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- Chi è l’imprenditore?

Secondo l’art. 2082 c.c. è imprenditore “chi esercita professionalmente un’attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”.
Il codice civile distingue l’impresa e l’imprenditore in base a tre criteri:
1) L’oggetto dell’impresa, che crea la distinzione tra imprenditore agricolo (art.2135) e
l’imprenditore commerciale (art.2195)
2) La dimensione dell’impresa che distingue l’imprenditore piccolo (art.2083) e di
conseguenza l’imprenditore medio-grande
3) La natura dell’impresa ovvero la distinzione tra impresa individuale, società e impresa
pubblica.
È quindi requisito necessario lo svolgimento di un’attività (serie ordinata di atti) caratterizzata da
uno specifico scopo (produzione o scambio di beni o servizi) e specifiche modalità di svolgimento
(organizzazione, economicità e professionalità).

- Cosa si intende per organizzazione?


Per organizzazione si intende l’impiego di capitale e lavoro propri e/o altrui che rendono possibile
lo svolgimento dell’attività economica. Si tratta di una precisazione che crea la distinzione tra auto-
organizzazione tipica del lavoratore autonomo e di etero-organizzazione che definisce
l’imprenditore.

- Cosa si intende per economicità?


L’economicità è richiesta in aggiunta allo scopo produttivo dell’azienda; ne consegue che per
aversi impresa è essenziale che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico; secondo
modalità che quindi consentano la copertura dei costi con i ricavi ed assicurino l’autosufficienza
economica; altrimenti si ha consumo e non produzione di ricchezza.
Non è imprenditore perciò chi produce beni o servizi che vengono erogati gratuitamente o a
“prezzo politico”, tale cioè da far escludere la possibilità di equilibrio tra costi e ricavi.
Perché l’attività possa definirsi economica, inoltre, non è necessario lo scopo di lucro; quest’ultimo
infatti non può essere elevato a requisito essenziale dell’attività di impresa dato che normalmente
l’imprenditore ha lo scopo di ricavare il massimo profitto consentito dal mercato. Lo scopo di lucro
diventa così un movente e viene definito “lucro soggettivo” ma dato che la disciplina non può
basarsi su dati soggettivi, dovendo garantire anche l’opponibilità ai terzi, non può essere dichiarato
come requisito essenziale per quanto riguarda sia l’economicità in senso stretto, sia l’impresa in
senso più ampio.

- Cosa si intende per professionalità?


La professionalità è l’ultimo dei requisiti espressamente richiesti dall’art. 2082.
Il carattere professionale riguarda l’esercizio abituale e non occasionale di una data attività
produttiva.
La professionalità non richiede però che l’attività imprenditoriale sia svolta in modo continuato e
senza interruzioni; per le attività stagionali, ad esempio, è sufficiente il costante ripetersi di atti di
impresa secondo le cadenze proprie di quel dato tipo di attività.
La professionalità non richiede neppure che quella di impresa sia l’attività unica e principale; è
quindi possibile anche il contemporaneo esercizio di più attività di impresa da parte dello stesso
soggetto.
- I liberi professionisti possono essere considerati imprenditori?
I liberi professionisti non sono mai in quanto tali imprenditori. L’art. 2238 c.c. stabilisce infatti che
le disposizioni in tema di impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se “l’esercizio della
professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma di impresa”.
È quindi considerato imprenditore, ad esempio, il professore che possiede una scuola privata nella
quale insegna; questo soggetto si trova però assoggettato a due diverse discipline, una per quanto
riguarda la sua posizione di professionista intellettuale e l’altro per quanto riguarda la sua qualità
di imprenditore.

- Differenza imprenditore agricolo e commerciale nel diritto.


Imprenditore agricolo (art.2135) e imprenditore commerciale (art.2195) sono le uniche due
categorie che il codice distingue in base all’oggetto dell’attività.
L’imprenditore agricolo è sottoposto solo alla disciplina dell’imprenditore in generale, mentre è
esonerato da una parte della disciplina che riguarda l’imprenditore commerciale (scritture
contabili, assoggettamento al fallimento, alcune procedure concorsuali).
L’imprenditore agricolo è quindi sottoposto ad un trattamento di favore e definire la differenza tra
queste due tipologie di imprenditore significa andare a definire anche il campo di operatività di
tale trattamento di favore.

- Chi è l’imprenditore agricolo?


Secondo l’attuale formulazione dell’art. 2135 “è imprenditore agricolo chi esercita una delle
seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animale e attività connesse”
“per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività
diretta alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di
carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci,
salmastre o marine” (art.2135 2°comma).
Per allevamento di animali si può oggi intendere, con la nuova formulazione, che non è essenziale
la destinazione a prodotti tipicamente agricoli ma può rientrare nella nozione di allevamento di
animali anche l’allevamento di cavalli da corsa o di animali da pelliccia, nonché l’attività
cinotecnica.
L’imprenditore agricolo è stato equiparato inoltre all’imprenditore ittico.
La seconda categoria di attività agricole è costituita dalle attività agricole per connessione.
Si intendono connesse:
le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e
valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale;
le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o
risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, comprese quelle di valorizzazione
del territorio e del patrimonio rurale e forestale e le attività agrituristiche.
È sufficiente, per la definizione delle attività connesse, che queste attività non prevalgano, per
rilievo economico, sull’attività agricola essenziale. (principio di prevalenza).
- Chi è l’imprenditore commerciale?
È imprenditore commerciale l’imprenditore che esercita una o più delle seguenti categorie di attività, elencate all’art.
2195 comma 1°:
- Attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi
- Attività intermediaria nella circolazione dei beni
- Attività di trasporto
- Attività bancaria o assicurativa
- Altre attività ausiliarie delle precedenti: imprese di agenzia, di mediazione, di deposito, di commissione, di
spedizione, di pubblicità.
Dovrà essere considerata commerciale ogni impresa che non sia qualificabile come agricola.

- Chi è il piccolo imprenditore?


Secondo l’art. 2083 c.c. “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i
piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata
prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”.
Per aversi piccola impresa è necessario che:
a) L’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa
b) Il suo lavoro e quello degli eventuali familiari che collaborano nell’impresa prevalgano sia
rispetto al lavoro altrui sia rispetto al capitale proprio o altrui investito nell’impresa.
Non è perciò mai piccolo imprenditore chi investa ingenti capitali anche se non si avvale di alcun
collaboratore.
Il piccolo imprenditore è assoggettato allo statuto generale dell’imprenditore; è invece esonerato,
anche se esercita attività commerciale, dalla tenuta delle scritture contabili, dal fallimento e dalle
altre procedure concorsuali dell’imprenditore commerciali e, l’iscrizione nel registro delle imprese,
solo di recente prevista, non ha funzione di pubblicità legale.
Nella legge fallimentare vi è stata una riformulazione dei criteri per l’assoggettamento al
fallimento nel 2007. Secondo l’attuale disciplina non è assoggettato al fallimento l’imprenditore
commerciale che dimostri il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) Attivo patrimoniale annuo inferiore a 300.000 euro (3 esercizi antecedenti l’istanza di
fallimento)
b) Ricavi lordi annui inferiori a 200.000 euro (3 esercizi antecedenti l’istanza di fallimento)
c) Debiti anche non scaduti non superiori a 500.000 euro
Tali valori possono essere aggiornati con cadenza triennale con decreto del Ministro della giustizia
sulla base delle variazioni degli indici Istati dei prezzi al consumo, per adeguarli alla svalutazione
monetaria.
1) Qual è la nozione di imprenditore?
La nozione giuridica di imprenditore rappresenta un’innovazione apportata dal codice civile del
1942 che ha posto fine al sistema dualistico (cod.civ. e cod. di commercio) delle fonti del diritto
privato.
Con il codice civile del 1942, infatti, scompare la categoria degli atti di commercio e la disciplina
delle attività commerciali è riorganizzata intorno alla figura dell’imprenditore commerciale, che
sostituisce quella del commerciante.
Viene superata, inoltre la contrapposizione tra industria e commercio da un lato e agricoltura e
artigianato dall’altro; viene delineata una nozione generale ed unitaria di imprenditore (art.2082
c.c.) che comprende ogni forma di impresa.
Il legislatore del 1942 ha inteso fondare la disciplina delle attività economiche sulla figura
dell’imprenditore che rappresenta il genus, il modello principale, di cui il commerciante non è che
una species: un particolare tipo di imprenditore la cui attività consiste nella compravendita di beni
e servizi.
Il concetto di imprenditore è, prima ancora che un concetto giuridico, un concetto economico,
individuante uno dei vari soggetti che, nell’ambito della comunità, concorrono all’organizzazione
della produzione e conseguentemente alla distribuzione della ricchezza.
Per la scienza economica, l’imprenditore si presenta come colui che utilizza i fattori della
produzione organizzandoli, a proprio rischio, nel processo produttivo di beni o servizi: egli è,
dunque, l’intermediario tra quanti offrono capitale e lavoro e quanti domandano beni o servizi.
Due elementi fondamentali caratterizzano l’imprenditore:
a) L’iniziativa: cioè il potere di organizzare l’impresa, di indirizzarne l’attività decidendone la
politica economica e di dirigere la produzione.
b) Il rischio economico: cioè il rischio che i costi sopportati non siano coperti dai ricavi
conseguiti per la mancanza di domanda o per la situazione di mercato.
L’esposizione al rischio di impresa giustifica il potere dell’imprenditore di dirigere il processo
produttivo e legittima l’acquisizione da parte dello stesso dell’eventuale eccedenza dei ricavi
rispetto ai costi (profitto).

1.1) A quale regime giuridico è sottoposto l’imprenditore?


Il sistema del diritto commerciale, nell’attuale stato della codificazione, deve essere costruito
attorno alla figura dell’imprenditore commerciale, come è concepita e delimitata dalla legge.
In base ai dati legislativi, si può dire che l’imprenditore commerciale è species della figura generale
dell’imprenditore. È perciò dalla nozione generale di imprenditore che si deve partire per
identificare chi è imprenditore commerciale. Non si può essere imprenditori commerciali se non si
è imprenditori; se l’attività svolta non risponde ai requisiti fissati nella nozione generale di
imprenditore (art.2082).
L’imprenditore commerciale è assoggettato ad una disciplina peculiare, solo in parte comune alle
altre tipologie di imprenditori.
Il codice civile detta, innanzitutto, un corpo di norme applicabili a tutti gli imprenditori e si tratta
delle norme che fanno riferimento all’imprenditore o all’impresa senza ulteriori specificazioni. È
questo lo statuto generale dell’imprenditore che comprende: parte della disciplina dell’azienda e
dei segni distintivi; la disciplina della concorrenza e dei consorzi e alcune disposizioni speciali in
materia di contratti.
È poi previsto uno statuto dell’imprenditore commerciale che si giustifica in ragione del maggior
rischio che implica l’esercizio di un’impresa commerciale dell’imprenditore in modo parzialmente
differente rispetto ad altre attività economiche, attraverso uno specifico regime giuridico di
cautele e di tutele.
Nello statuto dell’imprenditore commerciale rientrano: l’iscrizione nel registro delle imprese con
effetti di pubblicità legale; la disciplina della rappresentanza commerciale; le scritture contabili; il
fallimento e le altre procedure concorsuali.

1.2) Quali sono i caratteri dell’attività imprenditoriale?


I caratteri propri dell’impresa sono:
a) L’esercizio di un’attività economica, cioè di un’attività diretta alla creazione di nuova
ricchezza, idonea a coprire i costi con i ricavi (lo scopo di lucro non è espressamente
richiesto dalla norma).
b) L’organizzazione, cioè è necessario che l’attività sia esercitata prevalentemente con il
lavoro altrui e con l’ausilio di beni strumentali di un certo valore.
c) La professionalità, cioè l’attività deve essere abituale e stabile (non è richiesta la continuità,
infatti, per le attività stagionali è sufficiente il costante ripetersi di atti di impresa secondo
le cadenze proprie di quell’attività).
Inoltre, l’attività deve essere diretta a produrre beni o servizi ovvero a scambiare beni o servizi già
prodotti da altri.

1.3) I liberi professionisti ed artisti possono considerarsi imprenditori?


I liberi professionisti, gli artisti e gli inventori, non sono mai in quanto tali imprenditori: essi lo
diventano solo se ed in quanto la professione intellettuale è esplicata nell’ambito di altra attività di
per sé qualificata come impresa.
L’art.2238, comma 1, c.c. dispone infatti che le norme che regolano l’impresa si applicano alle
professioni intellettuali solo se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività
organizzata in forma di impresa. Di conseguenza quando il professionista si limita a svolgere la sua
attività non diventa mai imprenditore, nemmeno quando si avvale di un ampio numero di
collaboratori o di un complesso apparato di mezzi materiali. Ciò si desume dallo stesso art. 2238
c.c. che al comma 2 specifica che al professionista intellettuale che impieghi sostituti o ausiliari “si
applicano le disposizioni delle sezioni II, III, IV del capo I del titolo II” del cod.civ., vale a dire solo le
norme che disciplinano il lavoro nell’impresa, ma non la restante disciplina dell’impresa.
2) Qual è la nozione giuridica di imprenditore agricolo?
La nozione di imprenditore fissata nell’art. 2082 c.c., quindi la nozione di impresa come attività
organizzata e professionale, è una nozione generale, valida per tutti i campi dell’economia,
compreso quello dell’economia agricola coerentemente con ciò, il codice del 1942 ha previsto
l’impresa agricola (art.2135 c.c.) accanto alle altre imprese, che accomuna sotto la tradizionale
denominazione di imprese commerciali (art.2195 c.c.). di conseguenza all’imprenditore agricolo si
applicherà, accanto al suo peculiare statuto, lo statuto generale dell’imprenditore.
In base all’art. 2135 c.c. possono individuarsi due categorie di attività agricole: le attività agricole
essenziali e le attività agricole per connessione.
Chi svolga, con i requisiti di cui all’art. 2082 c.c., una delle attività suddette è imprenditore
agricolo.

2.1) quali sono le attività agricole essenziali?


L’art. 2135 c.c., definisce, al comma 1, le attività agricole essenziali come quelle dirette alla
coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all’allevamento di animali.
Il comma 2, con previsione estensiva rispetto a quella precedente, specifica che nelle attività
suddette vanno ricomprese quelle “dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una
fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare
il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”. Si deve, quindi, ritenere che la produzione
di specie vegetali ed animali è sempre qualificabile giuridicamente come attività agricola
essenziale, anche se realizzata con metodi che prescindono del tutto dallo sfruttamento della terra
e dei suoi prodotti.
All’imprenditore agricolo (essenziale) è stato equiparato l’imprenditore ittico, vale a dire colui che
esercita un’attività diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini,
salmastri e dolci, nonché le attività a queste connesse.

2.2) Quali sono le attività agricole per connessione?


L’ultimo inciso del comma 1 dell’art.2135 c.c. attribuisce la qualifica di imprenditore agricolo a chi
esercita attività connesse a quelle di coltivazione del fondo, di selvicoltura e allevamento di
animali.
Il comma 3 dello stesso articolo, nella formulazione ad opera del d.lgs. 228/2001, pone una
presunzione iuris et de iure di imprese agricole per connessione, stabilendo che “si intendono
comunque connesse”:
- Le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione
e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti prevalentemente ottenuti dalla
coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali
- Le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di
attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata,
ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale,
ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.

2.3) Chi è l’imprenditore agricolo professionale?


Con l’approvazione del d.lgs. 29 marzo 2004, n.99, il legislatore ha compiuto un passo importante
in ordine alla rivisitazione della figura dell’imprenditore agricolo: il decreto ridefinisce i contorni
della figura di imprenditore agricolo che diviene “professionale” ed ottiene il riconoscimento di
molte agevolazioni, attribuite in passato al solo coltivatore diretto; istituisce le società agricole;
incentiva l’imprenditoria giovanile, attraverso il riconoscimento di numerose forme di sostegno.
L’art.1 d. lgs. 99/2004, come modificato dal d.lgs. 101/2005, definisce imprenditore agricolo
professionale (IAP) chi, in possesso di conoscenze e competenze professionali dedichi alle attività
agricole di cui all’art.2135 c.c., direttamente od in qualità di socio di società di persone o
cooperative o di amministratore di società di capitali, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro
complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il 50% del proprio reddito globale da
lavoro.

2.4) L’impresa agricola può essere esercitata in forma societaria?


Il d.lgs. 99/2004 si occupa, inoltre, delle società, prevedendo che le società di persone, cooperative
e di capitali sono considerate imprenditori agricoli professionali a condizione che:
- Nelle società di persone (s.s. e s.n.c.) almeno un socio sia in possesso della qualifica di
imprenditore agricolo professionale. Per le società in accomandita occorre far riferimento
ai soci accomandatari;
- Nelle società di capitali e nelle società cooperative un amministratore sia in possesso della
qualifica di imprenditore agricolo professionale (nelle società cooperative l’amministratore
deve essere anche socio).
Anche per le società agricole, pertanto, è disposto il passaggio dalla qualifica di imprenditore
agricolo a titolo principale (IATP), espressamente prevista, nel rispetto dei requisiti sopra descritti,
a quella di imprenditore agricolo a titolo professionale (IAP), qualora sussistano le condizioni
prescritte dal decreto legislativo in commento.

2.5) L’imprenditore agricolo è assoggettabile alle procedure concorsuali?


Con il d.lgs. 5/2006 e i successivi interventi effettuati dal legislatore con il d.lgs. 169/2007 sono
state introdotte numerose novità nell’ambito della materia fallimentare, soprattutto in relazione
all’eliminazione, dall’art.1 della legge fallimentare, del richiamo alla nozione di “piccolo
imprenditore” di cui all’art.2083 c.c.
Per delimitare l’area dei soggetti esonerati dal fallimento, quindi, non viene più utilizzata la
nozione di piccolo imprenditore commerciale, ma vengono indicati direttamente una serie di
requisiti dimensionali massimi che gli imprenditori commerciali devono possedere
congiuntamente per non essere assoggettate alle disposizioni sul fallimento e sul concordato
preventivo. In via generale, l’imprenditore agricolo che esercita un’attività agricola resta, come
succedeva in precedenza, fuori dalla possibile applicazione delle procedure concorsuali.
Naturalmente un’impresa agricola, o meglio la sua azienda, può essere assoggettata al fallimento
nel caso in cui il titolare sia imprenditore commerciale in base ad altra e diversa attività
imprenditoriale, senza che rilevi a quale ramo dell’attività del medesimo imprenditore sia legata
l’insolvenza, data l’unità patrimoniale della persona fisica e data la constatazione che a fallire è
l’imprenditore e non l’impresa.
3) Qual è la nozione giuridica di imprenditore commerciale?
La nozione di imprenditore commerciale comprende, per esclusione, tutte quelle attività che non
rientrano nell’attività agricola.
In particolare, ai sensi dell’art. 2195 c.c., sono imprenditori commerciali coloro che esercitano:
1. Attività industriali
2. Attività intermediarie nella circolazione dei beni
3. Attività di trasporto
4. Attività bancarie o assicurative
5. Attività ausiliarie delle precedenti.
Per determinare la natura di un’impresa è necessario stabilire in primo luogo se si tratti di
un’impresa agricola a norma dell’art.2135 c.c.
Se l’attività svolta non può qualificarsi come agricola, neppure per connessione, allora siamo di
fronte ad un’impresa commerciale alla quale si applicherà lo statuto dell’imprenditore
commerciale.

3.1) è possibile considerare l’impresa civile quale “tertium genus” tra


impresa agricola e impresa commerciale?
Parte della dottrina individuerebbe una terza categoria d’impresa: la c.d. IMPRESA CIVILE.
L’imprenditore civile non sarebbe, dunque, né commerciale né agricolo e sarebbe sottoposto allo
statuto generale dell’imprenditore, ma non a quello dell’imprenditore commerciale. Ciò si
tradurrebbe, in concreto, nella esclusione dell’assoggettabilità a fallimento. In particolare, a tale
categoria apparterrebbero:
- Le attività di produzione non industriali ovvero le attività in cui manca il processo
industriale di trasformazione fisica o chimica dei fattori produttivi;
- Le attività di scambio non intermediatrici ovvero le attività che non implicano l’acquisto dei
beni da rivendere
Altra dottrina ritiene invece inammissibile l’esistenza di una terza categoria di impresa: si rifiuta
concretezza, cioè, alla impresa civile, dovendosi ritenere che la dicotomia impresa agricola-
impresa commerciale esaurisca ogni possibile tipo d’impresa esistente nella realtà e avente rilievo
giuridico. Ammettendo la categoria delle imprese civili, infatti, si amplierebbe l’area delle attività
produttive sottratte alla più rigorosa disciplina delle imprese commerciali senza che tale
trattamento di favore sia sorretto da alcuna giustificazione sostanziale. È perciò preferibile
interpretare il requisito dell’industrialità come sinonimo di attività non agricola e quindi di
qualificare come imprese commerciali anche quelle che producono beni o servizi senza dar luogo a
trasformazione di materie prime.
4) Quando può dirsi di fatto iniziata l’impresa?
Condizione necessaria e sufficiente all’acquisto della qualità di imprenditore è l’esercizio effettivo
di un’attività imprenditoriale (art.2082 c.c.).
Ha rilievo cioè il concreto ed effettivo svolgimento di un’impresa perché si renda applicabile la
relativa disciplina, e ciò quand’anche il legislatore ne subordini l’esercizio all’adempimento di
determinate formalità amministrative.
È importante tuttavia determinare il momento preciso in cui l’attività d’impresa può dirsi iniziata di
fatto poiché da tale istante comincia ad essere applicata la disciplina specifica con le conseguenze,
talvolta gravose, che ne possono derivare.

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