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Il diritto commerciale ha origine antichissime: troviamo embrioni di diritto commerciale fin dal
basso medioevo (XII secolo). Il diritto commerciale si forma per consuetudine: si passa da
un’economia di mera sussistenza alla creazione di istituti di scambio e compravendita. Nasce per
differenza rispetto al diritto canonico: nasce nelle corporazioni di arti e mestieri e nasce dalla
consuetudineil ripetersi di un comportamento ingenera una convinzione che risponde ad una
norma; nasce da un uso che si ripete e il ripetersi di quest’uso lo fa diventare una consuetudine
perché la categoria di appartenenza, proprio per il ripeterlo dello stesso, inizia a identificarlo come
una norma. Inizialmente, si applica solo ai componenti delle corporazioni, si manterrà una
giurisdizione in seno alle corporazioni i consoli erano l’organo giurisdizionale, decidevano delle
controversie in merito allo ius mercatorum in un primo momento solo tra gli appartenenti alle
corporazioni e successivamente anche verso terzi. Nell’epoca successiva, a metà del XV secolo,
nascono gli istituti giuridici da necessità pratiche, dalle scoperte geografiche, dai primi contratti
che vanno a supporto di eventi economici e dalle prime forme embrionali di società, in nome
collettivo o in accomandita, molti rivengono nei contratti a sostegno della spedizione in America di
Cristoforo Colombo i primi contratti commerciali di assicurazione, i primi embrioni di società e
della disciplina patologica delle imprese e quindi il fallimento e il principio generale della par
condicio creditorum. In tutta questa fase il diritto commerciale ha delle fonti differenti rispetto al
diritto canonico e romano e anche degli organi giurisdizionali distinti. Un successivo passo avanti si
ha con la creazione degli Stati monarchici, nel XVI secolo: lo Stato ha un’esigenza di accentramento
del potere sia legislativo che giurisdizionale; di conseguenza, in tutta Europa, si ha la
statalizzazione della legislazione e giurisdizione di diritto commerciale, con un’evoluzione del tipo
di strumento giuridico rappresentato dalla società. Si passa da una disciplina embrionale ad una
disciplina di società di capitali: nascono le prime società per azioni e cioè le prime società a
responsabilità limitata, c’è una limitazione di responsabilità perché è la società che risponde delle
proprie obbligazioni e il rischio del socio è limitato al conferimento dato o promesso. Nascono
delle esigenze di credito e di mobilità economica che danno avvio alla creazione delle borse valori
e allo sviluppo dei mercati finanziari. Nasce in quest’epoca tutta la disciplina dei brevetti
industriali: visto lo sviluppo dell’industria, assurge un’importanza notevole la protezione della
proprietà intellettuale. Nell’800 dopo la Rivoluzione francese, nasce lo stato liberale e le prime
grandi codificazioni (anche in Italia), resta distinto il Codice civile dal codice di commercio, c’è una
riunione della giurisdizione, viene meno progressivamente la distinzione tra tribunale civile e
commerciale: solo nel 1942 si avrà un’unificazione del Codice civile e Codice di commercio; è però
importante sottolineare che l’individuazione dell’imprenditore come punto di partenza del diritto
commerciale si ha in epoca risalente e si mantiene con l’unione dei codici.
Il diritto commerciale è la parte del diritto privato che ha per oggetto l’attività e gli atti di impresa,
è un diritto speciale rispetto al diritto privato, anche se in taluni istituti deroga alle regole di diritto
privato. È un diritto molto influenzato, ad oggi, dai diritti degli altri Paesi, sia europei che mondiali;
tende all’uniformità internazionale per la globalizzazione dei mercati e per la possibilità di
costruire una società in un altro ordinamento; è un diritto particolarmente attento
all’internazionalità, intesa come confronto e applicazione delle norme della comunità europea ma
anche a livello mondiale. È un diritto in continua evoluzione e molto spesso l’evoluzione spiega e ci
fa comprendere le esigenze della modifica; naturalmente, è un diritto che si evolve con il mercato,
con le conoscenze tecniche e le invenzioni intellettuali; quindi, deve stare dietro all’economia che
progredisce e che cambia. Si è soliti dire, quindi, che il diritto commerciale è un diritto speciale
tendente all’uniformità internazionale e in continua evoluzione. È un diritto che ruota e parte dalla
figura dell’imprenditore.
L’IMPRENDITORE (capitolo 1)
Chi è l’imprenditore? L’articolo 2082 definisce l’imprenditore come colui che esercita
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio dii
beni e di servizi. Ogni parola è una condizione necessaria e sufficiente (purché siano soddisfatte
tutte) affinché si abbia la qualifica di imprenditore: è importante capire chi si definisce
imprenditore perché solo a questo soggetto si applica un determinato pacchetto normativo che
conferisce da un lato oneri e da un lato molte garanzie. La disciplina dell’imprenditore lo distingue
in base a criteri selettivi, che non sono fini a se stessi, ma che determinano l’applicazione o non
applicazione di determinati pacchetti normativi. Il motivo per cui ci avvaliamo di queste categorie
è perché a tutti i soggetti che soddisfano tutti i requisiti del 2082 si applicano due complessi di
norme, definiti statuti: uno statuto generale degli imprenditori, che si applica a tutti gli
imprenditori (chiunque soddisfi tutti i requisiti generali del 2082) e uno statuto speciale
dell’imprenditore commerciale non piccolo, è più oneroso per l’imprenditore perché lo espone al
fallimento e alle procedure concorsuali, si applica solo all’imprenditore commerciale e medio-
grande. Esistono tre macrocriteri:
- Qualitativo OGGETTO, che cos’ha ad oggetto l’impresa? Può avere un oggetto
commerciale o un oggetto agricolo che si ha non solo per le attività essenziali ma c’è
un’estensione anche alle attività connesse.
- Quantitativo DIMENSIONE, piccolo imprenditore e medio-grande.
- Personale NATURA, individuale o collettiva, persona fisica o società.
Il Codice civile ci dice nel dettaglio chi è l’imprenditore agricolo, chi non è imprenditore agricolo
(per esclusione) è un imprenditore commerciale; inoltre, il Codice civile ci dà dei criteri per definire
un piccolo imprenditore e per esclusione, chi non è piccolo è medio-grande. Questa classificazione
è importante perché ci dice che pacchetto normativo si può applicare all’imprenditore. Se ho un
imprenditore, applico per forza e sicuramente lo statuto generale dell’imprenditore; applico, in
aggiunta, lo statuto speciale solo se questo imprenditore è commerciale non piccolo.
Lo statuto generale dell’imprenditore è un insieme di norme che, principalmente, tutelano
l’imprenditore: fa parte la disciplina dell’azienda (cioè il complesso di beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa), la disciplina dei segni distintivi
dell’imprenditore (ha un enorme valore per l’imprenditore perché tutela la propria
affermazione sul mercato, tutela la ditta, il nome che l’imprenditore si dà, l’insegna e più di
tutti il marchio), la disciplina della concorrenza (a livello di imprenditori e a livello di
disciplina antitrust) e la disciplina dei consorzi.
Solo all’imprenditore commerciale non piccolo si applica lo statuto speciale che per taluni
istituti è tutelativo e per altri può essere abbastanza oneroso per l’imprenditore: fa parte la
pubblicità commerciale (obbligo di iscrizione al registro dell’impresa con efficacia di
pubblicità legale, anche il piccolo imprenditore e l’imprenditore agricolo sono soggetti alla
pubblicità notizia e non legale), obbligo di tenuta delle scritture contabili, la
rappresentanza commerciale e l’assoggettamento al fallimento e ad altre procedure
concorsuali.
ARTICOLO 2082
Ci dice che è imprenditore chi esercita PROFESSIONALMENTE un’ATTIVITA’ ECONOMICA
ORGANIZZATA al fine della PRODUZIONE O SCAMBIO DI BENI E SERVIZI. Tale articolo, nella sua
formulazione, individua i requisiti minimi e complessivamente sufficienti per avere un
imprenditore e l’applicazione conseguente della disciplina, il venir meno di un solo requisito fa si
che un soggetto non venga definito come imprenditore (si distingue dal lavoratore autonomo).
L’oggetto è l’attività l’attività è una serie coordinata di atti volta ad uno scopo cioè la
produzione o lo scambio di beni o servizi; quindi, l’attività è la creazione di una nuova ricchezza.
Il presupposto affinché ci sia un’impresa è che ci sia un’attività volta a creare nuova ricchezza.
In che modo deve essere svolta l’attività? Con organizzazione, economicità e professionalità. Se
manca uno solo di questi requisiti non si ha imprenditore e la conseguente applicazione della
disciplina, si ha un lavoratore autonomo e non un imprenditore.
ATTIVITA’ serie coordinata di atti, finalizzati alla creazione di nuova ricchezza cioè alla
produzione o lo scambio di beni e servizi. Il tipo e la natura dei beni non sono rilevanti ai fini del
soddisfacimento della norma, non è rilevante neppure lo scopo che vanno a soddisfare; tuttavia, è
necessario che l’attività presupponga un’azione dell’imprenditore, sia una serie coordinata di atti:
non si considera attività il mero godimento dei frutti prodotti da un’attività. Esempio: se ho una
casa al mare e la concedo in locazione, percepisco il canone di locazione e godo dei frutti di un
bene che detengo ma non svolgo un’attività (non si tratta di attività imprenditoriale ma di attività
di mero godimento); se invece io do dei servizi (pulizie, fornisco la colazione in un B&B, servizio di
accoglienza) a quel punto ho un’attività perché ho una serie coordinata di atti e una creazione di
utilità perché offro dei servizi. Esempio 2: se ho una disponibilità economica e compro dei titoli
azionari, il fatto che io benefici dei proventi degli investimenti non integra un’attività, ma è
un’attività di mero godimento; viceversa, se faccio trading per terzi io erogo un servizio, la stessa
attività di compravendita può essere considerata un’attività imprenditoriale (qualora siano
soddisfatti tutti gli altri requisiti). Dunque, l’attività di mero godimento non è sufficiente per avere
un’attività, ma c’è bisogno dell’azione dell’imprenditore, di una serie coordinata di atti.
ORGANIZZAZIONE è necessario che ci sia un minimo di etero-organizzazione (organizzazione di
qualcosa che è diverso da sé): questo non significa che io debba organizzare anche il lavoro altrui,
non è necessario che ci sia un apparato di macchinari ma deve assolutamente esserci una minima
etero-organizzazione di persone o di capitali. Deve esserci un’organizzazione di qualcosa diversi da
se stessi: deve esserci un impiego coordinato dei fattori produttivi e beni strumentali. Esempi:
locali di slot-machine, integra l’attività di impresa, non ho dipendenti ma ho delle telecamere che
controllano le persone, non ci sono dipendenti ma c’è organizzazione di qualcosa diverso da me, di
capitale in questo specifico caso. Esempio: trader che organizza il patrimonio altrui prestando un
servizio di trading (si tratta di attività imprenditoriale); trader che investe il proprio patrimonio
(non organizza qualcosa di diverso da sé e non c’è attività imprenditoriale, perché ci sarà
un’attività di mero godimento dei frutti prodotti dall’investimento). Ci vuole un impiego
coordinato di fattori produttivi che siano persone, beni strumentali o entrambi; non è condizione
necessario che ci siano persone o beni necessari.
ECONOMICITA’ da non confondere con lo scopo di lucro; l’economicità è un metodo di lavoro
che consente, potenzialmente, la copertura dei costi con i ricavi. Per aversi attività d’impresa non è
necessario lo scopo di lucro (che caratterizza le società di persone/capitali ma non caratterizza
l’impresa mutualista/pubblica) ma è necessario che l’imprenditore implementi una struttura in cui
c’è potenzialmente una copertura dei costi con i ricavi; se viene meno questo requisito (perché
faccio beneficenza) non ho attività d’impresa perché non ho creato una struttura potenzialmente
in grado di coprire i costi con i ricavi.
PROFESSIONALITA’ impegno continuato in modo ragionevolmente commisurato al tipo di
attività, si intende la non occasionalità dell’attività, lo stabile inserimento nel settore della
produzione o della distribuzione (se si tratta di un settore stagionale è necessaria che la
professionalità sia limitata alla stagione di produzione/distribuzione, ad esempio stabilimento
balneare è più che soddisfacente che la mia attività si esplichi in un periodo specifico); è
l’organizzazione dell’attività svolta secondo il tempo che è ragionevolmente necessario.
È necessario che ci sia un’esclusiva di attività? No. È necessario che ci sia pluralità d’affari? No, un
affare può essere così complesso da soddisfare tutti i requisiti. Una domanda che la dottrina si è a
lungo posta è se possa essere sufficiente un’impresa per conto proprio, se è un ulteriore requisito
la destinazione al mercato o se può integrare gli estremi dell’attività di impresa anche un’impresa
per un bene che è volto al mero godimento personale. La risposta è che se ricorrono tutti i requisiti
e quindi l’attività è complessa, il fine ultimo non è rilevante quindi la professionalità può essere
confinata fino all’esecuzione dell’opera da cui emerge comunque un’utilità. Un’ulteriore domanda
che ci si è fatti è che se un requisito utile a qualificare l’attività d’impresa sia la liceità: la risposta è
no se svolgo un’attività illecita non potrò sicuramente godere degli effetti favorevoli delle norme
sull’impresa e sarà violazione della norma tutte le volte che non si rispetti una norma. C’è
un’esenzione per le professioni intellettuali: sono per scelta normativa esonerati dall’applicazione
delle norme sull’impresa, scelta normativa che nasce dalla tutela dell’indipendenza delle
professioni intellettuali; non possono fallire perché non sono imprenditori.
L’AZIENDA (capitolo 5)
L’articolo 2555 ci dice che l’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per
l’esercizio dell’impresa. La nozione principale che caratterizza questa definizione è la nozione di
organizzazione: un’organizzazione è funzionale all’esercizio dell’impresa, dà ad un complesso
produttivo di beni eterogenei unitarietà, la quale è funzionale ad una destinazione ad un fine
produttivo. L’azienda è un mezzo per raggiungere il fine, attività d’impresa. I beni che compongono
l’azienda sono considerati unitariamente, nella loro unitarietà acquisiscono un valore maggiore del
valore della somma dei singoli beni proprio per il modo in cui sono organizzati dall’imprenditore.
L’imprenditore, attraverso la propria organizzazione di beni tra loro eterogenei e che nel corso
della vita subiscono continue modificazioni qualitative e quantitative, imprime un’unitarietà che
rende l’azienda un bene di valore superiore alla somma del valore dei singoli beni che la
compongono perché destina questi beni così combinati ad uno specifico fine produttivo. Questi
beni sono eterogenei, è irrilevante il titolo giuridico in base al quale l’imprenditore li utilizza
purché ve ne sia uno, il fatto che l’azienda si evolva non mina l’unitarietà anzi è connaturale al
concetto di azienda il fatto che ci siano continue modifiche qualitative e quantitative nei beni che
la compongono.
- Cosa si intende per beni?
La dottrina si è domandata se i beni siano le cose definite dall’articolo 810 o invece, se per beni si
intenda qualunque elemento patrimoniale suscettibile di valutazione economica che sia utilizzato
a qualunque titolo dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
Articolo 810 sono beni le cose per possono formare oggetto di diritti; è certo che è del tutto
irrilevante il titolo giuridico in base al quale l’imprenditore utilizza il bene, purché ve ne sia uno.
Potranno, indubbiamente, esserci beni di proprietà dell’imprenditore che non fanno parte
dell’azienda e dei beni che non sono di proprietà dell’imprenditore ma per i quali ha un valido
titolo giuridico per l’utilizzo (uffici in locazione, marchio in licenza, macchinari in leasing) ma che
rientreranno dell’unitarietà dell’azienda.
- Qual è la natura giuridica dell’azienda?
Si scontrano due tesi: una tesi atomistica e una tesi unitaria, le quali si sono contrapposte per
cercare di capire come circola l’azienda e quali sono le regole di circolazione dell’azienda.
Secondo la teoria atomistica, i beni che compongono l’azienda non acquistano unitarietà, sono dei
beni distinti tra loro e organizzati dall’imprenditore, acquisiscono quindi un’unità funzionale che è
relativa. A dimostrazione della correttezza della teoria atomistica, possiamo osservare che non c’è
una legge di circolazione dell’azienda (la regola è che l’azienda circola secondo le regole più severe
di ciascuno dei componenti dell’azienda stessa) e che l’azienda non perde la propria unitarietà se
vengono esclusi elementi o se deve essere integrata con altri per poter funzionare.
Secondo la teoria unitaria, l’azienda è considerata come un unico bene immateriale, rappresentato
proprio dall’organizzazione dei beni: individua sull’azienda un diritto unitario di proprietà come se
fosse un’universalità di beni.
- Elementi costitutivi dell’azienda
Un’azienda è l’insieme di molteplici beni. Il maggior valore che i beni hanno nella loro unitarietà è
superiore ai singoli beni sommati: questo maggior valore è l’avviamento, che esprime l’attitudine a
produrre nuova ricchezza. Questo maggior valore, dinamico rispetto al valore statico dei singoli
beni individuati uno per uno, ha due sfaccettature, una soggettiva e una oggettiva. Quella
oggettiva si riferisce all’oggettivo maggior valore che i beni hanno combinati in quel particolare
modo, in quella organizzazione, cioè l’unità funzionale che gli imprime la destinazione ad un fine
produttivo gli dà oggettivamente un maggior valore rispetto ai singoli beni; l’avviamento
soggettivo è dato dalla capacità dell’imprenditore di far fruttare quella determinata azienda.
L’avviamento è tutelato dal legislatore nella disciplina dell’azienda, che in particolare riguarda la
cessione (cosa succede in caso di cessione di azienda, di ramo di azienda, affitto di ramo di
azienda, usufrutto di azienda) e che protegge sia l’avviamento oggettivo che soggettivo. La
disciplina dell’azienda si compone di un obbligo di non concorrenza in caso di cessione (intesa in
senso lato), volto a proteggere l’avviamento soggettivo e si compone di una serie di regole che
derogano alla disciplina del diritto privato con riguardo ai contratti, ai rapporti di debito e di
credito e che servono a tutelare il bene azienda, dal punto di vista soggettivo e oggettivo.
L’azienda può formare oggetto di atti di disposizione di diversa natura: l’azienda può essere
venduta, tutta o in parte; può essere oggetto di un conferimento in una società; può essere
oggetto di donazione, di diritti reali o personali a favore di terzo; possono esserci atti di
disposizione di uno o più beni che non alterano l’unità funzionale dell’azienda stessa. È importante
capire quando si è di fronte ad un’azienda perché il pacchetto normativo si applica solo quando si
ha un trasferimento di azienda; è importante che ci sia un’azienda perché applico o no l’articolo
2555 e i seguenti, non è infrequente che l’imprenditore provi a deludere questa qualificazione per
evitare l’applicazione di questo pacchetto normativo o che provi a simulare che ci sia un’azienda
per applicare le norme che gli sono favorevoli. È importante capire quando siamo di fronte ad
un’azienda per capire quale disciplina applicare. L’unitarietà di un’azienda. non è inficiata dal fatto
che si trasferiscano determinati beni o che l’imprenditore acquirenti debba comprarne altri per
farla funzionare come vuole lui o che la compri e la utilizzi per un fine differente rispetto a quello
dell’alienante.
Non esiste un’unitaria legge della circolazione di azienda: l’articolo 2556 ci dice che per le imprese
soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il
godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto, altrimenti la cessione o il trasferimento
di diritti di godimento dell’azienda deve osservare le forme stabilite per il trasferimento dei singoli
beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto.
Divieto di concorrenza
Avviamento soggettivo divieto di concorrenza: chi aliena un’azienda commerciale deve
astenersi, per un massimo di cinque anni, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto,
l’ubicazione o altre circostanze, possa sviare la clientela dell’azienda ceduta. Per tutelare
l’avviamento soggettivo, il legislatore pone un divieto di concorrenza. Per analizzarlo, dobbiamo
porci diverse domande: bisogna capire i confini di questo divieto di concorrenza e poi capire se si
applica anche a fattispecie come la divisione ereditaria, lo scioglimento di società con
assegnazione dell’azienda ad un socio o vendita della partecipazione sociale di controllo che non
configurano una vera cessione ma che hanno gli stessi effetti.
ARTICOLO 2557 l’azienda, per aversi un divieto di concorrenza, deve essere commerciale;
quindi, questo divieto non si applica alle aziende agricole salvo per le attività connesse. Il divieto di
concorrenza può durare massimo cinque anni, può essere convenzionalmente limitato rispetto alla
durata stabilito dal legislatore o anche totalmente escluso, con riguardo alla durata non potrà mai
essere aumentata sopra ai cinque anni. Il divieto di concorrenza può essere esteso anche ad atti
che non siano direttamente concorrenziali? Si, purché non inibiscano completamente la possibilità
lavorativa dell’alienante. Il divieto di concorrenza si applica a chi aliena un’azienda commerciale.
Questo articolo si applica in caso di cessione di azienda, cessione di ramo d’azienda, cessione di
diritti di godimento di azienda o di ramo d’azienda; non si applica ai casi di divisione ereditaria,
scioglimento di società con assegnazione a un socio e vendita della partecipazione sociale di
controllo. Parte della dottrina, rinviene in queste fattispecie le medesime esigenze che soddisfa
l’articolo 2557 e quindi sostiene la possibilità di un’applicazione analogica: se io ho una divisione
ereditaria e l’azienda è assegnata a uno degli eredi, nella valutazione del valore dell’azienda viene
quantificato l’avviamento sia oggettivo che soggettivo; quindi, perché l’altro erede non dovrebbe
soggiacere al divieto di concorrenza? Quindi, una parte della dottrina ritiene che la disciplina
dell’articolo 2557 dovrebbe applicarsi alla fattispecie della divisione ereditaria; si applica lo stesso
ragionamento anche in caso di scioglimento. Nel caso della vendita della partecipazione sociale di
controllo, non si applica la disciplina della cessione d’azienda, anche se l’effetto è lo stesso, non si
ha l’esigenza di applicare tale disciplina.
Successione nei contratti aziendali
Se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per
l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, che non siano basati
sull’identità personale dell’alienante, senza bisogno della notifica a ciascun contraente ceduto. Si
ha una presunzione di notifica collettiva con l’iscrizione della cessione d’azienda nel registro delle
imprese. Questa disciplina, indubbiamente, è volta a favorire la conservazione del valore azienda
(avviamento oggettivo) che fa passare tutti i contratti tranne quelli personalissimi all’acquirente,
senza bisogno di una notifica ai contraenti ceduti: questo avviene perché il legislatore immagina
che sia giusto che il contratto segua l’azienda. Il contraente ceduto può recedere ma con un
termine brevissimo, solo 3 mesi dalla notizia del trasferimento, solo per giusta causa (ben difficile
da dimostrare) cioè dimostrando che il nuovo acquirente non è in grado di adempiere in modo
soddisfacente al contratto, l’effetto non è che il contratto torna in capo all’alienante ma ci sarà una
responsabilità risarcitoria dell’alienante ove il ceduto riesca a dimostrare che non è stato diligente
nella scelta dell’acquirente dell’azienda l’effetto finale è al massimo un risarcimento del danno,
il contratto si risolve.
Crediti e debiti aziendali
Anche in questi casi, ci sono delle deroghe ai principi generali del diritto privato.
Non c’è una singola notifica al debitore ceduto o l’accettazione di questo, ma c’è una presunzione
di notifica data dall’iscrizione al registro dell’impresa del trasferimento dell’azienda il debitore
ceduto dovrebbe pagare all’acquirente dell’azienda, ma se in buona fede paga all’alienante è
liberato; è poi una questione di regresso tra alienante e acquirente. Io sto cedendo un diritto di
credito quindi per il debitore terzo ceduto è del tutto indifferente pagare l’uno o l’altro. Se io cedo
un debito dell’azienda, per il creditore terzo non è indifferente avere un imprenditore o un altro,
uno può essere solvibile e l’altro no la deroga al diritto privato è inferiore quando si parla di
cessione dei debiti dell’azienda, perché l’alienante dell’azienda deve notificare la cessione
d’azienda ai propri creditori e per essere liberato i creditori devono aver acconsentito alla cessione
del debito secondo le regole del diritto privato. A tutela del bene azienda e a tutela del mercato, il
legislatore pone una garanzia aggiuntiva: dice che è responsabile anche l’imprenditore acquirente
se i debiti risultavano dalle scritture contabili obbligatorie con una sola eccezione per
proteggere i lavoratori in nero, gli unici debiti di cui l’acquirente è solidalmente responsabili anche
se non risultano nelle scritture contabili obbligatorie, sono i debiti per lavoro; ovviamente, poi ci
sarà un regresso, l’acquirente può rifarsi sull’alienante.
I contratti di cessione d’azienda analizzano specificamente il regresso in caso di cessione del debito
e del credito: se non vengono minimamente regolate, si presume che ci sia sempre regresso sia
per i debiti che per i crediti, da parte dell’acquirente dell’azienda nei confronti dell’alienante e
viceversa nel caso dei crediti. Per quanto riguarda i debiti c’è il diritto di rivalsa verso l’alienante.