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INTRODUZIONE

Il diritto commerciale ha origine antichissime: troviamo embrioni di diritto commerciale fin dal
basso medioevo (XII secolo). Il diritto commerciale si forma per consuetudine: si passa da
un’economia di mera sussistenza alla creazione di istituti di scambio e compravendita. Nasce per
differenza rispetto al diritto canonico: nasce nelle corporazioni di arti e mestieri e nasce dalla
consuetudineil ripetersi di un comportamento ingenera una convinzione che risponde ad una
norma; nasce da un uso che si ripete e il ripetersi di quest’uso lo fa diventare una consuetudine
perché la categoria di appartenenza, proprio per il ripeterlo dello stesso, inizia a identificarlo come
una norma. Inizialmente, si applica solo ai componenti delle corporazioni, si manterrà una
giurisdizione in seno alle corporazioni i consoli erano l’organo giurisdizionale, decidevano delle
controversie in merito allo ius mercatorum in un primo momento solo tra gli appartenenti alle
corporazioni e successivamente anche verso terzi. Nell’epoca successiva, a metà del XV secolo,
nascono gli istituti giuridici da necessità pratiche, dalle scoperte geografiche, dai primi contratti
che vanno a supporto di eventi economici e dalle prime forme embrionali di società, in nome
collettivo o in accomandita, molti rivengono nei contratti a sostegno della spedizione in America di
Cristoforo Colombo i primi contratti commerciali di assicurazione, i primi embrioni di società e
della disciplina patologica delle imprese e quindi il fallimento e il principio generale della par
condicio creditorum. In tutta questa fase il diritto commerciale ha delle fonti differenti rispetto al
diritto canonico e romano e anche degli organi giurisdizionali distinti. Un successivo passo avanti si
ha con la creazione degli Stati monarchici, nel XVI secolo: lo Stato ha un’esigenza di accentramento
del potere sia legislativo che giurisdizionale; di conseguenza, in tutta Europa, si ha la
statalizzazione della legislazione e giurisdizione di diritto commerciale, con un’evoluzione del tipo
di strumento giuridico rappresentato dalla società. Si passa da una disciplina embrionale ad una
disciplina di società di capitali: nascono le prime società per azioni e cioè le prime società a
responsabilità limitata, c’è una limitazione di responsabilità perché è la società che risponde delle
proprie obbligazioni e il rischio del socio è limitato al conferimento dato o promesso. Nascono
delle esigenze di credito e di mobilità economica che danno avvio alla creazione delle borse valori
e allo sviluppo dei mercati finanziari. Nasce in quest’epoca tutta la disciplina dei brevetti
industriali: visto lo sviluppo dell’industria, assurge un’importanza notevole la protezione della
proprietà intellettuale. Nell’800 dopo la Rivoluzione francese, nasce lo stato liberale e le prime
grandi codificazioni (anche in Italia), resta distinto il Codice civile dal codice di commercio, c’è una
riunione della giurisdizione, viene meno progressivamente la distinzione tra tribunale civile e
commerciale: solo nel 1942 si avrà un’unificazione del Codice civile e Codice di commercio; è però
importante sottolineare che l’individuazione dell’imprenditore come punto di partenza del diritto
commerciale si ha in epoca risalente e si mantiene con l’unione dei codici.
Il diritto commerciale è la parte del diritto privato che ha per oggetto l’attività e gli atti di impresa,
è un diritto speciale rispetto al diritto privato, anche se in taluni istituti deroga alle regole di diritto
privato. È un diritto molto influenzato, ad oggi, dai diritti degli altri Paesi, sia europei che mondiali;
tende all’uniformità internazionale per la globalizzazione dei mercati e per la possibilità di
costruire una società in un altro ordinamento; è un diritto particolarmente attento
all’internazionalità, intesa come confronto e applicazione delle norme della comunità europea ma
anche a livello mondiale. È un diritto in continua evoluzione e molto spesso l’evoluzione spiega e ci
fa comprendere le esigenze della modifica; naturalmente, è un diritto che si evolve con il mercato,
con le conoscenze tecniche e le invenzioni intellettuali; quindi, deve stare dietro all’economia che
progredisce e che cambia. Si è soliti dire, quindi, che il diritto commerciale è un diritto speciale
tendente all’uniformità internazionale e in continua evoluzione. È un diritto che ruota e parte dalla
figura dell’imprenditore.
L’IMPRENDITORE (capitolo 1)
Chi è l’imprenditore? L’articolo 2082 definisce l’imprenditore come colui che esercita
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio dii
beni e di servizi. Ogni parola è una condizione necessaria e sufficiente (purché siano soddisfatte
tutte) affinché si abbia la qualifica di imprenditore: è importante capire chi si definisce
imprenditore perché solo a questo soggetto si applica un determinato pacchetto normativo che
conferisce da un lato oneri e da un lato molte garanzie. La disciplina dell’imprenditore lo distingue
in base a criteri selettivi, che non sono fini a se stessi, ma che determinano l’applicazione o non
applicazione di determinati pacchetti normativi. Il motivo per cui ci avvaliamo di queste categorie
è perché a tutti i soggetti che soddisfano tutti i requisiti del 2082 si applicano due complessi di
norme, definiti statuti: uno statuto generale degli imprenditori, che si applica a tutti gli
imprenditori (chiunque soddisfi tutti i requisiti generali del 2082) e uno statuto speciale
dell’imprenditore commerciale non piccolo, è più oneroso per l’imprenditore perché lo espone al
fallimento e alle procedure concorsuali, si applica solo all’imprenditore commerciale e medio-
grande. Esistono tre macrocriteri:
- Qualitativo OGGETTO, che cos’ha ad oggetto l’impresa? Può avere un oggetto
commerciale o un oggetto agricolo che si ha non solo per le attività essenziali ma c’è
un’estensione anche alle attività connesse.
- Quantitativo DIMENSIONE, piccolo imprenditore e medio-grande.
- Personale NATURA, individuale o collettiva, persona fisica o società.
Il Codice civile ci dice nel dettaglio chi è l’imprenditore agricolo, chi non è imprenditore agricolo
(per esclusione) è un imprenditore commerciale; inoltre, il Codice civile ci dà dei criteri per definire
un piccolo imprenditore e per esclusione, chi non è piccolo è medio-grande. Questa classificazione
è importante perché ci dice che pacchetto normativo si può applicare all’imprenditore. Se ho un
imprenditore, applico per forza e sicuramente lo statuto generale dell’imprenditore; applico, in
aggiunta, lo statuto speciale solo se questo imprenditore è commerciale non piccolo.
 Lo statuto generale dell’imprenditore è un insieme di norme che, principalmente, tutelano
l’imprenditore: fa parte la disciplina dell’azienda (cioè il complesso di beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa), la disciplina dei segni distintivi
dell’imprenditore (ha un enorme valore per l’imprenditore perché tutela la propria
affermazione sul mercato, tutela la ditta, il nome che l’imprenditore si dà, l’insegna e più di
tutti il marchio), la disciplina della concorrenza (a livello di imprenditori e a livello di
disciplina antitrust) e la disciplina dei consorzi.
 Solo all’imprenditore commerciale non piccolo si applica lo statuto speciale che per taluni
istituti è tutelativo e per altri può essere abbastanza oneroso per l’imprenditore: fa parte la
pubblicità commerciale (obbligo di iscrizione al registro dell’impresa con efficacia di
pubblicità legale, anche il piccolo imprenditore e l’imprenditore agricolo sono soggetti alla
pubblicità notizia e non legale), obbligo di tenuta delle scritture contabili, la
rappresentanza commerciale e l’assoggettamento al fallimento e ad altre procedure
concorsuali.
 ARTICOLO 2082
Ci dice che è imprenditore chi esercita PROFESSIONALMENTE un’ATTIVITA’ ECONOMICA
ORGANIZZATA al fine della PRODUZIONE O SCAMBIO DI BENI E SERVIZI. Tale articolo, nella sua
formulazione, individua i requisiti minimi e complessivamente sufficienti per avere un
imprenditore e l’applicazione conseguente della disciplina, il venir meno di un solo requisito fa si
che un soggetto non venga definito come imprenditore (si distingue dal lavoratore autonomo).
L’oggetto è l’attività  l’attività è una serie coordinata di atti volta ad uno scopo cioè la
produzione o lo scambio di beni o servizi; quindi, l’attività è la creazione di una nuova ricchezza.
Il presupposto affinché ci sia un’impresa è che ci sia un’attività volta a creare nuova ricchezza.
In che modo deve essere svolta l’attività? Con organizzazione, economicità e professionalità. Se
manca uno solo di questi requisiti non si ha imprenditore e la conseguente applicazione della
disciplina, si ha un lavoratore autonomo e non un imprenditore.
ATTIVITA’ serie coordinata di atti, finalizzati alla creazione di nuova ricchezza cioè alla
produzione o lo scambio di beni e servizi. Il tipo e la natura dei beni non sono rilevanti ai fini del
soddisfacimento della norma, non è rilevante neppure lo scopo che vanno a soddisfare; tuttavia, è
necessario che l’attività presupponga un’azione dell’imprenditore, sia una serie coordinata di atti:
non si considera attività il mero godimento dei frutti prodotti da un’attività. Esempio: se ho una
casa al mare e la concedo in locazione, percepisco il canone di locazione e godo dei frutti di un
bene che detengo ma non svolgo un’attività (non si tratta di attività imprenditoriale ma di attività
di mero godimento); se invece io do dei servizi (pulizie, fornisco la colazione in un B&B, servizio di
accoglienza) a quel punto ho un’attività perché ho una serie coordinata di atti e una creazione di
utilità perché offro dei servizi. Esempio 2: se ho una disponibilità economica e compro dei titoli
azionari, il fatto che io benefici dei proventi degli investimenti non integra un’attività, ma è
un’attività di mero godimento; viceversa, se faccio trading per terzi io erogo un servizio, la stessa
attività di compravendita può essere considerata un’attività imprenditoriale (qualora siano
soddisfatti tutti gli altri requisiti). Dunque, l’attività di mero godimento non è sufficiente per avere
un’attività, ma c’è bisogno dell’azione dell’imprenditore, di una serie coordinata di atti.
ORGANIZZAZIONE è necessario che ci sia un minimo di etero-organizzazione (organizzazione di
qualcosa che è diverso da sé): questo non significa che io debba organizzare anche il lavoro altrui,
non è necessario che ci sia un apparato di macchinari ma deve assolutamente esserci una minima
etero-organizzazione di persone o di capitali. Deve esserci un’organizzazione di qualcosa diversi da
se stessi: deve esserci un impiego coordinato dei fattori produttivi e beni strumentali. Esempi:
locali di slot-machine, integra l’attività di impresa, non ho dipendenti ma ho delle telecamere che
controllano le persone, non ci sono dipendenti ma c’è organizzazione di qualcosa diverso da me, di
capitale in questo specifico caso. Esempio: trader che organizza il patrimonio altrui prestando un
servizio di trading (si tratta di attività imprenditoriale); trader che investe il proprio patrimonio
(non organizza qualcosa di diverso da sé e non c’è attività imprenditoriale, perché ci sarà
un’attività di mero godimento dei frutti prodotti dall’investimento). Ci vuole un impiego
coordinato di fattori produttivi che siano persone, beni strumentali o entrambi; non è condizione
necessario che ci siano persone o beni necessari.
ECONOMICITA’ da non confondere con lo scopo di lucro; l’economicità è un metodo di lavoro
che consente, potenzialmente, la copertura dei costi con i ricavi. Per aversi attività d’impresa non è
necessario lo scopo di lucro (che caratterizza le società di persone/capitali ma non caratterizza
l’impresa mutualista/pubblica) ma è necessario che l’imprenditore implementi una struttura in cui
c’è potenzialmente una copertura dei costi con i ricavi; se viene meno questo requisito (perché
faccio beneficenza) non ho attività d’impresa perché non ho creato una struttura potenzialmente
in grado di coprire i costi con i ricavi.
PROFESSIONALITA’ impegno continuato in modo ragionevolmente commisurato al tipo di
attività, si intende la non occasionalità dell’attività, lo stabile inserimento nel settore della
produzione o della distribuzione (se si tratta di un settore stagionale è necessaria che la
professionalità sia limitata alla stagione di produzione/distribuzione, ad esempio stabilimento
balneare è più che soddisfacente che la mia attività si esplichi in un periodo specifico); è
l’organizzazione dell’attività svolta secondo il tempo che è ragionevolmente necessario.
È necessario che ci sia un’esclusiva di attività? No. È necessario che ci sia pluralità d’affari? No, un
affare può essere così complesso da soddisfare tutti i requisiti. Una domanda che la dottrina si è a
lungo posta è se possa essere sufficiente un’impresa per conto proprio, se è un ulteriore requisito
la destinazione al mercato o se può integrare gli estremi dell’attività di impresa anche un’impresa
per un bene che è volto al mero godimento personale. La risposta è che se ricorrono tutti i requisiti
e quindi l’attività è complessa, il fine ultimo non è rilevante quindi la professionalità può essere
confinata fino all’esecuzione dell’opera da cui emerge comunque un’utilità. Un’ulteriore domanda
che ci si è fatti è che se un requisito utile a qualificare l’attività d’impresa sia la liceità: la risposta è
no se svolgo un’attività illecita non potrò sicuramente godere degli effetti favorevoli delle norme
sull’impresa e sarà violazione della norma tutte le volte che non si rispetti una norma. C’è
un’esenzione per le professioni intellettuali: sono per scelta normativa esonerati dall’applicazione
delle norme sull’impresa, scelta normativa che nasce dalla tutela dell’indipendenza delle
professioni intellettuali; non possono fallire perché non sono imprenditori.

IMPRENDITORE AGRICOLO (capitolo 2)


Articolo 2135 l’imprenditore agricolo è colui che esercita una delle seguenti attività: attività
agricole essenziali (è indubbio che chi svolga tali attività sia imprenditore agricolo) e cioè
coltivazione del fondo, selvicoltura, allenamento di animali. Il legislatore conclude il primo comma
di questo articolo aggiungendo “attività connesse”, anche chi svolge attività connesse alle attività
agricole essenziali è considerato imprenditore agricolo. L’imprenditore agricolo ha un regime
giuridico più favore dell’imprenditore commerciale perché è soggetto solo allo statuto generale: è
indubbiamente imprenditore agricolo chi svolge le attività essenziali, è più discutibile che sia
assoggettato a questa normativa di favore chi svolge attività connesse. L’attività connessa per sua
natura sarebbe commerciale (distribuzione, vendita che derivano dalle attività principale agricola)
e quindi dovrebbe essere soggetta anche allo statuto speciale ma essendoci un favor legislativo
verso l’imprenditore agricolo, se l’attività è connessa è considerata agricola ai fini dell’applicazione
di un pacchetto normativo. Il legislatore ha fatto queste scelte perché l’impresa agricola, rispetto a
quella commerciale, aveva in Italia un’importanza rilevante, siamo figli di un’economia in cui
l’agricoltura ha sempre avuto un ruolo fondamentale; l’impresa agricola era legata alla terra e
aveva un rischio legato all’atmosfera imponderabile e che faceva in modo che ci fosse una
maggiore tutela dell’impresa agricola rispetto a quella commerciale: negli anni, però, questo
legame con la terra è via via venuto meno, gli investimenti nelle imprese agricole possono essere
enormi, la tutela dei creditori è altrettanto importante le esigenze di breve credito possono
essere identiche a quelle di un’impresa commerciale a seconda della grandezza dell’impresa
agricola, potendo venir meno il legame con la terra e il ciclo biologico puro, secondo taluni (anche
Campobasso) è ingiustificato il favor legislativo applicato all’imprenditore agricolo.
Comma 2 è stato riformato nel dettaglio per esplicare ciò che si intende per attività essenziale.
Per coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali si intendono le attività dirette alla
cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere
vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre
o marine. Si deduce che la produzione di specie animali e vegetali è sempre giuridicamente
qualificabile quale attività agricola anche in assenza di sfruttamento della terra. Alla luce della
riformulazione dell’articolo 2135, comma2 sono da considerarsi attività agricole essenziali tutte le
coltivazioni fuori terra, l’orticoltura, la floricultura, gli allevamenti in batteria e l’imprenditore
ittico, di base tutti quei casi che erano oggetto di dibattito prima della riformulazione della norma.
Le attività agricole per connessione sono attività che per la loro natura specifica sarebbero attività
commerciali io sono un imprenditore agricolo che produco pomodori e commercializzo la
passata, per quest’attività sono imprenditore commerciale guardando meramente all’attività. La
connessione permette l’assoggettamento dell’imprenditore anche per quel tipo di attività (purché
sussistano i requisiti dell’articolo 2135) alla disciplina più favorevole dell’imprenditore agricolo.
Quali sono i presupposti per avere la connessione? La connessione può essere soggettiva: il
soggetto che svolge l’attività connessa è per forza il soggetto che svolge l’attività agricola
essenziale coerente con quella connessa non è sufficiente che io sia un imprenditore agricolo
ma deve esserci coerenza: se io produco insalata sono imprenditore agricolo, ma decido di
acquistare pomodori per produrre la passata non esercito un’attività connessa perché non c’è
connessione di oggetto, avrei una connessione soggettiva perché sono un imprenditore agricolo
che produce insalata, ma la mia attività connessa non ha ad oggetto prodotti che sono connessi
con l’attività principale. Non è sufficiente che ci sia connessione oggettiva e soggettiva per definire
un’attività connessa: il criterio determinante e discriminante nell’applicazione o meno della
fattispecie è la prevalenza per rilievo economico, se non utilizzo prevalentemente attrezzature e
risorse dell’attività essenziale io non ho la connessione sono imprenditore agricolo e
contemporaneamente imprenditore commerciale. Le attività connesse sono attività
oggettivamente commerciali che vengono assoggettate al regime più favorevole delle attività
agricole purché ci sia una connessione soggettiva, cioè il soggetto che svolge l’attività essenziale è
lo stesso che svolge l’attività connessa che è coerente con quella essenziale; deve esserci
connessione oggettiva, cioè le attività agricole connesse hanno ad oggetto prodotti ottenuti
dall’attività principale agricola ma devono essere anche prevalenti dal punto di vista economico: io
coltivo pomodori, una parte li vendo e una parte li acquisto per produrre la passata che genera la
maggior parte dei costi sostenuti dall’impresa agricola, l’attività non è connessa perché manca la
prevalenza; se invece c’è la prevalenza dell’attività agricola essenziale, sono presenti tutti i requisiti
della connessione. È necessario e sufficiente che si tratti di un’attività avente ad oggetto prodotti
ottenuti prevalentemente dall’esercizio dell’attività agricola essenziale, oppure beni e servizi
ottenuti prevalentemente mediante attrezzature e/o risorse dell’azienda agricola: la prevalenza è
il criterio che determina la connessione.
La definizione dell’imprenditore agricolo è a rilevanza negativa: all’imprenditore agricolo si
applicheranno le disposizioni dello statuto generale dell’imprenditore ma non lo statuto speciale
dell’imprenditore commerciale. L’imprenditore agricolo è soggetto all’iscrizione del registro delle
imprese, non è soggetto alla rilevazione delle scritture contabili e non è soggetto alle procedure
concorsuali (nemmeno per le attività connesse).
IMPRENDITORE COMMERCIALE
È una definizione esemplificativa, aperta: l’articolo 2195 ci dice che è imprenditore commerciale
chi esercita un’attività industriale diretta alla produzione di beni e servizi, attività intermediaria
nella circolazione dei beni, attività di trasporto, attività bancaria o assicurativa, altre attività
ausiliarie delle precedenti. In generale, chiunque non sia imprenditore agricolo è imprenditore
commerciale.
PICCOLO IMPRENDITORE
Articolo 2083 è importante capire chi è il piccolo imprenditore, perché per esclusione si
definiscono gli imprenditori medio-grandi che sono assoggettabili alle norme previste dallo statuto
speciale; il piccolo imprenditore è soggetto solo allo statuto generale. Come si capisce chi è il
piccolo imprenditore? Per avere la qualificazione come piccolo imprenditore c’è bisogno che
l’imprenditore presti personalmente il suo lavoro nell’impresa e questo (ed eventualmente quello
dei familiari) deve prevalere su tutti gli altri fattori produttivi, lavoro altrui e capitali impiegati. La
prevalenza deve caratterizzare i beni, deve essere qualitativa-funzionale e cioè deve imprimere
una caratterizzazione ai bene o ai servizi forniti, non è quantitativa. Esempio: il proprietario di un
piccolo negozio di gioielleria non si può definire un piccolo imprenditore perché l’investimento in
capitale è superiore rispetto al lavoro prestato dal proprietario stesso; può essere un piccolo
imprenditore un orafo che lavora con materiali non preziosi perché in questo caso il suo lavoro
prevale sull’investimento in capitale. Il piccolo imprenditore è esonerato dalle scritture contabili
ed è iscritto in una sezione speciale del Registro dell’impresa con certificazione anagrafica, non c’è
pubblicità commerciale ma pubblicità notizia; non è soggetto al fallimento e alle procedure
concorsuali. Fino alla riforma della legge fallimentare c’era un enorme confusione determinata dal
fatto che il precedente articolo 1 della legge fallimentare definiva il piccolo imprenditore (con
parametri che via via sono diventati incostituzionali o abrogati o totalmente primi di un valore
economico attuale): c’erano due definizioni differenti di piccolo imprenditore e questo creava un
enorme confusione; oggi l’articolo 1 della legge fallimentare non ci dice più chi è piccolo
imprenditore ma chi è soggetto a fallimento, è anche possibile che l’imprenditore non sia piccolo
ma che non sia ugualmente soggetto a fallimento la legge dà dei parametri certi per
l’applicazione della legge fallimentare.
IMPRESA ARTIGIANA
L’impresa artigiana era definita dalla legge del 56 come un’impresa in cui vi era una componente
artistica o usuale, l’artigiano dava una grande impronta alla propria opera. Con l’abrogazione della
legge e con la legge quadro dell’85, l’impresa artigiana è definita come un’impresa che ha per
oggetto qualsiasi attività di produzione di beni ma anche semilavorati o di prestazione di servizi;
l’artigiano deve svolgere necessariamente il suo lavoro anche manuale nel processo produttivo,
deve dare una sua impronta artistica ma non è necessario che prevalga sugli altri fattori. L’apporto
dato dall’artigiano non ci dà informazioni con riguardo alla prevalenza, il fatto che un’impresa sia
artigiana non la qualifica per l’applicazione o meno dello statuto speciale; ci dà una
caratterizzazione dell’artigiano e lo espone o meno ad una determinata disciplina sicuramente di
favore ma non di natura di diritto commerciale. L’imprenditore artigiano può essere agricolo o
commerciale, può essere piccolo o medio-grande.
IMPRESA FAMILIARE
L’impresa familiare è un istituto del diritto di famiglia, nasce nel 75 con la riforma del diritto di
famiglia e lo scopo dell’istituto dell’impresa familiare è proteggere i componenti della famiglia che
molto spesso collaborano all’impresa senza un regolare rapporto di lavoro: il fatto che l’impresa
sia familiare non dà indicazioni sulla grandezza (non confondere l’impresa familiare con il piccolo
imprenditore). L’impresa familiare è un’impresa in cui lavora l’imprenditore con la sua famiglia
intesa come famiglia nucleare, parenti entro il terzo grado (nipoti) e gli affini entro il secondo
(cognati). L’impresa familiare offre due diversi benefici: il primo fiscale, connesso alla possibilità di
frazionare il reddito tra i diversi componenti della famiglia; il secondo legato al fatto che l’impresa
familiare dà ai componenti della famiglia che lavorino nell’impresa familiare in assenza di un
contratto di lavoro subordinato determinati diritti sia amministrativi l’imprenditore resta uno, i
componenti della famiglia non sono imprenditori (non sono assoggettati alla disciplina
dell’imprenditore e di conseguenza non possono fallire) ma l’imprenditore che spende il proprio
nome ha dei limiti amministrativi, in particolare non può compiere atti di gestione straordinaria
senza interpellare la famiglia che si esprime a maggioranza (decisioni di distribuzione degli utili, di
cessare l’attività d’impresa, determinazione delle strategie aziendale), alla discrezionalità
dell’imprenditore è rimessa tutta la gestione ordinaria; sia patrimoniali sono diritti di credito che
vantano nei confronti dell’imprenditore: diritto al mantenimento anche se non dovuto, alla
partecipazione agli utili, il consenso unanime per la cessione dei diritti di partecipazioni, diritto di
prelazione sull’azienda (diritto ad essere preferiti a terzi a parità di condizioni nell’acquisto
dell’azienda o di beni acquistati con gli utili dell’azienda). Resta il fatto che i componenti della
famiglia non diventano imprenditore: l’imprenditore infatti agisce in nome proprio nei confronti di
terzi. L’impresa familiare può essere una piccola impresa se l’attività imprenditoriale è esercitata
prevalentemente da imprenditore e famiglia nucleare.
IMPRESA SOCIETARIA
L’impresa si distingue in impresa individuale, societaria e pubblica: la differenza tra impresa
societaria e pubblica, che sono entrambe imprese collettive, è la finalità che si propongono e
l’intervento dello Stato nella seconda. Esistono due macroaree di società, società di persone e di
capitali: la differenza che contraddistingue le società di persone e quelle di capitali è che le società
di persone hanno una soggettività giuridica, sono soggetti di diritto diversi dalle persone dei soci,
ma non hanno personalità giuridica perfetta che si esprime nella completa indipendenza del
patrimonio sociale rispetto al patrimonio individuale dei soci. Da un lato, nelle società di persone si
hanno delle società in cui, seppur in via sussidiaria, c’è una responsabilità personale di almeno un
socio (c’è la possibilità di limitare la sussidiarietà, il rischio del socio varia a seconda della tipologia
di società); dall’altro, nelle società di capitali (ad eccezione di casi molto rari) è solo la società con il
proprio patrimonio a rispondere delle obbligazioni sociali e la responsabilità dei soci è limitata al
conferimento effettuato o promesso. Da questa differenza discende un pacchetto normativo
completamente differente: nelle società di capitali, il legislatore autorizza che sia solo il capitale
sociale ad essere la garanzia al pagamento delle obbligazioni sociali, ma accompagna una
disciplina cogente che riguarda sia agli organi sociali sia a tutta la disciplina di bilancio; viceversa,
nelle società di persone, dato che c’è una responsabilità più estesa ai soci, c’è una disciplina più
embrionale, è una società irregolare, esiste anche se non c’è un atto costitutivo (anche su un
accordo a voce), è una società molto personalizzabile che non necessita neppure di essere iscritta
al registro delle imprese (a differenza della società di capitali che non esiste prima dell’iscrizione al
registro delle imprese). La società di capitali non esiste finché non c’è iscrizione al registro delle
imprese, che è costitutiva, non c’è società: prima dell’iscrizione si ha semplicemente un contratto
e quindi si applica la disciplina dei contratti; è solo dopo l’iscrizione al registro delle imprese che la
società acquisisce personalità giuridica perfetta e diventa un soggetto giuridico.
Nelle società di persone c’è una società che non può avere oggetto commerciale (è la società
semplice), tutte le altre possono avere sia oggetto commerciale che non commerciale, si
caratterizzano per non possedere personalità giuridica perfetto, ma sono soggetti di diritto; nel
caso delle società di capitali, le differenti società che possono essere create sono società
commerciali (che possono svolgere sia attività agricole che attività commerciali), sono soggetti
di diritto e c’è personalità giuridica perfetta. La società semplice è molto poco utilizzata perché dà
poche tutele, ma è un prototipo normativo.
 Società pubbliche
La rilevanza delle imprese pubbliche si è via via ridotta a seguito delle grandi privatizzazioni degli
anni ’90 che hanno determinato una ristrutturazione di grandi società pubbliche con una
trasformazione delle stesse in società per azioni, al fine di migliorarne la gestione e diminuire la
spesa pubblica. Le tre macro-tipologie di imprese pubbliche sono: imprese organo in cui l’attività
d’impresa è accessoria ai fini istituzionali che l’ente si propone di conseguire (grandi imprese
nell’ambito dei servizi essenziali, acqua, gas, trasporti); enti pubblici economici, ormai tutti
trasformati in società per azioni (banche, ferrovie dello stato); società private a partecipazione
statale.
 Associazioni e fondazioni
Associazioni e fondazioni possono essere qualificate come imprenditori purché sussistano tutti i
requisiti minimi enunciati nell’articolo 2082: lo scopo di lucro non è un requisito qualificativo
dell’imprenditore, non è un requisito essenziale ma rileva solo l’economicità del metodo.
Ricorrendo tutti i requisiti del 2082, sia associazioni che fondazioni possono essere qualificate
come imprenditori, la mancanza di scopo di lucro non è un limite ma bisogna (ovviamente)
riscontrare la presenza di tutti i requisiti che vengono richiesti; in tal caso, può applicarsi tutta la
disciplina dell’imprenditore.
 Impresa sociale
L’impresa sociale è un’impresa gestita senza scopo di lucro in settori di utilità sociali. L’articolo 1
del decreto legislativo 112/2017 è una nozione che qualifica l’impresa sociale: acquisiscono la
qualifica di impresa sociale gli enti che esercitano in via stabile e principale un’attività di interesse
generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando
modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei
lavoratori, degli utenti e degli altri soggetti interessati alla loro attività. Deve esserci economicità
altrimenti non si ha impresa la mensa che pro bono distribuisce ai poveri senza avere entrate
non può essere qualificata come impresa perché non c’è economicità. Le imprese sociali devono
per forza svolgere la propria attività principale in aree indicate dalla legge. L’articolo 2 del decreto
legislativo 112/2017 elenca le aree in cui l’impresa sociale deve esercitare la propria attività: una o
più attività di interesse generale per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociali come
interventi e servizi sociali, prestazioni sanitarie e sociosanitarie, istruzione, formazione
universitaria, ricerca scientifica, attività turistiche di interesse sociale e religioso (in generale, tutte
le attività del terzo settore). Il presupposto dell’impresa sociale è l’assenza di scopo di lucro,
tutelata dal legislatore: gli utili e gli avanzi di gestione devono essere riutilizzati o utilizzati per lo
svolgimento dell’attività statutaria; per evitare che ci sia uno sviamento successivo, pone questo
limite anche in caso di scioglimento dell’impresa imponendo una devoluzione del patrimonio ad
imprese con oggetto sociale simile e anche in caso di operazioni straordinarie che determinano
una fusione/scissione o una trasformazione dell’impresa sociale. Dal 2006, la normativa sul divieto
di distribuzione degli utili e degli avanzi di gestione si è leggermente attenuata: si può destinare
alla rivalutazione delle quote una parte degli utili netti e anche di distribuire i dividendi, anche se
in modo molto limitato (la distribuzione dei dividendi deve essere inferiore al tasso massimo dei
buoni pasto fruttiferi aumentato di 2,5 punti rispetto al capitale versato).
Le caratteristiche principali dell’impresa sociale sono: assenza dello scopo di lucro; forte vincolo di
indisponibilità del patrimonio e divieto di devoluzione (anche in caso di scioglimento o di
operazioni straordinarie); non deve solo operare nell’ambito delle materie individuate dalla legge,
deve essere costituita per atto pubblico e iscritta nel registro delle imprese in un’apposita sezione;
c’è la possibilità di limitare la responsabilità patrimoniale dei partecipanti se l’impresa possiede un
patrimonio netto di almeno 20000€ e sia iscritta; deve tenere il libro giornale e il libro degli
inventari in conformità alle norme sull’imprenditore; deve depositare presso il registro delle
imprese e pubblicare presso il sito web il bilancio d’impresa che è tenuta a redigere.

ACQUISTO E PERDITA DELLA QUALITA’ DI IMPRENDITORE (capitolo 3)


1. Qual è il presupposto per l’applicazione delle norme dettate per l’imprenditore commerciale?
Per comprendere chi può acquistare la qualità di imprenditore, è necessario comprendere quale
istituto giuridico si applica il principio formale della spendita del nome, cioè le norme sul
mandato con e senza rappresentanza. Nel mandato con rappresentanza, il mandatario che agisce
per conto del mandante spende il nome del mandante nei confronti dei terzi e gli effetti giuridici
degli atti ricadono direttamente in capo al mandante. Nel mandato senza rappresentanza, il
mandatario agisce per conto del mandante ma non spende il nome del mandante nei confronti dei
terzi; di conseguenza gli effetti giuridici dei negozi ricadono sul mandatario (e non sul mandante,
anche perché i terzi non ne potevano avere conoscenza). L’articolo del Codice civile che disciplina
la dottrina del mandato senza rappresentanza è il 1705 (mandato con rappresentanza 1704): il
mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti
compiuti con i terzi anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato, i terzi non hanno alcun
rapporto col mandante. Il principio formale della spendita del nome è un principio che si applica
anche alla disciplina dell’imprenditore ed è utile a qualificare l’imprenditore. Non c’è alcun tipo di
problema se c’è un esercizio diretto dell’attività d’impresa: l’imprenditore A svolge direttamente
l’attività d’impresa, ricade su di lui la qualifica di imprenditore e gli effetti di tutti gli atti che pone
in essere. Può nascere un problema quando l’attività d’impresa è svolta in modo indiretto: A
svolge l’attività d’impresa indirettamente, tramite un soggetto B, un prestanome e con un
mandato senza rappresentanza il prestanome, generalmente poco solvibile, entra nel traffico
giuridico senza spendere il nome del mandante e quindi gli effetti dei negozi giuridici si
consolidano in capo al prestanome, cioè l’imprenditore B che è l’unico che diventa imprenditore e
contrae con i terzi. L’imprenditore è il soggetto il cui nome è validamente speso nel traffico
giuridico (prestanome, soggetto B). Dalle norme sul mandato si ricava che per l’imputazione
dell’attività vale un criterio formale (spendita del nome) e non sostanziale (titolarità
dell’interesse). Finché l’impresa è in una situazione di solvenza e B adempie alle proprie
obbligazioni, non c’è nessun problema; sorge un problema quando B non è più in grado di
soddisfare le proprie obbligazioni e quindi ci si domanda se i creditori, ignorando l’esistenza di A
cioè l’imprenditore occulto, siano tutelati e in che modo. La teoria dell’imprenditore occulto nasce
dall’esigenza di tutelare i creditori e da ragioni di equità sostanziale.
 Fattispecie un soggetto A esercita un’impresa senza apparire nei confronti dei terzi ma
restando dietro le quinte; nei rapporti con i terzi appare un soggetto B, spesso nullatenente,
che attua le scelte imposte dall’imprenditore occulto. La domanda che la dottrina si pone è:
se l’impresa esercitata è commerciale, in caso di fallimento fallisce solo il terzo,
imprenditore palese o si riesce a far fallire anche l’imprenditore occulto?
Chi sostiene la teoria dell’imprenditore occulto secondo la quale quest’ultimo deve fallire, lo fa
sulla base dell’assunto che il potere vada insieme al rischio d’impresa (chi ha più potere più
rischia); quindi, afferma la responsabilità di chi domina l’impresa altrui e quindi fa fallire sia
l’imprenditore palese che l’imprenditore occulto. Questa teoria ha avuto pochissimi consensi in
giurisprudenza perché nel nostro ordinamento non si rinviene il presupposto per derogare alle
norme sul mandato: questo binomio potere-responsabilità non lo si rinviene nemmeno nelle
società di capitali, dove avviene che più la società si apre più si governa con un’aliquota piccola.
La teoria dell’imprenditore occulto vorrebbe applicare analogicamente i commi 4 e 5
dell’articolo 147 della legge fallimentare.
 Comma 4 stabilisce che se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta
l’esistenza di altri soci limitatamente responsabili, il tribunale su istanza del curatore, di un
creditore o del socio fallito dichiara il fallimento dei medesimi. Se io ho una società X di cui
sono soci A e B e la società X fallisce c’è il fallimento in estensione dei soci limitatamente
responsabili; se io dopo la dichiarazione del fallimento, scopro che c’era un altro socio
occulto C io lo faccio fallire in estensione. I sostenitori ai sensi del comma 4, ritengono che
debba fallire anche l’imprenditore occulto della fattispecie sopra enunciata.
 Comma 5 stabilisce che fallisce non solo il socio occulto della società fallita ma anche il
socio occulto della società occulta. Se io ho un imprenditore individuale B che fallisce e
scopro che B era socio con un socio occulto C di una società occulta Y; dal fallimento di B
riesco a far fallire la società occulta Y e quindi il socio occulto di società occulta C.
I sostenitori della teoria dell’imprenditore occulto tentano di applicare analogicamente questi due
commi alla fattispecie sopra descritta ma non è possibile PERCHE’ MANCANO I PRESUPPOSTI
DELL’APPLICAZIONE ANALOGICA. Ma perché? Il comma 4 e in particolare il comma 5
presuppongono l’esistenza di una società e di conseguenza devono esserci i presupposti di
esistenza di una società (scopo comune, apportare conferimenti). Nella fattispecie
dell’imprenditore occulto non c’è assolutamente la volontà di A di creare una società con B e di
conseguenza, non essendoci i requisiti per avere l’esistenza di una società pur di fatto non si
possono applicare analogicamente i due commi. Non essendoci la volontà di creare una società,
non si possono applicare analogicamente i commi 4 e 5 dell’articolo 147 della legge fallimentare.
In generale, esistono diversi motivi per i quali la teoria dell’imprenditore occulto non ha
riscontrato molti consensi:
1. È valido il solo criterio formale per l’imputazione dell’attività d’impresa non il criterio
sostanziale del potere di direzione. Si fa riferimento alla disciplina del mandato con e senza
rappresentanza.
2. Per aversi un’applicazione analogica dei commi 4 e 5 dell’articolo 147, si dovrebbe
rinvenire tra l’imprenditore palese e l’imprenditore occulto gli elementi costitutivi di una
società, che non si rinvengono.
3. Non c’è l’esigenza di tutelare i terzi perché, nella fattispecie dell’imprenditore occulto,
ignorano l’esistenza di un imprenditore occulto.
4. Sarebbe pregiudizievole per i creditori personali dell’imprenditore occulto che potrebbero
non avere contezza che questi esercitasse un’attività occulta tramite prestanome.
Per questi motivi, la giurisprudenza tendenzialmente non ha mai avallato, se non in casi sporadici,
la teoria dell’imprenditore occulto. Nonostante ciò, esiste un’esigenza di equità sostanziale che
vuole far fallire chi abusa degli schermi giuridici: bisogna farlo nel rispetto delle norme giuridiche e
dei principi del nostro ordinamento. Si riesce a fare se si riesce a individuare nel mandante gli
elementi per qualificarlo come imprenditore e lo si può a quel punto far fallire come impresa
“fiancheggiatrice”, sulla base della dimostrazione che ha eterodiretto e fatto fallire
l’imprenditore palese. Si può far fallire l’imprenditore occulto come società fiancheggiatrice se
rinveniamo i requisiti che lo qualificano come imprenditore, qualora sia dimostrata l’etero-
direzione.
 Quando si acquista e quando si perde la qualità di imprenditore?
La dottrina è concorde nel ritenere che la qualità di imprenditore si acquisti con l’effettivo inizio
dell’attività d’impresa; non è sufficiente l’intenzione di esercitare l’attività di impresa, non è
sufficiente la richiesta di autorizzazione, non è sufficiente l’iscrizione al registro delle imprese.
L’attività preparatoria se è complessa, è sufficiente ad integrare già attività d’impresa? L’inizio
dell’attività d’impresa può essere anche precedente al primo atto di gestione? La risposta è sì se il
numero e la rilevanza degli atti compiuti manifestano in modo inequivocabile una destinazione ad
un fine produttivo e la professionalità. Nel momento in cui io creo solo un’organizzazione, creo un
impianto stabile di organizzazione, è il primo atto di gestione a determinare l’inizio dell’attività
d’impresa. Se l’attività preparatoria è così complessa da integrare tutti gli elementi
dell’imprenditore compresa la professionalità, anche l’attività preparatoria può già integrare
l’attività d’impresa. Il principio cardine è il principio dell’effettività.
Il principio dell’effettività è il principio che individua non solo l’inizio dell’impresa ma anche della
fine dell’impresa.
L’articolo 10 della legge fallimentare prevede che l’imprenditore possa essere dichiarato fallito
solo entro un anno dalla cessazione dell’attività salvo che un creditore o il pubblico ministero
dimostri che anche successivamente ha continuato ad esercitare l’attività. c’è la necessità di
individuare il momento della disgregazione del complesso aziendale: non è sufficiente la
cancellazione dal registro delle imprese se viene dimostrato che dopo la cancellazione non c’è
stata l’effettiva cessazione dell’attività d’impresa. Per dichiarare un imprenditore fallito c’è bisogno
che sia effettivamente cessata l’attività d’impresa e la cancellazione dal registro delle imprese.
Questo non significa, a differenza di quanto si paventava in passato, che siano risolti tutti i rapporti
giuridici: il fatto che esistano ancora dei creditori non impedisce che si configuri la cessazione
dell’attività d’impresa. L’articolo 10 della legge fallimentare ci dice che l’imprenditore individuale e
collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro
dell’imprese se l’insolvenza si sia manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno
successivo; il creditore o il pubblico ministero possono dimostrare il momento dell’effettiva
cessazione dell’attività da cui decorre il termine del primo comma. Prevale un principio di
effettività per cui l’imprenditore può essere dichiarato fallito solo decorso un anno dalla
cancellazione dal registro dell’impresa a meno che i creditori o il pubblico ministero dimostrino
che ha successivamente continuato l’attività d’impresa e quindi si ha uno slittamento del termine
di decorrenza dell’anno.
Sia per l’inizio che per la fine dell’impresa non è sufficiente l’iscrizione/cancellazione dal registro
dell’impresa ma c’è bisogno dell’applicazione del principio di effettività.
 La capacità
Nel nostro ordinamento, la capacità di agire si acquista con la maggior età e si perde a seguito di
un procedimento di interdizione o inabilitazioni. È possibile, al compimento del sedicesimo anno,
di ottenere l’emancipazione la quale consente di acquisire la piena capacità di agire. La capacità di
agire consente di acquisire personalmente la qualifica di imprenditore, viceversa chi non ha la
capacità di agire non acquista mai la qualità di imprenditore; è necessario distinguere tra la
continuazione dell’attività d’imprese e l’inizio dell’attività d’impresa. L’unico soggetto che, di
norma, sarebbe privo di capacità d’agire ma che può acquisirla con un procedimento giudiziale di
emancipazione e che può ottenere la qualifica di imprenditore è il minore emancipato: pertanto,
può continuare l’impresa esistente o iniziarne una in modo autonomo. Il minore e l’interdetto o
l’inabilitato non potranno mai iniziare un’attività d’impresa; potranno, eventualmente, continuarla
ma solo attraverso i propri legali rappresentanti; l’inabilitato personalmente ma con assistenza del
curatore; il minore con chi ne fa la potestà, genitore o tutore.
Perché si limita la capacità d’impresa ai soggetti che non hanno una piena capacità d’agire? Perché
è pericolosa per il proprio patrimonio personale.
 L’incompatibilità
È una fattispecie completamente diversa: l’incompatibilità non determina un’impossibilità a
ricoprire una determinata qualifica ma determina l’obbligo di una scelta.

LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE (capitolo 4)


Si applica a chi non è agricolo e a chi non è piccolo, in particolare con delle eccezioni riguardo alla
pubblicità; non si applica mai alle attività connesse. È un pacchetto normativo che riguarda
all’imprenditore commerciale non piccolo.
1. Pubblicità legale presso il registro delle imprese la pubblicità al registro delle imprese
dell’imprenditore commerciale non piccolo è una pubblicità legale: gli atti iscritti sono
opponibili ai terzi, indipendentemente dalla loro conoscenza, con la sola eccezione delle
delibere delle società di capitali che invece sono opponibili dopo 15 giorni dall’iscrizione.
L’esigenza della pubblicità legale nasce dal soddisfacimento di un’esigenza di certezza e
trasparenza, al fine di rendere sicuro il mercato di avere info certe, veritiere e non
contestabili: per questo motivo, si obbliga l’imprenditore (individuale o collettivo)
all’iscrizione nel registro delle imprese di determinati atti o fatti riguardanti la vita
dell’impresa; si iscrivono al registro delle imprese, tenuto dalle Camere di Commercio.
L’esigenza di avere un sistema di pubblicità legale è presente nel nostro ordinamento fin
dal ’42: ci sono voluti più di 50 anni per attuare questa norma durante i quali c’è stato un
regime transitorio in cui i registri erano tenuti nelle cancellerie dei tribunali; negli anni ‘70
dalle Camere di Commercio, nel ’93 è stato istituito il registro delle imprese, operativo dal
’97. Inoltre, nel ’93 il registro delle imprese è stato esteso anche al piccolo imprenditore,
all’imprenditore agricolo e alle società semplici con un’efficacia diversa. Che differenza c’è
tra l’efficacia legale e la pubblicità notizia? Con la pubblicità legale, ho una presunzione di
conoscenza del terzo indipendentemente dal fatto che abbia conosciuto o meno l’atto; con
la pubblicità notizia, bisogna provare che i terzi effettivamente fossero a conoscenza della
notizia.
2. Obbligo di tenuta delle scritture contabili obbligo molto embrionale per l’imprenditore
perché, con un criterio molto generale, è rimesso alla complessità dell’impresa il fatto di
dotarsi di un sistema adeguato.
3. Assoggettamento al fallimento e altre procedure concorsuali l’articolo 1 della legge
fallimentare stabilisce chiaramente chi sono gli individui assoggettati al fallimento, con
parametri quantitativi.
4. Rappresentanza commerciale presunzione di rappresentanza per alcuni soggetti
incardinati nella struttura imprenditoriale, a tutela dei terzi e della certezza dei rapporti
giuridici.
 Pubblicità legale
In ciascuna provincia, presso la Camera di Commercio, sotto la vigilanza del giudice delegato dal
presidente del tribunale del capoluogo di provincia, c’è il registro delle imprese composto da varie
sezioni: I sezione ordinaria dove c’è l’imprenditore commerciale non piccolo; IV sezioni speciali.
L’iscrizione nella sezione ordinaria dà l’effetto di pubblicità legale, cioè opponibilità ai terzi delle
notizie iscritte indipendentemente dall’effettiva conoscenza: la pubblicità legale si suddivide in
dichiarativa, costitutiva e normativa. In generale, nelle sezioni speciali, la pubblicità è una
pubblicità notizia, il valore è di una certificazione anagrafica e bisogna provare che i terzi abbiano
un’effettiva conoscenza della notizia iscritta nel registro delle imprese.
I soggetti tenuti all’iscrizione nel registro delle imprese della provincia in cui la società ha sede
(sezione ordinaria) sono: imprenditori commerciali non piccoli e cioè imprenditori individuali, tutte
le società tranne la società semplice (non importa che svolgono un’attività non commerciale), i
consorzi con attività esterna, gli enti pubblici con oggetto principale o esclusivo l’attività
commerciale, società estere con sede in Italia e i gruppi europei di interesse economico con sede
in Italia.
I soggetti tenuti all’iscrizione nelle sezioni speciali sono: imprenditore agricolo, piccolo
imprenditore e le società semplici, società tra professionisti, imprese sociali, soggetti che
esercitano direzione e coordinamento, società di capitali in lingua straniera, start up innovative o
incubatori certificati, piccole medie imprese innovative; hanno pubblicità notizia.
 Efficacia delle iscrizioni nella sezione ordinaria
Nell’ambito della pubblicità legale, possiamo distinguere: pubblicità dichiarativa, pubblicità
costitutiva e pubblicità normativa.
- La pubblicità dichiarativa è l’effetto tipico della pubblicità legale, tutte hanno una pubblicità
dichiarativa, cioè l’opponibilità ai terzi di qualsiasi atto iscritto a registro,
indipendentemente dalla conoscenza che ne hanno. L’unica iscrizione, nella I sezione
ordinaria, che non ha efficacia dichiarativa immediata è l’iscrizione delle società di capitali,
per le quali si dà un lasso temporale di 15 giorni in cui si presume che i terzi potrebbero
non essere a conoscenza dell’atto iscritto e l’efficacia dichiarativa dell’atto si acquisisce dal
15esimo giorno. L’effetto tipico della pubblicità legale è l’efficacia dichiarativa.
- Esiste un’efficacia costitutiva: l’iscrizione è necessaria perché l’atto produca effetto sia tra
le parti sia nei confronti dei terzi. L’iscrizione a registro delle imprese dell’atto costitutivo di
società di capitali è costitutiva, fa venire ad esistenza la società: prima e senza iscrizione
non c’è società ma solo un contratto tra le parti, la società viene ad esistere con l’iscrizione.
L’efficacia costitutiva si ha quando l’iscrizione determina la nascita di un rapporto
giuridico; quindi, affinché l’atto produca effetti tra le parti e tra i terzi c’è bisogno
dell’iscrizione. In questo caso, l’efficacia costitutiva è totale, sia tra le parti che verso i terzi.
L’efficacia costitutiva può essere anche parziale: l’atto è già efficace tra le parti, l’iscrizione
lo rende efficace verso i terzi. Un esempio è la delibera di riduzione del capital: tra i soci,
l’efficacia si ha dal momento in cui è assunta la delibera; verso i terzi, si ha solo con
l’iscrizione la delibera è opponibile ai terzi solo dopo l’iscrizione a registro, salvo che non
sia stato comunicato attraverso mezzi differenti.
- L’efficacia può essere normativa: l’applicazione di un determinato pacchetto normativo è
determinata dall’iscrizione. Un esempio si ha nel caso di società di persone, le quali non
necessitano l’iscrizione a registro (esistono, infatti, società di fatto o società verbali): alla
società in nome collettivo irregolare (non iscritta) si applica un pacchetto normativo
differente rispetto a quello applicato alla società in nome collettivo regole (iscritta). Si può
desumere che l’iscrizione al registro delle imprese della s.n.c. e sella s.a.s. ha efficacia
normativa perché dall’iscrizione discende non solo la pubblicità dichiarativa ma anche
l’applicazione/non applicazione di un pacchetto normativa.
Oggi anche il piccolo imprenditore, l’imprenditore agricolo e le s.a.s. hanno pubblicità dichiarativa,
non solo notizia.
 Atti da iscrivere a registro
Gli atti che devono essere iscritti al registro dell’impresa sono: gli elementi di individuazione
dell’imprenditore e dell’impresa, atti che riguardano la struttura e l’organizzazione dell’impresa,
tutte le modifiche di quello che è iscritto.
 Tenuta delle scritture contabili (articoli 2214 in poi)
I soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili sono: imprenditori commerciali non piccoli,
tute le società tranne ss., società cooperative, consorzi con attività esterna, gruppi economici di
interesse europeo, enti pubblici avente ad oggetto (anche non esclusivo o principale) l’attività
commerciale, associazioni e fondazioni che esercitano attività commerciale, grandi imprese
familiari commerciali.
L’articolo 2214 dice che i soggetti obbligati sono tutti gli imprenditori commerciali non piccoli e
tutte le società commerciali (tranne la società semplice), anche se non esercitano attività
commerciale. Inoltre, lo stesso articolo ci dà anche un principio generale: ci dice che tutti i soggetti
obbligati devono per forza tenere il libro giornale, il libro degli inventari (questi due devono essere
numerati progressivamente e non sono soggetti a bollatura e vidimazione) e almeno per 10 anni
tutti i fascicoli della corrispondenza commerciale; ogni imprenditore è tenuto ad avere le scritture
contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa secondo un concetto di adeguatezza
(principio generale). In generale, le scritture contabili sono documenti che contengono
rappresentazioni quantitative o monetarie di singoli atti d’impresa, da cui una volta all’anno si
evince la chiusura col bilancio d’esercizio; è necessario che le scritture contabili siano tenute in
modo corretto e conservate per 10 anni. Solitamente, l’imprenditore si dota di tutte le altre
scritture contabili che sono funzionali alla propria natura e alla propria dimensione, ad esempio,
libro mastro, libro cassa, libro magazzino insieme a tutte le altre scritture contabili prescritte dalla
normativa tributaria e lavoristica. L’articolo 2215 bis ci dice che libri contabili possono essere
formati e tenuti con strumenti informativi.
- Qual è l’efficacia probatoria delle scritture contabili?
La corretta tenuta delle scritture contabili è una degli elementi determinanti per l’applicazione di
bancarotta, semplice o fraudolenta (a seconda che ci sia colpa o dolo), in caso di fallimento. Le
scritture contabili costituiscono un mezzo di prova dei terzi contro l’imprenditore, ma anche un
mezzo di prova a favore dell’imprenditore se le scritture contabili sono regolarmente tenute, se la
controparte è imprenditore e se la controversia ricade nell’ambito dell’attività d’impresa.
L’articolo 2219 ci dà una imposizione di regolare tenuta della contabilità: tutte le scritture devono
essere tenute secondo le norme di una ordinata contabilità, senza spazi in bianco, senza interlinee
e senza trasporti a margine, non si possono fare abrasioni e se è necessaria qualche cancellazione,
deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili. Le scritture contabili possono essere
strumento di prova, oltre che di corretta gestione. Le scritture contabili possono essere SEMPRE
utilizzare contro l’imprenditore, sia che siano regolarmente tenute sia che non lo siano; è chiaro
che nell’utilizzare le scritture contabili come mezzo di prova, non è possibile scinderne il contenuto
(bisogna recepirne la totalità) e inoltre, l’imprenditore ha sempre la facoltà di dimostrare che non
sono veritiere. Anche l’imprenditore può utilizzare a suo favore le scritture contabili ma con tante
limitazioni: può utilizzarle come mezzo di prova solo se sono tenute correttamente, solo se la
controparte è un imprenditore tenuto alle scritture contabili, solo se la controversia è inerente
all’esercizio delle imprese; anche in questo caso, non è possibile scinderne il contenuto, possono
essere utilizzate scritture contabili obbligatorie e no. Il valore delle scritture contabili è rimesso
all’apprezzamento del giudice (probabilmente anche a seconda di come sono tenute, a seconda
della generale contabilità dell’imprenditore).
 Rappresentanza commerciale
Il legislatore, per garantire il più possibile la certezza del diritto e dei rapporti, stabilisce delle
presunzioni di rappresentanza in capo a soggetti inseriti in modo stabile nell’organizzazione:
quando i terzi contrattano con questi soggetti, possono tranquillamente presumere che questi
abbiano determinati poteri di rappresentanza; tutto ciò rende più snello e agile il traffico giuridico.
- Institore
L’articolo 2203 dice che è institore colui che è preposto dal titolare all’esercizio di un’impresa
commerciale, di una sede secondaria o di un ramo particolare dell’impresa; è un soggetto all’apice
dell’impresa, un direttore generale solitamente, di regola, è un lavoratore subordinato, ha un
potere generale. Il terzo comma dell’articolo 2203 dice che se sono preposti più institori questi
agiscono disgiuntamente a meno che nella procura sia diversamente stabilito.
L’institore può compiere tutti gli atti dell’esercizio dell’impresa a cui è preposto: ha un potere di
gestione generale, è tenuto insieme all’imprenditore agli obblighi di scrittura presso il registro
dell’impresa, agli obblighi di tenuta di scritture contabili e può essere soggetto di sanzioni penali in
caso di fallimento, non acquisisce la qualità di imprenditore quindi non fallisce personalmente; ha,
inoltre, enormi poteri di rappresentanza, ha una rappresentanza attiva e passiva sia sostanziale
che giudiziale. Il potere di gestione è il potere di decidere la formazione dell’atto, di decidere il
compimento o meno di un atto di gestione; il potere di rappresentanza è l’espressione verso
l’esterno del potere di gestione; entrambi i poteri sono generali: può compiere tutti gli atti che
riguardano l’esercizio dell’impresa e ha rappresentanza sostanziale e processuale, attiva e passiva.
L’institore non può alienare o ipotecare i beni immobili del preponente, se non sia stato
autorizzato.
L’articolo 2206 dice che la procura institoria deve essere depositata con l’iscrizione presso il
registro dell’impresa; il secondo comma dice che, in mancanza di iscrizione, la rappresentanza si
reputa generale e le limitazioni contenute nella procura non sono opponibili ai terzi se non si
prova che questi ne fossero a conoscenza al momento della conclusione dell’affari. La
rappresentanza può essere limitata con una procura ma c’è bisogno che le limitazioni vengano
iscritte nel registro delle imprese affinché queste abbiano efficacia dichiarativa e quindi opponibili
ai terzi; nel caso non fossero iscritte, si presume la rappresentanza generale. Tutto ciò si attua nel
rispetto delle norme sul mandato: il rappresentante, quando agisce, deve rendere noto ai terzi che
lo fa come institore e non personalmente, deve spendere il nome dell’imprenditore per far in
modo che gli effetti degli atti che compie si consolidino in capo all’imprenditore altrimenti è
personalmente obbligato; siccome c’è anche una tutela dei terzi, se sono atti riguardanti
all’esercizio dell’impresa, sarà comunque obbligato anche l’imprenditore. Se l’institore non spende
il nome dell’imprenditore, risponderà personalmente degli effetti degli atti compiuti ma per
tutelare i terzi, se gli atti riguardano l’esercizio dell’impresa, risponderà in solido anche
l’imprenditore.
- Procuratore
Il procuratore è colui che in base ad un rapporto continuativo ha il potere di compiere per
l’imprenditore atti pertinenti all’esercizio dell’impresa ma non è preposto ad essa; anche il potere
di rappresentanza è limitato al settore d’attività di cui è a capo, non ha rappresentanza
processuale. A differenza dell’institore, non è tenuto agli obblighi di iscrizione ne alle scritture
contabili, nemmeno di quelle relative al settore d’attività di cui è a capo: il suo potere e le sue
responsabilità sono circoscritte ad un determinato settore operativo dell’impresa.
- Commesso
I commessi sono ausiliari subordinati all’imprenditore a cui sono affidate mansioni esecutive o
materiali che li pongono in contatto con i terzi, possono compiere solo le mansioni di cui sono
incaricati; secondo l’articolo 2210 dice che i commessi dell’imprenditore possono compiere gli atti
che ordinariamente comporta la specie di operazioni cui sono incaricati, non possono esigere il
prezzo delle merci delle quali non facciano consegna, ne concedere dilazioni o sconti che non
siano d’uso salvo che ciò sia espressamente autorizzato. Secondo l’articolo 2213 non possono
esigere il prezzo delle merci fuori dai locali dell’impresa o se c’è una cassa, in un luogo interno al
negozio diverso dalla cassa. L’imprenditore può ampliare o limitare i poteri ma non è previsto un
sistema di pubblicità legale; quindi, è opponibile ai terzi solo se è provata la conoscenza.

L’AZIENDA (capitolo 5)
L’articolo 2555 ci dice che l’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per
l’esercizio dell’impresa. La nozione principale che caratterizza questa definizione è la nozione di
organizzazione: un’organizzazione è funzionale all’esercizio dell’impresa, dà ad un complesso
produttivo di beni eterogenei unitarietà, la quale è funzionale ad una destinazione ad un fine
produttivo. L’azienda è un mezzo per raggiungere il fine, attività d’impresa. I beni che compongono
l’azienda sono considerati unitariamente, nella loro unitarietà acquisiscono un valore maggiore del
valore della somma dei singoli beni proprio per il modo in cui sono organizzati dall’imprenditore.
L’imprenditore, attraverso la propria organizzazione di beni tra loro eterogenei e che nel corso
della vita subiscono continue modificazioni qualitative e quantitative, imprime un’unitarietà che
rende l’azienda un bene di valore superiore alla somma del valore dei singoli beni che la
compongono perché destina questi beni così combinati ad uno specifico fine produttivo. Questi
beni sono eterogenei, è irrilevante il titolo giuridico in base al quale l’imprenditore li utilizza
purché ve ne sia uno, il fatto che l’azienda si evolva non mina l’unitarietà anzi è connaturale al
concetto di azienda il fatto che ci siano continue modifiche qualitative e quantitative nei beni che
la compongono.
- Cosa si intende per beni?
La dottrina si è domandata se i beni siano le cose definite dall’articolo 810 o invece, se per beni si
intenda qualunque elemento patrimoniale suscettibile di valutazione economica che sia utilizzato
a qualunque titolo dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
Articolo 810 sono beni le cose per possono formare oggetto di diritti; è certo che è del tutto
irrilevante il titolo giuridico in base al quale l’imprenditore utilizza il bene, purché ve ne sia uno.
Potranno, indubbiamente, esserci beni di proprietà dell’imprenditore che non fanno parte
dell’azienda e dei beni che non sono di proprietà dell’imprenditore ma per i quali ha un valido
titolo giuridico per l’utilizzo (uffici in locazione, marchio in licenza, macchinari in leasing) ma che
rientreranno dell’unitarietà dell’azienda.
- Qual è la natura giuridica dell’azienda?
Si scontrano due tesi: una tesi atomistica e una tesi unitaria, le quali si sono contrapposte per
cercare di capire come circola l’azienda e quali sono le regole di circolazione dell’azienda.
Secondo la teoria atomistica, i beni che compongono l’azienda non acquistano unitarietà, sono dei
beni distinti tra loro e organizzati dall’imprenditore, acquisiscono quindi un’unità funzionale che è
relativa. A dimostrazione della correttezza della teoria atomistica, possiamo osservare che non c’è
una legge di circolazione dell’azienda (la regola è che l’azienda circola secondo le regole più severe
di ciascuno dei componenti dell’azienda stessa) e che l’azienda non perde la propria unitarietà se
vengono esclusi elementi o se deve essere integrata con altri per poter funzionare.
Secondo la teoria unitaria, l’azienda è considerata come un unico bene immateriale, rappresentato
proprio dall’organizzazione dei beni: individua sull’azienda un diritto unitario di proprietà come se
fosse un’universalità di beni.
- Elementi costitutivi dell’azienda
Un’azienda è l’insieme di molteplici beni. Il maggior valore che i beni hanno nella loro unitarietà è
superiore ai singoli beni sommati: questo maggior valore è l’avviamento, che esprime l’attitudine a
produrre nuova ricchezza. Questo maggior valore, dinamico rispetto al valore statico dei singoli
beni individuati uno per uno, ha due sfaccettature, una soggettiva e una oggettiva. Quella
oggettiva si riferisce all’oggettivo maggior valore che i beni hanno combinati in quel particolare
modo, in quella organizzazione, cioè l’unità funzionale che gli imprime la destinazione ad un fine
produttivo gli dà oggettivamente un maggior valore rispetto ai singoli beni; l’avviamento
soggettivo è dato dalla capacità dell’imprenditore di far fruttare quella determinata azienda.
L’avviamento è tutelato dal legislatore nella disciplina dell’azienda, che in particolare riguarda la
cessione (cosa succede in caso di cessione di azienda, di ramo di azienda, affitto di ramo di
azienda, usufrutto di azienda) e che protegge sia l’avviamento oggettivo che soggettivo. La
disciplina dell’azienda si compone di un obbligo di non concorrenza in caso di cessione (intesa in
senso lato), volto a proteggere l’avviamento soggettivo e si compone di una serie di regole che
derogano alla disciplina del diritto privato con riguardo ai contratti, ai rapporti di debito e di
credito e che servono a tutelare il bene azienda, dal punto di vista soggettivo e oggettivo.
L’azienda può formare oggetto di atti di disposizione di diversa natura: l’azienda può essere
venduta, tutta o in parte; può essere oggetto di un conferimento in una società; può essere
oggetto di donazione, di diritti reali o personali a favore di terzo; possono esserci atti di
disposizione di uno o più beni che non alterano l’unità funzionale dell’azienda stessa. È importante
capire quando si è di fronte ad un’azienda perché il pacchetto normativo si applica solo quando si
ha un trasferimento di azienda; è importante che ci sia un’azienda perché applico o no l’articolo
2555 e i seguenti, non è infrequente che l’imprenditore provi a deludere questa qualificazione per
evitare l’applicazione di questo pacchetto normativo o che provi a simulare che ci sia un’azienda
per applicare le norme che gli sono favorevoli. È importante capire quando siamo di fronte ad
un’azienda per capire quale disciplina applicare. L’unitarietà di un’azienda. non è inficiata dal fatto
che si trasferiscano determinati beni o che l’imprenditore acquirenti debba comprarne altri per
farla funzionare come vuole lui o che la compri e la utilizzi per un fine differente rispetto a quello
dell’alienante.
Non esiste un’unitaria legge della circolazione di azienda: l’articolo 2556 ci dice che per le imprese
soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il
godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto, altrimenti la cessione o il trasferimento
di diritti di godimento dell’azienda deve osservare le forme stabilite per il trasferimento dei singoli
beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto.
 Divieto di concorrenza
Avviamento soggettivo divieto di concorrenza: chi aliena un’azienda commerciale deve
astenersi, per un massimo di cinque anni, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto,
l’ubicazione o altre circostanze, possa sviare la clientela dell’azienda ceduta. Per tutelare
l’avviamento soggettivo, il legislatore pone un divieto di concorrenza. Per analizzarlo, dobbiamo
porci diverse domande: bisogna capire i confini di questo divieto di concorrenza e poi capire se si
applica anche a fattispecie come la divisione ereditaria, lo scioglimento di società con
assegnazione dell’azienda ad un socio o vendita della partecipazione sociale di controllo che non
configurano una vera cessione ma che hanno gli stessi effetti.
ARTICOLO 2557 l’azienda, per aversi un divieto di concorrenza, deve essere commerciale;
quindi, questo divieto non si applica alle aziende agricole salvo per le attività connesse. Il divieto di
concorrenza può durare massimo cinque anni, può essere convenzionalmente limitato rispetto alla
durata stabilito dal legislatore o anche totalmente escluso, con riguardo alla durata non potrà mai
essere aumentata sopra ai cinque anni. Il divieto di concorrenza può essere esteso anche ad atti
che non siano direttamente concorrenziali? Si, purché non inibiscano completamente la possibilità
lavorativa dell’alienante. Il divieto di concorrenza si applica a chi aliena un’azienda commerciale.
Questo articolo si applica in caso di cessione di azienda, cessione di ramo d’azienda, cessione di
diritti di godimento di azienda o di ramo d’azienda; non si applica ai casi di divisione ereditaria,
scioglimento di società con assegnazione a un socio e vendita della partecipazione sociale di
controllo. Parte della dottrina, rinviene in queste fattispecie le medesime esigenze che soddisfa
l’articolo 2557 e quindi sostiene la possibilità di un’applicazione analogica: se io ho una divisione
ereditaria e l’azienda è assegnata a uno degli eredi, nella valutazione del valore dell’azienda viene
quantificato l’avviamento sia oggettivo che soggettivo; quindi, perché l’altro erede non dovrebbe
soggiacere al divieto di concorrenza? Quindi, una parte della dottrina ritiene che la disciplina
dell’articolo 2557 dovrebbe applicarsi alla fattispecie della divisione ereditaria; si applica lo stesso
ragionamento anche in caso di scioglimento. Nel caso della vendita della partecipazione sociale di
controllo, non si applica la disciplina della cessione d’azienda, anche se l’effetto è lo stesso, non si
ha l’esigenza di applicare tale disciplina.
 Successione nei contratti aziendali
Se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per
l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, che non siano basati
sull’identità personale dell’alienante, senza bisogno della notifica a ciascun contraente ceduto. Si
ha una presunzione di notifica collettiva con l’iscrizione della cessione d’azienda nel registro delle
imprese. Questa disciplina, indubbiamente, è volta a favorire la conservazione del valore azienda
(avviamento oggettivo) che fa passare tutti i contratti tranne quelli personalissimi all’acquirente,
senza bisogno di una notifica ai contraenti ceduti: questo avviene perché il legislatore immagina
che sia giusto che il contratto segua l’azienda. Il contraente ceduto può recedere ma con un
termine brevissimo, solo 3 mesi dalla notizia del trasferimento, solo per giusta causa (ben difficile
da dimostrare) cioè dimostrando che il nuovo acquirente non è in grado di adempiere in modo
soddisfacente al contratto, l’effetto non è che il contratto torna in capo all’alienante ma ci sarà una
responsabilità risarcitoria dell’alienante ove il ceduto riesca a dimostrare che non è stato diligente
nella scelta dell’acquirente dell’azienda l’effetto finale è al massimo un risarcimento del danno,
il contratto si risolve.
 Crediti e debiti aziendali
Anche in questi casi, ci sono delle deroghe ai principi generali del diritto privato.
Non c’è una singola notifica al debitore ceduto o l’accettazione di questo, ma c’è una presunzione
di notifica data dall’iscrizione al registro dell’impresa del trasferimento dell’azienda il debitore
ceduto dovrebbe pagare all’acquirente dell’azienda, ma se in buona fede paga all’alienante è
liberato; è poi una questione di regresso tra alienante e acquirente. Io sto cedendo un diritto di
credito quindi per il debitore terzo ceduto è del tutto indifferente pagare l’uno o l’altro. Se io cedo
un debito dell’azienda, per il creditore terzo non è indifferente avere un imprenditore o un altro,
uno può essere solvibile e l’altro no la deroga al diritto privato è inferiore quando si parla di
cessione dei debiti dell’azienda, perché l’alienante dell’azienda deve notificare la cessione
d’azienda ai propri creditori e per essere liberato i creditori devono aver acconsentito alla cessione
del debito secondo le regole del diritto privato. A tutela del bene azienda e a tutela del mercato, il
legislatore pone una garanzia aggiuntiva: dice che è responsabile anche l’imprenditore acquirente
se i debiti risultavano dalle scritture contabili obbligatorie con una sola eccezione per
proteggere i lavoratori in nero, gli unici debiti di cui l’acquirente è solidalmente responsabili anche
se non risultano nelle scritture contabili obbligatorie, sono i debiti per lavoro; ovviamente, poi ci
sarà un regresso, l’acquirente può rifarsi sull’alienante.
I contratti di cessione d’azienda analizzano specificamente il regresso in caso di cessione del debito
e del credito: se non vengono minimamente regolate, si presume che ci sia sempre regresso sia
per i debiti che per i crediti, da parte dell’acquirente dell’azienda nei confronti dell’alienante e
viceversa nel caso dei crediti. Per quanto riguarda i debiti c’è il diritto di rivalsa verso l’alienante.

SEGNI DISTINTIVI DELL’IMPRENDITORE (capitolo 6)


Siamo nello statuto generale dell’imprenditore, si tratta di un pacchetto normativo che si applica a
chiunque sia definibile imprenditore.
L’attività d’impresa è un’attività che si esercita nel mercato e che vede una pluralità di soggetti
confrontarsi, è una vita di relazioni in cui coesistono più imprenditori e i segni distintivi sono volti a
differenziare la figura dell’imprenditore sul mercato. I segni distintivi rappresentano potenziali
collettori di clientela perché aiutano l’individuazione di un legame tra imprenditore e un
determinato prodotto/servizi; sono, quindi, dei collettori di clientela che favoriscono la formazione
e il mantenimento della clientela. I principali sono: ditta, unico segno distintivo necessario e che
deve necessariamente circolare insieme all’azienda, contraddistingue la persona dell’imprenditore
nell’attività d’impresa ed è il suo nome commerciale; insegna, non necessaria, segno distintivo che
connota i locali dove si svolge l’attività d’impresa; marchio, principale collettore di clientela, è ciò
che più connota l’imprenditore sul mercato. Esistono dei principi generali a cui ogni segno
distintivo deve soggiacere: principio di libertà, relativa perché deve rispettare una disciplina in
essere, indica la libertà nella creazione dei propri segni distintivi; diritto all’uso esclusivo del
proprio segno distintivo, diritto relativo e strumentale; libertà di cederli e monetizzare il valore
economico che autonomamente essi assumono, sfruttamento economico senza ingannare il
pubblico. Esistono una serie di interessi che ruotano intorno ai segni distintivi, sono
fondamentalmente quattro: interesse dell’imprenditore affinché il segno distintivo sia realmente
un collettore di clientela, ne discende anche il diritto di precludere a terzi l’utilizzo di questo
marchio o di marchi simili che possano creare confusione o sviare la clientela; interesse a poter
cedere i segni distintivi, del tutto o in parte, monetizzando il valore economico che essi
naturalmente assumono; interesse degli altri operatori del mercato a non essere tratti in
confusione o in inganno; interesse generale affinché la competizione sul mercato si svolga in modo
corretto. La normativa analizzata deve soddisfare tutti questi interessi per far in modo che ciascun
imprenditore possa liberamente formare segni distintivi che lo contraddistinguano, rispondendo a
criteri che sono liceità, verità, novità, originalità e soddisfacendo l’esigenza che i terzi non siano
tratti in inganno da tali segni distintivi e che di conseguenza la concorrenza sia svolta in modo
corretta.
1. Ditta
La ditta è un segno distintivo necessario: se l’imprenditore non se ne dota, automaticamente
coincide con il nome civile dell’imprenditore a meno che non ci sia un altro imprenditore con
medesimo nome civile che svolge un’attività potenzialmente in concorrenza, perché in tal caso
genererebbe confusione tra i terzi. La particolarità della ditta è che oggi è l’unico segno distintivo
che circola con l’azienda; è il nome commerciale dell’imprenditore. In realtà, la ditta non ci dà
molte info sull’imprenditore: circolando insieme all’azienda, può essere originaria ma anche
derivata (se circola con l’azienda, si manterrà la stessa ditta con la stessa azienda anche al mutare
dell’imprenditore che esercita l’attività d’impresa); quindi, soddisfa un principio di verità storica e
non attuale. La ditta, in generale, deve soddisfare: il principio di verità, non deve dare informazioni
false e deve contenere almeno il nome o la sigla dell’imprenditore, la verità può anche essere
storica; principio di novità, deve essere diversa dalla ditta di un imprenditore potenzialmente in
concorrenza; capacità distintiva e liceità.
La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore e deve essere, per forza, formata con il cognome
o con la sigla dell’imprenditore; deve essere integrata qualora ci sia un imprenditore
potenzialmente in concorrenza che presenta come nome commerciale lo stesso cognome o la
stessa sigla, questo potrebbe ingenerare confusione e non soddisfare il principio di originalità
(capacità di distinguere l’imprenditore). La ditta si può trasferire solo insieme all’azienda per atto
tra vivi, con consenso dell’alienante, può essere trasferibile anche in via successoria. Non deve
indurre i terzi in confusione, quindi deve soddisfare anche il principio di novità: deve essere
differente dagli imprenditori potenzialmente in concorrenza nell’ambito territoriale in cui la mia
ditta si esercita; il primo che l’ha utilizzata o registrata ha diritto ad utilizzarla, i successivi avranno
l’onere di integrazione.
2. Marchio
Il marchio è il segno distintivo per eccellenza, non è essenziale ma è quello che unanimemente si
ritiene che abbia la maggiore funzione di differenziazione del prodotto sul mercato ed è il
principale collettore di clientela. Il marchio contraddistingue i prodotti e/o i servizi
dell’imprenditore; è al marchio che gli imprenditori affidano principalmente la funzione di
contraddistinguerli sul mercato per differenziare i propri prodotti/servizi dai concorrenti. Il
marchio ha diverse discipline, esiste oltre al marchio nazionale, anche il marchio comunitario (che
si cumula a quello nazionale) ed esiste atecnicamente una disciplina del marchio internazionale,
non esiste un registro internazionale, bisogna anche nei singoli Stati in cui si ha necessità di
protezione del marchio e chiedere una registrazione ad hoc. Indubbiamente, la funzione principale
del marchio è quella distintiva dei prodotti, ingenera un collegamento tra prodotto/servizio e
imprenditore, ci dà indicazione sulla provenienza dei prodotti da un imprenditore a cui noi
consumatori riconduciamo un determinato standard qualitativo. Il marchio non dà alcuna garanzia
di qualità del prodotto, se non associare uno standard qualitativo ad un determinato produttore e
per questo è un collettore di clientela; solo il marchio collettivo, che si aggiunge al marchio
identificativo del produttore, dà una garanzia di qualità, ad esempio i consorzi alimentari,
altrimenti l’idea di qualità è una deduzione del consumatore, perché il marchio non dà alcuna
indicazione qualitativa. Il marchio deve essere veritiero, non può dire cose sbagliate altrimenti è
nullo; ha una funzione attrattiva che cresce con i marchi celebri.
- Tipologie di marchio
Esistono diverse tipologie di marchio, che possono anche sovrapporsi: marchi di fabbrica e marchi
di commercio, anche della stessa casa madre, si può avere più marchi sullo stesso prodotto purché
si rispetti la regola che nella catena ogni produttore può aggiungere il proprio marchio ma non
eliminare il marchio esistente (salvo che ci sia il consenso del produttore che l’ha apposto); marchi
generali e marchi speciali; marchi di servizi e non solo di prodotti. Abbiamo un insieme di marchi
che spesso convivono e che identificano tutti gli imprenditori che hanno contribuito ai passaggi
dalla creazione del prodotto fino alla distribuzione dello stesso.
- Come si compone il marchio?
Il marchio tipico è il marchio denominativo, fatto da parole, lettere, carattere, dal modo in cui è
scritto, dai colori utilizzati, combinati con disegni, simboli. Spesso è denominativo e figurativo o
misto, cioè di un insieme di denominazioni, figure e a volte anche suoni. Esistono anche marchi di
forma: la forma stessa purché non sia il semplice involucro che contiene il prodotto, può essere
oggetto di marchio. I marchi collettivi hanno la funzione di garantire l’origine, la natura e la qualità
del prodotto, spesso si fanno a sovrappore al marchio d’impresa.
- Requisiti di validità del marchio
Perché un marchio possa essere registrato all’ufficio brevetti e marchi e avere una particolare
tutela, cioè il fatto di garantire per dieci anni contro l’uso illegittimo che altri imprenditori ne
possano fare per prodotti simili o affini, il marchio deve avere i seguenti requisiti:
1. Liceità non deve essere contrario alle leggi, all’ordine pubblico e al buon costume, non può
contenere stemmi o simboli protetti da convenzioni nazionali o internazionali, o il nome di una
persona nota o il suo pseudonimo, non può contenere l’immagine di una persona senza il
proprio consenso.
2. Verità non deve dire cose sbagliate, non deve dire cose che inducano il consumatore ad
associarlo in modo errato; non deve trarre in inganno il consumatore, non deve dare
informazioni sbagliate, generalmente sulla provenienza.
3. Originalità si intende capacità distintiva, il marchio per essere valido deve avere un minimo
di capacità distintiva. A seconda che abbia più o meno capacità distintiva avremo un marchio
forte o un marchio debole, se non ce l’ha per niente non soddisfa il requisito di originalità che
è un requisito di validità del marchio. Cosa non ha originalità? Le parole di uso comune, che
descrivono il prodotto o il servizio, denominazioni generiche. Se un marchio ha poca capacità
distintiva, la minima variazione del marchio da parte di un concorrente non sarà lesiva del
diritto di marchio: Amplifon ha fatto causa a Udifon e l’ha persa perché essendo un marchio
debole e avendo scarsa capacità distintiva, il variare del marchio non crea lesione. Più il
marchio è forte, più le piccole variazioni si intendono lesive del diritto di marchio. L’originalità
si può perdere con un procedimento di volgarizzazione accade quando il marchio nel tempo
diventa di uso comune e viene identificato con prodotto stesso, nell’immaginario non è più
ricondotto al produttore ma alla categoria di prodotto (ad esempio, biro non più il produttore
ma le penne biro). Può esserci un procedimento inverso, l’originalità può essere acquisita
attraverso un procedimento di secondary meaning.
4. Novità non deve essere uguale ad un marchio utilizzato o registrato da altri imprenditori per
prodotti identici o affini se questo può ingenerare confusione; per i marchi celebri la dottrina
estende la tutela anche ai prodotti non affini.
Se manca un requisito il marchio è nullo, può essere convalidato se il marchio acquista originalità o
se diventa lecito.
- Registrazione del marchio
Se, invece, ci sono tutti i requisiti, l’imprenditore può scegliere di registrare il marchio: conferisce
una tutela di dieci anni, in tutto il territorio nazionale indipendentemente da, luogo in cui viene
utilizzato, per prodotti identici o affini, dopo dieci anni è possibile rinnovare la registrazione. Il
marchio decade se non è utilizzato per cinque anni (per far in modo che non si blocchi il mercato),
per sopravvenuta ingannevolezza o per volgarizzazione (perdita di originalità). La lesione del diritto
di marchio dà diritto, indipendentemente dalla dimostrazione del dolo e della colpa, a chiedere al
giudice l’inibitori degli atti lesivi, di rimuovere gli effetti e di pubblicazione della sentenza di
contraffazione; è possibile richiedere il risarcimento del danno che comprende anche gli eventuali
utili che il contraffattore ha percepito nella vendita dei prodotti contraffatti, bisogna provare anche
il dolo e la colpa per avere il risarcimento.
- Marchio di fatto
Il marchio di fatto è il marchio non è registrato, ma non è privo di tutela: è tutelato nei limiti del
pre-uso. Protegge solo nell’ambito territoriale in cui è stato utilizzato, solo per prodotti identici e
non affini; la tutela è la stessa del marchio registrato ma più limitata.
- Marchio celebre
È un marchio registrato che ha acquisito una tale rinomanza che il consumatore lo collega al
produttore indipendentemente dall’ambito merceologico. Il marchio celebre registrato protegge
in tutta Italia, verso qualunque tipo di prodotto, non solo identici o affini.
3. Insegna
L’insegna è il segno distintivo dei locali o del complesso aziendale dell’imprenditore. Deve essere
lecita, originale, veritiera ed anche nuova.

CREAZIONI INTELLETTUALI (capitolo 7)


I principi che regolano la disciplina delle creazioni intellettuali sono due: promuovere l’attività
creativa dei privati, l’ordinamento giuridico si impegna a promuovere lo sviluppo culturale; tutti
devono poter usufruire del progresso che fino a quella data si è potuto raggiungere, non deve
esserci monopolio culturale, chiunque può essere autore di qualunque invenzione. Le creazioni
intellettuali si distinguono in opere dell’ingegno e in invenzioni industriali, hanno discipline e tutele
differenti. Le opere di ingegno sono opere che riguardano in generale l’ambito culturale,
rappresentano qualunque forma di espressione che rientri nell’ambito culturale, sono tutelate dal
dritto d’autore disciplinato dal Codice civile dall’articolo 2575 al 2583 e dalla Legge n. 633/1941. Le
invenzioni industriali rientrano nell’ambito del campo della tecnica, possono formare oggetto di
brevetto, che può essere per invenzioni industriali o per modelli di utilità o registrazione per
disegni e modelli; sono disciplinate dagli articoli del Codice civile dal 2584-2591 e 2592-2594 e dal
Codice della proprietà intellettuale n. 30/2005.
1. Opere d’ingegno
Le opere d’ingegno devono avere un carattere creativo, un’originalità oggettiva; sono oggetto di
tutela da parte del diritto d’autore. Fatto costitutivo del diritto d’autore è la creazione dell’opera
stessa e non è necessario che quest’opera sia stata divulgata tra il pubblico, quest’opera può
essere poi oggetto di registrazione nel pubblico registro delle opere protette, la registrazione non
ha carattere costitutivo. L’opera può essere frutto della collaborazione di più persone, in questo
caso esistono differenti tipi di opere: opera collettiva, contributi autonomi e separabili ma
organizzati in una forma unitaria, ciascun soggetto che ha contribuito all’opera ha diritto ad essere
tutelato; opera in collaborazione, contributi non distinguibili, va gestita in regime di comunione
perché non è possibile suddividere l’opera, lo sfruttamento economico dell’opera necessita
dell’accordo da parte di tutti, a tutti è riconosciuto il diritto morale su quell’opera; opera
composta, contributi eterogenei che danno vita ad un’opera unitaria, si ha un regime di
comunione, ciascuno avrà diritto ai proventi derivanti dall’utilizzo dell’opera. Nell’opera singola, la
tutela è data a chi ha creato l’opera.
La tutela del diritto d’autore muove sul diritto morale e sul diritto patrimoniale: il diritto morale è
quello riconosciuto al creatore dell’opera, è irrinunciabile, inalienabile, non ha limiti temporali, è il
diritto a vedersi riconosciuta la paternità dell’opera; diritto patrimoniale, diritto a vedersi
riconoscere un pagamento, è liberamente trasferibile sia per atto tra vivi o per causa di morti, è
trasferibile sia a tempo sia definitivamente, si estingue dopo 70 anni dalla morte dell’autore.
Esistono dei diritti minori, detti connessi o affini che riguardano generalmente cantanti e attori,
soggetti ai quali è corrisposto un equo compenso da parte del soggetto che utilizza la sua opera.
Esistono dei contratti per lo sfruttamento economico di un’opera d’ingegno, distinguiamo:
 Contratto di edizione contratto con cui l’autore dell’opera concede in esclusiva ad un
editore l’esercizio di pubblicare per la stampa la sua opera. Deve avere caratteristiche
specifiche: deve essere un contratto concesso in esclusiva, deve avere ad oggetto un’opera
che può essere pubblicata per stampa, ha una durata massima di venti anni, l’autore avrà
diritto ad un corrispettivo pagato dall’editore che può essere o a percentuale o a forfait.
 Contratto di rappresentazione e di esecuzione l’autore cede non in esclusiva il solo
diritto di rappresentare in pubblico la sua opera. L’oggetto del contratto deve essere
l’esecuzione o la rappresentazione in pubblico di un’opera, di regola non in esclusiva e
tutte le spese e i costi sono a carico del cessionario (soggetto a cui è permesso di
rappresentare o eseguire l’opera).
Se qualcuno viola il diritto d’autore, l’ordinamento impartisce delle sanzioni civili, pecuniarie a
livello amministrativo ma possono esserci anche delle sanzioni penali a seconda della gravità del
comportamento posto in essere dal soggetto che non è autore. È una difesa che si basa sul diritto
nazionale, quindi, ha dei limiti; ci sono delle convenzioni, convenzione di Berna del 1896 e la
convenzione universale di Ginevra del 1952, a cui l’Italia ha aderito che permette di estendere la
tutela del diritto d’autore presso i territori degli Stati che ne hanno aderito.
2. Invenzioni industriali
Sono una soluzione originale di un problema tecnico suscettibile di pratica applicazione nel settore
della produzione di beni o servizi, sono idee creative che appartengono all’ambito della tecnica:
devono avere un carattere di originalità, devono rientrare nell’ambito della scienza e della tecnica,
devono avere un’utilità. Possono essere oggetto di brevetto, a differenza delle opere d’ingegno
che possono essere semplicemente registrate. Tra le invenzioni industriali distinguiamo le
invenzioni di prodotto, le invenzioni di procedimento e le invenzioni derivate da un’invenzione
precedente.
 Invenzione di prodotto invento un nuovo prodotto, più generiche e più utilizzate.
 Invenzione di procedimento non si tratta di un nuovo prodotto, ma di un nuovo metodo
di produzione di un prodotto già conosciuto; può essere un nuovo processo di lavorazione
industriale oppure un nuovo dispositivo meccanico.
 Invenzioni derivate da un’invenzione precedente invenzione di combinazione,
invenzioni di perfezionamento, invenzioni di traslazione. Le invenzioni di combinazione
sono una combinazione originale di invenzioni precedenti, combino diversamente
invenzioni precedenti; le invenzioni di perfezionamento sono quelle che determinano un
miglioramento di un’invenzione precedente, miglioro quello che già conosco; le invenzioni
di traslazione sono una nuova utilizzazione di una sostanza già conosciuta, utilizzo in
maniera differente sostanze che sono già note, l’applicazione pratica è differente rispetto a
quella utilizzata fino a quel momento.
Non tutte le scoperte possono essere considerate invenzioni: non sono invenzioni, ad esempio, le
teorie e i metodi matematici, non può essere considerato invenzione ciò che già esiste in natura e
che l’uomo si limita a recepire e utilizzare.
Il brevetto è la tutela che il nostro ordinamento dà al soggetto che ha determinato l’invenzione.
Perché l’invenzione possa essere meritevole di tutela, devono esserci determinati requisiti nei
trovati dell’invenzione: i trovati devono essere leciti, non contrari alle norme di legge e al buon
costume; devono essere nuovi, invenzione che non è stata ancora divulgata; devono implicare
un’attività inventiva, l’attività realizzata per creare questa invenzione deve essere sottoposta la
giudizio di non ovvietà, giudizio di una persona esperta del ramo in cui si colloca l’invenzione, alla
quale non deve risultare evidente l’invenzione tenendo conto dello stato della tecnica in quel
momento, non deve essere un’invenzione ovvia per un soggetto esperto che opera del settore in
cui si è sviluppata l’invenzione; devono essere idonei ad avere un’applicazione industriale,
l’invenzione deve essere fabbricata o utilizzato nell’ambito dell’industria. Il brevetto conferisce al
titolare la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e da essa di trarne profitto nell’ambito del
territorio nazionale; può inerire la fabbricazione di un prodotto, il commercio, l’invenzione di
procedimento un brevetto può impedire che prodotti identici vengano costruiti con quel
metodo ma non può impedire che prodotti identici vengano prodotti con metodi diversi, tutela il
metodo non il prodotto. L’inventore ha il diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione, si
rientra nel concetto del diritto morale e ha il diritto di poter ottenere il brevetto da cui deriva il
diritto all’utilizzazione economica in esclusiva del trovato: quindi, l’inventore ha un diritto morale,
diritto al brevetto e diritto sul brevetto. Il brevetto permette all’inventore di poter utilizzare
economicamente in via esclusiva la sua invenzione, ha funzione costitutiva: se non ci fosse il
brevetto, l’inventore non avrebbe questa tutela. Il diritto sul brevetto è un diritto in via esclusiva,
può essere perso nell’ipotesi in cui venga pronunciata la nullità del brevetto o ci sia la decadenza
dello stesso. Il brevetto viene concesso dall’ufficio brevetti e marchi a cui consegnare una
domanda all’interno della quale inserire la descrizione del trovato, le modalità di creazione dello
stesso, accompagnato dai disegni tecnici, la domanda può avere ad oggetto una sola invenzione, è
importante specificare nella domanda cosa deve essere oggetto di brevetto. Ha una durata di 20
anni dalla data di deposito della domanda e non è rinnovabile, è liberamente trasferibile, può
essere venduto e può essere concesso in licenza d’uso sia con che senza esclusiva, può essere
oggetto di diritti reali o di diritti di godimento, può essere oggetto di esecuzione forzata.
Può capitare che l’autore dell’invenzione non coincida con chi può chiedere il brevetto, avviene
nell’ipotesi in cui l’invenzione sia ricondotta nell’ambito di un rapporto di lavoro, al lavoratore
inventore è sempre riconosciuto il diritto morale ma possono verificarsi tre casi differenti:
invenzione di servizio un lavoratore fa un’invenzione nell’ambito del suo incarico, l’invenzione è
oggetto delle sue competenze ed è pagato per fare quello, il datore di lavoro avrà diritto a
richiedere il brevetto; invenzione aziendale è sempre svolta nell’ambito delle mansioni attribuite
al lavoratore ma non era previsto uno specifico corrispettivo per quella specifica invenzione, il
datore di lavoro ha il diritto di richiedere il brevetto e al lavoratore verrà riconosciuto sia il diritto
morale sia un equo compenso; invenzione occasionale il diritto di chiedere il brevetto sono
riconosciuti a favore del lavoratore, il datore di lavoro è in parte tutelato perché nell’ipotesi in cui
il lavoratore scelga di vendere il brevetto, il datore di lavoro ha un diritto di prelazione.
Il brevetto offre una tutela all’inventore solo ed esclusivamente nell’ambito del territorio
nazionale, l’invenzione brevettata determina eventuali sanzioni civili e penali per soggetti che
violano questo diritto. Esiste anche un brevetto internazionale, comunitario ed europeo: il
brevetto internazionale è regolato dalla convenzione di Unione di Parigi del 1883 e dal Trattato di
Washington 1970, non è unitario e non è autonomo, sono brevetti distinti e tanti brevetti nazionali
regolati secondo le norme di ciascuno Stato; il brevetto comunitario è regolato dalla convenzione
del Lussemburgo del 1975 che si chiedere all’ufficio Europeo di Monaco, è un brevetto
sovranazionale, unitario e autonomo, determina i medesimi effetti per tutti i Paesi aderenti, l’Italia
non ha aderito; il brevetto europeo è regolato dalla convenzione di Monaco del 1973 ed è
richiesto all’ufficio europeo di Monaco, equivale ad una serie di brevetti nazionali, la singola
domanda rimanda ad una domanda nazionale, non è unitario e non è autonomo.
Che cosa succede se un’invenzione non è brevettata, viene poi brevettata ma era già utilizzata da
un altro soggetto (si presuppone che non sia stata divulgata l’invenzione)? Chiunque abbia fatto
uso dell’invenzione nei 12 mesi precedenti la data del deposito presentata dal soggetto che ne
chiede il brevetto può continuare a sfruttare quell’invenzione nei limiti del pre-uso, lo può
utilizzare con le stesse modalità e negli stessi limiti che lo utilizzava prima, non può essere perso il
diritto d’utilizzo.
3. Modelli industriali
Sono creazioni intellettuali applicate all’industria di minor rilievo rispetto alle invenzioni industriali.
Si distinguono in:
 modelli di utilità sono dei trovati che determinano una migliore funzionalità di macchine
o di oggetti già in uso, possono essere oggetto di brevetto che ha una durata di 10 anni,
devono avere i medesimi requisiti delle invenzioni industriali brevettabili.
 disegni e modelli sono dei trovati che determinano un miglior aspetto per quanto
riguarda dei prodotti industriali, deve esserci la caratteristica della novità, deve avere
carattere individuale, cioè l’impressione generale che questo disegno/modello dà è essere
diversa a quella suscitata da qualsiasi modello/disegno fino a quel momento presentato
(concetto di originalità). Possono essere oggetto di registrazione purché non siano contrari
all’ordine pubblico e al buon costume, la registrazione ha una durata di 5 anni e può essere
prorogata per una durata massima di 25 anni. Se hanno anche carattere creativo e valore
artistico possono rientrare nella tutela del diritto d’autore. La registrazione ha valenza sul
territorio nazionale, ma può esserci una estensione della tutela a tutti gli stati membri
dell’UE sulla base del regolamento CE n. 6/2002.

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