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Capitolo 1 – L’imprenditore
Non puoi ritenersi imprenditore chi non superi la soglia della semplice autorganizzazione del proprio lavoro.
Non è imprenditore l'ente pubblico o colui che commerci beni/servizi gratuitamente o a prezzo politico
(insufficiente a coprire i costi).
L'attività produttiva.
L'impresa:
è attività produttiva serie coordinata di atti mirati a generare ricchezza tramite la trasformazione o
lo scambio di beni.
coinvolge coordinatamente capitale e lavoro, persone e beni strumentali
L’attività illecita consegue la qualifica di impresa, anche nei casi il bene oggetto dell’attività sia illecito.
La professionalità.
Ultimo requisito è il carattere professionale dell'attività l'esercizio abituale e non occasionale di un'attività
produttiva.
Abitualità non significa continuità, senza interruzioni (vedi attività stagionali comunque qualificate come
imprese).
Impresa è anche quando l'attività è svolta in funzione di un unico affare (costruzione di un edificio).
I professionisti anche se organizzati in maniera complessa, non sono considerati imprenditori perché il
legislatore ha previsto uno specifico statuto loro attribuito.
Il c.c. attua una distinzione sulla qualifica di imprenditore, tra imprenditore agricolo (Art. 2135 c.c.) e
imprenditore commerciale (2195 c.c.) in base alla tipologia di attività che svolgono L'imprenditore
agricolo è assistito da una serie di agevolazioni, per esempio l'esonero dalla tenuta delle scritture contabili e
l’assoggettamento al fallimento.
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per coltivazione del fondo ecc. si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo
biologico.
Attorno a quelle essenziali la dottrina aveva dibattuto su quanto l'evoluzione delle imprese agricole potesse
influire sulla loro qualificazione.
L'impresa artigiana
È imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare,
l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro
nel processo produttivo.
L’elemento che caratterizza l’impresa artigiana è l’attività che svolge l’artigiano, il quale non si deve
limitare a gestire l’impresa ma deve lavorare personalmente “nel processo produttivo e in misura prevalente”
nella produzione.
È anche vero, però, che vi possono essere imprese artigiane che si avvalgono dell’attività di dipendenti e
dell’aiuto di macchine per la produzione. In questi casi può essere difficile distinguere l’imprenditore
artigiano dall’imprenditore commerciale ed è per questo motivo che sono stati posti dei limiti dimensionali
all’impresa artigiana (n. di dipendenti).
Il mancato rispetto di questi limiti comporterà l’equiparazione dell’impresa artigiana all’impresa
commerciale, con la conseguente soggezione al fallimento.
L'impresa familiare
L’impresa familiare può definirsi come l’attività economica alla quale collaborano, in modo continuativo, il
coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo, qualora non sia configurabile un diverso
rapporto.
A coloro che prestano continuamente lavoro presso l'impresa familiare sono riconosciuti:
1. diritto al mantenimento
2. diritto di partecipazione agli utili di impresa
3. diritto sui beni acquistati con gli utili d’impresa
4. diritto di prelazione sull'azienda in caso di divisione ereditaria o trasferimento.
L'impresa societaria
Un'attività economica può essere esercitata da una singola persona fisica oppure da una pluralità di persone
la società è la forma di esercizio collettivo dell'impresa, in quanto è un'organizzazione di persone e di
beni preordinata al raggiungimento di uno scopo produttivo
Esistono diversi tipi di società e la società semplice è utilizzabile solo per l’esercizio di attività non
commerciali, mentre le altre società possono svolgere attività commerciali ed agricole. Le società diverse da
quella semplice sono dette società commerciali (imprenditori agricoli o commerciali).
L'impresa pubblica
L’impresa pubblica invece può assumere due distinte fattispecie:
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l’impresa-organo l’impresa è esercitata direttamente dallo stato o da altro ente pubblico
internazionale tramite una specifica organizzazione dotata di semplice autonomia gestionale ma
priva di distinta personalità giuridica (aziende del gas, dell’acqua, i trasporti, ove imprenditore è il
Comune);
l’ente pubblico economico l’impresa è svolta da un ente munito di propria personalità giuridica.
Gli enti pubblici economici sono parificati in tutto alle imprese private con la sola differenza dell’esonero
dalle procedure concorsuali ordinarie.
Per i titolari di imprese-organo, invece, è sicuro che si applichino le norme generali in materia di impresa,
mentre è dubbio se, e in quale misura, si applichi lo statuto dell’imprenditore commerciale.
L'impresa sociale
L’Impresa Sociale è un ente privato che esercita un'attività d'impresa di interesse generale, senza scopo di
lucro e per finalità solidaristiche e di utilità sociale.
È una qualifica giuridica che
può essere ottenuta da società associazioni, fondazioni ed è automatica per le cooperative sociali;
può svolgere attività di impresa d’impresa di interesse generale o fare inserimenti lavorativi;
può ripartire gli utili e gli avanzi di gestione, seppure in forma limitata.
Insolvenza: “condizione” di insolvenza, incapacità non solo passata ma soprattutto futura di pagare i propri
debiti. Essa afferisce tipicamente alla persona dell’imprenditore.
Liquidazione coatta: procedura concorsuale volta alla liquidazione del patrimonio di particolari imprese
e che determina come conseguenza l'eliminazione dell'impresa dal mercato.
L’imprenditore occulto è chi svolge attività d’impresa di nascosto, utilizzando il nome di un’altra persona.
In questo modo, un imprenditore, attraverso il c.d. prestanome, esegue l’attività d’impresa:
mette i soldi nell’impresa;
gestisce e amministra l’azienda;
percepisce i guadagni dell’attività.
Per spiegare cosa succede quando un’impresa gestita da un imprenditore nascosto fallisce o versa in
difficoltà economica, serve prima spiegare la natura del rapporto tra quest’ultimo ed il prestanome, legati da
un mandato dato al secondo per mettere in atto tutte le decisioni e gli investimenti fatti da quest’ultimo
nell’impresa.
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L’art. 147 della Legge fallimentare e le norme del Codice civile dedicate all’imprenditore, in caso di
fallimento della società prevede che a rispondere dei debiti dell’impresa in caso di fallimento di un
imprenditore è colui che ha utilizzato il proprio nome per mettere in pratica l’attività imprenditoriale come
conseguenza automatica del fallimento.
Il rapporto tra imprenditore occulto e imprenditore apparente può essere riassunto in questo modo: il primo
svolge attività di impresa senza comparire e il secondo la esegue divenendo di fatto quello che esercita
l’attività in qualità di imprenditore.
Tuttavia, se il giudice valuta che tra un imprenditore occulto ed il prestanome ci sia un inganno, anche il
primo risponderà dei debiti ai creditori, o, in altri casi verrà prevista una sanzione amministrativa per
entrambe le figure.
Inizio dell’impresa
La semplice costituzione o l’iscrizione nel registro delle imprese non implicano l’avvio dell’attività in
quanto non sono altro che fasi preliminari che sanciscono una certa programmabilità dell’attività.
La giurisprudenza ritiene che l’impresa si consideri avviata nel momento dell’effettivo svolgimento delle
attività ad essa relative e cioè:
Al compimento di un singolo atto di gestione, preceduto da una serie di atti preparatori (conferiscono
all’attività di carattere professionale e non occasionale);
Al compimento di una serie di atti omogenei coordinati e ripetuti nel caso in cui il soggetto non abbia
eseguito atti preparatori.
La fine dell’impresa
Come l’inizio dell’attività di impresa, anche la fine di impresa è subordinata al principio dell’effettività.
L’attività imprenditoriale, infatti, non può ritenersi cessata solo per effetto di determinati adempimenti
amministrativi quali la cancellazione da albi o la cancellazione dal registro delle imprese.
La fine dell’impresa coincide con la conclusione del processo di liquidazione. Questa è una fase in cui
l’imprenditore chiude il ciclo produttivo: vende le giacenze di magazzino e gli impianti, chiude i rapporti
con i dipendenti e liquida il passivo per adempiere alle obbligazioni non estinte.
Nel caso dell’impresa commerciale, l’articolo 10 della legge Fallimentare dispone che “l’imprenditore può
essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell’attività”.
Dunque, cancellazione dal registro delle imprese è condizione necessaria ma non sufficiente a decretare la
fine dell’impresa; ad essa deve essere collegata l’effettiva cessazione dell’attività attraverso la disgregazione
di tutto il complesso aziendale.
La pubblicità legale
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Coloro che operano sul mercato avvertono la necessità di poter disporre con facilità di informazioni veritiere
e non contestabili su fatti e situazioni delle imprese con cui entrano in contatto.
Questa esigenza è soddisfatta con l’introduzione di un sistema di pubblicità legale l’obbligo di rendere
di pubblico dominio determinati atti o fatti della vita dell’impresa, secondo forme e modalità predeterminate
per legge.
In tal modo le informazioni legislativamente ritenute rilevanti non solo sono rese accessibili ai terzi
interessati (pubblicità notizia), ma producono l’effetto tipico proprio di ogni forma di pubblicità legale:
l’opponibilità a chiunque degli atti o dei fatti così resi conoscibili (conoscibilità legale).
Il registro delle imprese è lo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali non piccole e delle
società commerciali previsto dal Codice civile del 1942.
La nuova disciplina ha introdotto alcune significative novità rispetto al sistema passato:
non è più solo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali, ma è anche strumento di
informazione sui dati organizzativi di tutte le altre imprese.
l’iscrizione nel registro è stata estesa agli imprenditori agricoli, ai piccoli imprenditori ed alle società
semplici, dapprima con effetti di sola pubblicità-notizia, ma oggi anche con effetti di pubblicità
legale per gli imprenditori agricoli
la tenuta del registro delle imprese è affidata alle camere di commercio.
il registro delle imprese è informatico.
Le iscrizioni devono essere fatte nel registro delle imprese della provincia in cui l’impresa ha la sede.
L’iscrizione è eseguita su domanda dell’interessato, ma può avvenire anche di ufficio se l’iscrizione è
obbligatoria e l’interessato non vi provvede.
L’inosservanza dell’obbligo di registrazione è punita con sanzioni amministrative e con sanzioni indirette.
Per gli effetti dell’iscrizione è necessario distinguere fra l’iscrizione nella sezione ordinaria e quella nelle
sezioni speciali:
l’iscrizione nella sezione ordinaria ha sempre funzione di pubblicità legale; serve cioè non solo a
rendere conoscibili i dati pubblicati, ma ha anche efficacia dichiarativa, costitutiva o normativa;
In alcune ipotesi l’iscrizione produce effetti ulteriori e più rilevanti. L’atto produce effetti, sia fra le
parti che per i terzi (efficacia costitutiva totale), sia solo nei confronti dei terzi (efficacia costitutiva
parziale).
l’iscrizione nelle sezioni speciali del registro ha solo funzione di certificazione anagrafica e di
pubblicità notizia consente di prendere conoscenza dell’atto/fatto iscritto, ma non lo rende
opponibile ai terzi.
Le Scritture contabili
Le Scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione, in termini quantitativi e/o
monetari, dei singoli atti di impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del risultato
economico dell’attività svolta.
La tenuta delle scritture contabili è obbligatoria ed è disciplinata, per gli imprenditori che esercitano attività
commerciale, dall’art 2214 c.c.
La disciplina delle scritture contabili non si applica ai piccoli imprenditori.
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Le società commerciali (tranne la società semplice) devono ritenersi obbligate alla tenuta delle scritture
contabili anche se non esercitano attività commerciale.
La norma:
impone all’imprenditore di tenere tutte le scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni
dell’impresa
stabilisce che devono essere tenuti il libro giornale e il libro degli inventari.
Il libro giornale è un registro cronologico-analitico in cui devono essere indicate giorno per giorno le
operazioni relative all’esercizio dell’impresa.
Il libro degli inventari è invece un registro periodico-sistematico che deve essere redatto all’inizio
dell’esercizio dell’impresa e successivamente ogni anno. Ha la funzione di fornire il quadro della situazione
patrimoniale dell’imprenditore.
L’inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite.
Per garantire la veridicità delle scritture contabili è imposta l’osservanza di determinate regole
le scritture contabili devono essere tenute secondo norme di una ordinata contabilità e, in particolare,
senza spazi in bianco, senza interlinee, senza abrasioni ed in modo che le parole cancellate restino leggibili.
L’inosservanza di tali regole rende le scritture irregolari e quindi giuridicamente irrilevanti.
Le scritture contabili possono sempre essere utilizzate dai terzi come mezzo processuale di prova contro
l’imprenditore che le tiene.
La rappresentanza commerciale
Questi soggetti che aiutano l’imprenditore nello svolgere la propria attività mettendo a disposizione la loro
collaborazione sono:
L’institore
La disciplina giuridica dell’institore è contenuta nel Codice civile dall’articolo 2203 all’articolo 2205.
Nel linguaggio comune la figura dell’institore si identifica con il direttore generale dell’impresa o di una
filiale o di un settore produttivo della stessa. Nel caso sia preposto all’intera impresa dipenderà solo
dall’imprenditore, altrimenti si potrà trovare in posizione subordinata rispetto ad un altro institore.
Riguardo gli obblighi dell’institore, egli è tenuto all’adempimento degli obblighi di iscrizione nel registro
delle imprese e di tenuta delle scritture contabili, e in caso di fallimento dell’imprenditore saranno applicate
anche nei confronti dell’institore le sanzioni penali a carico del fallito, tenendo presente che solo
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l’imprenditore potrà essere dichiarato fallito e soltanto lui sarà esposto agli effetti personali e patrimoniali
che derivano dal fallimento.
I poteri rappresentativi determinati dalla legge nei confronti dell’institore possono essere ampliati oppure
limitati dall’imprenditore sia all’atto della preposizione sia successivamente.
I procuratori
La disciplina giuridica dei procuratori è contenuta nel Codice civile all’articolo 2209.
I procuratori sono coloro che, secondo un rapporto continuativo, hanno il potere di compiere per
l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa.
Essi sono quindi ausiliari subordinati e sono di grado inferiore rispetto all’institore perché a differenza dello
stesso, non sono posti a capo dell’impresa o di un ramo di una sede secondaria, e non sono degli ausiliari
con funzioni direttive perché il loro potere decisionale è circoscritto a un determinato settore dell’impresa.
Costituiscono esempi di procuratori: il direttore del settore acquisti, il dirigente del personale.
Il procuratore:
non ha la rappresentanza processuale dell’imprenditore neppure negli atti che sono stati posti in
essere da lui stesso
non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e della tenuta delle scritture
contabili.
L’imprenditore non risponde degli atti compiuti da un procuratore senza spendita del suo nome.
I commessi
La disciplina giuridica dei commessi è contenuta nel Codice civile all’articolo 2210.
In virtù della loro posizione i commessi possono svolgere la rappresentanza dell’imprenditore anche senza
specifico atto di conferimento della stessa, ma questo potere di rappresentanza è più limitato rispetto al
potere dell’institore e dei procuratori.
L’imprenditore da parte sua può sia ampliare sia limitare i poteri dei commessi.
L’azienda è «il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa». Essa
costituisce, quindi, l’insieme dei mezzi produttivi (locali, macchinari, materie prime) con cui l’imprenditore
svolge la propria attività di impresa.
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L’imprenditore non deve essere necessariamente proprietario dei beni aziendali: è sufficiente che egli
disponga, su ciascun bene, di un titolo giuridico che gli permetta di utilizzarlo per l’esercizio dell’impresa.
L’azienda, dunque, è un fattore necessario e determinante dell’impresa, ma resta pur sempre distinta rispetto
ad essa, nei cui confronti si pone in un rapporto di mezzo a fine.
La differenza tra il valore sommato dei singoli beni e il valore di scambio complessivo dell'azienda è
definita avviamento. Quest'ultimo si suddivide in:
avviamento oggettivo ricollegabile all'azienda, al di là del suo titolare
avviamento soggettivo dovuto all'abilità operativa dell'imprenditore titolare.
La circolazione dell’azienda
L'azienda può essere oggetto di numerosi atti di disposizione da parte del titolare. Quest'ultimo può scegliere
anche di disporre di singoli beni aziendali piuttosto che di tutto il complesso.
Per parlarsi di trasferimento d'azienda è necessario che venga alienato un insieme di beni idonei ad essere
utilizzato per l'esercizio di un'attività d'impresa.
I privati che vogliono realizzare un trasferimento d'azienda devono sottostare ad alcune formalità:
per le imprese soggette a registrazione con effetti di pubblicità legale, è necessaria la forma scritta;
sempre per queste imprese i contratti di trasferimento devono essere iscritti nel registro delle imprese
nel termine di 30 giorni.
l’atto deve essere redatto nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata.
Vendita dell’azienda
Con il contratto di cessione d’azienda il cedente trasferisce il complesso aziendale ad un acquirente, il
cessionario, dietro corrispettivo. L’azienda viene ceduta unitariamente, con debiti e crediti, e con subentro
nei rapporti contrattuali in essere.
Requisiti del contratto di cessione di azienda:
il cedente deve dichiararsi titolare del complesso dei beni organizzati in azienda;
il cedente deve dichiarare di voler cessare l’attività e di avere interesse a reperire chi è disponibile ad
acquistare tale azienda;
il cessionario deve, a sua volta, dichiararsi disponibile ad acquistare la già menzionata azienda.
Nel contratto può essere disposto il divieto di concorrenza (art. 2557 c.c.) secondo il quale l'alienante di
un'azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di 5 anni dal trasferimento, dall'iniziare una
nuova impresa che possa, per l'oggetto o per altre circostanze, sviare la clientela dell'azienda ceduta.
La norma, infatti, intende tutelare l'avviamento soggettivo dell'azienda, compreso, senz'altro nel prezzo di
vendita e quindi la posizione dell'acquirente.
Tre casi controversi vengono in analisi (nonostante non si abbia la certezza di definirli “trasferimenti di
azienda” vantano del divieto di concorrenza):
la divisione ereditaria con assegnazione dell'azienda ad uno degli eredi
lo scioglimento di una società con assegnazione dell'azienda ad un socio quale quota di liquidazione.
vendita dell'intera partecipazione sociale della quota di controllo di una società di persone o di
capitali sostanzialmente equivale ad una vendita.
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al comma 2, che i terzi contraenti hanno diritto a recedere se sussiste una giusta causa, entro tre mesi
dalla notizia della cessione del contratto.
Il terzo è tenuto ad eseguire le proprie prestazioni nei confronti del nuovo imprenditore.
Per la cessione dei contratti di carattere personale tornano in auge il consenso del terzo ceduto e l'esplicita
pattuizione.
Con riferimento al trasferimento dei debiti contratti per l’esercizio dell’impresa che viene trasferita, l’art.
2560 c.c. dispone che l’acquirente risponde dei debiti relativi all’azienda ceduta se essi risultano dai libri
contabili obbligatori. Con riferimento invece ai terzi, l’alienante è liberato dai debiti relativi all’azienda
ceduta solo se i creditori vi acconsentano (esplicitamente).
La responsabilità del cessionario non si estende a tutti i debiti, bensì è limitata ai debiti nascenti per
esempio da fonte extracontrattuale o contratti che stabiliscono prestazioni solo a carico dell’alienante
dell’azienda.
Chi aliena un’azienda non è quindi liberato dai debiti, ma ne risponde in solido anche l’acquirente se si tratta
di azienda commerciale e se essi risultano dai libri contabili obbligatori.
L’affitto di azienda (art. 2562) è un contratto di locazione, che ha per oggetto una cosa produttiva mobile o
immobile, e pone a carico dell’affittuario l’obbligo di curare la gestione della cosa in relazione alla sua
destinazione economica, facendone propri i frutti. Sia all’usufrutto che all’affitto d’azienda si applicano il
divieto di concorrenza (art 2557), mentre non si applica la disciplinata dettata per i debiti aziendali dell’art
2560.
I debiti aziendali anteriori all’usufrutto e all’affitto faranno capo solo al nudo proprietario.
Assume sempre maggior rilevanza anche il nome a dominio che individua il sito Internet dell'azienda.
La funzione comune a questi istituti è la regolamentazione della concorrenza nel mercato libero, in quanto
contribuiscono a incentivare una competizione leale.
La disciplina dei tre segni distintivi è sparsa in maniera disomogenea nel C.c. di proprietà industriale.
Tuttavia, possiamo ricavarne alcuni principi generali:
l'imprenditore ha diritto all'uso esclusivo dei propri segni distintivi ma non può contestare l'utilizzo
del segno distintivo proprio da parte di un terzo se quest'ultimo non svia la sua clientela;
l'imprenditore ha ampia libertà nella scelta dei propri segni; libertà limitata dai limiti di verità, novità
e capacità distintiva;
l'imprenditore è abilitato a trasferire i propri segni distintivi.
La ditta
La ditta è il segno distintivo che indica il nome commerciale sotto il quale è esercitata l'impresa, che non
necessariamente coincide con il nome civile dell'imprenditore.
Il titolare della ditta ha diritto all'uso esclusivo della stessa, che può essere fatto valere solo nei confronti
degli imprenditori che, per l'oggetto dell'attività e il luogo in cui essa è prestata, siano con lui in rapporto
concorrenziale.
Il carattere di novità della ditta opera non soltanto con riferimento ad altre ditte, ma con riferimento a tutti i
segni distintivi.
La ditta può essere oggetto di trasferimento, il quale deve avvenire congiuntamente al trasferimento
dell'azienda a tutela sia dell'interesse del titolare della ditta a monetizzare il valore di avviamento, sia
dell'interesse dei terzi che hanno intrattenuto rapporti con il precedente titolare.
Il trasferimento può avvenire:
per atto tra vivi richiedendo il consenso espresso dell'alienante (per iscritto)
mortis causae in ipotesi di morte del titolare della ditta, quest'ultima si trasmette al successore
salvo diversa disposizione testamentaria del de cuius.
Oltre che di trasferimento, la ditta può essere anche oggetto di usucapione.
L'insegna
L'insegna è il segno distintivo che contraddistingue i locali dell'impresa. Essa non può essere uguale o
simile a quella usata dall'imprenditore né a un marchio, sulla base del principio di unitarietà dei segni
distintivi.
Il codice tace questa materia, quindi, saranno applicabili i principi in materia di segni distintivi:
l'insegna deve essere lecita (non contraria a norme imperative, buon costume e ordine pubblico;
non deve trarre in inganno il pubblico;
è pacifica la trasferibilità del diritto sull’insegna. È lecito l'utilizzo della stessa insegna di due
imprenditori, come avviene nei contratti di franchising.
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Principio di unitarietà dei segni distintivi: implica che l'adozione di un segno, in qualunque delle sue
funzioni distintive, conferisce all'imprenditore che lo abbia adottato il diritto di utilizzarlo anche in relazione
alle altre funzioni distintive.
Il marchio
Il marchio è un segno distintivo tipico d’impresa destinatario di una specifica disciplina rispetto agli altri
segni distintivi. Lo scopo del marchio è quello di rendere individuabili sul mercato i prodotti e i servizi
dell’imprenditore. In un mercato libero, il marchio è ciò che consente all’imprenditore di farsi conoscere e
“valutare” dal consumatore.
È disciplinato sia dall'ordinamento nazionale sia dall'ordinamento comunitario ed internazionale. Le fonti
normative che regolano il marchio sono il Codice civile, agli articoli 2569-2574, e il Codice della proprietà
industriale.
Rappresentano oggetto di marchio quasi tutti segni rappresentabili graficamente e che si possono distinguere
in:
denominativi, quando sono parole;
figurativi, quando sono figure;
misti, quando combinano parole e figure.
L’oggetto del marchio, inoltre, dev’essere qualcosa di estraneo al prodotto che identifica.
Nel caso in cui i requisiti di validità siano assenti in tutto o in parte, il marchio è nullo.
Il diritto di esclusiva sul marchio ha una durata di dieci anni che decorre dalla data del deposito della
domanda.
Esistono numerose tipologie di marchio ma la distinzione più rilevante è quella che viene fatta tra marchio
registrato e marchio non registrato:
Il marchio registrato è un segno distintivo che gode di una particolare tutela giuridica nei
confronti di terzi.
I diritti in capo al titolare del marchio registrato partono dalla data di deposito della domanda di
registrazione oppure dall’utilizzo protratto dello stesso segno.
Il marchio registrato garantisce ai consumatori di poter risalire alla fonte d’origine dei prodotti o
servizi da esso contrassegnati e al titolare di poter impedire a terzi l’uso di marchi confondibili per
prodotti o servizi identici o affini.
L’uso del marchio registrato non può mai essere fatto in modo da generare ai consumatori dubbi
sulla provenienza dei prodotti o servizi.
In Italia non esistono leggi che impongono particolari simboli per contraddistinguere i marchi
registrati.
L’uso dei simboli, infatti, vengono solamente utilizzati come deterrente contro possibili
contraffazioni in quanto indicano che il marchio in questione è registrato (aggiunta del simbolo ®
accanto al marchio);
Il marchio non registrato è quel tipo di marchio di fatto che, proprio per non essere stato
registrato, gode di una tutela giuridica più fragile.
Chi utilizza un marchio di fatto non gode della tutela giuridica che deriva dalla registrazione e rischia
di incorrere in alcuni inconvenienti, tra gli aspetti negativi della mancata registrazione c’è la
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maggiore facilità del marchio ad essere contraffatto, oltre al fatto di poter essere registrato da un altro
soggetto.
Quando l’uso di fatto di un marchio entri in conflitto con una successiva registrazione dello stesso, si
fa riferimento al “preuso” l’uso di un marchio di fatto che in un secondo tempo viene registrato da
altri soggetti.
Il marchio non registrato viene tutelato dall’articolo 2571 del c.c., che stabilisce che chi usa un
marchio senza registrarlo, ha la possibilità di continuare ad utilizzarlo, nonostante un’eventuale
registrazione operata da terzi, sempre nei limiti in cui anteriormente se ne è avvalso.
Il semplice utilizzo del marchio non registrato attribuisce all’imprenditore il diritto esclusivo di
usarlo.
La tutela del marchio su scala nazionale richiede la registrazione presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi,
gestito dal Ministero dello sviluppo economico. Sia per il registrano che x il non??????
Le opere dell’ingegno (idee creative nel campo culturale) e le invenzioni industriali (idee creative nel
campo della tecnica) costituiscono le due grandi categorie di creazioni intellettuali regolate dal nostro
ordinamento.
Le opere dell’ingegno formano oggetto del diritto d’autore.
Le invenzioni industriali a loro volta possono formare oggetto, a seconda dello specifico contenuto:
• brevetto per invenzioni industriali;
• brevetto per modelli di utilità oppure della registrazione per disegni e modelli.
Diritto d’autore e brevetti industriali formano anche oggetto di un’articolata disciplina internazionale, che
estende la protezione offerta dalle singole legislazioni nazionali.
Opere dell’ingegno ed invenzioni industriali non fanno parte del diritto delle imprese poiché chiunque può
essere autore di un’opera dell’ingegno o di un’invenzione industriale.
Tali opere sono protette indipendentemente dal loro pregio o dall’utilità pratica. Unica condizione richiesta è
che l’opera abbia carattere creativo, cioè presenti un minimo di originalità rispetto a opere preesistenti dello
stesso genere.
Per essere valida, l’opera basta che sia stata pubblicata nel registro pubblico generale delle opere protette.
Il diritto di autore gode di una tutela sia morale, sia patrimoniale e perciò si distingue in:
1. diritto morale d’autore, secondo il quale l’autore ha diritto:
di rivendicare nei confronti di chiunque la paternità dell’opera,
di decidere se pubblicarla o meno e se pubblicarla col proprio nome o in anonimo,
di opporsi a modificazioni dell’opera,
di ritirare l’opera dal commercio quando ricorrano gravi ragioni morali.
Questi diritti sono irrinunciabili, inalienabili, non si perdono con la cessione dei diritti patrimoniali e
possono essere esercitati anche dai congiunti dopo la morte dell’autore.
2. diritto patrimoniale d’autore, secondo il quale l’autore:
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ha il diritto di utilizzazione economica esclusiva dell’opera in ogni forma e modo,
ha una serie di facoltà riguardo l'opera (riproduzione, trascrizione, diffusione distribuzione,
noleggio).
Questo diritto, a differenza del diritto morale, ha durata limitata e si estingue in 70 anni dopo la
morte dell’autore (durata del diritto di sfruttamento economico dell’opera copyright).
L’autore di un’opera creativa gode di due tipi di diritti: il diritto di paternità dell’opera, che non è cedibile, e
il diritto di sfruttamento economico che deriva dall’opera, che è cedibile.
I diritti d’autore si possono cedere attraverso un contratto atipico a prestazioni corrispettive il
contratto di cessione.
La legge lascia alle parti la piena libertà di disposizione dei diritti di sfruttamento economico dell’opera,
specificando alcuni vincoli come la possibilità di cedere solo i diritti che hanno carattere patrimoniale.
La prassi al riguardo ha istituzionalizzato il contratto di edizione e il contratto di rappresentazione e di
esecuzione:
contratto di edizione l'autore garantisce in esclusiva ad un editore il diritto di pubblicare l'opera a
spese e per conto dell'editore. L'editore, invece si obbliga a corrispondere all'autore il compenso in
denaro;
contratto di rappresentazione di esecuzione, l’autore concede la facoltà di rappresentare in
pubblico un’opera […] destinata alla rappresentazione (al pubblico).
Le invenzioni industriali
Le invenzioni industriali sono un’idea creativa inerenti al campo della tecnica consiste nella soluzione
originale di un problema tecnico.
Le invenzioni industriali si suddividono in più categorie:
invenzioni di prodotto hanno per oggetto un nuovo prodotto materiale,
invenzione di procedimento possono consistere in un nuovo metodo di produzione di beni già
noti,
invenzioni derivate derivazione di precedenti invenzioni.
Non sono considerate invenzioni, quindi escluse dalla tutela civilistica: le scoperte, le teorie, i principi, i
software.
Invenzioni brevettate
L’invenzione brevettata
Il brevetto per invenzione industriale è concesso dall’Ufficio italiano brevetti e marchi, sulla base di una
domanda, a pena di nullità.
La domanda dovrà:
presentare la descrizione dell’invenzione in modo chiaro e completo
avere ad oggetto una sola invenzione,
specificare l’oggetto del brevetto.
L’Ufficio brevetti dovrà rigettare la domanda se priva dei requisiti di validità del brevetto.
Il brevetto conferisce al suo titolare la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e di trarne profitto nel
territorio nazionale.
Il brevetto per le invenzioni industriali dura 20 anni dalla data di deposito della domanda ed è esclusa ogni
possibilità di rinnovo.
Il diritto di esclusiva sul brevetto si può perdere prima della scadenza qualora sia dichiarata la nullità del
brevetto o sopravvenga una causa di decadenza dello stesso.
Il brevetto è liberamente trasferibile sia inter vivos che mortis causa. Inoltre, sul brevetto possono essere
costituiti diritti reali di godimento o di garanzia e lo stesso può anche formare oggetto di esecuzione forzata
e di espropriazione per pubblica utilità.
Il titolare del brevetto può altresì concedere licenza d’uso dello stesso. Quest’ultima non è espressamente
regolata, perciò può avere i contenuti più vari.
L’invenzione brevettata è tutelata con sanzioni civili e penali. In particolare, il titolare del brevetto e il
licenziatario possono esercitare azione di contraffazione nei confronti di chi abusivamente sfrutti
l’invenzione. Il titolare del brevetto ha, in ogni caso, diritto al risarcimento del danno subito.
Seppur limitata esiste una tutela anche per l’invenzione non brevettata: l’inventore o terzo avente causa che
abbia fatto uso dell’invenzione nella propria azienda nei dodici mesi antecedenti al deposito dell’altrui
domanda di brevetto può continuare a sfruttare l’invenzione nei limiti del preuso.
I modelli industriali
Oltre alle invenzioni industriali, l'ordinamento italiano tutela altre creazioni suscettibili di essere applicate
all'industria, ma di minore rilevanza: i modelli industriali.
Essi si dividono in due categorie, i modelli di utilità e i disegni e i modelli, che sono regolati da una
disciplina differenziata, essendo differenziato il loro oggetto:
1. I modelli di utilità
I modelli di utilità rilevano nell'ordinamento in quanto, incrementano la funzionalità o la comodità
di macchine, strumenti o, in generale, oggetti d'uso già esistenti.
Tali creazioni sono tutelate attraverso il brevetto.
Occorre specificare che, all'atto pratico, non sempre è agevole distinguere un modello di utilità da
un'invenzione industriale. Se, infatti, in via teorica è chiaro che quest'ultima riguarda un prodotto
nuovo mentre il primo riguarda il perfezionamento di un'invenzione preesistente, nella pratica spesso
i confini tra perfezionamento di un prodotto e creazione di un nuovo prodotto non sono così netti.
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2. I disegni e i modelli
I disegni e i modelli sono creazioni industriali che hanno ad oggetto l'aspetto esteriore di un
prodotto industriale e si concretizzano, sostanzialmente, nell'industrial design. La differenza tra i
due sta nel fatto che il disegno è bidimensionale mentre il modello tridimensionale.
Tali creazioni sono tutelate attraverso la registrazione presso l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi,
che può avvenire solo quando i disegni e i modelli siano nuovi.
La disciplina europea dei disegni e dei modelli riconosce a tali creazioni una tutela anche in assenza
di registrazione. Si tratta, in ogni caso, di una protezione limitata nel tempo a massimo tre anni dal
momento in cui il disegno o il modello è stato per la prima volta reso pubblico.
I disegni e i modelli, oltre che tramite registrazione, possono essere tutelati anche mediante il diritto
d'autore, la cui durata, però, sarà limitata, rispetto ai settanta anni generalmente previsti, a trenta
anni dalla morte del loro autore.
Art. 41 Cost. L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in
modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
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Sono atti di illecito concorrenziale (art.2598, c.1, c.c.) quelli tali da generare confusione con:
i prodotti o servizi di un concorrente e quindi sull’effettiva provenienza degli stessi e
l’identificazione dell’impresa;
l’uso di «nomi o segni distintivi (…) con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da
altri».
2. Imitazione servile
Questa si concretizza nella riproduzione delle forme esterne del prodotto del concorrente – intese
nell’aspetto complessivo dello stesso o dei singoli elementi del packaging – che ha già assunto sul
mercato un suo carattere distintivo, inducendo così in errore il consumatore.
3. Denigrazione e appropriazione di pregi altrui
Un’ulteriore categoria di concorrenza sleale è rappresentata dagli atti di denigrazione: la volontà di
un soggetto di screditare la reputazione commerciale di un concorrente con diffide e notizie, anche
falsate, sui relativi prodotti e attività.
A questa categoria si affianca quella degli atti di appropriazione di pregi dei prodotti/servizi di un
concorrente: il soggetto che compie l’illecito fa in modo di incrementare la propria reputazione,
conferendo ai prodotti/servizi pregi e qualità non veritiere.
Entrambe le categorie hanno lo scopo di alterare la percezione del consumatore.
4. Pubblicità ingannevole e concorrenza sleale
Si assume quindi che è vietata qualsiasi comunicazione ingannevole da parte di un imprenditore circa,
ad esempio, le caratteristiche di un prodotto/servizio, il relativo prezzo e condizioni di vendita, che
possa:
ledere un’impresa concorrente;
indurre in errore il consumatore che, diversamente, non avrebbe provveduto all’acquisto di
quel prodotto/servizio.
Tale legge definisce anche l'ambito di applicazione della disciplina antimonopolistica italiana:
imprese private,
imprese pubbliche e a prevalente partecipazione statale, con esclusione delle imprese che gestiscono
servizi di interesse economico generale.
Le intese
Le intese sono comportamenti concordati fra imprese volti a limitare la propria libertà di azione sul mercato
(accordi con cui si fissano prezzi uniformi).
In particolare, sono considerati intese:
a) gli accordi fra imprese;
b) le deliberazioni di consorzi, di associazioni di imprese e di altri organismi similari;
c) le «pratiche concordate» fra imprese, forma di coordinamento fra imprese che si basa su una
collaborazione a danno della concorrenza la maggior parte vietate
Tuttavia, non tutte le intese anticoncorrenziali sono vietate bensì solamente le intese che abbiano per oggetto
impedire o falsare la concorrenza. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto.
Accertata l'infrazione, con procedura analoga a quella prevista per le intese, l'Autorità competente ne ordina
la cessazione prendendo le misure necessarie e infligge sanzioni pecuniarie. In caso di reiterata
inottemperanza, l'Autorità può anche disporre la sospensione dell'attività dell'impresa fino a trenta giorni.
Allo stesso tempo è oggi vietato nell'ordinamento nazionale l'abuso dello stato di dipendenza economica nel
quale si trova un'impresa, cliente o fornitrice, rispetto ad una o più altre imprese anche in posizione non
dominante sul mercato.
Dipendenza economica: situazione in cui una impresa è in grado di determinare, nei rapporti commerciali
con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi.
Le concentrazioni
Si ha concentrazione quando:
due o più imprese si fondono dando così luogo ad un'unica impresa;
due o più imprese, pur restando giuridicamente distinte, diventano un’unica entità economica; sono
cioè sottoposte ad un controllo unitario della loro attività;
due o più imprese indipendenti costituiscono un’impresa societaria comune.
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operazioni di concentrazione che superano determinate soglie di fatturato devono essere preventivamente
comunicate rispettivamente all'Autorità italiana o alla Commissione Ce.
Per quanto riguarda la misura delle sanzioni, esse possono giungere fino al 10% del fatturato delle imprese
interessate, sono inflitte dall'Autorità se la concentrazione vietata viene ugualmente eseguita.
Diversamente dalle intese, non è però sancita la nullità delle operazioni che hanno dato luogo ad una
concentrazione vietata.
Monopoli legali
Vi sono poi casi particolari in cui la libertà di iniziativa economica e la relativa concorrenza vengono
completamente soppresse a favore della costituzione dei cosiddetti monopoli pubblici.
L’art. 43 Cost. legittima la costituzione di monopoli legali per lo svolgimento di attività che riguardano i
servizi pubblici essenziali, fonti di energia o servizi aventi interesse generale. L’attività può essere esercitata
dallo Stato, da un altro ente pubblico o da un privato su concessione dello Stato.
Il monopolio legale è disposto dalla legge e si caratterizza per la presenza di una sola impresa sul mercato: è
precluso l’ingresso ad ogni altra impresa.
In regime di monopolio legale non trovano applicazione le discipline comunitarie e nazionali Antitrust. Il
legislatore, tuttavia, si è preoccupato di tutelare i terzi imponendo particolari obblighi in capo al
monopolista:
l’obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa
l’obbligo di rispettare la parità di trattamento tra i diversi consumatori.
Ogni accordo limitativo della concorrenza fra imprese italiane deve ritenersi valido quando non ricorrono i
presupposti per l’applicazione delle norme antimonopolistiche comunitarie e purché non ricadano nel divieto
di intese anticoncorrenziali o di abuso di posizione dominante.
Oltre alla disciplina generale fissata dall’art. 2596 vi sono anche altre disposizioni che dettano una
regolamentazione specifica per alcuni patti anticoncorrenziali innominati:
I patti autonomi sono gli accordi limitativi della concorrenza che si presentano sotto forma di autonomo
contratto che ha come oggetto e funzione esclusivi la restrizione della libertà di concorrenza. Possono essere
a carico di una sola delle parti o di entrambe.
I patti accessori sono gli accordi restrittivi della concorrenza che si presentano come clausola accessoria di
un altro contratto con diverso oggetto. Possono essere a carico di una sola delle parti o di entrambe.
Esempi patti limitativi della concorrenza: i cartelli, consorzi anticoncorrenziali o di abuso di posizione
dominante.
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Capitolo 9 – I consorzi fra imprenditori
«Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un organizzazione comune per la disciplina o per
lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese» (art. 2602).
Un consorzio può essere anche costituito al fine di disciplinare la reciproca concorrenza sul mercato fra
imprenditori che svolgono la stessa attività o attività similari (consorzio con funzione
anticoncorrenziale). In tal caso il contratto di consorzio si presenta come una delle possibili
manifestazioni dei patti limitativi della concorrenza.
Più imprenditori possono però dar vita ad un consorzio anche per conseguire un fine parzialmente o
totalmente diverso. In tal caso il consorzio rappresenta anche uno strumento di cooperazione
interaziendale finalizzato alla riduzione dei costi di gestione delle singole imprese consorziate
(consorzio con funzione di coordinamento).
Il contratto di consorzio
Il contratto di consorzio può essere stipulato solo fra imprenditori. Non sono richiesti ulteriori requisiti
soggettivi e perciò al consorzio potrà partecipare qualsiasi imprenditore. Né è necessario che i partecipanti
svolgano la medesima attività o attività similari.
Il contratto di consorzio è un contratto formale deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità.
Essenziale è in particolare la determinazione dell'oggetto del consorzio, degli obblighi assunti dai consorziati
e degli eventuali contributi in danaro da essi dovuti per il funzionamento del consorzio.
Il contratto di consorzio è per sua natura un contratto di durata (liberamente fissata dalle parti) ed è
tendenzialmente aperto è possibile la partecipazione al consorzio di muovi imprenditori senza che sia
necessario il consenso di tutti gli attuali consorziati.
Il contratto di consorzio può sciogliersi limitatamente ad un consorziato, per volontà di questo (recesso) o
per decisione degli altri consorziati (esclusione). Causa tipica di esclusione può essere l'inadempimento
degli obblighi consortili.
Al consorziato receduto o escluso competerà la liquidazione della sua quota di partecipazione al fondo
patrimoniale consortile.
Dalle cause di recesso e di esclusione vanno tenute distinte le cause di scioglimento dell'intero contratto di
consorzio.
Le delibere «relative all'attuazione dell'oggetto del consorzio sono prese col voto favorevole della
maggioranza dei consorziati» mentre è richiesto il consenso di tutti i consorziati per le modificazioni del
contratto.
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Molto spazio è riservato all'autonomia privata per quanto riguarda l'organo direttivo, almeno nei consorzi
non destinati a svolgere attività esterna, nei quali la funzione tipica di tale organo è quella di controllare
l'attività dei consorziati al fine di accertare l'esatto adempimento delle obbligazioni assunte.
Quanti contrattano con un consorzio sono esposti a non pochi pericoli dato che non è prevista alcuna forma
di controllo sulla consistenza del patrimonio consortile e sul rispetto del vincolo di destinazione del
patrimonio consortile la tutela dei terzi è affidata solo all'estensione agli amministratori del consorzio.
Maggiormente tutelati sono invece i terzi quando si tratta di obbligazioni assunte dagli organi del consorzio
per conto dei singoli. Per tali obbligazioni rispondono solidalmente sia il consorziato o i consorziati
interessati, sia il fondo consortile.
Le società consortili
Consorzi e società sono istituti diversi. La diversità è netta e chiaramente percepibile quando il consorzio
svolge attività esclusivamente interna. Manca in tal caso l'esercizio in comune di un'attività economica
(attività di impresa) da parte dei consorziati, che invece costituisce elemento essenziale delle società.
Per società e consorzi con attività esterna invece la distinzione è invece più sottile. Essi sono fenomeni
associativi che presentano in comune, sia il normale carattere imprenditoriale dell'attività esercitata, sia il
fine di realizzare un interesse economico dei partecipanti (scopo egoistico).
Essi si differenziano tuttavia per la diversità dello scopo egoistico perseguito.
Il consorzio si caratterizza per un duplice dato:
a) la qualità di imprenditori di tutti i partecipanti al consorzio;
b) lo stretto nesso funzionale che esiste fra l'attività del consorzio e l'attività svolta dai singoli
imprenditori consorziati, dato che l'organizzazione comune è costituita per lo svolgimento di
determinate fasi delle rispettive imprese.
Da questi dati è possibile desumere che funzione tipica di un consorzio (con attività esterna) è quella di
produrre beni o servizi necessari alle imprese consorziate ed almeno tendenzialmente destinati ad essere
assorbiti dalle stesse. Il che implica, a sua volta, che l'attività di impresa del consorzio non si può ritenere
tipicamente finalizzata né alla produzione di beni o servizi destinati ad essere ceduti a terzi, né al
conseguimento di utili, poiché i rapporti di scambio sono posti in essere con gli stessi imprenditori
partecipanti al consorzio.
L’intento tipico che anima i singoli consorziati infatti è usufruire dei beni e servizi prodotti e messi a loro
disposizione dall'impresa consortile in modo da conseguire un vantaggio patrimoniale diretto nelle rispettive
economie, sotto forma di minori costi sopportati o di maggiori ricavi conseguiti nella gestione delle proprie
imprese.
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Lo scopo tipico (causa) dei consorzi è perciò diverso da quello delle società lucrative (società di persone e
società di capitali). Di regola, una società per azioni acquista merci per rivenderle sul mercato e ricavarne un
guadagno da dividere fra i soci. Un consorzio invece di regola acquista merci che servono alle imprese dei
consorziati, per rivenderle ai consorziati stessi ad un prezzo calcolato in modo da coprire i costi di gestione e
non di più. Di regola, in quanto al consorzio non è fatto divieto di svolgere anche attività lucrativa con terzi.
Lo scopo consortile, infatti, presenta invece più affinità con lo scopo perseguito dalle società cooperative: lo
scopo mutualistico. Anche l'impresa mutualistica tende a procurare ai soci un vantaggio patrimoniale diretto,
sotto forma di un risparmio di spesa o di un maggior guadagno personale. Perciò si parla anche di scopo
mutualistico dei consorzi e di «mutualità consortile».
La «mutualità consortile» si differenzia però, pur sempre, dalla generica mutualità delle cooperative. Ciò in
quanto l'interesse economico dei consorziati è un interesse tipicamente imprenditoriale: migliorare
l'efficienza e la capacità di profitto delle rispettive preesistenti imprese.
Con la modifica della disciplina dei consorzi del 1976 è stato espressamente consentito di perseguire agli
obbiettivi propri del contratto di consorzio attraverso la costituzione di una società. L’art. 2615-ter dispone
infatti che tutte le società lucrative, ad eccezione della società semplice, possono assumere come oggetto
speciale gli scopi di un consorzio.
È quindi lecito costituire una società per azioni nel cui atto costitutivo si dichiari espressamente l’esclusiva
finalità consortile perseguita e altrettanto espressamente si dichiari che la società non persegue lo scopo di
conseguire utili da dividere tra i soci. Gli imprenditori che danno vita ad una società consortile possono
inoltre inserire nell’atto costitutivo specifiche pattuizioni volte ad adattare la struttura societaria prescelta
alla finalità consortile perseguita.
Capitolo 10 – Le società
I conferimenti
I conferimenti sono le prestazioni cui le parti del contratto di società si obbligano.
La loro funzione è quella di dotare la società del capitale di rischio iniziale per lo svolgimento dell’attività
di impresa: infatti, col conferimento ciascun socio destina parte della propria ricchezza all’attività comune e
si espone al rischio di impresa.
Diversi possono essere da socio a socio sia l’oggetto sia l’ammontare del conferimento.
Quanto all’oggetto dei conferimenti, l’art. 2247 stabilisce genericamente che essi possono essere costituiti
da beni e da servizi; può conferire oggetto di conferimento ogni entità suscettibile di valutazione economica
che le parti ritengono utile per lo svolgimento dell’attività di impresa.
L’art. 2247 trova piena applicazione solo nelle società di persone e nella società a responsabilità limitata.
Nelle altre società di capitali e nelle società cooperative incontra invece significative limitazioni in quanto è
espressamente stabilito che non possono formare oggetto di conferimento “le prestazioni d’opera o di
servizi”.
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I conferimenti: le prestazioni alle quali si obbligano le parti del contratto di società. La funzione dei
conferimenti è quella di dotare la società del capitale di rischio necessario per lo svolgimento dell'attività di
impresa.
Diversa è la funzione del capitale sociale: il capitale sociale nominale è una cifra che esprime il valore in
denaro dei conferimenti. Il capitale sociale nominale rimane immutato nel corso della vita della società fin
quando, con modifica dell’atto costitutivo, non se ne decide l’aumento o la riduzione.
Il capitale sociale è quindi un valore storico; assolve però due fondamentali funzioni:
Funzione vincolistica: la cifra del captale sociale indica la frazione del patrimonio netto non
distribuibile fra i soci e perciò assoggettata ad un vincolo di stabile destinazione all’attività
sociale (c.d. capitale reale). La funzione vincolistica fornisce ai creditori una garanzia
patrimoniale supplementare: essi, infatti, possono fare affidamento su un attivo patrimoniale
eccedente le passività per un valore corrispondente almeno all’ammontare del capitale sociale
Funzione organizzativa: in tutte le società è un termine di riferimento per accertare
periodicamente se la società ha conseguito utili o ha subito perdite.
Oggetto sociale: attività economica, possibile, determinata e lecita, che i soci di una società hanno deciso di
intraprendere per raggiungere lo scopo lucrativo.
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Società di ingegneria: società la cui attività non si esaurisce nella semplice progettazione di opere di
ingegneria, ma comprende anche ulteriori prestazioni quali la realizzazione e la vendita di impianti e
attrezzature industriali.
È infine da tener presente che tutti i tipi di società, tranne la società semplice, possono essere utilizzati anche
per la realizzazione di uno scopo consortile consistente in un particolare vantaggio patrimoniale degli
imprenditori consorziati: minori costi o realizzazione di maggiori guadagni nelle rispettive imprese.
In definitiva, sotto il profilo dello scopo perseguibile le società possono essere distinte in tre grandi
categorie:
Società lucrative (art. 2247)
Società mutualistiche (art. 2511)
Società consortili (art. 2615-ter)
Un dato comunque rimane comune e costante: le società sono enti associativi che operano con metodo
economico e per la realizzazione di un risultato economico a favore esclusivo dei soci.
Tipi di società
Nozione. Classificazioni.
Le società formano un sistema composto da una pluralità di modelli organizzativi. Gli otto tipi di società
previsti dal legislatore possono essere aggregati in categorie omogenee:
Una prima distinzione è quella basata sullo scopo perseguibile: le società cooperative e le società
mutualistiche si contrappongono a tutti gli altri tipi di società (società lucrative);
Una seconda distinzione è quella basata sulla natura dell’attività: la società semplice è utilizzabile
solo per l’esercizio di attività non commerciale; tutte le altre società lucrative possono esercitare sia
attività commerciale sia attività non commerciale e sono sempre soggette ad iscrizione nel registro
delle imprese con effetti di pubblicità legale. Queste ultime si definiscono società di tipo
commerciale.
Altra distinzione legislativa è quella tra società dotate di personalità giuridica e società priva di
personalità giuridica: hanno personalità giuridica le società di capitali e le società cooperative; ne
sono invece prive le società di persone.
1) Nelle società di capitali, in quanto società con personalità giuridica:
È inderogabile un’organizzazione di tipo corporativo, basata sulla presenza di una pluralità di
organi, ciascuno con proprie funzioni e competenze;
Il funzionamento degli organi sociali è dominato dal principio maggioritario;
Il singolo socio in quanto tale non ha alcun potere diretto di amministrazione e di controllo; ha
solo il diritto di concorrere, con il suo voto in assemblea, alla designazione dei membri
dell’organo amministrativo e/o di controllo. Il peso di ciascun socio in assemblea è
proporzionato all’ammontare del capitale sociale sottoscritto.
Sistema maggioritario: sistema elettorale che prediliga la formazione di un sistema bipolare (spesso ma
non sempre bipartitico) e di un parlamento composto da due schieramenti distinti e contrapposti
Ultimo criterio di distinzione è quello basato sul regime di responsabilità per le obbligazioni
sociali. Sotto tale profilo vi sono:
Società nelle quali per le obbligazioni sociali rispondono sia il patrimonio sociali sia i singoli
soci personalmente ed illimitatamente (s.n.c. e s.s.).
Società nelle quali coesistono istituzionalmente soci a responsabilità limitata e soci a
responsabilità illimitata (s.a.s. e s.a.p.a.)
Società nelle quali per le obbligazioni sociali di regola risponde solo la società con il proprio
patrimonio (s.p.a., s.r.l. e s.c.).
Personalità giuridica e autonoma patrimoniale costituiscono due diverse tecniche legislative per realizzare
un medesimo disegno di politica economica, volto a creare delle condizioni più efficienti per lo sviluppo
delle imprese societarie. Condizioni che risiedono:
un’adeguata tutela dei creditori delle imprese societarie, facendo del patrimonio della società un
patrimonio aggredibile solo dai creditori sociali e non anche dai creditori personali dei soci;
nel consentire a quanti costituiscono una società di creare un distacco fra il proprio patrimonio
personale e le obbligazioni contratte nell’esercizio dell’impresa comune, che sottrae il
patrimonio personale dei soci all’aggressione dei creditori sociali.
Nelle società di capitali e nelle società di cooperative questo duplice obbiettivo è conseguito con il
riconoscimento della personalità giuridica, di conseguenza la società gode di una piena e perfetta autonomia
patrimoniale.
Alle società di persone il legislatore ha negato la personalità giuridica; allo stesso tempo ha però
provveduto a soddisfare le esigenze di tutela dei creditori sociali e di incentivazione dei soci con specifiche
disposizioni che rendono il patrimonio della società autonomo rispetto a quello dei soci. Infatti, nelle società
di persone:
I creditori personali dei soci non possono aggredire il patrimonio della società per soddisfarsi.
I creditori della società non possono aggredire direttamente il patrimonio personale dei soci
illimitatamente responsabili, bensì è necessario che prima tentino di soddisfarsi sul patrimonio
della società.
In sintesi, anche nelle società di persone il patrimonio della società è relativamente autonomo rispetto a
quello dei soci.
Inoltre, nelle società di persone:
I beni sociali non sono beni in comproprietà “speciale” fra i soci, bensì beni in proprietà della
società;
Le obbligazioni sociali non sono obbligazioni personali dei soci, ma obbligazioni della società,
cui si aggiunge a titolo di garanzia, la responsabilità di tutti o di alcuni dei soci;
Imprenditore è la società, non il gruppo dei soci, anche se il fallimento della società determina
automaticamente il fallimento dei soci illimitatamente responsabili.
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se l’attività non è commerciale, fra tutti i tipi di società previsti dalla legislazione nazionale;
se l’attività è commerciale, tutti i tipi tranne la società semplice.
Se l’attività non è commerciale, l’art. 2249 stabilisce che si applica la disciplina della società semplice, a
meno che i soci non scelgano diversamente.
Scelto un determinato tipo di società, le parti possono disegnare un assetto organizzativo della loro società
parzialmente diverso da quello enunciato dalla disciplina legale. È necessario però che le clausole a tal fine
introdotte nell’atto costitutivo (c.d. clausole atipiche) siano compatibili con la disciplina del tipo di società
prescelto.
È invece inammissibile la creazione di un tipo di società che non corrisponde ad alcuno dei modelli
legislativi previsti. I tipi di società costituiscono infatti un numero chiuso e non sono ammissibili società
atipiche dato che il contratto di società è destinato a produrre effetti non solo tra le parti ma anche di fronte
ai terzi.
La società di persone
La società semplice, la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice formano la categoria
delle società di persone.
1. La società semplice (artt. 2251-2290) è un tipo di società che può esercitare solo attività non
commerciale. Essa è il prototipo normativo delle società di persone, ma scarsa è la sua diffusione:
infatti essa può essere legittimamente impiegata solo per le imprese agricole.
2. La società in nome collettivo (artt. 2291-2312) è un tipo di società che può essere utilizzato sia per
l’esercizio di attività commerciale, sia per l’esercizio di attività non commerciale; in ogni caso è
soggetta all’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale. Nella società in
nome collettivo tutti i soci rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali (art.
2291).
3. La società in accomandita semplice (artt. 2313-2324) si caratterizza per la presenza di due
categorie di soci:
o I soci accomandatari che rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni
sociali
o I soci accomandanti che rispondono limitatamente alla quota conferita (art. 2313).
Per la nascita della società in nome collettivo sono dettate regole di forme e di contenuto per l’atto
costitutivo: le une e le altre sono però prescritte solo ai fini dell’iscrizione della società nel registro delle
imprese; iscrizione che è condizione di regolarità della società, ma non è elevata a condizione di esistenza
della stessa. Da qui la distinzione tra:
o Società in nome collettivo regolare: è regolare la società iscritta nel registro delle imprese,
integralmente disciplinata dalle norme delle società in nome collettivo;
o Società in nome collettivo irregolare: è irregolare la società non iscritta nel registro delle
imprese, disciplinata dalle norme della società semplice.
L’atto costitutivo della società in nome collettivo deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura
privata autenticata; deve inoltre contenere informazioni come:
o La sede della società
o L’oggetto sociale
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o I criteri di ripartizione degli utili
o La durata della società.
La libertà di forma per la costituzione delle società di persone incontra un limite quando forme speciali sono
richieste dalla natura dei beni conferiti: in questo caso sarà necessaria la forma scritta a pena di nullità per il
conferimento in proprietà di beni immobili; la forma scritta è tuttavia richiesta solo per la validità del
conferimento immobiliare, non per la validità del contratto di società.
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La norma è dettata in tema di società semplice ed è applicabile anche alla collettiva irregolare. Nella
collettiva regolare, invece, l’opponibilità ai terzi delle cause di scioglimento del rapporto sociale resta
soggetta al regime di pubblicità legale delle modificazioni dell’atto costitutivo.
Nella società semplice e nella società in nome collettivo irregolare, il creditore particolare del socio può
inoltre chiedere anche la liquidazione della quota del suo debitore; deve però provare che “gli altri beni del
debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti”. La società sarà tenuta a versare al creditore, entro tre
mesi, una somma di danaro corrispondente al valore della quota al momento della domanda.
Nella società in nome collettivo regolare il creditore particolare del socio, finché dura la società, non può
chiedere la liquidazione della quota del socio debitore, neppure se prova che gli altri beni dello stesso siano
insufficienti a soddisfarlo. Tale regola vale tuttavia fino alla scadenza della società fissata nell’atto
costitutivo.
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congiunta è però temperata dal riconoscimento ai singoli amministratori del potere di agire individualmente
quando vi sia urgenza di evitare un danno alla società.
Amministrazione disgiunta e amministrazione congiunta possono essere fra loro combinate.
Nella società semplice le limitazioni originarie sono sempre opponibili ai terzi; le limitazioni successive o
l’estinzione del potere di rappresentanza devono invece essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi
idonei ed in mancanza sono loro opponibili solo se la società prova che le conoscevano (art. 2266).
I soci amministratori
L’atto costitutivo può riservare l’amministrazione solo ad alcuni soci, dando così luogo alla distinzione tra
soci amministratori e soci non amministratori. In tal caso, i soci investiti dall’amministrazione possono
essere nominati direttamente nell’atto costitutivo o con atto separato.
La distinzione fra amministratori nominati nell’atto costitutivo e amministratori nominati con atto
separato acquista rilievo ai fini della revoca della facoltà di amministrare (art. 2259).
- La revoca dell’amministratore nominato nel contratto sociale comporta una modifica di quest’ultimo:
deve essere perciò decisa dagli altri soci all’unanimità e non ha effetto se non ricorre una giusta causa.
- L’amministratore nominato per atto separato, invece, “è revocabile secondo le norme del mandato” (art.
2259). Quindi è certamente revocabile anche se non ricorre una giusta causa.
Per quanto riguarda i diritti e gli obblighi degli amministratori, sono regolati dalle norme sul mandato.
L’amministratore è investito per legge del potere di compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale;
dai poteri amministrativi restano esclusi solo gli atti che comportano modificazione del contratto sociale.
Nella società in nome collettivo gli amministratori devono tenere le scritture contabili e redigere il bilancio
di esercizio; inoltre devono provvedere agli adempimenti pubblicitari connessi all’iscrizione nel registro
delle imprese. Specifiche sanzioni penali sono previste per gli amministratori anche in caso di fallimento
della società.
Inoltre, gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società, con il conseguente obbligo di
risarcire i danni alla stessa arrecati.
I soci amministratori avranno di regola diritto al compenso per il loro ufficio.
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Quando l’amministrazione della società è riservata soltanto ad alcuni soci, ai soci esclusi
dall’amministrazione sono riconosciuti ampi poteri di informazione e di controllo. Ogni socio non
amministratore ha infatti il diritto di:
o avere le notizie dello svolgimento degli affari sociali;
o consultare i documenti relativi all’amministrazione (tutte le scritture contabili della società);
o ottenere il rendiconto al termine di ogni anno.
Nella società in nome collettivo incombe su tutti i soci l’obbligo di:
o non esercitare un’attività concorrente con quella della società;
o non partecipare come socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente.
La violazione del divieto espone il socio al risarcimento dei danni nei confronti della società e legittima gli
altri soci a deciderne l’esclusione.
L’esclusione del socio dalla società in alcuni casi ha luogo di diritto mentre in altri casi è facoltativa
(rimessa alla decisione degli altri soci).
È escluso di diritto:
Il socio che sia dichiarato fallito;
Il socio il cui creditore particolare “abbia ottenuto la liquidazione della quota;
I fatti che legittimano la società a deliberare l’esclusione di un socio sono ad esempio:
Gravi inadempienze degli obblighi
L’interdizione, l’inabilitazione del socio o la sua condanna ad una determinata pena;
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L’esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci e deve essere comunicata al socio escluso; avrà effetto
decorsi trenta giorni dalla data di comunicazione. Entro tale termine il socio può fare opposizione davanti al
tribunale, il quale può anche sospendere la delibera.
Quando la società è composta da due soli soci, l’esclusione di uno di essi è pronunciata direttamente dal
tribunale su domanda dell’altro.
Con l’approvazione del bilancio, i liquidatori sono liberati di fronte ai soci e il procedimento di liquidazione
ha termine.
Nella società in nome collettivo irregolare la chiusura del procedimento di liquidazione determina
l’estinzione della società, sempre che siano stati perciò soddisfatti tutti i creditori sociali; in mancanza, la
società dovrà considerarsi ancora esistente.
Nella società in nome collettivo registrata e nella società semplice, approvato il bilancio finale di
liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese.
Con la cancellazione dal registro delle imprese la società si estingue, anche quando non siano stati
soddisfatti tutti i creditori sociali. Questi ultimi, però, possono agire nei confronti dei soci, che restano
personalmente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali insoddisfatte.
I creditori della società in nome collettivo possono infine chiedere il fallimento della società entro un anno
dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.
L’accomandita semplice è il solo tipo di società di persone che consente l’esercizio in comune di un’impresa
commerciale con limitazione del rischio e non esposizione a fallimento personale per alcuni soci.
33
Per quanto riguarda l’attività esterna l’accomandante può legittimamente trattare e concludere affari in nome
della società in forza di procura speciale per singoli affari.
All’accomandante è preclusa la possibilità di partecipare attivamente al processo di gestione della società e di
avere potere di rappresentanza della stessa in caso di “violazione del divieto di immistione” risponde
illimitatamente e solidalmente per tutte le obbligazioni sociali, con l’ulteriore conseguenza che, in caso di
fallimento della società, anch’egli sarà automaticamente dichiarato fallito al pari degli accomandatari.
Il divieto d'immistione è un divieto legale imposto ai soci accomandanti di una società in accomandita
semplice che vieta loro di partecipare attivamente al processo di gestione della società.
L’accomandante che viola tale divieto è esposto inoltre all’ulteriore sanzione dell’esclusione dalla società,
con decisione a maggioranza degli altri soci.
Dall’altro lato ai soci accomandanti è concesso il diritto di partecipare alla nomina e revoca degli
amministratori: è infatti al riguardo necessario il consenso di tutti i soci accomandatari e l’approvazione dei
soci accomandanti.
Il generale i soci accomandanti possono:
trattare o concludere affari in nome della società, sia pure solo in forza di una procura speciale
per singoli affari;
prestare il loro lavoro all’interno della società, sempre sotto la direzione degli amministratori;
dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni, nonché compiere atti di controllo.
Per quanto riguarda i poteri di controllo degli accomandanti, in ogni caso essi hanno diritto di avere
comunicazione annuale del bilancio, di controllarne l’esattezza e di concorrere all’approvazione dello stesso.
La situazione invece cambia radicalmente in quel ristretto numero di società che fanno istituzionalmente
appello al pubblico risparmio (le azioni sono quotate in borsa), caratterizzate dalla presenza di pochi
azionisti imprenditori e di una massa di azionisti risparmiatori con partecipazioni individuali microscopiche.
In questo caso il problema non è più solo quello di tutelare la massa di piccoli azionisti e di creditori sociali;
bensì emergono anche altre esigenze:
garantire il corretto funzionamento dell’intero mercato azionario
tutelare il pubblico indifferenziato dei potenziali investitori.
A queste esigenze il codice del 1942 non dava risposta; tuttavia, oggi lo scenario è significativamente
cambiato.
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È stato posto un freno al proliferare di minisocietà per azioni, aumentando il capitale sociale
minimo per la costituzione della società (oggi elevato a cinquantamila euro);
Si è dettata una specifica disciplina per le società per azioni quotate in borsa che prevedeva:
o maggior trasparenza e più ampia informazione del mercato;
o certificazione dei bilanci da parte di una società esterna;
o istituzione di un organo pubblico di controllo, la Consob, diretto a garantire la
veridicità dell’informazione societaria.
riforma organica della disciplina generale delle società di capitali che sostituisce le originarie
disposizioni in materia del Codice civile. Obbiettivo di fondo della riforma è quello di
semplificare la disciplina delle società di capitali. Tra le novità più significative troviamo la
semplificazione del procedimento di costituzione e la previsione di nuove categorie speciali di
azioni.
Il procedimento
La costituzione della società per azioni si articola attualmente in due fasi essenziali:
Stipulazione dell’atto costitutivo
Iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese, con cui acquista la personalità
giuridica.
La stipulazione dell’atto costitutivo può avvenire secondo due diversi procedimenti:
Stipulazione simultanea: stipulato immediatamente dai soci fondatori;
Stipulazione per pubblica sottoscrizione: si arriva alla stipulazione dell’atto costitutivo al
termine di un procedimento che consente la raccolta fra il pubblico del capitale iniziale.
L’omissione di una o più di tali indicazioni legittima il rifiuto del notaio di stipulare l’atto costitutivo.
Spesso si preferisce procedere alla redazione di due distinti documenti:
l’atto costitutivo contiene la manifestazione di volontà di costituire la società ed i dati
fondamentali della costituenda società;
lo statuto contiene le regole di funzionamento della società. Esso si considera parte
integrante dell’atto costitutivo, infatti deve essere redatto per atto pubblico a pena di nullità.
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Anche nella società per azioni unipersonale per le obbligazioni sociali di regola risponde solo
la società con il proprio patrimonio, salvo alcuni casi eccezionali.
I patrimoni destinati
Patrimoni separati che rispondono solo delle obbligazioni relative a determinate operazioni economiche.
L’attuale disciplina offre due modelli di patrimoni destinati:
a) patrimonio destinato ad uno specifico affare (entro i limiti del 10% del proprio patrimonio
netto). La costituzione avviene con apposita deliberazione adottata dall’organo amministrativo
della società a maggioranza assoluta. La deliberazione deve essere verbalizzata da un notaio ed
è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese.
b) La società può inoltre stipulare con i terzi un contratto di finanziamento di uno specifico affare,
pattuendo che al rimborso totale o parziale di un finanziamento siano destinati i proventi
dell’affare stesso o parte di essi. Il patrimonio separato è in tal caso formato dai proventi
dell’affare, dai relativi frutti e dagli investimenti eventualmente effettuati in attesa del rimborso
al separato.
I Conferimenti
La valutazione
I conferimenti diversi dal danaro devono formare oggetto di uno specifico procedimento di valutazione.
Si vuole assicurare una valutazione veritiera di tali conferimenti ed evitare che agli stessi venga assegnato
un valore nominale superiore rispetto a quello reale.
Chi conferisce beni in natura o crediti deve presentare una relazione giurata di stima di un esperto
designato dal tribunale; la stima deve contenere una serie di indicazioni ed in particolare deve attestare la
correttezza del valore attribuito a beni in natura o crediti.
Gli amministratori devono controllare le valutazioni contenute nella relazione di stima e, se sussistono
fondati motivi, devono procedere alla revisione di stima; nel frattempo le azioni corrispondenti devono
restare depositate presso la sede della società.
Se dalla revisione risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti è troppo inferiore rispetto a quello per
cui avvenne il conferimento, la società deve ridurre proporzionalmente il capitale sociale e annullare le
azioni che risultano scoperte. Il socio però, per non vedere ridotta la propria partecipazione, può:
o Versare la differenza in denaro, mantenendo così inalterato il numero delle azioni sottoscritte
o Recedere dalla società, con conseguente diritto alla liquidazione del valore attuale delle azioni
sottoscritte.
o
Il procedimento di stima può essere omesso in certi casi in cui il valore del conferimento in natura risulta
attendibile. In questo caso, non viene richiesta la stima del perito.
Gli amministratori possono però richiedere che si proceda ad una nuova valutazione del conferimento,
qualora ritengano inattendibile il valore ad esso attribuito.
Se non intendono contestare il valore del conferimento, gli amministratori iscrivono nel registro delle
imprese una dichiarazione nella quale giustificano l’esenzione dal normale procedimento di stima, ed
attestano che il valore dei beni o crediti conferiti è almeno pari a quello loro attribuito ai fini della
determinazione del capitale sociale.
Le prestazioni accessorie
Le prestazioni accessorie costituiscono un utile strumento per vincolare stabilmente i soci ad effettuare a
favore della società prestazioni accessorie che non possono formare oggetto di conferimento.
Le azioni con prestazioni accessorie devono essere nominative e non possono essere trasferibili senza il
consenso degli amministratori. Tali obblighi possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci.
Capitolo 14 - Le azioni
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Le azioni sono le quote di partecipazione dei soci nella società per azioni. Esse sono omogenee e
standardizzate, liberamente trasferibili e di regola rappresentate da documenti (titoli azionari) che circolano
secondo la disciplina dei titoli di credito.
La singola azione rappresenta, allo stesso tempo, l’unità minima di partecipazione al capitale sociale e
perciò è indivisibile.
La partecipazione azionaria
Ogni azione costituisce una partecipazione sociale ed attribuisce al suo titolare un complesso unitario di
diritti e poteri di natura amministrativa e patrimoniale.
Le azioni conferiscono ai loro possessori uguali diritti; si tratta però di un’uguaglianza:
o Relativa: in quanto è possibile creare categorie di azioni fornite di diritti diversi;
o Oggettiva: più diritti significativi spettano in proporzione del numero di azioni possedute.
Con riferimento a questi diritti si coglie la situazione di disuguaglianza soggettiva degli azionisti,
perfettamente legittima perché esprime il principio cardine delle società di capitali: chi più ha conferito e più
rischia ha più potere e può imporre la propria volontà alla minoranza.
Le categorie speciali di azioni
Sono categorie speciali di azioni quelle fornite di diritti diversi da quelli tipici previsti dalla disciplina.
Le azioni speciali si contrappongono perciò alle azioni ordinarie, e possono essere create con lo statuto.
Se esistono diverse categorie di azioni, le deliberazioni dell’assemblea che pregiudicano i diritti di una di
esse devono essere approvate anche dall’assemblea speciale della categoria interessata.
- se le azioni speciali non sono quotate, alle assemblee speciali si applica la disciplina delle assemblee
straordinarie;
- se le azioni speciali sono quotate, si applica la disciplina dell’organizzazione degli azionisti di risparmio,
che prevede la nomina di un rappresentante degli azionisti speciali.
Alcune categorie speciali di azioni sono espressamente previste e regolate dal legislatore; la società gode
tuttavia di ampia autonomia nel modellare il contenuto della partecipazione azionaria, con l’osservanza dei
limiti posti dalla legge.
Dal 2003 tutte le società possono emettere azioni senza diritto di voto e possono creare azioni:
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con diritto di voto limitato a particolari argomenti;
con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni;
Azioni senza voto, a voto limitato e a voto condizionato non possono superare complessivamente la metà del
capitale sociale.
Le azioni privilegiate sono azioni che attribuiscono ai loro titolari un diritto di preferenza nella distribuzione
degli utili e/o nel rimborso del capitale al momento dello scioglimento della società, con il solo limite del
divieto di patto leonino.
Le azioni di risparmio
Le azioni di risparmio costituiscono, insieme alle azioni privilegiate, la risposta un’esigenza unitaria: quella
di incentivare l’investimento in azioni offrendo ai risparmiatori titoli meglio rispondenti ai loro interessi.
Possono essere emesse solo da società le cui azioni ordinarie sono quotate in mercati regolamentati e non
possono superare la metà del capitale sociale.
Le azioni di risparmio sono del tutto prive del diritto di voto, ma devono essere necessariamente dotate di
privilegi di natura patrimoniale.
Inoltre, a differenza delle altre azioni, possono essere emesse al portatore: assicurano quindi l’anonimato.
La disciplina delle azioni di risparmio prevede:
l’assemblea speciale delibera sugli oggetti di interesse comune ed in particolare sull’approvazione
delle delibere dell’assemblea della società e sulla risoluzione delle controversie con la società;
il rappresentante comune provvede all’esecuzione delle deliberazioni dell’assemblea e tutela gli
interessi comuni degli azionisti di risparmio nei confronti della società. Gli gli è riconosciuto il
diritto di assistere alle assemblee e di impugnare le deliberazioni.
Le clausole statutarie sono clausole limitative della circolazione delle azioni e possono essere introdotte o
rimosse nel corso della vita della società con delibera dell’assemblea straordinaria. Possono assumere le
formulazioni più varie; le più diffuse sono:
Clausole di prelazione: impongono al socio, che intende vendere le azioni, di offrirle
preventivamente agli altri soci e di preferirli ai terzi a parità di condizioni. La violazione del patto di
preferenza comporta l’inefficacia del trasferimento.
Clausole di gradimento: possono essere a loro volta distinte in due sottocategorie:
Clausole che richiedono il possesso di determinati requisiti da parte dell’acquirente
Clausole che subordinano il trasferimento delle azioni al consenso di un organo sociale: queste
sono le clausole di mero gradimento.
Clausole di riscatto: prevedono un potere di riscatto delle azioni da parte della società o dei soci al
verificarsi di determinati eventi. In tema di diritto di recesso dell’azionista trova applicazione il
procedimento di liquidazione mentre in caso di riscatto a favore della società trova applicazione la
disciplina dell’acquisto di azioni proprie.
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Le operazioni della società sulle proprie azioni sono in linea di principio vietate. Tre sono le situazioni
attualmente regolate:
Sottoscrizione di azioni proprie: in nessun caso la società può sottoscrivere proprie azioni. Unica
eccezione è l’esercizio del diritto di opzione sulle azioni proprie detenute dalla società. Il divieto
opera sia in sede di costituzione della società, sia in sede di aumento del capitale sociale e colpisce
sia la sottoscrizione diretta che la sottoscrizione indiretta.
Per la violazione del divieto non si ha nullità, ma le azioni si intendono sottoscritte e devono essere
liberate dai soggetti che materialmente hanno violato il divieto, al fine di consentire l’effettiva
acquisizione dei relativi conferimenti. In caso di sottoscrizione diretta, le azioni si intendono
sottoscritte e devono essere liberate dai promotori e dai soci fondatori. Nel caso di sottoscrizione
indiretta, il terzo che ha sottoscritto le azioni è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto
proprio.
Acquisto di azioni proprie: l’acquisto da parte della società delle azioni proprie può dar luogo ad
una riduzione del capitale reale senza l’osservanza della relativa disciplina e per di più attuata senza
riduzione del capitale sociale nominale. Queste conseguenze non si verificano invece quando
nell’acquisto vengono impiegate somme corrispondenti agli utili; in tal caso l’operazione è
consentita, ma la società deve rispettare determinate condizioni come:
Le somme impiegate nell’acquisto non possono eccedere l’ammontare degli utili distribuibili;
Le azioni da acquistare devono essere interamente liberate;
L’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria;
Le azioni acquistate violando queste condizioni devono essere vendute entro un anno dal loro acquisto
altrimenti verranno annullate (corrispondente riduzione del capitale sociale).
La disciplina si applica anche quando la società procede all’acquisto di azioni proprie per tramite di
società fiduciaria o per interposta persona.
Per contro, sono previsti alcuni “casi speciali” di acquisto, sottratti alle limitazioni; per esempio,
nessuna limitazione è applicabile quando l’acquisto avviene in esecuzione di una delibera assembleare
di riduzione del capitale sociale, da attuarsi mediante riscatto ed annullamento di azioni.
È infine disciplinato il regime delle azioni proprie in possesso della società. I diritti sociali relativi
alle azioni proprie sono sterilizzati: il diritto di voto e gli altri diritti amministrativi sono sospesi; il
diritto agli utili ed il diritto di opzione spettano proporzionalmente alle altre azioni. Infine, gli
amministratori non possono disporre delle azioni senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, la
quale dovrà stabilire anche le relative modalità. L’autorizzazione alla rivendita può essere tuttavia
contestuale all’autorizzazione all’acquisto.
Altre operazioni su azioni proprie: le altre operazioni sulle azioni proprie regolate dalla legge
sono:
l’assistenza finanziaria per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie consiste nel
concedere prestiti o fornire garanzia di qualsiasi tipo a favore di soci o terzi per la
sottoscrizione o l’acquisto di azioni proprie;
l’accettazione di azioni proprie in garanzia
Tali operazioni sono oggi consentite previa approvazione dall’assemblea straordinaria, sulla base di una
relazione degli amministratori nella quale si indica l’interesse della società nel concedere l’assistenza
finanziaria.
La società può concedere assistenza finanziaria anche per agevolare l’acquisto di azioni proprie che essa
stessa ha in portafoglio, a condizione che l’alienazione sia realizzata ad un giusto prezzo.
I contratti assembleari di assistenza finanziaria stipulati senza autorizzazione assembleare sono
inefficaci. La società non può invece accettare azioni proprie in garanzia. L’accettazione in garanzia di
azioni proprie è nulla.
Le partecipazioni reciproche
Le partecipazioni reciproche fra società di capitali danno luogo a pericoli di carattere patrimoniale e
amministrativo. Pericoli che si accentuano quando fra le due società intercorre un rapporto di controllo, dato
che la controllata può facilmente subire le direttive della controllante nella scelta dei propri investimenti
azionari e nell’esercizio del voto.
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Nel caso della sottoscrizione reciproca del capitale due società si costituiscono o aumentano il capitale
sociale sottoscrivendo l’una il capitale dell’altra, creando una moltiplicazione illusoria di ricchezza (aumenta
il capitale sociale mentre resta invariato il capitale reale). Allo stesso tempo ciascuna delle due società
dispone di un pacchetto di voti da gestire nell’altra.
Al contrario, l’acquisto reciproco di azioni lascia inalterato il capitale nominale, ma determina una riduzione
dei rispettivi capitali reali. Questo processo determina un indiretto rimborso dei conferimenti degli azionisti
delle due società (la società A rimborsa i soci della società B e viceversa), con effetti incrociati del tutto
identici a quelli cui dà luogo l’acquisto di azioni proprie.
In sintesi, l’acquisto reciproco di azioni è possibile senza alcun limite quando fra le due società non
intercorre un rapporto di controllo e nessuna delle due è quotata in borsa. Se l’incrocio è realizzato fra
società controllante e sue controllate, l’acquisto da parte della società controllata è considerato come
effettuato dalla controllante stessa; è perciò assoggettato alle limitazioni previste per l’acquisto di azioni
proprie (le azioni o quote acquistate in violazione di tali condizioni devono essere alienate entro un anno
dal loro acquisto).
Capitolo 16 – L’assemblea
I modelli organizzativi
La società per azioni si caratterizza per la necessaria presenza di tre distinti organi:
Assemblea dei soci: organo con funzioni esclusivamente deliberative le cui competenze sono
per legge circoscritte alle decisioni di maggior rilievo della vita sociale.
Organo amministrativo: organo cui è devoluta la gestione dell’impresa sociale che vanta ampi
poteri decisionali. Gli amministratori hanno inoltre la rappresentanza legale della società e ad
essi spetta il compito di dare attuazione alle deliberazioni dell’assemblea.
Organo di controllo interno: organo con funzioni di controllo sull’amministrazione della
società.
Per quanto riguarda l’amministrazione e il controllo, il Codice civile del 1942 prevedeva un unico sistema
basato sulla presenza di due organi, entrambi di nomina assembleare:
L’organo amministrativo
Il collegio sindacale, che inizialmente svolgeva anche funzioni di controllo contabile;
successivamente la revisione dei conti è stata affidata ad un organo di controllo esterno alla
società, e cioè il revisore o la società di revisione.
Tramite la riforma del 2003 il sistema tradizionale di amministrazione e controllo è stato affiancato da altri
due sistemi alternativi, fra i quali la società può scegliere:
Sistema dualistico: con tale sistema l’amministrazione e il controllo sono esercitati da un
consiglio di sorveglianza, di nomina assembleare, e da un consiglio di gestione, nominato
direttamente dal consiglio di sorveglianza. Il consiglio di sorveglianza è inoltre investito di
ulteriori competenze che nel sistema tradizionale sono proprie dell’assemblea.
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Sistema monistico: con tale sistema l’amministrazione e il controllo sono esercitati
rispettivamente dal consiglio di amministrazione, nominato dall’assemblea, e da un comitato
per il controllo sulla gestione costituito al suo interno.
Anche per le società che adottano il sistema dualistico o monistico è poi previsto il controllo contabile
esterno.
Nozione e distinzioni
L’assemblea è l’organo la cui funzione è quella di formare la volontà della società.
È un organo collegiale che decide secondo il principio maggioritario (maggioranza di capitale).
A seconda dell’oggetto delle deliberazioni, l’assemblea si distingue in:
Ordinaria: le cui competenze dell’assemblea ordinaria variano a seconda del sistema di
amministrazione e di controllo adottato.
Nelle società che adottano il sistema tradizionale o quello monistico, l’assemblea in sede ordinaria:
Approva il bilancio;
Nomina e revoca amministratori, sindaci e presidente del collegio sindacale;
Determina il compenso degli amministratori e dei sindaci
Delibera sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci
Approva l’eventuale regolamento dei lavori assembleari.
Rientrano comunque nella competenza dell’assemblea ordinaria tutte le deliberazioni che non sono di
competenza dell’assemblea straordinaria.
Più ristrette sono invece le competenze dell’assemblea ordinaria nelle società che optano per il sistema
dualistico.
Straordinaria: l’assemblea in sede straordinaria a sua volta delibera:
Sulle modificazioni dello statuto;
Sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori;
Su ogni altra materia espressamente attribuita dalla legge.
In generale l’assemblea straordinaria prende decisioni più rilevanti, con maggioranze più elevate
rispetto all’ordinaria.
Il procedimento assembleare
La convocazione dell’assemblea è di regola decisa dall’organo amministrativo o dal consiglio di gestione.
La convocazione dell’assemblea da parte degli amministratori è tuttavia obbligatoria in una serie di casi; gli
amministratori:
Devono convocare l’assemblea ordinaria almeno una volta all’anno, entro il termine stabilito
dallo statuto che non può essere superiore a 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio per
consentire l’approvazione del bilancio.
Devono convocare senza ritardo l’assemblea quando ne sia fatta richiesta da tanti soci che
rappresentano almeno il decimo del capitale sociale. Se gli amministratori non provvedono, la
convocazione dell’assemblea è ordinata dal tribunale.
L’assemblea è convocata nel comune dove la società ha sede, se lo statuto non dispone diversamente.
La convocazione avviene di regola mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica,
almeno quindici giorni prima di quello fissato per l’adunanza, ma può avvenire anche tramite pubblicazione
in almeno un quotidiano indicato dallo statuto.
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L’avviso deve contenere l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo dell’adunanza, nonché l’elenco delle
materie da trattare (ordine del giorno).
Assemblea totalitaria
Pur in assenza di convocazione, l’assemblea è regolarmente costituita quando è rappresentato l’intero
capitale sociale e partecipa all’assemblea la maggioranza dei componenti degli organi amministrativi e di
controllo (la c.d. assemblea totalitaria) può deliberare su qualsiasi argomento.
Presidenza
Una volta costituita, l’assemblea è presieduta dalla persona indicata nello statuto o, in mancanza, da quella
eletta con il voto della maggioranza dei presenti.
Il presidente è assistito da un segretario designato nello stesso modo. Il presidente assicura che l’assemblea
si svolga in modo ordinato e nel rispetto delle norme che ne regolano l’attività. Egli verifica regolarità e
svolgimento dell’assemblea, accerta la legittimazione dei presenti ed accerta i risultati delle votazioni.
Rinvio dell’assemblea
Ai soci intervenuti, che raggiungono il terzo del capitale sociale rappresentato in assemblea, è poi
riconosciuto il diritto di chiedere il rinvio dell’adunanza di non oltre cinque giorni, dichiarando di non essere
sufficientemente informati sugli argomenti posti in discussione. Tuttavia, il diritto di rinvio può essere
esercitato una sola volta per lo stesso oggetto.
Verbalizzazione
Le delibere assembleari devono risultare da verbale, sottoscritto dal presidente e dal segretario o dal notaio. I
verbali devono essere poi trascritti nell’apposito libro delle adunanze e delle deliberazioni dell’assemblea,
tenuto a cura degli amministratori.
Autonomia statutaria
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Lo statuto può modificare solo in aumento le maggioranze previste per l’assemblea ordinaria di prima
convocazione e quelle dell’assemblea straordinaria. Inoltre, può prevedere maggioranze più elevate anche
per l’assemblea ordinaria di seconda convocazione, tranne che per l’approvazione del bilancio e per la
nomina/revoca delle cariche sociali.
Infine, è consentito che lo statuto preveda convocazioni ulteriori sia dell’assemblea ordinaria che di quella
straordinaria; convocazioni alle quali si applicano le disposizioni della seconda convocazione.
La Consob stabilisce regole di trasparenza e di correttezza per lo svolgimento della sollecitazione e della
raccolta di deleghe.
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(Segue): Limiti all’esercizio del voto. Il conflitto di interessi.
Con l’esercizio del diritto di voto del socio concorre alla formazione della volontà sociale in proporzione del
numero di azioni possedute.
Il socio deve esercitare il diritto di voto in modo da non arrecare un danno al patrimonio della società.
Questo limite si desume con chiarezza dalla disciplina del conflitto di interessi dettata dall’art. 2373.
Versa in conflitto di interessi l’azionista che ha un interesse personale contrastante con l’interesse della
società. In presenza di tale situazione al socio non è più fatto divieto di votare; egli è infatti libero di votare o
di astenersi, ma se vota, la delibera approvata con il suo voto determinante è impugnabile. La delibera
adottata col voto del socio in conflitto di interessi è annullabile solo se ricorrono due condizioni:
Che il suo voto sia stato determinante (prova di resistenza)
Che la delibera possa danneggiare la società (danno potenziale).
Due ipotesi tipiche di conflitto di interessi sono poi previste dall’art. 2372, il quale:
Vieta ai soci amministratori di votare nelle delibere riguardanti le loro responsabilità
Vieta, nel sistema dualistico, ai soci componenti del consiglio di gestione di votare nelle
deliberazioni riguardanti la nomina, la revoca o la responsabilità dei consiglieri di sorveglianza.
La disciplina del conflitto di interessi consente di reprimere gli abusi della maggioranza a danno del
patrimonio sociale; si può tuttavia verificare che una deliberazione sia adottata dalla maggioranza per
danneggiare i soci di minoranza; per questo la dottrina ha posto un ulteriore limite alla libertà di voto: la
delibera è annullabile delibera quando finalizzata solo scopo di danneggiare singoli soci.
I sindacati di voto
I sindacati di voto sono patti parasociali con i quali alcuni soci si impegnano a concordare preventivamente
il modo in cui votare in assemblea.
I sindacati di voto possono avere carattere occasionale o permanente; in questo secondo caso, possono
essere a tempo determinato o a tempo indeterminato, nonché riguardare tutte le delibere o soltanto quelle di
un determinato tipo.
Ancora, si può stabilire che il modo come votare sarà deciso all’unanimità o a maggioranza dei soci
sindacati
Funzione
I sindacati di voto danno un indirizzo unitario all’azione dei soci sindacati e, se questi vengono a costruire il
gruppo di comando, il patto di sindacato consente di dare stabilità di indirizzo alla condotta della società.
Per contro, i sindacati di comando cristallizzano il gruppo di controllo; ancora, con i sindacati di comando il
procedimento assembleare finisce con l’essere rispettato solo formalmente, dato che in fatto le decisioni
vengono prese prima e fuori dall’assemblea.
Il sindacato di voto produce effetti solo fra le parti e non nei confronti della società; perciò, il voto dato in
assemblea resta valido anche se espresso in violazione degli accordi di sindacato, ma il socio che ha votato
in modo scorretto sarà tenuto a risarcire i danni agli altri membri.
Durata
Nelle società non quotate non solo i sindacati di voto, ma anche gli altri patti stipulati al fine di stabilizzare
gli assetti proprietari o il governo della società, non possono avere durata superiore a cinque anni, ma sono
rinnovabili a scadenza. Inoltre, possono essere stipulati anche a tempo indeterminato, ma in tal caso ciascun
contraente può recedere con un preavviso di 180 giorni.
Infine, per le sole società non quotate i limiti di durata non si applicano ai patti strumentali ad accordi di
collaborazione nella produzione e nello scambio di beni e servizi e relativi a società interamente possedute
dai partecipanti all’accordo.
Identica è la disciplina per le società quotate con la sola differenza che i patti a tempo determinato non
possono avere durata superiore a tre anni.
Pubblicità
I patti parasociali sono inoltre soggetti ad un particolare regime di pubblicità, che però è diverso per le
società quotate e per le società non quotate che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
In queste ultime società i patti parasociali devono essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di
assemblea. La dichiarazione deve essere trascritta nel verbale di assemblea. L’omessa dichiarazione è
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sanzionata con la sospensione del diritto di voto delle azioni cui si riferisce il patto parasociale e la
conseguente impugnabilità della delibera.
Nelle società quotate, invece, i sindacati di voto devono essere comunicati alla Consob, pubblicati per
estratto sulla stampa quotidiana e depositati presso il registro delle imprese. La violazione di tali obblighi di
trasparenza comporta la nullità dei patti e la sospensione del diritto di voto relativo alle azioni sindacate.
Nessuna forma di pubblicità è invece prevista per i patti parasociali riguardanti le società che non fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio.
Le deliberazioni assembleari invalide.
L’invalidità delle delibere assembleari può essere determinata dalla violazione delle norme che regolano il
procedimento assembleare o da vizi che riguardano il contenuto della delibera: anche per le delibere
assembleari opera la tradizionale distinzione fra nullità ed annullabilità.
1) Deliberazioni annullabili
In base all’attuale disciplina sono annullabili tutte «le deliberazioni che non sono prese in conformità della
legge o dello statuto» (art. 2377, 2° comma). Inoltre, si specifica che possono dar vita solo ad annullabilità
della delibera:
La partecipazione all’assemblea di persone non legittimate, ma solo se tale partecipazione sia
stata determinante per la regolare costituzione dell’assemblea (c.d. prova di resistenza);
L’invalidità dei singoli voti o il loro errato conteggio, ma solo se determinanti per il
raggiungimento della maggioranza.
L’incompletezza o l’inesattezza del verbale, ma solo quando impediscono l’accertamento del
contenuto, degli effetti e della validità della delibera.
Soggetti legittimati
L’impugnativa può essere proposta solo dai soggetti espressamente previsti dalla legge: soci assenti,
dissenzienti o astenuti, amministratori, consiglio di sorveglianza, collegio sindacale e rappresentante comune
degli azionisti di risparmio.
In alcuni casi, tassativamente previsti, l’impugnativa può essere proposta anche dalla Consob, dalla Banca
d’Italia o dall’Ivass (istituto per la vigilanza sulle assicurazioni).
Inoltre, al fine di evitare azioni pretestuose, il diritto di impugnativa non è riconosciuto ad ogni socio con
diritto di voto bensì a determinati azionisti con diritto di voto.
Come correttivo della limitazione del diritto di impugnativa, è riconosciuto ai soci esclusi il diritto di
chiedere il risarcimento dei danni loro cagionati dalla invalidità della delibera.
Termine
L’impugnativa o l’azione di risarcimento danni devono essere proposte entro 90 giorni dalla data della
deliberazione o dall’iscrizione o dal deposito nel registro delle imprese. Il termine è tuttavia allungato a 180
giorni per la Consob, per la Banca d’Italia e per l’Ivass.
Effetti
L’annullamento ha effetto per tutti i soci ed obbliga gli amministratori a prendere i provvedimenti
conseguenti sotto la propria responsabilità. Restano però salvi in ogni caso i diritti acquistati in buona fede
dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della delibera.
Infine, l’annullamento non può avere luogo se la delibera è sostituita con altra presa in conformità della
legge o dell’atto costitutivo o è stata revocata dall’assemblea.
2) Deliberazioni nulle
L’altra ipotesi di delibera invalida è quella della delibera nulla. La delibera è nulla solo nei tre casi
tassativamente indicati dall’art. 2379:
Sono nulle le delibere il cui oggetto è impossibile o illecito o il cui contenuto è illecito (bilancio
falso);
Mancata convocazione dell’assemblea. Si precisa però che:
o Non si ha nullità della delibera “nel caso di irregolarità dell’avviso, se questo proviene
da un componente dell’organo amministrativo o di controllo della società ed è idoneo a
consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente avvertiti
della convocazione e della data dell’assemblea.
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o l’azione di nullità non può essere esercitata da chi abbia dichiarato il suo assenso allo
svolgimento dell’assemblea.
Mancanza del verbale. Si precisa però che:
o il verbale non si considera mancante “se contiene la data della deliberazione e il suo
oggetto ed è sottoscritto dal presidente dell’assemblea/consiglio di amministrazione.
o la nullità per mancanza del verbale è sanata con effetto retroattivo mediante la
verbalizzazione eseguita prima dell’assemblea successiva, salvi i diritti dei terzi che in
buona fede ignoravano la deliberazione.
Effetti
La nullità delle delibere assembleari può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere
rilevata anche di ufficio dal giudice.
L’azione di nullità deve essere esercitata entro un termine di tre anni, che decorre dalla iscrizione o deposito
nel registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o in caso contrario alla trascrizione nel libro
delle adunanze dell’assemblea. Fanno eccezione le delibere che modificano l’oggetto sociale prevedendo
attività illecite o impossibili, le quali possono essere impugnate senza limiti di tempo.
Inoltre, così come previsto per le delibere annullabili:
1) anche la dichiarazione di nullità non pregiudica i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti
compiuti in esecuzione della delibera;
2) la nullità non può inoltre essere dichiarata se la delibera è sostituita con altra presa in conformità dalla
legge.
Casi speciali
Termini di decadenza più brevi sono previsti per alcune delibere di particolare rilievo: aumento del capitale
sociale, riduzione reale del capitale, emissione delle obbligazioni.
A. Gli amministratori
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Il consiglio di amministrazione può essere articolato al suo interno con la creazione di uno o più organi
delegati, che danno luogo alle figure del comitato esecutivo e degli amministratori delegati.
La struttura dell’organo amministrativo non è fissata in modo rigido perché viene lasciato allo statuto ampio
potere decisionale.
Gli amministratori sono l’organo cui è affidata in via esclusiva la gestione dell’impresa sociale e ad essi
spetta compiere tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale. Essi sono investiti di
diverse funzioni, le più rilevanti sono:
Potere gestorio: gli amministratori deliberano su tutti gli argomenti attinenti alla gestione
della società che non siano riservati dalla legge all’assemblea.
Potere di rappresentanza: gli amministratori hanno il potere di manifestare all’esterno la
volontà sociale, ponendo in essere i singoli atti giuridici in cui si concretizza l’attività
sociale.
Altre funzioni:
convocano l’assemblea e ne fissano l’ordine del giorno;
curano la tenuta dei libri e delle scritture contabili della società ed in particolare devono
redigere il progetto di bilancio da sottoporre all’approvazione dell’assemblea;
prevengono il compimento di atti pregiudizievoli per la società.
Si tratta di funzioni che gli amministratori esercitano in posizione di formale autonomia rispetto
all’assemblea; infatti, sono personalmente responsabili civilmente e penalmente dell’adempimento dei loro
doveri.
Decorrenza
Nell’ipotesi di cessazione per scadenza del termine, gli amministratori scaduti rimangono in carica fino
all’accettazione della nomina da parte dei nuovi amministratori. Le dimissioni dell’amministratore hanno
effetto immediato se rimane in carica la maggioranza degli amministratori. In caso contrario, le dimissioni
hanno effetto solo dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito
all’accettazione dei nuovi amministratori.
Sostituzione degli amministratori
Per la sostituzione degli amministratori mancanti sono previste tre ipotesi:
a) Se rimane in carica più della metà degli amministratori nominati dall’assemblea, i superstiti
provvedono a sostituire provvisoriamente quelli venuti meno, con delibera approvata dal collegio
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sindacale (c.d. cooptazione). Gli amministratori nominati restano in carica fino alla successiva
assemblea che potrà confermarli nell’ufficio o sostituirli.
b) Se viene a mancare più della metà degli amministratori nominati dall’assemblea non si dà luogo a
cooptazione. I superstiti devono convocare l’assemblea perché provveda alla sostituzione dei
mancanti.
c) Se infine vengono a cessare tutti gli amministratori, il collegio sindacale deve convocare con urgenza
l’assemblea per la ricostituzione dell’organo amministrativo. Nel frattempo, per evitare un totale
vuoto di poteri, il collegio sindacale può compiere gli atti di ordinaria amministrazione.
Pubblicità
La nomina e la cessazione dalla carica degli amministratori è soggetta ad iscrizione nel registro delle
imprese.
Compenso. Divieti
Gli amministratori hanno diritto ad un compenso per la loro attività. Questo può consistere, in tutto o in
parte, anche in una partecipazione agli utili della società o nell’attribuzione del diritto di sottoscrivere a
prezzo predeterminato azioni di futura emissione (stock options).
Modalità e misura del compenso sono determinati dall’atto costitutivo o dall’assemblea all’atto della
nomina. Per gli amministratori investiti di particolari cariche, la remunerazione è invece stabilita dallo
stesso consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale.
Se lo statuto lo prevede, l’assemblea può fissare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli
amministratori.
Gli amministratori di società per azioni non possono assumere la qualità di soci a responsabilità illimitata in
società concorrenti, né esercitare un’attività concorrente per conto proprio o altrui, né essere amministratori
o direttori generali di società concorrenti, salva l’autorizzazione dell’assemblea (divieto di concorrenza).
L’inosservanza del divieto espone l’amministratore alla revoca dall’ufficio per giusta causa e al risarcimento
degli eventuali danni arrecati alla società.
Il consiglio di amministrazione
La società per azioni può avere sia un amministratore unico, sia una pluralità di amministratori.
L’amministratore unico esercita individualmente tutte le funzioni proprie dell’organo amministrativo.
Quando invece l’amministrazione è affidata a più persone, l’attività è esercitata collegialmente: le relative
decisioni devono essere adottate in apposite riunioni alle quali devono assistere i sindaci.
Lo statuto può prevedere che le riunioni del consiglio di amministrazione avvengano anche mediante mezzi
di telecomunicazioni.
Il consiglio di amministrazione è convocato dal presidente dello stesso, il quale ne fissa anche l’ordine del
giorno.
Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della
maggioranza degli amministratori in carica; le deliberazioni sono approvate se riportano il voto favorevole
della maggioranza assoluta dei presenti.
L’art. 2388 prevede che possono essere impugnate tutte le delibere del consiglio di amministrazione che non
sono prese in conformità della legge o dello statuto.
Interessi degli amministratori
Una disciplina più rigorosa è stata poi introdotta per il conflitto di interesse degli amministratori;
l’amministratore che in una determinata operazione ha un interesse non necessariamente in conflitto con
quello della società:
Deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale;
Se si tratta di amministratore delegato, deve astenersi dal compiere l’operazione;
In entrambi i casi, il consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e
la convenienza per la società dell’operazione.
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La delibera del consiglio di amministrazione o del comitato esecutivo, qualora possa recare danno alla
società, è impugnabile. La società può inoltre agire contro l’amministratore per il risarcimento dei danni
derivanti dalla sua azione o omissione.
L’esercizio dell’azione di responsabilità contro gli amministratori deve essere deliberato dall’assemblea
ordinaria, oppure dal collegio sindacale a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
La deliberazione dell’azione di responsabilità comporta la revoca automatica dall’ufficio degli
amministratori contro cui è proposta se la delibera è approvata col voto favorevole di almeno un quinto del
capitale sociale; se non si raggiunge tale percentuale sarà necessaria una distinta delibera di revoca.
Nell’ipotesi di fallimento o assoggettamento a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione
straordinaria della società, la legittimazione a promuovere l’azione social di responsabilità compete al
curatore fallimentare, al commissario liquidatore o al commissario straordinario.
Rinuncia e transazione
La società può rinunziare all’esercizio dell’azione di responsabilità o pervenire ad una transazione con gli
amministratori; l’una e l’altra devono però essere espressamente deliberate dall’assemblea. Inoltre, è
necessario che non vi sia il voto contrario di una minoranza qualificata altrimenti la rinunzia e la transazione
sono senza effetto.
Azione della minoranza
L’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori può essere promossa anche dagli azionisti di
minoranza. L’azione promossa dalla minoranza è diretta a reintegrare il patrimonio sociale, non a risarcire il
danno eventualmente subito dai soggetti agenti; perciò, la società deve essere chiamata in giudizio.
Inoltre, i soci che hanno agito possono rinunciare all’azione o transigerla, ma ogni corrispettivo deve andare
a vantaggio della società, tenuta a rimborsare loro solo le spese giudiziarie.
I direttori generali
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I direttori generali sono dirigenti che svolgono attività di alta gestione dell’impresa sociale: dirigenti che
sono al vertice della gerarchia ed operano in rapporto diretto con gli amministratori; essi sono investiti di
ampi poteri decisionali nella gestione dell’impresa.
I direttori generali sono parificati agli amministratori sotto il profilo delle responsabilità penali. Inoltre, se
nominati dall’assemblea o per disposizione dello statuto, agli stessi si applicano le norme che regolano la
responsabilità civile degli amministratori.
B. Il collegio sindacale
Premessa
Il collegio sindacale è l’organo di controllo interno della società per azioni, con funzioni di vigilanza
sull’amministrazione della società.
I primi sindaci sono nominati nell’atto costitutivo. Successivamente sono nominati dall’assemblea ordinaria.
La legge o lo statuto possono tuttavia riservare la nomina di uno o più sindaci allo Stato o ad enti pubblici
che abbiano partecipazioni nella società.
Per le sole società quotate, con la riforma del 1998, l’atto costitutivo deve prevedere che almeno un
membro effettivo sia eletto dalla minoranza.
Nelle società con azioni non quotate, in seguito alla riforma del 2003, almeno un sindaco effettivo ed uno
supplente devono essere scelti fra gli iscritti nel registro dei revisori contabili mentre gli altri devono essere
scelti fra gli iscritti negli albi professionali individuati dal Ministro della giustizia.
Nel registro dei revisori contabili possono iscriversi persone fisiche in possesso di specifici requisiti di
professionalità ed onorabilità, nonché le società che rispondono a determinati.
Per assicurare l’indipendenza dei sindaci sono previste cause di ineleggibilità ulteriori rispetto a quelle
dettate per gli amministratori (ed operanti anche per i sindaci); non possono infatti essere nominati:
o Il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori;
o Coloro che sono legati alla società o a società facenti parte dello stesso gruppo.
Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o di incompatibilità.
Per favorire l’efficacia del controllo, nelle società quotate i sindaci devono rispettare i limiti di incarichi
stabiliti dalla Consob; nelle altre società, tali limiti sono eventualmente previsti dallo statuto.
Durata. Revoca
I sindaci restano in carica per tre esercizi e sono rieleggibili. L’assemblea può revocarli solo se sussiste una
giusta causa. La delibera di revoca deve essere approvata dal tribunale.
I sindaci nominati dallo Stato o da enti pubblici possono essere revocati solo dall’ente che li ha nominati.
Costituisce causa di decadenza dall’ufficio il sopraggiungere di una delle cause di ineleggibilità, nonché la
sospensione o cancellazione dal registro dei revisori.
Decade inoltre dall’ufficio il sindaco che non assiste all’assemblea o diserta, durante un esercizio sociale,
due riunioni del consiglio di amministrazione, del comitato esecutivo o del collegio sindacale.
Sostituzione
In caso di morte, di rinuncia o di decadenza di un sindaco, subentrano automaticamente i supplenti in ordine
di età. I nuovi sindaci restano in carica fino alla successiva assemblea che provvede alla nomina dei sindaci
effettivi e supplenti necessari per integrare il collegio.
Pubblicità
La nomina e la cessazione dall’ufficio dei sindaci devono essere iscritte, a cura degli amministratori, nel
registro delle imprese.
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Il controllo sull’amministrazione
Funzione primaria del collegio sindacale è quella di controllo.
In particolare, il collegio sindacale vigila «sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e
contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento».
Il collegio sindacale non svolge più il controllo contabile sulla società, che è affidato ad un revisore
contabile o ad una società di revisione. Tuttavia, nelle società che non fanno ricorso al mercato del capitale
di rischio e che non sono tenute alla redazione del bilancio consolidato, lo statuto può prevedere che anche il
controllo contabile sia esercitato dal collegio sindacale. In tal caso l’intero collegio sindacale deve essere
costituito da revisori contabili iscritti nell’apposito registro.
Informazione
Per con sentire al collegio sindacale l’efficace svolgimento della propria attività, la legge pone a carico degli
amministratori numerosi obblighi di comunicazione nei confronti del primo. Nelle società quotate, in
particolare, gli amministratori devono riferire tempestivamente al collegio sindacale sull’attività svolta, sulle
operazioni compiute di maggior rilievo economico, nonché su quelle a rischio di conflitto d’interessi.
Poteri
I sindaci hanno il potere-dovere di procedere in qualsiasi momento ad atti di ispezione e di controllo, nonché
di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari. Il
collegio sindacale può inoltre convocare l’assemblea nel caso in cui nell’esercizio delle proprie funzioni
ravvisi fatti gravi e vi sia urgente necessità di provvedere. Inoltre, ciascun sindaco può individualmente
convocare il consiglio di amministrazione ed il comitato esecutivo. Il collegio può inoltre promuovere il
controllo giudiziario sulla gestione, se ha fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi
irregolarità nella gestione.
Il funzionamento del collegio sindacale
Nelle società non quotate il presidente del collegio sindacale è nominato dall’assemblea. Nelle società
quotate è invece l’atto costitutivo a fissare i criteri di nomina dello stesso.
Riunioni. Deliberazioni
Il collegio sindacale deve riunirsi ogni novanta giorni, ed è validamente riunito con la presenza della
maggioranza dei sindaci. La delibera avviene a maggioranza assoluta dei presenti.
Denunzia dei soci
L’attività di controllo del collegio sindacale può essere sollecitata dai soci. Ogni socio può denunziare al
collegio sindacale fatti che ritiene censurabili. Il collegio sindacale è però obbligato solo a tenerne conto
nella relazione annuale dell’assemblea. Quando però la denunzia proviene da tanti soci che rappresentano il
cinque per cento del capitale sociale, il collegio sindacale deve indagare sui fatti denunziati e presentare le
sue conclusioni ed eventuali proposte all’assemblea.
Il sistema
Il controllo contabile è esercitato sulle società non quotate:
a) per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, da un revisore dei conti
persona fisica o da una società di revisione;
b) per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio diverse dalle società quotate, da una
società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili.
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Revisione contabile
Sono invece soggette a revisione contabile obbligatoria tutte le società di un gruppo di cui faccia parte una
società quotata. La revisione contabile è esercitata da una società di revisione iscritta nell’albo speciale
tenuto dalla Consob.
(Segue): La revisione legale degli enti di interesse pubblico e degli enti sottoposti a regime intermedio
La revisione legale degli enti di interesse pubblico è soggetta a regole speciali.
La Consob ha il potere di vigilanza sull’organizzazione e sull’attività dei soggetti incaricati della revisione
di un ente di interesse pubblico.
L’attuale disciplina stabilisce in primo luogo il principio della rotazione periodica del revisore: l’incarico
di revisione legale degli enti di interesse pubblico ha la durata di 9 esercizi quando è conferito a società di
revisione e di 7 esercizi per i revisori legali persona fisica; non può essere rinnovato al medesimo soggetto
se non siano decorsi almeno tre esercizi dalla cessazione del precedente.
Divieti
È fatto divieto alla società di revisione di prestare alla società revisionata servizi ulteriori rispetto
all’organizzazione e revisione contabile.
Si prevede che non può essere responsabile della revisione chi ha ricoperto da meno di due anni funzioni
dirigenziali nella società revisionata.
La violazione di tali divieti è punita con sanzione amministrativa pecuniaria, eventuale revoca d’ufficio
dell’incarico o, nei casi più gravi, alla cancellazione dal registro dei revisori.
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Il soggetto incaricato del controllo contabile deve adempiere i propri doveri con diligenza professionale; è
responsabile della verità delle sue attestazioni e deve conservare il segreto su fatti e documenti di cui ha
conoscenza.
Nei confronti della società che ha conferito l’incarico, il revisore o la società di revisione rispondono in
solido con gli amministratori per i danni derivanti dall’inadempimento dei loro doveri.
L’azione si prescrive in 5 anni dalla data della relazione di revisione del bilancio emesso al termine
dell’attività di revisione cui si riferisce l’azione di risarcimento.
D. I Sistemi alternativi
Il sistema dualistico
Il sistema dualistico prevede la presenza di un consiglio di gestione e di un consiglio di sorveglianza. Il
controllo contabile è poi affidato ad un revisore legale o ad una società di revisione.
Il consiglio di gestione svolge funzioni proprie del consiglio di amministrazione nel sistema tradizionale.
Al consiglio di sorveglianza sono attribuite sia le funzioni di controllo proprie del collegio sindacale, sia
funzioni di indirizzo che nel sistema tradizionale sono proprie dell’assemblea dei soci.
Il sistema dualistico determina un più accentuato distacco fra azionisti ed organo gestorio della società; si
tratta perciò di un modello organizzativo particolarmente adatto per le società con azionariato diffuso e prive
di uno stabile nucleo di azionisti imprenditori.
I componenti del consiglio di sorveglianza possono essere soci o non soci; il loro numero, non inferiore a
tre, è fissato dallo statuto. I primi componenti sono nominati nell’atto costitutivo. Successivamente la loro
nomina compete all’assemblea ordinaria. Nelle società quotate almeno un componente è eletto dalla
minoranza (modalità fissate dalla Consob).
Almeno un componente effettivo del consiglio di sorveglianza deve essere scelto tra gli iscritti nel registro
dei revisori contabili. Non possono invece essere eletti coloro che sono legati alla società da un rapporto di
lavoro che ne comprometta l’indipendenza.
I componenti del consiglio di sorveglianza restano in carica tre esercizi e sono rieleggibili e sono inoltre
liberamente revocabili dall’assemblea anche se non ricorre una giusta causa.
Il consiglio di sorveglianza, almeno una volta all’anno, presenta la denunzia al tribunale riferisce per
iscritto all’assemblea riguardi l’attività di vigilanza svolta.
Competenze e poteri
Il consiglio di sorveglianza esercita le funzioni proprie del collegio sindacale nel sistema tradizionale e ha
poteri e diritti analoghi a quelli di quest’ultimo nei confronti dell’organo di gestione. Nello stesso tempo al
consiglio di sorveglianza sono attribuite le funzioni dell’assemblea ordinaria:
o Nomina e revoca i componenti del consiglio di gestione e ne determina il compenso
o Approva il bilancio di esercizio e il bilancio consolidato;
o Promuove l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei componenti del
consiglio di gestione.
Il presidente del consiglio di sorveglianza è eletto dall’assemblea e i suoi poteri sono determinati dallo
statuto. Alle deliberazioni del consiglio di sorveglianza si applicano le disposizioni che regolano la validità
delle deliberazioni del consiglio di amministrazione.
I componenti del consiglio di sorveglianza sono solidalmente responsabili con i componenti del consiglio di
gestione per i fatti e le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato in
conformità dei loro doveri.
Le funzioni del consiglio di gestione coincidono con quelle del consiglio di amministrazione nel sistema
tradizionale e ad esso si applicano quasi tutte le norme dettate per quest’ultimo.
Il consiglio di gestione è costituito da un numero di componenti non inferiore a due. I primi componenti
sono nominati nell’atto costitutivo successivamente la loro nomina compete al consiglio di sorveglianza.
Specificatamente disciplinata è l’azione di responsabilità contro i consiglieri di gestione: è previsto che tale
azione può essere esercitata anche dal consiglio di sorveglianza.
L’azione sociale di responsabilità contro i consiglieri può essere esercita anche dal consiglio di sorveglianza.
È prevista anche la possibilità di rinuncia e di transazione. La rinuncia dell’azione da parte della società o
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del consiglio di sorveglianza non impedisce l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità da parte dei soci
di minoranza. Nonché l’azione da parte dei creditori sociali.
Il sistema monistico
Il sistema monistico si caratterizza per la soppressione del collegio sindacale. L’amministrazione ed il
controllo sono infatti esercitati dal consiglio di amministrazione e da un comitato per il controllo sulla
gestione, costituito al suo interno, che svolge le funzioni proprie del collegio sindacale.
Anche nel sistema monistico il controllo contabile è affidato ad un revisore contabile o ad una società di
revisione.
Al consiglio di amministrazione, eletto dall’assemblea, si applicano le disposizioni dettate per gli
amministratori nel sistema tradizionale, con la differenza che, poiché dal suo ambito devono essere estratti i
componenti dell’organo di controllo, è previsto che almeno un terzo dei suoi componenti debba essere in
possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci.
Almeno uno dei componenti deve essere scelto fra gli iscritti al registro dei revisori contabili. Si richiede
inoltre che essi non svolgano funzioni gestorie nella medesima società o in società collegate.
Nelle società quotate almeno un amministratore indipendente deve essere eletto dalla minoranza.
Se la società è quotata, l’amministratore indipendente eletto dalla minoranza è di diritto componente del
comitato di controllo e lo presiede.
Il consiglio di amministrazione determina anche il numero dei componenti del comitato per il controllo sulla
gestione, che non può essere inferiore a tre nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Funzione
Il comitato per il controllo sulla gestione vigila sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società,
del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile. È destinatario delle denunzie dei
soci e può a sua volta presentare denunzia al tribunale in caso di gravi irregolarità di gestione
potenzialmente dannose (alla Consob nelle società quotate).
Regole di funzionamento
Il comitato elegge al suo interno il presidente ed opera con l’osservanza delle norme di funzionamento
dettate per il collegio sindacale.
Nelle società quotate, ciascun componente del comitato ne può richiedere al presidente la convocazione,
indicando gli argomenti da trattare.
Il punto debole di questo sistema consiste nel fatto che i controllori sono direttamente nominati e controllati,
siedono insieme a questi ultimi e votano nel consiglio di amministrazione. La funzionalità del sistema si
gioca tutta sulla effettiva "indipendenza" dei chiamati alla funzione di controllori.
E. I Controlli esterni
Il sistema
Accanto al controllo interno e al controllo contabile, l’ordinamento prevede un articolato sistema di controlli
esterni sulle S.p.A.
Comune a tutte le s.p.a. è solo il controllo esterno sulla gestione esercitato dall’autorità giudiziaria in
presenza di situazioni patologiche che ne alterano il corretto funzionamento.
A partire dal 1974 le società con azioni quotate in borsa e quelle che operano sul mercato mobiliare sono
assoggettate al controllo della Consob organo pubblico con poteri regolamentari e di controllo finalizzati
alla tutela degli investitori, nonché alla trasparenza del mercato mobiliare e delle società che vi operano.
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Dai soci che rappresentano almeno il decimo del capitale sociale; nelle società che fanno
ricorso al mercato del capitale di rischio la percentuale richiesta è ridotta al cinque per cento
del capitale sociale.
Dal collegio sindacale o dal corrispondente organo di controllo nei sistemi alternativi
Nelle sole società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, dal pubblico
ministero, nonché dalla Consob quando sospetti gravi irregolarità nell’adempimento dei
doveri dei sindaci, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla
gestione.
Il procedimento attivato con la denunzia consiste inizialmente nell’accertare l’esistenza delle irregolarità e
ad individuare i provvedimenti da adottare per rimuoverle. Se tali provvedimenti risultano insufficienti
all’eliminazione delle violazioni denunziate e accertate, il tribunale può disporre gli opportuni
provvedimenti cautelari per evitare il ripetersi di irregolarità.
Nei casi più gravi il tribunale revoca gli amministratori e nomina un amministratore giudiziario.
L’amministratore giudiziario
I poteri e la durata in carica dell’amministratore giudiziario sono determinati dal tribunale con il decreto di
nomina. Egli è comunque investito per legge del potere di proporre l’azione di responsabilità contro gli
amministratori e i sindaci. Egli ha la rappresentanza della società, ma non può compiere atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del presidente del tribunale.
Prima della scadenza del suo incarico l’amministratore giudiziario deve convocare l’assemblea per la
nomina dei nuovi amministratori e sindaci; può proporre in alternativa all’assemblea la messa in
liquidazione della società o la sua sottoposizione ad una procedura concorsuale.
La Consob
La Consob (commissione nazionale per le società e la borsa) è un organo pubblico di vigilanza sul mercato
di capitali. È una persona giuridica di diritto pubblico e ha sede a Roma.
Svolge un ruolo centrale per assicurare un’adeguata e veritiera informazione del mercato mobiliare sugli
eventi di rilievo che riguardano la vita delle società che fanno appello al pubblico risparmio, in modo da
consentire agli investitori scelte più consapevoli.
Tutte le società con azioni e obbligazioni diffuse tra il pubblico devono tempestivamente informare il
pubblico secondo le modalità stabilite dalla Consob, di qualsiasi fatto la cui conoscenza può influire sul
prezzo degli strumenti finanziari. La Consob può inoltre chiedere che siano resi pubblici notizie e documenti
necessari per l’informazione del pubblico.
Nozione. Procedimento
Costituisce modificazione dello statuto di una società per azioni ogni mutamento del contenuto oggettivo del
contratto sociale; mutamento che può consistere sia nell’inserimento di nuove clausole; sia nella
modificazione o soppressione di clausole preesistenti.
Le modificazioni dello statuto rientrano nella competenza dell’assemblea dei soci in sede straordinaria. La
delibera è perciò adottata con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria o con quelle più elevate
stabilite per alcune modifiche di particolare rilievo: cambiamento dell'oggetto sociale, trasformazione,
scioglimento anticipato, emissione di azioni privilegiate.
Le delibere modificative dello statuto sono soggette al controllo del notaio, il quale deve verificare
l’adempimento delle condizioni stabilite dalla legge.
Il diritto di recesso
Limite al potere della maggioranza
L’applicazione del principio maggioritario anche per le modificazioni dello statuto fa sì che nella società̀ per
azioni la minoranza non possa impedire modifiche dell’assetto societario. In presenza di delibere
modificative di particolare gravità, la minoranza è indirettamente tutelata dalla previsione di maggioranze
più elevate e dal riconoscimento del diritto di recesso dalla società̀ .
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L’attuale disciplina prevede diverse cause di recesso che possono essere distinte in cause di recesso
inderogabili, derogabile dallo statuto e cause statutarie:
1) Cause inderogabili: il diritto di recesso può̀ essere esercitato, anche per parte delle azioni, dai soci che
non hanno concorso alle delibere riguardanti:
La modifica dell’oggetto sociale
La trasformazione della società̀
La revoca dello stato di liquidazione
L’eliminazione di una o più̀ cause di recesso
Le modificazioni dello statuto concernenti il diritto di voto o di partecipazione.
In tutti questi casi il diritto di recesso non può̀ essere soppresso dallo statuto ed è nullo ogni
patto volto ad escluderlo o a renderne più gravoso l’esercizio.
2) Cause derogabili: il diritto di recesso spetta ai soci che non hanno concorso all’approvazione delle
delibere riguardanti:
La proroga del termine di durata della società̀
L’introduzione o la rimozione di vincoli sulla circolazione delle azioni.
In questi casi il recesso non può̀ essere esercitato solo per parte delle azioni.
3) Cause statutarie: nelle sole società̀ che non fanno appello al mercato del capitale di rischio, lo statuto può̀
prevedere ulteriori cause di recesso.
Il recesso da società di capitali non ha però solo la funzione di rimedio a tutela della minoranza bensì
rappresenta anche l’estrema reazione del socio di fronte ad una modificazione non desiderata di elementi
essenziali del contratto sociale.
Nelle società̀ a tempo indeterminato non quotate, il recesso costituisce un temperamento alla durata
potenzialmente illimitata del vincolo sociale, per evitare che i soci restino prigionieri della società̀ . Pertanto,
tutti i soci possono recedere liberamente da una società̀ a tempo indeterminato non quotata con preavviso di
centottanta giorni.
Le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere
depositate presso la sede della società̀ .
- Nelle società̀ non quotate il valore delle azioni da rimborsare è determinato dagli amministratori, sentito
il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti.
- Nelle società̀ con azioni quotate il valore di liquidazione delle stesse è invece determinato facendo
riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la convocazione
dell’assemblea.
Rimborso delle azioni
Le azioni del socio che recede devono innanzitutto essere offerte in opzione agli altri soci ed ai possessori di
obbligazioni convertibili in proporzione al numero delle azioni possedute. Per la parte non acquistata dai
soci possono essere collocate sul mercato. In caso di mancato collocamento presso i soci o presso terzi, le
azioni vengono rimborsate mediante acquisto da parte della società̀ .
Il verbale della delibera del consiglio di amministrazione di aumento del capitale sociale deve essere redatto
da un notaio.
Per quanto riguarda la sottoscrizione dell'aumento del capitale sociale, la deliberazione di aumento deve
fissare il termine entro il quale le sottoscrizioni devono essere raccolte.
All’atto della sottoscrizione deve essere versato il venticinque per cento dei conferimenti in danaro
direttamente alla società̀ . Inoltre, se le azioni sono emesse con sovrapprezzo, questo deve essere
integralmente versato all’atto di sottoscrizione.
Capitolo 20 – Le obbligazioni
Nozione e tipologia
Le obbligazioni sono titoli di credito (nominativi o al portatore) che rappresentano frazioni di uguale valore
nominale e con uguali diritti di un’unitaria operazione di finanziamento a titolo di mutuo. I titoli
obbligazionari documentano quindi un credito verso la società̀ .
L’obbligazione attribuisce la qualità̀ di creditore della società̀ . L’obbligazionista ha perciò̀ diritto ad una
remunerazione periodica fissa (interessi) e al rimborso del valore nominale del capitale prestato alla
scadenza pattuita.
Le obbligazioni hanno caratteristiche tipiche:
o Sono titoli di massa rappresentano frazioni standardizzate di un’unica operazione economica
o Attribuiscono il diritto al rimborso di una somma di denaro.
Azioni ed obbligazioni
Netta è la distinzione fra azioni ed obbligazioni. L’azione attribuisce la qualità di socio; obbligazione
attribuisce invece la qualità di creditore della società. L’obbligazionista, diversamente dall’azionista, ha
perciò diritto ad una remunerazione periodica fissa (interessi), normalmente svincolata dai risultati
economici della società finanziata.
Il procedimento di emissione
Se la legge o lo statuto non dispongono diversamente, l’emissione di obbligazioni è deliberata dagli
amministratori. La delibera di emissione deve tuttavia risultare da verbale redatto da un notaio, è soggetta a
controllo di legalità̀ da parte dello stesso e ad iscrizione nel registro delle imprese. Essa produce effetti e può̀
essere eseguita solo dopo l’iscrizione.
L’ammontare delle obbligazioni emesse deve risultare da un apposito libro delle obbligazioni.
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Il rappresentante comune degli obbligazionisti è nominato dall’assemblea degli obbligazionisti e ha il
compito di tutelare gli interessi comuni degli obbligazionisti nei confronti della società e dei terzi. Viene
nominato dall’assemblea degli obbligazionisti e la nomina è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese.
Il rappresentante comune dura in carica per un periodo non superiore a tre esercizi ed è rieleggibile.
Le cause di scioglimento.
La società per azioni si scioglie ed entra in stato di liquidazione col verificarsi di una delle seguenti cause:
1. Il decorso del termine di durata fissato nell’atto costitutivo;
2. Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo;
3. L’impossibilità di funzionamento o la continua inattività dell’assemblea;
4. La riduzione del capitale (per perdite) al di sotto del minimo legale;
5. La delibera dell’assemblea straordinaria di scioglimento della società in seguito al recesso di uno o
più soci, oppure all’impossibilità di provvedere al rimborso delle relative azioni senza ridurre il
capitale sociale o all’opposizione dei creditori alla riduzione.
6. La deliberazione dell’assemblea (straordinaria) di scioglimento anticipato.
7. Le altre cause previste dall’atto costitutivo.
Accertamento e pubblicità
Verificatasi una causa di scioglimento gli amministratori devono procedere senza indugio al suo
accertamento e all’iscrizione nel registro delle imprese della relativa dichiarazione. In caso di omissione vi
provvede il tribunale.
Gli effetti connessi al verificarsi di una causa di scioglimento decorrono dal momento dell’iscrizione nel
registro delle imprese della dichiarazione di accertamento del consiglio di amministrazione o della delibera
assembleare che dispone lo scioglimento.
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I liquidatori devono ogni anno redigere il bilancio e sottoporlo all’approvazione dell’assemblea.
I liquidatori, inoltre, devono redigere il bilancio finale di liquidazione, indicando la parte spettante a ciascun
socio nella divisione dell’attivo (c.d. piano di riparto). Il bilancio finale di liquidazione deve essere poi
approvato dai singoli soci.
Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal
registro delle imprese.
Sopravvenienze passive
Intervenuta la cancellazione dal registro i creditori sociali rimasti insoddisfatti possono far valere i loro
diritti:
a) nei confronti dei soci, per la concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di
liquidazione;
b) nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi.
La cancellazione dal registro delle imprese segna l’estinzione della società per azioni, anche quando vi siano
creditori non soddisfatti.
I creditori possono tuttavia chiedere il fallimento della società entro un anno dalla cancellazione della stessa
dal registro delle imprese.
Caratteri distintivi
La società̀ in accomandita per azioni è un tipo di società̀ che si caratterizza per la presenza di due categorie
di soci:
I soci accomandatari, che rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali e
sono per legge amministratori della società̀ .
I soci accomandanti, che sono obbligati verso la società̀ nei limiti della quota di capitale sottoscritto.
La società̀ in accomandita per azioni è allo stesso tempo un tipo di società̀ che si caratterizza per il fatto che
le quote di partecipazione dei soci sono rappresentate da azioni.
Alla società̀ in accomandita per azioni sono applicabili le norme relative alla società̀ per azioni.
Nella società̀ in accomandita per azioni vi è un nesso indissolubile fra qualità̀ di accomandatario,
posizione di amministratore e responsabilità̀ per le obbligazioni sociali; infatti, nell’accomandita per azioni:
I soci indicati nell’atto costitutivo come accomandatari sono di diritto amministratori della società̀
senza limiti di tempo.
Il socio accomandatario che cessa dall’ufficio di amministratore non risponde per le obbligazioni
della società̀ sorte posteriormente all’iscrizione nel registro delle imprese della cessazione
dall’ufficio.
Il nuovo amministratore assume la qualità̀ di socio accomandatario dal momento dell’accettazione
della nomina e ciò̀ implica che esso risponde solo per le obbligazioni sociali che sorgono a partire da
tale momento.
Nesso indissolubile: non su può essere soci accomandatari se non si è amministratori e si cessa di essere
accomandatari e responsabili se si cessa di essere amministratori.
La disciplina
L’atto costitutivo deve indicare quali sono i soci accomandatari. La denominazione sociale deve essere
costituita dal nome di almeno uno dei soci accomandatari, con l’indicazione di società̀ in accomandita per
azioni.
I soci accomandatari rispondono illimitatamente e solidalmente verso i terzi per le obbligazioni sociali. I
creditori sociali possono però agire nei confronti degli accomandatari solo dopo aver infruttuosamente
escusso il patrimonio sociale.
Sono presenti norme particolari per l’adozione di alcune delibere assembleari:
a) Gli accomandatari non hanno diritto di voto nelle deliberazioni di nomina e revoca dei sindaci o dei
componenti del consiglio di sorveglianza e in quelle riguardanti l’esercizio dell’azione di
responsabilità̀ nei loro confronti.
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b) Le modificazioni dell’atto costitutivo devono essere deliberate dall’assemblea straordinaria e devono
essere approvate da tutti i soci accomandatari.
I soci accomandatari sono di diritto amministratori e il loro ufficio ha carattere permanente. Essi possono
essere revocati anche se non ricorre giusta causa, salvo il diritto al risarcimento dei danni.
Collegio sindacale
Per il collegio sindacale, l’unica deviazione dalla disciplina della società̀ per azioni consiste nel divieto per
gli accomandatari di votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina e la revoca dei sindaci e del revisore
legale dei conti.
Per la società̀ in accomandita per azioni è prevista una causa di scioglimento tipica ed ulteriore rispetto a
quelle dettate per la società̀ per azioni: la società̀ si scioglie in caso di cessazione dalla carica di tutti gli
amministratori, se nel termine di centottanta giorni non si è provveduto alla loro sostituzione ed i sostituti
non hanno accettato la carica. Per questo periodo il collegio sindacale nomina un amministratore
provvisorio, i cui poteri sono circoscritti agli atti di ordinaria amministrazione.
Caratteri distintivi
La società̀ a responsabilità̀ limitata è una società̀ di capitali nella quale:
Per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società̀ col suo patrimonio;
Le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni e non possono inoltre costituire
oggetto di offerta al pubblico.
L’attuale disciplina consente alle s.r.l. di emettere titoli di debito, sostanzialmente assimilabili alle
obbligazioni, ma vieta la collocazione degli stessi presso il pubblico dei risparmiatori; possono infatti essere
sottoscritti solo da investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale (le banche, le Sicav, le
compagnie di assicurazione).
Il capitale sociale minimo richiesto per la costituzione della società̀ è di diecimila euro.
Le quote sociali
Nella società̀ a responsabilità̀ limitata il capitale è diviso secondo un criterio personale; il capitale della
società̀ è diviso in base al numero dei soci: il numero iniziale delle quote corrisponde al numero dei soci che
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partecipano alla costituzione della società̀ e ciascun socio diventa titolare di un’unica quota di
partecipazione, corrispondente alla frazione di capitale sociale da lui sottoscritta.
Le quote possono essere di diverso ammontare.
I diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione da ciascuno posseduta e le
partecipazioni sono determinate in misura proporzionale al conferimento. Si tratta tuttavia di una regola che
può̀ essere ampiamente derogata dall’autonomia statutaria.
Le quote non possono essere rappresentate da titoli di credito, né possono costituire oggetto di offerta al
pubblico.
La disciplina del recesso riconosce ampia libertà all’autonomia statutaria: l’atto costitutivo, infatti,
stabilisce quando il socio può recedere e le relative modalità. Inoltre, il recesso è inderogabilmente
riconosciuto per legge in una serie di casi.
a) Se la società̀ è a tempo indeterminato ogni socio può̀ recedere con un preavviso di almeno
centottanta giorni.
b) Se la società̀ è a tempo determinato possono recedere i soci che non hanno consentito (contrari,
assenti o astenuti):
Al cambiamento dell’oggetto sociale o del tipo di società̀
Alla sua fusione o scissione
Alla revoca dello stato di liquidazione
Al trasferimento della sede sociale all’estero
All’eliminazione di una o più̀ cause di recesso previste dallo statuto
Infine, il diritto di recesso è riconosciuto al socio contrario all’aumento del capitale sociale con esclusione
del diritto di opzione.
I soci che recedono hanno il diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del
patrimonio sociale entro centottanta giorni dalla comunicazione del recesso alla società̀ .
La quota del socio recedente deve prima essere offerta in opzione agli altri soci, se non vi sono acquirenti, si
procede al rimborso attingendo alle riserve disponibili della società̀ o, in mancanza, tramite riduzione reale
del capitale. Se la riduzione del capitale risulta impossibile, perché́ i creditori vi si oppongono, la società̀ si
scioglie.
L’atto costitutivo può̀ prevedere specifiche cause di esclusione del socio per giusta causa. Per il rimborso si
applica la disciplina del recesso, con esclusione della riduzione di capitale sociale.
Amministrazione e controlli
La ripartizione di competenze fra assemblea ed amministratori in merito alla gestione dell’impresa sociale è
in larga parte rimessa all’autonomia statutaria. In mancanza di diversa previsione, l’amministrazione è
affidata a uno o più̀ soci, nominati con decisione dei soci, che restano in carica a tempo indeterminato.
Quando l’amministrazione è affidata a più̀ persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione.
Tuttavia, l’atto costitutivo può̀ prevedere che gli amministratori operino disgiuntamente o congiuntamente
(come nelle società di persone).
Per quanto riguarda il potere di rappresentanza degli amministratori si applica la stessa disciplina prevista
per la società per azioni.
Sul conflitto d’interessi c’è da dire che le decisioni adottate dal consiglio di amministrazione con il voto
determinante di un amministratore in conflitto di interessi, possono essere impugnate qualora comportino un
danno patrimoniale alla società.
La disciplina dell’azione di responsabilità presenta profili di singolarità rispetto alla società per azioni.
Infatti:
a) È affermata la responsabilità̀ degli amministratori verso la società̀ e verso i singoli soci o terzi
direttamente danneggiati, ma non si fa menzione della responsabilità̀ verso i creditori sociali.
b) Responsabili solidalmente con gli amministratori sono anche “i soci che hanno intenzionalmente
deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società̀ , i soci o i terzi”.
c) L’azione sociale di responsabilità̀ contro gli amministratori può̀ essere promossa anche dal singolo
socio, il quale può̀ chiedere la revoca degli amministratori in caso di gravi irregolarità̀ della gestione
della società̀ .
Collegio sindacale
L’atto costitutivo può̀ prevedere la nomina di un collegio sindacale o di un revisore determinandone
competenze e poteri. La nomina del collegio sindacale è però obbligatoria quando:
Il capitale sociale non è inferiore a quello minimo stabilito per la società̀ per azioni.
La società̀ è tenuta alla redazione del bilancio consolidato.
Non ricorrono le condizioni stabilite per la redazione del bilancio di esercizio in forma abbreviata.
La società̀ controlla una società̀ obbligata alla revisione legale dei conti.
Controllo dei soci
Ogni socio non amministratore ha il diritto di avere dagli amministratori notizie dello svolgimento degli
affari sociali e di consultare i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione.
Il sistema legislativo
Le società̀ cooperative sono società̀ a capitale variabile che perseguono uno scopo mutualistico.
Il nostro ordinamento attribuisce particolare rilievo sociale alle società̀ che perseguono tale scopo,
favorendone lo sviluppo. Per fare ciò̀ sono state emanate alcune leggi speciali che riconoscono particolari
agevolazioni creditizie e tributarie.
Prima della riforma del 2003, l’ordinamento era caratterizzato da un disordine normativo che favoriva la
proliferazione di false cooperative, indotto dalle agevolazioni riservate a questo tipo di società̀ . Inoltre, ha
introdotto la distinzione fra «società cooperative a mutualità prevalente» e altre società cooperative.
Caratteri strutturali
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Di seguito sono riportati i principali caratteri strutturali caratterizzanti la società cooperativa.
a) È previsto un numero minimo di soci per la costituzione e la sopravvivenza della società.
b) Sono fissati limiti massimi alla quota di partecipazione di ciascun socio ed alla percentuale di utili agli
stessi distribuibile.
c) Le variazioni del numero e delle persone dei soci e le conseguenti variazioni del capitale sociale non
comportano modificazione dell’atto costitutivo. Si parla di “struttura aperta” della società cooperativa, la
quale facilita l’ingresso di nuovi soci ed il recesso di quanti non più interessati.
d) Ogni socio cooperatore persona fisica ha in assemblea un solo voto, qualunque sia il valore della sua
quota o il numero delle sue azioni (c.d. principio «una testa-un voto»).
e) Le società cooperative sono sottoposte a vigilanza dell’autorità governativa al fine di assicurarne il
regolare funzionamento amministrativo e contabile.
Le quote. Le azioni
Nelle cooperative la partecipazione sociale può essere rappresentata da quote o da azioni, a seconda che la
cooperativa sia regolata dalla disciplina della società per azioni oppure della società a responsabilità limitata.
Per stimolare l’allargamento della compagine azionaria, nessun socio persona fisica può̀ avere una quota
superiore a centomila euro.
Le quote e le azioni dei soci cooperatori non possono essere cedute senza l’autorizzazione degli
amministratori.
L’atto costitutivo può̀ autorizzare gli amministratori ad acquistare o rimborsare quote o azioni della società̀ .
Operazioni di acquisto sulle proprie azioni sono subordinate all’osservanza di un duplice limite:
Il rapporto tra patrimonio netto e complessivo indebitamento della società deve essere superiore ad
un quarto;
l’acquisto o il rimborso deve essere effettuato nei limiti degli utili distribuibili
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(Segue): le nuove forme di finanziamento
Per favorire la raccolta del capitale di rischio da parte delle società̀ cooperative, sono stati elevati i limiti
massimi della partecipazione di ciascun socio ed i limiti massimi dei prestiti dei soci ammessi a godere delle
agevolazioni fiscali. Allo stesso tempo sono state consentite nuove forme di raccolta del capitale di rischio
con la previsione della figura dei soci sovventori e delle azioni di partecipazione cooperativa.
La figura dei soci sovventori consente la raccolta del capitale di rischio anche fra coloro che non possiedono
i requisiti richiesti per partecipare all’attività̀ mutualistica. I conferimenti dei sovventori sono rappresentati
da azioni nominative o quote nominative liberamente trasferibili.
Per evitare che la partecipazione dei soci sovventori sia animata da scopi esclusivamente speculativi, è
stabilito che il tasso di remunerazione dei soci sovventori non può̀ essere maggiorato più̀ del 2% rispetto a
quello previsto per gli altri soci. Inoltre, i voti attribuiti ai soci sovventori non possono superare un terzo dei
voti spettanti a tutti i soci.
Le azioni di partecipazione cooperativa rappresentano una particolare categoria di azioni, che presenta
affinità̀ con le azioni di risparmio: sono infatti prive del diritto di voto e sono privilegiate nella ripartizione
degli utili e nel rimborso del capitale. Inoltre, sono liberamente trasferibili e godono dell’anonimato.
È prevista un’organizzazione di gruppo dei possessori di tali azioni, per la tutela degli interessi comuni.
Le società̀ cooperative possono emettere obbligazioni per la raccolta del capitale di prestito e di strumenti
finanziari secondo la disciplina prevista per le S.p.A.
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È prassi consolidata la previsione negli statuti delle cooperative di un ulteriore organo sociale: il collegio dei
probiviri. A tale organo è affidata la risoluzione di eventuali controversie fra soci o fra soci e società,
riguardanti il rapporto sociale (ammissione di nuovi soci, recesso, esclusione, ecc.) o la gestione
mutualistica.
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- esclusione, in caso di mancato pagamento delle quote o delle azioni, nei casi previsti per le società̀ di
persone, per gravi inadempienze del socio, per mancanza o perdita dei requisiti previsti per la
partecipazione alla società̀ , oppure dal rapporto mutualistico.
- la morte del socio, il rapporto sociale si scioglie, salvo che l’atto costitutivo non disponga la
continuazione della società̀ con gli eredi.
- La liquidazione della quota, che avviene secondo i criteri stabiliti nell’atto costitutivo.
Le mutue assicuratrici
Le mutue assicuratrici sono società̀ cooperative caratterizzate dalla stretta interdipendenza che per legge
esiste tra la qualità̀ di socio e la qualità̀ di assicurato: non si può̀ acquistare la qualità̀ di socio, se non
assicurandosi presso la società̀ e, viceversa, si perde la qualità̀ di socio con l’estinguersi dell’assicurazione.
La disciplina
Nelle mutue assicuratrici per le obbligazioni sociali risponde solo la società col proprio patrimonio.
I soci assicurati sono obbligati verso la società al pagamento di «contributi», che costituiscono allo stesso
tempo conferimento e premio di assicurazione.
I soci
Anche nelle mutue assicuratrici possono coesistere e di regola coesistono due categorie di soci: soci
assicurati e soci sovventori. Questi ultimi si limitano a conferire il capitale necessario per l’attività della
società senza essere assicurati.
Capitolo 25 – Trasformazione. Fusione e scissione.
A. La trasformazione
L’istituto della trasformazione può essere di due tipi: trasformazione omogenea (fra società) e
trasformazione eterogenea (da società di capitali in altri enti o viceversa).
La trasformazione omogenea è il cambiamento del tipo di società. Ad esempio, una società in nome
collettivo diventa una società per azioni o viceversa. Da sottolineare è che con la trasformazione non si ha
estinzione della società preesistente e nascita di una nuova società; è la stessa società che continua a vivere
in una rinnovata veste giuridica.
Funzione della trasformazione è quella di adattare l’assetto organizzativo della società alle nuove esigenze
sopravvenute durante la vita della stessa.
Limiti alla trasformazione
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Mentre è consentito il passaggio dall’uno all’altro tipo nell’ambito delle società lucrative, espressamente
vietato è la trasformazione di una società cooperativa a mutualità prevalente in società lucrativa. Permesse
sono invece la trasformazione delle altre società cooperative in società lucrative o in consorzi e la
trasformazione di società di capitali (ma non di persone) in società cooperative.
La trasformazione eterogenea.
L'attuale disciplina regola la trasformazione eterogenea, e più esattamente la trasformazione eterogenea da
parte di una società di capitali o che da vita ad una società di capitali. Non è invece disciplinata la
trasformazione eterogenea di società di persone o in società di persone.
Una società di capitali può trasformarsi in «consorzi, società consortili, società cooperative, comunione di
azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni».
Più articolata è la disciplina della trasformazione eterogenea in società di capitali prevista per «i consorzi, le
società consortili, le comunioni e di aziende, le associazioni riconosciute e fondazioni» (ma non per le
associazioni e riconosciute e le cooperative). Nei consorzi, la trasformazione deve essere deliberata a
maggioranza assoluta dei consorziati. Nelle comunioni di azienda, da tutti i partecipanti alla comunione.
Nelle società consortili e nelle associazioni con le maggioranze richieste per lo scioglimento anticipato.
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B. La fusione
La fusione è l’unificazione di due o più società in una sola. Essa può essere realizzata in due diversi modi:
a) con la costituzione di una nuova società, che prende il posto di tutte le società che si fondono
(fusione in senso stretto);
b) mediante assorbimento in una società preesistente di una o più altre società (fusione per
incorporazione).
Fusioni omogenee ed eterogenee
La fusione si dice omogenea quando ha luogo fra società dello stesso tipo; si dice eterogenea quando ha
luogo fra società di tipo diverso.
La partecipazione alla fusione non è consentita alle società che si trovano in stato di liquidazione.
Funzione economica
La fusione è uno strumento di concentrazione delle imprese societarie che consente di ampliarne la
dimensione e la competitività sul mercato ed in questa prospettiva è agevolata sotto diversi profili dalla
legislazione tributaria. La concentrazione non è solo economica ma anche giuridica: con la fusione, ad una
pluralità di società se ne sostituisce una sola (società incorporante o la nuova società che risulta dalla
fusione). Tuttavia, è da sottolineare che la società incorporante o che risulta dalla fusione «assumono i diritti
e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali,
anteriori alla fusione».
Il progetto di fusione.
Il procedimento di fusione si articola in tre fasi: il progetto di fusione, la delibera di fusione e l’atto di
fusione.
Gli amministratori delle diverse società partecipanti alla fusione devono redigere un progetto di fusione, nel
quale sono fissate, sulla base delle trattative intercorse, le condizioni e le modalità dell’operazione da
sottoporre all’approvazione dell’assemblea. Pubblicità legale Dal progetto di fusione devono risultare:
1. Il tipo, la denominazione o ragione sociale, la sede delle società partecipanti alla fusione.
2. L’atto costitutivo della nuova società risultante dalla fusione o di quella incorporante.
3. Il rapporto di cambio delle azioni o quote; cioè il rapporto in base al quale saranno assegnate ai soci
delle società che si estinguono le azioni o quote della società incorporante o della nuova società (ad
esempio, dieci azioni della società A danno diritto ad un’azione della società B incorporante).
Il progetto di fusione deve essere iscritto nel registro delle imprese. La documentazione informativa è
completata da altri tre documenti. Gli amministratori di ciascuna delle società partecipanti alla fusione
devono redigere:
- una situazione patrimoniale aggiornata della propria società, con l’osservanza delle norme sul
bilancio d’esercizio;
- una relazione che illustri e giustifichi il progetto di fusione «e in particolare il rapporto di cambio».
Infine, uno o più esperti, scelti fra i revisori dei conti o le società di revisione, devono redigere una relazione
sulla congruità del rapporto di cambio ed esprimere un parere sull’adeguatezza del metodo seguito dagli
amministratori per la determinazione dello stesso.
La delibera di fusione.
La fusione viene decisa da ciascuna delle società che vi partecipano «mediante l’approvazione del relativo
progetto».
Nelle società di persone è sufficiente la maggioranza dei soci calcolata secondo la parte attribuita a ciascuno
negli utili. Al socio che non abbia consentito alla fusione è riconosciuto diritto di recesso dalla società. Nelle
società di capitali la fusione deve essere invece deliberata dall’assemblea straordinaria con le normali
maggioranze. Nell’ipotesi di fusione eterogenea, nelle società non quotate dovranno essere osservate anche
le maggioranze rafforzate stabilite per la trasformazione.
Diritto di recesso
Inoltre, in caso di fusione eterogenea, i soci che non hanno concorso alla deliberazione avranno diritto di
recesso; diritto che invece è riconosciuto in caso di fusione omogenea solo per la s.r.l.
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Controllo e pubblicità
Le delibere di fusione delle singole società devono essere iscritte nel registro delle imprese.
L’atto di fusione.
Il procedimento di fusione si conclude con la stipulazione dell’atto di fusione, il quale deve essere redatto
per atto pubblico e iscritto nel registro delle imprese.
Effetti
La società risultante dalla fusione assume tutti i diritti e gli obblighi di quelle partecipanti, che si estinguono.
Una volta eseguite le iscrizioni dell’atto di fusione prescritte per legge, l’invalidità dell’atto di fusione non
può più essere pronunciata. A partire da tale momento il ritorno al passato non è più possibile e resta salvo
solo il diritto al risarcimento dei danni eventualmente spettante ai soci o ai terzi danneggiati dalla fusione.
C. La scissione
Il procedimento.
Il procedimento di scissione coincide in sostanza con quello dettato per la fusione.
Gli amministratori delle società partecipanti alla scissione devono redigere un progetto di scissione. Questo
deve contenere:
1. l’esatta descrizione degli elementi patrimoniali da trasferire a ciascuna delle società beneficiarie;
2. i criteri di distribuzione ai soci delle azioni o quote delle società beneficiarie.
Nella scissione totale, le attività di incerta attribuzione sono ripartite fra le società beneficiarie in
proporzione della quota di patrimonio netto trasferita a ciascuna di esse. Delle passività di dubbia
imputazione rispondono invece in solido tutte le società beneficiarie. Nella scissione parziale, invece, le
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relative attività restano in testa alla società trasferente. Delle passività rispondono in solido sia questa sia le
società beneficiarie.
Come per la fusione, anche per l’operazione di scissione occorrono la relazione degli amministratori e quella
degli esperti.
Altre fasi Seguono la redazione del progetto di scissione le fasi di delibera, pubblicità, opposizioni dei
creditori e stipula dell’atto di scissione.
Gli effetti derivanti dall’operazione di scissione comportano per le società beneficiarie l’assunzione dei
diritti e degli obblighi della società scissa.
Per tutelare i creditori è però stabilito che «ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore
effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla
società cui fanno carico»
Le imprese bancarie sono imprese commerciali la cui attività principale consiste nella raccolta del risparmio
fra il pubblico e nell'esercizio del credito
Riguardo l’operato di tali imprese possiamo distinguere tre categorie di operazioni:
1. operazioni passive operazioni di raccolta del risparmio (rendono la banca debitrice nei confronti
dei propri clienti);
2. operazioni attive operazioni di concessione di credito da parte della Banca;
3. operazioni accessorie operazioni a carattere finanziario che le banche svolgono a favore della
propria clientela.
L'attività delle banche ha subito nel tempo profonde modifiche. La normativa al riguardo è oggi racchiusa
nel Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
È una disciplina che incide profondamente
sull'accesso all'attività bancaria, subordinato all'autorizzazione della Banca centrale europea.
sulla struttura giuridica dell'impresa bancaria, che può assumere solo la forma di società per azioni e
di società cooperativa per azioni;
sullo statuto delle società e delle imprese bancarie;
sull'esercizio dell'attività bancaria, sottoposto a vigilanza da parte della Banca d'Italia o della Banca
centrale europea (a seconda della dimensione della Banca stessa).
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comunicate al cliente con un preavviso e con modalità fissate dalla legge, in caso contrario, le variazioni
sfavorevoli ai clienti sono inefficaci.
Nei contratti a tempo indeterminato (conto corrente bancario) il cliente ha facoltà di recedere in ogni
momento senza penalità o spese.
A vigilare sul rispetto della disciplina in tema di trasparenza è la Banca d'Italia. Un ulteriore contributo al
miglioramento del grado di tutela è determinato dall'applicazione al settore bancario della disciplina
antimonopolistica nazionale, che individua nell'autorità garante per la concorrenza ed il mercato
l'autorità preposta all'applicazione della relativa normativa nel settore bancario.
Dal 2009 è attivo un sistema stragiudiziale di risoluzione delle controverse al quale possono ricorrere i
clienti delle banche e degli intermediari finanziari, l'arbitro bancario finanziario. Le decisioni dell'arbitro
non sono vincolanti per le parti; tuttavia, le banche che non adempiono alle decisioni dell'ABF sono esposte
ad una sanzione reputazionale che consiste nella pubblicazione di tale inadempimento.
I depositi bancari
Il deposito di denaro è la principale operazione passiva delle banche. Esso costituisce un tipo particolare di
deposito irregolare che si caratterizza per il necessario intervento di una banca in veste di depositario.
Esistono due tipologie di depositi bancari:
deposito vincolato la banca acquista la proprietà della somma ricevuta in deposito e si obbliga a
restituirla nella stessa specie monetaria alla scadenza del termine convenuto
deposito libero la banca e si obbliga a restituire la cosa su richiesta del depositante
Il tasso di interesse sulle somme depositate:
è più elevato per i depositi vincolati;
non può essere inferiore a quello pubblicizzato dalla Banca;
viene liquidato in occasione dell'estinzione del deposito.
I depositi bancari possono inoltre essere:
semplici non possono essere alimentati da successivi versamenti e non prevedono la possibilità di
prelevamenti parziali prima della scadenza;
a risparmio danno al depositante la facoltà di effettuare successivi versamenti e prelevamenti
parziali, ma solamente in contanti.
I libretti a risparmio sono accompagnati da un apposito documento, il libretto di deposito a risparmio, nel
quale devono essere annotate tutte le operazioni. Il codice disciplina tre tipi di libretti di deposito a
risparmio:
1. nominativi i prelevamenti possono essere effettuati solo dall'intestatario del libretto o da un suo
rappresentante
2. nominativi pagabili al portatore i prelevamenti potevano essere effettuati anche da un soggetto
differente
3. al portatore il solo possesso del libretto abilitava la riscossione delle somme depositate.
Esigenze di contrasto al riciclaggio del denaro hanno portato il legislatore a mantenere solamente i libretti
nominativi, che hanno la funzione di identificare l'avente diritto alla prestazione.
Ciononostante, è prevista una procedura di ammortamento diretta a. Dichiarare l'inefficacia in caso di
smarrimento, distruzione o sottrazione.
L'apertura di credito.
L'apertura di credito è il contratto con la quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell'altra parte una
somma di denaro per un dato periodo di tempo (anche indeterminato).
L'apertura di credito:
1. non è un mutuo perché si perfeziona indipendentemente dalla consegna del denaro;
2. non è una promessa di mutuo in quanto non è necessaria una manifestazione di volontà oltre la
semplice stipula del contratto;
3. non è un mutuo consensuale dato che ha l'obbligo della banca di tenere a disposizione corrisponde
un diritto potestativo del cliente, il quale decide se utilizzare o meno il credito concessogli.
I modi di utilizzo dell'apertura di credito sono quelli propri del conto corrente bancario.
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L'apertura di credito può essere allo scoperto o assistita da garanzie reali o personali a favore della
banca. Le garanzie che assistono all'apertura di credito non si estinguono fino alla fine del rapporto.
Il recesso della banca dall'apertura di credito è l'aspetto più delicato della relativa disciplina, che, a riguardo,
distingue fra apertura di credito:
a tempo determinato la banca può recedere anticipatamente dal contratto solo se sussiste una
giusta causa. Il recesso sospende immediatamente l'utilizzo del credito;
a tempo indeterminato La Banca e il cliente possono recedere liberamente dal contratto.
In entrambi i casi il recesso sospende immediatamente l'utilizzo del credito
Nelle norme bancarie uniformi scompare ogni distinzione fra apertura di credito a tempo indeterminato e a
tempo determinato, in entrambi i casi la banca può recedere liberamente anche con comunicazione verbale.
La dottrina oggi riconosce al cliente il diritto al risarcimento dei danni qualora la Banca receda
improvvisamente e senza giustificato motivo (rottura brutale del credito).
L'anticipazione bancaria.
L'anticipazione bancaria è una tipica operazione di finanziamento garantita da pegno. Si caratterizza per il
fatto che:
la garanzia reale offerta dalla Banca è costituita esclusivamente da titoli o merci il cui valore è
facilmente accertabile;
l'ammontare del credito concesso dalla Banca proporzionale al valore dei titoli e delle merci dati in
pegno si determina deducendo una percentuale del valore di stima degli stessi.
Il collegamento che così si determina fra il credito concesso dalla Banca e la garanzia pignoratizia permane
anche durante lo svolgimento del rapporto. Infatti, il beneficiario dell'anticipazione, anche prima della
scadenza, può ritirare parte dei titoli o delle merci data in pegno in proporzione alle somme rimborsate alla
Banca.
La Banca, a sua volta, ha il diritto di ottenere un supplemento di garanzia se il valore delle cose dato
impegno diminuisce di un decimo rispetto a quello iniziale.
Questo particolare regime della garanzia pignoratizia di proporzionalità e divisibilità caratterizza
l'anticipazione bancaria rispetto al semplice mutuo o all'apertura di credito.
L'anticipazione bancaria può essere
propria quando le merci o i titoli sono costituiti in pegno regolare. La Banca, dunque, non può disporre
delle cose ricevute in pegno;
Impropria quando i titoli sono costituiti in pegno irregolare; dunque, è stata espressamente conferita alla
Banca la facoltà di disporne. Alla scadenza dovrà restituire solo titoli dello stesso genere.
Lo sconto
Lo sconto è il contratto con il quale la Banca anticipa al cliente l'importo di un credito verso terzi non ancora
scaduto, decurtato dell'interesse. Il cliente, a sua volta, cede alla banca il credito stesso. La forma più diffusa
di sconto e lo sconto di cambiali. Lo sconto costituisce per gli imprenditori commerciali inutile strumento
per monetizzare prima della scadenza il credito concesso alla clientela. La Banca a sua volta lucra la
differenza sconto fra il valore nominale del credito ceduto sole e la somma anticipata al cliente. La banca,
divenuta titolare del credito attende la scadenza per riscuoterne il valore nominale dal terzo debitore.
Tuttavia, se nel frattempo esigenze dell'umidita può però utilizzare a sua volta il credito per scontarlo presso
altra banca risconto, la Banca è tutelata contro il rischio di inadempimento del debitore ceduto, infatti il
credito. Le ha ceduto. Pro solvendo.
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Quando il conto corrente bancario a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dando un
preavviso che di solito è fissato in uno o due giorni. Il recesso della Banca rende immediatamente esigibile il
saldo passivo.
Il conto corrente bancario si scioglie anche per il fallimento del correntista ed in tal caso non solo il conto è
normalmente in rosso, ma spesso accade che lo stesso presentava un saldo passivo già prima della
dichiarazione di fallimento. Questo rappresenta per le banche un problema particolarmente grave.
In sostanza, il curatore può presentare domanda di revocatoria delle rimesse effettuate nel periodo sospetto
su un conto corrente che presentava saldo negativo; la Banca è tenuta tuttavia a restituire al fallimento solo
una somma pari alla differenza fra il massimo saldo negativo raggiunto dal conto nel periodo in cui opera la
revocatoria e quello registrato alla data di apertura del fallimento.
Ad esempio, se durante il periodo di trasferimento il saldo ha raggiunto un valore negativo massimo di
100.000 €. Ed il giorno della dichiarazione di fallimento questo si era ridotto a -60.0000, la Banca dovrà
restituire l'importo complessivo di 40.000, anche qualora la somma di tutte le rimesse effettuate sia
maggiore.
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Per quanto riguarda gli obblighi di amministrazione della Banca, è necessario distinguere gli atti di
riscossione e quelli di normale tutela dei diritti sui titoli in deposito che non comportano erogazione di
somme sono posti in essere dalla banca senza chiedere istruzioni al cliente.
Per tutti gli altri atti di amministrazione la Banca deve chiedere istruzioni in tempo utile al depositante. In
mancanza di questi ultime, la banca cura la vendita di dei diritti di opzione per conto del cliente.
I titoli di credito sono documenti destinati alla circolazione che attribuiscono il diritto ad una determinata
prestazione. In base all’oggetto della prestazione si possono distinguere:
titoli di credito in senso stretto (cambiale, assegno bancario e circolare e obbligazioni di società);
titoli di credito rappresentativi di merci (fede di deposito, polizza di carico);
titoli di partecipazione (azioni di società e quote di partecipazione a fondi comuni d’investimento).
I titoli di credito, se emessi ognuno per una distinta operazione economica si dicono titoli individuali (ad
esempio, cambiali ed assegni); se invece, come le azioni e le obbligazioni, rappresentano frazioni di uguale
valore nominale di una operazione economica di finanziamento ed attribuiscono a ciascuno uguali diritti, si
dicono titoli di massa.
In sintesi, si può dire che il titolo di credito è un documento necessario e sufficiente per la costituzione, la
circolazione e l’esercizio del diritto letterale ed autonomo in esso incorporato.
La legge di circolazione.
In base alla legge di circolazione i titoli di credito si distinguono in titoli al portatore, all’ordine e
nominativi.
I titoli al portatore.
I titoli al portatore sono titoli di credito su cui non è indicato il nome del soggetto a cui spetta la prestazione.
Il trasferimento del titolo avviene mediante la sua consegna e quindi il titolare è semplicemente colui che lo
possiede. Il possessore è legittimato all’esercizio del diritto in essi menzionato in base alla sola
presentazione del titolo al debitore. Possono essere al portatore: gli assegni bancari, i libretti di deposito, le
azioni di risparmio, le obbligazioni di società ecc.
La circolazione dei titoli di credito al portatore, pertanto, oltre al possesso, non necessita alcun'altra
formalità.
I titoli all’ordine.
I titoli all’ordine sono titoli intestati ad una persona determinata. Essi circolano mediante consegna del titolo
accompagnata dalla girata. Sono titoli di credito all’ordine: la cambiale, l’assegno bancario, l’assegno
circolare, i titoli rappresentativi di merci.
La girata è una dichiarazione scritta sul titolo e sottoscritta, con la quale l’attuale possessore (girante) ordina
al debitore cartolare di adempiere nei confronti di altro soggetto (giratario).
La girata può essere
in pieno quando contiene il nome del giratario (la forma tipica è «per me pagate a…», con la
sottoscrizione del girante.
in bianco quando non contiene il nome del giratario (costituita dalla sola firma del girante). Chi
riceve un titolo girato in bianco può:
a) riempire la girata con il proprio nome o con quello di altra persona;
b) girare di nuovo il titolo in pieno o in bianco;
c) trasmettere il titolo ad un terzo senza riempire la girata e senza apporne una nuova (in questo
caso la circolazione successiva avviene mediante semplice consegna manuale del titolo.
Continuità delle girate
Quando vi siano state più girate, l’attuale possessore del titolo si legittima in base ad una serie continua di
girate, di cui l’ultima a lui intestata o in bianco. È necessario cioè che il nome di ogni girante corrisponda a
quello del giratario della girata precedente, fino a risalire al primo prenditore.
Funzione di garanzia.
Di regola la girata non ha funzione di garanzia. Quindi il girante non assume alcuna obbligazione cartolare:
non è responsabile verso i giratari successivi per l’inadempimento da parte dell’emittente. Il codice regola
due tipi di girata:
la girata per procura il giratario assume la veste di rappresentante per l’incasso del girante.
Titolare del credito cartolare resta il girante ed il giratario non acquista alcun diritto autonomo.
Perciò il debitore può opporre al giratario per procura tutte e soltanto le eccezioni personali
opponibili al girante.
la girata a titolo di pegno attribuisce al giratario un diritto di pegno sul titolo, a garanzia di un
credito che il giratario stesso vanta nei confronti del girante. Al giratario non sono opponibili le
eccezioni personali al girante.
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I titoli nominativi.
I titoli nominativi sono titoli intestati ad una persona determinata. Essi si caratterizzano per il fatto che
l’intestazione deve risultare non solo dal titolo, ma anche da un apposito registro tenuto dall’emittente
(doppia intestazione). Il possessore di un titolo nominativo è perciò legittimato all’esercizio dei relativi
diritti per effetto della doppia intestazione a suo favore: sul titolo e nel registro dell’emittente.
Possono essere titoli nominativi: le obbligazioni, le quote di partecipazioni a fondi comuni di investimento, i
titoli del debito pubblico.
Sono previste due procedure per il trasferimento della legittimazione nei titoli nominativi.
Una prima procedura prevede il cambiamento contestuale delle due intestazioni (o il rilascio di un nuovo
titolo), a cura e sotto la responsabilità dell’emittente (il transfert).
Trasferimento mediante girata
Nel trasferimento per girata la doppia annotazione è eseguita da soggetti diversi in tempi diversi:
l’annotazione sul titolo (girata) è fatta dall’alienante; quella nel registro dell’emittente ad opera di
quest’ultimo e si rende necessaria solo quando l’acquirente voglia esercitare i relativi diritti.
La girata di un titolo nominativo attribuisce al possessore solo la «legittimazione ad ottenere la
legittimazione»; ad ottenere cioè l’annotazione del trasferimento nel registro dell’emittente. Solo in seguito a
quest’ultima il giratario consegue la legittimazione all’esercizio dei diritti inerenti al titolo, mentre prima di
tale momento il trasferimento mediante girata non ha efficacia nei confronti dell’emittente.
Sono invece eccezioni personali tutte le eccezioni diverse da quelle reali, in particolare:
a) le eccezioni derivanti dal rapporto fondamentale che ha dato luogo all’emissione del titolo opponibili
al primo prenditore;
b) le eccezioni fondate su altri rapporti personali con i precedenti possessori, opponibili solo a colui che
è stato parte del relativo rapporto (eccezioni personali fondate su rapporti personali);
c) l’eccezione di difetto di titolarità del diritto cartolare, opponibile al possessore del titolo che non ne
ha acquistato la proprietà o l’ha successivamente persa (eccezioni in personali in senso stretto).
Eccezioni personali in senso stretto
Nelle eccezioni personali in senso stretto il difetto di titolarità è opponibile nei confronti di tutti i successivi
portatori in malafede o colpa grave; che cioè conoscevano o dovevano conoscere il difetto di titolarità di un
precedente possessore.
Eccezioni fondate su rapporti personali
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Per l’opponibilità ai successivi possessori delle eccezioni personali fondate su rapporti personali è invece
richiesta la situazione del dolo. Vale a dire, un accordo fraudolento fra chi trasmette e chi riceve il titolo o,
quanto meno, lo specifico intento di danneggiare il debitore privandolo di eccezioni che questi avrebbe
potuto opporre al precedente possessore.
L’ammortamento.
Se il principio dell’incorporazione venisse applicato in tutto il suo rigore, nei casi di perdita involontaria
del titolo (smarrimento, sottrazione o distruzione), l’esercizio del diritto cartolare verrebbe precluso. La
legge invece pone al riguardo diversi rimedi.
Per i titoli all’ordine e nominativi è previsto l’istituto dell’ammortamento procedimento diretto ad
ottenere la dichiarazione giudiziale che il titolo originario non è più strumento di legittimazione (decreto di
ammortamento). Chi ha ottenuto l’ammortamento può infatti esigere il pagamento su presentazione del
relativo decreto oppure un duplicato del titolo perduto.
La procedura d’ammortamento si articola in due fasi, una necessaria e l’altra solo eventuale:
Nella prima fase l’ex possessore del titolo deve ricorrere al presidente del tribunale del luogo in cui il titolo è
pagabile al fine di chiedere l’ammortamento. Il presidente, dopo aver accertato la verità dei fatti, pronuncia
con decreto l’ammortamento. Il decreto deve essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e deve essere
notificato al debitore, con la notifica del decreto il debitore non è liberato se paga il detentore del titolo.
Il terzo detentore del titolo può proporre opposizione contro il decreto di ammortamento. Si apre così un
giudizio di cognizione, che ha per oggetto l’accertamento della proprietà del titolo e si chiude con la revoca
del decreto se l’opposizione è accolta mentre se l’opposizione è respinta il decreto di ammortamento diventa
definitivo ed il titolo è consegnato al ricorrente.
La procedura di ammortamento non è ammessa per i titoli al portatore, salvo alcune eccezioni previste
per i titoli a circolazione ristretta (libretti di deposito e assegni bancari al portatore). Il possessore del titolo
al portatore che ne provi la distruzione, ha tuttavia diritto ad ottenere dall’emittente il rilascio di un duplicato
o di un titolo equivalente. Nel caso invece di smarrimento o sottrazione del titolo, chi ha subito tali eventi e
li abbia denunziati all’emittente ha diritto alla prestazione.
Capitolo 41 - La cambiale
La cambiale è un titolo di credito la cui funzione tipica è quella di differire il pagamento di una somma di
danaro. Esistono due tipi di cambiale che si differenziano per la diversa struttura:
la cambiale tratta ha la struttura di un ordine di pagamento: una persona (traente) ordina ad un’altra
persona (trattario) di pagare una somma di danaro al portatore del titolo;
il vaglia cambiario (pagherò cambiario) ha la struttura di una promessa di pagamento. I soggetti
coinvolti sono solo due: l’emittente, che promette il pagamento; il prenditore che è il beneficiario
della promessa.
Le obbligazioni cambiarie.
La cambiale è un titolo di credito destinato ad incorporare più obbligazioni. Nonostante cio, l’invalidità della
singola obbligazione cambiaria non incide sulla validità delle altre (principio della reciproca indipendenza
delle obbligazioni cambiarie).
Inoltre, tutti gli obbligati cambiari sono obbligati in solido nei confronti del portatore del titolo alla
scadenza, che può chiedere a ciascuno di essi il pagamento dell’intera somma cambiaria.
Nei confronti del portatore del titolo, gli obbligati cambiari sono distinti in due categorie:
obbligati diretti lo sono: l’emittente, l’accettante ed i loro avallanti
obbligati di regresso lo sono: il traente, i giranti, i loro avallanti e l’accettante per intervento.
I gradi cambiari
Gli obbligati cambiari sono disposti per gradi.
- Nella cambiale tratta accettata, obbligato di primo grado è l’accettante, obbligato di secondo grado è il
traente, obbligato di terzo grado è il primo girante e seguono poi nell’ordine i successivi giranti.
- Nel vaglia cambiario, obbligato di primo grado è sempre l’emittente, seguono poi i giranti nell’ordine.
La graduazione delle obbligazioni cambiarie comporta che, se paga l’obbligato di primo grado, tutti gli altri
sono liberati non solo nei confronti del portatore, ma anche nei rapporti interni. Il pagamento effettuato da
un obbligato di grado intermedio libera solo quelli di grado successivo, dato che colui che paga ha azione
cambiaria per il recupero dell’intera somma pagata nei confronti degli obbligati di grado anteriore.
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L’accettazione è un istituto proprio della cambiale tratta, e il suo effetto è quello di far diventare il trattario
obbligato cambiario diretto. Prima dell’accettazione, infatti, il portatore non ha contro il trattario nessuna
azione:
né cambiaria, appunto perché manca l’accettazione
né ordinaria, perché anche se il trattario è debitore verso il traente ed anche se l’ha autorizzato a
emettere la tratta, tale obbligazione sussiste soltanto verso il traente, e non verso il portatore della
cambiale.
Presentazione per l’accettazione
La presentazione della cambiale per l’accettazione costituisce una facoltà del portatore del titolo; tuttavia, il
traente può anche vietare che la cambiale sia presentata per l’accettazione. Non si può dichiarare la cambiale
non accettabile nelle seguenti tre ipotesi:
1. quando la scadenza è a certo tempo vista (e quindi la cambiale deve essere presentata
all’accettazione, onde inizi a decorrere il tempo per il pagamento);
2. quando la cambiale è pagabile da un terzo (domiciliazione completa);
3. quando deve essere pagata dallo stesso trattario, ma in un luogo diverso dalla sua residenza
(domiciliazione incompleta).
In tutte le ipotesi di cambiale domiciliata, la presentazione per l’accettazione è necessaria per consentire al
trattario di predisporre i mezzi, per evitare che il pagamento venga fatto nel luogo e dalla persona indicati
dalla cambiale.
Nell’ipotesi in cui il traente apponga la clausola “non accettabile”, se egualmente la cambiale viene
presentata all’accettazione e il trattario la rifiuta, gli obbligati di regresso non sono responsabili per il questo
rifiuto. Se invece, malgrado la clausola “non accettabile”, il trattario accetta la cambiale, l’accettazione è
valida e l’accettante diventa obbligato cambiario diretto.
Forma / Contenuto
Per quanto riguarda la forma dell’accettazione, il trattario accetta la cambiale apponendo sulla stessa la
clausola “accettato” o “visto”.
Il rifiuto dell’accettazione della cambiale espone gli obbligati di regresso al pagamento prima della scadenza
(regresso per mancata accettazione).
L’avallo.
L’avallo è una dichiarazione cambiaria con la quale un soggetto (avallante) garantisce il pagamento della
cambiale per tutta o parte della somma.
L’avallo può essere dato per uno o qualsiasi degli obbligati cambiari e l’avallante deve indicare per chi
l’avallo è dato. In mancanza di quest’ultima indicazione, l’avallo si intende dato ex lege per il traente nella
cambiale tratta e per l’emittente nel pagherò cambiario.
L’avallante è obbligato nello stesso modo di colui per il quale l’avallo è stato dato quindi:
si diventa obbligati diretti, se l’avallato è obbligato diretto;
si diventa invece obbligati di regresso se tale è l’avallato.
Nei confronti del portatore del titolo l’avallante è obbligato in solido con l’avallato e con gli altri obbligati
cambiari al pagamento della cambiale. Nei rapporti interni, l’avallante è invece un obbligato di garanzia di
grado successivo rispetto all’avallato. L’avallante che paga la cambiale ha azione cambiaria di rivalsa per
l’intero contro l’avallato e contro gli obbligati di grado anteriore.
L’avallo è un’obbligazione autonoma rispetto a quella dell’avallato. Infatti, l’avallante è tenuto al
pagamento anche se l’obbligazione dell’avallato è invalida. L’avallante può opporre al portatore soltanto il
vizio di forma dell’obbligazione dell’avallato.
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La girata comporta il trasferimento della legittimazione all’esercizio dei diritti cartolari. Anche nella
cambiale, il possessore in buona fede del titolo, che si legittima in base ad una serie continua di girate,
diventa proprietario del titolo e titolare del diritto, prevalendo sul proprietario spossessato.
La cambiale può essere girata «per procura» o a titolo di pegno. La relativa disciplina coincide con quella
dettata in via generale per i titoli all’ordine (cap. 40 par. 7).
Le azioni cambiarie.
In caso di rifiuto del pagamento il portatore del titolo può agire contro tutti gli obbligati cambiari per
ottenere il pagamento. La relativa azione è però regolata diversamente a seconda che si tratti di obbligati
diretti o di regresso.
Per quanto riguarda l’azione diretta, il portatore è tenuto ad osservare solo il termine di prescrizione di tre
anni, che decorre dalla scadenza della cambiale.
L’esercizio dell’azione di regresso è subordinato a particolari condizioni sostanziali e a specifici
adempimenti formali.
Condizioni sostanziali: l’azione contro gli obbligati di regresso può essere innanzitutto esercitata alla
scadenza, se il pagamento non ha avuto luogo. Può essere esercitata anche prima della scadenza:
1) se l’accettazione è stata rifiutata in tutto o in parte;
2) in caso di fallimento del trattario o dell’emittente nel pagherò cambiario;
3) in caso di fallimento del traente di una cambiale non accettabile.
Adempimenti formali: In caso di fallimento, per esercitare il regresso basta produrre la relativa sentenza
dichiarativa.
Protesto
Negli altri casi l’esercizio dell’azione di regresso è subordinato alla preventiva constatazione del rifiuto
dell’accettazione o di pagamento con atto autentico che prende il nome di protesto. L’omessa levata del
protesto comporta per il portatore la decadenza dalle azioni di regresso. Il protesto deve essere elevatocontro
i soggetti designati nella cambiale per l’accettazione o il pagamento.
Responsabilità solidale
Gli obbligati cambiari sono tutti obbligati in solido nei confronti del portatore.
L’obbligato cambiario che ha pagato, libera definitivamente i coobbligati di grado successivo. Egli ha azione
cambiaria di ulteriore regresso contro gli obbligati di grado anteriore e può chiedere a ciascuno di essi il
rimborso integrale di quanto pagato.
L’azione di regresso del portatore del titolo è soggetta al termine di prescrizione di un anno, che decorre
dalla data del protesto levato in tempo utile o dalla scadenza, se vie è la clausola «senza protesto». L’azione
di ulteriore regresso cambiario del solvens si prescrive invece in sei mesi dal giorno del pagamento o da
quello in cui l’azione di regresso è stata promossa contro di lui.
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Il protesto è l’atto autentico necessario per la conservazione delle azioni di regresso. Con esso si constata la
mancata accettazione o il mancato pagamento della cambiale da parte del designato a pagare in via
principale (trattario o emittente). Il protesto deve essere elevato, dietro presentazione del titolo, contro i
soggetti designati nella cambiale per l’accettazione o il pagamento.
Sono abilitati alla levata del pretesto i notai, gli ufficiali giudiziari e i loro aiutanti.
L’atto di protesto è redatto dal notaio o dall’ufficiale giudiziario ed è sottoscritto anche al presentatore. Il
protesto può essere annotato sulla cambiale o con atto separato.
I protesti per mancato pagamento sono pubblicati in un apposito registro informatico dei protesti. Esso può
essere sostituito da una dichiarazione scritta di rifiuto dell’accettazione o del pagamento. Anche questa
dichiarazione è soggetta a pubblicità legale.
Le azioni extracambiarie.
L’emissione e la circolazione della cambiale trovano di regola fondamento in un preesistente rapporto di
debito fra chi dà e chi riceve il titolo. Questo rapporto non si estingue con l’emissione o con la girata della
cambiale. Per realizzare il proprio credito il possessore della cambiale ha perciò a disposizione, oltre le
azioni cambiarie, anche l’azione causale nei confronti del debitore che è stato parte del relativo rapporto.
Per poter esercitare l’azione causale è però necessario che:
siano accertati col protesto la mancata accettazione o il mancato pagamento della cambiale;
il portatore offra al debitore la restituzione della cambiale;
il portatore abbia inoltre adempiute tutte le formalità necessarie per conservare al debitore le azioni
di regresso che possono competergli.
Può infine verificarsi che il portatore della cambiale abbia perduto, per decadenza o prescrizione, tutte le
azioni cambiarie e non abbia alcuna azione causale da esercitare. In questo caso è possibile agire contro il
traente, l’accettante o il girante «per la somma di cui si siano arricchiti ingiustamente a suo danno» (azione
di ingiustificato arricchimento).
Ammortamento.
La disciplina dell’ammortamento della cambiale sostanzialmente coincide con quella dettata in via generale
dal codice per i titoli di credito all’ordine.
Le cambiali finanziarie.
Le cambiali finanziarie costituiscono uno strumento che consente alle imprese di raccogliere direttamente
fra il pubblico capitale di credito a breve termine, alternativo rispetto al ricorso al credito bancario spesso
troppo costoso.
Esse sono titoli di credito all’ordine emessi in serie, con scadenza non inferiore a tre mesi e non superiore a
dodici mesi dalla data di emissione.
La loro struttura è quella del pagherò cambiario; contengono cioè una promessa di pagamento da parte
dell’emittente. La disciplina applicabile alle cambiali finanziarie è la stessa di quella prevista per le cambiali
ordinarie. C’è da dire però che:
1. le cambiali finanziarie devono avere un taglio minimo non inferiore a 50.000 euro;
2. nella cambiale finanziaria devono essere indicati anche i proventi a favore del prenditore;
3. le cambiali finanziarie possono essere girate esclusivamente senza assunzione di obbligazione
cambiaria di regresso da parte del girante (per agevolare la sottoscrizione da parte dei risparmiatori,
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dato che potranno far circolare ulteriormente i titoli e smobilizzare l’investimento senza esporsi a
responsabilità cambiaria).
L’assegno bancario è un titolo di credito che contiene l’ordine incondizionato diretto ad una banca di pagare
a vista una somma determinata all’ordine di una determinata persona o al portatore.
Funzione dell’assegno bancario è quella di consentire l’utilizzazione di somme disponibili presso una banca
per effettuare pagamenti a terzi evitando l’utilizzo materiale del denaro. L’assegno è quindi uno strumento di
pagamento alternativo alla moneta legale.
Cambiale tratta e assegno bancario hanno la stessa struttura. Le persone che figurano infatti sono:
il traente, che dà l’ordine di pagamento alla banca e risponde del mancato pagamento;
la banca-trattaria alla quale l’ordine di pagamento è rivolto;
il prenditore dell’assegno.
Essendo identica la struttura, la disciplina dell’assegno bancario è in larga parte modellata su quella della
cambiale tratta. In particolare, anche l’assegno bancario, è un titolo astratto, formale ed esecutivo. Di
regola incorpora una pluralità di obbligazioni (quelle del traente, dei giranti e dei loro avallanti) fra di loro
indipendenti, solidali e disposte per gradi.
Se identica è la struttura, diversa è però la funzione tipica dei due titoli: strumento di pagamento l’assegno
bancario; strumento di credito la cambiale tratta.
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L’istituto del visto tutela parzialmente l’aspettativa del portatore di pagamento dell’assegno. Il visto, scritto
sull’assegno e firmato dalla banca trattaria, non comporta però un obbligo di pagamento della stessa, ma ha
soltanto l’effetto di accertare l’esistenza di fondi ed impedirne il ritiro da parte del traente prima della
scadenza del termine di presentazione. Perciò, se la banca consente al traente di disporre diversamente dei
fondi, la banca stessa dovrà risarcire i danni al portatore.
Più diffuso, soprattutto nei rapporti fra banche, è il c.d. benefondi. Questo consiste nella conferma
dell’esistenza dei fondi da parte della banca trattaria, su richiesta della banca cui il titolo è girato per
l’incasso.
Di regola, il bene fondi ha il valore di semplice informazione sull’esistenza attuale dei fondi e non comporta
alcuna obbligazione extra cartolare di pagamento da parte della banca trattaria (c.d. benefondi
informativo). La banca sarà tenuta al risarcimento dei danni solo qualora abbia fornito informazioni
inesatte. La banca può però impegnarsi espressamente a bloccare i fondi corrispondenti all’ammontare
dell’assegno (c.d. benefondi con blocco). In tal caso si obbliga anche extracartolarmente a pagare l’assegno
qualora questo risulti regolare.
Circolazione.
L’assegno bancario è normalmente un titolo all’ordine. La circolazione dell’assegno bancario all’ordine è
regolata da norme che sostanzialmente coincidono con quelle dettate per la cambiale. In particolare, anche il
girante dell’assegno bancario risponde ex lege del pagamento come obbligato di regresso.
Il pagamento dell’assegno.
L’assegno bancario è sempre pagabile a vista ed ogni contraria disposizione si ha per non scritta.
L’assegno bancario deve essere presentato per il pagamento, presso lo sportello della banca trattaria indicato
nel titolo entro i termini previsti. L’omessa presentazione dell’assegno nei termini comporta la perdita
dell’azione di regresso contro i giranti ed i loro avallanti, non però verso il traente.
La banca è perciò libera di pagare anche dopo la scadenza dei termini, salvo che abbia ricevuto dal traente
l’ordine di non pagare. Inoltre, la facoltà della banca di pagare l’assegno permane anche in caso di morte o
di sopravvenuta incapacità del portatore
Nell’assegno all’ordine, la banca che paga è tenuta ad accertare la regolare continuità delle girate, ma non a
verificare l’autenticità delle firme dei giranti.
L’ammortamento.
La disciplina dell’ammortamento dell’assegno bancario è modellata su quella della cambiale. C’è da dire
però che:
non si fa distinzione fra assegno all’ordine e assegno al portatore e perciò la procedura di
ammortamento è eccezionalmente ammessa anche per quest’ultimo;
la procedura di ammortamento è esclusa per l’assegno non trasferibile, dato che lo stesso non può
circolare. Il prenditore ha senz’altro diritto di ottenere un duplicato denunziandone lo smarrimento,
la distruzione o la sottrazione sia al trattario sia al traente.
L’assegno circolare è un titolo di credito all’ordine che contiene la promessa incondizionata della banca
emittente di pagare a vista una somma di denaro. La sua emissione avviene dietro versamento da parte del
richiedente dell’importo corrispondente.
L’assegno circolare è, come l’assegno bancario, un mezzo di pagamento. La sua struttura però coincide,
non con quella della cambiale tratta, ma con quella del vaglia cambiario: incorpora infatti un’obbligazione
diretta di pagamento della banca emittente.
Per quanto riguarda le condizioni di regolarità, è previsto che:
a) l’emissione di assegni circolari è consentita solo alle banche specificamente autorizzate dalla Banca
d’Italia;
b) la banca può emettere assegni circolari solo per somme che siano presso di essa disponibili al
momento dell’emissione;
c) la banca autorizzata ad emettere assegni circolari deve costituire presso la Banca d’Italia una
cauzione in titoli a garanzia dei medesimi.
Costituiscono invece requisiti formali di validità dell’assegno circolare:
1) la denominazione di assegno circolare;
2) la promessa incondizionata di pagare a vista una somma determinata;
3) l’indicazione del prenditore;
4) l’indicazione della data e del luogo nel quale l’assegno circolare è emessa;
5) la sottoscrizione della banca emittente.
Non è invece richiesta l’indicazione del luogo di pagamento, dato che l’assegno circolare è pagabile presso
tutti i recapiti (filiali, agenzie, ecc.). dalla banca emittente.
Disciplina
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All’assegno circolare si applica la disciplina del vaglia cambiario a vista. Tuttavia, data la funzione di mezzo
di pagamento dell’assegno circolare:
a. la girata a favore dell’emittente estingue il titolo;
b. il possessore deve presentare l’assegno per il pagamento entro trenta giorni dall’emissione,
pena la decadenza delle azioni di regresso.
Inoltre, all’assegno circolare si applica anche la disciplina dell’assegno bancario in tema di assegno sbarrato,
da accreditare, non trasferibile e turistico; nonché la disciplina dell’ammortamento.
La crisi economica dell’impresa ed il conseguente dissesto patrimoniale dell’imprenditore sono eventi che
possono provocare un “effetto domino” e comportare gravi turbative per lo svolgimento della vita
economica. Infatti, i creditori di un imprenditore sono quasi sempre a loro volta imprenditori (fornitori,
banche, ecc.), e la mancata realizzazione del credito concesso può provocare, di riflesso, la crisi economica
delle loro imprese. Sono eventi infine che, soprattutto se si tratta di grandi imprese, coinvolgono interessi
collettivi ulteriori che possono talvolta configgere con quelli dei creditori. Su tutti, l’interesse alla
salvaguardia dell’occupazione attraverso il risanamento dell’impresa e la continuazione dell’attività quando
la crisi è temporanea e reversibile.
La crisi dell’impresa commerciale
Il dissesto patrimoniale può riguardare qualsiasi tipo d’impresa. La sistemazione del dissesto degli
imprenditori agricoli e dei piccoli imprenditori commerciali resta affidata agli strumenti di diritto comune.
Per il dissesto dell’imprenditore commerciale non piccolo sono state invece previste speciali procedure,
diversamente articolate, denominate procedure concorsuali.
Le procedure concorsuali
La legge regola attualmente cinque procedure concorsuali. Tre sono previste dalla legge fallimentare e
sono: il fallimento, il concordato preventivo e la liquidazione coatta amministrativa. Una quarta procedura
concorsuale, l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, è stata introdotta
dalla legge 3-4-1979, n. 95, e successivamente radicalmente riformata.
Capitolo 45 – Il Fallimento
Il fallimento è una procedura concorsuale liquidativa nata per la regolazione della crisi di impresa quando ci
sono dei presupposti soggettivi ed oggettivi ben delineati. Ha come fine la disciplina del concorso fra i
creditori del fallito che vanno con tale procedura almeno parzialmente soddisfatti.
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I presupposti per la dichiarazione di fallimento sono:
1. la qualità di imprenditore commerciale del debitore;
2. lo stato di insolvenza dello stesso;
3. il superamento di almeno uno dei limiti dimensionali fissati dall’art. 1, legge fall.
4. la presenza di inadempimenti complessivamente superiori all’importo fissati dalla legge
Presupposto soggettivo
L’ambito di applicazione del fallimento subisce alcune limitazioni in quanto:
a) il fallimento è sostituito dalla liquidazione coatta amministrativa per alcune categorie di imprenditori
commerciali (imprese bancarie e assicurative)
b) il fallimento cede il passo all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di
insolvenza quando ricorrono i presupposti specifici per l’applicazione di tale procedura;
c) gli enti pubblici sono esonerati dal fallimento restando soggetti alla liquidazione coatta
amministrativa
d) le società c.d. start up innovative sono soggette solo alle procedure concorsuali delle crisi a
sovraindebitamento con esclusione del fallimento
Presupposto oggettivo
Primo presupposto oggettivo del fallimento è lo stato di insolvenza dell’imprenditore. L’insolvenza è una
situazione patologica ed irreversibile che coinvolge l’intero patrimonio dell’imprenditore e non gli consente
di soddisfare le obbligazioni assunte
L’insolvenza può manifestarsi o con l’inadempimento di determinate obbligazioni o attraverso fatti esteriori
(pagamenti con mezzi anormali, fuga o latitanza dell’imprenditore).
Stato di insolvenza e inadempimento vanno tenuti distinti. Infatti, un imprenditore può aver soddisfatto
tutti i suoi debiti ed essere ciò nonostante insolvente, se lo ha fatto con mezzi anormali (ricorso a prestiti
usurai, ad esempio) diretti a mascherare l’insolvenza. Viceversa, l’imprenditore può essere inadempiente
senza essere insolvente. Ad esempio, non è insolvente l’imprenditore che ha mezzi patrimoniali liquidi e non
paga perché trascura per negligenza di pagare. Non è inoltre insolvente l’imprenditore che non paga per
cause che comportano solo una temporanea difficoltà di adempimento.
Non si fa luogo, infatti, alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati
risultanti dagli atti dell’istruttoria fallimentare è complessivamente inferiore a trentamila euro.
Infine, perché possa essere dichiarato il fallimento è necessario che il debitore abbia superato anche uno solo
dei limiti patrimoniali, reddituali e di indebitamento fissati dall’art. 1, 2° comma, legge fall.
La cessazione dell’attività d’impresa o la morte dell’imprenditore non impediscono la dichiarazione di
fallimento.
La dichiarazione di fallimento
Il fallimento può esser dichiarato:
su ricorso di uno o più creditori;
su richiesta del debitore
su istanza del pubblico del pubblico ministero
Il processo di fallimento è un processo speciale a carattere inquisitorio il giudice non incontra limitazioni
processuali nell’acquisizione delle relative prove.
L’imprenditore può avere interesse a provocare il proprio fallimento per sottrarsi a una serie di azioni
esecutive individuali in atto.
L’imprenditore che chiede il proprio fallimento deve depositare presso la cancelleria del tribunale una serie
di documenti come: le scritture contabili e i ricavi dei tre esercizi precedenti, l’elenco dei creditori con i
rispettivi crediti.
Il pubblico ministero ha il potere-dovere di chiedere il fallimento quando l’insolvenza risulta da fatti che
configurano reati fallimentari (fuga o latitanza dell’imprenditore).
Competente per la dichiarazione di fallimento è il tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede
principale dell’impresa.
La riforma del 2006 ha introdotto una più dettagliata disciplina dell’istruttoria prefallimentare; tuttavia,
resta fermo rispetto al passato che il tribunale decide sulla richiesta di fallimento con uno speciale
procedimento in camera di consiglio, caratterizzato da maggiore semplicità di forme.
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Il tribunale può anche emettere provvedimenti cautelari o conservativi volti a tutelare il patrimonio o
l’impresa dell’imprenditore per la durata dell’istruttoria prefallimentare.
Se il tribunale ritiene di non dover accogliere la domanda di fallimento provvede con decreto motivato.
Contro tale provvedimento il creditore può proporre reclamo alla corte d’appello
Sentenza dichiarativa
Il fallimento è dichiarato con sentenza. Essa contiene la pronunzia di fallimento e svolge alcuni
provvedimenti necessari per lo svolgimento della procedura:
nomina il giudice delegato e il curatore preposti al fallimento;
ordina al fallito il deposito del bilancio e delle scritture contabili.
La sentenza viene notificata d’ufficio al debitore, nonché comunicata per estratto al pubblico ministero, al
curatore ed al creditore richiedente il fallimento. È inoltre resa pubblica mediante annotazione nel registro
delle imprese.
La sentenza di fallimento è immediatamente esecutiva fra le parti.
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Il curatore è l'organo preposto all'amministrazione del patrimonio fallimentare ed è investito della qualità di
pubblico ufficiale. Egli viene nominato dal tribunale con la sentenza che dichiara il fallimento; tuttavia, i
creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi possono chiedermele chiederne la
sostituzione.
Entro 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento, il curatore deve presentare al giudice delegato una
relazione riguardante le cause del dissesto e le responsabilità del fallito.
La funzione centrale del curatore è quella di conservare, gestire e realizzare il patrimonio fallimentare. Per
fare ciò è necessaria l'autorizzazione del comitato dei creditori per tutti quegli atti che eccedono l'ordinaria
amministrazione.
Il comitato dei creditori è composto da tre o cinque membri scelti fra i creditori. L'organo è nominato dal
giudice delegato entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento. I creditori che rappresentano la maggioranza
dei crediti ammessi possono effettuare tuttavia nuove designazioni.
Funzione del comitato dei creditori è quella di vigilare sull'operato del curatore. Nello specifico, il comitato:
autorizza il curatore a compiere una serie di atti, fra cui quelli di straordinaria amministrazione
approva il programma di liquidazione predisposto dal curatore
ha diritto ad ispezionare tutti i documenti del fallimento.
Il comitato dei creditori può presentare istanza al Tribunale per la revoca del curatore e può esercitare.
l'azione di responsabilità contro il curatore revocato.
Contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori, il fallito può proporre reclamo al giudice delegato
ma solamente per violazioni di legge.
100
Identico è anche il termine entro cui le due azioni revocatorie devono essere esercitate entro tre anni
dalla dichiarazione di fallimento. Riguardo la revocatoria fallimentare vi è poi una categoria di atti che è
senz’altro priva di effetti nei confronti dei creditori. Rientrano in questa categoria:
1. gli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento (ad esempio,
donazioni);
2. i pagamenti di debiti che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento o successivamente,
anch’essi se compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento (è evidente, infatti, la
lesione della par condicio creditorum).
Per questi atti il curatore non ha bisogno di agire in giudizio per l’accertamento della loro inefficacia. Il
terzo è senz’altro tenuto a restituire al fallimento quanto ricevuto; irrilevante è la sua ignoranza dello stato di
insolvenza.
Revocatoria giudiziale
Gli atti sottoposti alla revocatoria fallimentare si distinguono in due categorie:
- Atti normali gli atti a titolo oneroso, pagamenti di debiti scaduti o garanzie che presentino anormalità
tali da far presumere l’intenzione fraudolenta: il legislatore presume l’intenzione fraudolenta se compiuti
nell’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento, (per i pegni, anticresi e ipoteche se compiuti nei
sei mesi precedenti), ammettendo però che il terzo possa provare di aver ignorato lo stato di insolvenza
del soggetto fallito nel momento in cui è stato compiuto l’atto;
- Atti anormali gli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie che non presentino irregolarità: il
legislatore ha ammesso la revocatoria solo se il curatore provi che l’altra parte conosceva lo stato di
insolvenza e gli atti stessi siano stati compiuti entro sei mesi dalla dichiarazione di fallimento.
Atti fra coniugi
La disciplina della revocatoria fallimentare è resa più drastica quando i relativi atti di disposizione sono posti
in essere fra i coniugi. È infatti previsto:
a. che possono essere revocati tutti gli atti di disposizione fra coniugi a partire dal momento in cui il
fallito aveva iniziato l’esercizio di un’impresa commerciale;
b. che la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del coniuge è sempre presunta; opera cioè
non solo per gli atti anormali ma anche per quelli normali. Sul coniuge del fallito graverà perciò
in ogni caso l’onere di provare che ignorava lo stato di insolvenza dello stesso.
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Un particolare modo di chiusura del fallimento è costituito dal concordato fallimentare, istituto che
consente all'imprenditore fallito di chiudere definitivamente i rapporti pregressi, attraverso il pagamento
parziale dei creditori
Il concordato può giovare sia al fallito che ai creditori:
1. il primo si libera definitivamente dei propri debiti, per la parte che cede la percentuale concordataria
(il che non si verifica con gli altri modi di chiusura del fallimento).
2. i secondi a loro volta rinunciano sia ad una parte del proprio credito ma vengono compensati con la
possibilità di ottenere qualcosa di più e soprattutto più rapidamente rispetto alla liquidazione
fallimentare dell'attivo.
Le fasi essenziali sono
la proposta
l'approvazione della maggioranza dei creditori
l'omologazione da parte del tribunale.
La proposta di concordato può essere presentata da uno o più creditori, da un terzo o dal fallito.
Creditore e terzi possono proporre il concordato in qualsiasi momento, mentre il fallito deve rispettare
determinate tempistiche, brevi, per evitare che questo possa mirare a stancare i creditori e piegarli ad
accettare concordati poco convenienti.
Il contenuto della proposta di concordato può essere variante può essere variamente articolato; l'ipotesi più
frequente è l'offerta di un pagamento in percentuale e dilazionato (concordato misto).
La proposta presentata dai creditori o da un terzo può prevedere che persone diverse dal fallito assumano la
veste di obbligato principale per l'adempimento del concordato. In questo caso si ha la figura dell'assuntore
del concordato, che può obbligarsi in solido col fallito (accollo cumulativo) o può restare il solo obbligato
se si prevede la liberazione immediata del fallito da ogni debito (accollo liberatorio).
Come corrispettivo dell'accollo, all'assuntore, viene di regola ceduto tutto l'attivo fallimentare.
Hanno diritto di voto i creditori chirografari ammessi al passivo con riserva (se la votazione ha luogo prima
che sia stato reso esecutivo lo stato passivo) mentre non possono votare i creditori privilegiati.
Per l'approvazione della proposta è richiesto il consenso dei creditori che rappresentano la maggioranza
dei crediti ammessi al voto.
Una volta approvato, il concordato è sottoposto al giudizio di omologazione del tribunale, che si conclude
con il decreto di omologazione. Se il concordato è omologato, la procedura fallimentare si intende chiusa.
Gli effetti del concordato possono cessare per risoluzione o per annullamento.
La risoluzione si fonda su l'inadempimento del concordato ed è pronunziata dal tribunale con sentenza su
richiesta di ciascun creditore.
L’esecuzione del concordato è effettuata dal fallito sotto la sorveglianza del giudice delegato, del curatore e
del comitato dei creditori.
L'annullamento del concordato è disposto dal tribunale quando, per esempio, si scopre che una parte
dell'attivo era stata sottratta. dissimulata. Annullato o risolto il concordato, si riapre automaticamente il
fallimento.
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Il fallimento della società non è senza effetti per i soci nella società. Nelle società lucrative tali effetti sono
però nettamente diversi a seconda del tipo di società e del regime di responsabilità dei soci.
Per i soci a responsabilità limitata, il fallimento della società comporta come unica conseguenza
che il giudice delegato può ordinare loro di eseguire i conferimenti ancora dovuti (coincide con il
capitale sottoscritto).
Nelle società in nome collettivo, nella società in accomandita semplice e nella accomandita per
azioni il fallimento della società produce anche il fallimento dei soci a responsabilità illimitata.
Patrimoni destinati
Il Codice civile stabilisce che “La società può costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in
via esclusiva ad uno specifico affare”.
Tale istituto permette, quindi, alle società di gestire singole iniziative commerciali senza costituire società
apposite. La costituzione di patrimoni destinati genera, infatti, masse patrimoniali distinte, ciascuna delle
quali può essere aggredita unicamente dai rispettivi creditori. Pertanto, delle obbligazioni contratte per la
realizzazione dello specifico affare risponde soltanto il patrimonio destinato, restando quindi escluso il
residuo patrimonio della società.
Il concordato preventivo è una procedura concorsuale alla quale può ricorrere qualsiasi imprenditore
commerciale in stato di crisi economica che superi i limiti dimensionali fissati dall’art. 1, 2° comma l. fall.
per la soggezione al fallimento.
Per stato di crisi si intende sia una difficoltà temporanea e reversibile che non consente all’imprenditore di
soddisfare regolarmente i creditori, sia lo stato di insolvenza che giustificherebbe la dichiarazione di
fallimento.
Il concordato preventivo è perciò una procedura concorsuale alla quale può essere riconosciuta una duplice
finalità:
Se la crisi è temporanea e reversibile, essa mira a superare tale situazione attraverso il risanamento
economico e finanziario dell’impresa.
Se la crisi è definitiva e irreversibile, il concordato preventivo può essere attuato prima che sia
dichiarato il fallimento e serve ad evitare il fallimento stesso.
La procedura di concordato preventivo inizia con la domanda di ammissione del debitore. Ricevuta la
domanda il tribunale svolge un controllo preliminare diretto ad accertare se ricorrono i presupposti richiesti
dalla legge per l’ammissione nella procedura. Se ritiene ammissibile la proposta, il tribunale, con decreto
dichiara aperta la procedura di concordato preventivo; al contrario, dichiara inammissibile la proposta.
Per quanto riguarda gli organi della procedura essi sono:
il giudice delegato, cui compete la direzione della procedura;
un commissario giudiziale, che svolge funzioni di vigilanza e di controllo.
Il decreto di ammissione è pubblicato nel registro delle imprese.
In merito agli effetti riguardanti il debitore, a differenza del fallimento, egli conserva l’amministrazione
dei suoi beni e continua l’esercizio dell’impresa, anche se sotto la vigilanza del commissario giudiziale.
In ogni caso, occorre l’autorizzazione del giudice delegato per il compimento di atti che eccedono
l’ordinaria amministrazione. Gli atti di straordinaria amministrazione compiuti senza autorizzazione sono
inefficaci nei confronti dei creditori anteriori al concordato.
Gli effetti per i creditori anteriori al concordato sono quasi del tutto coincidenti con quelli propri del
fallimento, dato che anche il concordato preventivo si basa sul principio della par condicio creditorum.
Non possono infatti iniziare o proseguire azioni esecutive individuali sul patrimonio del debitore fino al
momento in cui il decreto di omologazione diventa definitivo. Inoltre, non possono acquistare diritti di
prelazione.
Non trova invece applicazione la disciplina della revocatoria fallimentare e non è richiamata la disciplina del
fallimento per i contratti in corso di esecuzione.
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L’apertura del fallimento in seguito al mancato perfezionamento del concordato o alla risoluzione dello
stesso pone due problemi:
- primo problema è se i termini per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare (due anni, un anno o
sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento) decorrano dalla data del decreto di ammissione al
concordato preventivo o da quella successiva della dichiarazione di fallimento. Prevalente è la prima
soluzione: si vuole evitare che i creditori anteriori, dopo aver invano atteso l’adempimento del
concordato, subiscano oltre il danno anche la beffa di veder sfumata quasi ogni possibilità di reintegrare
il patrimonio del fallito attraverso le azioni revocatorie.
- secondo problema; coloro che sono diventati creditori dell’imprenditore durante la procedura di
concordato devono essere considerati nel successivo fallimento creditori della massa (e quindi
soddisfatti in prededuzione) o all’opposto devono essere considerati creditori concorsuali (e quindi
soddisfatti in percentuale)? Prevalente è l’orientamento che ammette la prededucibilità. Quindi i debiti
sorti in occasione delle procedure concorsuali regolate dalla legge fallimentare devono essere soddisfatti
con preferenza rispetto agli altri.
Prededuzione: il diritto dei creditori della massa di essere soddisfatti nei limiti della capienza dell'attivo
realizzato con precedenza assoluta rispetto ai creditori concorrenti e prima del riparto.
ALTRA ROBA
Differenza tra società di persona e società di capitali
OPA
Bilancio con connessione alle società studiate
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La liquidazione giudiziale
Il titolo V ha per oggetto la liquidazione giudiziale; una procedura che sostituisce il fallimento, finalizzata
alla liquidazione del patrimonio dell'imprenditore insolvente.
Essa opera ripartendo il ricavato a favore dei creditori sulla base della loro graduazione. In maniera
Rispetto alla procedura fallimentare risulta essere più snella. Ed efficiente.
Viene inoltre conferita una particolare rilevanza al curatore, acquisisce obblighi informativi più importanti
rispetto al prima, perché deve avvisare e consultarsi continuamente con gli altri organi.
Tra le novità più rilevanti si segnalano:
1. L'attribuzione al curatore della facoltà di effettuare azioni di responsabilità a più ampio
raggio, escludendo la autorizzazione da parte del giudice e del comitato dei creditori.
2. L'estensione del raggio temporale per l'azione revocatoria, che inizia a decorrere dal deposito
della domanda (non dall'apertura della procedura).
3. Il ridimensionamento del ruolo del comitato dei creditori, che viene soppresso per le procedure
minori e reso più snello per le altre.
Il fallimento era come uno strumento di tutela dei creditori, in quanto gli imprenditori erano inadempienti
nei loro confronti e quindi potevano andarsi a generare situazioni con effetto domino imprenditori
inadempienti non pagavano i creditori, che a loro volta magari erano imprenditori.
Col tempo la giurisdizione ha cambiato la sua idea in merito a ciò, in quanto ha preferito proteggere di più
l'azienda, perché a livello sociale risulta più utile che continui un'azienda piuttosto che con il fallimento cessi
di esistere soprattutto all'inizio gli imprenditori attuavano il fallimento per evitare per evitare di
adempiere ad alcuni obblighi.
Si è arrivati oggi ad avere la disciplina della crisi e dell'impresa che sostituisce il fallimento con la
liquidazione giudiziale che è preceduta da una procedura di allerta procedura non giudiziale che
prevede l'intervento tempestivo dell’organo amministrativo per salvaguardare sia i creditori che gli
imprenditori da una futura insolvenza.
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Se questa azione non ha risultato si passa a una procedura giurisdizionale, ossia la suddetta liquidazione
giudiziale, che prevede alla liquidazione di tutto il patrimonio dell'imprenditore.
Inizialmente, le procedure di liquidazione erano molto lunghe perché il tempo iniziava a decorrere dall'inizio
della procedura, mentre invece adesso il tempo inizia il decorrere dal deposito della domanda.
Questa sistema di risanamento di crisi dell'impresa è di stampo anglosassone; infatti, gli inglesi non
prevedono infatti subito il fallimento, ma in situazioni di crisi loro congelano i creditori, impedendogli di
agire singolarmente nei confronti della società, ma devono aspettare che le società si risanino.
Lo sconto
Lo sconto è un'operazione bancaria con la quale la banca (scontante) anticipa ad un suo cliente (scontatario)
l'importo di un credito non ancora scaduto che il cliente vanta nei confronti di terzi.
Il cliente, in cambio di questo anticipo della banca, cede salvo buon fine il credito stesso. La funzione,
quindi, è quella di monetizzare un credito prima della scadenza dello stesso.
Ad esempio, nel caso dell'imprenditore che vanta un credito nei confronti di un terzo, ma abbia bisogno di
liquidità immediata, egli può ricorrere a tale operazione con la Banca che quindi anticipa il valore del credito
che sarà nel frattempo maggiore del dell'importo che tu hai prestato.
Il valore sarà intermedio fra il valore prestato in zero e il valore che il terzo ti deve in uno, sarà un valore
intermedio e quindi la banca te lo anticipa in modo che tu puoi soddisfare la tua richiesta di liquidità.
La Banca invece aspetterà la scadenza di questo credito e quindi il lucro della banca sta nella differenza tra il
valore intermedio del credito che ti ha pagato e il valore finale dello stesso che il terzo avrebbe dovuto dare
al cliente che era creditore.
Il cliente aveva bisogno immediato di liquidità e quindi ha accettato una cifra minore.
A sua volta la Banca, in caso avesse necessità di liquidità, può riscontare il credito presso un’altra banca; il
risconto si ha quando scontante e scontatario sono due banche.
Banca cede salvo buon fine il credito: la Banca è tutelata contro il rischio dell'inadempimento del debitore
ceduto, e quindi, in questo caso il cliente, diciamo lo cede soltanto se va a buon fine; quindi resta obbligato
al pagamento del credito se il debitore è inadempiente e quindi non vi provvede.
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