Sei sulla pagina 1di 33

LA FUNZIONE DELL’ORDINAMENTO BANCARIO E

FINANZIARIO
9 marzo 2021
La funzione dell'ordinamento bancario e finanziario, l’ordinamento non è nient’altro che l’insieme di regole,
un sistema di regole, e per capire qual è la funzione di questo ordinamento bancario finanziario, dobbiamo
partire dal modello economico di riferimento, che è quello della cosiddetta economia di mercato.
Il modello dell’economia di mercato si fonda sulle imprese private; Le imprese private, storicamente sono
viste come il motore più efficiente del progresso, non solo economico ma anche civile e morale dell’umanità.
Quindi, economia di mercato fondata sulle imprese private come motore sul progresso economico, sociale, e
morale dell’umanità.
Questa economia di mercato si caratterizza per la dissociazione netta tra i cosiddetti luoghi dove si forma il
risparmio, dove si accumula il risparmio e i centri di decisione degli investimenti.
Quali sono i centri di accumulazione del risparmio? O di formazione del risparmio?
I centri di accumulazione di risparmio sono i privati e le famiglie. Si forma il risparmio perché
evidentemente, le spese sono inferiori rispetto al reddito.
Invece i centri di decisione degli investimenti, cioè dove questo risparmio viene effettivamente impiegato,
quali sono?
Le imprese sono i centri in cui effettivamente c’è un deficit, da colmare attraverso l’impiego del risparmio e
dei privati.
Quindi, l’ordinamento bancario e finanziario, favorisce da un lato l’accumulazione del risparmio in capo ai
privati, dall’altro la crescita degli investimenti da parte delle imprese. Per realizzare questi due obiettivi,
deve far sì che il risparmio accumulato dai centri in surplus, cioè, dalle banche, dalle famiglie e dai privati, si
trasferisca verso i centri in deficit, cioè le imprese in cui vengono assunte le decisioni di investimento.
Questo è il compito principale delle regole dettate all’interno dell’ordinamento bancario e finanziario.
Alla base di questa funzione svolta all’interno dell’ordinamento bancario e finanziario, vi è quindi l’esigenza
per l’imprese di impiegare capitali. È chiaro che le esigenze di impiego di capitali per l’esercizio dell’attività
di impresa è variabile, perché varia a seconda della dimensione, dello sviluppo dell’attività d’impresa e
anche della natura dell’attività di impresa, alcune attività hanno una natura che tali da richiedere più capitali
rispetto ad altre imprese. Ovviamente però, l’impiego di capitali è direttamente proporzionale rispetto alle
dimensioni e allo sviluppo dell’attività d’impresa. Le imprese di piccole dimensioni richiedono un minor
investimento rispetto a imprese di grandi dimensioni.
Abbiamo una regola nel nostro Codice civile che è una regola fondamentale, di base, quindi la regola più
elementare per il reperimento del capitale, che è la regola contenuta nell’articolo 2740 del Codice civile.
Il Codice civile è il codice che disciplina i rapporti privatistici nel nostro ordinamento.
Questa norma dice che il debitore risponde dei propri debiti con tutti i propri beni attuali e futuri. Perché
questa norma è una norma sul reperimento di capitali?
Perché è chiaro che il finanziatore, quando intende apportare i capitali a favore di una attività di impresa può
fare affidamento sulla restituzione da parte dell’imprenditore di tali capitali perché questo imprenditore
risponde dei suoi debiti con tutti i beni, attuali e futuri.

1
Quando per esempio, un soggetto acquista della merce che gli serve per l’esercizio dell’attività d’impresa, il
fornitore è indotto a fornire la merce perché sa che il suo credito verrà onorato o dovrà essere onorato e potrà
fare affidamento per il pagamento del suo debito su tutti i beni che questo imprenditore ha nel presente e nel
futuro.
Ovviamente questa norma, sul reperimento dei capitali funziona finché le dimensioni dell’attività di impresa
sono contenute, sono limitate, a mano a mano invece che l’attività di impresa si sviluppa, cresce, è chiaro che
l’imprenditore non può fare più affidamento solo sui suoi beni attuali e futuri, ma necessita di capitali da
reperire altrove, cioè sul mercato.
Questa attività di reperimento dei capitali può seguire due strade, la prima strada è probabilmente quella che
viene quasi automatico ipotizzare, che è quella di ricorrere alle banche.
Cosa sono le banche?
Le banche sono soggetti che professionalmente svolgono un’attività tipica consistente nella raccolta del
risparmio tra il pubblico e nell’erogazione del credito alle imprese.
Tipicamente, tradizionalmente l’attività bancaria non è altro che un’attività di intermediazione classica tra i
centri in surplus, cioè i risparmiatori e i centri in deficit, cioè le imprese.
La banca non fa altro che raccogliere dai primi il risparmio, che i primi hanno accumulato, ecco perché il
risparmio si forma nelle famiglie, nei privati, viene poi raccolto dalle banche, è utilizzato nella attività di
erogazione del credito che rappresenta quindi, l’altra componente dell’attività bancaria tradizionale e tipica.
I risparmiatori nel momento in cui affidano il proprio denaro, il proprio risparmio alle banche, in realtà non
sanno che quel denaro verrà destinato al finanziamento dell’attività di impresa.
Quindi solo indirettamente possiamo dire che i risparmiatori in realtà finanziano le imprese, perché lo fanno
attraverso l’intermediazione, l’interposizione della banca.
Qual è il vantaggio del fatto che si interponga la banca?
Innanzitutto, il vantaggio risiede nel fatto che i risparmiatori, in questo modo, non partecipano al rischio di
impresa, cioè se l’attività delle imprese alle quali è stato erogato il credito, dovesse andare male, e le imprese
non fossero in grado di restituire i prestiti che hanno ottenuto, questo rischio sarebbe assorbito dalla banca e
ovviamente in linea di massima non ricadrebbe sui risparmiatori.
Quindi i risparmiatori, di fatto, non condividono il rischio economico dell’impresa, è la banca che si fa a
carico del rischio economico dell’impresa, attraverso, ovviamente è la sua attività tipica, che consiste anche
nella valutazione adeguata del merito creditizio delle imprese prima di decidere se affidarvi o meno.
Dal punto di vista del rapporto che vi è tra risparmiatori e banche, si tratta invece di un rapporto nel qual il
risparmiatore vanta un vero e proprio credito nei confronti della banca a fronte del risparmio da questa
raccolto tra i risparmiatori, ciò significa che alla scadenza a seconda quelle forme pattuite, il risparmiatore
avrà diritto alla restituzione di quanto ha depositato presso la banca.
Non è ipotizzabile che sui risparmiatori non gravi nessun rischio, perché è vero fin tanto che il sistema riesce
a garantire la stabilità delle banche e l’interno sistema finanziario bancario.
Quindi nella misura di cui le banche restano stabili, e il sistema bancario tiene, i risparmiatori otterranno alla
scadenza quanto hanno depositato presso le stesse, e soddisferanno il proprio credito nei confronti delle
banche.
Se c’è un problema sistematico ritenuta nelle banche dell’interno sistema bancario, anche il risparmio, viene
ad essere a rischio. Ecco perché nel tempo, sono state emanate una serie di regole che soprattutto hanno una
dimensione, una connotazione pubblicistica che governano l’accesso all’attività bancaria, l’organizzazione
dell’impresa bancaria, le regole di svolgimento dell’attività bancaria, oltre che i rapporti che si instaurano tra
2
banca e cliente che sono tutte regole volte a prevenire quel rischio, cioè a garantire la stabilità delle singole
banche dell’intero sistema bancario, a beneficio soprattutto dei risparmiatori.
Il diritto bancario si occupa proprio di questa disciplina.
Esiste però anche un’altra modalità di finanziamento delle imprese, la modalità analizzata è quella
tradizionale, che passa per le banche. Quindi in realtà il risparmiatore affida i propri risparmi alla banca ed è
la banca poi a finanziare le imprese, ciò significa che il finanziamento da parte dei risparmiatori delle
imprese nella modalità tradizionale che passa attraverso la banca viene solo indirettamente.
Esiste anche un’altra modalità di finanziamento delle imprese, attraverso la quale invece il risparmiatore
destina direttamente i propri denari alle imprese, e questa modalità di finanziamento diretto delle imprese
presuppone innanzitutto che l’impresa si strutturi in una determinata forma che è la forma cosiddetta
societaria.
Affinché i risparmiatori possano investire i loro risparmi direttamente nelle imprese, e le imprese acquisire i
capitali necessari direttamente dai risparmiatori, che in questo caso diventano investitori, è necessario che le
imprese assumano veste societaria, e che si strutturino in forma di società di capitali, particolare società per
azioni.
Qual è la differenza rispetto alla precedente modalità di finanziamento?
La differenza è che il risparmiatore, quando investe direttamente il proprio risparmio all’interno delle
imprese, non fa altro che acquisire una quota dell’impresa societaria, più in particolare una quota del capitale
dell’impresa societaria. Lo fa per l’appunto, sottoscrivendo le azioni che sono quote di partecipazione al
capitale sociale delle società per azioni.
Sottoscrivendo le azioni il risparmiatore, investitore diventa socio della società per azioni, e a fronte della
sottoscrizione di queste azioni come corrispettivo conferisce del denaro, nell’impresa collettiva della società.
A differenza della precedente modalità di finanziamento però, nel caso che stiamo esaminando, il
risparmiatore investitore partecipa direttamente al rischio di impresa, perché in questo caso si assume su di
sé, il rischio, anche relativo alla possibilità che l’attività di impresa vada male e che il suo investimento non
venga remunerato, anzi, nella peggiore delle ipotesi, si assume anche il rischio di perdere il capitale che ha
investito.
Quel rischio che nella modalità tradizionale di apporto dei capitali all’esercizio dell’attività di impresa, cioè
quella che passa per la banca in realtà è un rischio che viene scaricato sullo stesso sistema bancario.
Qual è la remunerazione che l’investitore, risparmiatore si attende quando sottoscrive delle azioni diventa
socio di una società per azioni?
Si aspetta innanzitutto che ci possa essere una distribuzione dei risultati positivi dell'attività di impresa
quindi degli utili sotto forma di dividendi.
Ma in realtà questo è vero, può essere vero per le iniziative imprenditoriali di più modeste dimensioni, ma
non è detto che sia vero per le iniziative imprenditoriali di dimensioni più consistenti per esempio nelle
società quotate. 
Perché non c'è un obbligo per la società di distribuire l'utile e di pagare i dividendi, quindi è una scelta
rimessa all'assemblea dei soci che delibera a riguardo. 
Significa che l'investitore non ha comunque una strada alternativa per ottenere una remunerazione a fronte
del proprio investimento.
In realtà, il risparmiatore, investitore che acquista delle azioni in una società per azioni a scopo di
investimento per impiegare il proprio risparmio, non lo fa perché si aspetta, si attende la distribuzione degli
utili sotto forma di dividendi, ma lo fa, fondamentalmente perché punta a vendere quelle azioni, in un
3
momento successivo, ad un prezzo di vendita più alto del prezzo di acquisto, lucrando quindi sulla differenza
tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto. 
Qual è il presupposto logico affinché questo schema si possa realizzare? 
Il presupposto logico è che ci sia un mercato, quindi un luogo ideale ormai, non più fisico, perché ormai i
mercati sono tutti telematici, in cui è possibile agevolmente scambiare azioni, cioè acquistare o vendere in
maniera facile e agevole le azioni e sul quale questo luogo ideale, non più fisico, sul quale è possibile
quotidianamente verificare qual è la quotazione di tali azioni, in maniera tale da sapere se è libero acquistare
le stesse. 
Questo schema del finanziamento dell’attività di impresa presuppone due cose: 
1. che l’impresa adotti una forma ben definita, quindi la società di capitali e in particolare società per
azioni.
2. ci sia un mercato nel quale la società per azioni negozia i propri strumenti finanziari, le proprie
azioni, che fondamentalmente è innanzitutto il mercato regolamentato. 
Il mercato regolamentato italiano è la Borsa SpA, invece Piazza Affari è il luogo dove risiede.
In realtà, affinché si realizzi questo meccanismo di finanziamento diretto dell’attività di impresa, è possibile
che la società per azioni in realtà, emetta anche strumenti finanziari diversi dalle azioni, e in particolare, lo
strumento finanziario per eccellenza è l’obbligazione, o meglio, le obbligazioni.
Sia le obbligazioni che le azioni sono strumenti finanziari, entrambi sono emessi dalle società per azioni, per
il risparmiatore, investitore che decide di impiegare i propri risparmi investendo nelle azioni o obbligazioni,
è vero che le obbligazioni hanno un rischio inferiore.
La differenza, fondamentalmente è che mentre nel caso delle azioni, chi sottoscrive le azioni diventa socio,
quindi acquista una quota di partecipazione al capitale sociale della società per azioni, partecipa al rischio di
impresa, quindi è vero che si attende un dividendo sotto forma di distribuzione degli utili, è vero che in linea
di massima può rivendere le azioni sul mercato e spuntare la differenza di prezzo tra prezzo di vendita e
prezzo di acquisto, ma è vero anche che le cose possano andare male.
Quindi, se la società per azioni non produce utili, o addirittura va in perdita, è chiaro che il valore delle
azioni si riduce, perché in sede di liquidazione del patrimonio il socio avrà diritto a meno di quello che ha
investito, addirittura, quello che ha investito può totalmente azzerarsi, se le cose dovessero andare in maniera
particolarmente negativa, significa che l’azionista partecipa al rischio di impresa, si assume il rischio di
impresa, è a tutti gli effetti un imprenditore proquota.
Questo non accade nel caso dell’obbligazione, quindi siamo pur sempre difronte a strumenti finanziari, che
sono emessi dalle società per azioni per raccogliere capitali ma in questo caso, chi sottoscrive l’obbligazione
non è un imprenditore, partecipante al rischio di impresa ma è un creditore della società.
Di fatto, l’obbligazionista in quanto creditore della società ha diritto al rimborso del valore nominale
dell’obbligazione che ha sottoscritto oltre che alla remunerazione del suo investimento, sotto forma di
pagamento degli interessi, questo significa che la società per azioni può acquisire capitali cosiddetti di
rischio, e allora emetterà delle azioni, chi le sottoscrive conferisce del denaro assumendosi il rischio di
impresa oppure può raccogliere capitali a titolo di capitali di credito.
È sempre un problema finanziario dell’impresa, quindi soddisfare il fabbisogno finanziario necessario per
l’esercizio dell’attività di impresa ma la società per azioni può evidentemente farlo in maniera differente.
Azioni e obbligazioni, sono, tradizionalmente, strumenti finanziari previsti dalla disciplina del codice civile
già dal 1942, quindi quelli che tradizionalmente la società per azioni ha sempre emesso, ma questi strumenti
finanziari nel corso del tempo si sono evoluti, oggi esistono una miriade di strumenti finanziari che le società

4
per azioni, in senso largo, quindi anche quelle che esercitano attività particolari proprio nel campo
finanziario possono emettere per finanziare la loro attività, tant’è che azioni e obbligazioni vengono
classificate all’interno di una categoria più ampia che prende il nome di strumenti finanziari, o prodotti
finanziari.
Questi strumenti finanziari vengono scambiati nel mercato finanziario, che può essere il mercato
regolamentato, ma può essere anche un mercato non regolamentato, il cosiddetto over the counter.
Il diritto del mercato finanziario, si occupa proprio di studiare il complesso delle regole giuridiche che
governa il funzionamento e l’organizzazione di determinati scambi di beni a contenuto finanziario che sono,
per l’appunto, gli strumenti finanziari, e questa disciplina si occupa di prevenire una serie di rischi.
Quali sono questi rischi?
Rischi legati al fatto che, il mercato finanziario, innanzitutto è un mercato nel quale le avvengono per finalità
di investimento, in secondo luogo, il mercato finanziario ha una forte componente speculativa.
In realtà, questa componente speculativa fa si che chi investe nel mercato finanziario il più delle volte non lo
fa con l’intenzione di finanziare le imprese, cioè di dotarli dei capitali necessari per l’esercizio dell’attività,
ma lo fa in realtà, in maniera meno lusinghiera perché vuole speculare sul corso dei titoli, cioè vuole
guadagnare sul corso dei titoli, vuole lucrare sulle differenze di prezzo.
Ci sono una serie di rischi legate al mercato finanziario che quella disciplina punta a correggere, quali sono
questi rischi?
Intanto, questi strumenti finanziari, che sono negoziati nel mercato, in realtà hanno una reale consistenza
patrimoniale, cioè che ci sia qualcosa sotto questi strumenti finanziari, effettivamente rappresentano quote di
partecipazione al capitale o quote di una complessiva operazione di prestito obbligazionario emessa dalla
società per azioni.
Il secondo rischio è che la società che emette questi strumenti finanziari sia a sua volta una società che ha un
patrimonio consistente, di un certo ammontare, e che quindi in realtà non sia una società priva di patrimonio
e quindi tale da non poter rimborsare i capitali ottenuti a prestito, ovvero di garantire un andamento gestorio
adeguato.
L’altro rischio è che in realtà, gli intermediari finanziari che intervengono sul mercato finanziario per
agevolare i risparmiatori a scambiarsi strumenti finanziari operino con lealtà e correttezza, senza indurre il
risparmiatore a sostenere delle scelte di investimento che siano in realtà non adeguate, non appropriate ai
suoi interessi, ai suoi profili di rischio.
Tutti questi profili di rischio sono affrontati proprio dalla disciplina del mercato finanziario.
Quando parliamo di fonti, parliamo dei testi legislativi nei quali sono contenute le regole che studiamo, in
materia di diritto bancario e di diritto del mercato finanziario.
A questo riguarda la prima distinzione che bisogna fare è a seconda della natura della fonte normativa,
perché in realtà non abbiamo solamente fonti interne, cioè fonti relative alla disciplina italiana, ma in materia
di diritto bancario del mercato finanziario abbiamo innanzitutto delle fonti sovranazionali, che sono le fonti
di diritto comunitario.
Nella materia che ci occupa, le sollecitazioni provenienti dal diritto comunitario sono delle sollecitazioni in
continue, cioè, continuamente noi siamo difronte all’emanazione continua di direttive e regolamenti europei
che vanno a modificare la disciplina del diritto bancario e del mercato finanziario, che si applica anche al
nostro Paese.
Questo perché uno dei principali obiettivi del Trattato di Roma del 1957 che istituito la Comunità Europea,
era quello di favorire la creazione di un mercato unico, e la creazione del mercato unico sarebbe dovuta

5
passare nelle intenzioni del legislatore comunitario attraverso l’eliminazione che li ostacoli alla libertà di
concorrenza.
Quindi per creare un mercato unico, fondamentalmente, e di eliminare gli ostacoli della concorrenza, il
legislatore comunitario emana dei Testi Legislativi che sono fondamentalmente le Direttive e i Regolamenti,
attraverso i quali continuamente punta ad armonizzare le legislazioni dei diversi paesi, soprattutto quelle
riguardanti chiaramente la materia economica, e il diritto bancario e del mercato finanziario.
Lo scopo di queste direttive e regolamenti è quello di cercare, quanto più possibile, eliminare le differenze
esistenti delle legislazioni di diversi Paesi dell’Unione Europea, per arrivare a un diritto europeo che sia
quanto più possibile armonizzato e consenta di arrivare alla creazione del mercato unico.
Questo processo di armonizzazione degli ordinamenti e delle legislazioni dei diversi paesi dell’Unione
Europea si dice che sta avvenendo in modo elastico e graduale.
Elastico perché il legislatore comunitario, almeno fino a qualche tempo fa, ha fatto molto più uso dello
strumento delle Direttive rispetto a quello dei Regolamenti.
Qual è la differenza tra una Direttiva e un Regolamento?
La direttiva è un provvedimento normativo adottato dall’Unione Europea che deve essere recepito all’interno
dei paesi membri dell’unione europea.
Quando c’è una direttiva, ciascun paese deve attraverso una legge dello Stato, recepire i contenuti della
direttiva, quindi emanare un provvedimento legislativo nazionale che abbia i contenuti della direttiva e che
renda quei contenuti applicabili all’interno del paese.
Nel nostro ordinamento le direttive vengono recepite con decreti legislativi di regola, da parte del governo
che è delegato ad adottarli, il che significa che fin quando la direttiva non è recepita attraverso un
provvedimento normativo nazionale, essa non ha applicazione all’interno dei singoli Paesi, dei singoli stati.
Il regolamento Europeo, emanato sempre dall’Unione Europea è direttamente applicabile all’interno dei
singoli stati senza la necessità che questi adottino provvedimenti di rango legislativo nazionale, volti a
recepirli.
Questa distinzione implica che se l’Unione Europea volesse procedere a un maggiore livello di
armonizzazione, punterebbe sull’emanazione di un regolamento, anziché della direttiva.
Perché il regolamento è direttamente applicabile, la direttiva dev’essere recepita e nel processo di
recepimento comunque è possibile che permangano delle differenze, perché ciascun stato, ovviamente,
recepisce a direttiva in maniera personale, anche se vincolato nei contenuti della stessa.
Perché il legislatore, fino a poco tempo fa ha puntato sulle direttive rispetto ai regolamenti per armonizzare
le varie discipline nazionali?
È chiaro che il problema della scelta tra direttiva e regolamento risiede in questo, ovviamente se le differenze
di partenza tra le varie legislazioni di diversi stati sono marcate, è chiaro che un regolamento difficilmente
troverebbe d’accordo tutti gli stati.
Quindi sarebbe più difficile da adottare, perché poi, sia i regolamenti che le direttive europee vengono
adottati dagli organi dell’unione europea, e quindi devono trovare l’accordo tra i vari Paesi.
Mentre la direttiva è più facile da adottare, è più facile trovare un punto di convergenza, di intesa sulla
direttiva perché è meno vincolante per gli Stati, dal momento che la direttiva deve essere recepita.
Almeno in una prima fase, quando le distanze normative tra i singoli Paesi erano marcate il legislatore
europeo ha puntato più sulle direttive.

6
Questo processo di armonizzazione avviene in maniera elastica ma avviene anche in maniera graduale,
perché sulle stesse materie il legislatore avviene a più riprese, emanando direttive o regolamenti che si
susseguono nel corso del tempo e che sempre più prendono le materie in questione armonizzate a livello
europeo.
Se ci spostiamo nelle fonti normative interne, la distinzione che dobbiamo fare è quella tra le fonti di rango
legislativo o primario e fonti di rango regolamentare o secondario.
Per quanto riguarda le fonti di rango primario o di rango legislativo, il testo fondamentale delle leggi in
materia bancaria e creditizia è un Decreto Legislativo del 1993 numero 385 che si chiama Testo Unico
Bancario (TUB).
Il TUB fornisce la disciplina organica degli intermediari bancari e anche di tutta una serie di altri soggetti
che sono intermediari finanziari di tipo non bancario, per esempio, gli istituti di pagamento, gli istituti di
moneta elettronica, le cosiddette imprese o società finanziarie (quelli che si occupano di servizi in materia di
leasing, factoring, il credito al consumo, le società di cartolarizzazione).
Tutti questi soggetti sono disciplinati all’interno del testo unico bancario, dove è disciplinata anche l’attività
da essi svolta.
Il TUB è un decreto legislativo del 1993, ma quello che oggi studiamo è il decreto legislativo del 1993 come
modificato per effetto di una serie di interventi successivi da parte del legislatore che interviene
annualmente, per apportare delle modifiche a quel testo legislativo originario anche in considerazione della
necessità di recepire le direttive comunitarie.
Quando il legislatore deve recepire una direttiva comunitaria in materia bancaria, lo fa emanando un
provvedimento legislativo, con decreto legislativo che modifica il TUB.
Il Testo Unico Bancario non è sicuramente un testo legislativo snello, sono parecchie norme, resta pur nella
sua complessità un testo che fondamentalmente contiene i principi, cioè regole generali ma non contiene la
disciplina di dettaglio che le banche, gli intermediari finanziari non bancari devono osservare in maniera
analitica e puntuale.
Detta i principi, le regole generali e poi definisce quelle che sono le competenze delle autorità creditizie che
sono delle autorità amministrative indipendenti, fondamentalmente, in materia bancaria, queste autorità
creditizie sono tre:
1. il CICR  Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio;
2. il MEF  Ministero dell’Economia e delle Finanze;
3. Banca d’Italia, è l’autorità di vigilanza per eccellenza.
Sempre a livello di normativa primaria, quindi fonti di rango primario legislativo va poi detto che alcune
regole sono contenute anche nel codice civile e non potrebbe essere diversamente dal momento che il codice
civile di regola dovrebbe contenere la disciplina dei rapporti privatistici non può non considerare anche
l’attività bancaria, e infatti la considera, seppur in maniera un po’ frettolosa.
Perché il codice civile è del 1942, quindi si limita a considerare quelli che erano i fenomeni più significativi
all’epoca della codificazione, poi l’evoluzione del diritto bancario, del mercato bancario si è spostata su testi
legislativi diversi dal codice civile, in particolare sul Testo Unico Bancario dove sono contenute le norme più
recenti che riguardano l’evoluzione della materia.
Il codice civile contiene all’interno del libro IV (è il libro delle obbligazioni) titolo III (contiene la disciplina
dei singoli contratti), c’è un capo il XVIII che disciplina sei tipi di contratti bancari, che sono le principali
operazioni bancarie all’epoca della codificazione.
È una disciplina scarna, sono 27 articoli, ma uno è stato abrogato quindi ad oggi ne sono 26, che chiaramente
non rendono merito alla materia del diritto bancario.

7
Questo discorso fatto per il diritto bancario può essere replicato anche con riferimento alla disciplina del
mercato finanziario.
Anche qui siamo partiti con una legge originaria, che è la legge numero 1 del 1991, la cosiddetta Legge SIM
perché ha introdotto nel nostro ordinamento le società di intermediazione mobiliare e siamo arrivati a un
testo unico nel 1998 che è il Testo Unico dell’Intermediazione Finanziaria o Testo Unico della Finanza
(TUF).
Si tratta di un decreto legislativo del 1998, non è rimasto immutato ma nel corso del tempo se ne è imposto
una serie di aggiornamenti anche per effetti della necessità di recepirle le direttive comunitarie, per esempio:
la MIFID I e la MIFID II che ne hanno stravolto un po’ il contenuto iniziale.
Il TUF è stato radicalmente modificato rispetto a quello che era nel 1998, soprattutto dietro la sollecitazione
proveniente dal legislatore europeo e dalle direttive da questo emanate.
Infine, per quanto riguarda la materia dei servizi di pagamento qui abbiamo una disciplina italiana piuttosto
recente, non abbiamo ancora un testo unico ma probabilmente presto ci arriveremo.
Abbiamo un decreto legislativo, in realtà anche i testi unici sono decreti legislativi, ma si chiamano così
perché sono delle normative più complesse, cioè è quasi come un sistema di norme, il decreto legislativo che
raggruppa tutta una serie di altri provvedimenti emanati prima e fa sì che questi provvedimenti assurgano a
sistema allora prende il nome di testo unico.
In materia di servizi di pagamento non abbiamo un testo unico, ma abbiamo un decreto legislativo numero
11 del 2010 che ha recepito la prima direttiva comunitaria in materia di servizi di pagamento, la cosiddetta
PSD 1 e poi abbiamo una modifica di questo decreto legislativo numero 11 del 2010 che è avvenuta a seguito
del recepimento della PSD 2.
Quindi per recepire la PSD 2 è stato emanato un nuovo decreto legislativo numero 218 del 2017 che ha
modificato il decreto originario del 2010.
Queste sono le fonti normative di rango primario legislativo.
Le fonti di rango regolamentare o secondario, assumono un’importanza pratica molto rilevante, in materia di
diritto bancario e diritto del mercato finanziario, perché le fonti primarie e in primo luogo i testi legislativi
sono testi legislativi di principi, cioè che si limitano a dettare regole generali che necessitano di disposizioni
di dettaglio attuative che dicano concretamente alle banche e agli intermediari finanziari quali sono i
comportamenti da adottare, quali sono le prassi cui uniformarsi.
Queste forme normative di rango secondario regolamentare non sono testi legislativi, cioè non sono emanati
dal Parlamento, dal Governo, ma sono emanati dalla Autorità di Vigilanza ossia dalle Autorità
Amministrative Indipendenti, in particolare in materia di diritto bancario sia il Testo Unico Bancario, il Testo
Unico della Finanza attribuiscono alla Banca D’Italia il potere di regolamentare in via secondaria emanando
quindi provvedimenti normativi pur non qualificabili come Legge che disciplinino in maniera dettagliata
numerosi aspetti dell’attività degli intermediari bancari e finanziari.
Questi atti emanati dalla Banca D’Italia soprattutto, ma anche in parte dal CICR e dalle altre autorità
creditizie quindi anche dal MEF possono assumere forme diverse, per esempio: regolamenti, circolari e
soprattutto disposizioni di vigilanza. Così si chiamano i principali provvedimenti adottati dalla Banca
D’Italia.
La loro caratteristica è il contenuto di questi provvedimenti perché hanno un contenuto tecnico – finanziario
veramente esasperato.
Queste disposizioni, che poi sono regole a tutti gli effetti, regole da osservare contengono anche formule
matematiche, per esempio: come si calcola il TAEG o come si determina l’usura.

8
Formule matematiche che chiaramente le banche di intermediari devono applicare poi nella loro operatività
concreta, quindi siamo difronte che hanno un contenuto tecnico – finanziario, molto rilevante.
Questo discorso vale anche per la materia dei mercati finanziari, anche qui il TUF affida numerosi profili di
disciplina di dettaglio a specifici regolamenti che riserva alla competenza delle autorità di vigilanza del
settore, che nel caso dei mercati finanziari sono oltre alla Banca D’Italia e al MEF, anche la CONSOB.
La particolarità è che i regolamenti adottati dalle autorità di vigilanza devono sottostare al principio di
tipicità, cioè le autorità di vigilanza non sono libere di emanare i regolamenti in qualunque materia e in
qualunque settore, ma sono vincolate ad emanare questa normativa di dettaglio subspecie, in questo caso,
soprattutto di regolamenti nelle sole materie in cui una fonte normativa primaria, cioè il TUF o il TUB a
seconda dei casi affidano i rispettivi poteri alle autorità di vigilanza.
Quindi a monte dev’esserci sempre una norma legislativa che affida all’autorità di vigilanza il potere di
emanare dei regolamenti per disciplinare i profili di dettaglio di queste materie.
Tre sono i regolamenti più importanti emanati dalla CONSOB in materia di mercati finanziari:
 Il Regolamento Consob 29 ottobre 2007, n. 16190 e successive modificazioni, in materia di
intermediari;
 Il Regolamento Consob 28 dicembre 2017, n. 20249, e successive modificazioni, in materia di
mercati;
 Il Regolamento Consob 14 maggio 1999, n. 11971, e successive modificazioni, in materia di
emittenti.
Quei regolamenti nascono in modo e poi vengono quotidianamente modificati dalle Autorità di Vigilanza per
tener conto dell’evoluzione della disciplina e anche delle prassi.
Siamo difronte ad una espansione della disciplina regolamentare che non ha precedenti, quindi è un vero e
proprio alluvione di norme soprattutto di rango secondario, quindi emanate dalle autorità di vigilanze e
disciplinano in maniera molto analitica, molto dettagliata i singoli profili dell’attività bancaria e finanziaria.
Perché gran parte delle fonti normative che disciplinano la nostra materia è stata affidata alle autorità di
vigilanza? Quindi a fonti di rango secondario regolamentare?
Ci sono due ragioni, la prima è una ragione di rachidità, il processo legislativo è un processo lento per
arrivare a una emanazione di una legge l’iter è lungo e complesso, sia che si passa per il parlamento, quindi
l’emanazione di una legge vera e propria, e sia che si passi per il governo con un decreto legislativo il
processo non è certo breve, e dipende anche dal fatto che esistono anche due camere e quindi bisogna
deliberare prima in una camera e poi nell’altra ma anche quando si passa per un decreto legislativo, quindi si
delega al governo l’adozione del provvedimento, il procedimento non è certo breve.
Nel mercato finanziario invece, si ha la necessità di avere provvedimenti anche con una certa rapidità perché
il mercato finanziario, i fenomeni che caratterizzano il mercato finanziario e bancario è un continuo divenire,
la prassi bancaria e finanziaria corre, modifica i fenomeni, ne fa sorgere di nuovi e quindi l’esigenza di
regolamentare in tempi brevi questi fenomeni e questa attività è un’esigenza forte, avvertita in maniera forte.
Quindi nel momento in cui lo si fa attraverso la normativa secondaria è più semplice perché l’autorità di
vigilanza possono emanare i loro provvedimenti senza quelle formalità e quel rigore richieste alle istituzioni
legislative.
La seconda motivazione riguarda la competenza, abbiamo detto che il mercato finanziario e il mercato
bancario esigono norme che abbiano anche un contenuto tecnico finanziario molto molto elevato, e quindi è
più facile trovare all’interno delle autorità di vigilanza che nascono esclusivamente per operare in quel
settore, quelle competenze necessarie per legiferare su questi profili per avere delle disposizioni che siano
coerenti con quelle conoscenze tecnico – finanziarie che le materie richiedono.
Il proliferare eccessivo di queste norme secondarie, le critiche sono state molto forti a questa tecnica di
regolamentare l’attività bancaria e finanziaria, perché si è detto che l’eccessiva mole di norme secondarie
emanate dalle autorità di vigilanza aumentano le rigidità del sistema cioè lo rendo più rigido, più ingessato
9
per certi versi e rendono la normativa anche instabile perché viene continuamente modificata, quindi gli
intermediari devono sostenere maggiori costi per potersi adeguare a quella normativa, per poterla studiare
continuamente e comprendere e tutto ciò poi, non risolve le inefficienze del mercato perché gli scandali
finanziari sono all’ordine del giorno, perché il mercato finanziario non è così efficiente come si potrebbe
ritenere a fronte del sistema normativo che lo governa.
Questa alluvione che caratterizza il mercato bancario e finanziario in Italia e in Europa, non è propria solo
dell’Italia e dell’Europa, se andiamo a vedere tutti i sistemi finanziari più evoluti nel mondo sono anche
quelli più regolamentati, quindi vale anche per esempio, per gli Stati Uniti così come vale per i paesi asiatici,
in cui c’è effettivamente un mercato finanziario bancario sviluppato, questa è la prima considerazione, la
seconda è che, il problema di chiedersi se una maggiore deregolamentazione sia auspicabile non è un
problema che può essere risolto a priori, perché non abbiamo la prova contraria che la maggiore
deregolamentazione consente di evitare gli scandali finanziari e di risolvere l’inefficienza del mercato
finanziario, siamo stati abituati ormai ad un sistema di mercato che è un sistema molto regolamentato, quindi
tornare indietro sui passi compiuti senza una prova empirica, evidente che ciò possa funzionare e non ce
l’abbiamo, perché non esistono paesi in cui abbiamo i sistemi finanziari sviluppati che non siano
regolamentati sarebbe un salto nel buio, che chiaramente non è tollerabile per via delle esigenze e degli
interessi molto rilevanti anche di natura pubblicistica che sono sottesi al mercato finanziario e bancario,
pensiamo per esempio all’interesse, alla tutela del risparmio e alle sue forme.

10
L’ATTIVITÀ E L’IMPRESA BANCARIA
10 marzo 2021

Brevi cenni storici di ricostruzione dell'attività bancaria nella sua evoluzione e cominciamo col dire che, se
volessimo rintracciare probabilmente delle forme embrionali di attività bancarie, dobbiamo risalire a tempi
molto lontani, perché già nell'antichità nel mondo antico, periodo greco - romano, esistevano delle forme
elementari, diciamo molto embrionali di attività bancaria, in particolare focalizzata su due servizi: il servizio
di custodia delle monete, perché all’epoca le monete erano fondamentali e un servizio di cambio tra le valute
dei diversi popoli.
L’attività bancaria, per come noi la conosciamo nei nostri giorni, e quindi, in relazione alle sue componenti
fondamentali che oggi possiamo individuare, comincia ad essere delineata con l’affermazione degli Stati
moderni che si ha nel XVII secolo, perché in questa fase nascono i primi esempi di Istituti di Emissione.
Cioè fondamentalmente degli istituti che emettono banconote, le banconote non sono altro che debiti degli
istituti di emissione e fungono da moneta, perché si diffondono per comune accettazione nell’ambito dei
pagamenti.
Sono debiti per gli istituti di emissione, perché gli istituti di emissione, almeno originariamente, garantivano
sempre al possessore della banconota la possibilità di cambiare il valore della banconota nel corrispondente
valore in monete metalliche, di regola metalli preziosi: oro, argento.
Il primo esempio di istituto di emissione che emette banconote, accettate nei pagamenti, come mezzo per
estinguere obbligazioni è la Banca d’Inghilterra che nasce nel 1694, l’esempio della Banca d’Inghilterra è
seguito anche da altri Paesi, la Banca d’Italia nasce nel 1893.
Questi istituti di emissione con il tempo si trasformeranno in quelle che oggi sono le banche centrali
nazionali, la successiva linfa all’evoluzione dell’attività bancaria si registra nel XIX secolo.
Nel XIX secolo abbiamo le radicali trasformazioni degli apparati produttivi, per effetto della rivoluzione
industriale.
Queste massicce ondate di investimenti che caratterizzano il XIX secolo, iniziano a richiedere una forte
funzione creditizia da parte degli istituti bancari, perché evidentemente c’era la necessità di mobilitare da una
parte il risparmio dei cittadini e dall’altra concedere ampie erogazioni creditizie alle industrie che
chiaramente si stavano sviluppando.
Le banche iniziano ad operare come veri finanziatori dei progetti di investimenti, e sempre nel XIX secolo si
sviluppa anche lo schema della banca di tipo misto.

11
Quindi la banca che non si limita ad effettuare l’attività creditizia commerciale tradizionale, cioè eroga il
credito a favore delle imprese ma inizia a compiere anche operazioni di mercato mobiliare, quindi
investimenti e strumenti finanziari per conto dei clienti investitori.
A partire dalla fine del XIX secolo iniziano le prime crisi bancarie, questo in dimostrazione del fatto che la
crisi bancaria non è un fenomeno di oggi.
Ma è un fenomeno che in passato, anzi ha visto il fallimento di importanti aziende creditizie di rilevanza
nazionale, in particolare c’erano all’epoca una serie di istituti creditizi che operavano come banche di tipo
misto e sul finire del XIX secolo in cui l’Italia fu caratterizzata da un periodo di congiuntura economica
negativa e da un periodo anche sul versante politico una certa instabilità, iniziano a manifestarsi i primi
fallimenti nel 1893, che è un anno molto significativo abbiamo il fallimento di importanti istituti di credito di
rilevanza nazionale, tra i quali la Banca Generale, e negli anni successivi, si manifesta anche lo scandalo
della banca romana, che era caratterizzata da manovre finanziarie piuttosto azzardate. Quindi anche queste
non sono una peculiarità dei tempi recenti.
All’epoca i primi istituti di credito erano costituiti sottoforma di enti di diritto pubblico, quindi erano
controllate direttamente dallo stato, questo valeva per la banca nazionale, per il banco di napoli, banco di
sicilia e nascono tutti più o meno nello stesso periodo.
A seguito della crisi di queste prime banche, il governo da un lato promesse l’istituzione di nuove importanti
banche soprattutto attingendo a capitali stranieri, quindi per esempio, il banco di Roma che è stato fondato
nel 1880, ed era collegato alle forze cattoliche, e la banca commerciale italiana, il credito italiano che sono
proprie del 1894 – 1895.
Le crisi però non vengono sopite anzi, finita la Prima guerra mondiale, vista la situazione economica che
comunque non certo poteva essere considerata favorevole, anzi, le industrie belliche avevano difficoltà ad
essere riconvertite in industrie di diversa natura, quindi il sistema economico non riusciva a riprendersi.
Le crisi delle banche continuarono, nel 1924 per esempio, andò in crisi anche il Banco di Roma.
Difronte a questo scenario, il governo decise di intervenire con l’operazione di salvataggio delle banche con
denari pubblici, non sono una peculiarità dei tempi recenti ma addirittura risalgono a cento anni fa, segna per
l’appunto, la crisi del banco di Roma, le prime esperienze di salvataggio da parte del governo affidate alla
Banca D’Italia.
Quindi la Banca D’Italia nata come istituto di emissione, si afferma poi come banca centrale nazionale e
viene coinvolta nelle operazioni di salvataggio.
Non basta però, perché ci si rende conto del fatto che senza regole speciali cioè pensate in maniera esclusiva
per l’attività bancaria e per le imprese bancarie, le crisi chiaramente sarebbero proliferate.
Questo vale anche per un possibile sistema finanziario deregolamentato se tenessimo conto della prospettiva
storica, dovremmo sicuramente dire che quando l’attività bancaria era meno regolamentata, cioè alle origini
del sistema, le crisi si moltiplicavano.
Il primo esempio di legge speciale dedicata all’attività bancaria si ha nel 1926 con la cosiddetta Prima Legge
Bancaria che è un regio decreto legge  r.d.l. è un tipo di provvedimento che oggi non esiste più.
Cosa introduce questa prima legge bancaria?
Introduce un principio molto rilevante che ha carattere pubblicistico, o tiene conto di interessi pubblicistici,
in particolare disciplina l’accesso all’attività bancaria, cioè rende l’accesso da parte dei soggetti, delle banche
all’attività bancaria non libero, ma vincolato alla soddisfazione di determinati requisiti e di determinate
regole.

12
I dissesti non si fermano, perché nel 1931 entrano in crisi la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano
e la Banca D’Italia nella sua attività di salvataggio stenta a ottenere risultati così soddisfacenti.
Per cui, si giunge negli anni ’30 a un completo ripensamento alla disciplina di settore.
La prima legge bancaria è del ’26 a distanza di dieci anni, viene emanata la seconda legge bancaria.
Anche qui è un regio decreto-legge per l’appunto, numero 375 del 1936, e in questo periodo, cioè negli anni
’30 del ‘900 possiamo anche iniziare a cogliere quelli che sono i primi elementi della regolamentazione del
mercato bancario e finanziario così come lo conosciamo nei tempi moderni.
Anzi potremmo dire che la regolamentazione che oggi studiamo è frutto proprio della crisi degli anni ’30.
La concezione che si inizia ad affermare in questo periodo è che le Banche e gli Intermediari Finanziari, più
in generale, devono essere destinatari di una disciplina che è diversa e distinta rispetto a quella vigente con
riferimento a imprese operanti in altri settori economici, cioè la specialità della banca e dell’intermediario
finanziario rispetto alle altre imprese.
Quindi iniziano le prime regolamentazioni finanziarie cosiddette “speciali” o di “settori”, specificamente
riferite all’attività bancaria e alle imprese che operano in quel settore.
Perché c’è questa esigenza di specialità di avere una disciplina di settore?
Fondamentalmente, l’esigenza è dovuta al fatto che le attività bancarie sollevano interessi pubblici primari,
la tutela del risparmio, la stabilità del sistema finanziario generale che necessitano per essere adeguatamente
tutelati di regole speciali.
Quindi, la prima forma di regolamentazione di settore speciale si appunta, questo vale per l’Italia, vale in
generale per tutti i Paesi più sviluppati, si appunta proprio sulla necessità di tutelare il risparmiatore in
qualità di depositante del denaro presso la banca.
La regolamentazione invece del settore finanziario volta ad offrire tutela al risparmiatore non come
depositante dei propri denari in banca ma come investitore, quindi come soggetto che vuole investire il
proprio denaro in operazioni di compravendita di strumenti finanziari (questa è la seconda possibilità di
finanziamento delle imprese), e invece molto più recente perché la prima legge che riguarda il mercato
finanziario in Italia è del 1991, la legge SIM, questo ovviamente non vale a livello mondiale, perché per
esempio, negli Stati Uniti già negli anni ’30 abbiamo una prima regolamentazione del mercato mobiliare, e
l’istituzione dell’autorità di vigilanza di mercati mobiliari statunitensi che è la SEC  Security and
Exchange Commission, che è per l’appunto stata istituita in quegli anni.
La linea di fondo che si è sviluppata nella regolamentazione di settore a partire dagli anni ’30 è stata la
necessità di avere una serie di regole settoriali, speciali per le banche di intermediari finanziari in
considerazione del fatto che non si tratta di imprese commerciali comuni, in considerazione del fatto che esse
abbisognano di una disciplina speciale che preveda dei limiti, e dei requisiti più stringenti di quelli richiesti a
una normale attività di impresa commerciale.
Uno dei tasselli più importanti di questa regolamentazione di settore, sia nel nostro paese ma più in generale,
in tutti i paesi, è stata poi l’istituzione delle autorità di vigilanza, di controllo di settore.
Quindi tutti gli ordinamenti ci si è riorientati nell’affidare dei controlli, quindi la cosiddetta vigilanza a
autorità amministrative indipendenti dallo Stato, dal potere politico, che sono per l’appunto le autorità di
vigilanza.
Le autorità di vigilanza principali in Italia sono per quanto riguarda il mercato creditizio, quindi l’attività
bancaria tradizionale o tipica  Banca D’Italia, Comitato Interministeriale per il credito e il risparmio e il
MEF.

13
Per quanto riguarda invece il mercato finanziario, e quindi le operazioni relative ai servizi di investimento
abbiamo anche la CONSOB come ulteriore autorità di vigilanza.
C’è poi un’altra evoluzione dell’ordinamento bancario che è sempre frutto della crisi degli anni ’30 e cioè,
già a partire da quell’epoca, poi in maniera ancora più forte con l’istituzione della comunità europea, si è
iniziata a prendere coscienza della necessità che la regolamentazione del sistema bancario e finanziario e la
vigilanza, sul sistema bancario e finanziario, non potessero essere o non potessero assumere una dimensione
meramente nazionale ma fosse quindi necessario spostare sia la regolamentazione che la vigilanza su un
piano sovranazionale e questo per due ragioni.
Intanto perché gli operatori del mercato bancario e finanziario, sono sempre più grandi dal punto di vista
dimensionale, e frutto di operazioni di fusione e di consolidamento tra diverse banche e intermediari
finanziari, quindi la logica oggi dell’operatore bancario e finanziario per eccellenza è la logica del gruppo
che opera chiaramente in più paesi, in più nazioni.
Vigilare su un colosso come Unicredit e regolamentare l’attività di un colosso come Unicredit non possono
essere ovviamente degli obiettivi raggiungibili con una legislazione che abbia dimensione nazionale con una
vigilanza che abbia dimensione nazionale.
Dal momento che questi operatori evidentemente svolgono la loro attività in più Paesi.
La seconda ragione è che anche i mercati in realtà non sono ormai mercati geograficamente delimitabili
all’interno dei confini dei singoli paesi.
Quindi è impossibile, per esempio, soprattutto per le operazioni che riguardano il mercato finanziario, il
mercato mobiliare pensare che degli strumenti finanziari emessi da una società per azioni vengano offerti
solo agli investitori che hanno provenienza geografica in quel determinato paese in cui ha sede la società per
azioni.
Verosimilmente i mercati ora sono integrati, sempre più connessi funzionalmente anche per effetto dello
sviluppo della tecnologia che ha annullato le distanze sia dal punto di vista spaziale, ma anche le distanze dal
punto di vista temporale.
Quindi si è iniziato ad affermare un vero e proprio diritto europeo del sistema bancario e finanziario frutto
delle direttive comunitarie, dei regolamenti europei che ha reso la legislazione che oggi studiamo a livello
nazionale, una legislazione ormai quasi completamente armonizzata a livello europeo.
Veniamo più vicini ai nostri giorni, con la remissione dell’ordinamento bancario, perché a partire dagli anni
’80 dopo l’emanazione delle leggi bancarie e di tutta una serie di altri provvedimenti speciali riguardanti
l’attività bancaria e le imprese bancarie, si è iniziato ad avvertire a partire dalla metà degli anni ’80
l’esigenza di revisionare l’ordinamento bancario in maniera organica, quindi in maniera sistematica di avere
tutti questi provvedimenti messi all’interno di un corpus normativo unitario e si è giunti a realizzare questo
obiettivo con l’emanazione del 1993, cioè con l’emanazione del Testo Unico in materia bancaria e creditizia.
Fa riflettere il fatto che dopo l’intervento del 1936 la seconda legge bancaria per avere un nuovo intervento
organico, in materia bancaria e creditizia si siano dovuti attendere più di 50 anni, il che dimostra
l’inadeguatezza da un lato del legislatore ma quanto la difficoltà di stare al passo con fenomeni economici e
finanziari che invece richiedono uno sforzo rapido nell’evoluzione normativa, per disciplinare fenomeni che
sono in continua evoluzione.
Il testo unico bancario che entra in vigore il primo gennaio 1994 cerca di rendere il nostro sistema creditizio
più orientato alle caratteristiche proprie degli altri ordinamenti dell’Unione Europea e al contrario della
Legge del 1936, quindi della seconda legge bancaria si fonda questo testo unico bancario sul principio della
libertà di operare.
Riconosce in modo formale e definitivo, il testo unico bancario, un modello nuovo, che è quello della banca
a carattere universale.
14
Quindi supera una bipartizione esistente a partire dalla seconda legge bancaria tra intermediari operanti a
breve scadenza, intermediari operanti a lunga scadenza, intermediari operanti nell’attività creditizia e
tradizionale, intermediari operanti nell’attività di investimento mobiliare, per sposare invece un modello
diverso cioè quello della banca a titolo universale.
La banca che nel campo finanziario può compiere un qualunque servizio, una qualunque attività.
Però con il testo unico bancario, non scompare quelli che sono i possibili dissesti, possibili crisi che si
manifestano negli intermediari finanziari e più in generale, nel sistema finanziario.
Già all’inizio degli anni 2000, abbiamo degli importanti crac di società per azioni quotate, questo sia a livello
italiano che a livello americano.
Ricordiamo il crac di Enron, uno dei più grandi fallimenti della storia nord americana che è sostanzialmente
della fine del 1900 che a riportato alla riformulazione della normativa statunitense in materia di legislazione
del mercato finanziario, ricordiamo in Italia i crac delle società Cheerios e Parmalat erano due importanti
società quotate italiane e sempre per effetto di un’attività poco trasparente e poco corretta degli intermediari
finanziari, che accompagnavano queste società nell’emissione degli strumenti finanziari e nelle offerte di
questi strumenti finanziari agli investitori.
Infine, per arrivare più ai nostri giorni nel 2007 abbiamo la crisi finanziaria, che dagli Stati Uniti si diffonde
rapidamente nel mondo, e che probabilmente è dovuta a una molteplicità di cause.
Quali effetti questa crisi finanziaria ha comportato?
Il principale effetto è la presa di coscienza di una eccessiva deregolamentazione che si è avuta negli ultimi
anni nei mercati finanziari.
Fondamentalmente i regolatori, cioè i legislatori dei vari paesi non erano stati rapidi nel comprendere
fenomeni evolutivi nel mercato finanziario, operazioni di innovazione finanziaria sempre più complesse, il
settore bancario e il settore del mercato finanziario ormai sono indissolubilmente connessi perché il modello
della banca universale consente alla banca di effettuare una qualunque operazione nel settore finanziario, le
dimensioni complessive del sistema finanziario alcuni intermediari erano cresciute talmente tanto da non
poter essere affrontate semplicemente affidandone le sorti al mercato.
Ci sono delle banche, per esempio, le banche svizzere tra cui vi è UBI, producono un fatturato complessivo
che è superiore a quello dello stesso paese che le ospita, e questo a dimostrazione del fatto che la crisi di
colossi di questo tipo non possono essere affrontate esclusivamente ricorrendo alle regole del mercato, è
necessario invece l’intervento normativo adeguato.
Quindi la risposti degli stati nazionali e dell’unione europea, è stata una risposta incisiva abbiamo avuto
sicuramente un inasprimento interiore della regolamentazione e soprattutto la crisi del 2007 ha comportato
anche il ripensamento della architettura dell’intera attività di vigilanza che ormai è affidata a livello europeo
a autorità di vigilanza che sono sovranazionali, la Banca Centrale Europea ma anche una serie di altre
autorità di vigilanza.
Nell’ambito del diritto bancario abbiamo due anime, un’anima che è quella che riguarda la disciplina del
soggetto che svolge una determinata attività che ha una disciplina di stampo pubblicistico, perché sottesa ad
essa vi è la tutela di interessi di rango pubblicistico, talvolta di rango costituzionale, come interessa la tutela
del risparmio in tutte le sue forme.
Poi abbiamo un’anima che riguarda il rapporto tra le banche e i clienti, e quindi, quali sono le operazioni
che le banche possono porre in essere nei confronti della clientela, e come devono essere disciplinati questi
rapporti.

15
Questa seconda anima riguarda un profilo privatistico della disciplina, i rapporti negoziali, per esempio i vari
contratti che la banca deve stipulare con il cliente e quali sono per l’appunto le regole che questi contratti
devono seguire.
Per quanto riguarda il primo profilo, cioè l’attività e i soggetti che la svolgono, l’attività bancaria trova una
sua definizione nell’articolo 10, che è per l’appunto rubricato attività bancaria, la rubrica della norma è
attività bancaria.
Il primo comma di questo articolo 10 definisce quella che è l’attività bancaria tipica che consiste nella
raccolta del risparmio tra il pubblico e nell’esercizio del credito, queste costituiscono l’attività bancaria.
L’attività bancaria ha carattere di impresa, l’articolo 2082 del Codice civile, dice che è imprenditore chi
esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione dello scambio di beni e
servizi.
Si può dubitare del fatto che la banca sia un imprenditore? E che quindi svolga attività di impresa?
Credo che sia indubbio che l’attività bancaria è un’attività d’impresa, perché è chiaramente un’attività
esercitata professionalmente, la banca fa quello, è un’attività economica, perché non c’è dubbio che
un’attività volta a produrre un lucro per i soci della banca, è un’attività organizzata, quella della banca è
particolarmente sviluppato il profilo organizzativo perché la banca opera attraverso le filiali, quindi ha una
struttura organizzativa molto complessa ed è diretta all’offerta di determinati servizi, che sono servizi
bancari.
Quindi non c’è dubbio che l’attività bancaria sia un’attività d’impresa, eppure l’articolo 10 contiene questa
precisazione, che essa è carattere d’impresa, che ha un significato quasi esclusivamente storico, è volta a
chiarire che anche e indipendentemente dal soggetto che svolge quell’attività, l’attività bancaria resta
un’attività d’impresa.
Perché originariamente le banche erano enti di diritto pubblico, ma c’era la preoccupazione che si potesse
perdere il carattere di impresa, e questo articolo 10 precisa che questo non avviene.
Quindi indipendentemente dalla natura pubblica o privata del soggetto che svolge l’attività bancaria essa
resta un’attività di impresa.
Oggi questo problema non si pone perché tutte le banche oggi sono soggetti privati, o sono società per azioni
o in una determinata configurazione sono società cooperative.
Non solo l’attività bancaria è un’attività di impresa, ma è un’attività di impresa commerciale cioè che rientra
all’interno dell’articolo 2195 comma primo del codice civile.
Nell’ambito delle attività di impresa abbiamo una bipartizione in relazione alla natura dell’attività svolta che
è quella tra imprese agricole da una parte e imprese commerciali dall’altra.
Il nostro ordinamento individua la nozione di imprenditore agricolo, tutto ciò che non è attività di impresa
agricola viene qualificata come impresa commerciale.
Dal momento che non c’è dubbio che l’attività bancaria sia un’attività di impresa agricola, va a confluire
all’interno della categoria residuale che è quella dell’impresa commerciale.
L’attività bancaria tipica di articola in due fasi, raccolta del risparmio fra il pubblico e esercizio del credito.
È chiaro che questa attività bancaria tipica non è l’unica attività che le banche possono svolgere e che
concretamente svolgono, ma ne rappresenta esclusivamente la componente tipica.
Ciò che sicuramente è vero, è che l’attività bancaria necessariamente deve prevedere la compresenza di
questi due momenti: raccolta del risparmio tra il pubblico ed esercizio del credito. Indipendentemente dal
fatto che la banca possa svolgere anche ulteriori attività di carattere finanziario.
16
C’è una differenza, se volessimo fare l’esigessi della norma, nel fatto che la raccolta del risparmio avviene
fra il pubblico, mentre l’esercizio del credito non si precisa che debba avere la medesima destinazione, cioè
rivolgersi al pubblico, ma si tratta chiaramente di una differente terminologia che non è giustificata, che
anche la fase in cui la banca esercita il credito è chiaramente rivolta al pubblico, non è concepibile una banca
che eroghi il credito esclusivamente a favore dei soci che la compongono, se non in una forma un po’
particolare che è quella della banca di credito cooperativo.
Quello che invece non può mancare sicuramente nell’attività bancaria è uno di questi due momenti, per cui,
per esempio, una società che dovesse limitarsi a raccogliere il risparmio senza esercitare il credito, non
sarebbe una banca perché verrebbe meno proprio della funzione creditizia che è connaturata all’esercizio
dell’attività bancaria, ma allo stesso modo anche una società che dovesse erogare il credito ma non lo facesse
ricorrendo al risparmio raccolto tra il pubblico sarebbe a tutti gli effetti una società diversa da una banca.
Anche in questo caso saremmo fuori dall’attività bancaria e dall’impresa bancaria.
Ci sono delle società, per esempio, le società finanziarie i cosiddetti intermediari finanziari non bancari che
erogano il credito, lo possono fare indipendentemente dalla raccolta del risparmio con risorse proprie, quindi
fornite dagli stessi soci.
Queste attività sono attività finanziarie, ma non sono attività bancarie, chi le svolge non è una banca.
La banca per sua natura deve svolgere necessariamente questa attività di intermediazione, cioè tra i centri in
cui si accumula il risparmio e i centri di spesa, in cui quel risparmio viene impiegato.
Per cui da un lato deve accogliere il risparmio e dall’altro erogare il credito.
Quando la banca raccoglie il risparmio si dice che sta ponendo in essere delle operazioni passive.
Per la banca è un’operazione passiva perché a fronte della raccolta del risparmio la banca diventa debitrice
nei confronti dei clienti, prendendo il nome di depositanti, perché depositano il denaro in banca.
Il depositante è creditore perché ha diritto alla restituzione dei fondi, la banca è debitrice, quindi per la banca
è un’operazione passiva ed è giustificato in questa logica il fatto che la banca debba corrispondere degli
interessi a favore dei clienti sulle somme depositate.
Quando invece la banca eroga il credito, cioè svolge quelle che in terminologia bancaria si chiamano
operazioni di impiego, allora la banca svolge delle operazioni attive, perché diviene creditrice nei confronti
dei clienti che prendono il nome di clienti affidati, i quali dovranno restituire le somme che la banca ha
prestato.
Questo è lo schema dell’attività bancaria tradizionale, tipica, che consente di realizzare quella funzione di
intermediazione tra i risparmiatori e le imprese e anche di trasformazione dei rischi finanziari perché in
questo schema di acquisizione dei fondi da parte delle imprese, il rischio dell’eventuale inadempimento
insolvenza, da parte dell’impresa affidata, non ricade direttamente sul risparmiatore ma viene in realtà, fatto
proprio dalla banca che lo assume su di sé e solo indirettamente ricade sui risparmiatori nella misura in cui ci
dovesse essere una crisi dello stesso intermediario bancario.
La norma successiva del TUB, l’articolo 11 poi, si sofferma sul concetto di raccolta del risparmio, e dice che:
è raccolta del risparmio l’attività che consiste nell’acquisizione di fondi da parte della banca con obbligo di
rimborso, sia sottoforma di depositi, sia sotto altra forma.
La raccolta del risparmio, consiste nell’acquisizione da parte della banca della disponibilità temporanea di
una certa somma di denaro, e contestualmente nell’assunzione da parte della banca dell’obbligo di restituire
questa somma di denaro.
Mentre in passato c’erano limitazioni nella modalità attraverso cui le banche potevano raccogliere il
risparmio perché c’era la distinzione tra banche che operavano a breve termine e banche che operavano a

17
medio – lungo termine, oggi la banca può raccogliere il risparmio senza limiti di durata e utilizzando un
qualunque strumento, una qualunque forma giuridica.
La forma giuridica paradigmatica che la banca può utilizzare per raccogliere il risparmio è il contratto di
deposito bancario, come si evince dalla norma articolo 11 del TUB.
Ma è possibile che la banca acquisisca il risparmio dai risparmiatori anche in altra forma, per esempio, pure
la banca potrebbe emettere delle obbligazioni, quindi un prestito obbligazionario, ci sono le obbligazioni
bancarie e chi sottoscrive l’obbligazione, apporta del denaro a favore della banca e diviene creditore nei
confronti della banca stessa per il rimborso del valore nominale dell’obbligazione, oltre che avente diritto al
pagamento degli interessi.
A differenza della raccolta del risparmio, non abbiamo invece sul fronte dell’erogazione del credito una
analoga nozione.
Sul versante delle operazioni attive, l’operazione di erogazione del credito consiste nella concessione al
cliente della disponibilità del denaro precedentemente raccolto mediante operazioni passive, disponibilità che
viene concessa sempre a titolo temporaneo, e questo è un carattere essenziale dell’attività bancaria in
entrambi i momenti e nell’assunzione da parte del cliente dell’obbligo di restituire alla banca il denaro che la
banca gli ha prestato o gli ha messo a disposizione.
Anche sul fronte attivo la banca può prestare il denaro senza limiti di destinazione, di durata e anche con una
molteplicità di forme tecniche, come per esempio: il mutuo, l’apertura di credito, l’anticipazione bancaria e
così via.
Sono tutte forme di erogazione del credito.
Il comma terzo dell’articolo 10, afferma qualcosa molto importante, e cioè le banche esercitano oltre
all’attività bancaria ogni altra attività finanziaria secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività
connesse strumentali. Sono fatte salve solo le riserve di attività eventualmente previste dalla legge.
L’attività bancaria non si esaurisce nella componente tipica: raccolta del risparmio e erogazione del credito.
Questa è solo l’attività bancaria tipica, cioè quella di competenza esclusiva della banca ma non è l’unica
attività che la banca può svolgere, anzi, ad essa si possono affiancare una molteplicità di altre attività, e
l’area di riferimento che ricaviamo da questa nozione è molto ampia.
Ogni altra attività finanziaria, quindi si può dire che nel contesto del settore finanziario, nel comparto
finanziario, le banche possono svolgere un qualunque tipo di attività e offrire un qualunque tipo di servizio.
Resta fermo che se ci fosse un soggetto che svolge un’altra attività finanziaria o solo attività connesse
strumentali senza raccogliere il risparmio ed erogare il credito non saremmo difronte a un’attività bancaria, e
il soggetto che la svolge non sarebbe qualificabile come una banca, cioè come un’impresa bancaria.
All’interno di queste altre attività finanziarie possiamo collocare tutti quei servizi e quelle attività che
rientrano nell’ambito del cosiddetto settore parabancario, è un settore molto ampio, per fare un esempio, di
attività che vi rientrano le operazioni di leasing, factoring, credito al consumo, cartolarizzazione.
Queste sono tutte operazioni che rientrano nel settore parabancario, si chiama così perché da un lato ha
qualcosa in comune con il settore bancario, tutte queste attività sono in parte simili a quelle rientranti
nell’attività bancaria tipica soprattutto sul versante dell’erogazione del credito, perché sono attività a senso
lato di finanziamento.
Allo stesso tempo non rientrano nell’attività del settore bancario tipico, perché sono diverse dall’attività
consistente nella raccolta del risparmio e nell’erogazione del credito.
Sono attività vicine a quella bancaria tipica ma da essa comunque distinguibili.

18
Sempre nell’ambito delle altre attività finanziarie rientrano tutte le attività che si possono svolgere sul
mercato finanziario e quindi in primo luogo le attività e i servizi di investimento, la compravendita di
strumenti finanziari regolamentati, la gestione di portafogli individuali di investimento, la consulenza in
materia di investimento, il collocamento di strumenti finanziari.
Sono tutta una serie di attività che sono proprie del mercato finanziario che possono essere svolte dalle
banche ma che non sono una competenza esclusiva delle banche, perché esistono dei soggetti come le SIM
(società di intermediazione mobiliare), che nascono per esercitare proprio questa tipologia di attività.
Le SIM sono molto rare nel nostro paese, sebbene siano previsti come soggetti destinati a operare in maniera
specifica sul mercato finanziario, in realtà sono completamente soppiantate dalle banche che chiaramente
svolgono la loro attività in misura economicamente prevalente proprio nel campo del mercato finanziario,
quindi nel campo dei servizi di investimento.
Poi ci sono tutta una serie di operazioni accessorie, o servizi bancari che sono attività strumentali rispetto a
quella tipica, nel senso che sono attività serventi rispetto a quella tipica, per esempio: il servizio di cassette di
sicurezza, oppure i servizi di pagamento, che sono chiaramente collaterali rispetto all’attività tipica di una
banca.
La banca quando raccoglie il risparmio, ipotizziamo su un conto corrente, sta svolgendo un’attività bancaria
tipica perché raccoglie il risparmio da un risparmiatore.
Non è tenuta però a offrire servizi collaterali, ma il più delle volte se non offrisse al cliente la possibilità di
operare, per esempio con le carte di pagamento (carta bancomat, o carta di credito) avrebbe più difficoltà a
raccogliere il risparmio.
Tutte queste attività, strumentali o connesse rientrano nell’ambito dell’attività bancaria sebbene non nella sua
componente tipica, rispetto alla quale sono serventi o strumentali.
In realtà, il modello su cui si fonda la banca cosiddetta di tipo mitteleuropeo, cioè la banca universale in cui
la banca può svolgere sia attività di credito ordinario, commerciale quindi attività creditizia tradizionale, sia
l’attività di investimento sul mercato mobiliare quindi l’attività di investment banking o merchant banking
non è l’unico modello possibile di banca, perché per esempio nei Paesi anglosassoni vige un modello
diverso, cioè vige la separazione tra soggetti, per esempio, la Bank of America è una banca di credito
commerciale che quindi eroga il credito, raccoglie il risparmio, quindi svolge l’attività bancaria tipica.
Affianco a questa tipologia di banche ci sono poi le banche d’affari quelle che operano esclusivamente nei
mercati finanziari e svolgono operazioni di investimento, servizi di investimento.
Difficile dire quali di questi due modelli sia preferibile, anche nel contesto degli ordinamenti statunitensi ci
sono state fasi in cui si è passati da un modello all’altro.
Riprendendo l’articolo 10 comma secondo, in realtà l’attività bancaria è un’attività di impresa, in linea di
massima se è un’attività di impresa dovrebbe essere regolata come tutte le altre attività di impresa quindi
assoggettata alla disciplina del codice civile, perché le attività di impresa, anche quelle commerciali sono
regolate nel codice civile, però abbiamo detto che in realtà è un’impresa speciale perché la sua attività
solleva importanti interessi pubblicistici legati alla tutela del risparmio, all’esercizio del credito, che sono
interessi tutelati anche dalla nostra costituzione e ciò spiega perché in realtà la grande parte della disciplina
che si applica all’impresa bancaria è in realtà contenuta nel testo unico bancario, e non nel codice civile.
In particolare, il secondo comma dell’articolo 10 dice che l’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle
banche.
Questo principio, che si chiama principio di riserva dell’attività bancaria, è poi ribadito dall’articolo 11
comma secondo: la raccolta del risparmio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche.

19
Quindi in considerazione della delicatezza dell’attività che solleva interessi anche costituzionalmente
protetti, c’è un limite all’accesso all’attività bancario.
Solo la banca può esercitare l’attività bancaria, qui si intende, ovviamente, la componente tipica dell’attività
bancaria, solo la banca può raccogliere il risparmio tra il pubblico.
Perché la banca è disciplinata in maniera diversa da un qualunque imprenditore commerciale, da una
qualunque società per azioni che svolga attività di impresa commerciale.
Quindi per essa, la legge le norme del testo unico bancario richiedono specifiche caratteristiche, specifici
requisiti, che la banca deve possedere per poter essere qualificata come tale e potrà svolgere l’attività
bancaria.
Chi è che verifica il possesso da parte della Banca di questi requisiti?
L’autorità di vigilanza, perché l’esercizio dell’attività bancaria è assoggettata a una fase di autorizzazione da
parte dell’autorità di vigilanza, che un tempo era la Banca D’Italia, oggi, con il passaggio alla
regolamentazione di stampo europeo, della attività bancaria e alla attività di vigilanza di stampo europeo,
l’autorizzazione è data dalla Banca Centrale Europea su proposta della Banca D’Italia.
La Banca D’Italia fa una sua istruttoria, una verifica dei requisiti, propone alla banca centrale europea
l’autorizzazione e quest’ultima dà il provvedimento finale.
Solo una volta che l’autorità di vigilanza ha accertato il possesso di quei requisiti, la banca può e deve
iscriversi in un apposito albo, quello delle banche, e può svolgere quella che è l’attività bancaria tipica.
Questo è quanto si ricava dagli articoli 13 e 14 del testo unico bancario.
In particolare, l’articolo 14 del TUB, contiene tutte quelle condizioni che sono richieste alla banca per poter
essere autorizzate allo svolgimento dell’attività bancaria, che sono condizioni peculiari e diverse da quelle
richieste per i normali imprenditori.
La prima condizione riguarda la forma giuridica della banca, l’impresa bancaria può assumere solo la forma
di s.p.a e di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata (Banche di Credito Cooperativo  BCC);
già questa prima condizione che richiede la banca è una peculiarità, perché in realtà invece l’attività di
impresa ordinaria può svolgersi, innanzitutto in forma individuale, quindi ci potrebbe essere un imprenditore
individuale, mentre non è ipotizzabile che l’attività bancaria venga svolta da un imprenditore individuale, ma
anche qualora si volesse scegliere la forma dell’esercizio di impresa collettiva, e quindi la società, di tipi
societari ne esistono una molteplicità nel nostro ordinamento.
Esistono le società di persone, cioè la società semplice, la società in nome collettivo, la società in
accomandita semplice. Esistono le società di capitali, cioè la spa, la srl, sapa.
Per le banche tutte queste forme non sono fruibili, perché unicamente la banca può operare sottoforma di spa,
ovvero di società cooperativa, perché la spa è il modello che assume maggiori garanzie dei terzi, quindi
anche per i depositanti, per i clienti della banca perché è strutturata in maniera tale da operare secondo una
struttura organizzativa, quindi una divisione di compiti per gli organi che assicura un’adeguata tutela ai terzi
che entrano in contatto con la stessa.
Quindi si sceglie quello che è il modello più evoluto per l’esercizio in forma collettiva dell’attività di
impresa.
Per le banche è poi previsto in capitale sociale minimo, interamente versato e non inferiore a quello
determinato dalla Banca D’Italia e con riferimento ai diversi tipi di società bancaria.
Anche qui abbiamo una peculiarità, perché pure nelle società per azioni esiste un capitale sociale minimo che
è di 50.000 euro, infatti il capitale sociale minimo è in realtà stabilito dalla Banca D’Italia, con le proprie
20
disposizioni secondarie, e attualmente è fissato a 10 milioni di euro, nel caso di banche che assumono la
forma di spa e 5 milioni di euro, per le banche di credito cooperativo. Sono importi ben più rilevanti rispetto
a quelli di 50 mila euro.
Per altro, mentre in una normale società per azioni si richiede inizialmente il versamento solo del 25% del
capitale sociale, nel caso della società bancaria iniziale invece deve essere integralmente versato.
Quindi quei 10 milioni o 5 milioni minimi devono essere versati al momento della costituzione.
Quindi i soci devono fare un esborso e avere un impegno finanziario molto più rilevante.
Il terzo requisito è che deve essere presentato un programma concernente l’attività iniziale, unitamente
all’atto costitutivo e allo statuto.
Mentre in una normale società per azioni, quando questa viene costituita si richiede unicamente di presentare
un atto costitutivo e uno statuto che contengono le basi contrattuali di funzionamento della società, nel caso
della banca non bastano questi documenti, ma si richiede un programma dettagliato che concerne le fasi
iniziali dell’attività bancaria.
Ulteriori requisiti sono richiesti sia in capo a chi detiene la partecipazione di controllo della banca, o
partecipazioni significative, quindi ai soci di riferimento della banca, quelli di maggioranza
fondamentalmente, sia in capo a chi svolge all’interno della banca la funzione di amministrazione, direzione
e controllo.
Per esempio, quindi, in capo agli amministratori, in capo ai membri del collegio sindacale, in capo ai
direttori, dirigenti della banca.
In capo a questi soggetti si richiedono particolari requisiti soggettivi, cioè per esempio, requisiti di
onorabilità cioè il fatto di non aver riportato condanne penali, per reati contro l’economia.
Professionalità, in capo agli amministratori, ai membri degli organi di controllo, cioè avere competenze
tecniche, per poter governare e controllare una banca, e indipendenza, ossia non avere legami (e questo vale
soprattutto per gli amministratori) con i membri dell’organo di controllo, per evitare i cosiddetti conflitti di
interesse.
Tutti questi requisiti soggettivi sono chiaramente una peculiarità della banca perché in una normale società
per azioni non è richiesto nessun requisito, né in capo ai soci e né in capo agli amministratori.
C’è qualche requisito che viene richiesto per i sindaci, cioè per i membri del collegio sindacale ma a seconda
dei casi, è comunque in misura non paragonabile a quella richiesta per i membri dell’organo di controllo
della banca.
La verifica di tutti questi requisiti deve portare la BCE ad assicurarsi che sia garantita in capo alla banca la
sana e prudente gestione, questo è il principio di fondo che va verificato attraverso il riscontro dei requisiti
che abbiamo detto e qualora si dovesse accertare dalla verifica delle condizioni non sia garantita la sana e
prudente gestione della banca, la Banca d’Italia dovrebbe negare l’autorizzazione.
Il controllo dell’autorità di vigilanza, in primo luogo della Banca D’Italia, sulle imprese bancarie non è
limitata solo alla fase iniziale di costituzione, per quanto riguarda la verifica dei requisiti in questione ma
permane anche durante lo svolgimento dell’attività bancaria.
Anche durante lo svolgimento dell’attività la banca è sottoposta a vigilanza da parte della Banca d’Italia
sempre al fine di misurare la sana e prudente gestione e si può arrivare anche al punto di revocare
l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività bancaria qualora si dovessero riscontrare delle irregolarità, tali
da compromettere la sana e imprudente gestione della banca.
La banca è sempre una società per azioni che opera con più sedi, ha una sede centrale che è la sede legale, e
poi ha una serie di ramificazioni territoriali, che prendono il nome di dipendenze, succursali, filiali o agenzie
21
della banca. Mediante le quali la banca realizza soprattutto la sua attività commerciale, cioè un’attività tesa
alla vendita dei prodotti dei servizi bancari.

LA DISCIPLINA DELLA TRASPARENZA BANCARIA


11 marzo 2021
Le banche sono imprese esercitate in forma collettiva, perché fondamentalmente sono società, svolgono
un'attività complessa, la componente tipica, quindi l’attività bancaria tipica consiste nella raccolta del
risparmio tra il pubblico e nell'esercizio del credito, questa è ovviamente solo la componente tipica che non
esaurisce il novero dei servizi e attività che comunque la banca può compiere. 
Le operazioni di raccolta del risparmio le abbiamo definite, tradizionalmente, operazioni passive perché la
banca diventa debitrice nei confronti dei clienti depositanti, ha un debito alla restituzione dei fondi che sono
stati depositati. Le operazioni di erogazione del credito, o cessione del credito, si definiscono invece,
operazioni attive per una motivazione che è chiaramente speculare a quella di prima, cioè la banca diventa
creditrice nei confronti del cliente affidato e ha diritto che le vengano restituite le somme messe a
disposizione e utilizzate dal cliente o prestate, erogate allo stesso cliente.   
Oltre a queste operazioni attive e passive poi ci sono tutta una serie di operazioni accessorie, o strumentali
che le banche tradizionalmente svolgono a favore della propria clientela, e ancora tutte le altre possibili
diverse attività finanziarie che le banche comunque possono realizzare, per esempio nell'ambito di queste
altre attività finanziarie, un ruolo di primo piano, viene ad essere assunto dai servizi di investimento. 
Ora ciò che diremo oggi in relazione alla disciplina del rapporto tra banca e cliente, si applica
indistintamente a tutte le operazioni bancarie, siano esse passive, siano esse attive, rientranti nella
componente tipica delle attività bancarie, siano esse altre attività finanziarie o servizi, diciamo servizi
strumentali e accessori. 

22
Perché in realtà per le altre attività finanziarie e quindi mi riferisco i servizi le attività di investimento, vige
una disciplina ad hoc che è contenuta in realtà nel testo unico della finanza, non nel testo unico bancario.
Quindi la disciplina della trasparenza trova applicazione ai servizi e alle attività bancarie in senso stretto,
quindi attività tipica e servizi strumentali o accessori. 
Da questo punto di vista, dobbiamo partire con ricordare, brevemente la fonte normativa storica che ha
disciplinato il rapporto tra banca e cliente, quella che per prima ha affrontato questo rapporto dal versante
privatistico che è il Codice civile. 
Perché il Codice civile è stato emanato nel 1942. 
In effetti nel ‘42 già si poneva un problema di regolamentare i rapporti tra banca e cliente. 
Il Codice civile ha affrontato questo tema, questa materia, introducendo all'interno del libro IV titolo IV dei
singoli contratti, un capo XVII che è dedicato ai contratti bancari, le norme sono dall’articolo 1834
all'articolo 1860. 
Qual è l'approccio che il Codice civile detta con riferimento al rapporto banca - cliente? 
Ecco rifugge dal delineare una disciplina generale, nel Codice civile non c'è una disciplina generale, vengono
invece individuati alcune operazioni bancarie, potremmo dire alcuni contratti bancari, o servizi bancari che ai
quali sono destinate singole specifiche norme. Questi contratti, o servizi bancari di cui si interessa il codice
civile, sono: il deposito bancario, il servizio delle cassette di sicurezza, l'apertura di credito bancaria,
l'anticipazione bancaria, le operazioni bancarie in conto corrente e lo sconto bancario. 
Queste operazioni sono assoggettate a una disciplina specifica rispetto a quella prevista in generale per i
rapporti contrattuali, perché sono operazioni poste in essere dalle banche, nell'esercizio dell'attività bancaria.
Quindi questi contratti, o questi servizi non possono prescindere dal fatto che chi li presta sia qualificabile
come banca, ne possono prescindere dal fatto che siano svolte nel contesto dell'attività bancaria, non
necessariamente nella componente tipica, perché per esempio il servizio delle cassette di sicurezza, può
essere
qualificato con un servizio accessorio strumentale all'attività bancaria ma non rientra nella componente tipica
della raccolta del risparmio tra il pubblico e dell'erogazione del credito. 
In linea di massima, tutte le altre operazioni rientrano nell'ambito dell'attività tipica bancaria, alcune, ci
riferiamo al servizio delle cassette di sicurezza e al deposito titoli in amministrazione che è una sottospecie di
deposito bancario, sono invece funzionali potremmo dire all'esercizio dell'attività bancaria tipica. 
Quindi assumono carattere strumentale o accessorio. 
Intanto già dovrebbe essere evidente forse guardando queste che chiaramente il codice civile, non disciplina
in maniera esaustiva l'intero fenomeno dell'attività bancaria, perché intanto perché considera solo alcune
operazioni bancarie, e si potrebbe già notare che il codice civile si disinteressa di quello che probabilmente è
il contratto bancario più conosciuto. 
Qual è il contratto bancario più conosciuto?
Il conto corrente bancario, abbiamo una disciplina di un fenomeno quello delle operazioni bancarie in conto
corrente che in realtà non è un contratto. Quindi, indubbiamente, questa è una normativa incompleta da
questo punto di vista, prende in considerazione solo quelle che erano le operazioni che al tempo della
codificazione del 1942 erano giudicate più rilevanti per l'operatività bancaria, ma questa disciplina del
Codice civile in realtà poi non si è evoluta, questo è il punto, è rimasta così. 
è una disciplina molto scarna, anche sui singoli contratti le norme dettate per disciplinarli non sono esaustive,
presentano delle lacune, dei buchi, che chiaramente vanno colmati in via negoziale, cioè inserendo delle
clausole all'interno dei contratti e inoltre è una disciplina in larga parte, derogabile, dispositiva, nel senso che
23
le norme che disciplinano i singoli contratti non sono inderogabili. Quindi le parti possono decidere nello
stipulare il contratto, di distaccarsi da quelle regole e prevedere delle regole ad hoc. 
Proprio in virtù di queste carenze della disciplina del codice civile, per molto tempo la regolamentazione del
rapporto tra banca e cliente è stata affidata a un fenomeno che è quello delle norme bancarie uniformi, che ha
assunto nell'ambito dell'operatività bancaria, un peso molto molto significativo. 
Cosa sono le norme bancarie uniformi? 
Si chiamano norme, ma tecnicamente non sono norme, nel senso di fonti legislative o fonti normative, perché
sono in realtà contratti tipo, cioè schemi contrattuali standardizzati omogenei predisposti dall'associazione di
categoria delle banche, cioè l'associazione bancaria italiana. 
Quindi, è evidente che le norme bancarie uniformi sono regole di parte, perché sono predisposte per
l'appunto dall'Associazione che rappresenta una delle due parti contrattuali, cioè quella per l'appunto delle
banche. Questa disciplina, chiaramente, non è cogente, nel senso che non è obbligatoria, ma essendo stata
predisposta dall'Associazione bancaria italiana, è chiaro che tutte le banche aderenti all'associazione, tendono
poi a inserire nei propri contratti le clausole presenti all'interno delle norme bancarie uniformi. 
Quindi a rendere i propri contratti omogenei ai modelli standardizzati. 
Perché questo è possibile? 
Perché i contratti bancari sono contratti che seguono lo schema del contratto per adesione, ma cos’è?
Pensate all'operatività di una banca, se magari avete in passato stipulato un contratto di conto corrente, il
meccanismo della formazione del contratto bancario sbaglio una proposta contrattuale che fa la banca su un
modulo di regola prestampato, non è scritto a penna nel momento in cui ci si reca in banca, ma esiste già, e
questo modulo prestampato non fa altro che replicare le condizioni e le clausole contrattuali contenute
all'interno degli schemi standardizzati predisposti dall’ABI, cioè dalle norme bancarie uniformi. 
Il cliente a sua volta, non ha nessuna possibilità di negoziare le clausole contenute nel contratto, visto il
diverso peso contrattuale che il cliente assume nei confronti della banca, ma ha solo la possibilità di accettare
quella proposta contrattuale, sottoscrivendo il modulo, e nel momento in cui sottoscrivere il modulo,
chiaramente il contratto si intende concluso ed efficace. Questo schema contrattuale fa sì che i modelli
standardizzati predisposti dall’ABI e rientranti all'interno delle norme bancarie uniformi diventino dei
modelli, poi, largamente utilizzati direi utilizzati in maniera generale dal sistema bancario, e in realtà, questo
è l'aspetto un po' negativo del fenomeno, c'è anche un aspetto positivo però del fenomeno, e cioè l’esigenza
di standardizzare contratti, quali sono i contratti bancari che oltre a essere contratti per adesione, sono anche
contratti di massa. 
Vuol dire che sono contratti in realtà pensati, utilizzati, da una moltitudine di soggetti, dalla generalità dei
risparmiatori, pensate al conto corrente bancario, il conto corrente bancario è probabilmente una delle
fattispecie contrattuali più utilizzati in assoluto, perché ciascuno di noi ne ha uno, che è configurato in forma,
ma quasi tutti abbiamo un conto corrente bancario. 
Quindi pensare di poter predisporre volta per volta contratti diversificati, per ogni singolo cliente, significa
incrementare i costi, innalzare i costi perché la banca a quel punto dovrebbe fare delle analisi e delle
valutazioni specifiche per i singoli clienti, e tutto ciò si ripercuote poi a valle sui clienti stessi. 
Vengono scaricati i costi delle analisi negoziali e contrattuali. 
Ora resta, però, la considerazione di fondo, è cioè che queste norme bancarie uniformi almeno nella loro
prima versione, erano norme fortemente parziali, erano norme di categoria provenienti dall'organismo
dell’associazione bancaria Italiana e quindi univano una eccessiva sperequazione degli interessi in gioco, a
favore del ceto bancario e a danno dei clienti. In parte questo disequilibrio, questa parzialità delle norme
bancarie uniformi è stata attenuata nel corso del tempo per effetto della sostituzione delle norme bancarie
24
uniformi nel 2000, da parte delle condizioni generali relative al rapporto banca - cliente, quindi abbiamo una
versione più moderna delle norme bancarie uniformi che è stata emanata nel 2000 e sono le condizioni
generali relative al rapporto banca cliente, la peculiarità di questa nuova formulazione della NBU è che
siamo sempre di fronte a condizioni generali di contratto e quindi a modelli standardizzati sostanzialmente,
ma queste condizioni, questi modelli, non vengono predisposti unilateralmente dall’ABI, ma in realtà sono
state formulate dall’ABI di concerto con le principali associazioni dei consumatori. 
è stato aperto un vero e proprio tavolo di trattative, nel quale hanno preso parte, oltre all’associazione
bancaria italiana, le principali associazioni dei consumatori che hanno trovato un punto d'incontro su
clausole che possono essere inserite in maniera standardizzata all'interno delle condizioni generali di
contratto. 
La rilevanza, in generale, di questo fenomeno delle norme bancarie uniformi, Va ben rimarcata,  non va
assolutamente sottovalutata, perché, in realtà, il peso nel regolamentare rapporto tra banca e cliente delle
norme bancarie uniformi è molto forte, ed è molto forte in ragione del fatto che le norme bancarie uniformi,
non si limitano a definire il contenuto in dettaglio di singoli contratti disciplinati già dalla legge. 
Quindi non si limitano a dire, per l'apertura di credito bancario o per il deposito bancario si applicano
determinate norme aggiuntive subspecie, di clausole da inserire in un contratto. Fanno qualcosa in più,
arrivano a introdurre contratti atipici, cioè contratti per nulla contemplati dal nostro codice civile, e questo è
il caso per esempio del conto corrente bancario o di corrispondenza, si chiama anche conto corrente di
corrispondenza, è un contratto, la cui disciplina organica la possiamo ricavare solo esaminando le condizioni
generali, relative al rapporto banca e cliente, quindi le norme bancarie uniformi, non invece se guardassimo
esclusivamente al codice civile, dove questo non è contemplato. 
Vale anche per altri fenomeni, come quello delle fideiussioni omnibus, che sono particolari forme di garanzie
bancarie, considerate dalle norme bancarie uniformi e non invece nel codice civile. Questo è un effetto della
prassi bancaria, del mondo della Finanza, del mondo bancario, nei quali ci sono fenomeni che corrono, che si
modificano, che si evolvono continuamente, quindi è impossibile pensare che una codificazione tanto più se
risalente al 1942 possa, imprimere, una volta per tutte, una disciplina destinata a sopravvivere nel tempo con
riferimento a questi fenomeni. 
La parzialità delle norme bancarie uniformi e più in generale, il fatto che nel rapporto contrattuale tra banca e
cliente, c’è di regola una sperequazione a favore delle banche, ha fatto sì, che, chiaramente, anche il
legislatore si sia interessato al fenomeno, al problema, e lo abbia in parte affrontato nel corso degli anni
grazie a una serie di interventi normativi, quindi anche prima di arrivare alla riformulazione delle norme
bancarie uniformi del 2000, interventi normativi volti proprio a ridimensionare il potere contrattuale delle
banche.
Questa situazione è stata, in particolare, oggetto di attenzione, di intervento, da parte del legislatore nel
1992. 
Anno in cui è stata introdotta la legge numero 154 che ha, nel nostro ordinamento, previsto in via legislativa,
per la prima volta una disciplina generale, cioè destinata a trovare applicazione nei confronti di tutti i
contratti bancari e finanziari. 
Questa disciplina, introdotta dalla legge numero 154 del 1992 si soffermava, in particolare, su un principio,
che perseguiva attraverso una serie di regole, ed è il principio di trasparenza delle condizioni contrattuali
praticate dalle banche. Cioè l’idea di fondo di questa legge, è che il cliente deve essere adeguatamente
informato circa le condizioni contrattuali delle operazioni che pone in essere con la banca, perché solo se
adeguatamente informato, può ricevere la tutela di cui ha bisogno, e quindi decidere consapevolmente, se
stipulare il contratto, o non stipulare il contratto, se accettare determinate condizioni, o non accettare
determinate condizioni. 

25
Questa disciplina introdotta dalla legge numero 154 del 1992, poi l'anno successivo, cioè l’anno
dell’emanazione del testo unico bancario 1993, è stata trasfusa all'interno del tub, quindi del decreto
legislativo numero 385 del 1993. 
Quindi, oggi, troviamo questa disciplina all'interno del tub, agli articoli 115 e seguenti del testo unico, e
studiamo, ovviamente, la disciplina per come poi si è evoluta nel corso degli anni, perché queste norme
hanno subito diverse modifiche, fino ad arrivare ai nostri giorni. Questa disciplina della trasparenza bancaria,
è nata con l'obiettivo di riequilibrare il rapporto tra banca e cliente, quindi potremmo dire che è nata con
l'obiettivo di tutelare quella che è la parte debole del rapporto, cioè il cliente, e soprattutto, ridurre quello che
è definito come il GAP informativo, che sussiste tra banca e cliente, quindi la differenza di informazioni che
le due parti del rapporto hanno, proprio perché il cliente non ha la conoscenza dei fenomeni bancari che ha la
banca, e quindi è, più delle volte, costretto ad accettare le condizioni proposte dalla banca. 
Anche perché la verità non esistono reali alternative, nel senso che, proprio il fenomeno della contrattazione
standardizzata porta ad avere sul mercato contratti predisposti dalle diverse banche, che poi sono
fondamentalmente omogenei, per quanto riguarda le clausole contrattuali che esso contiene. Eppure questa
esigenza di riequilibrare il rapporto, ha indotto il  più importante studioso del diritto bancario che è Paolo
Ferro-Luzzi, a parlare, a descrivere la disciplina della trasparenza introdotta all'interno del testo unico
bancario, con un esempio tipico di normativa dispetto, cioè una normativa nata con l’intento di riequilibrare
il rapporto, quindi di prevenire, o evitare possibili abusi da parte delle banche a danno della clientela, ma di
fatto trasformatasi poi in una disciplina, alla quale sottesa un evidente intento punitivo nei confronti delle
banche. 
Questa disciplina si incentra su due aspetti del fenomeno contrattuale, da un lato abbiamo la forma del
contratto, le modalità di formazione, di conclusione del contratto, e la disciplina delle modifiche del
rapporto. Quindi possiamo dire l'aspetto formale, che riguarda il contratto nelle sue varie fasi, quindi, forma
da adottare, modalità di stipulazione, modifiche eventuali del contratto. Il secondo aspetto è invece l'aspetto
contenutistico, quindi riguardante le specifiche clausole contrattuali da inserire obbligatoriamente all'interno
dei contratti bancari. Qual è il principio che vale per la forma del contratto in generale nel codice civile? che
forma assume il contratto?
In generale, possiamo dire che si dà ampia scelta alla forma di contratto da utilizzare, anche se per alcuni tipi
di contratti, per esempio, contratti immobiliari è richiesta sempre la forma scritta. Si dà libera scelta perché
vige il principio di libertà della forma. Quindi, non è detto che il contratto debba essere stipulato per iscritto
in diritto privato, anzi, teoricamente, il contratto potrebbe essere concluso anche oralmente, e sarebbe valido
ed efficace. 
Salvi, ovviamente, alcune tipologie di contratto, di regola in relazione ai contratti che possono avere ad
oggetto beni immobili, ma anche, per esempio, particolari contratti, quali la donazione, altre forme
contrattuali, prevedono una forma specifica. 
Però il principio generale, è il principio di libertà della forma. 
Nei contratti bancari invece, la regola è, e ce lo dice l'articolo 117 primo comma, è che i contratti bancari
devono essere redatti per iscritto. 
Quindi già questo è, una regola che si distacca dal principio generale di libertà della forma, è sancito
dall’articolo 1325 comma primo, numero 4 del codice civile, aggiungo che il comma primo dell'articolo 117,
dice anche, che un esemplare del contratto, deve essere consegnato al cliente in modo da assicurargli la
conoscenza e la prova delle condizioni che regolano il rapporto.
Qual è in diritto privato, in generale, la motivazione per la quale alcuni tipi di contratto esigono una forma
speciale, particolare? 

26
Per esempio, i contratti di compravendita immobiliare, perché si richiede una forma particolare che il più
delle volte la forma scritta che in alcuni casi è anche l'atto pubblico? Qual è il vantaggio però della forma
scritta rispetto a una forma orale? 
Perché c'è l'esigenza a monte, cioè quella di costringere le parti a riflettere sul contenuto del contratto, perché
effettivamente le parti si devono sedere, si devono redigere il loro testo contrattuale, riflettere sulle clausole
che vogliono inserire in contratto, e quindi a quel punto c'è un'esigenza che viene soddisfatta di maggiore
ponderatezza del contenuto dello stesso contratto, per cui dove si tratta di operazioni rilevanti, per la natura
del bene o per la natura dell'operazione stessa, ecco che queste esigenze di ponderatezza viene soddisfatta
attraverso l'imposizione di una determinata forma. 
I moduli contrattuali predisposti dalle banche sono complessi, lunghi, che, chiaramente per ragioni di tempo,
ma anche per ragioni che il cliente è consapevole di non poter modificare quelle clausole, chiaramente il
cliente non legge. E se dovesse anche per ipotesi leggersi tutto il modulo predisposto dalla banca, non è detto
che le comprenderebbe fino in fondo quelle clausole. Perché chiaramente sono clausole che hanno una
componente tecnica molto elevata. La forma scritta, in realtà, tutela il cliente bancario fino a un certo punto,
questa è la verità, l'imposizione della forma scritta. 
Però, per il nostro legislatore è una previsione molto importante, tant’è che in caso di inosservanza della
forma scritta, dice l'articolo 117 comma terzo, il contratto è nullo. 
Quindi si dice che la forma scritta è richiesta a pena di nullità del contratto, è una forma ad substantiam, cioè
che diventa sostanza, perché la tua assenza rende il contratto nullo. 
Allora anche qui però abbiamo una deroga rispetto alla regola, che vige il diritto privato. Perché in diritto
privato la nullità di un contratto, può essere fatta valere da chiunque abbia interesse, ce lo dice l'articolo 1421
del Codice civile. 
Quindi non solo le parti che hanno stipulato il contratto, ma anche un terzo se vanta un interesse, che è
collegato con quel contratto, e il contratto è nullo per una qualche ragione non necessariamente per un
motivo formale, come in questo caso, è chiaro che anche il terzo può far valere la nullità del contratto, che
significa andare davanti al giudice, e chiedere al giudice di dichiarare il contratto nullo. 
Nel testo unico bancario, siccome l'intento è quello di tutelare il cliente, parte debole del rapporto, siccome
l'intento è quello di punire la banca, per non aver adempiuto agli obblighi che ricadono su di essa, la nullità si
configura, come una nullità relativa. 
Quindi solo il cliente, parte debole del rapporto, può far valere la nullità del contratto per assenza di forma
scritta. 
La nullità riguarda solo la mancata osservanza della forma scritta, e non anche il caso in cui la banca non
abbia consegnato una copia del contratto al cliente, 
Ipotizziamo un caso che si può verificare, il cliente vuole far valere la nullità del contratto, perché non si
ritrova la copia del contratto che la banca gli ha rilasciato, aziona la nullità nei confronti della banca, e la
banca, nel corso del giudizio presenta, produce, il testo contrattuale sottoscritto dal cliente. A quel punto, il
contratto è tutti gli effetti valido, non può essere dichiarato nullo. 
Un'altra fattispecie che invece si è verificata e che ha una rilevanza sicuramente più significativa, è l'ipotesi
in cui questo modulo contrattuale, che la banca rilascia al cliente l'esemplare, la copia che gli rilascia è
sottoscritto, in realtà solo dal cliente, e non reca la firma dell'impiegato della banca. Si è pronunciata
addirittura la Cassazione su questa fattispecie, per verificare se un contratto così formato, soddisfi o meno il
requisito della forma scritta, e la risposta dopo diciamo dei tentennamenti giurisprudenziale, è stata positiva,
perché non c'è dubbio che il modulo contrattuale essendo predisposto dalla banca unilaterale, perché lo
schema è quello del contratto per adesione possa essere considerato, stipulato, in forma scritta,
semplicemente se è sottoscritto dal cliente in forma di accettazione della proposta formulata dalla banca.
27
Quindi, anche il cosiddetto contratto monofirma con la firma del solo cliente soddisfa il requisito della forma
scritta, e quindi non può essere dichiarato nullo.
In caso di inosservanza della forma scritta il contratto è nullo, subspecie di nullità relativa, cioè, che può
essere fatta valere solo dal cliente, considerato parte debole del rapporto. L'altra norma, sempre materia di
trasparenza bancaria, riguarda, più in particolare la pubblicità, articolo 116 del tub. Quindi al fine di
consentire ai potenziali clienti di fare valutazioni e scelte consapevoli in relazione a contratti bancari, le
banche ci dice l'articolo 116 sono tenute a rendere note al pubblico, le condizioni economiche delle
operazioni e dei servizi offerti. Per esempio: i tassi di interesse, i prezzi, le valute, le spese e così via. 
Una rilevanza particolare ha l'indicazione, via pubblicitaria per le operazioni di finanziamento, quindi per i
mutui, per esempio, per le aperture di credito, per i prestiti in senso più ampio del taeg. 
TAEG è l'acronimo Tasso annuo effettivo globale, il taeg non comprende solo gli interessi, esprime il costo
complessivo del credito che la banca ha erogato al cliente. 
Significa che dentro il TAEG, teoricamente, ci devono essere tutti gli oneri e i costi relativi alle operazioni di
finanziamento, quindi, tassi di interesse, commissioni, le spese, ecc. 
Il TAEG è espresso in percentuale su base annua. 
Il fatto che debba essere obbligatoriamente espresso in percentuale ha una ragione ben precisa, che solo se è
espresso in percentuale, quindi è chiaro che scomputa l'ammontare del prestito, non lo considera, perché se
fosse espresso in misura assoluta è chiaro che i costi aumentano all'ammontare all'aumento, dell'ammontare
del prestito. 
Se invece lo esprimiamo in misura percentuale, lo rendo indipendente rispetto all'ammontare del prestito
concesso, a questo punto il TAEG diventa confrontabile, cioè il cliente ha la possibilità di confrontare le
diverse offerte di finanziamento, semplicemente paragonando le percentuali di TAEG offerte dalle diverse
banche, dai diversi intermediari finanziari. 
è un'indicazione molto molto importante per tutte le operazioni di finanziamento, anche perché, conoscere
solo il tasso di interesse, non aiuta, perché la banca, attraverso posti talvolta volta un po' mascherati, un po'
oscuri, un po' così, variamente denominati, riesce a rendere più oneroso il finanziamento, senza che il cliente
lo percepisca guardando solo al tasso di interesse. 
Di regola il tasso di interesse prende il nome di TAN nei rapporti di finanziamento, tasso che riguarda
solamente l'interesse propriamente detto, mentre il taeg comprende anche tutti gli altri costi del
finanziamento. 
Come devono essere rese note queste condizioni economiche delle operazioni e dei servizi offerti?
Il 116 su questo punto non ci dice nulla, perché in realtà affida all'autorità creditizia, una delle autorità
creditizie, cioè il CICR, il comitato interministeriale per il credito e risparmio, il compito di determinare la
forma, il contenuto, e le modalità della pubblicità. 
Il CICR almeno prevedeva che queste condizioni fossero rese note mediante avvisi sintetici affissi all’interno
dei locali della banca, e poi fogli informativi analitici messi a disposizione della clientela. 
In realtà questa modalità ormai non è più utilizzata, perché sostituita con l'avvento delle nuove tecnologie,
dalla pubblicità resa attraverso soprattutto i siti internet e anche i fogli informativi analitici che vengono
messi a disposizione della clientela, oggi non sono quasi mai in forma cartacea, ma il più delle volte sono
inviati dalla banca al cliente tramite e-mail o messi a disposizione del cliente nella sua area riservata
dell'home banking. 

28
L'articolo 116, riguarda la pubblicità nella fase precontrattuale, quindi siamo prima di stipulare il contratto, il
cliente già deve farsi un'idea delle condizioni e delle clausole contrattuali, soprattutto le condizioni
economiche in questa fase sono rilevanti, per poter effettuare una scelta consapevole. 
Cioè per poter scegliere sul mercato quella che è l'offerta contrattuale che più è confacente alle sue esigenze,
alle sue aspettative. Questa pubblicità ha rilevanza anche in relazione al contenuto minimo obbligatorio dei
contratti. Il contenuto minimo obbligatorio dei contratti è a sua volta disciplinato nell'articolo 117, dove è
disciplinata anche la forma del contratto, e si dice che all'interno dei contratti bancari, devono essere indicati
il tasso di interesse, e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi per i contratti di credito, gli eventuali
maggiori oneri in caso di mora. 
Questa norma sancisce quello che è il principio di completezza del contratto bancario, il contratto bancario
non ha un contenuto totalmente libero, perché alcune clausole, quelle in particolare che prevedono le
condizioni economiche, devono essere obbligatoriamente inserite in contratto: il tasso di interesse, ogni altro
prezzo è condizione praticati inclusi per i contratti di credito gli eventuali maggiori oneri in caso di mora. 
Gli interessi di mora sono il ritardo nel pagamento che porta l'applicazione di interessi che vengono
conteggiati a carico del cliente. Quindi, per esempio, se il cliente paga la rata del mutuo in ritardo rispetto
alla scadenza, a quel punto la banca può conteggiarti degli interessi di mora, purché questi siano indicati in
contratto. 
L’articolo 117 fa divieto di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse di ogni altro prezzo in
condizione praticati. Questa norma è stata introdotta per rispondere a una prassi bancaria molto diffusa, cioè
quella di rendere l’indicazione in contratto dei tassi di interesse, prezzi e condizione praticati, comunque
indeterminata, rinviando agli usi praticati presso determinate piazze. Si dice che il tasso di interesse è quello
usualmente praticato sulla piazza di Milano, per dire quando si stipula un contratto bancario a Milano, e con
questa clausola che era diffusa nelle norme bancarie uniformi, oggi non è più valida per effetto di questa
norma, il tasso, prezzo, e la condizione devono essere indicati in maniera espressa, e non mediante un rinvio
agli usi praticati sulle piazze. Quindi una clausola di questo tipo oggi sarebbe evidentemente nulla, per
quanto ci dice l'articolo 117. 
Mentre ben più rilevante e l'altra ipotesi di nullità, ed è quella in cui le clausole inserite in contratto,
dovessero prevedere per i clienti condizioni economiche più sfavorevoli rispetto a quelle pubblicizzate. 
In questo senso, la pubblicità di cui all'articolo 116, vincola anche il contenuto del contratto, cioè, la banca
una volta che ha pubblicizzato determinate condizioni, mediante la modalità che prima abbiamo visto, è pur
sempre, chiaramente, libera di stipulare il contratto con il cliente, quindi la pubblicità non vincola la banca a
stipulare il contratto, non è di per sé un'offerta contrattuale che il cliente può accettare. 
Pur sempre la banca poi deve reinserire quelle condizioni che ha pubblicizzato all'interno del contratto, di un
modulo contrattuale, che propone al cliente che questi può accettare. Tuttavia, una volta che ha pubblicizzato
quelle condizioni, quelle condizioni sono vincolanti per quanto riguarda il contenuto del contratto, nel senso
che, se la banca decide di stipularlo non può distaccarsi dalle stesse condizioni, e questo, evidentemente per
una ragione chiara.
Cioè, una volta che la banca ha pubblicizzato delle condizioni economiche, quindi ha fatto sì che la clientela
confronti le varie condizioni economiche disponibili sul mercato, poi è chiaro che al momento della
stipulazione del contratto non può distaccarsi da quelle condizioni, perché altrimenti, ovviamente, verrebbe
meno il significato, il senso della pubblicità preventiva, che sarebbe a quel punto superfluo, perché il cliente
si è formato l’idea sulla base di condizioni che la banca gli aveva pubblicizzato, poi se la banca può derogare
a quelle condizioni al momento della stipula del contratto, quelle condizioni diventano pubblicizzate
diventano evidentemente ininfluenti. 
Questi due principi cioè sia il principio di completezza del contratto, il fatto che in contratto devono essere
obbligatoriamente inserite determinate clausole, quelle che prevedono le condizioni economiche, prezzi, tassi

29
di interesse nelle altre condizioni praticate, sia il principio di conformità delle clausole del singolo contratto
rispetto alle condizioni precedentemente pubblicizzate, che impediscono alla banca di prevedere condizioni
sfavorevoli rispetto a quelle precedentemente pubblicizzate. 
La sanzione che è prevista è in realtà una sanzione singolare e atipica, la prevede l’articolo 117 comma sette,
questa norma prevede in particolare un meccanismo di sostituzione, integrazione del contenuto del contratto,
che va sempre a favore del cliente e a danno della banca, secondo il solito meccanismo punitivo che ispira
tutta questa normativa sulla trasparenza. Nel caso in cui il tasso di interesse dovesse mancare, ovvero essere
previsto, il contratto in misura sfavorevole rispetto a quello pubblicizzato, si applicherebbero il tasso
nominale minimo, e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali, emessi nei dodici mesi precedenti.
Ovviamente l’intento è punitivo, quindi si prenderà il tasso nominale minimo per le operazioni bancarie
attive, dove la banca quindi è creditrice del cliente, quindi per la banca quello è un interesse attivo, si
prenderà il tasso secondo caso deposito bancario nominale massimo dei BOT annuali, per le operazioni
passive, in cui la banca è debitrice del cliente. 
Nel corso dell'anno il tesoro fa più emissioni di BOT, quindi ciascun emissione ha un suo tasso di interesse,
quindi nell'arco di 12 mesi, avremmo per i BOT annuali delle emissioni che hanno un tasso di interesse
massimo e delle emissioni tasso di interesse minimo. 
Vale per i tassi di interesse, per quanto riguarda gli altri prezzi e le condizioni, nel caso in cui nel contratto,
non siano previsti i prezzi e le altre condizioni, si applicano, si fa riferimento ai prezzi e le condizioni
economiche che sono stati pubblicizzati preventivamente dalla banca, per le corrispondenti categorie di
operazioni e servizi. 
Qualora dovesse mancare anche la pubblicità preventiva, nulla sarebbe dovuto dal cliente alla banca. 
Il cliente non sarebbe tenuto a pagare alcunché al di fuori del tasso di interesse per altri prezzi e condizioni
relative a quella determinata operazione. 
La clausola viene dichiarata sostanzialmente nulla se è difforme a quella pubblicizzata, ovvero se mancante
deve essere fondamentalmente integrata, nel primo caso viene sostituita, nel secondo caso viene integrata
attraverso questo meccanismo che fa riferimento per i tassi di interesse ai tassi BOT, per gli altri prezzi e
condizioni a quelle pubblicizzate, se manca la pubblicità nulla è dovuto dal cliente alla banca. 
L'articolo 118 del testo unico bancario è una norma molto importante, una sorta di manifesto, del diverso
peso contrattuale che le banche hanno nei confronti della clientela, e questa norma, articolo 118, è rubricata,
modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, e contiene quello che in gergo si chiama ius variandi,
meglio si deve dire il ius variandi, il diritto di modificare il contratto da parte della banca.
è una norma molto importante, è stata introdotta con la legge del 1992 confluita nel tub, ma poi a più riprese
è stata modificata da ultimo nel corso del 2010. 
Allora, siamo di fronte a un diritto della banca di modificare le condizioni economiche previste in contratto,
in senso sfavorevole per il cliente unilateralmente, cioè senza il consenso dello stesso cliente. Il comma
primo di questa norma prevede che nei contratti stipulati a tempo indeterminato, può essere convenuta con
clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi, e altre
condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. 
Quindi primo punto, per i contratti a tempo indeterminato, ricordiamo che i contratti bancari sono sempre
contratti di durata, quindi non si esauriscono in un unico momento con l'effettuazione della singola
prestazione, ma sono contratti che durano nel tempo. Spesso sono contratti a tempo indeterminato. 
Qual è il caso più importante del contratto bancario a tempo indeterminato che non ha una scadenza? Il conto
corrente bancario, è il tipico esempio di contratto bancario stipulato a tempo indeterminato, visto che non ci
fa una scadenza. 

30
Affinché la banca possa esercitare il ius variandi, diritto di modifica, intanto, nel contratto ci deve essere una
clausola che prevede questa facoltà per la banca, e deve essere una clausola approvata specificamente dal
cliente come clausola vessatoria, quindi ci deve essere una sottoscrizione del cliente. Dopodiché la facoltà di
modifica unilaterale dei tassi, prezzi, e le altre condizioni previste dal contratto, può essere esercitata dalla
banca solo qualora sussista un giustificato motivo. Quindi dovremmo intenderci sul significato di giustificato
motivo, può riguardare sia il peggioramento delle condizioni soggettive del cliente, per esempio il cliente ha
una diminuzione del suo reddito mensile, e questo induce la banca a riformulare le condizioni economiche a
suo carico.
Il giustificato motivo può però riguardare anche delle variazioni che si riscontrano nella situazione
economica generale, nel contesto economico generale. 
Per esempio, una variazione dei tassi di interesse da parte della BCE può avere effetto a livello di singolo
contratto, perché la banca per adeguarsi a quel diverso costo della liquidità del credito, può modificare
unilateralmente il contratto, prevedendo tassi più alti e più bassi di quelli inizialmente convenuti. 
Negli altri contratti di durata, questa stessa facoltà di modifica unilaterale del client, non può riguardare
clausole che disciplinano i tassi di interesse, almeno quando il cliente è un consumatore, o una
microimpresa. 
Negli altri contratti di durata quando il cliente è un consumatore o una microimpresa la facoltà, il ius variandi
non può riguardare le clausole che disciplinano i tassi di interesse, che a questo punto non possono essere
modificate. 
Quindi la distinzione di base che noi possiamo fare, è tra contratti a tempo indeterminato per i quali la facoltà
di modifica unilaterale può essere convenuta per tutte le condizioni previste in contratto, altri contratti di
durata, per esempio, i mutui per i quali la predetta facoltà può essere convenuta per le clausole che non
riguardano i tassi di interesse, perché queste ultime invece devono rimanere sostanzialmente, così come sono
state inizialmente convenute. 
Se però il cliente non è né un consumatore, né una microimpresa, quindi (ricordo che la microimpresa
impresa con meno di 10 persone occupate, e con un fatturato annuo totale di bilancio che non supera i
€2000000), un'impresa relativamente piccola, a quel punto, nei contratti di durata, anche a tempo
determinato, per esempio i mutui, possono essere inserite clausole che espressamente approvate del cliente,
che prevedono la possibilità di modificare anche i tassi di interesse, al verificarsi di specifici eventi e
condizioni. 
In questo caso non si parla di giustificato motivo, ma si parla di specifici eventi e condizioni, quindi
sembrerebbe che questi specifici eventi e condizioni devono essere indicati in maniera puntuale in contratto,
a differenza del giustificato motivo, che invece è una clausola generale, può essere interpretata così modifica
la situazione economico patrimoniale del cliente, o variazioni della situazione economica del contesto
economico generale. 
Il comma secondo dell'articolo 118, afferma che, qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali
deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la
formula proposta di modifica unilaterale del contratto. 
Se avete dei contratti bancari, più volte ti ricevere simile comunicazioni, cioè proposte di modifica
unilaterale del contratto, che devono nella loro intestazione, recare proprio questa formula, perché questa
formula dovrebbe accendere la lampadina nella mente del cliente, cioè dovrebbe fungere da allert quando
arriva una comunicazione della banca recante questa forma. Perché implica una variazione in senso
sfavorevole rispetto al cliente delle condizioni economiche inizialmente convenute. 
Questa proposta deve giungere con un preavviso minimo di 2 mesi in forma scritta, chiaramente, la forma
scritta può essere assolta oggi anche attraverso la modalità telematica, fondamentalmente, la modifica si

31
intende approvata ove il cliente non receda senza spese dal contratto, entro la data prevista per la sua
applicazione. 
In tale caso in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all'applicazione delle condizioni
precedentemente praticate. 
Le variazioni contrattuali che non seguono questo schema, cioè in relazione alle quali la banca non osserva le
prescrizioni di cui al comma secondo, e di cui al comma primo in relazione alla sussistenza del giustificato
motivo, sono inefficaci, se sfavorevoli al cliente. 
La modifica unilaterale delle condizioni contrattuali, c'è un'espressione unilaterale che ha un significato ben
preciso, un significato specifico o speciale del contratto bancario. 
Perché per modificare un contratto in diritto privato, è necessario il consenso tra le parti, è necessario sia
stipulare il contratto, sia per estinguerlo, sia per modificare.
Per il contratto bancario invece, vige una regola particolare perché la modifica può essere fatta
unilateralmente dalla banca.
C’è una concessione favorevole rispetto al ceto bancario, per la particolare natura del contratto bancario.
Perché il contratto bancario è un contratto di durata, spesso la durata è molto lunga, di frequente siamo di
fronte a contratti stipulati a tempo indeterminato, quindi è normale che l'originario quadro di riferimento
pensato per quel rapporto, specie sotto il profilo delle condizioni economiche, possa nel tempo non essere
più adeguato, quindi debba essere modificato. Questo non è un evento anomalo, eccezionale, come avviene
di regola per i contratti, ma è un dato fisiologico del rapporto bancario. 
Quindi è chiaro che la banca deve poter adeguare un rapporto alle nuove condizioni economiche che si
dovessero venire a verificare in capo al singolo cliente, ovvero, nel contesto economico generale. 
è chiaro che per riequilibrare una posizione che altrimenti sarebbe troppo sfavorevole per il cliente, però la
norma dal cliente una via d'uscita, cioè la possibilità di recedere entro questo periodo del preavviso di due
mesi, entro il quale quindi quella modifica non è ancora efficace, il cliente può recedere se decide di ricevere
le condizioni economiche che si applicano nella liquidazione del rapporto, sono quelle precedentemente
praticate. 
Quello che sicuramente il cliente non può fare è impedire che la modifica unilaterale del contratto abbia
efficacia, cioè, non può impedire, non può obbligare la banca a mantenere le condizioni economiche
precedentemente praticate. Per far ciò è obbligato a sciogliersi dal vincolo contrattuale esercitando diritto di
recesso. 
Esiste anche una norma più generale in realtà che regola il diritto di recesso rispetto a quella ora esaminata
che all'articolo 120-bis del tub, e che dice che in qualunque contratto bancario stipulato a tempo
indeterminato, il cliente ha in ogni caso diritto di recedere in ogni momento, senza penalità e senza spese.
La differenza rispetto al recesso dall'articolo 118, è che quel recesso è legato al fatto che sia stata prevista
una modifica unilaterale del contratto, questo recesso invece libero, può essere esercitato in ogni momento,
può essere esercitato in maniera libera, quindi senza che ci sia una causa, e non è oneroso per il cliente. 
è un diritto di recesso che ha un campo di applicazione molto ampio, e in particolare impedisce la banca
questa norma di addebitare costi per il recesso, per esempio, costi di chiusura del conto, che
chiaramente, ostacolerebbe l'uscita dei clienti dai rapporti bancari stipulati a tempo indeterminato. 
L’ultima norma in materia di trasparenza è l’articolo 119 tub, che dice che le banche, nei contratti di durata,
devono fornire al cliente in forma scritta o mediante altro supporto durevole a scadenza del contratto, o
almeno una volta all'anno, una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto. 

32
Questa è sempre una norma di trasparenza, ma riguarda, nello svolgimento del contratto, la fase esecutiva di
svolgimento del contratto, quindi la fase in cui il contratto viene eseguito. Siamo nella fase post contrattuale,
non precontrattuale, neppure nella fase di stipula del contratto.
In particolare, questa norma dell'articolo 119 tub assume una sua peculiare valenza proprio in relazione al
contratto bancario per eccellenza, cioè al contratto di conto corrente, perché in questo caso, vige la
comunicazione periodica, più importante, più rilevante, che è l'invio dell'estratto conto, che deve essere fatto
con periodicità almeno annuale, dice la norma, ma scelta del cliente può avvenire con periodicità, anche
semestrale, trimestrale, o addirittura mensile. Queste comunicazioni fissano lo stato del rapporto tra banca e
cliente in un determinato momento, perché in assenza di opposizione scritta da parte del cliente, gli estratti
conto, così come tutte le altre comunicazioni periodiche effettuate dalla banca al cliente, si intendono
approvati trascorsi 60 giorni dal ricevimento delle stesse. 
Questo ci dice l’articolo 119 del TUB.

33

Potrebbero piacerti anche