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DISPENSA di DIRITTO COMMERCIALE

Tutte le lezioni saranno comunque registrate e caricate su E-Learning.


Aspetti generali del corso:
Il corso terminerà poco prima la pausa natalizia e durante l’anno NON ci saranno delle prove
intermedie. Gli strumenti di lavoro necessari saranno gli appunti delle lezioni, il codice civile
aggiornato e di procedura civile ed il manuale.
Le lezioni offrono un contributo in più rispetto al manuale. Durante il corso copriamo meno
argomenti rispetto a quelli contenuti all’interno del manuale ma lo facciamo in maniera più
approfondita attraverso dei ragionamenti, discussioni e chiarimenti che ci permettono di capire
il metodo più appropriato per affrontare la materia. Per far si che le lezioni siano utili è
necessario prendere appunti e partecipare alla discussione.
È possibile partecipare a quello che viene de nito seminario competitivo del tutto volontario
che fornisce dei CFU (da 1 a 3)
Consigli del docente:
• Capire e non memorizzare chiedendosi sempre il perché delle regole.
• Darsi del tempo per assimilare i contenuti
• Esercitarsi facendo domande e preparando l’esame insieme a dei compagni
• Seguire quello che accade nel mondo
Ricevimento docente: su appuntamento tramite WebEx
Introduzione del corso
Di cosa si occupa questo corso?
Il diritto commerciale, meglio de nito come diritto delle imprese, fa riferimento al diritto
civile che si occupa di imprese e delle attività produttive. In questa materia si tratta di soldi,
investimenti, crediti e debiti. Inoltre ci permette di capire le modalità attraverso cui diventano
possibili le cose come ad esempio capire come si passa da una semplice idea ad una grande
multinazionale. Il principale motore di questo sviluppo è il business ma senza l’aiuto del diritto
il business non sarebbe in grado di andare da nessuna parte.
Cosa ha di interessante?
Si parla di soldi, investimenti, debiti e crediti, ma in ultima istanza il tema è come rendere
possibili le cose, le imprese nel senso più ampio del termine (iniziative, idee, invenzioni che
rispondono ai nostri bisogni).
Cosa tratteremo durante questo corso?
Durante le lezioni tratteremo delle questioni concrete e allo stesso tempo dei problemi
profondi. Il diritto commerciale quindi permette di capire fenomeni complessi ma centrali nella
vita sociale e lavorativa e allo stesso tempo fa capire logiche e dinamiche che servono per
orientarsi in tutti i campi del diritto. Inoltre il diritto commerciale ci permette di capire come la
giustizia e l’ef cienza vengono applicate dove ci sono i soldi.
Cosa ha di dif cile questo corso?
Le dif colta legate a tale materia sono dovute al fatto che tratteremo una realtà, ovvero quella
dell’impresa, distante dall’esperienza quotidiana e quindi complicata per chi non è abituato a
viverci. Questo comporta la necessità di sforzarsi per capire concretamente di cosa si tratta e per
capire il senso delle regole.

LEZIONE 1
La realtà regolata nel diritto commerciale
Per poter cogliere gli aspetti del diritto positivo, quindi costituito da norme che vengono poste
da un’autorità con potere normativo, bisogna cogliere gli aspetti che tale diritto va a regolare.

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Bisogna dunque conoscere quella che viene de nita realtà regolata e per quali ragioni
necessita di essere regolata.
Per quanto riguarda il diritto commerciale la realtà regolata è costituita dalle imprese ovvero
soggetti che svolgono una attività economica produttiva che quindi hanno come obbiettivo
quello di fornire un’utilità suscettibile di valutazione economica. Questo comporta una
interazione con altri soggetti che può essere ricondotta all’ambito del diritto privato (ad
esempio i contratti possono essere tranquillamente applicati a quelle che sono le imprese).
La necessita di istituire una branchia del diritto differente dal diritto privato che andasse a
regolamentare l’attività svolta dalle imprese sta nelle diverse caratteristiche che tali soggetti
hanno dal semplice soggetto del diritto privato.

LEZIONE 2
Cosa cambia dal punto di vista pratico dal punto di partenza (cucinare a domicilio dagli
amici con un compenso) ad un punto di arrivo (un vero e proprio servizio di catering)?
• I clienti aumentano di numero. L’aumento dei clienti è sia quantitativo che qualitativo e questo
comporta il fatto che non posso più cucinare in maniera autonoma ma ho la necessità di alcuni
collaboratori;
• L’azienda entra in competizione con altre aziende del settore (concorrenza).
• Per arrivare ad offrire una prestazione è necessario reperire gli ingredienti (senso letterale) da
qualcuno (fornitori). Il cambiamento sta nel fatto che per cucinare ad un gruppo di persone
ristretto spenderà meno rispetto al servizio di catering.
• Oltre a ciò cambia anche il nanziamento monetario di una rispetto all’altra. Tutto
ovviamente dipende dalle risorse monetarie di ciascuno. E’ necessario cercare quindi
nanziamenti, prestiti, investimenti per coloro che non dispongono delle risorse monetarie
necessarie per avviare l’attività d’impresa.
• In ambito di diritto privato l’impresa deve auto-sostenersi (problema di continuità
aziendale).
• Nel rapporto con i fornitori cambia il fatto che un servizio di catering deve stipulare un
contratto di continuità e di conseguenza si può ricon gurare le condizioni economiche alle
quali si rifornisce (prezzi più agevolati). Di conseguenza a ciò cambiano anche i tempi di
pagamento. Sicuramente anche nelle realtà più piccole (cucinare a domicilio per parenti) si
compie la spesa con ripetitività, ma questa è differente dalla continuità di una realtà più
grande (servizio di catering).
I tratti che differenziano una realtà di impresa da una persona privata sono:
Cosa cambia dal punto di vista pratico tra il punto di partenza ovvero quello di cucinare a
domicilio per conoscenti retribuito ad un servizio di catering per mense, matrimoni ed eventi
(avvio di un’attività d’impresa)?
• La maggior frequenza di interazioni economiche e quindi di rapporti giuridici con soggetti
privati. All’interno del diritto commerciale più che i singoli rapporti che l’impresa ha con i
privati, de nita atti, viene presa in considerazione l’insieme di tutti gli atti che prende il nome
di attività. Questo porta la nascita di una necessita di velocità e sicurezza di rapporti
giuridici
• Ho la necessita di altre persone e altri mezzi per svolgere un’attività che non sarei in grado di
svolgere in maniera autonoma. Questo insieme di mezzi e di persone prende il nome di
organizzazione. La nascita delle organizzazione porta al fatto che i rapporti non avvengono
tra individui ma tra delle entità che hanno un’organizzazione interna complessa
• Esigenza di acquisire maggiori dimensioni patrimoniali attraverso la raccolta di capitali
esterni

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• C’è il rischio di fallire in un contesto in cui abbiamo della concorrenza
I diversi ambiti del diritto commerciale sono:

I soggetti: sono al centro di tutto ciò, sono il perno attorno a cui ruota tutto il resto
• Imprese;
• Società;
• Rapporti di lavoro (si interseca con il mondo dell’impresa ma non si esaurisce al suo interno,
tema del diritto del lavoro).
Rapporti commerciali: collegati ai soggetti
• Contratti di impresa;
• Mezzi di pagamento;
• Rapporti con i consumatori.
L’attività d’impresa e questi rapporti si realizzano all’interno del mercato di libera concorrenza
Interazione con il mercato:
• Concorrenza;
• Proprietà industriale.
2 canali di approvvigionamento di capitali esterni:
Finanziamento:
• Banche;
• Mercati nanziari.
Rischi:
• Assicurazioni: proteggersi dai rischi è una funzione a cui risponde l’ambito assicurativo, che
oltre ad offrire una copertura da molti rischi, al tempo stesso funge da canale di
intermediazione delle risorse nanziarie alle imprese e si interseca con ( nanziamento).
Crisi:
• Procedure concorsuali: si occupa dell’eventualità in cui l’impresa non riesce più ad andare
avanti.
All’interno di questo corso noi ci occuperemo dei soggetti del diritto commerciale trattando in
maniera approfondita le società e le imprese.
Lo sviluppo storico della disciplina
Il diritto commerciale è un campo giuridico che è nato nella fase dell’età mercantile del Basso
Medioevo (XI-XIII sec.) e che quindi è giunto ai nostri giorni a seguito di uno sviluppo storico di
almeno un millennio che cii aiuta a cogliere le caratteristiche odierne di tale disciplina.
Durante il Basso medioevo si passa da un sistema feudale, basato sulla proprietà di un fondo
di dimensioni enormi, a un sistema basato principalmente sul commercio. Questo comporta un

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maggior dinamismo della vita economica dovuto al fatto che il commercio si basa su quello
che è lo scambio di merci. Questo maggior dinamismo fa emergere delle nuove esigenze che
pero non trovano risposte adeguate nel diritto romano e canonico del tempo. Proprio in questo
periodo nascono i primi contratti di assicurazione, i primi prestiti a titolo oneroso e si inizia a
pagare attraverso dei pezzi di carta che prendono il nome di titolo di credito che vanno a
sostituire le monete vere e proprie.
A questo punto, data la maggior rilevanza del commercio, la corporazione dei mercanti
diventa la più importante e al suo interno si sviluppano alcune consuetudini che vengono
formalizzate negli statuti di tali corporazioni. Nasce quello che viene de nito diritto
commerciale.
Lo sviluppo del diritto commerciale prosegue no alla nascita degli stati nazionali (XVI-XVII sec)
passando da diritto delle corporazioni ad un vero e proprio diritto statale anche perché il
ceto imprenditoriale aveva una maggior in uenza sul processo legislativo.
Con il nire del XVII sec, con la rivoluzione industriale, abbiamo delle esigenze per quanto
riguarda la regolamentazione delle imprese legate alla produzione di massa. Proseguendo, con
la rivoluzione francese e l’abolizione dei ceti, abbiamo un passaggio da una specializzazione su
base soggettiva svolta dai commercianti a una specializzazione su base oggettiva mediante gli
atti di commercio.
Con la codi cazione del XIX secolo, in ne, viene istituzionalizzato il dualismo con il diritto civile
che porta, in Italia, all’uni cazione in un unico codice del 1942 caratterizzato da una forte
commercializzazione del diritto civile. Il diritto commerciale è integrato con il diritto civile.
Il codice civile è la principale fonte del diritto commerciale ma ad esso si sono af ancate altre
fonti di grande rilevanza. Tra queste, a partire agli anni 70 dello scorso secolo, abbiamo quella
che è la normazione comunitaria che è arrivata ad essere una dimensione imprescindibile del
diritto nazionale. L’obbiettivo era quello di creare un mercato unico caratterizzato dalla libera
concorrenza. Per ottenere questo obbiettivo si è cercato di armonizzare gli ordinamenti dei
diversi Stati mediante delle direttive recepite mediante leggi nazionali.
Negli ultimi anni c’è stato un ritorno a una sorta di ‘lex mercatoria’ transnazionale basata sulla
analisi di scambi internazionali e la formazione di quelli che sono usi contrattuali e lei arbitrali
internazionali.
Per quanto riguarda il diritto italiano, negli ultimissimi anni, abbiamo avuto l’introduzione di
nuovi testi normativi e costanti ritocchi e modi che.

LEZIONE 3
Perché abbiamo bisogno del diritto commerciale? Cosa serve regolare le attività delle
imprese?
Le ragioni della disciplina delle imprese, e quindi del diritto commerciale, derivano dai principi
di fondo che nel nostro caso sono principi politici, economici e loso ci.
Di fronte a una determinata realtà regolata e alle norme di cui essa necessita si possono
presentare diverse soluzioni normative. Le scelte di disciplina sono guidate anche e
soprattutto da principi di partenza e dagli obbiettivi che si vogliono raggiungere. Nel nostro
ordinamento il diritto commerciale si basa su alcuni principi tracciati dalla costituzione Italiana
(artt. 41-42) e nei trattati dell’UE.
Il concetto dell’idea di mercato in libera concorrenza è strettamente legato alla mano
invisibile di Adam Smith secondo cui i rapporti economici dovrebbero funzionare attraverso il
meccanismo della mano invisibile ovvero un meccanismo secondo cui le imprese nelle
svolgimento delle trattative sono spinte dall’egoismo volto al raggiungimento dei propri
interessi ma dato l’elevato numero di imprese presenti sul mercato questo egoismo non

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provoca alcun tipo di problema. Se ogni impresa cerca di promuovere l’obbiettivo personale,
grazie alla concorrenza perfetta, vado a promuovere anche quello che è l’interesse delle
imprese concorrenti. Quindi la cosa interessante del meccanismo della mano invisibile sta nel
fatto che l’interesse personale è strettamente legato a quello delle altre imprese.
Se effettivamente il mercato funzionasse in questa maniera a livello giuridico sarebbe
opportuno non intervenire per fare in modo che il mercato si autoregoli in maniera ottimale. Nel
passaggio dalla teoria alla realtà si può dedurre che non esistono dei mercati perfettamente
concorrenziali mentre esistono dei mercati i cui ingranaggi si inceppano continuamente. Per
questo motivo è necessario intervenire per sistemare questi ingranaggi. Questa opera di
‘manutenzione’ viene fatta dall’ordinamento giuridico. Questi malfunzionamenti del mercato,
de niti fallimenti del mercato, vengono sistemati dal diritto che va a sistemare questi
malfunzionamenti concorrenziali.
Detto cosi sembra che il diritto ha una funzione totalmente residuale che opera solo noi
momenti di necessità. A livello pratico però, come già detto, non esiste un mercato che funzioni
in maniera autonoma e quindi il ruolo del diritto diventa fondamentale per la continuità e il
funzionamento dell’economia.
Quali sono i fallimenti di mercato?
Ci sono diverse categorie di fallimenti del mercato ma per il nostro corso è utile capire quattro
di queste categorie:
• Le asimmetrie informative che si veri ca tra parti di una transazione economica in cui una
parte è meno informata dell’altra sulle caratteristiche dell’oggetto dell’operazione. Più che la
carenza effettiva di informazioni l’asimmetria informativa consiste nell’impossibilità di
ottenere delle informazioni veritiere.Per rispondere a questa situazione di svantaggio il
compratore fa un’offerta minore, pari al valore medio di quel determinato prodotto, rispetto
alla richiesta che gli è stata avanzata da parte del venditore. Questo porta al meccanismo della
selezione avversa dovuto alla mancanza di ducia che porta ad abbassare il prezzo di vendita
e quindi alla vendita solamente dei prodotti e servizi di qualità inferiore che porta ad un
abbassamento della qualità media eliminando dal mercato i prodotti di qualità più elevata.
Il tipico esempio di questo fallimento del mercato è il mercato delle auto usate in cui il
venditore potrebbe non fornire tutte le informazioni al compratore. L’obbiettivo del diritto è
quello di ridurre queste asimmetrie informative ponendo degli obblighi di informazioni
posti in capo alla parte più informata per fare in modo che la parte debole possa aver
maggiore ducia perché sa di essere tutelata dalla legge. Proprio per questo obbligo
informativo le imprese, ad esempio, devono pubblicare annualmente i propri bilanci per fare
in modo che chi fornisce loro dei capitali possa avere una maggior ducia.
• Le esternalità negative si hanno nel momento in cui le conseguenze di una certa azione
ricadono non solo su chi agisce ma anche su altri individui. Se un’impresa produce un bene
utile per la società inquinando l’ambiente crea una conseguenza negativa non per se stesso
(o magari solo in piccolissima parte rispetto alle sue conseguenze positive) ma per la società e
l’ambiente in cui si trova. Questo fenomeno viene de nito azzardo morale. Nel caso in cui tali
conseguenze negative potrebbero essere irreversibili il diritto interviene mediante delle
proibizioni e con delle regole preventive che servono per rispettare tali divieti.
• Le esternalità positive sono conseguenze positive che ricadono anche su dei soggetti terzi.
Dal punto di vista economico questo può essere un fallimento del mercato in quanto il
soggetto che compie tale esternalità positiva farebbe un favore ad altre persone realizzando
un bene pubblico rispetto al quale nessuno ha fornito un contributo. Un esempio può essere
mettere i soldi nel trasformare la piazza di cemento in una distesa di verde, se lo si facesse si
farebbe un favore collettivo però come propensione uno viene trattenuto dal fatto che diviene

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un bene pubblico ma rispetto al quale nessuno ha dato un contributo. Per questo motivo si
tende a dire ‘mi piacerebbe ma spero lo faccia qualcun altro’. Questo porta al fenomeno del
free-riding ovvero sfruttare un bene offerto da altri. Questo diventa un fallimento di mercato
perché disincentiva a tenere un determinato comportamento. In questo caso il diritto
interviene prevedendo un contributo nelle tasse regionali o comunali per fare in modo che
tutti partecipino e contribuiscano al pagamento della realizzazione dell’opera.
• I limiti alla concorrenza fanno riferimento al monopolio e l’oligopolio ovvero delle situazioni
in cui la concorrenza viene meno in maniera totale, nel caso del monopolio, o in maniera tale
che non ci siano abbastanza soggetti da portare ad una concorrenza, come nel caso
dell’oligopolio. Questo porta al fatto che il singolo soggetto può, attraverso le sue azioni,
in uenzare il mercato portando ad un aumento dei prezzi dei beni. Questo è un fallimento
del mercato in quanto il perseguimento dell’interesse personale dell’impresa in monopolio
non corrisponde all’interesse sociale. In questo caso il diritto interviene andando a regolare la
concorrenza attraverso il settore dell’anti-trust che è volto a conservare condizioni di
competitività. Un altro metodo per limitare tale tipo di mercato caratterizzato dalla mancanza
di concorrenza è il mercato delle azioni che funziona solamente nel caso in cui non ci siano
dei vincoli che non vadano a limitare la circolazione di queste azioni. Questi limiti possono
essere inseriti solamente in alcuni casi e comunque per periodi di tempo limitati.
Come abbiamo notato, occorre correggere i malfunzionamenti delle dinamiche di mercato: se
questi vengono risolti dalle dinamiche spontanee di mercato, non c’è bisogno di una
regolamentazione. Nel momento in cui l’azione di fallimento del mercato, nonostante sia una
condizione necessaria, non è suf ciente, il diritto interviene.
Questo intervento produce però dei costi ulteriori rispetto a quelli di mercato.
L’adozione di regole può essere giusti cata nel momento in cui queste portano dei bene ci che
siano superiori ai costi prodotti.

LEZIONE 4
La teoria di Ronald Coase
Immaginiamo un pasticciere che ha una pasticceria con moltissimi clienti. Nel locale adiacente,
che era temporaneamente vuoto, un’imprenditore decide di aprire un ristorante di cucina
indiana. I due si conoscono ed entrano in buoni rapporti ma quando il ristorante apre il
pasticciere si rende conto che il cibo indiano ha un odore molto forte che disturba molto sia lui
e i suoi dipendenti che i suoi clienti che smettono di andare in questa pasticceria. Quello
appena citato è un semplice esempio di esternalità negativa. Si potrebbero trovare diverse
soluzioni per cercare di risolvere tale problema come l’adozione di un sistema di ventilazione
molto potente che vada ad assorbire la grandissima parte degli odori al costo di 3000€ oppure
il pasticciere potrebbe sigillare il locale e installare un sistema di climatizzazione molto potente
dal costo di 5000€ .
L’intervento del diritto ha ragione di esistere per correggere i fallimenti del mercati e per fare
in modo che il mercato si mette nelle condizioni adeguate per funzionare come dovrebbe.
Cosa signi ca che il mercato funziona bene? Il mercato funziona nella maniera più ottimale
quando conduce ad una soluzione ef ciente rispetto alle alternative e quando abbiamo una
corretta allocazione delle risorse. Nel caso in questione la soluzione più ef ciente e quella che
costa meno ovvero quella di 3000€. Senza l’intervento del diritto avremmo un’esternalità
negativa che non verrebbe risolta con la soluzione più ef ciente. Infatti il pasticciere
spenderebbe 5000€ ma successivamente citerebbe l’indiano in giudizio per ottenere il
risarcimento del danno. A questo punto l’indiano preferisce spendere 3000€ piuttosto che
5000€ di risarcimento dei danni.

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A questo punto Coase si è chiesto se è suf ciente un fallimento del mercato per giusti care
l’intervento del diritto? L’intervento giuridico porta ad una soluzione ef ciente?
No, perché nella realtà anche l’intervento del diritto ha un costo.
Immaginiamo di introdurre nei nostri codici una regola di responsabilità per chi disturba il vicino
con delle emissioni. Per ottenere l’applicazione di questa regola bisognerebbe andare in
giudizio e questo signi ca costi elevati e tempi molto molto lunghi.
A questo punto il pasticciere dovrebbe pagare anche gli avvocati facendo salire ancora di più la
spesa di 5000€.
Attraverso il teorema di Coase possiamo dire che in assenza di costi di transazione, e quindi
di ostacoli alla negoziazione, i soggetti possono trovare la soluzione migliore per tutti e più
ef ciente per la collettività (il pasticciere paga 3000€, in modo tale da avere un risparmio di
2000€ mentre l’indiano non perde nulla)
Quindi non è sempre vero che il diritto serve per arrivare alla soluzione più ef ciente in quanto ,
in assenza di costi di transazione, le parti sono in grado di giungere alla soluzione in maniera
autonoma. Il problema è che questo teorema si basa su un mondo senza costi di transazione
cosa che nella realtà non può esistere e per questo motivo il diritto è utile per fare in modo di
ridurre i costi di transazione che intercorrono tra le parti. Nel caso in cui non ci sia la possibilità
di intervenire per ridurre gli ostacoli alla negoziazione il diritto deve intervenire con norme
imperative che vadano a simulare una contrattazione tra le parti per arrivare un risultato più
ef ciente. Uno degli elementi essenziali da cui bisogna partire è che non bisogna sempre
arrivare ad una soluzione ef ciente ma bisogna arrivare ad una soluzione giusta. Per questo
motivo nel caso in cui non ci fosse l’intervento del diritto il pasticciere sarebbe costretto a
pagare 3000€ per risolvere un problema causatogli dall’indiano in quale pero non pagherebbe
nulla. Si arriverebbe cosi alla soluzione più ef ciente ma allo stesso tempo più
sproporzionata. Per questo motivo, in questo caso, l’intervento giuridico è giusti cato dal fatto
che la regola di responsabilità serve per fare in modo che si arrivi ad una soluzione ef ciente ma
allo stesso tempo giusta.
Bisogna dunque tenere conto di diverse prospettive per capire le ragioni alla base del diritto
commerciale.
Le norme delle imprese in generale..
Diritto dell’impresa —> Diritto positivo
La de nizione giuridica di imprenditore
• L’imprenditore è il soggetto che esercita l’attività di impresa;
• L’impresa è l’attività esercitata dall’imprenditore attraverso i mezzi di azienda;
• L’azienda è l’oggetto, lo strumento dell’attività che l’imprenditore utilizza per esercitare
l’attività d’impresa.
La fattispecie è una particolare situazione regolata da una norma giuridica. È una categoria che
racchiude una gamma di casi concreti identi candone certe caratteristiche distintive (nel
nostro caso i 4 elementi dell’imprenditore) al ne di determinare a quali situazioni concrete
applicare determinate regole.
Premessa di metodo: la de nizione di una fattispecie non è mai ne a se stessa, è sempre
funzionale all’applicazione di una certa disciplina.
1. Se la regola è: “tutti i mezzi di trasporto devono essere dotati della cintura di sicurezza
“(passeggino è un mezzo di trasporto);
2. Se la regola è: “nel mezzo del parco pubblico sono vietati i mezzi di trasporto” (passeggi o
non è mezzo di trasporto).

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Nel nostro ordinamento giuridico esistono molte de nizioni di imprenditore funzionali
all’applicazioni di diverse regole e all’imposizione di diverse discipline. Oltre a questo esistono
diversi tipi di imprenditori in base a:
• Il tipo di soggetto: abbiamo l’imprenditore pubblico o privato e l’imprenditore individuale o
collettivo
• Le dimensioni dell’organizzazione: abbiamo il piccolo e il medio/grande imprenditore
• Al tipo di attività: abbiamo l’imprenditore agricolo o l’imprenditore commerciale
Il codice civile parte dalla de nizione del soggetto ma in realtà de nisce l’attività de nendo,
all’art. 2082, l’imprenditore come colui che esercita professionalmente una attività
economica organizzata al ne della produzione o dello scambio di beni o servizi. Tra le
caratteristiche non abbiamo lo scopro di lucro,
Produzione e scambio di beni o servizi
L’attività dell’imprenditore deve essere un’attività produttiva volta alla creazione di una nuova
utilità. La produzione è basata sulla trasformazione di risorse mentre lo scambio è
l’intermediazione che genera un valore.
Non vengo considerato imprenditore, e quindi non sto svolgendo un’attività produttiva, quando
sto svolgendo un’attività di godimento. Un esempio legato a quanto appena detto è la
coltivazione del fondo in quanto per godermi il fondo devo coltivare producendo qualcosa. Se
io coltivo a ni familiari non posso de nirmi un imprenditore mentre se comincio a scambiare e
a fare circolare i miei prodotti posso de nirmi impreditore. L’attività produttiva può essere
immaginata come un modello comportamentale costruito da tanti singoli comportamenti,
rilevanti sul piano normativo nel loro insieme. Tale è de nita come una sequenza coordinata
strutturalmente e funzionalmente orientata al raggiungimento di un determinato scopo.
L’attività si presta ad essere quali cata a seconda della sua natura e del suo scopo (o risultato).
Il risultato deve essere socialmente riconosciuto come produttivo.
La professionalità
In questo caso si fa riferimento ad un’attività caratterizzata da uno svolgimento intenso e
frequente.
Dunque non vengo considerato imprenditore se svolgo un’attività in maniera saltuaria ed
occasionale. Il termine professionale non deve essere confuso con il termine esclusivo, in
quanto un imprenditore può esercitare due o più imprese, e con il termine continuo, in quanto
un imprenditore può svolgere un’attività stagionale.
Non vengono escluse iniziative nalizzate alla realizzazione di un unico affare che però
deve essere suf ciente complesso per non essere de nita un’attività sporadica.
La dimensione organizzativa
Si fa riferimento ai mezzi e alle modalità con cui viene svolta l’attività e consiste nel
coordinamento e nella combinazione di vari fattori produttivi. Tali fattori produttivi sono il
capitale, non solo il denaro ma anche beni e risorse non necessariamente di proprietà
dell’imprenditore stesso e il lavoro. Il rapporto tra questi due fattori produttivi può essere
diverso e non è necessaria la presenza di entrambi i fattori. Sempre per quanto riguarda il lavoro
possiamo dire che ricorre al lavoro di altre persone non signi ca che l’impresa sia collettiva.
Il ruolo dell’imprenditore è quello di organizzare e coordinare i vari fattori produttivi in una
attività e non tanto partecipare direttamente all’attività produttiva. Questo è l’elemento
distintivo tra il lavoratore autonomo, il cui lavoro personale è l’unico fattore produttivo, e
l’imprenditore.
LEZIONE 5
L’economicità

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Questa è probabilmente la caratteristica più intuitiva legata al soggetto imprenditore e serve
per caratterizzare l’attività di impresa sotto l’ambito del criterio di svolgimento. Questo perché
l’attività di imprese viene considerata tale solo se ha come obbiettivo l’economicità ovvero la
copertura dei costi con i ricavi dell’attività che sostanzialmente deve essere autosuf ciente.
L’economicità viene de nita come una caratteristica programmatica nel senso che l’impresa
mira a coprire i costi con i ricavi anche quando non ci riesce in quanto è possibile che
un’impresa chiuda il bilancio di un anno in negativo. L’altra ambiguità legata all’economicità è
dovuta al fatto che economicità non signi ca necessariamente la ricerca di un surplus dei
ricavi sui costi in quanto può essere considerata impresa anche un’attività che mira al pareggio
(le cosiddette imprese senza scopo di lucro soggettivo). Questo è l’elemento distintivo
strettamente legato a quello che viene de nito rischio di impresa derivante dall’operare
dell’impresa in un ambito di mercato e quindi di concorrenza. Il criterio dell’economicità
de nisce la ssazione dei prezzi ed è strettamente legato a quella che è la richiesta dei capitali.
Infatti questi capitali non vengono prestati gratuitamente quindi l’economicità delle imprese
deve essere anche in grado di coprire i costi dei capitali.
Se questa è l’idea di impresa non vengono considerate imprese le attività produttive che
programmaticamente sono in perdita che quindi dipendono da altri soggetti per poter
proseguire la loro attività come ad esempio succede con le imprese pubbliche o gli enti di
bene cienza che sono legate ad una determinata associazione che copre i costi.
Tutti i soggetti che presentano le caratteristiche appena citate sono tutti assoggettati alla
disciplina delle imprese.
Il modello comportamentale descritto dalla norma esaustivo in quanto contiene gli elementi
non solo necessari ma anche suf cienti che devono caratterizzare un certo fatto af nch esso
possa considerarsi giuridicamente come impresa. In quest’ottica, ci si pu sbarazzare
agevolmente di due (pseudo) questioni che af orano tradizionalmente nel dibattito sulla
fattispecie: se un fenomeno produttivo possa quali carsi come impresa nel caso in cui la
produzione non sia destinata ad essere collocata sul mercato (c.d. impresa per conto proprio:
si pensi a chi costruisca in economia la propria villa, assumendo in proprio il personale e
acquisendo i materiali necessari per l’erezione dell’immobile) o nel caso in cui si sia svolta senza
osservare le condizioni richieste dalla legge per la sua iniziazione (c.d. impresa illegale) o
persegua direttamente o indirettamente una nalit illecita (c.d. impresa immorale o ma osa).

Un soggetto che esercita delle attività illecite può essere considerato imprenditore?
Se guardiamo alla de nizione di imprenditore anche chi svolge un attivista economica illegale
può essere considerato imprenditore in quanto nell’art. 2082 è indicato solamente che è
imprenditore colui che ‘esercita professionalmente una attività economica organizzata al ne
della produzione o dello scambio di beni o servizi’ senza che sia indicato che l’attività in
questione deve essere legale. La risposta però varia in funzione della regola che vogliamo
applicare in quanto bisogna capire al ne di quale regola da applicare si vuole sapere se un
determinato soggetto è o meno un imprenditore.
Esempio: il signor X che produce cocaina va a comprare grandi quantità di sostanze chimiche
con la promessa di pagare il prezzo stabilito entra 30 giorni. Nel fare questa attività il signor X ha
dei debiti. Dal punto di vista dei creditori, questo soggetto è un imprenditore? Questo ha grande
importanza perchè un imprenditore è soggetto a fallimento e quindi i crediti possono richiedere
il fallimento mentre in caso contrario i creditori non possono fare riferimento a questo istituto.
Ancora possiamo dire che l’imprenditore può tutelare il marchio dei suoi beni citando a giudizio
chi imita il suo marchio. A questo punto ci dobbiamo chiederci se il nostro signor X può citare a
giudizio un altro spacciatore che vende pasticche simile alle sue. Chiaramente la risposta è no.

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Bisogna dunque analizzare la disciplina che ci interessa per giungere a una risposta che, a
questo punto, non può essere fornita in maniera generale e assoluta. Le norme che vanno a
tutelare l’imprenditore non possono essere certamente applicate nel caso in cui l’imprenditore
svolge un attività illecita. In ogni caso bisogna tenere conto della distinzione che c’è tra l’atto e
l’attività in quanto se l’attività è illecita non è detto che tutti gli atti siano illeciti cosi come è vero
che un’attività può essere lecita ma può essere esercita con degli atti illeciti.
La disciplina dell’impresa
Nell’impianto originario del codice civile la nozione di imprenditore era funzionale
all’applicazione dell’ordinamento corporativo che voleva essere una delle espressioni del
regime fascista in ambito economico. Caduto il regime è stato immediatamente soppresso
l’ordinamento corporativo è quindi l’impresa è diventata una materia priva di disciplina
organica. Nonostante questo rimangono in vigore diversi pro li di disciplina dell’impresa che
però era molto dif cile con gurare in un sistema organico. Nel 2011 è stato introdotto quello
che lo ‘Statuto dell’impresa’ anche se in realtà si tratta di disposizioni programmatiche o
organizzative. È invece previsto dal codice civile uno statuto generale dell’impresa
commerciale medio/grande che col tempo è stato oggetto di estensioni anche ad altre
imprese o attività produttive.
L’elevata numerosità e frequenza di rapporti giuridici che un’attività di impresa ha comporta
delle esigenze di pubblicità. Da un lato l’imprenditore ha bisogno di poter contare su metodi
semplici e sicuri per fare conoscere ai terzi notizie e accadimenti che lo riguardano mentre
dall’altro abbiamo i terzi in rapporto con l’imprenditore hanno bisogno di modi sicuri per potere
avere informazioni essenziali e aggiornato sull’impresa e sulle sue attività. Per soddisfare queste
esigenze la nostra disciplina ha previsto un sistema di pubblicità incentrato su un registro delle
imprese (art 2188 del cc).
Il registro delle imprese, nato nel 1942 e diventato operativo nel 1995, è una sorta di anagrafe
delle imprese ovvero una banca dati telematica che contiene le informazioni che riguardano le
imprese (caratteristiche, atti ed eventi) e che è consultabile da tutti online. All’interno di questo
registro devono essere iscritte, secondo il principio di tipicità, sono le informazioni prescritte
dalla legge. In determinati casi è richiesto anche il deposito (atto costitutivo e bilancio delle
società di capitali).
Il registro delle imprese si compone della:
• Sezione ordinaria dedicata agli imprenditori commerciali medio/grandi (società commerciali)
• Sezione speciale nata nel corso del temo per estendere il regime pubblicitario ad altri tipi di
imprese e per mettere in evidenza particolari situazioni ma questo ha portato ad una
situazione caotica e ridondante.
La gestione di tale registro è af data a enti pubblici de niti camere di commercio divise per
aree territoriali dopo la riforma Madia (precedentemente erano divise per province).
Sugli atti dell’uf cio del registro, retto da un conservatore, vigila il giudice del registro che è
delegato dal presidente del tribunale di occuparsi di quegli atti. Ogni imprenditore ha l’obbligo
di indicare negli atti e nella corrispondenza (e sul sito per le società di capitali) il registro in cui
sono iscritti e il numero di iscrizione al registro dell’imprese per certi care la sua iscrizione.
Per quanto riguarda il procedimento di iscrizione l’imprenditore deve fare domanda all’uf cio
del registro territorialmente competente generalmente entro 30 gg dall’atto o dal fatto da
iscrivere.
Nel caso in cui si dovesse iscrivere una nuova impresa vige la comunicazione unica per
l’impresa che dovrebbe avvenire come primo adempimento ancora prima del concerto avvio
dell’attività.

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È inoltre prevista l’iscrizione d’uf cio con decreto del giudice del registro. Se l’uf cio dovesse
ri utare l’iscrizione, l’imprenditore ha la facoltà di far ricorso al giudice del registro entro 8
giorni. Si è discusso a lungo se il controllo dell’uf cio sia anche un controllo di tipo sostanziale
oltre che formale (es. se le notizie siano vere), ma in realtà non è così, in questo caso l’iscrizione
sarebbe troppo onerosa anche rispetto alle tempistiche. Allo stesso modo, l’iscrizione può
essere cancellata d’uf cio se riscontra che un’informazione non sia veritiera.
L’uf cio del registro opera un controlla di regolarità formale, legata alla completezza del
documento e le condizioni per l’iscrizione. Questo controllo può essere svolto, per gli atti
pubblici di impresa, anticipatamente da parte del notaio.
Secondo alcuni il controllo dell’uf cio del registro deve estendersi alla regolarità sostanziale
per veri care se ciò che viene noti cato è effettivamente vero.
LEZIONE 6
Quali effetti giuridici produce l’iscrizione o meno di un atto previsto dalla legge nel
registro delle imprese? L’iscrizione di untato nel registro delle imprese è opponibile ai
terzi?
Esistono diversi tipi di pubblicità:
• Pubblicità notizia;
• Pubblicità dichiarativa;
• Pubblicità costitutiva
La pubblicità degli atti di impresa è un tipo di pubblicità dichiarativa che dunque è
caratterizzata della presunzione di conoscenza e quindi ha la funzione di fare entrare i soggetti
terzi a conoscenza dell’atto in questione e lo rende opponibile nei confronti di quest’ultimo. La
presunzione di conoscenza può essere una presunzione relativa o assoluta. La presunzione,
in termini giuridici, comporta il fatto che non bisogna dare prova di un determinato fatto. La
presunzione è assoluta quando non ammette prova contraria mentre si dice che è relativa
quando ammette prova contraria. Quindi in caso di presunzione relativa è solo uno
spostamento dell’onere della prova. A difesa dei fruitori di informazioni possiamo dire che
se quello che viene pubblicato nel registro delle imprese viene presunto conosciuto con
ef cacia assoluta un atto che non viene pubblicato, ma che sarebbe dovuto esserlo, si
presume non conosciuto. Abbiamo quella che viene de nita presunzione di ignoranza. La
presunzione di conoscenza è assoluta mentre la conoscenza di ignoranza è relativa. Questo
signi ca che è ammessa la prova dell’effettiva conoscenza.
Per quanto riguarda le società di capitali nei primi 15 gg l’atto è caratterizzato da una
presunzione di conoscenza relativa.
Esempio: se io devo mettere tutte le informazioni importanti del corso ma io mi dimentico di
inserire una delle informazioni si presume che tale informazione non sia conosciuta. Posso però
dimostrare che esso era a conoscenza dell’atto anche se non ho adempiuto al mio obbligo
pubblicitario.
Sono previste però delle rilevanti eccezioni che riguardano le iscrizioni con ef cacia
costitutiva (es. l’atto costitutivo di società di capitali) sia le iscrizioni con ef cacia normativa
(es. società irregolari).
Per quanto riguarda la pubblicità costitutiva del registro delle imprese possiamo dire che
alcune delibere delle imprese non producono effetti giuridici no al momento in cui non
vengono iscritte nel registro delle imprese.
Per quanto riguarda le sezioni speciali possiamo dire che la pubblicità svolge solo la funzione
di pubblicità notizia senza produrre quindi effetti giuridici. In questo caso non abbiamo la
presunzione di conoscenza eccetto che alcune eccezioni come succede per le imprese
agricole in cui la pubblicità ha effetto dichiarativo.

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La disciplina dei collaboratori interni all’impresa o disciplina della rappresentanza
commerciale…
La disciplina dei collaboratori interni vuole rispondere all’esigenza di farsi aiutare da altre
persone per svolgere la propria attività (vedi esempio iniziale del cuoco che cucina per gli amici
per poi aprire un’attività di catering). Questi aiuti possono essere rappresentati da aiuti pratici
no ad aiuti economici. Quando si crea un organizzazione con più persone vengono a de nirsi
due ordini di problemi. Il primo ordine di problemi riguarda l’assegnazione di poteri di
decisione nell’organizzazione interna mentre il secondo ordine riguarda l’assegnazione di
poteri di rappresentanza nell’attività esterna.
Esempio: una signora molto ricca manda il suo maggiordomo ad acquistare un’auto per conto
suo ssando dei paletti sul colore e sul prezzo della vettura. Il maggiordomo va e torna con un
auto che non rispettava uno dei due paletti che erano stati ssati dalla signora. Il problema
giuridico consiste nel capire se la signora (la rappresentata) può opporre al concessionario
la deviazione delle indicazioni da parte del rappresentante?
Il meccanismo della rappresentanza prevede la presenza della procura ovvero un’atto
giuridico con cui il rappresentato conferisce potere al rappresentante di svolgere atti giuridici
per suo conto. Secondo il diritto privato, gli atti che non rispettano la procura non producono
effetti giuridici.
Nell’esempio che abbiamo fatto possiamo dire che l’interesse della signora è quello di
recuperare i soldi che sono stati spesi per l’acquisto dell’automobile cercando di tutelare quella
che è la sua autonomia privata mentre per quanto riguarda il proprietario del concessionario
possiamo dire che ha l’interesse di evitare che tutti i clienti tornino tempo dopo l’acquisto
chiedendone la restituzione comportando il fatto che il concessionario non potrebbe fare
af damento sulla conclusione del contratto soprattutto perchè lui non è assolutamente a
conoscenza dei paletti che erano stati posti dalla signora.
Tali interessi sono in con itto a causa del comportamento del rappresentante che agisce senza
rispettare quanto gli è stato detto dal rappresentato attraverso la procura.
Quindi il diritto civile de nisce che il problema dell’organizzazione interna è in linea di
principio irrilevante mentre il problema dell’interazione con i terzi per tramite di altre persone
vive regolato con l’istituto della rappresentanza che mira alla tutela dell’interesse e della
volontà del rappresentato. In questo caso è onere del terzo provare la sussistenza dei poteri di
rappresentanza, mediante la procura. È possibile opporre ai terzi l’atto che è stato compiuto
dal rappresentante senza procura oppure eccedendo i limiti di tale potere.
Il diritto commerciale invece disciplina il problema dell’organizzazione interna per
sempli care la contrattazione interna e la sua conoscibilità all’esterno mentre per quanto
riguarda il problema della rappresentanza viene affrontato derogando alle regole del diritto
civile per poter dare prevalenza alla speditezza degli atti con cui si svolge l’attività di impresa.
Per fare questo bisogna fare in modo che venga tutelato maggiormente l’af damento dei terzi.
La disciplina della rappresentanza commerciale si basa su una corrispondenza del potere di
rappresentanza alla funzione svolta all’interno dell’organizzazione. Di solito alla gerarchia
interna dell’organizzazione corrisponde una sorta gerarchia del potere di rappresentanza.
Questa gerarchia è un qualcosa di molto intuitivo per i soggetti terzi.
Inoltre la legge stabilisce che la procura, in questo caso, serve per limitare il potere di
rappresentanza e non per conferire tale potere.
La disciplina della rappresentanza commerciale non esclude la possibilità che l’imprenditore
possa anche utilizzare la rappresentanza di diritto civile. Queste regole valgono per i
collaboratori interni all’impresa ma nulla impedisce la possibilità che l’imprenditore si avvalga di
altri collaboratori esterni.

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Il codice civile prevede solo tre gure di collaboratori interni che servono a de nire i poteri di
decisione e i poteri di rappresentanza. Tali gure sono:
• L’institore è una gura regolata dagli artt. 2203 e seguenti del CC. Tale soggetto viene
preposto dall’imprenditore all’esercizio dell’impresa o all’esercizio di una sede. All’interno
della gerarchia non esiste nessuno, oltre l’imprenditore, che è superiore alla gura
dell’institore. (es. il direttore di una liale). Nel caso in cui siano più sedi, e quindi più institori,
questi possono operare in maniera disgiunta. L’institore può compiere tutti gli atti pertinenti
all’esercizio dell’impresa e può rappresentare in giudizio l’imprenditore. Esistono però
alcuni limiti espliciti (come il divieto di alienazione o ipoteca di immobili) ed impliciti (come
il cambiamento dell’attività dell’impresa). Qualsiasi atto compiuto dall’institore non è
vincolante nei confronti dell’imprenditore. Per quanto riguarda gli obblighi corrispondono a
quelli dell’imprenditore. Per quanto riguarda i rapporti con i terzi bisogna dire che il nome di
tutti gli institori deve essere indicato all’interno del registro delle imprese. L’institore svolge
una rappresentanza nei confronti dell’impresa anche senza procura la quale ha la funzione di
limitare o modi care il potere di rappresentanza senza procura. Senza l’iscrizione nel registro
delle imprese della procura le limitazioni derivanti da essa non sono opponibili ai terzi salvo
conoscenza della loro effettiva conoscenza. Anche senza la spendita del nome, per tutti gli
atti inerenti all’esercizio dell’impresa risponde sia l’institore che l’imprenditore. Questo perche
si può presumere che esso ha il potere di compiere tutti gli atti dell’impresa nell’interesse
dell’imprenditore. Questa deroga al diritto privato è motivata dalla tutela dell’af damento e
dall’agevolazione delle negoziazioni.
LEZIONE 7
• Il procuratore è una gura che si trova in una posizione gerarchicamente sottoposta
rispetto all’imprenditore e all’institore. Il procuratore è una gura meno de nita dell’institore
che si può de nire per sottrazione. Anche lui è un collaboratore con potere di compiere atti
pertinenti all’esercizio dell’impresa ma non è a capo di una sua unita autonoma (cosa che
invece accade per quanto riguarda l’institore). È una gura che ha quali che dirigenziali
riconducibili a uno speci co ambito funzionale (es. direttore marketing). I poteri del
procuratore non sono de niti dal codice ma sono ricostruibili in base alla funzione che viene
ricoperta. Per quanto riguarda il potere di rappresentanza viene regolato facendo
riferimento alle disposizioni previste per l’institore riguardo all’opponibilità di limitazioni,
modi che e revoche (art. 2209 del cc) . Al contrario di quanto succede con l’institore, al
procuratore non si applica la norma riguardante la spendita del nome.
• Il commesso è un collaboratore con funzioni essenzialmente esecutive, è l’ultimo anello
della catena produttiva con cui l’impresa si interfaccia con il mercato dei prodotti/servizi (artt.
2210-2213). I poteri di tale gura sono limitati principalmente dalla stessa funzione che
esso ha e dai relativi usi senza però derogare alle condizioni generali del contratto. Ad
esempio il codice accenna che il commesso può concedere sconti in quanto è un’uso. In altri
contesti questo non succede perché non rappresenta un uso tipico (il commesso di u
supermercato non fa mai lo sconto alla cassa). Inoltre, sempre all’interno del codice, è previsto
che il commesso non può ottenere un pagamento al di fuori del locale commerciale. Essendo
il commesso il terminale ultimo dell’impresa che interagisce con il cliente ha la possibilità di
ricevere dichiarazioni e reclami per gli affari conclusi. Sarebbe opportuno indicare entro
quali limiti il commesso può muoversi per concludere delle trattative ai clienti. L’opponibilità
delle limitazioni alla rappresentanza è invece af data alla pubblicità di fatto ovvero mediante
dei mezzi idonei a renderle note ai terzi.
Contabilità di impresa

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Ci sono moltissime regole che impongono a tutti gli imprenditori di tenere la contabilità di
impresa.
La contabilità è una rappresentazione scritta degli accadimenti che si veri cano nello
svolgimento dell’attività di impresa
Esempio: qualsiasi persona che vive in maniera indipendente che inizia ad ottenere un reddito
ha il problema del mantenimento dei conti. La stessa cosa succede in maniera più amplia
facendo riferimento a quelle che sono le imprese. La copertura dei costi con i ricavi (ovvero
l’economicità) è fondamentale per l’impresa in modo tale da mantenere una situazione di
continuità. Da qui deriva l’esigenza di tenere in ordine i conti e proprio da tale essenza che
possiamo fare derivare la contabilità.
La pluralità e la dinamicità dei rapporti economici di un impresa pongono l’esigenza di
tenere una contabilità. È già interesse dell’imprenditore tenere i conti in ordine e questo
interesse riguarda essenzialmente un aspetto di organizzazione interna che ha a che fare con
l’autonomia privata dell’impresa. La necessità di inserire degli obblighi giuridici è legata al
fatto che le esternalità negative, che deriverebbero da una cattiva gestione contabile,
porterebbe a delle conseguenze che non riguardano solo l’impresa ma anche soggetto
esterni quali ad esempio creditori e lavoratori. La legge, dunque, prevede obblighi minimi di
corretta tenuta dei conti che se non vengono rispettate portano a delle sanzioni. Seguendo la
stessa logic id tutela dei soggetti terzi l’organizzazione contabile è stata recentemente estesa
con un più generale obbligo di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile
adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa (art. 2086 comma 2 del CC).
La legge stimola l’imprenditore a tenere le scritture contabili attribuendo a tali scritture una
rilevanza esterna molto elevata. Infatti, in caso di dissesto dell’impresa, le scritture contabili
consentono una ricostruzione ex post delle vicende che hanno portato al dissesto, ai ni
della responsabilità e delle eventuali possibilità di recupero del patrimonio. Inoltre le scritte
contabili, se tenute bene, hanno ef cacia probatoria in giudizio e, per le imprese di maggiore
importanza pubblica de nite società di capitali, alcune scritture devono essere pubblicate,
mediante deposito, nel registro delle imprese mentre per altre imprese prevale l’interesse della
riservatezza.
È previsto un obbligo generale secondo cui l’imprenditore deve tenere le scritture contabili
richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa.
In ogni caso esistono due scritture minime obbligatorie:
• Libro giornale (art. 2216): è il libro che controlla il pro lo dinamico che fornisce la cronaca
giorno per giorno delle operazioni relative all’esercizio dell’impresa. Tale libro deve essere
redatto secondo un criterio cronologico ma non necessariamente con cadenza quotidiana.
All’interno del libro giornale deve essere inserito l’atto in se ma la sua implicazione
patrimoniale e reddituale
• Libro degli inventari (art. 2217): è la fotogra a della consistenza patrimoniale (attiva o
passiva) in determinati momenti (all’inizio e al termine di ogni esercizio) . Viene redatto
secondo un criterio sistematico e attraverso un’indicazione e una valutazione degli elementi
che compongono tutto il patrimonio a garanzia dei debiti dell’impresa compreso il
patrimonio personale dell’imprenditore. Questo inventario si chiude con il bilancio di
esercizio
Il bilancio di esercizio
Soltanto la disciplina delle S.P.A. prevede al suo interno una disciplina del bilancio di esercizio
mentre c’è soltanto un richiamo per quanto riguarda le società di capitali e le società
cooperative.

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Per le altre forme di impresa la disciplina viene richiamata espressamente, in quanto applicabile,
solo per criteri di valutazione (art. 2217 comma 2). Tuttavia si ritiene che tale modello debba
essere seguito anche per quanto riguarda la struttura.
La composizione del bilancio di esercizio è caratterizzata da:
• Stato patrimoniale: resoconto degli elementi attivi e passivi suscettibili di valutazione
economica
• Conto economico: conto delle entrate e delle uscite durante il corso dell’esercizio. Il risultato
fornisce il reddito di esercizio
• Rendiconto nanziario: resoconto dei ussi nanziari durante l’esercizio
• Nota integrativa: illustrazione volta chiarire il contenuto degli altri documenti.
Nel codice civile è previsto anche come devono essere tenute le scritture contabili. Il codice
prevede delle formalità ormai desuete impostate su una tenuta cartacea e dirette a impedire
una manipolazione posteriore del materiale. Oggi nalmente la tenuta è informatizzata,
come previsto dall’art. 2215 bis, ma richiede degli accorgimenti, come la marcatura temporale
e la rma digitale, volti a evitare una manipolazione del documento.
È inoltre previsto, dall’art. 2220, l’obbligo di conservazione decennale di tutte le scritture e
degli originali e delle copie della documentazione (fatture)
Come detto le scritture contabili possono essere mezzi di prova solo contro l’imprenditore
(art. 2709). L’imprenditore non può usare il bilancio per dare prova di un credito che ha nei
confronti di una determinata impresa in quanto, in linea generale, non può essere attendibile un
documento autoprodotto mentre nessuno compie delle annotazioni sfavorevoli a se stesso se
non sono veritiere. Chi si vuole avvalere delle scritture contabili contro l’imprenditore non può
scinderne liberamente il contenuto. In via eccezionale le scritture contabili possono essere
utilizzate come prova a favore dell’imprenditore, secondo l’art. 2710, solo se sono tenute
secondo le formalità prescritte, solo nei confronti di un altro imprenditore. In caso contrario
hanno solo valenza di strumento di prova.

LEZIONE 8
ARGOMENTO MOLTO RILEVANTE PER L’ESAME
Il tema dell’azienda è un tema che va a cuore dell’attività organizzativa dell’impresa.
Immaginiamo di essere un pasticciere (imprenditore individuale) che ad un certo punto ha la
necessità di cambiare e quindi decidere di cedere la sua attività. Questa attività viene realizzata
nell’ambito del diritto privato e per fare questo è necessario vendere, nel caso in cui siano di
nostra proprietà, i diritti della società come i diversi marchi e brevetti. Inoltre se noi abbiamo dei
dipendenti bisogna trovare una soluzione relativa ai contratti di questi lavoratori che non sono
oggetto di compravendita. Abbiamo quindi quella che è la cessione del contratto di lavoro con
ognuno dei dipendenti. Nel caso in cui il pasticciere non sia proprietario del suo negozio ma sia
in locazione devo cedere anche il contratto di locazione cosi come devo cedere il contratto che
ho con i diversi fornitori. Questi contratti conviene cederli in blocco in quanto hanno un valore
economico maggiore e perchè suddividere questi contratti è tutt’altro che semplice in quanto
ognuna di queste parti ha un regime giuridico proprio.
L’idea della azienda serve per tenere conto di questa dimensione unitaria degli elementi che
concorrono all’esercizio dell’attività di impresa.
Il tema dell’azienda è il tema dell’unità, di tutti gli elementi che concorrono all’attività d’impresa
L’azienda
Come già detto precedentemente l’azienda è l’oggetto attraverso cui l’imprenditore esercita
l’attività di impresa. Più precisamente, secondo l’art. 2555 del cc, è il complesso di beni

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organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. La disciplina dell’azienda costituisce
uno dei pro li in cui emerge con maggiore evidenza il rilievo giuridico della dimensione
organizzativa dell’attività d’impresa.
La de nizione di azienda è funzionale:
• all’applicazione di una disciplina apposita principalmente dedicata agli atti traslativi
dell’azienda che quindi riguardano il suo trasferimento. Questa disciplina apposita nasce
dall’esigenza di tenere conto dell’unitarietà del complesso di beni.
L’idea di fondo è che cosi come l’attività è un qualcosa di più dei singoli atti in cui si svolge,
l’azienda è qualcosa di più dei singoli beni che la compongono.
La dimensione unitaria dell’azienda emerge dal punto di vista economico in quanto c’è un
valore aggiunto rispetto alla somma dei singoli beni derivato dalla capacità produttiva
dell’organizzazione già avviata. Questo valore aggiunto viene de nito valore di avviamento e
che è un surplus di grandissima rilevanza.
Convenzionalmente si distingue tra avviamento oggettivo, quando il maggior valore è dovuto
ai soli beni presi nella loro complessità e avviamento soggettivo, quando il maggior valore
dovuta la capacità dell'imprenditore di accrescere conservare la clientela.
Salvo casi eccezionali, l’avviamento è un valore molto importante che però non si scrive a
bilancio e non viene considerato un bene in senso proprio. (art. 2426 del cc)
La dimensione unitaria dell’azienda emerge anche nella destinazione unitaria dell’impiego
dei beni in quanto i singoli beni mantengono il loro regime giuridico proprio a cui si
aggiungono delle regole speci che quando il bene è inserito in questo vincolo di
interdipendenza.
In questa prospettiva, ai ni della disciplina del trasferimento d’azienda, vengono in rilievo
tutti i beni destinati all’esercizio dell’impresa indipendentemente dal titolo giuridico che
legittima l’imprenditore ad utilizzarli. Inoltre le regole per il trasferimento vengono in rilievo
anche nel caso delle singole parti di un’azienda che costituiscono una sua articolazione
funzionalmente autonoma, i cosiddetti rami di impresa. (art. 2112 del cc)

Il trasferimento dell’azienda
Il trasferimento d’azienda può essere a titolo de nitivo, mediante l’alienazione, o a titolo
temporaneo, nel caso dell’usufrutto o dell’af tto. Lo scopo del trasferimento è sostituire un
soggetto imprenditore con un altro soggetto nell’esercizio dell’attività di impresa e ha come
obiettivo quello di non dispendere il valore aggiunto derivante dall’organizzazione già
esistente.
La nozione di azienda ha come prima utilità il non rendere necessaria l’elencazione puntuale
di tutti i beni da trasferire anche se, nella prassi, questo avviene comunque per ragioni di
sicurezza. La ricorrenza della fattispecie dipendono concretamente dalla sussistenza del vincolo
organizzativo in quanto se manca un bene essenziale non c’è il trasferimento di azienda.
Questa disciplina speciale del trasferimento d’azienda integra la disciplina generale dello
schema contrattuale utilizzato dalle parti per il trasferimento. L’esigenza di tenere conto della
dimensione unitaria dell’impresa non riguarda solo il diritto commerciale ma anche altri settori
di disciplina come le procedure fallimentari e le successioni. Per questo motivo è stato
introdotto il patto di famiglia che è un contratto volto a evitare la divisione di una azienda nel
momento in cui abbiamo il passaggio di eredi.
L’atto di trasferimento dell’azienda è un contratto caratterizzato, in linea di principio, dalla
forma scritta per atto pubblico. In realtà per la validità del trasferimento non è prevista una
forma scritta ma bisogna osservare le forme prescritte per i trasferimento dei singoli beni. Inoltre

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se una delle parti è un’impresa registrata l’impresa può provare il contratto solo con la forma
scritta ed il trasferimento deve essere iscritto depositando il contratto in forma di atto pubblico.
In un trasferimento di azienda abbiamo l’alienante che cede la sua azienda e l’acquirente che
l’acquista. Una volta acquistato l’azienda l’acquirente ha la preoccupazione che l’alienante riapra
un’altra attività uguale nei paraggi comportando la perdita dell’avviamento soggettivo. A
questo punto l’acquirente di una azienda si tutela mettendo nel contratto un patto di non
concorrenza. L’alienante però tende a ri utare questo divieto di concorrenza e per questo
motivo c’è la necessità di trovare un compromesso. I problemi legati alla concorrenza possono
essere risolti mediante delle soluzioni che possono essere spaziali, quindi legati alla distanza,
oppure temporali e quindi legati a un determinato periodo di tempo.
Per questo motivo, secondo l’art. 2557 del cc, il divieto di concorrenza prevede che nei 5
anni successivi all’alienazione l’alienante non può iniziare una nuova impresa che possa sviare la
clientela dell’azienda ceduta. Questo viene fatto per tutelare l’avviamento soggettivo.
Nel contratto le parti posso derogare dal divieto di concorrenza? Si, in quanto è una regola
derogabile che permette di abbassare i costi di transazione.
Se una regola riguarda degli interessi disponibili tendenzialmente la norma in questione è
derogabile mentre la norma non è derogabile quando tutela interessi indisponibili.
Quindi il divieto è derogabile nei confronti dell’interesse disponibile dell’acquirente mentre
non è possibile inasprire questo divieto in quanto se no si andrebbe a pregiudicare l’iniziativa
economica dell’alienante.
In base alla ragione del divieto la sua applicazione si estende anche alle iniziative
imprenditoriali per conto di terzi o associate (iniziative che svolgo svolgendo la funzione di
amministratore) oppure nel caso delle fattispecie analoghe al trasferimento di un’azienda
(vendita di partecipazioni societarie di controllo)
Per evitare incertezze nello stabilire in concreto se c’è o meno concorrenza si tende a
speci care quali siano le attività vietate e quali no.
Perchè un acquirente può avere interesse a derogare il divieto di concorrenza? Perchè il divieto
serve a tutelare la quota prezzo che corrisponde all’avviamento. Se io rinuncio a questa tutela
diminuisce il prezzo dell’azienda che io sto andando ad acquistare.
LEZIONE 9
Per quanto riguarda il trasferimento di azienda è inoltre prevista una disciplina che riguarda i
soggetti terzi legati all’alienate con dei rapporti obbligatori che possono essere di credito,
di debito o contrattuali. Questo perchè è normale che un imprenditore, proprio perchè svolge
questo tipo di attività, abbia in essere dei crediti, dei debiti da soddisfare oppure che abbia in
corso dei rapporti contrattuali in cui l’imprenditore è al tempo stesso debitore e creditore.
Quindi possiamo dire che ai beni che compongono l’azienda sono collegati molteplici
rapporti giudici scomponibili in rapporti contrattuali, creditori e debitori. Per la stretta
inerenza che tali rapporti hanno con l’esercizio dell’impresa, il trasferimento di azienda
coinvolge anche tali rapporti.
Cosa succede a questi rapporti nel momento in cui si trasferisce un’azienda?
I crediti
Per quanto riguarda i crediti trattandosi di prestazioni da ricevere possono essere ceduti
liberamente secondo quanto previsto dall’art. 1260 del cc. A livello teorico quindi il credito
potrebbe essere ceduto senza alcun tipo di problema. A livello pratico però il problema che
abbiamo è che bisogna far sapere al debitore che il debitore è cambiato e quindi non deve più
pagare il suo debito all’alienante ma all’acquirente. Abbiamo quello che il problema del
doppio pagamento. Nel diritto privato tale problema viene risolto, secondo l’art. 1264 del cc,
dicendo che la cessione ha effetto verso il debitore con noti ca o accettazione della cessione.

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Da questo momento in poi è colpa del debitore nel caso in cui dovesse pagare il creditore
sbagliato.
Nell’ambito del trasferimento d’azienda l’art. 2559 del cc asserisce che vale allo stesso scopo
anche l’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. In questo caso pero
l’iscrizione al registro è una presunzione di conoscenza relativa e quindi ammette la prova
dell’ignoranza in buona fede del debitore. Tale norma va a tutela del debitore ceduto.
I debiti
Nel caso della successione dei debiti l’art. 2560 del cc asserisce che, trattandosi di una
prestazione da eseguire, il debitore non può farsi sostituire senza il consenso del creditore in
quanto l’af damento del creditore dipende anche dalla persona del debitore.
Anche nell’ambito del trasferimento di azienda l’alienante rimane obbligato salvo espressa
liberazione da parte del creditore.
Per quanto riguarda i rapporti interni, se non ci sono particolari problemi sul piano
dell’af dabilità soggettiva, il creditore preferisce avere come debitore il soggetto acquirente
in quanto può fare riferimento sulla garanzia offerta dal complesso aziendale e dall’attività
d’impresa piuttosto che sul soggetto imprenditore.
Ma l’acquirente accetta questa situazione?
A questo punto interviene il secondo comma dell’art. 2560 secondo cui l’acquirente risponde
in solido con l’alienate purché il debito risulti dalle scritture contabili obbligatorie. Il
creditore ceduto però non ha accesso alle scritture contabili obbligatorie dell’azienda ceduta e
quindi deve chiedere al giudice l’esibizione delle scritture obbligatorie.
Posizioni giuridici di debito e di credito
I rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive ancora pendenti, che prevedono allo stesso
tempo una posizione creditoria e una debitoria, sono una componente fondamentale per la
prosecuzione di un’impresa avviata come ad esempio il contratto di locazione del capannone
dove si svolge l’attività.
In questo caso la soluzione è la risultante delle due ipotesi he abbiamo appena affrontato.
Anche in questo caso il diritto privato prevede una disciplina per la cessione di questo genere
di contratto. Il problema è che il cessionario subentra in una posizione debitoria e quindi il
soggetto terzo non può vedersi cambiato il suo debitore senza il suo consenso. La regola
generale prevista dall’art. 1406 del CC è che per la cessione del contratto è richiesto il
consenso della controparte.
Nel caso del trasferimento di azienda dunque per la cessione di questo genere di contratto
sarebbe necessario ottenere il consenso di tutte le controparti. Questo comporterebbe un
aumento dei costi di transazione e dei problemi legati al passaggio di questi contratti. Inoltre
questo porterebbe al rischio di distruggere quello che è il valore di avviamento.
Per questo motivo, nel caso del trasferimento d’azienda, abbiamo una disciplina che deroga il
diritto privato in quanto è previsto un consenso automatico, che avviene senza il consenso del
contraente ceduto, dell’acquirente dell’azienda nei contratti in essere salvo patto contrario tra
le parti (art. 2558 del cc)
Nel diritto commerciale il contraente ceduto viene tutelato con il diritto di recedere, per giusta
causa, entro 3 mesi e di richiedere il risarcimento dell’eventuale danno contro l’alienante.
Inoltre il contraente ceduto può attuare i rimedi contrattuali previsti dal diritto privato come ad
esempio l’eccezione di inadempimento.
Esiste poi una eccezione a tale norma secondo cui rimane la necessita del consenso del
contraente ceduto per i contratti di carattere personale che hanno per oggetto una
prestazione dell’alienante oggettivamente o soggettivamente infungibile. Inoltre per certi
contratti particolari è previsto un trattamento speciale a tutela della continuità del rapporto

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(nell’interesse del ceduto) come il contratto di lavoro subordinato o i contratti di locazione di
immobili a uso commerciale.
Nel caso in cui il trasferimento d’azienda sia a titolo temporaneo con effetti reali (usufrutto) o
con effetti obbligatori (af tto) abbiamo una disciplina praticamente identica.
Infatti abbiamo:
• Un divieto di concorrenza del proprietario, o del locatore, per la durata dell’usufrutto o
dell’af tto
• Per la successione dei crediti occorre un espresso accordo tra le parti
• Per la successione nei contratti è prevista una successione sia all’inizio che al termine del
trasferimento
• Una disciplina secondo cui i debiti rimangono in capo a chi li ha contratti ad eccezione dei
rapporti di lavoro
In aggiunta a questi elementi sono previste speci che disposizioni in ragione della
temporaneità del godimento dell’azienda come gli obblighi in capo all’usufruttuario di
gestire l’azienda conservando la destinazione e la sua ef cienza (art 2561 del CC)
LEZIONE 10
Il fallimento delle imprese
Il termine fallimento indica una parte del tema più complicato riguardante le crisi delle
imprese. Il problema della disciplina delle crisi delle imprese è una questione che fa da
sottofondo a tutte le altre vicende che le riguardano. La vita delle imprese è in uenzata dalla
possibilità di affrontare una crisi in quanto, nonostante un’impresa può andare avanti per
moltissimo tempo senza fallire, allo stesso tempo il rischio di fallire è un rischio che af anca
costantemente la vita della impresa.
Le regole che vanno a disciplinare le crisi delle imprese derivano dal diritto privato, diritto
civile e diritto di procedura civile.
Il fallimento sia ha nel momento in cui l’impresa non è in grado di coprire i debiti che ha nei
confronti dei debitori.
Cosa succede quando un soggetto non paga i debiti nei confronti del suo creditore?
È necessario uno strumento di esecuzione forzata per ottenere il pagamento e quindi eseguire
la prestazione. Tendenzialmente se il debitore non paga è dif cile che su ordine del giudice
esegua tale obbligo. Probabilmente non ha le risorse necessarie ad adempiere, e quindi
come si fa ad ottenere la risoluzione tramite sentenza? Il creditore può richiedere un
provvedimento ingiuntivo a seguito del processo di cognizione in modo che possa ottenere un
provvedimento che gli permetta di espropriare gli elementi attivi del patrimonio del debitore.
Questo signi ca che un elemento del patrimonio attivo del debitore viene venduto e con i soldi
ricavati si estingue, in primo luogo, il debito che quest’ultimo ha nei confronti del creditore.
Questo procedimento però ha diversi problemi legati alla tempistica, legati ai costi derivanti
dal procedimento giudiziario. Il problema più grande però è che il patrimonio del debitore
sia troppo basso per riuscire a coprire il debito che esso ha nei confronti del creditore.
A tutela dei creditori, dunque, l’art. 2740 del cc asserisce che il debitore risponde
dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Tale articolo
rappresenta una garanzia generica per la soddisfazione del creditore.
In caso di inadempimento il debitore è tenuto al risarcimento del danno (art. 1218 del CC).
L’obbligazione risarcitoria integra o sostituisce l’obbligazione principale, a seconda del tipo di
prestazione inadempiuta, e consente di monetizzare la pretesa creditoria (qualora non fosse
già una prestazione pecuniaria).
Questo passaggio è a sua volta funzionale a consentire ai creditori di promuovere azioni
esecutive individuali per la soddisfazione coattiva del proprio credito . Attraverso queste azioni

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i beni del debitore vengono espropriati e venduti, secondo le regole del processo civile. I
ricavato viene corrisposto al creditore no alla soddisfazione integrale del suo credito,
compreso l’eventuale danno ulteriormente sofferto. L’eventuale eccedenza rispetto alla somma
dovuta viene restituita al debitore.
Questa ipotesi si ha nel momento in cui il rapporto tra debitore e creditore è un rapporto
singolo.
Nel caso in cui un debitori abbia più creditori?
In questo caso ci viene in aiuto quello che gli economisti de niscono dilemma del prigioniero.
Tale dilemma viene utilizzato per affrontare il problema del coordinamento tra gli individui. Sara
e martina sono due delinquenti abili ma non farsi beccare. Fanno un primo colpo senza lasciare
tracce e nonostante la polizia sospetti su di loro non ha prove. Durante un secondo colpo però
qualcosa va storto e vengono arrestate. Durante l’interrogatorio la polizia capisce la loro
colpevolezza. La polizia propone ad ognuna delle due ladre di confessare per fare in modo di
scontare l’arresto per il secondo furto mentre l’altra si sarebbe fatta 3 anni di galera. La stessa
proposta viene avanzata all’altra ragazza. Se invece confessano entrambe si farebbero 2 anni di
galera ciascuna.
Quale è la soluzione migliore?

Questa storia ci permette di capire che il perseguimento dell’interesse individuale porta a


un risultato collettivamente non ottimale. Quando le persone non sono in grado di
coordinarsi una persona compie scelte difensive per minimizzare il danno che subirebbe nel
caso in cui l’altra parte non collabora.
Quando ci sono più creditori di un stesso debitore si potrebbe presentare lo stesso problema in
quanto, se il patrimonio del debitore non è in grado di coprire entrambi i debiti, o pago un
debitore o pago l’altro.
Esempio: se Martina presta 100000€ al prof e l’anno successivo anche Sara presta altri 100000€
al prof. Il prof ha un debito di 200000€ ma un patrimonio di 120000€ insuf ciente a coprire il
debito contratto.
Il debito con Martina arriva a scadenza ma i 120000€ sono rappresentati da un immobile. Il prof
vuole vendere la casa ma dato che ci mette tanto tempo nel frattempo scade anche il debito con
Sara.
Cosa succede in questo caso?
Nel diritto privato, e nel diritto dell’impresa, chi fa prima ricorso al processo giudiziario ha
diritto al soddisfacimento del suo credito mentre il creditore che ‘arriva dopo’ vede soddisfatto il
suo debito solamente con la parte restante del patrimonio.
Se le due parti sono in grado di trovare un corso tra di loro le parti potrebbero soddisfare il loro
credito per 60000€ l’uno. Nel caso in cui le parti non riescono a trovare un accordo si rischia di

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far riferimento a quello che è il dilemma del prigioniero che porta a una soluzione che non è
ottimale per nessuno dei due creditori.
I problemi di azione collettiva
Se ciascun componente di una collettività partecipasse a una decisione comune, coordinandosi
con gli altri, si potrebbe trovare una soluzione ottimale a livello collettivo. Se però non si riesce a
trovare un accordo, perché magari non riusciamo a darci di qualcuno , potremmo tenere dei
comportamenti che non portano ad una soluzione ottimale per la collettività.
Le stesse dinamiche si hanno quanto abbiamo più creditori che concorrono per agire in via
esecutiva su patrimonio del debitore. In questo caso il problema è che il creditore può ottenere
integrale soddisfacimento dell’inadempimento nella misura in cui il patrimonio del debitore
si rilevi suf ciente rispetto al dovuto. Se i creditori sono numerosi potrebbe sorgere il dubbio
che:
• il debitore non riesca ad adempiere puntualmente le sue obbligazioni
• il suo patrimonio sia insuf ciente a soddisfare tutti i crediti in via coattiva.
Si crea dunque un con itto tra pretese creditorie che spinge ciascun creditore a cercare di
attuare prima degli altri delle azioni esecutive per evitare di non trovare più di che soddisfarsi. In
questa corsa all’esecuzione il valore del patrimonio del debitore rischia di essere distrutto
dalla frammentazione e dalla fretta delle azioni esecutive individuali. Ciascun creditore è
interessato, mediante l’esecuzione forzata, a ricavare dal bene pignorato quanto serve per
soddisfare il suo credito. Quindi la liquidazione dei singoli beni può portare a un ricavo
minore rispetto alla liquidazione del complesso dei beni unitariamente considerato.
Se ogni creditore agisce solo tenendo conto del suo interesse personale si rischia di dissipare
il valore del patrimonio del debitore mentre se i creditori collaborassero potrebbero valorizzare
il più possibile la liquidazione del patrimonio del debitore.
Nonostante sarebbe interesse di tutti cooperare tra loro per massimizzare il valore ricavabile
dalla liquidazione del patrimonio del debitore, senza un centro di coordinamento, una
coordinazione spontanea potrebbe essere proibitiva soprattutto nel caso in cui i creditori sono
tanti e non hanno relazioni tra di loro.
Se il debitore è un’impresa questo problema si amplia in ragione del fatto che:
• dalla tipica numerosità dei creditori e delle controparti contrattuali che caratterizzano l’impresa
• dell’alto rischio di dissipazione del valore dell’azienda in una liquidazione frammentata e
frettolosa
Per questo motivo la legge ha previsto per le imprese delle procedure concorsuali, che si
sostituiscono alle azioni esecutive individuali dei creditori, per facilitare il perseguimento della
massimizzazione del valore ricavabile dal patrimonio dell’imprenditore, nell’interesse di tutti i
creditori.
Le procedure concorsuali
Abbiamo una procedura di base che è de nita dal fallimento e altre procedure concorsuali.
Nell’ordinamento italiano le procedure concorsuali sono ancora disciplinate dalla legge
fallimentare, in gran parte riformata nel 2005-2007 e soggetta negli ultimi anni a continue
modi che più circoscritte.
Nel settembre del 2021 tale legge sarà sostituita dal nuovo Codice della crisi d’impresa e
dell’insolvenza. Nel frattempo, a livello europeo è stata approvata la Direttiva del 2019, che è
nalizzata ad armonizzare le normative degli stati membri dell’UE in materia di crisi e insolvenza
delle imprese, che dovrà essere recepita negli ordinamenti nazionali entro luglio 2021.
LEZIONE 11
Nel nuovo Codice della crisi (come gi nella Legge fallimentare), la procedura di base
costituita dalla liquidazione giudiziale che rappresenta quello che prima veniva de nito come

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fallimento. Il fallimento scatta nel momento in cui l’imprenditore è insolvente, ovvero non
pi in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni pecuniarie e non
pecuniarie, e viene sottoposto al procedimento dal Tribunale su istanza di ogni singolo
creditore dell’imprenditore, del pubblico ministero e, in casi estremamente rari, da parte
dell’imprenditore stesso.
Con l’apertura del procedimento fallimentare sono precluse le azioni esecutive individuali
dei creditori e, se già iniziate, vengono bloccate e sostituite dal procedimento fallimentare con
cui il patrimonio dell’imprenditore af dato a un curatore, che lo deve gestire e liquidare in
funzione della miglior soddisfazione possibile dei crediti. I creditori concorrono su base
paritaria, fatte salve le cause legittime di prelazione.
È molto importante capire che l’insolvenza, anche detto come presupposto oggettivo del
fallimento, non coincide sempre con l’insuf cienza del patrimonio rispetto ai debiti. Questo
succede quando io ho dei creditori pecuniari ma mi trovo in una situazione di illiquidità
ovvero, ad esempio, ho una fabbrica con tanti macchinari ma, dato che non ho clienti, mi trovo
in una situazione di mancanza di liquidità.
Perchè un imprenditore deve fallire solo perchè si trova in una situazione di illiquidità e
non in una situazione di insolvenza patrimoniale?
Fino a quando l’imprenditore riesce a coprire i costi con i ricavi quando i debiti arriveranno a
scadenza sarà in grado di coprirli mediante i ricavi percepiti durante un determinato periodo di
tempo. Quindi no al momento della scadenza dei debiti l’imprenditore può sempre sperare di
coprire i suoi debiti con quanto generato dalla sua attività. L’illiquidità però è importante in
quanto se io non pago in tempo il mio creditore avvia una azione ingiuntiva che sfocia nella
liquidazione del patrimonio del debitore in modo da soddisfarsi sul ricavato. In questa
liquidazione frammentata il patrimonio del debitore scende di valore.
Il rimedio per un’impresa in salute che si trova in una situazione di illiquidità è quello di chiedere
un prestito alla banca. Quindi se un’impresa ha un patrimonio in cui l’attivo è superiore al
passivo e ha la possibilità di superare i costi con i ricavi può risolvere il suo problema di
liquidità mediante un prestito.
Gli strumenti preventivi
La disciplina prevede degli strumenti preventivi rispetto alla procedura fallimentare con cui
l’imprenditore in crisi, che quindi rischia di diventare insolvente, pu proporre ai creditori
soluzioni almeno in parte concordate. Questo può avvenire sia in maniera stragiudiziale ma, nel
caso in cui non sia semplice trovare questi accorsi in via stragiudiziale, la legge prevede delle
forme di accordo che vengono de nite come concordato preventivo e accordi di
ristrutturazione dei debiti. Tali accordi sono esperibili su iniziativa dello stesso debitore, e
sono nalizzate a evitare l’epilogo della liquidazione giudiziale e, se possibile, a risanare
l’impresa. Al tempo stesso, queste soluzioni possono incontrare il favore dei creditori nella
misura in cui offrono loro una soddisfazione migliore rispetto a quella che ci si pu attendere
dalla liquidazione giudiziale che potrebbe realizzarsi in un periodo di tempo molto lungo.
Af nché tali strumenti preventivi possano essere validi devono essere approvati dalla
maggioranza dei creditori e diventa vincolante per tutti i creditori compresi quelli che si erano
dimostrati contrari a questa soluzione.
Il nuovo Codice della crisi ha inoltre introdotto delle misure di allerta e prevenzione della crisi
che sono nalizzate a far emergere e contrastare la crisi sin dai suoi primi segnali di
manifestazione.
Quando un’impresa è in crisi o è già insolvente a rimetterci sono soprattutto i creditori ma se
una impresa viene gestita da un curatore che la liquiderà a rimetterci saranno anche i
dipendenti di tale impresa

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Esempio: Alitalia è un’impresa che non riesce a coprire con i costi con ricavi che ha grandi
problemi di liquidità. Tutti i governi che si sono susseguiti negli ultimi anni hanno cercato di
evitare il fallimento di questa impresa per tutelare la gura dei dipendenti che rischierebbero di
perdere il lavoro.
Le procedure speciali
Oltre alla soddisfazione dei crediti le crisi delle imprese di maggiori dimensioni fanno
solitamente emergere anche altre esigenze concomitanti in quanto comportano numero più
elevato di esternalità negative. Il principali obbiettivi che vengono perseguiti sono:
• Salvaguardia dei complessi produttivi (per preservare, principalmente, i rapporti di lavoro)
• Gestione delle esternalit negative di portata sistemica in quanto se una determinata
impresa va in crisi tale crisi potrebbe portare gravi problemi a tutto il sistema economico
(esempio la crisi dei grandi colossi nanziari americani nel 2007 che ha generato una grande
crisi economica anche in Europa)
Per questo sono state introdotte altre leggi che hanno previsto ulteriori procedure concorsuali
alternative al fallimento, ora liquidazione giudiziale, e nalizzate a realizzare un risanamento o
una liquidazione delle imprese in cui sia dato maggior peso alle istanze di ordine generale
come la preservazione delle posizioni di lavoro. Tali procedure concorsuali sono
l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e delle apposite procedure di
liquidazione coatta amministrativa che vengono sottoposte ad una disciplina molto
approfondita.
Per un debitore che svolge un attività di impresa è conveniente essere sottoposto alla
procedura di fallimento?
Se possibile il debitore eviterebbe il fallimento in quanto a livello di immagine è negativo il
fallimento della impresa. Allo stesso tempo però in caso di mancanza di fallimento in debitore
sarebbe esposto alle azioni esecutive individuali dei creditori che porterebbero alla distruzione
del suo patrimonio. Quindi oggi essere soggetti alle procedure concorsuali sarebbe un
vantaggio per il creditore in quanto porta a una massimizzazione del valore ricavabile
dall’impresa. Questo porta a un vantaggio anche per i debitori in quanto se l’impresa può essere
sottoposta a tali procedure i creditori sono più propensi a fornire dei prestiti.
Sino alle riforme degli ultimi 15 anni il dissesto dell’imprenditore veniva considerato in termini
negativi dalla legge. Questo derivava da una idea tramandata nel corso dei secoli che
concepiva il fallimento come segnale di colpa.
Dal 2005 la disciplina considera il fallimento dell’impresa in maniera più oggettiva. Secondo
tale concezione assume preminenza la nalit di gestire in modo ef ciente l’impresa in crisi.
Nonostante questo le eventuali colpe del dissesto sono presidiate da responsabilit civili e
penali, ma sono eliminate le sanzioni personali (es.: il registro dei falliti stato abrogato)
Di conseguenza, da quel momento in poi, essere soggetti alle procedure concorsuali oggi pi
un vantaggio che uno svantaggio per l’imprenditore. Resta comunque l’ombra di un problema
di reputazione in caso di liquidazione giudiziale, chiamata in questa maniera proprio perché è
un termine meno pesante rispetto al termine fallimento.
Per questa ragione negli ultimi anni stata introdotta una disciplina per regolare anche le
situazioni di sovra indebitamento di debitori “non fallibili” con soluzioni che seguono il
modello delle procedure concorsuali per le imprese (legge n. 3/2012). Come vedremo non
tutti gli imprenditori erano sottoposti a fallimento ma, come detto, con la nuova disciplina poter
essere sottoposti alla procedura di fallimento è un vantaggio. Anche questa disciplina delle
situazioni di sovra indebitamento poi con uita nel nuovo Codice della crisi

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I presupposti del fallimento
Presupposto soggettivo
Secondo quanto chiarito all’art. 1 l.fall. le procedure concorsuali si applicano all’imprenditore:
• che eserciti una attività commerciale;
• le dimensioni della cui azienda consentano di quanti carlo come “non piccolo”
• “privato”. Quindi sono escludi gli enti pubblici (anche se non lo sono dalla liquidazione coatta
amministrativa).
Se la sussistenza di tali requisiti (presupposto soggettivo) è condizione necessaria perché possa
aprirsi una procedura fallimentare, essa non è però suf ciente, dovendo essere al contempo un
presupposto oggettivo: secondo l’art. 5, infatti, è dichiarato fallito l’imprenditore “che si trova in
stato di insolvenza”.
Presupposto oggettivo
L’art. 5 comma 2 prevede che: “lo stato d’insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri
fattori esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente
le proprie obbligazioni”
Emergono da questa norma de nitoria due importanti pro li del presupposto oggettivo del
fallimento:
• Pro lo intrinseco legato alla condizione di obbiettiva impotenza nanziaria. Dunque,
riguarda l’incapacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni.
Innanzitutto, deve rilevarsi che l’incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni rappresenta
una situazione pregiudizievole non solo per i creditori la cui pretesa possa essere già fatta
valere, ma rischiosa per la generalità di tutti coloro che vantino crediti, quantunque non
scaduti, nei confronti dell’imprenditore già insolvente.In ragione a queste esternalità negative,
l’incapacità ad adempiere regolarmente le proprie obbligazioni viene dalla legge riconosciuta
come rilevante nella sua obiettività, a prescindere dalle eventuali responsabilità del debitore
o, comunque, dalle cause, seppur fortuite, che hanno determinato il dissesto. Neppure
importa il numero dei creditori, foss’anche uno solo, o il numero delle obbligazioni che
gravano sull’imprenditore o, in principio, il loro ammontare o il fatto che siano già scadute
oppure no. Si dice “in principio” perché occorre tener presente un altro dato normativo che,
pur senza interferire concettualmente con la nozione di insolvenza, ne condiziona,
operativamente, la capacità di provocare una dichiarazione di fallimento. Si tratta dell’art. 15
comma 9 secondo il quale: “non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei
debiti scaduti e non pagati risultante dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è
complessivamente inferiore ad euro trentamila.” Ciò è per esigenze di razionalità e di
ef cienza economica della procedura.
La condizione prevista dalla legge, facendo riferimento alla “incapacità ad adempiere
regolarmente alle proprie obbligazioni” consente poi di chiarire meglio il rapposto di non
necessaria coincidenza tra insolvenza e inadempimento.
A tal proposito viene in questione il requisito della regolarità da quale deriva che potrebbe
ben esservi un’incapacità a adempiere regolarmente anche quando non consti ancora alcun
inadempimento.
La regolarità dei pagamenti infatti non riguarda solo l’integralità e la puntualità dei singoli
adempimenti, bensì anche le modalità attraverso le quali li si effettua o ci si procura il denaro
necessario.
Non risulterebbe capace di adempiere regolarmente chi ricorrerebbe ad esempio a mezzi
anomali (es. datio in solutum), ovvero procurandosi denaro in modo anomalo (es. svendendo
a prezzi rovinosi i propri beni); ma sarà regolare ad esempio chi chiede denaro a intermediari
nanziari (se il prestito è ottenuto in condizioni normali).

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In altri termini, seppure è vero che la condizione di insolvenza rileva nella sua attualità (ovvero
non ancora prodottasi ma soltanto temuta come imminente), è pur vero che l’irregolarità degli
adempimenti già rilevata come insolvenza in quanto lascia pronosticare che il debitore non
potrà più adempiere neppure irregolarmente, il che costituisce un pericolo attuale e non
soltanto temuto per i creditori dell’impresa. Per altro verso, il concetto di “capacità” esprime
una mera potenzialità. Potrebbe così esservi capacità ad adempiere regolarmente pur in
presenza di uno o più inadempimenti, in quanto questi potrebbero dipendere da ragioni
diverse rispetto all’incapacità nanziaria del debitore (es. quando il debitore si ri uta di
adempire perché contesta la pretesa del creditore).
• Pro lo estrinseco legato alla soggettiva percettibilità della questione attraverso fatti esteriori
che la manifestino. L’art. 5 della l.fall. prevede che l’incapacità ad adempiere regolarmente alle
obbligazioni deve manifestarsi con inadempimenti (es. sentenza di condanna a pagare,
decreti ingiuntivi) o con altri fatti esteriori (es. risultanze contabili come il bilancio, anche se
uno sbilancio patrimoniale che riguarda un sovraindebitamento non pregiudica la regolarità
degli adempimenti).
Il fallimento dell’imprenditore cessato o defunto
Gli artt. 10 e 11, prevedono il fallimento “dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio
dell’impresa” e “dell’imprenditore defunto” (cioè dell’imprenditore persona sica morto prima
della dichiarazione del fallimento).
Queste norme consentono di dichiarare fallita l’impresa anche dopo che l’imprenditore sia
morto o che abbia cessato l’attività a condizione che l’insolvenza si manifesta entro l’anno da
quel momento. Questo per non privare i creditori dalla tutela fornita dalla disciplina
fallimentare.
Non si può però parlare di “fallimento senza impresa” o di “fallimento senza imprenditore”. La
particolarità consiste nel fatto che gli effetti della procedura potranno protrarsi e farsi valere
anche nei confronti di soggetti diversi, da individuarsi in base ai rapporti giuridici con
l’imprenditore fallito.
L’apertura della procedura di fallimento
Il fallimento è dichiarato dal Tribunale civile per:
• Iniziativa privata di uno o di più creditori che fanno ricorso al Tribunale provando l’esistenza
del loro credito e allegando la sussistenza dei presupposti per il fallimento, eventualmente
offrendo delle prove a supporto della tesi.
A volte anche il debitore stesso potrebbe presentare l’apertura della procedura
(autofallimento). Per quanto riguarda le società. Se poi si tratta di società di persone la
decisione è presa dai soci che rappresentino la maggioranza del capitale, mentre in caso di
società di capitali tale dovrà essere sotto iniziativa degli amministratori salvo previsto
diversamente.
• Iniziativa pubblica. In questo caso la richiesta è af data ad un PM al quale risulti l’insolvenza
sia per effetto della notizia di alcuno di quei “fatti esteriori” rivelatori dello stato di insolvenza
(art. 7) e sia sulla base di quanto emerga da un procedimento penale al quale egli stesso
partecipa; compresi i procedimenti da lui intrapresi per far valere un reato fallimentare. La
notizia potrebbe anche derivare da una segnalazione di un giudice civile che l’abbia rilevata
nel corso di un procedimento.
Il Tribunale competente è quello del luogo dove si trova la sede principale dell’impresa (cioè
quella legale o, se diversa, quella effettiva nella quale si concentra la direzione dell’impresa).
Il procedimento per la dichiarazione del fallimento è volto a dare un accertamento dei
presupposti che la legittimano (c.d. fase istruttoria fallimentare) e si svolge dinanzi al Tribunale in
composizione collegiale e con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio.

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Esso si concluderà tendenzialmente con una sentenza dichiarativa di fallimento o con un
decreto di rigetto.
La sentenza dichiarativa di fallimento deve essere necessariamente motivata e ha innanzitutto
natura di accertamento costitutivo quanto allo stato di fallito. Si produrranno tutti gli effetti
connessi all’apertura della procedura fallimentare nei confronti delle parti, dopo che sia stata
noti cata o comunicata ad esse, e nei confronti dei terzi successivamente all’iscrizione nel
registro delle imprese.
Conterrà inoltre ulteriori provvedimenti di natura ordinatoria per la prosecuzione della
procedura stessa: nominando alcuni organi della procedura (il giudice delegato e il curatore
fallimentare); ordinando al fallito il deposito della documentazione relativa alla situazione
economica e nanziaria, ove già non vi abbia provveduto; stabilendo i termini entro i quali
dovrà tenersi l’adunanza per l’esame dello stato passivo.
Sarà possibile proporre reclamo contro la sentenza dinanzi la Corte di Appello (art. 18) dal
debitore o da colui che ne è interessato, ma comunque il reclamo non sospenderà gli effetti
della sentenza impugnata (salvo che il Tribunale sospenda la liquidazione dell’attivo).
Laddove non sussistano i presupposti del fallimento o della soglia minima dei trentamila euro di
debiti scaduti, vi sarà un motivato decreto di rigetto. Anche questo potrà essere oggetto di
reclamo dinanzi la Corte di Appello se viene impugnato entro 30 giorni dalla comunicazione
(art. 22).
LEZIONE 12
Con la trattazione panoramica del fallimento e delle procedure concorsuali abbiamo concluso lo
studio delle principali regole che si applicano all’imprenditore.
Oggi torneremo ad analizzare la fattispecie che ci permette di capire come e in che limiti
vengono applicate determinate regole.
Determinare tali limiti ci permette di capire chi è sottoposto a determinati obblighi e chi no
oppure chi è sottoposto al fallimento e chi no.
Esistono alcune linee di con ne tra ciò che ricade nella fattispecie impresa e cosa invece no. Tali
linee di con ne si pongono in posizioni diverse in quanto una è esterna alla fattispecie mentre
l'altra è interna alla fattispecie.
In primo luogo abbiamo una fattispecie soggettiva in quanto dobbiamo capire a quale
soggetto giuridico va imputata l’attività d’impresa (chi è l’imprenditore?) in quanto la realtà di
impresa è una realtà in cui partecipano tante persone con ruoli diversi e quindi non è sempre
facile capire a chi va imputata l’attività di impresa che materialmente viene svolta da tante
persone giuridiche. Verrebbe da pensare, anche sulla base della struttura gerarchica
dell’impresa, che l’imprenditore è il soggetto che comanda anche se in realtà la questione non è
cosi scontata.
L’imputazione dell’attività di impresa
La regola generale di imputazione per gli atti di diritto privato è la cosiddetta spendita del
nome (art. 1705 del cc) secondo cui un atto è imputato al soggetto in nome del quale è stato
compiuto. Senza la spendita di nome altrui si presume che un soggetto agisca in nome
proprio mentre in caso di spendita del nome altrui l’atto è imputato a un altro soggetto, a
condizione che chi agisca abbia il potere di compiere atti in nome del rappresentato. Come
detto la fonte di tale potere è la legge o la procura.
Tale regola vale, in linea di principio, anche per l’attività di impresa (esempio un genitore in
nome del minore o il rappresentante legale il nome dell'ente collettivo)
L’imputazione all’incapacità legale
Nei casi di incapacità di agire, per gli atti di diritto privato, c’è un tutore incaricato di compiere
atti di ordinaria amministrazione in via autonoma mentre gli atti di straordinaria amministrazione

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devono essere autorizzati dal giudice tutelare. In via generale l’amministrazione del patrimonio
dell’incapace deve perseguire una nalità conservativa e si svolge con un sistema di
autorizzazione atto per atto.
Questa impostazione si adatta male all’esercizio di una attività di impresa che è tipicamente
dinamica ed orientata alla produzione di ricchezza.
Per questo motivo è prevista una disciplina speciale per l’esercizio dell’impresa secondo cui
non si può iniziare un’attività di impresa in nome dell’incapace ma, se tale attività è già iniziata,
essa può essere proseguita dal tutore o dal genitore previa autorizzazione del tribunale. Se
autorizzata la continuazione, il tutore o il genitore, può gestire autonomamente l’impresa con la
necessita di autorizzazione solo per gli atti che ne alterano la struttura come ad esempio
l’alienazione.
Esiste però un problema legato al fatto che il criterio della spendita del nome è un criterio
formale che come tutte le regole formali si prestano ad essere sfruttate in modo abusivo.
Nella prassi si possono veri care diverse situazioni che possono spingere un imprenditore a
imputare l’impresa a qualcun altro come ad esempio la difesa del patrimonio personale nei
confronti dei creditori o l’illusione di un divieto di concorrenza.
In questo caso un soggetto cerca di esercitare di fatto un’attività di impresa nell’interesse
proprio imputandola formalmente però ad un soggetto de nito prestanome. Il prestanome
svolge la funzione di imprenditore palese mentre chi esercita l’attività di impresa imputandola
ad un altro soggetto viene de nito come imprenditore occulto.
Si pone il problema di capire se è più opportuno utilizzare il criterio formale della spendita
del nome o un criterio sostanziale in cui l’imprenditore effettivo viene considerato
l’imprenditore occulto.
In particolare tale problema si presenta in concreto per quanto riguarda la tutela dei creditori
in caso di dissesto dell’impresa in quanto secondo il criterio della spendita del nome essi
potrebbero agire in via esecutiva solamente sul patrimonio del prestanome che
tendenzialmente è molto esiguo e non sul patrimonio dell’imprenditore occulto, anche detto
dominus, che invece è molto più capiente.
Se un creditore conosce quale sia la regola del gioco sa che sta concludendo un contratto con
un determinato soggetto. Se quindi ha concluso un contratto a nome del prestanome doveva
essere consapevole del fatto che l’imprenditore palese aveva un patrimonio esiguo. Allo stesso
tempo possiamo dire che se chi prende effettivamente prende le decisioni è l’imprenditore
occulto sarebbe meglio che subisca anche le conseguenze di tali decisioni per evitare che ci
siano delle esternalità che, come visto, non sono ef cienti al funzionamento dell’impresa.
Sul piano giuridico si discute moltissimo su questo tema. L’art 147 della legge fallimentare
prevede una soluzione a due possibili casi nei quali si può manifestare tale problema:
• Quando viene dichiarata fallita una società di persone il fallimento è esteso anche a un
eventuale socio occulto (comma 4)
• Quando viene dichiarato fallito un imprenditore individuale il fallimento viene esteso alla
società, oltre che agli altri soci, di cui l’imprenditore risulta in realtà socio illimitatamente
responsabile (comma 5)
Non rimane però regolata l’ipotesi del prestanome che eserciti l’impresa unicamente
nell’interesse sostanziale di un altro soggetto. Per salvaguardare le ragioni dei creditori sono
state elaborate diverse soluzioni interpretative tra cui, in particolare, l’estensione anche a questa
ipotesi della soluzione prevista dalla legge fallimentare ovvero la teoria dell’imprenditore
occulto.
L’inizio e la ne dell’attività

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Dal punto di vista temporale dobbiamo dire che, cosi come la fattispecie impresa, la fattispecie
imprenditore ha una delimitazione temporale. Per stabilire quando inizia e quando nisce
l’attività di impresa sono impiegabili due criteri:
• Criterio formale: analizziamo l’iscrizione e la cancellazione dal registro delle imprese
• Criterio di ef cacia: analizziamo quando concretamente inizia e nisce un’attività con le
caratteristiche previste dall’art. 2082 del CC.
Il problema non si pone solo per ni descrittivi ma soprattutto in funzione dell’applicazione
della disciplina dell’attività di impresa. La risposta a tale problema può variare in base agli
scopi della disciplina in questione del caso concreto.
Tendenzialmente viene applicato il criterio di effettività, per lo meno in relazione alle norme
che non tutelano gli interessi dell’imprenditore ma dei soggetti terzi. In caso contrario la tutela
dei terzi spetterebbe alla volontà dell’imprenditore.
Fa eccezione l’applicazione della procedura fallimentare in riferimento alla cessazione
dell’impresa in quanto è previsto che i debiti dell’impresa possono rimanere inadempiuti anche
in seguito alla cessazione dell’attività. L’art. 10 della legge fallimentare asserisce che
l’imprenditore può dichiararsi fallito no a un anno dopo la cancellazione dal registro delle
imprese. Questo avviene perchè da un lato la regola è diretta a evitare chiusure
opportunistiche dell’attività da parte dell’imprenditore e dall’altro privilegia l’esigenza di
certezza e incentiva l’imprenditore a procedere immediatamente agli adempimenti
pubblicitari.
I professionisti intellettuali
In via generale si tratta di attività che potrebbero presentare tutti gli elementi indicati dall’art.
2082 del cc ma sul piano normativo sono oggetto di considerazione separata e di una
disciplina che sembra presuppone la distinzione tra queste attività e l’attività di impresa
(art. 2229 e seguenti del CC). In particolare, secondo l’art. 2238, si applica la disciplina
dell’impresa solo se l’attività professionale rientra in un’attività organizzata in forma di
impresa come il medico che opera in una clinica. Dunque la professione intellettuale, anche
quando è strutturata, non è ritenuta un’attività di impresa.
La spiegazione di tutto ciò è dato dal fatto che c’è un trattamento privilegiato derivante dal
tradizionale prestigio riconosciuto a certe categorie professionali e/o ragioni storiche.
Quindi il professionista intellettuale non è un imprenditore e bisogna identi care una
determinata fattispecie per tali soggetti.
In molti casi l’individuazione di queste professioni è sempli cata dalla previsione di discipline
di settore che disciplinano l’esercizio di certe attività all’iscrizione a un determinato albo
condizionata a determinati requisiti (art. 2229 del cc).
In ogni caso, e in particolare in relazione alla quali cazione delle professioni non protette, la
disciplina identi ca due elementi caratterizzanti:
• L’intellettualità della prestazione d’opera prevista dall’art. 2230 del cc
• Una certa personalità dell’esecuzione della prestazione che si ha nel momento in cui la
prestazione cambia il relazione al soggetto che la svolge. Tale elemento è previsto dall’art.
2232 del cc
In realtà questa esclusione dei professionisti intellettuali dalla categoria degli imprenditori sta
crollando sempre di più e, trattandosi di un privilegio che ormai ha scarsa tutela nella realtà
economia e nella percezione sociale, anche l’ordinamento presenza erosioni di questa
esenzioni. Per questo motivo la disciplina della concorrenza include anche le professioni
intellettuali ed inoltre la società tra professionisti, introdotta nel 2011, prevede che queste
professioni possono essere svolte anche in una forma di esercizio dell’attivita tipica delle
imprese che viene disciplinata dalla disciplina societaria con alcuni tratti di specialità.

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LEZIONE 13
Oggi vediamo l’ultima suddivisione riguardante la fattispecie impresa.
L’ultima volta abbiamo visto le linee di con ne rispetto a quello che rimane fuori dalla regole
che abbiamo visto no a questo momento mentre oggi andremo ad analizzare alcune
categorie in cui è divisa la fattispecie del soggetto imprenditore.
All’interno della fattispecie di impresa sono previste alcune distinzioni volte ad una applicazione
differenziata della disciplina
Il piccolo imprenditore
Un criterio di distinzione attiene alle dimensioni dell’organizzazione dell’attività ed è
incentrata sulla de nizione di piccolo imprenditore prevista dall’art. 2083 del cc.
Viene de nito piccolo imprenditore chi esercita un’attività professionale prevalentemente
organizzata con il lavoro proprio o dei propri familiari come ad esempio i coltivatori diretti, gli
artigiani o i piccoli commercianti.
L’organizzazione è un elemento fondamentale per differenziare la gura del piccolo
imprenditore da quello che è un lavoratore autonomo.
La categoria del piccolo imprenditore aveva una funzione di esenzione che serviva per
escludere tale categoria da alcune parti della disciplina dell’impresa in ragione del rapporto
costi-bene ci dell’applicazione di tali regole alle realtà imprenditoriali di minori dimensioni
come ad esempio le regole relative a pubblicità legale, scritture contabili e le procedure
concorsuali. L’idea dell’esenzione del piccolo imprenditore da queste regole è spigata dal
fatto che se un piccolo imprenditore ha un attività molto elementare farsi produrre un bilancio
da un commercialista o pubblicare gli atti nel registro delle imprese comporta dei costi di
transazione elevati rispetto ai bene ci che derivano da tali azioni.
Col tempo questa distinzione ha progressivamente perso importanza in quanto alcune sezioni
sono venute meno, come l’iscrizione nel registro delle imprese e le scritture contabili richieste a
ni tributari. Inoltre ai ni delle procedure concorsuali l’articolo 2083 del cc è stato sostituito da
parametri quantitativi, che vanno a sostituire i criteri qualitativi, che sono previsti dall’articolo
1 della legge fallimentare. Tali soglie, che riguardano i dati del bilancio, il valore dell’attivo, i
ricavi annuali e l’entità dei debiti complessivi, ci permettono di capire se un piccolo
imprenditore è soggetto a fallimento o meno.
Un ulteriore ridimensionamento del concetto di piccolo imprenditore si è avuto con
l’introduzione di leggi speciali che vanno ad implementare la disciplina riguardante la piccola
impresa. Tali legge speciali sono lo Statuto delle imprese e la Legge quadro per l’artigianato.
L’imprenditore agricolo
Un’altra distinzione attiene al tipo di attività esercitata ed è incentrata sulla de nizione di
imprenditore agricolo ovvero colui che, secondo l’art. 2135 del cc, esercita attività di
coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
A questa categoria si contrappone la gura dell’imprenditore commerciale che è destinatario
dell’intera disciplina dell’impresa. L’imprenditore commerciale viene identi cato in via
residuale in quanto viene de nito imprenditore commerciale qualunque imprenditore che non
presenta le caratteristiche dell’imprenditore agricolo.
Anche in questo caso la distinzione era funzionale alla disapplicazione di gran parte della
disciplina dell’impresa in ragione delle caratteristiche che le imprese agricole presentavano al
tempo. Tali imprese erano principalmente incentrate sul fondo di proprietà dell’imprenditore
e con attività connesse di carattere economico secondario. Questo signi cava che l’impresa
agricola aveva minori complessità organizzative e nanziarie e quindi minori esigenze di
tutela per i terzi sul piano della pubblicità, delle scritture contabili e delle procedure contabili.

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Questa esenzione è legata al fatto che l’imprenditore agricolo dipende moltissimo dalla
natura e quindi è esposto a un rischio, de nito rischio biologico, non controllabile nei confronti
del quale ci si può difendere solo entro un determinato limite. Il rischio biologico si va ad
aggiungere a quello che è il rischio di impresa.
Nel tempo però la realtà dell’impresa agricola ha attraversato una signi cativa modernizzazione
recepita in una legge di riforma della disciplina del settore (decreto legislativo n.228/2001) che
ha ampliato i con ni della nozione giuridica. In particolare si è ampliata la fattispecie
stabilendo che restano invariate le attività agricole essenziali ovvero quelle attività dirette alla
cura e allo sviluppo di un ciclo biologico connesse anche solo potenzialmente con il fondo.
Questa de nizione comprende anche le coltivazione arti ciali o gli allevamenti in batteria.
Anche le attività connesse sono state soggetto di ampliamento. Tali attività sono molto rilevanti
in quanto, oggi, sempre più spesso chi svolge attività agricole svolge altre attività come nel caso
degli apicoltori che producono e vengono il miele o gli agriturismi che svolgono una attività
agricola e poi accolgono dei clienti.
Tali attività sono esercitate assieme ad una attività agricola e quindi la legge di riforma del 2001
ha speci cato che restano attività connesse tutte le attività che sono svolte utilizzando
prevalentemente le materie prodotte o le attrezzature impiegate nelle attività essenziali.
Se le attività connesse non rispettano tali condizioni l’imprenditore agricolo si trasforma in un
imprenditore commerciale.
La de nizione odierna di imprenditore agricolo comprende quindi realtà imprenditoriali che
possono essere caratterizzate da elevata complessità organizzativa e nanziaria indebolendo,
sempre di più, la necessità di avere un trattamento giuridico differenziato tra imprese agricole
e imprese commerciali.
Inoltre, dato che la legge fallimentare è cambiata negli ultimi decenni andando ad eliminare la
valenza punitiva del fallimento, l’esenzione da questa procedura non costituisce più un
trattamento di favore sotto il pro lo economico e per queste ragioni alcune differenze di
disciplina sono venute meno (iscrizione nel registro delle imprese o la tenuta delle scritture
contabili) o si sono ridotte (dal 2012 anche i debitori esenti dal fallimento possono ricorrere a
procedure di composizione delle crisi da sovra indebitamento inspirate al modello delle
procedure concorsuali riformate).
Concetto complicato che potrebbe essere richiesto all’esame: il divieto di concorrenza nel
trasferimento d’azienda si applica anche per quanto riguarda l’imprenditore agricolo. L’art. 2557
comma 2 prevede che per l’alienante divieto di concorrenza vale soltanto per quanto riguarda le
attività connesse. Come detto precedentemente il tema principale del divieto di concorrenza è
quello di non svuotare di valore d'azienda ceduta. Per quanto riguarda le imprese agricole
abbiamo quello che viene de nito divieto di concorrenza parziale in quanto se ho dei vigneti e
decido di vendere la mia impresa per aprirne una seconda in cui produco comunque vigneti il
divieto di concorrenza non consiste nel divieto di produrre vigneti ma nel trasformare l’uva in
vino.
L’impresa commerciale
La nozione generale di impresa depurata dall’impresa agricola e dalla piccola impresa
dovrebbe residuare nella specie di impresa destinataria del diritto commerciale. Questa
categoria di impresa è l’impresa commerciale (non piccola, o medio grande).
A differenza dell’impresa agricola e della piccola impresa, con riferimento all’impresa
commerciale non si rinviene una norma che contenga la relativa nozione; infatti, la norma dalla
quale si ritiene possa desumersi questa nozione è l’art. 2195 che non è una norma de nitoria,
ma è una norma di disciplina. Pertanto, l’impresa commerciale è un’attività di produzione di

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beni e di servizi che si quali ca come industriale e/o un’attività di circolazione di beni che si
quali ca come intermediaria.
1- Secondo una prima interpretazione, i due requisiti sono da intendersi in una accezione
strettamente letterale o, se si vuole, storica:
• L’industrialità alluderebbe al processo produttivo inaugurato con la Rivoluzione industriale a
cavallo tra XVIII e XIX secolo.
• L’intermediarietà alluderebbe alle attività classicamente commerciali di acquisto (all’ingrosso)
per la rivendita (al dettaglio).
Dunque, l’attività sarebbe industriale solo se si tratte di attività automatizzata o che si sostanzia
nella trasformazione sico-tecnica della materia; mentre l’attività sarebbe intermediaria solo se si
tratti di attività originata da un acquisto di qualcosa per la rivendita di qual qualcosa.
Da questa interpretazione si ricava una nozione di impresa commerciale in positivo che si
riferirebbe a tutti i fenomeni produttivi caratterizzati da un processo produttivo automatizzato o
diretti alla circolazione dei beni attraverso un preventivo acquisto e una successiva rivendita.
Ne consegue che ci potrebbero essere altri fenomeni produttivi che, pur non avendo natura
agricola, non avrebbero nemmeno natura commerciale. Quindi oltre all’impresa agricola e
all’impresa commerciale si aggiungerebbe una terza categoria che è invalso quali care come
impresa civile. Sulla base di queste premesse i seguenti fenomeni imprenditoriali sono stati
considerati imprese civili:
• Le imprese artigiane, sul presupposto che il sottostante processo produttivo non possa
quali carsi come industriale, in quanto mai interamente automatizzato.
• Le imprese primarie e le imprese di pubblici spettacoli, sempre sul presupposto che il
sottostante processo produttivo non possa quali carsi come industriale, in quanto non dà
luogo ad una trasformazione sico-tecnica della materia, ma si limita a sfruttare risorse che si
trovano in natura o risorse che rientrano nelle abilità umane.
• Le imprese nanziarie, sul presupposto che facciano circolare il denaro non in modo
intermediario, limitandosi a raccogliere risparmio da collocare in opportune soluzioni di
investimento o a concedere credito utilizzando denaro appartenente al patrimonio personale
del titolare.
• Le agenzie matrimoniali, le agenzie di collocamento o il mediatore di prodotti agricoli, sul
presupposto che si tratti di attività ausiliarie ad iniziative che non rientrano nell’elenco dell’art.
2195 o addirittura non imprenditoriali.
Questa interpretazione è stata oggetto di molte critiche e la principale ragione di simili critiche
è da ricondurre alle incertezze che caratterizzerebbero l’impresa civile con riferimento alla sua
rilevanza normativa, cioè quale sarebbe la disciplina che si applica ad essa.
Al riguardo, prevale l’idea che l’impresa civile abbia una rilevanza normativa non diversa da
quella riconosciuta all’impresa agricola e alla piccola impresa nonostante non ci siano le stesse
ragioni.
Dunque, appare poco congruo assoggettare l’impresa civile ad un trattamento normativo
deteriore
rispetto a quello riservato per le imprese commerciali.
2-Pertanto, l’opinione prevalente è orientata nel senso di interpretare in altro modo i due
requisiti, attribuendo:
• All’industrialità il signi cato di non agricolo.
• All’intermediarietà il signi cato di scambio.
In quest’ottica, si perviene una nozione di impresa commerciale residuale.
Dunque, in base alla natura, un fenomeno imprenditoriale è o un’impresa agricola o
un’impresa commerciale, non residuando spazio per la categoria dell’impresa civile.

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L’impresa commerciale può essere quali cata nelle categorie dell’impresa pubblica e
dell’impresa privata.
Le tipologie di soggetti
Un’altra distinzione interna alla fattispecie riguarda le tipologie di soggetti giuridici che
possono esercitare un’attività di impresa.
Tali soggetti sono:
• Persone siche
• Enti che possono essere a loro volta pubblici o privati
Queste distinzioni non sono funzionali a togliere bensì ad aggiungere degli ambiti di
disciplina. Tali distinzioni non individuano ambiti di esenzione parziale della applicazione
parziale della disciplina dell’impresa ma costituiscono soprattutto la base su cui si innestano
segmenti di disciplina ulteriore che si aggiungono alla disciplina generale dell’impresa.
Gli enti imprenditori
Questo ulteriore apparato di regole ha a che fare con il carattere arti ciale dei soggetti
imprenditori che non sono persone siche come oggi succede sempre più spessi.
Quindi all’imprenditore individuale si applica tutta la disciplina generale dell’impresa mentre
agli enti, ovvero soggetti giuridici che non sono persone giuridiche, si applica un ulteriore
complesso di regole necessarie per il loro funzionamento.
Tali enti sono centri di imputazioni di rapporti giuridici che possono avere diversa origine e
che, per poter fungere da soggetto di rapporti giuridici patrimoniali nei quali si articola
un’attività di impresa, devono essere dotati di almeno due elementi essenziali:
• Un de nito appartato decisionale attraverso cui sia individuato chi può prendere decisioni
per conto dell’ente e chi può impegnare lo stesso ente in rapporti giuridici patrimoniali
• Un patrimonio autonomo che costituisca garanzia generica per le obbligazioni assunte
(art. 2740 del CC)
Gli enti che esercitano un’impresa devono perciò essere soggetti a un’ulteriore disciplina che
regoli almeno questi due aspetti.
LEZIONE 14
Un’ultima distinzione interna alla categoria delle imprese che ci fa entrare nell’anticamera del
diritto societario si ha affrontando il tema degli enti, che sono dei soggetti che necessitano delle
regole che consentano il funzionamento di questi soggetti nel mondo pratico e nel mondo
economico.
Bisogna fare una distinzione tra quelli che sono i soggetti pubblici e i soggetti privati ovvero
tra soggetti che operano mediante meccanismi di diritto pubblico e soggetti che operano
mediante meccanismi di diritto privato.
Le imprese pubbliche
L’espressione impresa pubblica fa riferimento ad un fenomeno produttivo imprenditoriale di
natura commerciale esercitato da o riconducibile ad un soggetto di diritto pubblico (ente
pubblico).
In particolare, un’attività commerciale può costituire oggetto esclusivo o principale di un ente
pubblico, che allora si è soliti quali care come ente pubblico economico; ma può essere anche
un’iniziativa secondaria di un ente che allora si è soliti quali care come ente pubblico non
economico. In ne, è possibile che un ente pubblico detenga il controllo di una società (società
in mano pubblica).
• Enti pubblici economici: il loro ne istituzionale è perseguito esclusivamente o
principalmente mediante l’attività commerciale.
Si tratta di una conformazione dell’impresa pubblica che in passato assumeva una grande
importanza, ma che ormai assume una dimensione più circoscritta. Gli unici enti pubblici

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economici rimasti sono l’Agenzia del Demanio, l’Agenzia delle Entrate e la SIAE.
La ragione di questo mutamento sta nel fatto che gran parte degli enti pubblici economici,
specie quelli a rilevanza nazionale, (a causa in particolare dell’impulso comunitario) sono stati
interessati da un processo di privatizzazione che ne ha comportato la “trasformazione” in
società (di capitali) (es. la SIP (cabine telefoniche) era un ente di diritto pubblico che aveva il
monopolio delle comunicazioni telefoniche no agli anni Novanta; oggi, dopo varie
trasformazioni, è diventata Telecom ed è una società privata.
Altri esempi possono essere l’ENI, l’ENEL, la Banca Nazionale del Lavoro, le FS (che ci sono
ancora); dunque se si pensa ai servizi di uso quotidiano o comunque frequente; è molto
probabile che dietro ci sia un qualche ruolo del pubblico seppure si tratta di una attività di
impresa).
Il fatto che le imprese pubbliche siano state privatizzate non vuol dire che il pubblico sia
sparito dall’attività di impresa, sono quasi del tutto spariti gli enti pubblici, cioè i soggetti di
diritto pubblico. Infatti, bisogna distinguere tra privatizzazione formale e privatizzazione
sostanziale:
- Privatizzazione formale: trasformazione degli enti pubblici in soggetti di diritto privato
(soprattutto S.P.A.), ma permanenza di partecipazioni di controllo in capo allo Stato o ad altre
amministrazioni pubbliche.
In ogni caso, queste imprese sono soggette alla disciplina dell’impresa e delle società come
un soggetto privato.
È la trasformazione che è avvenuta dagli anni Novanta, infatti la SIP, che era un ente pubblico,
è stata trasformata in una S.P.A., ma le azioni sono rimaste in mano pubblica.
- Privatizzazione sostanziale: trasformazione degli enti pubblici in soggetti di diritto privato e
vendita delle partecipazioni a privati (mediante offerta al pubblico o trattativa privata). Un
esempio può essere Telecom; c’è, però una differenza tra Telecom e ad esempio Fastweb
dovuta dal fatto che quando lo Stato ha dismesso le partecipazioni ha voluto mantenere un
controllo residuale sulle imprese che vengono considerate avere una rilevanza strategica per
gli interessi nazionali. Infatti, la Telecom controlla tutta la infrastruttura nella quale passano i
dati delle telecomunicazioni.
Dunque, se si tratta di settori strategici, sono rimasti poteri speciali (golden power) dello
Stato su alcuni aspetti più delicati per gli interessi nazionali.
• Società in mano pubblica: sono comuni società caratterizzate dal fatto che la partecipazione di
controllo è detenuta da un ente pubblico (es. casa da gioco comunale). Tra queste vi sono
società a partecipazione interamente pubblica, nelle quali tra l’ente-socio e la società
intercorre una relazione talmente intensa da essere quali cata come interorganica più che
intersoggettiva. Nel senso che, secondo la giurisprudenza, la gestione è per statuto
assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dall’ente pubblico sui propri
uf ci, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai
sensi del Codice civile.
In tal caso, si parla di società in house providing.
• Enti pubblici non economici: i loro ni istituzionali sono perseguiti attraverso un’azione dalla
conformazione assai variegata, che si articola in numerose iniziative (anche produttive), le quali
non presentano tipicamente i caratteri dell’impresa (soprattutto per il requisito
dell’economicità), ma che talvolta possono essere vere e proprie imprese.
L’esempio più importante sono gli enti locali (Comuni o Regioni) in quanto in certi casi, anche
direttamente, esercitano una attività economica il cui oggetto può consistere anche nella
fornitura di un servizio pubblico.
I servizi pubblici che possono assumere le fattezze dell’attività commerciale si distinguono in:

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- Servizi c.d. a rilevanza economica (che è possibile fornire con l’obiettivo di realizzare un
margine di pro tto e per i quali è perciò possibile immaginare un mercato concorrenziale di
riferimento: tipicamente, i servizi nei settori energetici come il gas, la luce, l’acqua). La loro
gestione può essere effettuata direttamente dall’ente pubblico, ma deve essere af data
necessariamente ad una società in house, cioè una società di diritto privato costituite dal
Comune e interamente partecipate da esso o da più Comuni messi insieme (es. ATM).
- Servizi c.d. privi di rilevanza economica (fornibili solo con l’obiettivo di copertura dei costi e
per i quali non è perciò immaginabile un mercato concorrenziale di riferimento: tipicamente, i
servizi sociali). La loro gestione è lasciata a discrezionalità dell’ente pubblico che può af darla
ad una società in house o ad un’autonomia funzionale con soggettività giuridica (l’azienda
speciale, che si sostanzia in un vero e proprio ente pubblico economico: es. ospedali) o priva
di soggettività giuridica (in sostanza, l’attività è esercitata direttamente dall’ente pubblico non
economico, o nella orma dell’istituzione o in economia).
Per quanto riguarda le implicazioni su piano della disciplina applicabile:
1. Nel caso in cui assuma la forma giuridica di diritto privato, cioè la società, l’applicazione
della disciplina d’impresa dovrebbe avvenire in maniera non diversa da una qualsiasi altra
società; in quanto la natura pubblica del socio di controllo non sono motivi suf cienti a
giusti care un’applicazione differente.
2. Nel caso in cui l’impresa assuma la forma giuridica di diritto pubblico, cioè l’ente pubblico,
occorre muovere dall’art. 2093, il quale dispone, nei riguardi degli enti pubblici economici
l’applicazione delle disposizioni contenute nel Libro V e nei riguardi degli enti pubblici
non economici l’applicazione delle disposizioni del Libro V limitatamente alle imprese da
essi esercitate.
Dunque, non sembra che la forma pubblica dell’impresa possa incidere signi cativamente
sulla disciplina operante.
Ma questa conclusione deve essere valutata alla luce degli artt. 2201 e 2221, i quali,
riferendosi speci camente agli enti pubblici che esercitano un’impresa, stabiliscono; il
primo, che quelli aventi per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale (enti
pubblici economici) sono soggetti all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese; il
secondo, che gli enti pubblici sono esclusi dalle procedure di fallimento e dal concordato
preventivo.
La ratio di queste disposizioni si coglie nell’esigenza di adeguare le modalità di
applicazione del diritto dell’imprese alla forma giuridica pubblica rivestita dalla stessa.
Tutta la disciplina riguardante il funzionamento interno, ovvero riguardante l’apparato
decisionale e la garanzia patrimoniale di tali enti è oggetto del diritto pubblico.
Le imprese private
Con l’espressione impresa privata si fa riferimento ad un fenomeno produttivo imprenditoriale,
che assume la forma giuridica di diritto privato: vale a dire, la persona sica (impresa
individuale), la società (impresa societaria) o un altro ente privato non societario (gruppo
europeo di interesse economico, consorzio tra imprenditori con attività esterna, rete d’impresa,
associazione o fondazione del Libro I).
1-Se l’impresa assume la forma individuale, sembra che non si veri chino particolari
ripercussioni riguardo la disciplina applicabile
2-Se l’impresa assume la forma societaria, sembra potersi replicare la stessa conclusione. Con
la precisazione che, se si tratta di società c.d. di forma commerciale (S.N.C, S.A.S., S.R.L. e
società azionarie) e cooperative, la disciplina della forma giuridica implementa sempre alcune
regole mutuate dalla disciplina dell’impresa commerciale: l’obbligo di pubblicità e di tenuta

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delle scritture contabili.
Accanto alle società, l’attività di impresa può essere imputata a:
• Consorzi con attività esterna (artt. 2602 e 2612 c.c.) che sono delle organizzazioni tra
imprese
istituite per svolgere alcune fasi comuni delle rispettive attività.
• Reti di imprese (d.l. n. 5/2009) che sono forme di collaborazioni tra imprese che avvengono
per contratto e che hanno più o meno la stessa logica dei consorzi ma una forma giuridica
diversa.
• GEIE (gruppi europei di interesse economico) (Reg. CE 1985/2137) che sono delle specie di
consorzi di diritto comunitario.
• Imprese coniugali (art. 177, lett. d, c.c.) che sono imprese esercitate imputandone la titolarità
ad entrambi i coniugi e che seguono il regime della comunione legale.
Ognuna di queste forme è soggetta ad una sua disciplina che riguarda l’apparato
decisionale e la dotazione patrimoniale.
In ne, vi sono delle quali cazioni di attività di impresa che tagliano trasversalmente i tipi di
soggetti che le esercitano; ad esempio le imprese sociali che sono imprese che possono
essere società, fondazioni, associazioni quali cate come imprese sociali perché le
caratteristiche dell’attività che esercitano rientrano in certi requisiti di utilità sociale. Dunque, si
applica in aggiunta al diritto societario (se sono società) una disciplina ad hoc, cioè la
legge sulle imprese sociali.
3-Se l’impresa assume la forma di ente privato non societario; cioè enti, soggetti di diritto
privato costituititi per altri ni istituzionali, ma nel perseguirli svolgono anche una attività di
impresa; la conclusione non è così immediata.
Ciò in quanto nella sistematica del Codice civile manca qualsiasi riferimento in merito
all’applicazione della disciplina dell’impresa nei confronti degli enti non societari, che invece si
limita a considerare le sole varianti dell’impresa pubblica, impresa individuale e impresa
societaria.
Il pro lo maggiormente controverso riguarda l’applicazione di tale disciplina alle fondazioni e
associazioni del Libro I.
Queste che possono svolgere attività di impresa a condizione che:
- tale attività sia funzionale al perseguimento del ne istituzionale (es. fondazioni che gestiscono
ospedali o case di cura, associazioni sportive o musicali che gestiscono anche punti vendita o di
ristorazione)
- gli utili eventualmente ricavati dall’attività di impresa siano reimpiegati per lo scopo di natura
ideale dell’ente (e non distribuiti tra i soggetti coinvolti).
Recentemente, si sono viste imprese famose che hanno usato la fondazione per programmare il
passaggio generazionale: ad esempio Armani per programmare il passaggio ha istituito una
fondazione. Si ritiene che anche se sono enti di diritto privato che non nascono per svolgere una
attività di impresa sono soggetti anche loro alle regole dell’attività di impresa e quindi anche
le associazioni e le fondazioni possono fallire, però, le regole che riguardano l’apparato
decisionale e la dotazione patrimoniale sono quelle previste dal Libro I del Codice civile
(regole ad hoc).
Le società
Le società sono la forma giuridica prevista dall’ordinamento più adatta allo svolgimento
dell’attività di impresa. L’art. 2247 del codice civile asserisce che ‘Con il contratto di società
due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività
economica allo scopo di dividerne gli utili'.
Cosa contraddistingue la società?
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Prima di tutto si dice che la società è un contratto in senso ampio e generico. Questo signi ca
che all’origine della società c’è un atto di autonomia privata. Ormai è possibile costituire delle
società per atto unilaterale e quindi sono ammesse le società caratterizzate, sin dalla
costituzione, da un unico socio (vedi s.p.a. unipersonali). La società è un contratto soprattuto nel
senso che ancora prima della costituzione della società la legge ricollega un complesso di
effetti giuridici erga omnes aventi degli effetti che vanno ben oltre gli effetti inter partes dei
rapporti contrattuali. Il primo e principale di questi effetti, sia dal punto di vista funzionale sia dal
punto di vista dell’evoluzione storica, è costituito dalla creazione di un patrimonio autonomo
dell’ente separato da quello personale dei soci.
Per questo motivo si dice che il patrimonio conferito dai soci va a costituire un patrimonio
autonomo di impresa che rappresenta la garanzia generica per le obbligazioni nascenti
nell’ambito dell’attività di impresa. Questo effetto produce effetti nei confronti dei terzi perchè
questo patrimonio non cade dal cielo ma deriva dal patrimonio personale di ciascun socio.
Facendo così io sto sottraendo una parte del mio patrimonio dalla portata dei miei creditori
personali che non potranno più soddisfarsi su quella parte di patrimonio che ho conferito alla
società, ovvero un soggetto che non esiste e che io sto cercando di creare. Questo effetto, per
avere un valore giuridico, deve essere riconosciuto dalla legge per non ledere i diritti dei
creditori.
La società consente ai soci di dividere una parte del loro patrimonio e destinarlo all’attività di
impresa. Questo signi ca che i creditori dei singoli soci hanno pretese subordinate alle pretese
dei creditori dell’impresa sul patrimonio della società e, inoltre, hanno limitata o nessuna
possibilità di agire in via esecutiva per ottenere la liquidazione della quota di patrimonio della
società di spettanza del proprio debitore.
Quindi in caso di liquidazione delle società vengono prima soddisfatti i crediti dei creditori
dell’impresa, la parte restante viene suddivisa tra i singoli soci e solo a quel punto, sulla quota
che spetta al singolo socio, che potranno intervenire i creditori personali di quest’ultimo.
Senza questa divisione patrimoniale a favore dei creditori dell’impresa sarebbe molto
complicato per l’impresa entrare in rapporti patrimoniali di durata.
La separazione patrimoniale è molto importante anche per i terzi in quanto se nasce un
rapporto di affari potenzialmente duraturo con un soggetto giuridico, il soggetto terzo deve
essere sicuro che tale ente esercita l’attività di impresa disponendo di un patrimonio
stabilmente dedicato ad un’attività di impresa.
Per cui il primo effetto di questo conferimento di beni è tenere a riparo un insieme dei beni
dai soci o dai creditori personali.
Se i conferimenti che i soci fanno nel momento della costituzione della società, per iniziare
l’attività di impresa, possono essere ritirati in qualsiasi momento verrebbe meno la stabilita del
patrimonio dell’impresa e dunque la stabilità della società stessa.
LEZIONE 15
Continuiamo ad analizzare la de nizione di società analizzando gli aspetti di contenuto della
società.
La società prevede un’esercizio in comune, tra le persone che sono soci della società, di una
attività economica. Questo non signi ca che l’attività viene imputata ai soci, in quanto con la
nascita della società viene imputato un soggetto giuridico nuovo, ne che i soci sono coloro che
esercitano direttamente l’attività di impresa.
I soci esercitano in comune una attività economica nel senso che sono i soggetti a cui è af data,
in ultima istanza, la decisione sullo svolgimento dell’attività economica.
Il potere decisionale

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Nelle vicende di una società sono normalmente coinvolti molti soggetti, de niti stakeholders,
che hanno interessi di vario tipo nei confronti della società. Tali soggetti sono soci, nanziatori,
dipendenti, clienti, fornitori e molti altri ancora.
Questi interessi sono tutti convergenti verso il buon funzionamento dell’attività di impresa
perchè quando un’impresa funziona è in grado di soddisfare gli interessi di tutti gli stakeholders.
Nei casi concreti però, e nemmeno molto raramente, questi interessi possono divergere in
quanto non sempre quello che vogliono i soci coincide con la volontà degli altri soggetti.
Esempio: il caso dell’Ilva di Taranto in cui gli interessi dei soci non convergono con l’interesse
della popolazione in quanto le emissioni derivanti da questa impresa sono in con itto con
l’interesse di tutela della salute che a sua volta si pone in contrasto con l’interesse dei lavoratori
che vogliono continuare a lavorare.
A questo punto, chi decide tra gli stakeholders?
A ognuna di queste categorie di stakeholders sono riconosciute delle prerogative giuridiche
nei confronti della società, ma il potere decisionale ultimo sul suo agire è assegnato soltanto ai
soci.
La risposta su cui si fonda il nostro ordinamento è che ai soci sono riconosciuti poteri
proprietari sulla società perchè sono i soggetti su cui ricade il rischio di impresa. Sono dunque
i soggetti che risentono in ultima istanza dei risultati, positivi e negativi, dell’attività di impresa. I
soci sono in cosiddetti residual claimants. Questa risposta si base sul principio di correlazione
tra rischio e potere ovvero che comanda chi rischia di più e rischia di più chi comanda.
Il conferimento di bene e servizi con cui si crea il patrimonio d’impresa è considerato, per
questo motivo, un apporto di capitale di rischio che de nisce la differenza tra creditori, che
hanno una pretesa giudica nei confronti della società, e soci, che possono pretendere dalla
società solamente quello che rimane. Per questo l’investimento dei soci è un investimento a
capitale di rischio.
Dire che i soci sono residual claimants signi ca che i soci guadagnano SOLO in caso in cui ci
sia un’utile di impresa.
La responsabilità patrimoniale dei soci
Grazie alla separazione patrimoniale che deriva dalla costituzione del nuovo soggetto giuridico i
creditori dell’impresa bene ciano di una priorità sulla garanzia generica costituita dal
patrimonio imputato alla società. Questo signi ca che il creditori possono agire sul patrimonio
sociale in caso in cui non venga soddisfatto il loro credito. Dato che i soci restano i proprietari
sostanziali della società, però, rispondono delle conseguenze delle loro decisioni anche in
termini patrimoniali. Di conseguenza i creditori possono avvalersi non solo sul patrimonio
sociale ma anche sul patrimonio dei singoli soci, in concorso con i loro creditori personali.
La responsabilità dei soci è dunque illimitata per quanto riguarda le obbligazioni sociali e
questa condizione è una conseguenza ultima della correlazione tra rischio e potere.
Questo comporta al fatto che un soggetto deve essere consapevole che se investe in una
società deve essere consapevole del fatto che potrebbe ottenere grandi vantaggi ma allo
stesso tempo potrebbe perdere tutto. Per questo motivo diminuisce il numero di persone
disposte a rischiare tutto e chi lo va vuole avere una voce in capitolo legata alle decisioni
relative al rischio che corre ma è impossibile coinvolgere tutti i soci all’interno dell’attività
gestionale.
La condizione di responsabilità illimitata dei soci comporta dunque dei freni allo sviluppo
economico e all’investimento di capitale di rischio in una società e quindi, nel corso della
storia, si è posta l’esigenza di allargare il più possibile l’apporto di capitali nelle società, al ne
di intraprendere attività di impresa che richiedono somme ingenti. Per rispondere a a questa
esigenza è sorta nella realtà, ed è stata confermata dal diritto positivo, una diversa gura di

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socio caratterizzato da una responsabilità limitata al capitale conferito per le obbligazioni della
società.
Dapprima questa gura è emersa in un assetto societario, la cosiddetta commenda medievale,
in cui coesistevano:
• Soci illimitatamente responsabili e quindi incaricati alla gestione dell’impresa
• Soci limitatamente responsabili e quindi estranei alla gestione diretta
Successivamente è emerso un nuovo tipo di società, le cosiddette Compagnie delle indie, in
cui tutti i soci godevano del bene cio della responsabilità limitata e, per questo motivo, la
gestione diretta poteva essere af data anche a soggetti che non erano soci.
Questa distinzione sta alla base della bipartizione del nostro ordinamento tra società di
persone, in cui tutti i soci sono illimitatamente responsabili, e società di capitali, in cui i soci
sono limitatamente responsabili.
Che differenza c’è per un terzo avere a che fare con una società di persone, in cui tutti i soci
sono illimitatamente responsabili, rispetto che un società i capitale, in cui i soci sono
limitatamente responsabili?
Se c’è una responsabilità illimitata conta l’identità dei soci mentre nel caso in cui c’è una
responsabilità limitata la conferimento una persona vale l’altro. Per questo le società dove i
soci hanno responsabilità illimitate sono società di persone mentre le società in cui i soci hanno
responsabilità limitata sono società di capitali
Quindi l’alternativa tra limitazione e non limitazione della responsabilità dei soci per le
obbligazioni sociali ha una diretta implicazione in relazione alla rilevanza dell’identità di
ciascun socio per gli altri soci e per i creditori sociali. Il patrimonio del socio illimitatamente
responsabile contribuisce alla garanzia generica per i debiti della società e quindi la sua
identità assume rilevanza mentre se il socio è limitatamente responsabile i creditori si
possono avvalere solo sul patrimonio sociale quindi l’identità del socio non conta nulla.
Per questo motivo nelle vicende delle società di persone ha rilevanza la persona dei soci
mentre nel caso delle società di capitali restano in primo piano i capitali conferiti.
L’attività esercita dalla società
In relazione alla società si fa riferimento ad una attività economica e non ad una attività di
impresa. L’attività economica esercita da una società, che ne costituisce l’oggetto sociale,
delimita na fattispecie più ampia rispetto all’attività di impresa.
L’art 2248 prende in considerazione le società di mero godimento e prevede che se l’impresa
sorge al ne di godimento dei beni per i soci viene considerata una società soggetta alla
disciplina della comunione.
Questa soluzione viene utilizzata nelle successioni ereditaria quando il de cuius lascia in eredità
tanti immobili che vengo ereditati dagli eredi i quali, conferiscono tutti gli immobili in una
società, non per svolgere un’attività economia ma una semplice attività di godimento.
L’articolo appena citato sottrae queste società dal resto in quanto dire che c’è una comunione
signi ca che non c’è effetto di separazione patrimoniale in quanto viene a mancare un’attività
produttiva che vada a giusti care la creazione di un patrimonio ad essa dedicato.
Possono essere esercitate in forma societaria, sebbene costituiscano un’eccezione, anche attività
che non sono attività di impresa come le società occasionali.
Di maggior rilievo è la situazione della società che svolge un’attività economica che però non è
un attività di impresa come le società dei professionisti intellettuali ovvero società che hanno
per oggetto esclusivo l’esercizio di una professione intellettuale.
In passato tali società erano espressamente vietate e, in seguito all’abrogazione del divieto,
che era di incerta ammissibilità, per la dubbia compatibilità tra il carattere personale della
prestazione e la sua imputazione ad un soggetto non persona sica. Per superare questi dubbi

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la legge 183 del 2011 ha introdotto una disciplina che riconosce e regola l’esercizio in forma
societaria delle professioni riservate. Questo viene fatto per favorire l’af usso di maggiori
investimenti anche per queste attività prevedendo però delle disposizioni speciali dirette a
preservare la peculiarità dell’attività. Secondo tali disposizioni prevedono che almeno i 2/3 dei
soci siano professionisti e che l’attività venga svolta dai soci professionisti.
Le professioni intellettuali non protette possono essere esercitate liberamente.
LEZIONE 16
L’ultimo segmento della de nizione di società riguarda lo scopo di questa ovvero quello di
dividere gli utili. Si dice che lo scopo tipico del contratto di società sta nella nalità lucrativa.
Lo scopo di lucro
La causa tipica del contratto di società sta nella nalità dei soci di produrre un guadagno,
appunto un lucro oggettivo, da dividersi a titolo di lucro soggettivo. L’ordinamento prevede
però delle forme societarie in cui lo scopo di lucro oggettivo è combinato con uno scopo
soggettivo pur sempre egoistico ma di diverso tipo.
Le società cooperative, ad esempio, sono regolate dagli art 2511 e seguenti del cc e sono
società con uno scopo mutualistico ovvero quello di fornire ai soci beni, servizi o lavoro a
condizioni più vantaggiose.
C’è un’altra ipotesi di società guidate da una nalità egoistica ma non lucrativa che è l’ipotesi
delle società consortili, disciplinate dall’art. 2615 ter, che hanno uno scopo consortile. Tale
scopo consiste nel coordinamento di parti dell’attività di impresa tra più imprese per ottenere
minori costi o maggiori vantaggio dall’attività di ciascun socio.
Con lo scopro di lucro ritorna l’elemento del ne della società e la compatibilità
dell’interesse dei soci con l’interesse di tutti i soggetti coinvolti nella vita dell’impresa.
Negli anni’80 l’idea prevalente era che le società lucrative avevano come criterio orientativo la
massimizzazione del valore degli azionisti in quanto in quella fase storica ed economica
prevalse l’idea che massimizzare la valorizzazione dell’interesse degli azionisti si soddisfava
l’interesse di tutti gli altri soggetti connessi. Nell’ultimo ventennio è tornato in primo piano uno
sguardo critico a questa idea di fondo e, sopratutto negli ultimi 10 anni, la critica di questa idea
si è sviluppata attorno ad una tematica di responsabilità sociale dell’impresa.
Fermo restando che la società deve generare un lucro e che coloro che hanno diritto al
guadagno residuale sono i soci resta comunque un ampio margine di opzioni nella
concretizzazione di come questo scopo di lucro viene perseguito.
Esempio: a chicago ci sono due squadre di Baseball. Negli anni 60 il proprietario di una di
queste squadre ha litigato con gli azionisti di minoranza che avevano iniziato a proporre alla
società di costruire dei ri ettori per poter giocare anche in notturna per poter guadagnare di più.
Il presidente si ri utava e quindi gli azionisti l’hanno portato in tribunale per ottenere la
costruzione di questi ri ettori per massimizzare il loro investimento. La corte diede ragione al
presidente dando prevalenza alla discrezionalità con cui chi gestisce la società attua lo scopo di
lucro.
Con l’introduzione della disciplina dell’impresa sociale poi, oltre ad associazioni e fondazioni,
anche le società possono essere utilizzate per esercitare un’attività di impresa non nalizzata a
uno scopo egoistico ma per uno scopo ideale o altruistico.
Allo scopo lucrativo o mutualistico si può aggiungere il perseguimento di una nalità di
interesse generale a bene cio di alcune categorie di stakeholders. Tali società assumono,
secondo la legge n. 218 del 2015, la quali ca di società bene t. È ancora poco chiaro quali
siano le prerogative giuridiche di questa quali ca ma è comunque un primo passo per
segnalare l’interesse generale della società. La questione delle società bene t è una questione

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di cui bisogna cogliere la sostanza perchè è possibile che una società promuova tante cose
positive all’interno del suo statuto senza che abbiamo alcun tipo di rilevanza a livello giuridico.
I tipi di società
Per gli atti di autonomia privata, come i negozi giudici, vale il principio di atipicità secondo
cui i tipi contrattuali espressamente regolati dalla legge non esauriscono il campo dei contratti.
Quindi le parti possono concludere un accordo cn un contenuto che possono determinare loro
in maniera autonoma.
Per tutti gli atti di autonomia che danno vita ad una società invece vale il principio di tipicità
secondo cui possono essere costituite solo società rientranti in uno dei tipi disciplinati dalla
legge. La ragione sta nel fatto che facendo sorgere effetti giuridici erga omnes non sostituibili
solo contatti di autonomia privata, come la separazione patrimoniale, la costituzione di società si
con gura come una deroga al regime di responsabilità patrimoniale individuale (art. 2740)
e per questo richiede un espresso riconoscimento normativo.
All’origine dell’evoluzione storica la costituzione di società era consentita per concessione del
re che veniva fatta caso per caso. Successivamente le condizioni per la concessione degli effetti
della separazione patrimoniale sono stati formalizzati in una disciplina generale che subordina
la produzione di tali effetti al rispetto di alcuni vincoli.
Per meglio adattarsi alle varie realtà di impresa questi vincoli sono modulati i diversi tipi, tra cui
l’autonomia dei privati è libera di scegliere il modello che meglio si adatta all’iniziativa
imprenditoriale che vuole essere perseguita.
Nel nostro ordinamento i tipi sociali, e in particolare la suddivisione tra società di persone e
società di capitali, si distinguono tra loro per una disciplina differenziata dei due fondamentali
aspetti dell’ente quali la separazione patrimoniale e l’apparato decisionale. Per questo motivo
ciascun interessato che vuole costituire una società può scegliere tra questi modelli quali sia il
migliore per lui. La scelta tra questi modelli può avvenire non soltanto all’inizio, in fase di
costituzione, ma anche successivamente mediante una trasformazione della società.
I tipi di società lucrative sono:
• Società di persone che possono essere semplici, in nome collettivo e in accomandita
semplice
• Società di capitali che possono essere società per azioni, a responsabilità limitata e in
accomandita per azioni
La scelta tra questi tipi è in via generale libera con l’eccezione del divieto di utilizzare la
società semplice per esercitare un’impresa commerciale (art. 2249). Inoltre alcune speciali
discipline di stare possono prevedere l’adozione di solo certi tipi sociali per l’esercizio di alcune
attività e integrare o derogare la disciplina del tipo.
La rigidità della distinzione tra i tipi rimane fondamentale ma può risultare signi cativamente
attenuata sul piano sostanziale sia perchè ogni tipo societario prevede spazi più o meno ampli
di derogabilità alle norme derogabili previste dalla legge sia per la possibilità di
partecipazione di una società in un’altra società di altro tipo.
Le società di persone
Tali società sono regolate in un modo particolare nel senso che abbiamo una disciplina
autonoma per quanto riguarda le società semplici mentre le società in nome collettivo sono
soggette alla stessa disciplina delle società semplici con l’aggiunta di un complesso di
disposizioni speci che. In ne le società in accomandita semplice sono soggette alla
disciplina delle società in nome collettivo a cui si aggiungono o derogano alcune disposizioni
speci che legate al fatto che le società in accomandita sono caratterizzate da due tipi di soci: gli
accomandatari che sono soci con responsabilità illimitata e gli accomandanti che sono soci
con responsabilità limitata.

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A livello generale la disciplina delle società di persone contengono molte lacune e ampi
margini di derogabilità e quindi c’è ampio spazio a integrazioni e/o deroghe dell’autonomia
privata. Abbiamo poi norme che riguardano la responsabilità illimitate dei soci e la rilevanza
della loro identità.
In ambito organizzativo, in ne, abbiamo una maggiore agilità e informalità dei processi di
gestione e azione.
Tutte queste caratteristiche rendono le società di persone società normalmente utilizzate per
esercitare attività di impresa di piccola o media dimensione con un numero ristretto di soci.
Le società per azioni
La s.p.a. è il modello centrale delle società di capitale e sono caratterizzate dalla limitazione
della responsabilità dei soci e, sebbene possano essere utilizzate per organizzazioni
produttive di qualsiasi dimensione, questo tipo costituisce lo strumento privilegiato per
l’esercizio di impresa di grandi dimensioni in quanto consente un investimento in capitale di
rischio anche a chi è disposto ad effettuare investimenti limitati e a breve termine senza
essere coinvolto nell’amministrazione dell’impresa. Per questo motivo favorisce l’af usso di una
quantità potenzialmente ben maggiori di capitali di rischio.
Indipendente dalle dimensione, rispetto alle altre imprese le s.p.a. sono contraddistinte da due
pro li essenziali ovvero una struttura organizzativa e patrimoniale più rigida all’interno e più
trasparente all’esterno e la facilità di circolazione delle quote di partecipazione in quanto è
molto semplice entrare e uscire da una s.p.a.
LEZIONE 17
La caratteristica principale delle s.p.a. è che il potere decisionale ultimo sull’agire dell’ente è
assegnato ai soci in quanto ricoprono la funzione di residual claimants in relazione ai risultati
dell’impresa. Inoltre nelle s.p.a tutti i soci godono del bene cio della responsabilità limitata
prevista dall’art. 2325 del cc. Questa situazione comporta la possibilità che le decisioni guidate
dall’interesse dei soci espongano i terzi ad esternalità negative.
In particolare pone le premesse per l’incentivo a trasferire il rischio di impresa sui terzi.
Questo perchè se i soci sopportano i rischi delle sorti dell’impresa no ad un certo punto, le
conseguenze negative che possono oltrepassare quella soglia vengono scaricate sui terzi in
rapporto con le società come, soprattutto, i creditori e i lavoratori.
La crisi nanziaria del 2008 è stata causata proprio da questa dinamica.
Pertanto i soci potrebbero tendere a far assumere alla società rischi eccessivi dato che le
conseguenze negative ricadrebbero solo parzialmente su di loro.
Quindi le s.p.a sono le società più pericolose per lo svolgimento dell’attività di impresa. Per
questo motivo si cerca di controllare il funzionamento di questo genere di società nel miglior
modo possibile.
L’organizzazione interna
Per evitare che i soci, in quanto responsabili solo limitatamente, prendano decisioni troppo
rischiose sono previsti dei presidi volti al controllo dell’attività dei soci.
Il contenimento di questi rischi è fondato su una più articolata disciplina dell’organizzazione
interna volta a prevenire che le disfunzioni interne ricadono sui soci, attraverso una tendenziale
rigidità e inderogabilità dell’appartato e dei procedimenti decisionali e per permettere ai terzi
di conoscere le decisioni interne e la situazione economico- nanziaria della società.
L’intensità con cui queste direttive sono realizzate è nel tempo mutata in conseguenza di vari
interventi normativi dettati dall’evoluzione della realtà economica ma esse continuano a
costituire i tratti distintivi di base del tipo sociale.
La società per azioni uni personale

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La società uni personale è una dimostrazione estrema di questa impostazione nel senso che la
s.p.a. può essere costituita anche da un solo socio.
La legge ammette la possibilità che una s.p.a. sia costituita per atto unilaterale (art. 2328) o che
prosegua nonostante venga meno la pluralità dei soci (art. 2484).
In questo caso la s.p.a. uni personale è una creazione giudica con cui l’unico socio separa il suo
patrimonio , mediante un conferimento, lasciando riparata tutta la restante parte del patrimonio
dal rischio legato all’attività di impresa.
L’unico socio risponde illimitatamente delle obbligazioni sociali solo se:
• Non sono state pubblicate nel registro delle imprese l’unipersonalità della società e le
generalità dell’unico socio (art 2362)
• Non sono stati integralmente effettuati o completati i conferimenti (art. 2342)
Anche in questo caso il socio risponde solo in via sussidiaria nel caso in cui la società sia
insolvente e non è oggetto all’estensione del fallimento della società.
Inoltre le operazioni concluse tra il socio e le s.p.a. sono opponibili ai creditori sociali se la loro
decisione risulta dal libro delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto
scritto con data certa anteriore al pignoramento. Quindi se l’atto giuridico che la s.p.a pone in
essere con l’unico socio è stato adottato secondo le modalità previste tale atto è opponibile ai
terzi.
In questo caso il rischio che l’unico socio sfrutti la s.p.a. è estremo e dunque questo genere di
attività è sottoposto a controlli di trasparenza ancora più elevati.
Come detto la s.p.a. sorge mediante un negozio giuridico con il quale si costituisce la società la
quale, in questo modo, acquisisce personalità giuridica. Costituendo una società i soci si
assumono l’impegno di conferire, o direttamente il conferimento, risorse economiche alla
societa. Il conferimento costituisce l’investimento in capitale di rischio del socio e rappresenta la
principale prestazione contrattuale del socio.
In cambio il socio non riceve direttamente una controprestazione, in quanto non si tratta di un
contratto di scambio, ma riceve l’assegnazione di una quota di partecipazione alla gestione
e ai risultati dell’attività svolta dalla società. Abbiamo quello che viene de nito contratto
associativo in qui ciascuna parte del contratto svolge una prestazione ricevendo il cambio la
possibilità di associarsi all’organizzazione che nasce dal contratto. La partecipazione, al
contrario di altri beni d’uso, ha la caratteristica di essere un investimento nanziario sottoposto
ad un regime particolare in quanto sono sottoposti ad un certo vincolo de nito vincolo di
destinazione delle risorse conferite all’attività di impresa.
Quindi le risorse conferite dai soci sono suggete ad un vincolo di destinazione in quanto il
socio non può mai chiedere la restituzione del bene conferito cosi come non può, in via
generale, chiedere in qualsiasi momento la liquidazione per equivalente del valore di quanto
conferito o della propria quota di partecipazione.
Si tratta di limiti che rispecchiano, all’interno, il vincolo di destinazione costituito, verso l’esterno,
della separazione patrimoniale nei confronti dei creditori personali dei soci.
Questi vincoli sono funzionali ad assicurare che la società sia dotata di un patrimonio
stabilmente destinato all’esercizio dell’impresa senza il quale non sarebbe possibile gestire e
programmare un’attività imprenditoriale.
Quindi il vincolo di destinazione si pone in potenziale con itto con l’esigenza che nel corso del
tempo può sorgere nel tempo per un socio di riuscire a monetizzare il valore del suo
investimento.
Rispetto alle altre società di capitali le s.p.a. sono costituite dal massimo grado di liquidità
nell’investimento in capitale di rischio in quanto la s.p.a. costituisce lo strumento privilegiato
per far con uire verso le iniziative imprenditoriali anche le risorse di chi è disposto ad effettuare

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investimenti limitati a breve termine, senza coinvolgimento nella gestione dell’impresa. La
realizzazione di questa funzione non è svolta a discapito del vincolo di stabile destinazione
allo svolgimento dell’attività di impresa degli investimenti in capitali di rischio in quanto
tale vincolo nelle s.p.a. è rafforzato e perchè, come detto, maggiori complessità e dimensioni
dell’imprese accentuano le esigenze di stabilità patrimoniale.
La liquidità dell’investimento è realizzata mediante una facilitazione del trasferimento della
partecipazione sociale che consente al socio un disinvestimento anticipato rispetto al termine
della società senza che venga intaccato il patrimonio destinato all’esercizio dell’impresa.
Questa facilitazione risulta dalla combinazione di tre elementi:
• Generalizzata limitazione di responsabilità per tutti i soci
• Libera trasferibilità delle partecipazione sociale senza che sia necessario il consenso degli
altri soci o dei rappresentanti legali della società
• Modalità di trasferimento della partecipazione sociale che privilegiano la rapidità e la
sicurezza degli scambi
Queste modalità di circolazione si fonda sull’incorporazione delle partecipazione sociale in
azioni che regolano la circolazione dei titoli di credito e che sono impostate sul modello
cartolare. Questo perchè anche se fosse libera la circolazione della partecipazione sociale la
sostituzione di un socio non è una cosa immediata e quindi necessita di essere agevolata. Nella
s.p.a. la partecipazione sociale può essere ceduta nel giro di qualche secondo grazie ad un
insieme di norme che consenta di realizzare in maniera decisamente rapida questa cessione.
LEZIONE 18
Lo strumento attorno a cui ruota il meccanismo della liquidazione dell’investimento sono le
azioni, anche dette titoli di massa
Le azioni
La partecipazione sociale è rappresentata da azioni (art. 2346) ovvero delle quote di
partecipazione omogenee e standardizzate. L’insieme dei conferimenti forma il capitale
sociale che viene suddiviso in un numero predeterminato di parti, ovvero le azioni, che hanno
il medesimo valore nominale.
Le azioni sono de nite come unità minime indifferenziate e sono:
• Indivisibili: la singola azione è de nita come unità minima di investimento, l’azionista non può
suddividere in più parti la partecipazione e imputarla separatamente ai titolari. L’indivisibilità
però ammette la contitolarità tra più persone, ma i diritti dei comproprietari devono essere
esercitati da un rappresentante comune. Le azioni però possono essere oggetto di modi ca
dall’assemblea straordinaria, che può aumentare (raggruppamento delle azioni) o diminuirne
(frazionamento delle azioni) il loro valore nominale.
• Inscindibili: non si reputa ammissibile il frazionamento che consista nel disporre in modo
parziale del contenuto dell’azione a favore di altri soggetti, che attribuisca all’azionista
solamente una parte dei suoi diritti azionari (non è permessa ad esempio la vendita del voto).
• Uguali: le azioni sono conferite in astratto oggettivamente, le partecipazioni sono uguali l’una
dalle altre: le azioni sono di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti. È
ammessa la possibilità di emettere però categorie diverse di azioni. Non è invece ammissibile
che la diversità dell’azione sia legata in base al suo possessore (le azioni si dicono
spersonalizzate).
• Autonome: ognuna di esse attribuisce al proprio possessore prerogative esercitabili
autonomamente (es. voto divergente), rispettando però il principio di buona fede e il divieto
di abuso del diritto.
Questa impostazione è funzionale alla circolazione in quanto la modalità di circolazione è
impostata sul modello dei titoli di credito (la cosiddetta circolazione cartolare)

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In base al modello cartolare una posizione giuridica viene incorporata in un documento
cartaceo emesso dalla controparte contrattuale, de nita emittente. Il trasferimento dei diritti
incorporati avviene mediante il trasferimento del documento e quindi diventa titolare dei diritti
incorporati il legittimo titolare del documento.
Il contenuto della posizione giuridica trasferita coincide con quanto risulta dal documento
stesso che legittima il possessore del documento ad esercitare i diritti incorporati.
Esempio: sono un fornitore che consegna all’impresa X una quantità di merce. L’impresa invece
che pagarmi in denaro alla consegna, emette un titolo di credito per pagarmi in cui dice che il
titolare di tale titolo di credito ha diritto al pagamento entro 60 giorni dalla consegna. A sua volta
il fornitore acquista delle merci e pagare con il titolo di credito che gli è stato consegnato
dall’impresa X. Questo titolo di credito può circolare molte volte prima della sua scadenza.
Al contrario del diritto di credito, il trasferimento del titolo di credito non deve essere noti cato
ed inoltre, gli eventuali vizi tra il primo fornitore e l’impresa X non sono opponibili ai successivi
contraenti.
Tale meccanismo è molto diffuso nel mondo economico.
Con l’acquisto delle azioni un socio si impegna ad effettuare un conferimento a fronte
dell’emissione a suo favore di titoli azionari da parte della società. I titoli azionari incorporano
una posizione giuridica complessa, composta da diritti e obblighi relativi alla partecipazione,
disciplina dalla legge e dallo statuto (art. 2354 comma 3)
I titoli azionari sono di regola titoli nominativi intestati ad un soggetto. Il trasferimento si
perfeziona mediante il cambiamento dell’intestazione sul documento mediante la girata
autenticata dal notaio. Una serie continua di girate da diritto, all’ultimo intestatario, ad
esercitare i diritti sociali e a ottenere dall’emittente, ovvero la società, l’annotazione nel libro
dei soci. Questo signi ca che non solo non è necessario chiedere il consenso da parte degli
altri soci in caso di trasferimento ma non è nemmeno necessario avvisare la società di un
determinato trasferimento.
L’emissione di titoli azionari è derogabile dal contratto sociale e quindi possono essere previste
tecniche diverse di legittimazione e circolazione. Inoltre può essere esclusa l’emissione di titoli.
In tal caso il trasferimento delle azioni si perfeziona quando l’acquirente ottiene l’iscrizione, da
parte della società nel libro dei soci.
Per poter vendere facilmente le azioni serve un altro elemento fondamentale ovvero trovare un
soggetto che sia disposto ad acquistare le azioni che sono in vendita. In un contesto di libero
mercato gli scambi sono volontari e quindi, non potendo obbligare qualcuno a comprare, non è
sempre detto che si riesca a trovare un compratore.
L’appello al pubblico risparmio
Questo regime di circolazione e trasferimento delle azioni comporta una totale
spersonalizzazione della partecipazione nella s.p.a. in quanto, potendo vendere in Goni
momento le proprie azioni, si arriva ad un punto in cui le vicende della società restano
formalmente separate dai cambiamenti della titolarità delle partecipazioni e in cui i diritti sociali
fanno capo all’azione, e quindi al suo legittimo possessore, e non alla persona del socio.
Di conseguenza questo regime crea le condizioni per un af usso di massa di capitali verso la
s.p.a. mediante l’appello diretto al pubblico risparmio. In questo caso si tende a fare una
distinzione tra due fasi di mercato viste dal punto della società che emette azioni:
• Il mercato primario: sia in fase di costruzione si in fasi successive le azioni possono essere
emesse in seguito a un’offerta al pubblico ovvero rivolta ad un numero indeterminata di
destinatari

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• Il mercato secondario: le azioni già emesse e sottoscritte avendo una platea indeterminata di
potenziali acquirenti possono divenire oggetto di scambi rapidi e frequenti. È in questo
mercato che si realizza l’esigenza della liquidazione dell’investimento.
In questo modo si crea un mercato delle azioni de nito come mercato del capitale di rischio.
Il mercato dei capitali
Non è molto semplice alimentare il mercato delle azioni di una società in quanto bisogna
andare dal notaio e soprattutto perchè esistono moltissime s.p.a e quindi il potenziale
acquirente si informa sulle diverse s.p.a.
Per incrementare al massimo grado la facilita degli scambi, la circolazione nel mercato
secondario dei titoli emessi dalle società, insieme ad altri titoli de niti strumenti nanziari, può
essere ulteriormente facilitata mediante il mercato nanziario.
Il mercato nanziario rappresenta un sistema di circolazione degli strumenti nanziari fondato su
due infrastrutture di base quali:
• I mercati regolamentati: sono delle sedi, siche o virtuali, di negoziazione gestite e regolate
da società specializzate in cui sono predisposti sistemi volti a facilitare l’incontro tra interessi
di acquisto e di vendita manifestati per il tramite di intermediari nanziari.
• Intermedi nanziari: società specializzate nella prestazione di servizi diretti a favorire la
ricerca e l’esecuzione di investimenti nanziari per conto degli investitori
La presenza di un mercato nanziario, per gli investitori, facilita la diversi cazione degli
investimenti che a sua volta consente potenzialmente una riduzione del loro rischio
complessivo. Questo potrebbe incentivare le persone a investire maggiormente.
La dematerializzazione delle azioni
Il sistema che prevedeva il ricorso al notaio non si presta ad una circolazione immediata.
Per questo motivo, al ne di favorire gli scambi di strumenti nanziari diffusi tra il pubblico, con
il progresso tecnologico, il regime cartolare è stato sostituito da un regime di
dematerializzazione. Questo signi ca che gli strumenti nanziari destinati alla negoziazione su
mercati regolamentati non possono essere rappresentati da documenti.
Rimangono comunque le facilitazioni alla circolazione e alla legittimazione proprie del regime
cartolare che però sono fondate su un sistema di iscrizioni e annotazioni su registri informativi
tenuti dagli intermediari nanziari e coordinati da una società di gestione accentrata.
Il trasferimento avviene mediante reciproche annotazioni sui conti degli intermediari.
È legittimato ad esercitare i diritti incorporati nell’azione chi è titolare di un conto presso
l’intermediario nel quale registrata l’azione.
Il regime della dematerializzazione è obbligatorio solo per le società con azioni destinate alla
negoziazione su mercati regolamentati, ma può essere adottato anche dalle altre s.p.a.
Tutto questo discorso va nella direzione di facilitare lo scambio di azioni dando la possibilità di
poter fare riferimento ad una moltitudine di investitori in quanto viene facilitata la possibilità
di liquidare il proprio investimento.
Tali scambi, grazie al regime cartolare, solo totalmente anonimi in quanto quello che io compro
non è per nulla vincolato al mio venditore.
Nonostante questo non tutte le s.p.a. sono quotate in borsa e tra queste ci sono alcune società
di successo e di grande importanza come ad esempio la Ferrero o l’Esselunga.
Perchè non quotarsi in borsa o uscire dal mercato regolamentato nonostante i vantaggi
derivanti da questa quotazione?
Tutto sta nell’idea dell’anonimato che potrebbe portare a dei problemi in quanto in una società
in cui è facile vendere ognuno può entrare e uscire e quindi chi è già socio perde ogni tipo di
controllo. Un esempio tipico è quello di Steve Jobs, fondatore di Apple, che, in quanto socio di
minoranza, venne cacciato dalla società che aveva fondata.

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Inoltre essendo aperta al pubblico la società perde gran parte della riservatezza delle
informazioni in quanto il pubblico, ovvero chi investe, vuole avere tutte le informazioni
necessarie.
Proprio per questo molte imprese preferiscono avere meno soci mantenendo una maggior
riservatezza sulle informazioni e sulle scelte di impresa e un maggior controllo sui diversi soci.
Questo potrebbe andare a discapito dello sviluppo d’impresa.
LEZIONE 19
Una società viene scalata quando una quota di maggioranza delle azioni presenti nel mercato
nanziario relative a quella determinata s.p.a. viene acquistata da un unico socio che scalza chi
attualmente è al comando della società.
Questo ci porta a dire che ci può essere interesse a rendere più complicato il trasferimento
delle azioni riducendo però uno dei principali vantaggi della s.p.a. ovvero la facilità di
liquidazione degli investimenti fatti dagli azionisti. Quindi la legge consente di inserire delle
imitazioni nello statuto ma no ad un certo punto che non vada a snaturare la società.
I limiti alla circolazione delle azioni
Agli antipodi rispetto alle società quotate, la forma di s.p.a. può essere utilizzata anche per
società caratterizzate da gruppi ristretti di soci, no all’estrema ipotesi della società
unipersonale. In questi casi la funzionalità dell’organizzazione interna è tipicamente condizionata
dalla coesione dei rapporti personali tra i soci (ipotesi delle imprese a conduzione familiare)
ma da questo punto di vista la libera trasferibilità delle azioni può creare dif coltà in quanto
consente potenzialmente l’ingresso in società anche di soggetti estranei ed ostili.
Per questo la disciplina prevede la possibilità di introdurre nel contratto sociale dei limiti alla
circolazione delle azioni che da un lato consentono ai soci di impedire o ltrare l’ingresso dei
nuovi soci ma dall’altro tali limiti rimangono circoscritti o condizionati al ne di preservare un
minimo grado di liquidabili dell’investimento.
Innanzitutto si può prevedere il divieto di trasferimento delle azioni per un massimo di 5 anni
dalla costituzione della società o dall’introduzione del vincolo. In alternativa il trasferimento
può essere sopposto a particolari condizioni che si concretizzano in due tipi principali:
• Clausole di gradimento: clausole con cui il trasferimento è subordinato al parere positivo
degli altri soci o degli organi sociali. Il gradimento può essere espresso, ovvero sulla base di
criteri prestabiliti all’interno dello statuto, (es. il nuovo socio non deve mai essere stato
sottoposto a condanne penali) oppure su base puramente discrezionale ma in tal caso la
clausola deve essere af ancata dal diritto di recesso del socio, o da un obbligo di
riacquisto, in caso di gradimento negato. Il recesso è l’unico modo con cui un socio può
liquidare il suo investimento a spese della società
• Clausole di prelazione: con queste clausole il socio che intende trasferire le azioni ad un
terzo deve prima offrirle agli altri soci alle stesse condizioni di acquisto concordate con il terzo.
Per questo le azioni possono essere trasferite ad un terzo solo se gli altri soci non hanno
esercitato, entro un certo termine, il loro diritto di prelazione.
In via generale le azioni sono trasferibili anche mortis causa.
Anche in questo caso il trasferimento può essere sottoposto a condizioni, come ad esempio
delle clausole di gradimento, purché siano af ancate da un diritto di recesso, o da un obbligo di
riacquisto, in caso di negazione delle condizioni. L’obbligo di riacquisto consiste nel fatto che
la società, o i suoi soci, riacquistano le azioni.
Abbiamo inoltre le clausole di riscatto con cui la società vincola il trasferimento in direzione
opposta ed obbliga il socio a vendere le proprie azioni. Queste clausole attribuiscono alla
società o ad altri soci il diritto di acquistare le partecipazioni del socio al veri carsi di
determinate condizioni.

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I sotto tipi di s.p.a.
Il diritto societario tiene conto che il tipo sociale delle s.p.a. può avere diversi sottotipi in
quanto questa forma societaria può essere utilizzata per un’ampia varietà di iniziative
imprenditoriali che vanno dalle imprese a conduzione familiare con pochissimi soci a imprese
multinazionali con migliaia di soci.
L’accentuarsi di questa varietà ha sollecitato nel tempo diverse modi che alla disciplina del
codice civile che hanno condotto a una progressiva diversi cazione interna alla disciplina del
tipo.
Oggi le norme applicabili alle s.p.a. sono differenziate in funzione di 3 sotto tipi:
• Società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio che vengono de nite s.p.a.
chiuse
• Società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio che vengono de nite s.p.a. aperte
e che, a loro volta si dividono in società con azioni diffuse tra il pubblico in maniera
rilevante (ma non quotate) ed in società con azioni quotate in mercati regolamentati
Mentre la disciplina dei primi due sottotipi è contenuta nel codice civile, le società quotate
sono soggette anche a una disciplina speciale contenuto nel T.U.F. ovvero il testo unico della
nanza.
La costituzione della s.p.a
La s.p.a. acquisisce personalità giuridica attraverso un procedimento composto da due fasi:
• La stipulazione di un atto costitutivo per contratto o per atto unilaterale
• L’iscrizione nel registro delle imprese
Con la costituzione vengono de niti i due aspetti indispensabili per l’avvio della società e
della relativa impresa quali la dotazione delle risorse iniziali, e quindi i conferimenti, e la
società governativa interna ovvero la governance.
Le condizioni per la costituzione sono:
• Che sia sottoscritto per intero il capitale sociale. Questo corrisponde al principio di
effettività in senso lato del capitale stesso. Il principio implica che l’intera dotazione di mezzi di
rischio deve essere oggetto di un impegno da parte dei soci: il capitale della società è
un’entità attuale e reale e i soci hanno un vincolo giuridicamente rilevante al suo apporto (nella
misura corrispondente alla cifra del capitale sociale statutariamente adottato).
• Che siano rispettate le norme riguardo i conferimenti. Queste sono ispirate al principio di
effettività in senso stretto e di integrità del capitale sociale reale che impongono che almeno
in parte (il 25% dei conferimenti in denaro) la società ne abbia immediata e sicura disponibilità
delle risorse, e che il loro valore corrisponda interamente alla cifra del capitale sottoscritto (al
valore nominale).
• Che sussistano le autorizzazioni e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali, in relazione
al suo particolare oggetto (es. attività bancaria).
L’atto costitutivo
La S.P.A. può esser costituita per contratto o per atto unilaterale. Purché si fondi la società è
necessario che i soci redigano un atto costitutivo
L’atto costitutivo è l’atto che contiene la volontà dei fondatori di dare vita alla società e ne
determina gli elementi essenziali.
L’atto deve essere redatto con la forma dell’atto pubblico (prescritta per la validità) (art. 2328,
comma 2). In sede di formazione dell’atto, il notaio ha il dovere di controllare la sua conformità
alla legge e la documentazione delle condizioni previste per la costituzione (art. 2330).
Vi sono inoltre altri adempimenti materiali che sono delle condizioni per la costituzione. Ci
sono due possibili modi di procedere (in caso di pluralità di soci):

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• Costituzione simultanea per atto stipulato dai soci. Tutti i soci si trovano per stipulare l’atto
pubblico dal notaio e discutono riguardo i contenuti dell’organizzazione.
• Costituzione per pubblica sottoscrizione (assai rara nella prassi). È un procedimento più
macchinoso, ci sono dei fondatori (promotori) che abbozzano l’atto costitutivo (progetto di
S.P.A.) che viene proposto al pubblico e chi vuole sottoscrive le azioni.
I contenuti prescritti per l’atto costitutivo sono (art. 2328, comma 2):
• Contenuti indispensabili relativi agli aspetti identi cativi della società:
- Denominazione: nome, può essere liberalmente formata purché compaia la quali cazione di
spa
- Sede: basta il comune ma deve essere indicata anche un’eventuale sede secondaria. Si
ricorda anche la sede elettronica (l’indirizzo di posta elettronica certi cata).
- Capitale sociale: deve essere sottoscritto e versato.
- Oggetto: si parla del genere di attività da svolgere
- Durata: questo potrebbe essere indeterminata.
• Contenuti eventuali relativi all’organizzazione interna; sia sul piano patrimoniale
(caratteristiche delle azioni, valore dei conferimenti in natura) e sia sul piano amministrativo
(sistema di amministrazione e controllo).
• Individuazione nominativa dei soci e dei primi soggetti incaricati della gestione della
società e del relativo controllo (sono indicazioni che rinviano ad un mero dato storico).
• Statuto, contenente le regole relative al funzionamento della società (comma 3). Sotto vari
aspetti riproduce regole già contenute nella legge, ma in altri aspetti può integrare o
derogare la disciplina legale. Fa parte integrante dell’atto costitutivo (anche se spesso è un
atto separato) e anzi prevale su di esso. In caso di contrasto tra clausole dell’atto costitutivo e
quelle dello statuto, prevalgono le ultime.
Sono previste regole su:
• Emissione e circolazione delle azioni.
• Procedure sul funzionamento degli organi sociali.
Vi può essere una clausola statutaria compromissoria che prevede che nel caso in cui vi siano
delle controversie, questa si deve devolvere ad arbitri.
Ovviamente l’assetto organizzativo non è cristallizzato, ci potranno essere successive
integrazioni o revisioni. Si tratta di modi che, soppressioni o sostituzioni che possono
riguardare:
• Sia le clausole dello statuto in senso stretto – ovvero quelle relative direttamente al
funzionamento dell’apparato organizzativo.
• Sia le regole dell’atto costitutivo che identi cano la società (es. sede).
Il legislatore considera entrambe come modi cazioni dello statuto.
Viene prevista una disciplina generale af dando la discrezione all’assemblea straordinaria (con
i normali quorum costitutivi/deliberativi), mentre nel caso in cui si tratti di modi che tecnico-
esecutive la legge consente che vengano previste delle deleghe tramite clausole statutarie che
attribuiscono questo potere agli amministratori.
Inoltre, viene dettata una speciale normativa per le ipotesi di una complessa alterazione come la
trasformazione, fusione e scissione.
Le delibere delle modi che dello statuto devono essere iscritte presso il registro delle
imprese.
La richiesta di iscrizione (accompagnata dal deposito dell’atto assembleare) deve provenire da
parte del notaio se ha provveduto a verbalizzare la decisione che deve effettuare un controllo
sul rispetto delle norme. Se il notaio controlla e da un esito negativo deve comunicarlo entro
30 giorni dalla verbalizzazione della delibera agli amministratori che a loro volta hanno 30 giorni

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per scegliere se riconvocare l’assemblea per valutare se assumere una nuova decisione, o
ricorrere al Tribunale (con un procedimento di omologazione, prima vi era solo questa opzione
come obbligatoria) per veri care la sussistenza delle condizioni di legge. Se gli amministratori
non fanno nulla, dopo i 30 giorni la delibera è considerata inef cace.
Se il controllo del notaio è positivo si procede all’iscrizione e la delibera di modi cazione è
ef cace (pubblicità notizia).
Le società di fatto
Il nostro ordinamento non esclude che vengano costituite delle società semplicemente per fatti
concludenti poiché non sono previste forme per la validità del contratto per le società di
persone è con gurabile anche una società di fatto, il cui contratto si ritiene concluso
tacitamente in presenza di comportamenti da cui si può desumere la volontà di esercitare
un’impresa in comune. In questo caso se si tratta di un’attività commerciale si applica la
disciplina delle s.n.c. mentre se si tratta di attività agricola si applica la disciplina delle s.s.
Per la stessa ragione, al ne di estendere l’applicazione della disciplina fallimentare per ampliare
il patrimonio assoggettabile alle pretese dei creditori vengono ravvisate anche ipotesi di:
• Società occulta ovvero una società che, pur esistendo tra i soci, si manifesta all’esterno come
impresa individuale
• Società apparente ovvero, all’inverso, pur non sussistendo, o non potendosi dimostrare, una
società, all’esterno appare esistere tra soci apparenti un vincolo societario di fatto idoneo a
creare nei terzi un af damento sull’esistenza di una società.
Le società in formazione
Dato che già nella fase anteriore alla costituzione della società, esiste una fattispecie
con gurabile come società; anche la preparazione alla costituzione ha degli effetti:
• I soci sono soggetti al vincolo di effettuare i conferimenti già dalla sottoscrizione dell’atto.
Questo vincolo viene meno solo in caso di mancata iscrizione entro 90 giorni dalla redazione
dell’atto costitutivo (comma 4).
• Degli atti compiuti per conto della società sono illimitatamente e solidalmente responsabili
verso i terzi coloro che hanno agito o partecipato all’atto (comma 2), ma la società dopo
l’iscrizione può rati carli, facendosene carico (comma 3).
La disciplina della società in formazione deve essere provvisoriamente disciplinata dalle norme
della S.S. per i rapporti tra soci.
L’iscrizione nel registro delle imprese
Per l’iscrizione nel registro delle imprese da parte delle s.p.a l’atto costitutivo deve essere
depositato dal notaio entro 20 giorni. L’uf cio del registro controlla la regolarità formale della
documentazione e iscrive la società nel registro. Con tale iscrizione la società acquisisce la
personalità giuridica.
Anche prima dell’iscrizione l’atto costitutivo non è del tutto privo di effetti in quanto i soci sono
soggetti al vincolo di effettuare i conferimenti, che viene meno solo in caso di mancata iscrizione
entro 90 giorni. Degli atti compiuti per conto della società sono illimitatamente e solidamente
responsabili verso i terzi coloro che hanno agito o partecipato all’atto ma la società, dopo
l’iscrizione, può rati carli facendosene carico. Gli effetti dell’iscrizione sono:
• Le azioni possono essere emesse ed offerte al pubblico
• La nullità dell’atto costitutivo è soggetto ad una disciplina speciale
L’invalidità della società
Trattandosi di un atto di autonomia privata l’invalidità dell’atto costitutivo di società potrebbe
rientrare nella disciplina generale dell’invalidità del contratto con la speci ca applicazione
degli articoli 1420 e 1446 del cc, trattandosi di un contratto plurilaterale di comunione di scopo.

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L’adattamento alle società di questa disciplina generale pone dei problemi non tanto sul piano
delle cause di nullità e annullabilità ma soprattutto sul piano degli effetti dell’invalidità.
Questo perchè la disciplina dei contratti ha come punto di riferimento implicito il modello del
contratto di scambio in cui le prestazioni di una parte soddisfano direttamente l’interesse
dell’altra sulla base della funzione attributiva.
Nei contratti associativi, invece, la prestazione di ciascuna parte non soddisfa direttamente
l’interesse delle altre ma concorre a far sorgere una struttura organizzativa per l’esercizio di
un’attività nalizzata all’obbiettivo comune. Abbiamo dunque quella che è la funzione
organizzativa. Di conseguenza questi contratti danno luogo a situazioni di fatto irreversibili alle
quali più dif cilmente si adattano gli effetti restitutori e retroattivi dell’invalidità. Per questo la
legge prevede una disciplina apposita, in cui l’invalidità del contratto delle s.p.a. ha una portata
signi cativamente ridotta e ha un effetto analogo a una causa di scioglimento della società.
Prima dell’iscrizione si ritiene applicabile la disciplina generale delle invalidità contrattuali
mentre dopo l’iscrizione l’invalidità può essere dichiarata solo in tre casi, ovvero:
• Mancanza della forma prescritta
• Illiceità dell’oggetto sociale
• Mancanza dei contenuti essenziali nell’atto costitutivo
Anche in questi casi, la dichiarazione di nullità produce effetti più limitati rispetto alle nullità
contrattuali in quanto:
• Non pregiudica l’ef cacia degli atti compiuti in nome della società e non libera i soci
dall’obbligo dei conferimenti no a soddisfazione dei creditori sociali
• Costituisce una causa di scioglimento della società
• Può essere evitata mediante l’eliminazione della causa di nullità iscritta nel registro
L’accertamento di altri vizi produce solo l’obbligo della loro regolarizzazione e rimane la
possibilità di dichiarare invalide singole clausole contrattuali o singole partecipazioni.
Al contrario di quanto accade nei contratti, la dichiarazione di nullità della S.P.A. è caratterizzata
dall’irretroattività degli effetti, infatti la dichiarazione di nullità non pregiudica l’ef cacia degli
atti compiuti in nome della società dopo l’iscrizione nel registro.
L’azione di nullità della società è de nita come imprescrittibile e chiunque ne abbia interesse
ne è legittimato.
Altre ipotesi:
• Invalidità parziale: rimane comunque la possibilità di accertare l’invalidità di singole clausole
dell’atto costitutivo o dello statuto che non coinvolgono l’intero contratto (a meno che non si
tratti di un elemento essenziale).
• Invalidità della singola partecipazione: questa non provocherà mai l’invalidità della società.
Si presume che l’accertamento dell’invalidità non potrà avere effetto retroattivo visto che si
deve garantire la tutela dei creditori, quindi al socio non spetterà la restituzione di quanto
conferito ma un rimborso in denaro di una quota di liquidazione pari al valore attuale della sua
partecipazione.
• Modi che statutarie: si fa riferimento all’invalidità delle delibere assembleari riguardo le
conseguenze di invalidità delle delibere – ci si rimanda alle norme dettate in tema di nullità
della società. Vanno considerate anche ipotesi speciali come l’aumento/diminuzione del
capitale sociale/trasformazione/fusione/scissione che precludono la possibilità di far
dichiarare l’invalidità.
LEZIONE 20
La disciplina delle società ha due fronti: il fronte del patrimonio autonomo e il fronte della
organizzazione interna. Nelle s.p.a. il fronte patrimoniale ruota attorno all’istituto del capitale
sociale.

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La società deve essere costituita nelle modalità che abbiamo indicato precedentemente. Dal
punto di vista materiale per venire in esistenza ha bisogno di costituirsi un capitale.
Costituendo una società i soci si assumono l’impegno di conferire, o conferiscono direttamente,
risorse economiche alla società. Il conferimento costituisce l’investimento in capitale di
rischio del socio e rappresenta la sua principale prestazione contrattuale. Le risorse conferite
dai soci sono sottoposte ad un vincolo stabile di destinazione allo svolgimento dell’oggetto
sociale.
Rispetto ad altre società, la disciplina delle s.p.a. vincola in termini più rigorosi le risorse
conferite sia nel merito alla loro effettiva consistenza (capitale reale) sia in merito al loro utilizzo
(capitale nominale).
I conferimenti
La disciplina dei conferimenti predispone un primo presidio ai rischi implicati nella
limitazione di responsabilità con regole volte a:
• Prevenire alcune disfunzioni dell’organizzazione interna
• Informare correttamente i terzi sulla dotazione patrimoniale della società
A questi ni noi abbiamo regole volte ad assicurare che l’insieme dei conferimenti dei soci formi
un capitale di partenza effettivo sia quanto alla misura sia quanto alla disponibilità effettiva di
queste risorse. Il rispetto di queste regole costituisce condizione per l’iscrizione nel registro
delle imprese ed è quindi oggetto di controllo notarile in sede di costituzione.
Tendenzialmente si conferisce del denaro e quindi la stessa legge prevede che se l’atto
costitutivo non prevede diversamente il conferimento è dovuto in denaro. Il conferimento
deve essere depositato, nel caso di società plurilaterale, almeno per il 25% già alla
sottoscrizione dell’atto costitutivo mentre deve essere versato totalmente nel caso delle
società uni personali.
Il versamento di quanto ancora dovuto non è soggetto a termine ma nché il socio non ha
effettuato tutto il conferimento rimangono vincoli sulla società, e quindi la società non può
aumentare il capitale, e sul socio. Le azioni possono essere vendute anche se il socio non ha
completato i conferimenti che verrano completati dall’acquirente. Il socio alienante rimarrà
obbligato in solido per 3 anni dalla vendita.
Se il socio non adempie alla richiesta degli amministratori di completare il conferimento, oltre
alla possibile azione esecutiva:
• Il socio moroso non può concorrere alle decisioni dei soci
• Le azioni non liberate possono essere vendute ad altri soci o a terzi. In caso contrario il
socio potrebbe decadere
Possono essere oggetto di conferimento anche beni in natura o crediti (i cosiddetti
conferimenti in natura). I beni in natura possono essere conferiti alla società in proprietà o in
godimento. Nella prima ipotesi si applica la disciplina della vendita in relazione al passaggio
dei rischi e alle garanzie del venditore mentre nella seconda ipotesi il rischio resta a carico del
socio e si applica la disciplina della locazione in relazione alle garanzie.
I crediti sono sottoposti al regime di cessione pro solvendo in cui il socio conferente risponde
dell’insolvenza del debitore ceduto.
Per i conferimenti in natura le cose sono leggermente più complicate in relazione alle
complicazione che l’istituzione di tale patrimonio potrebbe avere nei confronti dei terzi.
Per questo motivo i conferimenti in natura sono sottoposti a condizioni più restrittive in quanto
potrebbero comportare maggiori dif coltà di acquisizione dell’apporto in caso di
inadempimento e per questo motivo il loro conferimento deve essere integralmente
effettuato già alla sottoscrizione dell’atto costitutivo. Inoltre, dato il possibile margine di
opinabilità nella determinazione del loro valore, sono assoggettati ad un procedimento di

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stima nalizzato a rafforzare l’attendibilità della valutazione del conferimento. Bisogna chiedere
la perizia di un perito che vada a valutare il bene oggetto di conferimento.
Una volta costituita la società anche gli amministratori veri cano il valore dei conferimenti e se la
loro valutazione differisce da quella del perito potrebbero richiedere al socio un ulteriore
conferimento.
Sono previste delle deroghe alla relazione di stima dove la valutazione è più semplice. Ad
esempio se conferisco dei titoli nanziari quotati in mercati regolamentati, soggetti a una
valutazione quotidiana costante, in questo caso la valutazione del perito sarebbe super ua.
Questi vincoli potrebbero essere raggirati con operazioni successive alla costituzione. È il
problema dei cosiddetti acquisti pericolosi della società negli anni successivi alla costituzione.
Immaginiamo di essere un socio che potrebbe conferire la proprietà di uno stabile che ha il
valore di 50000€ ma vorrebbe entrare come socio a 100000€. Potrei richiedere un prestito di
100000€ a una banca e a questo punto, alla costituzione della società, vendo l’immobile alla
società al prezzo di 100000€ riuscendo cosi a ripagare la banca.
Per evitare tali raggiri sono soggetti ad analogo procedimento di stima anche le operazioni di
entità signi cativa con cui le società acquisisce beni o crediti di soci o di amministratori nei due
anni successivi all’iscrizione.
Volendo si potrebbe conferire altro ancora come succede nel caso in cui un professionista
affermato potrebbe conferire alla società le sue prestazioni professionali.
Nel caso delle s.p.a. le prestazioni di opera e di servizi non possono essere oggetto di
conferimento per più possibili ragioni concorrenti.
La prima ragione è legata alla dif coltà di valutazione di queste opere e servizi, la seconda
ragione è dovuto al fatto che vi è un’impossibilita di acquisizione immediata dell’apporto.
Questo potrebbe andare a sfavore dei creditori della società in quanto si avrebbe una minore
garanzia patrimoniale diretta per i creditori sociali.
Il punto è che non si può imputare a capitale il conferimento di opere e servizi. L’atto costitutivo
però può prevedere a carico del socio l’obbligo di una prestazione accessoria non in denaro
non imputata a capitale che viene regolata distintamente. Tale prestazione viene collegata alla
posizione del socio e quindi sono solamente trasferibili con il consenso degli amministratori.
Proprio per questo motivo non sono molto comuni.
Il capitale sociale
Le risorse conferite nella s.p.a sono soggette a un regime di destinazione vincolata che ruota
attorno al capitale sociale. Il capitale sociale è un valore monetario pari alla somma del valore
dei conferimenti e deve essere interamente sottoscritto in sede di costituzione. Questo signi ca
che nell’atto costitutivo deve essere indicato il valore del capitale sociale.
La regola del capitale è rigida; questa infatti delinea che la previsione di un certo capitale
sociale è espresso in una clausola statutaria che ne stabilisce la sua invariabilità nel tempo. Se
si vuole modi care il capitale sociale, si deve modi care lo statuto con la delibera
dell’assemblea straordinaria.
Vi è un rigoroso vincolo di non distribuzione presso gli azionisti. Vi è:
• Divieto di ripartizione degli utili in caso di perdita del capitale sociale ( no a quando non sia
reintegrato o ridotto in misura corrispondente).
• La restituzione dei conferimenti ai soci e la riduzione “reale” del capitale sociale non è libera, è
condizionata dai creditori, se questi negano si può ricorrere al Tribunale.
Ciascun socio deve sottoscrivere una quota del capitale sociale non superiore al valore del
suo conferimento. Quindi il valore capitale sociale non può essere superiore al totale del valore
dei conferimenti e allo stesso tempo signi ca che le quote di capitale sociale non possono
essere superiori ai conferimenti realizzati da ogni socio.

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Questo serve a garantire che quanto viene dichiarato all’esterno corrisponde al patrimonio
effettivo della società.
Lo statuto può prevedere una assegnazione di azioni non proporzionale al valore dei
conferimenti purché comunque il valore del capitale nominale corrisponde al totale dei
conferimenti. In sostanza si tratta di un riconoscimento mediante degli accordi che possono
essere raggiunti dai soci nello stabilire le quote di partecipazione.
In questo modo può essere data indirettamente rilevanza nella determinazione delle posizioni
dei soci anche agli apporti non direttamente imputabili a capitale o a pregressi rapporti tra i
soci.
In ogni caso la somma del valore dei conferimenti, e quindi il capitale reale, non può essere
inferiore al capitale sociale indicato nell’atto costitutivo (il cosiddetto capitale nominale) ma
può essere superiore al capitale sociale se i soci scelgono di non imputare tutti i conferimenti a
capitale.
In questo caso avremo un sovrapprezzo dovuto al fatto che il valore delle azioni è superiore al
loro valore nominale. L’eccedenza del conferimento non imputata a capitale viene
contabilizzata in un’altra componente apposita del patrimonio netto de nita riserva da
sovrapprezzo.
Il capitale sociale nominale
Il capitale sociale nominale è la quota ideale del patrimonio netto della società
corrispondente alla somma del valore dei conferimenti vincolato a rimanere stabilmente
impiegato per lo svolgimento dell’oggetto sociale.
Il modo più preciso per comprendere il meccanismo che ruota attorno al capitale nominale può
essere utile considerare come tale capitale viene trattato dal punto di vista contabile nel bilancio
di una società.
Le risorse conferite vanno ad alimentare il patrimonio attivo della società. Le risorse conferite
corrispondono anche a delle passività legate alle pretese dei soci.
Con lo svolgimento della attività l’attivo e il passivo della società possono aumentare e
diminuire. Il patrimonio netto è la differenza tra attivo e passivo.

I conferimenti dei soci vengono contabilizzati sia nell’attivo che nel passivo e, essendo una
cifra ssata nell’atto costitutivo, questo signi ca che nel passivo abbiamo, oltre alle passività
reali, quello che è il capitale sociale. Questo perchè cosi costringo la società, che intende
chiudere il bilancio in equilibrio, ad avere risorse pari alle passività più i conferimenti dei soci. In
questo modo si costringe la società ad avere un patrimonio netto maggiore o uguale al
capitale sociale.

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LEZIONE 21
Il diritto costruisce in concomitanza al capitale sociale reale, il capitale sociale nominale ovvero
la quota ideale del patrimonio netto della società corrispondente alla somma del valore dei
conferimenti vincolato a rimanere stabilmente impiegato per lo svolgimento dell’oggetto
sociale.
Se ci si pone dalla prospettiva dello stato patrimoniale del bilancio di una società le risorse
conferite dai soci vanno a comporre le attività del patrimonio sociale ovvero il capitale reale.
Il patrimonio sociale è l’insieme degli elementi patrimoniali attivi e passivi imputabili alla
società.
Con lo svolgimento dell’attività di impresa nel patrimonio sociale possono entrare ulteriori
elementi attivi, possono uscirne elementi precedentemente inclusi e possono aggiungersi delle
passività.
Il patrimonio netto, quindi la differenza tra attivo e passivo, è dunque una quota variabile
Con la disciplina del capitale sociale nominale la legge obbliga la società a inserire il
patrimonio netto nel passivo di bilancio e a computare nel patrimonio netto una quota ssa
corrispondente alla somma del valore dei conferimenti.
Questo implica il fatto che, al ne di mantenere un bilancio in equilibrio, la società viene
costretta a mantenere nel proprio patrimonio elementi che non solo compensino gli elementi
passivi, ma che li superino per una quota pari al valore dei conferimenti, assicurando un
impiego stabile dei mezzi propri, ovvero non presi in prestito.
Inoltre al ne di conseguire utili, e quindi un surplus di attivo rispetto al passivo, l’attività di
impresa deve generare un surplus di attività che superi le risorse inizialmente conferite.
Se il patrimonio netto è inferiore al capitale nominale, la società registra perdite in quanto il
capitale sociale effettivo è inferiore al capitale sociale nominale.

Se non ci fosse il capitale sociale, in questa situazione, i soci potrebbero dividersi gli utili,
andrebbero dunque a riprendersi tutti i conferimenti e la società dovrebbe ripartire da 0.
Mettendo il capitale sociale al passivo, al passivo abbiamo un blocco corrispondente al capitale
sociale che comporta il fatto che a ne esercizio attivo e passivo sono in pareggio e quindi i soci
non possono dividersi nulla. Nel caso illustrato sotto gli utili sono pari a 0 perchè il patrimonio
netto è uguale al capitale sociale.

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Nell’ipotesi successiva, maggiormente realistica, la società produce degli utili in quanto il valore
delle attività è superiore al valore delle passività e quindi il patrimonio netto è superiore al
capitale sociale. Gli utili sono dati dalla differenza tra patrimonio netto e capitale sociale.
In caso contrario avremmo delle perdite.

Il capitale sociale è un concetto astratto introdotto dal diritto.


Le funzioni del capitale sociale
Il capitale sociale svolge diverse funzioni:
• Funzione produttiva: rappresenta l’entità delle prime, ma non esclusive, risorse a disposizione
per l’esercizio d’impresa
• Funzione organizzativa: i rapporto tra il conferimento di ciascun socio e il capitale nominale
costituisce, se non diversamente disposto dall’atto costitutivo, la base di misurazione dei suoi
diritti sociali
• Funzione di tutela per i terzi: questa ipotesi è discussa tra i giuristi. Ai nostri ni è comunque
possibile considerare anche questa funzione del capitale anche per le discussioni non arrivano
a negare certe implicazioni che tutelano anche i terzi.
Il capitale sociale NON consiste in una garanzia patrimoniale diretta per i creditori la quale è
costruita dall’insieme degli elementi patrimoniali attivi della società.
Esempio: dobbiamo presentarci in università per la nostra laurea e dobbiamo presentarci
puntualmente. Se devo arrivare in uni alle 9.30, se abito lontano, parto molto prima con lo scopo
di avere un margine di sicurezza che mi può servire per attutire eventuali imprevisti.
Il capitale sociale è un margine di solvibilità costituita da un’eccedenza delle attività nei
confronti delle passività che tutela i terzi nel senso che impone alla società di mantenere
stabilmente un eccedenza delle attività rispetto alle passività che offre un ulteriore margine di
garanzia rispetto a rischi non previsti e errori di valutazione e preserva una stabile
destinazione di mezzi propri per lo svolgimento dell’attività produttiva.
Abbiamo un altro aspetto di tutela indiretta nei confronti dei terzi in quanto l’investimento in
capitale di rischio segnala il livello di serietà della iniziativa dei soci. Quindi l’ampiezza del
capitale ha anche una funzione segnaletica che, segnalando il livello di impegno dei soci,
indica anche quanto quest’ultimi credono nella società.
In questi molteplici sensi possiamo dire che il capitale sociale svolge anche una funzione di
tutela dei terzi.
Nell’ambito della disciplina delle s.p.a. la funzione del capitale di tutela dei creditore viene
perseguita nel modo più rigido e articolato in ragione dei rischi implicati dalla limitazione di
responsabilità dei soci.
In linea con l’impostazione generale del tipo sociale, nella disciplina che ruota attorno al
capitale sociale questa tutela trova applicazione mediante:
• Vincoli inderogabilità alla gestione del patrimonio sociale

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• Regole di trasparenza sulla situazione economico-patrimoniale e sulle relative decisioni
interne
Il capitale minimo
L’art 2327 del cc prevede che una s.p.a deve essere dotata di un capitale minimo di 50000€
senza il quale il notaio non può stipulare l’atto costitutivo. La carenza sopravvenuta del capitale
minimo di 50000€ integra una causa dello scioglimento della società.
Per l’esercizio di certe attività, come banche e assicurazioni, bisogna utilizzare per forza la forma
della s.p.a., le leggi speciali di settore prevedono minimi molto più elevati.
Questo genera il problema della sottocapitalizzazione della società che è un problema tipico
di moltissime imprese italiane anche se è un problema diffuso in tutto il mondo.
Esempio: prima della crisi del 2008 negli USA, una prima avvisaglia della crisi si è avuta con
l’entrata in crisi della banca di affari Bear Sterns. Questa banca aveva un attivo di poco superiore
ai debiti e quindi con un patrimonio netto bassissimo.

Se il rapporto tra capitale sociale e debiti è cosi basso la tutela dei terzi è come se non esistesse.
Fissando il capitale minimo con una cifra applicabile a tutte le società si rischia di rendere la
funzione di tutela dei terzi del capitale sociale una tutela del tutto irrisoria.
Il problema della sottocapitalizzazione
Dato che il capitale minimo è determinato in via generale, in termini assoluti e a una soglia
particolarmente bassa, rimane possibile che la società sia dotata di un capitale pur superiore al
minimo legale ma inadeguato rispetto alle caratteristiche e alle dimensioni dell’attività
esercitata. Per questo motivo la disciplina dei conferimenti e del capitale tutela i terzi sul piano
della conoscibilità preventiva della dotazione patrimoniale della società più che sul piano
della adeguatezza. Questo perchè il rispetto della disciplina del capitale sociale non garantisce
di per sé la solvibilità della società piuttosto, in base all’entità dell’entità del capitale, i terzi
possono ricavare alcune indicazioni sull’af dabilità patrimoniale della società. Questo non
vale però per i creditori involontari come le vittime dei danni imputabili alla società.
La perdita del capitale netto signi ca che gli attivi coprono solamente le passività reali mentre
l’insuf cienza patrimoniale si ha nel momento in cui le attività non sono in grado di far fronte
al pagamento dei debiti. L’insolvenza è invece l’incapacità di far fonte ai debiti nel momento in
cui questi scadono.
La riduzione reale del capitale sociale
Il capitale sociale nominale obbliga la società ad accantonare una parte del capitale sociale.
Questo però potrebbe comportare il fatto che i soci potrebbero ritenere che non sia necessario
tutto il capitale sociale in quanto si rendono conto che non serve un’eccedenza cosi ampia.
In questo caso abbiamo la riduzione reale del capitale che consiste in una modi cazione
dell’atto costitutivo. Questa riduzione, che deve avvenire nel rispetto del minimo legale, si
realizza mediante la restituzione ai soci di parte dei conferimenti o la liberazione dei soci

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dai versamenti ancora dovuti con corrispondente estinzione di parte delle azioni o riduzione
del loro valore nominale.
La deliberazione dell’assemblea dei soci con cui si modi ca il capitale sociale deve essere
iscritta nel registro delle imprese ed, entro 90 giorni dall’iscrizione della deliberazione, i
creditori possono fare opposizione ed il tribunale può impedire la riduzione se riscontra un
fondato pericolo di pregiudizio per i creditori.
Questo spiega perchè si tende a non imputare a capitale tutte le risorse conferite in quanto
tutte le risorse conferite a capitale poi sono bloccate lì e per poterle muovere bisogna superare
l’opposizione dei creditori.
Questo vincolo può spingere i soci a non imputare tutti i loro apporti a capitale. Una parte dei
loro apporti può essere accantonata in riserve disponibili, come la riserva di sovrapprezzo, in
quanto possono essere ridistribuite ai soci senza la facoltà di opposizione dei creditori.
All’occorrenza queste riserve possono venire successivamente imputata a capitale mediante
l’aumento gratuito del capitale sociale de nito dal passaggio a capitale dei valori imputati a
riserve disponibili.
LEZIONE 22
Abbiamo anche l’ipotesi di una riduzione nominale quando si registrano delle perdite

Ipotesi con degli utili Ipotesi con delle perdite

Se il patrimonio netto si riduce sotto il capitale la funzione segnaletica viene messa in pericolo.
Se l’anno successivo l’azienda produce degli utili di esercizi possono essere distribuiti solo gli
utili eccedenti dalla quota di utili necessari per reintegrare il capitale sociale dell’esercizio
precedente.
Quindi i discostamenti tra capitale sociale e patrimonio netto possono essere anche
temporanei in quanto le attività di impresa possono avere, come spesso accade, un
andamento ciclico.
Se questi spostamenti diventano stabili creano un problema tra l’effettiva consistenza del
patrimonio netto e il surplus dichiarato di capitale sociale. La legge prevede dunque che se le
perdite superano la soglia di 1/3 del capitale sociale, l’assemblea deve essere convocata per
valutare i provvedimenti da assumere e, se la perdita permane anche nell’esercizio successivo, la
società deve necessariamente diminuire il capitale sociale.
Se la perdita non raggiunge quella soglia la legge non obbliga la società ad assumere nessun
tipo di provvedimento e quindi la valutazione è rimessa ai soci.

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Ai soci conviene comunque diminuire il capitale sociale immediatamente per fare in modo
che al prossimo esercizio, se la società ha prodotto alcuni utili questi possono essere
immediatamente distribuitili.
Se noi aspettiamo rischiamo che l’anno successivo non abbiamo la possibilità di distribuire gli
utili in quanto questi sono utili solo a coprire le perdite.
Ridurre il capitale allo stesso tempo potrebbe comunque essere un segnale di potenziale
s ducia che viene mandato verso l’esterno e quindi, prima di ridurre il capitale per perdite, ci
pensano bene per non lanciare un segnale negativo verso il mercato.
Le conseguenze della perdita di capitale
Nel bilancio delle s.p.a. il capitale sociale è contabilizzato nel passivo dello stato patrimoniale,
all’interno del patrimonio netto. Se si dovesse veri care una perdita del capitale sociale, e
quindi il patrimonio netto dovesse risultare inferiore al capitale nominale, gli utili di esercizio
non posso essere distribuiti nché il capitale sociale non sia reintegrato o ridotto.
Inoltre i soci hanno la possibilità di deliberare una corrispondente riduzione del capitale
nominale, con conseguente estinzione di alcune azioni o la riduzione del loro valore nominale.
Perché si fa così? Perché almeno in futuro quando ci sarà una ripresa questo diventerà utile
distribuibile. Questo processo si chiama riduzione nominale del capitale perché si prende il
capitale nominale e lo si riporta a come si è effettivamente ridotto.
Se le perdite superano 1/3 del capitale sociale i soci devono essere convocati per esaminare la
situazione e valutare gli opportuni provvedimenti. In ogni caso, se la perdita non si è ridotta a
meno di 1/3 del capitale entro l’esercizio successivo, i soci devono deliberare una
corrispondente riduzione del capitale nominale. In caso di inerzia dei soci provvede il
tribunale. In questo modo la funzione informativa del capitale si concretizza come una sorta di
‘campanello di allarme’ preventivo sull’andamento della società.
Se poi la perdita superiore ad 1/3 comporta una riduzione del patrimonio netto al di sotto del
capitale minimo i soci devono essere convocati quanto prima per deliberare e optare per:
• La riduzione del capitale e il contemporaneo aumento dello stesso sopra il minimo legale
• La trasformazione della società in un tipo societario differente che non prevede un minimo
legale superiore alla quota rimasta
• Lo scioglimento della società e la conseguente liquidazione
Queste regole di riduzione obbligatoria del capitale per perdite sopra 1/3 sono state sospese
quest’anno con il decreto legge di Aprile.
Le operazioni della società sulle proprie azioni
Con le proprie risorse, la società ha la possibilità di acquistare diverse tipologie di beni
attraverso il proprio patrimonio, quali ad esempio acquistare azioni di un’altra società (anche
controllata). Quest’acquisto può avere per oggetto anche le azioni della società stessa; è molto
comune che le società medio-grandi acquistino le proprie azioni.
Buona parte di queste operazioni sono siologiche e fanno parte delle dinamiche societarie e
imprenditoriali, è un altro modo di remunerare i soci in alternativa alla distribuzione dei
dividendi; si stabilisce il prezzo delle azioni sul mercato, chi gestisce la società può pensare che
investire su sé stessi è un buon investimento (altro modo di investire risorse libere nella società).
Ma queste operazioni possono comportare gravi pregiudizi sulla consistenza e stabilità del
patrimonio sociale (struttura nanziaria) o alla corretta gestione della società (governance):
• Se si sottoscrivono delle azioni della società nel mercato primario (ovvero se diventa azionista
della società stessa), il problema è che nella società non entrano nuove risorse, la società sarà
sia creditore che debitore.
• Sul mercato secondario, se la società acquista da terzi, ci saranno diversi problemi:

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- Si potrebbe eludere la disciplina riguardante i conferimenti, soprattutto rispetto al vincolo di
restituzione.
- Viene ampli cato il rischio d’impresa.
- Vi sarà il rischio di manipolazione del prezzo di mercato delle azioni.
- Vi sarà il rischio di condizionamenti degli amministratori sugli equilibri tra i soci.
Per questi motivi, le operazioni delle società sono soggette a vincoli:
- Non è ammesso l’acquisto a titolo originario. Sono vietate la sottoscrizione delle proprie
azioni e la sottoscrizione reciproca tra due società (perché viene a mancare il conferimento
delle risorse materiali). Ciò è giusti cato dal principio di effettività del capitale sociale; se la
società sottoscrivesse delle proprie azioni, si gurerebbe un incremento di capitale ma non vi
è nessun ingresso nanziario nel patrimonio). Nel caso di violazione, la sottoscrizione verrà
imputata nei confronti di colui che ha agito per conto della società.
- È ammesso l’acquisto a titolo derivativo. L’acquisto delle proprie azioni già emesse è
consentito entro però dei limiti procedurali e patrimoniali.
Quindi, solo nella misura del patrimonio netto disponibile (se non nei limiti degli utili
distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio); solo per quelle azioni
integralmente liberate (non vi deve essere debito di conferimento a carico del cedente) e se
vi è autorizzazione dell’assemblea ordinaria tanto per l’acquisto che per la successiva
disposizione.
Nelle S.P.A. aperte, invece al massimo no al 20% delle azioni emesse.
Nel momento in cui non vengono rispettati questi vincoli, le azioni dovranno essere
rivendute entro 1 anno altrimenti verranno annullate con una riduzione di capitale sociale.
Da questi limiti sono esentati in parte o totalmente alcuni acquisti in circostanze in cui i
pericoli sottostanti dovrebbero essere assenti o ridotti (es. l’acquisto a titolo gratuito o
l’esecuzione forzata). N.B.: le azioni acquistate nel rispetto dei limiti prescritti sono comunque
assoggettate a un regime di disposizione restrittivo (es. non danno diritto al voto e agli
utili).
Se la società acquista partecipazioni di altre società, anche se è prevista genericamente nello
statuto è vietata se per la misura o per l’oggetto della partecipazione risulta modi cato
l’oggetto sociale. Si vuole evitare che l’acquisto di partecipazioni sottragga denaro agli
amministratori.
Se vi è una violazione di ciò, sarà responsabile colui che ha agito per conto della società
(amministratori). Se si acquista la quota di una società di persone che hanno responsabilità
illimitata, ci vuole una delibera.
Assistenza nanziaria e garanzia sulle proprie azioni
La società non acquista direttamente le proprie azioni, ma concede un prestito ad un terzo e
con quel prestito acquisterà le azioni di quella società. Il prestito potrà essere diretto oppure
non diretto, ovvero attraverso delle garanzie. Vi possono essere comunque dei problemi:
• In caso di insolvenza del debitore, l’effetto patrimoniale è uguale alla sottoscrizione/acquisto
delle proprie azioni.
• L’acquisto può essere concordato con gli amministratori per consolidare la loro posizione
all’interno della società.
Per fare ciò occorre una delibera da parte dell’assemblea straordinaria. Per concedere il
nanziamento o garanzie, le risorse devono venire da fondi che possono provenire da riserve
disponibili o da utili distribuibili.
La società inoltre, non potrà accettare azioni proprie in garanzia.
La permanenza del vincolo sociale

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Il vincolo di stabile destinazione dei mezzi propri della società trova attuazione anche nella
disciplina delle pretese individuali dei soci sul patrimonio sociale. Infatti il socio non può mai
chiedere la restituzione di quanto conferito e, in via generale, non può conferire in qualsiasi
momento la liquidazione per equivalente del valore di quanto conferito o della propria quota
di partecipazione. D’altra parte però nel corso della lunga vita di una s.p.a. possono mutare le
condizioni che hanno spinto un socio a entrare nella s.p.a.
A fronte di questi cambiamenti il socio che lo ritenesse preferibile potrebbe uscire dalla società
mediante la vendita ad altri della partecipazione ma la trasferibilità della partecipazione non
assicura al socio la possibilità di liquidare il proprio investimento in quanto non è detto che
riesca a trovare un soggetto interessato a acquisire le sue azioni ad un prezzo che ritiene
adeguato
Il diritto di recesso
La legge prevede come via di uscita alternativa dalla società mediante il diritto di recesso.
Analogamente al trasferimento della partecipazione, il recesso consente al socio di liquidare
l’investimento effettuato nel capitale di rischio della società prima della sua scadenza. In questo
caso però il socio può cercare un compratore ma anche pretendere la liquidazione della
propria quota. Questa liquidazione è posta, in un’ultima istanza, sulle spalle della stessa società.
A seconda della situazione economico- nanziaria della società, la liquidazione della quota può
incidere sullo svolgimento della attività di impresa.
La disciplina del recesso è dunque diretta a contemperare l’interesse del socio alla
liquidazione del proprio investimento con l’interesse degli altri soci e dei terzi alla
prosecuzione dell’attività sociale. Il punto di equilibrio è individuato sia sul piano delle cause che
fanno sorgere il diritto di recesso del socio sia sul piano della liquidazione della quota, tenendo
conto anche della concorrente disponibilità dell’alternativa modalità di liquidazione della
partecipazione, costituita dalla vendita delle azioni
Cause del recesso (art. 2437)
Abbiamo diversi tipi di cause:
• Cause legali inderogabili secondo le quali il socio ha diritto di recedere a seguito di alcune
modi cazioni statuarie che alterano le caratteristiche fondamentali dell’investimento come la
modi cazione dell’oggetto sociale o il trasferimento della sede sociale all’esterno. Sono nulli
eventuali patti che escludono o limitano il diritto di recesso in questi casi previsti dalla legge
• Cause legali derogabili secondo le quali è possibile recedere anche a seguito di decisioni
che modi cano la prospettiva di liquidazione dell’investimento come ad esempio una proroga
del termine della società o l’introduzione di limiti al trasferimento di azioni. Lo statuto della
singola società può prevedere che tali cause di recesso non valgono per la società in
questione
• Cause statuarie secondo cui nelle s.p.a. chiuse possono essere previsti ulteriori cause di
recesso contenute dallo statuto. Tali ipotesi devono essere speci catamente determinate.
Nelle società non quotate a tempo indeterminato è possibile recedere in ogni momento con
preavviso di almeno 180 giorni. Questa è la ragione per cui la stragrande maggioranza dei casi
abbiamo delle società a tempo determinato. Se il limite di tempo è troppo lontano la società
viene de nita come una società a tempo indeterminato.
L’esercizio del diritto di recesso
Nell’ipotesi previste dalla legge può recedere il socio che non ha concorso alla decisione che
viene de nito socio assente, dissenziente o astenuto. Il recesso costituisce un contrappeso al
principio di maggioranza che è la regola generale e inderogabile delle decisioni dei soci.

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Il recesso va dichiarato mediate lettera raccomandata, entro 15 giorni dall’iscrizione della
delibera nel registro delle imprese oppure entro 30 giorni dalla conoscenza di altro tipo di
causa.
In coerenza con l’autonomia della singola azione è consentito recedere anche solo per una
parte delle azioni possedute.
Le azioni del socio che ha dichiarato di volere recedere non possono essere successivamente
vendute no alla liquidazione. Inoltre, anche quando esercitato nei modi e nei tempi previsti, il
recesso perde ef cacia se entro 90 giorni la deliberazione che l’ha causato è revocata o viene
deliberato lo scioglimento della società. In questa ottica il recesso costituisce anche uno
strumento di negoziazione tra soci di maggioranza e minoranza per riequilibrare il principio
maggioritario soprattutto nell’ipotesi in cui la liquidazione delle azioni del socio recedente
possa creare dif colta per la situazione economica della società.
Se non ci sono ripensamenti si deve procedere alla liquidazione delle azioni.
La liquidazione delle azioni
Per soddisfare l’interesse del socio al disinvestimento e preservare al tempo stesso, per quanto
possibile, la stabilità patrimoniale societaria, il recesso delle s.p.a. è innanzitutto con gurato
come un trasferimento di azioni. L’elemento che principalmente differenzia il trasferimento
generato dal recesso rispetto a una normale vendita delle azioni è costituito dall’applicazione di
criteri predeterminati di calcolo del prezzo delle azioni.
Solo in via sussidiaria il recesso comporta l’estinzione della partecipazione e la conseguente
liquidazione da parte della società.
Modalità di liquidazione
Le azioni vanno in primo luogo offerte agli altri soci in proporzione alla loro quota di
partecipazione. Successivamente le azioni non acquistate dai soci vengono offerte a terzi. Se
nemmeno i terzi sono interessati alle azioni queste possono essere acquistate dalla società
stessa nel limite del patrimonio netto disponibile. Se la società non può acquistare le proprie
azioni le azioni devono essere estinte e liquidate mediante riduzione del capitale o, in
alternativa, la società deve essere sciolta e liquidata.
Essendo questa una riduzione reali di capitale i creditori possono opporsi alla riduzione del
capitale e, se il tribunale accoglie l’opposizione, la società deve essere sciolta.
Questa ipotesi, seppur prevista alla ne di una catena di azioni, non è un’opzione che non è cosi
remota e dif cile da avere soprattutto nel caso in cui la situazione patrimoniale sia critica.
La determinazione del valore
Il valore di liquidazione delle azioni è stabilito dagli amministratori con il parere delle
funzioni di controllo.
Questa valutazione avviene sulla base di criteri previsti dalla legge che possono essere
modi cati dagli statuti. Nel caso delle società quotate si fa una media dei prezzi di mercato
degli ultimi 6 mesi mentre nel caso delle società non quotate si valuta la consistenza
patrimoniale e le prospettive reddituali della società e dell’eventuale valore di mercato delle
azioni. Quesi criteri possono essere modi cati nello statuto e la modi ca rappresenta una causa
di recesso. Anche il passaggio della società da società quotata a società non quotata
rappresenta una causa di recesso.
Tale valutazione viene realizzata 15 giorni prima della decisione che può dar luogo a recesso
per consentire al socio l’eventuale contestazione della valutazione contestualmente alla
valutazione di recesso cosi da rimettere la valutazione a un esperto indipendente nominato dal
tribunale.
LEZIONE 23

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I diritti dell’azionista
La partecipazione in spa si concretizza in un insieme di prerogative soggettive, attraverso le
quali il socio partecipa all’attività della società sia sul piano patrimoniale sia sul piano
amministrativo.
I diritti patrimoniali consistono nel diritto alla partecipazione ai risultati mentre i diritti
amministrativi consistono nel diritto alla partecipazione alla gestione
Poiché nelle s.p.a. la posizione del socio è incorporata alle azioni quando si parla di diritti ai soci,
questi non fanno alla persona del socio, ma fanno capo all’azione, secondo il modello cartolare.
Si trasferiscono mediante il trasferimento dell’azione.
Partecipazioni ai risultati (diritto patrimoniale)
Sul piano patrimoniale ogni azione attribuisce il diritto ad una parte proporzionale degli utili
netti derivanti dall’attività sociale. Tale diritto viene de nito diritto al dividendo
A questo si aggiunge un altro diritto che non viene quasi mai attivato perché riguarda la quota
di liquidazione, ovvero il momento in cui la società si scioglie. Nel momento in cui la società
entra in liquidazione signi ca che il patrimonio sociale prima di scomparire, deve essere
liquidato per pagare i creditori e se vi sono altre risorse, queste verranno spartite tra i soci.
Il diritto agli utili si concretizza in una pretesa al pagamento del dividendo solo se:
• Il patrimonio netto risulta superiore al capitale sociale e vi siano degli utili nel conto
economico
• In base a una regolare approvazione del bilancio
• I soci abbiano esplicitamente deliberato che gli utili debbano essere divisi. Questo perché
la divisione non è automatica ma l’assemblea dei soci che decide a maggioranza. C’è anche la
possibilità che decidano che gli utili non vanno divisi e che devono rimanere all’interno della
società in delle riserve
In altri ordinamenti la deliberazione della distribuzione degli utili non spetta ai soci ma
spessa al consiglio di amministrazione. Anche in Italia è l’organo amministrativo che ha vote in
capitolo in via principale ma la decisione ultima viene presa dai soci.
Nel caso di azioni di società quotate o aperte, la principale fonte di remunerazione dei soci è in
realtà l’incremento del valore della società nella misura in cui si ri ette in un incremento del
prezzo di mercato delle azioni.
Questo consente ad alcune delle società quotate la possibilità di non dividere gli utili anche per
tempi molto lunghi al ne di reinvestire gli utili nella propria attività. (es. Apple ha diviso i suoi
dividendi dopo 17 anni dalla sua nascita).
N.B. il prezzo di mercato è diverso dal valore nominale delle azioni in quanto con il valore
nominale facciamo riferimento ad un prezzo sso stabilito dalla divisione tra il valore del
capitale sociale ed il numero delle azioni mentre il valore di mercato varia a seconda
dell’offerta e della domanda presentata. In alcuni casi si tiene conto del valore contabile delle
azioni che deriva dal valore del patrimonio netto.
Cosa signi ca che il socio è esposto al rischio d’impresa?
La partecipazione ai risultati del socio, nel caso in cui l’impresa produce risultati negativi,
comporta:
• la mancata corresponsione di utili
• la diminuzione del prezzo di mercato delle azioni
• la riduzione del capitale a seguito delle perdite, questo comporta l’estinzione e la riduzione
del valore nominale delle azioni.
La partecipazione alla gestione
Oltre al pro lo patrimoniale, la partecipazione del socio si caratterizza anche per un diretto
coinvolgimento nelle vicende societarie sotto il pro lo della gestione dell’attività d’impresa.

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Dato che i soci sono residual claimants in relazione ai risultati di impresa, questi hanno il potere
decisionale ultimo sull’agire della s.p.a. in coerenza con il principio di correlazione tra rischio e
potere. Dato che al tempo stesso risentono del rischio di impresa solo in misura limitata al loro
conferimento in società, nelle s.p.a i soci hanno potere di in uire sulla gestione dell’impresa
sono in via indiretta.
Nella s.p.a. il ruolo di socio è formalmente distinto dal ruolo di amministratore. Infatti:
• Un socio non è automaticamente anche amministratore
• può divenire amministratore, ma deve essere nominato dal socio
• può essere amministratore anche chi non è socio
Alcune decisioni di gestione sono attribuite alla competenza delle decisioni collettive dei soci.
L’assemblea dei soci ha competenze nel merito di alcune decisioni di gestione quali:
• Nomina e revoca degli amministratori
• Approvazione del bilancio
• Modi cazioni statutarie.
Queste decisioni vengono prese dall’assemblea degli azionisti in cui ciascun socio deve
esprimere un proprio voto. Tale assemblea si basa sul principio di maggioranza. Questo
perchè nelle s.p.a. prevale l’esigenza di operatività della società rispetto alla tutela
dell’autonomia privata del singolo socio anche in considerazione del numero potenzialmente
elevato di soci.
Dire che si decide secondo maggioranza richiede inoltre speci care come si calcola la
maggioranza che nelle s.p.a. non si calcola per teste (una persona un voto) ma si calcola per
azione mediante il criterio secondo cui un azione corrisponde al voto. Questo signi ca che il
potere decisionale è proporzionale alla misura dell’investimento e che le dinamiche
decisionali sono caratterizzare dalla dialettica maggioranza-minoranza
Questo quadro sulla partecipazione sociale è il modello base previsto dalla legge in mancanza
di diverse previsioni nell’atto costitutivo di ciascuna società. Questo perchè le diverse società
possono, entro un certo grado, con gurare azioni diverse da quelle descritte no ad ora in
quanto questo, per certe categorie di azioni, può andare meglio incontro alle esigenze degli
investitori.
Ad esempio ci possono essere azionisti interessati maggiormente alla partecipazione gestionale
in quanto vogliono essere sicuri di avere un peso determinante in relazione alle decisioni che
spettano ai soci.
Le categorie di azioni
Per rispondere al meglio alla varietà degli interessi degli investitori in capitale di rischio, gli
statuti delle s.p.a possono prevedere l’emissione di azioni fornite di diritti diversi rispetto a
quelli previste dalla disciplina legale riguardante le azioni ordinarie.
Questo segue un principio secondo il quale “ciò che non è vietato, è permesso”. Il contenuto
dei diritti incorporati nelle azioni può essere liberamente determinato ma:
• Devono essere rispettati i limiti imposti esplicitamente o implicitamente dalla legge
• I diritti nuovi devono sempre far capo all’azione e non all’azionista per fare in modo che sia
garantito il carattere spersonalizzato della partecipazione
Dunque devono essere creare categorie speciali di azioni, e non potranno essere create delle
singole azioni speciali. Nell’ambito della categorie speciale le azioni dovranno essere tutte
azioni che forniscono uguali diritti.
Le azioni di categoria possono differenziarsi rispetto alle azioni ordinarie:
1. Sia sul pro lo patrimoniale
• Il diritto agli utili e/o alla quota di liquidazione che può essere maggiorato, prioritario o
correlato ai risultati di speci ci settori dell’attività di impresa

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• Riguardo le perdite può essere prevista la prosternazione nella partecipazione alle perdite.
2. Sia sul pro lo amministrativo:
• Azione con diritto di voto plurimo no ad un massimo di 3 per ogni azione
• Diritto di voto escluso o limitato a particolari argomenti o subordinato a particolari
condizioni. Questa possibilità è legata al limite della metà del capitale sociale perché se no
sarebbero sempre gli stessi a decidere e quindi non verrebbe rispettata la proporzione tra
rischio e potere
• Diritto di voto limitato o scaglionato in relazione alla quantità di azioni possedute. In questo
caso non si crea una categoria autonoma di azioni.
Il principale limite alla modi cabilità delle prerogative attribuite dall’azione è costituto dal
divieto derivante dal patto leonino. Tale limite si estende a patti di qualsiasi fonte giudiziale
che, nella sostanza, producano l’effetto di isolare il socio dagli utili o dalla perdite in quanto
non ci può essere un socio che, ad esempio, lasci tutte le perdite in capo agli altri soci.
Un’ipotesi di violazione di questo patto si ha con il patto di opzione di vendita di
partecipazioni a prezzo minimo prede nito.
Esempio: immaginiamo che io sia un investitore professionale, ho tanti soldi e risorse e mi piace
andare alla ricerca di investimenti nascosti, magari non tanto pubblicizzati, ma che possono
divenire di grande successo. Vanessa mi dice che ha fatto partire una piccola impresa con
Lorenzo, Alessia e Chiara e si trovano in una fase di stallo. Io, decido di entrare in società
(investitore esterno) con aumento di capitale del 40%. Con tale conferimento la società riparte. Io
vorrei evitare un disastro, non mi interesso della gestione. In questi casi si stipula un accordo di
opzione di vendita in cui io acquisisco la facoltà di vendere agli altri soci le mie azioni a prezzo
minimo garantito. Loro si impegna a comprare pro quota le mie azioni a quel prezzo e ssiamo
come orizzonte temporale 2 anni. L’idea è far in modo che io entri con un investimento ma voglio
essere protetto da eventuali disastri. Tra 2 anni se le azioni sono scese di valore, posso venderle e
avere indietro quello che ho investito ovvero 40.000.000€.
Tendenzialmente questo patto viene considerato un patto meritevole di tutela anche se in alcuni
casi è stato dichiarato un patto nullo in quanto riconducibile al patto leonino.
Questo divieto serve a preservare una correlazione tra rischio e potere.
Pur essendo previsto in materia di società di persone questo divieto è ritenuto una regola
generale per tutti i tipi di società, in considerazione dell’essenzialità della partecipazione agli
utili e alle perdite per la partecipazione alla società.
Spesso questo indebolimento dei diritti amministravi è compensato da un rafforzamento dei
diritti patrimoniali per offrire opzioni di investimento più adatte ad investiti passivi. Possono
anche essere emesse azioni di categoria speciale riservate ai dipendenti della società come
modalità di destinazione a loro favore degli utili.
Pegno, usufrutto e sequestro di azioni
Il socio titolare di azioni può esercitare molte prerogative, ma spesso vi è una compressione di
queste se le azioni sono sottoposte a vincoli reali o giudiziali: le azioni possono essere
oggetto di pegno o usufrutto o sequestro.
• Per il diritto di voto, in caso di pegno o usufrutto spetta (salvo diversamente previsto) al
creditore pignoratizio/usufruttario; mentre in caso di sequestro spetta al custode.
• Per il diritto di opzione, è al socio che gli compete in caso di aumento di capitale a
pagamento.
• Per gli altri diritti amministrativi (es. impugnare le delibere viziate); per quanto riguarda il
pegno o usufrutto l’esercizio di tali spetta sia al creditore pignoratizio/usufruttario che al socio;
mentre nel
caso di sequestro è sempre disposto l’esercizio del custode.

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Le assemblee speciali
Cosa cambia dal punto di vista decisionale se una società ha diversi tipi di azioni?
I diritti incorporati nelle azioni possono essere modi cati mediante modi cazioni statutarie di
competenza dell’assemblea dei soci con diritti di voto. In via generale il socio può subire una
alterazione delle proprie prerogative anche contro la propria volontà ma la sua posizione è
tutelata dall’uguaglianza delle posizioni di tutti i soci.
In presenza di più categorie di azioni le prerogative dei soci non sono uguali e quindi le
modi cazioni statuarie possono incidere sui diritti di una sola categoria. Per questo motivo le
modi cazioni statutarie che incidono sui diritti di una o più categorie devono essere approvate
anche dall’assemblea speciale degli azionisti della categoria interessata.
Cosi viene preservata la necessità del consenso dei titolari del diritto ma sempre su base
collettiva, secondo il criterio di maggioranza. In ogni caso la modi cazione costituisce una causa
di recesso.
LEZIONE 24
Se noi guardiamo alle vicende relative al patrimonio delle s.p.a dobbiamo dire che l’apporto di
capitale di rischio non è la principale modalità di apporto di risorse alla società le quali
derivano, principalmente, da prestiti.
Le obbligazioni
L’apporto di capitale di rischio costituisce normalmente solo una parte, e nemmeno una parte
preponderante, dell’insieme delle risorse raccolte dalla s.p.a per l’esercizio dell’impresa e quindi
della sua struttura nanziaria. L’altra componente, spesso principale, della struttura nanziaria
della s.p.a è costituita dal capitale di debito che può essere acquisito in diverse forme tra cui il
canale bancario. Tra queste forme vi è un altro aspetto distintivo della s.p.a rappresenta dalla
possibilità di raccogliere capitale di debito anche da un vasto numero di creditori facendo
appello al pubblico risparmio. Questa modalità avviene mediante l’emmissione di titoli di
debito di massa de niti obbligazioni. Le obbligazioni sono titoli di uguale valore ed emessi
in serie nell’ambito di un’unica operazione nanziaria che incorporano, sempre secondo il
modello del regime cartolare, una frazione unitaria del rapporto di credito alla base
dell’operazione di nanziamento.
Questo consente di accedere ad un bacino molto più amplio da cui attingere per richiedere un
determinato prestito.
Se noi dovessimo sottoscrivere delle obbligazioni dando 1000€ alla società come ogni
azionista, essendo un prestito questa somma, ci verrà restituita entro una determinata scadenza,
con il riconoscimento di un determinato tasso di interesse. Mentre gli utili sono eventuali, gli
interessi sono dovuti e, soprattutto, in caso di liquidazione i creditori verrano soddisfatti prima
dei diversi azionisti.
Inoltre abbiamo la possibilità di cedere il credito nell’ipotesi in cui il creditore ne abbia la
necessità.
Quindi, perchè sottoscrivere delle obbligazioni e non delle azioni?
Semplicemente perchè il rischio legato alle obbligazioni è molto più ridotto rispetto a quello
legato alle azioni. Come già detto abbiamo diversi tipi di investitori con diverse propensioni al
rischio e, soprattutto i piccoli investitori, non possono permettersi di investire i propri risparmi in
azioni ma prediligono un’investimento in obbligazioni.
Chi decide di emettere obbligazioni?
Se lo statuto non prevede diversamente, la decisione di emettere obbligazioni è di competenza
degli amministratori, deve risultare da verbale notarile e deve essere iscritta nel registro delle
imprese.
Come è regolato il rapporto tra gli obbligazionisti (creditori) e la società (debitrice)?

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Il prestito alle imprese è regolato in modo meno dettagliato e la principale fonte di
regolamentazione del rapporto di credito è il rapporto contrattale. Quindi le disposizioni che
regolano il rapporto di nanziamento sono contenute principalmente nel contratto di mutuo
predisposto dalla società e sottoscritto per adesione dagli obbligazionisti mediante il
cosiddetto regolamento di emissione. In ragione della potenziale destinazione dello
strumento nanziario ad una vasta moltitudine di piccoli risparmiatori non esperti la legge
integra la disciplina contrattuale con alcune disposizioni riguardanti:
• L’organizzazione collettiva degli azionisti in quanto la numerosità e la dispersione degli
obbligazionisti da un lato possono comportare l’assenza di un effettivo monitoraggio dei
creditori sui rischi potenzialmente implicati dai comportamenti del debitori e accentuati dalla
limitazione della responsabilità dei soci. Dall’altro lato possono rendere molto più
dif coltoso rinegoziare i termini del rapporto di credito in casi con cui la rinegoziazione
sarebbe vantaggiosa per entrambe le parti. Per questo motivo la legge predispone
un’organizzazione collettiva di obbligazionisti che si articola in un rappresentante
comune, nominato dagli obbligazionisti, incaricato di tutelare i loro interessi comuni nei
rapporti con la società e in una assemblea degli azionisti che delibera a maggioranza alcune
decisioni essenziali di interesse comune come la modi cazione delle condizioni del prestito e
proposte di concordato.
• I limiti alle scelte nanziarie della società per limitare i rischi di esternalità negative
derivanti dalla responsabilità limitata dei soci. Nella prassi i contratti di nanziamento
prevedono vincoli alle future scelte di gestione della società debitrice. Tali vincoli derivano
dalle cosiddette clausole di covenants e prevedono, ad esempio, dei limiti alla vendita di
assets strategici. In ragione del limitato potere contrattuale che può essere esercitato da un
gruppo numeroso e disperso di investitori non so sticati come gli obbligazionisti la legge
impone in ogni caso alle società di non emettere obbligazioni oltre il limite massimo del
doppio del patrimonio netto (capitale sociale+riserve disponibili e legali) e di mantenere
questo rapporto per tutta la durata dei prestiti obbligazionari. Poiché tale limite non tiene
conto dei debiti di altra origine della società, come i prestiti bancari, ed è soggetto a
importanti eccezioni, legate soprattutto al caso di obbligazioni quotate in mercati
regolamentati, si tratta di un vincolo di limitata rilevanza
A seconda delle esigenze della società emittente e delle condizioni di mercato del credito, i
diritti degli obbligazionisti possono essere diversamente modulati nel regolamento di
emissione per meglio rispondere alla varietà degli interessi degli investitori.
Ci sono diversi tipi di obbligazioni:
• Obbligazioni semplici: si ha il diritto alla restituzione a scadenza del capitale prestato con la
corrispondente somma periodica di interessi.
• Obbligazioni subordinate o postergate: prevedono la restituzione, ma questa è subordinata
alla soddisfazione prioritaria di altri creditori
• Obbligazioni strutturate: è sempre prevista la restituzione, ma gli interessi sono parametrati
a degli indici nanziari o altre variabili (obbligazioni indicizzate) oppure dipendono da indici
legati all’andamento economico delle società (obbligazioni partecipative)
• Obbligazioni convertibili in azioni: danno diritto all’obbligazionista di convertire le
obbligazioni possedute in azioni della società con tempi, modalità e rapporto di cambio
prede niti. Per questi obbligazionisti sono previste delle disposizione dedicate alla loro
posizione in quanto possono diventare degli azionisti.
L’unico limite alla con gurazione dei diritti degli obbligazionisti è costituto dalla permanenza
della causa di mutuo che mantiene distinte le obbligazioni dai titoli di capitale di rischio

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caratterizzati dalla sottoposizione al rischio d’impresa.
Gli strumenti nanziari
La struttura nanziaria della s.p.a può essere quindi composta da diversi tipi di rapporti
patrimoniali i quali, nonostante in ultima istanza siano riconducibili a due modelli di base di
investimento in capitale di rischio e in capitale di debito, possono articolarsi in una gamma
differenziata lungo uno stretto di soluzioni graduate con azioni che possono avere
caratteristiche vicine a quelle dei titoli di credito e con obbligazioni che possono acari
caratteristiche vicine a quelle dei titoli di capitale di debito.
La struttura nanziaria della s.p.a può essere arricchita anche dall’emissione di altri strumenti
nanziari atipici che non hanno una sionomia propria e che sono contraddistinti solo dalla
possibilità di combinare caratteristiche ibride tra capitali di rischio e capitale di debito.
Pur potenzialmente con gurabili senza schemi prestabiliti rimane l’esigenza di ricondurre le
varie tipologie di strumenti in due categorie di base:
• Strumenti nanziari partecipativi: possono essere emessi a fronte dell’apporto, non
imputato a capitale, di ogni tipo di risorsa ( tra cui prestazioni di opera o servizi) e assegnano
diritti di partecipazione ai risultati della società in misura determinabile. Possono anche
attribuire diritti amministrativi, come il diritto di voto su speci ci argomenti. In tal caso sono
soggetti al sistema dell’assemblea di categoria e resta comunque esclusa la possibilità di
attribuire il voto nella assemblea dei soci
• Strumenti nanziari di credito: vengono emessi a fronte di un prestito la cui restituzione è
subordinata all’andamento economico della società e sono soggetti alla disciplina prevista per
le obbligazioni
Poiché la disciplina legale degli strumenti nanziari atipici rimane particolarmente frammentata
e lacunosa, il loro utilizzo resto modesto
La struttura nanziaria della s.p.a
In sintesi, la struttura nanziaria della s.p.a può essere articolata lungo un ampio spettro di
pretese sul patrimonio sociale diversi cate secondo varie gradazioni

LEZIONE 25
Fino a questo momento abbiamo analizzato i vari pro li che compongono la persona giuridica
della s.p.a. Ora dobbiamo capire in che modo si prendono le decisioni dentro le s.p.a, chi ha le
competenze e chi controlla le varie decisioni.
Dal punto di vista organizzativo a livello giuridico diventa necessario mettere ordine tra le
competenze dei soggetti che compongono tale impresa.
Tanto più una struttura organizzativa è complessa tanto maggiore è la possibilità che le sue
disfunzioni possano portare delle conseguenze negative all’esterno.
Guardando al recente passato tutti i maggiori scandali che hanno coinvolto le imprese di
grande dimensioni hanno come principale causa una disfunzione organizzativa.

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Esempio: nei primi anni 2000 c’è stato lo scandalo Parmalat legato al fatto che tale società aveva
truccato gran parte dei bilanci. Questo era successo in quanto erano salatati tutti i controlli.
L’apparato organizzativo
Quanto più una struttura organizzativa è complessa e articolata tanto è maggiore il rischio che le
disfunzioni all’interno dell’organizzazione possono produrre pregiudizi per i soggetti esterni
che si trovano ad avere a che fare con essa. Nelle società di persone i soci hanno ampia libertà
di organizzare la società al suo interno in quanto sono esposti con tutto il loro patrimonio alle
ricadute sui terzi delle possibili disfunzioni interne. Nella s.p.a, poiché tale esposizione manca, e
allo stesso tempo le interazioni con i terzi sono potenzialmente molto più numerose e
complesse l’apparato organizzativo interno è soggetto ad una disciplina ben più dettagliata e
inderogabile. I capisaldi su cui si snoda tale disciplina sono:
• La necessaria presenza di distinti organi decisionali, operanti sulla base di procedure
prestabilite, a cui sono assegnate distinte funzioni e competenze
• Una netta separazione tra la funzione di guida dell’esercizio dell’impresa, attribuita all’organo
amministrativo, e la potestà decisionale dei soci
• L’af damento della funzione di controllo dell’amministrazione a gure appositamente dedicate
come l’organo di controllo e revisore contabile
Per le s.p.a quotate inoltre, in ragione del rischio di effetti sistemici derivante dalla scala delle
interrelazioni della società con il contesto in cui essa opera, sono previsti ulteriori vincoli
organizzativi previsti dal testo unico della nanza. Inoltre sono previsti strumenti di
prevenzione rafforzata come la vigilanza di un’autorità amministrativa come il Consob.
Nelle s.p.a sono previsti diversi sistemi di governance ma quello maggiormente utilizzato è il
sistema tradizionale
Il sistema dualistico
Sono tipiche della società in mano pubblica (si assicura il controllo degli amministratori).
Caratterizzato da una maggiore separazione tra proprietà e gestione, prevede la presenza di un
consiglio di gestione (soggetto alla disciplina degli amministratori del CDA) e di un consiglio
di sorveglianza (un mix tra il collegio sindacale e assemblea ordinaria – la disciplina è quella in
materia di sindaci)
L’assemblea dei soci nomina un organo intermedio, ovvero il consiglio di sorveglianza alla
quale è af dato il controllo di legalità sulla gestione. Questo dovrà regolare il rapporto
riguardo il compenso, la revoca e l’approvazione annuale del bilancio nei confronti degli
amministratori che fanno parte dell’organo di gestione. Questo sistema dovrebbe garantire un
ef cace controllo, dato lo stretto rapporto che c’è tra il consiglio di sorveglianza e il consiglio di
gestione.
Il potere decisionale quindi è af dato al consiglio di sorveglianza il quale, normalmente, è
espressione della maggioranza dell’assemblea dei soci (tranne che per le società quotate).
Questo comporta al fatto che la minoranza non ha possibilità di incidere su decisioni rilevanti.
Il consiglio è necessariamente collegiale, in quantodeve essere composto almeno da 3
consiglieri. Bisogna sapere che consigliere di sorveglianza può anche essere un socio così come
può non esserlo. Inoltre tali consiglieri iniziali devono essere espressamente previsti nell’atto
costitutivo mentre quelli successivi sono nominati dall’assemblea.
Per quanto riguarda il compenso hanno diritto ad un compenso determinato dall’assemblea
ordinaria che resterà invariato.
Nelle società quotate è obbligatoria la nomina di un componente da parte della minoranza
(mediante voto di lista

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Relativamente alla nomina e alla revoca possiamo dire che la carica dura per 3 esercizi.
Riguardo la revoca sono liberamente revocabili anche senza giusta causa, ma almeno il 20% del
capitale sociale deve esprimere parere favorevole.
Per quanto concerne i requisiti di professionalità le società non quotate devono ricorrere ad
almeno 1 consigliere che deve essere iscritto nel registro dei revisori legali. Nelle società
quotate, a pena di decadenza, tutti i consiglieri devono essere iscritti nel registro dei revisori
legali. Inoltre, in questa seconda ipotesi, sono richiesti requisiti di onorabilità.
Per quanto riguarda il requisito della indipendenza possiamo dire che nelle società non
quotate è vietato:
• Se un consigliere di sorveglianza è anche consigliere di gestione della società (non è vietata la
parentela)
• Se vi sussiste con la società un rapporto di lavoro o un rapporto continuativo di consulenza/
prestazione d’opera (ma si possono intraprendere rapporti patrimoniali)
Nelle società quotate i requisiti sono gli stessi del collegio sindacale
Per quanto concerne le funzioni possiamo elencare:
1. Funzioni di controllo in senso stretto: richiama i doveri del collegio sindacale riguardo:
• il controllo di legalità rispetto alla legge e allo statuto
• il controllo sui principi di corretta amministrazione
• il controllo generale degli organi sociali.
Devono necessariamente rendere conto del loro operato almeno una volta l’anno
all’assemblea dei soci.
Relativamente ai poteri di ispezione:
• Nelle società non quotate solo collegialmente il consiglio di sorveglianza può chiedere
notizie sulla gestione agli amministratori, non è facoltà del singolo consigliere. Le ispezioni
riguardo i documenti dovranno essere deliberati dal consiglio che potrà delegare un
consigliere.
• Nelle società quotate individualmente il consigliere può richiedere informazioni, anche se il
potere di ispezione è deliberato dal consiglio di sorveglianza. Inoltre, il singolo può anche
convocare il consiglio di sorveglianza stesso comunicando la volontà al presidente.
Per quanto concerne i poteri di convocazione degli altri organi sociali tali organi possono
convocare l’assemblea se gli amministratori non provvedono a convocarla nei casi obbligatori o
in presenza di fatti censurabili, e devono convocare l’assemblea anche quando i soci lo hanno
richiesto (possono convocarla anche al di fuori delle ipotesi nel cc).
In casi di gravi irregolarità il consiglio è legittimato alla denuncia.
2. Funzione di indirizzo della gestione
Il consiglio di sorveglianza:
• Nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione (determinano il compenso)
• Approva il bilancio di esercizio (non lo approva più il CDA) e ove redatto anche il bilancio
consolidato
• Autorizza l’esercizio di azione di responsabilità contro i consiglieri di gestione (amministratori)
Questi sono i compiti generali ma lo statuto può prevederne altri (es. delibera di operazioni
strategiche e piani industriali), incidendo anche sulle decisioni che di norma spetterebbero al
consiglio di gestione.
Il ruolo dell’assemblea ordinaria viene infatti compromesso dal potere del consiglio di
sorveglianza, anche se i consiglieri sono stati nominati dai soci stessi. L’assemblea straordinaria
però non perde la sua rilevanza in quanto i soci non possono nemmeno prevedere una clausola
che gli dia il diritto di nomina e revoca riguardo i consiglieri di gestione, possono approvare il

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bilancio solamente se vi è una mancata approvazione del progetto di bilancio da parte del
consiglio di sorveglianza.
Resta ferma la competenza dell’assemblea ordinaria rispetto ai casi di:
• Azione di responsabilità verso gli amministratori (in concorrenza con il consiglio di
sorveglianza)
• In via esclusiva riguardo il diritto di distribuzione degli utili
• In via esclusiva riguardo la nomina del revisore
• L’assemblea nomina i consiglieri come già detto, ma anche il presidente del consiglio di
sorveglianza non può essere nominato dal consiglio stesso.
Il consiglio
Il consiglio deve riunirsi almeno ogni 3 mesi (come il collegio sindacale). È previsto sia un
quorum costitutivo, legato alla maggioranza dei componenti, sia un quorum deliberativo,
legato alla maggioranza assoluta dei presenti.
Le deliberazioni del consiglio possono essere impugnate. In questo ambito è compatibile la
disciplina dell’impugnazione delle delibere del CDA secondo la quale i legittimati
all’impugnazione però potranno essere solamente i consiglieri di sorveglianza assenti o
dissenzienti.
Relativamente al tema della responsabilità la disciplina combacia con quella del collegio
sindacale che prevede che i consiglieri hanno doveri di diligenza richiesti dalla natura
dell’incarico, che sono responsabili solidalmente con gli amministratori in caso di omessa
vigilanza di questi se la loro omissione ha contribuito a causare il danno e che l’azione di
responsabilità verso i consiglieri sorveglianti spetta all’assemblea.
Un’eventuale responsabilità verso i creditori, soci e terzi è regolata allo stesso modo degli
amministratori.
Il consiglio di gestione
Contrariamente come accade nel sistema tradizionale, non è ammesso l’amministratore unico,
al ne di favorire un organo necessariamente collegiale al quale spetta la gestione in via
esclusiva della società. È previsto che:
• I componenti devono essere almeno 2 (il numero è determinato dallo statuto) e possono
essere anche soci.
• La nomina dei primi deve essere indicata nell’atto costitutivo, successivamente sono nominati
dal consiglio di sorveglianza che ne stabilisce il compenso (se previsto lo stabilisce
l’assemblea).
• La durata della carica è triennale, possono essere revocati dallo stesso consiglio di
sorveglianza anche senza giusta causa. Se revocati non sussiste la cooptazione, la sostituzione
è una delibera del consiglio di sorveglianza.
Sistema monistico
Adatto a società di piccole dimensioni, si caratterizza per la presenza di un comitato di
controllo per la gestione (la disciplina è quella dei sindaci) che è costituito all’interno dal
consiglio di amministrazione (la disciplina è quella degli amministratori), le quali sono af date
le principali funzioni assegnate al collegio sindacale.
L’indipendenza non è la parola d’ordine di questo sistema, anche se la struttura organizzativa è
più sempli cata e prevede una maggiore responsabilizzazione.
Per quanto riguarda il comitato di controllo per la gestione bisogna sapere che almeno 1/3
dei componenti del consiglio di amministrazione deve rivestire il requisito dell’indipendenza
per i sindaci (lo statuto può prevedere altri requisiti).
Tutti i componenti del comitato di controllo:

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• Sono nominati dal cda, ma devono essere scelti tra amministratori che rivestono requisiti di
indipendenza, oltre ai requisiti di professionalità ed onorabilità dello statuto.
• Il numero dei componenti del comitato è stabilito dal CDA (se non è competenza
dell’assemblea) – nelle deve essere composto da almeno 3 componenti (società aperte), dal
almeno 2 componenti (società chiuse)
• Possono revocarli gli stessi anche senza giusta causa. Tale revoca non comporta la cessazione
della carica di amministrazione in quanto, af nché questo accada, ci deve essere la
deliberazione della assemblea ordinaria
• Non possono far parte del comitato esecutivo
• Devono essere amministratori non esecutivi (no deleghe)
• Nelle società quotate almeno un amministratore indipendente deve essere nominato dalla
minoranza e questo sarà il presidente.
Le funzioni del comitato sono simili a quelle del collegio sindacale in quanto si occupa di
veri care :
• il controllo di legalità rispetto alla legge e allo statuto
• il controllo sui principi di corretta amministrazione (anche se i componenti del comitato sono
amministratori)
• il controllo generale degli organi sociali.
Relativamente ai poteri di tale organo dobbiamo invece dire che ha il potere:
• Di denunzia da parte dei soci per fatti censurabili
• Di denunciare al tribunale o alla Consob le gravi irregolarità degli amministratori
Tale comitato non ha poteri informativi e di ispezione individuale in quanto può scambiare
informazioni solamente con il revisore legale dei conti.
Nelle società quotate, in cui viene af dato maggior potere al singolo socio:
• il potere di ispezione è assegnato collegialmente al comitato che può delegare il singolo
avvalendosi anche di dipendenti
• I singoli possono chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni/ su fatti
• Sia il singolo che il comitato possono convocare il CDA o il comitato esecutivo.
Relativamente alle società non quotate i componenti del comitato possono esercitare poteri
informativi comunemente attribuiti agli amministratori ma devono agire in modo informato.
In realtà collegialmente sussistono anche i poteri di ispezione e di controllo.
Per quanto riguarda la disciplina relativa al funzionamento del comitato di controllo è la stessa
del collegio sindacale. Per questa ragione è previsto:
• Obbligo di riunione ogni 3 mesi
• Obbligo di verbalizzazione delle sedute al quale va aggiunta la tenuta del libro delle
adunanze del comitato
• Il comitato è convocato dal presidente (nelle società quotate può prendere iniziativa anche il
singolo, dandone avviso al presidente).
Il tema della responsabilità non trova richiamo a quella dei sindaci, perché i componenti del
comitato sono amministratori e quindi la responsabilità discende dal mancato rispetto degli
obblighi di diligenza richiesti dalla natura dell’affare.
La responsabilità dei sindaci in realtà si concretizza solamente nell’ipotesi di omessa vigilanza –
per i componenti del comitato di controllo la responsabilità è commissiva (riguardo le
deliberazioni gestionali del cda se dannose).
Il sistema tradizionale
Nel sistema tradizionale è prevista l’esistenza di una assemblea dei soci che è una sede
decisionale in cui i soci stessi possono prendere delle decisioni.
L’assemblea dei soci

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Con la disciplina delle deliberazioni assembleari la legge speci ca, in dettaglio e con regole in
grande parti inderogabili, le decisioni collettive degli azionisti dotati di diritto di voto in
relazione a:
• Luoghi, modalità e tempi
• Materie di competenza
• Vizi delle deliberazioni
L’assemblea si caratterizza per la necessaria applicazione del metodo collegiale; questo non
indica solamente una decisione collettiva, ma ha un signi cato tecnico: si indica un certo
procedimento decisionale scandito da passaggi/fasi. Si decide infatti secondo la regola della
maggioranza. Queste hanno la funzione di assicurare che la volontà collettiva venga formata
correttamente. Sono previste delle fasi formali, hanno una forma vincolante da rispettare, anche
se alcune di queste possono essere derogate dallo statuto:
1. Convocazione dell’organo (artt. 2366 e 2367): l’assemblea può essere convocata a
discrezione dell’organo amministrativo (con delibera dell’organo collegiale, anche se lo statuto
può prevedere che sia un solo amministratore) ogni qual volta lo ritenga opportuno. È
obbligatorio il fatto che almeno una volta l’anno debba essere convocata convocare per
approvare il bilancio (entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio), inoltre anche quando si
veri cano alcune circostanze per le quali la legge richiede la decisione assembleare (es. quando
si veri ca una causa di scioglimento o quando si deve ridurre il capitale per perdite).
Se gli amministratori non provvedono a convocarla, può agire anche l’organo di controllo; in
caso di inerzia i soci possono rivolgersi al Tribunale.
La convocazione può essere obbligatoria anche se vi è una richiesta dalla minoranza (almeno
1/10 del capitale sociale, il 5% se sono società che fanno ricorso al capitale di rischio) indicando
gli argomenti da trattare, se legittimi gli amministratori non possono respingere la richiesta.
L’avviso di convocazione deve contenere tutte le indicazioni riguardo data, ora, luogo (nel
Comune dove ha sede la società) e l’ordine del giorno (sintetico, ma non generico).
Le modalità cambiano:
- Per le società non quotate vi deve essere un avviso sulla gazzetta uf ciale almeno 15 giorni.
- Per le società chiuse che non fanno ricorso al mercato di rischio, si può prevedere una
modalità più semplice, ma l’avviso deve avvenire almeno 8 giorni prima (es. raccomandata
con ricevuta di ritorno).
- Per le società quotate l’assemblea è convocata almeno 30 giorni prima con avviso sul sito
internet o con altre modalità previste dalla Consob.
Riguardo l’ordine del giorno; per le società quotate è previsto un obbligo da parte degli
amministratori di pubblicare sul sito internet una relazione sulle materie trattate.
Se non sussistono le regole riguardo la convocazione, eventuali delibere sono annullabili, ma
resta validamente costituita se tutti i soci che hanno diritto al voto sono presenti alla riunione in
quanto si sanerebbero eventuali vizi. Ciascun socio può opporsi alla trattazione della materia se
non è informato suf cientemente a proposito.
2. Costituzione e riunione dei partecipanti (artt. 2368, 2369 e 2372): sono previsti dei
quorum costitutivi; vi deve essere un numero minimo di azioni, in mancanza di queste
l’assemblea non può iniziare. Per il calcolo del quorum non vengono considerate le azioni prive
del diritto di voto.
Per deliberare occorre un quorum deliberativo; occorre che vi sia un voto favorevole per
almeno la maggioranza del capitale. Per il calcolo si considera il capitale sociale complessivo
della società, ma a volte anche del capitale concretamente presente in società (si considerano
anche i presenti non votanti e degli astenuti come se fossero voti contrari).

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Non si calcolano le azioni del socio in con itto di interessi se si astiene, e dei soci il cui voto sia
occasionalmente sospeso.
I quorum variano a seconda del tipo di assemblea, in base alle materie, ma anche dal tipo di
convocazione (prima, seconda, terza convocazione) ma anche in base al tipo di società.
Per poter essere ammesso all’assemblea, l’azionista deve dimostrare la propria legittimazione:
se sono stati emessi titoli secondo il regime cartolare, il socio deve esibirli e il presidente di
assemblea controllerà se il suo nome è presente nel libro dei soci.
Se si parla di società quotate, le azioni sono dematerializzate e quindi il controllo della
legittimazione è demandato agli intermediari che comunicheranno alla società. Per le società
quotate la legittimazione deve tener conto del possesso antecedente all’assemblea (potrebbe
intervenire e votare anche un soggetto che in quel momento non è più titolare di azioni).
Si parla anche di intervento; questo diritto spetta oltre a tutti i componenti del CDA e
dell’organo di controllo, a tutti gli azionisti titolari del diritto di voto.
Esistono modalità di intervento telematico o si può prevedere il voto per corrispondenza (si
invia il voto prima della seduta). Si può anche delegare con la procura un rappresentante (es.
esperto).
A volte però non è consentito dallo statuto, il delegato deve essere necessariamente un socio.
È necessario che la delega sia scritta, la delega in bianco è nulla, inoltre la procura è revocabile.
Vi è un divieto di subdelega.
Normalmente nelle società quotate la delega è normale, ma la società deve individuare un
rappresentante a cui ciascun socio potrà conferire una delega (spesso partecipa la minoranza
del capitale in assemblea, le deleghe spesso vengono sollecitate per agevolare la
rappresentanza assembleare, così anche i piccoli soci possono partecipare indirettamente alla
votazione).
3. Discussione (artt. 2371 e 2374): si parla del diritto di replica, tutti devono avere la possibilità
di esprimere la propria, anche se a volte si adottano dei contingentamenti dei tempi.
Si può sciogliere la seduta se non vi è uno svolgimento ordinato.
È necessario il presidente d’assemblea (indicato nello statuto, di solito è il presidente del CDA,
se non previsto è eletto a maggioranza per teste dai presenti); questo controlla la regolare
costituzione dell’organo, la legittimazione dei presenti, dirige i lavori (discussione, formulazione
delle proposte di deliberazione, modalità e controllo della votazione), si occupa dello scrutinio,
della proclamazione e della verbalizzazione dei risultati. Le sue decisioni non sono sindacabili o
revocabili dall’assemblea (salvo vizi). Inoltre, deve rispettare l’ordine del giorno.
Vi è anche un segretario che spesso è il notaio (obbligatorio nell’assemblea straordinaria).
4. Votazione (artt. da 2368 a 2370): il presidente (salvo una clausola statutaria) stabilisce il
sistema e le modalità (es. alzata di mani o schede). Il voto che è simultaneo e non segreto, deve
con uire in una deliberazione assembleare (decisione). Il risultato deve essere accertato con la
proclamazione.
È necessario un quorum deliberativo (le maggioranze non sono sempre le stesse).
5. Verbalizzazione (art. 2375): per essere sicuri che la decisione sia stata presa correttamente
occorre
lasciarne traccia, se non si lascia la deliberazione è nulla.
Il verbale è redatto in assemblea ordinaria dal presidente e dal segretario, in caso di assemblea
straordinaria il verbale deve essere redatto dal notaio.
Il verbale deve essere analitico; deve indicare: i partecipanti, il capitale rappresentato in
assemblea, le modalità e il risultato delle votazioni esplicitando dichiarazioni.
Non occorre la sottoscrizione dei presenti.
Riguardo il tempo della verbalizzazione, questo può essere redatto in data posteriore

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all’assemblea.
Questa disciplina è composta da un nucleo di regole comuni e da una parte di regole
differenziate, a seconda delle materie oggetto di deliberazione e/o del sottotipo di S.P.A.
(quotate o no, aperte o chiuse). In particolare, in relazione ai quorum (costitutivi e deliberativi)
e alla responsabilità della verbalizzazione, le modalità di deliberazione si distinguono in:
A. Assemblea ordinaria (art. 2364): prevista per deliberazioni periodiche e necessarie per il
funzionamento dell’organizzazione.
Sono previste regole bilanciate verso la facilità di arrivare ad una decisione. Spesso i quorum
sono più bassi: per quelli costitutivi basta che sia presente il 50+1 del capitale sociale, per quelli
deliberativi occorre la maggioranza assoluta dei presenti.
Le competenze sono: nomina e revoca organi sociali, approvazione bilancio e distribuzione
degli utili, determinazione del compenso degli amministratori e dei sindaci, deliberazione
dell’azione di responsabilità contro altri organi della società. Un’altra materia riguarda le
autorizzazioni richieste dagli amministratori per il compimento di alcuni atti (anche se gli
amministratori non sono mai imposti al compimento di questi atti; se agiscono senza
l’autorizzazione saranno responsabili per tutti i danni subiti e revocati, ma l’atto resterà
comunque valido).
B. Assemblea straordinaria (art. 2365): prevista per deliberazioni di cambiamenti strutturali
della società (modi che statutarie, liquidazione, trasformazione, fusione, scissione, nomina dei
liquidatori) e per i cambiamenti nanziari (operazioni sul capitale, obbligazioni convertibili,
l’autorizzazione alla concessione di prestiti e garanzie per l’acquisto di proprie azioni).
Spesso però vi sono clausole statutarie che delegano gli amministratori riguardo modi che
statutarie di minore importanza (es. aumento di capitale a pagamento).
Sono previsti quorum più elevati; occorre infatti la maggioranza assoluta del capitale. Inoltre,
occorre la verbalizzazione nale di un notaio, depositandola presso il registro delle imprese.
Si tratta non di due organi distinti, ma bensì dello stesso organo, che a seconda delle materie
trattate si riunisce e delibera con maggioranze e regole formali diverse.
Bisogna inoltre sapere che c’è la distinzione tra prima e seconda convocazione per le quali
sono previsti dei quorum costitutivi e deliberativi differenti.
Una cosa importante è che per approvare le modi che statutarie ci vogliono i 2/3 del
capitale e, per questo motivo, chi vuole comprare il pacchetto di controllo di una società cerca
di acquistare il 66.7% della società per poter modi care in maniera autonoma le disposizioni
statutarie. Spesso però non serve avere una quota cosi amplia per potere controllare una
società in quanto, soprattutto alle società aperta, se ci son tanti azionisti è facile non tutti gli
azionisti con diritti di voto partecipano alla assemblea.
Infatti è prevista una seconda convocazione in cui il quorum deliberativo e costitutivo è meno
elevato rispetto a quello previsto per la prima convocazione.
Questo per dire che molto spesso il problema consistente nel raggiungere il quorum minimo e
quindi, per potere gestire in maniera autonoma una società potrebbe una quota di
partecipazione molto più bassa rispetta al 66.7%.
L’invalidità delle deliberazione dell’assemblea dei soci
In questo ambito ritroviamo la stessa specialità che avevano trovato parlando di invalidità del
contratto di società.
Ripasso di diritto privato
Immaginiamo di essere in trattativa per concludere un contratto ma commettiamo un errore nella
de nizione dell’affare. In questo caso abbiamo delle esigenze che vanno conciliate e quindi se
noi scopriamo di avere commesso un errore noi abbiamo l’esigenza di annullare la stipulazione
di tale contratto per tutelare la nostra volontà. Allo stesso tempo abbiamo l’esigenza della

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controparte, che ha fatto af damento sulla conclusione del contratto, di non deludere tale
af damento. Il punto di equilibrio tra la tutela delle due volontà è dato dal fatto che l’errore è
causa di annullamento solo se è essenziale e riconoscibile dall’altro contraente.
Esistono delle esigenze che stanno sotto la regola del diritto privato in quanto anche quando
abbiamo una invalidità delle deliberazioni assembleare si pone il problema di tutelare la
volontà dei soci. Dall’altro lato abbiamo l’esigenza di tutelare l’af damento dei terzi che
hanno fatto conto su una certa deliberazione assembleare
Esempio: se è stato deliberato un aumento di capitale sono state emesse delle nuove azioni che
possono essere state comprate da dei nuovi soci. Se noi invalidiamo la deliberazioni, cosa
succede con tali azioni?
L’esigenza di af damento è potenzialmente molto più amplia rispetto al singolo contratto e
quindi, nel diritto societario, troviamo un punto di equilibrio molto diverso spostato molto di
più verso la tutela di af damento dei terzi e alla esigenza di stabilita e certezza delle decisioni
assembleari.
Queste esigenze vanno comunque conciliate sia sul piano delle cause di invalidità sia sul
piano dei loro effetti. Per questo motivo un vizio può dar luogo ad invalidità delle delibere
assembleari solo in determinate ipotesi previste dalla legge. Per quanto riguarda gli effetti di tali
ipotesi di invalidità vengono fatti salvi gli acquisti che i terzi hanno fatto in buona fede.
Nel momento in cui non vengono rispettate delle regole, nel diritto privato, abbiamo diverse
conseguenze alla violazione che possono essere raggruppati come rimedi demolitori e rimedi
risarcitori.
Nel diritto commerciale questa distinzione è molto presente in quanto le diverse conseguenze
date da questi rimedi hanno un impatto di primo piano su tutte le implicazioni che emergono in
una certa fattispecie.
Nel caso delle deliberazioni assembleari non si produce una invalidità in quanto è molto più
semplice ottenere un rimedio risarcitorio.
LEZIONE 26
Abbiamo due livelli di disciplina delle invalidità de niti dalle cause di invalidità e dalle
conseguenze che derivano da tali invalidità.
Le categorie di invalidità
Come nella disciplina dei contratti l’invalidità si suddivide in nullità e annullabilità.
Contrariamente alla disciplina dei contratti, però, la nullità è con gurata come categoria
speciale e quindi si ricorre ad essa solo nei casi speci catamente indicati mentre l’annullabilità
è la categoria residuale.
Si ricorre alla nullità solo in caso di:
• Impossibilità o illecita dell’oggetto della deliberazione
• Mancanza della convocazione
• Mancanza del verbale
Si fa ricorso all’illiceità dell’oggetto della deliberazione in riferimento alle ipotesi in cui il bilancio
sia contrario ad una norma imperativa.
L’annullabilità è invece con gurata in tutte le altre ipotesi di contrarietà della deliberazione
alla legge o allo statuto. In questa impostazione è implicita anche la scelta di negare spazio
alla con gurazione di altre categorie di vizi come ad esempio l’inesistenza che veniva spesso
applicata, in passato, dalla giurisprudenza.
L’operatività di alcune cause di invalidità, come la partecipazione di soggetti non legittimati, il
mancato raggiungimento del quorum o l’irregolarità della convocazione o del verbale, è
circoscritta solo in casi di una loro effettiva incidenza.
Il con itto di interessi e l’abuso di maggioranza

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Tra le ipotesi di annullabilità rientrano anche le patologie relative alla dialettica tra
maggioranza e minoranza assembleare che connota frequentemente le dinamiche decisionali
della s.p.a.
In linea di principio il voto di ciascun socio è rimesso al suo libero apprezzamento e non può
essere sindacato a posteriori da terzi. Esiste però un limite secondo cui l’esercizio del voto non
può scon nare in decisioni contrarie al principio di correttezza e dirette a danneggiare la
società o altri soci.
Esempio: immaginiamo di essere soci di una società e per varie ragioni un soggetto ha una
partecipazione maggiore. Tale socio è stato anche nominato socio della società. Tale soggetto, in
virtù della sua carica, può decidere di acquistare un immobile di sua proprietà con il patrimonio
della società. In questa ipotesi potremmo avere un con itto di interessi dovuto al fatto che tale
socio vuole ottenere il prezzo più alto mentre la società, in quanto compratore, vuole ottenere il
prezzo più basso. Essendo io sia compratore che venditore potrei mirare ad ottenere un prezzo
molto più alto rispetto al valore effettivo di quell’immobile. L’amministratore ha dunque un
interesse personale in con itto con quello della società.
A livello giuridico però l’assemblea non è competente per quanto riguarda gli atti di gestione
ma può capitare che lo statuto può prevedere che certe decisioni gestionali, che
spetterebbero all’amministratore, debbano essere autorizzate dalla assemblea dei soci. È però
evidente che, in caso di con itto di interesse personale con l’interesse societario, è molto
dif cile per il socio prendere una posizione all’interno di questa votazione.
Per quanto riguarda il con itto di interessi con la società l’art. 2373 del cc prevede che se il
socio, in relazione ad una certa deliberazione, ha un interesse in potenziale con itto con
quello della società può partecipare alla votazione ma la deliberazione è annullabile se il suo
voto è determinante o se la decisione può causare un danno alla società.
È possibile anche che il con itto si crei tra l’interesse di un socio di maggioranza e gli interessi
dei soci di minoranza
Esempio:il socio di maggioranza, che detiene il 40% del capitale sociale, si allea con un altro
sono che è proprietario del 30% del capitale sociale. A questo punto i due soci possono,
mediante l’assemblea dei soci, delirare lo scioglimento della società al ne di sbarazzarsi dei soci
di minoranza. Successivamente a questo scioglimento i due soci decidono di iniziare una nuova
società in cui non hanno l’intralcio dei soci di minoranza.
In queste situazioni si parla di abuso di maggioranza in quanto, in queste ipotesi, non sono
state violate le regole dello statuto ne abbiamo approvato una deliberazione dannosa per la
società ma abbiamo abuso in quanto abbiamo perseguito il risultato di danneggiare i soci di
minoranza. Tale ipotesi non è regolata dalla legge ma, nel tempo, i giudici sono arrivati a
caratterizzarla come una causa di annullabilità della delibera assembleare in quanto abbiamo
una violazione dei principi generali di buona fede e correttezza nei rapporti negoziali (art.
1375 cc).
Chi agisce per richiedere l’annullamento di tale deliberazione deve dimostrare che questa aveva
come unico scopo quello di danneggiare i soci di minoranza. Questa ipotesi è tutt’altro che
semplice e scontata.
L’abuso di minoranza
Potremmo avere quello che è l’ostruzionismo della minoranza che è un problema che si pone
in relazione all’esercizio del voto da parte dei soci che hanno partecipazioni non determinanti
per approvare le deliberazioni ma suf cienti per impedire l’approvazione. È l’ipotesi delle
cosiddette minoranze di blocco.
Anche in questa ipotesi possono ricorrere cause di invalidità analoghe ai casi di con itto della
maggioranza.

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In questa ipotesi abbiamo però un ulteriore limite dovuto al fatto che l’annullamento della
deliberazione negativa non può produrre automaticamente una deliberazione positiva e
quindi non può rimediare direttamente al pregiudizio lamentato. Per questo motivo i giuristi si
trovano spesso in una situazione di smarrimento in quanto l’annullamento della delibera
negativa non porta all’ottenimento del risultato pratico che si voleva perseguire.
Fortunatamente questo fenomeno si veri ca molto raramente.
LEZIONE 27
Il regime di nullità
Il regime di nullità è più grave in quanto fa riferimento a dei vizi più gravi rispetto a quelli
previsti per il regime di annullabilità.
La legittimazione ad impugnare una deliberazione nulla spetta a chiunque ne abbia
interesse entro un termine di 3 anni dall’iscrizione della deliberazione nel registro delle
imprese o, se non prevista, dalla trascrizione nel libro delle adunanze assembleari. Viene meno il
limite quando l’oggetto della delibera è una modi cazione sociale che lo rende illecito o
impossibile. Come nel diritto privato, la nullità potrebbe essere rilevata d’uf cio da parte del
giudice. Tutte le volte in cui la nullità delle deliberazione entra nella cognizione del giudice
quest’ultimo può rilevare tale vizio in maniera autonoma.
Il regime di annullabilità
La legittimazione ad impugnare una deliberazione annullabile spetta ai soci assenti,
dissenzienti o astenuti tra quelli che abbiano diritto di voto nella deliberazione in questione.
Inoltre tali soci devono raggiungere, anche congiuntamente, soglie minime di partecipazioni
dotate di diritto di voto che variano a seconda delle diverse società (0.1% nelle società aperte e
5% nelle società chiuse).
Possono impugnare anche gli organi di amministrazione e controllo. La possibilità di
impugnare è prevista entro un termine di 90 gg dalla deliberazione o, se prevista, dall’iscrizione
nel registro delle imprese. Inoltre i soci che non raggiungono le soglie minime di
partecipazione, o che non hanno diritto di voto, possono agire chiedendo il risarcimento del
danno entro il medesimo termine. Esistono delle ipotesi in cui il danno non esiste e quindi,
secondo alcuni, comporta una limitazione eccessiva della tutela degli interessi dei soci.
Limitazione degli effetti dell’invalidità
I regimi di nullità e annullabilità sono poi accomunati da alcuni pro li di disciplina volti a
circoscrivere ulteriormente gli effetti dell’invalidità in vari casi in cui ricorrano esigenze di
tutela della stabilità delle deliberazioni ritenute prioritarie rispetto alla tutela della loro
regolarità. Tali esigenze sono:
• Effetti verso i terzi di buona fede (art. 2377, comma 7) sono salvi da eventuali nullità e
annullabilità delle deliberazioni.
• Ipotesi di sanabilità (artt. 2377, comma 8, e 2379-bis) se si sostituisce il vizio con un’altra
delibera assembleare (es. delibera senza verbalizzazione si può correre ai ripari andando a
sottoscrivere i verbali prima dell’assemblea successiva) non potendo quindi procedere
all’annullamento o alla nullità.
Viene fatto valere il vizio solo se dal punto di vista pratico cambia qualcosa e quindi il vizio è
stato determinante per l’esito della deliberatoria.
Esistono ulteriori preclusioni all’impugnazione motivate da adempimenti irreversibili come
l’approvazione del bilancio. Quando si approva il bilancio questo ha senso no
all’approvazione del bilancio successivo. La delibera che approvava il bilancio precedente, nel
caso in cui dovesse essere viziata, non potrà essere impugnata in quanto sarebbe inutile
dichiarare la nullità della delibera viziata. Quindi la nullità per le delibere di approvazione di un
bilancio ha un termine equivalente alla durata dell’esercizio.

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Per quanto riguarda le operazioni speciali, con cui si cambiano i connotati strutturali della
società, le nullità possono essere rilevate no al momento in cui non viene iscritto nel registro
delle imprese l’atto straordinario. Nel momento in cui tale atto viene iscritto si producono una
serie di effetti sul piano giuridico che sono dif cilmente reversibili e quindi il codice prevede
una preclusione all’impugnazione delle delibere invalide dopo l’iscrizione nel registro delle
imprese di questi atti.
In ne per quanto riguarda le decisioni di aumento del capitale, di riduzione facoltativa o
reale di capitale o l’emissione di obbligazione abbiamo un termine molto ridotto in caso di
nullità che viene ridotto a 180 gg dall’iscrizione nel registro delle imprese. Per le società quotate
l’invalidità non può essere pronunciata dopo l’esecuzione di queste delibere.
Data questa marcata irreversibilità degli effetti, nella prassi assume grande importanza il ricorso
d’urgenza per sospendere, mediante l’azione cautelare, l’esecuzione della deliberazione
mediante il quale il giudice ordina alle parti di non dare corso alla delibera facendo si che ci sia
maggior tempo per l’impugnazione.
L’organo amministrativo
L’assemblea dei soci fa da base della struttura di governo della s.p.a in quanto i soci sono i
‘proprietari’ di tale società. Questi però non gestiscono l’attività di impresa che viene gestita
dall’amministrazione. Quindi nella s.p.a. la funzione di guida dell’esercizio dell’impresa spetta
ad un organo amministrativo in via esclusiva e inderogabile. Il codice civile prevede che lo
statuto societario può solo attribuire alla assemblea dei soci poteri di autorizzare determinati atti
di gestione anche se resta ferma la responsabilità decisionale ultima dell’organo amministrativo.
L’autorizzazione è prevista semplicemente come un via libera per l’esecuzione della decisione.
Nella prassi l’organo amministrativo può assumere con gurazione molto differenti a seconda
del tipo di s.p.a. Infatti nelle società chiuse l’organo tende ad avere una composizione ristretta e
a mantenere uno stretto collegamento con i soci di controllo mentre nelle società aperte, e
soprattutto quelle quotate, l’organo ha una composizione e un funzione molto più complessi e
articolati in quanto risponde del proprio operato anche nei confronti di una platea di investitori
potenzialmente ampia.
Per questo la disciplina dell’amministrazione delle società quotate è arricchita da alcune
speci che disposizioni di legge e da disposizioni di auto regolamentazione di settore contenute
nel codice di Corporate Governance delle società quotate.
La composizione dell’organo
L’organo amministrativo può essere composto da un amministratore unico o, più
normalmente, da più amministratori che costituiscono il consiglio di amministrazione. Gli
amministratori sono nominati e revocati dai soci secondo le regole previste per l’assemblea
ordinaria che possono essere derogate dallo statuto che può prevedere, dove ci sono diverse
azioni di categorie, un sistema elettorale per garantire che ciascuna categoria di azioni nomini
un componente.
Il numero dei componenti dell’organo amministrativo è determinato dallo statuto o dalla
assemblea.
Nella s.p.a la gura dell’amministratore tende ad avere una connotazione professionale,
cosa che non succede negli altri tipi di società. La legge non de nisce quali elementi di
professionalità l’amministratore debba avere ma da diverse disposizioni si può ricavare che:
• Gli amministratori potrebbe non essere soci della società
• Non può essere nominato amministratore chi è stato soggetto alla limitazione della capacita di
agire, fallimento o a condanna con interdizione da pubblici uf ci
• Gli amministratori, secondo l’art. 2392, sono tenuti a svolgere i propri compiti con la diligenza
richiesta dalla natura dell’incarico e delle loro speci che competenze

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• Lo statuto può prevedere speci ci requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza per
chi assume l’incarico
Inoltre nelle s.p.a quotate l’organo amministravo deve essere necessariamente pluripersonale
per garantire anche la presenza di amministratori nominati da soci di minoranza e di
amministratori indipendenti.
Nelle s.p.a chiuse con partecipazione dello stato o di enti pubblici, lo statuto può prevedere
il diritto di tali soggetti di nominare un numero di amministratori proporzionali alla
partecipazione. Rimane discusso se possa assumere l’incarico di amministratore anche un
soggetto giuridico che non sia una persona sica.
Per quanto riguarda la cessazione dell’incarico di amministratore si veri ca nell’ipotesi:
• Decesso o rinuncia dell’amministratore (art. 2385): non richiedono la forma scritta e non viene
riconosciuta una giusti cazione/indennità. La rinuncia ha effetto solamente nel momento della
sostituzione dell’organo.
• Decadenza, per mancanza sopravvenuta dei requisiti previsti dalla legge (ed eventualmente
dallo statuto) (artt. 2382 e 2387).
• Scadenza della carica, che non può durare per più di 3 esercizi (ma è possibile la rielezione,
se lo statuto non dispone diversamente) (art. 2383, comma 2 e 3). Anche se ha cessato la sua
funzione, l’amministratore permane in carica con i suoi poteri no a quando non sarà sostituito.
Cessata la carica però ha la possibilità di essere rinominato dall’assemblea.
• Revoca per deliberazione assembleare (art. 2383, comma 3); senza vincoli di tempo o di
motivazione, ma, in mancanza di giusta causa, con diritto al risarcimento del danno per
l’amministratore revocato.
Se interviene la cessazione di uno o più amministratori (per cause diverse dalla revoca) si
dovranno sostituire:
• Se rimane in carica la maggioranza degli amministratori di nomina assembleare si ha il potere
di cooptazione di membri del CDA; con la deliberazione del CDA (quelli rimasti in carica).
Tali amministratori rimangono in carica no alla successiva assemblea dei soci
• Se viene meno però la maggioranza degli amministratori nominati dall’assemblea, quelli
rimasti in carica devono convocare l’assemblea per sostituire i mancanti.
• Se venissero meno tutti gli amministratori e non vi sia la prorogazione della carica (es. morte);
il collegio sindacale dovrà convocare l’assemblea, il collegio potrà esercitare poteri di
amministrazione ordinaria.
• Lo statuto può prevedere la clausola “simul stabunt simul cadent”: se viene a mancare uno
dei membri cesserà l’intero consiglio, dunque si convocherà l’assemblea per rinnovarlo.
Il funzionamento dell’organo
Il consiglio di amministrazione è un organo collegiale le cui deliberazione sono assunte con la
presenza di almeno la maggioranza dei componenti e con il voto favorevole della
maggioranza dei presenti salvo la presenza di diverse soglie previste dallo statuto.
Il corretto funzionamento di questo organo collegiale è af dato al presidente del c.d.a.
Il presidente è uno degli amministratori scelto dallo stesso c.d.a. tra i suoi componenti, se non è
già stato nominato dall’assemblea. Ha sia il potere che l’obbligo di presiedere allo
svolgimento delle diverse fasi delle deliberazione collegiali tra cui la convocazione, la
ssazione dell’ordine del giorno, l’informazione di tutti i componenti sulle materie da trattare, la
direzione della discussione e della deliberazione, la proclamazione dei risultati e la
verbalizzazione.
Tale carica non va confusa con quello che è l’amministratore delegato.

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L’invalidità delle deliberazioni
Essendo un organo collegiale le deliberazioni del c.d.a potrebbero essere soggette a delle
invalidità. L’art. 2388 prevede che le deliberazioni del c.d.a. non conformi alla legge o allo
statuto sono soggette ad un regime analogo all’annullabilità delle deliberazioni assembleari.
Tali delibere possono essere impugnate dagli amministratori che non hanno concorso alla
deliberazione o dall’organo di controllo oppure da ciascun socio ma solo le tale deliberazione
lede i suoi diritti.
L’invalidità deve essere fatta valere entro 90 gg dalla data della deliberazione.
Analogamente alle deliberazioni assembleari, tra le possibili cause di invalidità è regolata
speci catamente l’ipotesi in cui il voto dell’amministratore sia condizionato da interessi
particolari e contrastanti
Il con itto di interessi
Qualora un interesse personale di un amministratore sia coinvolto nella deliberazione del
c.d.a. la legge si occupa dell’ipotesi di qualsiasi interesse personale dell’amministratore
coinvolto nella deliberazione del c.d.a.
In queste ipotesi l’amministratore deve darne notizia agli altri amministratori e agli organi di
controllo. Inoltre è prevista la possibilità di votare a meno che tale soggetto non sia
l’amministratore unico. In caso di decisione collegiale può partecipare alla votazione anche
l’amministratore in con itto di interessi ma la deliberazione deve essere adottata esplicitando le
ragioni e la convenienza della decisione per la società.
La delibera può essere invalidata solo se non vengono rispettati tali adempimenti o se il
voto dell’amministratore interessato risulta determinante e la sua decisione può comportare
un danno per la società.
La ripartizione interna dei compiti
L’amministrazione è af data ad un organo collegiale, salvo il caso dell’amministratore unico, ma
in concreto l’amministrazione, nelle realtà più articolate, è guidata da una divisione interna dei
compiti. Per rendere più ef cace la gestione dell’impresa lo statuto della s.p.a, nelle società di
una certa dimensione, può prevede che le funzioni amministrative vengano delegate,
all’interno dell’organo amministrativo, solo ad alcuni amministratori. Con questa opzione
amministrativa l’esercizio della funzione amministrativa si articola in una ulteriore ripartizione di
compiti secondo cui a uno o più amministratori delegati, che vanno a formare il comitato
esecutivo, che si occupano della gestione diretta dell’impresa. Agli amministratori non
delegati resta il compito di vigilare sulla gestione degli amministratori delegati ed assumere le
decisioni di indirizzo generale della gestione come la riesaminazione dei piani strategici o la
valutazione periodica dell’andamento della gestione.
Questa divisione interna comporta una diversi cazione netta della composizione del c.d.a in
quanto l’amministratore delegato si occupa della società a tempo pieno mentre l’amministratore
non delegato lo fa solamente periodicamente.
Al ne di preservare una conduzione unitaria e coordinata dell’impresa gli amministratori
delegati devono informare periodicamente il c.d.a. e l’organo di controllo, almeno ogni 6
mesi, circa l’andamento della gestione, le sue prospettive e le principali operazioni effettuate.
Inoltre il consiglio può sempre impartire direttive agli amministratori delegati o avocare a sé
operazioni rientranti nelle deleghe. In ogni caso, alcune decisioni particolarmente importanti
non possono essere delegate come ad esempio la redazione del progetto di bilancio o gli
adempimenti in caso di perdita del capitale.

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LEZIONE 28
I compensi
Il compenso per lo svolgimento dell’incarico di amministratore è stabilito dall’assemblea
ordinaria in sede di nomina, ma i compensi per gli amministratori investiti di particolari cariche
(presidente e amministratori delegati) sono stabiliti dal C.D.A. con il parere del collegio
sindacale:
• Se previsto dallo statuto, l’assemblea può stabilire (solo) un tetto complessivo a questi
compensi
• Per incentivare gli amministratori esecutivi a gestire al meglio l’impresa, spesso parte dei loro
compensi è costituita dall’attribuzione di diritti di acquisto di azioni della società a prezzo
prestabilito (c.d. stock options). Abbiamo quindi una componente ssa di remunerazione e
una componente variabile legata ai risultati. Nelle società questa parte variabile è data da
diritti di opzioni per l’acquisto futuro di azione che, nel momento in cui la società viene gestita
bene, aumentano di valore.
Gli amministratori per guadagnare di più puntano ai risultati di breve termine, tutti i guadagni
che cercano di ottenere alla società, si vogliono far materializzare in poco tempo (anche se non
è un fattore positivo per il lungo termine).
Remunerazioni eccessive sono illegittime per la lesione dell’interesse sociale e la deliberazione
sarà annullabile. Per rafforzare il controllo sui compensi dei manager, nelle società quotate è
richiesto al C.D.A. di sottoporre ogni anno all’approvazione dell’assemblea dei soci, una
relazione che illustri:
• La politica di remunerazione da adottare per i successivi esercizi. Su questa politica
l’assemblea vota con un voto vincolante.
• I compensi ricevuti nell’esercizio trascorso dai componenti degli organi di amministrazione
e controllo. In questo ambito l’assemblea vota con un voto non vincolante.
I poteri di rappresentanza
La società opera all’esterno attraverso delle persone siche, quindi si devono individuare coloro
che agiranno in nome e per conto della società. Si fa riferimento all’institore (che è un direttore
generale) che non necessariamente fa parte del C.D.A.
Al ne di tutelare in modo particolarmente esteso l’af damento dei terzi, le ripartizioni dei
compiti interne all’organo amministrativo non sono di regola opponibili ai terzi:
• Nello statuto, e quindi nel registro delle imprese, devono essere indicati gli amministratori che
hanno la rappresentanza della società che normalmente sono amministratori con incarichi
esecutivi.
• Il potere di rappresentanza è generale. Il rappresentante generale può compiere qualsiasi
tipo di atto.
• Le eventuali limitazioni a questo potere di rappresentanza generale, anche quando risultanti
dallo statuto o da altra decisione iscritta nel registro delle imprese, sono opponibili ai terzi
solo se si prova che essi hanno intenzionalmente agito a danno della società. Abbiamo quella
che viene de nita eccezione di dolo
Rimane ferma la possibilità per i rappresentanti legali di conferire ad altri soggetti ulteriori
poteri di rappresentanza speciale, regolati dalla disciplina dell’impresa (rappresentanza
commerciale) o dal diritto privato mediante la procura
Se l’amministratore non ha potere di rappresentanza (singolo) perché vi è una clausola che la
attribuisca congiuntamente a diversi amministratori; l’inef cacia dell’atto compiuto da parte di
un solo di questi sarà sempre opponibile al terzo.
Se si compie un tipo di operazione estranea all’oggetto sociale, questo atto sarà opponibile ai
terzi.

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Se il rappresentante agisce nel suo potere ma spende il nome della società senza un atto
deliberativo del C.D.A; se il potere di decidere per un certo atto spetti al C.D.A. (e non vi siano
deleghe) solo il presidente ha potere di rappresentanza. Quindi l’atto è inopponibile al terzo.
Nei casi di invalidità di un atto deliberativo interno, sono fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede.
La responsabilità degli amministratori
Gli amministratori sono tenuti ad adempiere ai diversi obblighi speci camente loro imposti
dalla legge o dallo statuto [es. adempimenti in caso di con itto di interessi, divieto di
concorrenza, accertamento tempestivo della perdita del capitale sociale].
Più in generale, nell’assolvimento del loro incarico, devono comportarsi:
• Con la diligenza professionale richiesta dalla natura dell’incarico e dalle proprie speci che
competenze e in particolare sono tenuti ad agire in modo informato
• Con lealtà e correttezza e in particolare non possono appro ttare della propria posizione per
conseguire vantaggi personali a danno della società
In caso di mancato rispetto di tali obblighi, gli amministratori rispondono dei danni causati dalle
loro violazioni nei confronti:
• Della società e in questo caso si parla di responsabilità contrattuale per inadempimento
dell’obbligo di corretta amministrazione, per violazione dei doveri imposti dalla legge e dallo
statuto, per violazione dell’obblighi che possono essere generali di diligenza richiesta dalla
natura dell’incarico (imperizia, imprudenza e negligenza delle scelte) oppure speci ci
(comportamento tipizzato nella legge). È fondata su un criterio soggettivo di colpevolezza.
• Dei creditori sociali
• Dei singoli soci o di terzi che sono pregiudicati direttamente.
La stessa disciplina di responsabilità vale anche per i direttori generali nominati dall’assemblea
o dal C.D.A. su disposizione statutaria. In via generale, gli amministratori sono solidalmente
responsabili. Tale vincolo di solidarietà è però limitato:
• Dall’attribuzione di competenze delegate salvo il caso di inerzia o di colpevole ignoranza
dell’amministratore non delegato rispetto a fatti pregiudizievoli
• Da un’espressa dissociazione preventiva, verbalizzata nella riunione consiliare e resa nota
all’organo di controllo
• Da un diverso tipo di diligenza eventualmente esigibile. Se la colpa è attribuibile solo ad
alcuni amministratori allora tale danno non può essere imputato a tutti gli amministratori che
magari non erano competenti allo svolgimento di quel determinato danno
L’azione sociale di responsabilità
La responsabilità degli amministratori per danni al patrimonio sociale può essere fatta valere
dalla società con azione giudiziale, la cui iniziativa è deliberata dall’assemblea ordinaria e
dall’organo di controllo a maggioranza quali cata
La deliberazione assembleare comporta anche la revoca automatica dell’amministratore contro
cui è proposta, se approvata da soci che rappresentano più del 20% del capitale sociale.
L’azione di responsabilità può essere esercitata entro 5 anni dalla cessazione
dell’amministratore dalla carica o dalla manifestazione del danno se essa è successiva.
L’approvazione del bilancio non comporta la liberazione degli amministratori per eventuali
inadempimenti avvenuti nel relativo esercizio (art. 2434), ma è ammessa la possibilità che
l’assemblea deliberi espressamente l’esonero dalla responsabilità degli amministratori per
speci che operazioni.
Poiché l’esercizio di un’attività di impresa comporta un inevitabile rischio di insuccesso (rischio di
impresa), la responsabilità non può essere fondata sui soli risultati negativi della gestione ma su
speci ci inadempimenti che abbiano causato tali risultati (c.d. business judgment rule).
Tuttavia, in ragione del rischio di giudizi ex post guidati dal “senno di poi”, il pericolo della

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responsabilità per il solo insuccesso delle operazioni imprenditoriali può costituire un
signi cativo deterrente sulle scelte gestionali degli amministratori (anche in considerazione
dell’ingente dimensione dei danni potenziali).
Per questo nella prassi (perlomeno delle società di maggiori dimensioni) gli amministratori
normalmente ricorrono a polizze assicurative contro il rischio di responsabilità civile (c.d.
polizze D&O), sottoscritte a spese della stessa società, per limitare almeno parzialmente il
rischio di responsabilità.
L’azione di minoranza
Nelle società (soprattutto chiuse) controllate stabilmente da uno o più soci, l’azione sociale di
responsabilità tende a rimanere in realtà una possibilità remota, anche in presenza di
inadempimenti gravi degli amministratori poiché la maggioranza che deve deliberare l’azione di
responsabilità è la stessa che ha nominato gli amministratori (e i componenti dell’organo di
controllo), l’azione viene di fatto promossa soltanto quando:
• Avviene un cambio dei soci di controllo.
• La società entra in una procedura concorsuale, nel qual caso l’azione può essere esercitata
direttamente dal curatore fallimentare
Per dare maggiore deterrenza allo strumento dell’azione di responsabilità anche in casi simili, è
stata allora introdotta la possibilità di promuovere tale azione anche per iniziativa di una
minoranza di soci (art. 2393- bis).
Per limitare il rischio di azioni pretestuose, i soci legittimati ad agire devono possedere (anche
congiuntamente) una partecipazione quali cata (2,5% del capitale nelle S.P.A. aperte e 20%
nelle società chiuse).
L’azione rimane esercitata per conto della società ed è diretta al risarcimento del patrimonio
sociale (non dei soci di minoranza). Di conseguenza, la società conserva la possibilità di
disporre dell’azione (rinuncia o transazione), con deliberazione dell’assemblea ordinaria, purché
però non risulti il voto contrario sempre di una minoranza quali cata (art. 2393, comma 6).
In concreto, però, l’azione di minoranza resta a sua volta un’eventualità remota, in quanto
permangono diversi elementi che scoraggiano l’iniziativa dei soci di minoranza soprattutto
legati ai costi necessari per affrontare il giudizio.
L’azione dei creditori
Se i debiti della società rimangono inadempiuti, i creditori possono agire nei confronti della
società e soddisfarsi sul patrimonio sociale, purché però questo risulti capiente. In caso
contrario, i creditori possono agire per il risarcimento del danno nei confronti degli
amministratori, se la mancata soddisfazione del credito è stata causata dall’inosservanza da
parte degli amministratori degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del
patrimonio sociale.
Sebbene riguardi anch’essa un danno al patrimonio della società, l’azione consente ai creditori
di ottenere un risarcimento diretto al loro patrimonio:
• La rinuncia della società all’azione di responsabilità per lo stesso danno non pregiudica
quindi l’azione dei creditori.
• Ma la transazione della società relativa all’azione di responsabilità per lo stesso danno ha
effetto anche nei confronti dei creditori
L’azione può essere esercitata nel termine di 5 anni dalla manifestazione dell’insuf cienza del
patrimonio sociale che normalmente emerge nell’ambito di una procedura concorsuale e perciò
l’azione viene solitamente esercitata dal curatore fallimentare.

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L’azione individuale di soci e terzi
Le violazioni degli amministratori ai propri obblighi possono causare anche un danno diretto al
patrimonio di tutti o di alcuni dei soci o di terzi.
I soci si possono lamentare per scorrettezze degli amministratori a vario titolo:
• Danno ri esso: si lamentano se hanno causato un danno alla società e di ri esso ai soci stessi
(l’azione però non può avere ad oggetto danni ri essi).
• Danno diretto: non esercitano l’azione sociale perché non hanno causato un danno al
patrimonio sociale, ma hanno causato direttamente un danno ai soci
In questi casi il singolo socio o il singolo terzo possono agire individualmente contro gli
amministratori per ottenere un risarcimento del danno causato direttamente al loro patrimonio.
L’azione di prescrive in 5 anni dal compimento della violazione ma su questa disposizione sono
stati avanzati dubbi di legittimità costituzionale, in considerazione della possibilità che il danno
possa manifestarsi anche dopo molto tempo.
LEZIONE 29
I controlli sull’amministrazione
Come possiamo favorire una corretta e competente gestione del patrimonio sociale, e più
precisamente una gestione dell’attività d’impresa imputata alla società?
Le responsabilità relative all’amministrazione della società consentono di rimediare ex post a
eventuali disfunzioni nella gestione della società e scoraggiano ex ante comportamenti
illeciti. Tuttavia, rispetto all’estensione e all’irreversibilità degli effetti potenzialmente implicati
nell’amministrazione di una S.P.A. il rimedio risarcitorio può risultare insuf ciente a tutelare
adeguatamente i diversi interessi coinvolti in tali vicende (pensiamo a delle tragedie che
producono degli effetti irreversibili che non posso essere risolti mediante il pagamento di una
somma di denaro che oltretutto potrebbero essere cosi smisurate che nessun patrimonio
sarebbe in grado di affrontare); rimane quindi preferibile prevenire ex ante i problemi derivanti
da disfunzioni organizzative.
La S.P.A. si caratterizza per un ampio e articolato apparato di controlli, diretti a realizzare questa
funzione di prevenzione.
La documentazione dell’attività sociale
In via preliminare, per poter essere conosciuta e controllata, l’attività organizzativa della S.P.A.
deve essere documentata in un insieme di scritture contabili e libri sociali (art. 2421).
A documentazione dello svolgimento dell’attività di impresa:
• Devono essere tenute tutte le scritture contabili obbligatorie previste dalla disciplina
dell’impresa
• In particolare, a chiusura di ogni esercizio deve essere redatto il bilancio, oggetto di una
regolamentazione dettagliata e rigida
A documentazione dell’attività organizzativa interna, devono inoltre essere tenuti:
• I libri che documentano l’attività decisionale di ciascun organo sociale (assemblea, C.D.A.,
organo di controllo, altre eventuali assemblee).
• I libri che annotano i diversi rapporti tra la società e gli investitori (soci, obbligazionisti,
titolari di strumenti nanziari).
L’impostazione dei controlli
All’opposto delle società di persone, i poteri di controllo direttamente esercitabili dai soci sono
estremamente limitati in quanto i soci rischiano solo quanto conferito nella società e
tipicamente non hanno l’interesse o la capacità di svolgere adeguati controlli.
Inoltre la dimensione pubblica dell’azionariato può porsi in con itto con le esigenze
concorrenziali di riservatezza sulla gestione dell’impresa. Per questo, gli azionisti possono
soltanto:

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• Consultare a proprie spese il libro dei soci e il libro dell’assemblea
• Denunciare all’organo di controllo fatti ritenuti censurabili
Mentre il controllo sull’amministrazione è af dato a funzioni speci camente dedicate e
specializzate; il controllo sul funzionamento complessivo della società è af dato a un organo
interno a ciò dedicato (collegio sindacale).
Ai sindaci, ovvero i membri del collegio sindacale, però non spettano funzioni dirette di
controllo contabile, l’ulteriore controllo speci co sul bilancio è principalmente af dato a un
soggetto esterno e professionalmente specializzato (il revisore legale dei conti).
Il collegio sindacale
Quanto più una struttura organizzativa è articolata e complessa, tanto maggiore è la necessità di
prevedere al suo interno un sistema nalizzato a controllare costantemente che l’organizzazione
funzioni correttamente. A tal ne, nelle S.P.A. è necessaria la presenza di un collegio sindacale,
che ha il compito di vigilare:
• Sull’osservanza della legge e dello statuto (controllo di legalità).
• Sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, in particolare sull’adeguatezza degli
assetti organizzativi (controllo di merito).
Il C.D.A. deve rispettare la legge e deve svolgere bene il suo mestiere, tutto questo è
supervisionato dal collegio sindacale che deve controllare che le scelte del C.D.A. siano
supportate su una base di correttezza tecnica.
Il controllo non riguarda solo l’attività degli amministratori, bensì tutta l’attività sociale. Il collegio
può solo sindacare se la decisione del C.D.A. è in violazione rispetto alle regole di
comportamento degli amministratori
La composizione dell’organo
I sindaci sono nominati dall’assemblea ordinaria. L’organo è formato da 3 o 5 componenti
effettivi e due componenti supplenti che subentrano automaticamente alla cessazione di un
componente effettivo al ne di assicurare la continuità della funzione.
Nelle società quotate, il presidente dell’organo deve essere un componente nominato dai
soci di minoranza. Lo statuto può riservare la nomina di uno o più componenti al socio ente
pubblico.
L’incarico ha durata per 3 esercizi. Inoltre per favorire l’effettività dei controlli, la carica è
generalmente af data a qualcuno che abbia delle competenze speci che. Per queste ragioni:
• Il sindaco deve avere la capacità d’agire, non deve esser soggetto al fallimento e non deve
aver subito pene accessorie (cause di ineleggibilità disposte per gli amministratori).
• Sono previsti requisiti di professionalità per l’assunzione dell’incarico. Solo chi appartiene a
certe categorie professionali può farlo (consulenti del lavoro, professori universitari in materie
giuridiche, avvocati); inoltre almeno uno di questi deve essere iscritto nel registro delle
materie contabili, vale a dire che deve essere competente in materia di contabilità e bilancio.
Questi requisiti sono necessari a pena di nullità della carica.
Poiché la scelta dei componenti dell’organo di controllo è espressa dalla stessa maggioranza
assembleare che può nominare i componenti dell’organo controllato, l’effettività dell’attività di
controllo può essere indebolita dalla soggezione dei sindaci alle in uenze di fatto dei soci di
controllo. Sono però previsti alcuni presidii diretti a ridurre il rischio di condizionamenti sullo
svolgimento della funzione dell’organo:
• Requisiti di indipendenza: i sindaci non possono essere legati da rapporti di parentela o di
natura patrimoniale agli amministratori, i loro parenti, o la società
• La retribuzione dei sindaci deve essere prevista dallo statuto o dall’assemblea all’atto della
nomina e non può essere modi cata nel corso dell’incarico

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• I sindaci possono essere revocati dall’assemblea solo per giusta causa, con deliberazione
approvata dal tribunale
Alla nomina deve seguirne l’accettazione (anche tacita); depositando la dichiarazione entro 30
giorni dalla delibera assembleare presso il registro delle imprese.
La cessazione della nomina
• Decesso o rinuncia: sempre ammissibile.
• Scadenza del termine di 3 esercizi (scadono alla data dell’assemblea convocata per
l’approvazione del bilancio). Fino alla nomina di un nuovo amministratore, il sindaco rimane in
carica per prorogatio.
• Decadenza:
- Dei termini legali (professionalità e dipendenza).
- Se un sindaco non presenzia per due volte consecutive senza giusta causa, è rimosso
dall’incarico.
• Revoca per giusta causa: sarà l’assemblea a poterli revocare solo per giusta causa, e la
delibera di revoca deve essere approvata dal tribunale.
Quando viene a mancare uno dei 3/5 sindaci, si ha la nomina automatica (per ordine di età) del
sindaco supplente
Il funzionamento dell’organo
I sindaci assumono decisioni secondo il metodo collegiale. La legge in più punti sottolinea il
connotato della continuità del controllo dell’attività (non di tutti gli atti, il controllo può essere
fatto a campione); infatti devono riunirsi almeno ogni 90 giorni. (quorum costitutivo:
maggioranza dei componenti – quorum deliberativo: maggioranza assoluta dei presenti).
L’attività dei sindaci si snoda in 3 processi:
1. Fase istruttoria
Sono a essi attribuiti, su base individuale o collegiale, poteri-obblighi conoscitivi sia su base
individuale che collegiale:
• Devono assistere alle riunioni dell’assemblea e del consiglio di amministrazione
• Il collegio può ottenere dagli amministratori notizie sull’andamento di operazioni o affari
• Ciascun sindaco può procedere in qualsiasi momento ad atti di ispezione e controllo
sull’organizzazione interna, anche avvalendosi di collaboratori
• Se una minoranza quali cata di soci (1/20 dei soci o 1/50 nelle società quotate) denuncia al
collegio fatti censurabili, il collegio deve indagare senza ritardo e dare conto all’assemblea dei
riscontri effettuati
2. Fase valutativa
In occasione dell’approvazione del bilancio, il collegio deve presentare all’assemblea una
relazione annuale circa il proprio operato e le proprie valutazioni sul bilancio e sui risultati
dell’esercizio nel libro delle adunanze del collegio sindacale.
3. Fase reattiva
Sono attribuiti al collegio poteri-obblighi di intervento:
• Procedere direttamente alla convocazione dell’assemblea (art. 2406) qualora gli amministratori
non provvedano alla sua convocazione obbligatoria o nel caso accerti fatti di rilevante gravità
che richiedono provvedimenti urgenti.
• Impugnare le deliberazioni invalide degli altri organi (artt. 2377 e 2388).
• Promuovere l’azione sociale di responsabilità verso gli amministratori (con la maggioranza dei
2/3 dei componenti) (art. 2393).

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La responsabilità dei sindaci
I sindaci devono adempiere i propri obblighi con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico.
In caso di inadempimento dei loro obblighi:
• Sono responsabili in via solidale con gli amministratori, se i loro inadempimenti hanno
concorso a causare il danno
• Sono responsabili in via esclusiva per violazione del segreto sulle informazioni acquisite nel
corso dell’incarico o per la comunicazione di false attestazioni
Il termine di prescrizione è di 5 anni e tale responsabilità si applica la disciplina delle azioni di
responsabilità verso gli amministratori, in quanto compatibile.
La documentazione dell’attività sociale
L’attività della società deve essere documentata in una serie di scritture che danno sempre più
importanza alla funzione informativa (obbligatoria), queste possono essere suddivise in più
gruppi:
1. Conti dell’iniziativa economica: la società deve tenere i libri e le altre scritture contabili.
Questo obbligo non sussiste solo per le imprese commerciali. Una considerazione particolare
spetta al bilancio di esercizio.
2. Libri sociali: si tratta di ulteriori scritture che riguardano pro li più societari, la loro tenuta è
obbligatoria e si può suddivider in due categorie:
• Libri in cui va documentata l’attività degli organi che contengono i verbali delle riunioni. Ogni
organo ha il proprio libro, ovvero l’assemblea, l’organo amministrativo (se unipersonale non si
tiene), il comitato esecutivo (se nominato), l’organo di controllo, l’assemblea degli azionisti. A
questi si aggiungono i libri riguardanti la revisione legale dei conti, conservati dal revisore.
• Libri che contengono le informazioni relative ai rapporti di investimento e nanziamento di
natura societaria. Si intende il libro dei soci ed eventualmente il libro degli azionisti e/o degli
altri strumenti nanziari; in questi libri si indicano i proprietari dei medesimi con eventuali
trasferimenti e vincoli.
N.B.: le scritture contabili e i libri sociali sono documenti interni, nemmeno i soci possono
consultare (possono consultare solo il libro delle adunanze assembleari e quello dei soci).
Il bilancio di esercizio
Il bilancio costituisce il punto di riferimento per molti snodi fondamentali delle vicende di una
S.P.A.:
• Principale fonte di informazione (funzione informativa) per i soci e i terzi circa l’andamento
dell’attività di impresa e la situazione patrimoniale- nanziaria della società.
È accessibile a chiunque ne abbia interesse (investitori, nanziatori, creditori) in quanto è
depositato ogni anno presso il registro delle imprese.
È un documento periodico che deve rappresentare in modo veritiero e
corretto la situazione patrimoniale- nanziaria della società e il risultato economico
dell’esercizio.
• Rendiconto periodico dell’operato degli amministratori ai soci.
• Perno attorno a cui ruotano le decisioni (funzione estimativa dei risultati dell’attività) relative
alla gestione del patrimonio sociale (distribuzione di utili, riduzione del capitale, emissione di
obbligazioni, ecc.).
Per questo è soggetto a una disciplina dettagliata e in gran parte inderogabile, diretta a favorire
la veridicità e la comparabilità tra le imprese delle risultanze contabili.
Il bilancio è composto da 4 documenti:
1. Stato patrimoniale (art. 2424): staticamente rappresenta le A e le P del patrimonio, gli
elementi sono raggruppati per voci e sotto-voci

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2. Conto economico (art. 2425): è un documento che rileva la dinamicità, riepiloga costi e
ricavi sostenuti.
3. Rendiconto nanziario (art. 2425-ter): è un prospetto che evidenzia la liquidità della
società, registrandone le variazioni.
4. Nota integrativa (art. 2427).
Deve essere accompagnato da:
• Una relazione sulla gestione degli amministratori (art. 2428) che è un resoconto il quale si
dimostra come è andata la gestione durante l’esercizio prospettando le possibili evoluzioni
della società.
• Una relazione annuale del collegio sindacale (art. 2429) nella quale viene descritta l’attività
svolta (nel sistema dualistico non è necessario, perché è lo stesso che approva il bilancio).
Il bilancio deve essere predisposto dall’organo amministrativo (art. 2423).
La bozza di bilancio va sottoposta al collegio sindacale e al revisore legale, ma il bilancio è
approvato dall’assemblea ordinaria (dal consiglio di sorveglianza se sistema dualistico) entro
4 mesi dalla chiusura dell’esercizio (art. 2364, comma 2).
Una volta approvato viene depositato presso il registro delle imprese entro 30 giorni
dall’approvazione (art. 2435).
La nullità e l’annullabilità del bilancio
Essendo una delibera assembleare l’approvazione del bilancio, questa può essere invalida e
quindi impugnata:
• È annullabile se vi sono vizi di procedura assembleare.
• È nulla nel caso in cui il bilancio (oggetto della delibera) sia illecito, ovvero contrario alle
norme imperative (nel caso di falso in bilancio e quindi non vero, o nel caso in cui non sia
chiaro).
Il termine di decadenza è quello che intercorre tra il tempo di delibera e la delibera per il
bilancio successivo.
Solo se il revisore non ha formulato rilievi nel bilancio, è legittimato a impugnare il socio che
congiuntamente o autonomamente rappresenta il 5% del capitale.
In ragione dell’elevata tecnicità e discrezionalità degli adempimenti richiesti nella redazione del
bilancio, la disciplina si articola su diversi livelli di speci cità, in modo che ciascuna regola
venga interpretata e applicata in funzione delle prescrizioni di ordine più generale:
• Principi generali di veridicità, chiarezza e correttezza (sia tecnica che di buona fede) (art. 2423,
comma 2):
- Veridicità: visto che il bilancio orienta le scelte societarie, è opportuno che questo sia
veritiero, infatti gli elementi patrimoniali, i ricavi e i costi iscritti devono essere reali e
completi, inoltre ciascun elemento deve essere iscritto secondo il suo valore reale. Si deve
esprimere quindi una valutazione discrezionale ma oggettiva, tecnicamente corretta,
ragionevole e realistica.
- Chiarezza: impone un’esposizione che sia ordinata, intelligibile, trasparente e dettagliata.
È un criterio che va di pari passo con quello della veridicità; anche un bilancio vero sarebbe
viziato (e quindi nullo) se non fosse chiaro. Si deve quindi rispettare la struttura prevista per
legge riguardo le parti del bilancio, fornendo anche informazioni complementari (es. in crediti
verso clienti, per essere più chiari si può distinguere il tipo di clientela), l’ordine delle voci, e la
collocazione delle informazioni.
- Correttezza: è il corollario dei precedenti, riguarda la buona fede oggettiva. Il bilancio è vero
quando adotta i corretti criteri contabili e vi è un’adeguatezza tecnica.
• Criteri tecnici generali di redazione (art. 2423-bis):

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- Principio di prudenza (es. metto valore immobile più basso perché magari si è svalutato di
più) incide sugli elementi attivi e passivi e sulla loro valutazione.
- Principio di realizzazione: si possono indicare solamente gli incrementi patrimoniali solo se
giuridicamente conseguiti, non quelli attesi o sperati.
- Principio di dissimmetria: viceversa, le diminuzioni patrimoniali devono essere iscritte non
solo nel momento della loro concretizzazione, ma anche quando sono temute e probabili.
- Principio di competenza: il bilancio segue un principio per competenza, non per cassa: le
poste attive e passive vanno iscritte nel bilancio relativo all’esercizio a cui sono imputabili,
indipendentemente dalla data dell’effettivo incasso o pagamento (es. il corrispettivo della
vendita bene va iscritto nel bilancio di esercizio in cui si è concretizzato il trasferimento, anche
se non è stato ancora pagato).
- Principio di continuità dell’attività: incide sui criteri di valutazione degli elementi
patrimoniali, non si devono determinare dal loro valore corrente, ma si determina dall’uso che
ne fa la società in vista della persecuzione dell’attività.
• Disposizioni di dettaglio (attuative), che speci cano:
- Il contenuto dei documenti.
- I criteri di valutazione dei beni
Sempre in considerazione dell’elevata tecnicità e discrezionalità delle valutazioni implicate nel
bilancio, nella prassi svolgono un importante ruolo di integrazione della disciplina legale i
principi contabili elaborati da organismi rappresentativi delle categorie professionali. In
particolare, a livello internazionale hanno acquisito ampio riconoscimento i principi IAS/IFRS,
elaborati dall’International Accounting Standard Board al ne di favorire la comparabilità dei
bilanci anche tra imprese di ordinamenti diversi, in ambito comunitario è stata promossa
l’adozione dei principi IAS anche a livello normativo:
• Le S.P.A. quotate o operanti nel settore nanziario (es. banche) sono obbligate a redigere il
bilancio in conformità ai principi contabili internazionali, in deroga alle regole del Codice civile
• Le altre S.P.A. possono optare per l’applicazione degli stessi principi.
La struttura del bilancio di esercizio
Stato patrimoniale
• Attivo: ci sono gli elementi patrimoniali attivi ripartiti per macro-voci e sotto-voci. Nel quale si
trovano:
- Le immobilizzazioni cioè i beni durevoli della società (es. immobili o brevetti). Sono iscritte al
costo di acquisto o di produzione. Si evidenzia il principio di continuità dell’attività
trascurando il valore corrente e il principio di prudenza, in quanto il costo è ciò che la società
è stata disposta a spendere per il bene, dunque misura l’utilità. Se il bene è destinato a durare
per un tempo limitato, ad ogni anno si deve togliere una quota di ammortamento
- L’attivo circolante cioè rimanenze, merci in magazzino, crediti, cassa, depositi bancari. I
crediti devono essere iscritti tenendo conto della prudenza, ovvero del valore presumibile di
realizzazione.
• Passivo: nel quale si trovano:
- Suddivisi in voci gli elementi patrimoniali negativi cioè i debiti e i fondi per rischi ed oneri.
- Il patrimonio netto costituito dal capitale sociale (differenza tra il valore dell’attivo e gli
elementi negativi indicati) e da eventuali utili (o perdite) e riserve. Anche se non è una
componente negativa, consente semplicemente il pareggio tra attivo e passivo.
Il capitale è la porzione ideale del netto, che è indisponibile. Se il netto è inferiore al capitale,
la sottovoce “capitale” sarà bilanciata da un’iscrizione da una perdita d’esercizio. Se il netto è
maggiore del capitale, ci saranno delle iscrizioni di utili o eventuali riserve (ricchezze superiori
al capitale, che la società conserva).

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Abbiamo la riserva legale che è obbligatoria per legge no a quando non raggiunge il 20%
del capitale sociale (annualmente viene prelevato il 5% degli utili di esercizio). Ci sono anche
le riserve statutarie che sono previste dallo statuto e le riserve facoltative che sono deliberate
dall’assemblea ordinaria che approvando il bilancio stabilisce di non distribuire gli utili.
Anche gli utili vanno nel passivo, questi non sono stati soggetti a riserva, hanno un
trattamento uguale alle riserve facoltative (è il risultato positivo del CE). Se vi era una perdita
iniziale l’utile reintegra il capitale stesso.
Sul piano dell’incidenza delle perdite, interagiscono le riserve e gli utili: le perdite gravano
prima sugli utili di bilancio, successivamente sulle riserve facoltative, poi le statutarie, poi le
legali, poi sul capitale.
Conto economico
È un conto a forma scalare basato sul criterio della competenza (non necessariamente i ricavi
e i costi iscritti nel bilancio coincidono con gli effettivi pagamenti). Il suo risultato è dato dalla
differenza tra ricavi (valore della produzione) e costi (costi di produzione), altri proventi ed oneri
e ovviamente le tasse. Il risultato è il risultato economico dell’esercizio. Ad eventuali ricavi vanno
aggiunte anche le rimanenze di magazzino. Come già detto prima vengono in considerazione
anche altri proventi ed oneri (es. interessi sui prestiti).
Rendiconto nanziario
Segue il criterio per cassa e non per competenza, evidenzia la disponibilità liquida della
società ed eventuali variazioni tra l’inizio e la ne dell’anno: prende in considerazione voci
come il denaro in cassa, il saldo dei conti correnti e dei depositi bancari.
Nota integrativa
Raccoglie informazioni illustrative che speci cano la situazione della società, serve per
dettagliare i documenti precedenti. Si speci cano altri aspetti come quelli del numero di azioni
per categoria, il numero e le caratteristiche degli strumenti nanziari emessi, i nanziamenti
concessi dai soci, ecc.
La revisione legale dei conti
Data la delicatezza e la tecnicità del bilancio, il controllo sulla sua conformità alla legge è
af dato a un soggetto esterno alla società e dotato di competenza speci ca in modo che il suo
giudizio e controllo sulla contabilità sia imparziale.
Le S.P.A. devono af dare il controllo contabile a uno dei soggetti iscritti nel Registro dei
revisori legali cioè persone siche o società abilitate alla revisione legale, sottoposte alla
vigilanza del Ministero dell’economia la cui competenza e imparzialità dovrebbero essere
promosse:
• Da una disciplina ad hoc, contenente speci ci requisiti di professionalità e presidii di
indipendenza
• Dalle dinamiche reputazionali nell’ambito di una competizione virtuosa nel settore di mercato.
La nomina è da parte dell’assemblea dei soci, ma su proposta motivata dell’organo di controllo.
La durata dell’incarico è di 3 esercizi. Il corrispettivo deve essere adeguato all’incarico, va
precisato in sede di nomina ed è invariabile.
Non deve essere coinvolto in nessun modo nei processi decisionali della società revisionata,
non deve possedere strumenti nanziari emessi dalla società, non deve intraprendere rapporti
lavorativi o rivestire cariche sociali (imparzialità e indipendenza). C’è un problema in quanto
questo è un professionista è pagato dalla società anche se controllato dal Ministero; quindi a
volte non è detto che sia imparziale, ma se il mercato dei revisori contabili funziona bene,
dovrebbe essere interesse di ciascun revisore fare bene il proprio mestiere. Comunque, se viene
fuori nel tempo che ogni revisore non badi alla correttezza dei propri controlli, poi sarà un
revisore inaf dabile. Quando il mercato nota che è stato approvato un bilancio ‘’ad occhi chiusi’’,
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il revisore e la società sono considerati poco attendibili, così vale anche il contrario.
Il revisore deve intraprendere un approccio dubitativo, monitorando le condizioni che
potrebbero indicare un’inesattezza che derivino da errore/frode, valutando in maniera critica la
documentazione da revisionare.
Il compito del revisore contabile si articola:
• Nella veri ca della regolarità della contabilità della società e nella corretta rilevazione
delle scritture contabili. Il controllo contabile dovrà svolgersi in continuità, ovvero nel corso
dell’esercizio.
• Nel rilascio di un giudizio sul bilancio di esercizio (e anche sul bilancio consolidato se
presente) da portare in assemblea prima dell’approvazione del bilancio. Il giudizio potrà
essere positivo, positivo con rilievi, negativo, o con impossibilità di giudizio.
In caso di inadempimento dei propri obblighi, il revisore è responsabile in solido con gli
amministratori verso la società, i soci o i terzi. Il termine di prescrizione è di 5 anni dalla data
di relazione di revisione. L’attività deve essere documentata per difendersi da un’eventuale
azione di responsabilità, vi è un obbligo di conservazione decennale dei documenti e carte di
lavoro riguardo l’attività che è stata svolta.
È ammessa la revoca solo per giusta causa da parte dell’assemblea dei soci, ma è soggetta ad
un parere dell’organo di controllo; è ammessa anche la revoca da parte del Ministero
dell’economia.
Nelle S.P.A. chiuse che non fanno parte di un gruppo, e quindi non sono tenute alla redazione
del bilancio consolidato, la revisione contabile può essere attribuita al collegio sindacale, i cui
componenti devono essere tutti iscritti nel Registro dei revisori.
LEZIONE 30
L’intervento giudiziario
Per la S.P.A. l’ordinamento prevede oltre al collegio sindacale, che è un organo di controllo
interno, anche meccanismi di controllo esterno di natura giudiziaria. Quindi, qualora i vari
presidii interni alla società non siano suf cienti a prevenire o porre termine a gravi disfunzioni
nella sua gestione, la legge prevede in ultima istanza la possibilità di un diretto intervento
giudiziario, a tutela dell’interesse generale (art. 2409).
L’intervento giudiziario può essere richiesto da parte:
• Di una minoranza quali cata di soci (10% del capitale nelle società chiuse, 5% nelle società
aperte).
• Dell’organo di controllo.
• Del pubblico ministero, per le s.p.a. aperte.
Per fondato sospetto di gravi irregolarità nella gestione che possono danneggiare la società il
Tribunale può nominare un ispettore e disporre un’ispezione presso la società, per veri care le
irregolarità denunciate (visto che i soci non possono controllare il libro delle adunanze del
C.D.A.). Se le violazioni vengono accertate, il Tribunale può adottare discrezionalmente
provvedimenti provvisori e convocare l’assemblea per le opportune decisioni.
Nei casi più gravi, il Tribunale può revocare i componenti degli organi di amministrazione e
controllo e nominare un amministratore giudiziario (cd commissionamento), il quale
amministra la società per il periodo prestabilito e può esercitare azioni di responsabilità contro
gli amministratori e i sindaci revocati e al termine del suo incarico convoca e presiede
l’assemblea che nomina le nuove cariche o dispone la liquidazione della società (autofallimento
o altra procedura concorsuale).
La società in accomandita per azioni (S.A.P.A.)
La S.A.P.A. si caratterizza come una società per azioni con una gestione af data stabilmente ad
alcuni soci (accomandatari), i quali hanno potere di veto su alcune decisioni fondamentali dei

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soci e sono illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali.
Al di là delle (poche) disposizioni speci camente previste per questo tipo la S.A.P.A. è soggetta
alla disciplina delle società per azioni, in quanto compatibile.
I soci si distinguono in:
• Accomandanti (limitatamente responsabili)
• Accomandatari (illimitatamente responsabili).
I soci accomandatari devono essere indicati nell’atto costitutivo e sono di diritto
amministratori, senza limite di durata della carica; possono essere revocati dai soci, secondo le
regole dell’assemblea straordinaria, ma per la nomina dell’amministratore/accomandatario
occorre anche il consenso di tutti gli altri soci accomandatari. (Cooptazione)
Anche tutte le altre modi cazioni dell’atto costitutivo richiedono il voto favorevole di tutti i soci
accomandatari. La quali ca di accomandatario segue il soggetto, non le azioni (è personale)
quindi chi acquisisce le azioni di un socio accomandatario diventa socio accomandante (salvo
ulteriore decisione dell’assemblea straordinaria e di tutti gli altri accomandatari).
L’amministrazione può essere af data solo a soci accomandatari——>la società si scioglie anche
se vengono a mancare tutti i soci accomandatari e non vengono sostituiti entro 180 giorni (art.
2458).
A contrappeso dei poteri attribuiti, i soci accomandatari:
• Sono illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, con il bene cio di escussione
del socio di S.N.C.. Se il socio è illimitatamente responsabile, i creditori possono ricorrere sia
nei confronti della società che in quello dei singoli soci - ma deve prima agire contro il
patrimonio sociale, solo se questo poi è insoddisfatto allora potrà agire nei confronti del
singolo socio.
• Non possono concorrere alla nomina e alla revoca dei componenti dell’organo di controllo
(art. 2459).
In ragione delle sue caratteristiche, la S.A.P.A. è un modello poco diffuso ed è utilizzato
principalmente per le c.d. holding di famiglia (es. Agnelli):
• Assumendo la carica di socio accomandatario, il capo famiglia/imprenditore si assicura la
conduzione dell’impresa e la scelta degli altri gestori o successori. Successivamente vi sono
parenti che a vario titolo ne partecipano; è molto importante formalizzare i rapporti familiari
rispetto alla conduzione societaria.
• I gestori, pur illimitatamente responsabili, mantengono in realtà una responsabilità
circoscritta, in quanto il patrimonio della S.A.P.A. è costituito solo dalle partecipazioni in altre
società di capitali, attraverso le quali è gestita l’impresa.
• Tutti i componenti della famiglia possono partecipare ai risultati dell’impresa (utili), senza
rischiare con il patrimonio personale, in qualità di soci accomandanti.
• Lo statuto della società contiene solitamente clausole di limitazione al trasferimento delle
azioni (per preservare il carattere familiare).
La società a responsabilità limitata (S.R.L.)
È un modello molto diffuso nella prassi in quanto è adatto sia per l’impresa familiare che per i
gruppi di società. Come nella S.P.A., anche nella S.R.L. tutti i soci bene ciano della limitazione
di responsabilità per le obbligazioni della società.
A differenza della S.P.A., però, la S.R.L. è soggetta a una disciplina caratterizzata da ben
maggiore derogabilità e lacunosità, per alcuni aspetti più avvicinabile alla disciplina delle
società di persone.
Recentemente vi è stato uno stravolgimento in quanto nel 2003 la disciplina societaria di capitali
è stata riformata, in particolare con la S.R.L., che in passato era una miniatura della S.P.A., ora
invece è un modello ambivalente che può assumere conformazioni diverse tra di loro; è
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diventata una specie di società di persone a responsabilità limitata. Negli ultimi anni la
questione è cambiata ancora, si potrebbe usare la S.R.L. per fare delle S.P.A. più piccole.
I rischi implicati dalla limitazione di responsabilità:
• Restano almeno in parte contenuti dalla riproposizione anche per le S.R.L. di alcuni vincoli di
trasparenza e di gestione patrimoniale previsti per la S.P.A.
• Sono circoscritti per effetto di alcune caratteristiche del tipo sociale, che rendono la S.R.L.
tendenzialmente adatta per l’esercizio di imprese non grandi e con un numero limitato di soci.
I rischi più gravi derivanti dalla limitazione della responsabilità limitata non dovrebbero avere un
impatto sistemico come nel caso delle S.P.A. di grandi dimensioni.
In ragione di queste caratteristiche, la S.R.L. oggi risulta il tipo sociale numericamente più diffuso
e ha costituito negli anni recenti il principale terreno di sperimentazioni normative in campo
societario (S.R.L. sempli cata, start-up innovative, PMI innovative).
In de nitiva, oggi una S.R.L. può assumere un’ampia varietà di connotazioni, che spaziano da
un assetto simile a quello di una società di persone (pur sempre a responsabilità limitata) a un
assetto simile a quello di una S.P.A. (pur con la presenza di soci imprenditori e con un numero di
soci minore).
La partecipazione sociale
Anche nelle S.R.L. la partecipazione del socio può essere oggetto di libero trasferimento e di
espropriazione forzata, consentiti dalla limitazione di responsabilità.
Tuttavia, altre regole riducono signi cativamente le possibilità di circolazione della
partecipazione e la conseguente liquidabilità dell’investimento:
• La partecipazione non può essere rappresentata da azioni: ciascun socio è titolare di
un’unica quota proporzionale al conferimento e rappresentativa del complesso di prerogative
inerenti al rapporto sociale. Ogni socio ha una quota diversa.
• Le quote non possono essere oggetto di offerta al pubblico
• Il trasferimento della partecipazione ha effetto nei confronti della società con il deposito
entro 30 giorni presso il registro delle imprese dell’atto autenticato da notaio (art. 2470,
comma 2). In caso di più acquirenti, è fatto salvo colui che per primo in buona fede, ha
provveduto all’iscrizione (diverso da deposito).
• L’atto costitutivo può prevedere la limitazione o l’esclusione del trasferimento delle
partecipazioni (sia per atto tra vivi, volontario o forzato, sia a causa di morte) entro condizioni
meno restrittive di quelle previste per le S.P.A., ma va comunque previsto il diritto di recesso
(artt. 2469 e 2471, commi 3-4). Nello statuto si possono prevedere clausole che possono
essere di gradimento, di prelazione, o clausole che limitano o escludono il trasferimento di
quote per un termine non superiore a 2 anni (come se fosse una società chiusa).
• Riguardo il trasferimento di quote non integralmente liberate, è obbligato solidalmente
anche l’acquirente per i versamenti ancora dovuti per 3 anni dall’iscrizione del trasferimento
nel registro delle imprese.
Sebbene gli avvicendamenti dei singoli soci restino inin uenti sul patrimonio sociale a causa
della limitazione di responsabilità, l’atto costitutivo può introdurre una personalizzazione della
partecipazione nell’ambito dei rapporti tra i soci; come nelle S.P.A., la quota di partecipazione
di ciascun socio è determinata in misura proporzionale al conferimento (salvo diverso accordo
tra i soci) e attribuisce al titolare diritti sociali in misura proporzionale alla quota (art. 2468,
comma 2), ma nell’atto costitutivo possono essere attribuiti a singoli soci speciali diritti (comma
3) che possono riguardare l’amministrazione o la partecipazione agli utili, anche se ci sono dei
diritti atipici. Nel primo caso riguarda la facoltà di scelta di alcuni amministratori, il diritto di veto
o di decisione su determinati atti gestori o la riserva a favore del socio stesso ad essere
amministratore. Nel secondo caso si ipotizza il fatto che si ottengano delle percentuali

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quali cate, o riguardo una priorità nel prelievo del dividendo. I diritti speciali fanno capo
direttamente al socio, non alla quota: il trasferimento della quota non comporta anche il
trasferimento dei diritti particolari attribuiti all’alienante. Inoltre, possono essere modi cati o
eliminati solo con il consenso di tutti i soci, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo
(comma 4). Nel caso in cui vi sia stata una modi ca indiretta del diritto particolare (es. da
parte degli amministratori, senza modi care l’atto costitutivo), al socio dissenziente spetta
l’eventuale diritto di recesso. L’atto costitutivo può prevedere speci che ipotesi di esclusione
del socio per giusta causa (art. 2473-bis), dando così rilievo a comportamenti dei singoli soci o a
fatti che li riguardano.
La S.R.L. unipersonale
La costituzione può essere svolta tramite contratto o tramite atto unilaterale, un solo socio
(persona sica o giuridica che sia) può adottare questa forma anche se dai terzi ciò non è un
aspetto positivo, in quanto ci sarebbero pochi controlli interni. Per la tutela dei creditori (come
nella S.P.A.):
• Gli amministratori (o il socio stesso) devono provvedere a depositare l’iscrizione nel registro
delle imprese insieme ad una dichiarazione che contiene le generalità del socio entro 30
giorni.
• Deve essere versato immediatamente il totale del capitale sottoscritto.
• Negli atti della corrispondenza deve rendersi nota l’esistenza dell’unico socio.
• I contratti della società con l’unico socio e le operazioni a favore di questo sono opponibili ai
creditori della società se risultano dal libro delle decisioni degli amministratori o da un atto
scritto con data anteriore al pignoramento.
In caso di violazione a tali obblighi, il socio risponde personalmente e illimitatamente per
le obbligazioni sociali.
La S.R.L. PMI (piccola o media impresa)
Dei recenti interventi legislativi (2017) hanno introdotto la possibilità di con gurare la
partecipazione in S.R.L. secondo il modello della partecipazione azionaria (d.l. n. 50/2017,
convertito con l. n. 96/2017). Se una S.R.L. è una PMI, sono consentite ulteriori deroghe alla
disciplina del Codice civile:
• L’atto costitutivo può creare categorie speciali di quote standardizzate, incluse quote prive
di diritti di voto, con diritti di voto non proporzionali, limitati o subordinati a condizioni. Queste
fanno capo alla quota e non al socio.
• Le quote possono essere oggetto di offerta al pubblico, in particolare attraverso le
piattaforme di crowdfunding. Sostanzialmente, si crea una versione sempli cata del mercato
di capitali.
• In tal caso, a scelta del sottoscrittore, le quote possono essere sottoposte a un regime di
circolazione dematerializzato che si appoggia ad un intermediario che acquista a suo nome
la quota, ma per conto dell’acquirente. L’intermediatore poi si occuperà di depositare nel
registro delle imprese una certi cazione che attesta la titolarità di socio per conto di terzi.
Sono classi cabili come PMI le società che, in base al più recente bilancio, soddisfano almeno
due dei seguenti criteri:
• Numero di dipendenti inferiore a 250.
• Totale dello stato patrimoniale non superiore a € 43 milioni
• Fatturato annuo netto non superiore a € 50 milioni.
Le operazioni sulle proprie partecipazioni e i vincoli sulle stesse
Non si possono accordare prestiti o fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di
partecipazioni proprie; nel caso in cui sia violata questa regola, si ha la nullità della
partecipazione. Una deroga però vi è per la S.R.L. PMI, in quanto questi tipi di operazioni sono

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concessi per incentivare le partecipazioni verso dipendenti, collaboratori o dipendenti
dell’organo amministrativo, piuttosto che prestatori d’opera. La partecipazione può essere
espropriata; il pignoramento si esegue con la noti cazione del debitore e alla società, con
successiva iscrizione nel registro delle imprese. Può esserne anche disposta la vendita a seguito.
Se la partecipazione non è liberamente trasferibile, è prevista una fase di raggiungimento di
un accordo sulla cessione della partecipazione tra creditore, debitore e società (se non c’è
accordo, la vendita è all’incanto). Per impedire che la partecipazione possa essere venduta a
soggetti non graditi, la vendita sarà inef cace se entro 10 giorni dall’aggiudicazione si presenti
un altro acquirente che offra lo stesso prezzo. La partecipazione può formare oggetto di pegno,
usufrutto, e sequestro conservativo e giudiziario. I diritti della quota rinviano la disciplina
della S.P.A.
Costituzione e conferimenti
La fase di avvio della S.R.L. è soggetta a una disciplina prevalentemente analoga a quella
prevista per le S.P.A. (artt. 2463-2466). È sempre prevista la costituzione mediante atto
pubblico. Può essere costituita solamente per costituzione simultanea e non per pubblica
sottoscrizione. L’atto costitutivo (contiene i dati storici relativi alla costituzione) deve
necessariamente indicare:
• Gli elementi identi cativi di ciascun socio fondatore.
• Gli elementi essenziali e identi cativi della società: la denominazione, la sede, l’oggetto
sociale.
• L’ammontare del capitale circoscritto e di quello versato, i conferimenti di ciascun socio; il
valore dei crediti e dei beni conferiti in natura e la quota di partecipazione di ogni socio.
• Norme relative al funzionamento della società: gli amministratori, l’organo di controllo, il
revisore.
• Non viene menzionato lo statuto, anche se non ci sono ostacoli sulla creazione di questo
documento qui si possono inserire le regole organizzative e applicare la disciplina della S.P.A.:
costituirà parte integrante dell’atto costitutivo anche se è un documento separato, nel caso di
contrasto prevale lo statuto.
• Per i patti parasociali non è previsto nulla, si presume però che ogni previsione di questa sia
sottoscritta nell’atto costitutivo (e nello statuto).
Come nella S.P.A. deve essere sottoscritto per intero il capitale sociale, devono essere
rispettate le regole per i conferimenti, le opportune autorizzazioni e le condizioni previste da
leggi speciali (se oggetto particolare).
Il notaio come già previsto effettuerà un controllo riguardo la sussistenza dei presupposti legali
e dovrà depositare l’atto costitutivo entro 20 giorni presso il registro delle imprese;
contestualmente potrà chiedere l’iscrizione della società nel registro, l’uf cio provvederà
all’iscrizione e da quel momento la S.R.L. acquisterà personalità giuridica.
La società è nulla nel caso di (come nelle S.P.A.)
• Illeceità dell’oggetto sociale.
• Mancanza di uno dei requisiti essenziali (nome, sede, oggetto sociale, conferimenti,
ammontare capitale…).
• Mancanza della forma dell’atto pubblico.
Le differenze di maggior rilievo vanno nella direzione di dare maggiore essibilità alla raccolta
degli investimenti nel capitale di rischio della società:
• Sono previsti attenuati presidii a garanzia della stima dei conferimenti di beni o crediti (art.
2465).
• La gamma delle entità conferibili è allargata a ogni elemento suscettibile di valutazione
economica (art. 2464, comma 2).In particolare, è espressamente prevista la possibilità di

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conferire prestazioni di opera o di servizi che devono però essere garantite da polizza
assicurativa o deiussione bancaria (comma 6).
I vincoli di destinazione del patrimonio
Anche la disciplina del vincolo di destinazione dei mezzi propri ricalca in gran parte la disciplina
delle S.P.A.
Il requisito del capitale sociale minimo è però signi cativamente attenuato; in via generale, il
capitale deve essere almeno pari a 10.000 euro (art. 2463, comma 2, n. 4), ma sono anche state
di recente introdotte due opzioni che consentono di costituire una S.R.L. con capitale inferiore
( no a 1 euro):
• Mediante adozione del modello di S.R.L. sempli cata, che richiede la presenza solo di
persone siche tra i soci e la redazione di un atto costitutivo sempli cato, conforme al modello
standard predisposto dal Ministero della giustizia (art. 2463-bis).
Il problema di queste società riguarda il fatto che se i soci non mettono i soldi, qualcun altro
dovrà rimetterli come i creditori e le banche; solo le banche o creditori professionisti
guardano al patrimonio dei soci: per far sì che i soci ottengano dei prestiti, i nanziatori
chiedono di mettere a garanzia un bene.
Tutto il resto della disciplina della S.R.L. è applicabile.
Nel caso in cui la S.R.L. sempli cata voglia passare alla S.R.L. può farlo mediante modi ca
dell’atto costitutivo (il contrario è dubbioso, si ha la possibilità di S.R.L. sempli cata solo in
sede di costituzione).
• Mediante effettuazione integrale di conferimenti solo in denaro e conseguente vincolo di
progressivo accantonamento negli esercizi successivi di una quota degli utili, no a
raggiungere la soglia di 10.000 euro (art. 2463, commi 4-5). Non c’è un limite temporale, ogni
anno infatti non si potrebbero conseguire utili.
N.B.: pur dirette a facilitare l’avvio di iniziative imprenditoriali meritevoli anche da parte di chi
non ha immediata disponibilità di capitali, le S.R.L. con capitale esiguo presentano però
maggiori dif coltà a ottenere credito e maggiori rischi per i creditori involontari.
La società non può in ogni caso andare sottozero e quindi andare in de cit; se va in de cit scatta
automaticamente la riduzione del capitale.
Modi che dell’atto costitutivo
Generalmente sono af date alla competenza dei soci in assemblea straordinaria. È necessaria
una deliberazione e la successiva verbalizzazione di questa da parte di un notaio che se
sussistono le condizioni di legge, provvederà entro 30 giorni a depositarla nel registro delle
imprese (se non è conforme alla legge, il notaio deve comunicarlo agli amministratori che
possono convocare l’assemblea o ricorrere al Tribunale). Con l’iscrizione nel registro la delibera
ha ef cacia.
Aumento del capitale sociale
La disciplina è presso che identica a quella della S.P.A.
—>Aumento di capitale gratuito
Non si dà vita ad un aumento reale dell’attivo patrimoniale, consiste in una variazione
solamente contabile, vi è un passaggio di denaro dalle riserve o da altri fondi disponibili al
patrimonio netto. Il valore nominale delle quote accresce proporzionalmente, anche se il
rapporto aritmetico tra la partecipazione e capitale deve restare immutata (es. se una quota di
1000 euro è pari al 10% del capitale, se aumento di capitale, il valore nominale della quota sale
ma rappresenta sempre il 10% del capitale).
—->Aumento di capitale reale/oneroso
C’è un effettivo incremento dell’attivo patrimoniale, il capitale viene aumentato mediante nuovi
conferimenti effettuati dai soci o da terzi. L’aumento del capitale può portare all’accrescimento
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delle quote preesistenti (se vi è una sottoscrizione da parte dei soci, anche non proporzionale se
uno decide di sottoscrivere di più) o la creazione di nuove quote. La decisione spetta ai soci ma
può essere anche competenza degli amministratori se previsto nell’atto costitutivo. Non può
esserci un aumento no a quando i conferimenti in precedenza non siano stati integralmente
liberati. I conferimenti devono essere versati rispetto a quanto previsto dallo statuto, l’aumento
deve essere integralmente sottoscritto a meno che non si decida un aumento scindibile (il
capitale aumenta per la somma delle sottoscrizioni raccolte). Come nella S.P.A., c’è il diritto di
opzione. Al socio spetta il diritto di sottoscrivere il capitale in proporzione alle partecipazioni
possedute (per poter mantenere invariata il suo potere decisorio). Lo statuto può anche
prevedere che l’aumento possa essere attuato anche mediante offerta di partecipazioni di nuova
emissione a terzi, senza introdurre un sovrapprezzo. Per il socio questo potrebbe essere uno
svantaggio, infatti colui che non acconsente all’aumento di capitale, gli viene riconosciuto il
diritto di recesso.
La riduzione del capitale sociale
Le riduzioni per perdite si distinguono in:
- Facoltative (da parte dei soci). Quando si veri ca una perdita che è superiore ad 1/3 del
capitale sociale: gli amministratori devono convocare l’assemblea ordinaria per appositi
provvedimenti con una dichiarazione riguardo la situazione patrimoniale della società, con un
parere dell’organo di controllo. L’assemblea non è tenuta d’obbligo a ridurre il capitale, ma lo
è nel caso in cui la perdita persista anche nell’esercizio successivo: l’assemblea deve essere
nuovamente convocata per approvare il bilancio e la riduzione del capitale; in mancanza
interviene il Tribunale.
- Obbligatorie ex lege. Quando vi è una perdita che è superiore ad oltre 1/3 del capitale, in
quanto il capitale è al di sotto del minimo legale; gli amministratori devono convocare
l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento di una cifra
superiore al minimo. In alternativa l’assemblea può scegliere per lo scioglimento della società
con la nomina dei liquidatori, o effettuare una trasformazione (in una società di persone che
non abbia minimi legali).
• Riduzione reale
Comporta un’effettiva diminuzione del capitale sociale e può presentarsi tale situazione
quando:
- Vengono rimborsate le quote pagate ai soci.
- Mediante liberazione all’obbligo di versamenti ancora dovuti.
Deve essere una decisione dell’assemblea straordinaria e il verbale deve essere redatto dal
notaio che provvederà a depositare la delibera presso il registro delle imprese. Il capitale però
verrà diminuito solamente dopo 90 giorni dall’iscrizione se nessun creditore ne ha fatto
opposizione.
Nella S.R.L., non come nella S.P.A., non devono essere giusti cate tali riduzioni, l’importante è
che si rispetti il minimo legale. Principalmente lo si fa perché i soci non sono più interessati a
mantenere vincolata la quota nel capitale.
• Riduzione nominale
Si parla di una semplice operazione contabile riguardo un adeguamento del capitale sociale,
a fronte di una perdita che in realtà si è già veri cata.
I prestiti dei soci nella s.r.l. (vedi slide per esempio)
A tutela dei creditori sociali, nella disciplina delle S.R.L. è inoltre prevista una speci ca
regolamentazione dei prestiti effettuati dai soci a favore della società. In via generale, chi è già
socio può liberamente nanziare la società anche mediante concessione di credito (che può
anzi avvenire a condizioni più vantaggiose per la società rispetto al credito di terzi), ma se la

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società si trova in dif coltà, il nanziamento del socio, pur costituendo un sostegno e un
possibile mezzo di ripresa dell’andamento dell’impresa, può comportare un consapevole
trasferimento del rischio di tale investimento sugli altri creditori.
Se la società è esposta a un concreto rischio di insuf cienza patrimoniale nell’ambito di una
liquidazione (volontaria o concorsuale), un nuovo prestito può avvantaggiare sia i soci che i
creditori sociali, nel caso in cui consenta alla società di superare la crisi e riprendere un
andamento siologico dell’attività. Ma nel caso non consenta di superare il dissesto, si traduce in
un aggravamento della posizione dei creditori preesistenti.
Per questo, in ragione del tipico coinvolgimento del socio di S.R.L. nella gestione dell’impresa,
se il socio concede, in qualsiasi forma, un nanziamento alla società quando essa si trova in una
situazione nanziaria di crisi (art. 2467):
• La soddisfazione del credito deve essere postergata alla soddisfazione degli altri crediti.
• Il rimborso del credito deve essere restituito, se avvenuto nell’anno precedente alla
dichiarazione di fallimento. Il curatore fallimentare può richiedere la somma rimborsata al
socio creditore.
Sebbene prevista solo per le S.R.L., si discute se la disciplina sia applicabile in via analogica
anche alle S.P.A., in presenza di circostanze paragonabili (in particolare, di un coinvolgimento
del socio nella gestione).
I titoli di debito
Se l’atto costitutivo lo prevede, le S.R.L. possono emettere titoli di debito quindi titoli
obbligazionari.
Anche una S.R.L. non quali cabile come PMI potrebbe far appello al pubblico risparmio. La
possibilità di emettere titoli di debito di massa, destinati alla circolazione in un mercato
secondario, fanno sì che:
• La regolamentazione della decisione e delle condizioni di emissione è rimessa all’atto
costitutivo.
• Le condizioni del prestito e la modalità di rimborso è rimessa alla decisione di emissione.
Questa deve essere iscritta a cura degli amministratori presso il registro delle imprese.
I titoli possono però essere sottoscritti solo da investitori professionali soggetti a vigilanza
prudenziale (banche e altri intermediari nanziari) che potranno farli circolare nel mercato
nanziario, ma se non circolano nelle mani di professionali, i professionisti assumono la garanzia
del credito.
Il recesso del socio
La disciplina del recesso del socio ricalca la disciplina per le S.P.A. chiuse, disciplina pensata a
favore del socio dissenziente che ha come rimedio di contrappeso verso la maggioranza di
recedere dalla società se l’ultima effettua delle scelte radicali nella società. Il recesso può anche
essere parziale.
Sono presenti delle cause inderogabili di recesso ai soci che non hanno acconsentito a:
cambiamento dell’oggetto sociale signi cativo, cambiamento del tipo si società
(trasformazione), fusione, scissione, revoca dello stato di liquidazione, trasferimento della sede
all’estero, eliminazione di una o più cause di recesso statutarie, compimento di operazioni che
comportano una sostanziale (ma non formale) modi ca dell’oggetto sociale, rilevante modi ca
dei diritti particolari dei soci, ma soprattutto se la società è costituita a tempo indeterminato (con
preavviso di 6 mesi).
Si ha però maggiore essibilità; infatti, tutte le S.R.L. possono aggiungere delle cause di
recesso ulteriori (es. mancato raggiungimento di risultati aziendali, o trasferimento del socio
all’estero).
Riguardo le modalità di esercizio, la regolamentazione spetta all’atto costitutivo; in mancanza

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di espressione si deve mandare una raccomandata alla società entro 15 giorni dall’iscrizione nel
registro delle imprese della delibera/trascrizione nel libro delle decisioni dei soci se non è
prevista iscrizione. Oppure, entro 30 giorni dalla conoscenza del fatto legittimante.
Il termine con la quale si deve rimborsare la quota di partecipazione è di 6 mesi.
Le modalità di attuazione del disinvestimento sono stabilite dall’atto costitutivo; di regola:
• Si cede la quota in prelazione agli altri soci proporzionalmente alle rispettive partecipazioni, o
anche a terzi indicati dai soci.
• In mancanza di offerte, la quota è liquidata tramite riserve disponibili (o utili) della società, e si
accresceranno proporzionalmente le quote dei soci restanti.
• Se le riserve non bastano, si procede alla riduzione reale del capitale estinguendo la
partecipazione; con la conseguenza che i creditori si possono opporre alla riduzione e quindi
anche al rimborso. La società allora viene posta in liquidazione (il recedente partecipa con i
creditori alla liquidazione e il recedente viene rimborsato solo al termine della liquidazione).
Il valore della somma (corrispettivo, se è stata ceduta la partecipazione – rimborso, se è stata
pagata da riserve) deve essere determinato in proporzione al patrimonio sociale, con criteri di
valutazione non contabili, ma che devono prendere in considerazione il valore reale di
mercato del patrimonio al momento dell’ef cacia del recesso.
La legittimazione spetta ai soci non consenzienti (ovvero quelli contrari, astenuti o assenti) e il
recesso è legittimato ad ogni socio nel caso in cui si parli di società a tempo indeterminato. In
particolari ipotesi (es. trasferimento del socio all’estero) il legittimato è solo colui che si trova in
quella situazione.
Esclusione per giusta causa del socio
Nelle S.P.A.vi è la clausola di riscatto, si vende l’azione). A discrezione di una decisione
dell’atto costitutivo, se si veri cano fatti relativi a un socio, che rendono oggettivamente
inopportuna la presenza di questo; si ricorre a un’espulsione che è involontaria. Deve sussistere
la giusta causa, e può consistere in ipotesi di:
• Violazione degli obblighi nascenti dal rapporto sociale, diversi dall’obbligo di
conferimento (inadempimento di ciò è già causa di esclusione).
• Comportamenti del socio incompatibili con l’attività sociale (es. esercizio impresa
concorrente).
• Perdita di requisiti soggettivi (iscrizione all’albo).
• Sopravvenire di altri fatti relativi la sua persona (condanne penali).
La giusta causa è un presupposto di legittimazione, opera come criterio di valutazione della
gravità e rilevanza del fatto veri cato in concreto.
La clausola per essere valida dovrebbe identi care ipotesi ben speci che stabilite
tassativamente dallo statuto.
La procedura di esclusione può essere automatica, ma anche facoltativa, attribuibile alla
collettività dei soci/amministratori.
L’escluso di fronte a ciò ha il diritto di opporsi davanti al Tribunale che richiamerà la
sospensione dell’esecuzione. In base all’attuazione dell’esclusione, c’è un rinvio al recesso.
La struttura organizzativa
Il modello legale di S.R.L. sollecita e in certi casi obbliga ad indicare come nell’atto costitutivo
verrà impostata la struttura organizzativa.
Se non previsto nulla, si opta per il modello tradizionale della S.P.A. se le dimensioni patrimoniali
della società superano una certa soglia (anche se non è una disciplina pienamente compatibile
con la S.P.A., ad esempio l’azionista non può controllare chi gestisce).
A seconda delle scelte statutarie vi sono moltissime varianti ( essibilità del sistema di

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governo), costituendo assetti essibili e formali (come una società di persone) no a poter
costituire un assetto rigido (come una S.P.A. piccola).
L’atto costitutivo può inoltre snellire le procedure collegiali riguardo la gestione che il controllo,
facilitando la velocità delle decisioni. Il potere di ingerenza e di controllo dei soci è la
caratteristica fondamentale indipendentemente dalle scelte i soci sono coinvolti attivamente e
direttamente riguardo la gestione della società se non gestiscono controllano in modo incisivo
chi gestisce. I soci sono di regola pochi, e generalmente la disciplina è essibile ma anche
lacunosa, per consentire modalità più rapide.
Nella S.R.L. PMI, riguardo l’assetto organizzativo, i soci-imprenditori non hanno così tanta
essibilità, data la struttura semi capitalistica che rimarca il modello della S.P.A. Questi non
partecipano alla gestione della società ed effettuano un controllo limitato.
Il ruolo dei soci
Anche a prescindere dagli ampi spazi lasciati all’autonomia negoziale, già nella disciplina legale
viene articolato sotto più aspetti un diretto coinvolgimento dei soci nella gestione.
• Competenze necessarie inderogabili:
- Modi che dell’atto costitutivo
- Decisione di operazioni che comportano un sostanziale cambiamento dell’oggetto sociale o
dei diritti dei soci.
- Approvazione del bilancio.
- Nomina e revoca del titolare di controllo e del revisore contabile.
• Competenze normali, ma derogabili:
- Diritti particolari inerenti all’amministrazione (es.: poteri di nomina o di veto).
- Distribuzione degli utili.
- Diritto di percepire utili risultanti da bilancio a prescindere da ogni decisione dei soci (nella
S.P.A. la decisione è necessaria).
• Competenze legali eventuali:
- Viene ampliata la competenza dell’assemblea dei soci anche riguardo a decisioni gestionali
senza limiti a qualsiasi operazione imprenditoriale, se ne fanno richiesta almeno 1/3 dei soci o
se ne fa richiesta l’amministratore.
• Competenze esclusive statutarie:
- Se previsto dallo statuto, i soci hanno poteri ulteriori e hanno competenze rafforzate in
ambito gestorio (es. possono emettere titoli di debito). Si può assegnare quindi il potere
vincolante verso gli amministratori. Dunque, qualsiasi altra decisione (es. gestionale) può
essere sottoposta alla decisione dei soci.
A bilanciamento di questo maggior coinvolgimento dei soci nella gestione:
• È prevista una responsabilità per atti di gestione, in via solidale con gli amministratori, anche a
carico del socio che li abbia decisi o autorizzati (art. 2476, comma 7).
• Sono sottoposti a una disciplina restrittiva i prestiti dei soci alla società (art. 2467).
Procedimento assembleare e non assembleare
• Deliberazioni non assembleari
Se previsto nell’atto costitutivo, si possono prendere decisioni anche senza metodo collegiale
(es. consultazioni scritte), purché tutti i soci siano informati e possano partecipare (art. 2479,
comma 3 e 5).
Si lascia ampia libertà per determinare questo iter procedimentale, in quanto in realtà qualsiasi
mezzo (fax, mail) è legittimo se agevola sulla velocità delle decisioni e abbassa i costi di
transazione. L’atto costitutivo ha libertà sulla procedura, questa può essere scandita in fasi
prestabilite (determinando mezzi e termini entro il quale i soci devono esprimere il loro parere
ad esempio), ma sono ammissibili forme destrutturate. Per il quorum costitutivo è prevista non

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la sola maggioranza; mentre c’è un’eccezione per il quorum deliberativo: per poter deliberare
occorre almeno la metà del capitale.
L’atto costitutivo può quindi introdurre regole che integrano o derogano il procedimento
assembleare, che rimane necessario per l’assunzione di alcune delle decisioni di maggiore
importanza (es. modi ca dell’atto costitutivo, operazioni gestorie fondamentali) (comma 4).
La disciplina dell’invalidità delle decisioni dei soci ricalca la disciplina prevista per le S.P.A.,
attribuendo però la legittimazione attiva a ciascun socio non consenziente (art. 2479-ter)
• Deliberazioni assembleari
Il procedimento segue quello della S.P.A.: la fase si snoda nella convocazione, discussione,
intervento dei soci, votazione, proclamazione e verbalizzazione. Anche se vi sono delle lacune
che non permettono di applicare in via analogica la disciplina.
La convocazione avviene nelle forme indicate nell’atto costitutivo, che assicura una tempestiva
informazione verso i soci. Se non è previsto nulla, si procede con una lettera raccomandata
spedita almeno 8 giorni prima della riunione. Si presume siano gli amministratori a
convocarla, o l’organo di controllo. Se prendono iniziativa 1/3 del capitale, si dovrà avvisare
l’amministrazione. Si può intervenire personalmente (diritto di intervenire) e nel caso in cui sia
permesso tramite rappresentante. Tutti i soci possono partecipare alle decisioni, salvo il caso in
cui una PMI emetta categorie di quote senza voto/limitato/subordinato.
L’assemblea è presieduta da colui che è indicato nell’atto costitutivo (di solito è il presidente del
C.D.A.). Il voto ha un peso proporzionale alla sua quota di partecipazione (salvo per le
categorie di quote con voto non proporzionale nelle PMI).
Sono previsti quorum costitutivi (la metà del capitale avente diritti di voto) e deliberativi
(maggioranza del capitale presente, in caso di modi che dell’atto costitutivo almeno la metà del
capitale sociale); ma l’atto costitutivo può modi care i quorum legali per tutte o alcune decisioni
(si può arrivare anche al consenso unanime dei soci, o azzerare i quorum).
Non vi è una differenziazione per il tipo di assemblea ordinaria o straordinaria, ma le delibere
più rilevanti richiedono quorum più elevati e regole formali rigide (verbalizzazione notaio).
Non ci sono nemmeno regolamentazioni riguardo alla prima e alla seconda convocazione. Il
verbale deve essere necessariamente redatto. Se si tratta di deliberazioni di modi ca dell’atto
costitutivo occorre l’atto pubblico. Il verbale si deve trascrivere nel libro delle decisioni dei soci,
inoltre deve essere redatto senza ritardo e deve allegare almeno l’identità dei partecipanti e il
voto espresso da ciascuno di essi. Una volta adottate, le delibere sono immediatamente ef caci,
tranne quelle modi cative dell’atto costitutivo che acquistano ef cacia con l’iscrizione nel
registro delle imprese.
Invalidità delle decisioni
Riguardo dell’invalidità delle decisioni (sia assembleari che non) ricalca quella della S.P.A. con
delle minime differenze. I vizi invalidanti si dividono in due e permettono l’impugnazione, non
richiamando “annullabilità” e “nullità”
• Non conformità alla legge o all’atto costitutivo: nelle ipotesi di mancanza del verbale (è
causa di annullabilità in S.R.L., nella S.P.A. è nullità), di con itto di interessi, l’abuso del diritto di
voto.
• Assenza assoluta di informazione in caso di decisione non collegiale (mancata
comunicazione ad uno o più soci) e illeceità/impossibilità dell’oggetto (contrarietà alle norme
imperative, buon costume o ordine pubblico, o impossibilità materiale o giuridica del
contenuto della decisione).
Il diritto di impugnazione è imprescrittibile. L’impugnazione è legittimata da ciascun socio
che non abbia acconsentito alla decisione indipendentemente dalla quota; da ciascun
amministratore e l’organo di controllo. Il termine è di 90 giorni e il procedimento è lo stesso.

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L’amministrazione
Gli amministratori possono anche non essere soci, ma solo se previsto dall’atto costitutivo (art.
2475, comma 1). In ogni caso, la gura dell’amministratore ha una connotazione personale e
non professionale (a meno che l’atto costitutivo non richieda pro li di professionalità,
analogamente a quelli previsti nelle S.P.A.). La diligenza che si pretende è la diligenza del buon
padre di famiglia, non c’è una connotazione professionale della gura. La nomina avviene con
decisione presa dai soci stessi (spesso un socio può direttamente nominarne uno se ha questo
diritto speciale), è necessario che vi sia l’iscrizione nel registro delle imprese.
La composizione, le competenze e il funzionamento dell’organo amministrativo sono quasi
completamente af date alla regolazione dell’atto costitutivo:
• Hanno competenza gestoria generale, che non è esclusiva in quanto i soci hanno spesso un
potere decisori sugli atti di gestione e gli amministratori devono rispettare le loro decisioni.
Hanno l’obbligo di agire in modo informato e hanno l’obbligo di intervento.
• La durata della carica non è prevista dalla legge – se ne occupa l’atto costitutivo (è legittima la
nomina a tempo indeterminato).
• In caso di revoca, è legittima anche quella senza giusta causa, ma l’amministratore ha diritto al
risarcimento del danno. Ogni socio può chiedere la revoca in via giudiziaria in caso di gravi
irregolarità. Se un socio ha avuto il diritto di nominarne uno, la revoca non sussiste se non nel
caso di gravi irregolarità.
• Gli amministratori assumono decisioni con metodo collegiale, ma l’atto costitutivo può
prevedere anche modalità diverse di decisione collettiva (es. consultazione scritta) (art. 2475,
comma 4), tranne che per alcune decisioni (es. redazione del bilancio), l’adozione delle
modalità disgiuntiva (ogni amministratore decide da solo, la gestione è più agile e informale)
o congiuntiva (adottare decisioni a maggioranza per snellire le procedure decisionali rispetto
al sistema consiliare, o all’unanimità che consente a ciascun gestore un potere di veto nei
confronti di qualsiasi operazione), proprie delle società di persone (art. 2475, comma 3).
Ciò funziona se vi è intesa e collaborazione tra gli amministratori.
• L’invalidità delle decisioni del consiglio di amministrazione è espressamente prevista solo
nel caso di con itto di interessi (art. 2475-ter). Ogni amministratore/collegio sindacale può
impugnare entro 90 giorni dall’adozione.
Gli amministratori sono rappresentanti legali secondo quanto stabilito dall’atto costitutivo;
spesso è o il presidente del C.D.A. o l’amministratore delegato nel sistema consiliare:
• Se si parla di modalità disgiuntiva è attribuita ad ogni amministratore.
• Se di congiuntiva è attribuita a tutti con rma congiunta.
Spesso è generale e senza limiti, ma anche se risultante dall’atto costitutivo non è opponibile a
terzi (a meno che non abbiano agito con dolo a danno della società). Tra i limiti inopponibili ai
terzi rientrano il difetto di potere gestorio e l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale. Mentre sono
opponibili ai terzi i limiti legali e il con itto di interessi del rappresentante (l’atto è annullabile
se il con itto era conosciuto o riconoscibile dal terzo).
La responsabilità
La disciplina dei poteri di rappresentanza degli amministratori ripropone, più sinteticamente,
quella prevista per le S.P.A. (art. 2475-bis). La disciplina della responsabilità degli amministratori
segue il modello della S.P.A., tranne alcune speci cità:
• Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti
l’inosservanza dei doveri imposti per legge, e dall’atto costitutivo.
Ciascuno risponde dell’intero danno nei confronti della società, anche se la responsabilità non
si estende a chi è immune dalla colpa o da chi ne era dissenziente. È importante ricordare che

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ne risponde anche colui che non sapeva nulla, in quanto l’amministratore aveva un obbligo di
vigilanza (il consiglio lo ha nei confronti dei delegati).
• L’azione di responsabilità verso la società può essere esercitata anche dal singolo socio, ma
può essere oggetto di rinuncia o transazione con voto dei soci rappresentanti 2/3 del capitale
e senza l’opposizione di soci rappresentanti 1/10.
• Con la recente riforma del diritto della crisi (2019), è stata reintrodotta anche per la S.R.L.
l’azione dei creditori sociali (art. 2476, comma 6).
• Anche i soci sono responsabili se hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il fatto
dannoso
I controlli
Nelle S.R.L. il controllo sull’amministrazione è af dato principalmente al potere attribuito
inderogabilmente a ciascun socio di acquisire informazioni dagli amministratori (art. 2476,
comma 2).
Questa regola costituisce un tratto caratterizzante del tipo sociale e uno dei principali aspetti
che rendono inadeguata la S.R.L. per società con elevato numero di soci. Infatti, ciascun socio ha
diritto a consultare tutta la documentazione societaria in relazione all’amministrazione (nella
S.P.A. può consultare il libro dei soci e quello delle assemblee), in quanto i soci sono pochi.
Inoltre, ciascun socio è individualmente legittimato a promuovere un’azione sociale di
responsabilità contro gli amministratori e a richiedere la loro revoca con una domanda
giudiziale cautelare.
La presenza di un organo di controllo e di un revisore contabile è necessaria solo per le S.R.L.
che superano certe soglie dimensionali (di bilancio o di dipendenti: superare per due esercizi
successivi 8 milioni di fatturato o di 50 dipendenti) o se sono a capo di un gruppo più
strutturato di società (art. 2477, comma 2).
L’organo di controllo è unipersonale, se non è diversamente disposto nell’atto costitutivo
(comma 1) ed è soggetto alla disciplina prevista per il collegio sindacale (comma 4). Se non c’è il
revisore dovrà veri care la regolare tenuta della contabilità ed esprimere una relazione sul
bilancio.
Negli altri casi, l’atto costitutivo può comunque prevedere la nomina di un organo di controllo e
di un revisore contabile, determinandone i compiti e il funzionamento (comma 1).
Anche nella S.R.L. devono essere tenute le scritture contabili previste dalla disciplina
dell’impresa e i libri che documentano l’attività degli organi sociali (art. 2478).
Il bilancio di esercizio è soggetto alla disciplina prevista per le S.P.A. (art. 2478-bis). Con la
recente riforma del diritto della crisi (2019), è stato reintrodotto anche per la S.R.L. l’intervento
giudiziario per gravi irregolarità nella gestione (art. 2477, comma 6, che rinvia all’art. 2409 c.c.).
LEZIONE 31
I gruppi di società
Quando si ha a che fare con una società, è molto raro avere a che fare con una società monade
(ovvero isolata), in quanto questa fa spesso parte di un gruppo. Questa dimensione in uenza
molti aspetti della vita della società. In altri Paesi vige la public companies (manca un socio che
detenga una percentuale rilevante per permettere di ottenere un controllo sulla società), in Italia
spesso la proprietà è spesso concentrata in capo a pochi soci che detengono una
partecipazione di controllo. Se la posizione di controllo di una società su una o più altre società
si traduce nell’esercizio di un’effettiva attività di direzione e coordinamento tra le stesse, si crea
un gruppo di società. I gruppi quindi sono delle forme organizzative, la capogruppo esercita
un’attività di direzione e di coordinamento nei confronti di altre società (controllate) che però
mantengono la loro autonomia giuridica e patrimoniale. L’elemento connotante è l’attività di
direzione e coordinamento (es. scelte strategiche/operative di carattere nanziario/industriale/

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commerciale). Il punto di partenza è sempre la limitazione della responsabilità; questa
consente agli investitori in capitale di rischio di separare i rischi dell’investimento nell’esercizio
dell’attività di impresa dal resto del loro patrimonio: questa possibilità risponde all’esigenza
economica di separare tra loro i rischi a cui è esposto il patrimonio di un soggetto,
suddividendoli per tipi omogenei, al ne di gestirli più ef cacemente. Per questo, chi esercita
congiuntamente diverse attività di impresa (per caratteristiche, dimensione, collocazione, ecc.) e
quindi detenga le partecipazioni di controllo in una pluralità di società non solo ha il bene cio
di puntare su più fronti, ma ha interesse ad imputare ciascuna di esse a distinti soggetti giuridici
sul piano formale, anche se in realtà il proprietario ultimo è sempre lo stesso. Invece che fare
un’unica impresa con più rami d’azienda, per convenienza occorrerebbe fare due società
separate, così almeno in caso di problemi i problemi non si riverserebbero sull’altra società che
è autonoma (es. Exor capogruppo – poi c’è la Fiat, Cnh industrial (macchine agricole), Ferrari,
Juventus). Quindi:
• Dal punto di vista economico le diverse attività esercitate dalle società del gruppo assumono
una dimensione unitaria. Si mantiene un coordinamento della gestione anche se tra attività
distinte.
• Dal punto di vista giuridico, tali attività rimangono imputate a distinti soggetti, ciascuno con il
proprio patrimonio. Dunque, si isolano sul piano giuridico i rischi inerenti a ciascuna attività al
ne di gestirli più omogeneamente. Ciò è vantaggio anche per i creditori.
Questo è il motivo per il quale ci sono i gruppi; imputando ciascuna attività (diversa o simile alle
altre) ad un distinto ente giuridico con responsabilità limitata vengono isolati i rischi omogenei
di ciascun tipo di attività.
Il diritto societario prevede che tutti gli ordinamenti debbano avere regole sulla dimensione di
gruppo; regole che danno rilievo a dinamiche di direzione e coordinamento stabile che si
instaurano tra società formalmente distinte.
La collocazione di una società all’interno di un gruppo può in uenzarne signi cativamente le
vicende, in quanto le società del gruppo possono venire gestite dalla “capogruppo” secondo
scelte imprenditoriali che tengono conto dell’intero perimetro del gruppo, anche andando oltre
alle esigenze delle singole società.
Nello speci co, per le società eterodirette, la gestione unitaria di gruppo può comportare
signi cativi vantaggi sotto vari aspetti (es. il denaro è gestito in modo unitario come se fosse
un deposito comune, se la società C non deve pagare nulla, la società B ne appro tta per
pagare i fornitori, così si risparmiano costi bancari, sinergie/economie di scala. Se per produrre
X costa 10, se si produce 1000 macchine i costi si abbassano).
Può però comportare anche altrettanto signi cativi svantaggi, qualora la capogruppo
imponga scelte convenienti nell’ottica dell’intero gruppo, ma pregiudizievoli per la singola
società (es. A capogruppo, E è in crisi e viene aiutato da C che compra un suo immobile al
prezzo di 2 milioni di euro anche se il prezzo è 1 milione; C non ne risente molto di questo costo
ma è un problema per i soci di minoranza di C che non hanno partecipazioni nelle altre; è uno
svantaggio anche per i creditori perché il patrimonio di C è diminuito per nanziare E).
Per queste ragioni, all’esercizio di attività di direzione e coordinamento di società sono
ricollegate alcune regole dirette a tutelare i soggetti esterni al gruppo che hanno o possono
avere rapporti giuridici con le società eterodirette (soci di minoranza, creditori e altri terzi)
attraverso l’attribuzione di rilevanza giuridica ad atti o fatti attinenti al gruppo, che non si
porrebbero altrimenti in diretta relazione con la posizione giuridica di tali soggetti, pur
pregiudicandoli nei fatti.

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Come si crea un gruppo
Un soggetto (persona sica o ente) può in uenzare in maniera determinante la gestione di una
società in diversi modi: nell’ordinamento sono de niti diverse fattispecie di controllo, funzionali
all’applicazione di diverse discipline.
L’ART. 2359 disciplina le 3 forme principali di controllo di una società su un’altra:
• Controllo fondato sull’assunzione di partecipazione di diritto: attribuisce il diritto di voto in
assemblea:
- Controllo di diritto: tramite la maggioranza assoluta.
- Controllo di fatto: in misura inferiore ma suf ciente a svolgere un’in uenza dominante
nell’assemblea.
Abbiamo anche il controllo indiretto: per con gurare un controllo di diritto o di fatto, si
computano anche i voti spettanti a società controllate, società duciarie e a persona
interposta (es. se A ha il controllo di B, e B ha il controllo di C; C è controllata indirettamente
da A).
• Controllo contrattuale: tra società A e B ci sono particolari vincoli contrattuali (es. contratto di
fornitura in esclusiva: A è una pizzeria, B è una società di produzione di farina, c’è una clausola
di esclusiva che impone che A dovrà essere fornita sempre da B). Di fatto si crea una
dipendenza economica.
Accanto alla fattispecie di controllo, sempre nello stesso articolo è esplicitato il concetto di
collegamento. Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra esercita un’in uenza
notevole: l’in uenza si presume in capo a colui che nell’assemblea ordinaria è in grado di
esercitare almeno il 20% dei voti (10% se società quotate).
La responsabilità
Il principale segmento della disciplina è costituito dalla previsione di una responsabilità in capo
alla società capogruppo nei confronti dei soci (di minoranza) o dei creditori di una società
eterodiretta (con i quali la capogruppo non è in diretto un rapporto giuridico) (art. 2497).
Tali soggetti possono agire contro la capogruppo, qualora l’attività di direzione e
coordinamento abbia violato i principi di corretta amministrazione causando un danno,
rispettivamente, alla redditività e al valore della partecipazione (per i soci) o all’integrità del
patrimonio sociale (per i creditori) (es. la capogruppo impartisce ordini alla società glia che
sono contrari ai principi di corretta amministrazione: B ordina a C di strapagare il bene immobile
ad E). Il socio e il creditore sociale possono agire contro la capogruppo solo se non sono stati
soddisfatti dalla società eterodiretta. I soci devono comunque chiedere il risarcimento alla
società capogruppo. Ma la responsabilità può essere esclusa se altre operazioni di gruppo
(collegate o separate) compensano il pregiudizio (c.d. vantaggi compensativi). La
responsabilità è estesa in via solidale anche ai soggetti che hanno preso parte al fatto lesivo o
ne hanno consapevolmente tratto vantaggio (es. amministratori e sindaci delle società
coinvolte).
La trasparenza
Norme siologiche: tese a garantire trasparenza riguardo l’esistenza del gruppo; operazioni tra
il gruppo; norme sul diritto di recesso per i soci della società eterodiretta.
Poiché l’inserimento in una realtà di gruppo può in uenzare la gestione patrimoniale e
imprenditoriale della società, sono inoltre previste regole dirette a rendere note tale
in uenza e le sue modalità di attuazione:
• L’appartenenza della società a un gruppo deve essere indicata negli atti e nella
corrispondenza, nonché mediante iscrizione nell’apposita sezione del registro delle
imprese (art. 2497-bis, commi 1- 3).

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• Nel bilancio della società eterodiretta (nella nota integrativa) devono essere indicati i dati
essenziali del bilancio della capogruppo e deve essere dato conto delle operazioni
concluse con altra società del gruppo (commi 4-5). Nella relazione sulla gestione; gli
amministratori devono indicare le operazioni infragruppo e quelle in uenzate da attività di
direzione e coordinamento (la relazione è utile per eventuali terzi o creditori che vogliano
muovere un’azione di responsabilità verso la holding).
Le decisioni in uenzate dall’attività di direzione e coordinamento devono essere
analiticamente motivate (art. 2497-ter).
Il controllo sulla società
Quando si veri cano queste fattispecie ci sono delle regole che hanno rilevanza giuridica alla
dimensione unitaria delle attività.
Nelle S.P.A. quotate si vogliono accentuare gli obblighi di vigilanza dell’organo
amministrativo (in caso di deleghe) e dell’organo di controllo sull’attività delle controllate. Gli
organi delegati devono riferire al C.D.A. e al collegio sindacale l’andamento della gestione
(anche facendo riferimento a società controllate). Inoltre, i sindaci hanno il potere di chiedere
informazioni non solo della società, ma anche di quella controllata. Si vuole tutelare e garantire
dell’effettività (conservazione) del capitale delle società controllante e controllate.
Anche nel gruppo vale la stessa disciplina; il principio trova riscontro nelle norme dedicate
all’acquisto e alla sottoscrizione di azioni o quote della controllante da parte delle controllate:
• Le società controllate non possono sottoscrivere azioni o quote della controllante: in caso
di violazione le azioni o quote si intendono sottoscritte dagli amministratori della controllata, a
meno che siano esenti da colpa.
• Ma le società controllate possono sottoscrivere azioni o quote della società stessa nei
limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili (nel caso di società controllante
aperta, il valore nominale delle azioni non deve essere superiore al 20% del capitale della
stessa controllante).L’acquisto delle azioni deve far sì che queste debbano essere
integralmente liberate e l’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria delle
società controllate. Una volta acquistate azioni o quote della controllante, le società controllate
non possono esercitare nell’assemblea della controllante i diritti di voto inerenti alle
partecipazioni.
• Devono fornire a tutti gli stakeholders una corretta ed adeguata informazione riguardo la
sussistenza del controllo e all’andamento generale della controllante e delle controllate:
è opportuno infatti redigere il bilancio consolidato.
Se una società fa parte di un gruppo, è importante conoscere anche la situazione del gruppo,
per ragioni di trasparenza si ha la necessità di redigere da parte della società capogruppo un
bilancio che raggruppi la situazione patrimoniale, economica e nanziaria di tutte le società
(es. se una società A (scarpe) acquista una partecipazione rilevante in un’altra società (pizze); la
società A, indirettamente sta esercitando l’oggetto sociale dell’attività B).
In generale, l’assunzione di partecipazioni in altre imprese può comportare un’estensione (anche
se indiretta) alla tipologia del rischio di impresa a cui è esposta una società.
Nelle S.P.A. però;
- Non è consentito assumere partecipazioni se queste modi cano sostanzialmente l’oggetto
sociale.
- Si possono assumere partecipazioni illimitate (società di persone) ma deve essere deliberata
dall’assemblea.
Nella S.R.L. in entrambi i casi si può fare, ma ci vuole una deliberazione apposita dei soci.
Finanziamenti e recessi
Spesso questi nanziamenti si attuano quando c’è una sottocapitalizzazione.

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Ai (frequenti) nanziamenti della capogruppo o di altre società del gruppo a favore di una
società eterodiretta è estesa la disciplina dei prestiti dei soci prevista per le S.R.L. (art. 2497-
quinquies). Il rimborso dei nanziamenti effettuati deve essere postergato, quindi deve
avvenire solamente dopo la soddisfazione integrale di tutti i creditori. Se il rimborso è avvenuto
nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento, il socio deve restituirlo.
Sono previste ulteriori cause di recesso a favore dei soci di una società eterodiretta in relazione
a situazioni esterne alla società ma riguardanti il gruppo (art. 2497-quater):
• Mutamento dello scopo sociale (es. se la capogruppo ha deliberato una trasformazione o
mutamento da società lucrativa a società cooperativa con scopo mutualistico) o dell’oggetto
sociale della capogruppo (es. capogruppo amplia l’oggetto sociale ad attività che esercitano
una concorrenza con la società eterodiretta).
• Condanna della capogruppo per responsabilità da direzione e coordinamento.
• Ingresso o uscita della società dal gruppo che comporta un’alterazione delle condizioni di
rischio dell’investimento (salvo che la società eterodiretta sia una S.P.A. quotata).
Patrimoni destinati a speci ci affari
In deroga al principio di universalità della responsabilità patrimoniale, nella S.P.A. questo è uno
strumento giuridico e un’alternativa che realizza effetti simili a quelli prodotti dai gruppi di
società. Le società possono individuare e destinare speci che risorse per lo svolgimento di
una operazione economica, isolando le risorse giuridicamente dal patrimonio restante. È a tutti
gli effetti un patrimonio separato, a cui viene limitato il rischio di impresa al solo affare, quindi
non si trova esposto al rischio d’impresa. Quindi, invece che creare una società controllata per
quel determinato affare, si crea un patrimonio separato abbassando i costi di costituzione e di
funzionamenti degli organi.
La disciplina si divide in due fattispecie:
1. Patrimoni destinati “operativi” o industriali
Si basano sul principio della separazione patrimoniale: il patrimonio destinato risponde in
via esclusiva delle obbligazioni nascenti dallo speci co affare, e non possono soddisfarsi i
creditori estranei all’affare stesso. Il patrimonio separato permane nché dura lo speci co
affare. Occorre una deliberazione dall’organo gestorio (C.D.A.) che ha effetti costitutivi,
deve essere sottoposta ad un controllo legale e sostanziale a cura del notaio che dovrà
depositarla presso il registro delle imprese. Se in 60 giorni non vi è opposizione da parte dei
creditori, questi poi non potranno far valere alcun diritto sul patrimonio separato. La
delibera individua i beni immessi nel patrimonio separato (potranno mutare ovviamente). Il
patrimonio separato non può eccedere il 10% del patrimonio netto (limite quantitativo). In
ogni caso è previsto un vincolo di destinazione negli atti compiuti in relazione al singolo
affare. Nel caso in cui non ci sia una menzione negli atti, si presume che questo faccia
riferimento all’intero patrimonio sociale. La separazione patrimoniale non in uisce sulla
responsabilità per le obbligazioni derivanti da fatto illecito (si cerca di tutelare il
creditore perché non vi è stata nessuna scelta riguardo il fatto di far credito ad un patrimonio
separato). In caso di fallimento della società, il patrimonio separato è af dato al curatore,
ma sempre con la caratteristica che su questo patrimonio si potranno soddisfare solo i
creditori del singolo affare.
2. Finanziamenti destinati a speci ci affari
Le S.P.A. possono optare anche nello stipulare contratti di nanziamenti destinati a speci ci
affari.
Vengono coinvolti terzi che provvederanno a realizzare iniziative economiche con il ne di
conseguire futuri guadagni (es. nanziamento della linea ferroviaria AV verrà pagato con gli
utili ricavati dalla vendita dei biglietti dei treni per un certo numero di anni). Il contratto di

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nanziamento è soggetto ad un regime pubblicistico, presso l’iscrizione nel registro delle
imprese. La società deve adottare sistemi di incasso e di contabilizzazione separati rispetto al
patrimonio sociale. Al nanziatore non è offerta una garanzia sui beni del patrimonio
sociale, in quanto la garanzia ed il rimborso del nanziamento avvengono esclusivamente (o
principalmente) con i valori conseguiti nell’esercizio dell’impresa: sono allora i guadagni
dell’affare sovvenuto a venire isolati per effetto di una separazione patrimoniale. La
separazione mira a precludere ai creditori sociali eventuali azioni esecutivi sui guadagni, i
loro frutti e quelli degli investimenti effettuati con i guadagni, infatti su queste risorse ci si
potrà soddisfare solo il nanziatore (ma non potrà soddisfarsi sui beni della società). I beni
strumentali non fanno parte del patrimonio separato, ma in ogni caso non possono essere
oggetto di espropriazione e liquidazione (su iniziativa dei creditori sociali) no a quando il
nanziamento non è rimborsato. Se l’affare non realizza più guadagni o si interrompe, il
nanziatore perde ogni possibilità di recuperare il suo debito. Se la società fallisce e il
curatore deve liquidare anche i beni strumentali, il nanziatore ha diritto di inserire per il suo
credito al netto dei proventi già ricevuti.
I patti parasociali
Per controllare una società; in una società chiusa occorre avere la partecipazione del 50+1
delle azioni, in una società aperta basta un po’ di meno ovvero una partecipazione di controllo
(che è più bassa della maggioranza assoluta). Non è sempre possibile acquisire una
partecipazione di controllo in quanto ci vogliono troppi soldi, soprattutto nelle società quotate.
Anche se si disponessero dei mezzi necessari, non è mai l’opzione più vantaggiosa e non si ha
interesse a farlo. Per proporre una alternativa, in parallelo all’atto costitutivo e allo statuto, le
reciproche posizioni dei soci possono essere ulteriormente regolate mediante altri accordi
negoziali conclusi tra tutti o alcuni soci e diretti a speci care ulteriori diritti od obblighi
reciproci. Accordi di questo tipo sono di frequente conclusi al ne appunto di creare un gruppo
stabile di controllo della società da parte di soci, la cui partecipazione sarebbe insuf ciente,
individualmente, a consentire un’in uenza dominante. A livello informale ci si può mettere
d’accordo in tanti modi, nel patto parasociale si passa ad un vincolo contrattuale vero e
proprio. I soci (volendo anche tutti i soci) stipulano un contratto che non entra nello statuto
della società (è parasociale, riguarda la società ma sta al di fuori), ma è un contratto che è
pienamente vincolante (se in conformità tra la legge) tra gli stipulanti che regola le proprie
prerogative. Possono riguardare l’esercizio dei diritti dei soci per varie nalità; il motivo
principale è quello di costituire una coalizione di controllo. Tipicamente questi accordi
prevedono:
• Condizionamenti e vincoli preventivi all’esercizio del diritto di voto di ciascun aderente al patto
nell’assemblea (c.d. sindacati di voto).
• Limiti o diritti relativi al trasferimento delle partecipazioni degli aderenti (c.d. sindacati di
blocco). Quando si vuole cedere una partecipazione, daranno un diritto di prelazione
(riguarda solo i soci sindacati); l’intenzione è quella di mantenere la quota di controllo.
I soci sindacati si impegnano a riunirsi prima di un’assemblea e a concordare insieme come
votare in assemblea, vincolandosi alle modalità di voto.
A volte il sindacato può essere di consultazione (dopo in assemblea non si è vincolati dal voto
concordato). Solo recentemente si è aperta una regolamentazione a ciò, con la riforma del
diritto societario del 2003 sono state inserite delle regole che hanno confermato la validità di
stipulare questi patti; a condizione che non contrastino con pro li inderogabili della
disciplina societaria, questi patti sono considerati validi contratti, idonei a vincolare ciascun
aderente a quanto in essi previsto (es. se è stato derogato il patto leonino è invalido, tutti gli utili
devono essere destinati ad un solo socio).

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Nella prassi è assai diffusa, nella realtà italiana la maggioranza delle società di grandi dimensioni
sono organizzate così (es. Mediobanca).
La violazione
La violazione del patto da parte di un aderente non comporta effetti opponibili alla società o
ai terzi, in quanto il patto ha un’ef cacia obbligatoria e non ha ef cacia reale sugli atti della
società (es. azionisti di una società di grandi dimensioni: 5 soci fanno il 40% e fanno un patto
parasociale riguardo il sindacato di voto e di blocco, si riuniscono prima dell’assemblea
dell’approvazione del bilancio e vogliono votare contro. Se in assemblea i 3 soci approvano il
bilancio e il loro voto è stato determinante, hanno violato il patto e sono inadempienti al
contratto. La deliberazione che ha approvato il bilancio è pienamente valida, la violazione
riguarda solamente il patto). La violazione comporta solo il diritto al risarcimento del danno
per gli altri soci aderenti al patto (ef cacia obbligatoria e non reale).
L’in uenza del patto
D’altra parte, la presenza di un patto parasociale idoneo a creare un gruppo stabile di controllo
può condizionare signi cativamente la gestione della società. Per questo, i patti sono
soggetti a una sintetica regolamentazione relativa a durata e pubblicità.
• Durata
Per evitare un irrigidimento troppo lungo degli assetti proprietari, i patti diretti a stabilizzare un
gruppo di controllo tra soci (artt. 123 T.U.F. e 2341-bis c.c.):
• Non possono eccedere la durata massima di 3 anni (nel caso di S.P.A. quotate) o di 5 anni
(nel caso di S.P.A. non quotate). Nel caso (ri)decidono se ripartecipare al patto.
• Possono essere a tempo indeterminato, ma ciascun socio ha diritto di recedere con
preavviso di 6 mesi.
• • Pubblicità
È importante sapere se una società è stabilmente controllata da qualcuno: essendo un contratto
tra privato
non deve essere pubblicato da nessuna parte.
In realtà se si tratta di società chiuse (con pochi soci), un investitore che vuole entrare in una
società con un investimento di minoranza deve sapere se c’è un controllo. Quindi, quando
qualcuno entra chiede se c’è qualcuno che controlla. In ogni caso i patti possono rimanere
oscurati al pubblico.
Se conclusi in una società aperta, invece, si pone in termini più accentuati anche l’esigenza di
rendere nota agli altri soci e ai potenziali investitori l’esistenza di un gruppo di controllo (non
conoscibile in base alle sole partecipazioni). Infatti, informarsi non è così facile, a meno che non
vi sia un socio che controlla con una quota di 50+1.
Quindi i patti devono essere comunicati alla società e dichiarati all’inizio di ogni assemblea (art.
2341-ter), nonché comunicati alla Consob, pubblicati sulla stampa e depositati presso il registro
delle imprese nel caso di S.P.A. quotata (art. 122T.U.F.). Se non sono stati rispettati tali
adempimenti, si ha la nullità del patto.
In caso di inadempimento agli obblighi di pubblicità il voto dei soci aderenti al patto non può
essere esercitato e le deliberazioni adottate con il loro voto determinate sono annullabili. Nel
caso di S.P.A. quotata, i patti sono nulli e le deliberazioni possono essere impugnate anche dalla
Consob entro 180 gg.
La disciplina degli emittenti
Siamo sempre in tema di offerta al pubblico di sottoscrizione, si “crea un mercato” per uno
speci co prodotto riferibile ad un solo emittente (società quotata target): questa si chiama
offerta al pubblico; ovvero ogni comunicazione rivolta a una cerchia di soggetti indeterminata
ex ante (investitori quali cati), un numero di soggetti minore a 150 e relative a prodotti (anche
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non quotati in un mercato) aventi valori rientranti in precisi parametri quantitativi dettati dalla
Consob.
Gli attori dell’offerta possono essere oltre all’emittente, soggetti diversi (es. socio detentore di
una partecipazione estesa che vuole offrire tutte/parte delle sue azioni al mercato; ci sono anche
i soggetti intermediari che raccolgono le sottoscrizioni/dichiarazioni di acquisto).
Offerte pubbliche di acquisto (OPA)
Il tema è sempre il controllo della società quotata. La disciplina è speciale in quanto se ne
occupa il T.U.F. (es. società X è gestita con grosse dif coltà, potrebbe essere gestita meglio: si
prova ad acquistarne il controllo in modo da gestirla meglio e farla crescere. Se una società è
quotata vuol dire che ci sono molte azioni che sono diffuse, si cercherà di comprarle per arrivare
ad una soglia determinante, ma si può fare un’offerta al pubblico di acquisto. A offre a chi ha le
azioni di X un prezzo ragionevole per poterle comprare). La nalità è quella di acquisire la
partecipazione del controllo di una società tramite sollecitazione del risparmiatore al
disinvestimento. Gli investitori sono soggetti sprovveduti, non sono coinvolti nella gestione
della società, ci vuole maggiore tutela del risparmio.
Per OPA si intende “ogni offerta invito a offrire/messaggio promozionale (in qualsiasi forma)
nalizzato all’acquisto o allo scambio di prodotti nanziari e rivolta ad un numero di soggetti e di
ammontare complessivo superiori a quelli indicati dalla Consob”.
Tutela per i destinatari di una OPA
Si parla di tutela di trasparenza (per l’ef cienza del mercato di controllo). Chi vuole lanciare un
OPA non può dichiarare semplicemente, ma deve pubblicare un documento di offerta
(prospetto informativo) sottoposto entro 15 giorni all’approvazione della Consob (nel periodo di
durata della sollecitazione tutti i soggetti coinvolti nell’offerta hanno dei poteri di controllo,
spettanti in generale alla Consob: questi però dovranno attenersi a principi di correttezza,
trasparenza e parità di trattamento dei destinatari dell’offerta al pubblico che si trovino in
identiche condizioni). Questo documento viene redatto con informazioni suf cienti riguardo
l’offerta e i prodotti nanziari che ne sono di oggetto (così l’investitore è in grado di decidere),
poi successivamente pubblicato (anche se dopo il termine dei 15 giorni la Consob non si è
espressa), per poter capire di cosa si tratta. Dopo la pubblicazione, il documento è irrevocabile.
È prevista una responsabilità da prospetto in capo all’emittente/offerente/garante, ma anche
da parte di persone responsabili delle informazioni contenute nel prospetto, per eventuali danni
arrecati agli investitori sulla base del ragionevole af damento sulle informazioni del prospetto. Il
documento viene trasmesso anche all’organo amministrativo della società target (bersaglio)
che deve rendere nota al pubblico la propria opinione/valutazione sull’OPA. Per favorire
l’interesse degli investitori azionisti, sono previste delle regole per innestare un’asta (qualcuno
potrebbe rilanciare di più rispetto alla OPA) e vengono previste possibilità di offrire offerte
concorrenti. Oltre che l’offerta di acquisto, può essere proposta anche un’offerta di scambio.
L’offerente normalmente offre denaro, ma può offrire anche in cambio delle azioni o altri
strumenti nanziari (es. obbligazioni). Ci sono in gioco interessi molto imponenti, sono
coinvolte azioni “grosse”, dunque, ci sono molte conseguenze. La società oggetto di OPA si dice
sia una società scalabile. Sono scalabili quando non ci sono soci con partecipazioni di
maggioranza assoluta. Al massimo potrebbe essere scalabile solo se il socio di maggioranza
assoluta gli vendesse le azioni. Anche se, in via generale, le società quotate possono essere
scalabili. L’OPA può essere amichevole od ostile; se non è amichevole e la società è scalabile.
Quelli che potrebbero non essere contenti sono gli amministratori: la prima cosa che farebbe il
nuovo offerente sarebbe quella di nominare i propri amministratori.

Misure difensive degli amministratori

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Visto che gli amministratori sono al comando, nel momento in cui vi è l’OPA questi potrebbero
effettuare operazioni lesive per lo scalatore. Ma ciò è legittimo? Nell’ordinamento americano
si pensa lo sia, in una direttiva europea in linea di principio gli amministratori non possono fare
quello che vogliono. In realtà la possibilità di essere conquistata con un’OPA è un fattore
positivo, in quanto il modo migliore con il quale gli amministratori possono prevenire un’OPA è
la corretta amministrazione, è dunque un incentivo.
N.B.: lo scalatore nel momento in cui fa un OPA crede che le azioni della società siano svalutate
(e quindi che ci sia una ‘’crisi’’); ne appro tta e il prezzo di mercato non ri ette le potenzialità
delle società. L’OPA può essere evitata nel momento in cui c’è una buona amministrazione e
quindi di conseguenza il prezzo di mercato delle azioni si alza.
Ipotesi di restrizione di misure difensive
La regola generale è quella della passivity rule: gli amministratori non devono effettuare
manovre contrarie al successo dell’OPA, ma se lo statuto non prevede diversamente gli
amministratori possono adottare misure difensive contro un OPA mediante decisioni o atti
idonei, ma se vi è un’approvazione dell’assemblea. La passivity rule non si applica se gli offerenti
sono stranieri e se l’OPA sia promossa con regole diverse. Lo statuto può facoltativamente
prevedere che le limitazioni al diritto di voto o al trasferimento delle partecipazioni, già previste
nello statuto o in patti parasociali, non abbiano effetto nei confronti dell’offerente. Se ci sono dei
patti parasociali i vincoli dell’azionista cadono e gli aderenti possono recedere senza preavviso
(per facilitare la scalabilità di una società). Un soggetto che vuole acquisire il controllo di una
società è normalmente disposto a pagare per l’acquisto di una partecipazione di controllo un
corrispettivo più che proporzionale rispetto al rapporto tra l’intero valore della società e la
partecipazione oggetto di acquisizione (es. se una società quotata è controllata da una
partecipazione del 30%, se uno scalatore volesse scalare quella società dovrà stare un po’ largo,
dovrà acquisire un 35/40% delle azioni).
Questa partecipazione gli consente all’acquirente di esercitare un controllo sulla società; si parla
del cosiddetto premio di controllo (o di maggioranza) (es. se una società “vale” 100, se lo
scalatore volesse prendere il 51%, quanto vale quella percentuale? Non di certo il 51%, questa
vale molto di più in quanto con quella quota si istituisce la maggioranza assoluta, il controllo). Il
premio di maggioranza non è altro che il maggior prezzo che un investitore può essere disposto
a pagare per l’acquisto di quote di controllo in una società. Quel valore di surplus aggiunto che
viene dall’insieme delle azioni è di tutti gli investitori (es. qualcuno vuole acquisire la società
target. Questa ha un valore di mercato stimato in 100milioni e ci sono 100 azioni con 100
azionisti con valore nominale dell’azione per 1milione. Per avere il controllo basta acquisire (non
il 51) il 25%. C’è un ‘offerente scalatore che vuole scalare la società, se riesce ad acquisire il
controllo con il 25% può nominare i suoi amministratori e fargliela gestire.
Il valore nominale delle azioni è di 25 milioni. Ipotizzando che la società abbia delle potenzialità
non sfruttate, l’offerente ha un margine elevato e vorrebbe oltre ai 25 milioni, altri 25 milioni
(premio di controllo).
Il surplus è ciò che consente di raggiungere il controllo della società, in quanto il controllo in sé
ha valore)
Se si tratta di S.P.A. chiuse, la contrattazione è privata perché i soci sono pochi; mentre se si
tratta di S.P.A. aperte, l’acquirente è disposto a pagare 50 milioni per 25 azioni, con un grosso
surplus da ottenere per chi le prende. Ma da quali azionisti si compra? I fortunati, le alternative
sarebbero due:
• In America decide l’offerente a chi andrà il premio di controllo perché lui compra e sarà lui a
decidere a chi vanno questi soldi in più. Quindi si comprano 25 azioni e il premio di controllo

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è ripartito tra gli azionisti (si vende l’azione allo scalatore per 1 milione + 1 milione di premio di
controllo).
• In Europa, dal 2004 il premio di controllo non è di qualcuno in particolare, è quel surplus
latente nella società, che è un po’ di tutti.
La direttiva europea ha stabilito che se l’offerente supera la soglia del 25% ha l’obbligo di
comprare tutte le azioni degli azionisti.
Si stanno comprando quindi tutte e 100 le azioni, con un premio di controllo di 25 milioni. I
125 milioni andranno a tutti (ciascun azionista prenderà 1 milione e 250mila euro per l’azione
venduta allo scalatore).
In Europa quindi abbiamo l’obbligo di OPA totalitaria successiva per le società quotate.
Questa scatta al superamento della soglia del 25% (soglia presuntivamente idonee a consentire
un controllo della società). Questa regola esiste per favorire la suddivisione del premio di
controllo tra tutti gli azionisti, anche di minoranza. Quindi:
1. OPA totalitaria successiva: chi acquista partecipazioni (titoli che attribuiscono il diritto di
voto nella nomina/ revoca degli amministratori) superiori al 25% (per le PMI superiori al 30%)
del capitale di una S.P.A. quotata (la quota deve essere idonea ad attribuirgli il controllo, se
non lo attribuisce non c’è l’OPA totalitaria) ha l’obbligo di promuovere un OPA rivolta a tutti
gli azionisti (restante 75%) offrendo lo stesso prezzo che ha pagato per arrivare al 25%.
2. OPA totalitaria incrementale: lo stesso obbligo sorge per il socio già titolare di quota
superiore al 30%, nel caso acquisti altre partecipazioni per oltre il 5% acquisto realizzato in
un periodo di 1 anno (per le PMI non vale per i 5 esercizi successivi alla quotazione, e
sempre se previsto in via statutaria).
3. OPA obbligatoria residuale: se a seguito di un'OPA totalitaria, l'offerente ha una
partecipazione pari al 95%, questo ha l'obbligo di acquistare i restanti titoli da chi ne faccia
richiesta (non è un’offerta al pubblico) pagando un corrispettivo è pari a quello dell'OPA
precedente.
Questo obbligo garantisce agli azionisti di minoranza una possibilità d’uscita.
Anche chi detiene una partecipazione superiore al 90% (anche non a seguito di OPA), ha
l'obbligo di acquistare i restanti titoli da chi ne faccia richiesta se non ripristina entro novanta
giorni un ottante suf ciente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni.
N.B.: il prezzo offerto non può essere inferiore al prezzo più elevato pagato dall’offerente
nell’anno precedente per gli stessi titoli. Si obbliga a chi ha acquisito il controllo di far
bene ciare a tutti gli investitori del premio di maggioranza, si evita quindi che tale premio circoli
solo tra precedente ed attuale detentore del controllo senza transitare nel mercato (es. bisogna
offrire a tutti gli azionisti rimanenti un prezzo che non può essere inferiore al prezzo più alto
pagato dall’anno precedente se si compra il 25% dal socio di controllo e lo paghi 1milione e
250mila ad azione. Quando scatta l’obbligo ad offrire a tutti gli altri, devi offrire almeno 1milione
e 250mila ai rimanenti).
Se uno sa già questa cosa fa i conti prima, sarà prudente perché poi dovrà offrire la stessa
somma a tutti gli altri. Gli obblighi di offerta e acquisto non sono solo a carico di chi
singolarmente raggiunge il possesso delle partecipazioni rilevanti, ma anche in solido alle
persone che agiscono di concreto.
L’OPA preventiva
L’OPA preventiva è un’OPA avente per oggetto almeno il 60% delle azioni ordinarie di una
società. Determina il non insorgere dell'obbligo di OPA obbligatoria totalitaria se:
• Durante l’anno precedente la comunicazione dell’offerta alla Consob, l'offerente non abbia
acquistato (anche indirettamente) una partecipazione nel capitale superiore all’1% nella
società le cui azioni sono oggetto dell’OPA.

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• L’ef cacia dell’offerta sia approvata da tanti soci che detengono la maggioranza delle azioni
ordinarie della società bersaglio (esclusi i voti dell’offerente, del socio di maggioranza e di
quanti agiscono in concerto con loro).
Ritorno ai gruppi
Se si superano delle soglie rilevanti derivanti da acquisti realizzati in una precedente OPA
lanciata di propria iniziativa dallo stesso soggetto si ritorna ai gruppi.
Normalmente le banche concedono prestiti alla nuova capogruppo che ha acquistato la società
target con l’idea che la nuova società riuscirà a sanare il debito.
Se il funzionamento va a buon ne ci sarà una fusione e il debito spetterà non solo ad A, ma
anche a B.
L’informazione societaria
Il T.U.F. in tema di partecipazione degli emittenti per il buon funzionamento del mercato ha per
oggetto la trasparenza dei fatti riguardanti l’impresa; quando l’emittente colloca i prodotti
nanziari nel mercato, anche nel periodo in cui c’è la negoziazione di questi, i fatti rilevanti che lo
riguardano devono essere oggetto di informazione nei confronti degli operatori ( nanziari).
Se l’emittente accede quindi al mercato regolamentato e i suoi strumenti nanziari sono quotati:
• L’ingresso di questi strumenti è preceduto dalla diffusione preventiva di un prospetto di
quotazione. Questo è il presupposto per la negoziazione.
• Una volta avuto l’accesso al mercato, l’emittente deve sottoporsi ad una disciplina di
trasparenza che intende il continuo aggiornamento degli operatori sui fatti che riguardano gli
strumenti quotati e le società.Questo è essenziale per formare prezzi adeguati a contenuti e
qualità dei prodotti oggetto di scambio, ma anche per conseguire il funzionamento tra
domanda ed offerta. È previsto l’obbligo a carico degli emittenti di adeguarsi a un sistema di
produzione e comunicazione di informazioni regolamentate da diffondere e depositare
presso la Consob e la società di gestione del mercato (le informazioni sono soggette a
vigilanza). Queste informazioni dovranno essere pubblicate sui giornali nazionali.
• Le informazioni riguardano le principali operazioni dell’emittente (es. le vicende
dell’organizzazione rilevanti) sono individuate dalla Consob, ma anche operazioni
straordinarie (es. fusioni, scissioni, realizzazione di patrimoni destinati, emissioni di
obbligazioni, ecc.).
• Si prevede un obbligo di continua informazione del mercato; in relazione a fatti che non
sono speci cati dalla legge ex ante. Si devono pubblicare anche le informazioni price
sensitive; ovvero notizie riguardanti i fatti sociali dell’emittente (o informazioni di natura
macroeconomica) che all'atto della diffusione, modi cano il prezzo dello strumento nanziario.
Lo statuto speciale delle s.p.a quotate
Il T.U.F. dedica delle disposizioni riguardo la disciplina delle società con azioni quotate in
mercati regolamentati italiani o di Paesi dell’UE. La ragione di queste previsioni speciali è
data dal fatto che vi sono delle esigenze nel mercato nanziario, e dal fatto che l’emittente
immette nel mercato (e sottopone a quotazione) le proprie azioni (si ricorda che questi titoli
attribuiscono diritti partecipativi).
Le azioni sono oggetto di quotazione; questo potere non fa capo ai soci ma al mercato, la
distribuzione di azioni fa sì che possa variare continuamente la loro quotazione (anche di
assemblea in assemblea) per l’effetto della possibilità di reperire azioni sul mercato (con diritto
di voto). La quotazione deve ri ettere però il valore proporzionale assegnabile ai diritti in
essa contenuti: il legislatore detta delle norme che assicurino la fedeltà del prezzo di
quotazione all’integrale valore all’emittente. La disciplina interviene sulla corporate governance
delle società attraverso:

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• Una disciplina di trasparenza (per far sì che l’analisi degli operatori di mercato sia rilevante
per formare un’adeguata quotazione dei titoli contemplando il pro lo della governance).
• La previsione di regole organizzative.
Con lo statuto speciale si tratterà la disciplina di:
• Assetti proprietari: per garantire trasparenza, si vuole rendere consapevole il mercato e la
S.P.A. riguardo la composizione e gli equilibri del complesso sociale.
Le partecipazioni rilevanti sono quelle suscettibili a far presumere un’attenzione
dell’azionista nella governance, instaurando un interesse a un comportamento attivo.
La partecipazione si dice rilevante quando si ha la titolarità di azioni in misura maggiore al 3%
del capitale (5% nelle PMI). Una volta superata tale soglia scatta l’obbligo dell’azionista di
darne comunicazione alla società partecipata e alla Consob: quest’obbligo di comunicazione
scatta ogni qualvolta si supera il 5% del capitale e dei successivi multipli no al 30%, ma anche
quando si supera il 50,6 e il 90%. Se non si provvede a ciò, oltre ad una sanzione
amministrativa, il voto è sospeso. Se si esercita il diritto di voto e il suo voto è stato
determinante la delibera può essere annullabile entro 6 mesi anche dalla Consob.
Con le partecipazioni reciproche tra società quotate, invece si vuole evitare che queste
partecipazioni superino il 5% (in PMI) e il 3% del capitale (in società diverse). Dunque, si vuole
evitare che ci siano accordi impliciti tra gruppi di comando intesi a mantenere o rafforzare
posizioni di potere.In caso di violazione, la società che ha ecceduto nella percentuale non
può esercitare il diritto di voto per le azioni eccedenti, inoltre queste deve venderle entro 1
anno dalla data in cui ha superato il limite. Se non le ha vendute il voto è sospeso per l’intera
partecipazione azionaria.Si ricorda l’importanza della legale pubblicità dei patti parasociali per
le società quotate in quanto in uiscono sul diritto di voto, la Consob necessita di sapere di ciò
quindi bisogna iscrivendoli presso il registro delle imprese e pubblicarli in stampe quotidiane
(ma devono essere almeno partecipazioni del 2% del capitale).
• Struttura nanziaria (per rendere compatibile con i principi del mercato mobiliare l’interesse
della società a rafforzare la capacità di reperire capitali di rischio).
La legge non disegna una struttura nanziaria particolare per le società quotate, ma regola 3
istituti:
- Le cosiddette Loyalty shares: statutariamente sui diritti patrimoniali può essere riconosciuto
agli azionisti una sorta di “premio fedeltà”, attribuendo una maggiorazione del dividendo non
eccedente il 10% del comune dividendo, a favore di coloro che posseggono i titoli per un
periodo continuativo indicato dallo statuto
- Maggiorazione del voto: statutariamente sul piano amministrativo, all’investitore stabilmente
legato alla S.P.A. è offerto anche qui un “premio fedeltà”, si può attribuire un voto
maggioritario no ad un massimo di 2 voti per ogni azione posseduta per un periodo
continuativo di 2 anni (è un rimedio al fatto che le società quotate non possono emettere
azioni a voto plurimo). Se l’azione con maggiorazione del voto è ceduta, la cessione comporta
sempre la perdita della maggiorazione del voto.
- Azioni di risparmio (è una categoria di azioni, le prime no): le società quotate possono
emettere azioni prive del diritto di voto che siano dotate di particolari privilegi di natura
patrimoniale (lo statuto determina il privilegio, riguardo modalità e limiti). Questi azionisti di
risparmio però hanno bisogno di tutela, infatti l’organizzazione è analoga a quella delle
obbligazioni (ovvero con un’assemblea speciale degli azionisti di risparmio e un
rappresentante comune degli stessi).
• Regole di governo (regole speciali sugli organi incaricati della gestione e vigilanza, revisione
contabile, il rapporto e le relazioni tra questi e gli azionisti).

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Governance in senso stretto
Si tratta di regole integrative ispirate a formulare un sistema di corporate governance che tuteli
gli investitori.
La quotazione dei titoli di una S.P.A. determina la “polverizzazione della proprietà azionaria”:
ciascun investitore risulta proprietario di quote minime del capitale di rischio. Spesso
l’investitore medio è il risparmiatore (interessato ad una rendita, e spesso non a partecipare
all’attività), pochi sono gli investitori interessati ad acquisire quote di potere rilevante.
Si è arrivati ad un cambiamento: spesso l’azionariato dei risparmiatori è interessato a effettuare
un controllo di merito verso l’operato degli amministratori, ma il controllo non può essere
af dato allo spontaneo esercizio da parte degli azionisti dei diritti sociali (es. sollecitare la
gestione).
L’investitore può però bene ciare di un controllo indiretto della gestione attraverso il “gioco
del mercato”. La domanda di investimento è alta se saranno alti i risultati della gestione: quindi
gli amministratori e il collegio sindacale saranno motivati ad operare ef cientemente (per non
vendere le quote agli azionisti, che si potrebbero abbassare se operassero inef cientemente).
Per quanto riguarda gli altri investitori ci sono quelli professionisti, e quelli interessati alla
conduzione dell’impresa.
Il diritto dei soci
I soci hanno diritto ad essere avvisati per la convocazione dell’assemblea; ad ottenere una
relazione dettagliata riguardo alle materie dell’ordine del giorno e a formulare domande e
richiedere chiarimenti riguardo le materie dell’ordine del giorno.
Le regole speciali del T.U.F. riguardano anche l’assemblea. Nelle S.P.A. quotate non può
esprimersi un apprezzamento realmente collegiale sul dettaglio della gestione: l’assemblea
rappresenta piuttosto un luogo in cui si formalizza l’approvazione o meno del rendiconto della
gestione, si accettano o meno gli indirizzi politico strategici dell’attività seguiti dagli
amministratori (si evidenzia il fatto che è ammissibile il voto per corrispondenza o il voto su
delega con istruzioni di voto).
Va enfatizzato il ruolo degli investitori istituzionali, cioè soggetti che hanno competenze
professionali per leggere e capire i dati emergenti dall’informazione societaria e a cui spetta
indirizzare e canalizzare la domanda di investimento proveniente dai risparmiatori e
dall’investitore professionale. Tutto questo serve af nché i risultati societari (una volta approvati)
vengano sottoposti ad un giudizio esterno degli investitori che valuteranno se optare per
mantenere o modi care le scelte di investimento (decidendo un eventuale recesso). È in questo
modo che controllano indirettamente la gestione della società. Il legislatore quindi detta delle
regole speciali riguardo l’amministrazione e il controllo delle S.P.A. quotate che sono intese a
rafforzare e migliorare i controlli interni agli organi sociali (es. nomina da parte della minoranza
di amministratori e di sindaci, o regole che focalizzano requisiti di eleggibilità delle cariche
sociali) cercando di reprimere abusi. Ovviamente si ricorda che l’informazione azionaria deve
essere veritiera, o l’intero sistema di controllo sarebbe un “castello di carta” che non può
impedire condotte lesive da parte degli amministratori. Il controllo sulla correttezza riguardo
l’operato degli amministratori e dell’intera struttura è importante; questo si attua con regole e
gure nuove (es. con il revisore contabile o con l’ampliamento dei poteri e doveri dell’organo di
controllo che operano un controllo preventivo verso gli amministratori). Ci sono anche delle
regole speciali (come il dovere di relazione alla Consob per i fatti censurabili o dei problemi
constatati in sede di giudizio sul bilancio).
Le operazioni straordinarie
Le società di capitali, per varie ragioni, possono affrontare diversi tipi di operazioni che
comportano una signi cativa ricon gurazione della loro struttura patrimoniale e organizzativa:
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• Aumenti del capitale sociale (artt. 2438 ss. e 2481 ss.)
• Trasformazione (artt. 2498 ss.)
• Fusione (artt. 2501 ss.).
• Scissione (artt. 2506 ss.).
• Scioglimento e liquidazione (artt. 2484 ss.). Si parla dell’evento dello scioglimento della
società e del suo patrimonio.
N.B.: stiamo parlando della liquidazione ordinaria, ovvero quella volontaria gestita dalla società
stessa (ci sono altri casi patologici, come ad esempio la liquidazione in caso di fallimento).
I punti 1 e 3 riguardano solamente la società di capitali, il 2 punto riguarda anche altri tipi di
società
Queste operazioni in tutti i casi implicano una modi cazione dell’atto costitutivo/statuto, per
le società di capitali le relative deliberazioni devono essere iscritte entro 30 giorni nel registro
delle imprese (artt. 2436 e 2480) a cura del notaio verbalizzante, che controlla il rispetto delle
condizioni previste dalla legge. L’ef cacia è costitutiva.
Aumenti del capitale
Con l’aumento di capitale si vuole rafforzare la solidità patrimoniale e nanziaria della società. Ci
sono due modi:
1. Aumento di capitale gratuito
Non si chiedono soldi nuovamente ai soci o terzi, bensì è la società stessa che imputa a
capitale tramite
un’operazione contabile delle risorse disponibili come le riserve.
Il concetto di riserva attiene a tutti quei fondi e risorse che sono nel patrimonio della società,
ma che non sono titoli di debito verso nessun creditore. Generalmente sono utili, che nel caso
ottenuti non sono stati distribuiti per reinvestirli. Le riserve possono essere legali o disponibili.
O vengono emesse nuove azioni (le riserve sono distribuite sottoforma di azioni) o non si
rimettono nuove azioni, ma si modi ca il valore nominale delle azioni (es. per ogni azione da 1
euro si passa a 2).
2. Aumento di capitale a pagamento/reale
Qui vengono introdotti nuovi conferimenti. Ci sono alcuni vincoli:
• Non si può fare un aumento di capitale quando le azioni già emesse non sono state
completamente liberate (si devono nire di eseguire tutti i conferimenti dei soci).
• Scindibilità di aumento: se si decide di aumentare il capitale per 1milione, verranno raccolti i
conferimenti: se alla ne del termine ssato si raccolgono solo una parte di quel milione,
come regola anche le risorse raccolte vengono restituite (se si aumenta di 1milione, si
aumenta di 1 milione o non si fa nulla). Deve essere decisione dell’assemblea il fatto che
l’aumento possa essere scindibile (se si ottengono solo 750 mila euro, si aumenta solo di
questa somma).
I nuovi conferimenti sono soggetti alle stesse regole di quelli già emessi.
Essendo una modi cazione dell’atto costitutivo la deliberazione è competenza dell’assemblea
straordinaria. È anche vero che questa è una decisione anche gestionale, quindi la decisione
può anche essere delegata all’organo amministrativo. Nelle S.R.L. può essere una delega
permanente, nella S.P.A. può essere solo una delega che dura al massimo 5 anni.
Si devono speci care l’ammontare, il termine nale e la tipologia di conferimenti. I problemi di
questo aumento di capitale:
- Se si aumenta, possono entrare nuovi soci, o gli stessi soci potrebbero sottoscrivere nuove
azioni ma non tutti nello stesso modo. Il tema di fondo è che si possono alterare i rapporti di
forza (i soci attuali possono vedere ridotta la propria quota sul totale del capitale, può mutare
il loro peso decisionale).
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- Quando vengono emesse nuove azioni, queste hanno le stesse caratteristiche di quelle già
emesse; ma se non si trova il prezzo giusto, il rischio per i soci è che ci sarà una diluzione del
valore della loro quota.
Per evitare questi problemi è previsto il diritto di opzione. Ciascun socio ha questo diritto
sulle azioni emesse in proporzione alla sua quota di partecipazione, in modo da mantenere la
stessa quota anche dopo un aumento di capitale. Viene dato un termine di 15 giorni.
Gli amministratori non possono indirizzare a chi vogliono queste azioni proprio perché esiste
questo diritto.
Nelle S.P.A. non quotate c’è un ulteriore limite: si prevede che scaduto il termine per
esercitare l’opzione, sulle azioni non esercitate hanno il diritto di prelazione i soci che hanno
esercitato l’opzione.
Nelle S.P.A. quotate non vale, ma gli amministratori devono offrire per almeno 5 sedute tutte le
azioni inoptate.
In certi casi si può limitare o escludere questo diritto di opzione:
• Nelle S.P.A. quotate si può escludere il diritto di opzione no al 10% del capitale preesistente.
• Nelle S.P.A. in generale i casi in cui si può escludere il diritto di opzione sono:
- Quando le nuove azioni vanno sottoscritte con conferimenti in natura (non è fungibile).
- Quando le azioni sono destinate ai dipendenti della società.
- Quando l’interesse della società lo esige (è una clausola generale)
• Nelle S.R.L. la possibilità di escludere il diritto di opzione va prevista nell’atto costitutivo,
anche senza una causa speci ca. In questo caso il socio che non è d’accordo con l’aumento di
capitale ha il diritto di recedere.
Ogni socio ha la chance di rimanere come prima, semplicemente ci deve mettere nuovi soldi. Se
il diritto di opzione è limitato o escluso, si pone l’esigenza di riallineare le azioni emesse con
l’effettivo valore di quelle già emesse. Se non c’è questo allineamento, i soci che non
sottoscrivono queste azioni, possono subire una diminuzione del valore delle proprie
partecipazioni, dunque c’è un vantaggio per i nuovi sottoscrittori di nuove azioni. Infatti, se
pagano meno di quanto vale l’azione già emessa, un po' di soldi passano dai soci vecchi a quelli
nuovi (es. capitale sociale 6 milioni: numero azioni emesse 6000, il valore nominale di ognuna è
di 1000. Se si aumenta il capitale emettendo 2000 azioni in più e per varie ragioni è stato
escluso il diritto di opzione, se un soggetto vuole sottoscrivere tutte queste 2000 azioni, quando
deve pagare ogni azione? Bisogna vedere la situazione della società, se il patrimonio netto della
società è di 12milioni con 6milioni di riserve, il valore contabile delle azioni è quello di 2000
euro per ogni azione (12milioni diviso 6). Se gli amministratori fanno pagare il valore nominale
di 1000 euro per ogni azione e questo ne compra 2000, il nuovo socio fa un conferimento di
2milioni di euro: ciò signi ca che il capitale sociale è di 8milioni e il patrimonio netto diventa
14milioni. Ora le azioni emesse sono 8000 (6000+nuove emesse), ma qual è il valore contabile
di tutte le azioni? (14milioni diviso 8000 azioni) il valore sarebbe di 1750; si diluisce il valore di
tutte le azioni, i soci che avevano azioni che valevano 2000 euro, ora valgono 1750, i 250 euro in
meno ad azione sono andati al nuovo socio). Per tutelare i soci da ciò si prevede l’obbligo del
sovrapprezzo quando viene escluso, mentre normalmente il prezzo delle azioni è una
contrattazione, in questo caso c’è il vincolo di tener conto di quanto vale il patrimonio netto e se
è superiore al capitale sociale si devono emettere azioni con un prezzo maggiorato al loro
valore nominale che va accantonato in una riserva da sovrapprezzo. Il sovrapprezzo va versato
subito.
N.B.: L’obbligo da sovrapprezzo non è previsto nel caso di aumento scindibile nella S.P.A. e in
ogni caso nelle S.R.L. (dove però c’è il diritto di recesso se è precluso il diritto di opzione).

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Spesso la maggioranza sfrutta un aumento di capitale nei confronti della minoranza che si
indebolirà.
La trasformazione
Si ha una rivalutazione della scelta riguardo la forma giuridica fatta quando vi è stata la
costituzione societaria. La scelta societaria si può rifare nel corso della vita dell’impresa, perché
si passa da una piccola S.R.L., se questa cresce si può trasformare in S.P.A. Attraverso la
modi ca dell’atto costitutivo (che deve contenere gli elementi essenziali del tipo di
destinazione) e l’iscrizione nel registro delle imprese si può cambiare la forma giuridica
dell’ente (anche se si è in corso di una procedura concorsuale), ma rimane sempre lo stesso
soggetto giuridico e lo stesso centro di imputazione. I rapporti giuridici preesistenti continuano
e ricadono ancora al soggetto trasformato. Inoltre, l’attività d’impresa continua sempre ma con
un assetto giuridico mutato (“l’ente conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti
anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione”).
Trasformazioni omogenee
Si cambia il tipo societario, senza modi care lo scopo/ ne sociale: rientra nella modi ca
dell’atto costitutivo. Se si vuole passare da una società di persone ad un’altra di persone la
decisione deve essere presa all’unanimità da tutti i soci. Se si vuole passare da una società di
capitali ad un’altra di capitali occorrerà una delibera a maggioranza da parte dell’assemblea
straordinaria, con una verbalizzazione notarile.
A. Trasformazioni progressive: da illimitatamente responsabili a limitatamente). La fase si
snoda in 4 cardini:
1. Decisione di trasformazione.
La decisione di trasformazione deve risultare da atto pubblico, l’ef cacia della
trasformazione decorre dagli adempimenti pubblicitari. Chi decide? Nella società di
persone tutti i cambiamenti del contratto di partenza ci vuole l’unanimità dei soci, ma in
deroga a ciò il codice consente che la decisione venga adottata in maggioranza calcolata in
base alla quota sull’utile, per favorire la trasformazione. Chi non è d’accordo può recedere
dalla società
2. Formazione del capitale sociale della società risultante dalla trasformazione. Nella società
di persone non c’è la disciplina del capitale sociale; quindi si devono rispettare delle regole
formali. Se si va a costituire bisogna creare un capitale sociale in base ai valori attuali degli
elementi dell’attivo e del passivo, si dovrà ssare il capitale in una cifra non eccedente il
patrimonio netto risultante da una relazione giurata di stima di un esperto designato dal
Tribunale se la trasformazione è in S.P.A., oppure scelto dai soci (tra gli iscritti nel registro dei
revisori) se la trasformazione è in S.R.L. Il patrimonio della società di persone che si trasforma
è considerato come un unico conferimento in natura, da sottoporre ad una valutazione di un
terzo imparziale e dotato di requisiti di professionalità (a tutela dei terzi e dei creditori).
Se il patrimonio netto della società risultante dalla stima è inferiore al minimo legale per la
costituzione della società, i soci dovranno effettuare nuovi conferimenti.
3. L’assegnazione di quote/azioni ai soci della società risultante dalla trasformazione.
Per tutelare i soci, questi hanno diritto all’assegnazione di un numero di azioni o di una quota
di partecipazione che sia proporzionale alla partecipazione sociale detenuta nella società di
persone. Riguardo al socio d’opera, questo può contribuire prestando la propria opera
ottenendo comunque azioni, ma nel momento della trasformazione il valore della
prestazione non può essere imputato al capitale.
4. La responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali sorte anteriormente all’iscrizione nel
registro delle imprese dell’atto di trasformazione.
I soci illimitatamente responsabili non rispondono più delle obbligazioni sociali anteriori, a

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meno che i creditori neghino il consenso alla trasformazione entro 60 giorni dalla
comunicazione della sua liberazione.
B. Trasformazioni regressive (da limitatamente responsabili a illimitatamente responsabili).
Si tratta di una delibera dell’assemblea straordinaria, ma qui ci sono soci che diventeranno
illimitatamente responsabili e perciò ci vuole l’unanimità o comunque il consenso individuale di
tutti i soci. Inoltre, gli amministratori dovranno predisporre una relazione che giusti chi i motivi e
gli effetti della trasformazione. Ciascun socio ha diritto all’assegnazione di una partecipazione
proporzionale al valore della sua quota/azioni. La responsabilità implica che si rispondere anche
di tutte le obbligazioni sorte anteriormente alla trasformazione.
Trasformazioni eterogenee
La disciplina delle trasformazioni eterogenee consente di far continuare l’attività di impresa
nell’ipotesi in cui si ha un mutamento della forma giuridica di impresa, quindi si passa da
società di capitali a:
• Società con diverso scopo/ ne (consortile o mutualistico).
• Enti collettivi non societari (consorzi, associazioni non riconosciute, fondazioni).
• Comunioni d’azienda.
O viceversa (da enti collettivi non societari/comunioni d’azienda/da società consortili a società di
capitali).
C’è solo un vincolo: non si può trasformare una cooperativa con mutualità prevalente in una
società lucrativa. Questo per evitare che i soci cooperatori possano riappropriarsi delle risorse
accumulate sottraendole alla cooperativa. Le altre società cooperative possono trasformarsi in
società lucrative se vengono rispettate leggi speciali; occorre almeno il consenso della metà dei
soci. Al contrario, la società che vuole trasformarsi deve devolvere il valore effettivo del suo
patrimonio ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. La vicenda
non implica alcun trasferimento di beni, consente di modi care l’assetto organizzativo
dell’impresa a prescindere dai costosi adempimenti che la circolazione dei beni (soprattutto
immobili) richiede. Il procedimento è il seguente: per la trasformazione da società di capitali
in altri enti, la tutela verso i creditori e i terzi è rafforzata da un quorum deliberativo di 2/3
degli aventi diritto al voto (fermo restando il consenso dei soci che nell’ente assumeranno
responsabilità illimitata). Inoltre, gli amministratori (come nella regressiva) sono tenuti a
predisporre una relazione circa i motivi e gli effetti della trasformazione, relazione che sarà
depositata presso la sede societaria nei 30 giorni che precedono la convocazione
dell’assemblea per deliberare la trasformazione. È più agevole la trasformazione in società di
capitali.
Per i consorzi, la deliberazione di trasformazione è soggetta a maggioranza; nelle associazioni
e nelle società consortili occorre la maggioranza richiesta dalla legge/atto costitutivo per lo
scioglimento anticipato; mentre se a trasformarsi è la comunione d’azienda, la deliberazione ha
successo se vi è unanimità dei soci. In ogni caso il patrimonio dell’ente è soggetto ad una stima
(come nelle regressive), e l’atto di trasformazione deve risultare da atto pubblico contenente le
caratteristiche della società prescelta. La trasformazione eterogenea ha effetto dopo 60 giorni
dall’iscrizione nel registro delle imprese. Entro questo termine i creditori possono fare
opposizione in Tribunale.
Trasformazioni atipiche
Sono lecite le trasformazioni atipiche, ovvero quelle diverse da quelle espressamente
previste per legge, ma sono valide se non contrastano con norme inderogabili e tutelino gli
interessi di soci, creditori e terzi.
N.B.: non è trasformazione quella da impresa individuale a società unipersonale (sarebbe un
conferimento d’azienda) né il contrario.

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Invalidità della trasformazione
In tutti i casi, una volta iscritta la trasformazione nel registro delle imprese non si può più tornare
indietro e la deliberazione assembleare se non fosse conforme alla legge, non può essere più
pronunciata dal momento dell’iscrizione, e può rilevare solo ni risarcitori.
La fusione
Più imprese vengono concentrate giuridicamente (è economica se riguarda il gruppo di
imprese) in una sola. Le fusioni che coinvolgono le S.P.A. sono soggette a regole più stringenti.
C’è stata inoltre una speci ca disciplina riguardo fusioni transfrontaliere intracomunitarie. Le
fusioni sono di 2 tipi:
1. Fusione in senso stretto: viene ad esistenza una nuova società uni candone due
preesistenti.
2. Fusione per incorporazione: è più frequente, una società già operante incorpora una o più
società.
Le società incorporate o fuse si estinguono per effetto della fusione. La società risultante dalla
fusione/incorporazione assume tutti i diritti e gli obblighi delle società che hanno partecipato
alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti anteriori alla fusione (anche processuali).
Ai soci vengono attribuite in cambio alle partecipazioni societarie originariamente detenute (ora
annullate) azioni o quote dell’incorporante o della società risultante dalla fusione.
• Se la fusione coinvolge società del medesimo tipo è omogenea (es. due S.P.A. in una sola
S.P.A.).
• Se partecipano alla fusione società di tipo diverso la fusione è eterogenea (vi deve essere
almeno la trasformazione di una delle società coinvolte. Es. una S.R.L e una S.P.A. in una spa).
• Sono possibili fusioni trasformative eterogenee, cioè fusioni tra società con diverso scopo/
ne o tra enti diversi dalle società (incorporazione di una fondazione in una S.R.L., o viceversa).
C’è un unico limite: la partecipazione alla fusione non è consentita alla S.P.A. in liquidazione se
questa ha iniziato a distribuire l’attivo (se non ha iniziato a distribuire l’attivo si può fare, magari si
può fondere anche con un’altra società in liquidazione per risparmiare i costi). La società
risultante dalla fusione/incorporante non sarà in stato di liquidazione e dovrà esercitare
un’attività economica. È possibile che vi sussista la fusione anche quando una delle società è
sottoposta a procedure concorsuali (la fusione potrebbe far superare la crisi d’impresa).
Nel procedimento di fusione si vuole assicurare trasparenza nell’operazione. Ci sono 3 fasi
inderogabili:
1. Progetto di fusione
Il progetto costituisce l’esito di una precedente attività di programmazione gestionale e di
analisi strategica, redatto dagli amministratori per tutte le società coinvolte nella fusione (nelle
società di capitali è redatto dal C.D.A., senza possibilità di delega) indica le caratteristiche
dell’operazione che verrà proposta ai soci che decideranno se approvarla o no.
Il contenuto del progetto di fusione è essenziale. Devono risultare;
• Tutti i dati delle società coinvolte (tipo, denominazione/ragione sociale, sede).
• L’atto costitutivo della nuova società risultante dall’operazione (o dell’incorporante con
eventuali modi che derivanti dalla fusione).
• Le regole di assegnazione delle partecipazioni.
• Il momento di decorrenza degli effetti contabili della fusione (data dalla quale le azioni/quote
partecipano agli utili, data dalla quale le operazioni delle società partecipanti sono imputate al
bilancio della società nuova o incorporante).
• Ipotesi di particolari categorie di soci o attribuzione di titoli diversi dalle azioni (strumenti
nanziari partecipativi o non).

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• Vantaggi particolari eventualmente proposti agli amministratori.
Spesso vi è l’indicazione del rapporto di cambio delle azioni o quote; viene istituito un
indice numerico (sottoposto ad un giudizio di un esperto) sul quale saranno assegnate le
azioni/quote della società risultante dalla fusione ai soci delle società incorporate o fuse. Il
rapporto di cambio consente di valutare la convenienza della fusione (es. 5 azioni della società
B incorporata daranno diritto ad ottenere un’azione della società Y incorporante).
Il progetto di fusione deve essere sottoposto a pubblicità legale o con l’iscrizione presso il
registro delle imprese o pubblicandolo nel sito Internet della società.
È previsto un termine minimo di 30 giorni (15 se si tratta di fusioni tra società non azionarie) tra
la pubblicità legale e la data ssata per la decisione di fusione.
Allegati per un’informativa più completa e dettagliata:
• Il C.D.A. delle società coinvolte deve redigere (con le norme riguardo il bilancio) la situazione
patrimoniale delle società stesse. Si tratta di un bilancio di fusione (infrannuale) che offre un
quadro delle società partecipanti. Questo deve essere riferito ad una data non precedente i 4
mesi rispetto il giorno della pubblicità legale (ma se il bilancio è stato chiuso non oltre 6 mesi
prima può essere allegato.
• Il C.D.A. deve inoltre fornire una relazione che illustra e giusti ca il progetto di fusione e il
rapporto di cambio (deciso dagli stessi amministratori, esplicitandone i criteri di
individuazione che non sono arbitrari). Dovranno inoltre informare i soci (e agli altri CDA delle
società coinvolte) le modi che rilevanti agli elementi dell’attivo e del passivo intervenuti tra la
data della pubblicità legale e la data di decisione della fusione.
• Uno o più esperti dovranno redigere una relazione sulla congruità del rapporto di cambio.
Viene richiesto un parere sull’adeguatezza dei criteri seguiti dagli amministratori per la
determinazione del concambio.
• Nelle fusioni tra società di persone e di capitali; per la tutela dei creditori (per garantire
l’effettività del capitale post-fusione) gli esperti devono redigere una relazione di stima del
patrimonio della società di persone (secondo criteri analoghi alla valutazione dei conferimenti
in natura).
Tutti questi documenti insieme ai bilanci degli ultimi 3 esercizi dovranno essere depositati
nella sede di ciascuna società o pubblicati nel sito Internet durante i 30 giorni che
precedono la decisione di fusione
2. Delibera di fusione
La fusione deve essere decisa da ciascuna delle società con l’approvazione del progetto di
fusione.
- Nella società di persone avviene a maggioranza (determinata secondo la parte attribuita a
ciascuno negli utili) se non previsto diversamente. Inoltre, il socio dissenziente può recedere
dalla società.
- Nella S.P.A. tramite delibera nell’assemblea straordinaria (secondo i quorum previsti per la
modi ca dell’atto costitutivo). Al socio dissenziente non è riconosciuto il diritto di recesso (a
meno che la fusione sia eterogenea e previsioni la trasformazione, o implichi una modi ca
statutaria per la quale è previsto questo diritto. Es. modi ca oggetto sociale che muta l’attività
della società).
- Nella S.R.L. si richiede il metodo assembleare e la decisione è presa a maggioranza. Il socio
dissenziente può recedere dalla società.
La decisione può apportare a delle modi che al progetto di fusione (che non incidono sui
diritti dei soci/terzi).
La deliberazione di fusione quando la stessa ha l’obbiettivo di creare una società di capitali
deve essere sottoposta ad un controllo notarile.

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3. Stipula dell’atto di fusione
La fusione deve risultare da atto pubblico (anche se la società è di persone).
I legali rappresentanti delle società partecipanti eseguono le modi che statutarie decise dai
rispettivi soci. Entro 30 giorni dalla stipulazione dell’atto il notaio (o gli amministratori della
società incorporante) deve depositare l’atto di fusione per l’iscrizione nel registro delle
imprese dei luoghi dove è posta la sede delle società coinvolte, nonché della società
risultante dalla fusione, quest’ultimo deposito non può precedere quello alle società
incorporate o fuse (deve esser fatto per ultimo).
Dall’ultima delle iscrizioni si ha la costituzione della società che risulta dalla fusione, che
assume i diritti e gli obblighi delle precedenti società proseguendo in tutti i rapporti
antecedenti alla fusione (anche processuali). Dopo la costituzione gli amministratori possono
compiere gli atti di esecuzione (es. annullamento delle vecchie azioni e l’emissione di
nuove azioni, liquidazione dei soci recedenti, chiusura dei bilanci delle società coinvolte).
Verrà poi aperto il bilancio della nuova società, le cui attività e passività, secondo un
principio di continuità contabile, sono iscritte ai valori risultanti dalle scritture contabili alla
data di ef cacia della fusione.
Una volta eseguite le iscrizioni dell’atto di fusione presso il registro delle impese, l’invalidità
non può essere pronunciata, ma resta salvo il diritto al risarcimento dei soci o dei terzi
danneggiati dalla fusione.
Ci sono delle sempli cazioni riguardo le tre fasi:
• Le agevolazioni per le fusioni se non partecipano società con capitale rappresentato da azioni
sono già emerse.
• Ci sono delle sempli cazioni se la fusione per incorporazione coinvolge società interamente
possedute (o possedute per almeno il 90%). La competenza di questa decisione spetta
all’organo amministrativo con deliberazione risultante da atto pubblico. Se la società da
incorporare è interamente posseduta, non occorre indicare il rapporto di cambio.
Se si fondono società meno solide o in dif coltà, i creditori potrebbero subire dei pregiudizi: la
fusione ha quindi effetto soltanto se dopo 60 giorni dall’iscrizione dell’ultima decisione di
fusione, nessun creditore (anteriore all’iscrizione o al progetto di fusione) si oppone (30 giorni
se la fusione è tra società non azionarie). Un’eventuale opposizione sospende l’attuazione
dell’operazione no a quando il Tribunale non ha valutato il pregiudizio del creditore: se
infondato (o se la società ha posto garanzia) il tribunale può far procedere la fusione.
Se le società hanno il bisogno di dare immediata esecuzione dell’operazione, possono
effettuare una fusione anticipata se ci sono:
- Consenso di tutti i creditori delle società partecipanti anteriori alla pubblicità legale del
progetto di fusione.
- Pagamento dei creditori non consenzienti.
- Deposito delle somme corrispondenti presso una banca.
- Ma anche in tutti gli altri casi in cui la situazione patrimoniale e nanziaria delle società
rende delle garanzie a tutela dei creditori.
La fusione attuata mediante costituzione di una nuova società di capitali (o tramite
incorporazione in una società di capitali) non libera automaticamente i soci dall’eventuale
responsabilità illimitata per le obbligazioni delle società partecipanti sorte prima dell’ultima
iscrizione all’atto di fusione (a meno che i creditori non abbiano dato consenso alla fusione).
La scissione
Si attua mediante un processo di ristrutturazione dei complessi societari. Con la scissione
una società assegna tutto (scissione totale) o parte (scissione parziale) del proprio patrimonio

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ad una (nel solo caso di scissione parziale) o più società bene ciarie preesistenti i di nuova
costituzione (in ipotesi di scissione sia totale che parziale).
Contestualmente all’assegnazione patrimoniale, le azioni/quote della/e società bene ciaria/e,
ma sono direttamente assegnate ai soci della società scissa sulla base di un rapporto di
cambio. Non si tratta di un’operazione inversa alla fusione, la scissione assume diverse forme
con conseguenze diverse:
- Nella scissione totale la società assegna tutto il suo patrimonio più bene ciarie. La vecchia
società si estingue senza la fase di liquidazione, dato che l’attività prosegue nelle società
bene ciarie a cui vengono imputati diritti e obblighi della scissa in proporzione alla quota di
patrimonio trasferita.
- Nella scissione parziale la società scissa assegna una parte del patrimonio ad una o più
bene ciarie. La società scissa non si estingue ed opera con un patrimonio ridotto, i soci
acquistano anche partecipazioni della(e) bene ciaria(e).
Se la bene ciaria è una società:
- Di nuova costituzione si ha la scissione in senso stretto e l’atto di scissione funge da atto
costitutivo delle nuove società (almeno inizialmente corrispondono i soci di quella estinta).
- Già preesistente si ha la scissione per incorporazione. L’operazione è caratterizzata
dall’aumento del capitale (e del patrimonio) delle società bene ciarie.
N.B.: valgono per la scissione gli stessi limiti per la fusione.
La scissione può essere:
• Omogenea: se il patrimonio della scissa è assegnato a società bene ciarie dello stesso tipo.
• Eterogenea: se il patrimonio della scissa è assegnato a società bene ciarie che non sono
dello stesso tipo. Si devono applicare allora anche i limiti alla trasformazione.
N.B.: non è consentita la scissione (né totale né parziale) di società azionarie in liquidazione se
hanno iniziato la ripartizione dell’attivo.
Nel procedimento di scissione vengono ricalcate le regole della fusione, ma vi sono ulteriori
regole a tutela dei soci e dei creditori:
1. Progetto di scissione e relazioni
Gli amministratori di tutte le società coinvolte nella scissione (anche le bene ciarie) devono
redigere un progetto di scissione con gli stessi allegati della fusione (situazione patrimoniale,
relazione degli amministratori e relazione degli esperti) e con gli stessi obblighi pubblicitari.
Nel progetto di scissione (nella situazione patrimoniale nello speci co) bisognerà:
- Descrivere esattamente quali elementi del patrimonio si dovranno assegnare a ciascuna
delle bene ciarie.
- Stabilire i criteri di distribuzione delle azioni/quote delle società bene ciarie, indicandone il
rapporto di cambio, de nendo anche la misura in cui i soci partecipano in ciascun delle
società bene ciarie.
- Se si tratta di una scissione totale; se alcuni elementi dell’attivo non sono destinati, le società
bene ciarie prendono tali elementi in proporzione alla quota del patrimonio netto assegnato
a ciascuna di queste (nel caso di scissione parziale l’elemento dell’attivo non indicato nel
progetto resta in capo alla società scissa); mentre se alcuni elementi del passivo non sono
destinati, sono responsabili in solido entrambe le società bene ciarie (nel limite del
patrimonio netto dato) (nella scissione parziale, si aggiunge anche la responsabilità della
scissa).
Nella relazione dell’organo amministrativo: il C.D.A. deve fornire i criteri di distribuzione
delle azioni/quote, indicando anche il valore effettivo del patrimonio netto assegnato alle
bene ciarie (e di quello eventualmente rimasto nella società scissa se si tratta di scissione
parziale).

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Nella relazione degli esperti: giudicano la congruità del rapporto di cambio delle azioni/
quote, ma per evitare costi in caso di scissione in senso stretto questa relazione è in deroga (se il
progetto prevede l’assegnazione a tutti i soci di azioni/quote proporzionali alla partecipazione
detenuta nella società scissa).
2. Deliberazione
Il progetto deve essere approvato dai soci e pubblicato secondo le regole della fusione.
3. Atto di scissione
Deve risultare da atto pubblico. La scissione acquista ef cacia costitutiva nel momento in cui
avviene l’ultima iscrizione dell’atto di scissione nel registro delle imprese dove sono iscritte le
società bene ciarie. Gli adempimenti pubblicitari della società scissa devono precedere gli
adempimenti pubblicitari delle bene ciarie.
In realtà la decisione di scissione non può essere eseguita immediatamente, la stipula dell’atto
di scissione può essere effettuata solo se dopo 60 giorni dall’iscrizione nel registro delle
imprese dall’ultima decisione di scissione (30 se alla scissione partecipano società azionarie) e
se i creditori non si oppongono al Tribunale.
È tuttavia possibile una stipula anticipata nel caso in cui:
- Tutti i creditori ne abbiano prestato consenso.
- Tutti i creditori dissenzienti siano stati pagati.
- È stata istituito un deposito in banca per il pagamento dei precedenti.
- La relazione sulla congruità del rapporto di cambio sia redatto da un’unica società di revisione
che affermi sotto la propria responsabilità che la situazione patrimoniale e nanziaria delle
società partecipanti non rende necessarie garanzie a tutela dei creditori non consenzienti.
L’invalidità non può essere proposta dopo l’iscrizione nel registro delle imprese.
Ci sono delle norme a tutela dei soci; nel progetto di scissione infatti devono risultare i criteri
di distribuzione delle azioni/quote delle società bene ciarie, ma viene fatto salvo il diritto al
risarcimento per i soci e i creditori.
In realtà si può decidere a maggioranza una scissione che preveda una distribuzione di quote/
azioni non proporzionale alla partecipazione originaria (scissione non proporzionale) (es. 3
soci che hanno il 33.3% delle partecipazioni, in caso di scissione totale uno ha il 60% in una
delle bene ciarie e due ne hanno 20% e 20% in altre bene ciarie); anche se i soci che non
approvano la scissione hanno il diritto di far acquistare le proprie partecipazioni (ma deve
risultare dal progetto di bilancio) per un corrispettivo determinato dai criteri previsti per il
recesso.
Mentre per scissione asimmetrica si intende di una scissione in senso soggettivo; con il
consenso unanime della società scissa ad alcuni soci non vengono assegnate azioni/quote di
una delle società bene ciarie, semplicemente vengono assegnate azioni/quote della società
scissa.
Scioglimento e liquidazione
Riguarda tutte le società di capitali; quando si veri ca una causa di scioglimento, si dovrà
procedere alla liquidazione del patrimonio sociale.
Scioglimento
Con lo scioglimento la società non cessa di esistere in quanto prosegue e mantiene la propria
personalità giuridica, ed entra nella fase di liquidazione: lo scioglimento non incide sui rapporti
giuridici, infatti l’esercizio dell’impresa può proseguire anche nella fase di liquidazione.
Gli effetti dello scioglimento si producono solamente con l’iscrizione nel registro delle
imprese della deliberazione assembleare (nel caso di scioglimento anticipato): l’organo di
gestione (nel caso di inerzia, lo fa il Tribunale) deve innanzitutto accertare la causa e convocare
l’assemblea per le deliberazioni relative alla liquidazione. Gli amministratori una volta che si
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veri ca la causa, si trovano ridimensionate le loro prerogative gestorie. Dal veri carsi della causa
infatti, devono gestire la società conservando l’integrità e il valore del patrimonio sociale (anche
se possono fare nuovi affari), se eccedono nella gestione ne assumono la responsabilità per
eventuali danni.
Cause legali:
1. Scadenza del termine: a meno che non sia a tempo indeterminato, il termine in realtà prima
della scadenza potrebbe essere prolungato con una modi ca statutaria.
Per la S.P.A. e per la S.A.P.A. chiuse la proroga del termine in assemblea straordinaria
richiede un quorum deliberativo rafforzato, inoltre il socio che non abbia concorso
all’approvazione può recedere dalla società. Per la S.R.L. non c’è nessun rafforzamento e al
socio dissenziente non è espresso il diritto di recesso.
2. Conseguimento o impossibilità dell’oggetto sociale: l’impossibilità si può manifestare in
qualsiasi momento e può essere materiale (di fatto) o giuridica. L’impossibilità deve essere
assoluta e de nitiva, ma soprattutto deve avere carattere oggettivo (es. non perdita del
capitale).
Il conseguimento si applica per determinati oggetti sociali (es. realizzazione di un’opera).
Al veri carsi del conseguimento o dell’impossibilità, lo scioglimento è evitabile: gli
amministratori sono obbligati a convocare l’assemblea per eventuali modi che statutarie
prima di accertare la causa di scioglimento.
Spesso l’assemblea per evitare lo scioglimento effettua “opportune modi che statutarie”,
spesso modi ca l’oggetto sociale o trasforma la società.
3. Impossibilità di funzionamento o continuata inattività dell’assemblea (o del consiglio di
sorveglianza nel dualistico): è il classico caso che ricorre quando ci sono due soci e ognuno
vota contro le proposte dell’altro.
Si tratta di situazioni patologiche dell’assemblea, anche se si tratta nel primo caso di un
qualcosa di irreversibile, nel secondo caso si parla di inerzia.
Per far sì che sussista questa causa, l’organo deve impedire l’adozione di delibere necessarie
ed essenziali (es. approvazione del bilancio).
4. Riduzione del capitale al di sotto del minimo legale: solo nel caso in cui la riduzione sia
effetto di una perdita per oltre 1/3 del capitale (perdita che rende obbligatoria la riduzione
del capitale).
5. Recesso del socio: se per il rimborso della partecipazione è necessaria la riduzione del
capitale, ma si ha l’opposizione da parte da uno o più creditori sociali.
6. Deliberazione assembleare straordinaria: prima della scadenza del termine l’assemblea
può stabilirlo. Essendo una modi ca dell’atto costitutivo, occorre deliberazione
dell’assemblea straordinaria.
Altre cause previste dalla legge:
• Nullità della società che è già iscritta nel registro delle imprese riguardo la S.R.L. e la S.P.A.
• Mancata presenza di tutti gli amministratori (accomandatari) nella S.A.P.A. e nei 180 giorni
non si provvede a risanare la situazione.
N.B.: non si fa riferimento al fallimento, per le società di capitali non è una causa di
scioglimento. Cause convenzionali:
Ci sono cause di scioglimento ulteriori da quelle legali (es. mancato raggiungimento di X
somma di fatturato a una X data). Qualora si veri chi l’evento, è opportuno anche decidere chi
dovrà disporne di delibera per lo scioglimento, e che quindi accerti la causa.

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Liquidazione
Questo procedimento è inderogabile anche se mancano attività e passività da liquidare. Se si
veri ca una causa di scioglimento e gli amministratori non provvedono a convocare l’assemblea
o non c’è una deliberazione di questa, la nomina dei liquidatori spetta al Tribunale.
Il procedimento si apre con la nomina dei liquidatori (se necessario) da parte dell’assemblea
straordinaria (nella S.P.A., nella S.R.L. la distinzione tra ordinaria e straordinaria non c’è) con
quorum previsti per la modi ca dell’atto costitutivo. In realtà lo statuto potrebbe creare
disposizioni in tema di liquidazione apposite.
Nella S.P.A. la gestione della liquidazione è una deroga, se ne occupano gli amministratori ma
ciò è di regola decida governata dai soci.
Alla nomina dei liquidatori si accompagna:
• L’indicazione dei criteri in base alla quale deve svolgersi la liquidazione.
• L’individuazione dei poteri dei liquidatori riguardo la cessione dell’azienda e i beni sociali.
• L’individuazione degli atti necessari per la conservazione del valore della società (compreso
un eventuale esercizio provvisorio della società).
L’assenza di queste indicazioni non pregiudica la validità della deliberazione, ma potrebbero
esserci dei problemi riguardo il funzionamento dell’organo e un problema verso i poteri
esercitabili dai liquidatori.
In assenza di indicazioni da parte dell’assemblea si opera collegialmente. La rappresentanza
spetta disgiuntamente a ciascuno dei liquidatori. Se non c’è un termine per la carica, i
liquidatori rimangono in carica per tutto il corso della liquidazione.
I liquidatori provvedono all’esercizio provvisorio dell’attività d’impresa, quindi possono
compiere nuove operazioni. Ovvero tutti gli atti purché utili alla liquidazione della società. I
liquidatori hanno l’obbligo di agire secondo la professionalità e la diligenza richieste per la
natura dell’incarico; dovranno curare l’attività di liquidazione (consiste nel pagare i creditori
sociali integralmente, successivamente si ripartisce l’attivo tra i soci). Questi ovviamente hanno
diritto ad un compenso.
I poteri in via generale sono:
- Chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti riguardo i conferimenti se i fondi disponibili sono
insuf cienti per soddisfare i creditori sociali (come gli amministratori).
- Divieto (derogabile) di ripartire tra i soci acconti sul risultato della liquidazione. La deroga
sussiste se dai bilanci risulta che la ripartizione non incide sulla disponibilità di somme che
sono idonee a soddisfare integralmente i creditori.
Deve essere fatta pubblicità nel registro delle imprese riguardo la nomina dei liquidatori a cura
degli stessi, o da parte degli amministratori o dei sindaci. Ciò non è rilevante solo dal punto di
vista pubblicistico, ma dal momento dell’iscrizione c’è un passaggio di poteri in capo ai
liquidatori: gli amministratori infatti passano a liquidare i libri sociali e scritture contabili,
allegando anche una situazione dei conti e un rendiconto sulla loro gestione dal periodo
successivo all’approvazione del bilancio.
La revoca dei liquidatori può essere
• Assembleare: la delibera opera con le stesse maggioranze previste per la nomina. La revoca
può anche essere per giusta causa, ma è fatto salvo il diritto dei liquidatori ad ottenere il
risarcimento del danno.
• Giudiziale: può essere fatta dai sindaci collegialmente o dal PM.
La legge prescrive anche l’obbligo di aggiungere alla denominazione sociale della società,
l’indicazione che si tratta di una società in liquidazione (non si tratta di una modi ca alla
denominazione sociale).
Per le responsabilità si applica la stessa disciplina riguardo gli amministratori. Sono
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responsabili verso i creditori sociali se hanno ripartito acconti sul risultato della liquidazione o se
hanno cancellato la società dal registro senza aver pagato i creditori sociali.
Riguardo gli organi sociali durante la liquidazione si applicano le stesse disposizioni sui soci,
sulle assemblee e sugli organi amministrativi anche in caso di liquidazione. La struttura
organizzativa quindi continua, infatti durante questa fase i soci (ovviamente, prima di aver
ripartito l’attivo) possono:
- Deliberare operazioni sul capitale (ma non possono effettuare l’aumento gratuito).
- Deliberare una fusione o una trasformazione.
Nell’ipotesi del sistema dualistico; il consiglio di sorveglianza verrebbe a perdere di
importanza, si ridurrebbe in un collegio sindacale. Mentre riguardo al sistema monistico; viene
determinata la cessazione della carica degli amministratori, l’assemblea deve nominare i sindaci.
Anche nella fase di liquidazione vige la regola di redazione del bilancio d’esercizio. Questo
devono redigerlo i liquidatori (non più gli amministratori) e ci deve essere l’approvazione
dall’assemblea. Il bilancio ha la stessa struttura di quello “di funzionamento”, ma se ci sono dei
criteri di valutazione, il bilancio si basa su un sistema contabile essibile in quanto può subire
modi cazioni durante l’attività liquidativa (la motivazione deve essere scritta nella nota
integrativa).
Riguardo la relazione sul bilancio; i liquidatori devono illustrare l’andamento, le prospettive
della liquidazione e i principi adottati per realizzarla (la redazione la facevano gli amministratori).
Si dovrà dare continuità ai bilanci. Quest’obbligo riguarda i liquidatori che dovranno dar conto
delle variazioni nei criteri di valutazione adottati dovendole commentare rispetto all’ultimo
bilancio predisposto dagli amministratori.
La società in ogni momento può revocare lo stato di liquidazione con la deliberazione
assembleare, con le maggioranze richieste per la modi ca dell’atto costitutivo. Il socio
dissenziente alla delibera di revoca della liberazione può in ogni modo recedere dalla società. I
creditori sociali possono opporsi alla revoca (come accade nella riduzione di capitale reale).
Ovviamente la revoca può effettuarsi solamente quando si realizza l’effetto della causa di
scioglimento (pubblicità nel registro) e quindi se si vuole revocare lo stato di liquidazione si
dovrà eliminare la causa di scioglimento (spesso si modi ca lo statuto) e si dovrà veri care la
sussistenza del capitale minimo (che imporrà la redazione di un bilancio straordinario).
Compiuta la liquidazione; ovvero quando si è convertito in denaro tutto il patrimonio e si sono
pagati tutti i creditori sociali; si apre la fase nale della liquidazione attraverso:
1. La redazione di un bilancio nale da parte dei liquidatori. Questo si compone di due parti: il
bilancio nale in senso stretto (dove comparirà la liquidità residua) e il piano di riparto. Conserva
la stessa struttura del bilancio d’esercizio, ma si differenzia dal contenuto e dalla funzione: il
bilancio nale ha rilevanza informativa verso i soci, visto che è come se fosse il rendiconto nale
della gestione svolta dai liquidatori. Inoltre, determina la quota dell’attivo spettante all’azione
(nella S.P.A.), e al socio nella S.R.L. (se si è in mancanza di liquidità dopo aver pagato tutti i soci,
si potranno dare i beni residui).
2. Successivamente questo verrà approvato dai soci.
Viene previsto il deposito assieme alla relazione dei sindaci e del revisore contabile presso il
registro delle imprese. Viene previsto un termine di 90 giorni dal deposito dove ogni socio
potrà reclamare in Tribunale.
Se i reclami sono molteplici, saranno riuniti in una sola causa, questa darà effetti che si
estenderanno anche a coloro che non ne hanno partecipato.
In caso di non reclamo, si presuppone che vi sia un’accettazione tacita del bilancio nale.
3. Ci sarà la ripartizione dell’attivo residuo tra i soci stessi.

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4. Successivamente all’approvazione del bilancio nale di liquidazione, i liquidatori devono
chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese e verranno depositati i
libri sociali nello stesso uf cio.
Ferma restando l'estinzione della società (perché farebbe venir meno il fatto che la società non
sarebbe più soggetto di diritti) nel caso in cui i creditori sociali non siano stati soddisfatti, questi
possono rivalersi entro 1 anno dalla cancellazione:
- Nei confronti dei soci nei limiti di quanto ottenuto dal piano di riparto.
- Nei confronti dei liquidatori se questi non hanno provveduto al pagamento.
Le cooperative
Nascono dalla metà del 1800 per riappianare le disuguaglianze create dalla Rivoluzione
industriale. Infatti, creano bene ci anche per le classi meno benestanti, offrendo a queste beni
primari e occasioni di lavoro visto il tasso alto di disoccupazione. I soci cooperatori potevano
quindi realizzare i loro bisogni ed economie individuali attraverso la riduzione dei costi ed il
miglioramento di servizi.
Le cooperative hanno una funzione sociale (“a carattere di mutualità e senza ni di speculazione
privata”). Tale funzione ha una garanzia costituzionale all’art. 45 che incentiva l’incremento
della cooperazione a
carattere mutualistico e non speculativo.
Ci sono particolari agevolazioni tributarie, nanziarie e previdenziali in merito.
La disciplina si snoda in una serie di articoli del Codice e di disposizioni in leggi speciali (alcune
applicabili a tutte le società cooperative, altre applicabili se operanti in determinati settori come
il credito).
Eventuali lacune sono colmate in linea di principio con la disciplina per la S.P.A.
Ma se i soci cooperatori sono meno di 20 e l’attivo patrimoniale è inferiore a 1milione di euro,
l’atto costitutivo in realtà potrebbe prevedere che si trovi applicazione con le norme per la
S.R.L.; mentre se i soci cooperatori sono meno di 9 si applica la disciplina per la S.R.L.
I requisiti
Le cooperative sono dotate di personalità giuridica; inoltre per le obbligazioni sociali risponde
esclusivamente la società con il proprio patrimonio.
Scopo mutualistico
Si intende “fornire beni o servizi od occasioni di lavoro direttamente ai membri
dell’organizzazione a condizioni più favorevoli di quelle che otterrebbero dal mercato”. La
cooperativa copre i costi di produzione ma rinuncia al proprio pro tto a bene cio dei soci
fruitori dei servizi. Lo scopo ne perseguito dai soci di una cooperativa riguarda il
soddisfacimento di un particolare bisogno economico (casa, lavoro, generi di consumo, credito).
Dal punto di vista dell’impresa, lo scopo mutualistico non incide sugli elementi tipici del
contratto di società:
• È sempre presente l’esercizio in comune di un’attività economica.
• Il lucro oggettivo (conseguimento di utili) c’è, ma vi è un limite di lucro soggettivo (spartizione
di utili): l’ottenimento di determinati beni non costituisce “utile”, ma semplicemente un
rimborso rispetto a quanto investito.
• Si può prevedere anche l’esercizio dell’attività anche con terzi che rende possibile per la
cooperativa di mantenere risorse e livelli di ef cienza e competitività sul mercato.
• Dal punto di vista dei soci la mutualità comporta che il rapporto associativo sia quali cato
dalla gestione di servizio; ovvero dalla tendenziale destinazione ai soci dei beni e servizi
prodotti dalla cooperativa. I soci sono i fruitori elettivi (ma non esclusivi a volte) delle
prestazioni mutualistiche, essere fruitori elettivi signi ca per i soci “avere legittima pretesa”

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riguardo l’erogazione della prestazione mutualistica dalla cooperativa (non è un diritto
soggettivo del socio), si tratta di un potere di controllo indiretto sull’attività mutualistica.
• Scambi mutualistici: le prestazioni mutualistiche dei soci trovano la propria fonte in autonomi
contratti di scambio stipulati tra la cooperativa e i suoi soci (es. contratti di lavoro, contratti di
compravendita dai beni prodotti dalla cooperativa).
Ogni socio di regola è libero di scegliere se e in che quantità avvalersi delle prestazioni
mutualistiche (es. nelle cooperative di consumo, il socio può decidere se e quanti prodotti
acquistare dalla cooperativa, ma non è vero nelle cooperative di lavoro in quanto persiste un
obbligo del socio di giovarsi degli scambi mutualistici).
• Struttura della cooperativa: la condizione essenziale per l’esercizio dell’attività è una pluralità
di scambi tra cooperativa-soci:
- I soci devono essere minimo 3 o 9 (dipende dal modello organizzativo scelto, se S.P.A. o
S.R.L.).
- Ci sono regole speci che che valorizzano la partecipazione personale del socio.
- Principio della porta aperta: se si hanno i requisiti soggettivi enunciati nell’atto costitutivo ne
deve essere incentivato l’accesso e, al contrario, se il socio non ha più interesse si deve
agevolare il recesso.
Capitale variabile
È un requisito necessario per conseguire lo scopo mutualistico e la gestione di servizio.
Questo è una delle conseguenze del principio della porta aperta: se un socio entra a far parte
o recede dalla cooperativa, vi è un automatico mutamento del capitale senza una formale
modi ca dell’atto costitutivo.
È importante ricordare che vi è l’assenza di limiti minimi di capitale (anche se la società adotta
il modello S.R.L. o S.P.A.).
Cooperative a mutualità prevalente
C’è differenza tra cooperative a mutualità prevalente e cooperative “diverse”.
Le cooperative a mutualità prevalente hanno dei bene ci scali ma hanno drastiche
limitazioni al lucro soggettivo. Sono quelle che:
• Nelle cooperative di consumo svolgono prevalentemente la loro attività in favore dei soci,
consumatori, utenti di beni o servizi
• Nelle cooperative di lavoro si avvalgono prevalentemente delle prestazioni lavorative dei
soci
• Nelle cooperative di produzione e lavoro si avvalgono di beni e servizi da parte dei soci.
Per poter godere di bene ci scali, occorre un’apposita iscrizione presso l’albo delle
cooperative tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico: qui si depositano
annualmente i propri bilanci.
Il Codice prevede dei criteri legali per la de nizione di prevalenza. Ci sono dei parametri
basati sul tipo di scambio mutualistico praticato dalla cooperativa; i parametri devono essere
documentati dagli amministratori e dai sindaci nella nota integrativa nel bilancio (es.
cooperativa di consumo: i ricavi delle vendite dei beni/prestazioni di servizi verso i soci devono
essere superiori alla metà del totale dei ricavi. Mentre, cooperativa di lavoro: il costo del lavoro
dei soci deve essere superiore alla metà del costo del lavoro complessivo).
Clausole statutarie anti-lucrative di prevalenza:
• Divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni fruttiferi
postali, aumentato di 2.5 punti rispetto al capitale effettivamente versato.
• Divieto di remunerare gli strumenti nanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in
misura superiore al 2% rispetto al limite massimo previsto per i dividendi.
• Divieto di distribuire le riserve tra i soci cooperatori.

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• In caso di scioglimento della società, c’è un obbligo di devoluzione dell’intero patrimonio
sociale (il capitale sociale ed eventuali dividendi maturati) in fondi mutualistici per la
promozione e lo sviluppo per la cooperazione.
Il mancato rispetto per due esercizi consecutivi dei criteri legali/modi ca delle clausole
statutarie anti- lucrative (con delibere adottate per l’assemblea straordinaria) comportano la
perdita della quali ca di cooperativa a mutualità prevalente.
Come detto prima, sono ammesse anche le cooperative “diverse” in quanto queste possono
svolgere la propria attività nei confronti di terzi realizzando pro tti anche considerevoli senza poi
ostacolare la distribuzione ai soci a titolo di utili. Si tratta comunque di un modello che non
coincide con le società lucrative per i principi della gestione di servizio, della porta aperta e
della variabilità del capitale.
La costituzione della società
La costituzione ha ef cacia costitutiva (acquistando personalità giuridica), il procedimento è
uguale in sede sia di S.R.L. che di S.P.A. (stipulazione dell’atto, controllo notarile, entro 20
giorni effettuare il deposito per l’iscrizione nel registro delle imprese allegando i documenti che
provino le condizioni per la costituzione, versamento del 25% immediato dei conferimenti in
denaro e la relazione giurata di stima per conferimenti in natura); anche il contenuto dell’atto
costitutivo e il controllo notarile sono peculiari.
Il contenuto dell’atto costitutivo
• Generalità e numero dei soci non inferiore a 3 (se adottato il modello S.R.L.), o a 9 (se
adottato il modello S.P.A.).
• Denominazione sociale contenente l’indicazione di società cooperativa.
• Quota di capitale sottoscritta da ciascun socio (contenute nei limiti legali).
Le particolarità signi cative riguardano:
• L’indicazione speci ca dell’oggetto sociale con riferimento ai requisiti e agli interessi dei
soci. L’oggetto sociale nella cooperativa è un tema centrale, in quanto consente di quali care
lo scopo mutualistico programmato e consente di selezionare al contempo i soggetti
interessati a quel bisogno individuando dei requisiti soggettivi.
• Criteri di ammissione: requisiti, condizioni, procedura per l’ammissione, recesso, esclusione
del socio, regole per la ripartizione degli utili, criteri per la distribuzione dei ristorni.
In ogni modo non devono essere discriminatori e devono essere coerenti con lo scopo
mutualistico. Non può essere socio colui che esercita in proprio un’impresa in concorrenza con
la cooperativa.
• L’atto costitutivo può anche prevedere la disciplina dei rapporti mutualistici e quindi stabilire le
regole per lo svolgimento dell’attività. Normalmente queste disposizioni sono presenti nei
regolamenti mutualistici che possono formare parte integrante dell’atto costitutivo.
Si applicano le cause tassative per la nullità della S.P.A. (no atto pubblico, mancanza elementi
essenziali, illeceità dell’oggetto sociale) e le regole relative alla modi ca dell’atto costitutivo
(anche se l’aumento e diminuzione del capitale avviene automaticamente e non comportano
modi che dell’atto costitutivo).
La partecipazione
In caso di lacuna, sono disciplinate dalle regole della S.P.A., ma l’atto costitutivo può prevedere
che si applichi la disciplina per la S.R.L. se i soci sono meno di 20 e l’attivo patrimoniale è
inferiore a 1milione. Mentre è obbligatoria la disciplina della S.R.L. se il numero dei soci è
minore di 9. Non sono ammesse deroghe statutarie se si ha a che fare con tratti caratteristici
della S.R.L./S.P.A.
La partecipazione sociale deve essere rappresentata da quote (se si adotta il modello S.R.L.) o
da azioni (se si adotta il modello di S.P.A.). Per preservare lo scopo mutualistico e il principio

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della porta aperta, è previsto per legge che nessun socio può avere una quota superiore a
100mila euro o tante azioni che corrispondano allo stesso ammontare (se la cooperativa ha più
di 500 soci si ha un limite del 2% del capitale).
Si possono in ogni modo creare categorie di azioni o quote spettanti diritti particolari in
relazione all’oggetto della prestazione mutualistica.
Le cooperative possono emettere obbligazioni e strumenti nanziari ibridi secondo regole e
limiti stabiliti dalla disciplina della S.P.A.
L’atto costitutivo stabilirà i diritti patrimoniali e amministrativi ai possessori di questi ma con dei
limiti idonei a preservare lo scopo mutualistico. Se si emettono strumenti nanziari senza
diritto di voto, si dovranno istituire assemblee speciali riguardo i possessori di strumenti
nanziari per ciascuna categoria, dotati anche di rappresentanti comuni che tutelano gli interessi
dei nanziatori.
Per il trasferimento di quote/azioni, il trasferimento è inef cace se la cessione non è
autorizzata dagli amministratori. È possibile in ogni caso istituire un divieto di circolazione
della quota/azioni. Il socio dopo 2 anni può in ogni caso esercitare il diritto di recesso dalla
cooperativa con un preavviso di 3 mesi. –
Se la quota trasferita non è integralmente, il concedente risponde verso la società per i
conferimenti ancora dovuti per 1 anno dal giorno della cessione.
Procedimento di ammissione del nuovo socio
Si ricorda il principio della porta aperta; la sottoscrizione di nuovo capitale è legittimo e deve
essere incentivato, l’ingresso dei soci avviene in una procedura sempli cata che non implica una
modi ca dell’atto costitutivo. L’ammissione del socio è competenza degli amministratori, si
cerca di limitarne la discrezionalità: questi nella relazione di bilancio hanno l’obbligo di motivare
l’ingresso dei soci; sono sottoposti a controlli dall’autorità di vigilanza riguardo la regolarità
delle procedure di ammissione.
L’ammissione deve essere comunicata e la delibera deve essere annotata dagli amministratori
nel libro dei soci: un eventuale rigetto deve essere comunicato entro 60 giorni e motivato.
L’interessato entro 60 giorni dalla comunicazione può chiedere che si pronunci l’assemblea (la
decisione di questa sarà vincolante per gli amministratori).
Scioglimento del singolo rapporto sociale
Recesso
Si vuole evitare però un’eccessiva libertà del socio, in quanto si genererebbero delle crisi sulla
liquidità (capitale variabile). Vi è un divieto di recesso parziale (anche perché sono incentivati
per il voto per teste). L’unica ipotesi di recesso legale riguarda la presenza nell’atto costitutivo
di un divieto di cessione della quota. In ogni caso il socio dopo 2 anni di permanenza può
recedere dalla società dando un preavviso di 3 mesi.
Sono applicabili altre cause di recesso che richiamano la disciplina della S.P.A./S.R.L. La
dichiarazione di recesso deve essere comunicata con raccomandata e gli amministratori
devono esaminarla entro 60 giorni (che accertano i presupposti del recesso, se non ci sono i
presupposti gli amministratori comunicano al socio l’insussistenza, questo può ricorrere al
Tribunale). Gli effetti sul rapporto sociale (diritto di voto, utili) si producono n da subito. Gli
effetti sui rapporti mutualistici tra socio e società vengono ad interrompersi alla chiusura
dell’esercizio in corso (se comunicato 3 mesi prima, in caso di contrario dall’esercizio successivo;
è ammessa però una deroga che potrebbe stabilire anche un più breve preavviso).
Esclusione del socio
Può avvenire per cause legali come:
• Inadempimento (totale o parziale) dei conferimenti: dopo un’intimazione da parte degli
amministratori a adempiere e una successiva delibera dell’organo amministrativo.
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• Gravi inadempimenti derivanti dalla legge, dal contratto sociale, regolamento o dal rapporto
mutualistico.
• Perdita o mancanza dei requisiti soggettivi.
• Interdizione o inabilitazione del socio, condanna penale che ne comporta l’interdizione dai
pubblici
uf ci.
• Fallimento del socio.
• Mancata attuazione (pur senza colpa) del conferimento previsti per la società di persone (es.
inidoneità del conferimento d’opera o il perimento della cosa conferita).
Ma l’esclusone può avvenire anche per cause previste dallo statuto (devono comunque
riguardare inadempimenti dal contratto sociale e dal rapporto mutualistico).
L’esclusione non è mai automatica; infatti la decisione di esclusione deve essere deliberata
dagli amministratori con una motivazione, il socio entro 60 giorni può fare opposizione in
Tribunale.
L’esclusione determina n da subito la cessazione degli effetti anche dei rapporti mutualistici
pendenti.
Morte
Il rapporto si scioglie e gli eredi hanno diritto alla liquidazione della quota o al rimborso delle
azioni. Se gli eredi (secondo una clausola statutaria) hanno i requisiti soggettivi possono
subentrare nella partecipazione. Il socio successivamente al recesso e all’esclusione, ha diritto
ad una liquidazione della quota che avviene sulla base del bilancio dell’esercizio (che ha criteri
prudenziali e quindi svantaggiosi per il socio) in cui si è veri cata la causa di scioglimento. Nelle
cooperative a mutualità prevalente la quota è liquidata al valore nominale che può essere
incrementato dai soli utili maturati e non distribuiti.
L’assemblea
Connotato essenziale è il carattere democratico che consiste nel voto capitario, per testa: ad
ogni socio spetta un solo voto indipendentemente dal valore della quota/azioni possedute. Per
evitare che ci sia un disequilibrio è imposto un limite massimo di quote/azioni.
N.B.: ci può essere una deroga nelle cooperative consortili (realizzano lo scopo mutualistico con
l‘integrazione delle rispettive imprese, o di taluni fase di esse): l’atto costitutivo può prevedere
che il voto sia attribuito in ragione della partecipazione allo scambio mutualistico.
Sono legittimati al voto quei soci che sono iscritti da almeno 3 mesi nel libro dei soci (per
impedire agli amministratori di in uenzare gli esiti). È anche contemplato il voto per
corrispondenza o il voto elettronico. Vige l’istituto delle assemblee separate: può essere
applicato alle sole cooperative chiuse, agevola l’attiva partecipazione ai soci (soprattutto nelle
cooperative di grandi dimensioni) e la decisione avviene “per gradi”. Le assemblee separate
vengono convocate nei luoghi indicati nello statuto (risiede un certo numero di soci) per
deliberare su tutte le materie che sono l’ordine del giorno dell’assemblea generale e per
eleggere i soci delegati.
L’assemblea generale è costituita dai soci delegati designati nelle assemblee separate e
delibera de nitivamente.
L’organo amministrativo e di controllo
L’organo amministrativo è molto importante, i requisiti soggettivi (soprattutto nelle cooperative
di grandi dimensioni) sono:
• La maggioranza deve essere scelta tra i soci cooperatori, o tra le persone indicate dai soci
cooperatori persone giuridiche,
• Se l’atto costitutivo lo prevede, le diverse categorie di soci possono nominare uno o più
amministratori.

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• Alcuni amministratori possono essere eletti dallo Stato o da enti pubblici. Il collegio
sindacale deve essere presente se:
• È obbligatoria la nomina del sindaco nella S.R.L.
• La società ha emesso strumenti nanziari non partecipativi.
Vigilanza amministrativa e il controllo giudiziario
Le agevolazioni tributarie della cooperativa a mutualità prevalente sono bilanciate da una
vigilanza amministrativa che veri ca il corretto perseguimento dello scopo mutualistico e la
tutela della funzione sociale della cooperativa. Inoltre, per tutte le cooperative vige un controllo
giudiziario sulla gestione (specie nella S.R.L.). Si tratta di una vigilanza più incisiva e meno
discrezionale che tutela anche i soci di minoranza (per incentivarli all’investimento).
Se vi è un fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità nella
gestione arrecando danni alla società, i soci titolari almeno del 10% del capitale (o che sono
1/10 del numero dei soci o 1/20 nelle cooperative con più di 30.000 soci) possono fare
denuncia al Tribunale.
Il bilancio- utili e risconti
Il procedimento di formazione di bilancio è lo stesso, ma i soci devono essere più informati a
riguardo. Gli amministratori e i sindaci nelle relazioni devono speci care i criteri seguiti nella
gestione per il conseguimento dello scopo mutualistico.
Il 30% degli utili deve essere destinato a riserva legale per poter proteggere il capitale
sociale variabile. Ci sono dei limiti legali di distribuzione dei dividendi per poter preservare
la funzione della cooperativa:
• Nelle cooperative non quotate si distribuiscono se patrimonio netto è minore di 1/4 rispetto
ai debiti complessivi.
• L’atto costitutivo dovrà indicare regole e modalità di percentuale massima.
• Per le cooperative a mutualità non prevalente non c’è una soglia massima per la ripartizione
degli utili.
• Per le cooperative a mutualità prevalente gli utili sono distribuibili nel limite all’interesse
massimo dei buoni fruttiferi postali, aumentato di 2.5 punti rispetto al capitale effettivamente
versato. Il ristorno è la tecnica con la quale i soci conseguono il vantaggio mutualistico a
determinate scadenze.
Di norma si conseguono annualmente dopo l’approvazione del bilancio (non al
perfezionamento dello scambio con la società):
• Nelle cooperative di produzione e lavoro vi è una retribuzione per la prestazione di lavoro
proporzionata ai meriti dal socio e all’impegno impiegato, con un corrispettivo maggiorato sin
dal momento del pagamento.
• Nelle cooperative di consumo il ristorno consiste nel rimborso ai soci della quota di prezzo
eccedente il costo di produzione (consente il risparmio di spesa nel loro acquisto della
società). La società cede i propri beni/servizi al socio a prezzo di costo sin dall’atto della
vendita.
La società a priori rinuncia al pro tto d’impresa attribuendo immediatamente ai soci il
vantaggio mutualistico; ciò lo fa cedendo beni/servizi a prezzo di mercato, o corrispondendo un
salario/corrispettivo a valori di mercato mirando a realizzare un pro tto che al termine
dell’esercizio verrà distribuito ai soci a titolo di ristorno in proporzione agli scambi mutualistici.
Riguardo ciò, la cooperativa assegna quindi a posteriori il pro tto d’impresa che essa ha
conseguito (se lo ha conseguito) attribuendo solo a valle dello scambio il vantaggio
mutualistico. I ristorni sono diversi dagli utili; sono una componente dell’avanzo di gestione,
non possono essere distribuiti se il bilancio ha chiuso in perdita.

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Cambiano i criteri di ripartizione: i criteri sono proporzionali alla quantità e qualità degli scambi
mutualistici e non al capitale conferito dal socio. Per determinare bene i ristorni le cooperative
devono riportare separatamente in bilancio i dati relativi all’attività svolta con i soci. Non
possono essere distribuibili tra i soci a titolo di ristorno le eccedenze derivanti dall’attività di
scambio della cooperativa con i terzi. Non si applicano ai ristorni i limiti alla distribuzione degli
utili.
Scioglimento della società e devoluzione patrimoniale obbligatoria
Oltre alle tipiche cause di scioglimento per le società di capitali; la cooperativa si scioglie se:
• Integrale perdita del capitale sociale.
• Mancata reintegrazione del numero minimo dei soci entro 1 anno.
• Insolvenza della società. L’autorità governativa che ne compete il controllo dispone della
liquidazione coatta amministrativa (il provvedimento che la predispone esclude la
dichiarazione di fallimento).
• Se esercitano attività commerciale possono essere soggette al fallimento (la procedura
concorsuale esclude la liquidazione coatta amministrativa).
Riguardo il procedimento di accertamento della fase di liquidazione è lo stesso di quello della
società di capitali, anche se la quota di liquidazione nelle società lucrative dopo aver soddisfatto
tutti i creditori, è ripartita tra i soci, nelle cooperative a mutualità prevalente si deve destinare la
restante parte (tolto il capitale versato e i dividendi eventualmente maturati) a dei fondi
mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.

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