Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
CAPITOLO I
L’IMPRENDITORE
Il sistema legislativo
Nel nostro sistema giuridico la disciplina delle attività economiche ruota intorno alla figura
dell’imprenditore. La nozione generale di imprenditore è prevista dall’art. 2082 c.c., ai sensi del quale “è
imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o
dello scambio di beni o di servizi”. Bisogna sin da subito sottolineare che quella contenuta dall’art. 2082 è
una nozione generale di imprenditore, ma la disciplina non è identica per tutti gli imprenditori.
Il codice civile, infatti, distingue diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a tre criteri:
Il primo criterio di cui si tiene conto per valutare i diversi tipi di imprese e di imprenditori è l’oggetto
dell’impresa, nel senso che in base a quello che è l’oggetto dell’impresa si può distinguere tra imprenditore
agricolo ed imprenditore commerciale.
Il secondo criterio è la dimensione dell’impresa, in quanto in base alle dimensioni dell’impresa si distingue
tra piccolo imprenditore ed imprenditore medio-grande;
Terzo criterio è la natura del soggetto che esercita l’impresa, che determina la tripartizione legislativa fra
impresa individuale, impresa costituita in forma di società ed impresa pubblica.
Ora, va detto che seppure la disciplina specifica varia in base al diverso tipo di imprenditore, vi è una
disciplina di base a cui sono assoggettati tutti gli imprenditori (siano essi agricoli o commerciali, piccoli o
grandi, privati o pubblici). In particolare, questa disciplina specifica a cui tutti sono assoggettata è quella
prevista dallo statuto generale dell’imprenditore, che comprende parte della disciplina dell’azienda e dei
segni distintivi, la disciplina della concorrenza e dei consorzi. Inoltre, a tutti gli imprenditori si applica anche
la disciplina a tutela della concorrenza e del mercato, introdotta dalla legge n. 287/1990.
Chi è imprenditore commerciale medio o grande (quindi ad esclusione degli imprenditori commerciali
piccoli) è poi assoggettato anche ad un ulteriore e specifico statuto, integrativo di quello generale.
Poche e scarsamente significative sono invece le disposizioni del codice civile applicabili esclusivamente
all’imprenditore agricolo e al piccolo imprenditore. In particolare, il piccolo imprenditore è sottratto
all’applicazione della disciplina dell’imprenditore commerciale (ad esempio non fallisce) anche se esercita
attività commerciale. Tuttavia, l’iscrizione nel registro delle imprese -che originariamente era esclusa- è
stata oggi estesa anche a tali imprenditori, seppure con rilievo diverso rispetto all’imprenditore agricolo e al
piccolo imprenditore.
Inoltre, anche la distinzione tra impresa individuale, società e impresa pubblica rileva essenzialmente solo
per le imprese commerciali.
Ora, va detto che il sistema delle imprese e degli imprenditori, così come delineato dal legislatore del 1942,
non è molto chiaro. Tuttavia, quello che è certo è che non si può essere imprenditori commerciali se non si
è imprenditori e se l’attività svolta non risponde ai requisiti generali fissati nella nozione di imprenditore ex
art. 2082 c.c. Per cui, è dalla nozione generale che si deve partire per identificare chi è imprenditore
commerciale (in altri termini, per essere considerato imprenditore commerciale è necessario che si eserciti
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o
servizi).
La nozione generale di imprenditore:
Ora, abbiamo detto che la nozione generale di imprenditore è contenuta nell’art. 2082 c.c., ai sensi del
quale “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi”.
Questa nozione generare traccia la linea di confine fra chi è per il diritto imprenditore e chi non lo è. Più
precisamente, questa definizione traccia la linea di confine tra la figura dell’imprenditore e quella del
semplice lavoratore autonomo. Infatti, l’articolo 2082 fissa i requisiti minimi che devono sussistere affinché
un soggetto possa essere considerato imprenditore e dunque gli venga applicata la disciplina che il codice
civile prevede per l’imprenditore e per l’impresa. In particolare, dall’art. 2082 si desume che l’impresa è:
- un’attività (ossia una serie coordinata di atti);
- ed è un’attività caratterizzata sia da uno specifico scopo (ossia la produzione e lo scambio di beni o
servizi);
- sia da specifiche modalità di svolgimento (nel senso che nell’impresa è prevista una certa organizzazione,
una certa professionalità ed economicità).
Va detto che si discute se questi requisiti siano sufficienti oppure se, affinché si possa parlare di impresa e di
imprenditore, siano necessari anche degli ulteriori requisiti che non sono espressamente desumibili dalla
nozione generale data dall’art. 2082 c.c. In particolare, è controverso se siano indispensabili anche:
- la liceità dell’attività svolta;
- l’intento dell’imprenditore di ricavare un profitto (il così detto “scopo di lucro”);
- la destinazione al mercato dei beni o servizi prodotti.
Ora, abbiamo detto che la necessità di questi ulteriori requisiti è controversa; una posizione al riguardo può
essere assunta solo a seguito dell’esame dei requisiti espressamente enunciati dalla norma (nel senso che
bisogna anzitutto analizzare in maniera peculiare i requisiti che l’art. 2082 considera espressamente – e che
dunque sono necessari per poter parlare di impresa ed imprenditore-; e solo dopo aver analizzato i requisiti
necessari si può desumere se, oltre ad essi, ne siano necessari anche altri).
L’attività produttiva
Quindi, il primo tratto caratteristico dell’impresa (e dunque dell’imprenditore) è il fatto che si tratta di
un’attività (più precisamente di una serie di atti) finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o di
servizi. Il tratto caratteristico e fondamentale affinché si abbia un’impresa è appunto la produzione o lo
scambio di beni o di servizi, mentre non è rilevante la natura dei beni o dei servizi prodotti o scambiati ed il
tipo di bisogno che essi sono destinati a soddisfare. Se ne desume, dunque, che (salvo per quanto riguarda
le professioni intellettuali) può costituire attività di impresa anche la produzione di servizi di natura
assistenziale, culturale o ricreativa – come ad esempio una casa di cura, i convitti, gli istituti di istruzione
privata ecc.).
Inoltre, è irrilevante che l’attività produttiva costituisca anche godimento di beni preesistenti; tuttavia,
un’attività può costituire allo stesso tempo godimento di beni preesistenti e produzione di nuovi beni o
servizi, ed in questo caso fa acquistare la qualità di imprenditore (ovviamente sempre che sussistano gli
altri requisiti richiesti dall’art. 2082 c.c. per la qualifica di imprenditore).
Di conseguenza, dunque, può essere considerata un’attività di godimento di beni preesistenti e allo stesso
tempo produttiva (di servizi) l’attività del proprietario di un immobile che adibisca lo stesso ad albergo o a
residence. In questo caso, infatti, le prestazioni locative sono accompagnate dall’erogazione di servizi (quali
la pulizia dei locali, il cambio della biancheria ecc.) che vanno oltre il mero godimento del bene (e dunque,
proprio perché non si tratta di un mero godimento di un bene ma di un vero e proprio servizio, si può
parlare di impresa).
Ancora, è godimento del proprio patrimonio e allo stesso tempo attività di produzione (nella forma della
circolazione di beni o del denaro), l’impiego di proprio denaro nella compravendita di strumenti finanziari
(come ad esempio azioni) con scopo di investimento o di speculazione, o nella concessione di finanziamenti
a terzi.
Infine, va detto che ormai è opinione prevalente che la qualità di imprenditore deve essere riconosciuta
anche quando l’attività produttiva svolta è illecita, nel senso che si tratta di un’attività contraria a norme
imperative, all’ordine pubblico e al buon costume. E ciò sia nei casi meno gravi in cui sono violate norme
imperative che subordinano l’esercizio dell’attività di impresa a concessione o autorizzazione
amministrativa (ad esempio, pensiamo ad un’attività bancaria svolta senza la previa autorizzazione del
governo, oppure un commercio all’ingrosso senza la licenza amministrativa), sia nei casi più gravi in cui
illecito sia l’oggetto stesso dell’attività (ad esempio, pensiamo al contrabbando di sigarette o al commercio
di droga).
Si ritiene, infatti, che non vi sia alcun motivo per sottrarre chi viola, in modo più o meno grave, la legge alle
norme che tutelano i creditori di un imprenditore commerciale (ovviamente fermo restando l’applicazione
delle sanzioni amministrativi e/o penali). Sicuramente, comunque, chi svolge attività di impresa violando la
legge non potrà avvalersi delle norme che tutelano l’imprenditore nei confronti dei terzi (quindi
all’imprenditore che agisce contro legge non può applicarsi la disciplina dell’azienda, quella dei segni
distintivi e quella relativa alla concorrenza sleale); e ciò in virtù di un principio generale del nostro
ordinamento secondo cui da un comportamento illecito non possono mai derivare effetti favorevoli per il
suo autore.
La professionalità
L’ultimo dei requisiti espressamente richiesti dall’art. 2082 c.c. è il carattere professionale dell’attività. In
particolare, “professionalità” significa esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva.
Per cui, non è imprenditore chi compie un’isolata operazione di acquisto e di successiva rivendita di merci
e, allo stesso modo, non è imprenditore chi organizza un singolo servizio di trasporto o un singolo
spettacolo sportivo.
La professionalità non richiede però che l’attività imprenditoriale sia svolta in modo continuato e senza
interruzioni; infatti per le attività stagionali (quali ad esempio gli alberghi in località di villeggiatura, gli
stabilimenti balneari ecc.) è sufficiente il costante ripetersi di atti di impresa secondo le cadenze proprie di
quel tipo di attività.
La professionalità non richiede neppure che quella di impresa sia l’attività unica o principale. Può essere
infatti imprenditore anche un professore o un impiegato che gestisce un albergo o un negozio. Per cui, è
possibile anche il contemporaneo esercizio di più attività di impresa da parte di uno stesso soggetto.
Infine, si può avere impresa anche quando si opera per il compimento di un unico affare, se questo
comporta il compimento di operazioni molteplici e l’utilizzo di un apparato produttivo complesso. Per cui, è
imprenditore il costruttore di un singolo edificio e anche chi acquista allo stato grezzo un immobile per
completarlo e rivendere i singoli appartamenti.
Ora, da ciò si pone l’esigenza di capire se è da considerare imprenditore anche chi costruisce un singolo
edificio non per rivenderlo ma bensì per destinarlo ad uso personale. Il punto è controverso, ma non
sembrerebbe sussistere alcun motivo per escluderlo, dal momento che l’attività produttiva può considerarsi
svolta con metodo economico anche quando i costi sono coperti da un risparmio di spesa o da un
incremento del patrimonio del produttore (pensiamo, ad esempio, alla posizione dei fornitori delle
macchine e dei materiali per la costruzione). Ciò significa che se è vero che di regola le imprese operano per
il mercato, nel senso che destinano allo scambio i beni o i servizi prodotti, non può senz’altro escludersi che
imprenditore può essere qualificato anche chi produce beni o servizi destinati ad uso o consumo personale
(ossia la c.d. impresa per conto proprio).
Infatti, la destinazione al mercato della produzione non è richiesta da alcun dato legislativo e dunque
l’applicazione della disciplina dell’impresa non si può far dipendere dalle mutevoli intenzioni di chi produce,
ma deve fondarsi esclusivamente sui caratteri oggettivi fissati dall’art. 2082 c.c. (e tali caratteri possono
ricorrere tutti anche quando i beni prodotto vengono in concreto consumati o utilizzati dallo stesso
produttore – anche se, nella pratica, ciò è piuttosto raro-).