosce e che viene disciplinata

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sempre con regio decreto nel 1933, perché l'assegno circolare ha una struttura diversa rispetto a quella
dell'assegno bancario. 
L’assegno bancario ha la struttura di un ordine di pagamento l'ordine, l’ordine è dato dal traente alla banca
trattaria di pagare a favore del prenditore, tre soggetti. 
L’assegno circolare ha invece una struttura per certi versi più semplice, perché è un rapporto bilaterale, tra la
banca che è emittente dell'assegno, non è trattaria, ma è emittente dell'assegno circolare e il beneficiario
dell'assegno circolare, che qui deve essere necessariamente indicato sul titolo. Quindi colui che invece
richiede l'emissione di un assegno circolare è fuori dal rapporto cartolare, dal rapporto che caratterizza
l'assegno. Quindi non solo abbiamo una banca che in questo caso emette l'assegno e promette il pagamento
nei confronti del beneficiario ma abbiamo anche una regola, in base alla quale, l'assegno circolare è emesso
dalla banca a per somme esattamente corrispondenti all'importo depositato presso di essa al momento
dell'emissione. 
Colui che è il beneficiario di un assegno circolare può fare affidamento sul fatto che presso la banca
emittente, ci sono fondi disponibili del cliente richiedente l'assegno per un importo almeno pari a quello
indicato sull'assegno circolare e la struttura è una struttura di una promessa di pagamento, quindi la banca
emittente promette il pagamento nei confronti del beneficiario. Questo fa sì che chiaramente, l'assegno
circolare sia un mezzo di pagamento molto più sicuro dell'assegno bancario perché il beneficiario può fare
affidamento sulla solvibilità della banca, può fare affidamento che presso la banca esistano fondi a
sufficienza per un importo pari a quello, per l'appunto, risultante dall'assegno, l'importo indicato sull'assegno.
Ci sono poi tutta una serie di altre cautele che rendono questo mezzo di pagamento particolarmente sicuro,
per esempio le banche che emettono assegni circolari devono essere espressamente autorizzate dalla banca
d'Italia, a fronte dell'emissione degli assegni circolari presso la banca d'Italia, le banche devono versare una
cauzione a garanzia, per rafforzare la sicurezza del pagamento di questi assegni e questo spiega perché, nei
fatti, l'assegno circolare è utilizzato in tutte le transazioni economicamente più rilevanti, in particolare in
quelle transazioni che hanno ad oggetto, per esempio, il trasferimento di beni immobili. Ovviamente a fronte
della maggiore sicurezza che offre questo mezzo di pagamento, va rilevato che indubbiamente non si tratta di
un mezzo di pagamento particolarmente agevole da utilizzare, perché ogni qualvolta un soggetto volesse
disporre un pagamento mediante assegno circolare dovrebbe recarsi in banca e farselo emettere dalla banca
per un importo corrispondente ai fondi disponibili, questo significa ovviamente che non si può pagare con un
assegno circolare una spesa imprevista. 
Anche perché nel momento in cui la banca emette l’assegno circolare non può lasciare l'importo in bianco
ma deve necessariamente indicare qual è l'importo dell'assegno circolare perché quello importa deve essere
di regola coperto da fondi disponibili presso di esso.
Questi mezzi di pagamento alternativi sono una molteplicità e si sono sviluppati in tempi più o meno recenti,
alcuni in realtà sono abbastanza risalenti anch'essi, per esigenze di rapidità ed efficienza delle transazioni.
Quindi transazioni più snelle, più rapide e allo stesso tempo però esigenze di sicurezza e quindi di superare i
rischi legati ai pagamenti mediante denaro contante e mediante assegni. 
Questo sviluppo della materia di servizi di pagamento è dovuta alla volontà di superare le inefficienze del
sistema tradizionale per pagamenti. Questi strumenti di pagamento alternativi sono offerti da intermediari
autorizzati a prestare servizi di pagamento, che di regola sono banche o Poste Italiane ma possono essere
anche intermediari più particolari che si configurano come istituti di pagamento, istituti di moneta
elettronica. Gli strumenti di pagamento consentono anch’essi il trasferimento di fondi da un soggetto che
possiamo chiamare pagatore che è il debitore, a un altro soggetto che possiamo chiamare beneficiario, che è
il creditore. Questo trasferimento di fondi però, nel caso degli strumenti di pagamento alternativi si articola
in un procedimento composto da più fasi. 
La prima fase è quella in cui il pagatore trasmette l'ordine di pagamento, lo trasmette al proprio
intermediario, alla propria banca che prende il nome di prestatore di servizi di pagamento (PSP), è l'acronimo

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utilizzato di frequente anche quotidianamente. Quindi pagatore trasmette l'ordine di pagamento al proprio
prestatore di servizi di pagamento. 
Questo prestatore di servizi di pagamento, gestisce l’ordine all'interno di un circuito che mette in relazione il
prestatore di servizi di pagamento con un altro prestatore di servizi di pagamento, quindi con un altro
intermediario, un'altra banca al quale il primo trasmette l'informazione, cioè l'ordine impartito dal pagatore,
questo secondo prestatore di servizi di pagamento opera invece per conto del beneficiario. L'ultima fase è
quella in cui il prestatore di servizi di pagamento del beneficiario accredita l'importo al beneficiario. Questo
procedimento descritto che può sembrare anche particolarmente articolato, poi in realtà nei fatti è un
procedimento quasi immediato, comunque molto rapido che chiaramente non percepiamo in questa
articolazione così dettagliata. Ed è un procedimento che sebbene ci siano delle varianti, però potremmo dire
che concettualmente vale per qualunque strumento di pagamento alternativo al contante e all'assegno. Quindi
per i bonifici, gli addebiti diretti, le carte di pagamento, i servizi di pagamento in internet e-payments e i
pagamenti mediante dispositivi portatili (mobile payments). Ovviamente il panorama non si esaurisce qui,
questi sono i principali strumenti di pagamento alternativi al contante e agli assegni ce ne sarebbero altri. 
Il bonifico è un ordine di pagamento che il debitore, cioè il pagatore emette a favore di un creditore
beneficiario e quindi da un ordine di trasferire una somma di denaro, da questo ordine al proprio prestatore di
servizi di pagamento, di trasferire una somma di denaro sul conto del creditore beneficiario addebitando
corrispondentemente il proprio conto, cioè il conto del pagatore, debitore. 
A partire da una data molto significativa, cioè quella del primo agosto 2014, i bonifici ormai seguono uno
standard comune all'interno dell'area Euro, si è formata per l'appunto quella che è la SEPA, cioè la “Single
Euro Payments Area”, l’area unitaria dei servizi di pagamento a livello europeo, nella quale i bonifici
seguono tutti o assumono tutti un medesimo standard, quello del bonifico europeo il cosiddetto SEPA Credit
Transfer. Per effettuare un bonifico di questo tipo è necessario e diretta al tempo stesso anche sufficiente
fornire il codice IVA del beneficiario, che identifica senza possibilità di equivoci ed errori il conto di
destinazione dei fondi. Quindi ad ogni IBAN corrisponde in maniera univoca, rapporto univoco, un unico
conto di destinazione dei fondi e quindi questo codice alfanumerico diventa imprescindibile per effettuare un
bonifico SEPA indipendentemente dagli altri dati che pure potrebbero il bonifico, come il nome e il cognome
del beneficiario che a questo punto diventa in caso di errore abbastanza irrilevante. Chiaramente questo
bonifico Sepa ha anche dei tempi di realizzazione, il tempo massimo di esecuzione dell'operazione di un
giorno lavorativo dopo quello di accettazione dell'ordine da parte dell'intermediario che opera per conto del
pagatore ma di regola l’accettazione dell'ordine avviene immediatamente da parte del prestatore di servizi di
pagamento, poi a seconda del momento in cui l'ordine è stato impartito, l'esecuzione potrebbe avvenire nel
giorno lavorativo successivo se si supera un determinato orario, questo vale ovviamente per i bonifici di
natura elettronica. Per i bonifici in formato cartaceo i tempi potrebbero essere più lunghi ma ormai i bonifici
disposti con mandato cartaceo non esistono più. 
Strutturalmente l'addebito diretto è diverso dal bonifico, perché le parti si invertono, nel senso che nel caso
dell'addebito diretto è il creditore quindi il beneficiario di un pagamento che impartisce l'ordine di trasferire
una somma di denaro sul proprio conto, addebitando in corrispondenza, per una somma corrispondente il
conto del pagatore, debitore. Quindi qui effettivamente abbiamo un rovesciamento di ruoli, perché l'ordine di
pagamento è impartito non dal pagatore come il bonifico, bensì dal beneficiario. Di solito questo schema
dell'addebito diretto viene utilizzato per effettuare pagamenti di tipo ripetitivo e che abbiano una scadenza
predeterminata. Per esempio per il pagamento delle utenze o di abbonamenti telefonici e così via. è chiaro
che questo addebito diretto presuppone necessariamente che a Monte vi sia stata una autorizzazione
preventiva da parte del pagatore, debitore, altrimenti non ci può essere l'addebito sul conto dello stesso a
seguito di un ordine impartito dal beneficiario. Quindi significa che a monte il debitore si è recato presso
l'impresa fornitrice o anche presso la propria banca e ha firmato un contratto con il quale autorizza, per
l'appunto, addebiti diretti a determinate scadenze sul proprio conto delle somme relative alle utenze o agli
abbonamenti. 

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Anche per l'addebito diretto vale il discorso con riferimento al bonifico e cioè, anche gli addebiti diretti oggi
vengono in area Euro necessariamente seguiti secondo un formato o uno standard comune che prende il
nome di SEPA Direct Debit (SDD) e per sfruttare questo format comune a livello europeo del Sepa Direct
debit è necessario anche qui, è sufficiente disporre del codice IBAN del pagatore. Che è un codice che
identifica in questo caso, in maniera univoca, il conto di pagamento nel quale vengono addebitati i fondi.
Questo è l'aspetto di differenza rispetto a quello dicevamo con riferimento al bonifico, dove è necessario
indicare l'IBAN del beneficiario, qui l’IBAN del pagatore cioè del conto che identifica il conto nel quale i
fondi vengono addebitati. Ovviamente c'è anche la possibilità che il debitore comunichi al proprio
intermediario delle liste, per esempio di creditori indesiderati o graditi. Quindi nel primo caso parleremo di
Blacklist, nel secondo di whitelist. 
Quindi se ci fosse un ordine impartito da un potenziale beneficiario appartenente alla Blacklist il prestatore
di servizi di pagamento non dovrebbe procedere all'addebito sul conto del debitore e può, anche volendo, il
debitore stabilire con il proprio prestatore di servizi di pagamento degli importi massimi, autorizzare degli
importi massimi da addebitare sul proprio conto, ovvero ancora bloccare gli addebiti qualora ci dovesse
essere un contenzioso con il beneficiario degli stessi. 
Le carte di pagamento sono anch’esse parte di un universo un po' composito per intenderci, quello che le
accomuna è intanto la struttura fisica, si tratta di tessere plastificate un tempo dotate di una banda magnetica,
oggi non solo della banda magnetica ma anche di un microchip che è un ulteriore presidio di sicurezza,
perché sostanzialmente non è altro che un elemento che contiene i dati identificativi della carta seppur con
tecnologie informatiche e sono emesse da intermediari autorizzati ovvero da banche. La funzione delle carte
di pagamento è comune alle stesse, indipendentemente dalla tipologia, cioè consentono da un lato di
prelevare denaro contante dagli sportelli automatici, i cosiddetti ATM e dall'altro di pagare presso gli
esercenti convenzionati determinate somme di denaro tramite l'apparecchiatura del POS ossia il Point of Sail,
digitando un codice segreto che è il PIN. E poi possibile che le carte più evolute siano dotate, abilitate alla
tecnologia cosiddetta Near Field Communication che consente di pagare tramite semplice accostamento della
carta di pagamento all'apparecchiatura di accettazione presente nel negozio, al POS, cioè quella modalità
volgarmente chiamata “contactless”. Le carte di pagamento chiaramente possono essere poi utilizzate anche
per effettuare transazioni di commercio elettronico sulla rete internet, in questo caso inserendo i dati della
carta, numero della carta, il codice di sicurezza nonché almeno un altro fattore di identificazione. Questo vale
in generale per tutte le carte di pagamento, però più in dettaglio poi le carte di pagamento vanno
concretamente distinte, almeno in queste tre tipologie di base, cioè: la carta di credito, la carta di debito e le
carte prepagate che rientrano in quella che maniera più ampia può essere considerata la fattispecie della
moneta elettronica.
Le carte di credito sono strumenti di pagamento rilasciati da banche o intermediari specializzati, per esempio,
istituti di pagamento, per intenderci American Express è un istituto di pagamento che rilascia carte di credito,
non è una banca. Le carte di credito vengono rilasciate sulla base di un contratto di che di regola accompagna
il contratto di conto corrente, perché se viene rilasciato al momento, all'inizio della stipulazione del contratto
di conto corrente. 
La funzione è che consente di effettuare acquisti presso gli esercenti convenzionati e consente anche di
effettuare prelievi di denaro contante presso gli sportelli automatici. 
Perché si chiama carta di credito? 
Perché consente di effettuare le operazioni di pagamento e di prelievo, indipendentemente dall'esistenza di
una disponibilità di fondi sul proprio conto corrente al momento dell'esecuzione dell'operazione. Anzi, anche
quando la carta di credito viene utilizzata per effettuare prelievi preso gli ATM da parte di un soggetto che ha
la disponibilità sul conto, in realtà questi prelievi che vengono effettuati con la carta di credito si configurano
come anticipi di denaro contante da parte della banca a beneficio dell'utente e quindi comportano il
pagamento di un interesse da parte di quest'ultimo. 

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Il fatto che quindi ci sia una sorta di funzione creditoria che la banca svolge nei confronti del cliente, si
realizza poi, si concretizza nel fatto che gli importi spesi dal cliente quando effettua le transazioni utilizzando
la carta di credito, sono pagati dal titolare della carta nei confronti della banca emittente in un momento
successivo, di regola con una cadenza mensile in un'unica soluzione o anche a rate se la carta di credito si
configura come una carta di credito cosiddetta “Revolving”. 
Quindi, fondamentalmente, abbiamo uno strumento di pagamento accompagnato dalla prestazione da parte
dell'emittente dello stesso a favore dell'utente di una forma di credito, che consente a quest'ultimo di
effettuare pagamenti anche in assenza della disponibilità immediata dei fondi sul conto. Quindi gli importi
verranno addebitati poi sul conto a cadenze mensili, in un’unica soluzione o addirittura rate se si tratta di
carte di credito “Revolving”. Ovviamente se c'è un addebito rateale chiaro che si tratta a quel punto di un
vero e proprio finanziamento, perché il cliente lo può rimborsare in maniera rateale, dovrà pagare gli
interessi a favore delle somme che le sono state anticipate dalla banca. Questo è lo schema della carta di
credito, è uno schema peculiare e diverso da quello che caratterizza le carte di debito, dette anche
volgarmente “carte bancomat”. 
Le carte di debito sono anch’esse rilasciate da banche e intermediari finanziari, qui è però, necessario il
rapporto con un conto corrente. La carta di debito in assenza di un conto corrente non si regge e questo
perché sebbene la funzione sia la stessa, della carta di credito, cioè quella di consentire di effettuare
transazioni presso gli esercenti convenzionati, ovvero di prelevare denaro contante dagli sportelli automatici.
Va detto che queste operazioni, nel caso della carta di debito, vengono addebitate di volta in volta sul conto
del debitore nel momento in cui sono state effettuate. 
Quindi, presuppongono necessariamente la presenza di fondi sul conto del debitore per un importo pari a
quelli che effettivamente il pagatore ha impegnato al momento dell'effettuazione delle operazioni, e questa è
la principale differenza con le carte di credito. 
Ovviamente, ci possono essere nel caso delle carte di debito dei limiti sia all'utilizzo della carta per effettuare
transazioni presso gli esercenti convenzionati, sia alla possibilità di utilizzare la carta per effettuare prelievi
di contante dagli sportelli automatici. è possibile oggi che ci sia un utilizzo anche un po' più evoluto della
carta di debito, e cioè per pagare bollette, effettuare ricariche telefoniche accedere ad altri servizi più
particolari, direttamente utilizzando la carta sull’ATM della banca. 
Il terzo modello è quello della carta prepagata che tutti noi utilizziamo soprattutto per le transazioni on-line,
siamo sempre di fronte ad uno strumento di pagamento rilasciato da una banca o da altro intermediario
finanziario, è uno strumento di pagamento che può essere utilizzato per effettuare transazioni o anche per
prelevare somme di denaro presso gli ATM, la particolarità è che le transazioni, quindi i pagamenti, i prelievi
delle somme di denaro vanno a essere imputate ad una somma che è pre-depositata dal titolare della carta
presso l'emittente. Questo da alla carta il nome di carta prepagata, il fatto che a monte vi sia il deposito o
predeposito di una somma che poi può essere utilizzata per effettuare transazioni o per prelevare il denaro
contante. Questo spiega quello che è il vantaggio pratico rispetto alla carta di debito e cioè la carta prepagata
non deve assolutamente appoggiarsi su un conto corrente, quindi è più flessibile da utilizzare anche quando
la banca dovesse rilasciare una carta prepagata a favore di un utente che ha un conto corrente ci sarebbe
comunque una separazione tra la carta prepagata e il conto corrente del cliente. Questo tipo di carta può
essere di regola nominativa anche se in linea teorica può essere anche anonima, può essere sia ricaricabile
che non ricaricabile. Diciamo che la carta prepagata non ricaricabile è ormai un strumento di pagamento in
disuso, siamo abituati a pensare la carta prepagata come una carta ricaricabile il che vuol dire che i
pagamenti e prelievi riducono di volta in volta la somma che è stata precaricata, predepositata fino al suo
esaurimento ma questa stessa somma può essere rimpinguata mediante nuovi versamenti o anche giroconti
da effettuare nel conto corrente sulla carta prepagata. Le carte prepagate poi oggi possono essere a loro volta
dotate di codice IBAN e questo assicura una maggiore possibilità di fruizione delle stesse perché possono
essere ovviamente utilizzate per ricevere accrediti come se fosse un conto corrente a questo punto, o anche
per effettuare i bonifici, quindi per effettuare pagamenti tramite la forma tecnica del bonifico o dell’addebito
diretto. Infine vale la pena citare come ulteriore tipologia di carte di pagamento che di regola sono carte
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prepagate, quindi, consideriamo alla stregua di carte prepagate ma che hanno un’ulteriore caratteristica che le
identifica e le qualifica, un elemento di particolarità e cioè le carte di pagamento denominate a spendibilità
limitata. Si chiamano così perché sono carte di pagamento la cui utilizzabilità è circoscritta, in particolare
possono essere utilizzate esclusivamente presso l'emittente di determinati servizi, per i servizi da questo
forniti. Il tipico esempio è quello della carta Viacard utilizzata per i pagamenti dei pedaggi autostradali, è una
carta prepagata che può essere messa ovviamente a favore dell'utente del servizio autostradale ed è emessa
dallo stesso soggetto che presta il servizio, cioè per l'appunto, da autostrade. 
L’altro esempio che si fa è quello delle carte comunque la cui utilizzabilità è circoscritta, nel senso che
possono essere utilizzate presso una rete definita di esercizi commerciali, di regola le catene dei supermercati
per l'acquisto di una gamma di prodotti offerti dalla stessa catena di supermercati, per esempio la carta Coop,
Conad. Questa caratteristica, cioè la spendibilità limitata, il fatto che queste carte possono essere utilizzate in
maniera circoscritta all'interno di una determinata cerchia di  esercizi commerciali, fa sì che le stesse possano
essere emesse anche da soggetti che non sono abilitati a prestare servizi di pagamento, perché di regola
possono essere messe da catene di supermercati, ovvero da altri prestatori di servizi, imprese commerciali
che prestano servizi e forniscono beni tradizionali. 
Gli strumenti di pagamento più evoluti sono distinti in due tipologie gli e-payments e i mobile payments, in
particolare si tratta di strumenti di pagamento il cui utilizzo è stato favorito dallo sviluppo delle tecnologie
informatiche che si avvalgono della rete Internet, e che sono stati sviluppati soprattutto a supporto del
Commercio elettronico, questo nel caso ovviamente degli e-payments. 
Questi servizi includono una gamma di soluzioni particolarmente ampia e ciò ne rende difficile una loro
identificazione univoca, una forma di e-payment potrebbe essere l'utilizzo di una carta di pagamento su
internet oppure anche tecnologie e servizi più innovativi quali possono essere per esempio il servizio di
PayPal. La caratteristica che accomuna queste transazioni che vanno sotto il nome di e-payments è il fatto
che esse avvengano tipicamente sfruttando le connessioni su rete internet. Centrale per il successo di questi
strumenti, di questi servizi di pagamento diventa chiaramente, proprio perché sfruttano la rete internet, il
fattore di sicurezza e al fine di rafforzare la sicurezza delle operazioni di pagamento condotte su internet,
quindi mediante metodi cosiddetti a distanza, vi è oggi un obbligo di adottare, sistema parte degli
intermediari, di adottare sistemi di sicurezza particolarmente avanzati che assicurino quello che è
l’autenticazione forte del cliente, in inglese la cosiddetta “strong customer authentication”. 
Questa “strong customer authentication”, cioè l’autenticazione forte del cliente implica che ciascuna
transazione di pagamento, chiaramente strumenti di pagamento alternativi a quelli tradizionali, oggi debba
essere condotta mediante l'utilizzo di credenziali di identificazione del cliente a doppio fattore. Quindi sono
necessari due fattori di sicurezza che alternativamente possono essere ricondotti a queste tre tipologie: i
fattori della conoscenza, cioè qualcosa che solo l'utente conosce per esempio: una password o un pin; i fattori
di possesso, qualcosa che solo l’utente del servizio di pagamento possiede, per esempio: un token, oppure un
dispositivo mobile sul quale è installata una app dell'intermediario; il fattore dell'inerenza, cioè qualcosa che
è intrinseco nelle caratteristiche biologiche e comportamentali dell'utente, può essere un’impronta digitale,
può essere il contorno la forma del viso. Questa presenza simultanea di un duplice fattore quando si esegue
l'operazione di pagamento rende più difficile le frodi, rende più difficile soprattutto i furti delle credenziali di
sicurezza, dei codici di sicurezza necessari per disporre i pagamenti. Infine, oggi nel nostro mondo
occidentale europeo si sta diffondendo sempre di più l'offerta di servizi di pagamento che sfruttano per
l'esecuzione delle operazioni i dispositivi mobili, quindi di regola il telefono cellulare, lo smartphone oppure
anche un tablet, nel nostro mondo occidentale perché in realtà in Cina e nei paesi orientali più sviluppati in
realtà questa tecnologia per l'effettuazione dei pagamenti è già da tempo molto diffusa, è molto utilizzata. In
linea teorica le soluzioni più frequenti dei cosiddetti mobile payments possono prevedere l'addebito a valere
sul credito telefonico, l'addebito dell'importo delle operazioni a valere sul credito telefonico ma molto più
frequentemente invece, si tratta di una carta di pagamento che è virtualmente inserita nel dispositivo tramite
una app e la quale è per l'appunto, scala poi ogni qualvolta c'è il pagamento l'importo dal conto corrente di
appoggio. Ovviamente l'evoluzione che si ha in questo caso si realizza qualora il dispositivo mobile a sua

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volta sia abilitato alla tecnologia “Near Field Communication” e quindi possa consentire di pagare anche in
modalità contactless, semplicemente avvicinando lo smartphone all'apparecchiatura di accesso, il terminale
che è presente presso l’esercente. 
Ovviamente la tecnologia contactless è utilizzabile, in base alla disciplina Europea per importi ridotti e
questo perché chiaramente espone ai rischi di frodi che sono affrontati e risolti invece con i sistemi di
autenticazione forte. 
L'espressione “servizi di pagamento” è un'espressione che indica una gamma molto differenziata di
prestazioni rese da intermediari professionali, nei confronti degli utenti, in particolare questo intermediario
professionale si interpone tra il pagatore e il beneficiario di una somma di denaro. 
Anzi, dovremmo dire, che nei servizi di pagamento in realtà gli intermediari coinvolti nell'operazione sono
sempre due, uno opera per conto del pagatore e l'altro opera per conto del beneficiario. Questo l'abbiamo
visto chiaramente nel caso del bonifico dell'addebito diretto. È chiaro che possiamo avere dei servizi molto
semplici, per esempio le rimesse di denaro, oppure possiamo avere dei servizi più articolati come quelli che
comportano l'esecuzione di ordini di pagamento, i bonifici e gli addebiti diretti sfruttando le disponibilità
esistenti su un conto corrente che è quello del pagatore o servizi ancora più evoluti come quelli che sfruttano
strumenti di pagamento appositamente creati, come sono le carte di pagamento, la moneta virtuale nella
forma della carta prepagata, i dispositivi mobili e così via.
è uno scenario particolarmente articolato dal punto di vista delle fattispecie e questo ha reso l'opera del
legislatore nell’andare a disegnare una disciplina per questi servizi di pagamento non particolarmente
agevole. L'obiettivo di base di questa disciplina dei servizi di pagamento è innanzitutto quella di favorire
l'inclusione finanziaria. 
L'inclusione finanziaria è una scelta di politica legislativa che punta a garantire l'accesso ai conti di
pagamento, agli strumenti di pagamento alternativi a quelli tradizionali, a un numero sempre più elevato di
persone e questo comporta che questi strumenti di pagamento alternativi devono essere adeguatamente
pubblicizzati, promossi, valorizzati e ovviamente sicuri e fruibili dalle persone. In particolare, l'obiettivo di
promuovere l'affidabilità e l'efficienza di strumenti di pagamento alternativi alla moneta è stato perseguito in
origine attraverso la creazione di un'area unica dei pagamenti a livello europeo che è la Single Euro
Payments Area (SEPA). Quindi un'area in cui tutti gli operatori, i cittadini, la pubblica amministrazione, le
imprese e gli operatori economici genere possono eseguire pagamenti secondo degli standard comuni,
procedure operative, prassi di mercato uniformi. 
Chiaramente, il primo tassello di questa Single Euro Payments Area è stata quella di dover disegnare nel
contesto legislativo di riferimento, quindi la cornice giuridica in cui vengono disciplinati a livello europeo i
servizi di pagamento. Questo spiega che anche la materia dei servizi di pagamento è una materia armonizzata
a livello europeo per via dell'introduzione di una prima direttiva del 2007 la cosiddetta “psd payment
Services directive” che è stata successivamente modificata da una nuova direttiva alla “psd2 del 2015
payment Services directive 2”. 
Queste direttive mirano proprio a promuovere lo sviluppo di un mercato interno dei pagamenti a livello
europeo che sia efficiente, sicuro e competitivo soprattutto tenendo conto di due esigenze, da un lato
l’innovazione, che garantisce pagamenti più efficienti e rapidi, dall'altro la tutela degli utenti. Gli utenti
devono poter fare affidamento sulla sicurezza di questi mezzi di pagamento altrimenti, chiaramente l’area di
questi servizi non vengono adeguatamente sviluppati e il tutto va a detrimento della Costituzione di
quest'aria unica dei servizi di pagamento. 
Dal punto di vista italiano, qual è lo scenario della disciplina? 
In realtà non è che l'Italia sia arrivata a disciplinare le carte di pagamento, i bonifici, giroconti e gli altri
strumenti di pagamento alternativi solo con la Direttiva, esistevano già delle normative che regolamentavano
il settore dei servizi di pagamento. Il problema è che queste normative erano frammentate, quindi avevamo

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uno scenario fortemente frammentato della disciplina dei servizi di pagamento. Quindi, sostanzialmente
diverse fonti normative, non avevamo un testo unico per esempio in materia di servizi di pagamento, e
questo rendeva ovviamente anche la situazione degli operatori particolarmente delicata per via di doversi
assoggettare a regole non sempre chiare a volte differenti e anche un po' contrastanti le une con le altre. Il
fatto di aver potuto quindi recepire una direttiva che pur nella varietà di tutti questi strumenti e servizi di
pagamento adotta degli approcci comuni, cioè contiene delle regole generali, riduce la frammentarietà.
Quindi noi abbiamo una disciplina che è contenuta oggi nel decreto legislativo numero 11 del 2010, che ha
dato attuazione alla PSP 1, che è una disciplina generale dei servizi di pagamento volta da applicarsi, a
trovare applicazione qualunque sia il servizio di pagamento alternativo alla moneta o agli assegni, quindi
mezzi di pagamento tradizionali che vengano ad essere utilizzati.
Questo decreto rappresenta, ancora oggi, il nostro testo normativo di riferimento, lo si può scaricare da
internet, sul sito della banca d'Italia, ovviamente nella versione più recente che ha subito delle modifiche per
effetto del recepimento della direttiva PSD2. Quindi quando si è trattato di recepire la PSD2, il nostro
legislatore ha emanato un nuovo decreto numero 218 del 2017 che ha modificato quello originario del 2010
che resta in vigore con le modifiche apportate dal decreto successivo.

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