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DIRITTO COMMERCIALE

Il diritto commerciale è la parte del diritto che ruota attorno all’impresa.


Il diritto commerciale nasce attorno all’anno 1000 perché vi è un’esplosione
demografica e quindi ci sono degli spostamenti (migrazione: dai campi alle
città; dai fondi al comune). Nell’ambito del comune si sviluppano nuove
attività, come il commercio, e i commercianti diventano la classe dominante.
Il diritto, di base immobiliare, diventa in gran parte mobiliare.
Intorno al commerciante ruota l’economia.
Il diritto commerciale è il frutto di questi cambiamenti.
Le prime fonti del diritto commerciale sono:
 La consuetudine mercantile;
 Decisioni della magistratura consolare (espressione della classe
mercantile);
 Statuti delle corporazioni (chi non era iscritto in una corporazione non
poteva svolgere determinate attività).
Due conseguenza di questo sistema:
 Autonomia: i commercianti avevano la loro struttura di regole
 Formalismo: le regole si applicavano ai commercianti attraverso le
corporazioni
L’accordo è sufficiente per vincolare le parti. Si riducono le formalità.
Si mette un limite alla possibilità di rivendicare la cosa propria. Se qualcuno ha
acquistato un bene, senza anomalie, l’acquirente è protetto. Il passaggio
successivo è la formula per il trasferimento dei beni mobili (possesso vale
titolo). Queste regole valgono per i beni. Si può immaginare di incorporarli in un
documento quando i beni sono altrove. La prima è la lettera di cambio. Il
passaggio successivo della lettera di cambio (cambiale) è farla circolare
autonomamente (girata). Il documento incorpora il diritto alla somma di denaro
e non più la somma di denaro stessa.
Successivamente nascono i titoli di credito.
Azienda insieme dei beni che l’imprenditore organizza per l’esercizio della
sua impresa.
Nasce anche la società, per affrontare delle esigenze specifiche verificatesi.
Non era lecito prestare denaro contro interessi la chiesa condannava l’usura.
Se conferisco del denaro in un’iniziativa gestita da altri soggetti e ricavo degli
utili, questo è il frutto dell’attività che il mio denaro ha reso possibile.
Una start-up è un’idea finanziata da qualcuno che crede che chi ha avuto l’idea
posso produrre qualcosa che successivamente abbia un riscontro positivo.
Nasce il mercato finanziario. In realtà il mercato finanziario vero e proprio
nasce nel 1600 in Olanda.
Con il ‘600 ci sono le grandi esplorazioni e le iniziative imprenditoriali iniziano a
diventare onerose.
Si arriva in seguito alla codificazione delle norme. La prima risale al 1773.
In Italia, fino a pochi anni prima dall’emanazione del c.c. c’era un progetto di
codice di commercio. Poi, per motivi incerti, nel ’42, quando viene emanato il
nuovo c.c., il codice di commercio scompare. Le norme tipiche del diritto
commerciale vengono inserite nel libro 5° del lavoro.
In realtà, le norme di impianto commercialistico hanno poi condizionato gran
parte del c.c.  per le obbligazione tra più soggetti si prevede il principio di
solidarietà dei co-obbligati.
L’art. 1282 dice che per i crediti liquidi ed esigibili il calcolo degli interessi è
indipendente dalla messa in mora. Queste sono norme di portata
commercialistica.
Tutta la disciplina del codice del ’42 ruota attorno alla figura dell’imprenditore,
che svolge la sua attività nell’ambito del sistema corporativo.
Nell’ambito del sistema corporativo vi è l’imprenditore che è il capo
dell’impresa.
IMPRENDITORE colui che esercita professionalmente un’attività economica
organizzata per la produzione o lo scambio di beni e servizi (art. 2082).
Ci sono diverse norme che si applicano ai diversi tipi di imprenditore, in base
all’attività commerciale o all’imprenditore.
L’insieme delle norme che riguardano ciascuna categoria di imprenditori viene
definito: statuto dell’imprenditore agricolo, commerciale…

CARATTERISTICHE DELL’IMPRENDITORE
 Esercita professionalmente: la professionalità riguarda l’attività svolta
dall’imprenditore. È il modo in cui l’attività viene svolta. Non vuol dire che
deve essere un’attività esclusiva. Non deve essere un’attività prevalente
e nemmeno continuativa.
Deve essere una sola attività? Dipende!
Es: decido di vendere la mia macchina perché è vecchia e ricavo molto di
più di quanto previsto. Sono un imprenditore? No!
Un mio amico ha saputo che ho venduto bene la mia macchina e chiede
di vendergli anche la sua. Sono imprenditore? No!
Se però gli amici diventano tanti, mi conviene affittare un piazzale in cui
mettere tutte le auto da vendere. Le cose cambiano.

Es: sono un imprenditore individuale. Viene da me l’imprenditore cinese


chiedendomi di costruire la diga. Sono un imprenditore? Si!
Quello che conta è una valutazione specifica, caso per caso.
Professionalità: non occasionalità. Va valutata caso per caso in
funzione dell’attività svolta.
 Attività economica: un’attività è economica nell’ottica dell’impresa
quando vi è una plusvalenza, un utile e quindi quando c’è uno scopo di
lucro. In realtà, l’art. 2247, che parla di società commerciale, prevede
espressamente che vi sia lo scopo di dividere gli utili. Se non si consegue
l’utile, la società viene meno perché manca uno dei requisiti della
società? No! Se non c’è, vi sono tutta una serie di conseguenze come ad
esempio il fallimento.
Per l’imprenditore, nella definizione non si parla di utile ma di attività
economica. Bisogna affrontare una serie di fenomeni importanti che però
non hanno uno scopo di lucro (attività no-profit, cooperative classiche…).
Le cooperative sono delle entità che svolgono delle attività. Esse hanno
una caratteristica fondamentale: non distribuiscono utili. La funzione
tipica delle cooperative è quella di dare lavoro agli associati, ma non
ricevono utili; ricevono dei compensi. Tipicamente, il bilancio di una
cooperativa dovrebbe sempre chiudere in pareggio oppure potrebbe dare
una serie di vantaggi. Non vi sono utili in denaro che vengono distribuiti
ma vi sono dei risparmi di spese.
Se diciamo che l’attività economica ha uno scopo di lucro, allora non si
farà riferimento alle cooperative, alle mutue assicuratrici… e questo non
è vero!
Quindi, per attività economia intendiamo un’attività che, rispondendo
ad alcuni requisiti previsti dall’art. 2082, preveda almeno la tendenziale
copertura con i ricavi. Perché vi sia un’effettiva attività d’impresa il
progetto deve nascere con una astratta previsione della copertura dei
costi.
Ci sono poi altri profili che vanno considerati.
Es: mio cugino ha diversi appartamenti in centro a Milano, li affitta e ne
trae un reddito/utile. È un’attività di impresa o no? No! È un’attività di
puro godimento del bene.

Ci sono dei casi particolari.


HOLDING società che come attività propria detiene delle
partecipazioni di altre società. L’attività della holding è un’attività di
impresa o no? Se la holding è attività di impresa avrà tutte le
conseguenze dell’esercizio dell’impresa (fallimento), altrimenti no.
Quindi, dipende da quello che fa con le partecipazioni. Se fa qualcosa che
può essere definita come attività di direzione e coordinamento delle
controllate allora è qualcosa di più di un’attività di mero godimento e
quindi diventa un’attività di impresa commerciale perché non trae solo
degli utili.
 Organizzazione: ci sono delle imprese in cui l’organizzazione del
personale è minima (es: organizzazione in serie in cui tutto è svolto dai
robot). L’organizzazione di lavoro può ridursi molto, ma se essa si riduce
allora aumenta l’organizzazione di mezzi.
Ci può essere un’attività di impresa senza organizzazione? Se andiamo ai
minimi non ci può essere alcuna attività senza un minimo di
organizzazione.
Se arriviamo a definire organizzazione qualunque elemento che aiuta o
sostiene l’attività, il concetto di organizzazione non servirebbe più in
quanto si farebbe riferimento a qualunque cosa.
Il mediatore, colui che mete in contatto due o più soggetti per la
conclusione di un negozio giuridico, è un imprenditore e può non avere
organizzazione (ha bisogno solo di un telefono).
L’elemento organizzazione, oggi, si è sostanzialmente svalutato. Viene
ancora usata nell’ambito della normativa civilistica per distinguere il
piccolo imprenditore dall’imprenditore medio-grande.
 Produzione o scambio: la produzione fine a sé stesso non è sufficiente a
differenza dello scambio fine a sé stesso che invece è sufficiente.
Produzione o scambio vuol dire fare uscire dalla propria sfera i beni o i
servizi che uno fornisce, indipendentemente da dove finiscono.
Produzione: atto di fabbricare o trasformare un determinato bene.
Scambio: il bene o il sevizio prodotto esce dalla mia sfera ed è destinato
ad altri.
La produzione in quanto tale non è sufficiente (finché produco solo
qualcosa e li tengo in casa non è attività di impresa). Bisogna quindi fare
riferimento ad una qualche forma di scambio.
Quando parliamo di scambio, cioè un’attività intermedia fra la produzione
e il mercato, non è necessario che sia io a produrre il bene e quindi lo
scambio è di per sé sufficiente anche se non sono io ad aver prodotto il
bene.

PROFESSIONISTA INTELLETTUALE
Il codice civile prevede una serie di norme specifiche (artt. 2229-2238 c.c.).
Il professionista intellettuale è un soggetto che fornisce un servizio di tipo
intellettuale (avvocato, medico, geometra, psicologo…).
Le caratteristiche sono le stesse dell’imprenditore ma le norme civilistiche
delineano una disciplina diversa per l’imprenditore intellettuale.
Cosa distingue il professionista intellettuale dall’imprenditore? Storicamente si
diceva l’organizzazione ma oggi questo non funziona sia perché il concetto di
organizzazione è svanito e sia perché ci sono degli studi legali che hanno
un’organizzazione da media impresa. Quindi in un caso o nell’altro
l’organizzazione non serve.
Il professionista intellettuale ha un’obbligazione di mezzi e non di risultato.
Questo però è un elemento della disciplina e non della fattispecie.
Ci sono alcune professioni intellettuali note, ma perché queste categorie sono
professionisti intellettuali? Perché c’è stato un riconoscimento da parte del
legislatore del fatto che questi soggetti svolgono un’attività particolare, il che
comporta alcune caratteristiche comuni, cioè:
 Superamento di un esame di stato
 Iscrizione ad un albo
 Organismo interno della professione che ha poteri di controllo
Quando tutto questo avviene abbiamo una professione intellettuale. La
definizione di professionista intellettuale la fa il legislatore.
Cosa comporta questo riconoscimento?
1. Il professionista intellettuale ha un’obbligazione di mezzi e non di
risultato;
2. Non è soggetto al fallimento;
3. Non è obbligato alla tenuta delle scritture contabili (se non le tiene va in
guai grossi).
Perché si vuole avere un riconoscimento come professione intellettuale? Il
riconoscimento si accompagna a dei limiti all’accesso, quindi un limite alla
concorrenza.
Art. 2238 c.c. la normativa sull’impresa si applica all’attività svolta in quanto
impresa e non in quanto professionista intellettuale. Se a fianco dell’attività di
professionista svolge un’attività identificabile come attività d’impresa, in
funzione di questa attività è imprenditore e gli si applicano le norme relative
all’impresa.
Es: il medico che gestisce una casa di cura la sua attività in quanto medico è
attività di professione intellettuale ma la sua attività di gestore di una casa di
cura non è attività medica vera e propria ma è un’attività di impresa.

IMPRENDITORE
Come si distingue l’imprenditore dagli altri soggetti coinvolti in un’impresa?
l’imprenditore è colui che possiede i mezzi di produzione e che ha si assume il
rischio della gestione e prende le decisioni relative. Non è solo l’imprenditore
ad assumersi il rischio: l’imprenditore è il soggetto che si assume direttamente
i rischi dell’impresa ma ci sono altri soggetti che, seppur indirettamente,
corrono dei rischi. Essi sono i dipendenti e i collaboratori, i fornitori…. In caso di
fallimento dell’impresa, l’imprenditore risponde con il proprio patrimonio ma se
questo non è sufficiente si va ad intaccare il patrimonio dei dipendenti.
Ci possono essere dei casi particolari: IMPRENDITORE OCCULTO.
Cosa succede quando un imprenditore, di fatto, fa gestire l’impresa da un altro
soggetto (solitamente nullatenente, o quasi, che gestisce l’impresa in nome
proprio)? Il primo effetto è quello di un trasferimento di rischio nei confronti di
altri soggetti (dipendenti, fornitori…).
Immaginiamo che i creditori, innervositi dalla situazione, facciano delle indagini
e scoprono che colui che credevano fosse l’imprenditore in realtà era un
prestanome.
Qual è il rapporto fra l’imprenditore occulto e l’imprenditore palese?
L’imprenditore palese si impegna ad esercitare un’attività di impresa per conto
di un altro ma in nome proprio. È un mandato senza rappresentanza.
ART. 1705 c.c. il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti e
assume gli obblighi relativi, anche se i terzi sanno del mandato.
Viene fuori che in realtà c’era un altro soggetto alle spalle, ricchissimo. C’è
modo di incastrarlo? Si è andati a vedere la legge fallimentare.

Comma 4-5 ART. 147 c.c. 4°: se dopo la dichiarazione di fallimento della
società (a responsabilità illimitata) risulta l’esistenza di altri soci responsabili
illimitatamente, il tribunale dichiara, su istanza di un creditore o altri soggetti, il
fallimento dei medesimi. [perché si possa applicare questa norma bisogna
individuare una società e quindi devono essere presenti gli elementi tipici che
caratterizzano la società].

5°: allo stesso modo si procede, qualora dopo la dichiarazione di fallimento di


un imprenditore individuale risulti che l’impresa è riferibile ad una società di cui
il fallito è socio illimitatamente responsabile. [prima bisogna dimostrare che
esiste una società, di fatto].
La società di fatto può essere solo una società di persone e non di capitali.
La fattispecie imprenditore non prevede espressamente un altro elemento: non
dice che l’attività di impresa deve essere lecita.
Vi sono diversi tipi e forme di attività illecita:
 Attività che hanno un oggetto illecito: accettare un importo per un
assassinio;
 Attività che non sono propriamente illecite ma possono essere illegali:
sono un prof. ma svolgo anche l’attività di banca, questo è illegale in
quanto per aprire la banca bisogna avere determinate certificazioni.
Il legislatore non ha previsto che per la fattispecie impresa vi deve essere
anche la liceità.
Art. 2195 l’imprenditore che svolge determinate attività è soggetto
all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese.
Ci si è posti il problema del momento in cui ha inizio l’impresa.
 ATTI DI ORGANIZZAZIONE
 ATTI DELL’ORGANIZZAZIONE: se svolgo un’attività di impresa come la
mediazione, ho bisogno dell’azienda e quindi di un po’ di strutture
(capannone, macchinari, dipendenti…). Secondo questa teoria non sono
ancora imprenditore ma ho compiuto degli atti diretti all’organizzazione
della mia attività di impresa.
Quando l’impresa ha inizio? Dipende! Ciò che importa non sono i singoli atti
che compio ma il collegamento funzionale degli atti ai fini di una certa
destinazione.
Dipende perché non è individuabile a priori il momento in cui viene fuori la
figura dell’impresa ma varia da caso a caso. Per l’impresa non si può
individuare il momento di inizio. Questo interessa relativamente, nel caso in cui
l’imprenditore fallisca prima di aver iniziato.
Il momento va individuato volta per volta.
Quando avviene la fine dell’impresa? Fino a quando può fallire l’imprenditore? Il
legislatore aveva detto che l’imprenditore può essere dichiarato fallito entro 1
anno dalla cessazione dell’impresa, ma non risolveva il momento della
cessazione.
La giurisprudenza diceva che l’impresa non era mai cessata fino a che
sopravviveva un rapporto giuridico (es: avevo ancora un debito).
ART. 10 legge fallimentare prevede un anno per il fallimento ma specifica che
gli imprenditori, individuali e collettivi, possono essere dichiarati falliti entro 1
anno dalla cancellazione dal registro delle imprese. [l’imprenditore quando
cessa l’attività chiede la cancellazione dal registro delle imprese; l’impresa
cessa con la cancellazione. Questo, se l’insolvenza si è manifestata prima della
cancellazione o entro 1 anno dalla cancellazione stessa].
2° comma: in caso di impresa individuale è salva la facoltà per il creditore o PM
di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il
termine del 1° comma. [se un creditore vuole agire ha 1 anno di tempo per
chiedere il fallimento della società. Però, per quanto riguarda l’impresa
individuale è una presunzione non assoluta: il creditore può dimostrare che si
era cancellato il giorno tot. ma in realtà ha continuato ad operare
successivamente; se viene data questa prova la cancellazione dal registro delle
imprese non è considerato il momento finale dell’attività d’impresa].

LE DIVERSE CATEGORIE DI IMPRENDITORI


L’insieme delle norme che si riferiscono ad una determinata categoria di
imprenditori viene chiamata lo statuto dell’imprenditore.
L’imprenditore commerciale, non piccolo, prevede nel suo stato l’iscrizione nel
registro delle imprese, la tenuta delle scritture continuabili e l’assoggettabilità
al fallimento.
Sono stati creati diversi registri speciali e quindi tutte le varie categorie hanno
una loro forma di registrazione.
Per quanto riguarda il fallimento, la distinzione del codice tra piccolo
imprenditore e imprenditore medio-grande non fa la distinzione prevista
dall’art. 1 della legge fallimentare.
Per quanto riguarda le scritture contabili, per il c.c. il piccolo imprenditore non è
tenuto alla redazione; interviene la legge fiscale che obbliga alla tenuta delle
scritture e alla risposta di una serie di domande e parametri.
ART. 2135 Imprenditore agricolo.
Il Piccolo imprenditore trova la sua definizione nel codice.
Non si ha una definizione di imprenditore commerciale nel codice.
ART. 2195 individua 5 categorie. Fa un quadro così ampio delle fattispecie
possibili che non ha una sofficiente capacità distintiva.
Come si individua l’imprenditore commerciale? Per individuare la fattispecie
imprenditore commerciale l’unico sistema riconosciuto è negativo. Qualunque
attività di impresa che non sia un’impresa agricola è un’impresa commerciale.
L’imprenditore commerciale è quel soggetto che con le caratteristiche dell’art.
2082 svolge un’attività non agricola.

IMPRENDITORE AGRICOLO
È disciplinato dall’art. 2135. Nel 1942, con l’introduzione del c.c., l’Italia aveva
una forte attività di impresa agricola e quindi il legislatore ha avuto un occhio
di riguardo per l’imprenditore agricolo.
Non è soggetto al fallimento.
Vi sono benefici di tipo fiscale: il reddito dell’imprenditore agricolo si calcola
con dei parametri diversi da quelli normali; il gasolio per attrezzatture agricole
costa molto meno; l’imprenditore agricolo era soggetto, oltre al rischio di
impresa normale, anche al rischio meteorologico.
La definizione di imprenditore agricolo del vecchio testo era molto diretta.
Divideva l’attività dell’impresa agricola in 2:
 ATTIVITA’ AGRICOLE DIRETTE: erano la coltivazione del fondo,
l’allevamento del bestiame e la silvicoltura.
Oggi, le attività principali sono la coltivazione del fondo, l’allevamento
degli animali e la silvicoltura.
La differenza è tra animali e bestiame.
 ATTIVITA’ AGRICOLE CONNESSE: attività esercitate dal medesimo
imprenditore agricolo dirette alla manipolazione, trasformazione,
commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti
ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del bosco, del fondo o
dall’allevamento degli animali.
L’art. 2135 dice che oggi è imprenditore agricolo chi esercita quelle
determinate attività.
Il secondo comma introduce che: per coltivazione del fondo, allevamento di
animali o silvicoltura si intendono le attività dirette alla cura o allo sviluppo di
un ciclo biologico che utilizzano, o possono utilizzare il fondo, il bosco, le acque
dolci, salmastre o salate.
Anche per le attività principali, il fondo c’è o può esserci (quindi può anche non
esserci).
Il collegamento per individuare l’imprenditore agricolo è sul ciclo biologico. Si
riguarda alla circostanza che, per un certo periodo almeno, curi il ciclo biologico
di piante o animali.
L’imprenditore agricolo che vende i prodotti del suo fondo svolge un’attività
principale o connessa? Letteralmente sembrerebbe connessa ma viene
considerata principale. È considerata connessa quando ha un punto vendita
autonomo.
Per attività connesse si parla di attività esercitate dallo stesso imprenditore
agricolo e quindi è necessaria una connessione soggettiva.
Es: armo un peschereccio e pesco. Si può definire impresa agricola, in base alla
definizione dell’art. 2135? NO, il pescatore non è un imprenditore agricolo. Per
altro, ai pescatori si applica la disciplina dell’imprenditore agricolo, cioè viene
trattato in modo uguale per quanto riguarda tutti i vantaggi applicati allo
statuto dell’imprenditore agricolo.
Es: la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica è impresa
agricola? Se invece di coltivare il fondo lo riempio di pannelli solari, sono un
imprenditore agricolo (impresa agricola connessa che si svolge sul fondo).
Es: produzioni di carburanti ottenuti dalla trasformazione di un prodotto del
fondo: attività agricola per connessione.
L’attività agricola per connessione va intensa in senso prevalentemente ampio.
È impresa agricola per connessione un chiosco per la produzione e vendita di
piadine? NO!
Il problema del piccolo imprenditore nasce dal fatto che c’è stato
costantemente un doppio regime (normativa del c.c. del 1942 e disciplina della
legge fallimentare).
La legge fallimentare del 1942 prevedeva una sua definizione all’art. 1 di
piccolo imprenditore.
La definizione civilistica definisce il piccolo imprenditore come il coltivare
diretto del fondo, il piccolo commerciante, l’artigiano e colui che
esercita l’attività di impresa prevalentemente con lavoro proprio o dei
propri familiari.
L’art. 1 della legge fallimentare definisce piccolo imprenditore colui che ai fini
dell’imposta di ricchezza mobile era al di sotto del minimo imponibile. In caso
di mancato accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, si ritiene
piccolo imprenditore colui che investe nella sua impresa l’ammontare massimo
di lire 900mila.
È dovuta intervenire la corte costituzionale e ha detto che non si può applicare
il riferimento alle 900mila lire perché 900mila lire era un requisito subordinato.
Il requisito principale era che si fosse al di sotto dei minimi. Il venir meno del
requisito principale travolge tutta la norma.
Oggi, l’art. 1 della legge fallimentare, ha semplificato la faccenda. Il legislatore
della legge fallimentare ha fatto una scelta apprezzabile introducendo dei
parametri quantitativi. Sono soggetti al fallimento coloro che hanno i seguenti
requisiti:
- Un fatturato annuo superiore ai 200mila euro per anno, negli ultimi 3
anni
- Un attivo patrimoniale superiore ai 300mila euro, negli ultimi 3 anni
- Debiti scaduti e non scaduti superiore ai 500mila euro, negli ultimi 3 anni
Chi si trova in questa situazione o anche in una sola di esse, è soggetto al
fallimento.
Questi parametri valgono anche per le società di capitali.
L’importanza dell’art. 2083 dal punto di vista della disciplina è, oggi,
abbastanza ridotta.

PICCOLO IMPRENDITORE
“Si definisce piccolo imprenditore il coltivare diretto del fondo, il piccolo
commerciante, l’artigiano e colui che esercita l’attività di impresa
prevalentemente con lavoro proprio o dei propri familiari”.
Coltivatore diretto del fondo: c’è una norma, l’art. 1647, che afferma che il
coltivatore diretto del fondo è colui che coltiva il fondo prevalentemente con
lavoro proprio o dei propri familiari. Il problema nasce dal piccolo commerciante
(non esiste una norma che lo definisce).
Il piccolo commerciante è colui che esercita l’attività di commercio
prevalentemente con lavoro proprio o dei propri familiari. Prevalenza rispetto a
cosa? Prevalenza di forza lavoro (prevalenza del lavoro familiare con il lavoro
esterno) o con riferimento al capitale investito e all’importanza economica
dell’impresa.
L’artigiano è un soggetto particolare. Ha una normativa specifica, è la l. 8
agosto 1985 n. 443. L’art. 2 afferma che è imprenditore artigiano colui che
esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa
artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri e i rischi
inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il
proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo.
Impresa artigiana: Impresa che, esercitata dall’imprenditore artigiano, ha
come scopo prevalente lo svolgimento di un’attività di produzione di beni,
anche semilavorati, o di prestazioni di servizi. Sono escluse le attività agricole e
le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella
circolazione di beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al
pubblico di alimenti e bevande.
Un limite sta nella dimensione dell’impresa: l’impresa artigiana può avvalersi
della prestazione d’opera di personale dipendente diretto personalmente
dall’imprenditore artigiano o da soci, sempre che non superi i seguenti limiti
dimensionali:
Lavorazioni non in serie: massimo di 18 dipendenti compresi gli apprendisti,
che devono essere massimo 9. Il numero massimo dei dipendenti può essere
elevato a 22 dipendenti solo se le unità aggiuntive sono apprendisti.
Lavorazioni in serie non del tutto automatizzate: massimo 9 dipendenti,
compresi gli apprendisti, che devono essere massimo 5. Il numero massimo
può essere elevato a 12 solo se le unità aggiuntive sono apprendisti.
Lavorazioni artistiche e tradizionali: massimo 32 dipendenti compresi gli
apprendisti, che devono essere massimo 16. Il numero massimo può essere
elevato a 40 dipendenti solo se le unità aggiuntive sono apprendisti.

L’art. 230 bis definisce l’impresa familiare: “Salvo che sia configurabile un
diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di
lavoro ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della
famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi
nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in
proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato”.
Se i familiari lavorano con un contratto di lavoratori dipendenti, in questo caso
non ci sono problemi e si applica la disciplina del lavoro subordinato.
A cosa serve il 230 bis? A tutelare i familiari deboli. La legge attribuisce
determinati diritti ai familiari senza che esista una previsione specifica tra
imprenditore e familiari.
Vengono alla luce una serie di diritti sociali:
 Diritto alla quota di partecipazione agli utili
 Diritto agli incrementi di valori
 Diritto di partecipare alle decisioni di straordinaria amministrazione
Il riconoscimento ai familiari di questi diritti sociali comporta che cambi la
natura dell’impresa da impresa individuale a società personale oppure rimane
la fattispecie impresa individuale? L’impresa familiare rimane impresa
individuale.

IMPRESA PUBBLICA
La parte economica della costituzione, art. 41 e 43, sono espressione di due
diverse anime.
ART. 41 Cost. “l’iniziativa economica privata è libera […]”.
ART. 43 Cost.  “la legge può riservare e trasferire mediante espropriazione e
salvo indennizzo allo stato determinate imprese che si riferiscono a servizi
pubblici essenziali ed abbiano carattere di preminente interesse generale […]”.
La norma liberale è l’art. 43 perché è una norma inserita con lo scopo specifico
di limitare tutto quello che si era cercato di far passare con l’art. 41.
Quando parliamo di impresa pubblica facciamo riferimento ad un’impresa
gestita direttamente dallo stato.
Negli anni ’90 si è verificata la privatizzazione da enti pubblici a società per
azioni, sempre controllate dall’ente pubblico. Questa non è una vera
privatizzazione.
Nelle fasi successive si è provveduto a mettere sul mercato le partecipazioni di
queste società, sempre mantenendo allo stato il potere di controllo.
Il problema è stabilire se si applica l’ordinamento privatistico oppure se sono
soggette ad un controllo amministrativo e quindi sottratte all’autorità
giudiziaria ordinaria e si va davanti al giudice amministrativo.
Una sentenza recente del consiglio di stato chiarisce questi profili. Se l’attività
svolta dalla società è diretta al mercato e il controllo pubblico non è totale, si
applica la disciplina privatistica e i servizi devono essere assegnati mediante
una gara. Se invece la società che è investita di queste attività è sotto stretto
controllo pubblico e svolge i propri servizi all’interno del sistema pubblico,
allora il controllo sulla società è svolto dai tribunali amministrativi (es: CINECA).

LA PUBBLICITA’
Quali tipi di pubblicità esistono?
 Dichiarativa: produce effetti in quanto rende opponibile ai terzi quello che
è oggetto della pubblicità. La conoscenza dei terzi è presunta;
 Costitutiva: senza la relativa pubblicità non si producono gli effetti;
 Notiziale: serve a far sapere una circostanza ma non produce effetti a
favore di chi dà la notizia.
Il legislatore del 1942 ha previsto che venisse creato il registro delle
imprese, cioè il luogo in cui dovevano essere annotati e iscritti determinati
eventi che riguardavano le imprese.
Vi era una stanza presso la cancellaria del tribunale piena di schedari in cui vi
era scritto il nome dell’impresa o della società e alcune minime informazioni.
Questo regime transitorio è rimasto tale per 50 anni.
Agli inizi degli anni ’90 il legislatore si era accorto che c’era già un registro delle
imprese presso la camera di commercio. Al legislatore è venuto in mente di
trasformare questa rete già esistente nel vero registro delle imprese.
Il registro delle imprese così formato si è progressivamente ampliato con una
serie di registri speciali.
La legge prevede che tutte le iscrizioni nei registri speciali hanno effetto di
pubblicità notizia.
Mentre, per quanto riguarda le imprese commerciali gli effetti sono di pubblicità
dichiarativa.
È stato previsto che l’iscrizione degli imprenditori agricoli, dei piccoli
imprenditori agricoli e delle società semplici esercenti attività agricola ha
efficacia di pubblicità dichiarativa.

LE SCRITTURE CONTABILI
L’imprenditore commerciale deve tenere delle scritture contabili. Deve tenere
almeno il libro giornale, il libro degli inventari e il fascicolo della
corrispondenza.
Es: La S.p.A. deve avere il libro soci, il libro verbale delle assemblee, del
consiglio dell’amministrazione, delle riunioni del collegio sindacale…
Il fascicolo della corrispondenza deve tenere tutta la corrispondenza
ricevuta dall’imprenditore e la copia di tutta la corrispondenza inviata
dall’imprenditore nell’esercizio dell’impresa.
Il libro giornale deve contenere l’indicazione e la descrizione di tutte le
operazioni commerciali svolte dall’impresa, giornalmente.
Il libro degli inventari deve contenere l’indicazione di tutti i beni
dell’imprenditore, non solo quelli relativi all’esercizio dell’impresa. Questo
perché non c’è separazione patrimoniale tra imprenditore e impresa.
Nell’impresa individuale l’imprenditore risponde delle obbligazioni dell’impresa
con tutto il proprio patrimonio.
Il libro degli inventari si chiude con il bilancio. Esso deve dare un quadro preciso
di quello che è l’andamento dell’esercizio dell’impresa. deve essere redatto
entro un anno dall’inizio dell’esercizio dell’impresa e se l’impresa continua deve
poi essere redatto ogni anno.
Come si redige il bilancio dell’impresa? la legge, in particola l’art. 2217, dice
che per la redazione del bilancio dell’impresa l’imprenditore deve attenersi ai
criteri di valutazione stabiliti per le S.p.A., in quanto compatibili. Cosa vuol dire?
C’è una differenza in quella che si chiama la clausola generale di bilancio che
detta i criteri generali di redazione. Questo perché il richiamo del bilancio per la
S.p.A. deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo
veritiero e corretto la situazione contabile.
L’art. 2217 dice che deve presentare la situazione con evidenza e verità.
Sono due cose diverse o sono la stessa cosa? Il legislatore dice veritiero e non
vero perché i criteri di valutazione non sono oggettivi ma legati alle scelte del
legislatore, ad esempio gli immobili devo essere valutati al prezzo di costo e
non al valore attuale.
Esempio che contenga la clausola verità e non correttezza: siamo su una nave
mercantile. C’è il comandante e il secondo in comando, che detesta il capitano.
Il secondo scrive nel diario di bordo: “anche oggi il comandante non è ubriaco”.
Si dà il caso che il comandante sia astemio. È vera questa affermazione? Si! È
corretta? No, perché fa intendere che di solito il comandante sia ubriaco.
Come si applica questo concetto ad un bilancio? Si applica perché ci possono
essere dei modi di rispettare i criteri di valutazione ma dando come risultato
un’impressione dell’impresa o della società diversa dalla realtà. Ci sono infatti
delle norme specifiche per le S.p.A. che dicono che quando può emergere un
quadro non fedele della situazione occorre apportare cambiamenti.
In realtà si ritiene che non ci sia una sostanziale differenza fra le clausole della
S.p.A. e quelle dell’art. 2217.
Il problema può stare nel fatto che l’applicazione dei criteri usati per la S.p.A.
possono portare ad un quadro distorto di quella che è la realtà.
Si tratta di utilizzare in linea di principio i criteri di valutazione dell’impresa ma
se si rende conto che questo porti delle distorsioni, allora deve discostarsi da
questi criteri.
Le norme sul bilancio della S.p.A., a differenza dell’art. 2217 che prevede solo i
criteri, prevedono anche dei modelli di come deve essere formato il bilancio e
quali voci devono essere messe.
Se si usano i modelli della S.p.A. non ci sono problemi. In concreto si tratta di
vedere se effettivamente questi modelli consentono di avere una chiara
evidenza di quella che è la situazione economica e patrimoniale dell’impresa.
Come devono essere redatte le scritture contabili? La legge prevede una serie
di criteri. Non devono avere abrasioni o cancellazioni (deve essere corretto in
modo che la parte corretta risulti comunque leggibile); devono essere vidimate
(per evitare che uno ricostruisca a posteriori le cose per dare una falsa
rappresentazione dell’impresa).
Cosa succede se non vengono fatte queste cose? Nelle S.p.A. c’erano delle
sanzioni dirette. Il solo fatto di non aver tenuto correttamente le scritture
contabili comporta delle sanzioni. Questo anche perché il bilancio viene
depositato e pubblicato nel registro delle imprese.
L’obbligo di pubblicazione del bilancio non c’è invece per le imprese individuali.
Se un imprenditore fallisce, il curatore per prima cosa controlla le scritture
contabili. Se sono incomprensibili, allora vi sono delle sanzioni specifiche (es:
reato di bancarotta). Le scritture contabili possono essere usate in giudizio
come prova. Tipicamente e ovviamente le scritture contabili possono fare prova
contro l’imprenditore.
Se si usa la scrittura contabile come mezzo di prova, non si può prendere una
pagina ed eliminare l’altra.
Possono far prova a favore dell’imprenditore? Si, ma solo quando la controparte
è un altro imprenditore, perché anche l’altra parte deve avere le sue scritture
contabili. Entrambe le scritture delle parti devono coincidere. Se esse non sono
ben tenute, in quel caso valuterà il giudice la portata.
Può essere disposta l’esibizione delle scritture contabili dell’impresa, in
particolare in caso di comunione legale fra i coniugi.

GLI AUSILIARI DELL’IMPERNDITORE


Sono quei soggetti che collaborano con l’imprenditore nella gestione
dell’impresa.
In ordine crescente di importanza gli ausiliari sono: i commessi, i procuratori e
l’institore (direttore generale).
Il tema rilevante sono i poteri e gli effetti degli atti che questi ausiliari hanno
nei rapporti con i terzi. Per fare questo parliamo di rappresentanza.
Cosa dicono le norme relative al rappresentante senza poteri.
Es: a Milano ci sono tanti turisti. Mi faccio stampare una meravigliosa
pergamena in cui il papa afferma che io ho un generale potere di
rappresentanza per i beni della chiesa in Lombardia. Individuo un signore
cinese ricchissimo e gli propongo l’acquisto del duomo di Milano. Il cinese mi fa
un bonifico di alcuni milioni di euro. Va in arcivescovile chiedendo le chiavi. È
ovvio che la pergamena era finta. È il caso tipico del falsus procurator (colui il
quale afferma di avere una rappresentanza e invece non c’è l’ha). Che rimedio
ha il cinese? Il terzo deve chiedere in ogni momento al supposto
rappresentante di provargli che ha il potere di chiudergli il negozio.
Più problematico è il mondo dell’impresa (es: entro in negozio, compro le
scarpe e il commesso me le dà. Chiedo che poteri ha).
Chi è investito nell’ambito dell’impesa di determinati compiti ha il relativo
potere di rappresentanza […].
I procuratori hanno un determinato potere di rappresentanza previsto dalla
procura. I limiti eventuali alla procura devono essere iscritti nel registro delle
imprese, se non lo sono non sono opponibili ai terzi che gli hanno fatto
affidamento senza colpe.
In testa alla catena c’è l’institore, preposto alla gestione dell’azienda o a un
ramo specifico di essa. Può fare tutto quello che attiene all’esercizio
dell’impresa con due sole eccezioni:
 Non può cedere l’azienda;
 Non può cedere beni immobili senza il consenso dell’imprenditore, ad
eccezione il caso in cui l’attività d’impresa sia la costruzione di immobili.
Es: io sono l’institore. L’attività di impresa tratta la fabbricazione di bici. Prendo
contatto con un fornitore di tube che penso si possano usare per costruire il
telaio e ne ordino 5000. Però non dico al fornitore che sto agendo in quanto
direttore generale delle “BiciFracazzetti”. Firmo e lascio il deposito a mio nome.
Qual è la regola in questo caso? La regola generale è che l’imprenditore non è
vincolato da questo atto. In realtà, anche se agisce in proprio nome senza
spendere il nome dell’impresa ma compie atti o conclude negozi che
riguardano l’esercizio dell’impresa stessa, gli effetti dell’atto ricadono anche
sull’imprenditore. Quando il fornitore viene a sapere che io sono il direttore
generale, può rivolgersi direttamente all’imprenditore anche se non ho speso il
suo nome.
 Parliamo di una rappresentanza che può essere spesa anche da un terzo
 Parliamo di una presunzione di rappresentanza
 Parliamo di una rappresentanza che esiste anche se non c’è la spendita
del nome

L’AZIENDA
Il nostro codice non ha delle norme che definiscono l’impresa. invece ci sono
delle norme che parlano dell’azienda.
L’azienda è l’insieme dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa.
Quando si parla di beni stiamo parlando di beni o anche di rapporti giuridici?
Non si parla solo di beni materiali ma anche immateriali come l’avviamento che
è un valore che si può identificare con il successo che l’impresa ottiene sul
mercato.
AVVIAMENTO plusvalore o minusvalore riconosciuto all’azienda in caso di
trasferimento dell’azienda.
Ciò che compone l’impresa sono beni, ma non solo beni materiali. Però devono
essere beni e non rapporti giuridici. Questo perché per questi esiste una
disciplina specifica che riguarda espressamente i rapporti giuridici (es:
contratto pendente).
C’è una qualificazione giuridica che si può applicare all’azienda? Questo
insieme di beni organizzati, dal punto di vista giuridico, cos’è? La definizione
dominante è quella che l’azienda sia un’universalità di beni uniti da uno scopo
ed una funzione comune.
Ci sono alcune norme specifiche. Il concetto di possesso vale titolo (art. 1156)
non si applica alle universalità di beni; l’usucapione sulle universalità di beni
sono 20 anni e non 10 anni.
La qualificazione che le parti danno al contratto è rilevante? Se le parti fanno
più contratti e per caso vi era ancora un contratto in essere, ma scrivono
“scrittura privata: questo non è una cessione d’azienda.” Quello che dicono le
parti rileva o si vuole un accertamento al di là della manifestazione di volontà
delle parti? Conta quello che loro vogliono? La legge fa discendere dalla
cessione di azienda effetti particolari quindi la manifesta volontà delle parti di
escludere tali effetti non funziona se dall’insieme dei negozi fatti risulta che sia
stata fatta una cessione di azienda  la qualificazione che danno le parti
al contratto non è sufficiente per escludere che si sia davanti a una
cessione d’azienda.
Perché si abbia cessione di azienda è necessario che l’azienda sia attiva o
l’attività può essere ferma? Non è necessario che l’attività sia in corso.
C’è una forma per la cessione di azienda? Per la cessione di azienda non è
richiesta una forma particolare se non la forma scritta per provare l’avvenuta
cessione, tipicamente sono beni mobili e contratti.
Il problema è che la cessione d’azienda va iscritta nel registro delle
imprese e per l’iscrizione è richiesto l’atto pubblico o la scrittura privata
autenticata, quindi per completare il procedimento è richiesta una
forma specifica.
Gli aspetti significativi della disciplina della cessione d’azienda riguardano i
contratti in essere, i rapporti di debito e credito, il che è vero, ma c’è anche una
norma particolare, art. 2557, che prevede il divieto per colui che ha
trasferito l’azienda (cedente) di iniziare un’attività in concorrenza con
l’attività dell’azienda ceduta per un periodo di 5 anni vi è un limite
legale per la concorrenza.
(“Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal
trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o
altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta. [..] )

Esempi sul divieto di concorrenza:


Il commendatore x ha un’impresa con due rami d’azienda, con una produce bici
di gamma più alta e con l’altra produce bici di gamma più bassa. Cede uno dei
due rami d’azienda, per quanto ci sia una differenza di gamma le due attività
sono in concorrenza. Può continuare con il ramo d’azienda oppure deve trovare
un acquirente anche per quello o deve cederlo?
La risposta la dà la norma: può continuare l’attività che sta già svolgendo, la
norma dice “non può iniziare una nuova attività”.

Se un imprenditore fallisce, la cui azienda viene venduta dal curatore, è legato


all’art. 2557? La giurisprudenza dice che si applica l’articolo, quindi
l’imprenditore anche se non è più imprenditore e la cessione dell’azienda
deriva da una procedura concorsuale è vincolato al divieto di concorrenza.
In caso si successione ereditaria, uno degli eredi eredita un’impresa un altro
eredita denaro, immobili.
Quello che eredita l’impresa è vincolato? Ovviamente no.

Caso più comune e diffuso: Immaginiamo di essere davanti a un’impresa


esercitata da una società, immaginiamo una S.p.A.
Il commendatore esercita la sua attività attraverso la fracazzetti s.p.a di cui è
socio di grande maggioranza, il resto è della moglie e del figlio. Un altro scopre
che il ramo di azienda di biciclette della s.p.a è in vendita perché
commendatore e famiglia si daranno alla finanza. Il signor rossi acquista il ramo
d’azienda di produzione delle biciclette.
Il commendatore è vincolato dall’art. 2557? Se l’acquirente poi pensa di
comprare le azioni della società, sarebbe vincolato dall’art. 2557 il
commendatore? Al quesito si risponde con un altro quesito: l’art. 2557 può
essere interpretato estensivamente?
La giurisprudenza ha detto che l’art. 2557 non si applica a questo
caso, perché non è una fattispecie di cessione di azienda, vi è solo una
vendita di azienda.
Se l’acquirente è preoccupato che il commendatore il giorno dopo con i soldi
ottenuti riparta e gli faccia concorrenza, può prevedere nel contratto di
cessione una clausola di non concorrenza dipenderà dalla volontà delle parti
inserire negli accordi una clausola specifica che limiti la concorrenza.
Il commendatore vende la società e poi si scopre che questa è disastrata se
la condizione della società non è adeguata e nulla è previsto nel contratto,
l’acquirente può richiedere un risarcimento? La giurisprudenza dice no, perché
l’oggetto della compravendita sono le azioni, non l’intera società.

CONTRATTI PENDENTI
Il commendatore cede l’azienda e sono in essere contratta di fornitura, di
somministrazione etc.
Qual è la regola nel caso di trasferimento del contratto? Una parte del contratto
può sostituire a sé un altro contraente? Si, con l’accordo dell’altro
contraente io non posso modificare unilateralmente un contratto con più
parti.
Il commendatore dovrebbe prima informare i fornitori: “io sto cedendo
l’azienda al signor rossi, siete d’accordo di modificare il contratto in modo di
sostituire a me il signor rossi?”, il che comporta complicazioni, mettendo in
difficoltà l’acquirente. Allora interviene la legge che tutela l’azienda in quanto
unità produttiva.
C’è una eccezione alla regola vista prima: l’acquirente subentra
automaticamente nei contratti relativi all’azienda ceduta, senza necessità
dell’assenso della controparte.
Se per esempio io cedo la società, il problema non esiste perché la società è
contraente quindi non c’è modifica dei contratti; nel caso di cessione di azienda
da parte di imprenditore individuale non c’è più commendatore e il signor rossi
diventa contraente.
Questo però va bene, fornisce l’azienda, ma mette in una posizione scomoda il
contraente ceduto.
Es: il commendatore ha ceduto l’azienda ad x, il contraente ceduto può non
voler contrarre con lui.
In qualsiasi caso si ha una inversione della regola: si può modificare il
contratto senza l’assenso, MA se il contraente ceduto non vuole
continuare può recedere entro tre mesi per giusta causa.
(non se non gli piace l’acquirente, deve esserci una giusta causa di recesso.)
Giusta causa è un fatto così grave che non consente la prosecuzione
del rapporto.
Se per 3 mesi il contraente ceduto tace, deve eseguire le prestazioni
contrattuali.
CREDITI relativi all’azienda ceduta:
A chi dovrà pagare il debitore? Al nuovo acquirente.
Se però paga in buona fede al vecchio proprietario, il debitore è liberato dal
debito, la questione si risolverà tra acquirente e cedente.

DEBITI relativi all’azienda ceduta:


Chi deve pagare i debiti? l’acquirente tipicamente in quanto ha acquistato
l’azienda.
Ci sono però dei problemi:
1. Il creditore aveva rapporti con l’alienante che regala l’azienda a un
nullatenente. L’alienante non è liberato dai debiti dell’azienda ceduta a
meno che non l’abbiano permesso i creditori. (“ok non te li chiederò più, li
chiederò al nuovo debitore”; se non c’è questa scelta saranno vincolati
entrambi);
2. Tutti i debiti dell’azienda astrattamente esistenti passano in mano
all’acquirente o occorre qualcosa di più? Devono risultare dalle scritture
contabili obbligatorie; se non risultano il solo venditore è obbligato,
altrimenti se risultano entrambi sono vincolati.

DIRITTO INDUSTRIALE
I segni distintivi che riconosce l’industriale sono:
 La ditta: contraddistingue la persona dell’imprenditore ( per noi la
ditta è il nome commerciale dell’imprenditore “la cessione della ditta =
cessione del nome commerciale dell’azienda .. linguaggio comune spesso
improprio).
 L’insegna: contraddistingue i locali dove si svolge l’attività d’azienda.
 Il marchio: contraddistingue un prodotto ( il marchio è riconosciuto
come il segno distintivo più importante; esiste un codice specifico, il
codice di proprietà industriale, dove sono state unite le varie norme a
riguardo).

Perché serve una disciplina dei segni distintivi? Serve a diversi soggetti e tutela
interessi diversi.
1. Imprenditore ha interesse per distinguere se stesso e i suoi prodotti sul
mercato, ha la possibilità concreta di monetizzare l’avviamento della
propria impresa.
2. Interesse del contraente a non essere ingannato
3. Interesse del contraente a sapere da dove proviene il prodotto

Quando nascono i segni distintivi?


Il marchio nasce a cavallo del 700\800 con le due rivoluzioni, francese e
industriale aumento di produzione e diffusione comporta la necessità di
distinguersi, non basta più l’appartenenza a una categoria, nasce la
competizione, la concorrenza, che prima era molto limitata. Non basta più la
qualità del prodotto, occorre distinguere il prodotto e promuoverlo.
La prima legge nota che protegge il marchio è della rivoluzione francese (23
nevoso anno nono = 13 gennaio 1801) e va a proteggere i prodotti di coltelleria
e lame.
All’inizio per proteggere un marchio a cosa ci si attaccava? Ci si rifaceva alla
proprietà, il segno distintivo è che il prodotto è mio, l’ho creato io; forma di
difesa abbastanza rudimentale, bastava cambiare un piccolo particolare e il
prodotto cambiava proprietario.

Vi sono diverse regole che si applicano ai segni distintivi:


 Libertà dell’imprenditore di creare i propri segni distintivi, vincolata al
rispetto di una serie di regolo che rendono un segno distintivo tale.
 I principi applicati sono:
1. liceità (non possono essere contrari al buon costume);
2. verità (non posso ingannare il consumatore);
3. novità (la regola però non è assoluta, dipende dall’ambito in cui viene
usato: io non posso usare il segno distintivo di un mio concorrente Es:
insegna bar sport di Milano, c’è anche a Monza ma non è un problema
anche se è la mia insegna, perché non c’è concorrenza, quindi si tratta di
una novità importante ma relativa);
4. originalità (capacità distintiva del prodotto).

Se il marchio nasce rispettando tutto ciò è valido.


Tipicamente l’imprenditore può cedere i propri segni distintivi, per sfruttare il
successo ricevuto.
LA DITTA nome commerciale dell’imprenditore, ma con un limite, art. 2263
“deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore”, altrimenti
sarà irregolare.
Ipotesi dell’imprenditore defunto: successione e necessità di preservare la
ditta: art 2265, “si può mantenere una ditta già in essere anche se è cambiato
il nome dell’imprenditore”.
Il requisito della novità è legato all’esistenza di una concorrenza tra
imprenditore.
Art. 2265: “la ditta può essere trasferita solo con l’azienda” (differenza rispetto
al marchio, che è trasferibile indipendentemente dall’azienda).
In caso di cessione di azienda per atto tra vivi o a causa di morte:
 tra vivi può essere trasferita con l’azienda o previsione contrattuale
specifica (ci deve essere manifestazione di volontà perché la ditta passi);
 a causa di morte la ditta può essere trasferita con l’azienda a meno che
il defunto abbia specificamente espresso nelle sue volontà che non vuole
che la ditta passi (manifestazione di volontà affinché ditta non passi).

IL MARCHIO
Può essere:
 generale (es. fiat)
 specifico (es. panda, cinquecento)
 collettivo (es. chianti, parmigiano reggiano)
 espresso da parole (es. riso fallo)
 espresso con segni grafici (es. Nike)
 di forma (es. bottiglia coca cola)
 può servire per indicare l’origine del prodotto (es. parmigiano reggiano)
 celebre, per cui grazie alla pubblicità ha acquistato notorietà ampia (es.
marchi degli stilisti, Ferrari)
Requisiti di validità:
 liceità e verità, art 14 del codice di proprietà industriale non devono
essere tali da trarre in inganno, non devono violare i diritti di altri e non
devono essere contrari all’ordine pubblico. Ci sono delle regole
specifiche, ad esempio, posso usare un nome astratto comune che non si
riferisce a una persona particolare (Giovanni rossi) oppure un nome
famoso (Brad Pitt) ma devo chiedere la sua autorizzazione, MA non posso
usarlo in modo da gettare discredito su una persona.
 originalità, capacità distintiva, art. 13 il marchio deve essere tale
da creare una reale differenziazione con il resto del mondo. Non posso
usare il nome comune di un prodotto, ma posso farlo se l’oggetto è
diverso, ad esempio, faccio una linea di biciclette e la chiamo “codice”,
acquisisce capacità distintiva e originalità.
A cavallo della seconda guerra mondiale un’azienda americana ha creato un
filato sintetico molto resistente e l’ha chiamato nylon l’azienda non ha
protetto il marchio; il marchio è diventato il nome comune di quel filato, questa
si chiama volgarizzazione del marchio il marchio o perché
contraddistingue un tipo di prodotto o una categoria di prodotti ha un tale
successo da diventare il nome dello stesso prodotto sul mercato.
Fino a venti anni fa un marchio volgarizzato non poteva essere protetto, non
era più dotato di originalità; successivamente il legislatore ha previsto che può
sempre verificarsi una decadenza del marchio per volgarizzazione, ma soltanto
nel caso in cui l’imprenditore non lo difenda, SE invece persegue tenacemente
chiunque utilizza il suo marchio per contraddistinguere un prodotto analogo
non si ha decadenza.
La virtù del marchio celebre è proprio l’originalità: il marchio celebre offre
protezione a 360°, a differenza di un marchio non celebre; il requisito della
novità si valuta in base alla concorrenza, se vi è un marchio celebre il limite
della concorrenza non c’è più MARCHIO CELEBRE OFFRE PROTEZIONE AL DI
LA’ DELLA CONCORRENZA. (es. marchio Armani si trovano prodotti di ogni
genere, come cappelli, vestiti, profumi etc);
NON si può usare un marchio celebre neanche per fare un oggetto che non sia
messo in commercio con quel marchio.
(Es: non si può usare il marchio Ferrari per fare altro, come ad esempio del
vino).
 novità, art. 12 nessun altro ha mai usato quel marchio, nessun
potenziale concorrente ha mai usato quel marchio prima.
Per avere diritto all’uso esclusivo del marchio occorre registrarlo. La
registrazione viene rinnovata ogni 10 anni.
Es: sigaro toscano, profumi di capri sono marchi registrabili. Perché? Una
registrazione non valida può essere impugnata dai concorrenti. È un fenomeno
particolare, si parla di secondary meaning, cioè si riferisce ad un fenomeno
specifico. Quando un marchio, che è debole (privo di originalità), ma acquisisce
una sua autonoma forza in funzione della pubblicità, a quel punto il marchio
diventa forte e può essere registrato.
Lo stesso fenomeno si verifica se un marchio debole viene registrato e prima
che venga impugnata la registrazione, a seguito della pubblicità, ha acquisito
una sua autonoma rilevanza.
Quali sono i motivi per cui può essere impugnata una registrazione di marchio:
1. Volgarizzazione: quando il marchio, per la fortuna e presenza del
prodotto sul mercato, diventa il nome comune del prodotto. [non è
sempre così; oggi la volgarizzazione si verifica sol ose il titolare del
marchio non lo protegge o rinuncia a proteggerlo].
2. Mancato utilizzo: il marchio decade. Sarà chi chiede la
registrazione di un marchio simile a dover provare che quel
marchio non è stato utilizzato epr 5 anni;
3. Sopravvenuta ingannevolezza: immaginiamo un marchio di un
consorzio di produttori, ad esempio l’olio del Salento. Raccolgono
olio da tutta Italia e anche dalla Spagna. In questi marchi occorre
che qualcuno si occupi della verifica e del rispetto dei requisiti del
marchio. Se nessuno lo fa, il marchio decade;
4. Marchio non registrato: es. ho una piccola pasticceria in un
paesino emiliano e produco dei tortelli, ma non mi viene in mente
di registrare il marchio. Passa il proprietario di una grande industria
dolciaria e registra il marchio. Il fenomeno si chiama pre-uso, cioè
se riesco a dimostrare che usavo il marchio prima della
registrazione di un marchio simile, allora posso continuare ad
usarlo nei limiti dell’uso che facevo prima della registrazione.
5. Trasferimento del marchio: dal ’92 il trasferimento è stato
liberalizzato ed è possibile dare anche delle licenze normalmente
non esclusive. Es: anni fa c’era una trasmissione televisiva
condotta da Renzo Arbore, “quelli della notte”, in cui c’erano dei
finti stacchi pubblicitari in cui le ballerine pubblicizzavano un
prodotto “cacao meravigliao”. La rai non registrò il marchio Cacao
Meravigliao, però un giovano imprenditore di Napoli disse: “perché
buttare via tutta questa pubblicità gratuita?” e allora registrò il
marchio Cacao Meravigliao per dei prodotti a base di cioccolato. Se
la rai si fosse messa a produrre cioccolato, senza registrare il
marchio, ci sarebbe stato un pre-uso nazionale e forse non sarebbe
stato possibile nemmeno registrarlo quel marchio. Il giovane
imprenditore registrò il marchio in quanto glielo chiedevano. Come
si risolve la situazione? La situazione è stata risolta in un modo non
proprio giuridico. Che tipo di pre-uso faceva la rai dell’ambito? Di
spettacolo. È successo che gli stacchi pubblicitari delle ballerine
sono continuati ma con un piccolo cambiamento: il Cacao
Meravigliao comportava un mal di stomaco terribile, quindi i
consumatori hanno smesso di comprarlo e hanno distrutto il
prodotto. Oggi, il Cacao Meravigliao non c’è più.
CASISTICA SUL MARCHIO
L’art. 21 del codice di proprietà industriale dice che: “ non si può impedire l’uso
del proprio nome e l’utilizzo come marchio quando è fatto nell’ambito della
correttezza professionale”.
Es (Fiorucci): il signor Fiorucci ha venduto l’azienda con il relativo marchio ad
una grande impresa. chi ha acquistato il marchio gli fa causa. Gli su può
impedire o no di usare il nome Fiorucci? Vi è una cassazione del maggio di
quest’anno. I giudici ritengono che non siamo nell’ambito della correttezza
professionale.
Es (Pre uso): un imprenditore che ha un marchio non registrato dimostra il pre-
uso del marchio attraverso una serie di cataloghi in cui figura il suo prodotto,
datati prima della registrazione del marchio di un suo concorrente. È una prova
sufficiente? Il tribunale di Milano ha detto che non solo era sufficiente, anche
perché il catalogo aveva testo anche il inglese.
 Dimostrazione del pre uso del marchio attraverso l’enciclopedia; prova
sufficiente.
Es (capacità distintiva):
 il marchio Royal Cars per vendere automobile è proteggibile? Il marchio
come testo non era difendibile ma come marchio di forma sì.
 Sicily online ha capacità distintiva? No
 Campo Fiorito, per dei vini, ha capacità distintiva? Sì.
 Il marchio Uscita di sicurezza per periodici a stampa ha capacità
distintiva? Sì.

Es (liceità):
 Prosciutto fratelli parmigiani (non siamo a Parma). Il problema è che si
crea confusione.
 “Burro dolomiti” prodotto a Roma: crea confusione.

DIRITTO D’AUTORE E BREVETTO D’INVENZIONE


La ratio delle due normative è molto simile. Esse si prefiggono di incoraggiare
gli inventori, che hanno dato un contributo creativo e quindi è bene che essi
abbiano un premio. Questo è il profilo positivo.
Vi sono anche degli aspetti negativi:
 La durata per l’invenzione del brevetto dura 20 anni [inoltre, dura 70 anni
dalla morte dell’autore].
 Obbligo per l’inventore di produrre la sua invenzione; se non lo fa, il
brevetto decade.
Es: un signore inglese si era messo a produrre orologi in Svizzera. Fra le due
guerre ha inventato un sistema della chiusura dell’orologio stagna. Ha
sponsorizzato una signora tedesca, le ha messo al polso un orologio e questa
signora ha attraversato a nuoto la manica. Ha così dimostrato che l’orologio
funzionavano perfettamente. Il brevetto è scaduto dopo 20 anni. In questo
periodo quella marca è diventata il fenomeno dell’orologio sportivo e affidabile.
La casa era la ROLEX.
La scelta, nel campo del brevetto delle invenzioni, tra cosa è invenzione e cosa
è invece brevettabile, è una scelta del legislatore.
L’art. 45 del codice della proprietà industriale ne individua le fattispecie.
Non sono invenzioni:
 le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici
 i programmi per l’elaboratore
Non possono essere brevettati:
 metodi per il trattamento chirurgico terapeutico
 varietà vegetali e le razze animali ed i procedimenti essenzialmente
biologici di produzione di animali o vegetali.
Il diritto d’autore tutela le opere dell’ingegno in campo culturale. La tutela del
diritto d’autore sorge con la creazione. Perché l’opera sia tutelata dal diritto
d’autore occorre, oltre alla creazione, che sia un’opera in una certa misura
originale (può, ad esempio, essere la parodia di un’opera nota).
Se non ha caratteristiche di originalità ed un signore sostiene di aver creato
l’opera, rischia dei guai seri (anche penali) Es: tesi di laurea.
Il fatto di essere riconosciuto autore comporta una tutela morale e un diritto di
trarre profitti in via esclusiva dalla creazione dell’opera. Questa tutela di solito
si attua mediante degli accordi e dei contratti specifici.
Questo diritto di uso esclusivo si estingue 70 anni dopo la morte.
Vi sono diversi casi specifici perché non ogni opera dell’ingegno è frutto del
lavoro di una singola persona.
Si hanno delle opere collettive in cui i contributi sono scindibili, ad esempio
un’enciclopedia. In questo caso i diritti di chi sono?
 Il creatore dell’opera è il coordinatore (nel caso di enciclopedia) o
curatore (nel caso di un manuale).
 Il diritto di sfruttamento economico va all’editore, che ovviamente
compensa le varie voci.
Una delle opere collettive più interessanti è stata l’Oxford Dictionary, dove per
ogni voce è segnalato il primo uso che ne è stato fatto dalla lingua inglese. La
stima era di concludere il lavoro in 10 anni, ma ce ne hanno messi 50 da
quando sono partiti.
Essi davano ai lettori in giro per l’Inghilterra delle opere da leggere. Quando è
stato pubblicato, il direttore ha ricevuto un riconoscimento da portare al lettore
che ha dato il maggior contributo al dizionario.
Vi sono opere collettive in cui i contributi non sono scindibili. In questo caso
come si procede? L’istituto giuridico privatistico è la comunione. Chi può
decidere la pubblicazione del lavoro? Entrambi, la decisione deve essere
condivisa. Se uno si rifiuta? Non si può pubblicare. È possibile però un ricorso al
giudice per dimostrare che il rifiuto di pubblicazione è immotivato, ingiustificato
etc.
Opere composte opere in cui c’è il contributo di più soggetti ma sono
contributi diversi (Es: una canzone in cui qualcuno scrive la musica e qualcuno
scrive il testo). Il problema riguarda lo sfruttamento economico. La ripartizione
dei proventi per il legislatore è attribuita ¾ al compositore e ¼ al librettista (se
parliamo di opere liriche); 50 e 50 (se parliamo di canzoni).
Composizioni industriali: il diritto di esclusiva che spetta all’inventore è legata
alla concessione di un brevetto, che dura 20 anni e non è rinnovabile e quindi
diventa di libero utilizzo da parte di chiunque.
Possono essere diverse invenzioni:
 Invenzioni di prodotto
 Invenzioni di produzione
 Invenzioni derivate

Requisiti per la brevettazione:


 Novità: qualcosa che non è compresa nello stato della tecnica;
 Attività inventiva: bisogna creare qualcosa che non è evidente allo
stato della tecnica;
 Industrialità (l’opera deve funzionare e deve essere utilizzata in
maniera economicamente ragionevole): Es molti alimenti, ad esempio il
frumento, contengono glutine. I celiaci devono nutrirsi di elementi privi di
glutine. Il riso non contiene glutine. La comune opinione era che la farina
di riso non andava bene per fare la pizza. Arriva un signore e dice di aver
inventato un’apparecchiatura con cui far passare la farina di riso. Vi si
attuava così un cambiamento molecolare. Funzionava! In seguito, il
responsabile di ricerca e sviluppo aveva provato a fare ciò senza far
passare la farina sotto la macchina e funzionava lo stesso!

Tutela giuridica:
 Diritto morale
 Diritto di sfruttamento economico esclusivo
Talvolta, l’inventore è diverso dal soggetto che è legittimato a chiedere il
brevetto e quindi ad avere i diritti patrimoniali dell’invenzione.
1° CASO: c’è un’impresa e un dipendente di essa che ha come compito quello
di inventare dei giochi. Se questo signore inventa un gioco, chi è che ha il
diritto morale di essere riconosciuto inventore? Lui che l’ha creato.
L’imprenditore ha invece diritto di sfruttamento economico.
2° CASO: c’è un signore che lavora in un’impresa relativa alla produzione di
automobile e gli viene in mente che se si crea un cacciavite con una forma
particolare si facilita il lavoro di tutti. chi ha i diritti morali? Lui. Chi ha diritto
allo sfruttamento economico dell’invenzione? Dell’impresa, però il dipendente
ha diritto ad un equo compenso. Se le parti non si mettono d’accordo si può far
ricorso ad un giudice.
3° CASO: un dipendente a casa sua ha un piccolo laboratorio e si diletta in
invenzioni. Lavora nell’industria automobilistica ed inventa un cerchio in lega
indistruttibile. Il diritto morale spetta a lui. A chi spetta il diritto di sfruttamento
economico? è suo, ma l’imprenditore ha un diritto di opzione (non di prelazione,
che è una sorta di preferenza). Anche qui deve essere determinato il compenso
per il dipendente. Se le due parti sono d’accordo non c’è problema. Ma se non
vi è l’accordo si procede con un arbitraggio che prevede il valore della licenza
che l’imprenditore deve pagare al dipendente.
ART. 65 invenzione per i ricercatori universitari. Il diritto morale è loro
mentre il diritto di sfruttamento economico viene diviso a metà con gli enti. Se
l’ente non si muove gli spetterà il 30%.

INVENZIONE NON BREVETTATA


L’invenzione non è tutelata dal brevetto ma dà il diritto al pre uso, come per il
marchio. Chi ha inventato qualcosa e lo usa nella sua fabbrica ha il diritto di
continuare ad usarlo nei limiti in cui ne faceva uso precedentemente se riesce
a provare il suo uso.
Che tipo di pre uso deve essere? Il pre uso, perché consenta la brevettazione
dell’invenzione da parte di un altro, deve essere un pre uso segreto e non
pubblico.
Se io uso un prodotto che ha i requisiti dell’invenzione e quindi diventa di
pubblico dominio, è brevettabile? No, perché ormai è divulgata.
Un brevetto può decadere se il prodotto non viene messo in commercio.
Se il brevetto riguarda un prodotto di interesse generale, ad esempio un
farmaco, e l’inventore non è in grado di metterlo in produzione, passati 4 anni
dalla domanda di brevetto o 3 anni dalla concessione di bretto, chiunque sia
intenzionato a produrre il farmaco può fare domanda di licenza. In questo caso
la licenza è obbligatoria. Il corrispettivo della licenza viene determinato da un
arbitratore.
Questo non libera l’inventore dall’obbligo di mettere in produzione il bene entro
i 5 anni.
Se nei 2 anni successivi non mette in produzione quel determinato prodotto, il
brevetto decade.
Il codice della proprietà industriale ha complicato le cose per un altro aspetto.
Ci sono anche i brevetti, cosiddetti modelli. Essi sono i modelli di utilità o i
modelli ornamentali.
I modelli di utilità sono delle invenzioni di secondo grado. Il brevetto per
modello di utilità riguarda miglioramenti e sviluppi di invenzioni già brevettati.
La protezione del modello di utilità è di 10 anni.
Il modello ornamentale è la protezione puramente estetica del prodotto, cioè
la forma esteriore del prodotto. Il brevetto dura 5 anni ma è rinnovabile fino a
25 anni. Però, se la forma estetica del prodotto ha un’autonoma qualità
artistica, allora la protezione cambia. Se la qualità artistica è riconosciuta sarà
protetta mediante il diritto d’autore.

LA CONCORRENZA
La concorrenza è la libertà di vari imprenditori di essere presenti sul mercato
offrendo prodotti o servizi analoghi a quelli di un altro imprenditore.
Il cliente è libero di scegliere a chi rivolgersi.
La concorrenza più libera possibile è considerata un valore in quanto stimola
l’imprenditore a produrre meglio, ridurre i costi…
La concorrenza non è perfetta in quanto ci sono barriere all’entrata, costi, limiti
generali, limiti convenzionali, limiti di legge…
Un limite legale alla concorrenza vi è in seguito alla cessione d’azienda: per 5
anni l’alienante non può iniziare un’attività d’impresa (art. 2557).
La legge ammette la possibilità di accordi limitativi alla concorrenza.
Es: nel rapporto di lavoro, se il dipendente è un personaggio particolarmente
qualificato ed ha delle conoscenze approfondite dei prodotti, è possibile
prevedere nel contratto di lavoro che per un certo periodo dopo la scadenza del
contratto stesso non può svolgere attività di concorrenza. L’accordo deve
essere approvato per iscritto e ci deve essere un compenso.
È anche possibile e previsto che la concorrenza sleale sia sanzionata.
Il primo corpo normativo importante che sanzionava le pratiche scorrette
nell’ambito della concorrenza è americano e risale al 1890: “Sherman Act”.
Dopo 100 anni è stato introdotto in Italia l’autorità garante per la concorrenza e
disciplina la materia comunemente conosciuta con il termine di antitrust.
Artt. 101-102 del trattato sul funzionamento dell’UE:
 “Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi fra
imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il
commercio fra stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di
impedire o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato
comune […]”.
Si tratta di intese dirette a condizionare il gioco della concorrenza.
 Abuso di posizione dominante: situazione di un’impresa che avendo una
posizione di particolare forza di mercato relativo, può abusare di questa
posizione e gli atti individuati sono gli stessi visti in relazioni alle intese,
salvo il ripartire i mercati.
L’ottenere una posizione dominante sul mercato è lecito ed è segno del
successo dell’impresa e dell’imprenditore. Viene sanzionato il fatto che compia
degli atti contrari al principio di concorrenza abusando della sua situazione di
forza all’interno del mercato.
La disciplina della normativa antitrust italiana è analoga.
Se c’è già una normativa antitrust europea precedente a quella italiana, perché
il legislatore italiano oltre a recepire la normativa europea ne ha scritta una
sua? Perché la normativa europea riguarda quegli atti che incidono sulla
concorrenza nel commercio fra stati membri. Per avere una disciplina nazionale
occorreva una normativa nazionale e quindi la legge antitrust.
La legge antitrust colpisce gli stessi comportamenti, ma con alcune differenze:
L’art. 2 parla di falsare o modificare in modo rilevante [..], si aggiunge un
concetto di rilevanza delle intese.
L’elemento da valutare riguarda la sostanza dell’impresa e la rilevanza.
Rilevanza rispetto a cosa?
Una delle questioni che si pongono quando si parla di intese è l’individuazione
del mercato rilevante. È spesso su questa questione che si discute sull’autorità
garante (es: se c’è un accordo tra produttori di yogurt, qual è il mercato
rilevante? Essendo lo yogurt un prodotto a base di latte, il mercato rilevante è
quello dei prodotti a base di latte; oppure, si guarda al mercato a cui si rivolge,
come ad esempio quello delle prime colazioni). Di solito il meccanismo è
l’autorità garante cerca di rimpicciolire il più possibile il mercato rilevante, le
imprese citate cercano invece di allargarlo. Viene fatto ricorso al tribunale
amministrativo regionale se non c’è un accordo tra l’autorità garante e le
imprese su quale mercato sia il mercato rilevante.
Es: Un caso rilevante riguardava le case produttrici di latte per l’infanzia. Nel
settore c’è un accordo ufficiale che le varie imprese che finanziano i costi
ospedalieri, danno un contributo pubblico, di fatto godono di un trattamento
privilegiato. Nelle varie cliniche ostetriche, il pediatra consigliava la marca del
latte alla neomamma in base alla data di nascita del bambino. L’autorità
garante ha citato le case produttrici concordando fra loro di non vedere i loro
prodotti nella grande distribuzione (supermercati), ma solo nelle farmacie.
Arriva l’impresa Mellin e dice di non aver fatto un accordo del genere. Si
difendono mediante gli ordini e le bolle di consegna del loro latte ai grandi
supermarket. Tuttavia i loro prodotti non c’erano perché nessuno li comprava
nei supermercati ma in farmacia.
Quindi, queste intese quando hanno lo scopo di falsare in modo rilevante la
concorrenza, sono vietate.
C’è un’eccezione: l’autorità garante può consentire che fra le imprese ci siano
intese astrattamente vietate quando in realtà, in concreto, portano dei benefici
ai consumatori.
Anche nella normativa italiana si ha un abuso della posizione dominante.
Qui non vi sono esenzioni, l’abuso di posizione dominante è sempre sanzionato.
Vi sono casi noti come quello della Coca Cola che, approfittando della sua
posizione sul mercato, poneva delle condizioni alla grande distribuzione.
Questo comportamento non era possibile e quindi veniva sanzionato.
Altri casi di abuso di posizione dominante riguarda il fatto di collegare ad un
determinato contratto altri contratti che nulla hanno a che vedere con il
contratto principale (es: la coca cola fa un contratto con la Pampers e dicono
alla grande distribuzione che se vogliono i prodotti coca cola devono prendersi
anche quelli Pampers).
Ulteriore precisione è data dall’art. 5 che riguarda le concentrazioni. Esse
sono funzioni tra due o più imprese che per le quote di mercato in gioco
possono creare una preoccupazione sulla libertà del mercato.
Non tutte le concentrazioni sono sotto l’attenzione dell’antitrust.
Per identificare le concentrazioni, che non sono in astratto vietate solo se vi
sono certi parametri, occorre che esse vengano comunicate all’autorità
garante.
I parametri devono essere entrambi presenti e sono:
1. Il fatturato complessivo delle imprese coinvolte nell’operazione
deve essere di almeno 500milioni di euro;
2. La più piccola delle imprese coinvolte deve avere un fatturato di
almeno 50 milioni di euro.
Se entrambi i parametri si verificano, l’autorità garante ha 30 giorni per
valutare se questo tipo di operazione può creare delle turbative di mercato.
Al termine dell’istruttore o si autorizza l’operazione oppure si dichiara di aprire
un’istruttoria. Alla fine dell’istruttoria può dare 3 risposte:
1. Si può fare
2. Non si può fare
3. Si può fare, ma con dei correttivi. Tipicamente un correttivo è un ramo di
azienda, un’attività, una delle imprese che deve essere ceduta ad un
concorrente.
Es: gruppo di società c’è una holding che controlla due società finanziarie.
Una delle due controlla una industriale che produce biciclette e fattura
300milioni di euro; l’altra controlla un’altra società anch’essa produttrice di
biciclette che fattura 250 milioni di euro. Queste due imprese decidono di fare
una fusione. Questa fusione va comunicata all’autorità garante? NO, perché
fanno già parte dello stesso gruppo. Qualunque operazione nell’ambito dello
stesso gruppo non è soggetto alla verifica dell’autorità garante.
L’autorità garante ha un’ulteriore competenza concernete le questioni
pubblicitarie.
Ci possono essere altre limitazioni alla concorrenza. Le più significative possono
essere i controlli all’accesso o l’esistenza di monopoli legali.
Ci sono monopoli di fatto o monopoli legali.
L’attività svolta in regime di monopolio di fatto (una sola impresa produce
quel bene) è soggetta alla disciplina antitrust.
I monopoli legali hanno una disciplina specifica e non sono soggetti alla
normativa antitrust. Il monopolista legale deve trattare con chiunque voglia
concludere un’operazione con lui, non può quindi rifiutarsi di trattare con
qualcuno (nei limiti della capacità dell’impresa). in questo caso deve rispettare
determinate regole:
 Servire i clienti in ordine cronologico;
 Applicare le stesse condizioni di mercato a tutti i clienti per prestazioni
analoghe.
Art. 1679 Servizi di linea. “Coloro che esercitano servizi in linea sono
obbligati ad accettare le richieste di trasporto compatibili con i mezzi ordinari
dell’impresa” […].

Altri vincoli/divieti legali obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro; divieto di


esercitare attività concorrenti per i soci appartenenti ad una società a
responsabilità limitata; gli amministratori di S.p.A. non possono svolgere
attività in concorrenza con quella società in cui sono amministratori.
Nel contratto di agenzia, l’art. 1743, prevede un’esclusiva reciproca.
Ci possono essere anche limitazioni convenzionali, cioè accordi e patti specifici
di non concorrenza.
LA CONCORRENZA SLEALE
La concorrenza è un valore ma deve comunque svolgersi con modalità tali da
non creare problemi. Il legislatore sanziona non solo i limiti illegali alla
concorrenza ma anche atti di concorrenza che non rispettano i principi di
correttezza professionale.
Vi è un interesse generale a che la concorrenza si svolga in modo corretto è c’è
un interesse specifico degli imprenditori a che la sua attività non venga
danneggiata da atti di concorrenza sleale.
La disciplina sulla concorrenza sleale è sparsa in diverse parti del nostro
ordinamento. La base la troviamo agli artt. 2598 e seguenti del c.c.
Art. 2598 c.c.  individua alcuni comportamenti specifici ed una clausola
generale, cioè atti contrari ai principi di correttezza professionale.
C’è una differenza tra gli atti specifici e questi, relativa alla prova.
Es: se uno inizia la causa dicendo che un concorrente ha compiuto atti di
concorrenza sleale. Qual è la differenza processuale? Se io provo un atto
individuato come atto di concorrenza sleale devo provare altro? Devo provare
che abbia diffuso notizie nocive per la mia attività.
Se si tratta di atti specifici, una volta dimostrato che il mio concorrente va in
giro sparlando dei miei prodotti, la mia prova è data. Il legislatore qualifica
l’atto come atto di concorrenza sleale.
Es: se faccio causa perché il mio concorrente ha compiuto qualche altro atto
che secondo il mio giudizio non sono conformi ai principi di correttezza
professionale, allora devo provare che quell’atto non è conforme ai principi. Se
riesco a dimostrare il comportamento, la causa è vinta. Inoltre bisogna
dimostrare il dolo e la colpa.
I rimedi tipici che si richiedono quando si agisce in forma di norme di
concorrenza sleale chiederò al giudice l’inibitoria e la rimozione degli effetti.
Chi può agire per gli atti concorrenza sleale e chi è tutelato dalla disciplina? Può
agire un imprenditore (attore). Ci deve essere un certo legame tra attore e
convenuto. Inoltre, ci deve essere un rapporto di concorrenza.
Il convenuto deve essere comunque imprenditore  L’art. 2598 dice: “compie
atti di concorrenza sleale chiunque […]”.
Es: un’impresa che distribuisce energia elettrica ha lamentato che dei signori
che si qualificavano come espressione di un concorrente, andavano in giro
scegliendo tipicamente soggetti deboli chiedendo se avessero il contratto con
“Rossi”. In seguito dicevano che quel Rossi stava per fallire. Invece, se uscivano
dal contratto dal contratto con Rossi e lo facevano con Bianchi avrebbero avuto
condizioni migliori. Rossi ha fatto causa. Davanti al giudice la difesa di Bianchi
ha detto di non centrare nulla perchè quei signori appartenevano alla società
Fracazzetti e si occupavano esclusivamente di marketing. In quel caso venne
ordinata la cessazione con conseguente risarcimento del danno.
L’art. 2598 non è a tutela dei consumatori ma lo è a tutela degli imprenditori.
Si parla di concorrenza non solo orizzontale (produttore di bici vs produttore di
bici) ma anche verticale (chi produce tubi di bici vs chi li commercia).
Quali sono le fattispecie tipiche? Sono i cosiddetti atti di confusione o
denigrazione. La norma non sostituisce la disciplina sul marchio di impresa ma
la affianca. Parla di imitazione servile dei prodotti di un concorrente. Questo
vuol dire che deve essere palesemente mirata a creare confusione. Cosa non
posso copiare di un concorrente? Imitazione servile significa imitare quegli
aspetti del prodotto del concorrente che non sono essenziali alla funzione che il
prodotto deve svolgere.
Es: se io uso o ripeto le componenti essenziali al funzionamento del prodotto,
nessuno può accusarmi di imitazione servile.
Questa norma si applica solo ai beni o può riguarda anche slogan pubblicitari?
Es: la pubblicità della Lavazza si svolge in paradiso. Segafredo, un altro
produttore di caffè, aveva fatto la pubblicità che si svolgeva all’inferno. La
Lavazza ha sostenuto che si trattava di un’imitazione di una sua iniziativa
pubblicitaria. Oggi la pubblicità Segafredo non c’è più e la Lavazza ha vinto. Si
trattava di una forma di imitazione servile.
Es: c’è un produttore che lancia una campagna 3x2 + una felpa della Bicocca.
Un altro produttore lancia una campagna con i suoi prodotti: 3x2 + una
bruttissima felpa della Bocconi. Si tratta di imitazione servile o no? Si.
Quindi, l’art. 2598 riguarda sia i prodotti, sia le iniziative imprenditoriali e sia le
pubblicità.
Comma 2: “Diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti o sull’attività del
concorrente idonei a determinarne il discredito o si appropria dei pregi dei
prodotti del concorrente”.  non c’è scritto che le notizie debbano essere false.
L’art. 2598 prescinde dalla verità o dalla falsità della notizia. Questa norma, per
anni, impediva in Italia che si facesse la cosiddetta pubblicità comparativa
(es: se dico che la mia auto fa 20 km con 1 litro e l’auto del mio concorrente
che ha le stesse caratteristiche ne fa 10, diffondo una notizia volta a screditare
il prodotto del mio concorrente).
Chi compie atti di confusione o denigrazione, compie atti di concorrenza sleale.
Dolo o colpa interviene l’art. 2600 c.c.
3° comma: “Accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume ”.  ciò
comporta che si tratta di un’inversione dell’onere della prova. Chi sostiene un
determinato fatto o circostanza deve darne la prova. Tipicamente è l’attore che
deve provare che è il convenuto che ha agito con dolo o colpa. Nel caso di
concorrenza sleale non è così. Nel momento in cui l’imprenditore prova l’atto di
denigrazione, non deve provare altro. A questo punto il convenuto o contesta il
fatto, o contesta il danno oppure deve dimostrare lui che non c’entra nulla. La
prova negativa (dare la prova di non aver fatto qualcosa) è ancora più difficile
della prova del danno.
Clausola generale art. 2598 comma 3: “chiunque si avvale direttamente o
indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi di correttezza
professionale e idoneo a danneggiare il concorrente ”.  basta che siano idonei
a danneggiare; non è necessaria che vi sia un effettivo danno al concorrente.
Quali possono essere questi comportamenti?
o L’attribuzione al proprio prodotto di qualità straordinarie ai propri
prodotti;
o Diversi casi, precedenti alla normativa antitrust, erano stati sanzionati ai
sensi dell’articolo 2598 comma 3 ma poi sono stati ripresi dalla
normativa, ad esempio, il boicottaggio economico;
o Dumping (vendita sottocosto);
o Storno dei dipendenti (sottrarre dipendenti al concorrente con lo scopo di
arrecargli danno): questo comporta una notevole difficoltà di prova per il
concorrente che si ritrova danneggiato dallo storno. Il solo fatto di
assumere il dipendente del concorrente non è storno. Occorre o una
fattispecie talmente clamorosa da non lasciare dubbi oppure c’è un
pentito.
Rimedi:
 Inibitoria
 Rimozione degli effetti (es: il concorrente ha prodotto oggetti come i miei;
questi oggetti vengono distrutti);
 Risarcimento del danno
L’inibitoria e la rimozione degli effetti sono legati esclusivamente al fatto che
sia stato compiuto l’atto di concorrenza sleale; dolo e colpa sono irrilevanti.
Es: siamo fuori da un’attività di impresa tipica campo dell’istruzione. Ci sono
due istituti a Trieste che insegnano inglese ed hanno nomi quasi uguali: British
School e British Institut. La seconda ha dovuto cambiare nome perché si creava
confusione.
Es: due distributori di benzina hanno un autolavaggio. Uno dei due ha
l’autolavaggio con i rulli e l’altro con un tunnel in cui si muove la macchina. Il
primo dice che il tunnel va meno bene perché può danneggiare i cerchi delle
ruote. Il distributore concorrente può agire per denigrazione ma non lo fa. Può
agire il produttore del tunnel? Si, perché non deve essere necessariamente una
concorrenza orizzontale ma anche in linea verticale. Chi produce la macchina
può agire per denigrazione anche nei confronti del distributore finale della
macchina concorrente.
Es: congresso scientifico campo della medicina. Un ricercatore prende la
parola e afferma che la molecola di un certo farmaco specifico non serve a
nulla. È denigrazione? Se siamo in un ambito specifico e la critica riporta
valutazioni oggettive del laboratorio, allora non può essere considerata né
denigrazione e nemmeno diffamazione.
L’imitazione servile deve riguardare componenti visibili del prodotto o anche
meccanismi interni? Perché ci sia imitazione servile devono essere elementi
visibili.

PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE


Il codice del consumo elenca una lista infinita di pratiche scorrete.
Art. 20 comma 2: “si ha una pratica commerciale scorretta se contraria alla
diligenza professionale ed è falsa o idonea a falsare il comportamento
economico in relazione al prodotto del consumatore medio che raggiunge o
intende raggiungere o del membro medio di un gruppo qualora la pratica
commerciale sia diretta ad un determinato gruppo di consumatori”.
Altri comportamenti scorretti riguardano il ricorso a molestie, coercizioni o
indebito condizionamento.
Vi è poi la disciplina specifica per la pubblicità. Ci sono due organismi che si
occupano di pubblicità: il giurì (con sede a Milano) e l’autorità garante. Il giurì è
più libero nelle sue decisioni in quanto esiste una previsione specifica che dice
che può essere vietata qualsiasi pubblicità che ha l’effetto di gettare discredito
sui messaggi pubblicitari in generale.
CASO: coca cola vs pepsi cola la pepsi ha fatto una campagna pubblicitaria
relativa ad un meccanismo dell’assaggio cieco, cioè un consumatore
assaggiava le due bevande senza sapere in quale bicchiere vi fosse la coca e in
quale la pepsi. Avevano preso dei bicchieri bianchi. Nel bicchiere con la S c’era
la coca e nel bicchiere con la L c’era la pepsi. Lo slogan con cui la pepsi ha
lanciato la campagna era: “in un assaggio cieco il 70% dei partecipanti ha
preferito la pepsi rispetto alla coca cola”. I signori della coca cola non erano
entusiasti e così hanno citato in giudizio la pepsi, contestando i risultati della
campagna pubblicitaria.
 In base a cosa hanno contestato i risultati? Per quanto riguarda le
lettere. La tesi degli avvocati della coca cola è che il consumatore in
realtà era condizionato dalle lettere sul bicchiere perché, secondo i legali
della coca cola, sono due lettere molto connotate nella valenza inglese.
La “L” ha una forte valenza positiva mentre la “S” ha una valenza
negativa.
 Chi ha vinto? ha vinto la coca cola. È riuscita a convincere i giudici che
bastava una lettera sul bicchiere per cambiare la portata del test. Erano
condizionati dalla lettera sul bicchiere.
È stata introdotta nel nostro ordinamento la disciplina della pubblicità
comparativa. Oggi è ammessa a determinate condizioni. È ammessa quando:
 Vengono confrontati prodotti analoghi, destinati a soddisfare le stesse
esigenze ed inoltre devono essere in una fascia analoga di prezzi e livello;
 Vengono confrontati elementi oggettivamente valutabili;
 Non deve essere usato per farsi pubblicità attraverso la notorietà del
prodotto del concorrente;
 Il confronto non deve essere ingannevole (es: caso pepsi e coca cola);
 Non deve generare confusione sul mercato tra i marchi, denominazioni
commerciali, segni distintivi ecc…;
 Per i prodotti che hanno una denominazione di origine deve confrontare
prodotti che hanno la stessa denominazione di origine.

TEST SULLA PUBBLICITA’


Pubblicità su una rivista di un abbonamento all’Economist. L’annuncio
pubblicitario riguardava tre possibilità di abbonamento:
1. Abbonamento all’Economist online per l’importo di 59 euro.
2. Abbonamento all’Economist in rivista cartacea per l’importo di 125 euro.
3. Abbonamento all’Economist in carta + online per l’importo di 125 euro.
Si toglie l’offerta n. 2 e quindi rimangono due possibilità di abbonamento. Chi
aveva scelto la n. 2 ora sceglie la 1.

CONSORZIO
Vi sono due distinzioni. Uno per il tipo di attività e un altro per quanto riguarda
le modalità di svolgimento dell’attività.
Per quanto riguarda il tipo di attività che svolge il consorzio è un modo di
disciplinare la concorrenza tra le imprese partecipanti al consorzio. L’art. 2603
c.c. spiega che le varie imprese si mettono d’accordo per limitare la produzione
di un determinato bene dividendosi le aree ecc…. È un accordo anti
concorrenziale fra le imprese appartenenti al consorzio, ma questa è
un’eccezione alla normativa anti trust? Se viola la normativa anti trust è
un’intesa vietata.
Quali sono le intese vietate? Quelle che hanno l’effetto di influenzare,
modificare, alterare il mercato in modo rilevante.
La misura rilevante con cui viene modificato il mercato conta. Se è un consorzio
fra piccoli produttori che decidono di gestire meglio le loro imprese a fronte di
grandi produttori che hanno quote di mercato rilevanti, l’impatto non ci
sarebbe.
L’altro tipo di consorzio è quello costituito da più imprese per lo svolgimento in
comune di determinate attività o fasi della propria impresa.
Es: ci sono alcune imprese e ognuna di esse ha bisogna di un centro elettronico
per la gestione delle paghe dei dipendenti. Al posto che crearsi ognuno il
proprio centro informatico, se ne crea uno che gestisce la parte informatica di
varie imprese. Sarebbe possibile unirsi e organizzarsi attraverso un contratto di
consorzio. Questo ci dà l’idea di chi possono essere i partecipanti ad un
consorzio, cioè gli imprenditori. Il consorzio è quindi un contratto in cui può
partecipare solo un imprenditore. Fino alla riforma del 1976 la legge prevedeva
che dovesse trattarsi di imprenditori che svolgevano la stessa attività. Con il
1976 è stata riformata la disciplina ed oggi non è più previsto ciò.
In realtà nella disciplina, che si tratti di consorzio in funzione concorrenziale o
per la gestione in comune di alcune parti della propria attività di impresa, non
ci sono differenze nella disciplina.
Ci sono differenze per quanto riguarda le modalità con le quali il consorzio
gestisce la sua attività.
Ci sono consorzi che svolgono la loro attività all’esterno (es: consorzio
d’acquisto). Si organizza un ufficio acquisti comune che si rivolge al mercato
chiedendo tutto quello che serve alle varie imprese. Un consorzio di questo
genere che ha funzionato piuttosto bene era destinato all’acquisto di quote di
energia elettrica ed era un consorzio che metteva insieme varie imprese
metallurgiche nel bresciano.
Qual è la differenza fondamentale nella disciplina? Mentre il consorzio con
attività interna deve gestire i rapporti fra i consorziati, il consorzio con attività
esterna deve sempre gestire i rapporti tra i consorziati ma in più ha anche una
disciplina per quanto riguarda i rapporti fra l’ufficio e i terzi e fra i consorziati e
l’ufficio.
Il consorzio è un contratto formale, è quindi necessaria la forma scritta (art.
2603). Il consorzio deve contenere anche degli elementi che riguardano la
gestione in comune di qualcosa, cioè:
- Le parti
- L’oggetto: che attività svolge il consorzio
- La durata: è previsto dall’art. 2603 ma non è strettamente necessario
perché se la durata non viene indicata si prevede che esso duri 10 anni.
Deroga all’art. 2596? Si ritiene di sì. Quindi non si applica il limite dei 5
anni se stimo parlando di un consorzio.
- Obblighi di ciascun consorziato e i diritti: tipicamente, destinare alcune
risorse al consorzio attraverso la creazione di un fondo consortile.
- Possibilità di recesso
- Modalità di adesione/ammissione di nuovi consorziati: in realtà
esso è facoltativo. Se non dice nulla in relazione a ciò, è opportuno
modificare il contratto (con l’unanimità dei contraenti).
- Una sede
- Gli organi del consorzio ed i relativi poteri
Il consorzio è un contratto di durata e tendenzialmente aperto, quindi di solito
si prevede il meccanismo di adesione.
Problema abbiamo un contratto di consorzio e uno degli imprenditore che è
parte del contratto trasferisce la propria azienda. Con il trasferimento il nuovo
acquirente subentra nel contratto 8° meno che dopo 3 mesi decide di recedere
ma con giusta causa). È prevista la possibilità nel contratto di un patto
contrario, cioè il contratto può prevedere che nel caso di trasferimento
d’azienda, l’acquirente non subentra nel consorzio. Se non si prevede, il
contratto è aperto e l’acquirente subentra nel contratto di consorzio.
Vi è un meccanismo per cui gli altri consorziati possono opporsi al subentro ma
il termine è abbreviato: non è 3 mesi ma 1 mese dalla cessione dell’azienda.
L’art. 2609 comma 1, parlando del recesso, dice: “nei casi di recesso previsti
dal contratto la quota di partecipazione del consorziato receduto o escluso si
accresce proporzionalmente a quella degli altri”.
Es: c’è un consorzio di 11 consorziati e ognuno contribuisce al fondo consortile.
Uno recede e le quote di ciascuno diventano al 10%. Nel momento del recesso,
nel fondo consortile abbiamo non utilizzati 1100 euro. L’accrescimento riguarda
anche il fondo consortile? Meglio, io 11esimo consorziato che me ne vado,
lascio anche il mio 1/11 del mio fondo consortile o lo riprendo? Riprendo
sempre e in ogni caso la quota data al fondo consortile, anche se non faccio più
parte del consorzio per inadempimento, perché comunque pagherò un
risarcimento del danno ma la quota del fondo torna nelle mie mani.
Ci sono due tipi di decisioni che possono giocare nel consorzio:
1. Riguarda la vita del consorzio, eventuali modifiche del contratto:
qui le decisioni vengono prese all’unanimità;
2. Riguardano l’operatività del consorzio: la gestione del consorzio, in
assenza di previsioni contrattuali, tendenzialmente dovrebbe
essere all’unanimità, ma il legislatore ha introdotto il principio
maggioritario. Se non ci sono previsioni specifiche diverse, le
operazioni gestionali del consorziente sono prese a maggioranza
dai consorziati.
Casi di scioglimento dei consorziati:
 Volontà unanime di tutti i consorziati: può avvenire anche a
maggioranza ma solo in un caso particolare, cioè nel caso in cui vi sia
una giusta causa di scioglimento;
 Impossibilità di conseguire l’oggetto sociale: l’attività che quel
consorzio si riprometteva diventa illegale;
 Scadenza del termine: se non prorogo il termine (all’unanimità) il
consorzio si scioglie;
 Raggiungimento dello scopo;
 Causa di scioglimento prevista dal contratto;
 Provvedimento dell’autorità governativa.

CONSORZI CON ATTIVITA’ ESTERNA


Questo consorzio svolge lui stesso un’attività di impresa.
Es: c’è un ufficio addetto ai rapporti con i terzi che va sul mercato e acquista
tubi per i telai delle biciclette.
La prima conseguenza del fatto che siamo di fronte ad un’attività di impresa
riguarda l’iscrizione nel registro delle imprese. Inoltre è prevista la forma
scritta.
Bisognerà tenere le scritture contabili (es: bilancio).
Dovrà prevedere le cariche sociali e le funzioni degli organi.
Per evitare problemi ai terzi è prevista la rappresentanza processuale passiva,
cioè chi può essere citato in giudizio tra gli organi in consorzio. Essi sono il
presidente e il direttore generale, anche se non hanno alcun potere di
rappresentanza.
Ci deve essere un fondo consortile, in relazione ai vari contributi che i
consorziati fanno. Starà ai terzi valutare se e come operare nel consorzio in
funzione della consistenza del fondo consortile.
Tipicamente il consorzio agisce per quote a favore dei consorziati. Può capitare
che un consorziato dica all’ufficio del consorzio che lavora con i terzi di aver
bisogno di una quota maggiore, ad esempio, di tubi. Il consorzio opera
esclusivamente a favore di uno dei consorziati.
Per quello che il consorzio fa per un consorziato, risponde il consorziato
medesimo in solido con il fondo consortile. Se non paga il consorziato paga il
fondo consortile. Resta inteso che il consorzio avrà la possibilità di agire nei
confronti del consorziato inadempiente in quanto è un suo inadempimento.
Quello che crea problemi interpretativi è l’art. 2615: “In caso di insolvenza nei
rapporti tra i consorziati, il debito dell’insolvente si ripartisce fra tutti in
proporzione delle quote”.
Es: il consorzio ha eseguito una prestazione nei confronti di un consorziato, che
però fallisce. Abbiamo la previsione che c’è una responsabilità solidale del
fondo consortile. Abbiamo diverse ipotesi:
- Il fondo consortile paga, il terzo è soddisfatto, subentra la legge, si
ripartiscono le quote e si reintegra il fondo;
- Il fondo consortile in quel momento non è sufficiente per pagare il debito.
In questo caso il debito si ripartisce fra i consorziati la perdita derivante
dal fondo consortile. Altri dicono che può essere fatta valere dal terzo
soddisfatto non agendo direttamente nei confronti dei consorziati ma
chiedendo che i consorziati reintegrino il fondo consortile che poi paghi il
terzo.
La tesi maggioritaria in dottrina è quella di ricostituire il fondo consortile in
modo tale da permettere al terzo di soddisfarsi.
Due altre forme associative:
1. ATI (Associazione Temporanea di Imprese): si verifica tipicamente negli
appalti pubblici. diverse imprese partecipano dando il loro progetto con i
relativi costi. Normalmente non c’è una sola impresa in grado di gestire
tutte le fasi di un progetto articolato, allora si organizza un contratto, cioè
l’ATI. Il contenuto del contratto è normalmente dettato dalle regole
dell’appalto. Normalmente l’ente appaltante vuole avere a che fare con
una impresa. i profili più rilevanti riguardano:
- La rappresentanza dell’associazione, data alla società capofila;
- Il potere di contrattazione della società capofila;
- Le prestazioni che ciascuna impresa coinvolta nel contratto deve
adempiere;
- La responsabilità di ciascuna impresa partecipante nell’ambito
dell’impresa che deve essere svolta.
È un contratto tipico il cui contenuto è condizionato dalle regole stabilite
dall’appaltante.
2. GEIE (Gruppo Europeo di Interesse Economico): istituto per favorire la
collaborazione fra imprese appartenenti a stati membri diversi. I vari
partecipanti devono risiedere in almeno due stati membri diversi. È stato
introdotto in Italia nel 1991 con il D.lgs. 140. Il meccanismo è quello dei
consorzi di cooperazione con attività esterna. Non è necessario che le
parti siano imprenditori ma anche liberi professionisti. Costituisce un
centro autonomo di imputazione. Si impone la forma scritta a pena di
nullità. Deve essere iscritto nel registro delle imprese, se svolge attività
di impresa, e comunque deve essere pubblicata la costituzione sulla G.U.
Deve tenere le scritture contabili entro 4 mesi dalla chiusura di ogni
esercizio.
Una delle questioni interessanti sono gli effetti della nullità del contratto.
L’effetto della nullità retroagisce e non è sanabile. Quindi rimuove tutti gli
effetti e manca la sanatoria. Quando parliamo di società o di GEIE, questo
può creare dei problemi perché ci possono essere dei soggetti che hanno
fatto affidamento senza colpa nella validità del contratto. La nullità può
essere pronunciata solo dopo l’iscrizione nel registro delle imprese
[abbiamo una società iscritta ma è viziata da nullità]. Premesso che il
GEIE stabilisce quale ordinamento si applica e quindi la disciplina può
essere diversa, per il diritto italiano la nullità:
 Non ha effetto retroattivo e quindi non pregiudica la validità degli atti
compiuti precedente alla dichiarazione di nullità
 Opera come causa di scioglimento di legge dell’organismo.
 È sanabile: se le parti apprendono che l’istituzione è nulla per un
determinato motivo e possono rimuoverlo, la rimozione sana gli effetti
della nullità.
Il fondo consortile per la quota presente viene restituita al consorziato escluso.
Se poi l’esclusione avviene a seguito di inadempimento, andrà incontro al
risarcimento del danno.

LE SOCIETA’
Esse si dividono in società di persone e società di capitali.
Fra le società di capitali vi è la società in accomandita per azioni. È un tipo di
società usato pochissimo. Ad un certo punto, l’avvocato Agnelli ha costituito
una SAPA e a seguito di questa iniziativa tutti gli imprenditori italiani volevano
fare una SAPA.
La disciplina parte con alcune norme di carattere generale (artt. 2247 e ss.),
per poi avere una disciplina particolare per ogni tipologia di società di persone:
- Società semplice (artt. 2251-2290)
- Società a nome collettivo
- Società in accomandita semplice
Società di capitali:
- Società per azioni
- Società a responsabilità limitata: introdotta per ridurre l’importanza di
aziende come la s.n.c.
- Società in accomandita per azione
Nelle società c’è l’art. 2247 che individua il contratto di società. Attraverso
questo contratto due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in
comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili.
Ci può essere una società in cui manca qualcuno degli elementi previsti da
questo articolo.
Fino al 1990 la rubrica di questo articolo era proprio “Nozione di società”.
Con la riforma del 2003 è stata introdotta la possibilità di costituzione di un
unico socio anche per le società per azioni.
Le società di capitali sono dotate di personalità giuridica. Le società di persone
non hanno questa autonomia e per cui, se veniva meno la pluralità dei soci, la
società si trovava in una ipotesi di liquidazione.
Vi è un periodo di 6 mesi entro il quale si può ricostituire la pluralità di soci. Se
questo avviene, la società non si estingue e non si procede alla liquidazione.
Fino a che non è stata inserita nella rubrica il concetto di contratto di società
qualcuno diceva che la società è un contratto e qualcuno diceva che mancava
qualcosa perché si potesse parlare di contratto.
Nel contratto di scambio uno degli elementi costitutivi è un conflitto di interessi
tra le due parti. Il venditore cerca di ottenere il prezzo più alto possibile e il
compratore quello più basso. Qualcuno diceva che nelle società mancava
questa separazione tra le parti. Quante sono le parti in un contratto a
prestazioni corrispettive? 2. E se sono più di due parti ci può essere un contatto
di scambio? Si, ci possono essere più parti nel negozio ma le parti sostanziali
sono sempre due (più venditori o più acquirenti).
Nel contratto di società non sappiamo quante possono essere le parti
sostanziali del contratto.
È vero che nel contratto di società non c’è un conflitto di interessi tra i vari
soci? Si può individuare un qualche conflitto di interessi oppure no? Può
nascere il problema dei conferimenti dei soci e la divisione degli utili. Ciascun
socio ha interesse ad ottenere la maggior quota di partecipazione agli utili, con
il minor conferimento possibile. Se il conferimento avviene in denaro, la
questione è di relativa rilevanza. Il 2247 parla però di beni o servizi. Qui il tema
diventa più facile da capire. Quante parti sostanziali ci sono nel contratto di
società? Tante quante sono i soci. Però c’è un qualcosa in più nel contratto di
società rispetto al mero contratto di scambio, cioè uno scopo comune. Lo scopo
comune è l’esercizio dell’attività economica, qualunque essa sia, e la speranza
di dividerne gli utili.
In realtà non esiste un interessa autonomo dell’ente società separato
dall’interesse dei soci. L’interesse sociale è quello che si crea a seconda della
volontà o della maggioranza dei soci.
Troviamo dei riferimenti ai contratti con comunione di scopo nel nostro
ordinamento? Si, l’art. 1420 Nullità del contratto plurilaterale. Nei contratti
con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuno sono dirette al
conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce una sola delle parti
non comporta la nullità di tutto il contratto ma lo fa solo nel caso in cui la
partecipazione del socio è considerata essenziale.
Nel contratto di scambio, per quanto riguarda la prestazione delle due parti
contrapposte, cosa ci dovrebbe essere? Un astratto equilibrio tra le due
prestazioni.

Contenuto dell’art. 2247 quali sono gli elementi che il legislatore individua
come essenziali nel contratto di società:
- Presenza di due o più persone;
- Conferimento ad un ente separato di beni o servizi: conferimento che è
strumentale all’esercizio dell’attività economica;
- Grande elasticità dei soci;
- Diritto agli utili e al voto che è proporzionale al conferimento;
- Esercizio in comune dell’attività economica: elemento costitutivo per
qualunque società con più soci. L’esercizio in comune può assumere
diverse aspetti. In una società di capitali con 10mila soci non può essere
la stessa cosa. Tutti i soci hanno il diritto di esercitare alcuni diritti
amministrativi, ad esempio votare. L’esercizio in comune non è più
diretto ma e mediato; ad ogni modo non viene meno;
- Divisione degli utili: si crea una distinzione tra le società lucrative e le
società con scopo mutualistico, cioè le società che per progetto come
idea fondante alla costituzione non prevedono la distribuzione degli utili.
Era importante questa distinzione perché prima del 2000 non era
possibile il passaggio diretto da un tipo all’altro. Se i soci di una società
mutualistica (cooperativa) decidevano di organizzarsi come una società
di capitali effettiva. Il processo per cambiare il tipo di società si chiama
trasformazione. Fino al 2000 tutto ciò non era possibile ma bisognava
liquidare la società mutualistica per poi costituire una nuova società. In
seguito è stata introdotta la possibilità di trasformazione eterogenea per
cui oggi è possibile la trasformazione delle società.
Quali sono i limiti dei conferimenti? Il conferimento deve essere suscettibile di
valutazione economica e deve essere un qualcosa che ha una sua utilità per lo
scopo della società stessa.
Non è detto che il capitale sia astrattamente necessario ma può essere anche
una garanzia.
In una società di persone può non essere indicato un capitale sociale. In questo
caso si intende che ciascun socio è impegnato a consegnare quanto serve per
la società.
Se confrontiamo l‘art. 2247 con l’art. 2082 notiamo che manca un elemento,
cioè il concetto di professionalità. Si può immaginare una società occasionale?
È possibile l’esistenza di una società di fatto, anche se non è stata
regolarmente costituita. Ad esempio, assieme a tre amici facciamo un sistema
e giochiamo al superenalotto. Possiamo definirlo una società? No, manca
un’attività economica. Allora abbiamo un contratto con comunione di scopo.
Come ci distribuiamo la vincita? In base ai conferimenti.
L’art. 2263 dice che le parti spettanti ai soci nei guadagni o nelle perdite si
presumono uguali ai conferimenti.
In realtà esistono delle figure un po’ ibride al di là delle cooperative con scopo
non prevalentemente mutualistico. Ad esempio, ci può essere una società
immobiliare che possiede degli immobili e li dà in affitto ai suoi soci. L’attività
economica prescinde dal concetto di impresa dettato dall’art. 2082.
In realtà la fattispecie società ha una portata che va al di là dei limiti dell’art.
2247.
Ci possono essere dei casi in cui è importante non tanto lo scopo di dividere gli
utili ma l’applicazione di una disciplina ad una fattispecie. Cioè, ci possono
essere dei casi in cui certe attività devono essere organizzate sotto tipi
societari specifici, non perché le modalità di esercizio rientrino nel 2247 ma
perché è richiesto che venga applicata una determinata disciplina a quella
fattispecie e la disciplina più idonea è ritenuta quella della società per azioni.
Altro profilo rilevante riguarda la differenza tra società e comunione.
La comunione è quella situazione in cui due o più soggetti sono comproprietari
di un bene. Può nascere da una successione ereditaria, dalla volontà delle parti
ecc…. Se due o più persone sono comproprietari di un immobile non abbiamo
una società ma una comunione. Se lo affittano? Abbiamo sempre una
comunione.
C’è una differenza di disciplina. La differenza più significativa nella disciplina
riguarda lo scioglimento. Nella società lo scioglimento è previsto per casi
specifici oppure per la volontà dei soci (recesso). Non c’è un socio, di norma,
che può imporre lo scioglimento della società. Al contrario, un partecipante alla
comunione può imporne lo scioglimento. Se gli altri soci non sono d’accordo si
fa un ricorso al giudice ed entro un periodo massimo di 5 anni si deve procede
allo scioglimento della comunione.
Nelle società non è così, perché? Da una parte c’è il favore del legislatore e
dall’altra c’è un’oggettiva difficoltà (contratti pendenti, valore della società
stessa…).
Quando in comune è un’attività di impresa, abbiamo sempre una società? Ci
può essere un’attività di impresa in comune senza che vi sia società? Vi sono
idee contrapposte.
IMPRESA CONIUGALE (art. 177 d) questo articolo individua gli elementi che
compongono la comunione legale fra i coniugi. Campobasso dice che sarebbe
un’ipotesi specifica e unica di comunione di impresa.
Normalmente si dice che l’attività economica può avvenire solo attraverso una
società. In realtà si può ritenere che sia un’ipotesi singolare di comunione di
impresa.
Un’altra questione riguarda l’articolo 2249 devono costituirsi sotto forma di
società, ad esclusione della società semplice.
Per quanto riguarda i contratti, il nostro ordinamento prevede un numero rigido
e limitato di contratto o sposa il principio della atipicità dei contratti? La
seconda opzione.
Un contratto atipico ha dei requisiti? Deve regolare dei rapporti ritenuti
meritevoli di tutela dall’ordinamento.
Il nostro codice prevede tre tipi di società di persone e tre tipi di società di
capitali.
Es: intendo costituire la società Pippo (società atipica), disciplinando come
meglio voglio i rapporti giuridici che fanno capo alla società.
Si può inventare un nuovo tipo di società oppure no? Una delle indicazioni sta
nel fatto che al di là dei tipi regolati dal codice, se ci guardiano intorno non
troviamo altre società.
Che tipi di rapporti dovrà regolare la legge?
- Rapporti fra i soci;
- Rapporti fra la società e i terzi.
Normalmente gli effetti del contratto di società si esauriscono tra le parti.
Invece, quando costituiamo una società abbiamo una normativa che riguarda
sia i rapporti tra soci e sia i rapporti con i terzi. La legge prevede una serie di
modelli, meccanismi e strutture per disciplinare i rapporti tra l’ente società e i
terzi.
Nelle norme in tema di società ci sono due categorie di norme. Ci sono le
norme che regolano i rapporti con i terzi e le norme che regolano i rapporti fra i
soci.
La disciplina dei rapporti della società con i terzi sono inderogabili dalla volontà
delle parti.
Non c’è bisogno di una società atipica perché lo stesso legislatore consente una
certa elasticità e flessibilità per quanto riguarda le fattispecie di società
disciplinate dal codice. Non è possibile costituire una società diversa in quanto
si andrebbe ad incidere sui rapporti fra i soci.
Fino al 2000, quando si costituiva una società bisognava passare attraverso il
controllo del giudice. Dal 2000 questo controllo non c’è più ed è competenza
del notaio redigere l’atto pubblico.
Abbiamo le società commerciali e la società semplice. Le società
commerciali sono quelle che secondo il legislatore possono svolgere attività di
impresa commerciale (tutte tranne la società semplice).
Società commerciale in senso sostanziale società che effettivamente
svolgono attività di impresa commerciale.
Una società per azioni che gestisce una grande impresa agricola sperimentale
è soggetta al fallimento in quanto società per azioni indipendentemente dal
fatto che non svolga attività di impresa oppure no? La risposta è NO. Quello che
rileva ai fini dell’applicazione dello statuto dell’impresa è l’attività
sostanzialmente svolta.
Le società di capitali hanno soci con responsabilità limitata. Qui si parla di
personalità giuridica.
Le società di persone hanno soci con responsabilità illimitata e in questo caso si
parla di soggettività giuridica.
Quali sono gli elementi che costituiscono le due fattispecie? [personalità e
soggettività giuridica]. Si è partiti cercando di risolvere il quesito
dall’individuare l’elemento dell’autonomia patrimoniale che riguarda la
separazione fra il patrimonio dei soci e il patrimonio dell’ente società. Può
essere perfetta o imperfetta.
È imperfetta quando non vi è separazione e cioè i creditori della società
possono rivolgersi ai soci aggredendo il loro patrimonio e i creditori particolari
del socio possono imporre all’ente società di liquidare la quota del socio e
dopodiché aggrediscono il patrimonio del socio.
È perfetta nella società per azioni. Qui i creditori della società non possono
rivolgersi ai soci e aggredire il loro patrimonio e né i creditori dei soci possono
imporre alla società alcunché.
ECCEZIONI:
Fra le società di persone: la società in accomandita semplice in cui ci sono dei
soci che hanno una responsabilità limitata ai conferimenti;
Fra le società di capitali: la società in accomandita per azioni perché in
sostanza la situazione è la stessa della società in accomandita semplice. Ci
sono soci illimitatamente responsabili e soci limitatamente responsabili.
Se la società è insolvente, subentra una responsabilità illimitata del socio.
Quindi anche nella S.p.A. può capitare che questa autonomia patrimoniale
perfetta si spezzi.
Hanno trovato un’altra soluzione. Si ritiene che il parlare si soggettività o
personalità giuridica comporti il riferimento non a delle regole generali ma alla
disciplina specifica dei vari tipi sociali.
Soggettività giuridica insieme delle regole che riguardano le società di
persone.
Personalità giuridica insieme delle regole che riguardano le società di
capitali.
Quali sono le principali differenze che incontriamo fra le società di persone e le
società di capitali?
- La responsabilità;
- Meccanismi decisionali;
- Trasferibilità delle partecipazioni: il trasferimento della quota di una
società personale costituisce una modifica del contratto. La regola per la
cessione della quota di un socio è che ci vuole l’unanimità dei consensi.
- Nomina dei gestori;
- Capitale proprio: le risorse iniziali in astratto per il funzionamento della
società costituita dai conferimenti dei soci. Il termine capitale può avere
diversi significati. Se parliamo di risorse è evidente che ogni società che
vuole operare deve avere anche risorse. Quando parliamo di capitale in
senso giuridico abbiamo il capitale nominale (insieme dei conferimenti) e
il capitale reale che nei conti di una società è costituito dall’attivo
patrimoniale meno il passivo, escluso il capitale nominale. Nel bilancio
delle società, il capitale va nel passivo perché l’attivo della società deve
avere la copertura di tutti i debiti della società compreso il capitale
sociale.
Si presume che i soci, in parti uguali, siano impegnati a fornire alla
società le risorse necessarie per il suo funzionamento. Quindi, se la
società diventasse insolvente, i soci pagheranno con responsabilità
solidale e poi fra di loro si ripartiranno le perdite in parti uguali. Qual è la
funzione del capitale? Se il capitale riteniamo che ha una principale
funzione di garanzia, allora devo conferire dei beni. Se i beni però sono
diversi dal denaro, allora posso conferire solo beni o servizi sui quali i
creditori possono rivalersi. Oggi la funzione di garanzia è limitata.

La società di fatto è un’attività che corrisponde a quelle che sono le


caratteristiche e i requisiti di una società ma che non hanno alla base nessun
accordo. Questo è possibile per le società personali perché quelle di capitali
nascono pienamente con l’iscrizione nel registro delle imprese.
La società apparente è stata inventata dei giudici per sanzionare dei
consociati che hanno dato apparenza ad una società senza che questa
esistesse realmente.
Questione particolarmente rilevante è la questione di una società di capitali di
essere socio di una società di persone. Fino alla riforma che ha risolto in un
certo modo la questione, tutta la giurisprudenza ha negato questa possibilità.
La dottrina era a favore. Perché la giurisprudenza negava la possibilità per una
società di capitali di essere socia di una società di persone? Alcuni dicevano
che nella società di persone è prevista la morte del socio come causa di
scioglimento della società ma le società non muoiono; altri dicevano che si
andava a creare una disparità: i soci delle due società hanno diverse
responsabilità. È una tesi plausibile o no? No, in quanto non c’è
disuguaglianza il socio rimane illimitatamente responsabile. Però,
rispondendo a questa eccezione viene fuori un problema reale, cioè il fatto che
la società per azioni assoggetta l’intero suo patrimonio alle decisioni di un
terzo. Ma secondo il legislatore questo non è un motivo sufficiente per vietarla.
Quindi, se la società di capitali intende investire in una società a responsabilità
limitata, la decisione deve essere presa dai soci ed inoltre, nella nota
integrativa deve essere scritto che la società detiene una partecipazione in una
società a responsabilità limitata, con rischio connesso.

SOCIETA’ SEMPLICE
Fino a prima dell’introduzione del registro delle imprese non c’era l’iscrizione
per la società semplice ma era radicata la libertà di forma.
Con l’introduzione ufficiale anche la società semplice è soggetta all’iscrizione,
ma si tratta di iscrizione in un registro speciale.
La natura nell’iscrizione della società semplice è notizia, con un’eccezione: era
la società semplice che svolge attività d’impresa agricola, perché imprenditore
agricolo, iscritto nel suo registro speciale, ha pubblicità dichiarativa.
L’iscrizione ha funzione di notizia, salvo che l’attività della società sia d’impresa
agricola.

Forma del contratto


Forma libera, salvo la natura del conferimento: se nel contratto di società
semplice è previsto un conferimento di immobili, il contratto deve avere forma
di atto pubblico, altrimenti il conferimento non può essere fatto.
Il problema interpretativo è che tutto il contratto deve avere una forma
specifica o solo l’atto di conferimento? Dipende.
SE il conferimento avviene con atto separato il contratto può mantenere la sua
forma (alcuni invece dicono di no; se c’è un conferimento di immobile, tutto il
contratto deve avere forma di atto pubblico)
Altro problema… contratto sociale, scritto, che prevede che i soci che
effettuano determinati conferimenti e il commendator Rossi conferisce un
immobile; non è atto pubblico, che succede? Possono succedere diverse cose.
Il contratto sociale della società semplice è flessibile, non sono neanche indicati
gli elementi necessari, i soci possono mettersi d’accordo su moltissimi aspetti
della società quindi i problemi nascono quando il contratto è confuso, quindi
redatto male o quando non prevede una serie di cose, per cui a volte soccorre
la legge ponendo regole, altre volte nasce il problema di interpretazione della
volontà dei soci.
abbiamo contratto sociale scritto in cui si prevede che uno dei soci conferisce
un immobile.
Innanzitutto si può discutere della validità del contratto
Il contratto sociale prevede qualche problema di validità che comporterebbe la
nullità del contratto perché manca un requisito essenziale di forma. Però ci
sono due argomenti: uno mina questa affermazione e uno non la rende del
tutto sbagliata, ma solo in parte.
Come si difende questo contratto? Vi sono due possibilità, una più radicale e
una un po’ meno:
- Il contratto sociale è un contratto con comunione di scopo e se con più di
due parti l’invalidità che ne colpisce uno non comporta la nullità del
contratto, a meno che la partecipazione travolta dall’invalidità sia
considerata dalle parti essenziale per il mantenimento del contratto.
Se in questo caso si ritiene che la partecipazione del commendatore sia nulla,
se la si toglie la forma scritta semplice va bene; se invece il conferimento è
essenziale, si ha un problema a salvare il contratto di società.
Sarà nulla la partecipazione di un socio, ma non sarà nullo il contratto…
dipende.

- Nella società semplice tutti i conferimenti sono ammessi.


La proprietà è l’unico modo per conferire un terreno? No. Se risulta che è stato
conferito senza formalità un bene immobile si può ritenere, a meno che le parti
non lo contestino, correttamente che in realtà il conferimento riguarda una
concessione in affitto del terreno fino a 9 anni e in questo modo si salva
integralmente il contratto.
Modifica del contratto
L’art. 2252 dice che il contratto di società, salvo diversa previsione nel
contratto stesso, può farsi soltanto con l’accordo di tutti i contraenti.
Questa è la regola normale.
L’articolo dice che se il contratto non prevede meccanismi diversi per la
modifica, ci vuole l’unanimità, ma fino a dove possono arrivare i meccanismi
diversi? Qual è il limite di derogabilità?
Il contratto può essere modificato quando la maggioranza (per numero di teste,
per quote di partecipazione agli utili, per quote di partecipazione alle perdite …
una maggioranza) dei soci vuole.
Se il contratto dice che può essere modificato per volontà di un socio, è
possibile?
La regola è che vi è una libertà quasi assoluta nella formazione del contratto
sociale, quindi i soci possono prevedere ciò che vogliono.
C’è un caso interessante: introdotto dall’art. 2500 ter.
Il legislatore tende a incoraggiare la costituzione di società di capitali rispetto a
quelli di persone o tende a consentirne la trasformazione.
Il 2500 ter, introdotto agli inizi degli anni 2000, prevede ex lege che la
trasformazione di una società di persone in una di capitali può essere
decisa dalla maggioranza dei soci della società di persone, salvo che il
contratto sociale non preveda diversamente.
Es: io socio di una società a nome collettivo costituita dal 1995 (quant’è la
probabilità che sia inserita una previsione che dice che il contratto sia
modificabile con l’unanimità? Bassa, perché c’è già una norma, il 2252.)
Per modificare il contratto sociale ho bisogno dell’unanimità, non ho previsto
niente, si applica il 2252.
Entra in vigore la normativa sulla trasformazione, che mi dice che possono
trasformare con la maggioranza.
3 soci su 5 dicono di trasformarla; uno dei due soci non vuole e impugna la
causa.
Io avvocato assisto il socio che non vuole trasformarla; come gestisco la cosa?
La questione è: per trasformare ci vuole maggioranza o unanimità, per le
società nate prima dell’introduzione del 2500 ter? Per le società nate prima
serve unanimità e non si può dire che serva la maggioranza perché non
esplicitato dal contratto: nel contratto di queste società vi è’ una previsione
implicita di unanimità necessaria, perché al momento della costituzione c’era il
2252.  Era implicito ex lege che si decidesse per unanimità.
Il tribunale di Milano invece ha un’idea diversa: evidentemente condizionato
dal favore per il cambiamento, va ad analizzare il contratto sociale, nei vari
particolari: se trova qualche richiamo al 2252 allora ci vuole l’unanimità,
altrimenti maggioranza ex. 2500 ter.
Conferimenti: art. 2253 se non sono specificati si presume che i soci sono
impiegati in misura paritetica a conferire quanto necessario per lo svolgimento
dell’attività sociale.
Si possono prevedere conferimenti separati: un socio conferisce tanto, un socio
la propria opera etc.
Possiamo dare già noi una valutazione dei conferimenti oppure non darla.
Es: il commendator rossi va tutte le mattine ad arare i campi, quanto vale il
conferimento d’opera se non è indicato il valore? Se i soci si mettono d’accordo
non c’è nessun problema, altrimenti lo valuta il giudice secondo equità, per
salvare decoro del lavoratore etc..
C’è un limite alla possibilità dei soci di stabilire liberamente la partecipazione
agli utili e alle perdite, art 2265 - il patto leonino:
C’è libertà tra i soci di ripartirsi gli utili e le perdite, con una eccezione: nessun
socio può essere totalmente escluso dalla ripartizione di utile o
perdite.
Ci può essere una ripartizione anche non proporzionale ai conferimenti, però è
nulla la totale esclusione dagli utili o dalle perdite.
Patto leonino contratto sociale in cui si dice che ogni socio partecipa agli
utili e alle perdite, ma in ogni caso, qualunque siano le perdite, il valore della
sua partecipazione rimane immutato.
Patto leonino non esclude la previsione che il socio Rossi sia l’ultimo a
partecipare alle perdite, prima pagano gli altri e poi lui… basta che sia possibile
che lui partecipi alle perdite.
Quindi l’esclusione totale non è ammessa.
Questi problemi riguardano conferimenti diversi dal denaro.
C’è norma specifica per conferimenti di crediti, norma che richiama l’art.
1267: chi conferisce un credito risponde dell’esistenza del credito e della
solvibilità del debitore ma nei limiti della valutazione del credito.
Es: conferisco un credito di 10.000€ ma lo conferisco per un valore di 5.000€
perché già credo che ci saranno problemi. Se il debitore non paga, la mia
responsabilità è sui 5000 non sul valore nominale del credito, ma sull’importo
effettivamente conferito.
Si ha qualche problema per il conferimento di godimento o conferimento
d’opera.
 Conferimento d’opera: non è determinato il valore dalle parti, lo
determina il giudice.
 Bene in godimento: cosa succede in sede di liquidazione?
Il socio ha diritto ad un risarcimento; il bene è stato usato e ha prodotto utili
per la società. In sede di liquidazione il socio d’opera cessa di prestare la sua
opera.
Immaginiamo che ci siano due soci, A ha conferito il suo lavoro e B ha conferito
100 €. Contratto sociale nulla prevede. Alla fine si ha un residuo attivo di 220€
La legge dice che in fase di liquidazione i soci hanno diritto al risarcimento per
il conferimento.
Il socio B prende 100 €. Come si dividono i restanti 120 €?
 Se riteniamo che siano residuo attivo, si divide in proporzione tra i soci:
60 e 60
 Socio B dice che il suo lavoro vale come il suo conferimento dei 120,
100 li prende A e i 20 se li dividono, 10 e 10.
(stessa cosa vale se bene fosse in godimento)
Sarebbe bene che il contratto sociale disciplinasse queste fattispecie, sennò il
giudice cercherà di ricostruire la volontà delle parti.
In sede di liquidazione della società, quando si hanno conferimenti dal
denaro, la questione della capitalizzazione del conferimento è una questione
aperta…
Quali diritti hanno i soci in corrispondenza ai loro conferimenti?
Hanno due tipi di diritti
 Diritto patrimoniale che a volta può diventare anche un onore, che
corrisponde a un diritto agli utili, se ci sono, (onere delle perdite) e un
diritto alla quota finale di liquidazione, misurata poi nel modo che si
riterrà poi più corretto.
stessi diritti che hanno soci di società di capitali ma con una connotazione
diversa:
L’art. 2262 dice: “salvo patto contrario ciascun socio ha diritto a percepire la
sua parte degli utili dopo l’approvazione del rendiconto”.
Immaginiamo un bilancio che chiuda con un utile di 100 €, i due soci hanno
diritti di ricevere ciascuno 50 €  nelle società di capitali il diritto agli utili non
si parla, semmai si parla di diritto al dividendo, dove per dividendo si intende
quella parte di utili che i soci decidono di distribuire perché i soci stessi a
maggioranza possono decidere sulla destinazione degli utili.
Questo non può avvenire nelle società di persone dove i soci hanno diritto alla
quota di utili che risulta dal rendiconto. Ovviamente possono rinunciarvi, ma
ciascuno è libero di volerli.
Questo risolve qualunque problema? In realtà il tema si sposta su come si fa il
rendiconto. Vi sono due modalità:
 Il rendiconto è la somma algebrica di attivo, passivo ecc…
 Il rendiconto è redatto secondo principi dettati per la società per azione
Se mi baso sulla somma algebrica di numeri, non c’è discrezionalità… il
risultato con + è un utile, con – è una perdita: se faccio un determinazione più
soggettiva, ad esempio chiudo bilancio dicendo “riserva di 100€ per
sostituzione macchinari” quindi se posso farlo abbatto di 100€ l’utile, se non lo
posso fare, devo darlo ai soci.
 Diritti corporativi \ amministrativi: diritti di prendere parte alle
decisioni attraverso le quali viene modificato il contratto sociale.
Innanzitutto alcune decisioni non spettano ai soci quanto soci: i soci possono
essere soci ma anche amministratori; tipicamente nella società semplice tutti i
soci sono anche amministratori, salvo patto contrario, il che vorrebbe dire che i
soci non amministratori sono d’accordo sul fatto di non esserlo.
Al di là degli atti di amministrazione, quindi gestione della società, ci sono altre
scelte che spettano ai soci; poi ci sono casi specifici in cui la legge stabilisce
quali sono i criteri, ad esempio in caso di esclusione di un socio, la decisione è
presa a maggioranza e calcolata per persone dei soci, indipendentemente dalle
quote di partecipazione.
In altri casi, per esempio un dissidio tra due amministratori su un atto di
gestione, la decisione può essere demandata ai soci in base alla quota di
partecipazione.
In realtà la formula ha un passo in più: quota di partecipazione agli utili.
Non è una regola assoluta, si può prevedere che un socio che ha una quota di
partecipazione ridotta abbia diritto a una quota superiore di partecipazione agli
utili.
Questo anche per le società di capitali, con la riforma viene infatti introdotta
questa flessibilità, ad esempio vi è una società in cui un socio è molto creativo
ma ha pochi soldi, l’altro socio è poco creativo ma ha molti soldi quindi ha
competenze per seguire l’oggetto sociale (diventare stilista famoso). Si può
prevede che la quota di partecipazione del creativo sia bassa, ma quella di
partecipazione agli utili sia superiore perché senza di lui la società non
andrebbe avanti.
È difficile immaginare una regola di carattere assoluto e generale, dipende dai
diversi casi.
Si hanno precisioni specifiche, ma il principio quanto più simile a uno generale
è che tutte le modifiche che riguardano un piano alto, sono all’unanimità, tutto
quanto riguarda modifiche sulla operatività concreta della società abbraccia il
principio maggioritario.
Es: dissidio tra amministratori, questione rimessa ai soci che decidono a
maggioranza rispetto quota di partecipazione agli utili.
Come avviene la discussione? Esiste un meccanismo assembleare.
Nella società di persone in generale, in quella semplice in particolare, funziona
così? No, non c’è la regola di riunirsi in assemblea. Si sentono i soci, è informale
la consultazione dei soci. Questo può avere problemi pratici:
se ci sono 8 soci, si decide per teste, il socio la cui esclusione è in discussione
non partecipa al voto, quindi 7, 4 decidono di cacciarlo, quindi maggioranza e
comunicano al socio che è stato cacciato.
Gli altri 3 non ne sapevano nulla. È irregolare questa decisione? NO, la
decisione è valida.
Non è previsto il necessario incontro collegiale, quindi la decisione può essere
presa anche trascurando la manifestazione di volontà di qualche socio.

AMMINISTRAZIONE
Amministrare significa avere il potere di prendere determinate decisioni
relative al conseguimento dell’oggetto sociale (nel caso specifico delle società).
Il potere di amministrare e di rappresentanza, tipicamente, sono investiti negli
stessi soggetti. Però non è automatico, infatti può essere previsto che il potere
di amministrare può essere diviso tra più amministratori mentre il potere di
rappresentanza può essere attribuito ad una sola persona.
Cosa vuol dire “potere di amministrare tutti in parti uguali”? Significa che
ognuno ha un proprio potere decisionale. Tutti i soci amministratori come
amministrano? Che potere hanno? Se non c’è scritto niente vuol dire che tutti i
soci sono amministratori e tutti hanno il potere di rappresentanza e quindi tutti
i soci possono compiere gli atti di amministrazione e impegnare la società
(potere di amministrazione disgiuntiva).
[Tipicamente l’unanimità è riservata per le decisioni sostanziali che ad esempio
comportano una modifica del contratto].
Il potere di amministrazione disgiuntiva comporta dei problemi: un socio ha
l’idea di stipulare un contratto ma non vi è l’accordo da parte degli altri soci
(veto/opposizione). Se un socio amministratore non è convinto di quello che
devo fare può porre il veto. Ogni amministratore, come detto
precedentemente, ha il potere di impegnare la società, ha il diritto di
rappresentanza e ha il potere di amministrare. Fino a quando sarà possibile
porre il veto e quindi impedire e fermare l’attività dell’amministratore? Fino alla
conclusione del contratto e quindi fino a che l’operazione non è stata compiuta.
Si ha quindi un amministratore in contrasto con un altro. Come si risolve la
questione? A maggioranza. La maggioranza di chi? Di tutti i soci. La decisione
finale, una volta che l’operazione è stata tempestivamente bloccata, va a tutti i
soci.
Come calcoliamo questa maggioranza? Per partecipazione (in base alle quote).
Le quote di partecipazione sono riferite agli utili o al capitale? In base alle
quote di partecipazione agli utili.
[Amministrazione disgiuntiva può essere di tutti, se nulla si dice, oppure può
essere solo alcuni e in questo caso si scrive nel contratto sociale. Hanno tutti i
poteri di amministrazione e rappresentanza ed è possibile il veto].
Il contratto sociale ha grande flessibilità e quindi può prevedere cose diverse.
Quale può essere una diversa forma di amministrazione? L’amministrazione
congiunta/congiuntiva. Il contratto sociale può prevedere che il potere di
amministrazione e la rappresentanza possono essere esercitati
congiuntamente dagli amministratori. [tutti i soci amministratori devono essere
d’accordo e devono essere presenti alla firma del contratto con cui si vuole
impegnare la società.
Se ci sono 5 amministratori e per impegnare la società è necessaria la firma di
almeno 2 amministratori ci troviamo allo stesso modo nel caso di
amministrazione congiuntiva.
Ogni volta che è necessario l’assenso di più di un amministratore ci troviamo in
una forma di amministrazione congiuntiva. Perché vi sia amministrazione
congiuntiva deve essere stabilito nel contratto sociale.
L’amministrazione disgiuntiva ha il vantaggio della rapidità decisionale mentre
l’amministrazione congiunta è più laboriosa.
L’amministrazione disgiuntiva ha un problema: uno degli amministratori va
fuori di testa e prima che gli revochino il potere di amministrare fa dei danni.
L’amministratore congiunta invece limita questo problema. il problema della
disgiuntiva si risolve con il veto.
Qual è il problema dell’amministrazione congiuntiva? Quello di dover prendere
delle decisioni velocemente.
Ci sono 2 amministratori firma congiunta. Uno dei due sta facendo il giro del
mondo in barca a velo e si trova in punto in cui non c’è campo. Il legislatore
interviene e dice: “va bene l’amministrazione congiuntiva ma ci può essere
un’eccezione”. Qual è il caso in cui si applica questa eccezione?
- Ci deve essere una effettiva urgenza. Di che tipo? Evitare un danno alla
società.
Es 1: la società sta cercando da anni di comprare un terreno agricolo di
fianco al proprio che è di proprietà di un signore molto anziano e ad ogni
approccio non vuole venderlo. Il signore muore. Questo ha due figli che
hanno lo stesso carattere del padre però lo esercitano anche tra di loro. Il
giorno dopo aver sepolto il padre iniziano a discutere tra loro per il
terreno. Decidono allora di fare un’offerta ai vicini che hanno 24 ore per
decidere. Dei due amministratori c’è né uno che sta navigando mentre
l’altro è presente.
Es 2: un amministratore di un’amministrazione disgiuntiva è riuscito a
comprare una Ferrari. Dopo di che si modifica il contratto e si porta ad
un’amministrazione congiuntiva. Uno degli amministratori mentre
trasporta i pomodori con la Ferrari li fa cadere tutti. Esce una vecchietta e
dice di volerli comprarli. Bisogna fare il contratto. Dei due amministratori
uno sta navigando molto lontano e l’altro è lì.

Ci troviamo in due casi in cui è presente l’urgenza. Può il singolo


amministratore concludere il contratto in tutti e due i casi, in nessuno dei
due casi o solo in uno dei due? Nel secondo caso vi è la necessità di
evitare un danno alla società (perché altrimenti i pomodori andrebbero
buttati) e quindi può firmare il singolo amministratore.
Si può trasgredire l’amministrazione congiuntiva solo nel caso in cui vi è
l’urgenza di evitare un danno alla società.
Vi è un’altra questione che riguarda la responsabilità. Alcuni sostenevano che
al potere di amministrare deve essere collegata una specifica responsabilità. In
effetti, nella società semplice c’è un’indicazione di responsabilità. La norma
dice che “è responsabile innanzitutto la società con il proprio patrimonio ”. La
norma segue dicendo che: “sono responsabili coloro che hanno agito in nome e
per conto della società. In caso di insolvenza sono responsabili tutti i soci
illimitatamente responsabili”.
Nella società semplice è ammesso un patto di limitazione della responsabilità
per alcuni soci.
La norma sembra individuare un grado di responsabilità maggiore per gli
amministratori rispetto agli altri soci.
L’eventuale patto di limitazione della responsabilità non può riguardare gli
amministratori.
Al potere di amministrare si abbina una regola che impone una forma di
responsabilità: si guardi alla società in accomandita dove i soci sono
responsabili e gli accomandanti no. Se gli accomandanti diventano
amministratori, automaticamente diventano responsabili illimitatamente.
Una volta che una certa decisione dell’amministratore ha recato dei danni alla
società, questo non è sufficiente per imputare una responsabilità agli
amministratori ma bisogna analizzare le relative azioni connesse a ciò.
Nelle grandi società di capitali la responsabilità degli amministratori esiste ma
si tratta di una responsabilità da inadempimento.
Un altro profilo che riguarda gli amministratori è che in alcuni casi si fa
riferimento alle norme sul mandato “Gli amministratori nominati con atto
separato sono revocati in base alle norme sul mandato ”. Qualcuno ha iniziato a
pensare che in realtà il rapporto giuridico che regola la relazione tra la società
e gli amministratori possa essere configurato come un mandato ad
amministratore. Può essere configurato il rapporto di amministrazione come un
mandato? Il mandatario, nell’esercizio del mandato, deve seguire le istruzioni
del mandante. L’amministratore, nella gestione, non è subordinato a qualcuno
che gli dice cosa deve fare ma deve perseguire l’oggetto sociale. Quindi non si
può parlare di mandato. Non è applicabile in generale la disciplina del mandato
perchè manca la subordinazione.
Nelle S.p.a. si parlava dell’indice di diligenza degli amministratori durante la
riforma questo riferimento è stato tolto.

REVOCA DEGLI AMMINISTRATORI


È possibile, con certe modalità, la revoca della facoltà del potere di
amministrare. Normalmente e tipicamente questo non comporta anche
l’esclusione del socio ma può essere una conseguenza.
L’articolo 2259 fa riferimento al meccanismo di revoca e distingue due ipotesi:
1. l’amministratore sia stato nominato con il contratto sociale;
2. l’amministratore sia stato nominato con un contratto separato.
La giurisprudenza sostiene che nelle società personali solo i soci possono
essere amministratori e quindi non ci può essere un amministratore non socio.
Per revocare un amministratore nominato con il contratto sociale occorre la
necessità di una giusta causa. Non dice che può essere revocato all’unanimità
dei soci. Anche se non lo dice, può essere revocato dall’unanimità dei soci? Si,
ma con l’unanimità di tutti (compreso lui).
L’amministratore nominato con atto separato può essere revocato secondo le
norme sul mandato. Le norme sul mandato sono però diverse a seconda che sia
un mandato collettivo, un mandato nell’interesse del mandatario ecc….
La nomina ad amministrare non comporta l’applicazione delle norme in
funzione di revoca del mandato anche nell’interesse del mandatario.
Si ritiene che si possa fare riferimento al mandato collettivo (art. 1726) e
quindi tutti i soci hanno dato il mandato all’amministratore. Il meccanismo di
revoca è quello dell’unanimità ad esclusione del socio dell’amministrazione
chiamato in causa.

IL RENDICONTO
Il tema è in realtà il controllo dei soci sul rendiconto. Nella società di persone i
soci hanno diritto all’utile che risulta dal rendiconto. Questo è un bel diritto
enunciato ma non è un diritto che uno può esercitare in modo assoluto perchè
investe il concetto della natura del rendiconto. Se il rendiconto è una somma
algebrica di numeri non ci sono grossi problemi; se invece applichiamo dei
meccanismi di accontentamento o di riserve allora il discorso cambia.
Quali sono le funzioni del rendiconto?
1. Gli amministratori devono rendere il conto ai soci non amministratori
sull’andamento della società;
2. Determinare la partecipazione agli utili o alle perdite.
Qual è la più importante delle due? La seconda.
Nelle società di persone non è prevista la necessità di bilancio.
Come si decide sul rendiconto? All’unanimità, perché ciascun socio ha diritto
agli utili. Se un socio si oppone e contesta il rendiconto cosa succede? Dipende
dal motivo che può essere contestato davanti al magistrato.
C’è stato un caso sulla possibilità di fare un accantonamento nel rendiconto in
funzione di future spese. C’erano alcuni soci che contestavano questa
possibilità ma la cassazione ha detto che ciò è possibile nell’interesse della
società.

Art. 2267 responsabilità per le obbligazioni sociali. La norma prevede 3


ipotesi:
1. Società con il proprio patrimonio
2. Soci che hanno agito in nome e per conto della società
3. Gli altri (salvo patto contrario)
Tutti questi soggetti, sostanzialmente, sono responsabili insieme.
Il riferimento a coloro che hanno agito in nome e per conto della società chi
riguarda? Riguarda tutti i soci amministratori per tutte le obbligazioni sociali
oppure riguarda quei soci amministratori che hanno compiuto quella
determinata operazione da cui deriva quello specifico debito della società? Tutti
gli amministratori sono responsabili illimitatamente.
Nella società semplice è ammesso un patto di limitazione della società e a
determinate condizioni è previsto che sia anche opponibile ai terzi.
Il socio ha una possibilità di difendersi da una richiesta? Il creditore può
rivolgersi a chi vuole. Quindi si rivolge al socio Rossi che non è nemmeno
amministratore. Il socio ha una via di difesa per evitare di pagare lui. Siccome
comunque è l’ente che ha soggettività giuridica, il socio può cavarsela
indicando i beni sociale sui quali il creditore può agevolmente soddisfarsi. Vuol
dire che mi posso liberare ma devo indicare al creditore come può facilmente
ottenere soddisfazione.
Il socio uscente non ha responsabilità successive alla sua uscita, a condizione
che i creditori vengano informati dell’uscita di uno dei soci.
E se quando esce ci sono delle operazioni in corso che non sono ancora state
completate? Risponde per tutte le operazioni compiute fino alla sua uscita e se
non sono state perfezionate la sua responsabilità rimane.
La disciplina del nuovo socio prevede che esso risponde di tutte le obbligazioni
sociali indipendentemente dal momento in cui sono sorte.
Quali sono le conseguenze di questa disciplina? Una maggior tutela dei
creditori, una maggiore difficoltà nelle società di persone di cambiare la
compagine sociale, una maggiore consapevolezza del nuovo socio di fronte agli
impegni che si assume e ai relativi obblighi.
Cosa possono fare i creditori personali/particolari del socio? Il problema ci
interessa nel momento in cui il socio non è in grado, con il suo patrimonio, di
pagare i suoi debitori. Può succedere però che, al di là della partecipazione
nella società, gli altri beni di proprietà del socio non siano sufficienti per pagare
i suoi debiti. Può il creditore del socio aggredire direttamente il patrimonio della
società? No. Il creditore particolare del socio può rifarsi sugli utili che il socio
consegue; può compiere atti conservati sulla quota (pignoramenti, sequestri);
può chiedere che la società liquidi la quota del socio suo debitore (si rivolge ai
soci e alla società dicendo di non poter, come creditore, rifarsi direttamente su
quella parte del patrimonio sociale del socio ma può dire alla società di
escludere il socio dandogli ciò che ha diritto di ricevere come quota di
liquidazione della sua quota. La società liquida la quota al socio; i proventi della
liquidazione entrano nel patrimonio dell’ex socio ma immediatamente vengono
aggrediti dal creditore sociale). La società ha 3 mesi di tempo per liquidare la
quota del socio.
La società in nome collettivo dal punto di vista economico, è più importante
della società semplice e quindi la liquidazione della quota può comunque
comportare un problema per la società. La previsione rimane simile, cioè il
creditore può chiedere la liquidazione della quota ma solo alla scadenza del
contratto sociale.

SCIOGLIMENTO DEL RAPPORTO LIMITATAMENTE A UN SOCIO


Comprende 3 fattispecie diverse che rientrano nella famiglia dello
scioglimento:
1. Morte del socio;
2. Recesso del socio;
3. Esclusione del socio.
Qual è la particolarità dell’aver previsto tre fattispecie differenti di scioglimento
limitatamente ad un socio? Il legislatore stabilisce che le vicende relative alla
singola partecipazione in società non travolgono in linea generale l’intera
società.
C’è un solo caso in cui lo scioglimento del rapporto sociale relativo ad un socio
può travolgere l’intera sociale, cioè quando vi sono due soci.
Le società personali in quanto tali non sopravvivono con un socio solo. quindi,
se i soci sono due ed uno viene escluso, recede o muore, questo fatto può
comportare lo scioglimento dell’intera società. Il venir meno della pluralità dei
soci è l’unica causa che non comporta l’immediata messa in liquidazione della
società perchè viene dato un termine di 6 mesi in cui il socio superstite può
tentare di ricostituire la società trovando l’altro socio (in base a quella che è la
situazione al momento della società in cui si verifica morte, recesso o
esclusione del socio).
Chi provvede a fornire i fondi necessari per la liquidazione della quota? Gli altri
soci o la società? Se pagano i soci, il patrimonio della società rimane integro e
aumenta la loro partecipazione al patrimonio. Può essere diverso per i creditori
che hanno meno patrimonio della società sul quale rifarsi.
In caso di morte del socio gli eredi hanno diritto alla liquidazione della quota,
che deve avvenire entro 6 mesi. I soci possono però decidere di mettere in
liquidazione l’intera società e la messa in liquidazione ha un altro effetto, cioè
non sono più 6 mesi entro cui deve essere liquidata la quota agli eredi ma alla
fine del processo di liquidazione (si paralizza per un certo periodo la pretesa
degli eredi), oppure i soci propongono agli eredi di continuare la società ed essi
acconsentono.
Immaginiamo che abbiamo fatto un contratto sociale in cui è scritto che in caso
di morte di un socio la società continuerà con gli eredi. Cosa succede se muore
il socio? I casi sono due: o il patto è nullo oppure la cosa è più complicata. Il
patto successorio comporterebbe il vincolo per gli eredi, e questo è vietato.
Inoltre, la previsione riguarda anche i soci (e da questo lato è valido). Quindi, si
liquida la quota ed è già previsto che gli eredi, se acconsentono, subentrano in
società.
Dal punto di vista dei soci è opponibile la previsione del contratto sociale.
Possiamo prevedere che nel contratto sociale ci sia previsto che in caso di
morte del socio gli eredi hanno diritto alla liquidazione già stabilita in euro X.
Qui dipende da quanto il valore di X si discosta dall’effettivo valore della
partecipazione.
Nel contratto sociale è previsto il subentro degli eredi. Il socio superstite decide
la liquidazione della società e gli eredi acconsentono. Cosa succede? Abbiamo
un problema che riguarda la sorte della società, visto che c’è un solo socio (il
socio superstite potrebbe essere cacciato dalla società dagli eredi per grave
inadempimento).
I soci potrebbero decidere di mettere in liquidazione la società. Quali sono i
diritti degli eredi a fronte della liquidazione? I soci sono illimitatamente
responsabili per tutte le obbligazioni sociali e cioè partecipano come creditori.
C’è un altro motivo per cui gli eredi non possono essere costretti a diventare
soci illimitatamente responsabili. È previsto espressamente che l’erede può
sempre accettare con beneficio d’inventario. Il vincolo a subentrare in una
società a responsabilità limitata si scontrerebbe con l’accettazione con
beneficio d’inventario.
L’art. 2285 disciplina il recesso per recesso si intende la manifestazione
unilaterale di volontà del socio di uscire dalla società.
Ci sono dei casi particolari disciplinati dalla legge in cui il socio può decidere di
uscire autonomamente dal contratto sociale e gli altri soci non possono
trattenerlo.
Il socio può recedere quando la società è stabilita a tempo indeterminato.
Es: contratto di agenzia in cui un imprenditore italiano aveva stipulato un
contratto con un agente americano. Era previsto che il contratto aveva durata
perpetua. L’agente americano ha detto di non applicare il diritto americano e
nemmeno quello italiano ma dice di andare in Inghilterra. In Inghilterra un
contratto perpetuo non prevede risoluzioni, a meno che non ti metti d’accordo
con la controparte (l’agente lo sapeva ma l’imprenditore no).
Se il contratto è a tempo determinato, in Italia, il socio può recedere con un
preavviso di 3 mesi. L’articolo continua dicendo: “ quando la società è a tempo
indeterminato o per tutta la vita di un socio ”. Questa previsione è considerata
simile al tempo indeterminato.
Es: la società ha durata fino al 2100 non è a tempo indeterminato ma è
presumibile che nel 2100 i soci di oggi non ci saranno più. Si può recedere o
no? Per lungo tempo la cassazione diceva di no in quanto si doveva guardare al
senso letterale della norma. Più recentemente sembra che ci sia un
cambiamento d’orientamento: se la durata della previsione contrattuale supera
la durata della vita dei soci ci sono delle aperture. C’è un’altra ipotesi
espressamente prevista dalla legge che prevede la facoltà di recesso per giusta
causa. Un’ipotesi tipica di giusta causa è quella del cosiddetto dissidio, cioè
supponiamo che i soci non vanno d’accordo e allora uno dei due può decidere
di rescindere dal contratto.
Quando si verifica un’ipotesi di giusta causa, si tratta di un fatto che non
consente la prosecuzione di un rapporto e quindi non c’è preavviso. Quando il
recesso avviene per giusta causa cessa il legame nei confronti del socio che
recede immediatamente.
C’è poi una previsione finale che dice: “oppure il socio può recedere per gli altri
casi previsti dal contratto sociale” è lasciata alla volontà dei soci la possibilità
di inserire e prevedere altri specifici casi di recesso.
Nei casi previsti dal contratto sociale c’è un preavviso o no? Dipende da ciò che
il contratto sociale prevede.
La disciplina dell’esclusione è divisa in due: c’è l’esclusione volontaria (decisa
dai soci) e l’esclusione di diritto (riguarda due casi in cui il socio viene escluso
indipendentemente da una manifestazione di volontà degli altri soci viene
escluso per legge, di diritto).
I casi di esclusione di diritto sono 2:
1. La liquidazione della quota è stata chiesta dal creditore personale del
socio: la legge prevede che in questo caso venga liquidata la sua quota e
quindi il socio è escluso;
2. Il socio viene dichiarato fallito: non può essere il fallimento del socio in
conseguenza del fallimento della società. Se la società fallisce, l’effetto è
che i soci illimitatamente responsabili falliscano anch’essi. Qui si parla di
un fallimento in cui un socio ha anche una sua impresa individuale e
quindi fallisce per i fatti propri. A questo punto non può rimanere in una
società di cui è illimitatamente responsabile perché non può in alcun
modo far fronte alle obbligazioni e quindi la legge prevede che in questo
caso il socio sia escluso.

Vi sono dei casi in cui sta ai soci decidere se escludere o meno uno di loro a
fronte di determinate circostanze. Possono i soci modificare le previsioni di
esclusione di diritto? no, non sono modificabili perché le ipotesi di esclusione di
diritto tutelano un interesse generale al buon funzionamento della società.
Quali sono le ipotesi di esclusione facoltativa o volontaria disciplinati dalla
legge? un socio può essere escluso in caso di grave inadempimento al
contratto sociale (socio superstite che mette in liquidazione una società
nonostante una clausola di subentro degli eredi che accettano il subentro
stesso); in caso di impossibilità sopravvenuta (il socio che si è obbligato ad
effettuare una prestazione d’opera non è più in grado di effettuarla si può
decidere l’esclusione); nel caso dell’ipotesi di un conferimento di bene in
godimento (il rischio di perimento del bene rimane in capo al socio
conferente se il bene perisce il socio può essere escluso. Il socio non può
essere escluso se il perimento dipende da fatto doloso o colposo imputabile
agli amministratori).
C’è un’altra ipotesi che riguarda il socio interdetto o inabilitato o che subisce
una condanna che lo interdice per un determinato periodo. Viene consentito ai
soci di valutare cosa è meglio per la società, anche perché se il socio è
interdetto vi sarà un tutore o se è inabilitato ci sarà un curatore.
Come decidono i soci? A maggioranza numerica.
Se i soci sono 2 lasciano 30 giorni al socio per far sì che abbia la possibilità di
fare un ricorso di urgenza al tribunale per esclusione illegittima dalla società.
Quali sono gli effetti dell’esclusione? Il socio escluso ha diritto di ottenere
rendiconto e utili o è solo creditore per la quota di liquidazione? È solo
creditore.
C’è un socio d’opera che però non è impossibilitato ad effettuare la sua
prestazione ma rifiuta di farlo. È escluso ma par gravi inadempimento e non
per l’impossibilità di eseguire la prestazione.
Si può escludere un socio per gravi inadempimenti noti agli altri soci ma
commessi un po’ di tempo prima? Dipende. Se i soci per fatti concludenti
hanno dimostrato di accettare determinati comportamenti, cessano di essere
motivo di esclusione. La quota di liquidazione deve essere pagata entro 6 mesi.
Es: si scioglie il rapporto sociale limitatamente ad un socio e in quel momento il
patrimonio della società è negativo. Il socio non riceverà nulla dalla
liquidazione. Dovrà però integrare il patrimonio sociale o no?

Il momento di cessazione dell’attività non corrisponde all’estinzione ma c’è il


passaggio della liquidazione e cioè la cessazione di nuove operazioni, il
compimento delle operazioni in corso. Dopo di che si arriva alla realizzazione
dell’attivo patrimoniale, al pagamento di tutti i debiti che la società ha assunto
e se alla fine di questo passaggio rimane un attivo, questo si ripartisce tra i
soci. Se non ci sono previsioni specifiche nel il contratto sociale, si ripartisce in
misura eguale.
Di fatto, l’inizio della liquidazione comporta una modifica dell’oggetto sociale.
Es: società semplice i soci decidono di lasciare che la natura faccia il suo
corso e gli amministratori non possono più compiere nuove operazioni. Il nuovo
oggetto sociale è la gestione e la conclusione della nuova attività di
liquidazione.
Il fatto che a società sia in liquidazione va annotato sul registro delle imprese,
indicando la figura o le figure dei liquidatori che saranno gli amministratori
della liquidazione. Possono essere soggetti uguali o diversi. Chi li nomina? I
soci, all’unanimità.
Se non trovano un accordo? Ciascun socio può far ricorso al tribunale perché
vengano nominati i liquidatori. Questo cosa comporta? Gli amministratori di
una società di persone devono essere soci o possono essere anche terzi? In
realtà devono essere soci ma possono essere anche terzi. I liquidatori quasi
sempre fanno parte della compagine sociale ma non è obbligatorio che siano
soci.
C’è un periodo di interregno tra il verificarsi di un caso di scioglimento della
società e la nomina dei liquidatori.
I casi di scioglimento della società, tranne uno, comportano l’istantaneo
ingresso nella fase di liquidazione. Fino a che non sono nominati i liquidatori,
restano in carica gli amministratori ma con il cambio dell’oggetto sociale le
attività che possono svolgere gli amministratori non sono più dirette al
raggiungimento dello scopo sociale ma sono comunque le attività già viste:
conclusione degli affari in corso, divieto di assumere nuove obbligazioni.
Cosa succede se continuano a svolgere le attività che svolgevano prima dello
scioglimento? I limiti alla rappresentanza sono opponibili solo se sono scritti nel
registro delle imprese o sono portati a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. A
meno che non sia stata già fatta l’annotazione nel registro delle imprese, i
contratti stipulati dagli amministratori anche dopo il verificarsi di una causa di
scioglimento sono validi. C’è la possibilità per la società di chiedere il
risarcimento dei danni agli amministratori.
Non c’è un modo formale di manifestare la volontà dei soci (non c’è
un’assemblea, una riunione…). L’indicazione può avvenire in qualunque modo.
Un altro tema è quello della fine della liquidazione in quanto possibilità di
conseguenze successive a questo momento.
Poniamo che dopo aver chiuso la liquidazione emerge un debito della società
nei confronti di un terzo fornitore. Tipicamente, in caso di liquidazione, il debito
mantiene la sua originaria scadenza. Il debito arriva a scadenza; se non è
prescritto, il creditore può rivolgersi ai soci illimitatamente responsabili o anche
quelli limitatamente responsabili e cercare di farsi pagare. Se la società svolge
attività di impresa commerciale fino a quando può rischiare il fallimento? L’art.
10 della legge fallimentare, prima della riforma, prevedeva che la società
potesse essere dichiarata fallita entro 1 anno dalla cessazione dell’attività. La
cassazione sosteneva che la cessazione dell’attività corrispondeva al
pagamento dell’ultimo debito rimasto. Di fatto non cessava mai finché
sopravviveva un debito. Il fallimento era quindi possibile, ad esempio, anche 10
anni dopo l’estinzione o la cancellazione. Questo era ritenuto dalla dottrina
non conforme con l’art. 10. Il legislatore ha cambiato l’art. 10 e parla di
cancellazione dal registro delle imprese. Oggi, per una società che svolge
attività di impresa commerciale, il fallimento è possibile solo entro 1 anno dalla
cancellazione del registro delle imprese, che di regola conclude la
cancellazione. Nel caso in cui la cancellazione sia stata anticipata o non sia
regolare, esiste una loro personale responsabilità per i debiti residui e per
quello non pagato.
C’è un ulteriore comma che riguarda, o le imprese individuali oppure le società
(nell’ipotesi in cui siano state cancellate d’ufficio).

CASI DI SCIGLIMENTO DELLA SOCETA’


1. Volontà di tutti i soci;
2. Raggiungimento dell’oggetto sociale: questo si verifica quando l’oggetto
sociale è specifico;
3. Scadenza del termine: il termine si può poi prorogare all’unanimità;
4. Impossibilità di conseguire l’oggetto sociale: questo può dipendere da
diversi motivi: uno è che l’oggetto sociale non diventi più conseguibile
per scelta del legislatore e un’altra possibilità è che vi sia un insanabile
dissidio tra i soci (es: se uno dei soci riesce a dimostrare che il
comportamento è contrario alla buona fede o immotivato, questo può
essere un grave inadempimento);
5. Venir meno della pluralità dei soci: in una società personale occorrono più
soci, non ne basta solo uno. Se viene meno la pluralità dei soci, allora si
verifica una causa di scioglimento (questa causa non è però immediata).
Il socio superstite, se vuole che la società sopravviva, deve trovare un
altro socio che subentri.
6. Eventuali altri casi previsti dal contratto sociale.
Queste cause di scioglimento valgono per tutte le società personali, salvo che
per altre società personali vi siano delle previsioni specifiche Es: società in
nome collettivo.
Qual è una delle differenze tra la società semplice e la società in nome
collettivo? Il fallimento (solo se svolge attività di impresa commerciale).
Le cause operano di diritto e quindi la società entra automaticamente in stato
di liquidazione; cambia l’oggetto sociale; limita i poteri degli amministratori.
Impedisce l’applicazione delle norme relative allo scioglimento di un rapporto
sociale limitatamente ad un socio? No, il socio può essere escluso anche
quando la società sia in fase di liquidazione. La liquidazione della quota del
socio, che deve avvenire entro 6 mesi, può essere sospesa e rinviata dagli altri
soci mediante la messa in liquidazione dell’intera società.
Il socio che ha receduto, nel caso in cui venga decisa la messa in liquidazione
dell’intera società, partecipa come socio o come creditore? Come creditore.
Si può revocare la liquidazione? Si, all’unanimità della volontà dei soci, purché
si rimuova la causa di scioglimento.
Procedimento di liquidazione art. 2275 e ss.
Sono norme che riguardano due profili di tale procedimento:
- I rapporti con i terzi
- I rapporti con i soci
Sono derogabili le norme in tema di liquidazione? Si, sono derogabili quelle che
riguardano i rapporti interni ma non sono derogabili quelle che riguardano la
tutela dei terzi. Quindi, ad esempio, l’art. 2279 che prevede la responsabilità
del liquidatore in casi di nuova attività o l’art. 2280 che prevede che se l’attivo
non è sufficiente, i soci devono effettuare i conferimenti non effettuati e se
questo non basta devono fornire alla società i mezzi per pagare i creditori.
Quando i liquidatori iniziano la loro attività? Cosa avviene in concreto? Gli
amministratori passano le consegne e investono i liquidatori del potere di
amministrazione. Dopo di che il liquidatore redige un inventario dell’attivo e del
passivo della società. Si procede poi alla liquidazione del patrimonio. Se il
creditore riceve il pagamento del suo bene finisce lì. Solo nel caso in cui
qualche creditore non viene pagato, esso può agire nei confronti del
liquidatore.
Non è necessario che liquidino l’intero patrimonio sociale ma solo quella parte
necessaria per pagare i creditori che hanno diritto di essere pagati secondo le
modalità previste dal loro rapporto con la società.
Che norme si applicano in relazione ai beni residui del patrimonio che devono
essere liquidate in natura? Si applicano le norme relative allo scioglimento della
comunione. Se il realizzo dell’attivo non è sufficiente, i soci dovranno integrare
i conferimenti come previsto e disciplinato dal contratto sociale.
La liquidazione di per sé non cambia la situazione dei creditori.
Una volta che i liquidatori hanno finito di pagare i debiti e c’è un residuo attivo,
dovranno redigere il bilancio finale di liquidazione da cui risulta quanto è
l’attivo residuo dopo che sono stati pagati tutti i debiti e poi dovranno
azzardare un piano di riparto dell’attivo.
Quand’è che finisce l’attività dei liquidatori? Immaginiamo che i soci non
abbiano particolari osservazioni sul bilancio finale di liquidazione ma discutono
sul piano di riparto. Si può procedere alla cancellazione o no? La legge dice che
si applicano le norme sulla comunione. Il liquidatore ha completato la sua
operazione procedendo alla cancellazione della società dal registro delle
imprese.

SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVO


L’art. 2291 è il primo articolo che parla della Snc. La nozione di Snc è la
seguente: “nella Snc tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per
le obbligazioni sociali. Il patto contrario ha effetto nei confronti dei terzi ”.
Es: un socio rompe le scatole e decidiamo di farli un patto di limitazione della
responsabilità. È valido o no? È valido. La norma dice solo che non è opponibile
ai terzi e quindi ha un’efficacia solo nei rapporti tra i soci. Nel caso in cui il
socio fosse chiamato a rispondere al di là dei limiti della sua responsabilità, può
poi rivalersi nei confronti degli altri soci.
Nella società semplice il creditore, per farsi pagare, si può rivolgere a
qualunque socio o alla società. Il socio può difendersi o deve pagare? Può
chiedere che il creditore si rivolga prima al patrimonio della società, indicando i
beni del patrimonio della società su cui il creditore può agevolmente
soddisfarsi.
Nella società in nome collettivo, l’autonomia patrimoniale si innalza di una
tacca e quindi c’è una maggiore separazione tra il patrimonio della società e
quello dei soci. Uno degli effetti è relativo a quello che può fare il creditore per
chiedere il pagamento dei suoi crediti. Nella Snc il creditore può rivolgersi ai
soci, tutti illimitatamente responsabili, ma solo dopo che ha provato senza
riuscirsi ad escutere il patrimonio sociale.
Per la verità c’è giurisprudenza che dice che se è evidente che il patrimonio
sociale non c’è o non è adeguato, il creditore può rivolgersi direttamente ai soci
e in caso di un loro contrasto, il creditore dovrà dimostrare che non era
possibile soddisfarsi sul patrimonio della società.
Qual è la ragione sociale della Snc? Ci vuole il nome del socio e la sigla della
Snc.
In caso della morte di un socio si può lasciare il nome della società? Si, ma
occorre il consenso del socio (in caso di cessione) o degli eredi (nel caso in cui il
socio sia scomparso).
L’art. 2295 dà delle indicazioni su quello che dovrebbe essere presente
nell’atto costitutivo. Sono 9 voci:
1. cognome, nome, data di nascita, domicilio dei soci;
2. la ragione sociale;
3. i soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza della società;
4. la sede della società;
5. l’oggetto sociale;
6. i conferimenti di ciascun socio e i valori attribuiti ad essi;
7. le prestazioni a cui sono obbligati i soci d’opera;
8. le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti e la quota di
ciascun socio negli utili e nelle perdite;
9. la durata della società.
Nella Snc, per la stipula del contratto non ci sono particolari forme. Però,
perché la Snc sia regolare occorre l’iscrizione nel registro delle imprese (occorre
o una scrittura privata autenticata o un atto pubblico). È vero che il contratto
non ha una forma particolare ma, per l’iscrizione, occorre l’atto pubblico o la
scrittura privata autenticata. Quindi, il fatto che una Snc sia costituita in forma
diversa e non iscritta, non incide sulla validità del contratto sociale ma su altri
profili relativi alla mancata iscrizione nel registro delle imprese il risultato è la
Snc irregolare. Il contratto di società in quanto tale è vale ma dalla mancanza
di pubblicità relativa all’iscrizione nel registro delle imprese il legislatore fa
discendere delle conseguenze negative per i soci. Per tutto quanto è
sfavorevole ai soci nella disciplina della società semplice si applica quella
determinata norma: ci si può rivolgere direttamente ai soci e il creditore
apparente del socio può richiedere immediatamente la liquidazione della sua
quota. L’anno per il fallimento non decorre mai.
Nell’art. 2295 gli elementi non essenziali sono il n. 3/6/8/9.
Eventuali modifiche del contratto sociale sono all’unanimità. Le modifiche del
contratto devono essere iscritte entro 30 giorni nel registro delle imprese.
L’art. 2304 introduce una variazione per quanto riguarda il creditore
particolare del socio. Per la Snc, il creditore può rivolgersi ai soci anche prima
della scadenza del contratto sociale. Se il contratto sociale è a tempo
indeterminato, il creditore del socio può chiedere la liquidazione della quota.
Se c’è una proroga? Il creditore deve fare opposizione alla proroga nei limiti del
suo diritto di ottenere la liquidazione entro 3 mesi.
Se la proroga è tacita il creditore deve fare opposizione nel momento in cui
viene a saperlo e non decorre il termine di 3 mesi.
Che prove deve dare il creditore che presenta opposizione di fronte ad una
proroga? Non basta il patrimonio del socio non soddisfacente per il pagamento
del suo credito e quindi deve essere liquidata la sua quota dalla società.
L’art. 2306 prevede alcune limitazioni in relazione alla ripartizione degli utili: è
vietata la distribuzione di utili che non siano stati effettivamente conseguiti.
Inoltre, l’articolo prevede il caso in cui nel contratto sociale sia previsto il
capitale sociale.
La decisione deve essere unanime e una volta presa deve essere iscritta nel
registro delle imprese. Il rimborso può essere effettuato 3 mesi dopo l’iscrizione
a condizione che nessun creditore anteriore alla decisione di ridurre il capitale
fa opposizione. I creditori hanno 3 mesi per fare opposizione.
C’è un modo per prendersi subito i soldi? Non è che la riduzione fa diventare
esigibili i crediti istantaneamente, ma ottengo l’assenso dei creditori alla
riduzione del capitale.
Casi di scioglimento e liquidazione sono gli stessi della società semplice.
C’è una norma che non c’è per quanto riguarda la società semplice art.
2301 che introduce un divieto di concorrenza per i soci della Snc, i quali non
possono essere soci di altre società illimitatamente responsabili che hanno un
oggetto con quello della Snc, né possono svolgere personalmente un’attività in
concorrenza con la Snc.
Questa norma è derogabile dalla volontà dei soci: “salvo consenso dei soci”. Il
consenso può essere espresso in qualsiasi forma e può anche essere implicito,
cioè se notoriamente un soggetto, prima di diventare socio della Snc è un
imprenditore dello stesso settore e gli altri soci accettino che acquisti una
partecipazione pur sapendo della sua condizione, non possono poi opporgli il
seguente articolo.
Nella S.p.A. ci sono gli amministratori mentre nella Snc ci sono tutti i soci.
Es: un socio della Snc inizia un’attività di impresa in concorrenza diventa un
patto notorio e i soci nulla dicono. Dopo 3 anni si infastidiscono e decidono di
opporgli il 2301. Possono o no? No, non possono rivendicare un divieto di
concorrenza di questo genere.

Es: c’è una Snc che si occupa di produzione di biciclette. Quello che fa
concretamente è creare dei telai per le bici e poi li vendono a vari specialisti.
Un socio della società diventa anche socio di un’altra Snc il cui oggetto è
identico. Questa società è in realtà specializzata nella produzione di ruote. Un
socio dice di opporre l’art. 2301 in quanto sono due società che hanno lo stesso
scopo sociale e quindi non si può essere socio di entrambi in quanto esiste un
rapporto di concorrenza in funzione dell’oggetto sociale. Come va a finire? Il
fatto che le due società abbiano lo stesso scopo sociale non è significativo.
Quando si valuta la concorrenza, ai fini dei divieti di concorrenza, bisogna
valutare concretamente se esiste una concorrenza. Se poi la seconda società si
mettesse anch’essa a creare telai le cose cambiano e in questo caso ci sarebbe
concorrenza.

SOCIETA’ IN ACCOMANDITA SEMPLICE


Nella s.a.s. vi sono due categorie di soci:
- soci accomandatari: illimitatamente responsabili per le obbligazioni
sociali. Sono i soci ai quali spetta la gestione della società;
- soci accomandanti: hanno una responsabilità limitata ai loro
conferimenti.
Le quote non possono essere rappresentate da azioni.
Immaginiamo una s.a.s. che svolge attività di impresa agricola assomiglia ad
una società semplice in cui alcuni soci hanno un patto di limitazione della
responsabilità. In questo caso gli amministratori sono quelli che hanno
responsabilità limitata. Se un socio si occupa di amministrazione rischia di
diventare illimitatamente responsabile.
Ci sono diverse somiglianze tra la società semplice con patto e la s.a.s. La s.a.s.
non è molto diffusa.
Nel caso della s.a.s. la ragione sociale è significativa è importante è costituita
dal nome di almeno uno dei soci accomandatari (illimitatamente responsabili),
oltre allo solita sigla “s.a.s.”.
Es: i soci accomandatari hanno un socio accomandante molto ricco. Gli
propongono di mettere il suo nome nella ragione sociale della società. Cosa
succede? Se il nome di un accomandante è nella ragione sociale, questo socio
accomandante perde il beneficio della responsabilità limitata e quindi diventa
illimitatamente responsabile. Egli però deve acconsentire. Se il socio
accomandante è disponibile a fare ciò, allora diventa illimitatamente
responsabile.

È interessante la lettura della giurisprudenza. I giudici hanno una propensione


alla giustizia sostanziale. Questa è una delle norme in cui si nota, in alcune
decisioni della giurisprudenza, questa volontà. Ci sono sentenze che
specificano che per nome si intende nome e cognome. Se c’è solo il cognome
di uno dei soci accomandanti la norma non si applica.
C’è un altro caso in cui il socio accomandante viene sanzionato con la perdita
della limitazione della responsabilità. È il caso in cui il socio accomandante
compie atti di amministrazione.
In questi due casi parliamo solo del regime di responsabilità e non dello status
di socio.
L’accomandante che diventa illimitatamente responsabile non diventa socio
accomandatario. Perde il beneficio della limitazione di responsabilità.
La disciplina funziona per rinvii. Il corpo principale è dettato dalla disciplina
della società semplice. La disciplina della s.a.s. è disciplina per rinvio rinvia
alla disciplina per la Snc. Arriva poi alla disciplina della società semplice per le
norme generali ma attraverso il rinvio per Snc.
Dove sono le differenze principali? Sono legate alla presenza di due categorie
di soci. La figura del socio accomandate è una figura particolare. Questa
differenza va ad incidere sull’applicazione di certe norme.
Es: l’art. 2301 si applica alla s.a.s.? Si, perché la disciplina rinvia a quella della
Snc e quindi l’art. 230 rientra. Si applica all’accomandante? No.
Es: un soggetto è socio di una Snc che produce telai per le bici. Acquisisce la
qualità di socio accomandante in una società che produce telai. La norma fa
riferimento alla qualità di soci con responsabilità illimitata. Si ritiene che il 2301
non si applichi ai soci accomandanti.
Vi è un’altra questione che riguarda l’incapace. Egli non può iniziare nuove
attività di impresa commerciale. Questa disciplina i applica all’accomandate?
No, per la stessa ragione di prima.
Per quanto riguarda la gestione, l’art. 2318 riserva la gestione ai soci
accomandatari.
L’art. 2320 prevede un divieto per gli accomandanti di compiere atti di
gestione. In realtà possono fare alcuni atti di gestione ma solo sotto direzione e
con una procura da parte degli accomandatari. Quello che non è ammesso è
che si prenda la libertà di compiere lui stesso degli atti di gestione.

Es: c’è un creditore della società che è amico di un socio accomandante. Il


socio accomandante, visto che l’accomandatario ancora non paga il debito, lo
paga lui in nome e per conto della società. Dopo di che si rivolge alla società
dicendo di aver pagato in prima persona e gli chiede il rimborso. Cosa succede?
Se si ritiene che il pagamento sia avvenuto in nome e per conto della gestione
allora è un atto di gestione della società e quindi ha il diritto di vedersi
restituire i soldi. Però, non è inadempiente al contratto sociale? Lui era
accomandante e quindi non può compiere atti di gestione in quanto può
comportare dei rischi.
Se l’accomandante compie un atto di gestione inefficace, che non produce
effetti, qual è il motivo per cui l’accomandate diventa illimitatamente
responsabile? Questa norma è stata introdotta, in prima persona, nei confronti
dei terzi. In realtà è una pena comminata all’accomandante che si ingerisce
indebitamente nella gestione degli atti della società. Il vero motivo è quello di
sanzionare questo comportamento anche perché è un segnale che
l’accomandante è qualcosa di più di un normale accomandante. È qualcuno che
ha un potere effettivo sulla società e si nasconde dietro la qualifica di
accomandate. Evidentemente è qualcuno che può agire (somiglia un po’
all’imprenditore occulto). La responsabilità è illimitata.
Immaginiamo che i soci della società sappiano che l’accomandante ha
un’attività di concorrenza. Non ci sono problemi, non si applica l’art. 2301. Il
socio si occupa di gestione degli atti della società e quindi diventa
illimitatamente responsabile. L’art. 2301 continua ad applicarsi? Se si tratta di
impresa individuale non si applica perchè non è che il socio diventa
accomandatario. Il problema più serio è se lui è socio di una collettiva, è
accomandante e diventa illimitatamente responsabile. Dal punto di vista dei
soci della collettiva questo potrebbe non far piacere. Ci sono i margini per
tentare un’applicazione dell’art. 2301.
L’art. 2320, ultimo comma, dice che “ i soci accomandanti hanno diritto ad
avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite
[…] consultando i libri della società”.
È una formulazione un po’ diversa dal 2261, in tema di controllo dei soci nella
società semplice. L’art. 2261 è più articolato, dice che: “ i soci che non
partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori
notizia dello svolgimento degli affari sociali, di consultare i documenti relativi
all’amministrazione e di ottenere il rendiconto quando gli affari sono conclusi.
Se il compimento degli affari sociali dura oltre 1 anno, i soci hanno diritto di
ottenere il rendiconto dell’amministrazione al termine di ogni anno ”.
L’art. 2320 parla solo di comunicazione del bilancio e controllo dei documenti.
Perché questa differenza? La tesi dominante dice che la differenza nasce dal
fatto che l’art. 2320 non individua tutti i poteri di controllo dei soci
accomandanti ma solo il minimo indispensabile. Se poi vogliono andare a
controllare la gestione, art. 2261, possono farlo anche loro. Sostanzialmente si
ritiene che l’art. 2320 sia irrilevante.
La norma dice che i soci accomandanti hanno diritto di ottenere
comunicazione. Il bilancio dell’accomandita va approvato? Se sì, da parte di
chi? Si ritiene che il bilancio si approvato e che gli accomandanti possano
pronunciarsi sul bilancio senza che questo sia considerato un atto di gestione
tale da portare alla loro responsabilità illimitata.
Nella società semplice c’è una norma specifica che parla di revoca degli
amministratori.
Qui, la previsione cambia in relazione al 2° comma dell’art. 2259. Per quanto
riguarda gli accomandatari indicati nel contratto sociale rimane la regola
generale. Diversa è la revoca, prevista dall’art. 2319, relativa agli
accomandatari nominati con atto separato. In questo caso ci vuole la decisione
unanime degli accomandatari e la maggioranza degli accomandanti. La norma
è derogabile. Il contratto sociale può prevedere formalità diverse per la revoca.
Ci sono però delle possibili complicazioni. Come la mettiamo se c’è una società
con due soci? Il socio accomandatario è stato nominato con atto separato. Se
deve votare anche l’accomandatario, allora l’accomandate è prigioniero di esso
e viceversa. Come si può fare in questo caso? Bisogna ricorrere al tribunale.
Altra regola particolare, art. 2322, riguarda il trasferimento delle quote. Ci sarà
la stessa regola per i soci accomandatari o accomandanti o ci saranno regole
diverse? Ci saranno regole diverse.
Nel caso di morte del socio accomandante la quota va agli eredi; è liberamente
trasferibile in caso di morte.
Per atto fra vivi? La quota del socio accomandante può essere trasferita ma
deve essere autorizzata con maggioranza del contratto sociale.
Se un accomandatario vuole trasferire la sua quota ci vuole l’unanimità.
Casi di scioglimento della s.a.s.:
- Vengono meno gli accomandatari: gli accomandanti, o uno di loro,
decide di diventare accomandatario. Ci vuole però l’assenso di tutti gli
altri soci. Difficilmente però questo processo è immediato. È possibile che
anche un soggetto esterno diventi amministratore provvisorio. Questo
amministratore avrà dei limiti stabiliti dalla procura e non diventa
accomandatario.
- Vengono meno gli accomandanti: se viene ripristinata la presenza di
soci accomandanti, la società continua regolarmente. Altrimenti, o si
soglie la società oppure non fanno niente. Semplicemente gli
accomandatari vanno avanti a gestire la società come era stata gestita
fino ad allora. Si ritiene che possa essere considerata una trasformazione
tacita/implicita in Snc.
Può esistere una società in accomandita di fatto? È un po’ difficile perché o c’è
un contratto altrimenti non si riesce ad organizzare una società in accomandita
di fatto senza un accoro.
Si potrebbe pensare ad una società in nome collettivo con solo alcuni soci
amministratori.
In ogni caso non ci sarebbe la limitazione di responsabilità per gli
accomandanti di fatto.
Es: un accomandatario acquista una quota di socio accomandante. Con
l’accordo della maggioranza del capitale la compra. Nel contratto sociale sono
previsti alcuni diritti specifici a favore degli accomandanti. Ci sono 3 ipotesi
possibili:
1. Diventa tutto accomandante: questa ipotesi non ha senso;
2. La quota dell’accomandante si unisce alla sua ed è accomandatario per
l’intera quota;
3. Unisce le due figure.
La giurisprudenza ritiene che, quando c’è un motivo per creare la distinzione,
uno può avere entrambe le figure: è accomandatario per la sua quota originaria
ed è anche accomandante per l’altra quota.

Caso 1: causa di esclusione del socio (Snc) l’amministratore si appropria


degli utili come risultanti dal rendiconto. Il tribunale di Bari ha 3 ipotesi:
1. Revoca della facoltà di amministrare
2. Revoca della facoltà di amministrare e esclusione del socio
3. Nessuna delle due
Vi è una sentenza del tribunale e una della corte d’appello di Bari. Il tribunale di
Bari opta per la terza ipotesi. Non dice che il comportamento è stato corretto
ma che il comportamento dell’amministratore non riguarda la società ma
riguarda i soci.
La corte d’appello dice che sarà anche vero che gli utili sono dei soci ma questo
comportamento ha fatto venir meno il rapporto di fiducia e quindi opta per la
seconda ipotesi.

Caso 2: siamo in una s.a.s., che si occupa di compravendita immobiliare. Nel


contratto sociale è prevista una clausola che stabilisce che per l’alienazione di
immobili sopra un determinato valore è necessario il consenso della
maggioranza degli accomandanti. La società ha un immobile importante e il
socio accomandatario ha raggiunto la conclusione di una vendita. I soci
accomandanti dicono di no e la società a questo punto fallisce.
- Il curatore fallimentare sostiene che è un atto di ingerenza degli
accomandanti nella gestione della società e quindi sono illimitatamente
responsabili.
- I legali degli accomandanti sostengono: la società è in accomandita e
quindi la clausola è nulla. È irrilevante la revisione del parere vincolante
degli accomandanti [questa tesi non ha avuto successo!].
Quindi si ritiene che la società è fallita per gli accomandanti.

SOCIETA’ PER AZIONI


La disciplina della società per azioni è molto cambiata nel tempo.
La norma, art. 2325, non ha la rubrica nozione ma “ Responsabilità”. La norma
ha una differenza rispetto alla Snc. Nella Snc si dice che tutti i soci sono
illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali.
La norma della S.p.A. fa riferimento alla società e dice che essa risponde delle
proprie obbligazioni con il suo patrimonio. La conseguenza è la responsabilità
limitata dei soci.
Questo è vero ma con le forme più recenti sono stati introdotti anche i
cosiddetti patrimoni separati. Può succedere che una parte del patrimonio sia
separata.
È una normativa che prevede la possibilità di separare una parte del patrimonio
(non superiore al 10%) destinata ad uno specifico affare.
La S.p.A. è dotata di autonomia patrimoniale perfetta. Le quote di
partecipazione nella S.p.A. sono incorporate in titoli (azioni) presso un ente che
poi rilascia le certificazioni necessarie. Si parla di azioni dematerializzate.
La S.p.A. è l’unica delle società di capitali che ha un’autonomia patrimoniale
perfetta.
SAPA Quote di partecipazioni incorporate in titolo che circolano ma non tutti i
soci sono limitatamente responsabili.
Prima dell’ultima riforma e della possibilità di costituire la società con un unico
socio, una norma (art. 2362 - vecchio testo) prevedeva un particolare regime
per le S.p.A. in cui fosse rimasto un unico socio. Il venir meno della pluralità dei
soci non era motivo di scioglimento della società. Rimaneva una società con un
unico socio.
Il legislatore diffidava di questa forma giuridica, anche perché la presenza di
più soci comporta una forma di controllo interno sulla gestione della società.
Il legislatore prevedeva che in questo caso se la società diventava insolvente i
creditori potevano rivalersi anche sul patrimonio dell’unico socio. Questo era
legato a due circostanze:
- Che ci fosse un unico socio
- Che la società fosse insolvente
In questo caso veniva meno la limitazione di responsabilità normale.
Questo ha dato luogo a delle decisioni giurisprudenziali.
La norma del vecchio art. 2362 rientra nell’ipotesi del nuovo art. 2362 o è
sufficiente questo per evitare l’applicazione della normativa? c’è stato un caso
in cui un giudice del tribunale di Milano ha detto che si deve valutare
l’effettività della compagine sociale. La corte d’appello ha detto che due è
diverso da uno e quindi non si applica.
Il ragionamento giuridico è che il 2362, vecchio testo, supera la regola generale
della responsabilità limitata e non è passibile di interpretazione estensiva.
Con la possibilità di costituire una società con un unico socio, è chiaro che la
vecchia regola non poteva reggere. Infatti, il legislatore ha corretto l’articolo.
Oggi l’art. 2362 è diverso, ma il 2° comma dell’art. 2325 parla espressamente
della situazione in cui vi sia una società costituita con un unico socio. La legge
prevede che vengano prese delle contromisure. Occorre che:
- Venga interamente versato, alla costituzione, l’intero capitale sociale: in
sede di costituzione non è obbligatorio versare l’intero capitale della
sociale, ma la legge impone il versamento di almeno il 25% del capitale.
Dopodiché spetterà agli amministratori chiedere ai soci i conferimenti
non ancora effettuati. La regola generale è ¼ di conferimento minimo. Se
però la società è unipersonale questo criterio non si applica e occorre
versare l’intero capitale.
- Deve essere iscritto nel registro delle imprese e risultare dalla
documentazione della società che siamo di fronte ad una società
unipersonale.
Se questi obblighi sono stati rispettati, la società unipersonale mantiene la
responsabilità esclusiva. I terzi che hanno rapporti con la società devono essere
informati di un possibile rischio legato al fatto che vi è un solo socio in quella
società.
La denominazione sociale della S.p.A. è semplice: l’unico requisito di legge è
l’indicazione che si tratti di una S.p.A. Il resto della denominazione sociale può
essere formato come si vuole, nel rispetto dei segni distintivi.
Oggi non si può parlare, genericamente, di S.p.A.
Fino al 1974, in cui vi fu la prima riforma delle S.p.A., c’era un’unica disciplina
per tutte le S.p.A. Nel 1998 è stato introdotto il testo unico sulla finanza
(decreto Draghi) che disciplina in modo specifico le società quotate. In realtà,
sotto il cappello S.p.A., abbiamo oggi diversi fenomeno con diverse specifiche
discipline. Ad esempio, abbiamo le società quotate e le società non quotate.
Spesso il legislatore distingue tra le S.p.A. senza altra qualificazione e le società
che fanno ricorso al mercato di capitale di rischio.
In realtà il regolamento Consob chiarisce quali sono le società che fanno ricorso
al mercato di capitale di rischio, cioè società che hanno un numero di soci pari
a 500 che detengano una percentuale di capitale sociale almeno pari al 5%,
non abbiano possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata. In realtà
questa dizione comprende da una parte le società quotate e dall’altra le società
non quotate che rispettano i parametri previsti dal regolamento.
Quando si parla di interesse della società si fa riferimento all’insieme degli
interessi che ruotano intorno alla società oppure ad un interesse proprio,
autonomo e specifico della società ente? Le due nozioni portano a due diverse
teorie:
- Teoria istituzionalistica: società come istituzioni
- Teoria contrattualistica: l’interesse che risulta dall’insieme dei rapporti
che legano i vari operatori attorno alla società.
Se ci si basa sulla teoria istituzionalistica, la disciplina va interpretata in
quell’ottica. Se ci sia basa sull’individuazione degli stessi interessi ci si basa su
una luce diversa. Ampliamo la disciplina tenendo conto dei conflitti di interessi
rilevanti.
Oggi la tesi dominante è la teoria contrattualistica.
Il passo successivo e inevitabile è proprio quello di individuare i conflitti di
interesse relativi alla S.p.A. e alla sua organizzazione.
Tipicamente si dice che la S.p.A. è una forma organizzativa della grande
impesa. Questo è vero ma ino ad un certo punto. Dipende spesso dalle scelte
del legislatore, scelte anche non strettamente legate ai profili societari.
Es: diversi anni fa, uno dei tentativi per trovare delle entrate fiscale dello stato
fu quello di tassare il capitale delle S.p.A. Un’aliquota del capitale doveva
essere pagata in tasse. Quest’idea è durata poco ma ha avuto degli effetti
immediati. Nel giro di pochi mesi un numero enorme di S.p.A. è stato
trasformato in società a responsabilità limitata e ad esse non si applicava
questa disciplina.
Quali sono i conflitti di interesse che ruotano intorno alla S.p.A.? nelle società
personali le decisioni relative al contratto sociale, in linea generale, devono
essere prese all’unanimità. Le società di capitali sono invece governate dal
principio maggioritario; per certe decisioni, per legge, non è possibile inserire
maggioranze qualificate superiori alla semplice maggioranza.
Questo apre la strada ad un conflitto abbastanza tipico che riguarda un
conflitto tra maggioranza e minoranza: però ci possono essere casi in cui le
maggioranze non sono consolidate.
La posizione di maggioranza si manifesta solo nell’assemblea di bilancio o
anche in altre decisioni? Possono decidere se l’utile verrà distribuito o no, ma
ne subiscono le conseguenze come la minoranza. Chi nomina gli
amministratori? L’assemblea. Chi decide nell’assemblea? La maggioranza.
Quindi una possibilità è, per i soci di maggioranza, di nominarsi amministratori
o comunque nominare amministratori scelti da loro.
I soci di maggioranza hanno la possibilità di attingere alle risorse della società,
tenendone fuori i soci di minoranza.
La maggioranza può avere altri vantaggi: immaginiamo che venga venduta la
società e che ci siano due soci, uno ha il 50% del capitale + 1 azione e l’altro il
49% del capitale + tutte le altre azioni. Il prezzo che ricevono dalla vendita è
rigorosamente proporzionale? No.
Immaginiamo che ci siano due soci che hanno partecipazioni identiche e un
altro socio che ha due azioni. I due soci con partecipazione identiche litigano e
uno decide di vendere. L’applicazione del principio maggioritario porta ad
un’ampia serie di conflitti.
Es: una società in cui le azioni sono disperse fra il pubblico e non c’è una
maggioranza solida. Il conflitto è fra i soci e gli amministratori e non fra
maggioranza e minoranza. Quando non c’è una maggioranza qualificata, gli
amministratori acquisiscono un potere maggiore. Si parla di costi di agenzia,
cioè i costi che i soci sopportano per avere qualcuno che gestisce la società.
Quando una società viene scalata, nel giro di poco tempo il management
cambia e quindi gli amministratori possono cercare di creare ostacoli ad una
scalata, che invece avvantaggerebbero i soci.
Gli amministratori possono seguire criteri di gestione diversi, in funzione del
loro interesse.
Un altro conflitto è fra i soci e il mercato. Un mercato efficiente può avere un
effetto anche nei rapporti fra soci e gestori e tra maggioranza e minoranza.
Immaginiamo che ci sia una società che ha una maggioranza stabile e un
mercato in cui la società ha un facile accesso al credito. La minoranza ha pochi
o tanti poteri? La minoranza conta poco.
Se però l’accesso al credito è più complesso e la maggioranza non è così solida,
il ruolo della minoranza diventa significativo e quindi ci possono essere
possibilità di scalata, modifiche e cambiamenti.
Un ultimo conflitto è tra i soci e i creditori sociali. I soci hanno un rischio nel
funzionamento della società in cui hanno investito. È una responsabilità limitata
ai loro conferimenti. Se le cose vanno male, i soci perdono quanto conferito. I
creditori si assumono una parte del rischio di impresa. il creditore è un
finanziatore della società e il suo credito è una forma di finanziamento. Quindi,
ci sono alcune somiglianze fra la posizione del socio e quella del creditore.
Entrambi assumono parte del rischio di gestione. Ci sono anche delle differenze
piuttosto significative, cioè il socio indirettamente partecipa alle gestioni sulla
gestione della società; il creditore questo non lo fa. Il socio può gestire il
patrimonio sociale che è la garanzia del creditore. C’è sempre una netta
distinzione fra il potere dei soci, attraverso gli amministratori, di gestire la
società e l’impotenza del creditore?
Es: una società ha ottenuto un finanziamento rilevante da un istituto di credito.
Ha più incidenza, sulle scelte della società, la volontà di un piccolo azionista o
quella dell’istituto di credito? Di solito gli istituti di credito hanno il potere di
incidere in modo rilevante sulle scelte.
Bisogna anche considerare che non tutti i creditori sono uguali. Ci sono i
creditori volontari e quelli involontari (soggetto che si trova creditore ma non
voleva esserlo).
Esempio di creditore volontari (ma deboli) dipendenti.
Esempio di creditori involontari chi ha subito un danno dalla società (es:
uno viene investito da un camion della società).
Ci sono delle norme specifiche che riguardano questo conflitto. Vi sono delle
norme che vincolano la possibilità dei soci di attingere al patrimonio sociale. Vi
sono anche delle sanzioni penali per comportamenti non corretti sul patrimonio
sociale.
La differenza fra i soci e i creditori sociali, visto che entrambi hanno dei rischi
della gestione dell’impresa, sta in astratto nel fatto che i soci, con le loro
decisioni, possono disporre del patrimonio sociale, a differenza dei creditori
sociali che possono essere vittime delle decisioni imprenditoriali della società.
Considerando che la S.p.A. è una società in cui i soci hanno una responsabilità
limitata ai conferimenti, sono introdotte nella normativa alcune disposizioni a
tutela del patrimonio sociale.
In altri ordinamenti vi sono dei sistemi diversi: per esempio, si può immaginare
che in determinate circostanze venga meno il limite della responsabilità (es:
caso dell’unico socio). Negli USA, in alcuni stati, la disciplina societaria è statale
e quindi ci sono alcuni stati in cui vi sono moltissime società ed altri in cui c’è
ne sono molto poche.
Nel nostro ordinamento c’era un caso specifico: l’ipotesi dell’unico socio, ma
successivamente alla riforma l’unico socio mantiene la limitazione di
responsabilità a meno che non rispetti determinate condizioni.
Dal punto di vista della normativa societaria è fondamentale avere una serie di
decisioni coerenti e costanti in modo tale che l’operatore possa sapere cosa
fare, cioè che potrebbe comportare compiere una determinata azione…
In alcuni stati, ad esempio della California, è previsto che si possa superare il
limite della responsabilità.
Da noi il sistema è diverso: la valutazione della coerenza del capitale per il
conseguimento dell’oggetto sociale non c’è in quanto da noi c’è il requisito del
capitale minimo. È il legislatore che alla fine decide quali scelte seguire nella
valutazione dei conflitti di interesse.
Le società di persone o capitali non ammettono un ulteriore tipo sociale perché
oltre a regolar ei rapporti fra i soci il legislatore deve intervenire per stabilire
entro che limite la società deve gestire i rapporti con i terzi.
Autoregolamentazione possibilità per i soci di regolare loro stessi nello
statuto i rapporti soprattutto fra di loro e nei limiti ammessi verso l’esterno.
Eteroregolamentazione normativa esterna tipicamente vincolante.
Per molto tempo l’autoregolamentazione è stata vista con sospetto. Con la
riforma del 2003-2004 le cose sono cambiate. Uno dei principi più importanti
che hanno interessato la riforma toccò la responsabilità dei soci dando
maggiore flessibilità alle norme statutarie. Questa apertura diventa amplissima
nella società a responsabilità limitata.
Nella S.p.A. ci sono state diverse aperture come ad esempio la possibilità che le
partecipazioni dei soci non siano proporzionali ai conferimenti, nel senso che un
socio può fare un conferimento pari al 5% del capitale sociale e avere
partecipazioni pari al 10% del capitale sociale; quale 5% che manca lo devono
mettere gli altri (il capitale non si riduce).
Un altro cardine della riforma è il passaggio da una tutela di tipo reale a una
tutela di tipo obbligatorio. Parliamo delle decisioni assembleari. Cosa
prevedeva la normativa precedente in caso di invalidità delle deliberazioni
assembleari? La risposta dell’ordinamento era l’annullamento o la nullità della
delibera. Una delibera che avesse avuto un oggetto illecito o impossibile
diventava nulla. Una delibera invalida (presa in maniera non conforme alla
legge) veniva annullata. Questa è una tutela di tipo reale. Con la riforma sono
stati introdotti dei limiti. Oggi, una delibera annullabile può essere annullata
soltanto da un’azione promossa da tanti soci che rappresentino almeno il 5%
del capitale sociale. Se quella percentuale non si raggiunge, la delibera non
può essere invalidata.
Quello che non possiamo ottenere è la rimozione della delibera, quello che
posso ottenere è il risarcimento del danno.
Quindi si riduce la possibilità di ottenere una tutela reale e si passa
residualmente ad una tutela di tipo obbligatorio o risarcimento del danno.
Il meccanismo era già stato collaudato all’inizio del 2000 con riferimento alla
delibera di fusione delle società.
Es: le obbligazioni convertibili in azioni sono state introdotte nel nostro
ordinamento intorno al 1913. La disciplina giuridica delle obbligazioni
convertibili è del 1976.
La stessa cosa si è avuta nel caso della fusione (decisione di due società di
unirsi). La fusione è una decisione presa da due società di fondersi e unirsi in
una sola società. La fusione si effettua con la registrazione nel registro delle
imprese.
Si ha una sorta di successione della società che assorbe tutti i rapporti giuridici
di quella che viene assorbita.
Il problema era quello dell’invalidità della delibera di fusione che, per qualche
motivo, è viziata.
Il problema dell’annullamento della delibera di fusione, dopo l’iscrizione nel
registro delle imprese, creava un serio problema. è stata introdotta una
normativa che dice che la delibera di fusione non può essere annullata dopo
l’iscrizione nel registro delle imprese.
La scelta del legislatore ha delle ragioni: dividere ciò che è stato unito è molto
difficile ed inoltre, i vizi che la minoranza contesta in una delibera di fusione è
quello che si chiama rapporto di cambio.
Es: A incorpora B. Ai soci di B verranno annullate le azioni e riceveranno in
cambio le azioni di A in proporzione alla valutazione fatta delle due società.
Quello che di solito succede è che i soci di minoranza della società incorporata,
e a volte della società incorporante, possono lamentarsi del fatto che le azioni
sono state valutate poco. Se questo è il problema è chiaro che può essere
risolto con un risarcimento del danno. La scelta di una tutela di tipo
obbligatorio, in questo caso, è corretta.
È stata estesa dal legislatore anche nella delibera delle altre delibere
assembleari. Premesso che il socio di S.p.A. non è vincolato nei suoi
comportamenti dall’interesse della società, tranne nel caso in cui il socio in
conflitto di interessi vota in una deliberazione di un’assemblea della società,
può perseguire i propri interessi che possono essere anche in conflitto con
quelli della società. Il socio può farlo, la la normativa specifica che quando il
voto del socio è determinante per raggiungere la maggioranza e può derivare
un danno alla società, la deliberazione può essere annullata.
Es: caso in cui un socio detenga il 96% del capitale e con il suo voto viene
assunta una delibera che reca danno alla società. Il socio di minoranza al 4%
non può impugnarla ma può chiedere il risarcimento del danno, ma a chi? Non
lo può chiedere al socio di maggioranza ma alla società. La società è però
quella danneggiata. Nell’interesse della società e dei soci di maggioranza il
legislatore ha scelto di difendere le decisioni e il funzionamento della società.
Se il funzionamento è distorsivo è c’è una percentuale significativa del capitale
che lo ritiene distorsivo, allora si annulla. Se a lamentarsi però sono in pochi, si
dà la possibilità ai soci di maggioranza di prendere determinate decisioni
valutandone i costi.
Il legislatore, nella riforma, ha seguito il principio di rafforzare l’autonomia dei
soci nel regolare i loro rapporti e il principio di rafforzare l’autonomia della
società da una tutela reale a una tutela obbligatoria.
I vari investitori istituzionali mirano soprattutto al rendimento dell’investimento
e non al fatto che la società sia ben gestita. Se si trovano di fronte a delle
difficoltà di percorso non intervengono proponendo azioni di responsabilità nei
confronti degli amministratori ma vendono le partecipazioni prima che i
problemi divengano di pubblico dominio.
Il legislatore prevede due forme di costituzione:
- Costituzione tipica mediante atto pubblico redatto davanti al notaio
dai soci
- Costituzione mediante pubblica sottoscrizione: questa non è mai
stata usata.
Questo secondo tipo di costituzione sta diventando di una certa attualità, ma
con norme totalmente diverse. È il caso del crowdfunding azionario, un
fenomeno che sta iniziando a crescere: chi vuole acquistare il drone, ad
esempio, può acquistare le partecipazioni della società. Questa è una forma di
costituzione con pubblica sottoscrizione.
C’è una normativa sul c.d. equity crowdfunding. Questa prevede dei limiti di
acquisti per evitare che le persone con propensione al gioco si rovinino con
l’equity crowdfinding ecc…
Prima del 2000 le fasi erano tre: tra la stipula e l’iscrizione c’era
l’omologazione, cioè un controllo di legittimità fatto da un giudice che riceveva
l’atto costitutivo e controllava che le sue previsioni fossero in linea con gli
obblighi del codice. Dopo di che si procedeva all’scrizione. A volte i giudici
rifiutavano di concedere l’omologazione per dei motivi non del tutto evidenti
(es: gli amministratori erano in numero pari). Solo recentemente è stata
introdotta per i professionisti la possibilità di organizzare la loro attività sotto
forma di società. L’omologazione consiste in un controllo di legittimità fatta da
un giudice che riceveva l’atto costitutivo e solo in seguito si poteva procedere
all’iscrizione.
Dal 2000, attraverso un decreto semplificazione, è stato reso facoltativo il
processo di omologa. Oggi, normalmente, è il notaio che redige l’atto pubblico
che provvede poi all’iscrizione nel registro delle imprese facendosi garante
della legittimità dell’atto costitutivo. A volte capita che i soci non la vedano allo
stesso modo del notaio. È consentito ai soci decidere di fare ricorso al tribunale.
Se il giudice concede l’omologa, la società viene iscritta. Oggi l’omologa non è
più obbligatoria ma può essere usata per correggere una decisione considerata
non regolare da parte del notaio.
Se il notaio rifiuta l’iscrizione e i soci sono convinti che tale rifiuto sia
ingiustificato, possono rivolgersi loro al giudice e chiedere a lui l’omologa. Se il
giudice concede l’omologa, la società è iscritta.
Il procedimento di costituzione si conclude ad ogni modo con l’iscrizione nel
registro delle imprese.
Cosa deve prevedere il contratto sociale?
1. Nome e data di nascita della società;
2. Sede della società;
3. Denominazione soci fondatori;
4. Oggetto sociale;
5. Ammontare del capitale sottoscritto e versato;
6. Numero di azioni e l’eventuale valore nominale;
7. Valore attribuito eventualmente ai conferimenti in natura o ai crediti;
8. Norme in base alle quali vengono ripartiti gli utili;
9. Benefici per i soci fondatori (se ci sono);
10. Sistema di amministrazione (amministratore singolo, consiglio di
amministrazione…);
11. Poteri degli amministratori e coloro i quali hanno la rappresentanza
per la società; nomina dei primi amministratori e dei primi organi di
controllo;
12. Spese per la costituzione;
13. Durata della società: con la riforma può anche non esserci (anche la
S.p.A. può avere durata indeterminata e in questo caso vi è la possibilità
di recesso per i soci).
L’atto costitutivo è l’atto pubblico redatto davanti al notaio con allegato lo
statuto. Quando si parla di modifiche dello statuto, tipicamente si parla di
modifiche dell’atto costitutivo. Quindi atto costitutivo e statuto possono essere
sinonimi, formalmente non proprio ma il legislatore li usa in maniera
ambivalente.
Un’altra cosa che ha fatto la riforma è che i termini che erano previsti dal
legislatore del ’42 erano espressi in mesi. Il legislatore della riforma ha deciso
di parlare di giorni.
Cosa succede se mancano alcuni elementi del contratto sociale? Nella società
semplice era più facile perché molti elementi erano sostituiti da norme di
legge. Nei casi più gravi, la sanzione è la nullità. Qui la cosa è più complicata
perché norme che integrano sono meno, però alcune informazioni si possono
recepire all’interno dello stesso atto costitutivo dello statuto e alcune previsioni
anche in questo caso sono eventuali (es: previsioni per conferimenti in natura
sono eventuali, non c’è bisogno di previsioni se non ci sono conferimenti in
natura).
Teoricamente, informazioni non eventuali dovrebbero risultare dall’atto
costitutivo, anche non esplicitamente se si possono dedurre da altre
informazioni.
Es: il capitale è di un certo importo, i soci sono 10 e ciascuno ha conferito 1/10
del capitale; anche se non dico che ognuno ha il 10%, questo si deduce. Vorrà
dire che tutti hanno una quota proporzionale ai conferimenti; se voglio una
quota non proporzionale devo dirlo.
L’oggetto sociale della società è l’attività che la società si propone di svolgere e
non necessariamente corrisponde in toto all’attività che la società svolge
concretamente. Se manca l’indicazione dell’oggetto sociale, si ha uno dei casi
di nullità della società.
L’art. 2361 prevede che: “L’assunzione di partecipazioni in altre imprese,
anche se prevista genericamente nello statuto, non è consentita, se per la
misura e per l’oggetto della partecipazione ne risulta sostanzialmente
modificato l’oggetto sociale determinato dallo statuto”.
Se la società acquista partecipazioni in altre società che svolgono la stessa
attività non abbiamo problemi. Il problema può nascere se l’assunzione di
partecipazione riguarda l’assunzione di società che hanno oggetti sociali
diversi.
L’art. 2384 prevede che la rappresentanza degli amministratori è generale e
non si possono porre limiti alla rappresentanza degli amministratori, anche se
iscritti nei confronti dei terzi, se non si prova che i terzi hanno agito
intenzionalmente contro la società.
Un altro profilo riguarda le regole di funzionamento, i rapporti fra i soci. Può
darsi che i soci si diano delle regole parallele rispetto allo statuto. Parliamo dei
patti parasociali, accordi che possono riguardare diversi profili dei rapporti
tra i soci, ma quelli più importanti regolamentano la vendita delle
partecipazioni e l’esercizio del voto.
Per molti anni la giurisprudenza negava la validità dei sindacati di voti (PATTI
PARASOCIALI), sostenendo che comportavano uno svuotamento dell’assemblea
perché il voto veniva dato al di fuori della sede assembleare.
Una volta redatto l’atto pubblico, cosa manca per arrivare alla costituzione? La
società ha bisogno di fondi per svolgere le proprie attività. Il capitale minimo
della S.p.A. è di 50mila euro. Deve essere tutto sottoscritto, cioè i soci devono
impegnarsi a versare i propri conferimenti in modo che tutto il capitale risulti
coperto da un impegno dei soci. Non è necessario versare interamente il
capitale. il versamento minimo che deve essere effettuato è del 25%. Questo
deve essere versato alla costituzione. se ci sono dei conferimenti in natura, il
conferimento è integrale.
C’è un altro caso in cui il capitale sociale deve essere interamente versato, cioè
quando c’è un socio unico (se vuole mantenere il limite di responsabilità).
I conferimenti così versati, vengono depositati presso un istituto di credito e
successivamente il notaio li trasmette agli amministratori.
Ci possono essere altri requisiti se la società è soggetta a concessione o
autorizzazione. Se vogliamo costituire una società per creare una banca,
abbiamo bisogno delle relative autorizzazione prima dell’iscrizione nel registro
delle imprese. Dopo di che, se il notaio è soddisfatto dello statuto e sono
soddisfatti i requisiti, la società è iscritta e acquista personalità giuridica.
Dopo che è stato stipulato l’atto costitutivo e prima che la società sia iscritta,
cosa succede? Il legislatore detta una disciplina per il periodo intermedio.
Immaginiamo di aver costituito una società; nello statuto abbiamo indicato gli
amministratori, per un numero di 3. Un primo scenario è che erano tuti ottimisti
ma per una serie di motivi la società non può essere iscritta; però sono stati
stipulati dei contratti. Chi ne risponde? Il commendatore, cioè chi ha agito in
nome e per conto della società (è il responsabile delle obbligazioni). I terzi
possono quindi rivolgersi a lui. Se oltre a lui ha agito qualcun altro, ne risponde
anch’esso. Se gli altri soci hanno autorizzato a fare ciò, sono responsabili anche
loro nei confronti dell’amministratore delegato che ha agito considerando il
fatto che era stato autorizzato ad agire.
Un secondo scenario è che la società viene regolarmente iscritta. Cosa succede
per quanto riguarda le obbligazioni precedenti? Dipende. Se le cose sono nella
normalità, i soci, dopo l’iscrizione, autorizzano e ratificano le operazioni
compiute. La società diventa quindi responsabile ed eventualmente è obbligata
a tenere indenni gli amministratori dalle pretese dei terzi.
Qualcosa, anche prima dell’iscrizione, esiste. Non esiste ancora la S.p.A.
persona giuridica.
Cosa c’è tra la stipula dell’atto costitutivo e l’iscrizione? C’è un contratto fra i
soci. La dottrina dice che c’è una società ma non ci può essere una S.p.A.,
allora è un contratto di una disciplina simile alla società semplice. Essa prevede
che vi sia una responsabilità limitata di chi agisce in nome e per conto.
La dottrina dice che fra l’atto costitutivo e l’iscrizione c’è un contratto che però,
dal punto di vista della disciplina, si avvicina a quello della società semplice.
È possibile costituire una S.p.A., con un solo socio, non ancora iscritta? C’è la
giurisprudenza che dice che il tipo sociale della S.p.A. prevede l’applicazione
del principio maggioritario. Non si può prevedere statutariamente una clausola
che preveda l’unanimità dei soci nelle decisioni assembleari. Se non risulta che
i soci senza questa previsione non avrebbero costituito la società, è invalida la
clausola ma non l’atto costitutivo. Può essere sostituita la clausola nulla dalle
norme di legge specifiche.
Ci possono essere dei vizi talmente gravi da travolgere l’intera società. La
nullità di una società può essere accertata prima o dopo l’iscrizione nel registro
delle imprese? Dopo. Prima della riforma, i casi di nullità erano 8. Dopo la
riforma si sono ridotti in modo significativo:
- Mancanza dell’atto costitutivo: se l’atto costitutivo non è stipulato in
forma di atto pubblico e distrattamente si accetta l’iscrizione, questa è
un’ipotesi di nullità
- Illiceità e contrarietà all’ordine pubblico dell’oggetto sociale.
- Mancanza nell’atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la
denominazione della società, l’oggetto sociale…
- Incapacità di tutti i soci fondatori (prima della riforma).
Quali sono le regole che governano la nullità di un negozio giuridico?
1. Opera dall’origine: rimuove tutti gli effetti del negozio;
2. Non si può sanare un atto nullo.
Una conseguenza del fatto che non pregiudica gli atti compiuti è che, dalla
parte dei soci, essi non sono liberati dai conferimenti (fino a quando non sono
stati pagati tutti i creditori che ci sono stati). I soci rimangono impegnati fino
alla conclusione di tutte le operazioni iniziate, con i conferimenti che avevano
iniziato.
La pronuncia della nullità è paragonabile ad una causa di scioglimento della
società.
Non solo salva gli effetti degli atti compiuti ma è sanabile. Come si fa a sanare
una società nulla? si elimina quella previsione dell’atto costitutivo che
comporta la nullità della società.
Posso sanare la nullità modificando l’oggetto sociale: attraverso un’assemblea
straordinaria, a maggioranza. Consentiamo ad alcuni soci, quelli che formano la
maggioranza, di eliminare un’ipotesi di scioglimento della società.
A vantaggio di chi va questa indicazione? Dei creditori sociali (che hanno
rapporti con la società; il creditore mantiene il suo credito ed è anche probabile
che il suo credito venga soddisfatto); dei soci di controllo, che hanno la
maggioranza della società e possono eliminare o fermare lo scioglimento della
società; la società stessa.
Uno dei requisiti per la costituzione è la sottoscrizione dell’intero capitale
sociale e l’effettuazione di alcuni conferimenti.
L’art. 2342 prevede che i conferimenti debbano essere fatti in denaro. Però, lo
statuto può prevedere che siano possibili anche conferimenti in natura o
conferimenti di crediti. Se andiamo a vedere quella che era la disciplina della
società di persone, questa non ci aiuta molto perché i conferimenti ammessi in
queste società erano tutti, purché rispettavano il requisito dell’art. 2247. Nelle
società personali, in vista della responsabilità illimitata necessaria di tutti i soci,
c’è la massima libertà di conferimenti. Nella S.p.A. delle obbligazioni sociali
risponde solo la società con il suo patrimonio.
Art. 2342, 5° comma esclude dai possibili conferimenti la prestazione
d’opera. Questo conferimento deve essere accompagnato da delle garanzie
che coprano l’importo attribuito al conferimento.
Nella S.p.A. sono ammesse le azioni con prestazioni accessorie. Sono delle
azioni che prevedono, al di là del conferimento in capitale, che il socio poi
effettui determinate prestazioni e condizioni.
Se il capitale ha una funzione di garanzia dei creditori, questo incide sui beni
che possono essere conferiti. Il problema è che la tesi della funzione di
garanzia del capitale sociale si è ormai svalutata nel momento in cui il capitale
sociale minimo è andato sempre più riducendosi e nella s.r.l. è ammesso un
capitale minimo di 1 euro.
Esiste un meccanismo per la determinazione del valore dei beni in natura. C’è
una procedura prevista dall’art. 2343.
Il legislatore ha introdotto una serie di cautele di fronte ai conferimenti in
natura. In questo modo si vogliono tutelare i terzi creditori e i soci che hanno
conferito beni in denaro.
Chi ha una posizione contrattuale più forte? Chi conferisce beni in denaro o
beni in natura? Chi conferisce beni in natura. Il bene in natura è estremamente
importante per l’attività della società.
Es: la società decide di produrre olive per i cocktail e un socio possiede il
brevetto della macchina per snocciolare le olive. È presumibile che il socio che
detiene il brevetto abbia una possibilità di negoziare attraverso una posizione
di forza.
Per proteggere i soci che conferiscono denaro e i creditori sociali è introdotto
un complesso meccanismo che prevede che il bene conferito in natura sia
oggetto di una valutazione che deve essere fatta da un esperto, nominato dal
tribunale. È competente il tribunale del luogo in cui ha sede la società. Il
tribunale nomina l’esperto, che fa una perizia. La perizia deve indicare alcuni
elementi:
- dovrà essere giurata;
- contenere la dichiarazione che il valore del bene è almeno pari al valore
del conferimento del bene indicato;
- indicare che valore l’esperto attribuisce al bene;
- contenere una descrizione del bene;
- contenere i criteri di valutazione: come si è stabilito che quel bene ha
quel determinato valore.
L’espetto, in caso di dolo o colpa grave, risponde dei danni ed è soggetto ad
una sanzione amministrativa (art. 64 c.p.c.) fino a 10mila329 euro.
Cosa succede delle azioni che devono essere liberate attraverso i conferimenti
in natura? Le azioni restano depositate presso la sede della società; non sono
consegnate al socio e in ogni caso sono inalienabili fino a che tutta la
procedura non si è conclusa.
Es: il perito stabilisce che il mio codice vale 10 euro. la questione passa agli
amministratori. Essi hanno il compito di controllare questa stima. Hanno un
termine che la legge prevede in 180 giorni. Quali possono essere le
conseguenze della revisione? Conferma del valore e individuazione di un valore
maggiore. Entro un certo ambito, il 20%, una differenza in meno è accettabile.
Se gli amministratori determinano il valore in un importo che ha una differenza
entro il 20%, va bene la perizia. Gli amministratori però decidono di valutare il
codice solo 5 euro. La questione passa adesso al socio. Il socio può accettare,
può recedere dalla società [prima della riforma si parlava di recesso del socio;
adesso il legislatore dice che ogni volta che ciò sia possibile si riprende il bene
conferito] oppure può dire che gli sta bene la valutazione di 5 euro ma a lui
interessa che la sua partecipazione sia di 10 (cosi ha il 5% per impugnare).
Deve quindi integrare il conferimento fino al valore iniziale della
partecipazione. In questo caso, l’unica integrazione ammessa è in denaro.
C’è un modo in cui sarebbe possibile aggirare questo meccanismo.
Immaginiamo che io sia il commendatore e vorrei che il socio venisse
acquistato per 10 euro e convinco gli amministratori a comprarlo. Dopo di che
faccio un conferimento in denaro di 10. L’art. 2343-bis prevede che nei primi 2
anni di vita della società, acquisti da parte della società di beni che
appartengono ai soci fondatori e che comportano un corrispettivo che sia
superiore al 10% del capitale, debbano essere soggetti a stima come dall’art.
2343.
Più recentemente il legislatore ha introdotto ulteriori eccezioni, previste dall’art.
2343-ter e quater: ha introdotto delle ipotesi in cui è ammesso un conferimento
in natura senza stima. quando si potrà fare ciò? quando il valore è già
identificato in modo ragionevolmente corretto in un altro modo. Ad esempio, se
il conferimento riguarda valori immobiliari, obbligazioni o azioni; se il valore
attribuito al conferimento sia inferiore o pari al valore della media che hanno i
mercati negli ultimi 6 mesi; oppure se il valore è stabilito attraverso il fair
value, cioè il corrispettivo al quale un’attività può essere scambiata o una
passività estinta. Si presume che il bene appostato in bilancio a quel valore sia
stato valutato correttamente e quindi fino a quel valore il bene non è soggetto
a perizia; oppure, se un esperto ha effettuato una perizia e questa non è più
vecchia di 6 mesi.
L’art. 2343-quater prevede che gli amministratori, entro 30 giorni, devono
valutare se si sono verificati fatti eccezionali o comunque rilevanti che possano
aver potuto incidere sulla valutazione.
Anche nei casi in cui non c’è la procedura di stima, c’è comunque un controllo
degli amministratori sulla verifica che non siano avvenuti fatti straordinari e
gravi tali da andare ad incidere severamente sul valore del bene.
Cosa succede se i soci non effettuano i conferimenti che si erano impegnati a
versare? Può capitare che la società non ha mai bisogno di chiamare i
conferimenti non effettuati oppure può essere necessario per gli amministratori
di chiedere ai soci di perfezionare i conferimenti che si erano obbligati a fare.
Se un socio non effettua i conferimenti, la prima possibilità data alla società è
quella di procedere ad una esecuzione nei confronti del socio moroso. Prima di
iniziare un giudizio bisogna diffidare di inadempiente, quindi il primo passo da
fare per gli amministratori è pubblicare sulla G.U un avviso dei soci dando un
termine per l’adempimento (tipicamente di 15 giorni).
Art. 2344 unico caso di esclusione previsto per la S.p.A. “ Decorsi 15 giorni
dalla pubblicazione dell’avviso sulla G.U., gli amministratori possono proporre
l’azione. Se non lo ritengono utile, possono innanzitutto offrire le azioni agli
altri soci, per un importo almeno pari ai conferimenti non effettuati”.
Oggi è possibile avere anche una ripartizione non proporzionale del capitale. a
certe partecipazioni possono corrispondere partecipazioni più ampie ma a
condizione che gli altri soci coprano la differenza. L’intero capitale deve essere
coperto dai conferimenti. Vi sono ipotesi in cui vi è anche un sovrapprezzo e in
questo caso i conferimenti devono coprire sia il capitale e sia il sovrapprezzo.
Se i soci non sono interessati, possono metterle in vendita ai terzi. Se nessun
terzo è interessato, può essere escluso il socio trattenendo le somme da lui già
versate, salvo eventuali risarcimenti che si possono chiedere. A questo punto ci
troviamo con azioni che non sono coperte dai conferimenti. Gli amministratori
hanno l’esercizio entro cui era stato escluso il socio per cercare di ricollocare le
azioni. Se entro l’esercizio non riescono a ricollocare le azioni, queste devono
essere annullate (con la corrispondente riduzione del capitale sociale).
Ci sono quindi diversi passaggi per tentare di recuperare i conferimenti. Se non
si riesce a collocarle, si riduce il capitale e si annullano le azioni.
Potrebbe succedere che in questo modo si vada al di sotto del minimo legale e
allora subentrano altri meccanismi (es: riduzione del capitale per perdite) a
condizione che le azioni così annullate riducano il capitale oltre 1/3.
Prima della riforma c’era una previsione specifica (art. 2448) che prevedeva i
casi di scioglimento delle S.p.A. Dopo la riforma, vi è ora l’art. 2484 che
individua le cause di scioglimento per tutte le società di capitali.
PRESTAZIONI ACCESSORIE
ART. 2445 prevede la possibilità per la società di emettere azioni con
prestazioni accessorie.
Es: un giovane non ha il capitale. Arriva il socio di capitale e alla fine al giovane
viene anche concessa una quota di partecipazione al capitale non
proporzionale. La partecipazione sarà pari al 20% ma impongono che lui
sviluppi la sua attività solo per la suddetta società e non per altre. Si può
prevedere che, oltre al conferimento regolare, ci sia un impegno ad effettuare
delle prestazioni specifiche, collegate alla partecipazione. Tu ti vincoli a
sottoscrivere un contratto di lavoro subordinato e la società, nei tuoi confronti,
rispetterà questa disciplina.
La disciplina delle prestazioni accessorie è legata alla natura di queste.
Queste prestazioni non possono essere alienate senza l’accordo di tutti gli
amministratori, così come le modifiche alle eventuali prestazioni accessorie.
Salvo diversa previsione statutaria possono essere modificate solo
all’unanimità. Le azioni con prestazioni accessorie devono essere nominative.
Attualmente vige la regola della nominatività obbligatoria dei titoli azionari,
salvo espresse previsioni di legge diversa (es: azioni di risparmio che danno
diritto ad un dividendo privilegiato ma non ad un diritto di voto, possono essere
al portatore).

AZIONI
Art. 2446 La partecipazione sociale è rappresentata da azioni (le azioni sono
la partecipazione sociale). Essendo la partecipazione dei soci al capitale,
rappresentano una quota di partecipazione non solo al capitale ma al
patrimonio della società.
La società funziona in modo ragionevole quando il patrimonio è superiore al
capitale sociale. Se il patrimonio è inferiore abbiamo delle perdite, che se
superano certi livelli portano a delle conseguenze.
L’ordinamento ammette che vengano ammesse azioni di diverse categorie. Le
azioni con diritto particolari non possono superare il 50% del capitale.
Prima della riforma venivano individuate:
- Azioni ordinarie;
- Azioni privilegiate: normalmente avevano una preferenza sulla
distribuzione degli utili ma a costo di una riduzione dei diritti di voto.
Con la riforma, la creazione di categorie di azioni con diritti particolari non è
disciplinata.
Le azioni della società devono avere tutte l’uguale valore nominale (che non
significa prezzo di emissione) e per ogni categoria di azione, tutte le azioni che
partecipano a quella categoria devono avere uguali diritti.
La riforma ha cambiato quelle che fino al 2004 era un caposaldo del nostro
ordinamento societario. Il caposaldo era: “Ogni azione dà diritto ad un voto”. Si
poteva limitare il voto ma non lo si poteva moltiplicare.
Con la riforma del 2004 è stato previsto per la prima volta nel nostro
ordinamento che lo statuto possa prevedere, per motivi oggetti, che la società
metta delle azioni a voto plurimo, fino ad un massimo di 3 voti per azione.
Può essere previsto che il voto plurimo si applichi solo per determinate
decisioni (es: in caso di aumento di capitale a pagamento, per le nomine di
cariche sociali ecc…).
Assieme al concetto della non necessaria proporzionalità del capitale alla
partecipazione e il voto plurimo, la flessibilità che in ambito statutario è
consentita ai soci è effettivamente aumentata.
Le azioni devono indicare una serie di elementi: quale è la società, dove ha
sede, il valore del certificato dell’azione ecc…. In caso di azioni non
interamente liberate, l’acquirente è corresponsabile per il pagamento per 3
anni.
Dopo di che il legislatore ha deciso che le azioni si potevano anche non
emettere. La partecipazione dei soci poteva risultare dal libro soci. Per quanto
riguarda le società con azioni quotate, le azioni non potevano essere emesse in
quanto queste società non hanno azioni materiali. Si tratta di semplici
annotazioni elettroniche su una banca dati centralizzata.
Siccome ci può essere la necessità di documentare la titolarità di un’azione, lo
stesso organismo monte titoli rilascia delle certificazioni cartacee in cui si
indica il nome del socio e la partecipazione da egli detenuta.
Abbiamo anche le azioni senza valore nominale, cioè sul titolo non è
indicato il valore nominale delle azioni. Però, se le azioni era prive di valore
nominale, sul titolo deve essere indicato l’ammontare del capitale e il numero
delle azioni in circolazione.
L’art. 2346 prevede un qualcosa che ha creato una serie di problemi
interpretativi. Il 6° comma dice: “Resta salva la possibilità che la società, a
seguito dell’apporto da parte di soci o terzi, anche di opera o servizi, emetta
strumenti finanziari, forniti di diritti patrimoniali o amministrativi, escluso il
diritto di voto. […]”.
Gli strumenti finanziari non danno diritto di voto perché la controprestazione a
fronte della quale essi sono emessi non fa parte dei conferimenti alla società,
non è quindi parte del capitale sociale.
Art. 2351, 5° comma: “Gli strumenti finanziari di cui all’art. 2346 possono
essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati. Può
essere riservata la nomina di un componente indipendente del consiglio di
amministrazione, di sorveglianza o di un sindaco […]”.
In generale è escluso il voto, però in certi casi specifici si può attribuire questo
diritto.
I diritti patrimoniali degli strumenti finanziari partecipativi hanno diritto ad
una quota dell’utile di esercizio. Può essere quindi una quota di utile
Es: Immaginiamo vengano emessi strumenti finanziari part. Che danno diritto a
10 euro all’anno sull’utile di esercizio. La somma dell’utile è di 20 mila euro.
immaginiamo che una società abbia un utile distribuibile di 25 mila euro. i
20mila euro vanno ai portatori degli strumenti finanziari e i soci si dividono i
5mila restanti. - Ipotizziamo ora che la società abbia 18mila euro di utile
distribuibile e gli strumenti finanziari danno diritto di incassare 20mila euro.
Cosa succede? Anche i diritti patrimoniali degli strumenti finanziari
partecipativi sono legati all’andamento della società. I 18mila euro se li
dividono i portatori degli strumenti finanziari e i soci nulla.
Quali potrebbero essere gli strumenti partecipativi? Potrebbe attribuire ai
portatori dei diritti di controllo e verifica; possibilità di essere presenti in
assemblea ecc….
La circolazione di questi strumenti dipende dallo statuto ma tendenzialmente si
può immaginare che circolino liberamente. Potrebbero essere emessi al
portatore? Si.
Obbligazioni titoli che rappresentano un credito nei confronti della società.
Anche esse danno dritto ad un interesse ma non danno diritto al voto. Esse
hanno un limite all’emissione (che però non opera per quanto riguarda gli
strumenti finanziari partecipativi).
La società può emettere categorie particolari di azioni. Alcune sono previste già
per legge:
- Azioni correlate (art. 2350): azioni emesse in relazione ai risultati di un
determinato settore dell’attività sociale. Es: una società ha due rami di
impresa, con una produce bici e con l’altra telai per le bici. La società può
emettere azioni il cui rendimento è legato al ramo d’azienda “vendita
telai”. Partecipa quindi agli utili in relazione e in proporzione alla quota di
utili prodotta dal ramo d’azienda che vende telai. Se il ramo d’azienda
che produce telai fa utile ma l’altro ramo ha delle perdite che assorbono
quegli utili, la cosa va male.
- Azioni di godimento: azioni che hanno uno specifico motivo di
emissione. Es: immaginiamo una società in cui venga decisa una
riduzione del capitale effettiva, che comporta cioè il rimborso ai soci dei
loro conferimenti o la liberazione dei conferimenti non ancora effettuati.
Si riduce il valore nominale delle azioni per tutti ma può anche succedere
che si decida di rimborsare solo alcune partecipazioni, magari per
sorteggio. Viene decisa una riduzione del capitale con rimborso per alcuni
soci per sorteggi. Se viene decisa all’unanimità non ci sono problemi. Se
viene decisa a maggioranza alcuni soci si oppongono. Si può introdurre
come correttivo l’emissione delle azioni di godimento che servono per far
tenere un piede in società ai soci le cui azioni sono state rimborsate.
Hanno una disciplina particolare: non danno diritto di voto; danno diritto
di partecipare agli utili come se fossero soci normali? Si presume che
abbiano ricevuto una somma che frutta qualcosa. Il nostro ordinamento
prevede un indice astratto chiamato “interesse legale”, cioè l’interesse
minimo usato per calcolare i danni di risarcimento ecc…. immaginiamo
che il tasso sia lo 0,75%. Se ho ricevuto indietro i conferimenti, la logica è
che io tragga dal mio investimento almeno lo 0,75%. Se c’è un utile,
partecipo con gli altri ma prima deve essere riconosciuto ai soci effettivi
un utile pari al tasso legale di interesse. Anche i soci hanno avuto un
importo pari a quello che avrebbero avuto se avessero investito i soldi.
Una volta che ai soci è stato pagato un utile pari agli interessi legali,
l’utile restante si divide tra tutti. La società arriva allo scioglimento,
siamo in sede di liquidazione. Cosa succede? Prima si rimborsano i
conferimenti agli altri soci e se rimane un residuo attivo se li dividono.
L’art. 2349 può consentire anche l’emissione di azioni a favore dei prestatori
di lavoro.

CIRCOLAZIONE DELLE AZIONI


C’è stato un chiarimento opportuno del legislatore perché prima della riforma il
meccanismo previsto era quello della girata (lo è ancora ma gli effetti sono
diversi): il proprietario di un titolo si legittimava nei confronti dell’emittente
attraverso una serie continua di girate. La girata era un passo necessario ma
non sufficiente per la legittimazione. Bisognava presentarsi in società con la
girata, si iscriveva il nuovo socio nel libro soci e dopo l’iscrizione il socio era
legittimato a tutti i diritti patrimoniali. Con la riforma, la girata stessa legittima
il socio e la società deve iscrivere al libro soci e se non lo fa, il socio ha
comunque diritto ad esercitare i vari poteri economici e amministrativi legati al
titolo.
Può sorgere qualche problema legato ai limiti di circolazione delle azioni. La
legge prevede che lo statuto, per quanto riguarda le azioni nominative, può
prevedere alcuni limiti alla circolazione. I limiti classicamente presenti negli
statuti delle società possono essere di 2 tipi:
1. Diritto di prelazione: riconosce ai soci in caso di vendita delle azioni da
parte di un socio, la possibilità di acquistarle loro alle condizioni previste
dalla vendita. Es: sono socio al 10% di una società e desidero vendere le
mie azioni. Un signore è disposto a pagarmele 50mila euro. gli
amministratori informano gli altri soci i quali devono dire se sono
interessati a comprarli loro oppure no. Bisogna di solito prevedere che i
soci possano dire che se c’è qualcuno non interessato comprano essi
stessi anche le altre oppure prevedere che se c’è una discrepanza tra il
valore dell’offerta e quello che i soci credano sia il valore effettivo
dell’azione ci sia un meccanismo di verifica ecc….
2. Clausola di gradimento: dice che in caso di alienazione il socio
venditore deve comunicare agli amministratori il nome dell’acquirente.
Dopo di che o gli amministratori, o i soci o altri stabiliti dallo statuto
possono esprimere o rifiutare il gradimento all’acquirente. Quale è il
problema che pone una clausola di gradimento? Se un socio non trova un
acquirente gradito rischia di rimanere per sempre prigioniero della sua
partecipazione. C’è stato un intervento legislativo. Ci può essere una
clausola di gradimento che prevede quali criteri deve rispettare un
soggetto per essere un acquirente gradito. Ci sono però clausole di
mero gradimento, cioè si tratta di un gradimento a discrezione e in
questo caso il rischio di prigionia è un rischio serio. È stato previsto che
se vi è una clausola di mero gradimento questa è valida a condizione che
o la società acquisti le azioni proprie, o le comprino i soci, oppure che
l’organismo che rifiuta il gradimento trovi lui un acquirente gradito che si
impegna ad acquistare le azioni.
Si può inserire un limite alla circolazione nelle azioni durante la vita della
società? Per le modifiche statutarie è competente l’assemblea straordinaria.
Questa però è una modifica di una particolare gravità. Si può fare a
maggioranza o ci vuole l’unanimità? Per lungo tempo, fino alla riforma, la
giurisprudenza richiedeva per l’inserimento di limiti alla circolazione
l’unanimità. La riforma ha risolto il problema in un modo un può deviato,
prevedendo all’art.2437 che i soci che votano contro, o si astengono o sono
assenti a delibere relative alla circolazione di azioni hanno diritto di recesso. E
se si vuole cancellare una clausola di limitazione alla circolazione delle azioni?
Oggi il problema non si pone più.

PEGNO E USUFRUTTO SULLE AZIONI


Le azioni possono essere date in pegno o cedute in usufrutto.
L’art. 2342 parla di pegno, usufrutto e sequestro.
Chi esercita il diritto di voto? Di solto è esercitato dall’usufruttuario o dal
creditore pignoratizio.
Es: la società delibera un aumento del capitale a pagamento. Cosa succede? A
chi spetta la sottoscrizione e il pagamento del nuovo aumento del capitale, al
nudo proprietario o all’usufruttuario? Al nudo proprietario, è lui il socio e se
vuole mantenere la percentuale paga e sottoscrive l’aumento del capitale.
L’usufrutto e il pegno si estendono alle nuove azioni così liberate? No, sono
nuove e sono state pagate dal nudo proprietario con i suoi soldi. Se il nudo
proprietario non intende sottoscrivere l’aumento del capitale e i diritti di
opzione hanno un certo valore, allora vengono venduti sul mercato.
Sulle azioni di nuova emissione si estende il pegno e l’usufrutto oppure no? Si,
in quanto in questo caso non c’è un nuovo conferimento.
Es: l’usufrutto è su azioni non liberate. Gli amministratori chiedono il
versamento. Il legislatore distingue tra creditore pignoratizio e usufruttuario.
Chi deve provvedere a ciò? il debitore, almeno 3 giorni prima della scadenza.
Se non lo fa le azioni vengono vendute in danno del debitore e quindi il
creditore pignoratizio si rifà sui proventi della vendita delle azioni.
L’usufruttuario paga lui gli eventuali versamenti ma ha diritto di farseli
restituire alla scadenza dell’usufrutto in quanto alla fine dell’usufrutto, le figure
di nudo proprietario e usufruttuario si riuniscono e il socio si trova ad avere
delle azioni interamente liberate, da restituire.
ACQUISTO DI AZIONI PROPRIE (art. 2357 ss.)
È opportuno che il legislatore si occupi del fatto che una società acquisti delle
azioni proprie? Un primo problema riguarda una questione di potere di voto.
Cosa succede se non c’è nessuna regolamentazione che parla dell’acquisto di
azioni proprie? La società è libera di acquistare azioni proprie. Chi lo decide? La
maggioranza.
Gli amministratori sono competenti per l’acquisto delle azioni, che si trovano
nel patrimonio della società. Chi ha la rappresentanza della società? Gli
amministratori, i quali sono loro che voterebbero. Gli amministratori potrebbero
conquistare il controllo della società con i soldi dei soci. Un primo problema è
che l’acquisto delle azioni è un meccanismo che può spostare il potere
nell’ambito della società utilizzando fondi della stessa società.
Altro problema: immaginiamo una situazione in cui abbiamo una società ha un
capitale di 2mila, un attivo patrimoniale di 3mila e un debito di 1000. Utilizza
1000 dell’attivo per comprare 1000 del capitale. Il capitale e il debito
rimangono tali. L’attivo patrimoniale risulta composto da 2000 + 1000 (azioni).
In realtà non cambia granché la situazione ma cambia la natura dei beni che
compongono il patrimonio sociale. Una parte dei beni è stata utilizzata
(denaro), ma al posto del denaro c’è la partecipazione.
È certo che l’acquisto delle azioni proprie comporta una modifica del profilo di
rischio della società. Un altro problema è evitare che gli amministratori usino
questo tipo di operazioni per fare delle speculazioni che non siano del tutto
coerenti.
Che fa il legislatore per correggere questi problemi?
- 1° problema spostamento di potere dai soci agli amministratori. È
vero che gli amministratori sono espressione della maggioranza, ma
come si fa ad evitare il rischio che gli amministratori si mettano a
controllare la società utilizzando i soldi di questa? La decisione
sull’acquisto di azioni proprie è dell’assemblea ordinaria. Vi sono 18 mesi
per gli amministratori per procedere all’acquisto, altrimenti occorre una
nuova autorizzazione dell’assemblea. Gli amministratori sono espressione
della maggioranza. Su cosa si può ancora intervenire? Sul diritto di voto.
Il legislatore ha previsto che intanto che le azioni sono di proprietà della
società il diritto di voto è sospeso e quindi gli amministratori non possono
esercitare il diritto di voto su quelle azioni. Chi decide se, a chi vendere e
quando vendere queste azioni? Il legislatore prevede che sia una
decisione dell’assemblea.
Togliendo quella percentuale di azioni dal diritto di voto, aumenta in
proporzione la percentuale di voto degli altri soci.
- 2° problema rischio patrimoniale; tutela dei creditori. Dal punto di
vista patrimoniale cosa si può fare? Occorre operare, da una parte, sulla
solidità patrimoniale e dall’altra sui fondi che posso utilizzare per fare
operazioni di questo genere. Con che fondi posso acquistare azioni
proprie? Devono essere o utili conseguiti e non distribuiti o riserve
disponibili. Devono quindi essere fondi che non hanno alcun vincolo di
destinazione.
L’acquisto di azioni proprie comporta un qualche rischio (es: si
svalutano). La legge impone che per tutto il periodo in cui ho in
portafoglio azioni proprie ci sia al passivo di bilancio una riserva
appostata per un importo pari al prezzo di acquisto delle azioni proprie.
Dal punto di vista patrimoniale la società deve avere un suo equilibrio,
indipendentemente dalle azioni proprie in portafoglio. Anche se le azioni
si svalutano del tutto, non c’è un impatto sul patrimonio della società
perché è compensato dalla riserva al passivo.

La società sottoscrive azioni proprie es: aumento di capitale pagamento. La


società ha in portafoglio delle azioni proprie. C’è il diritto di opzione dei soci.
Può la società sottoscrive la quota di aumento di capitale a pagamento
corrispondete alla partecipazione che ha in portafoglio? L’art. 2357-quater,
1° comma dice: “Salvo quanto previsto dall’art. 2357-ter, 2° comma, la società
non può sottoscrivere azioni proprie”. Il 2° comma dice: “Finché le azioni
restano in proprietà della società, il diritto agli utili e il diritto di opzione sono
attribuiti proporzionalmente alle altre azioni. Il diritto di voto è sospeso […]”.
La sottoscrizione di azioni proprie è vietata. Quindi, l’art. 2357-quater non
è corretto.
Il legislatore individua alcuni casi particolari in cui i limiti all’acquisto di proprie
azioni sono derogati (es: quando le azioni arrivano da una donazione o a causa
di una successione, purché siano deliberate oppure quando sono acquistate a
seguito di un’esecuzione per il pagamento di un credito della società).
Es: gli incauti soci promotori in sede di costituzione o gli amministratori in corso
di vita della società sottoscrivono le azioni proprie, in violazione del divieto.
Qual è la sanzione ideale in questo caso? È il socio o l’amministratore che paga.
Non è la società a pagare per la sottoscrizione.
Ci sono altre operazioni che si possono fare (es: concessione di prestiti,
finanziamenti ecc…). Sono consentite ma con una serie di cautele. Questo
anche perché ci possono essere delle operazioni in cui l’effetto indiretto può
essere quello di una garanzia della società.
Questa operazione di acquisto di azioni proprie si può fare anche utilizzando
due società. Se abbiamo un unico socio di controllo, si tratta di un sistema per
recuperare molti soldi e mantenere il controllo della società.
Più problematico se non c’è un controllo comune.
Un caso simile è successo in America (tema delle partecipazioni incrociate): Il
presidente di una società che lavorava negli armamenti decide che ci sono
opportunità di sinergia con un’altra società nello stesso settore. Va a trovare il
presidente dell’altra società, che rifiuta questa trattativa. Il presidente della
prima società lancia un’offerta pubblica di acquisto sulle azioni della seconda.
L’altro lancia un’offerta pubblica di acquisto sulle azioni della prima. Esito di
queste due offerte B acquisisce il 51% di A; A acquisisce il 51% di B. Chi ha
vinto? Il primo che riesce ad ottenere una convocazione dell’assemblea. Nel
momento in cui, io che posseggo B ottengo la convocazione dell’assemblea di
A, revoco i suoi amministratori e metto i miei. A questo punto non mi interessa
della maggioranza. Nel caso specifico, ha vinto il 2° perché la sua società (B)
era registrata in uno stato che richiedeva per la partecipazione in assemblea il
possesso delle azioni per il periodo di qualche mese prima. Il 2° ha potuto
convocare l’assemblea della prima per primo. C’è stato un seguito. È arrivata
una terza società che ha vinto su entrambe.
I limiti all’acquisto di proprie azioni si applicano anche all’acquisto di azioni
della società controllante da parte della società controllata.

Art. 2497 ss. gruppi di società.


A: capogruppo (holding gestisce le partecipazioni in B e C). Ha due società
figlie, B e C. In entrambe ha la maggioranza del capitale (51%). Sia in B che in
C ci sono altri soci. B produce biciclette ed ha un utile di esercizio +100. C si
occupa di commercializzazione ma funziona meno bene e quindi perde ogni
anno -50. A, che nomina le cariche sociali di B e C, pensa di stipulare un
contratto di servizi tra B e C, in base al quale C fornisce un servizio specifico a
B a fronte di un corrispettivo di 50. Così facendo, B chiude l’esercizio con + 50
e C chiude l’esercizio in parità (0). Qual è il risultato per il gruppo? C’è un
vantaggio fiscale: B su 100 pagherebbe circa 30 di tasse; C non pagherebbe
nulla e non recupererebbe nemmeno le perdite. In questo modo all’interno del
gruppo non cambia granché e B pagherebbe di tasse la metà di quello che
avrebbe pagato prima. Il gruppo avrebbe un risparmio fiscale di 15. C’è qualche
problema? I soci di minoranza di B dicono che metà del loro utile glielo stanno
portando via. Applicando la normativa tipica delle S.p.A. Ci sarebbe un
problema: una norma, l’art. 2391, sanziona il conflitto di interessi degli
amministratori. Per conto di A, gli amministratori di B hanno un conflitto di
interessi con la loro società. In questo modo gli amministratori, seguendo le
indicazioni di A portano un vantaggio al gruppo ma un danno alla loro società e
quindi sarebbero sanzionati. I soci di minoranza di B non sarebbero contenti e
tantomeno i creditori di B. se non ci fosse una disciplina specifica, questo tipo
di comportamento sarebbe sempre sanzionato.
Il legislatore ha introdotto la disciplina dei gruppi non per vietare certi
comportamenti ma per consentirli in determinati casi. La disciplina ampia le
possibilità del gruppo di fare una politica che abbia un senso per il gruppo
stesso.
Il principio generale applicato e disciplinato dall’art. 2497 prevede che certi
comportamenti che portano vantaggio al gruppo ma danneggiano una o più
società del gruppo sono ammessi a condizione che le società danneggiate dal
comportamento, ricevano dall’appartenenza al gruppo qualche vantaggio che
compensi il danno che subiscono dall’appartenenza del gruppo.
Premesso che i gruppi possono assumere vesti diverse, il meccanismo che
porta alla nascita del gruppo è il controllo. Si ha un gruppo quando una società
ne controlla un’altra. Un gruppo minimo è costituito da 2 società: A controlla B.
Quando si ha il controllo societario? L’art. 2359 individua diverse modalità di
controllo.
 La prima forma di controllo si ha quando un ente dispone della
maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria di un’altra
società. Avere quindi la possibilità di esercitare il voto per la maggioranza
delle azioni nell’assemblea ordinaria.
 La seconda forma di controllo si ha nel seguente caso: società in cui
un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza
dominante nell’assemblea ordinaria. [Quando si esercita una funzione
dominante? es: c’è un’assemblea per la nomina degli amministratori e si
ottiene una maggioranza. Si può dire che quella maggioranza esercita
una funzione dominante? Non necessariamente deve crearsi una
situazione in cui si identifichi una maggioranza dominante stabile].
 La terza forma di controllo riguarda un controllo non azionario, cioè si
ritengono controllate le società che sono sotto l’influenza dominante di
un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. è un
controllo basato sul potere economico. [Una società che lavora e che è
economicamente dipendente di un altro soggetto si può ritenere che sia
sotto il controllo esso].
Una delle conseguenze dei contratti troppo invasivi sulla vita delle
società finanziate potrebbe essere ritenuta una forma di controllo, con
delle conseguenze per la banca.
 L’art. 2359 identifica le società collegate, cioè le società nelle quali
un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume
quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno 1/5 dei
voti, ovvero 1/10 se la società ha azioni quotate nei mercati
regolamentari.
La disciplina dell’acquisto di azioni proprie si può fare con una società sola o
con più società. Gli artt. 2359 bis, ter e ss. applicano la stessa disciplina di
acquisto di azioni proprie nel caso in cui una società acquisti partecipazione
della controllante.

ASSEMBLEA
Nella S.p.A. tradizionale sono previsti tre organi specifici:
- Assemblea
- Amministratori
- Collegio sindacale (organo di controllo interno)
C’è spesso un organo di controllo esterno che è il revisore contabile. Con il
sistema tradizionale di amministrazione e controllo è obbligatoria la presenza
del revisore contabile per tutte le società che fanno ricorso al capitale di
rischio. Nei sistemi alternativi di amministrazione e controllo (dualistico e
monistico) è obbligatoria la presenza del revisore contabile.
L’assemblea è un organo sovrano della società nel momento in cui nomina le
cariche sociali e nel momento in cui le revoca. Altrimenti, l’organo operativo
più importante è l’amministrazione.
L’assemblea è unica ed opera in sede ordinaria e straordinaria. Ci possono
essere delle categorie di azioni che votano solo in una delle assemblee.
Quali sono le competenze delle assemblee? L’art. 2364 parla dell’assemblea
ordinaria, le cui competenze sono:
- Nomina dei gestori, amministratori;
- Eventuale revoca degli amministratori;
- Approvazione del bilancio;
- Nomina degli organi di controllo;
- Nomina del revisore contabile, se necessario;
- Determinazione dei compensi per gli amministratori e i sindaci;
- Responsabilità nei confronti degli amministratori nel caso in cui ritenga
che essi non hanno rispettato l’interesse della società.
Quanto è probabile che l’assemblea si rivolti contro le persone che ha
nominato? Molto poco.
- Delibera sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il
compimento degli atti degli amministratori, ferma in ogni caso la
responsabilità di questi per gli atti compiuti.
Quanto può intervenire l’assemblea sulla gestione della società? Può uno
statuto prevedere che certe decisioni di gestione debbano essere prese
dall’assemblea? Si è sempre detto che la gestione, in via esclusiva, spetta agli
amministratori. Però, la legge stessa prevede che possano essere stabilite in
statuto delle autorizzazioni a determinati atti da parte degli amministratori,
salvo l’acquisto e la vendita di beni immobili per cui è necessaria
un’autorizzazione dell’assemblea. Quali sono le conseguenze? Ci sono diversi
profili di responsabilità tra cui la responsabilità verso la società e verso i
creditori sociali. Per quanto riguarda i creditori, il danno deve essere tale da
impedire il soddisfacimento dei loro crediti. Presupposto rimane sempre la
violazione dei loro specifici doveri e requisiti di professionalità, prudenza ecc…
Es: immaginiamo che ci sia un’operazione su un bene immobile che
l’assemblea autorizza. Mettiamoci nei panni degli amministratori. Alla luce
dell’ultimo comma dell’art. 2364 sappiamo che se compiono l’azione sono
responsabili. Se non la compiono sono responsabili o no? gli amministratori non
sono obbligati a compiere quell’atto. Se l’acquisto dell’immobile era una
grande opportunità per la società perchè c’era già un acquirente pronto a
pagarlo di più, il mancato acquisto comporta un danno per la società. Chi può
lamentarsi dell’inattività della società? La società stessa. Eventualmente, se il
danno che ne deriva è elevato e comporta seri problemi, anche i creditori
sociali. L’amministratore che non si adegua è libero di farlo ma corre un rischio
di responsabilità.
Es: l’amministratore compra l’immobile, senza fare ulteriori verifiche, che però
poi crolla e c’è un danno rilevante. Verso chi è responsabile l’amministratore? È
certamente responsabile verso i creditori. Sulla responsabilità nei confronti
della società si discute parecchio perché è vero che sono sempre responsabili
per i fatti compiuti ma nel caso specifico erano stati autorizzati dalla società
stessa a farlo.
Le competenze dell’assemblea straordinaria sono più generiche:
- Delibera su tutte le modificazioni statutarie e su altri argomenti che altre
norme di legge attribuiscono all’assemblea straordinaria.
Come opera l’assemblea? Ci sono dei requisiti di legittimazione per partecipare
all’assemblea. [I soci che hanno diritto di partecipare all’assemblea: se le azioni
sono smaterializzate mediante una certificazione; se le azioni non sono
smaterializzate con un documento che dimostri che è il socio iscritto al numero
socio o se c’è il titolo si legittima attraverso una serie di girate sul titolo o con
una delega].
L’assemblea ha dei quorum diversi a seconda che si parli di società ordinaria o
straordinaria.
L’assemblea ordinaria (prima convocazione) ha un quorum costitutivo:
l’assemblea si considera validamente costituita quando è presente la metà del
capitale sociale. Con che quorum si può deliberare? Con la maggioranza del
capitale presente in assemblea. [Sono possibili particolari modalità per la
nomina delle cariche sociali]. Se non è presente la metà del capitale sociale,
l’assemblea può essere riconvocata. Tra la prima e seconda convocazione
devono passare almeno 24 ore. La seconda convocazione non ha un quorum
costitutivo ma solo un quorum deliberativo. La seconda convocazione delibera
a maggioranza del voto dei presenti, qualunque sia il numero dei soci o la
percentuale di capitale sociale rappresentata in assemblea.
È più importante l’assemblea ordinaria perché si deve tenere ogni anno per
l’approvazione del bilancio ed ogni 3 anni per la nomina delle cariche sociali.
L’assemblea straordinaria sulle modifiche dello statuto può non essere mai
convocata. Quando questa è convocata, le questioni sono piuttosto rilevanti.
È possibile modificare statutariamente i quorum dell’assemblea ordinaria?
Tipicamente è un atto interno. Una norma dice che possono essere previste
particolari modalità per la nomina delle cariche sociali. La legge dice che non
sono ammesse maggioranze qualificate per l’approvazione del bilancio e per la
nomina delle cariche sociali nell’assemblea di seconda convocazione. Non è
vietato inserire quorum particolari nell’assemblea ordinaria in prima
convocazione. Serve a qualcosa? No, è del tutto inutile. Il legislatore vuole
ridurre al massimo i problemi per la nomina delle cariche sociali, facendo così
un favore alle maggioranze.
Che risultato può cercare di ottenere una minoranza come forma di sua tutela?
Avere una sua presenza nel consiglio di amministrazione.
Con ogni azione si può indicare un solo amministratore.
Per quanto riguarda l’assemblea straordinaria si distingue fra società che fanno
ricorso al mercato di capitale di rischio (società quotate) e società che non
fanno ricorso (società chiuse).
Per quanto riguarda le società chiuse in prima convocazione l’assemblea
straordinaria non ha un quorum costitutivo ma solo deliberativo. Delibera con
la maggioranza del capitale sociale. Nelle società quotate si introduce un
quorum costitutivo (prima convocazione) che è la metà del capitale. Introduce
però un quorum deliberativo interessante: la deliberazione è presa con il voto
favorevole dei 2/3 dei presenti. Prevedere ciò significa di fatto che i voti della
minoranza valgono il doppio rispetto a quelli della maggioranza.
Nella seconda convocazione le maggioranze sono le stesse. Abbiamo un
quorum costitutivo: 1/3 del capitale + 1 azione. Poi abbiamo un quorum
deliberativo, anch’esso per entrambe le società: il voto favorevole dei 2/3 del
capitale.
Ci sono però dei quorum particolari:
- Oltre 1/3 del capitale per le società chiuse, per lo scioglimento anticipato,
per il trasferimento della sede all’estero ecc…;
- Se la trasformazione della società è eterogenea (passaggio da una
responsabilità limitata ad una responsabilità illimitata) ci vuole il voto
favorevole dei 2/3 aventi diritto ed in più occorre il consenso unanime dei
soci che si ritroveranno in seguito con una responsabilità illimitata;
- 2/3 del capitale per introdurre o rimuovere dallo statuto una clausola
compromissoria.
La convocazione dell’assemblea ha un’importanza rilevante perché l’ordine del
giorno è fondamentale in quanto i soci che partecipano ad una assemblea, non
essendo coinvolti negli atti di gestione, devono essere informati sull’argomento
in discussione.
Il progetto di bilancio deve essere depositato 15 giorni prima dell’assemblea in
modo da prenderne visione.
L’unico modo che i soci hanno di essere informati sull’argomento
dell’assemblea è proprio l’ordine del giorno.
Una voce dell’ordine del giorno è illegittima: non si può discutere in assemblea
un argomento che non sia chiarito in sede di ordine del giorno.
L’avviso di convocazione deve arrivare ai soci in tempo utile per la
partecipazione in assemblea. L’avviso deve essere pubblicato sulla gazzetta
ufficiale o su un quotidiano a diffusione nazionale, almeno 15 giorni prima dello
svolgimento dell’assemblea da parte, normalmente, del consiglio di
amministrazione. Tutti i soci devono potervi partecipare.
Quali sono i soci che possono partecipare all’assemblea? Dipende dalle
categorie di azioni che sono state emesse e dall’assemblea convocata. Se ci
sono delle azioni privilegiate che non danno diritto di partecipazione
all’assemblea ordinaria, allora parteciperanno solo all’assemblea straordinaria.
Chi è legittimato a partecipare? Se le azioni sono smaterializzate c’è l’ente
monte titoli azioni che fornisce ai soci una certificazione da cui risulta la loro
partecipazione azionaria. Se invece le azioni non sono smaterializzate ma
esistono i certificati, allora il titolare dell’azione è colui che risulta dal titolo e
sul titolo c’è una serie continua di girate.
Occorre l’iscrizione al libro soci? Non è necessaria. Dopo la riforma la
legittimazione deriva dal possesso del titolo confermato da una serie continua
di girate. Per cui, il socio che deposita il titolo per la partecipazione
all’assemblea, ha diritto di parteciparvi e la società deve iscriverlo al libro soci.
Esiste però un’eccezione. Quando la società può rifiutare l’iscrizione al libro
soci e la partecipazione di un socio in assemblea? Quando l’aspirante socio lo è
diventato in violazione di una clausola statutaria che limita la circolazione delle
azioni.
Se, per esempio, c’è una clausola di prelazione e il socio venditore non ha
rispettato le modalità di esercizio della prelazione ma ha semplicemente
venduto e girato ad un soggetto terzo, questo soggetto si trova in una
situazione un po’ singolare in quanto ha acquistato validamente la
partecipazione però non è legittimato ad esercitare i diritti di voto e i diritti
patrimoniali collegati all’azione in quanto non può accreditarsi nei confronti
della società perché è stata violata la clausola statutaria di prelazione.
Cosa succede se la clausola di prelazione non è nello statuto ma in un patto fra
i soci? Non rileva nei confronti della società. Quindi in questo caso, il socio
acquirente dell’azione ha diritto di legittimarsi nei confronti della società. Gli
altri soci, a favore dei quali non è stato rispettato il diritto di prelazione avranno
un’azione contrattuale di risarcimento del danno, ma dal punto di vista della
società l’acquirente sarebbe legittimato.
Questo deposito (del titolo o della certificazione) deve avvenire almeno 5 giorni
prima dell’assemblea. Questo per consentire alla società di verificare
l’ammissione del socio all’assemblea.
Nelle società quotate il tempo del deposito è di 2 giorni. È favorita
maggiormente la partecipazione del socio in assemblea.
Una volta convocata e costituita l’assemblea, i soci vi si ritrovano e si ha una
discussione, con il seguente voto.
La maggioranza qualificata non è un sistema accettabile. Bisogna quindi
trovare altre modalità particolari.
È ammesso il voto segreto? Per circa 6 mesi era previsto per le società
quotate come modalità tipica di voto. Il problema del voto segreto è quello
delle invalidità delle delibere. Una delibera viziata può essere impugnata da
certi soci. Una delibera annullabile perché presa non in conformità della legge o
dell’atto costitutivo può essere impugnata dai soci assenti o dissenzienti. Come
faccio però a sapere se i soci sono dissenzienti se il voto è segreto?! Il
meccanismo del voto segreto comporta una serie di problemi e quindi oggi non
è ammesso.
Voto divergente un socio può decidere di votare con parte della sua
partecipazione a favore della delibera e con parte astenersi (o andare contro).
Si può fare ciò o no? la giurisprudenza non è favorevole ed oggi questo voto
non è ammesso.
Perché ad un soggetto può venire in mente di dividere il proprio voto? Una
ragione è quella per cui si tratti di una delibera che può dare diritto di recesso
ai soci.
La verità è che, in concreto, una forma di voto divergente è possibile nei fatti.
Se io ho 1000 azioni di una certa banca e ne deposito solo 500, questa è già in
sé una forma di voto divergente e ciò non è contestato. È pacifico che un socio
possa partecipare in assemblea con solo una quota della sua partecipazione,
senza depositare tutti i suoi titoli.
L’assemblea è presieduta dal presidente della società che guida i lavori. Se
l’assemblea è straordinaria occorre la presenza di un notaio. Quando si tratta di
approvare il bilancio ci sono diverse tecniche: in certe assemblee viene data
lettura integrale del bilancio. Altre volte si vuole privilegiare la discussione e si
propone che il bilancio sia dato per letto (questo è possibile in quanto il bilancio
e i documenti allegati devono essere depositati 15 giorni prima).
Il socio ha diritto di parlare. Ci può essere un regolamento assembleare che
disciplina questo diritto (es: non più di 10 minuti).
Per quanto riguarda la convocazione vi sono delle previsioni specifiche. La
prima è la convocazione su richiesta dei soci tanti soci che rappresentano
almeno il 10% del capitale sociale o il 5% se è una società che fa riscorso al
mercato del capitale di rischio può chiedere agli amministratori la convocazione
dell’assemblea indicando gli argomenti da mettere all’ordine del giorno. Se gli
amministratori non adempiono, questi soci possono fare ricorso al tribunale, il
quale, verificata la legittimità della richiesta, dispone la convocazione.
Verificare la legittimità della richiesta comporta una duplice verifica. Prima se la
percentuale del capitale rappresentato dai soci che fanno la richiesta rispetta i
limiti di legge e la seconda è se gli argomenti posti all’ordine del giorno nella
richiesta di convocazione sono di competenza dell’assemblea.
Altro profilo rilevante è quello dell’assemblea totalitaria, prevista dall’art.
2366, 4° comma. Significa che in assenza della regolare convocazione si può
comunque tenere quando è presente l’intero capitale sociale e la maggioranza
degli organi sociali. In questo caso l’assemblea può deliberare e può fare ciò su
qualunque argomento, sempre nell’ambito di competenza dell’assemblea,
senza che vi sia un ordine del giorno in quanto manca una convocazione
formale. Questo serve per le società con una ristretta base azionaria.
Prima della riforma era previsto che perché vi fosse un’assemblea totalitaria
dovessero essere presenti anche tutti gli organi sociali. Con la riforma si è
invece ritenuto che la maggioranza fosse sufficiente.
Se non sono previsti tutti gli organi sociali, l’art. 2366 prevede espressamente
che debbano essere informati gli assenti dello svolgimento dell’assemblea e
delle deliberazioni prese.
Ciascun socio, in sede di assemblea totalitaria, può opporsi alla discussione di
argomenti sui quali ritiene di non essere sufficientemente informato.
C’è un ulteriore previsione che riguarda l’art. 2374: prevede che su una
assemblea regolarmente convocata e costituita, tanti soci che rappresentano
almeno il terzo del capitale sociale, possono chiedere un rinvio non superiore a
5 giorni per approfondire certi argomenti sui quali non si ritengono
adeguatamente informati. Questo rinvio può esser chiesto una sola volta per
ogni argomento.
Voto per corrispondenza l’art. 2370, 4° comma prevede che lo statuto
possa prevedere il voto per corrispondenza.
Che problemi pone? Per anni la giurisprudenza era contraria all’ammissibilità
del voto per corrispondenza perché viveva nel mito della discussione
assembleare, cioè un incontro tra saggi che discutono delle sorti della società e
a seguito della discussione esprimono il loro voto. Il voto per corrispondenza
prescinde dalla discussione e dalla effettiva partecipazione all’assemblea.
Questo può comportare un problema. Immaginiamo che a seguito della
discussione in assemblea cambi il progetto di delibera e che insieme
all’approvazione del bilancio ci sia una delibera sulla distribuzione del
dividendo. Abbiamo quindi una proposta del consiglio di amministrazione. Chi
vota per corrispondenza ha una scelta secca. La vera difficoltà del voto per
corrispondenza è l’eventuale cambiamento dell’ipotesi di delibera. Sarebbe
bene che lo statuto, nel momento in cui prevedesse il voto per corrispondenza,
prevedesse anche i limiti al mutamento della delibera.
Abbiamo poi un altro problema che è quello delle cosiddette assemblee
speciali. Se abbiamo diverse categorie di azioni può anche capitare che una
deliberazione dell’assemblea arrechi dei danni ad una specifica categoria di
azioni.
In questo caso la legge, all’art. 2376, prevede che le decisioni di un’assemblea
che danneggiano i diritti di una particolare categoria di azioni e, se sono stati
emessi degli strumenti finanziari partecipativi la disciplina si applica anche ad
essi, prima che diventi definitiva deve essere approvata anche dai soli soci
della categoria danneggiata in una loro assemblea che è governata dalle regole
dell’assemblea straordinaria. Quindi, se viene proposta una delibera che può
danneggiare i diritti di un’altra categoria deve essere poi approvata
dall’assemblea speciale.
Un altro tema è quello della rappresentanza in assemblea, cioè della possibilità
che il socio ha di delegare qualcuno che partecipi in suo nome o in suo conto
all’assemblea della società.
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non può essere
vietata la possibilità di delega. Nelle società chiuse si può anche prevedere il
divieto di delega. Questo per evitare che la delega venga data a degli avvocati
o dei tecnici che creano poi problemi alla gestione della società. Normalmente
il divieto di delega è fatto a danno della minoranza.
Chi non può essere delegato? Gli organi sociali (amministratori, sindaci o
dipendenti della società), le società controllate e gli amministratori, i sindaci o i
dipendenti di queste società.
Prima della riforma era vietata anche la delega alle banche.
Il vincolo generale è che tipicamente può essere data pe runa sola assemblea,
seppur per diverse convocazioni. Nelle società chiuse si può prevedere la
delega aperta a diverse assemblee mentre nelle società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio no.
Ci sono anche dei limiti quantitativi in quanto non si possono raccogliere
deleghe per tutti. Non si può avere deleghe per un numero maggiore a 20 soci
nelle società chiuse, mentre, nelle società che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio c’è uno scaglione: non più di 50 soci fino a 5milioni di euro
del capitale sociale; non più di 100 fino a 25milioni di euro del capitale sociale;
oltre i 25milioni il limite è 200.
Vi sono alcune questioni che non possono essere oggetto di delega:
- Aumento di capitale;
- Redazione del progetto di bilancio;
- Riduzione del capitale per perdite;
- Redazione del progetto di fusione o scissione della società.

CONFLITTO DI INTERESSI DEI SOCI


Prima della riforma l’art. 2373 prevedeva che il socio in conflitto di interessi
con la società non poteva votare nell’assemblea. Non c’era sanzione per il
socio che invece votava.
Con la riforma, per rafforzare il concetto che il socio è libero di fare ciò che
vuole, è scomparso il divieto di voto. Però, se la delibera viene presa con il voto
determinante del socio in conflitto di interessi e può arrecare danno alla
società, può essere annullata. Due sono i requisiti:
- Possibile danno alla società;
- Voto determinante del socio in conflitto di interessi.
Uno dei cardini della riforma è il passaggio da una tutela reale ad una tutela
obbligatoria. Ci sono dei casi in cui una delibera, pure viziata, non è annullabile
se non viene impugnata da tanti soci che rappresentano almeno il 5% del
capitale nelle società chiuse o l’1 per mille di capitale delle società aperte. In
questo caso la delibera è valida però i soci contrari hanno diritto al risarcimento
del danno.
In tema di conflitto di interessi dei soci vi è un problema significativo. Se i soci
in conflitto di interessi sono la grande maggioranza e i soci contrari sono il 4%
e la delibera può recare un danno alla società, è ovvio che il voto dei soci in
conflitto di interessi è determinante (96%). Il 4% avrebbe diritto ad un
risarcimento del danno. Come si costruisce questo risarcimento? Il danno del
socio è indiretto (rischia la società). È pacifico che il socio in conflitto di
interessi non è responsabile e quindi non sarà lui a pagare il danno e quindi lo
paga la società, che è il soggetto danneggiato.
Queste scelte del legislatore della riforma si vedono in modo abbastanza
evidente sui casi di invalidità delle delibere assembleari. I vizi possono
essere o di annullabilità oppure di nullità della delibera.
Prima della riforma il legislatore aveva creato un meccanismo molto semplice:
c’erano due tipi di vizi legati alla forma della delibera. Art. 2377 le delibere
prese non in conformità della legge o dell’atto costitutivo sono annullabili,
possono essere impugnate dagli amministratori, dai sindaci, dai soci assenti o
dissenzienti entro un tempo relativamente breve (3 mesi prima della riforma –
90 giorni dopo la riforma).
Vi erano poi le delibere che avevano un oggetto illecito o impossibile. Queste
erano nulle. Potevano essere impugnate da chiunque ne avesse interesse,
senza limite di tempo.
Tutto ciò presentava un piccolo problema.
Es: c’è una società di 5 soci. Uno di questi, che sta antipatico agli altri quattro,
si è preso una vacanza. Gli altri 4 si trovano al bar e decidono di deliberare
l’azzeramento del capitale sociale e ricostruire la società con un versamento di
50.000 euro a testa. Il tutto da fare entro 30 giorni. L’altro socio però rientra
dalla vacanza due mesi dopo. Una volta tornato arriva in società convinto di
esserne socio ma in realtà non lo è in quanto è stato azzerato il capitale e
successivamente ricostituito. Cosa succede? L’oggetto della delibera non era
né illecito e né impossibile. Certamente non era stata presa in conformità della
legge o dell’atto costitutivo. Però, essa non è più impugnabile. Entra in scena la
giurisprudenza e dice che oltre alle due fattispecie di nullità e annullabilità ve
ne è una terza, non presente nel codice. Si tratta di quella fattispecie
dell’inesistenza. Quello che i 4 soci hanno fatto non è un’assemblea e quindi
non c’è una delibera in quanto mancavano i requisiti minimi indispensabili
affinché si possa parlare di effettiva società. Nei casi di inesistenza individuati
dalla giurisprudenza si applicano, per analogia, le previsioni per la nullità della
delibera.
Quando si parla di inesistenza o di nullità si parla di fenomeni giuridici. Una
delibera inesistente non è che non c’è e quindi se nessuno la impugna o la
rimuove essa c’è e produce i suoi effetti. Diventa inesistente quando qualcuno,
tipicamente la magistratura, dice che lo è.
L’altro problema è che gli elementi dell’inesistenza li decideva la magistratura.
Quindi, il sistema che nasceva lineare e organico, ma con qualche problema
tecnico, è stato modificato dalla magistratura (importando delle incertezze).
Il legislatore della riforma ha rimesso mano al sistema, da una parte riportando
nell’ambito della nullità le ipotesi principali di inesistenza individuate dalla
magistratura e dall’altra limitando i casi di impugnabilità.
Per quanto riguarda l’annullabilità, art. 2377, i presupposti sono
sostanzialmente gli stessi di quelli prima della riforma. Quindi, un’assemblea
presa in conformità della legge o dell’atto costitutivo vincola tutti i soci, anche
gli assenti o i dissenzienti.
In realtà, se l’assemblea non è presa in conformità della legge o dell’atto
costitutivo può essere impugnata dagli organi sociali o dai soci assenti,
dissenzienti o astenuti.
Ci sono degli ulteriori limiti oggettivi. Una società a cui partecipano soggetti
estranei e votano dei soggetti che non hanno il diritto di voto funziona
regolarmente secondo la legge o l’atto costitutivo? No, sarebbe un’assemblea
impugnabile. Si fa però la cosiddetta prova di resistenza e quindi, una delibera
a cui hanno partecipato estranei o in cui alcuni voti non sono validamente
espressi, non può ugualmente essere impugnata se togliendo i voti degli
estranei o i voti invalidi la delibera sarebbe ugualmente passata.
Se il verbale non è preciso ma da quello che hanno scritto nel verbale si
capisce qual è la delibera e che effetti provoca, allora va bene lo stesso. Il
tempo per l’impugnata è di 90 giorni dalla delibera, oppure se la delibera deve
essere iscritta nel registro delle imprese il tempo decorre dall’iscrizione stessa.
Una delibera invalida può essere sanata, correggendo i vizi, sistemando meglio
il verbale o convocando un’assemblea.
I problemi dell’invalidità sono complicati dal meccanismo che è previsto
dall’art. 2378. Una delibera invalida è impugnata mediante l’atto di citazione.
Immaginiamo che la delibera invalida di cui stiamo parlando è quello della
nomina degli amministratori. I soci che rappresentano più del 5% del capitale
fanno un atto di citazione in tribunale. La sentenza che accerta l’invalidità della
delibera arriva prima o dopo la scadenza del mandato degli amministratori che
secondo i soci di minoranza sono stati nominati invalidamente? Esistono i
cosiddetti provvedimenti d’urgenza. Si può, con lo stesso atto di citazione,
chiedere la sospensione degli effetti della delibera e chiedo che venga sospesa
la delibera in attesa di giudizio.
Art. 2378, 4° comma il giudice designato per la trattazione della causa di
merito, sentiti gli amministratori e i sindaci, provvede sulla sospensione
valutando comparativamente il pregiudizio che subirebbe il ricorrente
dall’esecuzione della delibera e quello che subirebbe la società dalla
sospensione dell’esecuzione della delibera.
Art. 2379 nullità. Il legislatore ha incorporato le cause che erano state
create dalla giurisprudenza per quanto riguarda l’inesistenza. Rimane poi
quella che era la vecchia clausola di nullità che era una delibera con oggetto
illecito o impossibile.
La delibera di nullità può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse ma
dopo 3 anni.
È nulla la delibera che ha oggetto illecito o impossibile però è impugnabile
senza termini solo se l’oggetto della delibera è la modifica dell’oggetto della
società per farlo diventare illecito o impossibile.
Per quanto riguarda la nullità, le ipotesi particolari sono:
- Mancanza di verbale: deve indicare la data, l’oggetto della delibera e
la firma del presidente dell’assemblea. Se manca il verbale lo si può fare
dopo, purché sia prima dell’assemblea successiva.
- Mancanza della convocazione: se invece la convocazione c’è ma non
è fatta da chi avrebbe dovuto farla è assenza di convocazione o no?
Tecnicamente sarebbe una convocazione che non c’è. Però l’art. 2379
dice che non manca se l’avviso, per quanto sia irregolare, viene da un
componente dell’organo giusto (consiglio di amministrazione) ed è
idonea allo scopo (idonea ad avvisare e informare i soci dell’assemblea).
Se c’è la prova che comunque ha raggiunto tutti i soli, la delibera non è
nulla.
Chi ha manifestato il proprio assenso alla delibera non può impugnarla
(cosi come chi lo ha manifestato in qualsiasi modo successivamente).
Ci sono alcune delibere un po’ particolari perché riguardano degli adempimenti
successivi (es: delibere di aumento del capitale, delibere di riduzione del
capitale per distribuzione ai soci…). Per quanto riguarda queste delibere il
tempo per la sanatoria dell’assemblea nulla è molto più breve dei 3 anni in
quanto sono 180 giorni. Se queste delibere sono prese in assenza di
convocazione e non è stata convocata, il termine di decadenza per proporre
l’azione non è più di 180 giorni dalla delibera ma è di 90 giorni
dall’approvazione del bilancio dell’esercizio in cui è stata fatta l’operazione.
Es: alcuni soci deliberano un aumento di capitale, senza convocazione. L’altro
socio torna dal suo viaggio ma nonostante siano passati 180 giorni non sa
nulla. nell’aprile dell’anno successivo viene convocata l’assemblea per
l’approvazione del bilancio. Dal bilancio non può non risultare che il capitale è
stato aumentato. Da quella data ha 90 giorni per impugnare.
Per quanto riguarda le società che fanno ricorso al mercato di capitale di rischio
queste stesse delibere non possono essere impugnate, anche se nulle, dopo
che è stato scritto nel registro delle imprese l’esecuzione della delibera. C’è un
rimedio a favore dei soci assenti o dissenzienti danneggiati da questa delibera:
possono agire per il risarcimento del danno ma non possono chiedere la nullità
della delibera.
La delibera nulla è anche sanabile. Si piò correggere una delibera nulla,
eliminandone gli effetti.

SISTEMI ALTERNATIVI DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO


Il sistema tradizionale è quello che prevede gli organi così distribuiti:
- Assemblea
- Amministrazione
- Collegio sindacale (organo di controllo interno): se c’è un revisore
contabile, il collegio sindacale ha un compito di controllo della legalità. Se
il revisore contabile non c’è, il controllo contabile, oltre al controllo di
legalità generale, spetta al collegio sindacale.
Nel sistema tradizionale il revisore contabile può mancare solo per le società
che non fanno ricorso al mercato di capitale di rischio e che non sono tenute
alla redazione del bilancio consolidato (somma del bilancio delle due società – i
rapporti interni fra le due stesse società).
In tutti gli altri casi (società chiuse che fanno il consolidato e società che fanno
ricorso al mercato di capitale di rischio) deve essere nominato anche un
revisore contabile.
I sistemi alternativi di amministrazione e controllo sono:
- Sistema dualistico (modello tedesco): sistema in cui vengono
rimescolate le competenze degli organi. C’è sempre un’assemblea che
però non nomina più tutte le cariche sociali ma un consiglio di
sorveglianza che provvede lui stesso a nominare gli amministratori
(consiglio di gestione). Il consiglio di sorveglianza approva o meno il
bilancio. È necessaria la nomina di un revisore contabile. È usato in
alcune banche in quanto è un modo interessante per aumentare i posti di
potere.
- Sistema monistico (modello anglosassone): c’è semplicemente il
consiglio di amministrazione, nominato dall’assemblea. All’interno del
consiglio di amministrazione, alcuni consiglieri (che operano in modo
indipendente, senza alcun rapporto con la società) compongono il
comitato per il controllo sulla gestione. C’è il revisore contabile. In realtà,
nel sistema anglosassone, esiste una divisione simile ma il consiglio di
amministrazione è normalmente composto da personalità rilevanti e
consigliano agli amministratori esecutivi come comportarsi.
Gli amministratori sono nominati dall’assemblea, che ne determina i compensi.
Ci possono essere dei compensi particolari per coloro che hanno delle cariche
specifiche (es: rappresentanza). Il consiglio attribuisce poi all’interno del
consiglio stesso i vari poteri. Il presidente può essere nominato direttamente
dall’assemblea oppure dal consiglio. Se p nominato dall’assemblea, la funzione
di presidente non può essere revocata dal consiglio. Se invece il presidente è
nominato dal consiglio, questo può cambiare idea.
Chi non può essere nominato amministratore? L’interdetto, l’inabilitato, il
fallito…
La nomina può avvenire per un periodo di tempo che comunque non può
essere superiore ai 3 anni. Un tempo la norma diceva che restava in carica per
un massimo di tre esercizi. Adesso la norma prevede che è vero che resta in
carica per un massimo di tre esercizi ma l’amministratore cessa con la delibera
che approva il bilancio dell’ultimo esercizio.
Se non vi è la nomina, rimangono in carica gli amministratori precedenti fino
alla nomina dei nuovi.
La regola di legge è che se viene meno un amministratore, per dimissioni, la
sostituzione di esso avviene per cooptazione (viene individuato un soggetto
scelto dai restanti amministratori). Questo resta in carico fino alla prima
assemblea. Dopodiché l’assemblea può decidere di confermarlo oppure ne può
nominare un altro.
Quello che importa è che rimanga in carica la maggioranza dei componenti del
consiglio nominati dall’assemblea.
Se, ad esempio, vengono meno 2 dei 3 amministratori le dimissioni dei due
amministratori non sono operative. Resta in carica l’intero consiglio che deve
provvedere a nominare un’assemblea per la dimissione dei due amministratori.
Le prime dimissioni sono efficaci, le seconde non saranno efficaci e quindi
occorre convocare l’assemblea.
Non è possibile la cooptazione in quanto la maggioranza non può essere
cooptata ma deve essere nominata dall’assemblea.
Es: c’è un consiglio di 5 amministratori, con voto di lista, ed uno è nominato
dalla minoranza. Se non intervengo con un correttivo e per qualche ragione
l’amministratore nominato dalla minoranza viene convinto a dare le dimissioni,
avviene la cooptazione. Una previsione statutaria che garantisca le minoranze
attraverso il voto di lista rischia di non essere sufficiente a dare una garanzia.
Quali sono gli effetti di questa clausola? Se la clausola prevede, nel caso in cui
venga meno anche un solo amministratore, la decadenza immediata del
consiglio, decade. Se non si prevede la decadenza, il consiglio rimane in carica
e sarà il consiglio stesso a convocare l’assemblea per la nomina del nuovo
consiglio di amministrazione.
L’assemblea, o il consiglio di sorveglianza, possono in ogni momento revocare
gli amministratori. Dopodiché si valuta il perchè essi siano stati revocati. Vi
deve essere una giusta causa di revoca.
L’art. 2390 prevede un divieto di concorrenza per gli amministratori (gli
amministratori non possono svolgere un’attività in concorrenza con quella della
società). Questo divieto è però derogabile.
Spesso, un amministratore delegato non è solo tale ma di solito chiede anche
di essere assunto come dirigente. Perché? Non c’è stabilità nella posizione
dell’amministratore delegato (può durare in carica 3 anni). un dirigente, invece,
ha un rapporto di lavoro subordinato, vengono pagati i contributi ecc…. Il
tentativo è quello di cercare di ottenere una stabilità maggiore.
Oggi il cumulo di cariche è ammesso a condizione che in qualità di
amministratore non abbia tutti i poteri.

FUNZIONAMENTO DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE


Se c’è un consiglio, come opera per legge? c’è un meccanismo legale per il
funzionamento del consiglio di amministrazione. Il consiglio è regolarmente
costituito con la maggioranza dei consiglieri in carica e tipicamente delibera a
maggioranza dei presenti alla riunione.
Prima della riforma non era previsto alcun meccanismo per l’impugnativa delle
delibere consigliari. L’unica previsione specifica di impugnativa era legata
all’ipotesi del conflitto di interessi. Di fatto, le previsioni del funzionamento
dell’organo amministrativo non erano sanzionate.
Questa questione è stata risolta dalla riforma che ha disciplinato l’ipotesi
richiamando la previsione dell’annullabilità. Se la delibera del consiglio di
amministrazione non è presa nel rispetto delle formalità previste dalla legge è
annullabile con azione proposta dagli amministratori assenti o dissenzienti e se
la delibera va ad incidere illegittimamente su diritti di terzi, allora può essere
impugnata anche dal danneggiato.
Art. 2391 con la riforma la rubrica è chiamata “Interessi degli
amministratori” [precedentemente “conflitto di interessi degli amministratori”].
Vuol dire che può essere un interesse anche allineato a quello della società.
Prima della riforma il concetto era che l’amministratore che aveva un interesse
in conflitto doveva informare gli altri amministratori e doveva astenersi dal
voto. Il legislatore ha fatto qualche riflessione. Si è reso conto che quello che in
concreto succedeva era che, spesso, se si arrivava ad una delibera con un
amministratore in conflitto di interessi, questo aveva una certa influenza sul
consiglio e ne usciva pulito. Di conseguenza la disciplina attuale prevede che
l’amministratore che ha un interesse proprio deve comunque informare in
modo preciso gli altri componenti del consiglio. Gli amministratori devono
preparare una relazione che illustri perché quell’operazione è utile e opportuna
per la società. Dopodiché si procede al voto e in questo caso l’amministratore
che ha un interesse proprio ha il diritto di voto.
Se siamo di fronte ad un amministratore delegato che avrebbe i poteri di
deliberare o un amministratore unico, a loro è richiesto di astenersi dall’operare
(salvo autorizzazione dell’assemblea).
Può succedere che siano state rispettate tutte le formalità ma nonostante ciò la
delibera presa può arrecare un danno alla società e il voto dell’amministratore
con un interesse particolare è stato determinante per la delibera. In questo
caso la delibera può essere impugnata solo da chi ha votato contro o non era
presente alla delibera.
Quando potrà impugnare la delibera anche chi ha votato a favore? Quando
l’amministratore con un suo interesse, o per terzi, non ha informato gli altri.
La delibera può essere impugnata anche quando non è stata redatta la
relazione che motiva l’acquisto.
L’amministratore che ha un interesse proprio nella delibera, risponde dei danni
alla società.
Ultimo comma art. 2391 è un tema che riguarda le società quotate.

RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI


Il nostro legislatore prevede l’obbligo di avere, per le società, il libro verbale ma
non prevede l’obbligo di scriverci sopra.
La responsabilità degli amministratori non è necessariamente e
automaticamente legata all’insuccesso della società. Questo perché non si
tratta di una responsabilità per le obbligazioni sociali ma è legata ai loro
compiti e alle loro attività.
C’è una sentenza della corte d’appello di Milano del 1994 che dice che il
sindacato sui doveri di diligenza del mandatario (scomparso dopo la riforma)
non implica un apprezzamento di merito sull’opportunità e la convenienza degli
atti di gestione ma solo una verifica se tali atti abbiano superato quel limite
invalicabile oltre il quale gli atti di gestione vanno considerati quanto meno
avventati e imprudenti tali da essere qualificati con giudizio ex ante non
meramente dannosi o inopportuni ma di mera sorte.
Il problema è che la pratica vede queste decisioni ex post, cioè quando il danno
si è già verificato.
Art. 2392, 2° comma: ”In ogni caso gli amministratori, salvo il comma terzo
dell’art. 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti
pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento
[…]”.
Il tema chiave è l’essere a conoscenza. Questo articolo non richiama il comma
sesto dell’art. 2381.
Art. 2381, 3°comma: “Il consiglio di amministrazione determina il contenuto e
i limiti della delega. Può sempre impartire direttive agli organi delegati. Sulla
base delle informazioni ricevute valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo
[…]”.
Il consiglio attraverso la delega non si spoglia dei suoi poteri ed ha una sorta di
potere di controllo.
Il comma 6 prevede una certa rapidità occorre agire informatica.
Prima della riforma era pacifico che ci fosse un obbligo di informazione. Dopo la
riforma, l’espresso richiamo del solo comma 3° dell’art. 2381 lascia aperta una
finestra importante.
Come sempre, la scelta del giudice non prescinde dal caso concreto.
Una volta che la responsabilità c’è, come si agisce? La riforma ha introdotto
delle novità. La prima parte è la stessa (azione sociale di responsabilità: è
l’assemblea ordinaria che può deliberare che, visti certi fatti e comportamenti,
la società stessa possa agire nei confronti degli amministratori).
Chi ha la rappresentanza della società in giudizio contro i suoi amministratori?
In questo caso l’assemblea nomina uno specifico rappresentante che
rappresenti la società in giudizio.
La convocazione dell’assemblea deve consentire ai soci di vere le informazioni
necessarie sull’argomento che si tratta.
C’è un’eccezione: può essere discussa e deliberata anche se non è all’ordine
del giorno, ma solo in una particolare assemblea (assemblea di approvazione
del bilancio). L’assemblea può deliberare purché i fatti che si imputano agli
amministratori si siano verificati nel corso dell’esercizio in cui il bilancio è in
approvazione. Deve trattarsi di qualcosa di nuovo.
La norma continua dicendo che la deliberazione dell’azione di responsabilità
comporta la revoca degli amministratori se è presa con il voto favorevole di
almeno 1/5 del capitale sociale. Se la delibera non è presa è irrilevante il
numero di chi ha votato a favore.
Novità della riforma il legislatore dice che (art. 2393-bis) sono i soci di
minoranza che direttamente propongono l’azione di responsabilità. È previsto
che questa iniziativa possa essere presa non dal singolo socio. I soci che
rappresentano almeno 1/5 del capitale sociale - o 1/40 per quanto riguarda le
società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio - possono proporre
l’azione di responsabilità. Se gli amministratori vengono condannati, il
risarcimento andrà alla società. Se invece, nel frattempo, si sono spogliati di
ogni loro bene, le spese legali le paga la società ai soci. Questo, per il
legislatore, era un modo di tamponare il rischio che i soci fossero restii ad agire
nei confronti degli amministratori. [Nessun investitore ha promosso queste
azioni].
La responsabilità degli amministratori non è solo nei confronti della società. Vi
è anche una responsabilità nei confronti dei creditori sociali. L’ipotesi che può
far scattare l’azione di responsabilità è che gli amministratori abbiano recato
un danno al patrimonio della società. Per l’azione dei creditori si chiede che il
danno sia tale da non consentire più ai creditori di soddisfarsi sul patrimonio
residuo. Il presupposto dell’azione dei creditori è, di fatto, l’insolvenza della
società.
Inoltre, gli amministratori sono responsabili nei confronti dei soci o terzi per i
danni che con il loro comportamento hanno direttamente causato al loro
patrimonio (art. 2395). [Ipotesi della responsabilità da prospetto:
immaginiamo l’ipotesi di una società che viene quotata in borsa. Gli
amministratori nel loro prospetto scrivono che la società ha delle prospettive
interessanti in quanto sul terreno della società si è trovato un giacimento di
metano. In realtà questo giacimento era un posso nero dimenticato e gli
amministratori lo sanno perfettamente. La società viene quotata e diversi
soggetti acquistano le azioni. i soci hanno ricevuto il danno direttamente in
quanto hanno tirato fuori dei soldi per comprare delle azioni che non valevano
nulla].
Tra i controlli interni, oltre al collegio sindacale, vi è la minoranza. il controllo
della minoranza lo troviamo sparso per le norme che disciplinano la S.p.A.
Invece, per quanto riguarda il controllo organico, il collegio sindacale ha questa
particolare attenzione: i sindaci possono essere 3 o 5. Nelle società quotate un
sindaco deve essere esponente della minoranza. Tradizionalmente, i sindaci
avevano un controllo contabile, con un obbligo di riunirsi almeno una volta ogni
3 mesi (con la riforma sono diventati 90 giorni). Con l’introduzione del revisore
contabile, nelle società che non fanno ricorso al mercato di capitale di rischio
può non esserci il revisore esterno. In generale, la funzione di controllo del
collegio sindacale è cambiata: adesso si occupa del controllo di legalità,
efficienza, regolarità dell’amministrazione ecc…. Però, almeno un sindaco deve
essere iscritto all’albo dei revisori contabili. I sindaci vengono nominati
dall’assemblea, durano in carica 3 anni e sono rieleggibili. C’è stato un periodo
in cui il legislatore aveva stabilito che, per le società che avessero un fatturato
ridotto, si potesse avere un solo sindaco.
Oltre ai 3 sindaci effettivi devono essere nominati 2 sindaci supplenti.
Il collegio sindacale presenta un problema di fondo: viene nominato
dall’assemblea e quindi dalla maggioranza che è la stessa che nomina gli
amministratori. Si cerca di limitare questo rischio con una serie di
incompatibilità alla nomina. Non può essere nominato sindaco:
- chi non può essere nemmeno nominato amministratore;
- un parente o un affine entro il 4° grado degli amministratori della società;
- chi ha un rapporto professionale (anche di consulenza) con la società;
- chi ha altri rapporti di natura patrimoniale che possano compromettere la
sua indipendenza.
Un’altra previsione utile per garantire ai sindaci la possibilità di fare il loro
lavoro è la revoca. La revoca è sempre possibile. Se non c’è una giusta causa,
c’è un risarcimento.
La stabilità del collegio sindacale è essenziale, almeno per il mandato.
Non si può escludere la revoca. Questa è possibile ma solo per giusta causa. Ci
fidiamo a lasciare la valutazione della giusta causa a l’assemblea che l’ha
nominato? Non tanto. La giusta causa viene infatti confermata con un decreto
del tribunale. Se la società vuole revocare un sindaco ci vuole la decisione
dell’assemblea che viene sottoposta alla verifica del tribunale e se
effettivamente la giusta causa esiste, il tribunale conferma la revoca.
L’art. 2403 prevede i doveri del collegio sindacale.
L’art. 2406 prevede un compito specifico dei sindaci che è quello di supplire
alle eventuali mancanze degli amministratori.
Un’altra funzione è quello di raccogliere eventuali denunce dei soci,
tipicamente di minoranza, i quali (qualora avessero un sospetto) possono
denunciare il fatto al collegio sindacale: art. 2408. Se il numero dei soci
denunzianti è 1/20 del capitale sociale nelle società chiuse e 1/50 nelle società
che fanno ricorso al mercato di rischio, devono indagare sui fatti e devono
riferirne in assemblea.
Controllo esterno: art. 2409. Questo articolo prevede l’intervento del tribunale
a fronte di una denuncia. I soci (almeno il 10% del capitale sociale nelle società
chiuse e la metà nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio), quando hanno un fondato sospetto che vi siano delle irregolarità nella
gestione della società da parte degli amministratori, possono denunciare i fatti
al tribunale.
I soci presentano la denuncia. A questo punto il tribunale deve agire: convoca
in camera di consiglio gli amministratori per sentire cosa hanno da dire a fronte
della denuncia formulata dal socio di minoranza. gli amministratori si
presentano. Finisce la parte obbligatoria e si biforca l’esito: o gli amministratori
convincono il tribunale che la denuncia è infondata oppure il tribunale non è
convinto. La questione torna in mano al tribunale. Se è convinto archivia la
denuncia e finisce tutto, altrimenti il tribunale nomina un esperto che vada a
controllare la contabilità della società. Vi sono due esiti: se l’esperto non trova
nulla, il tribunale archivia. Altrimenti bisogna valutare quanto rilevanti sono i
danni riscontrati. Nei casi più gravi è il tribunale stesso a nominare un
amministratore giudiziario della società stabilendo nel decreto di nomina la
durata dell’incarico e i poteri che gli vengono riconosciuti. Un potere gli è
riconosciuto dalla legge, cioè proporrà un’azione di responsabilità nei confronti
degli amministratori. L’amministratore giudiziario potrà fare due cose: o è
riuscito, con la sua competenza, a raddrizzare la situazione e quindi
convocherà l’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori oppure, se
nonostante il suo impegno la situazione era troppo compromessa, convocherà
l’assemblea per la messa in liquidazione della società. Se la situazione è ancora
più compressa ed esistono i presupposti per una procedura concorsuale,
porterà i libri in tribunale per il seguito.
C’è un problema: Prima della riforma, l’iniziativa di questa denuncia non era
limitata ai soci ma anche al pubblico ministero. Se i soci, per esempio, non
avevano la percentuale richiesta, potevano rivolgersi al pubblico ministero, che
se era convinto poteva lui stesso presentare la denuncia.
Le cose sono cambiate: la denuncia può essere fatta dal pubblico ministero solo
nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e non nelle
società chiuse (art. 2409).
Qual è l’interesse che questa norma difende? C’è stato un caso, prima della
riforma, in cui il pubblico ministero, che era legittimato per tutte le società,
aveva presentato una denuncia ex. art. 2409 nei confronti di un amministratore
di una società. A fronte della denuncia del PM, i soci della società (il 100% del
capitale) erano tutti a favore dell’amministratore e giustificavano il suo
comportamento. Se si decide che l’art. 2409 è comunque nell’interesse della
minoranza, non può essere proseguito quando tutti i soci sono contro il PM.
Altrimenti, il ruolo del PM diventa importante.
Perché un PM dovrebbe di testa sua dire che ci sono delle irregolarità? Quali
potrebbero essere le conseguenze di una scelta di questo tipo? Pensiamo al
fatto che ci sia una società sospetta di comportamenti illegali che garantiscono
un procedimento d’ufficio, senza nemmeno la denuncia. Il PM indaga. Ci sono
però dei limiti all’indagine che può fare. Il PM, invece di perseguire la strada
dell’indagine penale, prova ad usare l’art. 2409 e dice che ci sono delle gravi
irregolarità e magari ottiene la nomina di un amministratore giudiziario. L’art.
2409 potrebbe essere utilizzato in un modo che non è quello previsto dal
legislatore.
Prima della riforma vi è stato uno scontro significativo, in merito al precedente
caso. Di fronte a questo conflitto, le parti (il tribunale di Milano e la società)
hanno trovato una sorta di intesa: l’assemblea procede alla revoca degli
amministratori denunciati e nomina alcuni esperti che si occupano della
gestione della società e si impegnano a informare il tribunale nel caso
dovessero emergere delle gravi irregolarità. Il tribunale ha sospeso la
procedura dell’art. 2409 e non è andato avanti. Dopo la riforma, da una parte è
stato limitato l’intervento del PM alle società che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio, e poi è stato introdotto il 3° comma che prevede che il
tribunale non ordina l’ispezione e sospende il procedimento se l’assemblea
sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata
professionalità che si attivino senza indugio per accertare se le violazioni
sussistono, riferendo al tribunale sugli accertamenti e le attività compiute .
Le obbligazioni sono dei titoli di credito che la società può emettere a fronte
di apporti, da parte dei soci o di terzi, normalmente in denaro. Rappresentano
un finanziamento, prestito, che o i soci o i terzi o entrambi effettuano nei
confronti della società.
I soci, in caso di perdite, sono i primi a perdere i loro conferimenti.
La remunerazione di un investimento è direttamente proporzionale al rischio.
Prima della riforma le obbligazioni potevano essere emesse solo dall’assemblea
straordinaria della società.
Il legislatore della riforma considera semplici atti di gestione l’emissione delle
obbligazioni.
Questo vale per tutte le obbligazioni tranne quelle convertibili perché possono
essere trasformate in capitale e quindi comportare un aumento del capitale
sociale.
Una società non può emettere obbligazioni liberamente.
Il legislatore ha sempre posto dei limiti all’emissione di obbligazioni, che la
riforma ha significativamente ampliato.
L’assemblea degli obbligazionisti ha diverse competenze:
- Nomina e revoca il rappresentante comune;
- Delibera sulle modifiche delle condizioni del prestito: se la società
propone queste modifiche, è competenza dell’assemblea degli
obbligazionisti accoglierle o respingerle.
Es: la società, in condizioni non brillanti, decide di modificare le
condizioni del prestito eliminando il rimborso. L’assemblea degli
obbligazionisti può respingere la proposta. Se si parla di modifiche delle
condizioni non si può trattare della modifica della causa vera e propria
del contratto. Se non c’è più il rimborso, non basta la maggioranza ma ci
vuole l’unanimità.
- Costituzione di un fondo comune per le spese;
- Altre questioni di interesse degli obbligazionisti;
- Eventuali ipotesi, su iniziativa della società, di ammissioni della società a
procedure concorsuali.
La società, per le obbligazioni che eventualmente possiede lei stesse, non vota
le delibere in cui c’è un conflitto di interesse. È rassicurante per gli
obbligazionisti o no? Se la società possiede delle obbligazioni vuol dire che
l’emissione non è andata benissimo. Chi è più facile si trovi in conflitto di
interesse? Il vero conflitto di interessi che può crearsi è fra gli obbligazionisti e
quegli obbligazionisti che sono anche soci di maggioranza della società.
Non è richiamata la norma sul conflitto di interessi, quindi sull’eventualità che
la delibera sia annullabile.
Se con il voto determinante dei soci di maggioranza della società si prende una
delibera che può arrecare danno agli obbligazionisti si ritiene che questa possa
essere annullata.
Le obbligazioni convertibili prevedono, già all’emissione, che in un
determinato periodo di tempo gli obbligazionisti abbiano una scelta: continuare
a tenere i titoli originariamente emessi oppure conferire il credito in azioni della
società.
Per quanto riguarda l’omissione di obbligazioni convertibili occorre il rispetto
delle condizioni previste per l’emissione di azioni e obbligazioni.
La competenza delle obbligazioni convertibili è dell’assemblea straordinaria. Le
obbligazioni convertibili non possono essere emesse per un importo inferiore al
valore nominale. L’importo deve essere tale da coprire l’aumento di capitale.

Vi sono due tipi di procedimento delle obbligazioni convertibili:


- Obbligazioni convertibili con procedimento diretto: art. 2420-bis. Di
cosa si occupa questo articolo? Vi sono diversi profili di criticità.
Es: la società Fracazzetti S.p.A. emette 10milioni di obbligazioni
convertibili. Il valore nominale di ogni obbligazioni è 1000 euro. Il tasso di
interesse è il 2%. Dal 1° gennaio 2022 sono convertibili in azioni della
società fino al 30 giugno 2022, con un rapporto di cambio di 1:1 (1000
euro di obbligazioni convertibili in 1000 euro di azioni). Che problemi
possiamo riscontrare? Gli obbligazionisti hanno diritto di trasformare le
loro obbligazioni in azioni. ma le azioni dove sono? Devono sapere di
poterle avere. Quindi, contestualmente all’emissione delle obbligazioni la
società deve deliberare un aumento di capitale per un importo pari al
massimo di tutte le conversioni possibili. Sottoscrivo ieri le obbligazioni.
In questo caso dovrebbero deliberare un aumento di capitale fino a 10
milioni. La società deve predisporre degli strumenti per poter consentire
agli obbligazionisti, in quel periodo di tempo, di avere le azioni. Il 1° luglio
2022 gli amministratori faranno i conti. Saranno gli amministratori che
prenderanno atto che metà delle obbligazioni sono state convertite e
quindi l’aumento del capitale sarà di 5 milioni. La delibera ha avuto
parziale esecuzione e si chiude il tutto. Il capitale della sociale è quello
originario + 5 milioni. Quali sono gli altri problemi? Se le azioni sono
convertibili tra 5 anni, evidentemente la società non sarà la stessa. Se le
cose sono andate bene convertirò, altrimenti ho le mie obbligazioni. Se la
società va molto male, subirò le stesse conseguenza degli altri creditori.
Da qui a 5 anni possono succedere delle cose, alcune che dipendono
anche dalla volontà della società.
Mettiamo che, nell’esempio fatto precedentemente, le cose vanno male
al punto che la società è costretta a dimezzare il proprio capitale.
Delibera una riduzione del valore nominale delle azioni. Le azioni ora
valgono 500 l’una (non più 1000). Le ipotesi di conversione, a questo
punto, sono due:
1. Per ogni obbligazione avremo due azioni
2. Per ogni obbligazione da 1000 avremo un’azione da 500
Quale sceglieremo, 1 o 2? La 2. Cosa succede se applichiamo 1? Il
rapporto è 1:1, quindi se metto un’obbligazione da 1000 per due azioni
da 500 il rapporto resta 1:1. Quindi utilizzando questa opzione il rapporto
di cambio rimane uguale e la norma non richiede ciò. l’unico modo per
modificare il rapporto di cambio è l’opzione 2.
Art. 2420-bis: “Fino a quando non siano scaduti i termini per la
conversione, la società non può deliberare né la riduzione volontaria del
capitale sociale, né le modificazioni delle disposizioni dello statuto, salvo
che agli obbligazionisti convertibili non sia stata data la facoltà di
esercitare il diritto di conversione nel termine di 30 giorni dalla
pubblicazione”. La società non può ridurre volontariamente.
- Obbligazioni convertibili con procedimento indiretto: c’è una società
che ha bisogno di un finanziamento. Di solito delibera un aumento di
capitale che viene sottoscritto da un investitore professionale (es:
MedioBanca). Dopodiché emette un prestito azionario suo, convertibili in
azioni della società Fracazzetti. La società, nel contempo, si impegna con
MedioBanca, nel caso in cui non venissero convertite le obbligazioni in
azioni, di ricomprarsi le azioni. la logica è quella di cercare di riuscire a
far avere ad una società, non ancora molto conosciuta, dei finanziamenti
ad un tasso ragionevole. Questo procedimento non si trova nel codice ma
è una pura creazione della pratica. Mette insieme una serie di operazioni
e istituti che sono individualmente disciplinati.

BILANCIO
Il bilancio è un atto di grande importanza per la società, soprattutto in funzione
informativa. È il momento in cui i soci e i terzi, con il deposito del bilancio nel
registro delle imprese, vengono a conoscenza della situazione della società.
Il progetto di bilancio viene redatto dagli amministratori e non è un atto
delegabile. Il progetto di bilancio è di competenza del consiglio di
amministrazione.
Il legislatore prevede delle modalità specifiche:
- Bilancio normale
- Bilancio semplificato (art. 2435-bis): le società devono avere un totale
dell’attivo dello SP entro 4milioni e 400mila euro; ricavi vendite e
prestazioni entro 8milioni e 800mila euro e in media non più di 50
dipendenti.
Art. 2435.ter: le società devono avere un totale dello SP di 175mila
euro, ricavi, vendite e prestazioni di 350mila euro e in media non più di 5
dipendenti.
- Bilancio ultra semplificato: per le mini S.p.A.
Il bilancio deve essere redatto e approvato dall’assemblea una volta per
esercizio (una volta all’anno, entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio). È
possibile arrivare a 180 giorni se vi sono particolari ragioni.
Ci possono essere esercizi che non chiudono al 31 dicembre. Es: la società
controllante chiude il bilancio un po’ dopo le società controllate.
Come deve essere redatto il bilancio? Il bilancio deve rappresentare in modo
chiaro, veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società
alla fine di ogni esercizio.
Quando parliamo di bilancio parliamo di un compelsso di scritture e di
documenti. Il bilancio è costituito dallo stato patrimoniale (SP), dal conto
economico (CE: dà un quadro dei risultati dell’attività della società nel corso
dell’esercizio), dalla nota integrativa (redatta dagli amministratori in
applicazione del principio di chiarezza. Rende chiaro come a quei numeri si è
arrivati e cosa rappresentano), dalla relazione degli amministratori
(racconta cosa è successo di rilevante nel corso dell’esercizio passato e illustra
l’evoluzione della società nei primi 3 mesi del successivo esercizio), dalla
relazione del collegio sindacale (o conferma che l’attività della società si è
svolta regolarmente oppure analizza anche la situazione contabile. Se esiste un
revisore legale, la relazione del collegio sindacale sarà solo sulla legalità e il
revisore contabile farà a sua volta una sua relazione sulla tenuta della
contabilità che potrà essere o senza osservazioni, o con osservazioni oppure
negativa. Per consentire che i sindaci producano la loro relazione il bilancio
deve essere trasmesso entro 30 giorni all’assemblea, i quali entro 15 giorni
devono completare le loro operazioni perché il bilancio deve rimanere
depositato presso la sede della società almeno 15 giorni prima dell’assemblea).
Nel 2015 il legislatore ha introdotto un ulteriore documento che deve essere
redatto: rendiconto finanziario (non necessario per le piccolissime società).
Il bilancio dell’esercizio deve sempre riportare affiancati i dati del bilancio
precedente. Inoltre, non sono ammesse compensazioni.
Se ritengo che un credito che ho non verrà totalmente onorato, devo indicare il
credito ma appostare un importo in un fondo speciale a fronte dei rischi di
incasso di quel credito in modo da ottenere nel mio bilancio una svalutazione di
quel credito.
Principi contabili da applicare: il legislatore individua i suoi criteri, basati su
un principio di prudenza.
Il problema nasce dal fatto che l’UE impone l’applicazione di diversi principi
contabili. Sono i cosiddetti principi contabili IAS (International Accounting
Standard) che sono obbligatori per le società quotate. Le società che non fanno
ricorso al mercato di capitale di rischio possono scegliere, in Italia, se utilizzare
quei principi contabili oppure quelli del codice. Una volta fatta la scelta, per
cambiarla occorrono seri motivi che devono essere illustrati dagli
amministratori nella nota integrativa e nella loro relazione.
Per quanto riguarda le piccole e le micro società è vietato l’utilizzo degli
standard internazionali (principi contabili IAS).
Gli schemi di bilancio previsti dal codice sono vincolanti.
L’art. 2423, 3° comma prevede l’obbligo per gli amministratori, durante il
processo di bilancio, di dare eventuali informazioni non previste o richieste
dagli schemi di bilancio se quelle previste non sono sufficienti per dare un
quadro veritiero e corretto della situazione della società.
Il tema è quello del potere dell’assemblea in relazione al progetto di bilancio
redatto dagli amministratori. Quello che esce dalla delibera del consiglio di
amministrazione non è un bilancio ma un progetto che viene presentato
all’assemblea. L’assemblea può non approvare il progetto di bilancio.
Tipicamente, l’assemblea che approva il bilancio decide sulla distribuzione
dell’utile. Non può essere distribuito un utile che non sia stato conseguito.
L’unico tema incerto è quello relativo alla modificabilità del progetto di bilancio.
L’assemblea può correggere delle voci di bilancio ed anche il progetto stesso.
Acconti dividendo: è possibile per una società in corso d’esercizio distribuire un
acconto sugli utili d’esercizio? L’art. 2433-bis lo vede con una certa
preoccupazione perché magari ad un ceto punto dell’esercizio ci può essere un
utile significativo ma non è detto che quell’utile rimanga fino alla fine
dell’esercizio. Quindi la risposta è sì, ma con delle cautele:
- La distribuzione di acconti per dividendi possono farlo solo le società
soggette a revisione legale del bilancio, per legge.
- Deve esserci nello statuto la previsione specifica.
- Deve esserci nel bilancio precedente una certificazione dei revisori senza
alcuna osservazione.
- Nell’ultimo bilancio approvato non devono risultare perdite a nuovo degli
esercizi precedenti.
- Non può superare il minore importo tra gli utili conseguiti dalla chiusura
dell’esercizio precedente e le riserve disponibili per la distribuzione.

RECESSO
Prima della riforma i motivi per cui un socio poteva recedere erano solo 3 nella
S.p.A.:
1. Modificazione dell’oggetto sociale;
2. Trasformazione della società;
3. Trasferimento della sede sociale all’estero.
Il recesso era visto malissimo dal legislatore per cui: doveva essere comunicato
in tempi brevissimi, potevano recedere solo i soci assenti o dissenzienti e se la
società non era quotata in borsa il valore delle partecipazioni era basato sul
patrimonio netto risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio.
Il legislatore della riforma ha compresso molti diritti dei soci ma ha allargato da
un’altra parte sistemi di difesa dei soci. Ha quindi rielaborato tutta la disciplina
del recesso.
Si prevede che la società possa, entro 90 giorni, revocare la delibera. In questo
caso il recesso non potrà più essere esercitato.
La liquidazione può essere revocata a maggioranza.
Sono aumentati i casi di recesso ma è anche cambiata la valutazione delle
azioni del socio che recede.
Prima della riforma, per le società quotate il problema era relativo: sono società
in cui esiste un prezzo di mercato. Allora, per quelle azioni, il prezzo del recesso
è la media dei listini degli ultimi 6 mesi.
Per le azioni delle società non quotate il discorso era diverso: faceva
riferimento al netto patrimoniale risultante dall’ultimo esercizio. Di solito, il
patrimonio netto risultante dal bilancio non dava un’indicazione ragionevole e
corretta del valore effettivo delle azioni, il che significava penalizzare i soci.
Va bene da una parte consentire un maggior numero di casi in cui il socio può
recedere. Se però non si corregge il criterio di valutazione non si va molto
lontani. Il legislatore, infatti, ha corretto questo criterio.
Quali sono i casi di recesso? Vi sono 3 fattispecie:
1. Casi di recesso inderogabili: quelli previsti dalla legge e che non
possono essere modificati. Sono gli stessi tre che erano previsti prima,
ma con qualche differenza. La dizione è leggermente diversa. Per quanto
riguarda trasformazione della società e trasferimento all’estero
non c’è differenza nella formulazione della norma. Per quanto riguarda la
modifica dell’oggetto sociale, adesso è diventata modifica della
clausola dell’oggetto sociale quando consente un cambiamento
significativo dell’attività della società.
Ci può essere un caso in cui si ha una significativa modifica dell’oggetto
sociale senza che si applichi la norma, se scegliamo l’interpretazione
letterale? Se la società che ha per oggetto sociale lo sfruttamento delle
miniere investe la sua liquidità per comprare un giornale, di fatto risulta
modificato l’oggetto sociale. Se fosse stata la vecchia formulazione non
c’è dubbio che una modifica dell’oggetto sociale avrebbe comportato un
diritto di recesso. Ma qui non c’è la modifica della clausola dell’oggetto
sociale e quindi le cose sono diverse.
Qual è l’argomento per sostenere un’interpretazione letterale della norma?
L’argomento è che il legislatore ha proprio cambiato il testo della norma.
Se si verifica una sostanziale modifica dell’getto sociale senza modificare
concretamente il testo, di solito viene riconosciuto ugualmente il diritto di
recesso. Si propende per l’interpretazione sostanziale e non tanto per
l’interpretazione letterale della norma.
2. Revoca della liquidazione: prima della riforma la liquidazione era
ritenuta revocabile solo all’unanimità. Oggi è previsto un recesso per chi
non partecipa alla deliberazione. Il recesso è ammesso per i soci assenti,
dissenzienti o astenuti. La revoca della liquidazione consente ai soci
contrari di recedere. Se sono previste come cause di recesso nello statuto
e io le tolgo, questo è un diritto di recesso inderogabile. È possibile
prevedere alcune cause particolari di recesso. Se lo statuto della mia
società prevede queste cause particolari e l‘assemblea straordinaria a
maggioranza dice che queste non danno più diritto di recesso, su quella
decisione i soci hanno diritto di recesso.
Es: una causa derogabile di diritto di recesso è quella che prevede il
diritto di recesso in caso di proroga della società. Lo statuto dice che la
società scade il 31 dicembre 2017. Si riunisce l’assemblea a proroga la
scadenza al 31 dicembre 2050. I soci, a fronte di una delibera di questo
genere, possono decidere di recedere se non sono d’accordo. La stessa
assemblea modifica un altro articolo dello statuto: quello che consente il
recesso in caso di proroga della società. È legittimo in quanto non è uno
dei casi tassativi di diritto di recesso. A fronte del fatto che si toglie
questo diritto, i soci assenti o dissenzienti hanno il diritto di recesso
perché questa è una norma inderogabile.
3. Modifica dei criteri di valutazione delle azioni: la valutazione delle
azioni in caso di recesso non avviene sulla base del netto patrimoniale
ma sulla base di criteri che diano una rappresentazione il più possibile
corretta del valore effettivo della società. Questi criteri devono essere
indicati in statuto. Se la norma di statuto che stabilisce i criteri viene
modificata, i soci hanno diritto di recedere approfittando dei criteri
prevedenti alla modifica.
C’è poi un’ulteriore causa di recesso:
- Modifiche concernenti i diritti di voto o patrimoniali: non è però
questo che ha in mente il legislatore. Anche qui l’interpretazione è
abbastanza delicata.
Queste sono le norme inderogabili. Se si verifica uno di questi casi, i soci hanno
diritto di recesso.
Vi sono poi delle cause derogabili:
1. Proroga del termine della società;
2. Introduzione o eliminazione dallo statuto di vincoli alla
circolazione delle azioni: questa previsione ha una serie di effetti:
diventa pacifico e acquisito il fatto che questa introduzione o
eliminazione può venire a maggioranza. Se fosse necessaria l’unanimità
non avrebbe senso la possibilità di prevedere in statuto il recesso di chi
non partecipa alla delibera. Inoltre, può essere deliberato a maggioranza
e non essere previsto nemmeno il recesso (dipende da come lo statuto è
stato formulato): questo avrà un impatto sui soci soprattutto alla
costituzione della società.
Quando abbiamo parlato di clausola di gradimento la legge stabilisce che
quando il gradimento è mero, la clausola è valida se prevede dei
meccanismi che impediscano al socio di rimanere prigioniero. Se io ho
nello statuto una clausola che prevede il recesso in caso di inserimento
abbiamo un recesso al quadrato: prevedo una clausola che prevede il
recesso del socio e per inserirla prevedo un ulteriore recesso.
Con la riforma è possibile che anche un S.p.A. sia costituita a tempo
indeterminato e quindi i soci hanno diritto di recesso (con un preavviso di 180
giorni che può essere aumentato in statuto fino al massimo di 1 anno). Questa
norma si applica solo alle società non quotate. Solo per le quotate è prevista
una delibera che revoca la quotazione e quindi in questo caso i soci hanno
diritto di recesso. C’è una clausola che dà diritto di recesso nei casi di fusione.
Nei gruppi c’è una clausola che prevede il diritto di recesso di una società
controllata quando per il cambiamento di una società controllante si modifica il
profilo di rischio della società. Un’altra previsione di recesso nei gruppi
riguarda il socio che ha agito contro i suoi amministratori perché hanno
danneggiato la società. Questa azione non può essere proposta se risulta che la
sc danneggiata ha tratto altri concreti vantaggi dall’appartenenza al gruppo. Se
recede devo farlo con la sua intera partecipazione.
Il recesso si esercita con una comunicazione inviata entro 15 giorni
dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese.
Per consentire al socio di muoversi con cognizione di causa gli amministratori
devono depositare presso la sede sociale, 15 giorni prima della data della
convocazione dell’assemblea in cui si potrebbe prendere una delibera che dia il
diritto di recesso, un documento da cui risulti la valutazione delle azioni
applicando i criteri previsti dalla legge o integrati dallo statuto.
Con la dichiarazione di recesso il socio può dire che questa valutazione non è
corretta e chiedere che venga disposta una perizia di un esperto nominato dal
tribunale dove ha sede la società. Se non contesta la valutazione, quella è. Ci
sono due problemi:
- Gli amministratori se ne dimenticano e quindi non depositano la
valutazione delle azioni. Di conseguenza, la delibera diventa invalida
perché non è presa in conformità della legge o dell’atto costitutivo.
- Abbiamo una società non quotata a tempo indeterminato. Il socio
dichiara di recedere. Se la società è a tempo indeterminato il diritto di
recesso non nasce da un’assemblea con una data certa e quindi il socio
in ogni momento, con un preavviso di 180 giorni fono a 1 anno, può
dichiarare di recedere. In base a quale valutazione? Il socio che recede
condizionerà il recesso in qualche misura. Per quanto riguarda il recesso
non conseguente ad una delibera, il legislatore diche che ha 30 giorni da
quando è venuto a conoscenza della causa di recesso. In ogni caso
rimane il problema della stima.
Il recesso può avere delle conseguenze pesanti per la società. Non può essere
impedito ad un socio che ha legittimamente formulato la dichiarazione di
recesso di ottenere la liquidazione della sua partecipazione.
Se sono passati 180 giorni e non tutte le azioni sono state acquisite, la società
deve acquistarle lei stessa con i suoi meccanismi. Se questi meccanismi non ci
sono, si mette in liquidazione la società.
Il diritto di uscita prevale sull’interesse della società, dei soci ecc…
Il legislatore ha previsto una via d’uscita. Prevede che il diritto di recesso non
può essere più esercitato se entro 90 giorni dalla delibera che ha dato luogo al
diritto di recesso, questa delibera viene revocata (con una nuova decisione
dell’assemblea straordinaria).
Quando il socio che dichiarato di recedere cessa effettivamente di essere socio
della società?

Se gli amministratori convocano un’assemblea con oggetto: “revoca


dell’assemblea precedente”, i soci che hanno già esercitato il diritto di recesso
votano o no? Ci sono 3 tesi:
1. Hanno esercitato il diritto di recesso e quindi non votano;
2. Il recesso non si è perfezionato ma si perfeziona con la scadenza del
termine per la revoca della delibera (se parliamo di un diritto di recesso
legato ad una delibera revocabile). Quindi, il diritto di recesso è in
qualche misura sospeso. Sono ancora soci, almeno fino alla scadenza del
temine per la revoca della delibera;
3. È vero che è passato il termine e il diritto di recesso non può più essere
estinto dalla società però è anche vero che questi non sono ancora stati
pagati.
La prima tesi non regge. Restano più discutibili le altre due. Forse il pagamento
del rimborso effettivo delle azioni è quello che comporta la girata del titolo.
Es: delibera che dà diritto di recesso ai soci un soggetto acquista la
partecipazione dopo la delibera ma prima che sia stata iscritta nel registro delle
imprese. Ha diritto di recedere o no? No. è vero che il termine è di 15 giorni
dall’iscrizione ma uno deve essere socio al momento in cui la delibera è stata
presa.

MODIFICHE DELL’ATTO COSTITUTIVO


- Aumento del capitale
- Riduzione del capitale
Entrambi si articolano con due modalità diverse:
- L’aumento del capitale può essere gratuito o a pagamento
- La riduzione del capitale può essere una riduzione effettiva del capitale o
una riduzione per perdite del capitale.
L’aumento fa parte delle operazioni di finanziamento della società (esterne o
interne). Si tratta di un etero finanziamento.
Autofinanziamento si ha attraverso le risorse che la società ha generato.
L’aumento gratuito di capitale non comporta un cambiamento nel patrimonio
della società ma un cambiamento nella qualità del patrimonio della società in
quanto per aumento gratuito si intende il passaggio di una posta del bilancio
(in particolare le riserve disponibili) a capitale sociale. Quindi, aumento il
capitale soci cambiando la destinazione di alcuni fondi che avevo già nel
patrimonio della società. Sono necessarie delle cautele a favore dei creditori?
No. Ho vincolati dei fondi che altrimenti vincolati non erano. Questo può
comportare o un aumento del valore nominale delle azioni o l’emissione di
nuove azioni. Di chi sono queste azioni? Dei soci, in proporzione alle loro
partecipazioni che avevano al capitale precedente.
L’aumento a pagamento del capitale è più articolato. Innanzitutto, se la società
delibera di aumentare a pagamento il capitale si stabilisce l’ammontare
dell’aumento. A chi vanno queste azioni? L’art. 2441 prevede un diritto di
opzione dei soci. I soci, per primi, hanno diritto di sottoscrivere l’aumento di
capitale in proporzione delle azioni da loro possedute prima dell’aumento. In
questo caso un diritto di opzione c’è l’hanno anche i portatori di azioni
convertibili. Se sottoscrivono, i soci che lo fanno possono dichiarare di essere
pronti a sottoscrivere anche le eventuali azioni che non venissero acquistate (le
cosiddette inoptate). Se i soci non le sottoscrivono, queste possono essere
offerte a terzi. Alla fine scade il periodo per l’esercizio e quindi abbiamo due
ipotesi:
- Che le azioni siano state interamente sottoscritte: non abbiamo alcun
problema;
- Che l’aumento di capitale non sia stato interamente sottoscritto: non si è
trovato nessuno che completasse l’aumento.
Che succede di un aumento di capitale sottoscritto solo parzialmente? Prima
della riforma era un tema discusso. Il legislatore della riforma dice che
l’aumento di capitale sopravvive solo se è integralmente sottoscritto, a meno
che nella delibera fosse espressamente previsto che sarebbe rimasto valido
anche se sottoscritto solo parzialmente. È onere dell’assemblea stabilire se
vogliamo che l’aumento di capitale rimanga indipendentemente dall’integrale
sottoscrizione. Se non viene previsto non si fa l’aumento di capitale, vengono
rimborsati i soci che hanno effettuato i conferimenti e si ritorna punto e a capo.
L’aumento di capitale è ammesso solo quando sono state interamente
deliberate le azioni già in circolazione.
Ci sono dei soci a cui non spetta il diritto di opzione. Vi sono due casi
importanti:
1. Quando l’aumento è deliberato mediante conferimento di beni in natura
non c’è diritto di opzione dei soci;
2. Quando l’interesse della società lo esige: starà agli amministratori
dimostrare che c’è un interesse della società che esige che non si
conceda il diritto di opzione ai soci.
Quali problemi possono nascere da un’esclusione del diritto di opzione? La
normativa prevede che ci sia una relazione degli amministratori e che il prezzo
di emissione delle azioni (art. 2441, comma 6) sia determinato in base al valore
del patrimonio netto. Il prezzo delle azioni va determinato in un modo specifico.

Es: Immaginiamo che una società abbia 100 azioni e un patrimonio netto di
1000. Le azioni hanno un valore nominale di 1 e un valore reale di 10. Ogni
azione rappresenta una quota pari a 10 del patrimonio netto. Adesso
raddoppiamo il capitale con esclusione del diritto di opzione e le diamo ai
soggetti che non sono soci. Dopo l’aumento di capitale al nominale, il
patrimonio della società diventa 1100. Dopodiché io quante azioni ho? 200. Il
valore reale di ogni azione diventa 5,5. Ho trasferito quasi metà del mio
patrimonio ai nuovi soci, facendogli pagare quasi nulla. Se la maggioranza
delibera un’operazione del genere avrà i suoi motivi. Quindi, in questo caso la
delibera avrebbe dovuto essere 100 di valore nominale + 900 di sovrapprezzo.
A questo punto avremmo avuto 2000 di patrimonio e quindi rimaneva la
proporzione precedente. Quando la delibera è presa riconoscendo il diritto di
opzione agli azionisti, questi hanno la possibilità di sottoscriverle loro. Il
problema nasce nel momento in cui le azioni vengono date a terzi e quindi il
legislatore richiede che il prezzo di emissione sia stabilito in quel modo.
CASO: c’era una società quotata con due signori che si contendevano il
controllo della società. La società aveva un capitale di 200 diviso così: 100
azioni ordinarie e 100 azioni privilegiate. Le azioni privilegiate davano diritto di
voto solo nell’assemblea straordinaria. C’era un socio A che aveva la
maggioranza delle azioni ordinarie. C’era un socio B che aveva la minoranza
delle azioni ordinarie. Il socio B ha iniziato a rastrellare azioni privilegiate della
società. Alla fine si è trovato ad avere 49 azioni ordinarie e 80 azioni
privilegiate. La quotazione di borsa di questa società era di 10 euro per azione
(per le ordinarie) e di 5 euro per azione (per le privilegiate). Cosa volesse fare B
si è scoperto quando ha mandato una comunicazione agli amministratori della
società nominati da A proponendo una delibera di aumento di capitale di sole
azioni ordinarie per 200, al nominale (quindi a 1 euro). A questo punto se il
socio B avesse sottoscritto tutte le azioni che gli spettavano dall’aumento di
capitale sarebbe andato in maggioranza anche con le azioni ordinarie. Il
soggetto A chiede al suo avvocato di far saltare questa operazione. Si può fare
o no? non si ha una risposta al caos. La preoccupazione di perdere di entrambi
li ha portati a fare un accordo e quindi si sono spartiti il gruppo. Gli avvocati di
A avevano trovato un argomento forte abbastanza da convincere B a trattare.
La delibera deve essere approvata dall’assemblea speciale dei portatori di
quella categoria. L’errore è stato l’aumento al nominale perché la quotazione in
borsa dei due titoli era diversa: le privilegiate valevano meno delle ordinarie.
Facendo un aumento al nominale, la tesi degli avversari è stata: “ in questo
modo trasferite parte del valore delle azioni ordinarie agli azionisti privilegiati ”.
C’è un trasferimento di ricchezza dagli ordinari ai privilegiati.
Quali altri problemi ci sono da un aumento di pagamento di capitale? per
esempio, l’art. 2439 dice che in caso di aumento a pagamento, salva la
previsione che se rimane un unico socio deve eseguire integralmente
l’aumento, i soci devono versare almeno il 25% del valore nominale.
Oggi però di possono emettere azioni prive di valore nominale, ma l’art. 2349
non ne parla. Questo non è un vero problema perché ad ogni modo il valore di
ogni azioni si ottiene dividendo l’ammontare del capitale per il numero delle
azioni.
C’è un problema più serio sul quale il legislatore non dice nulla: partecipazione
non proporzionale ai conferimenti. Con la riforma del 2003 il legislatore
ammette che ci possano essere delle partecipazioni che non sono proporzionali
ai conferimenti (con l’accordo degli altri soci che devono mettere loro la
differenza). Ci sono casi in cui può succedere? Dov’è il problema? Non abbiamo
un problema in sede di costituzione della società ma in caso di aumento di
capitale. La differenza tra la costituzione e l’aumento di capitale è che in sede
di costituzione tutti i soci che partecipano alla costituzione della società
accettano e prevedono questa soluzione. In sede di aumento di capitale non
occorre l’unanimità ma si decide a maggioranza secondo i quorum
dell’assemblea straordinaria. Si deve ricreare la stessa situazione o no?
Abbiamo un’attribuzione di azioni fatta in un modo alla costituzione e la legge
poi non ci dice nulla in sede di aumento. Siccome l’aumento si delibera a
maggioranza, se lo statuto prevede che quella ripartizione del capitale con quei
conferimenti è valida per tutta la vita della società allora va bene; se lo statuto
nulla prevede al proposito non si sa cosa fare perché il legislatore non dice
nulla. rimane un dubbio aperto. Si è propensi a ritenere che se non c’è un
accordo unanime si ritorna alla percentuale.
Per quanto riguarda l’esclusione del diritto d’opzione ci sono altri due casi:
1. Si può escludere il diritto d’opzione per le azioni che sono espressamente
destinate ai dipendenti. Fino al 2012 il limite massimo di aumento che
poteva essere destinato ai dipendenti era di ¼ dell’aumento. Con la
riforma del 2012 è stato tolto questo limite e anche tutto l’aumento può
essere destinato ai dipendenti.
2. Non si ritiene che sia escluso il diritto di opzione se le azioni vengono
collocate presso banche o istituti di credito che poi si impegnano in un
secondo momento a concedere il diritto d’opzione ai soci.

RIDUZIONE DEL CAPITALE


Si parla comunemente di:
- Riduzione effettiva del capitale: con effettiva uscita di denaro da parte
della società verso i soci oppure rinunzia della società a farsi versare dai
soci la quota non ancora versata dai conferimenti;
- Riduzione per perdite del capitale: non c’è nulla da restituire ai soci
ma semplicemente si prende atto del fatto che una parte del capitale è
stata persa.
L’art. 2445 parla della riduzione effettiva. Questa riduzione è soggetta ad una
serie di cautele che sono le stesse della s.n.c. È una delibera dell’assemblea
straordinaria, deve essere iscritta nel registro delle imprese e può essere
eseguita solo 3 mesi dopo l’iscrizione a condizione che i creditori anteriori alla
delibera non abbiano fatto opposizione. Se i creditori fanno opposizione non
significa necessariamente che non si può procedere. Si può contestare
l’opposizione in tribunale che può cercare di dimostrare che le garanzie dei
creditori sono sufficienti oppure può dare altre garanzie e alla fine si pronuncia.
C’è un modo mediante il quale si può procedere subito alla riduzione ed è
raccogliere il consenso di tutti i creditori.
L’art. 2467 prevede che se i soci, invece di fare un aumento di capitale, hanno
finanziato la società in un momento in cui sarebbe stato più opportuno un
aumento di capitale, allora questo prestito non viene restituito. Questa è una
norma specifica delle s.r.l.
Ci può quindi essere una forma di responsabilità al di là dei conferimenti.
Prima della riforma bisognava dimostrare che il capitale era effettivamente
sovrabbondante per il conseguimento dell’oggetto sociale. Normalmente era
una delibera a cui si arrivava con la modifica dell’oggetto sociale.
Oggi questa dimostrazione non occorre più. È una scelta della società di ridurre
il capitale e con quelle cautele si può fare.
L’art. 2446-2447 disciplina la riduzione del capitale per perdite.
La funzione del capitale è diventata quella di un indice dall’andamento della
società. Il capitale è quello che è indicato nell’atto costitutivo, quindi, non si
modifica automaticamente a seconda dei risultati ma occorre prendere atto dei
risultati, modificare l’atto costitutivo e ridurre il capitale. a questo punto il
legislatore si trova difronte ad una scelta. È opportuno imporre una riduzione
del capitale ogni volta che viene intaccato o è meglio aspettare? Sarebbe
logico prevedere che ogni volta che le cose vanno male al punto di arrivare a
toccare il capitale, la società deve provvedere a ridurre il capitale. Invece, il
legislatore nell’art. 2446 prevede che non qualunque erosione del capitale
sociale crei problemi. I problemi nascono quando, a seguito di perdite, il
capitale sociale si riduce di oltre 1/3.
Es: se una società ha un capitale di 600mila euro e poi perde 200mila euro del
capitale sociale non succede alcunché. Se perde 201mila euro, abbiamo un
problema perché abbiamo perso più di 1/3. La legge prevede che gli
amministratori devono senza indugio convocare l’assemblea per gli opportuni
provvedimenti (quali siano i provvedimenti dipende dalle circostanze e dai
motivi per cui si è arrivati a quella situazione). Dopodiché occorre vedere se
questi provvedimenti hanno o meno migliorato la situazione e per far ciò
bisogna far passare un certo periodo di tempo, cioè fino al bilancio
dell’esercizio successivo.
Se le perdite, dopo i provvedimenti presi, ci sono ancora ma sono a meno di
1/3, allora si può andare avanti senza procedere alla riduzione del capitale.
L’art. 2447 prevede che a seguito di una perdita di oltre 1/3 del capitale si sia
andati ad intaccare anche il minimo legale.
Es: la società non ha più i 50mila euro di capitale che sono il minimo legale
previsto per legge. se io costituisco una società che ha 70mila euro di capitale
e perde 21mila euro, il capitale è sceso al di sotto dei 50mila euro. C’è un
problema ma non si così tale per fare qualcosa perché abbiamo perso meno di
1/3 del capitale. Se però perdo più di 1/3 del capitale devo immediatamente
intervenire: occorre convocare l’assemblea straordinaria che deve ridurre il
capitale e dopodiché c’è una scelta di alternative. La prima alternativa non
promette bene: l’attività è erosa dall’attività online e quindi si mette in
liquidazione la società. La seconda alternativa è quella di, una volta fatta la
riduzione, occorre aumentare il capitale facendolo arrivare almeno al minimo
legale. La terza alternativa è quella di trasformare la società che ha un
requisito diverso di capitale legale (se io trasformo una s.r.l. in una s.n.c. il
socio è responsabile per tutte le obbligazioni sociali, anche precedenti).
Le perdite comportano un azzeramento del capitale. L’assemblea prende atto
che il capitale è azzerato. In questo caso:
- Si delibera un aumento di capitale: il capitale è azzerato. C’è il diritto
d’opzione dei soci o no? Sì, anche se il capitale è azzerato il diritto di
sottoscrivere il nuovo capitale è con i soci.
Abbiamo azzerato il capitale e abbiamo perso altri 100mila euro. È
possibile emettere le nuove azioni con un sovraprezzo? Si, è possibile
perché è comunque nell’interesse della società.
SCIOGLIMENTO
Il legislatore della riforma ha stabilito per lo scioglimento l’art. 2484,
spostandolo infondo alla disciplina delle società di capitali.
I casi di scioglimento sono 7:
1. Impossibilità di conseguire l’oggetto sociale;
2. Decorso del termine;
3. Riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale per perdite di
oltre 1/3; se non si provvede a ricostituirlo si liquida;
4. Recesso dei soci quando non c’è la possibilità di liquidarli;
5. Volontà dei soci espressa in un’assemblea straordinaria;
6. Impossibilità di funzionamento dell’assemblea o continua inattività;
7. Altre ipotesi particolari di cause di scioglimento.
Gli amministratori restano in carica fino alla nomina dei liquidatori che viene
fatta dall’assemblea straordinaria o dal tribunale. I liquidatori devono compiere
le attività dirette alla liquidazione ed hanno lo stesso tipo di responsabilità degli
amministratori. Non possono procedere alla distribuzione dell’attivo fino a che
non siano stati pagati tutti i creditori. Se lo fanno sono responsabili insieme ai
soci (ma la responsabilità di essi è limitata all’attivo che hanno ricevuto). Se i
soci non li restituiscono, pagano i liquidatori.
I liquidatori, alla fine, devono redigere il bilancio finale di liquidazione. Se
rimangono dei beni in natura e i soci sono d’accordo possono essere distribuiti.

SOCIETA’ IN ACCOMANDITA PER AZIONI (s.a.p.a.)


È una società in cui abbiamo due categorie di soci: i soci accomandanti che
hanno responsabilità limitata e i soci accomandatari che hanno responsabilità
illimitata.
Nell’accomandita semplice gli accomandati sono illimitatamente responsabili.
Tipicamente sono gli amministratori della società, ma non è strettamente
necessario.
Nella s.a.p.a. gli accomandatari sono necessariamente amministratori. Se un
socio accomandatario cessa di esserlo, cessa automaticamente di essere
amministratore. Se un socio cessa di essere amministratore, cessa anche di
essere accomandatario. Rimane responsabile per tutte le obbligazioni
precedenti alla sua cessazione come amministratore o accomandatario.
Gli accomandatari non possono votare nelle delibere che riguardano la loro
responsabilità. Il che comporta un rischio per il socio di maggioranza che
decide di fare anche l’amministratore. Inoltre, siccome è una società di capitali,
oltre agli amministratori abbiamo il collegio sindacale.
Per la nomina dell’organo di controllo interno, gli accomandatari non votano.
C’è un caso di scioglimento particolare che è quello in cui vengono meno tutti i
soci accomandatari, allora è possibile la ricostituzione dell’organo di gestione
nel termine di 6 mesi. Se entro 6 mesi non viene ricostituita la categoria dei
soci accomandatari, abbiamo una specifica causa di liquidazione.
Se viene meno un socio accomandante non vi sono problemi, si può sostituire.
Se viene meno un socio accomandatario si può nominare un nuovo
accomandatario in sostituzione di quello venuto meno ma si devono esprimere
gli accomandanti a maggioranza e se sono rimasti degli accomandatari, la
decisione deve essere presa con il voto favorevole di tutti gli accomandatari.

LA TRASFORMAZIONE
La trasformazione è quella decisione, nelle società di capitali dell’assemblea
straordinaria, con il quale si cambia il tipo di società.
È possibile la trasformazione da una società di persone ad una società di
capitali. Per queste società, se lo statuto non prevede altrimenti, la decisione
viene presa a maggioranza dei soci sulla base della quota di partecipazione agli
utili.
Con la riforma è cambiata significativamente la disciplina per quanto riguarda
le possibilità. Storicamente la trasformazione era possibile fra società della
stessa categoria, cioè società lucrative o società mutualistiche.
Le società mutualistiche sono le cooperative, le mutue assicuratrici ecc….
Quelle società che non hanno istituzionalmente scopo di lucro.
Tipicamente le società non lucrative non distribuiscono utili e i soci delle
società traggono i loro vantaggi da altro.
Con la riforma questa distinzione, per quanto riguarda trasformazione e
fusione, è venuta meno.
Oggi è possibile anche la trasformazione da una società non lucrativa ad una
società lucrativa e viceversa.
La trasformazione dà diritto al recesso per i soci che non hanno aderito alla
delibera.
Quando parliamo di trasformazioni da società di persone a società di capitali, e
viceversa, c’è il profilo della responsabilità dei soci da tener presente.
Se trasformo una società di capitali in una società di persone, la responsabilità
dei soci cambia.
Se la trasformo in una accomandita semplice, alcuni soci diventano
illimitatamente responsabili.
Se la trasformo in s.n.c. tutti i soci sono illimitatamente responsabili. Cosa
succede ai soci di una s.n.c. che decidono a maggioranza di trasformare la
s.n.c. in una S.p.A.? I soci della S.p.A. hanno responsabilità limitata.
La regola è che non possono i soci unilateralmente, con un atto di
trasformazione, liberarsi della responsabilità limitata per le obbligazioni
precedenti. Per tutte le obbligazioni successive vige il regime normale della
S.p.A. e quindi non abbiamo problemi.
Il legislatore è favorevole alla trasformazione da una società di persone ad una
società di capitali e questo viene visto attraverso una serie di norme nel nostro
ordinamento.
Nelle società personali, la trasformazione in società di capitali si può fare a
maggioranza.
Un modo di eliminare la responsabilità limitata dei soci è l’assenso dei creditori.
Se i creditori precedenti sono d’accordo sulla riduzione della responsabilità, si
può fare.
Se i creditori non si pronunciano per 60 giorni, l’assenso si presume. Si dà per
accettato il fatto che i soci avranno responsabilità limitata anche per le
obbligazioni risalenti.
Art. 2502-ter la trasformazione di società di persone in società di capitali è
decisa con il consenso della maggioranza dei soci determinata secondo la
parte attribuita a ciascuno negli utili […].
Se io voglio trasformare una società di persone in un’altra società di persone
(es: parto da una s.n.c. e mi voglio trasformare in una s.a.s.) si chiede
maggioranza o unanimità? Occorre l’unanimità. Questa è l’ulteriore conferma
del desiderio del legislatore di trasformare la società di persone in società di
capitali.
Trasformazione della società di capitali in società di persone la responsabilità
dei soci passa da limitata a illimitata.
Se io la trasformo in una s.n.c. ho bisogno dell’unanimità. Non vuol dire che
non si possa deliberare a maggioranza ma che una delibera a maggioranza è
impugnabile.
In caso di delibere a maggioranza la scelta spetta al socio.
La delibera presa a maggioranza e senza il voto di un socio che diventerebbe
illimitatamente responsabile è nulla o annullabile? Nulla. La delibera annullabile
non può essere impugnata del socio che ha meno del 5% nelle società chiuse.
LA FUSIONE
Gli amministratori delle due società preparano un progetto di fusione, cioè un
documento in cui si spiegano i vantaggi dell’operazione e si individuano gli
elementi fondamentali, in particolare qual è il valore del conferimento.
Es: A incora B. Occorre determinare il valore del patrimonio di B che viene di
fatto conferito da A. Si determina il rapporto di concambio perché i soci della
società che vengono incorporati, all’esito della fusione diventano incorporati. Il
rapporto di cambio confronta i patrimoni delle due società.
I problemi nelle operazioni di fusione sono soprattutto legati al rapporto di
cambio.
La delibera di fusione, che viene con l’approvazione del progetto di fusione, è
decisa con la maggioranza dell’assemblea straordinaria. I soci di minoranza si
adeguano alle decisioni dei soci di maggioranza. Il socio di maggioranza può
avere interesse ad incrementare il valore di una delle due società rispetto
all’altra.
L’impugnativa della delibera non si può proporre dopo l’iscrizione nel registro
delle imprese. Una volta che vi è stata la delibera e provvedo all’iscrizione nel
registro delle imprese, non è più impugnabile. I soci di minoranza che non
hanno fatto a tempo a chiedere una sospensione della delibera ormai sono
blindati (non possono impugnare ma possono chiedere il risarcimento del
danno).
Normalmente la contestazione del socio di minoranza è sulla determinazione
del rapporto di cambio.
Una volta che le due società hanno deliberato la fusione, questa comporta la
successione universale della nuova società o dell’incorporante, nei rapporti
giuridici delle società che hanno partecipato alla fusione o dell’incorporata.
Il diritto del socio di minoranza ha un contenuto economico. il rapporto di
cambio alla fine si traduce o in numero di azioni o in soldi. Questa situazione si
può correggere con un risarcimento del danno.
Dopo il progetto di fusione e a seguito della delibera si redige l’atto di fusione
(documento in cui sono inserite le previsioni necessarie per il passaggio alla
fusione). Con l’iscrizione si chiude il processo della fusione.
Per le azioni proprie c’è un divieto assoluto per una società di dare garanzie o
aiuto ad un soggetto terzo per l’acquisto di queste azioni.
I pratici si sono inventati un’altra cosa (leverage by out): sono il commendator
Fracazzetti e sono interessato ad acquistare la maggioranza della società A,
che ha un buon patrimonio. Vado da una banca e dico di costituire una nuova
società [NC](“posso comprare A per 30milioni di euro. Tu banca mi presti i
30milioni ed io ti do in garanzia le azioni di B ”). Devo rimborsare la banca dei
30milioni. Cosa faccio? Incorporo la NC in A. A questo punto ho una sola
società, quella produttiva, che ha un debito di 30milioni e che pagherà. Quindi,
ho pagato A con i soldi di A. È legittimo questo? Se l’operazione è completa e
viene fatta, non ci sono particolari problemi.
Se a seguito di una fusione una società quotata cessa di esserlo, i soci che
hanno aderito hanno diritto di recesso.

COOPERATIVE
Il legislatore ha un occhio di riguardo per le cooperative. Tutto parte dall’art. 45
della costituzione.
La cooperazione ha una tutela costituzionale per la funzione sociale che svolge.
Le cooperative godono di una notevole serie di agevolazioni fiscali e finanziarie
se e in quanto hanno uno scopo prevalentemente mutualistico.
A fianco delle cooperative di cui parla la costituzione ci possono essere delle
cooperative che non hanno uno scopo prevalentemente mutualistico. Queste
non hanno i benefici fiscali e molti altri benefici che sono riconosciuti dalla
legge alle cooperative prevalentemente mutualistiche.
Negli artt. 2511 e ss. troviamo la disciplina delle cooperative.
Visto che i benefici collegati al tipo sociale sono legati alle cooperative a scopo
mutualistico, perché dovrei costituire una società non a scopo prevalentemente
mutualistico? Perché la normativa delle cooperative è particolare. Io posso
voler costituire un ente giuridico che sia disciplinato secondo le norme sulle
cooperative.
Una cooperativa non può avere meno di 9 soci.
Una cooperativa può però avere anche 3 soci purché siano persone fisiche e
con un patrimonio non superiore ad 1 milione di euro (cooperativa minima).
Per integrare la disciplina delle cooperative si fa riferimento alla disciplina della
S.p.A.
La regola è che per le obbligazioni della cooperativa risponde esclusivamente
la cooperativa stessa. La responsabilità dei soci della cooperativa è limitata.
Normalmente l’attività della cooperativa è svolta attraverso il lavoro dei soci.
Non è escluso che ci si avvalga anche di collaboratori esterni.
Visto che l’attività della cooperativa è svolta dai soci, non chiunque può essere
socio.
L’atto costitutivo prevede i requisiti che devono avere i soci che chiedono di far
parte della cooperativa. Se un soggetto esterno chiede di essere ammesso alla
cooperativa, la decisione spetta al consiglio di amministrazione.
Se gli amministratori rifiutano l’ammissione del nuovo socio devono motivare
questa esclusione e l’aspirante socio può appellarsi all’assemblea della
cooperativa.
Il principio generale è che il voto è paritario, cioè indipendente dalla quota di
partecipazione al capitale ogni socio ha un voto. Sono ammesse delle deleghe
solo in nome di altri soci. Un socio non può rappresentare più di 10 soci.
Siccome in alcuni casi le cooperative sono molto grandi ed operano su territori
molti ampi, c’è un meccanismo di assemblee separate (es: tutti i soci della
Lombardia si riuniscono a Milano). Si nominano due rappresentanti che
andranno ad esprimere il voto dell’assemblea separata in assemblea generale.
Si può impugnare la delibera dell’assemblea separata? No, l’unica vera delibera
della cooperativa è quella dell’assemblea generale. Sono impugnabili invece le
delibere dell’assemblea generale in base alle norme del 2377 e ss. (se
applichiamo le norme sulla S.p.A.) o in base alle norme della s.r.l.
La costituzione deve avvenire per atto pubblico che viene poi depositato presso
il registro delle imprese.
Se applichiamo la disciplina delle S.p.A. i conferimenti avverranno per AZIONI.
Se applichiamo la disciplina delle s.r.l. i conferimenti avverranno per QUOTE.
Se c’è un divieto di alienazione quale correttivo ci sarà? Il recesso.
Altrimenti occorre l’autorizzazione degli amministratori.
Ci sono dei limiti alla distribuzione degli utili per le società cooperative a
mutualità prevalente. Tipicamente l’utile non viene distribuito. I benefici i soci li
hanno dalla partecipazione all’attività cooperativa e quindi dai compensi che
maturano. È ammessa una ridotta distribuzione di utili (art. 2514). Il massimo
di utile che una cooperativa può distribuire, rimanendo a mutualità prevalente,
è una percentuale del capitale versato pari al tasso di interesse sui buoni
fruttiferi postali + il 2,5%. Si aggiungono altri 2 punti se hanno emesso
strumenti finanziari. I soci possono recuperare quanto hanno versato + una
quota di utili in proporzione alle misure viste e il resto deve essere devoluto o
ad altre cooperative o alle leghe delle cooperative ecc…
In caso di morte del cooperatore il capitale versato verrà liquidato agli eredi
però si può decidere che continui l’attività con gli eredi ma solo se questi
acconsentono ed abbiano i requisiti e le caratteristiche necessarie per
diventare cooperatore della cooperativa.

MOD. B

Il diritto commerciale confina con tantissime branchie del diritto. Il diritto


commerciale si sviluppa moltissimo per testi unici. Il primo testo unico del
diritto commerciale (TUB – Testo Unico Bancario) ha eliminato più di 1000
norme.
AGENCY autorità amministrativa indipendente (es: Banca d’Italia). NON è
un’agenzia perché nelle agenzie qualcuno lavora su indicazione di un altro! Alla
banca d’Italia, dopo aver perso la funzione di battere moneta, restavano due
compiti:
1. Costo del danaro: è il saggio d’interesse a cui la banca d’Italia presta i
soldi agli istituti di credito, controllati da questa. Con questa attività viene
alzato il tasso di interesse del danaro interbancario, quindi, se io vado in
banca a chiedere soldi e a questa banca sono stati aumentati i tassi di
interesse, ovviamente questo aumento ricadrà anche su di me. Ora
questa attività è stata affidata a Francoforte.
2. Vigilanza sulle banche: è caduta anche questa funzione che ora
appartiene a Francoforte.
Queste autorità indipendenti e il coordinamento tra di esse serve ad impedire
quella che si chiama “concorrenza normativa”.
Concorrenza fiscale “vieni da me che ti faccio pagare meno/ se vieni da me
hai delle provvidenze e i contributi sui tuoi dipendenti sono meno ”. L’UE cerca
di combattere questa concorrenza, seppur con scarsi risultati.
Il paradiso fiscale non è vietato dalla legge. Ad esempio, l’Italia sui redditi
finanziari fa pagare meno rispetto alla Francia e quindi l’Italia, rispetto alla
Francia, è un paradiso fiscale.
Il paradiso finanziario è tutt’altra cosa: si tratta di paesi dove io arrivo con un
baule con dentro 20milioni di dollari e nessuno mi chiede da dove provengano
questi soldi.
Il fatto che non ci siano più i documenti scritti è una cosa conosciuta ma questo
è anche un bene per chi opera sul mercato e non si trova di fronte a continui
cambiamenti di norme.
L’art. 2346 parla di AZIONI, strumento sorto in Inghilterra.
I più importanti limiti imposti dalla legge riguardano i rapporti tra
amministratori e professionisti, lasciando che i dipendenti e altri che vantano
diritti nei confronti della società, vengono considerati dal diritto commerciale?
NO, in quanto riguarda i rapporti degli organi della società.
Il diritto d’impresa è l’insieme delle regole e dei principi che attengono ad un
universo chiuso che è quello della gestione dell’impresa e della società.
All’origine della S.p.A., la società veniva incorporata e questa incorporazione
era un atto del sovrano. Adesso, l’atto del sovrano è sostituito dalla creazione
di un organismo secondo determinate regole e se si seguono tutte le regole
diventi società con personalità giuridica, cioè viene incorporata.
Le società che diventano incorporate, divengono soggetti perché hanno creato
una gabbia di regole (attraverso gli statuti e gli atti costitutivi delle società
medesime) che danno luogo alle conseguenze di legge e quindi la società
diviene un organismo giuridico. Nell’agire di questa società si applicheranno
tutte le regole e i principi relativi al singolo problema (es: se la società licenzia
dei dipendenti ci saranno le relative regole del diritto del lavoro).
Queste disposizioni che si applicano alla materia del diritto commerciale
vedono sia delle regole che dei principi (“ standars and rules”). Nel diritto
commerciale questa dicotomia/differenza diventa estremamente importante.
Es: esiste il codice della strada che contiene molte regole. Se ad un certo punto
c’è il cartello “senso vietato” questa è una regola. Se violo la regola c’è una
sanzione. Vi sono poi eccezioni ritenute meritevoli, come ad esempio il caso in
cui un’ambulanza stia trasportando un ferito grave.
Ci sono anche delle preposizioni normative diverse.
Es: nella circolazione stradale occorre mantenere la distanza di sicurezza. È una
regola? No! ci sarebbe la regola nel momento in cui si dicesse: “devi mantenere
una distanza di 50 metri”. Si tratta di un principio elastico in quanto la distanza
di sicurezza dipende da molti fattori. Si tratta quindi di un principio che, a
differenza della regola, necessita di interpretazione.
Quando in una regola si introduce un avverbio come “ragionevolmente-
fondatamente…”, cosa vuol dire da un punto di vista giuridico? Una regola
diventa un principio.
In tutto il mondo, più della metà delle società esistenti, appartengono ad un
gruppo. Cosa succede quando c’è un gruppo? Succede che il gruppo viene
visto con una gestione più o meno unitaria, cioè viene visto con varie braccia
(varie società) di un’unica attività imprenditoriale. La visione è quella di
un’unica attività imprenditoriale, spezzettata (ognuno fa un pezzo di un’unica
attività). Perché si sceglie di frazionare in tanti soggetti giuridici l’attività del
gruppo? Per motivi di elasticità, di risparmio dei costi, di risparmio fiscale ecc….
Es: pensiamo ad una società, che fa parte di un gruppo, e si trova in difficoltà
economica. Poi c’è un’altra società che non ha problemi. La capogruppo induce
la società che ha i soldi a dare dei finanziamenti a quella che ne ha bisogno e il
più delle volte a dare questi finanziamenti anche gratuitamente. Di anomalo in
tutto ciò c’è che una società compie un’attività contro il proprio interesse. Nel
diritto commerciale, c.c., non c’è una regolamentazione positiva e la parola
“gruppo” non esiste. Invece, c’è un approccio non tanto fisiologico ma
patologico, cioè vede le storture con lo scopo di ripulirle. La legge, all’art.
2497, prevede questo comportamento: “la società che esercita su altre società
l’attività di direzione e coordinamento e nell’esercizio di questa attività viola i
principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, producendo un danno,
è responsabile dei danni che arreca ai soci che confidavano nella corretta
gestione societaria e imprenditoriale”.
La legge chiama il danno “pregiudizio”: “ il pregiudizio arrecato alla redditività e
al valore della partecipazione sociale” individua i due interessi in base al
quale un soggetto partecipa ad una società.
All’interno di un gruppo bisogna comportarsi in modo da non creare danno alle
aspettative dei soci delle varie società. Le aspettative sono che questo
investimento di capitale sia fruttifero e mi dia un guadagno. [detto così, il
gruppo non esisterebbe].
La legge va avanti e dice che: “ non vi è responsabilità quando il danno risulta
mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e
coordinamento”. Vuol dire che quando si guarda ad un’attività complessiva del
gruppo, non vi è responsabilità se, è vero che c’è stato un danno ma hai
comunque guadagnato (vi sono cioè compensazioni interne all’interno del
gruppo).
Un’operazione che potrebbe sembrare svantaggiosa, ai sensi dell’art. 2497, in
realtà in un’ottica compensativa non è svantaggiosa. L’idea è ragionevole ma
quello che non va bene è che la norma è completamente inapplicabile. Il
danno dovrebbe essere mancante e questo è impossibile. Questa norma è
inapplicabile!
C’è un’altra norma, che invece è applicabile, che troviamo nell’ambito penale
ma è contenuta nel c.c. (art. 2634). Si tratta di un reato che viene punito con
la reclusione, quindi è un delitto. Il reato consiste nel procurarsi dolosamente,
con un conflitto di interesse, un ingiusto profitto cagionando intenzionalmente
alla società un danno patrimoniale.
Questa norma, dopo aver enunciato questa fattispecie di reato, al 3° co. dice
che: “in ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata, o del
gruppo, se compensato da vantaggi (cd. teoria dei vantaggi compensativi),
conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o
dall’appartenenza al gruppo”. La regola penale rischia di diventare un principio
con l’introduzione dell’avverbio.
Nel diritto commerciale trova applicazione quel precetto costituzionale che
troviamo all’art. 47: “la repubblica tutela il risparmio”, ciò vuol dire che
appronta tutto un sistema di regole e controlli che sono atti a limitare il rischio
di perdere il risparmio.
Questo è chiamato capitale di rischio ho diritto alla restituzione se, ed in
quanto, ci sono i mezzi patrimoniali sufficienti, altrimenti non siamo in presenza
di alcuna violazione del diritto.
Anche nel TUB, art. 19, c’è un principio: “ la legge prevede che l’attività
bancaria sia un’attività riservata e autorizzata dalla banca d’Italia.
L’autorizzazione è negata quando non risulta garantita la sana e prudente
gestione dell’impresa bancaria”. È enunciato come un principio generale ma
arriviamo ad uno degli aspetti del diritto commerciale speciale, la cd.
amministrativizzazione del diritto privato, cioè che la legge viene riempita di
contenuti non dalla legge stessa ma da regolamenti o istruzioni amministrative.
I giudici amministrativi si occupano anche loro di diritti soggettivi ma all’interno
di regole amministrative (es: mi viene negata la licenza perché volevo aprire
una farmacia. Ritengo che ciò sia stato fatto ingiustamente e quindi mi rivolgo
al giudice amministrativo, il TAR).
Dove troviamo qualcuno che mi dice dove c’è la sana e prudente gestione? Non
lo troviamo nel corpo delle norme civilistiche ma nel corpo delle regole
amministrative.
La banca d’Italia emana provvedimenti di carattere generale (regolamenti: atto
amministrativo di portata generale).
L’amministrativizzazione del diritto privato deriva dall’art. 47 della
Costituzione. Tutela il risparmio attraverso la creazione di autorità
amministrative indipendenti (Banca d’Italia e CONSOP).
“Gestione sana e prudente” vuol dire rispettare tutte le regole amministrative
che via via vengono emanate dalla Banca d’Italia e dalla CONSOP. Se violo
queste regole avrò un contenzioso davanti alle autorità amministrative.
Una delle altre linee guida del diritto commerciale è anche quella che coesiste
una regolamentazione civilistica. Il diritto amministrativo subentra nel diritto
commerciale speciale (quando abbiamo le società quotate e le società
finanziarie). La regolamentazione si sposta e passa ad un ambito
amministrativo.
Mentre il diritto commerciale è diritto dei privati e/o diritto contrattuale e io
trovo la fonte, le regole e i principi del diritto commerciale nel c.c., nel diritto
che riguarda le società quotate, i gruppi e le attività che hanno a che vedere
con il risparmio dei cittadini, subentra il diritto amministrativo.
Anche gli stessi testi unici fanno spesso ricorso ai principi.
Quali sono le imprese commerciali? O meglio, l’impresa è un’attività e, come
dettato dall’art. 2082, è un imprenditore chi esercita una determinata attività.
L’impresa non è una cosa ma un concetto. Io tocco i beni dell’imprenditore.
L’attività, per venire svolta, ha bisogno di cose/persone e diritti. L’impresa
commerciale, che si distingue dall’impresa agricola, è un’attività commerciale.
 quali sono le attività commerciali? come abbiamo detto questa è una
terminologia seicentesca.
L’art. 2195 elenca le queste attività. Quali sono le attività che danno luogo
all’imprenditore di iscriversi? Visto che chi si deve iscrivere è un imprenditore
commerciale, da qui traiamo le varie attività commerciali:
1. Un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2. Un'attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3. Un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
4. Un'attività bancaria o assicurativa;
5. Altre attività ausiliarie delle precedenti.
Le attività ausiliarie, negli stati evoluti, oramai sono più importanti rispetto alle
attività di “base” (ovvio che in Cina, dove si sfrutta la manodopera, è più
presente l’attività di base rispetto a quella ausiliaria).
N.B: c’è solo un’annotazione di attività assicurativa ma non si parla di attività
finanziaria.
Dunque, che cos’è un’attività finanziaria?
Come sappiamo il danaro è un fondo di valore con cui io acquisto sia i beni
necessari alla sopravvivenza e sia i beni accessori. La moneta è il danaro
ufficiale: che cosa rende un valore moneta? Se io ho qui un lingotto d’oro vale,
ma è moneta? NO, questo perchè la moneta è quel bene di creazione statale ed
è il mezzo legale di estinzione delle obbligazioni. Cosa significa questo?
Significa che se io ho un debito e lo voglio estinguere con banconote il
creditore non si può rifiutare di riceverli perchè preferirebbe oro piuttosto che
danaro in quanto l’offerta è fatta in moneta ufficiale essendo il mezzo legale
per estinguere le obbligazioni.
Da questo possiamo partire per cercare di capire cosa voglia dire FINANZA.
Per dirla semplicemente l’attività finanziaria inizia con danaro e termina con
danaro.
Un’attività commerciale non è così: inizia con una cosa e termina con danaro, o
viceversa, ma non c’è danaro da entrambe le parti.

Siamo in presenza di un contratto finanziario quando, alla fine, da entrambe le


parti vi è danaro (ovviamente nel mezzo vi potrà essere qualsiasi cosa).
La borsa merci di Chicago è la più grande del mondo. In qualsiasi mercato
finanziario vi è un meccanismo di scambio di danaro. Esistono varie società che
prosperano facendo il brokeraggio non sui beni ma sui diritti (questa è
un’attività finanziaria).
La gran parte dei mercati poi valuta, vende, acquista azioni/titoli di
partecipazione. L’azione non rappresenta il barile di petrolio o un kg di carne
ma rappresenta una quota di un patrimonio aziendale.
Ma se io sono azionista della FCA ex FIAT e ho azioni x 15 milioni, non funziona
che io vado e prendo una macchina da 15 milioni perchè io ho una fetta ideale
della società. La finanza, nell’elenco delle attività dell’art. 2195, non c’è perchè
nel 1942 (anno in cui il codice è stato promulgato, dopo 10 anni che ci
lavoravano) l’Italia era diversa rispetto ai giorni d’oggi e quindi non si sapeva
nemmeno cosa fosse la finanza. Che non si sapesse cosa fosse la finanza e che
ci fosse una visione molto ‘primitiva’ lo ricaviamo anche da un’altra norma, da
un altro concetto giuridico:
 che cos’è l’imprenditore?

- la legge non lo dice, è chi esercita un’attività di impresa quindi importante è


definire l’attività di impresa e non la persona dell’imprenditore.
 come fa l’imprenditore a esercitare attività di impresa?

- art. 2555: l’AZIENDA (spesso si confonde questa con l’impresa). L’azienda è


il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
L’attività la svolge l’impresa!
Quindi, visto che l’impresa è un’attività (=non posso venderla), io posso
vendere l’azienda essendo un insieme di beni.
Secondo la definizione dell’art. 2555, il legislatore aveva in mente tantissimi
dipendenti, tantissimi magazzini, beni ecc….
Oggi moltissime imprese hanno un’organizzazione molto più snella sotto 2
profili:
1. L’avvento dell’elettronica ha spazzato via queste fisicità delle ex aziende;
2. Outsourcing: se le risorse dell’impresa provengono dal fuori, è evidente
che l’azienda si svuota sempre di più. Arriviamo qui alle attività
finanziarie che, quantitativamente, sono più rilevanti rispetto alle attività
industriali.
Se le attività sono per lo più outsourcing (= fatte da altri) non è più necessario
che le nostre società abbiano un capitale sociale elevato come ai tempi perchè
se io come impresa ho delegato le mie attività ad enti esterni, la nostra
impresa di organizzazione costa poco, vale niente. Tra la dimensione
dell’azienda e la dimensione dell’impresa, non c’è più un rapporto necessario.
Art. 2463: è dettato in tema di S.r.l. Questa deve avere una misura minima del
capitale sociale, pari a 10mila (< vs 50mila della spa).
CAPITALE SOCIALE: impegno minimo che i soci devono mettere affinché
possano aprire la società; è un impegno di serietà.
Il capitale quindi è una misura di serietà e dall’altro lato di garanzia per i
creditori.
Il quarto comma dell’art 2463 dice: “ L'ammontare del capitale può essere
determinato in misura inferiore a euro diecimila, pari almeno a un euro. In tal
caso i conferimenti devono farsi in denaro e devono essere versati per intero
alle persone cui è affidata l'amministrazione”.
Attraverso questi sviluppi, da un lato abbiamo l’ingresso della finanza che
comporta che l’azienda sia qualcosa di sempre meno rilevante (investimento di
capitali e mezzi basso) e muove però somme colossali (muove non significa
che guadagna).
Gli anglosassoni parlano di OPM= others people money, ovvero che essendo
soldi dei risparmiatori e non degli imprenditori, la società potrà mettere 1 euro
perchè tanto vivrà con gli OPM.
Il concetto di impresa, quindi, è rimasto sempre lo stesso nel tempo ma quello
di azienda è mutato perchè ai giorni d’oggi oramai non hanno più bisogno di
danaro come ai tempi e nemmeno di troppi mezzi.
Un esempio è la BANCA: cosa fa l’impiegato in banca? Opera e basta su un
processore. La banca dunque è un enorme programma di computer, nulla di
più.
Simile alla banca è il mercato regolamentato: è anch’esso un enorme
programma di computer in cui serve ancor meno un personale perchè le borse
vanno in automatico (non tutto, perchè alcune scelte su come indirizzare i
programmi le fanno ancora gli investitori, ma sono scelte a monte).
Questo fa vedere come la tecnologia abbia mutato tutto: una volta si diceva
che un’azione non venisse quotata/ammessa alla quotazione ma che venisse
ammessa al “recinto delle grida” (tutti andavano lì e gridavano e chiedevano di
investire azioni; oggi invece da casa nostra possiamo fare tutto ciò che
vogliamo con un banale pc).
IN CONCLUSIONE: che cos’è l’azienda?
- potrebbe anche non essere nulla! Ci sono svariati esempi che dimostrano
come i mezzi di un’azienda siano due pc e nulla più e con 1 euro come capitale
sociale.
 E dunque, cos’è la responsabilità limitata? cosa vale la S.r.l. quando non ho
capitale? (o meglio, ho solo 1 euro)
- il legislatore dice che in una società (qualsiasi modello essa sia S.p.A., S.r.l.,
ecc…) che abbia capitale sociale pari a 1 euro, saremo noi verificarne
l’affidabilità.
Una società che non ha capitale o comunque lo ha basso (anche quando
raggiungono i 10 mila o i 50 mila non son troppi soldi), è un modello
organizzativo generale, dall’altro lato se non ha capitale suo, se i soci non ci
mettono danaro, da qualche parte dovrà prenderli e in questo caso diventerà
un collettore di risorse esterne utilizzando moltissimo l’outsourcing (es: ex
società che faceva stampanti, in realtà non sapeva nemmeno come si
costruisse una stampante perchè era tutto rivolto verso l’esterno).
A questo punto non c’è più una rilevanza dell’azienda, dell’impresa, quindi che
io abbia un’impresa individuale o una societaria, le cose si confondono. Se
leggiamo l’art. 2247, noteremo come la singola persona potrà usare un
modello organizzativo neutro, questo perchè abbiamo smontato il concetto di
capitale sociale e di azienda.
ATTENZIONE: che cosa fa la società? E quindi anche la S.r.l.? Gestisce
un’attività economica al fine di dividerne degli utili, ma non è detto! Perché c’è
lo scopo di guadagnarci (infatti sono società lucrative) ma c’è anche lo scopo
non lucrativo.
In Italia si son sviluppate le società “in house”: dal punto di vista formale sono
S.r.l. o S.p.A. ma dentro nella società si ha il concetto di outsourcing operato da
enti pubblici come il comune di Milano etc.
 Cos’ha di particolare?

- può avere come soci solo enti pubblici


- può operare solo a favore di enti propri
Es: a Milano gli impianti sportivi ex comunali anni fa sono stati conferiti in una
S.p.A. (società quindi di diritto privato e non enti pubblici). Chi erano i soci di
questa S.p.A.? Al 98% il comune di Milano e il 2% da metropolitane milanesi
che erano gestite al 100% dal comune di Milano.
Questi sono modelli organizzativi neutri, dove dentro può esserci di tutto.
ECCO SPIEGATO PERCHE’ IMPRESA E AZIENDA SONO MUTATI RISPETTO
AL CODICE CIVILE DEL 1942: il mondo commerciale è cambiato adattandosi
alla nascita di società particolari come quelle con capitale sociale di 1 euro
oppure alle “In house”.
L’art. 2249 elenca i TIPI DI SOCIETA’
 Cosa significa contratto tipico? Espressamente disciplinato dalla legge.

Un contratto atipico è ad esempio il leasing.


La legge, nel nostro caso, dice che le società sono contratti tipici.
La società deve costituirsi secondo i tipi di legge. Ma è vero? Si, però con delle
eccezioni. Una di queste è l’art. 2325bis: “ai fini dell'applicazione del presente
titolo, sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio le
società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in
misura rilevante”
Nelle società quotate vuol dire che una società è inserita in un mercato
regolamentato, quindi c’è questo mercato, c’è un prezzo in ogni momento delle
azioni (salvo il caso in cui la CONSOB sospende la quotazione).
La società quotata è un’altra società? SI e NO: c’è un organismo di controllo,
regole con cui funziona il mercato e ci saranno anche regole particolari che
disegnano all’interno della S.p.A. la categoria B delle S.p.A. quotate.
AMMINISTRATIVIZZAZIONE DEL DIRITTO PRIVATO IN S.P.A. QUOTATE: qual è la
misura rilevante? Ci si aspetta che la legge ci dica quale sia la misura rilevante
ma il legislatore non ha legiferato e quindi chi ha riempito questa norma di
significato concreto? Chi ha detto quale sia la misura rilevante? Ovviamente la
CONSOB, autorità amministrativa indipendente, che, con un regolamento del
’99, ha detto che cosa voglia dire “azioni quotate diffuse fra il pubblico in
misura rilevante”.
 Ma è corretto che anche il legislatore faccia outsourcing affidandosi
all’autorità amministrativa indipendente?
- in teoria no, ma comunque lo fa. Il legislatore detta il principio generale (che
nel nostro caso è espresso dall’art. 2325bis) ma non entra nel particolare
andando a specificare cosa significhi “misura rilevante”.
Questo comporta che se noi abbiamo delle liti, come ad esempio una società
che non vuole essere annoverata fra le società dell’art. 2325bis, non si
rivolgerà al giudice civile ma al giudice amministrativo (TAR). Ecco quindi che
la nostra amministrativizzazione del diritto privato che deriva dall’art 47 della
Costituzione.
Dunque, cos’è l’impresa? Un’attività in cui l’imprenditore (persona fisica o
giuridica che sia) intraprende un’attività; organizza tante cose per
produrre/commerciare delle cose, fare una banca.
L’andare del tempo ha comportato però che sotto il profilo soggettivo la società
fosse un modello organizzativo neutro incrementato da più persone o da una
sola. La società può anche non avere alcuna “dote” infatti può avere 1 euro e
in questo caso, non avendo risorse proprie, farà da collettore per risorse
esterne.
Es: le società calcistiche prima avevano il divieto di dividersi gli utili.
Con le società in house che hanno la veste di S.r.l. o S.p.A., ma con la natura di
ente pubblico, abbiamo scavalcato la distinzione tra diritto privato e diritto
pubblico. Quindi, nel diritto privato interviene in maniera preponderante il
diritto amministrativo.
Quindi, è ovvio che il diritto commerciale sia ancora diritto privato, ma non del
tutto. Se ho dei problemi della società, infatti, non necessariamente andrò dal
giudice civile.
La S.r.l. era nata insieme alla S.p.A. nel c.c. del 1942. La legge però è cambiata,
soprattutto per la S.r.l. in quanto questa forma societaria è oggi assolutamente
nuova e innovativa.
Le fonti legislative del diritto commerciale del terzo millennio non sono più solo
la repubblica italiana ma la differenza è data dal fatto che adesso l’Italia fa
parte dell’UE (TFUE – Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea).
Nel 2003, con la raccomandazione n° 361/2003, l’UE ha definito dei concetti
che erano importantissimi ma non erano mai stati definiti prima.
Nel diritto commerciale generale c’era il concetto dell’imprenditore e del
piccolo imprenditore ma non vi era il concetto di società e piccola società.
La raccomandazione parla di categorie di imprese, specificando che possono
essere imprese individuali o le società.
In Italia non abbiamo una definizione di piccola impresa. In Europa invece
abbiamo la distinzione tra:
- Piccole imprese: hanno meno di 50 dipendenti e devono avere un
fatturato che non superi i 10 milioni di euro
- Medie imprese: hanno meno di 250 dipendenti e devono avere un
fatturato non superiore a 50milioni di euro
- Micro imprese: hanno meno di 10 dipendenti e devono avere un
fatturato non superiore a 2 milioni di euro
Azienda bene fisico o giuridico a servizio dell’attività. Quello che vendo è
l’azienda, mai l’impresa!!!
Quali sono i fondamenti della S.r.l.? L’art. 2462 enuncia la caratteristica della
S.r.l.: “Nella S.r.l., per le obbligazioni sociali, risponde soltanto la società con il
suo patrimonio”.
Tutti i soggetti rispondono delle proprie obbligazioni con tutti i propri beni.
Nella norma dettata dall’art. 2740 leggiamo che: “ Il debitore risponde
dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri ”.
Se confrontiamo questi due articoli in realtà dicono la stessa cosa.
Ecco che invece il legislatore ha dettato una regola che, venendo da una
concezione ancora un po’ primitiva delle società, chi risponde dei debiti
senz’altro saranno i beni della società ma anche i beni o di tutti i soci o di
alcuni di essi. È una disposizione dettata per i creditori della società dicendogli
che se fanno credito alla società, sarà solo essa a pagarli.
Pubblicità in senso proprio vuol dire “rendere pubblico”. Pubblico vuol dire
“chiunque”. L’ufficio del registro delle imprese riceve tutte le notizie che
riguardano la costituzione e le vicende della società che interessano ai terzi.
La pubblicità, per quanto riguarda le società di capitali (S.p.A., S.r.l.), è
costitutiva.
La pubblicità divide in due mondi l’ambito della società:
- Rapporti interni
- Rapporti verso terzi
La pubblicità, per esempio, ha degli aspetti importantissimi, anche di tipo
patrimoniale, perché c’è una norma, l’art. 2550, che dice che bisogna indicare
negli atti e nella corrispondenza della società se queste società hanno un unico
socio.
L’art. 2247 c.c. ci dice che la società è un contratto, cioè un accordo (unione
di volontà) che riguarda più di una persona.
L’art. 2463 ci dice che “la società può essere costituita con contratto o con
atto unilaterale; L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico […] ”.
L’atto unilaterale è esattamente l’opposto del contratto.
Il nome della società non è necessariamente un nome di una persona fisica.
Può essere una sigla, il nome di una famiglia ecc….
Non c’è più bisogno di capitale sociale. Questa è una svolta fondamentale.
Abbiamo una economia, una società finanziaria.
Art. 2249: le società devono costituirsi secondo tipi di società.
Invece le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio hanno una
disciplina diversa.
Questo poteva non interessare nelle S.r.l., ma in realtà anche nelle S.r.l. c’è una
possibilità di finanziarsi sul mercato quindi anche le S.r.l. possono rientrare
nella categoria “sotto tipo” che riguarda le società che fanno ricorso al mercato
del capitale di rischio (non diciamo nuovo “tipo” perché art. 2249 non è stato
modificato).
Nella Costituzione art. 47 dice che la Repubblica tutela il risparmio. Come lo fa?
Attraverso la predisposizione di organizzazioni amministrative che
sovraintendono i mercati del capitale di rischio (Banca d’Italia, Consob etc.).
Quindi nel nostro libro non c’è un capitolo che si intitola società quotate, ma i
riferimenti vengono fatti via via.
L’argomento delle S.r.l., che fosse una sottospecie delle società per azioni fino
al 2003 poteva andar bene, ora invece è un argomento autonomo, anche se è
evidente che è una società così come le spa, ma è una società autonoma.
Il fatto che si parli di diritto commerciale speciale dà l’idea di questa
caratteristica.

LA SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ LIMITATA


La S.r.l. è una società a responsabilità limitata.
Cosa vuol dire?
È una società di capitali: mentre le società di persone necessita la presenza
di almeno 2 persone, le società di capitali hanno come riferimento e vedono
come fondamentale nella loro essenza i capitali. Le persone sono quindi molto
meno rilevanti... le persone possono anche essere una persona, ciò che
importa è che questa abbia l’intero capitale della società.
(Ferrovie dell’India è l’ente che ha il maggior numero di dipendenti, ma non è
una spa; una delle spa più grandi, se non la più grande, come compagine
azionaria è la General Eletric, che ha circa un milione di soci).
Nelle società di capitali non rileva il numero delle persone, ma bensì la
quantità di capitale.
Il fatto che il capitale sia di una sola persona o più persone rileva sotto il profilo
della pubblicità:
le società di capitale sono società a responsabilità limitata, MA quando noi
diciamo che c’è responsabilità limitata, in realtà non c’è.
Innanzitutto cosa vuol dire responsabilità? Siamo nel diritto civile, privato non
penale. La pena, se così vogliamo chiamarla, è una sola: il risarcimento del
danno e prima ancora il pagamento delle obbligazioni.
Nel diritto civile quindi o si risarcisce il danno (livello extracontrattuale, es.
incidente stradale) o si adempiono le obbligazioni assunte.
Cosa significa che una società è a responsabilità limitata?
La società è un ente, diventa un soggetto di diritto come dice la legge dall’art.
2463 terzo comma quando dice che si applica la norma dell’art. 2231 che non
fa altro che dire che quando la società è pubblicizzata viene ad esistenza,
acquista la personalità giuridica.
Se è un soggetto di diritto, allora la società è un soggetto capace di contrarre
obbligazione quindi sarà adempiente o inadempiente.
Art. 2740 dice che tutti i soggetti di diritto rispondono delle proprie obbligazioni
con tutti i propri beni.
Quando noi diciamo che la società è a responsabilità limitata, NON intendiamo
che la società è esente dalla norma generale dell’art. 2740, la S.r.l. risponde
con tutto il proprio patrimonio, così come qualsiasi altro soggetto.
Quindi responsabilità limitata non si intende nei confronti della società, ma
bensì in relazione ai soci.
La legge dice questo i soci non sono tenuti all’adempimento delle
obbligazioni della società, quando il socio conferisce il proprio denaro nel
patrimonio della società (es. 1000 euro, un capannone etc.) non ha un diritto
ad avere indietro quanto conferito, infatti il capitale si chiama “ capitale di
rischio “ .
Il capitale che viene conferito nella società è capitale di rischio,
perché non si ha diritto alla restituzione.
Mentre il capitale che viene prestato alla società non è capitale di rischio, ma
capitale di credito, per cui vi è un diritto alla restituzione del capitale prestato
+ interesse pattuito.
La legge quando dice che la società è a responsabilità limitata dice
una cosa che letteralmente non vuol dire niente perché non è a
responsabilità limitata perché paga con tutto il suo patrimonio, ma
vuol dire che non rispondono anche i soci: una volta che questi hanno
conferito il capitale di rischio si fermano lì.
Difatti noi la chiamiamo società a responsabilità limitata, ma la legge all’art.
2462 dice “nella S.r.l. per le obbligazioni sociali (debiti) risponde soltanto la
società con il suo patrimonio”.
Quindi abbiamo enucleato il concetto di cos’è il capitale di rischio.
N.B. capitale di rischio è sia i 100 euro che metto nella mia S.r.l. sia
l’investimento che io faccio sui mercati regolamentati. Io compro titoli, azioni
etc., per un milione di euro ma non ho il diritto alla restituzione: ci sono dei
corsi di mercato, una valutazione di mercato.
QUINDI IL CAPITALE DI RISCHIO È IL CAPITALE CHE VIENE CONFERITO
IN SOCIETA’ E NON C’E’ NESSUN DIRITTO ALLA RESTITUZIONE
INTEGRALE.
Capitale iniziale conferito è capitale sociale, che ha una sua disciplina
importante, dopo di che il patrimonio della società, che è tutto l’insieme dei
rapporti economici attivi e passivi che fanno capo ad un unico soggetto, ha
tutte le sue vicende patrimoniali (aumenta, diminuisce, etc.) e sono indifferenti
rispetto alla posizione del socio.
Es. io ho messo 1000 euro nella società che ha un patrimonio di 1 milione di
euro, i miei 1000 si tramutano in una quota del capitale io non potrò dire “Io
ho 1000 euro” ma bensì dire “io ho 1% di quello che sarà il patrimonio”, il che
non vuol dire che alla fine mi verranno restituiti i 1000 euro perché questi sono
capitale di rischio.
Perché si chiama capitale di rischio quindi? Le cose vanno bene allora
guadagni, le cose non vanno bene allora non guadagni.
La S.r.l. è una società a responsabilità limitata che ha una disciplina quasi
totalmente autonoma; è evidente però che alcune linee di fondo ci sono
sempre, ma non perché richiamano la spa, ma perché richiamano un concetto
ancora più sottostante che è quello di impresa commerciale.
L’imprenditore commerciale è assoggettato alla c.d. pubblicità obbligatoria che
si realizza attraverso l’iscrizione nell’ufficio del registro delle imprese che è
tenuto presse le singole camere di commercio provinciali.
Nel registro delle imprese vengono iscritte le imprese commerciali e tutte le
società, perché queste idealmente gestiscono imprese commerciali.
Il concetto della pubblicità degli imprenditori commerciali è nato verso il 1600,
perché all’epoca l’attività effettuata era di tipo commerciale, di attività
industriale ve ne era ben poca.
Perché bisogna pubblicizzare alcuni aspetti dell’attività commerciale e non di
quella privata?
Se io sono un imprenditore commerciale e alla fine dell’anno il bilancio mi dà
100 mila euro, quindi impresa piccola eppure devo farne pubblicità.
Che senso ha? il senso si rileva nel concetto di impresa: è un’attività che viene
svolta professionalmente; mentre io come persona privata non lo faccio di
mestiere.
Es. io non vendo tutti i giorni una casa da 200 mila euro, mentre imprenditore
compie atti di commercio n volte al giorno e quindi entra in contatto con n altri
soggetti e entra in contatto professionalmente.
La pubblicità serve per dare pubblica informazione (pubblica= possiamo
reperire informazioni circa i dati di cui è obbligatoria la pubblicità, quindi i dati
economici fondamentali, di tutte le imprese italiane).
È così importante la pubblicità ed è così importante la posizione
dell’imprenditore (commerciale) che se l’imprenditore va male, la sua impresa
perde, l’imprenditore non paga i propri debiti allora risponde con tutti i suoi
beni.
L’imprenditore pieno di debiti, che non riesce a pagare, fallisce (interviene lo
Stato con procedura pubblica), mentre la persona privata non fallisce, io posso
essere pieno di debiti ma non fallisco.
Il fallimento è un concetto tecnico che si applica SOLO all’imprenditore
commerciale.
Se non sei un imprenditore commerciale non fallisci.
La posizione dell’imprenditore commerciale è così importante che nel
fallimento sono previste anche delle ipotesi penali.
Se io persona privata sono pieno di debiti non vado in galera, mentre se io
società fallisco e commetto anche atti non corretti, tra cui anche ho imbrogliato
sulla pubblicità, commetto il reato tipico di bancarotta fraudolenta (che può
essere commesso SOLO dall’imprenditore commerciale fallito).
La pubblicità è così importante in generale che la S.r.l. può essere costituita da
un singolo soggetto oppure nel corso della società tutte le quote vengono
acquistate da un soggetto.
L’unica cosa è che la legge dice che se c’è un unico socio questo è un
fatto rilevante e richiede la pubblicità.
N.B. la pubblicità delle imprese commerciale è solo una che si fa presso l’ufficio
del registro delle imprese.
Cosa succede se non viene pubblicizzato?
Vi è una sanzione civilistica che è il secondo comma dell’art. 2362: in caso di
insolvenza della società è insolvente (= ha difficoltà a pagare i propri debiti)
per le obbligazioni in capo alla società che sono sorte quando tutte le quote
appartenevano a un'unica persona e questa non ha fatto la pubblicità (= ha
imbrogliato i terzi non notificando il fatto che lui fosse unico socio) allora
questa persona ne risponde con tutti i suoi beni, come se fosse una società di
persone.
(non c’è una sanzione penale, ma c’è una sanzione amministrativa perché la
camera di commercio richiede pagamento di una somma di denaro per aver
violato la regola pagando la somma la violazione è estinta).

La pubblicità quindi è FONDAMENTALE.


Perché? La S.r.l., così come tutte le società di tutti i tipi che prevedono che tutti
i soci conferiscano beni alla società, ha un patrimonio.
I conferimenti sono lo zoccolo all’interno del patrimonio che chiamiamo
capitale.
Quindi il capitale sono i 100 euro posti da un socio, i 1000 euro conferiti da un
altro, l’appartamento conferito da un altro (il cui valore poi deve essere
trasformato in valore monetario).
Il capitale, soprattutto nelle spa, viene visto come una quota del patrimonio
della società.
Il patrimonio è sempre mutevole, il capitale è una quota fissa.
C’è una normativa che è posta a tutela della integrità del capitale sociale
perché siccome la società risponde solo con il proprio patrimonio (che non è
detto che sia con il segno +) all’interno del patrimonio dovrebbe esserci un
nocciolo duro, intangibile che è poi il capitale.
N.B. il capitale viene immesso nella vita commerciale della società, ma vi è un
concetto IDEALE per cui all’interno del patrimonio della società dovrebbe
esserci una parte, il capitale sociale, che si può toccare solo a certe condizioni.
Questa è la dottrina generale, tutte le spa e anche le S.r.l.
Le spa hanno un capitale minimo di 50.000 euro;
Le S.r.l. hanno un capitale minimo non inferiore a 10.000 euro e pari almeno a
un euro (art 2463 quarto comma).
N.B. società che svolgono attività particolare, hanno capitali minimi particolari
(questo perché capitale è garanzia per i creditori).
Se questo è vero, che funzione ha il quarto comma dell’art. 2463? Il discorso è
complesso... così come il diritto commerciale si è evoluto sempre più in senso
finanziario, così anche in senso materiale-fiduciario.
Elon Musk è il fondatore e amministratore della Tesla: la Tesla è una società
piena di debiti ma nessuno dice che è insolvente, perché? Perché comunque ha
capacità di credito.
Qui va fatto un discorso che riguarda l’impresa commerciale e le società
quotate.
Una idea commerciale (es. io ho idea di fare macchina elettrica) compiuta si
realizzerà tra molto tempo e se le cose vanno bene guadagnerò tanti soldi dalla
mia impresa commerciale; nel frattempo come faccio a sviluppare la mia idea
di impresa commerciale? Ho bisogno di soldi, per i dipendenti e l’azienda in
generale.
I soldi me li danno le banche, il mercato, dei privati sia sotto forma di titoli che
la società emette e che io sottoscrivo sia sotto forma di mutuo, un prestito.
La domanda quindi è “quando una società insolvente? Quando ha i conti in
rosso o viceversa non sarà mai insolvente fino a tanto che ha capacità di
credito?”
Questa è la posizione della Tesla.
Se io ho una libreria giuridica di 100 libri, 100 persone me li comprano, ho
incassato, ma questa non è impresa commerciale; l’impresa commerciale è
un’idea organizzata che si protrae nel tempo, non esiste un’impresa
commerciale istantanea.
Questo è uno delle tendenze di fondo di tutto il diritto commerciale: i soci di
una S.r.l. in realtà sono di due categorie, ossia
- Soci industriali: soci che hanno un’idea di sviluppare il loro progetto
industriale e ci vogliono anni. Se alla fine le cose vanno bene questi soci
guadagneranno tantissimo. (es. Steve Jobs).
Questo è un tipo di socio, il socio che mette dei soldi, che normalmente non
sono tutti quelli necessari, al servizio di una sua idea di impresa, di un suo
progetto.
- Es. ci vengono regalati 1000 euro, li investiamo sui mercati comprando
1000 euro di azioni della pincopallino spa. Siamo come Elon Musk? NO,
sappiamo che è capitale di rischio ma sappiamo che i motivi per investire
sono due:
- la società ha una politica di dividendi annuali generosa (es. da noi è la ENI),
quindi se noi abbiamo investito nella società 1000 euro la società ha una
politica di dividendi del 4% all’anno incassiamo il 4%.

-secondo motivo per cui sono dati consigli di investimento è il fatto che la
società ha una previsione di crescita, per cui la nostra previsione di prezzo
aumenta.
Questa figura è una figura di un investitore non industriale ed è una figura
prevista dall’art. 2497, dove si dice che il socio (non industriale, possiamo
definirlo “mordi e fuggi”) ha un’aspettativa di redditività e valore della
partecipazione.
Redditività quanto mi dà il dividendo ogni anno

Valore della partecipazione il mio investimento si chiama conferimento, il mio


conferimento mi viene poi valutato di più o no? La mia speranza è che mi
venga valutato di più.
Non è comunque una certezza perché si tratta comunque di capitale di rischio.
Le mie aspettative però (n.b. aspettative, non diritti) è di avere un buon
dividendo e la quotazione salda  avere dividendo diventa un diritto nel
momento in cui l’assemblea ha deliberato il dividendo; la quotazione della
società non sarà mai un mio diritto perché è il mio è un investimento in
capitale di rischio.
Le società nel nostro ordinamento sono tipiche, cioè è un contratto che va
stipulato secondo dei tipi predefiniti (art. 2249 c.c.).
In realtà le società non sono più così tanto tipiche, sia per quanto riguarda le
società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (cioè le società che
attingono al risparmio dei cittadini, che è protetto dalla Costituzione-art.47) sia
per quanto riguarda le S.r.l., nella cui disciplina sono state introdotte nel 2013 e
nel 2017 delle novità sono state introdotte delle S.r.l. “speciali”, diverse
rispetto al tipo fondamentale.
Il tipo fondamentale di S.r.l., la S.r.l. ordinaria è una società che si costituisce
con contratto o atti unilaterale che è assoggettata a pubblicità obbligatoria
(iscrizione nel registro delle imprese) e che come le altre società prende la sua
esistenza una volta effettuata la pubblicità e ha un capitale minimo di 10.000
euro.
(l’importante è che ci sia un capitale minimo per legge).
Al contrario sono state introdotte delle forme, sempre nell’ambito delle S.r.l.,
che sono diverse.
Esempio: nel codice civile abbiamo l’art. 2463 bis che parla e introduce la
figura della
SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ LIMITATA SEMPLIFICATA.
Caratteristiche della S.r.l. semplificata:
- È una S.r.l., quindi può essere costituita con contratto o atto unilaterale,
può essere costituita SOLTANTO da persone fisiche.
- L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico (quindi attraverso
notaio) MA solo secondo un modello standardizzato, e quindi
obbligatorio, che è stato formulato da un comitato ministeriale (Ministro
della giustizia, Ministro dell’economia delle finanze e Ministro dello
sviluppo economico).
- Questa società semplificata ha dei vantaggi iniziali fiscali e il notaio, da
cui ci si deve recare per la costituzione, deve applicare delle tariffe
ridotte.
Perché questo? Perché la legge, l’art. 2463 bis, dice che in questo modello
tipizzato devono esserci alcuni elementi, comuni a tutte le società come la
denominazione dei soci e la denominazione di S.r.l. semplificata, e inoltre è
richiesto che il capitale sociale non sia inferiore a un euro (quando
diciamo un euro diciamo praticamente niente, il capitale sociale non ha
rilevanza effettiva) e il versamento deve essere fatto in denaro.
N.B. i conferimenti non sono obbligatoriamente da farsi in denaro, ma possono
farsi con altre come nelle società di persone attraverso attività. In questo caso
il problema è quello della valutazione: l’attività deve essere poi valutata a
livello monetario. Questo problema non si presenta per ovvi motivi con il
denaro, che ha un valore nominale. Questo è un principio di diritto importante
ed è dettato all’art. 1277 (principio nominalistico).
In questa società semplificata il conferimento va fa tutto in denaro, il capitale
minimo è un euro e bisogna applicare l’atto costitutivo e lo statuto standard
(decreto ministeriale n. 138 del 23 luglio 2012).
Si possono aggiungere delle clausole ulteriori a quelle obbligatorie previste dal
decreto?
Dipende.
Alcune clausole sicuramente sarà possibile aggiungerle, altre magari no.
Per questo motivo diciamo che la società semplificata si può dire che non sia
tanto semplice, es. non si può rimuovere una clausola come l’art. 4 del decreto
ministeriale, quindi non si può costituire la società e poi modificare l’atto
costitutivo e dire che è un socio un soggetto di 106 anni perché non è
corrispondente al modello obbligatorio.
Nello schema ministeriale l’art. 4 dice che è vietato il trasferimento delle quote
per atto tra vivi a persone che abbiano compiuto i 35 anni d’età.
(n.b. è giusto dire persone, perché le S.r.l. semplificate possono essere
costituite solo da soggetti fisici).
Queste sono delle agevolazioni a favore dei giovani, per introdurli per quanto
possibile nel mercato del lavoro. Siccome ormai non c’è dubbio che il mercato
sia una tendenza sociologica a breve termine irreversibile, la tendenza è a una
svalutazione del c.d. posto fisso.
Uno dei modi per procurarsi il lavoro è per esempio quello di costituire una
società per fare un’attività – vedi Bill Gates.
Il legislatore quindi cerca di aiutare.
È stato emanato recentemente un decreto legge, quale il decreto legge n.50
del 24 aprile del 2017, che è un decreto correttivo.
È un decreto che ha introdotto delle modifiche rilevanti nella disciplina delle
S.r.l. per le piccole e medie imprese (le c.d. start up innovative).
Raccomandazione 361 del 2003 ha dato una definizione uguale per tutta
l’Europa delle piccole e medie imprese.
[[Come nasce la regolamentazione europea? O meglio, quali sono i pilastri di
base della regolamentazione europea nel diritto commerciale?
I due pilastri dell’Europa sono:
- la libera concorrenza (bisogna togliere le barriere che possono esistere
negli stati membri o che le singole società possono introdurre per limitare
la concorrenza)
- Libertà di stabilimento (libertà di muoversi che riguarda sia le persone
fisiche sia le persone giuridiche);
altra faccia della libertà d stabilimento è la concorrenza tra stati (Caso
embraco: multinazionale brasiliana che ha una sede in Italia e ha deciso di
andare in Slovacchia perché lì ottiene vantaggi fiscali e tributari, tra cui il basso
costo del dipendente; la Apple quando è arrivata in Europa si è stabilita in
Irlanda perché il trattamento fiscale era più favorevole).
Principio generale quindi è la libertà di stabilimento, vi sono poi delle anomalie
come la concorrenza tra stati.
Libertà di stabilimento vuol dire che io posso stabilire la mia impresa dove
voglio all’interno dell’UE ma è evidente che tutto ciò presuppone un’attività
comunitaria che regolamenti nel modo più possibile comune le norme per
pareggiare la situazione giuridiche tra i vari paesi.]]
Ecco quindi a cosa servono i provvedimenti dell’UE, come ad esempio la
raccomandazione 361 del 2003, che definisce la piccola media e micro
impresa.
Il decreto legge 50\2017 ha introdotto molte innovazione per quelle che una
volta erano definite start up innovative, che ora, per la raccomandazione
361\2003 si chiamano piccole medie imprese (PMI).
Il decreto introdotto numerose modifiche, numerose novità, come ad esempio:
- all’art. 26 il decreto ha introdotto delle modifiche che riguardano il
capitale sociale delle S.r.l., le quote, il diritto di voto etc.
- Ha introdotto per la prima volta le start up innovative (oggi PMI) il c.d.
equity crowd founding:
Il crowd founding è qualcosa che sarebbe vietato dalla legge, se non ci fosse
una legge che la autorizza ed è una raccolta di risparmio fatta da soggetti che
non sono soggetti finanziari (=raccolta fondi).
- Un’altra novità è che queste PMI, sotto forma di S.r.l., possono anche
emettere e collocare strumenti finanziari.
Gli strumenti finanziari sono degli strumenti che attestano una partecipazione a
un’iniziativa diversi dalle quote ed azioni sono strumenti che la legge non
definisce ma sono altro rispetto alle ipotesi base, quindi sono dei diritti che
taluno acquista e hanno determinati contenuti patrimoniali.
Es. si può dire che chi possiede determinati strumenti finanziari ha diritto ad
avere una certa quota del suo investimento a titolo di utile prima dei soci.
Gli strumenti finanziari fanno parte dei c.d. prodotti finanziari.
I prodotti finanziari sono definiti nel TUF (decreto legislativo 24 febbraio 1998
n.58), che all’art. 1 lettera U definisce i prodotti finanziari come gli strumenti
finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria. Non sono
prodotti finanziari i depositi bancari o i depositi postali
Perché non sono prodotti finanziari questi ultimi?
I depositi bancari e postali hanno la caratteristica di essere depositi a vista e
non a termine.
Riassumendo quindi noi abbiamo:
- Tipo SRL
- Sottotipo SRL SEMPLIFICATA (art. 2463 bis – decreto ministeriale
138\2012)
- Sottotipo PMI SRL (dove PMI prende il posto delle vecchie start up
innovative, per effetto del decreto ministeriale 50\2017).
Torniamo ora alla SRL ORDINARIA
Il codice civile dopo averci definito cosa sia la S.r.l. ordinaria, ci dice quali sono
gli altri concetti fondamentali in una società.
I conferimenti sono fondamentali.
Va infatti ricordato che il capitale sociale è l’insieme di tutti i conferimenti; è
vero che nelle S.r.l. semplificate il capitale sociale , siccome è minimo di un
euro non è così importante, ma comunque la legge ne detta una disciplina
all’art. 2464 che dice che il valore dei conferimenti non può essere inferiore
all’ammontare globale del capitale sociale (è evidente che i conferimenti
possono essere di più, ma sicuramente non devono mai essere inferiori al
capitale sociale); al secondo comma prevede che possono essere conferiti in
società tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica.
Questa è un’espressione legislativa che non è facile... cosa sono gli elementi
dell’attivo?
Per trovare una definizione di elementi dell’attivo dobbiamo andare a vedere
dove il c.c. utilizza la terminologia attivo e lo fa quando detta una
regolamentazione (art. 2424) riferita al bilancio d’esercizio.
Gli imprenditori commerciali sono soggetti a pubblicità, sono soggetti a un
controllo di tipo pubblicistico perché se vanno male falliscono e sono soggetti a
un altro obbligo che è quello di tenere le scritture contabili.
La legge dall’art. 2214 fino a 2220, obbliga l’imprenditore commerciale ad
avere le scritture contabili.
(Vengono chiamate scritture e ci sono delle norme che sono un po’ obsolete
perché nel 1942 non era ancora intervenuta l’età dell’elettronica; adesso le
scritture contabili sono dei programmi dei computer dove noi inseriamo i dati e
rimangono nella memoria elettronica).
Le scritture contabili devono tenersi tutto l’anno ma finiscono con un bilancio
annuale: l’esercizio sociale dura un anno, alla fine dell’anno entro un certo
termine bisogna redigere il bilancio E depositarlo presso l’ufficio del registro
delle imprese.
QUINDI quando art. 2464 dice “elemento dell’attivo” fa riferimento a tutti gli
elementi che possono essere inseriti in un bilancio.

I CONFERIMENTI IN DENARO
I conferimenti in denaro devono essere eseguiti almeno per il 25% il minimo
che un soggetto deve conferire è del 25% (1\4).
Come funziona il conferimento? Con l’atto costitutivo (che si fa di fronte al
notaio) il soggetto si obbliga a dare un tot di denaro io mi obbligo a conferire
100.000 euro, ma non lo verso subito, la legge mi dice di versare
immediatamente 1\4 di questo denaro.
Questa è la differenza tra il capitale sottoscritto e il capitale versato.
ESEMPIO: La mia quota di 100.000 euro risulterà: liberata (=versata) per 1\4
cioè 25.000 euro, ancora da versare per 3\4 cioè 75.000 euro.
Quando lo verserò? Questo è un caso anomalo di una obbligazione che non ha
un termine specifico; è un’obbligazione esigibile a discrezione degli
amministratori, cioè il capitale rimanente verrà versato quando gli
amministratori della società ne faranno richiesta.
Un’altra particolarità è che se io non voglio versare il 25% del capitale per cui
mi sono obbligato, posso sostituire il denaro da versare con una polizza di
assicurazione o una fideiussione bancaria.
Polizza di assicurazione colloquialmente si chiama polizza fideiussoria.
La fideiussione (art. 1936) è un contratto civilistico: “è fideiussore colui che
obbligandosi personalmente verso il creditore garantisce un adempimento di
un’obbligazione altrui.”
Secondo le regole della fideiussione se io non adempio la mia obbligazione, che
si chiama obbligazione principale, il creditore si rifà verso il fideiussore, che
contrae un’obbligazione detta di garanzia.
È evidente che anche l’obbligazione del fideiussore ha un peso di maggiore o
minore a seconda del soggetto da cui proviene: se il fideiussore è una banca o
un’assicurazione è ovvio che viene data una solidità maggiore, rispetto al caso
in cui il garante fosse un soggetto privato.
Il capitale sociale può comunque essere sostituito, quanto a
versamento, con un contratto di garanzia, che deve essere rilasciato
come fideiussione da una banca o da una società di assicurazioni.

I CONFERIMENTI DI BENI
Se vengono conferiti dei beni in natura, allora ci sono problemi di valutazione.
Non è obbligatorio conferire solo denaro (la polizza di assicurazione o la
fideiussione bancaria prendono il suo posto) ma si possono conferire anche
beni.
Esempio: io possiedo un capannone, noi tutti soci decidiamo di svolgere la
nostra attività nel capannone e io conferisco il capannone.
(N.B. conferire vuol dire che un bene, che è mio, io lo conferisco, cioè lo
inserisco in un fondo comune, che noi chiamiamo patrimonio delle società e
che agli effetti dei rapporti intra societari chiamiamo capitale.
Questa è una regola che vale per tutte le società di capitali  Si chiamano
società di capitali perché la partecipazione dei singoli soci è commisurata al
suo capitale : se io ho capitale di 100.000 euro la mia quota vale 100 volte
quella del soggetto che ha capitale di 1000 euro).
Questo è molto evidente quando capitale è versato in contanti: art. 1277
principio nominalistico.
In realtà mentre la legge generale dice che il denaro può essere versato in
quantità ingenti, le leggi speciali dicono che il denaro può essere usato solo in
termini molto bassi  leggi speciali c.d. antiriciclaggio, dicono che il
versamento in contanti si può fare fino a 3000 euro al massimo.
Ovviamente non si possono dare 3000 euro al giorno tutti i giorni, perché i
trasferimenti di denaro tra soggetti che si succedono nel tempo viene
considerato un pagamento unitario.
Quindi come lo faccio? Attraverso gli intermediari finanziari.
Chi sono gli intermediari finanziari?
Uno per tutti le banche, ma non solo le banche, anche altre tipologie societarie
(es. SICAB –società per azioni a capitale variabile; le SIM – società di
intermediazione finanziaria)
Gli intermediari finanziari sono assoggettati al controllo pubblico, controllo della
Banca d’Italia.
(La Banca d’Italia non controlla solo le banche; oggi non controlla più
esattamente le banche).
La Banca d’Italia prima che ci fosse l’unione bancaria europea emetteva denaro
e determinava un tasso ufficiale di sconto.
Il tasso ufficiale di sconto è chiamato anche costo del denaro; in realtà il tasso
ufficiale di sconto è il tasso a cui la banca centrale di qualunque paese del
mondo presta dei soldi al circuito e al sistema bancario.
Il tasso ufficiale ovviamente è uguale per tutti.
È evidente che quando è chiamato costo del denaro non vuol dire niente,
perché il denaro è una misura, non ha un costo.
Una moneta d’oro ha un valore intrinseco; nella banconota il valore intrinseco
non c’è.
Il denaro non è un bene che io posso comprare; quando si dice costo del
denaro si intende il costo delle operazioni interbancarie di prestito fatte
all’interno del circuito bancario.
Oggi c’è una polemica molto importante: la Banca d’Italia non emette più
moneta (n.b. emettere è diverso da stampare; il primo è un atto giuridico, il
secondo è un atto fisico) e non può più determinare il tasso ufficiale di sconto e
non ha più vigilanza sulle banche. Prima era un ente autonomo, oggi è una
delle tante braccia della banca centrale europea.
La Banca d’Italia ha cumulato un patrimonio colossale, ogni tanto lo Stato
italiano si rivolge alla Banca d’Italia chiedendo denaro ma la Banca d’Italia si
rifiuta).
Tutto questo per dire che quando noi conferiamo il denaro problemi non ci
sono, quando conferisco un bene invece ci sono dei problemi relativi alla
valutazione.
Chi valuta il valore di un bene?
All’art. 2465 si richiama la figura del revisore legale o una società di
revisione, quindi soggetto che è iscritto ad appositi albi\registri, che deve
presentare una relazione giurata.
Fisicamente si va in Tribunale davanti a un cancelliere: di fronte al cancelliere il
revisore deve giurare che la relazione di stima presentate è stata fatta secondo
tutti i crismi e i criteri di legge.
N.B. solo del denaro si può dire con certezza quale sia il suo valore; qualsiasi
altro bene ha un range di ragionevolezza: non esiste un valore preciso, esiste
un ambito di ragionevolezza.
il revisore legale con la relazione giurata, dal momento che il bene è
stato conferito attribuendogli il valore x, certifica che non valga meno
di x.
Questo perché?
Perché se noi conferiamo dei beni che diventano capitale sociale, abbiamo due
versanti:
- Versante interno:
se io dico che il mio conferimento vale 100.000 euro e quello degli altri 1000
euro, io valgo 100 volte la quota degli altri. Questo però deve essere il più
possibile vero.
La relazione serve a questo allora, a confermare il valore.
I rapporti tra i soci si regolano secondo a quanto è stato conferito nel capitale.
La valutazione però deve essere il più possibile vera ed infatti il perito dirà
“posso assicurarti che non vale meno di...” e i rapporti saranno definiti.
- Versante esterno:
se io conferisco una borsa per 1000 euro, che non vale 1000 euro, dal punto di
vista esterno come valore con cui la società si presenta nei confronti dei
creditori, delle banche, dei dipendenti etc. c’è un buco, non vale 1000 euro;
abbiamo quello che si chiama annacquamento del capitale sociale.
Si ha annacquamento del capitale sociale quando noi indichiamo come valore
1000 euro, ma non è vero perché non è un valore coperto da un valore
intrinseco.
Perché si chiama annacquamento del capitale sociale? (capitale sociale in
inglese si chiama stock exchange, ma stock originariamente era la mandria.
Annacquare la mandria cosa vuol dire? USA sono fondati sulla ferrovia, perché
le mandrie erano a ovest e gli umani a est, allora succedeva che le mandrie
venivano caricate sui i treni diretti ad ovest. Il viaggio era lungo e le mandrie
arrivavano deperite, quindi venivano annacquate e poi vendute al mercato. Un
conto è pagare il peso di carne; un conto è pagare il peso di acqua. Ecco
perché denaro annacquato: perché era la mandria che veniva annacquata,
perché in questo modo imbrogliavano e si facevano pagare acqua con il prezzo
della carne).
Ciò che il legislatore vuole evitare che si abbia capitale sociale annacquato; è
addirittura reato mostrare a terzi dei valori che non ci sono.
Nulla vieta che tra i soci, a livello interno, si manifesti un valore diverso; ma
non si può fare a livello esterno.
L’imprenditore commerciale è soggetto a pubblicità; tra i vari elementi che
sono pubblicizzati c’è anche il bilancio; se il bilancio è redatto falsamente viene
imbrogliato tutto il pubblico.
Quando io attesto qualcosa in un atto che viene pubblicato, imbroglio la
pubblica fede quindi è un reato contro la pubblica fede. La pubblica fede siamo
tutti noi che possiamo avere accesso a certi documenti e presumiamo che
questi documenti attestino il vero.
Se poi la società dovesse andare male o fallire, questo è uno dei fatti che
portano alla bancarotta fraudolenta perché ho violato un obbligo di pubblica
fede.
Ecco perché per chi conferisce un bene in natura è necessaria una relazione
giurata.
Se il revisore ha giurato il falso, sarà anche lui responsabile per un reato contro
la pubblica fede.
I privati invece non hanno nessun obbligo di pubblica fede, perché si ha un
rapporto interpersonale.
La pubblica fede è un rapporto con chiunque.
Cosa succede quando Tizio si obbliga a dare una certa a somma a Caio e poi
non lo fa? Normalmente nel diritto privato, se questo diritto non viene
soddisfatto, si va dal giudice (giudice civile: giudicano in materia di lesioni di
diritti soggettivi).
In realtà il socio ha conferito una parte di quello che si è obbligato a conferire
(minimo ¼). Gli amministratori gli chiedono di pagare il residuo ma non lo fa.
Quindi cosa succede? Diventa moroso. Quando il socio è moroso ha comunque
una quota della società intestata a sé stesso. Questa quota resta scoperta per
la parte che non ho pagato e quindi non è completamente liberata.
Quando una quota/azione è liberata? Quando tutti i versamenti inerenti sono
stati interamente eseguiti/versati.
Quando la quota non è interamente liberata vi è un meccanismo di
soddisfazione del credito molto particolare.
Nelle società vi è un interesse di tutti i soci, e il legislatore lo conferma, ad
avere la stabilità della compagine sociale.
Quando do un ordine alla banca di acquistarmi le azioni dell’IBM lo faccio
perché penso di fare un buon affare sia come utili e sia come valore del bene
acquistato (art. 2497).
Nelle società di persone a regola è opposta: muore un socio e il socio che resta
liquida la quota agli eredi.
Art. 2466 c.c. gli amministratori dovrebbero tentare di vendere la quota del
socio moroso agli altri soci in modo tale da mantenere la stabilità della
compagine sociale. Si vende la quota al prezzo che viene fuori dal valore di
bilancio. Se i soci la comprano, il problema non c’è. Se invece gli altri soci non
la comprano, la regola generale direbbe che viene venduto per aste ma,
mentre un bene immobile può venire comprato da chiunque, nella s.r.l. (art.
2469) le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per
successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo .
Se noi dovessimo vendere le quote all’asta ma poi non è possibile trasferirle
perché l’atto costitutivo non lo consente, allora gli amministratori dichiarano
escluso il socio in quanto non ha pagato quello che avrebbe dovuto pagare.
Ci sono poi delle idee di fondo: una è quella che si collega agli obblighi
pubblicitari e divide il lato interno dal lato esterno (es. la cessione di una
partecipazione quando è valida? per i fatti interni nel momento della cessione e
per i fatti esterni al momento della pubblicazione nel registro delle imprese).
Il termine “finanziario” vuol dire che quel contratto, quel tipo di attività, inizia
con il danaro e termina con il danaro.
“Liquidare” vuol dire rendere liquido, cioè rendere in una somma di danaro.
L’art. 2325-bis dice che ci sono certe categorie di società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio.
La banca deve restituire i depositi bancari “a vista”, cioè senza termine.
Mentre il capitale di rischio non dà luogo ad alcun debito, il capitale di credito è
ben diverso in quanto incorpora un’obbligazione.
Art. 2467 c.c. riduce le distanze essenziali tra capitale di rischio e capitale
di credito. Questo articolo dice che: “Il rimborso dei finanziamenti dei soci è
postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto
nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere
restituito”.
Abbiamo visto alcune particolarità come ad esempio mentre nella SPA il
capitale sociale è rilevante e deve essere sempre presente, nella SRL non lo è,
questo non vuol dire però che non ci siano SRL con capitale sociale, non è
obbligatorio, ma c’è.
La legge stessa pone un limite a questo che altrimenti potrebbe essere una
sottovalutazione dell’importanza dell’impresa gestita dalla società nei confronti
dei terzi.
Perché il legislatore detta tutte queste regole organizzative per le società che
gestiscono le imprese commerciali? Perché l’impresa commerciale si pone sul
mercato, e quindi la rilevanza di un’impresa commerciale non è paragonabile
alla rilevanza di una persona che non gestisce un’impresa.
Avevamo detto inizialmente che le società erano di creazione governativa
all’epoca del re e c’era il governo che diceva tu diventi una persona giuridica
(soggetto di diritti).
Con lo sviluppo delle società si è rilevato impossibile che il re, il principe, il
governo possa provvedere singolarmente per ogni società, ed ecco che si è
creata una costruzione giuridica obbligatoria e nel momento in cui si aderisce a
questa costruzione giuridica la incorporazione (quella che una volta era il
decreto del re) è automatica.
La legge non può obbligare ad essere economicamente solidi, ma la legge può
obbligare a pubblicizzare tutti i fatti rilevanti dell’impresa.
Pubblicizzare à rendere pubblico, quindi a disposizione di chiunque, che non è
la comunicazione tipica del diritto privato, perché quelle sono iter personali.
È fondamentale leggere correttamente le norme come ad esempio l’art
2469 poiché sembra dire una cosa, ma in realtà ne dice un’altra, il quale dice
che: “Le partecipazioni della società sono liberamente trasferibili per atto tra
vivi e successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto
costitutivo” vuol dire quindi che possono essere ma anche non essere
trasferibili. Tutte le volte che c’è una virgola o un salvo vuol dire che la prima
regola non è assoluta, anzi è molto relativa poiché può essere derogabile.
Mentre nelle società più strutturate come SPA l’atto costitutivo è in buona parte
obbligato, nelle SRL l’atto costitutivo può prevedere moltissime deroghe, c’è
uno schema generale salvo che l’atto costitutivo non decida cose diverse.
La gran parte delle regole dettate nella società di persone sono derogabili se le
parti decidono qualcosa di diverso.
Esempio: tutte le decisioni sono prese all’unanimità, salvo che i soci non
decidono altrimenti.
Noi non possiamo nelle deroghe andare contro la logica perché il diritto è prima
di tutto logica.
Potrebbe l’atto costitutivo disporre che le decisioni collettive di una comunità di
persone siano prese a minoranza? No, perché le decisioni sono prese a
maggioranza.
Qual è il contenuto semplice ma che vale non solo nel diritto del principio di
maggioranza? C’è scritto da qualche parte come funziona il principio di
maggioranza? Nel diritto commerciale sì, ma bisogna saperlo trovare.
Il funzionamento si può ricavare dall’art. 2377 comma 1; è dettato in tema di
società commerciali ma vale per tutti gli organismi pluripersonali.
(se organizzazione è mono personale ovviamente non c’è maggioranza o
unanimità).
Cosa dice l’art. 2377? “Le deliberazioni dell'assemblea, prese in conformità
della legge e dell'atto sostitutivo, vincolano tutti i soci, ancorché non
intervenuti o dissenzienti.”
Il principio di maggioranza funziona così: se il parlamento approva una legge
con 350 voti a favore e 200 contrari, la deliberazione è del parlamento non dei
soli 350. E’ la deliberazioni di tutti, anche di chi ha votato contro perché la
maggioranza ha votato a favore.
Lo dice la stessa legge “vincolano tutti i soci, sia dissenzienti che assenti “.
Quindi la deliberazione assunta a maggioranza non è la deliberazione della
maggioranza, ma è la deliberazione dell’organo nella sua totalità.
Quando noi diciamo che quasi tutte le regole sono derogabili dall’atto
costitutivo (es. partecipazioni sono liberamente trasferibili salvo contraria
previsione dell’atto costitutivo) dobbiamo stare attenti perché questo principio
per cui tutto è derogabile va preso con logica.
Non tutto è derogabile, come il principio di maggioranza, è un principio pre
giuridico.
Il principio di maggioranza è un principio di calcolo, matematico.

Sappiamo che nel diritto possiamo trovare le regole, ma non sono tutte regole
assolute (es. della circolazione stradale: è vietato svoltare a destra per gli
automobilisti, ma questo divieto non vale per le ambulanze con sirena accesa,
macchine della polizia) e i principi e più andiamo avanti nell’elaborazione della
legge valgono più i principi delle regole.
I principi, a differenza delle regole, sono elastici e ci sono quando si dice
“ragionevolmente” o cose del genere.
Es: nel codice della strada: bisogna sempre mantenere la distanza di sicurezza.
Non è una regola, bensì un principio, perché la distanza di sicurezza è un
concetto variabile che dipende da diversi fattori.
Tra i principi del nostro diritto c’è ne è uno che non viene enunciato come
principio ma che lo si ritrova in numerosissime norme: nessuno può impegnarsi
per sempre.
(i contratti nel diritto privato: nella compravendita l’interesse contrattuale del
venditore è acquistare al prezzo più alto possibile, l’interesse dell’acquirente di
acquistare al prezzo più basso possibile; il contratto è il punto di unione tra le
volontà, tra i due interessi contrastanti; stessa cosa vale per la locazione.
Questo è il contratto tipico dove gli interessi sono contrapposti. La definizione
di contratto dice che a un certo punto la proposta trova l’accettazione, le due
volontà si uniscono ed il contratto è fatto.
Il diritto privato, proprio per il fatto che è logico, non è difficile: è evidente che
se io dico “ti vendo il libro per 10 euro” e l’altra parte mi dice” va bene”, le due
volontà si sono incontrate e il contratto è concluso.
Il contratto è concluso anche se il bene non viene consegnato e rimane nella
proprietà dell’alienante.
In questo caso il bene è il libro, ma la regola vale per qualsiasi cosa. Ci sono poi
contratti che si perfezionano con la dazione della cosa, come il pegno).
Quindi tutto questo per dire che quando la legge dice che “ le partecipazioni
sono liberamente trasferibili salvo contraria disposizione dell’atto
costitutivo” sembra che vada contro un principio generale, che è quello che la
volontà delle parti vale ma ha dei limiti: nessuno può impegnarsi per sempre.
Al legislatore non piace infatti che ci si impegni indefinitivamente e ciò lo si può
notare dall’art. 2285 (dettato nelle società di persone, ma è un affiorare di un
principio generale; il legislatore non ama che ci si impegni senza termine,
tranne alcune eccezioni come il contratto di lavoro a tempo indeterminato).
L’art. 2285 dice “ogni socio può recedere dalla società quando questa è
contratta a tempo indeterminato”.
Quando c’è un contratto a tempo indeterminato è possibile risolverlo.
Normalmente, e infatti anche l’art. 2285 lo dice, non lo risolviamo di colpo ma
dando un preavviso.
Es: nel diritto del lavoro c’è il c.d. licenziamento immediato (in tronco) per
giusta causa.
In questo scenario impedire per tutta la vita il trasferito delle quote non va
bene perché sarebbe una previsione a tempo indeterminato.
La legge pone allora dei correttivi.
Bisogna concludere un discorso prima di poter continuare:
il contratto di diritto privato è il raggiungimento di un accordo tra due o più
persone che hanno degli interessi contrapposti, il contratto risolve un conflitto
di interessi.
Una società può costituirsi o con atto unilaterale o con un contratto; in questo
caso lo schema non è però quello tipico. È un contratto non con scopi
contrapposti, ma con comunione di scopi (= gestire un’impresa commerciale
per ottenere degli utili).
Quindi in realtà non è un contratto con volontà contrapposte, ma un contratto
in cui tutte le volontà vanno nella stessa direzione in generale.
Tuttavia queste volontà nello specifico possono andare in direzioni opposte: es.
siamo soci di una società, io dico di voler essere nominato come
amministratore, un altro dice la stessa cosa, la volontà dei soci dovrà quindi
decidere.
Il fatto che il contratto di fondo ha la volontà comune non comporta che la
volontà comune c’è in ogni momento; in alcuni momenti come la nomina
dell’amministratore, altri momenti importanti, la volontà comune può non
esserci e quindi ecco che interviene il principio di maggioranza.
Nel contratto di diritto privato il principio di maggioranza non esiste, deve
esserci l’incontro di tutte le volontà.
Nel diritto privato contrattuale non si va a maggioranza; a maggioranza si può
andare quando si ha una comunione di scopo.
Lo schema è logico.
Tutto questo lo inseriamo in questa regola un po’ “antigiuridica” secondo la
quale le quote sono trasferibili ma l’atto costitutivo può dire di no à contratto
indeterminato perché se le quote non sono trasferibili si resta all’interno della
società per tutta la vita, anche gli eredi restano bloccati. Evidente che c’è
qualcosa che non va
Se l’atto costitutivo prevede che la partecipazione sia intrasferibile o che il
trasferimento è assoggettato al gradimento (es: nelle società cooperative dove
principio di maggioranza è molto semplice, per teste e non per capitale.
Quando si dice che le società cooperative sono in scalabili si fa riferimento
proprio a questo, impossibile perché anche se continuo a comprare il voto è
sempre lo stesso. Le più grosse banche italiane sono cooperative, quindi se si
va in borsa e si compra un migliaio di azioni di una di queste banche poi
nell’assemblea il voto resta sempre una. Nelle società cooperative esiste il
gradimento, alla base c’è alla base un concetto solidale. Le cooperative
nascono quando si afferma il capitalismo che trova la sua massima estensione
nell’Inghilterra della seconda metà del 700 dove c’erano grandi fabbriche.
Queste fabbriche avevano decine di migliaia di dipendenti con salari di
sussistenza, allora l’idea è quella di creare tali cooperative, i cosiddetti spazi
aziendali à i consumatori non comprano più i beni nei negozi ma si rivolgono al
produttore stesso, ne acquistano di più e a un prezzo più basso. Quindi la
cooperativa non era fatta per guadagnare ma per spendere meno.
Se si spende di meno allora si riesce a fare risparmi che prima non si riusciva a
fare, con questi risparmi si possono acquistare case ed ecco che nascono le
cooperative edilizie. Oppure con i risparmi magari si può aprire un conto
corrente e fare degli investimenti, ecco le cooperative finanziarie (es. banca di
credito cooperativo) Il concetto è lo stesso, le banche di questo genere operano
con i soci.
Nelle cooperative c’è questo gradimento, si presenta il nuovo socio e si chiede
di accettarlo o meno. E può esserci anche nelle società)
Se quota trasferibile o assoggettata al gradimento o in ogni caso ci sono limiti
che impediscono il trasferimento della quota stessa, allora il socio può dire che
non ci sta più. Può decidere di andarsene, di recedere, di tagliare quella parte
del contratto che riguarda lui.
Non è esattamente come dare le dimissioni. Nel caso del recesso si ha il diritto
di avere la mia quota, mentre se si danno le dimissioni non si ha diritto a nulla.
L’unica cosa che è possibile è che l’atto costitutivo vieti il trasferimento per due
anni, che non è un tempo indeterminato ma determinato.
Se pattuita l’intrasferibilità nell’atto costitutivo si può recedere, ma tutti hanno
firmato l’atto costitutivo all’inizio, quindi anche chi recede lo ha firmato e com’è
che adesso vuole recedere? Possono cambiare le circostanze, se cambiano le
prospettive, è mutato qualcosa e quindi ha diritto di recedere (non sempre
ovviamente, solo nei casi previsti dalla legge come quando si cambia l’oggetto
sociale e non si è d’accordo ma si è in minoranza; se la società è in liquidazione
e si revoca la liquidazione; in caso di fusione con altra società. Si può recedere
quando in minoranza si vota contro a quella decisione oppure quando non ci si
presenta in assemblea à la legge distingue i soci che hanno consentito (e
quindi hanno votato a favore) da tutti gli altri, quelli che non hanno consentito
sono gli assenti, i dissenzienti e gli astenuti).
Tra le cause che possono dare luogo al recesso c’è anche il TRAFERIMENTO
DELLA SOCIETÀ ALL’ESTERO, giustificato dalla scomodità
Però se notiamo, se dovessimo trasferire la società da Milano a Lugano la
distanza è di 40 minuti, se si trasferisce a Palermo è molto più complicato.
Quindi non ha molto senso questa giustificazione.
Perché importante il diritto di recesso? perché il socio se ne va e ha il diritto
che la società gli liquidi la sua quota di partecipazione alla società.
Es: ha una quota di 10 mila euro su un capitale di 100 mila euro. Si presenta
una causa di recesso e se ne va, a che cosa ha diritto? non a 10 mila euro
(perché capitale di rischio), se la società sta andando malissimo magari non li
avrà neanche indietro ma se la società va benissimo il socio non vorrà 10 mila
euro ma vorrà il 10% del patrimonio della società non del capitale.
Questo lo dice la legge, art 2473: deve venir rimborsato in proporzione al
patrimonio della società e non del capitale.
Come si determina il valore del patrimonio? tenendo conto del suo valore di
mercato al momento della dichiarazione di recesso.
Uno dei problemi più importante è la valutazione di un complesso aziendale.
L’impresa non vale nulla perché quella è l’attività, ma si valuta i beni che sono
al servizio della gestione dell’impresa. Azienda ha valore di mercato, ma
valutare azienda non facile. C’è una espressione che usano gli
anglosassoni “going concern”, dove concern è l’azienda (insieme di tutti i beni)
che è going, ovvero in funzione.
Valutare il going concern è difficilissimo, mentre valutare azienda in
liquidazione è facile.
Pensiamo alla costruzione di dighe (leader mondiali di costruzioni di dighe
siamo noi italiani), dura moltissimo tempo e il soggetto viene è pagato secondo
gli stati di avanzamento. Ha fatto il 10% verrà pagato il 10% del prezzo. Cosa
vale in una azienda una cosa del genere? Un lavoro eventualmente non finito
non vale nulla, se la diga non viene finita non vale niente.
Valutare l’attività aziendale non è facile, non sappiamo cosa potrà accadere
domani. Se il lavoro non finisce vale zero.
Quindi quando si dice il socio che recede viene liquidato per la sua quota del
patrimonio sociale non è facile, perché il patrimonio sociale è rappresentato da
una azienda in movimento going se non è going è tutto lì e sarebbe più facile
liquidare. Tanto è vero che La quotazione se non si è d’ accordo la legge dice di
andare da perito nominato da tribunale che provvederà alla valutazione ci sono
dei criteri molto complessi che portano alla valutazione delle aziende ma è
molto complicato, perché non valuti dei beni es. un camioncino (non vendo più
biciclette ma ora consegno dei gelati) per la consegna dei gelati ha 10 anni e
finché funziona ha un certo valore aziendale, dal momento la società cessa non
vale più, vale finché è dentro nel complesso aziendale, ma non vale come bene
singolo isolato ma vale nel complesso perché noi lo usiamo per la consegna dei
gelati, dal momento che l’azienda non è più going prende il valore di mercato
cioè vale zero.
Noi parliamo di come cambia la compagine sociale.
Parliamo del recesso ci sono 3 casi in cui la quota di una società deve
venire liquidata o trasferita: due casi sono volontari:
1. RECESSO: io ho votato contro decisione e me ne vado non ci sono
problemi tranne la valutazione della quota, c’è conflitto di interessi
perchè io che me ne vado ho interesse ad avere il massimo del
pagamento possibile ma possibile ma chi mi deve liquidare ha interesse a
darmi la minore somma possibile, perché ogni £ in più che prendo io è un
£ in meno che avete nel patrimonio residuo della società.
2. ESCLUSIONE: siete voi che volete buttarmi fuori, è volontario per
volontà degli escludenti. Cosa vuol dire escludere? Stiamo parlando di
eventi che tranne la morte dove c’è passaggio da defunto a eredi gli altri
due sono casi di eliminazione volontaria da parte di eliminato o
eliminatori, una manifestazione di volontà nel recidere parte del
complesso contratto di società noi siamo 50 e non mettiamo nel nulla i
50 rapporti sociali ma il mio. Io recido parte del contratto ma resta valida
tutta la parte generale, io me ne vado ma la società continua bella
tranquilla, perché il contratto (regola generalissima 1446 nei contratti tra
più parti dove le volontà non sono solo due ma siamo tutti insieme in
società, l’art 1446 dice che nei contratti indicati dall'articolo 1420
l'annullabilità che riguarda il vincolo di una sola delle parti non importa
annullamento del contratto, salvo che la partecipazione di questa debba,
secondo le circostanze, considerarsi essenziale. Noi abbiamo contratto
plurilaterale se uno dei lati è viziato noi tagliamo quel lato ma tutti gli
altri continuano a valere (principio di economia giuridica non si deve
togliere ciò che di buono è presente nel contratto) tutto ciò è presente
solo nel contratto plurilaterale. Il recesso è la volontà del recedente,
l’esclusione è la volontà di tutti gli altri, vuol dire che nel contratto sociale
è possibile prevedere delle specifiche ipotesi di esclusione per giusta
causa art. 2473 bis bisogna saperlo leggere si può prevedere nel
contratto di società alcune ipotesi specifiche: es. ti sei obbligato a
partecipare all’aumento del capitale sociale e non l’hai fatto perciò ti
escludiamo, ti sei obbligato a prestare opera a favore della società e non
puoi più prestarla es. società medica doctor dentis i soci della società
devono essere medici dentisti iscritti all’albo, se vengo cancellato non
sono più dentista e non posso più conferire la mia opera nella società
ecco che io sono diventato inadempiente, l’inadempienza non è
direttamente imputabile al soggetto; conferire la mia opera di dentista è
un’opera specifica, l’esclusione non è necessariamente concetto di colpa
può essere sopravvenuta a incapacità per ciò che sono tenuto a fare.
concetto di giusta causa: utilizzato spesso anche nelle società di persone,
non è un concetto specifico: non può esserci un elenco è un principio è
un inadempimento talmente grave da non consentire temporaneamente
la prosecuzione del rapporto, nasce nel diritto del lavoro es. caso del
licenziamento in tronco, che non consente anche istantaneamente la
prosecuzione del rapporto. Quando ci sono delle ipotesi che sono
liberamente determinabili in atto costitutivo il socio è escluso, ma ciò non
vuol dire che non ha diritto alla sua quota però ciò è complicato, se io ho
recato delle perdite a società e dovrei avere 100 non avrò 100 ma meno.
Cosa succede se socio recede? Ha dritto a rimborso delle partecipazioni
nella misura in cui vale la sua quota di patrimonio sociale; se la società
non ha mezzi o voglia per pagarlo esiste principio di stabilità delle
società, non c’è in SPA ciò vuol dire che se siamo soci tutti insieme
abbiamo interesse a restare insieme, possiamo mettere delle clausole di
gradimento e decidere chi può accedere alla società. La legge prevede
che invece che la società paga la quota paghi il patrimonio e receda
capitale sociale, i soci possono chiedere di rilevare pro quota la mia quota
in modo tale che la compagine sociale rimanga invariata.
3. MORTE: inevitabile ma non volontario, interessa perché se uno muore ha
degli eredi che entrano nel patrimonio compresa la quota, non ci sono
particolari problemi tranne per colui che muore.
Gli anglosassoni dividono le società in:
- Private: società in cui le partecipazioni sociali non circolano così
facilmente.
- Public: pubbliche nel senso dei soci (i soci entrano ed escono quando
vogliono).
È ovvio che la S.r.l., per definizione legislativa e per la volontà del legislatore, è
sicuramente “private”. Invece, la S.p.A. è “public”.
Questa società “private” ha delle particolarità in tutte le sue regolamentazioni.
Una società è un modo di gestire un’impresa (individualmente, nella forma
della società di persone, nella forma delle società cooperative, nella forma della
S.p.A. o nella forma della S.r.l.).
Nell’attività d’impresa abbiamo sempre fisse almeno 2 cose:
1. Chi detta le regole con cui si gestisce l’impresa? Se l’impresa è
individuale il problema non esiste. Se l’impresa è individuale, ma si tratta
di una società costituita con atto unilaterale, il problema sembra uguale
ma in realtà è molto differente.
2. Quali sono le regole di diritto per regolamentare la gestione
commerciale? Se l’impresa è un’attività, allora c’è qualcuno che questa
attività la mette in atto (qualunque sia la dimensione di essa). Questo
vale per tutte le attività, tranne per quelle che pur essendo catalogate
come attività commerciali, in realtà non lo sono. Sono le cd. attività
finanziarie (quelle che iniziano e finiscono con il danaro). Nell’impresa c’è
sempre chi detta le regole dell’impresa collettiva e chi poi le amministra.
Di fatti la legge, all’art. 2475 c.c., ci parla di amministrazione della
società. In realtà, quella che viene amministrata non è la società ma
l’impresa gestita dalla società. L’amministrazione di un’impresa è un
elemento che non può mai mancare perché se non c’è nessuno che
nell’impresa mette in essere un’attività, essa non esiste. L’imprese c’è,
ed esiste, e si traduce in un grandissimo numero di atti che hanno
rilevanza giuridica. Gli atti sono tutti necessari per gestire l’impresa. In
realtà questo viene detto.
Art. 2475 c.c. “Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo,
l'amministrazione della società è affidata a uno o più soci nominati con
decisione dei soci presa ai sensi dell'articolo 2479 ”. [non ci dice esattamente
cosa vuol dire amministrazione della società. Normalmente possiamo decidere
diversamente ma se non lo facciamo la normalità è che l’amministrazione della
società è affidata ad uno o più soci.].
Il legislatore ce lo dice nell’art. 2380-bis c.c. “La gestione dell’impresa
spetta esclusivamente agli amministratori”. [Chi sono gli amministratori? Sono
coloro che gestiscono l’impresa. Quando leggiamo questa norma capiamo che
parla della gestione dell’impresa sociale].
Non è logicamente immaginabile che nel consiglio di amministrazione di una
piccola società tutti i soci vogliano fare gli amministratori.
La legge delle S.r.l. dice che tutta questa attività deve essere riservata ai soci. I
soci amministrano un’impresa che, almeno in parte, è anche loro.
Gli amministratori sono sempre esterni. Es. Fiat: Marchionne non aveva nulla a
che fare con la famiglia Agnelli, è un manager esterno. Questo vale solo per le
società per azioni, perché nelle S.r.l. invece, come affermato dall’articolo, salve
diverse disposizioni, si devono nominare i soci come amministratori, che quindi
amministrano un patrimonio che è anche il loro (sono amministratori in casa
loro ma in parte). Il fatto che gli amministratori siano in primo luogo soci, e solo
eventualmente estranei, avvicina molto la S.r.l. alle società di persone; in
particolare società in nome collettivo (s.n.c.) è normale che il socio sia anche
amministratore ed è anomalo che i soci decidano di affondarsi a amministratori
estranei. Nella società in accomandita semplice (s.a.s.) è presente questo ma
in maniera meno evidente. Le società di capitali hanno una logica
completamente diversa, si interessano della quota di partecipazione del
capitale.
Quindi la società di capitali, definita S.r.l., è un ibrido perché è una società di
capitale dove però alcune previsioni la assimilano ad una società di persone,
come ad es. il fatto che alcuni soci siano anche amministratori.
Non è una regola inderogabile, perché salvo diversa previsione dell’atto
costitutivo, può essere prevista una diversa situazione, ma se si tace si segue
ciò che la legge disciplina.
È importante questo perché pone un elemento di diversità tra la S.r.l. e le altre
società di capitali.

LA FUNZIONE DEGLI AMMINISTRATORI


La legge prevede che ci possa essere un solo amministratore, ma è anche
possibile che ci siano più soggetti che svolgono questa funzione; in questo caso
si parla di consiglio di amministrazione. Il principio di logica prevede che
quando esiste un organo, qualunque esso sia, la legge deve disporre delle
regole di funzionamento e come questo organo possa deliberare.
Es: Il parlamento si decide per maggioranza per teste, così come in tutti gli altri
organi politici.
Nelle società di capitali il voto dipende dai conferimenti, mentre nelle società
cooperative si vota per teste, es. Banca di Sondrio
Negli organi amministrativi non sarebbe corretto votare per capitale perché in
realtà è una deliberazione che riguarda la gestione dell’impresa sociale, quindi
in tutti i consigli di amministrazione si vota per teste (non per quote di
partecipazione ma per teste).
Tuttavia anche votando per teste ci sono diverse opzioni:
 si può esigere l’unanimità: nell’Unione Europea, organismo politico, i cui
soci sono le singole nazioni si vota all’unanimità. Nelle società sarebbe
una forma da evitare
 La legge prevede poi l’amministrazione disgiuntiva: disgiungere vuol
dire separare, ma cosa vuol dire amministrazione disgiuntiva? Ognuno fa
per sé. Questo è pericoloso, ma è previsto dalla legge con un richiamo
alla società in nome collettivo: società di persone particolare perché è la
più elementare, dove è previsto che l’amministrazione della società spetti
disgiuntamente ad uno o più soci. Disgiuntamente è un problema perché
vuol dire che ognuno può compiere tutti gli atti amministrativi che vuole
(es. vendere un’immobile della società). Difatti l’amministrazione
disgiuntiva prevede una sorta di clausola di salvaguardia, ci sono i
rapporti interni, che sono basati su un rapporto contrattuale, e ci sono i
rapporti esterni. Mentre le clausole del rapporto interno valgono solo per i
soci, si può ribaltare questa situazione all’esterno? No, perché i rapporti
esterni attengono all’efficacia del contratto nei confronti di chiunque, e il
contratto è efficace solo se è concluso correttamente. L’amministratore
infedele conclude con un terzo un contratto efficace, perché l’infedeltà è
data dal rapporto interno, dal punto di vista esterno salvo caso di
collusione, per cui manca la buona fede (principio espresso dall’art.: c.c.
art. 1175. Comportamento secondo correttezza “Il debitore e il
creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza [in
relazione ai principi della solidarietà corporativa]” Cosa vuol dire
correttezza? Agire in buona fede. Cosa vuol dire buona fede? È una
clausola generale che noi non possiamo riempire e cui non si può dare
una definizione, perché manca in realtà. Queste clausole generali danno
ai giudici la possibilità di elaborare il principio di buona fede, correttezza,
giorno per giorno, a seconda dei casi concreti. Per questo motivo manca
una definizione unica. Quando c’è amministrazione disgiuntiva (ognuno
può svolgere da solo l’attività di amministrazione) l’unico correttivo che si
può porre è il comportamento di un altro amministratore: es. un
amministratore capisce che un collega sta facendo qualcosa che non
dovrebbe, si oppone a quest’atto convocando il consiglio di
amministrazione. Questo prende il nome di diritto di opposizione,
presente nelle società di persone e l’art. 2475 lo richiama ma è evidente
che questo diritto sia da esercitare prima che si compia l’operazione,
perché? Perché prima che l’operazione sia compiuta è ancora un atto
interno alla società e ci può essere opposizione (dopo si possono chiedere
i danni ma è un altro discorso). Quindi cosa si può fare? Se si decide di
scegliere amministrazione disgiuntiva bisogna stare attenti.
 Il consiglio di amministrazione prevede che le modalità in cui si
assumono le decisioni siano anche molto elastiche. Quando il nostro
codice civile è nato era diffuso il concetto di “esserci fisicamente”,
rimasto tutt’oggi in politica ma nella disciplina di imprese e affari è
venuto meno: si pensi al Parlamento che risiede in un luogo ben preciso.
Nel diritto delle imprese il consiglio di amministrazione non si deve per
forza riunire in uno stesso luogo per compiere la sua attività; attraverso i
sistemi tecnologici, si può dialogare via mail. Il legislatore infatti afferma
che quando si deve riunire l’assemblea, non è necessario che i soci siano
tutti presenti fisicamente possono esserlo anche attraverso sistemi
telematici (la legge in realtà dice con consultazione scritta, che può
essere anche elettronica).
Vanno sempre tenute presenti le due facce dei rapporti sociali:
amministrazione e rappresentanza.
 Amministrazione: sono tutti gli amministratori che, non per forza
fisicamente, assumono una decisione (es. decidono di vendere un bene al
prezzo x). Questo è un atto di amministrazione ma all’esterno non
succede nulla, la decisone degli amministratori rimane con valenza
interna;
 Rappresentanza: è la faccia esterna. Una volta deciso un atto di
amministrazione bisogna portarlo fuori dalla società e trattare con il
soggetto esterno, colui che svolge questa attività è il rappresentante.
Atto di amministrazione decisione di tutti i soci di vendere un determinato
bene.
C’è poi bisogno di qualcuno che vada all’esterno a vedere chi gli ha fatto
l’offerta. Si presenta un soggetto vendendogli il libro per 10€. Il compratore gli
chiede chi è e il venditore risponde di essere il rappresentante della società. La
rappresentanza è quindi la faccia esterna della società utile per contrattare con
un soggetto. La legge, all’art. 2475-bis, 1° co. dice che “gli amministratori
hanno la rappresentanza generale della società ”. Questo vuol dire che
qualunque amministratore può contrattare con il terzo su tutto.
Es: sono un imprenditore con un progetto eccezionale. Vado in banca, presento
il mio progetto, e chiedo di farmi un prestito di 100mila euro. Il direttore di
quella filiale (succursale) accetta di dare quel prestito in quanto rientra nei suoi
poteri. Si presenta poi un altro giorno con un altro progetto e chiede 1milione di
euro ma questa volta il direttore della succursale non può perché non rientra
nei suoi poteri.
Nelle società molto spesso ci sono cose simili (es. “tu amministratore puoi
compiere gli atti fino a 100mila euro”). Se c’è una regola del genere, questa è
una regola interna. All’esterno vale la regola della legge, che è inderogabile.
Il 2° co. dell’art. 2475-bis dice che “ le limitazioni ai poteri degli amministratori,
anche se pubblicate, non sono opponibili”. Cosa vuol dire che un certo fatto è
opponibile ad un terzo? Vuol dire che ci rivolgiamo al terzo dicendogli di aver
compiuto un atto che non avrebbe dovuto compiere perché c’era un
impedimento (es. il terzo ha contrattato con un minorenne). Opponibile vuol
dire che blocca la pretesa del terzo.
Il principio che sta alla base è la “tutela del terzo in buona fede”.
La legge può prevedere il cd. conflitto di interessi. Se io sono venditore di un
bene il mio interesse è quello di venderlo al prezzo più alto possibile in modo
tale da guadagnare di più. L’acquirente del bene avrà invece un interesse
esattamente opposto, cioè di pagare il bene al più basso prezzo possibile. La
legge dice che quando ad un certo punto ci mettiamo d’accordo, questo
accordo supera o compone il conflitto di interessi. Quando invece il conflitto di
interessi riguarda l’amministratore di una società, che quindi agisce come
amministratore di un patrimonio che è comune di tutti noi, questo può trovarsi
in conflitto di interessi non solo con la controparte ma anche con il patrimonio
che lui amministra. Ecco che allora c’è una norma generale del diritto privato,
l’art. 1394, che è chiaramente applicabile anche in caso di società. Questo
articolo dice: “Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi
col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il
conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo”.
Nel caso delle società si dice praticamente la stessa cosa art. 2475-ter: “i
contratti conclusi dagli amministratori in rappresentanza della società, in
conflitto di interessi, possono essere annullati”.
Gli amministratori devono svolgere il proprio compito di amministratori con
correttezza e buona fede. La buona fede è presunta (se non c’è la prova della
mala fede, la buona fede si presume). Qual è il perimetro delle regole a cui loro
devono attenersi? La legge lo dice “gli amministratori sono responsabili verso
la società dei danni che derivano dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti
dalla legge e dall’atto costitutivo”. In realtà non esiste però una legge generale
che dica in che modo l’amministratore debba amministrare.
Come l’amministratore deve agire? Qui c’è un problema molto generale. Una
delle norme più importanti del c.c. è l’art. 1176 che si applica in tutto quello
che si fa in tutto il mondo. Questo articolo dice che: “ nell’adempiere
l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia ”. La
diligenza del buon padre di famiglia è una diligenza quotidiana (la diligenza
media di ogni uomo).
Ciò che conta è il 2° co. “nell’adempimento delle obbligazioni inerenti
all’esercizio di un’attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo
alla natura dell’attività esercitata”.
La giurisprudenza interpreta la diligenza professionale come quella diligenza
che attiene alle capacità specifiche di quel soggetto. Tutto questo comporta
che, usando comunque una diligenza specifica, l’amministratore deve avere
quello che i giudici chiamano l’agire informato.
La legge prevede che i soci possano avere anche dei poteri di tipo
amministrativo e cioè imporre agli amministratori di fare certe cose.
Il 7° co. dell’art. 2476 dice che oltre agli amministratori sono responsabili
anche i soci quando hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il
compimento di atti dannosi. Quindi, risponde l’amministratore che ha posto in
essere l’atto ma anche il socio che gli ha imposto di farlo.
IL RUOLO DEI SOCI NELLA SRL
Il ruolo dei soci che nella S.r.l. è molto particolare e non esattamente uguale in
quello dei soci in S.p.A., ma più vicino a quello dei soci in società di persone.
Primo rilievo molto semplice, l’attività di impresa è una attività che si sviluppa
nel tempo quando si dovesse arrivare a che le cose vanno male, la società va
male perde soldi la gestione è passiva e non attiva ma di questo ci si accorge
qualche anno dopo; questo perché sono cose difficili da inquadrare. La attività
gestita della società deve essere going, che va, che produce; tra il going e
l’essere fermi corre molto tempo. Quando si arriva a determinare che la società
era decotta, si dice che lo era già da qualche anno. Il più grosso fallimento degli
ultimi anni in Italia è stato il caso Parmalat, sono fallite anche molte società
appartenenti al gruppo ma tra quando hanno dichiarato il fallimento e quando i
periti contabili rifacendo tutte le operazioni hanno detto che la società era
andata passano 4/5 anni perché non è così immediato.
Le imprese hanno una forza di inerzia in proporzione alla grandezza
dell’impresa.
Nei consigli di amministrazione Parmalat tutti sono stati richiamati per non aver
esercitato correttamente le loro funzioni: si sono difesi dicendo di non essere
presenti al momento, ma ciò non vale perché l’amministratore è tenuto ad
informarsi La responsabilità può essere passiva o omissiva, io pur avendone il
potere non impedisco all’altro di compiere l’atto dannoso, altri facevano delle
difese molto sofisticate e sono conosciute da decenni negli usa e sono tradotti
con espressione utilizzata dai giudici americani e anche da noi Business
judgement rules, quando il giudice arriva anni dopo e giudica operazione
gestionale fatta anni prima come fa a sapere se era razionale/ corretta oppure
no?. La regola non è codificata, è una regola che deve venire applicata di volta
in volta dai giudici. Es. ho fatto vendita di certo tipo, prima di venderlo hai fatto
fare valutazione da perito, e dopo hai deciso di venderla business judgement
rule. Il criterio del momento dell’amministrazione va bene sì e va bene no, non
va bene per chi rimane sempre passivo.
Secondo aspetto molto particolare, la legge all’art. 2476 dice al comma 7 che
oltre agli amministratori possono essere ritenuti responsabili anche i soci che
hanno deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, per i
soci, per terzi.
L’art. 2380 bis dice che l’amministrazione dell’impresa spetta soltanto agli
amministratori, mai nella vita un socio potrebbe intromettersi ciò capita nelle
società di persone non nelle società di capitali, da noi nel nostro diritto la legge
sulle SRL prevede delle regole piuttosto problematiche e anche abbastanza
pericolose se non ci fosse norma art. 2476 comma 7, perché la costruzione
tipica della società di capitali (non tipica di SRL) è molto semplice i soci sono
l’assemblea che prende le decisioni generali (dove mettere sede, come
distribuire dividendi, approvare bilancio, nominare gli amministratori e ci si
ferma lì).
Gli amministratori poi possono esclusivamente gestire, così dice la legge, i soci
fanno i soci e votando in assemblea.
Problema di responsabilità: si decide che si deve fare atto di gestione e se io lo
faccio e le cose vanno male l’unico responsabile sono io e non l’assemblea, è
evidente che il diritto non ammette tanto facilmente responsabilità per atto
altrui, che sarebbe di tipo oggettivo, difficile da riscontrare nel diritto civile, in
genere le responsabilità oggettive sono per colpa. Ci sono alcuni che dicono
che c’è responsabilità oggettiva penale, l’unico caso richiamato in questo senso
è il direttore responsabile di pubblicazione della rivista, la legge dice che devi
essere direttore responsabile: responsabile anche penalmente di ciò che è
pubblicato nel giornale, si presuppone che il direttore legga tutto prima e in
presenza di articoli diffamatori il direttore dovrebbe impedirne la pubblicazione.
Se ci fosse possibilità dei soci di costringere l’amministratore di fare delle cose
saremmo molto più vicini al modello della responsabilità oggettiva, così era la
norma 15 anni fa. I soci possono dare delle indicazioni agli amministratori, ma
essi possono rifiutare di porle in essere in quanto la responsabilità è loro.
Nel diritto ci sono le regole e i principi che sono elastici, anche nella
responsabilità degli amministratori i giudici dicono tu sei responsabile per aver
compiuto atto al di là di ogni ragionevolezza.
L’art. 2479 dice due cose problematiche.
I SOCI: in una società ci sono i soci che fanno i soci, poi ci sono gli
amministratori che dovrebbero prendere delle decisioni di tipo amministrativo,
questo è lo schema delle SPA non delle SRL. I soci decidono sulle materie
affidate alle loro competenze sulla base dell’atto costitutivo.

Cosa dice il comma 7 dell’art. 2476 quando dice che sono responsabili oltre gli
amministratori anche i soci, nelle spa non possono centrare mentre nelle S.r.l.
si perché la legge dice che i soci decidono sulle materie di loro competenza
sulla base dell’atto costitutivo. L’art. 2476 comma 7 afferma che i soci vengono
assoggettati alla medesima regolazione.
Ipotesi 2: Sugli argomenti che gli amministratori propongono ai soci, cosa vuol
dire che l’amministratore vuole compiere una operazione ma non la voglio
compiere solo io, perciò chiedo ai soci: “vi va bene che io venda l’immobile per
10 lire? Vi va bene?” Sono sollevato da ogni responsabilità a riguardo. Per
togliere la responsabilità in capo all’amministratore ciò non è sufficiente,
perché ogni giudice direbbe che si è compiuto un atto al di là di ogni
ragionevolezza.
Negligenza, imperizia rispetto al grado di negligenza che mi viene chiesto, nel
caso del cane è quello del buon padre di famiglia e quindi molto basso ma nel
caso dell’impresa molto alto. La gestione dell’impresa ha un risvolto
pubblicistico perché si rivolge al mercato. Il sistema delle SRL è molto diverso i
soci possono intervenire nelle decisioni amministrative, se la decisione è stata
autorizzata anche dai soci allora anche i soci rispondono nei confronti dei terzi
per i danni che derivano da questa decisione. Quando si parla di danni: anche
quando diritto sembra astratto è in realtà molto concreto. In riferimento ai
danni in impresa commerciale che ha dimensioni molto più ampie di impresa
familiare, nel caso Parmalat alla società di vigilanza alla quale chiedevano i
danni questi chiedevano 500 milioni di danni, i danni sono rilevanti così come
le dimensioni delle imprese commerciali, non è che io come danno avrò
causato danno di £ 1000, ciò è difficile, danni tributari commissione tributaria
di £ 1000 diventa immediatamente di 4/5 milioni.
Assemblea: decisioni dei soci, ciò nella SPA è una assemblea cioè un organo
strutturato con regole precise che dà luogo a delle delibere assembleari. Nella
SRL la regola inizia con previsione generica, non si sa bene quale sia l’esatto
contenuto poiché molto generale: i soci decidono sulle materie riservate alla
loro competenza sulla base dell’atto costitutivo o su quelle deferite alla loro
competenza da un amministratore.
Ci sono poi materie che la legge comunque riserva alla competenza dei soci:
che sono pochissime:
- L’imprenditore commerciale e anche società deve redigere il bilancio, i
soci hanno il compito di approvare il bilancio, ciò è la base per vedere se
si sono guadagnati dei soldi e se li abbiamo guadagnati è la base per
poter dividere gli utili che è anche lo scopo per cui i soci si sono uniti. Si
deve provare tramite bilancio che ci siano degli utili altrimenti si
tratterebbe di reato. Comunque i soci devono fare approvazione del
bilancio e decidere se e quanti utili distribuire a patto che ci siano, non si
può decidere di distribuire qualcosa che non c’è.
- Nomina gli amministratori la legge dice se ciò è previsto nell’atto
costitutivo, l’atto costitutivo può prevedere che la nomina degli
amministratori sia fatta per correnti ogni 30% dei soci ha diritto alla
nomina di un proprio amministratore. La nomina degli eventuali
controllori, nelle società è possibile se previsto dall’atto costitutivo per
SRL e se è previsto è possibile nominare controllori. Chi sono i controllori?
La gestione di una società non è semplice, in una gestione di impresa
medio grande, il problema fondamentale che è anche il problema della
società di oggi sono i flussi informativi, pensiamo ad una banca c’è la
sede centrale e poi ci sono delle filiali e succursali dalle agenzie derivano
i flussi informativi al centro che decide sulle scelte da fare. I flussi
informativi non siano disonesti ma veri, se c’è funzionario corrotto, mi
infetta tutto il sistema, seconda possibilità i flussi informativi contengono
degli errori: garbage in, garbage out. Il computer è indifferente, non
distingue tra la pattumiera, noi siamo orientati a pensare che il computer
censuri ma se nel computer si introduce pattumiera non può uscire altro
che pattumiera, perciò è necessario introdurre delle informazioni corrette.
Il problema della amministrazione è problema di trasmissione di flussi
informativi, è l’obbligo di agire informati, principio cardine del diritto.
Questo riguarda gli Amministratori ma anche soci nella parte in cui possono
intervenire ed avere in relazioni amministrative e gestionali, poi c’è un’altra
previsione art. 2479 n. 5 la legge ci dice che è riservato alla competenza della
decisione dei soci la competenza di prendere decisioni che comportano
sostanziale modificazione dell’oggetto sociale, oppure una rilevante
modificazione dei diritti dei soci. Cosa vuol dire è rilevante, è sostanziale? Chi
mi dice cos’è rilevante? Il legislatore dice che i giudici nelle loro sentenze
riempiranno la norma di contenuti dicendo cosa è rilevante e sostanziale, ciò
può creare un problema perché i giudici probabilmente arrivano decentemente
a definire cos’è una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale, il problema
è nelle zone grigie dove non si sa bene es. Noi facevamo automobili e ora
vogliamo solo fare nicchia di automobili di lusso no modificazione formale
perché facciamo sempre automobili però è modificazione sostanziale. Ogni
volta che c’è giudizio di valore entriamo nella zona dei principi per poter
riempire di concretezza e valore dobbiamo andare ai principi di diritto
societario.
Il diritto differisce da altre attività perché noi sappiamo che non sappiamo cosa
succederà domani ecco perché il diritto non vuole delle decisioni indeterminate
nel tempo. Quindi una norma del genere sarebbe contro i principi generali, una
frase del genere sarebbe inutili perché potremmo decidere di volta in volta
come dividere gli utili.
La legge delle SRL prevede possibilità di avere delle consultazioni scritte, però
non è più contestuale, mentre il collegamento elettronico è contestuale.
L’importante è che ciò sia compreso nell’atto costitutivo. La regolamentazione
dei poteri dell’assemblea termina con disposizione più; qualunque organismo
pluripersonale deve operare con una regola, criterio utilizzato universalmente è
la maggioranza, che può essere in vari modi, nelle società di capitale il criterio
per quote di partecipazione al capitale.
Le maggioranze vanno di conseguenza.
Salvo diversa disposizione di atto costitutivo l’atto costitutivo può decidere ciò
che vuole, e il legislatore interviene solo in via residuale, il buco non è
accettato. I buchi vengono coperti dall’interpretazione analogica o da norme
residuali, le decisioni sono prese con voto favorevole della maggioranza che
rappresenti almeno la metà del capitale sociale.
Se noi come soci abbiamo 100, cosa si intende per maggioranza? La
maggioranza deve rappresentare la metà di 100à 50 ma 50 è la maggioranza
rispetto a 100? 50, qualcosa. Non è una maggioranza però la legge dice la
maggioranza del 50 che è una anomalia. Pensiamo al caso in cui una società ha
due soci 50 ciascuno e uno dei due ha avuto ritardo aereo ed è confinato in
Alaska senza possibilità di muoversi e di comunicazione il socio presente può
fare assemblea e con 50 può decidere cosa fare.
Ciò che è rilevante è che ai soci venga assicurata la tempestiva informazione,
non è ammesso che si arrivi in assemblea e il socio non sappia di cosa si tratti.
Il socio deve essere a conoscenza dell’ordine del giorno. Anche nell’assemblea
condominiale deve essere sempre noto l’ordine del giorno, che delimita la
competenza di quella assemblea.
L’assemblea è convocata per la nomina dell’amministratore del condominio. Le
decisioni dell’assemblea come tutti gli atti giuridici possono essere valide o
invalide come qualunque manifestazione umana prevista dal diritto, si chiama
principio di maggioranza, la decisione valida non è quella di maggioranza ma
dell’intero organo. la legge interpreta questo dicendo all’art. 2377 non regola
specifica ma principio generale che le decisioni che siano valide vincolano tutti
i soci ancorché non intervenuti o dissenzienti. Le decisioni come tutti gli atti
giuridici di qualunque genere possono essere valide (principio di maggioranza
la decisione valida non è quella della maggioranza ma dell’intero organo) o
invalide sono invalide perché per esempio hanno assunto una deliberazione
vietata dalla legge o da atto costitutivo. Cosa vuol dire contraria alla legge? Se
abbiamo un’impresa che fabbrica biciclette e poi decidiamo di passare al
commercio di droga l’oggetto è illecito, è vietato dalla legge. Bisogna sempre
diffidare da esempi troppo lampanti è evidente che noi non possiamo dedicarci
al commercio di droga. Quando noi abbiamo una deliberazione che non è presa
secondo le norme della legge o le regole dell’atto costitutivo la deliberazione
non è valida.
La delibera valida vincola tutti anche i dissenzienti, la delibera invalida non
vincola tutti, quindi se non vincola tutti i soci possono lamentarsene davanti al
giudice, abbiamo assunto deliberazione non valida e tutti possiamo dire al
giudice che la delibera non è valida. Ma non è così perché la delibera è stata
presa la maggior parte ha votato a favore, i romani dicevano che lo stesso
comportamento per effetto del principio di non contraddizione io non posso
votare a favore della delibera e lamentarmene davanti al giudice, potranno
lamentarsi davanti al giudice coloro che hanno votato contro la delibera o
coloro che non erano presenti al momento della votazione. Io non posso votare
a favore e poi dire che la norma è illecita principio immanente di tutto il
diritto. Qui c’è una modalità piuttosto sbrigativa perché la legge dice che puoi
andare davanti al giudice entro 90 gg dal momento della presa delibera
(termine molto stretto perché non è agevole per la raccolta dei documenti e
per il ricorso al giudice). Se la deliberazione rischia di essere dannosa può
essere richiesto al giudice di sospenderla, viceversa le deliberazioni con
oggetto illecito o impossibile se decidiamo di aprire sede secondaria su Marte
oggi impossibile, qui bisogna ritornare a teoria generale dei contratti teoria
utilitaristica, se voi avete stipulato contratto con oggetto impossibile es. io ti
vendo duomo di Milano, io mi obbligo ad averne proprietà. Ma se io assumo un
obbligo di vendere a lei il duomo di Milano il problema è che non solo il duomo
non è mio ma non posso nemmeno cedere proprietà, così come non posso
vendere pezzo di terreno su Giove. Illecito non è come si può immaginare, sono
casi sofisticati dove non c’è stata informazione allora il termine di 3 mesi
diventa di 3 anni.
MODIFICAZIONI DELL’ATTO COSTITUTIVO
In realtà quelle che interessano alla legge sono solo una categoria di
modificazioni dell’atto costitutivo, ossia le modificazioni del capitale sociale.
Perché? Perché il capitale sociale è la cifra più importante nelle società di
capitali.
(capitale sociale è la misura della partecipazione di tutti i soci e quindi anche la
misura della partecipazione agli utili di tutti i soci).
Serve per indicare ai creditori che quella massa di capitale è presente e non
può essere toccata se non modificando l’atto costitutivo.
Mentre il patrimonio è un concetto che varia continuamente, il capitale è un
nucleo duro che resta sempre uguale a sé stesso a meno che i soci decidano di
modificare l’atto costitutivo modificando quella parte che riguarda il capitale
sociale.

Per esempio possono decidere di aumentarlo: i soci possono decidere di


aumentare la base sperando che gli affari vadano bene. à aumento del capitale
sociale mediante nuovi conferimenti.
Per questi conferimenti valgono le regole per i conferimenti iniziali:
Se è in denaro diamo il 25%.
Se è in natura diamo la relazione dove c’è scritto quando vale il bene in natura.
C’è anche un altro aumento, dove in realtà nella società non entra alcun nuovo
bene, non cambia niente dal punto di vista complessivo, cambia il nome;
es: nella società noi abbiamo avuto degli anni buoni con degli utili e non li
abbiamo distribuiti ma accantonati a riserva la riserva è un utile che non è
dato a soci.
Le riserve sono gli utili non distribuiti e possono venire distribuiti in un’impresa,
l’assemblea può deciderlo perché le riserve sono utili accantonati
Le riserve possono essere passate a capitale sociale, i 100.000 euro non
saranno più distribuiti e sono diventati capitale, da patrimonio distribuibile sono
diventati patrimonio non distribuibile, possiamo distribuirli se decidiamo di
ridurre capitale sociale
Perché decidiamo di ridurre il capitale sociale?
C’era una norma che diceva che è possibile ridurre il capitale sociale quando è
eccessivo per le esigenze della società. Oggi questa norma non c’è più.
Ridurre= noi abbiamo capitale sociale di 100 mila euro, lo riduciamo a 50 mila
euro e gli altri 50 ce li distribuiamo 1000 a testa; nessuna legge vieta
un’operazione del genere ma la legge dice che i creditori devono essere
d’accordo quindi prima di procedere bisogna aspettare 90 giorni da quando sia
stata data pubblicità di questa decisione di ridurre il capitale sociale.
Ecco uno degli effetti fondamentali della società: io rendo pubblica la decisione,
aspetto 90 giorni, se qualcuno fa opposizione allora l’operazione non si attua,
se nessun fa opposizione l’operazione viene attuata.

Riduzione del capitale sociale per perdite: quando risulta che per perdite noi
non abbiamo più un nucleo intaccabile, la legge sancisce che è necessario
convocare un’assemblea, che prenderà atto della situazione e prenderà gli
opportuni provvedimenti (il più opportuno è cacciare amministratore) e se la
perdita prosegue l’anno seguente deve ridurre il capitale sociale.
Questa norma del capitale sociale che deve essere ridotto per perdite si presta
ad un utilizzo disinvolto (socio di maggioranza che ho 60% del capitale, non ho
voglia che ci siano gli altri che hanno il 40%, allora gioco un po’ presento il
bilancio facendo vedere che abbiamo perso più di 1\3 del capitale sociale, gli
altri soci se ne vanno à questo avviene molto spesso, bisogna allora andare di
fronte al giudice…).
In un’attività imprenditoriale è umano, e non è vietato dalla legge, razionare il
rischio d’impresa.
Holding società che di per sé detiene i pacchetti azionari o di quote di altre
società.
Noi abbiamo una società che possiede un’altra società. Ciò di cui si occupa la
legge non è di vietare ciò ma di definire la fattispecie. La legge deve quindi
definire il perimetro, cioè quella che noi chiamammo la fattispecie (il dato
fenomenico) e dopo ne trae le conseguenze. Le conseguenze possono essere
fisiologiche (viene regolamentato il fenomeno) oppure patologiche (la legge
vieta determinati comportamenti che ritiene contrari ai principi della legge).
L’abuso è un comportamento contrario o a regole di legge specifiche o a
principi generali e nel campo dei gruppi li avremo entrambi.
Uno dei criteri principali è quello che dice che la legge generale vale fino a che
una legge speciale posteriore on la modifica.
Nel nostro codice civile, il concetto di società che tra loro hanno un qualche
collegamento o controllo lo troviamo nell’art. 2359. Questo articolo dice che
“sono considerate società controllate le società in cui un’altra società dispone
della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria ”. In questo caso
il termine “dispone” non è un concetto di proprietà ma può essere un concetto
di delega, di usufrutto….
L’assemblea ordinaria è la più importante delle società in quanto approva il
bilancio e nomina gli amministratori.
In realtà ci sono le società che si chiamano “public”, cioè con una base
azionaria enorme. Se noi abbiamo 1milione di soci siamo, secondo la
terminologia anglosassone, public, mentre, secondo la nostra terminologia
siamo una società con azioni o quote diffuse tra il pubblico in maniera
rilevante.
Nel diritto commerciale moderno c’è un proliferare di leggi speciali che devono
regolare tutto questo sviluppo del diritto commerciale.
Gruppo di società il codice civile non ci dà una definizione specifica. La
definizione di gruppo la troviamo in alcune leggi speciale (es. il TUB).
Uno dei problemi fondamentali del gruppo di società sta nei rapporti
infragruppo, molto diffusi e che possono creare dei seri problemi in quanto
possono esserci sì dei rapporti economico-commerciale ma soprattutto rapporti
tipo finanziario che non sono coerenti con le singole personalità distinte delle
singole società del gruppo.
Il nostro legislatore, non parlando di gruppo, evidenzia alcune situazioni di fatto
che danno luogo a quello che noi chiamiamo gruppo o alla nozione di controllo
(art. 2359 c.c.). Ci sono alcune ipotesi:
- Chi controlla matematicamente l’assemblea ordinaria, evidentemente
controlla la società. Ho la maggioranza dei voti e quindi decido io (si
tratta del principio di maggioranza che viene espresso come regola di
diritto). la deliberazione di un qualunque organo, che delibera a
maggioranza, è la deliberazione dell’intero organo.
Art. 2377 c.c. la deliberazione presa da un qualunque organo collegiale, se
presa correttamente, vincola tutti (anche chi non era d’accordo, chi non c’era e
chi si era astenuto).
Così funziona in un certo numero di società ma non in quelle più grandi, dove il
principio di maggioranza opera in un modo diverso, non con la maggioranza
assoluta (che va bene nelle piccole società);
- Avere una influenza dominante (art. 2359, n. 2): il legislatore non ci
spiega cosa questo termine voglia dire ma ci dice che questa “influenza
dominante” può esserci nelle società dove il governo dell’assemblea lo
troviamo nelle società molto più piccole;
- Altra ipotesi: “le società sono sotto l’influenza dominante di un’altra
società, in virtù di particolari vincoli contrattuali ”. Non si tratta di un
controllo di assemblea ma di un controllo contrattuale.
Es: la Ferrero fa gli ovetti e dentro c’è la sorpresa in plastico. C’è quindi bisogno
di un’impresa che costruisca ciò. la società che crea queste sorprese è legata
ad un contratto di esclusiva con la società Ferrero. Se il rapporto di esclusiva,
per qualsiasi motivo, viene meno, la società si trova in un grande periodo di
crisi (che può portarla anche al fallimento).
Ci sono poi le società collegate, che sono collegate quando non c’è
un’influenza dominante ma un’influenza notevole (art. 2359, n.3). in realtà poi
specifica che si presume che ci sia un’influenza notevole quando si ha il 20%
dei voti in assemblea ordinaria. Nelle società di grandi dimensioni il 20% c’è
l’hanno in pochi.
Da questo discorso ne derivano conseguenze sotto 3 aspetti:
1. Aspetto informativo: nelle società di capitali l’informazione è il bene
principale ed è tutelata dal legislatore attraverso la pubblicità. Nei bilanci
delle società (artt. 2424 – 2427 c.c.) bisogna sempre dare
un’informazione specifica relativa ai rapporti intrattenuti con le società
controllate. Quindi, le società controllate hanno una specie di zona
informativa, riservata e specifica, in tutte le materie attinenti al bilancio.
Questi dati di cui la legge impone la pubblicazione, evidentemente sono
quelli che la legge ritiene importanti. C’è una legge speciale del 9 aprile
1991 - n. 127 che impone che ogni società che ne controlla un’altra
debba redigere, oltre al suo bilancio, anche il bilancio consolidato , cioè un
bilancio redatto secondo certe tecniche contabili in cui, la società
controllante, espone tutti i dati insieme (i suoi e quelli delle società
controllate) e queste società vengono considerate come un unico centro
economico. questo ci dice che il concetto di controllo viene visto dal
legislatore come un unico centro economico. Anche il bilancio consolidato
va pubblicato;
2. Aspetto di vigilanza: nell’art 2381 c.c. c’è scritto che gli amministratori
devono comunque rendere informazione non solo sui fatti di maggior
rilievo che hanno interessato la società da loro amministrata, ma anche
sui fatti che riguardano le controllate. Questo perché le società
controllate vengono considerate come facenti parte dell’organizzazione
economica unitaria delle società controllanti. La società, quando viene
iscritta presso l’ufficio del registro delle imprese, acquista personalità
giuridica e diventa un soggetto di diritto. Dal punto di vista della
personalità giuridica, ogni società ha la sua.
3. Aspetto della tutela del capitale sociale: il legislatore ritiene il
capitale sociale come un elemento fondamentale, in quanto si tratta di
un elemento contabile di garanzia per i creditori sociali. È una posta
contabile bloccabile perché non può venire modificata, se non attraverso
una modifica dello statuto (di fatti si chiama patrimonio indisponibile).
Quello che il legislatore vuole evitare è il cd. annacquamento del capitale
sociale, questo perché se il capitale sociale è una barriera a garanzia dei
creditori, ed io lo “annacquo”, questa barriera viene giù. Il divieto di
annacquamento del capitale sociale fuoriesce dalla singola società
controllante e va anche nelle società controllate. Il capitale sociale deve
essere effettivo.
Art. 47 Cost. “La repubblica tutela il risparmio in tutte le sue forme ”. Questo
vuol dire che la repubblica incoraggia il risparmio e lo tutela attraverso
l’istituzione di regole speciali che riguardano l’aspetto finanziario. Nel tutelare il
risparmio, tutela e controlla anche l’ordinamento bancario, tutte le società
bancarie, le assicurazioni e i mercati finanziari. Nei mercati finanziari ci vanno
le società quotate, che hanno uno statuto molto diverso rispetto alle società
non quotate. Questo per il principio costituzionale, in quanto le società non
quotate non attingono al risparmio del pubblico. Quindi, alle società non
quotate non si applica l’art. 47 della Cost. Invece, per le società quotate
interviene l’art. 47 della Cost. e c’è bisogno.
Nelle società quotate, l’acquisto delle azioni o quote delle società controllate,
non può eccedere la quinta parte del capitale sociale (il 20%) perché si ritiene
che in queste società il 20% sia già una partecipazione che dà luogo
all’influenza dominante.
Normalmente il giudice non entra nella società in quanto si tratta di un
contratto privato ma, quando andiamo a toccare il capitale sociale, il giudice
può entrare. Se non vendiamo le azioni che abbiamo comprato in eccedenza, e
non vogliamo venderle, allora interviene il giudice dicendo di annullarle e
riducendo, di conseguenza, il capitale sociale.
La società controllata non può sottoscrivere azioni o quote della società
controllante (in quanto il capitale sociale continuerebbe ad andare avanti e
indietro).
La disciplina del controllo la consideriamo disciplina dei gruppi, ma in realtà
non è del tutto vero. Il gruppo di società non ha luogo, con una propria
definizione, nel c.c.
Il legislatore vede comunque il fenomeno del controllo delle società in maniera
limitativa, in modo tale da evitare gli abusi.
Quali possono essere gli abusi? Ad esempio i rapporti finanziari infragruppo che
possono essere disequilibrati (es. una società compie qualcosa di gratuito nei
confronti di un’altra società). Questo non è di per sé vietato ma non è
nemmeno visto tanto bene.
Gli abusi nel gruppo sono molto più numerosi a livello fiscale. I “ prezzi di
trasferimento” sono il problema di tipo fiscale più diffuso al mondo. È evidente
che una società del gruppo, per evitare una tassazione del gruppo, vende i
propri prodotti ad un prezzo irrisorio ad un’altra società, la quale vende gli
stessi prodotti ad un prezzo molto più elevato in quanto non pagano le
imposte.
Art. 2497 c.c. questo articolo introduce una nuova definizione generale,
quella di “direzione e coordinamento”. Questo art. dice che: “le società o gli
enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono
nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di
corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono
direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio
arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale”.
Una norma del genere trova un’applicazione anche a livello penale (art. 2634
c.c.) perché la fattispecie che viene citata nell’art. 2497 è la stessa che viene
individuata a livello penale che prevede la reclusione per chi agisce a proprio
vantaggio e contro il vantaggio della società. Queste due ipotesi sono collegate
ma sono molto diverse tra di loro, non tanto nella fattispecie ma più che altro
nella disciplina.
È una fattispecie di abuso dell’attività di direzione e coordinamento. Quindi,
quando il legislatore prevede una certa fattispecie e ne sanziona l’abuso, vuol
dire che la fattispecie è legittima e quello non è legittimo è l’abuso.
Il nostro legislatore aveva prima un’idea atomistica delle società e quindi
all’art. 2359 aveva dettato non una nozione di gruppo ma di controllo.
Esistono marchi di gruppo (es. Ferragamo) che poi vengono utilizzati per tutte
le società del gruppo. Avere un marchio di gruppo è una positività e soprattutto
un risparmio di spesa. Altre positività del gruppo sono una maggiore facilità nei
rapporti finanziari.
Ci possono essere anche degli elementi negativi perché può darsi che la
società capogruppo emani delle direttive a tutte le società del gruppo che
magari sono a vantaggio di una società e a svantaggio dell’altra società. Per
esempio, una politica di gruppo impone che la società nel gruppo che sta molto
bene aiuti la società che sta meno bene dando dei soldi a prestito
gratuitamente o concedendo fideiussioni gratuitamente. Di male c’è che da noi,
e in tutto il mondo, esiste ancora il concetto di “ogni società è un ente giuridico
autonomo ed ha un proprio oggetto sociale”. Questo è il problema che dà la
difficoltà di pensare al gruppo.
Una persona è giuridicamente rilevante nel senso che è un centro di interessi.
La nostra norma cardine di tutta l’amministrazione delle imprese è l’art. 2380-
bis c.c.
Tutto questo varrebbe a dire che il gruppo non esiste, ad eccezione del gruppo
paritetico (tutti con gli stessi diritti).
Il gruppo a cui facciamo riferimento è quello in cui c’è una società che
“comanda” sulle altre. La società, governando l’assemblea ordinaria, nomina
come amministratori persone di fiducia.
i soci di minoranza sono tali in quanto non sono organizzati. Inoltre essi non
hanno voce in capitolo. Questi soci di minoranza potrebbero essere pregiudicati
da una politica molto disinvolta della capogruppo che indebolisce la loro
società in favore di un’altra.
Coordinamento di società vuol dire che il legislatore si rende conto che
esiste il fenomeno economico che è in senso opposto rispetto alla normalità
delle società dove non esistono società coordinate ma ogni società fa per sé.
L’attività di direzione e coordinamento è legittima, in quanto disciplinata dalla
legge. Ciò che è vietato è l’abuso.
Nel 2000 il bene più importante che c’è è caratterizzato dalle informazioni.
Proprio perché siamo nella società dell’informazione il legislatore immagina che
il dato più importante è proprio quello.
L’art. 2497-bis dice che “la società deve indicare la società o l’ente alla cui
attività di direzione e coordinamento è soggetta negli atti e nella
corrispondenza, nonché mediante iscrizione, a cura degli amministratori,
presso la sezione del registro delle imprese”. Si tratta di un registro in cui si
iscrivono solo le società che esercitano l’attività di direzione e coordinamento.
Oltre al documento numerario (bilancio) ci sono altri due documenti: la
relazione degli amministratori e la nota integrativa (documenti fatti di parole).
Nella nota integrativa bisogna scrivere un prospetto in cui si riepilogano i dati
essenziali della società.
L’art. 2497-ter dice che “le decisioni delle società soggette ad attività di
direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere
analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli
interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione ”. Questa è tutta materia di
elaborazione da parte dei giudici.
Il socio di una società assoggettata a direzione e coordinamento può recedere
dalla società. Il recesso è uno strumento eccezionale che viene dato in casi
eccezionali.
Casi di recesso:
1. La società che esercita attività di direzione e coordinamento ha
deliberato una trasformazione che implica il mutamento del suo scopo
sociale ovvero ha deliberato una modifica del suo oggetto sociale
consentendo l’esercizio di attività che modifichino in modo sensibile e
diretto le condizioni economiche e patrimoniali delle società che
esercitano un’attività di direzione e coordinamento.
In una S.r.l. se il socio concede dei soldi in prestito alla società, invece di
metterli come capitale sociale, questo capitale viene postergato e quindi è un
credito che viene declassato.
L’art. 2497-septies dice che l’attività di direzione e coordinamento può
essere anche sulla base di un contratto.
Esiste l’obbligo per qualunque società che ne controlla almeno un’altra di
redigere il cd. bilancio consolidato, perché da un punto di vista economico la
legge considera questo insieme di società come un soggetto, cioè un centro di
interessi, diritti e doveri.
Le società appartenenti al gruppo, cioè le società dirigenti e coordinanti e quelli
dirette e coordinate vengono viste come un’unica entità economica e di fatti,
nel bilancio consolidato, vengono eliminate tutte le operazioni all’interno del
gruppo.
Il legislatore vede fisiologicamente il gruppo imponendo degli obblighi di
pubblicità e obbligando a motivare le operazioni infragruppo così i terzi,
leggendo la relazione al bilancio, possono sapere cosa è successo e perché.
C’è un’altra anomalia rispetto al diritto essenziale per cui i soci della società
assoggettata a direzione e coordinamento possono operare il diritto di recesso
anche per delle modificazioni che riguardano la società coordinante e dirigente.
I finanziamenti fatti dalla capogruppo alle società del gruppo vengono
postergati a tutti gli altri crediti come fossero dei finanziamenti fatti da un
socio.
Queste sono le norme che riguardano l’aspetto fisiologico, cioè una
regolamentazione di un’attività consentita e legittima e che la legge riconosce
come fattibile.
Ci sono poi delle regole patologiche, che sono frutto di un’elaborazione molto
complicata che si è strutturata nel tempo, e che danno luogo a parecchi
problemi.
Art. 2497 c.c. contiene quasi tutte le regole patologiche dal punto di vista
civilistico
Art. 2634 c.c. contiene le regole patologiche dal punto di vista penalistico.
Al 3° co. dice che: “ in ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata
o del gruppo se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente
prevedibili”. [la norma penale è molto più avanzata della norma civilistica].
Il diritto commerciale si è sviluppato in maniera molto più importante anche in
direzioni non così immediatamente percepibili (es. il diritto finanziario) e quindi
nel diritto commerciale si sono verificati alcune direttive di fondo che sono
abbastanza anomale (per esempio, oltre alle regole che ci sono vi sono anche
molti principi).
Quindi, si dettano dei principi o si rimanda per il contenuto dei principi.
Il principio dà luogo ad attività interpretativa da parte dei giudici. È il giudice
che riempie il principio di contenuto concreto, con riferimento al singolo caso.
Proprio per il fatto che il legislatore si basa sempre di più sui principi e non sulle
regole, si è verificato il fenomeno dell’amministrativizzazione del diritto privato.
Fuori dalla causa sono le autorità amministrative che riempiono i principi di
legge di contenuti concreti e generali.
Es: il TUB in tati luoghi delle sue norme dice che le banche devono venire
condotte con una sana e prudente gestione. Di per sé si tratta di una clausola
generale che non vuol dire niente. È la banca d’Italia, l’autorità amministrativa,
che riempie di contenuto questa regola generale.
L’art. 2325-bis c.c. ci dà un’indicazione sulle società quotate. Ci dice che
“sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio le società
emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in
misura rilevante”.
È la CONSOB che con una deliberazione del 1989 ci dice che cosa voglia dire
“misura rilevante”.
Quando parliamo di patologia possiamo far riferimento ad un comportamento
abusivo. Un abuso è un uso non corretto, cioè contrario alle regole e/o ai
principi di legge.
L’art. 2497 c.c. dice che: “le società o gli enti che, esercitando attività di
direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale,
proprio o altrui, in violazione dei principi di corretta gestione societaria e
imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei
confronti di soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore
della partecipazione sociale”.
Si tratta di una norma che riferisce alle società e agli enti. Gli enti sono dei
soggetti giuridici che non sono società ma che entro certi limiti possono
esercitare anche un’attività di tipo imprenditoriale.
La giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato una forma di sottotipo della
società, chiamata società in house, cioè una società apparentemente privata
ma i cui soci sono esclusivamente enti pubblici.
In realtà non è detto che il capogruppo sia necessariamente una società o un
ente.
Art. 12, 2° co. delle preleggi Analogia, cioè qualcosa che è analogo e quindi
paragonabile ad un caso simile.
Art. 2497 c.c.:
 Queste società ed enti agiscono nell’interesse di impresa. Parlando di enti
non è detto che questi esercitino un’attività di impresa in quanto un ente
pubblico esercita molte altre attività ma può anche esercitare un’attività
imprenditoriale.
 L’impresa commerciale è un’attività e quindi io per svolgere la mia
impresa agisco in ambito imprenditoriale.
 Principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale  non solo
l’impresa deve essere gestita correttamente ma anche la società.
Business judgement rule regola interpretativa adottata fin dagli anni ’30 negli
USA e presente anche nel nostro ordinamento. Sostanzialmente questa regola
dice che non è possibile una regola di giudizio sulla gestione imprenditoriale
perché la regola di giudizio, per sua natura, viene fatta ex post. Questa regola
dice quindi che non è possibile giudicare ex post un atto di gestione.
 L’amministratore ha agito in modo ragionevole quando ha assunto il
maggior numero possibile delle informazioni.
 La sanzione del diritto civile è il risarcimento del danno. Quindi le società
che hanno fatto sì che la società controllata non abbia rispettato i principi
di corretta gestione sono direttamente responsabili nei confronti dei soci
delle società controllate. Non è un danno diretto e nemmeno una
conseguenza.
 I soci sono i soggetti che hanno diritto a questo risarcimento del danno.
 Chi ha provocato il danno nel patrimonio della società controllata
risponde nei confronti dei singoli soci della società per aver recato
pregiudizio alla redditività e al valore della partecipazione sociale.
 La legge inoltre dice che in realtà “non vi è responsabilità quando il
danno risulta mancante, alla luce del risultato complessivo dell’attività di
direzione e coordinamento”. Quando diciamo che il danno risulta
mancante vuol dire che non c’è effettivamente. Come faccio in una
gestione imprenditoriale a dire quanto manca? È impossibile.
Tutte queste società vengono viste come un’economia unitaria, cioè tutte
insieme. C’è quindi un interesse di gruppo.
Il 3° co. dell’art. 2497 dice che: “il socio ed il creditore sociale possono agire
contro la società o l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento,
solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta all’attività di direzione
e coordinamento”.
È una norma anormale in quanto prevede che il danneggiato vada a risarcire lo
stesso danno ai propri soci, così raddoppiandolo. L’unico senso che può avere
questa norma è di rimettere anche questa, ma il legislatore non lo dice,
all’interno dei cd. vantaggi compensativi.

LE SOCIETA’ QUOTATE
Art. 2325-bis c.c. prima dà una definizione di società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio e poi al 2° comma c’è scritto che l’ordinamento
sulle S.p.A. si applica anche per le S.p.A. che hanno i titoli quotati, salvo che
non sia diversamente disposto sia dal codice che dalle leggi speciali.
La norma ci dice che occorre vedere cosa dicono le norme speciale. C’è il testo
unico della finanza (decreto del 24 febbraio 1998, n. 98) che si rivolge al
mercato di capitali. Il testo unico non è piccola legge di pochi articoli ma è una
specie di codice. Il testo unico dell’intermediazione finanziaria è la legge
fondamentale della quotazione dei titoli sulle borse, e cioè sul mercato del
capitale di rischio.
La parte degli articoli 113 e ss. è quella più importante che si chiama
“disciplina degli emittenti”.
Il testo dell’intermediazione finanziaria e la specialità delle S.p.A. con i titoli
quotati deriva da un principio generale che è l’art. 47 della costituzione che
dice “la repubblica tutela il risparmio in tutte le sue forme”. La norma
costituzionale va avanti e dice “la repubblica disciplina, coordina e controlla
l’esercizio del credito”. Questo perché all’epoca l’unico istituto finanziario erano
le banche. Oggi non è più così. Abbiamo la disciplina, il controllo e degli
organismi pubblici che fanno le loro regole sulla base della legge, cioè il testo
unico dell’intermediazione finanziaria.
Se non c’è il risparmio allora è inutile dettare le leggi perché a questo punto
non c’è più niente da fare. È il risparmio che costituisce la circolazione di un
qualunque paese.
Una volta le borse valori erano dei fenomeni molto piccoli e il grosso
dell’economia monetaria passava attraverso le banche. Non è esatto che io
dica “ho 1000€ in banca” perché quando li deposito, questi diventano di
proprietà della banca; quindi io ho un credito nei confronti della banca, il cd.
credito a vista (quindi in ogni momento posso andare in banca per chiedere i
soldi). È un mezzo tecnico essenziale perché la banca possa, a sua volta, fare il
suo mestiere.
La gran parte dei fondi che tutti noi diamo alla banca, vanno come prestito alle
imprese.
I prodotti finanziari sono gli strumenti finanziari e ogni altra forma di natura
finanziaria.
L’art. 1933 c.c. dice che “non compete azione per il pagamento di un debito di
gioco o di scommessa, anche se si tratta di un gioco o di una scommessa non
proibiti”. Se noi applicassimo questo art. non verrebbero più fatti contratti del
genere in quanto è evidente che non ci sarebbe il mercato mobiliare
finanziario.
Il legislatore lo sa benissimo, infatti il 5° co., dell’art. 23 del testo unico della
finanza dice che a tutti questi contratti finanziari non si applica l’art. 1933 del
c.c. C’è una specifica disapplicazione (il vizio del gioco che dà luogo a quella
norma cambia completamente e diventa un’attività riconosciuta e tutelata dal
legislatore a livello finanziario).
Es: anni 70 tipografia a NY. Un impiegato, chiamato Chiarella, doveva
redigere determinati documenti e stamparli. Arrivano dei comunicati stampi
che notiziavano che il giorno dopo sarebbe stata deliberata un’importante
fusione tra due importanti società quotate in borsa. La mattina, all’apertura
della borsa, Chiarella faceva le sue operazioni di acquisto dei titoli delle
società. Aveva indovinato e nel giro di 2-3 giorni ha guadagnato 30mila dollari.
La CONSOB americana (SEC) lo chiama in giudizio dicendogli di aver fatto una
cosa che non poteva fare. Non si poteva imbrogliare il mercato: loro avevano
delle informazioni privilegiate, in quanto era un insider, e quindi era come se
giocassero con un mazzo truccato. In realtà Chiarella si è poi difeso dicendo
che non c’entrava nulla. in un primo momento è stato condannato a restituire
questi soldi. Il caso arriva alla corte suprema, che ha assolto Chiarella
sostenendo che lui non era un insider. L’insider aveva un obbligo fiduciario di
mantenere la riservatezza delle cose che sa ma il tipografo non c’entra nulla e
non ha questo obbligo fiduciario. Chi è il soggetto danneggiato? Nessuno.
Quello che è danneggiato è la credibilità e la fiducia del mercato.
Il testo unico della finanza sanziona l’abuso di informazioni privilegiate da 1 a 6
anni.
Se avessimo avuto questo caso, sulla base della norma 184, non avremmo
nemmeno iniziato il processo.
L’art. 185 si intitola “manipolazione del mercato”. Manipolare vuol dire mettere
le mani e spostare le cose nel mercato. Questo art. dice: “ chiunque diffonde
notizia false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi idonei a
provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari è punito
con la reclusione da 1 a 6 anni e con una multa da 20mila euro fino a 5milioni
di euro”.
Il risparmio viene tutelato attraverso una gabbia di regole che fa sì che il
sistema viaggi in maniera corretta.
L’art. 2 del testo unico della finanza è molto importante.
Noi non abbiamo solo il diritto nazionale ma abbiamo anche il diritto
sovranazionale europeo.
Tutte queste norme hanno un ragionamento di fondo che è meno complicato.
Questo si chiama gap informativo. Questo gap informativo è ineliminabile,
inefficiente e positivo.
Fin-tech tecnologia finanziaria. Consiste nella fornitura di servizi finanziari
con l’ausilio della tecnologia. Si tratta di una definizione della commissione
europea.
Parlando di mercati dei valori immobiliari e di attività finanziaria entriamo in un
mondo diverso, sia per la sua struttura, sia per i suoi scopi e soprattutto per
quanto riguarda la formulazione delle norme.
Art. 2325-bis si riferisce alle società che fanno ricorso al mercato del capitale
di rischio. Dopodiché al 2° co. dice che le norme dettate dal c.c. in materia di
S.p.A. sono applicabili anche alle S.p.A. quotate, se non sia diversamente
disposto sia dal c.c. che dalle leggi speciali.
Le eccezioni contenute nel c.c. sostanzialmente riguardano un
riposizionamento e una diminuzione delle percentuali di capitale necessari in
assemblea.
Il testo unico della finanza è una legge speciale ma è considerato una specie di
codice.
L’art. 2 ci dice che tutte le varie autorità che regolano il settore (le agencies)
esercitano i loro poteri in armonia con le disposizioni dell’UE; quindi hanno
come loro referente principale non il parlamento della repubblica italiana ma
l’UE (che ha una capacità di elaborazione legislativa molto elevata).
La tutela sulla privacy non esiste; quella che esiste è la tutela per la protezione
dei dati personali.
Quando la norma ci dice che le autorità devono sempre riferirsi all’UE è molto
rilevante perché l’UE riemette sempre e aggiorna le norme nel giro di poco
tempo. Questo vuol dire che le nostre autorità devono continuamente ricevere
nuove regole da parte dell’UE che continua a risistemare le norme.
Ecco perché bisogna avere ben chiaro alcune cose, in particolare del sistema
della legge.
I dati sono abbastanza a disposizione di chiunque, tranne quelli sensibili che
invece hanno bisogno di un consenso particolare.
L’art. 4 del testo unico dell’intermediazione finanziaria dice che le varie
autorità, tra di loro si scambiano le informazioni. Ma tutte le informazioni
ricevute sono coperte dal segreto d’ufficio, cioè un obbligo generale che se
viene violato dà luogo ad un reato.
L’art. 5 del testo unico della finanza dice che la vigilanza sulle attività
finanziarie ha per obiettivi la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario e
la tutela degli investitori. Gli investitori sono tutti, sia i piccoli risparmiatori che
i grandi investitori. Altri obiettivi riguardano la competitività del sistema
finanziario e l’osservanza delle disposizioni in materia finanziaria.
L’art. 127 del trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) dice che l’obiettivo
principale del sistema europeo di banche centrali è il mantenimento della
stabilità dei prezzi, quindi non bisogna far surriscaldare i prezzi e quindi
provocare l’inflazione. [questa è una norma tedesca e non se ne parla
nemmeno; quindi quando si dice che la BCE non favorisce la crescita è vero in
quanto la legge non glielo consente]. Questo per dire che bisogna abituarsi ad
avere delle norme che vanno elaborate ed interpretate da noi.
La tutela del sistema viene prima di tutto.
La banca d’Italia dice che è competente per il contenimento del rischio (non
per l’eliminazione in quanto non è possibile). Invece, la CONSOB ha una
competenza diversa: ha competenza per quanto riguarda la trasparenza e la
correttezza dei comportamenti. Entrambe operano in modo coordinato al fine di
ridurre al minimo gli oneri gravati sui soggetti che operano sui mercati
regolamentari.
Si vigila su tre livelli:
1. Vigilanza regolamentare: prevede delle regole, i regolamenti, che, a
differenza delle regole che sono rivolte alla generalità dei cittadini, hanno
sì portata generale ma settoriale;
2. Vigilanza Informativa: disciplinata dall’art. 8 del testo unico della
finanza.
3. Vigilanza Ispettiva: possono effettuarla senza limiti sia la CONSOB che
la banca d’Italia. Questo soprattutto per un fine essenziale che va sotto il
nome di “doppia separazione”. Se io do i soldi ad un intermediario
finanziario non diventano suoi, come per la banca, ma li investe in un
patrimonio comune che gestisce ma i soldi restano miei e devono essere
separati dal patrimonio proprio dell’intermediario.
Oggi c’è differenza di informazione, il cd. gap informativo, che è necessario ma
divide in due categorie i cittadini. Questa divisione è necessaria, più o meno, in
tutti i campi.
Nel codice del consumo del 2005, n. 206, viene stabilito all’art. 3 il “dizionario”
del codice del consumo. Le definizioni fondamentali sono due:
1. Consumatore
2. Professionista
Anche qui la differenza è proprio il gap informativo. Il professionista, a
differenza del consumatore, è un imprenditore.
I consumatori sono persone fisiche che agiscono per scopo estranei all’attività
imprenditoriale, commerciale, artigianale e professionale eventualmente
svolta.
Il professionista è sia una persona fisica che una persona giuridica (una
società) che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale,
commerciale, artigianale o professionale o un suo incaricato.
Questa differenza comporta necessariamente che i consumatori, o gli
investitori, devono essere in qualche modo tutelati perché il gap informativo tra
consumatore e professionista è ineliminabile ma si può prestare anche ad
abusi. Altrimenti il professionista che ne sa di più dell’altro potrebbe porre in
essere dei comportamenti abusivi o dannosi senza che l’altro soggetto li
capisca.
Si è sviluppata quella che noi chiamiamo normazione secondaria (non promana
dalla fonte primaria ma ha gli effetti generali tipici delle norme legislative).
In realtà è lì che si trovano tutte le regole specifiche che governano un certo
settore, come, nel nostro caso, la CONSOB che ha emesso tantissimi
regolamenti o deliberazioni che sono generali nel caso di quel settore. Il più
importante era del 14 maggio del 1999 n. 11971.
La legge si pone, nei confronti di questi enti, come una fonte di principi generali
quindi darà solo dei principi generali e ovviamente anche dei poteri. Una volta
che abbiamo un organismo di controllo, quali sono le linee guida entro cui deve
muoversi? Questo lo dice la legge.
L’art. 91 del TUF dice qual è lo scopo per cui è stata istituita l’autorità
amministrativa di controllo. Questo articolo dice che la CONSOB esercita i
poteri previsti dalla presente parte avendo riguardo alla tutela degli investitori,
nonché all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e
del mercato dei capitali.
SPIEGAZIONE: Gli investitori, da un punto di vista giuridico, devono essere
tutelati perché esiste l’art. 47 della Costituzione che dice che la repubblica
tutela il risparmio; gli investitori investono i risparmi e quindi è un derivato del
principio costituzionale di tutela del risparmio. Dal punto di vista moderno
sappiamo che noi siamo divisi in due categorie e occorre tutelare i non
professionisti. Trasparenza vuol dire tutelare l’investitore in un modo che lui
capisca. Quando si parla di trasparenza del mercato si parla di informazioni,
che sono quasi sempre molto tecniche.
Tutto il diritto europeo si sviluppa più o meno in questo modo. L’art. 127 del
TFUE dice che esiste la BCE che ha il compito di mantenere la stabilità dei
prezzi ma anche la crescita.
Il prospetto informativo, art. 94, è l’obbligo principale per tutti quelli che
offrono al pubblico i prodotti finanziari e riguarda la trasparenza del mercato e
la tutela degli investitori. Si tratta di un documento che contiene al suo interno
varie informazioni in modo tale che il consumatore sia in grado di investire il
risparmio in un prodotto adatto alle sue esigenze. Il 2° co. dice che il prospetto
contiene, in una forma facilmente analizzabile e comprensibile, tutte le
informazioni che, a seconda delle caratteristiche dell’emittente e dei prodotti
finanziari offerti, sono necessarie perché gli investitori possano pervenire ad un
fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati
economici e sulle prospettive dell’emittente (prospettive economiche di
qualunque professionista del risparmio gestito che opera sul mercato dei
capitali).
Dopodiché c’è un’ulteriore norma, ancora più “speciale”. Come dice la legge, il
prospetto deve contenere altresì una nota di sintesi (riassunto) la quale,
concisamente e con linguaggio non tecnico, fornisce le informazioni chiave
nella lingua in cui il prospetto è stato in origine redatto. Inoltre devono essere
fornite informazioni adeguate circa le caratteristiche fondamentali sui prodotti
finanziari.
La legge dice che qualunque emittente non può collocare nessuno strumento
finanziario sul mercato se prima non c’è il prospetto.
Il 5° co. dell’art. 49 dice che la CONSOB può esigere che l’emittente o
l’offerente includa delle informazioni supplementari.
La CONSOB ha un potere di tipo informativo, cioè riceve dall’emittente il
prospetto, lo esamina e dà i suoi pareri al riguardo ed eventualmente lo
pubblica. Dopodiché la CONSOB può sospendere l’offerta se ha un fondato
sospetto di violazione delle norme di legge. Ha quindi un potere cautelativo di
sospensione (la sospensione è per non più di 10 giorni). Può vietare l’offerta nel
caso in cui abbia fondato sospetto che potrebbero essere violate sia le
disposizioni del TUF che le regole specifiche. La CONSOB ha anche il potere di
rendere pubblico il fatto che l’offerente o l’emittente non ottempera i propri
obblighi.
Art. 50-quinquies TUF (inserito nel 2015) sostanzialmente dice che c’è
un’altra categoria di intermediari finanziari (oltre a banche, assicurazioni,
società di gestione del risparmio… tutti gli OIGR, cioè quelli che collocano il
prodotto finanziario: o io vado da lui o lei viene da me e in questo caso non c’è
il diritto di pentimento; noi però siamo in una società diversa e quindi c’è un
terzo modo di raccogliere danaro: la legge dice che è gestore di portali colui
che esercita professionalmente il servizio di gestione di portali per la raccolta di
capitali per le PMI per gli organismi di investimento collettivo di risparmio e per
le società di capitali che investono principalmente nelle PMI. Occorre iscriversi
nel registro dei gestori di portali per gli investimenti del PMI tenuto dalla
CONSOB).
SOCIETA’ QUOTATE
Nelle società quotate ci sono la maggior parte degli obblighi che sono
informativi c’è l’obbligo di comunicare informazioni all’autorità
amministrativa, la CONSOB, e tutto ciò ha una derivazione costituzionale
all’art. 47.
La disciplina delle società quotate è contenuta in una cinquantina di artt. del
TUF, precisamente dall’art. 119 all’art. 174.
C’era veramente bisogno di una legge diversa per le quotate? Non bastavano
le norme del c.c.? Perché occorre fare delle norme speciali sulle società
quotate? Questa è una legge che ci dice come devono funzionare,
diversamente, le società che sono quotate sui mercati regolamentati. La
risposta a queste domande è semplicissima: passa sotto la definizione di
apatia razionale. Parliamo di ciò in quanto nelle società molto grandi la
grande maggioranza dei soci sono apatici perché sanno che con la loro
partecipazione al miliardesimo del totale delle azioni il loro potere è nullo. Non
vanno nemmeno in assemblea a votare in quanto il loro voto non conta nulla.
allora perché partecipano alla società? Quando parlavamo di gruppi di società
abbiamo fatto riferimento all’art. 2497, che in parte vale anche per i soci
razionalmente apatici. Questo articolo dice che lo scopo del socio della società
è quello di valorizzare la sua quota di partecipazione e avere degli utili. Il socio
apatico non ha nessuna intenzione e nessun potere di intervenire nella
gestione della società. Gli importa solo che la gestione sia positiva in modo tale
che la sua quota valga di più.
Ci sono non solo i soci passivi ma anche i soci attivi. Questi partecipano in una
società grande sulla base di un loro progetto industriale perché hanno un’idea
che non è quella di essere apatici ma intendono realizzare un progetto
industriale in modo tale che la quota poi aumenti.
L’art. 120 del TUF dà una regola fondamentale di trasparenza: coloro che
partecipano in un emittente azioni quotate avente l'Italia come Stato membro
d'origine in misura superiore al tre per cento del capitale ne danno
comunicazione alla società partecipata e alla Consob.
La Consob ha poi, con un regolamento, determinato ciò che la legge dà come
quadro generale dei poteri della Consob (4° co.).
Se la società è una PMI il 3% diventa 5%.
La sanzione più corretta per un socio che non è sottoposto ad apatia razionale
è quella di privarlo del diritto di voto. Il 5° comma dice: “ Il diritto di voto
inerente alle azioni quotate od agli strumenti finanziari per i quali sono state
omesse le comunicazioni previste dal comma 2 non può essere esercitato ”.
Ne deriva che se il socio se frega, e nonostante ciò vota, la delibera che è stata
assunta con il suo voto determinante non è regolare e quindi è annullabile.
Ciò che è nuovo rispetto al c.c. è che il c.c. diceva che potevano agire per
l’annullamento i soci che avevano votato contro, quelli che non c’erano, gli
amministratori e i sindaci. Adesso viene aggiunta anche la Consob.
Prescrizione ho un credito nei confronti di un soggetto e se non lo esercito
per 10 anni è prescritto. È una misura di contenimento. Il termine per le società
è ridotto a 5 anni.
Decadenza non agisce sul diritto ma sull’azione. Sono un socio che ha
votato contro una di queste deliberazioni e quindi ho il diritto di agire per
l’annullamento di essa. Se non lo fa, è decaduto dall’azione in quanto non ha
agito entro il termine stabilito. Il termine di decadenza per impugnare la
deliberazione assembleare è di 90 giorni. La Consob ha invece un termine di
180 giorni.
A quest’obbligo di comunicazione vi è un’eccezione: tutti i soci che partecipano
per il 3% devono dare l’informazione, tranne se il socio è il ministero
dell’economica e delle finanze. Per le partecipazioni di questo soggetto non c’è
questo obbligo. Il 6° co. infatti dice: “Il comma 2 non si applica alle
partecipazioni detenute, per il tramite di società controllate, dal Ministero
dell’economia e delle finanze. I relativi obblighi di comunicazione sono
adempiuti dalle società controllate”.
L’art. 122, 1° co., dice che anche i cd. patti parasociali che hanno come
oggetto l’esercizio del diritto di voto, vanno comunicati alla Consob.
I patti parasociali sono degli accordi di diritto privato, dei contratti, che però
hanno ad oggetto l’esercizio di diritti che afferiscono ad una società. L’oggetto
di questo contratto è l’esercizio di determinati diritti all’interno della società. I
patti parasociali si distinguono in 2 categorie:
- Di blocco: ci mettiamo tutti d’accordo nel senso che se uno ha necessità
di vendere le sue azioni, prima di venderle a terzi le vende a qualcuno di
noi. Solo se nessuno accetta questa offerta, allora è possibile venderli al
di fuori.
- Di voto/di sindacato: parte di noi conclude un contratto in cui
decidiamo che prima di andare in assemblea ed esercitare il diritto di
voto ci troviamo tutti insieme e decidiamo, per quanto riguarda le nostre
quote, che in esse votiamo tutti insieme e in un certo modo, o addirittura
diamo delega ad un unico soggetto ad andare in assemblea e votare in
un certo modo. Sono dei patti che la legge non vede con negatività.
1° co., art. 122 “I patti, in qualunque forma stipulati, aventi per oggetto
l'esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che
le controllano entro cinque giorni dalla stipulazione sono: a) comunicati alla
Consob; b) pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana; c) depositati presso
il registro delle imprese del luogo ove la società ha la sua sede legale; d)
comunicati alle società con azioni quotate”.
Se non adempiamo gli obblighi pubblicitari, il nostro diritto di voto non può
essere esercitato.
Vengono inseriti tra i patti parasociali anche i patti che istituiscono degli
obblighi di preventiva consultazione e altre poche categorie.
Nelle società quotate vi è un organismo di controllo. Hanno quindi un’autorità
che regola il mercato, la Consob.
Risparmio: ciò che avanza dal mio guadagno e che non mi occorre per far
fronte ai bisogni della vita quotidiana. Senza risparmio un paese moderno non
vive in quanto il risparmio è stato equiparato alla circolazione sanguigna di un
paese (con il risparmio facciamo andare avanti le imprese le imprese danno
lavoro e guadagno ai cittadini che lavoro i cittadini risparmiano; si instaura un
circolo vizioso).
In base a delle statistiche è stato calcolato che l’italiano medio, rispetto a 10
anni fa, è più povero di 20.000€. Quindi, proprio per questo, il risparmio va
tutelato. Vengono fatti anche una serie di convegni che tendono ad incentivare
e comunque chiarire cos’è il risparmio.
I diritti dei soci sono diversi, l’amministrazione delle società quotate è diversa,
così come il controllo.
C’è un’importante sezione legislativa, OPA (Offerte Pubbliche di Acquisto), che
sono obbligatorie in quanto la legge vuole che gli azionisti di una società
quotata siano tutti parificato quanto a rendimento del loro investimento. L’OPA
ha lo scopo di livellare i rendimenti di tutti gli azionisti.
Le regole in materia di società quotate le troviamo nel TUF e in tutti i
provvedimenti che la Consob ha assunto in tema di regole.
Per poter collocare tra il pubblico dei prodotti finanziari tutti devono predisporre
e sottoporre all’esame della Consob un prospetto informativo.
Art. 123bis TUF: gli amministratori devono fornire informazioni non tanto
diverse ma comprensibili e quindi ridotte, su tanti oggetti.
Tutta la regolamentazione discende sempre dalla tutela del risparmio. Se non ci
fosse la norma costituzionale non avremmo tutte queste norme.
Il secondo blocco di regole è rappresentato da quella sezione del TUF, chiamata
“diritti dei soci”, e che troviamo agli artt. 125bis ss.
Quotate vuol dire:
1. La compagine sociale, i soci, possono cambiare mille volte al giorno
2. In ogni momento, dal lunedì al venerdì, c’è un prezzo
C’è un’autorità che sorveglia che il mercato funzioni bene e può sospendere la
quotazione: in genere si sospende la quotazione per eccesso di rialzo o per
eccesso di ribasso.
Il socio ha diritto di voto in assemblea.
Nelle società “public” la gran parte dei soci non esercita questo diritto di voto
perché magari non gli interessa o perché comunque il voto sarebbe irrilevante.
Quando si parla di diritto di voto, sostanzialmente, si parla di soci che hanno
investito delle somme abbastanza rilevanti.
La Consob può, con una sua delibera, regolamentare altre modalità di
pubblicizzazione.
L’art. 125bis dice che:
L’assemblea è convocata mediante avviso pubblicato sul sito Internet della
società entro il trentesimo giorno precedente la data dell’assemblea, nonché
con le altre modalità ed entro i termini previsti dalla Consob con regolamento
emanato ai sensi dell’articolo 113-ter, comma 3, ivi inclusa la pubblicazione
per estratto sui giornali quotidiani.
Nel caso di assemblea convocata per l'elezione mediante voto di lista dei
componenti degli organi di amministrazione e controllo, il termine per la
pubblicazione dell'avviso di convocazione è anticipato al quarantesimo giorno
precedente la data dell'assemblea.
Art. 147ter: “Lo statuto prevede che i componenti del consiglio di
amministrazione siano eletti sulla base di liste di candidati e determina la
quota minima di partecipazione richiesta per la presentazione di esse, in
misura non superiore a un quarantesimo del capitale sociale o alla diversa
misura stabilita dalla Consob con regolamento tenendo conto della
capitalizzazione, del flottante e degli assetti proprietari delle società quotate.
Le liste indicano quali sono gli amministratori in possesso dei requisiti di
indipendenza stabiliti dalla legge e dallo statuto. Lo statuto può prevedere che,
ai fini del riparto degli amministratori da eleggere, non si tenga conto delle
liste che non hanno conseguito una percentuale di voti almeno pari alla metà
di quella richiesta dallo statuto per la presentazione delle stesse; per le società
cooperative la misura è stabilita dagli statuti anche in deroga all’articolo”.
Almeno uno dei componenti del consiglio di amministrazione è espresso dalla
lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti e non sia
collegata in alcun modo, neppure indirettamente, con i soci che hanno
presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti.
Comma 1-ter: “lo statuto prevede, inoltre, che il riparto degli amministratori da
eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi.
Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli
amministratori eletti”.
Nelle S.p.A. vi è la possibilità, da parte dei soci, di chiedere la convocazione
dell’assemblea indicando le materie da trattare (art. 2377 c.c.).
L’art. 125quater dice cosa la società deve mettere sul proprio sito internet.
Art. 127ter: “Coloro ai quali spetta il diritto di voto possono porre domande
sulle materie all'ordine del giorno anche prima dell'assemblea ”. Questa cosa,
nelle altre società non quotate, può farla solo in assemblea. il termine entro il
quale porre le domande può essere al massimo 3 giorni prima. Queste
domande vengono messe a disposizioni di tutti sul sito internet.
Questo diritto è importante in quanto tutti i soci ne sono al corrente e gli
amministratori hanno il tempo di elaborare le risposte.
La disciplina per quanto riguarda i diritti dei soci è particolare sia per il termine
che viene dato per informarsi e sia per quanto riguarda i poteri. Questi sono i
diritti dei soci.
Art. 127quater: è possibile che se lo stesso azionista tiene lo stesso titolo
azionario per un periodo continuativo indicato nello statuto, comunque non
inferiore ad 1 anno, la società può riservarti una maggiorazione del dividendo
fino al 10% in più rispetto al dividendo che viene dato agli altri. Viene dato una
specie di “premio fedeltà”. Questo tipo di incentivi è molto diffuso. Dando dei
soldi in più ai soci che restano fermi ne vengono avvantaggiati anche tutti gli
altri in quanto si mantiene il corso del titolo.
L’unica forma per avere un cambio di proprietà di queste azioni privilegiate e
non perdere il privilegio è che io le riceva per causa di morte.
L’art. 127sexies introduce la maggiorazione del diritto di voto e il voto
plurimo, un ulteriore forma di premio fedeltà. Questo articolo dice: “ le azioni a
voto plurimo emesse anteriormente all'inizio delle negoziazioni in un mercato
regolamentato mantengono le loro caratteristiche e diritti”.
Per livellare il gap informativo, che deve esserci, bisogna cercare di diminuirne i
pericoli di abuso. Dovunque c’è una posizione non livellata, c’è un pericolo di
abuso.
Non dobbiamo però dimenticarci che stiamo parlando di diritto finanziario,
quindi di danaro. Questo ci interessa perché c’è una norma che è vero è dettata
nell’ambito della regolamentazione dei gruppi ma è una norma molto generale
(art. 2497 c.c.). Questo articolo ci dice che i soci tendono ad avere la redditività
e il valore dell’investimento.
Redditività utile che deriva dalla gestione societaria.

Valore dell’investimento investo in una società quotata, sì per avere gli


utili, ma anche per poter avere una rivalutazione del mio investimento.
Oltre all’utile, che non è obbligatorio distribuirlo ai soci, in un mercato
regolamentato (dove in ogni momento c’è un prezzo) è evidente che si avrà
interesse a che il valore aumenti nel tempo.
Tutelare il risparmio non vuol dire impedire che uno perda i propri investimenti
ma vuol dire mettere tutti nelle condizioni di avere le migliori informazioni e la
migliore correttezza possibile. Infatti, la Consob ha come linee guida la
trasparenza e la correttezza.
L’oggetto di oggi non è la tutela informativa ma la tutela economica. Anche
l’informazione è indirizzata a che uno possa farsi una corretta opinione in
materia di risparmio.
Esiste una importante sezione del TUF che è dettata a tutela di due cose:
- Le regole del gioco
- Le norme che non penalizzino i soci cd. passivi o apatici
Offerta pubblica di acquisto (o.p.a.)/ Offerta pubblica di scambio
(o.p.s.) ogni volta che abbiamo un termine un po’ tecnico dobbiamo andare,
sia nel TUB, che nel TUF ecc… nell’art. 1 dove c’è il dizionario. Il legislatore,
all’art. 1, co. 1 lettera v, definisce l’o.p.a. o l’o.p.s.: è ogni offerta, invito ad
offrire o messaggio promozionale (radio, tv…) in qualsiasi forma effettuati
finalizzati all’acquisto o allo scambio di prodotti finanziari e rivolti ad un
numero di soggetti superiori a quelli indicati nel regolamento della Consob.
L’offerta pubblica è, ad esempio, quella inserita negli annunci che troviamo
quando qualcuno perde il proprio cane o gatto. Questa comunicazione è
indirizzata a chiunque. Si tratta di un’offerta rivolta ad incertam personam
non so chi riuscirà a soddisfare la mia offerta; come può essere il primo che
passo così può non esserlo nessuno.
In una società, chi detiene le azioni di un certo soggetto, è comunque una
quantità determinata.
È un’offerta pubblica nel senso che non è un’offerta fatta ad un numero di
soggetti limitato.
Contratto proposta e accettazione. Se si accetta l’offerta il contratto è
concluso altrimenti si finisce lì.
Non costituisce o.p.a. o o.p.s. quella avente ad oggetto titoli emessi dalle
banche centrali di uno stato americano.
Perché il legislatore si occupa di questa particolare specie di contratto che
chiamiamo o.p.a. o o.p.s.? perché normalmente chi promuove un’o.p.a. non lo
fa per acquistare 10 azioni di una società ma vuole avere il controllo di esse. Il
controllo è prodromico ad avere l’influenza dominante.
Art. 105, co. 2 TUF “Ai fini della presente sezione, per partecipazione si
intende una quota, detenuta anche indirettamente per il tramite di fiduciari o
per interposta persona, dei titoli emessi da una società di cui al comma 1 che
attribuiscono diritti di voto nelle deliberazioni assembleari riguardanti nomina o
revoca degli amministratori o del consiglio di sorveglianza”.
Se chi promuove l’o.p.a. è colui che vuole avere il controllo, vorrà avere la
maggioranza e per averla pagherà il cd. premio di maggioranza.
Nelle società cooperative il voto va per teste, quindi il problema non esiste;
nelle società di capitali il quoto va per quote e allora può succedere che più
società che vogliono raggiungere la maggioranza.
È evidente che ogni azione della Pirelli vale la stessa somma ma questo è il
prezzo al pubblico. Se io voglio fare la cd. scalata pago qualcosa di più.
Perché io fondo di investimento o gruppo di imprenditori pago di più per avere
il controllo? Perché se io ho la maggioranza, attraverso gli amministratori che
ho nominato del fondo, posso definire la politica imprenditoriale, determinare le
scelte strategiche della società e piego la società alla mia idea imprenditoriale.
Sono convinto che con la mia direzione strategica e con le mie scelte
imprenditoriali la società andrà bene.
L’azione per legge vale esattamente lo stesso. Pago di più le azioni che mi
danno il controllo perché mi danno la possibilità di espletare la mia idea
imprenditoriale, che secondo me mi dà tanti utili nel futuro. Pago in più la
possibilità di avere il controllo e quindi di fare andare la società secondo le mie
scelte strategiche.
L’o.p.a. serve esattamente a impedire che nelle società quotate avvenga lo
stesso. Questo perché il fatto che esiste un mercato regolamentato impone che
dentro nel mercato non ci siano soci di serie a e di serie b. Nelle società
“private” questa differenziazione c’è ma al di fuori non interessa a nessuno.
Nelle società “public” ci sono degli interessi che vanno al di là.
Ecco che la legge, all’art. 106, per la stessa esistenza del mercato pubblico
impone una regola che non c’è nelle altre società ma solo nelle società
quotate: “Chiunque, a seguito di acquisti ovvero di maggiorazione dei diritti di
voto, venga a detenere una partecipazione superiore alla soglia del trenta per
cento ovvero a disporre di diritti di voto in misura superiore al trenta per cento
dei medesimi promuove un'offerta pubblica di acquisto rivolta a tutti i
possessori di titoli sulla totalità dei titoli ammessi alla negoziazione in un
mercato regolamentato in loro possesso”.
Questo vuol dire che se tu stai facendo la scalata non va bene che il prezzo lo
paghi solo ad alcuni ma questo plusvalore che sei disposto a dare a chi ti dà la
maggioranza devi darlo a tutti.
Il 2° comma dice: “Per ciascuna categoria di titoli, l'offerta è promossa entro
venti giorni a un prezzo non inferiore a quello più elevato pagato dall'offerente
e da persone che agiscono di concerto con il medesimo, nei dodici mesi
anteriori alla comunicazione di cui all'articolo 102, comma 1, per acquisti di
titoli della medesima categoria. Qualora non siano stati effettuati acquisti a
titolo oneroso di titoli della medesima categoria nel periodo indicato, l'offerta è
promossa per tale categoria di titoli ad un prezzo non inferiore a quello medio
ponderato di mercato degli ultimi dodici mesi o del minor periodo disponibile. Il
medesimo prezzo si applica, in mancanza di acquisti a un prezzo più elevato, in
caso di superamento della soglia relativa ai diritti di voto per effetto della
maggiorazione ai sensi dell'articolo 127-quinquies”.
Dal momento in cui ho il 30% scatta il periodo di tempo in base al quale devo
promuovere l’offerta, l’o.p.a. è obbligatoria dal punto di vista dell’offerente e
non dell’oblato. Quando un soggetto raggiunge il 30% vuol dire che ha voglia di
governare la società.
Comma 2bis dice: “Il corrispettivo dell'offerta può essere costituito in tutto o in
parte da titoli. Nel caso in cui i titoli offerti quale corrispettivo dell'offerta non
siano ammessi alla negoziazione su di un mercato regolamentato in uno Stato
comunitario ovvero l'offerente o le persone che agiscono di concerto con
questi, abbia acquistato verso un corrispettivo in denaro, nel periodo di cui al
comma 2 e fino alla chiusura dell'offerta, titoli che conferiscono almeno il
cinque per cento dei diritti di voto esercitabili nell'assemblea della società i cui
titoli sono oggetto di offerta, l'offerente deve proporre ai destinatari
dell'offerta, almeno in alternativa al corrispettivo in titoli, un corrispettivo in
contanti”.
Se non hi tutto il danaro puoi in tutto in parte sostituire dei titoli insieme al
danaro o anche in tutto.
Vi è la cd. regola della passività (passivity rule): l’impresa ha ad oggetto i titoli
della società. L’oggetto è quindi la società che gestisce l’impresa che a me
interessa. Non è detto però che la società bersaglio (target) sia sempre così
contenta di venire scalata. Gli amministratori per esempio potrebbero indurre i
soci a porre in essere delle difese.
Le società i cui titoli sono oggetto dell’offerta pubblica (cd. società target) si
astengono dal compiere atti o operazioni che possono contrastare il
proseguimento dell’offerta.
Art. 104 (passivity rule) “Salvo autorizzazione dell'assemblea ordinaria o di
quella straordinaria per le delibere di competenza, le società italiane quotate i
cui titoli sono oggetto dell'offerta si astengono dal compiere atti od operazioni
che possono contrastare il conseguimento degli obiettivi dell'offerta. L'obbligo
di astensione si applica dalla comunicazione di cui all'articolo 102, comma 1, e
fino alla chiusura dell'offerta ovvero fino a quando l'offerta stessa non decada.
La mera ricerca di altre offerte non costituisce atto od operazione in contrasto
con gli obiettivi dell'offerta. Resta ferma la responsabilità degli amministratori,
dei componenti del consiglio di gestione e di sorveglianza e dei direttori
generali per gli atti e le operazioni compiuti”.
Vi è anche la regola della neutralizzazione (art. 104bis) che dice: “ Nel periodo
di adesione all'offerta non hanno effetto nei confronti dell'offerente le
limitazioni al trasferimento di titoli previste nello statuto né hanno effetto, nelle
assemblee chiamate a decidere sugli atti e le operazioni previsti dall'articolo
104, le limitazioni al diritto di voto previste nello statuto o da patti parasociali.
Nelle medesime assemblee le azioni a voto plurimo conferiscono soltanto un
voto e non si computano i diritti di voto assegnati ai sensi dell'articolo 127-
quinquies”.
Il potere principale che accompagna l’azione è il diritto di voto. Le sanzioni
amministrative sono quelle che effettivamente pesano di più. Gli uffici devono
stare attenti a far sì che la società non faccia una scivolata, che gli comporti la
perdita del diritto di voto.
O.p.a. regola di uguale trattamento per tutti i soci della società.

Art. 106, 2° co.: “Per ciascuna categoria di titoli, l'offerta è promossa entro
venti giorni a un prezzo non inferiore a quello più elevato pagato dall'offerente
e da persone che agiscono di concerto con il medesimo, nei dodici mesi
anteriori alla comunicazione di cui all'articolo 102, comma 1, per acquisti di
titoli della medesima categoria”.
Da un lato è uno strumento di corretto svolgimento di un mercato (luogo ideale
dove, per ogni titolo che si tratta, c’è sempre un prezzo).
L’offerta è pubblica nel senso che è rivolta a chiunque detenga quel tipo di
titolo.
La prova non sarà mai una prova fisica (es. io ho il titolo cartaceo). Per
dimostrare la mia legittimazione, cioè che possiedo quel determinato titolo, c’è
un’attestazione dell’intermediario finanziario che attesta che io ho, ad esempio,
100.000€ di quel determinato strumento finanziario che identifico con il codice
ISIN (= targa auto ma + lunga).
Dall’altra parte è uno strumento di perequazione perché tutti i possessori di
quel determinato strumento finanziario, con quel determinato codice ISIN,
devono essere trattati allo stesso modo.
Il danaro non è liberamente emesso: viene emesso a seguito di una
deliberazione del consiglio della BCE. Si passa poi l’ordine all’istituto poligrafico
dello stato che stampa il danaro. Che cosa stampa? Dei pezzi di carta che in
realtà non valgono nulla. Alcuni dicono che diventa danaro quando è immesso
nel circuito monetario. Altri dicono che una volta che è stampato è danaro.
Adesso, periodicamente, presso le banche vengono ritirate tutte le banconote
usurate e le sostituiscono con banconote nuove. Qualcuno a volte riesce ad
impadronirsi di queste banconote usurate e quello è comunque danaro.
Strumenti finanziari misure di valori che dipendono da altre variabili (variabili
di tassi di cambio, variabili di prezzi di materie prime…).
Quello che dice la legge quando parla di o.p.a. è che è vero che questi
strumenti finanziari sono quotati sul mercato di capitale di rischio (perché non
è garantito che io guadagni), ma all’interno di quel determinato titolo, con quel
determinato codice ISIN, se c’è la quotazione di quel titolo sul mercato
pubblico, tutti devono essere trattati allo stesso modo.
Nel diritto privato sappiamo che ogni volta che si conclude un contratto si è
modificato l’ordinamento fattuale giuridico precedente e finché non c’è
l’accettazione del contratto posso sempre ritirare la mia offerta. Nel caso
dell’o.p.a. la regola del diritto privato non vale più.
La società target non può modificare il proprio assetta. Una volta lanciata
l’offerta la società non deve modificare il proprio assetto (art. 103).
L’o.p.a. diventa obbligatoria quando si superano determinate soglie di
partecipazione che sono molto importante. La legge all’art. 106 prevede il 30%.
Il flottante è la quota che c’è sul mercato.
La legge ha previsto, all’art. 109, che sarebbe tropo semplice evitare tutte
queste regole di legge. Se il soggetto che detiene più del 30% non è uno solo
ma sono in 5 e nessuno detiene il 30% a nessuno dovrebbe applicarsi la legge
ma se agiscono di concerto (insieme) senza che nessuno dei singoli abbia in
totale del 30% possono raggiungere questa quota solo insieme. La legge dice
che tutti questi obblighi di o.p.a. obbligatoria e residuale si applicano non solo
ai soggetti individuali ma anche a seguito di acquisti effettuati quando le
persone agiscono di concerto, cioè insieme.
Art. 110 La sanzione consiste nella sterilizzazione del diritto di voto.

I diritti di informazione dei soci sono molto rafforzati.


Noi abbiamo dei titoli che quotati su un mercato pubblico e quindi in ogni
momento si può cambiare l’assetto societario.
La mole di informazioni che deve venir data ai soci nella società quotata, art.
125bis, è enorme rispetto alla mole di informazioni che viene data ai soci della
società non quotata.
L’art. 125quater si intitola “sito internet” e dice che tutte queste informazioni
devono essere rese accessibili a chiunque sul sito delle società.
Nelle società public ci sono i soci grossi (fondi di investimento, fondi pensioni…)
e i soci piccoli che non contano nulla. è possibile far contare di più i soci
piccoli? Tenendoli tali no ma è prevista agli artt. 136 e ss. un istituto specifico
delle società quotate che è la cd. raccolta delle deleghe.
Nelle società con azioni quotate esiste una categoria di soggetti, chiamati
promotori. Essi promuovono la sollecitazione per la raccolta di massa di
deleghe. Quindi, questi soggetti vanno in giro da tutti gli azionisti di una società
chiedendo le deleghe.
Una variante a questi professionisti che raccolgono le deleghe sono le
associazioni di azionisti di una certa società (art. 141). Queste associazioni
nominano un rappresentante comune che va a votare in assemblea per tutti gli
associati.
Associazioni persone che si mettono insieme non per scopi commerciali (es.
partiti politici, sindacati…).
La regolamentazione delle società quotate è molto diversa rispetto a quella
delle società ordinario. Il motivo è contenuto nell’art. 143 del TUF: “Le
informazioni contenute nel prospetto o nel modulo di delega e quelle
eventualmente diffuse nel corso della sollecitazione devono essere idonee a
consentire all'azionista di assumere una decisione consapevole; dell'idoneità
risponde il promotore”.
Art. 147quinquies “I soggetti che svolgono funzioni di amministrazione e
direzione devono possedere i requisiti di onorabilità stabiliti per i membri degli
organi di controllo con il regolamento emanato dal Ministro della giustizia ai
sensi dell'articolo 148, comma 4”. Il requisito di onorabilità è che tu non sia
stato condannato per delitti dolosi che prevedono delle pene abbastanza
rilevanti o che siano dei reati di tipo commerciale (es. bancarotta fraudolenta).
Questi requisiti sono stabiliti da un decreto del ministro. Chi è stato condannato
non può essere amministratori di una società quotata sui mercati
regolamentati, salvo la possibilità di poter mettere nel nulla gli affetti della
condanna dopo un certo numero di anni (cd. riabilitazione).
La governance è data dai soci che votano in assemblea, dagli amministratori
che amministrano la società e dall’organo di controllo (collegio sindacale:
organo interno; società di revisione: organo esterno a cui è deferito il controllo
contabile).
Il controllo nelle società quotate è molto più esteso rispetto alle società
“private”.
Il collegio sindacale ha dei poteri molto più estesi (artt. 148-149-150-151). Al
collegio sindacale si demandano degli obblighi molto importanti. Il dovere
principale dei controllori (art. 149 lettera c) è quello di controllare
continuamente l'adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli
aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema
amministrativo-contabile nonché sull'affidabilità di quest'ultimo nel
rappresentare correttamente i fatti di gestione.
Nelle società quotate deve esserci (art. 154bis) la figura del dirigente
preposto alla redazione dei documenti contabili della società.
Una regola importante che troviamo nel D.lgs. 39/2000 è il divieto delle cd.
sliding doors. Esse sono vietate tra essere dirigenti, dipendenti importanti di
società di revisione e poi subito dopo amministratori della società di revisione
conflitto di interessi, prima da controllore e poi da controllato.

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