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DIRITTO COMMERCIALE

Capitolo 1: L’imprenditore.
Figura dell’imprenditore  Art. 2082 cod. civ.
Il codice civile distingue i vari tipi di impresa e imprenditore in base a 3 criteri “di
differenziazione”:
1. L’oggetto dell’impresa (imprenditore agricolo, imprenditore commerciale)
2. La dimensione dell’impresa (piccolo imprenditore, imprenditore medio-
grande)
3. La natura del soggetto che esercita l’impresa (impresa individuale, impresa
costituita in forma di società, impresa pubblica)
Lo statuto generale dell’imprenditore disciplina i vari tipi di imprenditore e
comprende la disciplina dell’azienda e dei segni distintivi, la disciplina della
concorrenza e dei consorzi e la disciplina della concorrenza e del mercato. Inoltre,
ogni tipo di imprenditore ha uno statuto tipico.
Nozione generale di imprenditore (art. 2082)  “È imprenditore chi esercita
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello
scambio di beni e servizi”.
Essa fissa i requisiti minimi che devono ricorrere perché un dato soggetto sia esposto
all’applicazione delle norme del codice civile dettate per l’impresa e per
l’imprenditore.
Quindi l’impresa è attività (serie coordinata di atti) caratterizzata sia da uno
specifico scopo (produzione o scambio di beni o servizi), sia da specifiche modalità
di svolgimento (organizzazione, economicità, professionalità).
Requisiti:
L’impresa è 1. attività produttiva di nuova ricchezza e attività di scambio che
incrementa l’utilità dei beni spostandoli nel tempo e/o nello spazio. Irrilevante è: la
natura dei beni o servizi, il tipo di bisogno da soddisfare, la presenza o meno di
godimento.
La qualità di imprenditore deve essere riconosciuta anche quando l’attività produttiva
svolta è illecita (cioè contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon
costume) sia nei casi meno gravi in cui sono violate norme imperative che
subordinano l’esercizio dell’attività d’impresa, sia nei casi in cui illecito sia l’oggetto
stesso dell’attività. Vero è che chi svolge attività d’impresa violando la legge non
potrà avvalersi delle norme che tutelano l’imprenditore nei confronti dei terzi.
L’impresa è 2. attività organizzata. L’imprenditore crea un complesso produttivo,
formato da persone e beni strumentali  il legislatore qualifica l’impresa come
attività organizzata, definisce azienda il complesso di beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
L’organizzazione imprenditoriale può essere anche organizzazione di soli capitali e
del proprio lavoro intellettuale e/o manuale. Non è necessario che l’attività sia
esercitata con l’ausilio di collaboratori e che i beni siano mobili ed immobili, possono
essere anche mezzi finanziari.
La semplice organizzazione a fini produttivi del proprio lavoro non può essere
considerata organizzazione di tipo imprenditoriale e in mancanza di un minimo di
“eteroorganizzazione” deve negarsi l’esistenza di impresa, sia pure piccola.  lavoro
autonomo non imprenditoriale.
La piccola impresa è, invece, quella organizzata prevalentemente con il lavoro
proprio e dei familiari, in quanto l’organizzazione del lavoro dei familiari è pur
sempre organizzazione del lavoro altrui.
L’impresa è 3. attività economica. Per aversi impresa, quindi, è essenziale che
l’attività produttiva sia condotta con metodo economico; secondo modalità che
consentano quanto meno la copertura dei costi con i ricavi ed assicurino
l’autosufficienza economica. Altrimenti si ha consumo e non produzione di
ricchezza. Quindi non è considerato imprenditore chi produce beni che vengono
erogati gratuitamente o a “prezzo politico”, ad es. ente pubblico o associazione
privata che gestisce gratuitamente o a prezzo simbolico un ospedale. È, invece,
imprenditore chi gestisce i medesimi servizi con metodo economico, anche se ispirato
da un fine pubblico o ideale anche se le condizioni di mercato non consentano di
remunerare i fattori produttivi.
Perché l’attività possa dirsi economica non è, però, essenziale che essa sia
caratterizzata dall’intento dell’imprenditore di conseguire un guadagno o un profitto
personale: scopo di lucro.
La nozione di imprenditore è nozione unitaria, comprensiva sia dell’impresa privata
sia dell’impresa pubblica; e ciò implica che requisito essenziale può essere
considerato solo ciò che è comune a tutte le imprese e a tutti gli imprenditori. E
l’impresa pubblica è tenuta ad operare secondo criteri di economicità ma non è
preordinata alla realizzazione di un profitto, così come l’impresa cooperativa e
l’impresa sociale  requisito minimo essenziale dell’attività d’impresa è
l’economicità della gestione e non lo scopo di lucro.
L’impresa richiede 4. professionalità. Professionalità significa esercizio abituale e
non occasionale di una data attività produttiva -> non è imprenditore chi compie
un’isolata operazione di acquisto e di successiva rivendita di merci.
La professionalità, però, non richiede che l’attività imprenditoriale sia svolta in modo
continuato e senza interruzioni -> per le attività stagionali è sufficiente il costante
ripetersi di atti di impresa.
La professionalità non richiede neppure che quella impresa sia l’attività unica o
principale, è possibile anche il contemporaneo esercizio di più attività d’impresa da
parte dello stesso soggetto.
Infine, è considerata impresa anche quando si opera per il compimento di un unico
affare, se questo comporta il complimento di operazioni molteplici e l’utilizzo di un
apparato produttivo complesso.
Di regola le imprese operano per il mercato ma imprenditore può essere qualificato
anche chi produce beni o servizi destinati ad uso e consumo personale (c.d. impresa
per conto proprio).
I liberi professionisti non sono imprenditori. L’art. 2238 cod. civ. stabilisce che le
disposizioni in tema di impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se
“l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma
di impresa”. Il professionista intellettuale che si limita a svolgere la propria attività
non diventa mai imprenditore anche se dà vita ad un’organizzazione complessa di
capitale e/o lavoro. I professionisti non sono imprenditori per “libera scelta” del
legislatore ispirata dalla particolare considerazione sociale che tradizionalmente
circonda le professioni intellettuali.  esonero dei professionisti intellettuali dallo
statuto dell’imprenditore.

Capitolo 2: Le categorie di imprenditori.


Categorie suddivise in base all’oggetto: imprenditore agricolo (art. 2135) e
imprenditore commerciale (art. 2195).
L’imprenditore agricolo è sottoposto solo alla disciplina prevista per l’imprenditore
in generale ed è esonerato per dalla disciplina propria dell’imprenditore commerciale.
 trattamento di favore rispetto all’imprenditore commerciale.
Art. 2135 cod. civ. stabiliva che “È imprenditore agricolo chi esercita un’attività
diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e
attività connesse” e che “si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o
all’alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale
dell’agricoltura”. Quindi le attività agricole si dividono in: attività agricole essenziali
e attività agricole per connessione.
Le attività agricole essenziali sono la coltivazione del fondo, la silvicoltura ed
allevamento del bestiame  hanno subito una profonda trasformazione a causa del
progresso tecnologico (agricoltura industrializzata).
L’attuale formulazione dell’art. 2135 ribadisce infatti che “È imprenditore agricolo
chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura,
allevamento di animali e attività connesse”. Specifica poi che “Per coltivazione del
fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla
cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di
carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le
acque dolci, salmastre o marine”.
Quindi, nella nozione di coltivazione del fondo rientrano: agricoltura, coltivazioni in
serra o in vivai, floricoltura.
La selvicoltura è attività caratterizzata dalla cura del bosco per ricavarne i relativi
prodotti.
Nell’allevamento di animali è riconosciuto anche l’allevamento in batteria,
l’allevamento di cavalli da corsa o di animali da pelliccia, l’attività cinotecnica,
l’allevamento di animali da cortile, acquacultura e imprenditore ittico.
La categoria di attività agricole per connessione oggi scompare in quanto in base al
3° comma dell’art. 2135 si intendono comunque connesse:
a) Le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione,
commercializzazione, e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da
un’attività agricola essenziale;
b) Le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione
prevalente di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola
esercitata, comprese quelle di valorizzazione del territorio e del patrimonio
rurale e forestale e le attività agrituristiche.
Condizioni per cui un’attività intrinsecamente commerciale può qualificarsi come
agricola per connessione:
1. Connessione soggettiva: è necessario che il soggetto che la esercita sia già
imprenditore agricolo in quanto svolge in forma di impresa una delle tre
attività agricole tipiche e inoltre attività coerente con quella connessa. È,
quindi, certamente imprenditore commerciale chi trasforma o commercializza
prodotti agricoli altrui.
2. È necessario, però, che ricorra anche una connessione oggettiva.
Entrambi questi criteri sono sostituiti da quello della prevalenza: necessario e
sufficiente è solo che si tratti di attività aventi ad oggetto prodotti ottenuti
prevalentemente dall’esercizio dell’attività agricola essenziale, ovvero di beni o
servizi forniti mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse
dell’azienda agricola. Quindi, in breve, è sufficiente che le attività connesse non
prevalgano, per rilievo economico, sull’attività agricola essenziale.

L’imprenditore commerciale è l’imprenditore che esercita una o più delle seguenti


categorie di attività elencate dall’art. 2195, 1° comma.
1) Attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi.
2) Attività intermediaria nella circolazione dei beni.
3) Attività di trasporto.
4) Attività bancaria o assicurativa.
5) Altre attività ausiliarie delle precedenti.
È considerata commerciale ogni impresa che non sia qualificabile come agricola.

Categorie suddivise in base alla dimensione: piccolo imprenditore e imprenditore


medio-grande.
Il piccolo imprenditore è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore ma è
esonerato dalla tenuta delle scritture contabili, dal fallimento e l’iscrizione nel
registro delle imprese non ha funzione di pubblicità legale.
Art. 2083 cod. civ.  “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli
artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale
organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”.
Enuncia, quindi, il criterio generale di individuazione della categoria: la prevalenza
del lavoro proprio e familiare costituisce il carattere distintivo di tutti i piccoli
imprenditori.
Per aversi piccola impresa è perciò necessario che: a) l’imprenditore presti il proprio
lavoro dell’impresa; b) il suo lavoro e quello deli eventuali familiari che collaborano
nell’impresa prevalgano sia rispetto al lavoro altrui sia rispetto al capitale proprio o
altrui investito nell’impresa. Non è piccolo imprenditore chi investe ingenti capitali.
La prevalenza del lavoro familiare sugli altri fattori produttivi deve intendersi in
senso qualitativo-funzionale, è necessario cioè che l’apporto personale
dell’imprenditore e dei suoi familiari caratterizzino i beni o servizi prodotti.
Anche la legge fallimentare dava una sua definizione di piccolo imprenditore ma
utilizzava criteri completamente diversi, ovvero un sistema di soglie quantitative
rapportate al reddito e al capitale investito nell’impresa.
Oggi la disposizione fallimentare non definisce più chi è piccolo imprenditore, ma
semplicemente individua alcuni parametri dimensionali dell’impresa, al di sotto del
quale l’imprenditore commerciale non fallisce.  non è soggetto a fallimento
l’imprenditore commerciale che dimostri il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) Aver avuto nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di
fallimento un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non
superiore a 300000 euro.
b) Aver realizzato nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di
fallimento ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a
200000 euro.
c) Avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a 500000 euro.
Basta aver superato anche solo 1 dei requisiti per essere esposto a fallimento. Tutto
ciò vale anche per le società.
Quindi la legge fallimentare stabilisce chi è esonerato dal fallimento, mentre il codice
civile rileva l’applicazione della restante parte dello statuto dell’imprenditore
commerciale.
L’imprenditore artigiano rientra nella categoria dei piccoli imprenditori. La legge
n.860 del 1956 dava una definizione di impresa artigiana molto differente da quella
del codice civile, ponendo enfasi sulla natura artistica o usuale dei beni o servizi
prodotti, e non nella prevalenza del lavoro familiare nel processo produttivo. Inoltre,
la qualifica artigiana era riconosciuta anche alle imprese costituite in forma di società.
La nuova legge  Legge quadro del 1985. La definizione che dà dell’impresa
artigiana è basata sull’oggetto dell’impresa, costituito da qualsiasi attività di
produzione di beni o di prestazione di servizi, e sul ruolo dell’artigiano nell’impresa,
richiedendosi che esso svolga in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale,
nel processo produttivo. La qualifica artigiana può essere riconosciuta anche a
imprese costituite in forma di società di persone, di società a responsabilità limitata e
di società cooperativa, purché ricorrano determinate condizioni.
Il punto fondamentale della nuova legge è che non afferma più che l’impresa
artigiana è definita a tutti gli effetti di legge  vengono fissati i princìpi direttivi che
dovranno essere osservati.
È impresa familiare l’impresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti entro il
terzo grado e gli affini entro il secondo grado dell’imprenditore: cosiddetta famiglia
nucleare. L’istituto è regolato dall’art. 230-bis cod. civ. soprattutto per ragioni
tributarie consentendo il frazionamento del reddito di impresa fra i parenti
dell’imprenditore.
L’impresa familiare non va confusa con la piccola impresa  è frequente che la
piccola impresa sia anche impresa familiare ma è frequente avere una piccola impresa
non familiare o l’impresa non piccola familiare.
Il legislatore ha voluto predisporre una tutela minima del lavoro familiare
nell’impresa, destinata a trovare applicazione quando non sia configurabile un
diverso rapporto giuridico e non sia perciò azionabile altro mezzo di tutela.
La tutela legislativa è realizzata riconoscendo ai membri della famiglia nucleare che
lavorino in modo continuato nella famiglia o nell’impresa determinati diritti
patrimoniale e amministrativi.
Diritti patrimoniali riconosciuti:
- Diritto al mantenimento.
- Diritto di partecipazione agli utili dell’impresa in proporzione alla quantità di
lavoro prestato nell’impresa o nella famiglia.
- Diritto sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda.
- Diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria o di
trasferimento dell’azienda stessa.
Sul piano amministrativo è previsto che le decisioni in merito alla gestione
straordinaria dell’impresa e talune altre decisioni di particolare rilievo “sono adottate,
a maggioranza, dai familiare che partecipano all’impresa stessa”.
Il diritto di partecipazione è trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia
nucleare e con il consenso unanime dei familiari già partecipanti.
L’impresa familiare resta un’impresa individuale, sia pure caratterizzata da una
particolare disciplina delle prestazioni lavorative dei familiari dell’imprenditore. 
ne consegue che: a) i beni aziendali restano di proprietà esclusiva dell’imprenditore-
datore di lavoro; b) i diritti patrimoniali dei partecipanti costituiscono diritti di credito
nei confronti del familiare imprenditore; c) gli atti di gestione ordinaria rientrano
nella competenza esclusiva dell’imprenditore. L’imprenditore, infine, agisce nei
confronti dei terzi in proprio quindi saranno imputabili gli effetti degli atti posti in
essere e solo li sarà responsabile nei confronti dei terzi.

Impresa collettiva- impresa pubblica.


Esistono diversi tipi di società  la società semplice è utilizzabile solo per l’esercizio
di attività non commerciale, mentre gli altri tipi di società, dette società commerciali,
possono svolgere sia attività agricola che commerciale.
Società e statuto dell’impresa commerciale:
a) Parte della disciplina propria dell’imprenditore commerciale si applica alle
società commerciali qualunque sia l’attività svolta. Resta l’esonero delle
società commerciali che gestiscono un’impresa agricola dal fallimento e dalle
altre procedure concorsuali riservate all’imprenditore commerciale. In seguito
alla riforma del diritto fallimentare del 2006 anche le società commerciali sono
esonerate dal fallimento se non superano le soglie dimensionali.
b) Nelle società in nome collettivo ed in accomandita semplice parte della
disciplina dell’imprenditore commerciale trova applicazione solo o anche nei
confronti dei soci a responsabilità illimitata.
Trova invece applicazione anche nei confronti dei soci la sanzione del fallimento, in
quanto comporta automaticamente il fallimento dei singoli soci a responsabilità
illimitata.
Le imprese pubbliche sono le attività di impresa svolte dallo Stato e dagli altri enti
pubblici. I pubblici poteri hanno tre possibili forme di intervento nel settore
dell’economia:
1. Lo Stato e gli altri enti pubblici possono svolgere attività di impresa servendosi
di strutture di diritto privato: costituzione di società, generalmente per azioni
 impresa societaria.
2. La pubblica amministrazione può dar vita ad enti di diritto pubblico il cui
compito istituzionale esclusivo o principale è l’esercizio di attività d’impresa.
 enti pubblici economici. Essi sono sottoposti allo statuto generale
dell’imprenditore e, se l’attività è commerciale, allo statuto proprio
dell’imprenditore commerciale con esonero dal fallimento sostituito dalla
liquidazione coatta amministrativa.
Dal 1990  privatizzazione delle imprese pubbliche: quasi tutti gli enti pubblici sono
stati trasformati in società per azioni a partecipazione statale (c.d. privatizzazione
formale) e, ultimamente, è stata avviata la dismissione delle partecipazioni pubbliche
di controllo (c.d. privatizzazione sostanziale).
Le associazioni (riconosciute e non riconosciute), le fondazioni e tutti gli enti privati
con fini ideali o altruistici possono svolgere attività commerciale qualificabile come
attività d’impresa. Essenziale per aversi impresa è che l’attività produttiva venga
condotta con metodo economico e tale metodo può ricorrere anche quando lo scopo
perseguito sia ideale.
L’esercizio di attività commerciale da parte di tali enti può costituirne anche l’oggetto
esclusivo o principale.
L’ente acquista la qualità di imprenditore commerciale e resta esposto a tutte le
relative conseguenze.  pienezza di effetti.
Le imprese del Terzo settore o imprese sociali sono quelle imprese gestite senza
scopo di lucro in settori di interesse generale. “Possono acquisire la qualifica di
impresa sociale tutti gli enti privati che esercitano in via stabile e principale
un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche,
solidaristiche e di utilità sociale”. È inoltre richiesto che le imprese sociali operino
“adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio
coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro
attività”.
Assenza di scopo di lucro  utili e avanzi di gestione devono essere destinati allo
svolgimento dell’attività statuaria, all’incremento del patrimonio dell’ente o impiegati
per erogazioni gratuite in favore di altri enti del Terzo settore. L’assenza di scopo di
lucro va preservata a seguito di operazioni di trasformazione, fusione, scissione.
Vincolo di indisponibilità  né durante l’esercizio né allo scioglimento è possibile
distribuire utili, fondi o riserve a vantaggio di fondatori, soci o associati. Il
patrimonio residuo è devoluto ad altri enti del Terzo settore o fondi per la
promozione di imprese sociali.
L’assenza di scopo di lucro va preservata a seguito di operazioni di trasformazione,
fusione, scissione.
L’impresa sociale può essere costituita in forma di società o consorzio  è consentito
destinare una parte (meno della metà) degli utili netti annuali per rivalutare le
partecipazioni dei soci al costo della vita mediante operazioni di aumento gratuito del
capitale, oppure effettuare operazioni di dividendi con rispettive restrizioni. Al
termine del rapporto sociale è consentita la restituzione al socio del capitale versato.
Le finalità di interesse generale realizzate dalle imprese sociali vengono favorite dal
legislatori con consistenti benefici fiscali e con un singolare privilegio sul piano
civilistico: quello di potersi organizzare in qualsiasi forma di ente privato -> qualsiasi
tipo societario.
Continua a trovare applicazione la disciplina comune dell’ente che la esercita. La
responsabilità dei partecipanti sarà limitata o illimitata a seconda del tipo di ente
prescelto.
Le imprese sociali sono soggette a regole speciali per quanto riguarda l’applicazione
degli istituti tipici dell’imprenditore commerciale; esse devono:
a) Iscriversi in un’apposita sezione del registro delle imprese.
b) Redigere le scritture contabili, nonché il bilancio di esercizio ed il bilancio
sociale (documento volto a rappresentare l’osservanza nel corso della gestione
delle finalità sociali proprie dell’impresa).
c) In caso di insolvenza, sono assoggettate alla liquidazione coatta
amministrativa.
Le imprese per acquisire la qualifica di “impresa sociale” devono costituirsi per atto
pubblico  l’atto costitutivo deve determinare l’oggetto sociale, l’assenza dello
scopo di lucro, indicare la denominazione dell’ente, fissare i requisiti, disciplinare le
modalità di ammissione ed esclusione dei soci e prevedere adeguate forme di
coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari. Inoltre deve prevedere la nomina di
uno o più sindaci incaricati di esercitare il controllo sulla legalità della gestione e un
revisore legale incaricato del controllo contabile. Le imprese sociali sono soggette
alla vigilanza del Ministero del lavoro; quest’ultimo può disporre la perdita della
qualifica di impresa sociale se rileva irregolarità non sanabili. Ne consegue la
cancellazione dell’impresa dalla sezione speciale del registro delle imprese e
l’obbligo di devolvere il patrimonio ad un Fondo per la promozione e lo sviluppo
delle imprese sociali.

Capitolo 3: L’acquisto della qualità di imprenditore.


L’individuazione del soggetto a cui è applicabile la disciplina dell’attività di impresa
non solleva problemi se gli atti di impresa sono compiuti direttamente dall’interessato
o da un terzo che agisce come suo rappresentante, quindi in nome dello stesso.
Gli effetti degli atti giuridici ricadono sul soggetto e solo sul soggetto il cui nome è
stato validamente speso nel traffico giuridico: solo questi è obbligato nei confronti
del terzo contraente.  si ricava dalla disciplina del mandato. Il mandatario è un
soggetto che agisce nell’interesse di un altro soggetto e può porre in essere i relativi
atti giuridici sia spendendo il proprio nome (mandato senza rappresentanza) sia
spendendo il nome del mandante, se questi gli ha conferito il potere di rappresentanza
(mandato con rappresentanza). Nel mandato con rappresentanza tutti gli effetti degli
atti posti in essere dal mandatario in nome del mandante si producono direttamente
nella sfera giuridica di quest’ultimo. Nel mandato senza rappresentanza il mandatario
che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti
compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. I terzi non
hanno rapporto con il mandante.
Perciò, quando gli atti di impresa sono compiuti tramite rappresentante, imprenditore
diventa il rappresentato e non il rappresentante.  anche se l’attività d’impresa è
sostanzialmente esercitata dal rappresentante.

Esercizio dell’impresa tramite interposta persona  dissociazione fra il soggetto cui


è formalmente imputabile la qualità di imprenditore ed il reale interessato.
L’imprenditore palese o prestanome è il soggetto che compie in proprio nome i
singoli atti dell’impresa.
L’imprenditore indiretto o occulto è il soggetto che somministra al primo i necessari
mezzi finanziari, dirige in fatto l’impresa e fa propri tutti i guadagni anche se non si
palesa di fronte a terzi.
A questo espediente si ricorre per non esporre al rischio di impresa tutto il proprio
patrimonio personale. A tal fine si costituisce una società per azioni dotandola di un
modesto capitale tutto in proprie mani. In tale situazione gli atti di impresa saranno
formalmente decisi dagli amministratori della società e posti in essere in nome della
società (imprenditore palese), ma è evidente che nella sostanza ogni decisione sarà
adottata dal socio che ha la quasi totalità delle azioni (imprenditore indiretto).
Quando gli affari vanno male e il soggetto utilizzato dal dominus è una persona fisica
nullatenente o una società per azioni con capitale irrisorio (c.d. società di comodo), i
creditori potranno provocare il fallimento del prestanome. Ma data l’insufficienza del
relativo patrimonio, i creditori potranno ricavare poco dal fallimento, con la
conseguenza che il rischio di impresa non sarà sopportato dal reale dominus, ma è da
questi trasferito sui creditori o quanto meno sui creditori più deboli (quei creditori che
non sono in grado di premunirsi contro il dissesto del prestanome costringendo il
reale interessato a garantire personalmente i debiti contratti in proprio nome dal
primo).  nel nostro ordinamento giuridico è espressamente sanzionata la
inscindibilità del rapporto potere-responsabilità: chi esercita il potere di direzione di
un’impresa se ne assume necessariamente anche il rischio e risponde delle relative
obbligazioni con la conseguenza che responsabili verso i creditori sono sia il
prestanome sia il reale dominus dell’impresa. Anche quest’ultimo acquisterebbe la
qualità di imprenditore e perciò fallirebbe sempre e comunque qualora fallisca il
prestanome.  responsabilità personale per i debiti di impresa ed esposizione al
fallimento di chiunque domini in fatto l’altrui impresa individuale o società di
capitali.
Nelle società di capitali è sempre individuabile un socio o un gruppo di soci che in
fatto controlla e dirige la società, ma l’azionista o gli azionisti di comando non sono
in quanto tali chiamati dal legislatore a rispondere personalmente dei debiti della
società.
Nel nostro ordinamento il dominio di fatto di un’impresa individuale o di una società
di capitali non è condizione sufficiente per esporre a responsabilità e fallimento; né,
tanto meno, determina di per sé l’acquisto della qualità di imprenditore.
Abusi  Dal 2003 è regolata la responsabilità civile delle società o enti che
esercitano un’attività di direzione e coordinamento su altre società ed abusano di tale
potere in danno dei creditore e dei soci della controllata.
Impresa fiancheggiatrice  quando il socio di comando tratta la società come “cosa
propria” attraverso una serie di atteggiamenti tipici, si dà vita ad un’autonoma attività
d’impresa: un’impresa di finanziamento e/o di gestione diversa e distinta dall’attività
d’impresa della o delle società di capitali dominate. Quindi il socio risponderà come
titolare di un’autonoma impresa commerciale individuale per le obbligazioni da lui
contratte nello svolgimento dell’attività fiancheggiatrice della società di capitali e, in
quanto tale, potrà fallire. In questo vengono tutelati i creditori più forti, ovvero quelli
che hanno titolo per agire contro il socio.

Inizio dell’impresa.
La qualità di imprenditore si acquista con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attività
di impresa (principio di effettività); non è sufficiente l’intenzione. L’iscrizione nel
registro delle imprese non è condizione né necessaria né sufficiente per l’attribuzione
della qualità di imprenditore commerciale. Anche per le società deve trovare
applicazione il principio dell’effettività.
L’effettivo inizio dell’attività di impresa è preceduto da una fase preliminare di
organizzazione più o meno lunga e complessa, è qui che viene assegnata la qualità di
imprenditore dato che l’attività di organizzazione di una data impresa è attività
indirizzata ad un fine produttivo. Anche gli atti di organizzazione faranno acquistare
la qualità di imprenditore quando manifestano in modo non equivoco lo stabile
orientamento dell’attività verso un determinato fine produttivo (professionalità).
Mentre per le società, organismo di durata programmato per lo svolgimento di una
determinata attività di impresa, anche un solo atto di organizzazione imprenditoriale
potrà essere sufficiente.

Fine dell’impresa.
La fine dell’impresa è di regola preceduta da una fase di liquidazione durante la quale
l’imprenditore completa i cicli produttivi iniziati, vende le giacenze di magazzino e
gli impianti, licenzia i dipendenti, definisce i rapporti pendenti. La fase liquidativa
può ritenersi chiusa solo con la definitiva disgregazione del complesso aziendale, che
rende definitiva ed irrevocabile la cessazione.
Inizialmente la giurisprudenza riconosceva non necessaria per l’imprenditore la
completa definizione dei rapporti sorti durante l’esercizio di impresa, mentre per le
società era necessaria la cancellazione dal registro delle imprese ed anche la completa
definizione dei rapporti pendenti.
 Il nuovo art. 10 legge fall. dispone ora che “gli imprenditori individuale e
collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal
registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o
entro l’anno successivo”. In caso di impresa individuale o di cancellazione d’ufficio
degli imprenditori collettivi è però fatta salva “la facoltà per il creditore o per il
pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da
cui decorre il termine del primo comma”.
Quindi la cancellazione dal registro delle imprese è condizione necessaria affinché
l’imprenditore individuale o collettivo benefici del termine annuale per la
dichiarazione del fallimento, ma non è sufficiente: essa deve essere accompagnata
anche all’effettiva cessazione dell’attività di impresa, mediante la disgregazione del
complesso aziendale, altrimenti non decorre il termine annuale.

Capacità e incapacità.
La capacità all’esercizio di attività di impresa si acquista con la capacità di agire e
quindi al compimento del diciottesimo anno di età. Si perde in seguito ad interdizione
o inabilitazione.
Il minore o l’incapace che esercita attività di impresa non acquista la qualità di
imprenditore.
Costituiscono incompatibilità con la capacità di agire i divieti di esercizio di impresa
commerciale posti a carico di colore che esercitano determinati uffici o professioni
(ad es. avvocati, notai, impiegati dello Stato). La violazione di tali divieti non
impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore commerciale, ma espone solo a
sanzioni amministrative e ad un aggravamento delle sanzioni penali per bancarotta in
caso di fallimento.

Impresa commerciale degli incapaci.


È possibile l’esercizio di attività di impresa per conto di un incapace (minore e
interdetto) da parte dei rispettivi rappresentanti legali (genitori esercenti la potestà
familiare o tutore), ovvero da parte di soggetti limitatamente capaci di agire
(inabilitato, minore emancipato e beneficiario di amministrazione di sostegno), con
l’osservanza delle disposizioni a riguardo dettate.
L’attività commerciale è per sua natura attività rischiosa  il legislatore considera
perciò con sfavore l’impiego del patrimonio degli incapaci in attività commerciali e
stabilisce che in nessun caso è consentito l’inizio di una nuova impresa commerciale
in nome e nell’interesse del minore, dell’interdetto e dell’inabilitato.
Salvo che per il minore emancipato, è pertanto consentita solo la continuazione
dell’esercizio di un’impresa commerciale preesistente, quando ciò sia utile per
l’incapace purché la continuazione sia autorizzata dal tribunale.
L’esercizio di impresa commerciale richiede scioltezza e rapidità di decisioni. Ciò
spiega perché l’autorizzazione del tribunale all’esercizio di impresa commerciale ha
carattere generale e comporta un sensibile ampliamento dei poteri del rappresentante
legale dell’incapace o del limitatamente capace.
1. Chi ha la rappresentanza legale del minore o dell’interdetto può compiere tutti
gli atti che rientrano nell’esercizio dell’impresa. È richiesta una specifica
autorizzazione per gli atti che non sono in rapporto di mezzo a fine per la
gestione dell’impresa.
2. Quanto all’inabilitato, intervenuta l’autorizzazione alla continuazione, potrà
esercitare personalmente l’impresa, sia pure con l’assistenza del curatore e con
il consenso di questi per gli atti che esulano dall’esercizio dell’impresa.
3. Il minore emancipato può essere autorizzato dal tribunale anche ad iniziare una
nuova impresa commerciale, e così acquista la piena capacità di agire.
4. Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno conserva invece capacità di
agire per tutti gli atti che non richiedono rappresentanza esclusiva o assistenza
dell’amministratore di sostengo. Di conseguenza, egli potrà iniziare o
proseguire un’attività d’impresa senza assistenza, salvo che il giudice tutelare
disponga diversamente.

Capitolo 4: Lo statuto dell’imprenditore commerciale.


L’imprenditore commerciale è destinatario di una peculiare disciplina dell’attività in
parte comune agli altri imprenditori, statuto generale dell’imprenditore, in parte
propria e specifica, statuto speciale dell’imprenditore commerciale.
Introduzione di un sistema di pubblicità legale: è previsto l’obbligo di rendere di
pubblico dominio, secondo forme e modalità predeterminate, determinati atti o fatti
relativi alla vita dell’impresa. In tal modo le relative informazioni non solo sono rese
accessibili ai terzi interessati (c.d. pubblicità notizia), ma diventano opponibili a
chiunque indipendentemente dall’effettiva conoscenza (c.d. conoscibilità legale).
Il registro delle imprese è lo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali
non piccole e delle società commerciali previsto dal codice civile del 1942.
Prima di arrivare al nuovo registro delle imprese ha trovato applicazione il regime
transitorio, ovvero il regime imperniato sull’iscrizione nei preesistenti registri di
cancelleria presso il tribunale e caratterizzato dall’esonero temporaneo dall’iscrizione
degli imprenditori commerciali individuali.
 Legge 29-12-1993, n.580, contenente norme per il riordino delle camere di
commercio, detta il nuovo regolamento. Viene istituito il registro delle imprese,
divenuto pienamente operante agli inizi del 1997, classificato come unico strumento
di pubblicità legale delle imprese commerciali. Inoltre, sono state introdotte delle
novità:
a) L’attuale registro delle imprese non è solo strumento di pubblicità legale ma
anche di informazione sui dati organizzativi di tutte le altre imprese, anche per
gli imprenditori agricoli.
b) La tenuta del registro delle imprese è affidata alle camere di commercio.
c) Il registro delle imprese è tenuto con tecniche informatiche.
Il registro delle imprese è istituito in ciascuna provincia presso la camera di
commercio.
Esso è articolato in una sezione ordinaria e varie sezioni speciali.
Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori (non agricoli) per i quali
l’iscrizione nel registro delle imprese produce gli effetti di pubblicità legale previsti
dal codice.
Le sezioni speciali si dividono in: sezione speciale degli imprenditori agricoli e dei
piccoli imprenditori, delle società tra professionisti, dei soggetti che esercitano
attività di direzione e coordinamento, delle imprese sociali, degli atti di società di
capitali in lingua straniera, delle start-up innovative e degli incubatori certificati, delle
piccole e medie imprese innovative.
I fatti e gli atti da registrare sono specificati in una serie di norme, diversi a seconda
della struttura soggettiva dell’impresa, e riguardano gli elementi di individuazione
dell’imprenditore e dell’impresa e la struttura e l’organizzazione delle società.
Prima di procedere all’iscrizione, l’ufficio del registro deve controllare la regolarità
formale, quindi che la documentazione è formalmente regolare, e la regolarità
sostanziale, quindi esistenza e veridicità dell’atto o del fatto. Le iscrizioni devono
essere fatte nel registro delle imprese della provincia in cui l’impresa ha sede e negli
atti e nella corrispondenza deve essere indicato il registro presso il quale l’iscrizione è
avvenuta. L’iscrizione è eseguita su domanda dell’interessato, ma può avvenire anche
di ufficio; e di ufficio può anche essere disposta la cancellazione.
L’inosservanza dell’obbligo di registrazione è punita con sanzioni pecuniarie
amministrative.
L’iscrizione nella sezione ordinaria ha funzione di pubblicità legale: non sono rende
conoscibili i dati ma ha anche, a seconda dei casi, efficacia dichiarativa, costitutiva o
normativa.
Di regola, l’iscrizione nella sezione ordinaria ha efficacia semplicemente
dichiarativa: rileva solo sul piano della conoscenza e dell’opponibilità dell’atto o del
fatto. I fatti e gli atti soggetti a iscrizione ed iscritti sono quindi opponibili a chiunque
e lo sono dal momento stesso della loro registrazione (efficacia positiva immediata).
Da questo momento i terzi non possono ignorare il fatto o l’atto. L’omessa iscrizione
invece impedisce che il fatto possa essere opposto ai terzi (efficacia negativa).
In alcune ipotesi, tassativamente previste, l’iscrizione produce effetti ulteriori e più
rilevanti. È presupposto perché l’atto sia produttivo di effetti (efficacia costitutiva),
sia fra le parti che per i terzi (efficacia costitutiva totale), o solo nei confronti dei terzi
(efficacia costitutiva parziale). Ha efficacia costitutiva totale l’iscrizione nel registro
delle imprese dell’atto costitutivo delle società di capitale e delle società cooperative.
Ha, invece, efficacia costitutiva parziale la registrazione della deliberazione di
riduzione reale del capitale sociale di una società in nome collettivo.
In altri casi, infine, l’iscrizione è presupposto per la piena applicazione di un
determinato regime giuridico (efficacia normativa). È il caso della società in nome
collettivo e della società in accomandita semplice.
Pubblicità notizia  l’iscrizione nella sezione speciale del registro non produce
effetti, in quanto ha di regola solo la funzione di certificazione anagrafica e di
pubblicità notizia. Cioè l’iscrizione consente di prendere conoscenza dell’atto o del
fatto iscritto, ma non lo rende opponibile ai terzi. Di recente è stata modificata questa
disciplina per gli imprenditori agricoli: ha anche efficacia di pubblicità legale.

Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione, in


termini quantitativi e/o monetari, dei singoli atti di impresa, della situazione del
patrimonio dell’imprenditore e del risultato economico dell’attività svolta. Esse
contribuiscono a rendere razionale ed efficiente l’organizzazione e la gestione
dell’impresa e perciò sono di regola spontaneamente tenute da qualsiasi imprenditore.
La tenuta di queste è elevata ad obbligo ed è legislativamente disciplinata per gli
imprenditori che esercitano attività commerciale, con esclusione dei piccoli
imprenditori. Inoltre, le società commerciali sono obbligate alla tenuta di esse anche
se non esercitano attività commerciale.
Art. 2214  il principio generale stabilisce che l’imprenditore deve tenere tutte le
scritture contabili “che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa”.
Stabilisce inoltre che in ogni caso devono essere tenuti determinati libri contabili: il
libro giornale e il libro degli inventari. Infine, per ciascun affare devono essere
ordinatamente conservati gli originali della corrispondenza commerciale ricevuta e le
copie di quella spedita.
Il libro giornale è un registro cronologico-analitico. In esso devono essere indicate
“giorno per giorno le operazioni relative all’esercizio di impresa”. Può anche essere
articolato in libri parziali in relazione alle articolazioni dell’impresa.
Il libro degli inventari è un registro periodico-sistematico. Deve essere redatto
all’inizio dell’esercizio dell’impresa e successivamente ogni anno. L’inventario ha la
funzione di fornire il quadro della situazione patrimoniale dell’imprenditore. Deve
perciò contenere l’indicazione de la valutazione delle attività e delle passività
dell’imprenditore, anche estranee all’impresa.
L’inventario si chiude con “il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite”,
quindi con il bilancio comprensivo dello stato patrimoniale e del conto economico. Il
bilancio è un prospetto contabile riassuntivo del quale devono risultare “con evidenza
e verità” la situazione complessiva del patrimonio, nonché gli utili conseguiti o le
perdite sofferte alla fine di ciascun anno.
Altre scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa: libro
mastro, nel quale le operazioni sono registrate non cronologicamente ma
sistematicamente; libro cassa, che contiene le entrate e le uscite di danaro; libro
magazzino, che registra entrate ed uscite di merci.
Per garantire la veridicità delle scritture contabili sono state determinate regole
formali e sostanziali  il libro giornale e il libro degli inventari devono essere
numerati progressivamente pagina per pagina; le scritture contabili devono essere
tenute “secondo le norme di una ordinata contabilità” e conservate per dieci anni.
Esse hanno efficacia probatoria, dai o contro i terzi.

Nello svolgimento della propria attività l’imprenditore può avvalersi della


collaborazione di altri soggetti. I soggetti possono essere stabilmente inseriti nella
propria organizzazione aziendale per effetto di un rapporto di lavoro subordinato che
li lega all’imprenditore (cc.dd. ausiliari interni o subordinati), oppure esterni
all’organizzazione dell’imprenditore, che collaborano con quest’ultimo in modo
occasionale o stabile, sulla base di rapporti contrattuali di varia natura (cc.dd.
ausiliari esterni o autonomi). In entrambi i casi la collaborazione può riguardare
anche la conclusione di affari con terzi in nome e per conto dell’imprenditore: l’agire
in rappresentanza dell’imprenditore.
La rappresentazione commerciale  per la posizione rivestita nell’organizzazione
aziendale, institori, procuratori e commessi sono automaticamente investiti del potere
di rappresentanza dell’imprenditore e di un potere di rappresentanza ex lege
commisurato al tipo di mansioni che la qualifica comporta. Il loro potere di vincolare
direttamente l’imprenditore costituisce effetto naturale di quella determinata
collocazione nell’impresa ad opera dell’imprenditore. Questi, tramite uno specifico
atto, potrà modificare il contenuto legale.

È institore colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa o di una sede
secondaria o di un ramo particolare della stessa; cioè, il direttore generale
dell’impresa o di una filiale o di un settore produttivo. Egli è un lavoratore
subordinato con la qualifica di dirigente, posto al vertice della gerarchia del
personale. Vertice assoluto se è preposto all’intera impresa; vertice relativo se è
preposto ad una filiale o ad un ramo dell’impresa. Rilevante è che l’institore sia stato
investito dall’imprenditore di un potere di gestione generale.
L’institore è tenuto, congiuntamente con l’imprenditore, all’adempimento degli
obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili
dell’impresa o della sede cui è preposto. In caso di fallimento dell’imprenditore
troveranno applicazione anche nei confronti dell’institore le sanzione penali a carico
del fallito.
Oltre al potere di gestione, ad egli viene conferito un ampio e generale potere di
rappresentanza  Rappresentanza sia sostanziale, ovvero egli può compiere in nome
dell’imprenditore “tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa” della sede o del
ramo cui è preposto”, sia processuale, ovvero egli può stare in giudizio sia come
attore (rappresentanza processuale attiva) sia come convenuto (rappresentanza
processuale passiva) per “le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio
dell’impresa a cui è preposto”.
I poteri rappresentativi dell’institore possono essere ampliati o limitati o revocati
dall’imprenditore, sia all’atto della preposizione sia in un momento successivo. Le
limitazioni o la revoca sono opponibili ai terzi solo se la procura originaria o l’atto di
limitazione sono stati pubblicati nel registro delle imprese.
L’institore deve rendere palese al terzo la sua veste spendendo il nome del
rappresentato, perciò l’institore è personalmente obbligato se omette di far conoscere
al terzo che egli tratta per il preponente. Personalmente obbligato, quindi, è anche il
preponente quando gli atti compiuti dall’institore “siano pertinenti all’esercizio
dell’impresa cui è preposto”.

I procuratori sono coloro che “in base ad un rapporto continuativo, abbiano il potere
di compiere per l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur non
essendo preposti ad esso”. Essi sono, quindi, degli ausiliari subordinati di grado
inferiore rispetto all’institore in quanto a differenza di questo: a) non sono posti a
capo dell’impresa o di un ramo o di una sede secondaria; b) pur essendo degli
ausiliari con funzioni direttive, il loro potere decisionale è circoscritto ad un
determinato settore operativo dell’impresa. I procuratori sono ex lege investiti di un
potere di rappresentanza generale dell’imprenditore. (generale rispetto alla specie di
operazioni per le quali essi sono stati investiti di autonomo potere decisionale).
Inoltre il procuratore: 1. Non ha la rappresentanza processuale dell’imprenditore. 2.
Non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e tenute contabili.
3. L’imprenditore non risponde per gli atti compiuti da un procuratore senza spendita
del suo nome.

I commessi sono ausiliari subordinati cui sono affidate mansioni esecutive o materiali
che li pongono in contatto con i terzi. Ai commessi è riconosciuto potere di
rappresentanza dell’imprenditore anche in mancanza di specifico atto di
conferimento. Il principio base è che essi “possono compiere gli atti che
ordinariamente comporta la specie di operazioni di cui sono incaricati”.
L’imprenditore può ampliare o limitare tali poteri. Non è prevista pubblicità legale,
quindi le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se portati a conoscenza.

Capitolo 5: L’azienda.
Art. 2555  “L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per
l’esercizio dell’impresa”.
L’azienda costituisce l’apparato strumentale (locali, macchinari, attrezzature, materi
prime ecc.) di cui l’imprenditore si avvale per lo svolgimento e nello svolgimento
della propria attività.
Per qualificare un dato bene come bene aziendale rilevante è solo la destinazione
impressagli dall’imprenditore. Irrilevante è il titolo giuridico che legittima
l’imprenditore ad utilizzare un dato bene nel processo produttivo. Quindi non sono
beni aziendali i beni dell’imprenditore non destinati allo svolgimento dell’attività di
impresa. La qualifica di beni aziendali, però, compete anche ai beni di proprietà di
terzi di cui l’imprenditore può disporre in base ad un valido titolo giuridico.
L’azienda è un insieme di beni eterogenei, non necessariamente di proprietà
dell’imprenditore, che subisce modificazioni qualitative e quantitative, anche radicali,
nel corso dell’attività. Resta però un complesso caratterizzato da unità funzionale per
il coordinamento fra i diversi elementi costitutivi realizzato dall’imprenditore e
soprattutto per l’unitaria destinazione ad uno specifico fine produttivo.
Organizzazione e destinazione ad un fine produttivo sono dati che attribuiscono ai
bene costituiti in azienda e all’azienda nel suo complesso specifico e particolare
rilievo economico.  infatti producono “nuovo valore”, nuova ricchezza.
L’avviamento di un’azienda è il valore di scambio maggiore rispetto alla somma dei
valori dei singoli beni che lo costituiscono; esso è rappresentato dalla sua attitudine a
consentire la realizzazione di un profitto e di regola dipende sia da fattori oggettivi
sia da fattori soggettivi. È avviamento oggettivo quello ricollegabile a fattori che
permangono anche se muta il titolare dell’azienda in quanto insiti nel coordinamento
esistente tra i beni; è avviamento soggettivo se è dovuto all’abilità operativa
dell’imprenditore sul mercato e in particolare alla sua abilità nel formarsi, conservare
ed accrescere la clientela.
Il trasferimento a titolo definitivo o temporaneo dell’azienda comporta peculiari
effetti per la tutela dell’interesse generale al mantenimento dell’efficienza e
funzionalità dei complessi produttivi.

La circolazione dell’azienda.
L’azienda può formare oggetto di atti di disposizione di diversa natura. (venduta,
donata, conferita, possono essere costituiti diritti reali come usufrutto o personali
come affitto…)
Per aversi trasferimento di azienda non è necessario che l’atto di disposizione
comprenda l’intero complesso aziendale; infatti, questa disciplina è applicabile anche
quando l’imprenditore trasferisce un ramo particolare della sua azienda, purché
dotato di organicità operativa.
Necessario e sufficiente è che sia trasferito un insieme di beni potenzialmente idoneo
ad essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attività di impresa; e ciò
quand’anche il nuovo titolare debba integrare il complesso con ulteriori fattori
produttivi per farlo funzionare. È però necessario che i beni esclusi dal trasferimento
non alterino l’unità economica e funzionale di quella data azienda come si
verificherebbe qualora si escludesse dal trasferimento il brevetto industriale su cui si
fonda l’attività di impresa.
Forma negoziale  i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o
la concessione in godimento dell’azienda sono validi solo se stipulati con
l’osservanza “delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che
compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto”.
Prova  solo per le imprese soggette a registrazione con effetti di pubblicità legale è
previsto che ogni atto di disposizione dell’azienda dev’essere provato per iscritto.
Pubblicità  per tutte le imprese soggette a registrazione è prescritto che i relativi
contratti di trasferimento devono essere iscritti nel registro delle imprese nel termine
di trenta giorni. Per ottenere l’iscrizione il contratto deve essere redatto per atto
pubblico o scrittura privata autenticata.

La vendita dell’azienda.
Chi aliena un’azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di cinque
anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che possa sviare la clientela
dell’azienda ceduta. Se l’azienda è agricola, il divieto opera solo per le attività ad
essa connesse e sempre che rispetto a tali attività sia possibile sviamento della
clientela.
La norma prende in considerazione due diverse esigenze: quella dell’acquirente di
trattenere la clientela dell’impresa, quindi l’avviamento; quella dell’alienante a non
vedere commessa la propria libertà di iniziativa economica oltre un determinato arco
di tempo sufficiente per consentire all’acquirente di consolidare la propria clientela. Il
divieto di concorrenza è derogato ed ha carattere relativo: sussiste nei limiti in cui la
nuova attività di impresa dell’alienante sia potenzialmente idonea a sottrarre clientela
all’azienda ceduta.
Il divieto è applicabile non solo alla vendita volontaria di azienda, ma anche alla
vendita coattiva. Il divieto graverà in testa all’imprenditore fallito nel caso di vendita
in blocco dell’azienda da parte degli organi fallimentari.

La disciplina del trasferimento dell’azienda si preoccupa di favorire il mantenimento


dell’unità economica della stessa. Al tal fine è agevolato il subingresso
dell’acquirente nella trama dei rapporti contrattuali in corso di esecuzione che
l’alienante ha stipulato durante l’attività per assicurarsi i fattori produttivi e per dar
sbocco ai suoi prodotti.
Art. 2558  È previsto che “se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda
subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano
carattere personale”; al terzo contraente è riconosciuto il diritto di recedere dal
contratto “entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa,
salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante”.
Il subingresso dell’acquirente nei contratti in corso di esecuzione prescinde perciò da
un’esplicita manifestazione di volontà in tal senso nell’atto di alienazione
dell’azienda. Se si vuole escludere la successione in uno o più contratti di esecuzione
è necessaria un’espressa pattuizione fra alienante ed acquirente.
Posizione del terzo contraente  la cessione del contratto non può avvenire senza il
consenso del contraente ceduto. Quando il contratto è stipulato con un imprenditore
ed ha per oggetto prestazioni inerenti all’esercizio d’impresa, il consenso del terzo
contraente non è più necessario per il trasferimento del contratti e l’effetto
successorio si produce ex lege.
Il terzo contraente può recedere dal contratto e, quindi, sciogliersi dal vincolo
contrattuale con l’acquirente. Però, il recesso potrà essere validamente esercitato solo
se sussiste una giusta causa e spetterà quindi al terzo contraente provare che
l’acquirente dell’azienda si trova in una situazione tale da non dare affidamento sulla
regolare esecuzione del contratto.
N.B. il recesso non determina il ritorno del contratto in testa all’alienante, bensì la
definitiva estinzione dello stesso. Il terzo contraente può chiedere il risarcimento dei
danni all’alienante.
Questa disciplina non trova applicazione ai contratti stipulati per l’esercizio
dell’impresa che abbiano carattere personale  in questo caso sono necessari sia
un’espressa pattuizione contrattuale tra alienante ed acquirente, sia il consenso del
contraente ceduto.

I crediti e i debiti aziendali  disciplina dettata dagli artt. 2559 e 2560.


Crediti aziendali  La notifica al debitore ceduto o l’accettazione da parte di questi è
sostituita da una notifica collettiva: l’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel
registro delle imprese. Da tale momento la cessione dei crediti relativi all’azienda
ceduta ha effetto nei confronti dei terzi, anche in mancanza di notifica al debitore o di
sua accettazione. Tuttavia, “il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede
all’alienante”. Questa disciplina vale quindi per le imprese soggette a registrazione e
con effetti di pubblicità legale; negli altri casi trova applicazione la disciplina
generale della cessione dei crediti.
Debiti aziendali  È mantenuto il principio generale per cui non è ammesso il
mutamento del debitore senza il consenso del creditore; infatti l’alienante non è
liberato da tali debiti se non risulta che i creditori vi hanno consentito. Per le aziende
commerciali, invece, è previsto che “nel trasferimento di un’azienda commerciale
risponde dei debiti suddetti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri
contabili obbligatori”. Perciò, anche se manca un patto di accollo, l’acquirente di
un’azienda commerciale risponde in solido con l’alienante nei confronti dei creditori
che non abbiano consentito alla liberazione di quest’ultimo.
Debiti di lavoro  L’acquirente dell’azienda risponde, in solido con l’alienante,
anche se non risultano dalle scritture contabili. Inoltre, la responsabilità grava anche
sull’acquirente di un’azienda o di un ramo di azienda non commerciale.

L’azienda può formare oggetto di un diritto reale o personale di godimento: usufrutto


o affitto.
La costituzione in usufrutto di un complesso di beni destinati allo svolgimento di
attività di impresa comporta il riconoscimento in testa all’usufruttuario di particolari
poteri-doveri.
L’usufruttuario deve esercitare l’azienda sotto la ditta che la contraddistingue; deve
condurre l’azienda senza modificarne la destinazione ed in modo da conservare
l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte. La
violazione di tali obblighi determinano la cessazione dell’usufrutto per abuso
dell’usufruttuario.
Il potere-dovere di gestione comporta non solo che può godere dei beni aziendali, ma
ha anche il potere di disporne nei limiti segnati dalle esigenze della gestione. Allo
stesso tempo, l’usufruttuario potrà acquistare ed immettere nell’azienda nuovi beni:
beni che diventano di proprietà del nudo proprietario e sui quali l’usufruttuario avrà
diritto di godimento e potere di disposizione. Al termine dell’usufrutto l’azienda
risulterà comporta in tutto o in parte da beni diversi da quelli originari  necessità di
inventario all’inizio e alla fine.

L’affitto di azienda ha ad oggetto del contratto un complesso di beni organizzati,


eventualmente comprensivo dell’immobile; diversa è la locazione di un immobile
destinato all’esercizio di attività di impresa, in quanto il contratto ha per oggetto il
locale in quanto tale.
Si applicano sia all’usufrutto che all’affitto il divieto di concorrenza (art. 2557) e la
disciplina della successione nei contratti aziendali (art. 2558). Il nudo proprietario ed
il locatore sono perciò tenuti a non iniziare una nuova impresa idonea a sviare la
clientela per la durata dell’usufrutto e dell’affitto. Inoltre, l’usufruttuario o
l’affittuario subentrano automaticamente nei contratti aziendali per la durata
dell’usufrutto o dell’affitto. Si applica, invece, solo all’usufrutto la disciplina dei
crediti aziendali.
Non si applica a nessuno dei due la disciplina dettata per i debiti aziendali, ma
risponderanno esclusivamente il nudo proprietario o il locatore.

Capitolo 6: I segni distintivi.


L’attività di impresa è attività di relazioni sul mercato ed in un mercato che vede
coesistere più imprenditore che producono e/o distribuiscono beni o servizi identici o
similari. Ciascun imprenditore perciò utilizza di regola uno o più segni distintivi che
consentono di individuarlo sul mercato e distinguerlo dagli altri imprenditori
concorrenti.
La ditta, l’insegna ed il marchio sono i tre principali segni distintivi
dell’imprenditore.
La ditta contraddistingue la persona dell’imprenditore nell’esercizio dell’attività di
impresa (c.d. nome commerciale).
L’insegna individua i locali in cui l’attività di impresa è esercitata.
Il marchio individua e distingue i beni o i servizi prodotti.
Crescente rilievo va acquistando il nome a dominio che individua un sito internet
usato nell’attività economica.
Tutti e tre i segni distintivi, pur avendo un proprio specifico ruolo, assolvono una
funzione comune nell’economia del mercato: favoriscono la formazione ed il
mantenimento della clientela in quanto consentono al pubblico ed in particolare ai
consumatori di distinguere fra i vari operatori economici e di operare scelte
consapevoli; sono collettori di clientela.
Principi comuni applicabili per analogia agli altri simboli di identificazione sul
mercato utilizzati dall’imprenditore:
a) L’imprenditore gode di ampia libertà nella formazione dei proprio segni
distintivi. È tenuto però a rispettare le regole di verità, novità e capacità
distintiva.
b) L’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo dei propri segni distintivi; non è
però un diritto assoluto, ma relativo e strumentale alla realizzazione della
funzione distintiva rispetto agli imprenditori concorrenti.
c) L’imprenditore può trasferire ad altri i propri segni distintivi; ma anche questo
diritto non è pieno e incondizionato, in quanto l’ordinamento tende ad evitare
che la circolazione dei segni distintivi possa trarre in inganno il pubblico.

La ditta è il nome commerciale dell’imprenditore; lo individua come soggetto di


diritto nell’esercizio dell’attività di impresa. Ed è segno distintivo necessario, ovvero
in mancanza di diversa scelta essa coincide con il nome civile dell’imprenditore. Non
è però necessario che la ditta corrisponda al nome civile: può essere liberamente
prescelta dall’imprenditore.
Il principio di verità della ditta ha un contenuto diverso a seconda che la ditta sia
originaria o derivata. La ditta originaria è quella formata dall’imprenditore che la
utilizza  per soddisfare il requisito della verità, è necessario e sufficiente che essa
contenga almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore. La ditta derivata è quella
formata da un dato imprenditore e successivamente trasferita ad altro imprenditore
insieme all’azienda. Nessuna disposizione circa il nome a riguardo.
Il principio di novità  la ditta non deve essere “uguale o simile a quella usata da
altro imprenditore” e tale da “creare confusione per l’oggetto dell’impresa o per il
luogo in cui questa è esercitata”. Chi ha adottato per primo una data ditta ha perciò
diritto all’uso esclusivo della stessa; chi successivamente adotti ditta uguale o simile
può essere costretto ad integrarla o modificarla con indicazioni idonee a
differenziarla, anche se corrisponde al nome civile dell’imprenditore.
Il diritto all’uso esclusivo della ditta ed il corrispondente obbligo di differenziazione
sussistono solo se i due imprenditori sono in rapporto concorrenziale fra loro  è
possibile omonimia tra ditte che non creano confusione sul mercato. Quindi il diritto
all’uso esclusivo è diritto relativo.
La ditta è trasferibile, ma solo insieme all’azienda  se il trasferimento avviene per
atto fra vivi, è necessario il consenso espresso dell’alienante; se l’azienda è acquistata
per successione a causa di morte, la ditta si trasmette al successore.

Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa. Esso è


disciplinato sia dall’ordinamento nazionale, sia dall’ordinamento comunitario ed
internazionale.
Al marchio nazionale si è di recente affiancato il marchio dell’Unione Europea. La
recente disciplina consente di ottenere un marchio che produce gli stessi effetti in
tutta l’U.E.
A seguito della registrazione del marchio, viene riconosciuto al titolare il diritto
all’uso esclusivo dello stesso, così permettendo che il marchio assolva la sua funzione
di identificazione e differenziazione dei prodotti similari esistenti sul mercato.
Il marchio non è un segno distintivo essenziale, ma è il più importante in quanto
differenzia i prodotti similari da quelli dei concorrenti. Esso costituisce il principale
simbolo di collegamento tra produttori e consumatori e svolge un ruolo centrale nella
formazione e nel mantenimento della clientela.
Marchio di fabbrica e di commercio  il fabbricante del prodotto si serve del
marchio e i beni che subiscono successive fasi di lavorazione o risultano
dall’assemblaggio di parti distintamente prodotte possono presentare più marchi di
fabbrica. Inoltre, il marchio può essere apposto anche dal commerciante, sia esso un
distributore intermedio o il rivenditore finale. Il rivenditore non può sopprimere il
marchio del produttore.
Marchio di servizio  può essere utilizzato da imprese che producono servizi. Forma
pubblicitaria.
Marchio generale e marchi speciali  L’imprenditore può usare un solo marchio per
tutti i propri prodotti (marchio generale) o più marchi quando vuole differenziare
diversi prodotti o tipi diversi dello stesso prodotto (marchi speciali). È possibile l’uso
contemporaneo di un marchio generale e più marchi speciali.
Composizione del marchio  il marchio può essere costituito solo da parole
(marchio denominativo) e può coincidere con la stessa ditta o con il nome civile
dell’imprenditore. Inoltre, può essere costituito da figure, lettere, disegni o colori
(marchio figurativo) ed anche da suoni. Esso può essere costituito dalla forma del
prodotto o dalla confezione dello stesso; però si deve trattare di una forma
“arbitraria”, la cui funzione esclusiva sia quella di consentire l’individuazione del
prodotto quindi non con forme della natura stessa del prodotto.
Marchio collettivo  titolare di un marchio collettivo è un soggetto che svolge “la
funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi”.
Questi marchi sono di regola utilizzati in aggiunta a quelli individuali ed assolvono
ad una funzione di garanzia della qualità o della provenienza di un prodotto.
Requisiti del marchio  liceità, verità, originalità e novità.
Liceità: il marchio non deve contenere segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o
al buon costume, stemmi o altri segni protetti da convenzioni internazionali. Divieto è
usare come marchio l’altrui ritratto senza consenso dell’interessato. E il consenso
dell’interessato è necessario anche per usare come marchio il nome o lo pseudonimo
di persona che ha acquistato notorietà.
Verità: vieta di inserire nel marchio “segni idonei ad ingannare il pubblico”.
Originalità: il marchio deve essere composto in modo da consentire l’individuazione
dei prodotti contrassegnati tra tutti i prodotti dello stesso genere immessi sul marcato.
Non possono essere utilizzati come marchi in quanto privi di capacità distintiva le
denominazioni generiche, le indicazioni descrittive, i segni divenuti di uso comune
nel linguaggio corrente.
Novità: non deve essere già registrato.
Il difetto dei requisiti comporta la nullità del marchio.
La registrazione attribuisce al titolare del marchio il diritto all’uso esclusivo dello
stesso su tutto il territorio nazionale, quale sia l’effettiva diffusione territoriale dei
suoi prodotti. Il diritto di esclusiva ricompre non solo i prodotti identici, ma anche
quelli affini qualora possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico. Di
conseguenza, non impedisce l’utilizzo dello stesso marchio per prodotti del tutto
diversi.
I marchi celebri sono dotati di forte capacità attrattiva e suggestiva, quindi
conseguenze gravi. Inoltre, il titolare di un marchio celebre registrato può vietare a
terzi di usare un marchio identico o simile al proprio anche per prodotti o servizi non
affini quando tale uso “consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere
distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”.
Il diritto di esclusiva sul marchio registrato decorre dalla data di presentazione della
relativa domanda all’Ufficio brevetti. La registrazione nazionale dura dieci anni e
rinnovabile per un numero illimitato di volte; essa assicura una tutela perpetua, salvo
nullità del marchio.
Causa di decadenza è la volgarizzazione del marchio, cioè il fatto che sia divenuto nel
commercio denominazione generica di quel dato prodotto così perdendo la capacità
distintiva.
Il marchio registrato è tutelato civilmente e penalmente  il titolare del marchio può
promuovere contro un concorrente l’azione di contraffazione, volta ad ottenere
l’inibitoria alla continuazione degli atti lesivi del proprio diritto e la rimozione degli
effetti degli stessi, attraverso la distruzione delle cose materiali per mezzo delle quali
è stata attuata la contraffazione. Il titolare può richiedere il risarcimento dei danni e
restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione.
Marchio non registrato  “Chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà
di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui
anteriormente se ne è avvalso”. La tutela del diritto di esclusiva sul marchio non
registrato si fonda sull’uso di fatto dello stesso e sull’effettivo grado di notorietà
raggiunto. In particolare, il titolare di un marchio registrato con notorietà legale non
potrà impedire che altro imprenditore usi di fatto lo stesso marchio per gli stessi
prodotti in altra zona del territorio nazionale.
Il marchio è trasferibile e può essere trasferito sia a titolo definitivo sia a titolo
temporaneo (c.d. licenza di marchio). È così consentito al titolare di un marchio di
monetizzare il valore commerciale dello stesso determinato dalla capacità attrattiva
della clientela. Oggi il marchio può essere trasferito o concesso in licenza senza che
sia necessario il contemporaneo trasferimento dell’azienda o del corrispondente ramo
produttivo.
Riconoscimento dell’ammissibilità della licenza di marchio non esclusiva 
consentito che lo stesso marchio sia contemporaneamente utilizzato dal titolare
originario e da uno o più concessionari. In base ad accordi contrattuali possono essere
immessi sul mercato prodotti dello stesso genere con lo stesso marchio ma con
diversa fonte di provenienza.
Il legislatore si preoccupa di prevenire e reprimere i pericoli di inganno per il
pubblico cui può dar luogo la libera circolazione del marchio e la licenza non
esclusiva  infatti dal trasferimento o dalla licenza del marchio non deve derivare
inganno.
La violazione di tali regole espone alla sanzione della decadenza del marchio.
L’insegna contraddistingue i locali dell’impresa o l’intero complesso aziendale. Essa
non può essere simile a quella già utilizzata da altro imprenditore concorrente, con
conseguente obbligo di differenziazione qualora possa ingenerare confusione per il
pubblico. Sono applicabili i principi base della ditta e del marchio (liceità, capacità
distintiva, ecc.). Nulla è disposto circa il trasferimento dell’insegna.

Capitolo 7: Opere dell’ingegno. Invenzioni industriali.


Le opere dell’ingegno (idee creative nel campo culturale) e le invenzioni industriali
(idee creative nel campo della tecnica) costituiscono le due grandi categorie di
creazioni intellettuali regolate dal nostro ordinamento.
Le opere dell’ingegno formano oggetto del diritto d’autore.
Le invenzioni industriali possono formare oggetto, a seconda del contenuto, a) del
brevetto per invenzioni industriali, b) del brevetto per modelli di utilità o della
registrazione per disegni e modelli.

Il diritto d’autore.
Formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno scientifiche, letterarie,
musicali, figurative, architettoniche, teatrali e cinematografiche, qualunque ne sia il
modo e la forma di espressione.
Tali opere sono protette indipendentemente dal loro pregio e dall’utilità pratica.
Unica condizione richiesta è che l’opera abbia “carattere creativo”: presenti, cioè, un
minimo di originalità oggettiva rispetto a preesistenti opere dello stesso genere.
Fatto costitutivo del diritto d’autore è la creazione dell’opera. Non è invece
necessario che l’opera sia stata divulgata fra il pubblico. È prevista la registrazione
dell’opera nel registro pubblico generale delle opere protette e per quelle
cinematografiche nello speciale registro tenuto a cura della S.I.A.E., ma tali registri
non hanno carattere costitutivo.
Il diritto d’autore gode di una tutela sia morale, sia patrimoniale. Si distingue perciò
tra diritto morale e diritto patrimoniale di autore.
Diritto morale  l’autore ha diritto di rivendicare nei confronti di chiunque la
paternità dell’opera; di decidere se pubblicarla col proprio nome o in anonimo; di
opporsi a modificazioni; ritirare l’opera dal commercio quando ricorrano gravi
ragioni morali. Questi diritti sono irrinunciabili, inalienabili, non si perdono con la
cessione dei diritti patrimoniali e possono essere esercitati anche dai congiunti dopo
la morte dell’autore.
Diritto patrimoniale  l’autore ha il diritto di utilizzazione economica esclusiva
dell’opera “in ogni forma e modo, originale o derivato”.
Diversamente dal diritto morale, il diritto patrimoniale di autore ha durata limitata, si
estingue in settanta anni dopo la morte dell’autore.
Diritti connessi  riconosciuti a determinate categorie di soggetti come produttori di
dischi, interpreti ed esecutori di opere di ingegno, autori di fotografie e di progetti di
ingegneria. A tali soggetti è riconosciuto il diritto ad un equo compenso da parte di
chiunque utilizzi, in qualsiasi modo ed anche senza scopo di lucro, la loro opera
creativa o interpretativa.

Il diritto di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno è trasferibile sia fra vivi


che a causa di morte (art. 2851 cod. civ.).
Il trasferimento per atto fra vivi può essere sia a titolo definitivo, sia a titolo
temporaneo e le parti possono utilizzare a riguardo qualsiasi schema contrattuale
tipico o atipico.
I contratti sono il contratto di edizione ed il contratto di rappresentazione e di
esecuzione.
Contratto di edizione  l’autore concede in esclusiva ad un editore l’esercizio del
diritto di pubblicare per la stampa l’opera, per conto e a spese dell’editore stesso.
L’editore, a sua volta, si obbliga a stampare, a mettere in commercio l’opera e a
corrispondere all’autore il compenso pattuito. Compenso costituito da una
partecipazione percentuale al ricavato della vendita, ma per talune opere può essere
anche fissato à forfait. La durata non può eccedere i venti anni.
Contratto di rappresentazione e di esecuzione  l’autore cede, di regola non in
esclusiva, il solo diritto di rappresentazione in pubblico di opere destinate a tal fine o
di eseguire in pubblico una composizione musicale. L’altra parte si obbliga a
provvedervi a proprie spese.
Il diritto di autore è protetto con specifiche sanzioni civili, amministrative pecuniarie
e penali, a carico di chi ponga in essere comportamenti lesivi, che possono andare
dall’imitazione totale o parziale degli elementi creativi essenziali di un’opera altrui
alla lesione di singole manifestazioni di diritto di autore.
Le opere dell’ingegno godono di una protezione circoscritta al territorio nazionale e
sono esposte al pericolo della concorrente utilizzazione abusiva da parte di terzi in
altri Stati. Tale pericolo ha sollecitato accordi internazionali volti ad estendere
l’ambito territoriale di tutela del diritto di autore.

Le invenzioni industriali sono idee creative che appartengono al campo della tecnica.
Esse consistono nella soluzione originale di un problema tecnico, suscettibile di
pratica applicazione nel settore della produzione di beni o servizi. Modo di acquisto:
concessione del brevetto da parte dell’Ufficio italiano brevetti e marchi.
Possono formare oggetto di brevetto per invenzione industriale le idee inventive di
maggior rilievo tecnologico, distinte in tre grandi categorie:
1. Invenzione di prodotto
2. Invenzione di procedimento
3. Invenzioni derivate, come derivazione di una precedente invenzione e si
dividono in invenzioni di combinazione, invenzioni di perfezionamento o
invenzioni di traslazione.
Non può formare oggetto di brevetto ciò che già esiste in natura e l’uomo si limita a
percepire o una nuova teoria. Non sono brevettabili come invenzioni i software,
tutelati dalla legge sul diritto di autore, mentre lo è l’hardware. Non sono altresì
brevettabili “i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o
animale e i metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale”, neppure varietà
vegetali, le razze animali ed i procedimenti essenzialmente biologici di produzione di
animali o vegetali.
Requisiti di validità  devono essere leciti, nuovi, implicare un’attività inventiva e
idonei ad avere un’applicazione industriale.
È nuova l’invenzione che “non è compresa nello stato della tecnica”. Per stato della
tecnica si intente tutto ciò che sia comunque accessibile al pubblico prima della data
di deposito della domanda di brevetto (invenzione già divulgata).
L’invenzione implica attività inventiva se “per una persona esperta del ramo, essa
non risulta in modo evidente stato della tecnica”; è invenzione anche un piccolo
progresso tecnico purché non conseguibile da un tecnico medio del ramo facendo
ricorso alle sue ordinarie capacità e conoscenze.
L’invenzione è infine considerata atta ad avere applicazione industriale se il trovato
“può essere fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria, compresa quella
agricola”.
La tutela giuridica dell’invenzione ha contenuto sia morale, diritto ad essere
riconosciuto autore dell’invenzione, che patrimoniale, diritto di conseguire il brevetto
che ha funzione costitutiva ai fini dell’acquisto del diritto all’utilizzazione economica
in esclusiva del trovato.
Il brevetto per invenzione industriale è concesso dall’Ufficio brevetti, sulla base di
una domanda corredata dalla descrizione dell’invenzione “in modo sufficientemente
chiaro e completo perché ogni persona esperta del ramo possa attuarla”. Ogni
domanda può avere ad oggetto una sola invenzione e deve specificare ciò che si
intende debba formare oggetto del brevetto (rivendicazione). Il brevetto dura venti
anni dalla data di deposito della domanda ed è esclusa ogni possibilità di rinnovo; si
perde il diritto di esclusiva qualora sia dichiarata la nullità del brevetto.
Il brevetto conferisce al suo titolare la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e di
trarne profitto nel territorio dello Stato. L’esclusiva comprende non solo la
fabbricazione, ma anche il commercio e l’importazione dei prodotti cui l’invenzione
si riferisce. L’esclusiva di commercio si esaurisce con la prima immissione in
circolazione.
L’esclusiva sussiste nei limiti dell’invenzione brevettata. Tuttavia se l’invenzione
riguarda un nuovo metodo o un nuovo processo di produzione (invenzione di
procedimento), l’esclusiva copre solo l’applicazione del nuovo procedimento e la
messa in commercio dello stesso. Il titolare di tale brevetto potrà impedire che altri
metta in commercio prodotti ottenuti con lo stesso metodo, ma non potrà impedire il
commercio degli stessi prodotti ottenuti con metodo diverso.
Il brevetto è liberamente trasferibile sia tra vivi sia mortis causa, indipendentemente
dal trasferimento dell’azienda. Sul brevetto possono essere costituiti diritti reali di
godimento o di garanzia e può formare anche oggetto di esecuzione forzata o di
espropriazione per pubblica utilità.
Il titolare del brevetto può altresì concedere licenza di uso dello stesso, con o senza
esclusiva di fabbricazione a favore del licenziatario. La licenza di brevetto senza
esclusiva è il tipico contratto di cui si avvale la grande industria dei paesi ad alto
sviluppo tecnologico per mettere a disposizione di imprese di altri paesi i brevetti
fondamentali, dando luogo a forme di dipendenza tecnica ed economica e di controllo
monopolistico del mercato mondiale facilmente intuibili.
Tutela  l’invenzione brevettata è tutelata con sanzioni civili e penali, come l’azione
di contraffazione nei confronti di chi abusivamente sfrutti l’invenzione. Questo
comporta l’inibitoria per il futuro della fabbricazione o dell’uso di quanto forma
oggetto del brevetto, il risarcimento dei danni (sia danno patrimoniale che danno
morale) e restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione.
Il brevetto attribuisce diritto di esclusiva solo su territorio nazionale ma può essere
conseguito anche in altri Stati. Un brevetto autonomo e unitario è il brevetto unitario
europeo, istituito dall’U.E. sulla base di una procedura di cooperazione rafforzata tra
gli Stati membri. Esso ha carattere sovranazionale, unitario ed autonomo e produce
gli stessi effetti nei Paesi dell’U.E.
L’inventore può astenersi dal brevettare il proprio trovato e sfruttarlo in segreto.
Correi il rischio che altri prevenga al medesimo risultato inventivo, lo brevetti ed
acquisti il diritto di esclusiva.
La nuova disciplina riconosce una tutela, seppur limitata, anche a chi abbia utilizzato
un’invenzione senza brevettarla: “chiunque ha fatto uso dell’invenzione nella propria
azienda, nei dodici mesi anteriori al deposito dell’altrui domanda di brevetto, può
continuare a sfruttare l’invenzione stessa nei limiti del preuso”. Il preutente può
altresì trasferire tale facoltà, ma solo insieme all’azienda in cui l’invenzione è
utilizzata. Tale tutela opera anche nel preuso segreto, la cui abusiva violazione
configura anche atto di concorrenza sleale. Se invece l’inventore o il preutente hanno
divulgato l’invenzione, il successivo brevetto difetterà del requisito della novità e
quindi potrà essere esperita azione di nullità dello stesso.

I modelli industriali sono creazioni intellettuali applicati all’industria di minor rilievo


rispetto alle invenzioni industriali. Essi sono distinti in modelli di utilità e disegni e
modelli.
I modelli di utilità sono nuovi trovati destinati a conferire particolare funzionalità a
macchine, strumenti, utensili o oggetti d’uso.
I disegni e modelli sono invece nuove idee destinate a migliorare l’aspetto dei
prodotti industriali o artigianali (campo dell’industrial design).
La tutela dei modelli di utilità si fonda sull’istituto della brevettazione; la durata del
brevetto è di dieci anni. La relativa tutela avviene mediante registrazione che è
subordinata al ricorrere dei requisiti di novità e del carattere individuale. Vale a dire,
il disegno o modello da registrare non deve essere identico ad un disegno o modello
già divulgato in precedenza e deve suscitare nell’utilizzatore informato
un’impressione generale diversa da qualsiasi altro disegno o modello. Non possono
essere registrati disegni o modelli contrari all’ordine pubblico o al buon costume, né
stemmi o altri segni protetti da convenzioni internazionali o che rivestono particolare
interesse pubblico.
La registrazione dura cinque anni dalla domanda ma può essere prorogata fino ad un
periodo di venticinque anni.
Le opere dell’industrial design sono state ammesse a godere anche della più lunga
tutela offerta dalla disciplina del diritto di autore quando “presentino di per sé
carattere creativo e valore artistico”.
Disegni e modelli comunitari ricevono una protezione autonoma ed unitaria, estesa a
tutti gli Stati membri dell’U.E. Questa disciplina si basa sulla registrazione del
modello o disegno presso Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale,
ma tutela anche quelli non registrati per tre anni.

Capitolo 8: La disciplina della concorrenza.

Concorrenza perfetta  Contemporanea presenza sul mercato di numerose imprese


in competizione fra loro, nessuna delle quali sia singolarmente in grado di
condizionare il prezzo delle merci vendute. Piena mobilità dei fattori produttivi e
della domanda da parte dei consumatori, liberi di orientare le proprie scelte verso i
prodotti più convenienti per qualità e prezzo. Assenza di ostacoli all’ingresso di nuovi
operatori in ogni settore della produzione e della distribuzione, nonché di accordi fra
le imprese che falsino la libertà di competizione economica.
Questo è il modello ideale e perfetto in quanto la concorrenza spinge verso una
generale riduzione sia dei costi di produzione sia dei prezzi di vendita; inoltre,
assicura la “naturale” eliminazione dal mercato delle imprese meno competitive,
stimola il processo tecnologico e l’accrescimento dell’efficienza produttiva delle
imprese. <- modello ideale e teorico  dalla realtà.
La non omogenea distribuzione territoriale delle risorse naturali, gli ingenti
investimenti di capitali richiesti, la scarsa mobilità della mano d’opera, l’impossibilità
di produrre a costi competitivi se non si raggiungono determinate dimensioni (…)
sono tutti fattori che limitano la libertà di entrata nel mercato di altri operatori ma, al
tempo stesso, spingono le imprese già operanti ad accrescere le proprie dimensione, a
concentrarsi ed a collegarsi.
Quindi troviamo situazioni di oligopolio: mercato caratterizzato dal controllo
dell’offerta da parte di poche grandi imprese. Gli imprenditori poi stipulano patti volti
a limitare la reciproca concorrenza: intese con le quali si dividono i mercati di
sbocco, predeterminano i prezzi, le quantità e le quote.
Troviamo anche situazioni di monopolio: tutta l’offerta è controllata da una sola
impresa o da poche grandi imprese coalizzate (monopolio di fatto), arbitre di fissare a
piacimento il relativo prezzo e di conseguire elevati margini di profitto a scapito degli
interessi generali della collettività.
 Fissato il principio guida della libertà di concorrenza (art. 41 Cost.), il legislatore
italiano:
a) Consente limitazioni legali della stessa per fini di “utilità sociale” ed anche la
creazione di monopoli legali in specifici settori di interesse generale;
b) Consente limitazioni negoziali della concorrenza, ma ne subordina la validità al
rispetto di condizioni che non comportino un radicale sacrificio della libertà di
iniziativa economica attuale e futura;
c) Assicura l’ordinato e corretto svolgimento della concorrenza attraverso la
repressione degli atti di concorrenza sleale.
Mancanza di una normativa antimonopolistica  a partire dalla metà degli anni
cinquanta la lacuna era colmata dalla disciplina antitrust dettata dai Trattati istitutivi
della Comunità economica europea, ma tale normativa consentiva e consente di
colpire solo le pratiche che possono pregiudicare il regime concorrenziale del
mercato comune europeo, non quello italiano. La lacuna è stata poi colmata dalla
legge 10-10-1990, n.287 recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato.

Legislazione antimonopolistica.
La libertà di iniziativa economica e la competizione fra imprese non possono tradursi
in atti e comportamenti che pregiudicano in modo rilevante e durevole la struttura
concorrenziale del mercato  Principio cardine della legislazione antimonopolistica
dell’Unione europea, volta a preservare il regime concorrenziale del mercato
comunitario e a reprimere le pratiche anticoncorrenziali che pregiudicano il
commercio fra Stati membri.
Disciplina italiana  La legislazione antimonopolistica italiana generale si occupa di
preservare il regime concorrenziale del mercato nazionale e di reprimere i
comportamenti anticoncorrenziali che incidono esclusivamente sul mercato italiano.
La legge 287/1990 ha istituito un apposito organo pubblico indipendente: l’Autorità
garante della concorrenza e del mercato, la quale vigila sul rispetto della normativa
antimonopolistica generale, adotta i provvedimenti antimonopolistici necessari ed
irroga le sanzioni amministrative e pecuniarie previste dalla legge.
La disciplina italiana ha carattere residuale: è circoscritta alle pratiche
anticoncorrenziali che hanno rilievo esclusivamente locale e che non incidono sulla
concorrenza nel mercato comunitario (queste ultime regolate solo dal diritto
comunitario della concorrenza).

Tre fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica nazionale e comunitaria: 1.


Le intese restrittive della concorrenza; 2. L’abuso di posizione dominante; 3. Le
concentrazioni.
Le intese (o cartelli) sono comportamenti concordati fra imprese, anche attraverso
organismi comuni, volte a limitare la propria libertà di azione sul mercato. (ad es.
accordi sui prezzi). Le intese vietate sono quelle che “abbiano per oggetto o per
effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della
concorrenza” all’interno del mercato o in una sua parte rilevante. Sono quindi lecite
le intese minori, cioè quelle intese che per la struttura del mercato interessato, le
caratteristiche delle imprese operanti e gli effetti sull’andamento dell’offerta non
incidono in modo rilevante sull’assetto concorrenziale del mercato.
Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto; chiunque può agire in giudizio per farne
accertare la nullità. L’Autorità adotta i provvedimenti per la rimozione degli effetti
anticoncorrenziali ed irroga le relative sanzioni pecuniarie. Può però ridurre o non
applicare del tutto la sanzione alle imprese che forniscano informazioni decisive o
utili per la scoperta di un’intesa illecita di cui hanno fatto parte (c.d. programmi di
clemenza). Inoltre, qualsiasi danneggiato dall’attuazione di un’intesa vietata può agire
per il risarcimento davanti alla magistratura ordinaria.
L’attuale disciplina agevola l’onere probatorio del danneggiato con presunzioni e
speciali mezzi di ricerca delle prove. In particolare, la violazione del diritto
antimonopolistico si ritiene definitivamente accertata quando il provvedimento
dell’Autorità garante che la constata diventa incontestabile. Inoltre, quando la
violazione del diritto della concorrenza consiste in un cartello anche l’esistenza del
danno è presunta, salva prova contraria. Se il danno non è provato nel suo preciso
ammontare, il giudice può determinarlo in via equativa. Ciascuna parte può chiedere
al giudice di ordinare alla controparte o ad un terzo l’esibizione delle prove rilevanti
di cui dispone.
Il diritto al risarcimento si prescrive in cinque anni dal momento della cessazione del
comportamento illecito, ma il termine inizia a decorrere solo dopo che il danneggiato
sia venuto a conoscenza del fatto lesivo e dell’identità dell’autore della violazione.
Abuso di posizione dominante  Vietato è lo sfruttamento abusivo di una posizione
dominante con comportamenti capaci di pregiudicare la concorrenza effettiva.
Ad un’impresa in posizione dominante è vietato di:
a) Imporre prezzi o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravosi;
b) Impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato;
c) Applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti.
L’Autorità accerta l’infrazione, ne ordina la cessazioni, infligge sanzioni pecuniarie e
può anche discorre la sospensione dell’attività d’impresa fino a trenta giorni.
Abuso di dipendenza economica  Per dipendenza economica si intende “la
situazioni in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali
con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi”. Il patto è nullo
ed espone al risarcimento dei danni nei confronti dell’impresa che ha subito l’abuso.
Inoltre, l’Autorità garante applica le sanzioni previste.
Operazioni di concentrazione tra imprese  Si ha concentrazione quando:
1. Due o più imprese si fondono dando così luogo ad un’unica impresa
(concentrazione giuridica);
2. Due o più imprese, pur restando giuridicamente distinte, diventano un’unica
entità economica: sono sottoposte ad un controllo unitario che consente di
esercitare un’influenza determinante sull’attività produttiva delle imprese
controllate;
3. Due o più imprese indipendenti costituiscono un’impresa societaria comune.
Le concentrazioni non sono di per sé vietate in quanto costituiscono un utile
strumento di ristrutturazione aziendale ma diventano illecite e vietate quando danno
luogo a gravi alterazioni del regime concorrenziale del mercato. È, perciò, stabilito
che le operazioni di concentrazione devono essere preventivamene comunicate
all’Autorità italiana o alla Commissione europea che, in caso di violazione della
legge, applica le sanzioni previste.

Le limitazioni della concorrenza.


La libertà di iniziativa economica privata e la conseguente libertà di concorrenza
sono libertà disposte nell’interesse generale e non possono svolgersi “in contrasto con
l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana”. Per questo sia la Costituzione che il codice civile consentono che tali libertà
possano essere compromesse e limitate dai pubblici poteri.
L’interesse generale può legittimare anche la radicale soppressione della libertà di
concorrenza attraverso la costituzione per legge di monopoli pubblici.
In caso, quindi, di monopolio legale il legislatore si preoccupa di tutelare gli utenti
contro possibili comportamenti arbitrari del monopolista.
Infatti, chi opera in regime di monopolio ha un duplice obbligo: 1. l’obbligo di
contrattare con chiunque richieda le prestazioni e di soddisfare le richieste che siano
compatibili con i mezzi ordinari delle imprese; 2. L’obbligo di rispettare la parità di
trattamento tra i diversi richiedenti.

La libertà individuale di iniziativa economica e di concorrenza è libertà parzialmente


disponibile. Infatti l’art. 2596 cod. civ. permette la stipulazione di accordi restrittivi
della concorrenza.
Disciplina generale  il patto che limita la concorrenza deve essere provato per
iscritto, è valido solo se circoscritto ad un determinato ambito territoriale e ha una
durata massima di cinque anni.
Finalità esclusiva della disciplina è quella di tutelare il soggetto o i soggetti che
assumono convenzionalmente l’obbligo di non concorrenza. Le clausole limitative
della concorrenza devono ritenersi vietate quando ricadono nel divieto di intese
anticoncorrenziali o di abuso di posizione dominante.
Patti limitativi della concorrenza: i cartelli ed i consorzi anticoncorrenziali (contratti
con i quali più imprenditori possono prevedere impegni reciproci di vario tipo).

La concorrenza sleale.
È interesse generale che la competizione fra imprenditori si svolga in modo corretto
e leale.
Disciplina della concorrenza sleale artt. 2598-2601 cod. civ.  Nello svolgimento
della competizione fra imprenditori concorrenti è vietato servirsi di mezzi e tecniche
non conformi ai “principi della correttezza professionale” (atti di concorrenza sleale).
Tali atti sono repressi e sanzionati anche se compiuti senza dolo o colpa, ed anche se
non hanno ancora arrecato un danno ai concorrenti  basta il danno potenziale, che
“l’atto sia idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. Quindi vengono applicati le
sanzioni tipiche dell’inibitoria alla continuazione degli atti di concorrenza sleale e
della rimozione degli effetti prodotti, salvo il diritto al risarcimento dei danni in
presenza dell’elemento psicologico e di un danno patrimoniale attuale. Inoltre, una
volta accertato l’atto di concorrenza sleale, la colpa del danneggiante si presume.
È tutelato l’interesse generale a che non vengano falsati gli elementi di valutazione e
di giudizio del pubblico e non siano tratti in inganno i destinatari finali della
produzione: i consumatori. <- questi ultimi non sono tutelati direttamente dalla
disciplina della concorrenza sleale.
I consumatori sono poi tutelati per quanto riguarda la pubblicità ingannevole e le
pratiche commerciali scorrette, ovvero tutte le pratiche commerciale che possono
indurre il consumatore medio ad assumere decisioni commerciale che altrimenti non
avrebbe preso.
Art. 2598 cod. civ.  definisce i comportamenti che costituiscono atti di concorrenza
sleale.
È atto di concorrenza sleale ogni atto idoneo a creare confusione con i prodotti o con
l’attività di un concorrente. È lecito attrarre a sé l’altrui clientela, ma non è lecito
farlo avvalendosi di mezzi che possono trarre in inganno il pubblico sulla
provenienza dei prodotti e sull’identità personale dell’imprenditore  Atti di
confusione: a) uso di nomi o segni distintivi “idonei a produrre confusione con i nomi
o con i segni distintivi legittimamente usati da altri” imprenditori concorrenti; b)
imitazione servile dei prodotti di un concorrente, cioè la riproduzione delle forme
esteriori dei prodotti altrui attuata in modo da indurre il pubblico a supporre che i due
prodotti provengano dalla stessa impresa.
Un’altra categoria è formata dagli atti di denigrazione, che consistono nel diffondere
“notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a
determinare discredito”, e dall’appropriazione di pregi dei prodotti e dell’impresa di
un concorrente. Comune ad entrambe le figure è la finalità di falsare gli elementi di
valutazione del pubblico, attraverso comunicazioni indirizzate a terzi avvalendosi
della pubblicità. Esempio di denigrazione è la pubblicità iperbolica, con cui si tende
ad accreditare l’idea che il prodotto sia il solo a possedere specifiche qualità o
determinati pregi negando la presenza nei prodotti dei concorrenti. La pubblicità
comparativa, invece, non sempre costituisce concorrenza sleale; si tratta della
pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente, ovvero beni o
servizi offerti da un concorrente.  è lecita quando è fondata su dati veri ed
oggettivamente verificabili, non ingenera confusione e non denigra.
Altri atti di concorrenza sleale: “è tale ogni altro mezzo non conforme ai principi
della correttezza professione e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.  pubblicità
menzognera (falsa attribuzione ai propri prodotti di qualità o pregi non appartenenti
ad alcun concorrente), concorrenza parassitaria (sistematica imitazione delle altrui
iniziative imprenditoriali), dumping (sistematica vendita sotto costo dei propri
prodotti al fine di eliminare i concorrenti), storno di dipendenti (sottrazione ad un
concorrente di dipendenti particolarmente qualificati, attuata col deliberato proposito
di danneggiare l’altrui azienda e/o avvantaggiarsi in modo parassitario degli
investimenti formativi e delle conoscenze aziendali del concorrente).

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