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Capitolo 1: L’imprenditore.
Figura dell’imprenditore Art. 2082 cod. civ.
Il codice civile distingue i vari tipi di impresa e imprenditore in base a 3 criteri “di
differenziazione”:
1. L’oggetto dell’impresa (imprenditore agricolo, imprenditore commerciale)
2. La dimensione dell’impresa (piccolo imprenditore, imprenditore medio-
grande)
3. La natura del soggetto che esercita l’impresa (impresa individuale, impresa
costituita in forma di società, impresa pubblica)
Lo statuto generale dell’imprenditore disciplina i vari tipi di imprenditore e
comprende la disciplina dell’azienda e dei segni distintivi, la disciplina della
concorrenza e dei consorzi e la disciplina della concorrenza e del mercato. Inoltre,
ogni tipo di imprenditore ha uno statuto tipico.
Nozione generale di imprenditore (art. 2082) “È imprenditore chi esercita
professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello
scambio di beni e servizi”.
Essa fissa i requisiti minimi che devono ricorrere perché un dato soggetto sia esposto
all’applicazione delle norme del codice civile dettate per l’impresa e per
l’imprenditore.
Quindi l’impresa è attività (serie coordinata di atti) caratterizzata sia da uno
specifico scopo (produzione o scambio di beni o servizi), sia da specifiche modalità
di svolgimento (organizzazione, economicità, professionalità).
Requisiti:
L’impresa è 1. attività produttiva di nuova ricchezza e attività di scambio che
incrementa l’utilità dei beni spostandoli nel tempo e/o nello spazio. Irrilevante è: la
natura dei beni o servizi, il tipo di bisogno da soddisfare, la presenza o meno di
godimento.
La qualità di imprenditore deve essere riconosciuta anche quando l’attività produttiva
svolta è illecita (cioè contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon
costume) sia nei casi meno gravi in cui sono violate norme imperative che
subordinano l’esercizio dell’attività d’impresa, sia nei casi in cui illecito sia l’oggetto
stesso dell’attività. Vero è che chi svolge attività d’impresa violando la legge non
potrà avvalersi delle norme che tutelano l’imprenditore nei confronti dei terzi.
L’impresa è 2. attività organizzata. L’imprenditore crea un complesso produttivo,
formato da persone e beni strumentali il legislatore qualifica l’impresa come
attività organizzata, definisce azienda il complesso di beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
L’organizzazione imprenditoriale può essere anche organizzazione di soli capitali e
del proprio lavoro intellettuale e/o manuale. Non è necessario che l’attività sia
esercitata con l’ausilio di collaboratori e che i beni siano mobili ed immobili, possono
essere anche mezzi finanziari.
La semplice organizzazione a fini produttivi del proprio lavoro non può essere
considerata organizzazione di tipo imprenditoriale e in mancanza di un minimo di
“eteroorganizzazione” deve negarsi l’esistenza di impresa, sia pure piccola. lavoro
autonomo non imprenditoriale.
La piccola impresa è, invece, quella organizzata prevalentemente con il lavoro
proprio e dei familiari, in quanto l’organizzazione del lavoro dei familiari è pur
sempre organizzazione del lavoro altrui.
L’impresa è 3. attività economica. Per aversi impresa, quindi, è essenziale che
l’attività produttiva sia condotta con metodo economico; secondo modalità che
consentano quanto meno la copertura dei costi con i ricavi ed assicurino
l’autosufficienza economica. Altrimenti si ha consumo e non produzione di
ricchezza. Quindi non è considerato imprenditore chi produce beni che vengono
erogati gratuitamente o a “prezzo politico”, ad es. ente pubblico o associazione
privata che gestisce gratuitamente o a prezzo simbolico un ospedale. È, invece,
imprenditore chi gestisce i medesimi servizi con metodo economico, anche se ispirato
da un fine pubblico o ideale anche se le condizioni di mercato non consentano di
remunerare i fattori produttivi.
Perché l’attività possa dirsi economica non è, però, essenziale che essa sia
caratterizzata dall’intento dell’imprenditore di conseguire un guadagno o un profitto
personale: scopo di lucro.
La nozione di imprenditore è nozione unitaria, comprensiva sia dell’impresa privata
sia dell’impresa pubblica; e ciò implica che requisito essenziale può essere
considerato solo ciò che è comune a tutte le imprese e a tutti gli imprenditori. E
l’impresa pubblica è tenuta ad operare secondo criteri di economicità ma non è
preordinata alla realizzazione di un profitto, così come l’impresa cooperativa e
l’impresa sociale requisito minimo essenziale dell’attività d’impresa è
l’economicità della gestione e non lo scopo di lucro.
L’impresa richiede 4. professionalità. Professionalità significa esercizio abituale e
non occasionale di una data attività produttiva -> non è imprenditore chi compie
un’isolata operazione di acquisto e di successiva rivendita di merci.
La professionalità, però, non richiede che l’attività imprenditoriale sia svolta in modo
continuato e senza interruzioni -> per le attività stagionali è sufficiente il costante
ripetersi di atti di impresa.
La professionalità non richiede neppure che quella impresa sia l’attività unica o
principale, è possibile anche il contemporaneo esercizio di più attività d’impresa da
parte dello stesso soggetto.
Infine, è considerata impresa anche quando si opera per il compimento di un unico
affare, se questo comporta il complimento di operazioni molteplici e l’utilizzo di un
apparato produttivo complesso.
Di regola le imprese operano per il mercato ma imprenditore può essere qualificato
anche chi produce beni o servizi destinati ad uso e consumo personale (c.d. impresa
per conto proprio).
I liberi professionisti non sono imprenditori. L’art. 2238 cod. civ. stabilisce che le
disposizioni in tema di impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se
“l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma
di impresa”. Il professionista intellettuale che si limita a svolgere la propria attività
non diventa mai imprenditore anche se dà vita ad un’organizzazione complessa di
capitale e/o lavoro. I professionisti non sono imprenditori per “libera scelta” del
legislatore ispirata dalla particolare considerazione sociale che tradizionalmente
circonda le professioni intellettuali. esonero dei professionisti intellettuali dallo
statuto dell’imprenditore.
Inizio dell’impresa.
La qualità di imprenditore si acquista con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attività
di impresa (principio di effettività); non è sufficiente l’intenzione. L’iscrizione nel
registro delle imprese non è condizione né necessaria né sufficiente per l’attribuzione
della qualità di imprenditore commerciale. Anche per le società deve trovare
applicazione il principio dell’effettività.
L’effettivo inizio dell’attività di impresa è preceduto da una fase preliminare di
organizzazione più o meno lunga e complessa, è qui che viene assegnata la qualità di
imprenditore dato che l’attività di organizzazione di una data impresa è attività
indirizzata ad un fine produttivo. Anche gli atti di organizzazione faranno acquistare
la qualità di imprenditore quando manifestano in modo non equivoco lo stabile
orientamento dell’attività verso un determinato fine produttivo (professionalità).
Mentre per le società, organismo di durata programmato per lo svolgimento di una
determinata attività di impresa, anche un solo atto di organizzazione imprenditoriale
potrà essere sufficiente.
Fine dell’impresa.
La fine dell’impresa è di regola preceduta da una fase di liquidazione durante la quale
l’imprenditore completa i cicli produttivi iniziati, vende le giacenze di magazzino e
gli impianti, licenzia i dipendenti, definisce i rapporti pendenti. La fase liquidativa
può ritenersi chiusa solo con la definitiva disgregazione del complesso aziendale, che
rende definitiva ed irrevocabile la cessazione.
Inizialmente la giurisprudenza riconosceva non necessaria per l’imprenditore la
completa definizione dei rapporti sorti durante l’esercizio di impresa, mentre per le
società era necessaria la cancellazione dal registro delle imprese ed anche la completa
definizione dei rapporti pendenti.
Il nuovo art. 10 legge fall. dispone ora che “gli imprenditori individuale e
collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal
registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o
entro l’anno successivo”. In caso di impresa individuale o di cancellazione d’ufficio
degli imprenditori collettivi è però fatta salva “la facoltà per il creditore o per il
pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da
cui decorre il termine del primo comma”.
Quindi la cancellazione dal registro delle imprese è condizione necessaria affinché
l’imprenditore individuale o collettivo benefici del termine annuale per la
dichiarazione del fallimento, ma non è sufficiente: essa deve essere accompagnata
anche all’effettiva cessazione dell’attività di impresa, mediante la disgregazione del
complesso aziendale, altrimenti non decorre il termine annuale.
Capacità e incapacità.
La capacità all’esercizio di attività di impresa si acquista con la capacità di agire e
quindi al compimento del diciottesimo anno di età. Si perde in seguito ad interdizione
o inabilitazione.
Il minore o l’incapace che esercita attività di impresa non acquista la qualità di
imprenditore.
Costituiscono incompatibilità con la capacità di agire i divieti di esercizio di impresa
commerciale posti a carico di colore che esercitano determinati uffici o professioni
(ad es. avvocati, notai, impiegati dello Stato). La violazione di tali divieti non
impedisce l’acquisto della qualità di imprenditore commerciale, ma espone solo a
sanzioni amministrative e ad un aggravamento delle sanzioni penali per bancarotta in
caso di fallimento.
È institore colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa o di una sede
secondaria o di un ramo particolare della stessa; cioè, il direttore generale
dell’impresa o di una filiale o di un settore produttivo. Egli è un lavoratore
subordinato con la qualifica di dirigente, posto al vertice della gerarchia del
personale. Vertice assoluto se è preposto all’intera impresa; vertice relativo se è
preposto ad una filiale o ad un ramo dell’impresa. Rilevante è che l’institore sia stato
investito dall’imprenditore di un potere di gestione generale.
L’institore è tenuto, congiuntamente con l’imprenditore, all’adempimento degli
obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili
dell’impresa o della sede cui è preposto. In caso di fallimento dell’imprenditore
troveranno applicazione anche nei confronti dell’institore le sanzione penali a carico
del fallito.
Oltre al potere di gestione, ad egli viene conferito un ampio e generale potere di
rappresentanza Rappresentanza sia sostanziale, ovvero egli può compiere in nome
dell’imprenditore “tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa” della sede o del
ramo cui è preposto”, sia processuale, ovvero egli può stare in giudizio sia come
attore (rappresentanza processuale attiva) sia come convenuto (rappresentanza
processuale passiva) per “le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio
dell’impresa a cui è preposto”.
I poteri rappresentativi dell’institore possono essere ampliati o limitati o revocati
dall’imprenditore, sia all’atto della preposizione sia in un momento successivo. Le
limitazioni o la revoca sono opponibili ai terzi solo se la procura originaria o l’atto di
limitazione sono stati pubblicati nel registro delle imprese.
L’institore deve rendere palese al terzo la sua veste spendendo il nome del
rappresentato, perciò l’institore è personalmente obbligato se omette di far conoscere
al terzo che egli tratta per il preponente. Personalmente obbligato, quindi, è anche il
preponente quando gli atti compiuti dall’institore “siano pertinenti all’esercizio
dell’impresa cui è preposto”.
I procuratori sono coloro che “in base ad un rapporto continuativo, abbiano il potere
di compiere per l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur non
essendo preposti ad esso”. Essi sono, quindi, degli ausiliari subordinati di grado
inferiore rispetto all’institore in quanto a differenza di questo: a) non sono posti a
capo dell’impresa o di un ramo o di una sede secondaria; b) pur essendo degli
ausiliari con funzioni direttive, il loro potere decisionale è circoscritto ad un
determinato settore operativo dell’impresa. I procuratori sono ex lege investiti di un
potere di rappresentanza generale dell’imprenditore. (generale rispetto alla specie di
operazioni per le quali essi sono stati investiti di autonomo potere decisionale).
Inoltre il procuratore: 1. Non ha la rappresentanza processuale dell’imprenditore. 2.
Non è soggetto agli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e tenute contabili.
3. L’imprenditore non risponde per gli atti compiuti da un procuratore senza spendita
del suo nome.
I commessi sono ausiliari subordinati cui sono affidate mansioni esecutive o materiali
che li pongono in contatto con i terzi. Ai commessi è riconosciuto potere di
rappresentanza dell’imprenditore anche in mancanza di specifico atto di
conferimento. Il principio base è che essi “possono compiere gli atti che
ordinariamente comporta la specie di operazioni di cui sono incaricati”.
L’imprenditore può ampliare o limitare tali poteri. Non è prevista pubblicità legale,
quindi le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se portati a conoscenza.
Capitolo 5: L’azienda.
Art. 2555 “L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per
l’esercizio dell’impresa”.
L’azienda costituisce l’apparato strumentale (locali, macchinari, attrezzature, materi
prime ecc.) di cui l’imprenditore si avvale per lo svolgimento e nello svolgimento
della propria attività.
Per qualificare un dato bene come bene aziendale rilevante è solo la destinazione
impressagli dall’imprenditore. Irrilevante è il titolo giuridico che legittima
l’imprenditore ad utilizzare un dato bene nel processo produttivo. Quindi non sono
beni aziendali i beni dell’imprenditore non destinati allo svolgimento dell’attività di
impresa. La qualifica di beni aziendali, però, compete anche ai beni di proprietà di
terzi di cui l’imprenditore può disporre in base ad un valido titolo giuridico.
L’azienda è un insieme di beni eterogenei, non necessariamente di proprietà
dell’imprenditore, che subisce modificazioni qualitative e quantitative, anche radicali,
nel corso dell’attività. Resta però un complesso caratterizzato da unità funzionale per
il coordinamento fra i diversi elementi costitutivi realizzato dall’imprenditore e
soprattutto per l’unitaria destinazione ad uno specifico fine produttivo.
Organizzazione e destinazione ad un fine produttivo sono dati che attribuiscono ai
bene costituiti in azienda e all’azienda nel suo complesso specifico e particolare
rilievo economico. infatti producono “nuovo valore”, nuova ricchezza.
L’avviamento di un’azienda è il valore di scambio maggiore rispetto alla somma dei
valori dei singoli beni che lo costituiscono; esso è rappresentato dalla sua attitudine a
consentire la realizzazione di un profitto e di regola dipende sia da fattori oggettivi
sia da fattori soggettivi. È avviamento oggettivo quello ricollegabile a fattori che
permangono anche se muta il titolare dell’azienda in quanto insiti nel coordinamento
esistente tra i beni; è avviamento soggettivo se è dovuto all’abilità operativa
dell’imprenditore sul mercato e in particolare alla sua abilità nel formarsi, conservare
ed accrescere la clientela.
Il trasferimento a titolo definitivo o temporaneo dell’azienda comporta peculiari
effetti per la tutela dell’interesse generale al mantenimento dell’efficienza e
funzionalità dei complessi produttivi.
La circolazione dell’azienda.
L’azienda può formare oggetto di atti di disposizione di diversa natura. (venduta,
donata, conferita, possono essere costituiti diritti reali come usufrutto o personali
come affitto…)
Per aversi trasferimento di azienda non è necessario che l’atto di disposizione
comprenda l’intero complesso aziendale; infatti, questa disciplina è applicabile anche
quando l’imprenditore trasferisce un ramo particolare della sua azienda, purché
dotato di organicità operativa.
Necessario e sufficiente è che sia trasferito un insieme di beni potenzialmente idoneo
ad essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attività di impresa; e ciò
quand’anche il nuovo titolare debba integrare il complesso con ulteriori fattori
produttivi per farlo funzionare. È però necessario che i beni esclusi dal trasferimento
non alterino l’unità economica e funzionale di quella data azienda come si
verificherebbe qualora si escludesse dal trasferimento il brevetto industriale su cui si
fonda l’attività di impresa.
Forma negoziale i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o
la concessione in godimento dell’azienda sono validi solo se stipulati con
l’osservanza “delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che
compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto”.
Prova solo per le imprese soggette a registrazione con effetti di pubblicità legale è
previsto che ogni atto di disposizione dell’azienda dev’essere provato per iscritto.
Pubblicità per tutte le imprese soggette a registrazione è prescritto che i relativi
contratti di trasferimento devono essere iscritti nel registro delle imprese nel termine
di trenta giorni. Per ottenere l’iscrizione il contratto deve essere redatto per atto
pubblico o scrittura privata autenticata.
La vendita dell’azienda.
Chi aliena un’azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di cinque
anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che possa sviare la clientela
dell’azienda ceduta. Se l’azienda è agricola, il divieto opera solo per le attività ad
essa connesse e sempre che rispetto a tali attività sia possibile sviamento della
clientela.
La norma prende in considerazione due diverse esigenze: quella dell’acquirente di
trattenere la clientela dell’impresa, quindi l’avviamento; quella dell’alienante a non
vedere commessa la propria libertà di iniziativa economica oltre un determinato arco
di tempo sufficiente per consentire all’acquirente di consolidare la propria clientela. Il
divieto di concorrenza è derogato ed ha carattere relativo: sussiste nei limiti in cui la
nuova attività di impresa dell’alienante sia potenzialmente idonea a sottrarre clientela
all’azienda ceduta.
Il divieto è applicabile non solo alla vendita volontaria di azienda, ma anche alla
vendita coattiva. Il divieto graverà in testa all’imprenditore fallito nel caso di vendita
in blocco dell’azienda da parte degli organi fallimentari.
Il diritto d’autore.
Formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno scientifiche, letterarie,
musicali, figurative, architettoniche, teatrali e cinematografiche, qualunque ne sia il
modo e la forma di espressione.
Tali opere sono protette indipendentemente dal loro pregio e dall’utilità pratica.
Unica condizione richiesta è che l’opera abbia “carattere creativo”: presenti, cioè, un
minimo di originalità oggettiva rispetto a preesistenti opere dello stesso genere.
Fatto costitutivo del diritto d’autore è la creazione dell’opera. Non è invece
necessario che l’opera sia stata divulgata fra il pubblico. È prevista la registrazione
dell’opera nel registro pubblico generale delle opere protette e per quelle
cinematografiche nello speciale registro tenuto a cura della S.I.A.E., ma tali registri
non hanno carattere costitutivo.
Il diritto d’autore gode di una tutela sia morale, sia patrimoniale. Si distingue perciò
tra diritto morale e diritto patrimoniale di autore.
Diritto morale l’autore ha diritto di rivendicare nei confronti di chiunque la
paternità dell’opera; di decidere se pubblicarla col proprio nome o in anonimo; di
opporsi a modificazioni; ritirare l’opera dal commercio quando ricorrano gravi
ragioni morali. Questi diritti sono irrinunciabili, inalienabili, non si perdono con la
cessione dei diritti patrimoniali e possono essere esercitati anche dai congiunti dopo
la morte dell’autore.
Diritto patrimoniale l’autore ha il diritto di utilizzazione economica esclusiva
dell’opera “in ogni forma e modo, originale o derivato”.
Diversamente dal diritto morale, il diritto patrimoniale di autore ha durata limitata, si
estingue in settanta anni dopo la morte dell’autore.
Diritti connessi riconosciuti a determinate categorie di soggetti come produttori di
dischi, interpreti ed esecutori di opere di ingegno, autori di fotografie e di progetti di
ingegneria. A tali soggetti è riconosciuto il diritto ad un equo compenso da parte di
chiunque utilizzi, in qualsiasi modo ed anche senza scopo di lucro, la loro opera
creativa o interpretativa.
Le invenzioni industriali sono idee creative che appartengono al campo della tecnica.
Esse consistono nella soluzione originale di un problema tecnico, suscettibile di
pratica applicazione nel settore della produzione di beni o servizi. Modo di acquisto:
concessione del brevetto da parte dell’Ufficio italiano brevetti e marchi.
Possono formare oggetto di brevetto per invenzione industriale le idee inventive di
maggior rilievo tecnologico, distinte in tre grandi categorie:
1. Invenzione di prodotto
2. Invenzione di procedimento
3. Invenzioni derivate, come derivazione di una precedente invenzione e si
dividono in invenzioni di combinazione, invenzioni di perfezionamento o
invenzioni di traslazione.
Non può formare oggetto di brevetto ciò che già esiste in natura e l’uomo si limita a
percepire o una nuova teoria. Non sono brevettabili come invenzioni i software,
tutelati dalla legge sul diritto di autore, mentre lo è l’hardware. Non sono altresì
brevettabili “i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o
animale e i metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale”, neppure varietà
vegetali, le razze animali ed i procedimenti essenzialmente biologici di produzione di
animali o vegetali.
Requisiti di validità devono essere leciti, nuovi, implicare un’attività inventiva e
idonei ad avere un’applicazione industriale.
È nuova l’invenzione che “non è compresa nello stato della tecnica”. Per stato della
tecnica si intente tutto ciò che sia comunque accessibile al pubblico prima della data
di deposito della domanda di brevetto (invenzione già divulgata).
L’invenzione implica attività inventiva se “per una persona esperta del ramo, essa
non risulta in modo evidente stato della tecnica”; è invenzione anche un piccolo
progresso tecnico purché non conseguibile da un tecnico medio del ramo facendo
ricorso alle sue ordinarie capacità e conoscenze.
L’invenzione è infine considerata atta ad avere applicazione industriale se il trovato
“può essere fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria, compresa quella
agricola”.
La tutela giuridica dell’invenzione ha contenuto sia morale, diritto ad essere
riconosciuto autore dell’invenzione, che patrimoniale, diritto di conseguire il brevetto
che ha funzione costitutiva ai fini dell’acquisto del diritto all’utilizzazione economica
in esclusiva del trovato.
Il brevetto per invenzione industriale è concesso dall’Ufficio brevetti, sulla base di
una domanda corredata dalla descrizione dell’invenzione “in modo sufficientemente
chiaro e completo perché ogni persona esperta del ramo possa attuarla”. Ogni
domanda può avere ad oggetto una sola invenzione e deve specificare ciò che si
intende debba formare oggetto del brevetto (rivendicazione). Il brevetto dura venti
anni dalla data di deposito della domanda ed è esclusa ogni possibilità di rinnovo; si
perde il diritto di esclusiva qualora sia dichiarata la nullità del brevetto.
Il brevetto conferisce al suo titolare la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e di
trarne profitto nel territorio dello Stato. L’esclusiva comprende non solo la
fabbricazione, ma anche il commercio e l’importazione dei prodotti cui l’invenzione
si riferisce. L’esclusiva di commercio si esaurisce con la prima immissione in
circolazione.
L’esclusiva sussiste nei limiti dell’invenzione brevettata. Tuttavia se l’invenzione
riguarda un nuovo metodo o un nuovo processo di produzione (invenzione di
procedimento), l’esclusiva copre solo l’applicazione del nuovo procedimento e la
messa in commercio dello stesso. Il titolare di tale brevetto potrà impedire che altri
metta in commercio prodotti ottenuti con lo stesso metodo, ma non potrà impedire il
commercio degli stessi prodotti ottenuti con metodo diverso.
Il brevetto è liberamente trasferibile sia tra vivi sia mortis causa, indipendentemente
dal trasferimento dell’azienda. Sul brevetto possono essere costituiti diritti reali di
godimento o di garanzia e può formare anche oggetto di esecuzione forzata o di
espropriazione per pubblica utilità.
Il titolare del brevetto può altresì concedere licenza di uso dello stesso, con o senza
esclusiva di fabbricazione a favore del licenziatario. La licenza di brevetto senza
esclusiva è il tipico contratto di cui si avvale la grande industria dei paesi ad alto
sviluppo tecnologico per mettere a disposizione di imprese di altri paesi i brevetti
fondamentali, dando luogo a forme di dipendenza tecnica ed economica e di controllo
monopolistico del mercato mondiale facilmente intuibili.
Tutela l’invenzione brevettata è tutelata con sanzioni civili e penali, come l’azione
di contraffazione nei confronti di chi abusivamente sfrutti l’invenzione. Questo
comporta l’inibitoria per il futuro della fabbricazione o dell’uso di quanto forma
oggetto del brevetto, il risarcimento dei danni (sia danno patrimoniale che danno
morale) e restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione.
Il brevetto attribuisce diritto di esclusiva solo su territorio nazionale ma può essere
conseguito anche in altri Stati. Un brevetto autonomo e unitario è il brevetto unitario
europeo, istituito dall’U.E. sulla base di una procedura di cooperazione rafforzata tra
gli Stati membri. Esso ha carattere sovranazionale, unitario ed autonomo e produce
gli stessi effetti nei Paesi dell’U.E.
L’inventore può astenersi dal brevettare il proprio trovato e sfruttarlo in segreto.
Correi il rischio che altri prevenga al medesimo risultato inventivo, lo brevetti ed
acquisti il diritto di esclusiva.
La nuova disciplina riconosce una tutela, seppur limitata, anche a chi abbia utilizzato
un’invenzione senza brevettarla: “chiunque ha fatto uso dell’invenzione nella propria
azienda, nei dodici mesi anteriori al deposito dell’altrui domanda di brevetto, può
continuare a sfruttare l’invenzione stessa nei limiti del preuso”. Il preutente può
altresì trasferire tale facoltà, ma solo insieme all’azienda in cui l’invenzione è
utilizzata. Tale tutela opera anche nel preuso segreto, la cui abusiva violazione
configura anche atto di concorrenza sleale. Se invece l’inventore o il preutente hanno
divulgato l’invenzione, il successivo brevetto difetterà del requisito della novità e
quindi potrà essere esperita azione di nullità dello stesso.
Legislazione antimonopolistica.
La libertà di iniziativa economica e la competizione fra imprese non possono tradursi
in atti e comportamenti che pregiudicano in modo rilevante e durevole la struttura
concorrenziale del mercato Principio cardine della legislazione antimonopolistica
dell’Unione europea, volta a preservare il regime concorrenziale del mercato
comunitario e a reprimere le pratiche anticoncorrenziali che pregiudicano il
commercio fra Stati membri.
Disciplina italiana La legislazione antimonopolistica italiana generale si occupa di
preservare il regime concorrenziale del mercato nazionale e di reprimere i
comportamenti anticoncorrenziali che incidono esclusivamente sul mercato italiano.
La legge 287/1990 ha istituito un apposito organo pubblico indipendente: l’Autorità
garante della concorrenza e del mercato, la quale vigila sul rispetto della normativa
antimonopolistica generale, adotta i provvedimenti antimonopolistici necessari ed
irroga le sanzioni amministrative e pecuniarie previste dalla legge.
La disciplina italiana ha carattere residuale: è circoscritta alle pratiche
anticoncorrenziali che hanno rilievo esclusivamente locale e che non incidono sulla
concorrenza nel mercato comunitario (queste ultime regolate solo dal diritto
comunitario della concorrenza).
La concorrenza sleale.
È interesse generale che la competizione fra imprenditori si svolga in modo corretto
e leale.
Disciplina della concorrenza sleale artt. 2598-2601 cod. civ. Nello svolgimento
della competizione fra imprenditori concorrenti è vietato servirsi di mezzi e tecniche
non conformi ai “principi della correttezza professionale” (atti di concorrenza sleale).
Tali atti sono repressi e sanzionati anche se compiuti senza dolo o colpa, ed anche se
non hanno ancora arrecato un danno ai concorrenti basta il danno potenziale, che
“l’atto sia idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. Quindi vengono applicati le
sanzioni tipiche dell’inibitoria alla continuazione degli atti di concorrenza sleale e
della rimozione degli effetti prodotti, salvo il diritto al risarcimento dei danni in
presenza dell’elemento psicologico e di un danno patrimoniale attuale. Inoltre, una
volta accertato l’atto di concorrenza sleale, la colpa del danneggiante si presume.
È tutelato l’interesse generale a che non vengano falsati gli elementi di valutazione e
di giudizio del pubblico e non siano tratti in inganno i destinatari finali della
produzione: i consumatori. <- questi ultimi non sono tutelati direttamente dalla
disciplina della concorrenza sleale.
I consumatori sono poi tutelati per quanto riguarda la pubblicità ingannevole e le
pratiche commerciali scorrette, ovvero tutte le pratiche commerciale che possono
indurre il consumatore medio ad assumere decisioni commerciale che altrimenti non
avrebbe preso.
Art. 2598 cod. civ. definisce i comportamenti che costituiscono atti di concorrenza
sleale.
È atto di concorrenza sleale ogni atto idoneo a creare confusione con i prodotti o con
l’attività di un concorrente. È lecito attrarre a sé l’altrui clientela, ma non è lecito
farlo avvalendosi di mezzi che possono trarre in inganno il pubblico sulla
provenienza dei prodotti e sull’identità personale dell’imprenditore Atti di
confusione: a) uso di nomi o segni distintivi “idonei a produrre confusione con i nomi
o con i segni distintivi legittimamente usati da altri” imprenditori concorrenti; b)
imitazione servile dei prodotti di un concorrente, cioè la riproduzione delle forme
esteriori dei prodotti altrui attuata in modo da indurre il pubblico a supporre che i due
prodotti provengano dalla stessa impresa.
Un’altra categoria è formata dagli atti di denigrazione, che consistono nel diffondere
“notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a
determinare discredito”, e dall’appropriazione di pregi dei prodotti e dell’impresa di
un concorrente. Comune ad entrambe le figure è la finalità di falsare gli elementi di
valutazione del pubblico, attraverso comunicazioni indirizzate a terzi avvalendosi
della pubblicità. Esempio di denigrazione è la pubblicità iperbolica, con cui si tende
ad accreditare l’idea che il prodotto sia il solo a possedere specifiche qualità o
determinati pregi negando la presenza nei prodotti dei concorrenti. La pubblicità
comparativa, invece, non sempre costituisce concorrenza sleale; si tratta della
pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito un concorrente, ovvero beni o
servizi offerti da un concorrente. è lecita quando è fondata su dati veri ed
oggettivamente verificabili, non ingenera confusione e non denigra.
Altri atti di concorrenza sleale: “è tale ogni altro mezzo non conforme ai principi
della correttezza professione e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. pubblicità
menzognera (falsa attribuzione ai propri prodotti di qualità o pregi non appartenenti
ad alcun concorrente), concorrenza parassitaria (sistematica imitazione delle altrui
iniziative imprenditoriali), dumping (sistematica vendita sotto costo dei propri
prodotti al fine di eliminare i concorrenti), storno di dipendenti (sottrazione ad un
concorrente di dipendenti particolarmente qualificati, attuata col deliberato proposito
di danneggiare l’altrui azienda e/o avvantaggiarsi in modo parassitario degli
investimenti formativi e delle conoscenze aziendali del concorrente).