CARATTERISTICHE DELL’IMPRENDITORE
Esercita professionalmente: la professionalità riguarda l’attività svolta
dall’imprenditore. È il modo in cui l’attività viene svolta. Non vuol dire che
deve essere un’attività esclusiva. Non deve essere un’attività prevalente
e nemmeno continuativa.
Deve essere una sola attività? Dipende!
Es: decido di vendere la mia macchina perché è vecchia e ricavo molto di
più di quanto previsto. Sono un imprenditore? No!
Un mio amico ha saputo che ho venduto bene la mia macchina e chiede
di vendergli anche la sua. Sono imprenditore? No!
Se però gli amici diventano tanti, mi conviene affittare un piazzale in cui
mettere tutte le auto da vendere. Le cose cambiano.
PROFESSIONISTA INTELLETTUALE
Il codice civile prevede una serie di norme specifiche (artt. 2229-2238 c.c.).
Il professionista intellettuale è un soggetto che fornisce un servizio di tipo
intellettuale (avvocato, medico, geometra, psicologo…).
Le caratteristiche sono le stesse dell’imprenditore ma le norme civilistiche
delineano una disciplina diversa per l’imprenditore intellettuale.
Cosa distingue il professionista intellettuale dall’imprenditore? Storicamente si
diceva l’organizzazione ma oggi questo non funziona sia perché il concetto di
organizzazione è svanito e sia perché ci sono degli studi legali che hanno
un’organizzazione da media impresa. Quindi in un caso o nell’altro
l’organizzazione non serve.
Il professionista intellettuale ha un’obbligazione di mezzi e non di risultato.
Questo però è un elemento della disciplina e non della fattispecie.
Ci sono alcune professioni intellettuali note, ma perché queste categorie sono
professionisti intellettuali? Perché c’è stato un riconoscimento da parte del
legislatore del fatto che questi soggetti svolgono un’attività particolare, il che
comporta alcune caratteristiche comuni, cioè:
Superamento di un esame di stato
Iscrizione ad un albo
Organismo interno della professione che ha poteri di controllo
Quando tutto questo avviene abbiamo una professione intellettuale. La
definizione di professionista intellettuale la fa il legislatore.
Cosa comporta questo riconoscimento?
1. Il professionista intellettuale ha un’obbligazione di mezzi e non di
risultato;
2. Non è soggetto al fallimento;
3. Non è obbligato alla tenuta delle scritture contabili (se non le tiene va in
guai grossi).
Perché si vuole avere un riconoscimento come professione intellettuale? Il
riconoscimento si accompagna a dei limiti all’accesso, quindi un limite alla
concorrenza.
Art. 2238 c.c. la normativa sull’impresa si applica all’attività svolta in quanto
impresa e non in quanto professionista intellettuale. Se a fianco dell’attività di
professionista svolge un’attività identificabile come attività d’impresa, in
funzione di questa attività è imprenditore e gli si applicano le norme relative
all’impresa.
Es: il medico che gestisce una casa di cura la sua attività in quanto medico è
attività di professione intellettuale ma la sua attività di gestore di una casa di
cura non è attività medica vera e propria ma è un’attività di impresa.
IMPRENDITORE
Come si distingue l’imprenditore dagli altri soggetti coinvolti in un’impresa?
l’imprenditore è colui che possiede i mezzi di produzione e che ha si assume il
rischio della gestione e prende le decisioni relative. Non è solo l’imprenditore
ad assumersi il rischio: l’imprenditore è il soggetto che si assume direttamente
i rischi dell’impresa ma ci sono altri soggetti che, seppur indirettamente,
corrono dei rischi. Essi sono i dipendenti e i collaboratori, i fornitori…. In caso di
fallimento dell’impresa, l’imprenditore risponde con il proprio patrimonio ma se
questo non è sufficiente si va ad intaccare il patrimonio dei dipendenti.
Ci possono essere dei casi particolari: IMPRENDITORE OCCULTO.
Cosa succede quando un imprenditore, di fatto, fa gestire l’impresa da un altro
soggetto (solitamente nullatenente, o quasi, che gestisce l’impresa in nome
proprio)? Il primo effetto è quello di un trasferimento di rischio nei confronti di
altri soggetti (dipendenti, fornitori…).
Immaginiamo che i creditori, innervositi dalla situazione, facciano delle indagini
e scoprono che colui che credevano fosse l’imprenditore in realtà era un
prestanome.
Qual è il rapporto fra l’imprenditore occulto e l’imprenditore palese?
L’imprenditore palese si impegna ad esercitare un’attività di impresa per conto
di un altro ma in nome proprio. È un mandato senza rappresentanza.
ART. 1705 c.c. il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti e
assume gli obblighi relativi, anche se i terzi sanno del mandato.
Viene fuori che in realtà c’era un altro soggetto alle spalle, ricchissimo. C’è
modo di incastrarlo? Si è andati a vedere la legge fallimentare.
Comma 4-5 ART. 147 c.c. 4°: se dopo la dichiarazione di fallimento della
società (a responsabilità illimitata) risulta l’esistenza di altri soci responsabili
illimitatamente, il tribunale dichiara, su istanza di un creditore o altri soggetti, il
fallimento dei medesimi. [perché si possa applicare questa norma bisogna
individuare una società e quindi devono essere presenti gli elementi tipici che
caratterizzano la società].
IMPRENDITORE AGRICOLO
È disciplinato dall’art. 2135. Nel 1942, con l’introduzione del c.c., l’Italia aveva
una forte attività di impresa agricola e quindi il legislatore ha avuto un occhio
di riguardo per l’imprenditore agricolo.
Non è soggetto al fallimento.
Vi sono benefici di tipo fiscale: il reddito dell’imprenditore agricolo si calcola
con dei parametri diversi da quelli normali; il gasolio per attrezzatture agricole
costa molto meno; l’imprenditore agricolo era soggetto, oltre al rischio di
impresa normale, anche al rischio meteorologico.
La definizione di imprenditore agricolo del vecchio testo era molto diretta.
Divideva l’attività dell’impresa agricola in 2:
ATTIVITA’ AGRICOLE DIRETTE: erano la coltivazione del fondo,
l’allevamento del bestiame e la silvicoltura.
Oggi, le attività principali sono la coltivazione del fondo, l’allevamento
degli animali e la silvicoltura.
La differenza è tra animali e bestiame.
ATTIVITA’ AGRICOLE CONNESSE: attività esercitate dal medesimo
imprenditore agricolo dirette alla manipolazione, trasformazione,
commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti
ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del bosco, del fondo o
dall’allevamento degli animali.
L’art. 2135 dice che oggi è imprenditore agricolo chi esercita quelle
determinate attività.
Il secondo comma introduce che: per coltivazione del fondo, allevamento di
animali o silvicoltura si intendono le attività dirette alla cura o allo sviluppo di
un ciclo biologico che utilizzano, o possono utilizzare il fondo, il bosco, le acque
dolci, salmastre o salate.
Anche per le attività principali, il fondo c’è o può esserci (quindi può anche non
esserci).
Il collegamento per individuare l’imprenditore agricolo è sul ciclo biologico. Si
riguarda alla circostanza che, per un certo periodo almeno, curi il ciclo biologico
di piante o animali.
L’imprenditore agricolo che vende i prodotti del suo fondo svolge un’attività
principale o connessa? Letteralmente sembrerebbe connessa ma viene
considerata principale. È considerata connessa quando ha un punto vendita
autonomo.
Per attività connesse si parla di attività esercitate dallo stesso imprenditore
agricolo e quindi è necessaria una connessione soggettiva.
Es: armo un peschereccio e pesco. Si può definire impresa agricola, in base alla
definizione dell’art. 2135? NO, il pescatore non è un imprenditore agricolo. Per
altro, ai pescatori si applica la disciplina dell’imprenditore agricolo, cioè viene
trattato in modo uguale per quanto riguarda tutti i vantaggi applicati allo
statuto dell’imprenditore agricolo.
Es: la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica è impresa
agricola? Se invece di coltivare il fondo lo riempio di pannelli solari, sono un
imprenditore agricolo (impresa agricola connessa che si svolge sul fondo).
Es: produzioni di carburanti ottenuti dalla trasformazione di un prodotto del
fondo: attività agricola per connessione.
L’attività agricola per connessione va intensa in senso prevalentemente ampio.
È impresa agricola per connessione un chiosco per la produzione e vendita di
piadine? NO!
Il problema del piccolo imprenditore nasce dal fatto che c’è stato
costantemente un doppio regime (normativa del c.c. del 1942 e disciplina della
legge fallimentare).
La legge fallimentare del 1942 prevedeva una sua definizione all’art. 1 di
piccolo imprenditore.
La definizione civilistica definisce il piccolo imprenditore come il coltivare
diretto del fondo, il piccolo commerciante, l’artigiano e colui che
esercita l’attività di impresa prevalentemente con lavoro proprio o dei
propri familiari.
L’art. 1 della legge fallimentare definisce piccolo imprenditore colui che ai fini
dell’imposta di ricchezza mobile era al di sotto del minimo imponibile. In caso
di mancato accertamento ai fini dell’imposta di ricchezza mobile, si ritiene
piccolo imprenditore colui che investe nella sua impresa l’ammontare massimo
di lire 900mila.
È dovuta intervenire la corte costituzionale e ha detto che non si può applicare
il riferimento alle 900mila lire perché 900mila lire era un requisito subordinato.
Il requisito principale era che si fosse al di sotto dei minimi. Il venir meno del
requisito principale travolge tutta la norma.
Oggi, l’art. 1 della legge fallimentare, ha semplificato la faccenda. Il legislatore
della legge fallimentare ha fatto una scelta apprezzabile introducendo dei
parametri quantitativi. Sono soggetti al fallimento coloro che hanno i seguenti
requisiti:
- Un fatturato annuo superiore ai 200mila euro per anno, negli ultimi 3
anni
- Un attivo patrimoniale superiore ai 300mila euro, negli ultimi 3 anni
- Debiti scaduti e non scaduti superiore ai 500mila euro, negli ultimi 3 anni
Chi si trova in questa situazione o anche in una sola di esse, è soggetto al
fallimento.
Questi parametri valgono anche per le società di capitali.
L’importanza dell’art. 2083 dal punto di vista della disciplina è, oggi,
abbastanza ridotta.
PICCOLO IMPRENDITORE
“Si definisce piccolo imprenditore il coltivare diretto del fondo, il piccolo
commerciante, l’artigiano e colui che esercita l’attività di impresa
prevalentemente con lavoro proprio o dei propri familiari”.
Coltivatore diretto del fondo: c’è una norma, l’art. 1647, che afferma che il
coltivatore diretto del fondo è colui che coltiva il fondo prevalentemente con
lavoro proprio o dei propri familiari. Il problema nasce dal piccolo commerciante
(non esiste una norma che lo definisce).
Il piccolo commerciante è colui che esercita l’attività di commercio
prevalentemente con lavoro proprio o dei propri familiari. Prevalenza rispetto a
cosa? Prevalenza di forza lavoro (prevalenza del lavoro familiare con il lavoro
esterno) o con riferimento al capitale investito e all’importanza economica
dell’impresa.
L’artigiano è un soggetto particolare. Ha una normativa specifica, è la l. 8
agosto 1985 n. 443. L’art. 2 afferma che è imprenditore artigiano colui che
esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa
artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri e i rischi
inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il
proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo.
Impresa artigiana: Impresa che, esercitata dall’imprenditore artigiano, ha
come scopo prevalente lo svolgimento di un’attività di produzione di beni,
anche semilavorati, o di prestazioni di servizi. Sono escluse le attività agricole e
le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella
circolazione di beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al
pubblico di alimenti e bevande.
Un limite sta nella dimensione dell’impresa: l’impresa artigiana può avvalersi
della prestazione d’opera di personale dipendente diretto personalmente
dall’imprenditore artigiano o da soci, sempre che non superi i seguenti limiti
dimensionali:
Lavorazioni non in serie: massimo di 18 dipendenti compresi gli apprendisti,
che devono essere massimo 9. Il numero massimo dei dipendenti può essere
elevato a 22 dipendenti solo se le unità aggiuntive sono apprendisti.
Lavorazioni in serie non del tutto automatizzate: massimo 9 dipendenti,
compresi gli apprendisti, che devono essere massimo 5. Il numero massimo
può essere elevato a 12 solo se le unità aggiuntive sono apprendisti.
Lavorazioni artistiche e tradizionali: massimo 32 dipendenti compresi gli
apprendisti, che devono essere massimo 16. Il numero massimo può essere
elevato a 40 dipendenti solo se le unità aggiuntive sono apprendisti.
L’art. 230 bis definisce l’impresa familiare: “Salvo che sia configurabile un
diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di
lavoro ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della
famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi
nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in
proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato”.
Se i familiari lavorano con un contratto di lavoratori dipendenti, in questo caso
non ci sono problemi e si applica la disciplina del lavoro subordinato.
A cosa serve il 230 bis? A tutelare i familiari deboli. La legge attribuisce
determinati diritti ai familiari senza che esista una previsione specifica tra
imprenditore e familiari.
Vengono alla luce una serie di diritti sociali:
Diritto alla quota di partecipazione agli utili
Diritto agli incrementi di valori
Diritto di partecipare alle decisioni di straordinaria amministrazione
Il riconoscimento ai familiari di questi diritti sociali comporta che cambi la
natura dell’impresa da impresa individuale a società personale oppure rimane
la fattispecie impresa individuale? L’impresa familiare rimane impresa
individuale.
IMPRESA PUBBLICA
La parte economica della costituzione, art. 41 e 43, sono espressione di due
diverse anime.
ART. 41 Cost. “l’iniziativa economica privata è libera […]”.
ART. 43 Cost. “la legge può riservare e trasferire mediante espropriazione e
salvo indennizzo allo stato determinate imprese che si riferiscono a servizi
pubblici essenziali ed abbiano carattere di preminente interesse generale […]”.
La norma liberale è l’art. 43 perché è una norma inserita con lo scopo specifico
di limitare tutto quello che si era cercato di far passare con l’art. 41.
Quando parliamo di impresa pubblica facciamo riferimento ad un’impresa
gestita direttamente dallo stato.
Negli anni ’90 si è verificata la privatizzazione da enti pubblici a società per
azioni, sempre controllate dall’ente pubblico. Questa non è una vera
privatizzazione.
Nelle fasi successive si è provveduto a mettere sul mercato le partecipazioni di
queste società, sempre mantenendo allo stato il potere di controllo.
Il problema è stabilire se si applica l’ordinamento privatistico oppure se sono
soggette ad un controllo amministrativo e quindi sottratte all’autorità
giudiziaria ordinaria e si va davanti al giudice amministrativo.
Una sentenza recente del consiglio di stato chiarisce questi profili. Se l’attività
svolta dalla società è diretta al mercato e il controllo pubblico non è totale, si
applica la disciplina privatistica e i servizi devono essere assegnati mediante
una gara. Se invece la società che è investita di queste attività è sotto stretto
controllo pubblico e svolge i propri servizi all’interno del sistema pubblico,
allora il controllo sulla società è svolto dai tribunali amministrativi (es: CINECA).
LA PUBBLICITA’
Quali tipi di pubblicità esistono?
Dichiarativa: produce effetti in quanto rende opponibile ai terzi quello che
è oggetto della pubblicità. La conoscenza dei terzi è presunta;
Costitutiva: senza la relativa pubblicità non si producono gli effetti;
Notiziale: serve a far sapere una circostanza ma non produce effetti a
favore di chi dà la notizia.
Il legislatore del 1942 ha previsto che venisse creato il registro delle
imprese, cioè il luogo in cui dovevano essere annotati e iscritti determinati
eventi che riguardavano le imprese.
Vi era una stanza presso la cancellaria del tribunale piena di schedari in cui vi
era scritto il nome dell’impresa o della società e alcune minime informazioni.
Questo regime transitorio è rimasto tale per 50 anni.
Agli inizi degli anni ’90 il legislatore si era accorto che c’era già un registro delle
imprese presso la camera di commercio. Al legislatore è venuto in mente di
trasformare questa rete già esistente nel vero registro delle imprese.
Il registro delle imprese così formato si è progressivamente ampliato con una
serie di registri speciali.
La legge prevede che tutte le iscrizioni nei registri speciali hanno effetto di
pubblicità notizia.
Mentre, per quanto riguarda le imprese commerciali gli effetti sono di pubblicità
dichiarativa.
È stato previsto che l’iscrizione degli imprenditori agricoli, dei piccoli
imprenditori agricoli e delle società semplici esercenti attività agricola ha
efficacia di pubblicità dichiarativa.
LE SCRITTURE CONTABILI
L’imprenditore commerciale deve tenere delle scritture contabili. Deve tenere
almeno il libro giornale, il libro degli inventari e il fascicolo della
corrispondenza.
Es: La S.p.A. deve avere il libro soci, il libro verbale delle assemblee, del
consiglio dell’amministrazione, delle riunioni del collegio sindacale…
Il fascicolo della corrispondenza deve tenere tutta la corrispondenza
ricevuta dall’imprenditore e la copia di tutta la corrispondenza inviata
dall’imprenditore nell’esercizio dell’impresa.
Il libro giornale deve contenere l’indicazione e la descrizione di tutte le
operazioni commerciali svolte dall’impresa, giornalmente.
Il libro degli inventari deve contenere l’indicazione di tutti i beni
dell’imprenditore, non solo quelli relativi all’esercizio dell’impresa. Questo
perché non c’è separazione patrimoniale tra imprenditore e impresa.
Nell’impresa individuale l’imprenditore risponde delle obbligazioni dell’impresa
con tutto il proprio patrimonio.
Il libro degli inventari si chiude con il bilancio. Esso deve dare un quadro preciso
di quello che è l’andamento dell’esercizio dell’impresa. deve essere redatto
entro un anno dall’inizio dell’esercizio dell’impresa e se l’impresa continua deve
poi essere redatto ogni anno.
Come si redige il bilancio dell’impresa? la legge, in particola l’art. 2217, dice
che per la redazione del bilancio dell’impresa l’imprenditore deve attenersi ai
criteri di valutazione stabiliti per le S.p.A., in quanto compatibili. Cosa vuol dire?
C’è una differenza in quella che si chiama la clausola generale di bilancio che
detta i criteri generali di redazione. Questo perché il richiamo del bilancio per la
S.p.A. deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo
veritiero e corretto la situazione contabile.
L’art. 2217 dice che deve presentare la situazione con evidenza e verità.
Sono due cose diverse o sono la stessa cosa? Il legislatore dice veritiero e non
vero perché i criteri di valutazione non sono oggettivi ma legati alle scelte del
legislatore, ad esempio gli immobili devo essere valutati al prezzo di costo e
non al valore attuale.
Esempio che contenga la clausola verità e non correttezza: siamo su una nave
mercantile. C’è il comandante e il secondo in comando, che detesta il capitano.
Il secondo scrive nel diario di bordo: “anche oggi il comandante non è ubriaco”.
Si dà il caso che il comandante sia astemio. È vera questa affermazione? Si! È
corretta? No, perché fa intendere che di solito il comandante sia ubriaco.
Come si applica questo concetto ad un bilancio? Si applica perché ci possono
essere dei modi di rispettare i criteri di valutazione ma dando come risultato
un’impressione dell’impresa o della società diversa dalla realtà. Ci sono infatti
delle norme specifiche per le S.p.A. che dicono che quando può emergere un
quadro non fedele della situazione occorre apportare cambiamenti.
In realtà si ritiene che non ci sia una sostanziale differenza fra le clausole della
S.p.A. e quelle dell’art. 2217.
Il problema può stare nel fatto che l’applicazione dei criteri usati per la S.p.A.
possono portare ad un quadro distorto di quella che è la realtà.
Si tratta di utilizzare in linea di principio i criteri di valutazione dell’impresa ma
se si rende conto che questo porti delle distorsioni, allora deve discostarsi da
questi criteri.
Le norme sul bilancio della S.p.A., a differenza dell’art. 2217 che prevede solo i
criteri, prevedono anche dei modelli di come deve essere formato il bilancio e
quali voci devono essere messe.
Se si usano i modelli della S.p.A. non ci sono problemi. In concreto si tratta di
vedere se effettivamente questi modelli consentono di avere una chiara
evidenza di quella che è la situazione economica e patrimoniale dell’impresa.
Come devono essere redatte le scritture contabili? La legge prevede una serie
di criteri. Non devono avere abrasioni o cancellazioni (deve essere corretto in
modo che la parte corretta risulti comunque leggibile); devono essere vidimate
(per evitare che uno ricostruisca a posteriori le cose per dare una falsa
rappresentazione dell’impresa).
Cosa succede se non vengono fatte queste cose? Nelle S.p.A. c’erano delle
sanzioni dirette. Il solo fatto di non aver tenuto correttamente le scritture
contabili comporta delle sanzioni. Questo anche perché il bilancio viene
depositato e pubblicato nel registro delle imprese.
L’obbligo di pubblicazione del bilancio non c’è invece per le imprese individuali.
Se un imprenditore fallisce, il curatore per prima cosa controlla le scritture
contabili. Se sono incomprensibili, allora vi sono delle sanzioni specifiche (es:
reato di bancarotta). Le scritture contabili possono essere usate in giudizio
come prova. Tipicamente e ovviamente le scritture contabili possono fare prova
contro l’imprenditore.
Se si usa la scrittura contabile come mezzo di prova, non si può prendere una
pagina ed eliminare l’altra.
Possono far prova a favore dell’imprenditore? Si, ma solo quando la controparte
è un altro imprenditore, perché anche l’altra parte deve avere le sue scritture
contabili. Entrambe le scritture delle parti devono coincidere. Se esse non sono
ben tenute, in quel caso valuterà il giudice la portata.
Può essere disposta l’esibizione delle scritture contabili dell’impresa, in
particolare in caso di comunione legale fra i coniugi.
L’AZIENDA
Il nostro codice non ha delle norme che definiscono l’impresa. invece ci sono
delle norme che parlano dell’azienda.
L’azienda è l’insieme dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa.
Quando si parla di beni stiamo parlando di beni o anche di rapporti giuridici?
Non si parla solo di beni materiali ma anche immateriali come l’avviamento che
è un valore che si può identificare con il successo che l’impresa ottiene sul
mercato.
AVVIAMENTO plusvalore o minusvalore riconosciuto all’azienda in caso di
trasferimento dell’azienda.
Ciò che compone l’impresa sono beni, ma non solo beni materiali. Però devono
essere beni e non rapporti giuridici. Questo perché per questi esiste una
disciplina specifica che riguarda espressamente i rapporti giuridici (es:
contratto pendente).
C’è una qualificazione giuridica che si può applicare all’azienda? Questo
insieme di beni organizzati, dal punto di vista giuridico, cos’è? La definizione
dominante è quella che l’azienda sia un’universalità di beni uniti da uno scopo
ed una funzione comune.
Ci sono alcune norme specifiche. Il concetto di possesso vale titolo (art. 1156)
non si applica alle universalità di beni; l’usucapione sulle universalità di beni
sono 20 anni e non 10 anni.
La qualificazione che le parti danno al contratto è rilevante? Se le parti fanno
più contratti e per caso vi era ancora un contratto in essere, ma scrivono
“scrittura privata: questo non è una cessione d’azienda.” Quello che dicono le
parti rileva o si vuole un accertamento al di là della manifestazione di volontà
delle parti? Conta quello che loro vogliono? La legge fa discendere dalla
cessione di azienda effetti particolari quindi la manifesta volontà delle parti di
escludere tali effetti non funziona se dall’insieme dei negozi fatti risulta che sia
stata fatta una cessione di azienda la qualificazione che danno le parti
al contratto non è sufficiente per escludere che si sia davanti a una
cessione d’azienda.
Perché si abbia cessione di azienda è necessario che l’azienda sia attiva o
l’attività può essere ferma? Non è necessario che l’attività sia in corso.
C’è una forma per la cessione di azienda? Per la cessione di azienda non è
richiesta una forma particolare se non la forma scritta per provare l’avvenuta
cessione, tipicamente sono beni mobili e contratti.
Il problema è che la cessione d’azienda va iscritta nel registro delle
imprese e per l’iscrizione è richiesto l’atto pubblico o la scrittura privata
autenticata, quindi per completare il procedimento è richiesta una
forma specifica.
Gli aspetti significativi della disciplina della cessione d’azienda riguardano i
contratti in essere, i rapporti di debito e credito, il che è vero, ma c’è anche una
norma particolare, art. 2557, che prevede il divieto per colui che ha
trasferito l’azienda (cedente) di iniziare un’attività in concorrenza con
l’attività dell’azienda ceduta per un periodo di 5 anni vi è un limite
legale per la concorrenza.
(“Chi aliena l'azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal
trasferimento, dall'iniziare una nuova impresa che per l'oggetto, l'ubicazione o
altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta. [..] )
CONTRATTI PENDENTI
Il commendatore cede l’azienda e sono in essere contratta di fornitura, di
somministrazione etc.
Qual è la regola nel caso di trasferimento del contratto? Una parte del contratto
può sostituire a sé un altro contraente? Si, con l’accordo dell’altro
contraente io non posso modificare unilateralmente un contratto con più
parti.
Il commendatore dovrebbe prima informare i fornitori: “io sto cedendo
l’azienda al signor rossi, siete d’accordo di modificare il contratto in modo di
sostituire a me il signor rossi?”, il che comporta complicazioni, mettendo in
difficoltà l’acquirente. Allora interviene la legge che tutela l’azienda in quanto
unità produttiva.
C’è una eccezione alla regola vista prima: l’acquirente subentra
automaticamente nei contratti relativi all’azienda ceduta, senza necessità
dell’assenso della controparte.
Se per esempio io cedo la società, il problema non esiste perché la società è
contraente quindi non c’è modifica dei contratti; nel caso di cessione di azienda
da parte di imprenditore individuale non c’è più commendatore e il signor rossi
diventa contraente.
Questo però va bene, fornisce l’azienda, ma mette in una posizione scomoda il
contraente ceduto.
Es: il commendatore ha ceduto l’azienda ad x, il contraente ceduto può non
voler contrarre con lui.
In qualsiasi caso si ha una inversione della regola: si può modificare il
contratto senza l’assenso, MA se il contraente ceduto non vuole
continuare può recedere entro tre mesi per giusta causa.
(non se non gli piace l’acquirente, deve esserci una giusta causa di recesso.)
Giusta causa è un fatto così grave che non consente la prosecuzione
del rapporto.
Se per 3 mesi il contraente ceduto tace, deve eseguire le prestazioni
contrattuali.
CREDITI relativi all’azienda ceduta:
A chi dovrà pagare il debitore? Al nuovo acquirente.
Se però paga in buona fede al vecchio proprietario, il debitore è liberato dal
debito, la questione si risolverà tra acquirente e cedente.
DIRITTO INDUSTRIALE
I segni distintivi che riconosce l’industriale sono:
La ditta: contraddistingue la persona dell’imprenditore ( per noi la
ditta è il nome commerciale dell’imprenditore “la cessione della ditta =
cessione del nome commerciale dell’azienda .. linguaggio comune spesso
improprio).
L’insegna: contraddistingue i locali dove si svolge l’attività d’azienda.
Il marchio: contraddistingue un prodotto ( il marchio è riconosciuto
come il segno distintivo più importante; esiste un codice specifico, il
codice di proprietà industriale, dove sono state unite le varie norme a
riguardo).
Perché serve una disciplina dei segni distintivi? Serve a diversi soggetti e tutela
interessi diversi.
1. Imprenditore ha interesse per distinguere se stesso e i suoi prodotti sul
mercato, ha la possibilità concreta di monetizzare l’avviamento della
propria impresa.
2. Interesse del contraente a non essere ingannato
3. Interesse del contraente a sapere da dove proviene il prodotto
IL MARCHIO
Può essere:
generale (es. fiat)
specifico (es. panda, cinquecento)
collettivo (es. chianti, parmigiano reggiano)
espresso da parole (es. riso fallo)
espresso con segni grafici (es. Nike)
di forma (es. bottiglia coca cola)
può servire per indicare l’origine del prodotto (es. parmigiano reggiano)
celebre, per cui grazie alla pubblicità ha acquistato notorietà ampia (es.
marchi degli stilisti, Ferrari)
Requisiti di validità:
liceità e verità, art 14 del codice di proprietà industriale non devono
essere tali da trarre in inganno, non devono violare i diritti di altri e non
devono essere contrari all’ordine pubblico. Ci sono delle regole
specifiche, ad esempio, posso usare un nome astratto comune che non si
riferisce a una persona particolare (Giovanni rossi) oppure un nome
famoso (Brad Pitt) ma devo chiedere la sua autorizzazione, MA non posso
usarlo in modo da gettare discredito su una persona.
originalità, capacità distintiva, art. 13 il marchio deve essere tale
da creare una reale differenziazione con il resto del mondo. Non posso
usare il nome comune di un prodotto, ma posso farlo se l’oggetto è
diverso, ad esempio, faccio una linea di biciclette e la chiamo “codice”,
acquisisce capacità distintiva e originalità.
A cavallo della seconda guerra mondiale un’azienda americana ha creato un
filato sintetico molto resistente e l’ha chiamato nylon l’azienda non ha
protetto il marchio; il marchio è diventato il nome comune di quel filato, questa
si chiama volgarizzazione del marchio il marchio o perché
contraddistingue un tipo di prodotto o una categoria di prodotti ha un tale
successo da diventare il nome dello stesso prodotto sul mercato.
Fino a venti anni fa un marchio volgarizzato non poteva essere protetto, non
era più dotato di originalità; successivamente il legislatore ha previsto che può
sempre verificarsi una decadenza del marchio per volgarizzazione, ma soltanto
nel caso in cui l’imprenditore non lo difenda, SE invece persegue tenacemente
chiunque utilizza il suo marchio per contraddistinguere un prodotto analogo
non si ha decadenza.
La virtù del marchio celebre è proprio l’originalità: il marchio celebre offre
protezione a 360°, a differenza di un marchio non celebre; il requisito della
novità si valuta in base alla concorrenza, se vi è un marchio celebre il limite
della concorrenza non c’è più MARCHIO CELEBRE OFFRE PROTEZIONE AL DI
LA’ DELLA CONCORRENZA. (es. marchio Armani si trovano prodotti di ogni
genere, come cappelli, vestiti, profumi etc);
NON si può usare un marchio celebre neanche per fare un oggetto che non sia
messo in commercio con quel marchio.
(Es: non si può usare il marchio Ferrari per fare altro, come ad esempio del
vino).
novità, art. 12 nessun altro ha mai usato quel marchio, nessun
potenziale concorrente ha mai usato quel marchio prima.
Per avere diritto all’uso esclusivo del marchio occorre registrarlo. La
registrazione viene rinnovata ogni 10 anni.
Es: sigaro toscano, profumi di capri sono marchi registrabili. Perché? Una
registrazione non valida può essere impugnata dai concorrenti. È un fenomeno
particolare, si parla di secondary meaning, cioè si riferisce ad un fenomeno
specifico. Quando un marchio, che è debole (privo di originalità), ma acquisisce
una sua autonoma forza in funzione della pubblicità, a quel punto il marchio
diventa forte e può essere registrato.
Lo stesso fenomeno si verifica se un marchio debole viene registrato e prima
che venga impugnata la registrazione, a seguito della pubblicità, ha acquisito
una sua autonoma rilevanza.
Quali sono i motivi per cui può essere impugnata una registrazione di marchio:
1. Volgarizzazione: quando il marchio, per la fortuna e presenza del
prodotto sul mercato, diventa il nome comune del prodotto. [non è
sempre così; oggi la volgarizzazione si verifica sol ose il titolare del
marchio non lo protegge o rinuncia a proteggerlo].
2. Mancato utilizzo: il marchio decade. Sarà chi chiede la
registrazione di un marchio simile a dover provare che quel
marchio non è stato utilizzato epr 5 anni;
3. Sopravvenuta ingannevolezza: immaginiamo un marchio di un
consorzio di produttori, ad esempio l’olio del Salento. Raccolgono
olio da tutta Italia e anche dalla Spagna. In questi marchi occorre
che qualcuno si occupi della verifica e del rispetto dei requisiti del
marchio. Se nessuno lo fa, il marchio decade;
4. Marchio non registrato: es. ho una piccola pasticceria in un
paesino emiliano e produco dei tortelli, ma non mi viene in mente
di registrare il marchio. Passa il proprietario di una grande industria
dolciaria e registra il marchio. Il fenomeno si chiama pre-uso, cioè
se riesco a dimostrare che usavo il marchio prima della
registrazione di un marchio simile, allora posso continuare ad
usarlo nei limiti dell’uso che facevo prima della registrazione.
5. Trasferimento del marchio: dal ’92 il trasferimento è stato
liberalizzato ed è possibile dare anche delle licenze normalmente
non esclusive. Es: anni fa c’era una trasmissione televisiva
condotta da Renzo Arbore, “quelli della notte”, in cui c’erano dei
finti stacchi pubblicitari in cui le ballerine pubblicizzavano un
prodotto “cacao meravigliao”. La rai non registrò il marchio Cacao
Meravigliao, però un giovano imprenditore di Napoli disse: “perché
buttare via tutta questa pubblicità gratuita?” e allora registrò il
marchio Cacao Meravigliao per dei prodotti a base di cioccolato. Se
la rai si fosse messa a produrre cioccolato, senza registrare il
marchio, ci sarebbe stato un pre-uso nazionale e forse non sarebbe
stato possibile nemmeno registrarlo quel marchio. Il giovane
imprenditore registrò il marchio in quanto glielo chiedevano. Come
si risolve la situazione? La situazione è stata risolta in un modo non
proprio giuridico. Che tipo di pre-uso faceva la rai dell’ambito? Di
spettacolo. È successo che gli stacchi pubblicitari delle ballerine
sono continuati ma con un piccolo cambiamento: il Cacao
Meravigliao comportava un mal di stomaco terribile, quindi i
consumatori hanno smesso di comprarlo e hanno distrutto il
prodotto. Oggi, il Cacao Meravigliao non c’è più.
CASISTICA SUL MARCHIO
L’art. 21 del codice di proprietà industriale dice che: “ non si può impedire l’uso
del proprio nome e l’utilizzo come marchio quando è fatto nell’ambito della
correttezza professionale”.
Es (Fiorucci): il signor Fiorucci ha venduto l’azienda con il relativo marchio ad
una grande impresa. chi ha acquistato il marchio gli fa causa. Gli su può
impedire o no di usare il nome Fiorucci? Vi è una cassazione del maggio di
quest’anno. I giudici ritengono che non siamo nell’ambito della correttezza
professionale.
Es (Pre uso): un imprenditore che ha un marchio non registrato dimostra il pre-
uso del marchio attraverso una serie di cataloghi in cui figura il suo prodotto,
datati prima della registrazione del marchio di un suo concorrente. È una prova
sufficiente? Il tribunale di Milano ha detto che non solo era sufficiente, anche
perché il catalogo aveva testo anche il inglese.
Dimostrazione del pre uso del marchio attraverso l’enciclopedia; prova
sufficiente.
Es (capacità distintiva):
il marchio Royal Cars per vendere automobile è proteggibile? Il marchio
come testo non era difendibile ma come marchio di forma sì.
Sicily online ha capacità distintiva? No
Campo Fiorito, per dei vini, ha capacità distintiva? Sì.
Il marchio Uscita di sicurezza per periodici a stampa ha capacità
distintiva? Sì.
Es (liceità):
Prosciutto fratelli parmigiani (non siamo a Parma). Il problema è che si
crea confusione.
“Burro dolomiti” prodotto a Roma: crea confusione.
Tutela giuridica:
Diritto morale
Diritto di sfruttamento economico esclusivo
Talvolta, l’inventore è diverso dal soggetto che è legittimato a chiedere il
brevetto e quindi ad avere i diritti patrimoniali dell’invenzione.
1° CASO: c’è un’impresa e un dipendente di essa che ha come compito quello
di inventare dei giochi. Se questo signore inventa un gioco, chi è che ha il
diritto morale di essere riconosciuto inventore? Lui che l’ha creato.
L’imprenditore ha invece diritto di sfruttamento economico.
2° CASO: c’è un signore che lavora in un’impresa relativa alla produzione di
automobile e gli viene in mente che se si crea un cacciavite con una forma
particolare si facilita il lavoro di tutti. chi ha i diritti morali? Lui. Chi ha diritto
allo sfruttamento economico dell’invenzione? Dell’impresa, però il dipendente
ha diritto ad un equo compenso. Se le parti non si mettono d’accordo si può far
ricorso ad un giudice.
3° CASO: un dipendente a casa sua ha un piccolo laboratorio e si diletta in
invenzioni. Lavora nell’industria automobilistica ed inventa un cerchio in lega
indistruttibile. Il diritto morale spetta a lui. A chi spetta il diritto di sfruttamento
economico? è suo, ma l’imprenditore ha un diritto di opzione (non di prelazione,
che è una sorta di preferenza). Anche qui deve essere determinato il compenso
per il dipendente. Se le due parti sono d’accordo non c’è problema. Ma se non
vi è l’accordo si procede con un arbitraggio che prevede il valore della licenza
che l’imprenditore deve pagare al dipendente.
ART. 65 invenzione per i ricercatori universitari. Il diritto morale è loro
mentre il diritto di sfruttamento economico viene diviso a metà con gli enti. Se
l’ente non si muove gli spetterà il 30%.
LA CONCORRENZA
La concorrenza è la libertà di vari imprenditori di essere presenti sul mercato
offrendo prodotti o servizi analoghi a quelli di un altro imprenditore.
Il cliente è libero di scegliere a chi rivolgersi.
La concorrenza più libera possibile è considerata un valore in quanto stimola
l’imprenditore a produrre meglio, ridurre i costi…
La concorrenza non è perfetta in quanto ci sono barriere all’entrata, costi, limiti
generali, limiti convenzionali, limiti di legge…
Un limite legale alla concorrenza vi è in seguito alla cessione d’azienda: per 5
anni l’alienante non può iniziare un’attività d’impresa (art. 2557).
La legge ammette la possibilità di accordi limitativi alla concorrenza.
Es: nel rapporto di lavoro, se il dipendente è un personaggio particolarmente
qualificato ed ha delle conoscenze approfondite dei prodotti, è possibile
prevedere nel contratto di lavoro che per un certo periodo dopo la scadenza del
contratto stesso non può svolgere attività di concorrenza. L’accordo deve
essere approvato per iscritto e ci deve essere un compenso.
È anche possibile e previsto che la concorrenza sleale sia sanzionata.
Il primo corpo normativo importante che sanzionava le pratiche scorrette
nell’ambito della concorrenza è americano e risale al 1890: “Sherman Act”.
Dopo 100 anni è stato introdotto in Italia l’autorità garante per la concorrenza e
disciplina la materia comunemente conosciuta con il termine di antitrust.
Artt. 101-102 del trattato sul funzionamento dell’UE:
“Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi fra
imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il
commercio fra stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di
impedire o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato
comune […]”.
Si tratta di intese dirette a condizionare il gioco della concorrenza.
Abuso di posizione dominante: situazione di un’impresa che avendo una
posizione di particolare forza di mercato relativo, può abusare di questa
posizione e gli atti individuati sono gli stessi visti in relazioni alle intese,
salvo il ripartire i mercati.
L’ottenere una posizione dominante sul mercato è lecito ed è segno del
successo dell’impresa e dell’imprenditore. Viene sanzionato il fatto che compia
degli atti contrari al principio di concorrenza abusando della sua situazione di
forza all’interno del mercato.
La disciplina della normativa antitrust italiana è analoga.
Se c’è già una normativa antitrust europea precedente a quella italiana, perché
il legislatore italiano oltre a recepire la normativa europea ne ha scritta una
sua? Perché la normativa europea riguarda quegli atti che incidono sulla
concorrenza nel commercio fra stati membri. Per avere una disciplina nazionale
occorreva una normativa nazionale e quindi la legge antitrust.
La legge antitrust colpisce gli stessi comportamenti, ma con alcune differenze:
L’art. 2 parla di falsare o modificare in modo rilevante [..], si aggiunge un
concetto di rilevanza delle intese.
L’elemento da valutare riguarda la sostanza dell’impresa e la rilevanza.
Rilevanza rispetto a cosa?
Una delle questioni che si pongono quando si parla di intese è l’individuazione
del mercato rilevante. È spesso su questa questione che si discute sull’autorità
garante (es: se c’è un accordo tra produttori di yogurt, qual è il mercato
rilevante? Essendo lo yogurt un prodotto a base di latte, il mercato rilevante è
quello dei prodotti a base di latte; oppure, si guarda al mercato a cui si rivolge,
come ad esempio quello delle prime colazioni). Di solito il meccanismo è
l’autorità garante cerca di rimpicciolire il più possibile il mercato rilevante, le
imprese citate cercano invece di allargarlo. Viene fatto ricorso al tribunale
amministrativo regionale se non c’è un accordo tra l’autorità garante e le
imprese su quale mercato sia il mercato rilevante.
Es: Un caso rilevante riguardava le case produttrici di latte per l’infanzia. Nel
settore c’è un accordo ufficiale che le varie imprese che finanziano i costi
ospedalieri, danno un contributo pubblico, di fatto godono di un trattamento
privilegiato. Nelle varie cliniche ostetriche, il pediatra consigliava la marca del
latte alla neomamma in base alla data di nascita del bambino. L’autorità
garante ha citato le case produttrici concordando fra loro di non vedere i loro
prodotti nella grande distribuzione (supermercati), ma solo nelle farmacie.
Arriva l’impresa Mellin e dice di non aver fatto un accordo del genere. Si
difendono mediante gli ordini e le bolle di consegna del loro latte ai grandi
supermarket. Tuttavia i loro prodotti non c’erano perché nessuno li comprava
nei supermercati ma in farmacia.
Quindi, queste intese quando hanno lo scopo di falsare in modo rilevante la
concorrenza, sono vietate.
C’è un’eccezione: l’autorità garante può consentire che fra le imprese ci siano
intese astrattamente vietate quando in realtà, in concreto, portano dei benefici
ai consumatori.
Anche nella normativa italiana si ha un abuso della posizione dominante.
Qui non vi sono esenzioni, l’abuso di posizione dominante è sempre sanzionato.
Vi sono casi noti come quello della Coca Cola che, approfittando della sua
posizione sul mercato, poneva delle condizioni alla grande distribuzione.
Questo comportamento non era possibile e quindi veniva sanzionato.
Altri casi di abuso di posizione dominante riguarda il fatto di collegare ad un
determinato contratto altri contratti che nulla hanno a che vedere con il
contratto principale (es: la coca cola fa un contratto con la Pampers e dicono
alla grande distribuzione che se vogliono i prodotti coca cola devono prendersi
anche quelli Pampers).
Ulteriore precisione è data dall’art. 5 che riguarda le concentrazioni. Esse
sono funzioni tra due o più imprese che per le quote di mercato in gioco
possono creare una preoccupazione sulla libertà del mercato.
Non tutte le concentrazioni sono sotto l’attenzione dell’antitrust.
Per identificare le concentrazioni, che non sono in astratto vietate solo se vi
sono certi parametri, occorre che esse vengano comunicate all’autorità
garante.
I parametri devono essere entrambi presenti e sono:
1. Il fatturato complessivo delle imprese coinvolte nell’operazione
deve essere di almeno 500milioni di euro;
2. La più piccola delle imprese coinvolte deve avere un fatturato di
almeno 50 milioni di euro.
Se entrambi i parametri si verificano, l’autorità garante ha 30 giorni per
valutare se questo tipo di operazione può creare delle turbative di mercato.
Al termine dell’istruttore o si autorizza l’operazione oppure si dichiara di aprire
un’istruttoria. Alla fine dell’istruttoria può dare 3 risposte:
1. Si può fare
2. Non si può fare
3. Si può fare, ma con dei correttivi. Tipicamente un correttivo è un ramo di
azienda, un’attività, una delle imprese che deve essere ceduta ad un
concorrente.
Es: gruppo di società c’è una holding che controlla due società finanziarie.
Una delle due controlla una industriale che produce biciclette e fattura
300milioni di euro; l’altra controlla un’altra società anch’essa produttrice di
biciclette che fattura 250 milioni di euro. Queste due imprese decidono di fare
una fusione. Questa fusione va comunicata all’autorità garante? NO, perché
fanno già parte dello stesso gruppo. Qualunque operazione nell’ambito dello
stesso gruppo non è soggetto alla verifica dell’autorità garante.
L’autorità garante ha un’ulteriore competenza concernete le questioni
pubblicitarie.
Ci possono essere altre limitazioni alla concorrenza. Le più significative possono
essere i controlli all’accesso o l’esistenza di monopoli legali.
Ci sono monopoli di fatto o monopoli legali.
L’attività svolta in regime di monopolio di fatto (una sola impresa produce
quel bene) è soggetta alla disciplina antitrust.
I monopoli legali hanno una disciplina specifica e non sono soggetti alla
normativa antitrust. Il monopolista legale deve trattare con chiunque voglia
concludere un’operazione con lui, non può quindi rifiutarsi di trattare con
qualcuno (nei limiti della capacità dell’impresa). in questo caso deve rispettare
determinate regole:
Servire i clienti in ordine cronologico;
Applicare le stesse condizioni di mercato a tutti i clienti per prestazioni
analoghe.
Art. 1679 Servizi di linea. “Coloro che esercitano servizi in linea sono
obbligati ad accettare le richieste di trasporto compatibili con i mezzi ordinari
dell’impresa” […].
CONSORZIO
Vi sono due distinzioni. Uno per il tipo di attività e un altro per quanto riguarda
le modalità di svolgimento dell’attività.
Per quanto riguarda il tipo di attività che svolge il consorzio è un modo di
disciplinare la concorrenza tra le imprese partecipanti al consorzio. L’art. 2603
c.c. spiega che le varie imprese si mettono d’accordo per limitare la produzione
di un determinato bene dividendosi le aree ecc…. È un accordo anti
concorrenziale fra le imprese appartenenti al consorzio, ma questa è
un’eccezione alla normativa anti trust? Se viola la normativa anti trust è
un’intesa vietata.
Quali sono le intese vietate? Quelle che hanno l’effetto di influenzare,
modificare, alterare il mercato in modo rilevante.
La misura rilevante con cui viene modificato il mercato conta. Se è un consorzio
fra piccoli produttori che decidono di gestire meglio le loro imprese a fronte di
grandi produttori che hanno quote di mercato rilevanti, l’impatto non ci
sarebbe.
L’altro tipo di consorzio è quello costituito da più imprese per lo svolgimento in
comune di determinate attività o fasi della propria impresa.
Es: ci sono alcune imprese e ognuna di esse ha bisogna di un centro elettronico
per la gestione delle paghe dei dipendenti. Al posto che crearsi ognuno il
proprio centro informatico, se ne crea uno che gestisce la parte informatica di
varie imprese. Sarebbe possibile unirsi e organizzarsi attraverso un contratto di
consorzio. Questo ci dà l’idea di chi possono essere i partecipanti ad un
consorzio, cioè gli imprenditori. Il consorzio è quindi un contratto in cui può
partecipare solo un imprenditore. Fino alla riforma del 1976 la legge prevedeva
che dovesse trattarsi di imprenditori che svolgevano la stessa attività. Con il
1976 è stata riformata la disciplina ed oggi non è più previsto ciò.
In realtà nella disciplina, che si tratti di consorzio in funzione concorrenziale o
per la gestione in comune di alcune parti della propria attività di impresa, non
ci sono differenze nella disciplina.
Ci sono differenze per quanto riguarda le modalità con le quali il consorzio
gestisce la sua attività.
Ci sono consorzi che svolgono la loro attività all’esterno (es: consorzio
d’acquisto). Si organizza un ufficio acquisti comune che si rivolge al mercato
chiedendo tutto quello che serve alle varie imprese. Un consorzio di questo
genere che ha funzionato piuttosto bene era destinato all’acquisto di quote di
energia elettrica ed era un consorzio che metteva insieme varie imprese
metallurgiche nel bresciano.
Qual è la differenza fondamentale nella disciplina? Mentre il consorzio con
attività interna deve gestire i rapporti fra i consorziati, il consorzio con attività
esterna deve sempre gestire i rapporti tra i consorziati ma in più ha anche una
disciplina per quanto riguarda i rapporti fra l’ufficio e i terzi e fra i consorziati e
l’ufficio.
Il consorzio è un contratto formale, è quindi necessaria la forma scritta (art.
2603). Il consorzio deve contenere anche degli elementi che riguardano la
gestione in comune di qualcosa, cioè:
- Le parti
- L’oggetto: che attività svolge il consorzio
- La durata: è previsto dall’art. 2603 ma non è strettamente necessario
perché se la durata non viene indicata si prevede che esso duri 10 anni.
Deroga all’art. 2596? Si ritiene di sì. Quindi non si applica il limite dei 5
anni se stimo parlando di un consorzio.
- Obblighi di ciascun consorziato e i diritti: tipicamente, destinare alcune
risorse al consorzio attraverso la creazione di un fondo consortile.
- Possibilità di recesso
- Modalità di adesione/ammissione di nuovi consorziati: in realtà
esso è facoltativo. Se non dice nulla in relazione a ciò, è opportuno
modificare il contratto (con l’unanimità dei contraenti).
- Una sede
- Gli organi del consorzio ed i relativi poteri
Il consorzio è un contratto di durata e tendenzialmente aperto, quindi di solito
si prevede il meccanismo di adesione.
Problema abbiamo un contratto di consorzio e uno degli imprenditore che è
parte del contratto trasferisce la propria azienda. Con il trasferimento il nuovo
acquirente subentra nel contratto 8° meno che dopo 3 mesi decide di recedere
ma con giusta causa). È prevista la possibilità nel contratto di un patto
contrario, cioè il contratto può prevedere che nel caso di trasferimento
d’azienda, l’acquirente non subentra nel consorzio. Se non si prevede, il
contratto è aperto e l’acquirente subentra nel contratto di consorzio.
Vi è un meccanismo per cui gli altri consorziati possono opporsi al subentro ma
il termine è abbreviato: non è 3 mesi ma 1 mese dalla cessione dell’azienda.
L’art. 2609 comma 1, parlando del recesso, dice: “nei casi di recesso previsti
dal contratto la quota di partecipazione del consorziato receduto o escluso si
accresce proporzionalmente a quella degli altri”.
Es: c’è un consorzio di 11 consorziati e ognuno contribuisce al fondo consortile.
Uno recede e le quote di ciascuno diventano al 10%. Nel momento del recesso,
nel fondo consortile abbiamo non utilizzati 1100 euro. L’accrescimento riguarda
anche il fondo consortile? Meglio, io 11esimo consorziato che me ne vado,
lascio anche il mio 1/11 del mio fondo consortile o lo riprendo? Riprendo
sempre e in ogni caso la quota data al fondo consortile, anche se non faccio più
parte del consorzio per inadempimento, perché comunque pagherò un
risarcimento del danno ma la quota del fondo torna nelle mie mani.
Ci sono due tipi di decisioni che possono giocare nel consorzio:
1. Riguarda la vita del consorzio, eventuali modifiche del contratto:
qui le decisioni vengono prese all’unanimità;
2. Riguardano l’operatività del consorzio: la gestione del consorzio, in
assenza di previsioni contrattuali, tendenzialmente dovrebbe
essere all’unanimità, ma il legislatore ha introdotto il principio
maggioritario. Se non ci sono previsioni specifiche diverse, le
operazioni gestionali del consorziente sono prese a maggioranza
dai consorziati.
Casi di scioglimento dei consorziati:
Volontà unanime di tutti i consorziati: può avvenire anche a
maggioranza ma solo in un caso particolare, cioè nel caso in cui vi sia
una giusta causa di scioglimento;
Impossibilità di conseguire l’oggetto sociale: l’attività che quel
consorzio si riprometteva diventa illegale;
Scadenza del termine: se non prorogo il termine (all’unanimità) il
consorzio si scioglie;
Raggiungimento dello scopo;
Causa di scioglimento prevista dal contratto;
Provvedimento dell’autorità governativa.
LE SOCIETA’
Esse si dividono in società di persone e società di capitali.
Fra le società di capitali vi è la società in accomandita per azioni. È un tipo di
società usato pochissimo. Ad un certo punto, l’avvocato Agnelli ha costituito
una SAPA e a seguito di questa iniziativa tutti gli imprenditori italiani volevano
fare una SAPA.
La disciplina parte con alcune norme di carattere generale (artt. 2247 e ss.),
per poi avere una disciplina particolare per ogni tipologia di società di persone:
- Società semplice (artt. 2251-2290)
- Società a nome collettivo
- Società in accomandita semplice
Società di capitali:
- Società per azioni
- Società a responsabilità limitata: introdotta per ridurre l’importanza di
aziende come la s.n.c.
- Società in accomandita per azione
Nelle società c’è l’art. 2247 che individua il contratto di società. Attraverso
questo contratto due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in
comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili.
Ci può essere una società in cui manca qualcuno degli elementi previsti da
questo articolo.
Fino al 1990 la rubrica di questo articolo era proprio “Nozione di società”.
Con la riforma del 2003 è stata introdotta la possibilità di costituzione di un
unico socio anche per le società per azioni.
Le società di capitali sono dotate di personalità giuridica. Le società di persone
non hanno questa autonomia e per cui, se veniva meno la pluralità dei soci, la
società si trovava in una ipotesi di liquidazione.
Vi è un periodo di 6 mesi entro il quale si può ricostituire la pluralità di soci. Se
questo avviene, la società non si estingue e non si procede alla liquidazione.
Fino a che non è stata inserita nella rubrica il concetto di contratto di società
qualcuno diceva che la società è un contratto e qualcuno diceva che mancava
qualcosa perché si potesse parlare di contratto.
Nel contratto di scambio uno degli elementi costitutivi è un conflitto di interessi
tra le due parti. Il venditore cerca di ottenere il prezzo più alto possibile e il
compratore quello più basso. Qualcuno diceva che nelle società mancava
questa separazione tra le parti. Quante sono le parti in un contratto a
prestazioni corrispettive? 2. E se sono più di due parti ci può essere un contatto
di scambio? Si, ci possono essere più parti nel negozio ma le parti sostanziali
sono sempre due (più venditori o più acquirenti).
Nel contratto di società non sappiamo quante possono essere le parti
sostanziali del contratto.
È vero che nel contratto di società non c’è un conflitto di interessi tra i vari
soci? Si può individuare un qualche conflitto di interessi oppure no? Può
nascere il problema dei conferimenti dei soci e la divisione degli utili. Ciascun
socio ha interesse ad ottenere la maggior quota di partecipazione agli utili, con
il minor conferimento possibile. Se il conferimento avviene in denaro, la
questione è di relativa rilevanza. Il 2247 parla però di beni o servizi. Qui il tema
diventa più facile da capire. Quante parti sostanziali ci sono nel contratto di
società? Tante quante sono i soci. Però c’è un qualcosa in più nel contratto di
società rispetto al mero contratto di scambio, cioè uno scopo comune. Lo scopo
comune è l’esercizio dell’attività economica, qualunque essa sia, e la speranza
di dividerne gli utili.
In realtà non esiste un interessa autonomo dell’ente società separato
dall’interesse dei soci. L’interesse sociale è quello che si crea a seconda della
volontà o della maggioranza dei soci.
Troviamo dei riferimenti ai contratti con comunione di scopo nel nostro
ordinamento? Si, l’art. 1420 Nullità del contratto plurilaterale. Nei contratti
con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuno sono dirette al
conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce una sola delle parti
non comporta la nullità di tutto il contratto ma lo fa solo nel caso in cui la
partecipazione del socio è considerata essenziale.
Nel contratto di scambio, per quanto riguarda la prestazione delle due parti
contrapposte, cosa ci dovrebbe essere? Un astratto equilibrio tra le due
prestazioni.
Contenuto dell’art. 2247 quali sono gli elementi che il legislatore individua
come essenziali nel contratto di società:
- Presenza di due o più persone;
- Conferimento ad un ente separato di beni o servizi: conferimento che è
strumentale all’esercizio dell’attività economica;
- Grande elasticità dei soci;
- Diritto agli utili e al voto che è proporzionale al conferimento;
- Esercizio in comune dell’attività economica: elemento costitutivo per
qualunque società con più soci. L’esercizio in comune può assumere
diverse aspetti. In una società di capitali con 10mila soci non può essere
la stessa cosa. Tutti i soci hanno il diritto di esercitare alcuni diritti
amministrativi, ad esempio votare. L’esercizio in comune non è più
diretto ma e mediato; ad ogni modo non viene meno;
- Divisione degli utili: si crea una distinzione tra le società lucrative e le
società con scopo mutualistico, cioè le società che per progetto come
idea fondante alla costituzione non prevedono la distribuzione degli utili.
Era importante questa distinzione perché prima del 2000 non era
possibile il passaggio diretto da un tipo all’altro. Se i soci di una società
mutualistica (cooperativa) decidevano di organizzarsi come una società
di capitali effettiva. Il processo per cambiare il tipo di società si chiama
trasformazione. Fino al 2000 tutto ciò non era possibile ma bisognava
liquidare la società mutualistica per poi costituire una nuova società. In
seguito è stata introdotta la possibilità di trasformazione eterogenea per
cui oggi è possibile la trasformazione delle società.
Quali sono i limiti dei conferimenti? Il conferimento deve essere suscettibile di
valutazione economica e deve essere un qualcosa che ha una sua utilità per lo
scopo della società stessa.
Non è detto che il capitale sia astrattamente necessario ma può essere anche
una garanzia.
In una società di persone può non essere indicato un capitale sociale. In questo
caso si intende che ciascun socio è impegnato a consegnare quanto serve per
la società.
Se confrontiamo l‘art. 2247 con l’art. 2082 notiamo che manca un elemento,
cioè il concetto di professionalità. Si può immaginare una società occasionale?
È possibile l’esistenza di una società di fatto, anche se non è stata
regolarmente costituita. Ad esempio, assieme a tre amici facciamo un sistema
e giochiamo al superenalotto. Possiamo definirlo una società? No, manca
un’attività economica. Allora abbiamo un contratto con comunione di scopo.
Come ci distribuiamo la vincita? In base ai conferimenti.
L’art. 2263 dice che le parti spettanti ai soci nei guadagni o nelle perdite si
presumono uguali ai conferimenti.
In realtà esistono delle figure un po’ ibride al di là delle cooperative con scopo
non prevalentemente mutualistico. Ad esempio, ci può essere una società
immobiliare che possiede degli immobili e li dà in affitto ai suoi soci. L’attività
economica prescinde dal concetto di impresa dettato dall’art. 2082.
In realtà la fattispecie società ha una portata che va al di là dei limiti dell’art.
2247.
Ci possono essere dei casi in cui è importante non tanto lo scopo di dividere gli
utili ma l’applicazione di una disciplina ad una fattispecie. Cioè, ci possono
essere dei casi in cui certe attività devono essere organizzate sotto tipi
societari specifici, non perché le modalità di esercizio rientrino nel 2247 ma
perché è richiesto che venga applicata una determinata disciplina a quella
fattispecie e la disciplina più idonea è ritenuta quella della società per azioni.
Altro profilo rilevante riguarda la differenza tra società e comunione.
La comunione è quella situazione in cui due o più soggetti sono comproprietari
di un bene. Può nascere da una successione ereditaria, dalla volontà delle parti
ecc…. Se due o più persone sono comproprietari di un immobile non abbiamo
una società ma una comunione. Se lo affittano? Abbiamo sempre una
comunione.
C’è una differenza di disciplina. La differenza più significativa nella disciplina
riguarda lo scioglimento. Nella società lo scioglimento è previsto per casi
specifici oppure per la volontà dei soci (recesso). Non c’è un socio, di norma,
che può imporre lo scioglimento della società. Al contrario, un partecipante alla
comunione può imporne lo scioglimento. Se gli altri soci non sono d’accordo si
fa un ricorso al giudice ed entro un periodo massimo di 5 anni si deve procede
allo scioglimento della comunione.
Nelle società non è così, perché? Da una parte c’è il favore del legislatore e
dall’altra c’è un’oggettiva difficoltà (contratti pendenti, valore della società
stessa…).
Quando in comune è un’attività di impresa, abbiamo sempre una società? Ci
può essere un’attività di impresa in comune senza che vi sia società? Vi sono
idee contrapposte.
IMPRESA CONIUGALE (art. 177 d) questo articolo individua gli elementi che
compongono la comunione legale fra i coniugi. Campobasso dice che sarebbe
un’ipotesi specifica e unica di comunione di impresa.
Normalmente si dice che l’attività economica può avvenire solo attraverso una
società. In realtà si può ritenere che sia un’ipotesi singolare di comunione di
impresa.
Un’altra questione riguarda l’articolo 2249 devono costituirsi sotto forma di
società, ad esclusione della società semplice.
Per quanto riguarda i contratti, il nostro ordinamento prevede un numero rigido
e limitato di contratto o sposa il principio della atipicità dei contratti? La
seconda opzione.
Un contratto atipico ha dei requisiti? Deve regolare dei rapporti ritenuti
meritevoli di tutela dall’ordinamento.
Il nostro codice prevede tre tipi di società di persone e tre tipi di società di
capitali.
Es: intendo costituire la società Pippo (società atipica), disciplinando come
meglio voglio i rapporti giuridici che fanno capo alla società.
Si può inventare un nuovo tipo di società oppure no? Una delle indicazioni sta
nel fatto che al di là dei tipi regolati dal codice, se ci guardiano intorno non
troviamo altre società.
Che tipi di rapporti dovrà regolare la legge?
- Rapporti fra i soci;
- Rapporti fra la società e i terzi.
Normalmente gli effetti del contratto di società si esauriscono tra le parti.
Invece, quando costituiamo una società abbiamo una normativa che riguarda
sia i rapporti tra soci e sia i rapporti con i terzi. La legge prevede una serie di
modelli, meccanismi e strutture per disciplinare i rapporti tra l’ente società e i
terzi.
Nelle norme in tema di società ci sono due categorie di norme. Ci sono le
norme che regolano i rapporti con i terzi e le norme che regolano i rapporti fra i
soci.
La disciplina dei rapporti della società con i terzi sono inderogabili dalla volontà
delle parti.
Non c’è bisogno di una società atipica perché lo stesso legislatore consente una
certa elasticità e flessibilità per quanto riguarda le fattispecie di società
disciplinate dal codice. Non è possibile costituire una società diversa in quanto
si andrebbe ad incidere sui rapporti fra i soci.
Fino al 2000, quando si costituiva una società bisognava passare attraverso il
controllo del giudice. Dal 2000 questo controllo non c’è più ed è competenza
del notaio redigere l’atto pubblico.
Abbiamo le società commerciali e la società semplice. Le società
commerciali sono quelle che secondo il legislatore possono svolgere attività di
impresa commerciale (tutte tranne la società semplice).
Società commerciale in senso sostanziale società che effettivamente
svolgono attività di impresa commerciale.
Una società per azioni che gestisce una grande impresa agricola sperimentale
è soggetta al fallimento in quanto società per azioni indipendentemente dal
fatto che non svolga attività di impresa oppure no? La risposta è NO. Quello che
rileva ai fini dell’applicazione dello statuto dell’impresa è l’attività
sostanzialmente svolta.
Le società di capitali hanno soci con responsabilità limitata. Qui si parla di
personalità giuridica.
Le società di persone hanno soci con responsabilità illimitata e in questo caso si
parla di soggettività giuridica.
Quali sono gli elementi che costituiscono le due fattispecie? [personalità e
soggettività giuridica]. Si è partiti cercando di risolvere il quesito
dall’individuare l’elemento dell’autonomia patrimoniale che riguarda la
separazione fra il patrimonio dei soci e il patrimonio dell’ente società. Può
essere perfetta o imperfetta.
È imperfetta quando non vi è separazione e cioè i creditori della società
possono rivolgersi ai soci aggredendo il loro patrimonio e i creditori particolari
del socio possono imporre all’ente società di liquidare la quota del socio e
dopodiché aggrediscono il patrimonio del socio.
È perfetta nella società per azioni. Qui i creditori della società non possono
rivolgersi ai soci e aggredire il loro patrimonio e né i creditori dei soci possono
imporre alla società alcunché.
ECCEZIONI:
Fra le società di persone: la società in accomandita semplice in cui ci sono dei
soci che hanno una responsabilità limitata ai conferimenti;
Fra le società di capitali: la società in accomandita per azioni perché in
sostanza la situazione è la stessa della società in accomandita semplice. Ci
sono soci illimitatamente responsabili e soci limitatamente responsabili.
Se la società è insolvente, subentra una responsabilità illimitata del socio.
Quindi anche nella S.p.A. può capitare che questa autonomia patrimoniale
perfetta si spezzi.
Hanno trovato un’altra soluzione. Si ritiene che il parlare si soggettività o
personalità giuridica comporti il riferimento non a delle regole generali ma alla
disciplina specifica dei vari tipi sociali.
Soggettività giuridica insieme delle regole che riguardano le società di
persone.
Personalità giuridica insieme delle regole che riguardano le società di
capitali.
Quali sono le principali differenze che incontriamo fra le società di persone e le
società di capitali?
- La responsabilità;
- Meccanismi decisionali;
- Trasferibilità delle partecipazioni: il trasferimento della quota di una
società personale costituisce una modifica del contratto. La regola per la
cessione della quota di un socio è che ci vuole l’unanimità dei consensi.
- Nomina dei gestori;
- Capitale proprio: le risorse iniziali in astratto per il funzionamento della
società costituita dai conferimenti dei soci. Il termine capitale può avere
diversi significati. Se parliamo di risorse è evidente che ogni società che
vuole operare deve avere anche risorse. Quando parliamo di capitale in
senso giuridico abbiamo il capitale nominale (insieme dei conferimenti) e
il capitale reale che nei conti di una società è costituito dall’attivo
patrimoniale meno il passivo, escluso il capitale nominale. Nel bilancio
delle società, il capitale va nel passivo perché l’attivo della società deve
avere la copertura di tutti i debiti della società compreso il capitale
sociale.
Si presume che i soci, in parti uguali, siano impegnati a fornire alla
società le risorse necessarie per il suo funzionamento. Quindi, se la
società diventasse insolvente, i soci pagheranno con responsabilità
solidale e poi fra di loro si ripartiranno le perdite in parti uguali. Qual è la
funzione del capitale? Se il capitale riteniamo che ha una principale
funzione di garanzia, allora devo conferire dei beni. Se i beni però sono
diversi dal denaro, allora posso conferire solo beni o servizi sui quali i
creditori possono rivalersi. Oggi la funzione di garanzia è limitata.
SOCIETA’ SEMPLICE
Fino a prima dell’introduzione del registro delle imprese non c’era l’iscrizione
per la società semplice ma era radicata la libertà di forma.
Con l’introduzione ufficiale anche la società semplice è soggetta all’iscrizione,
ma si tratta di iscrizione in un registro speciale.
La natura nell’iscrizione della società semplice è notizia, con un’eccezione: era
la società semplice che svolge attività d’impresa agricola, perché imprenditore
agricolo, iscritto nel suo registro speciale, ha pubblicità dichiarativa.
L’iscrizione ha funzione di notizia, salvo che l’attività della società sia d’impresa
agricola.
AMMINISTRAZIONE
Amministrare significa avere il potere di prendere determinate decisioni
relative al conseguimento dell’oggetto sociale (nel caso specifico delle società).
Il potere di amministrare e di rappresentanza, tipicamente, sono investiti negli
stessi soggetti. Però non è automatico, infatti può essere previsto che il potere
di amministrare può essere diviso tra più amministratori mentre il potere di
rappresentanza può essere attribuito ad una sola persona.
Cosa vuol dire “potere di amministrare tutti in parti uguali”? Significa che
ognuno ha un proprio potere decisionale. Tutti i soci amministratori come
amministrano? Che potere hanno? Se non c’è scritto niente vuol dire che tutti i
soci sono amministratori e tutti hanno il potere di rappresentanza e quindi tutti
i soci possono compiere gli atti di amministrazione e impegnare la società
(potere di amministrazione disgiuntiva).
[Tipicamente l’unanimità è riservata per le decisioni sostanziali che ad esempio
comportano una modifica del contratto].
Il potere di amministrazione disgiuntiva comporta dei problemi: un socio ha
l’idea di stipulare un contratto ma non vi è l’accordo da parte degli altri soci
(veto/opposizione). Se un socio amministratore non è convinto di quello che
devo fare può porre il veto. Ogni amministratore, come detto
precedentemente, ha il potere di impegnare la società, ha il diritto di
rappresentanza e ha il potere di amministrare. Fino a quando sarà possibile
porre il veto e quindi impedire e fermare l’attività dell’amministratore? Fino alla
conclusione del contratto e quindi fino a che l’operazione non è stata compiuta.
Si ha quindi un amministratore in contrasto con un altro. Come si risolve la
questione? A maggioranza. La maggioranza di chi? Di tutti i soci. La decisione
finale, una volta che l’operazione è stata tempestivamente bloccata, va a tutti i
soci.
Come calcoliamo questa maggioranza? Per partecipazione (in base alle quote).
Le quote di partecipazione sono riferite agli utili o al capitale? In base alle
quote di partecipazione agli utili.
[Amministrazione disgiuntiva può essere di tutti, se nulla si dice, oppure può
essere solo alcuni e in questo caso si scrive nel contratto sociale. Hanno tutti i
poteri di amministrazione e rappresentanza ed è possibile il veto].
Il contratto sociale ha grande flessibilità e quindi può prevedere cose diverse.
Quale può essere una diversa forma di amministrazione? L’amministrazione
congiunta/congiuntiva. Il contratto sociale può prevedere che il potere di
amministrazione e la rappresentanza possono essere esercitati
congiuntamente dagli amministratori. [tutti i soci amministratori devono essere
d’accordo e devono essere presenti alla firma del contratto con cui si vuole
impegnare la società.
Se ci sono 5 amministratori e per impegnare la società è necessaria la firma di
almeno 2 amministratori ci troviamo allo stesso modo nel caso di
amministrazione congiuntiva.
Ogni volta che è necessario l’assenso di più di un amministratore ci troviamo in
una forma di amministrazione congiuntiva. Perché vi sia amministrazione
congiuntiva deve essere stabilito nel contratto sociale.
L’amministrazione disgiuntiva ha il vantaggio della rapidità decisionale mentre
l’amministrazione congiunta è più laboriosa.
L’amministrazione disgiuntiva ha un problema: uno degli amministratori va
fuori di testa e prima che gli revochino il potere di amministrare fa dei danni.
L’amministratore congiunta invece limita questo problema. il problema della
disgiuntiva si risolve con il veto.
Qual è il problema dell’amministrazione congiuntiva? Quello di dover prendere
delle decisioni velocemente.
Ci sono 2 amministratori firma congiunta. Uno dei due sta facendo il giro del
mondo in barca a velo e si trova in punto in cui non c’è campo. Il legislatore
interviene e dice: “va bene l’amministrazione congiuntiva ma ci può essere
un’eccezione”. Qual è il caso in cui si applica questa eccezione?
- Ci deve essere una effettiva urgenza. Di che tipo? Evitare un danno alla
società.
Es 1: la società sta cercando da anni di comprare un terreno agricolo di
fianco al proprio che è di proprietà di un signore molto anziano e ad ogni
approccio non vuole venderlo. Il signore muore. Questo ha due figli che
hanno lo stesso carattere del padre però lo esercitano anche tra di loro. Il
giorno dopo aver sepolto il padre iniziano a discutere tra loro per il
terreno. Decidono allora di fare un’offerta ai vicini che hanno 24 ore per
decidere. Dei due amministratori c’è né uno che sta navigando mentre
l’altro è presente.
Es 2: un amministratore di un’amministrazione disgiuntiva è riuscito a
comprare una Ferrari. Dopo di che si modifica il contratto e si porta ad
un’amministrazione congiuntiva. Uno degli amministratori mentre
trasporta i pomodori con la Ferrari li fa cadere tutti. Esce una vecchietta e
dice di volerli comprarli. Bisogna fare il contratto. Dei due amministratori
uno sta navigando molto lontano e l’altro è lì.
IL RENDICONTO
Il tema è in realtà il controllo dei soci sul rendiconto. Nella società di persone i
soci hanno diritto all’utile che risulta dal rendiconto. Questo è un bel diritto
enunciato ma non è un diritto che uno può esercitare in modo assoluto perchè
investe il concetto della natura del rendiconto. Se il rendiconto è una somma
algebrica di numeri non ci sono grossi problemi; se invece applichiamo dei
meccanismi di accontentamento o di riserve allora il discorso cambia.
Quali sono le funzioni del rendiconto?
1. Gli amministratori devono rendere il conto ai soci non amministratori
sull’andamento della società;
2. Determinare la partecipazione agli utili o alle perdite.
Qual è la più importante delle due? La seconda.
Nelle società di persone non è prevista la necessità di bilancio.
Come si decide sul rendiconto? All’unanimità, perché ciascun socio ha diritto
agli utili. Se un socio si oppone e contesta il rendiconto cosa succede? Dipende
dal motivo che può essere contestato davanti al magistrato.
C’è stato un caso sulla possibilità di fare un accantonamento nel rendiconto in
funzione di future spese. C’erano alcuni soci che contestavano questa
possibilità ma la cassazione ha detto che ciò è possibile nell’interesse della
società.
Vi sono dei casi in cui sta ai soci decidere se escludere o meno uno di loro a
fronte di determinate circostanze. Possono i soci modificare le previsioni di
esclusione di diritto? no, non sono modificabili perché le ipotesi di esclusione di
diritto tutelano un interesse generale al buon funzionamento della società.
Quali sono le ipotesi di esclusione facoltativa o volontaria disciplinati dalla
legge? un socio può essere escluso in caso di grave inadempimento al
contratto sociale (socio superstite che mette in liquidazione una società
nonostante una clausola di subentro degli eredi che accettano il subentro
stesso); in caso di impossibilità sopravvenuta (il socio che si è obbligato ad
effettuare una prestazione d’opera non è più in grado di effettuarla si può
decidere l’esclusione); nel caso dell’ipotesi di un conferimento di bene in
godimento (il rischio di perimento del bene rimane in capo al socio
conferente se il bene perisce il socio può essere escluso. Il socio non può
essere escluso se il perimento dipende da fatto doloso o colposo imputabile
agli amministratori).
C’è un’altra ipotesi che riguarda il socio interdetto o inabilitato o che subisce
una condanna che lo interdice per un determinato periodo. Viene consentito ai
soci di valutare cosa è meglio per la società, anche perché se il socio è
interdetto vi sarà un tutore o se è inabilitato ci sarà un curatore.
Come decidono i soci? A maggioranza numerica.
Se i soci sono 2 lasciano 30 giorni al socio per far sì che abbia la possibilità di
fare un ricorso di urgenza al tribunale per esclusione illegittima dalla società.
Quali sono gli effetti dell’esclusione? Il socio escluso ha diritto di ottenere
rendiconto e utili o è solo creditore per la quota di liquidazione? È solo
creditore.
C’è un socio d’opera che però non è impossibilitato ad effettuare la sua
prestazione ma rifiuta di farlo. È escluso ma par gravi inadempimento e non
per l’impossibilità di eseguire la prestazione.
Si può escludere un socio per gravi inadempimenti noti agli altri soci ma
commessi un po’ di tempo prima? Dipende. Se i soci per fatti concludenti
hanno dimostrato di accettare determinati comportamenti, cessano di essere
motivo di esclusione. La quota di liquidazione deve essere pagata entro 6 mesi.
Es: si scioglie il rapporto sociale limitatamente ad un socio e in quel momento il
patrimonio della società è negativo. Il socio non riceverà nulla dalla
liquidazione. Dovrà però integrare il patrimonio sociale o no?
Es: c’è una Snc che si occupa di produzione di biciclette. Quello che fa
concretamente è creare dei telai per le bici e poi li vendono a vari specialisti.
Un socio della società diventa anche socio di un’altra Snc il cui oggetto è
identico. Questa società è in realtà specializzata nella produzione di ruote. Un
socio dice di opporre l’art. 2301 in quanto sono due società che hanno lo stesso
scopo sociale e quindi non si può essere socio di entrambi in quanto esiste un
rapporto di concorrenza in funzione dell’oggetto sociale. Come va a finire? Il
fatto che le due società abbiano lo stesso scopo sociale non è significativo.
Quando si valuta la concorrenza, ai fini dei divieti di concorrenza, bisogna
valutare concretamente se esiste una concorrenza. Se poi la seconda società si
mettesse anch’essa a creare telai le cose cambiano e in questo caso ci sarebbe
concorrenza.
AZIONI
Art. 2446 La partecipazione sociale è rappresentata da azioni (le azioni sono
la partecipazione sociale). Essendo la partecipazione dei soci al capitale,
rappresentano una quota di partecipazione non solo al capitale ma al
patrimonio della società.
La società funziona in modo ragionevole quando il patrimonio è superiore al
capitale sociale. Se il patrimonio è inferiore abbiamo delle perdite, che se
superano certi livelli portano a delle conseguenze.
L’ordinamento ammette che vengano ammesse azioni di diverse categorie. Le
azioni con diritto particolari non possono superare il 50% del capitale.
Prima della riforma venivano individuate:
- Azioni ordinarie;
- Azioni privilegiate: normalmente avevano una preferenza sulla
distribuzione degli utili ma a costo di una riduzione dei diritti di voto.
Con la riforma, la creazione di categorie di azioni con diritti particolari non è
disciplinata.
Le azioni della società devono avere tutte l’uguale valore nominale (che non
significa prezzo di emissione) e per ogni categoria di azione, tutte le azioni che
partecipano a quella categoria devono avere uguali diritti.
La riforma ha cambiato quelle che fino al 2004 era un caposaldo del nostro
ordinamento societario. Il caposaldo era: “Ogni azione dà diritto ad un voto”. Si
poteva limitare il voto ma non lo si poteva moltiplicare.
Con la riforma del 2004 è stato previsto per la prima volta nel nostro
ordinamento che lo statuto possa prevedere, per motivi oggetti, che la società
metta delle azioni a voto plurimo, fino ad un massimo di 3 voti per azione.
Può essere previsto che il voto plurimo si applichi solo per determinate
decisioni (es: in caso di aumento di capitale a pagamento, per le nomine di
cariche sociali ecc…).
Assieme al concetto della non necessaria proporzionalità del capitale alla
partecipazione e il voto plurimo, la flessibilità che in ambito statutario è
consentita ai soci è effettivamente aumentata.
Le azioni devono indicare una serie di elementi: quale è la società, dove ha
sede, il valore del certificato dell’azione ecc…. In caso di azioni non
interamente liberate, l’acquirente è corresponsabile per il pagamento per 3
anni.
Dopo di che il legislatore ha deciso che le azioni si potevano anche non
emettere. La partecipazione dei soci poteva risultare dal libro soci. Per quanto
riguarda le società con azioni quotate, le azioni non potevano essere emesse in
quanto queste società non hanno azioni materiali. Si tratta di semplici
annotazioni elettroniche su una banca dati centralizzata.
Siccome ci può essere la necessità di documentare la titolarità di un’azione, lo
stesso organismo monte titoli rilascia delle certificazioni cartacee in cui si
indica il nome del socio e la partecipazione da egli detenuta.
Abbiamo anche le azioni senza valore nominale, cioè sul titolo non è
indicato il valore nominale delle azioni. Però, se le azioni era prive di valore
nominale, sul titolo deve essere indicato l’ammontare del capitale e il numero
delle azioni in circolazione.
L’art. 2346 prevede un qualcosa che ha creato una serie di problemi
interpretativi. Il 6° comma dice: “Resta salva la possibilità che la società, a
seguito dell’apporto da parte di soci o terzi, anche di opera o servizi, emetta
strumenti finanziari, forniti di diritti patrimoniali o amministrativi, escluso il
diritto di voto. […]”.
Gli strumenti finanziari non danno diritto di voto perché la controprestazione a
fronte della quale essi sono emessi non fa parte dei conferimenti alla società,
non è quindi parte del capitale sociale.
Art. 2351, 5° comma: “Gli strumenti finanziari di cui all’art. 2346 possono
essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati. Può
essere riservata la nomina di un componente indipendente del consiglio di
amministrazione, di sorveglianza o di un sindaco […]”.
In generale è escluso il voto, però in certi casi specifici si può attribuire questo
diritto.
I diritti patrimoniali degli strumenti finanziari partecipativi hanno diritto ad
una quota dell’utile di esercizio. Può essere quindi una quota di utile
Es: Immaginiamo vengano emessi strumenti finanziari part. Che danno diritto a
10 euro all’anno sull’utile di esercizio. La somma dell’utile è di 20 mila euro.
immaginiamo che una società abbia un utile distribuibile di 25 mila euro. i
20mila euro vanno ai portatori degli strumenti finanziari e i soci si dividono i
5mila restanti. - Ipotizziamo ora che la società abbia 18mila euro di utile
distribuibile e gli strumenti finanziari danno diritto di incassare 20mila euro.
Cosa succede? Anche i diritti patrimoniali degli strumenti finanziari
partecipativi sono legati all’andamento della società. I 18mila euro se li
dividono i portatori degli strumenti finanziari e i soci nulla.
Quali potrebbero essere gli strumenti partecipativi? Potrebbe attribuire ai
portatori dei diritti di controllo e verifica; possibilità di essere presenti in
assemblea ecc….
La circolazione di questi strumenti dipende dallo statuto ma tendenzialmente si
può immaginare che circolino liberamente. Potrebbero essere emessi al
portatore? Si.
Obbligazioni titoli che rappresentano un credito nei confronti della società.
Anche esse danno dritto ad un interesse ma non danno diritto al voto. Esse
hanno un limite all’emissione (che però non opera per quanto riguarda gli
strumenti finanziari partecipativi).
La società può emettere categorie particolari di azioni. Alcune sono previste già
per legge:
- Azioni correlate (art. 2350): azioni emesse in relazione ai risultati di un
determinato settore dell’attività sociale. Es: una società ha due rami di
impresa, con una produce bici e con l’altra telai per le bici. La società può
emettere azioni il cui rendimento è legato al ramo d’azienda “vendita
telai”. Partecipa quindi agli utili in relazione e in proporzione alla quota di
utili prodotta dal ramo d’azienda che vende telai. Se il ramo d’azienda
che produce telai fa utile ma l’altro ramo ha delle perdite che assorbono
quegli utili, la cosa va male.
- Azioni di godimento: azioni che hanno uno specifico motivo di
emissione. Es: immaginiamo una società in cui venga decisa una
riduzione del capitale effettiva, che comporta cioè il rimborso ai soci dei
loro conferimenti o la liberazione dei conferimenti non ancora effettuati.
Si riduce il valore nominale delle azioni per tutti ma può anche succedere
che si decida di rimborsare solo alcune partecipazioni, magari per
sorteggio. Viene decisa una riduzione del capitale con rimborso per alcuni
soci per sorteggi. Se viene decisa all’unanimità non ci sono problemi. Se
viene decisa a maggioranza alcuni soci si oppongono. Si può introdurre
come correttivo l’emissione delle azioni di godimento che servono per far
tenere un piede in società ai soci le cui azioni sono state rimborsate.
Hanno una disciplina particolare: non danno diritto di voto; danno diritto
di partecipare agli utili come se fossero soci normali? Si presume che
abbiano ricevuto una somma che frutta qualcosa. Il nostro ordinamento
prevede un indice astratto chiamato “interesse legale”, cioè l’interesse
minimo usato per calcolare i danni di risarcimento ecc…. immaginiamo
che il tasso sia lo 0,75%. Se ho ricevuto indietro i conferimenti, la logica è
che io tragga dal mio investimento almeno lo 0,75%. Se c’è un utile,
partecipo con gli altri ma prima deve essere riconosciuto ai soci effettivi
un utile pari al tasso legale di interesse. Anche i soci hanno avuto un
importo pari a quello che avrebbero avuto se avessero investito i soldi.
Una volta che ai soci è stato pagato un utile pari agli interessi legali,
l’utile restante si divide tra tutti. La società arriva allo scioglimento,
siamo in sede di liquidazione. Cosa succede? Prima si rimborsano i
conferimenti agli altri soci e se rimane un residuo attivo se li dividono.
L’art. 2349 può consentire anche l’emissione di azioni a favore dei prestatori
di lavoro.
ASSEMBLEA
Nella S.p.A. tradizionale sono previsti tre organi specifici:
- Assemblea
- Amministratori
- Collegio sindacale (organo di controllo interno)
C’è spesso un organo di controllo esterno che è il revisore contabile. Con il
sistema tradizionale di amministrazione e controllo è obbligatoria la presenza
del revisore contabile per tutte le società che fanno ricorso al capitale di
rischio. Nei sistemi alternativi di amministrazione e controllo (dualistico e
monistico) è obbligatoria la presenza del revisore contabile.
L’assemblea è un organo sovrano della società nel momento in cui nomina le
cariche sociali e nel momento in cui le revoca. Altrimenti, l’organo operativo
più importante è l’amministrazione.
L’assemblea è unica ed opera in sede ordinaria e straordinaria. Ci possono
essere delle categorie di azioni che votano solo in una delle assemblee.
Quali sono le competenze delle assemblee? L’art. 2364 parla dell’assemblea
ordinaria, le cui competenze sono:
- Nomina dei gestori, amministratori;
- Eventuale revoca degli amministratori;
- Approvazione del bilancio;
- Nomina degli organi di controllo;
- Nomina del revisore contabile, se necessario;
- Determinazione dei compensi per gli amministratori e i sindaci;
- Responsabilità nei confronti degli amministratori nel caso in cui ritenga
che essi non hanno rispettato l’interesse della società.
Quanto è probabile che l’assemblea si rivolti contro le persone che ha
nominato? Molto poco.
- Delibera sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il
compimento degli atti degli amministratori, ferma in ogni caso la
responsabilità di questi per gli atti compiuti.
Quanto può intervenire l’assemblea sulla gestione della società? Può uno
statuto prevedere che certe decisioni di gestione debbano essere prese
dall’assemblea? Si è sempre detto che la gestione, in via esclusiva, spetta agli
amministratori. Però, la legge stessa prevede che possano essere stabilite in
statuto delle autorizzazioni a determinati atti da parte degli amministratori,
salvo l’acquisto e la vendita di beni immobili per cui è necessaria
un’autorizzazione dell’assemblea. Quali sono le conseguenze? Ci sono diversi
profili di responsabilità tra cui la responsabilità verso la società e verso i
creditori sociali. Per quanto riguarda i creditori, il danno deve essere tale da
impedire il soddisfacimento dei loro crediti. Presupposto rimane sempre la
violazione dei loro specifici doveri e requisiti di professionalità, prudenza ecc…
Es: immaginiamo che ci sia un’operazione su un bene immobile che
l’assemblea autorizza. Mettiamoci nei panni degli amministratori. Alla luce
dell’ultimo comma dell’art. 2364 sappiamo che se compiono l’azione sono
responsabili. Se non la compiono sono responsabili o no? gli amministratori non
sono obbligati a compiere quell’atto. Se l’acquisto dell’immobile era una
grande opportunità per la società perchè c’era già un acquirente pronto a
pagarlo di più, il mancato acquisto comporta un danno per la società. Chi può
lamentarsi dell’inattività della società? La società stessa. Eventualmente, se il
danno che ne deriva è elevato e comporta seri problemi, anche i creditori
sociali. L’amministratore che non si adegua è libero di farlo ma corre un rischio
di responsabilità.
Es: l’amministratore compra l’immobile, senza fare ulteriori verifiche, che però
poi crolla e c’è un danno rilevante. Verso chi è responsabile l’amministratore? È
certamente responsabile verso i creditori. Sulla responsabilità nei confronti
della società si discute parecchio perché è vero che sono sempre responsabili
per i fatti compiuti ma nel caso specifico erano stati autorizzati dalla società
stessa a farlo.
Le competenze dell’assemblea straordinaria sono più generiche:
- Delibera su tutte le modificazioni statutarie e su altri argomenti che altre
norme di legge attribuiscono all’assemblea straordinaria.
Come opera l’assemblea? Ci sono dei requisiti di legittimazione per partecipare
all’assemblea. [I soci che hanno diritto di partecipare all’assemblea: se le azioni
sono smaterializzate mediante una certificazione; se le azioni non sono
smaterializzate con un documento che dimostri che è il socio iscritto al numero
socio o se c’è il titolo si legittima attraverso una serie di girate sul titolo o con
una delega].
L’assemblea ha dei quorum diversi a seconda che si parli di società ordinaria o
straordinaria.
L’assemblea ordinaria (prima convocazione) ha un quorum costitutivo:
l’assemblea si considera validamente costituita quando è presente la metà del
capitale sociale. Con che quorum si può deliberare? Con la maggioranza del
capitale presente in assemblea. [Sono possibili particolari modalità per la
nomina delle cariche sociali]. Se non è presente la metà del capitale sociale,
l’assemblea può essere riconvocata. Tra la prima e seconda convocazione
devono passare almeno 24 ore. La seconda convocazione non ha un quorum
costitutivo ma solo un quorum deliberativo. La seconda convocazione delibera
a maggioranza del voto dei presenti, qualunque sia il numero dei soci o la
percentuale di capitale sociale rappresentata in assemblea.
È più importante l’assemblea ordinaria perché si deve tenere ogni anno per
l’approvazione del bilancio ed ogni 3 anni per la nomina delle cariche sociali.
L’assemblea straordinaria sulle modifiche dello statuto può non essere mai
convocata. Quando questa è convocata, le questioni sono piuttosto rilevanti.
È possibile modificare statutariamente i quorum dell’assemblea ordinaria?
Tipicamente è un atto interno. Una norma dice che possono essere previste
particolari modalità per la nomina delle cariche sociali. La legge dice che non
sono ammesse maggioranze qualificate per l’approvazione del bilancio e per la
nomina delle cariche sociali nell’assemblea di seconda convocazione. Non è
vietato inserire quorum particolari nell’assemblea ordinaria in prima
convocazione. Serve a qualcosa? No, è del tutto inutile. Il legislatore vuole
ridurre al massimo i problemi per la nomina delle cariche sociali, facendo così
un favore alle maggioranze.
Che risultato può cercare di ottenere una minoranza come forma di sua tutela?
Avere una sua presenza nel consiglio di amministrazione.
Con ogni azione si può indicare un solo amministratore.
Per quanto riguarda l’assemblea straordinaria si distingue fra società che fanno
ricorso al mercato di capitale di rischio (società quotate) e società che non
fanno ricorso (società chiuse).
Per quanto riguarda le società chiuse in prima convocazione l’assemblea
straordinaria non ha un quorum costitutivo ma solo deliberativo. Delibera con
la maggioranza del capitale sociale. Nelle società quotate si introduce un
quorum costitutivo (prima convocazione) che è la metà del capitale. Introduce
però un quorum deliberativo interessante: la deliberazione è presa con il voto
favorevole dei 2/3 dei presenti. Prevedere ciò significa di fatto che i voti della
minoranza valgono il doppio rispetto a quelli della maggioranza.
Nella seconda convocazione le maggioranze sono le stesse. Abbiamo un
quorum costitutivo: 1/3 del capitale + 1 azione. Poi abbiamo un quorum
deliberativo, anch’esso per entrambe le società: il voto favorevole dei 2/3 del
capitale.
Ci sono però dei quorum particolari:
- Oltre 1/3 del capitale per le società chiuse, per lo scioglimento anticipato,
per il trasferimento della sede all’estero ecc…;
- Se la trasformazione della società è eterogenea (passaggio da una
responsabilità limitata ad una responsabilità illimitata) ci vuole il voto
favorevole dei 2/3 aventi diritto ed in più occorre il consenso unanime dei
soci che si ritroveranno in seguito con una responsabilità illimitata;
- 2/3 del capitale per introdurre o rimuovere dallo statuto una clausola
compromissoria.
La convocazione dell’assemblea ha un’importanza rilevante perché l’ordine del
giorno è fondamentale in quanto i soci che partecipano ad una assemblea, non
essendo coinvolti negli atti di gestione, devono essere informati sull’argomento
in discussione.
Il progetto di bilancio deve essere depositato 15 giorni prima dell’assemblea in
modo da prenderne visione.
L’unico modo che i soci hanno di essere informati sull’argomento
dell’assemblea è proprio l’ordine del giorno.
Una voce dell’ordine del giorno è illegittima: non si può discutere in assemblea
un argomento che non sia chiarito in sede di ordine del giorno.
L’avviso di convocazione deve arrivare ai soci in tempo utile per la
partecipazione in assemblea. L’avviso deve essere pubblicato sulla gazzetta
ufficiale o su un quotidiano a diffusione nazionale, almeno 15 giorni prima dello
svolgimento dell’assemblea da parte, normalmente, del consiglio di
amministrazione. Tutti i soci devono potervi partecipare.
Quali sono i soci che possono partecipare all’assemblea? Dipende dalle
categorie di azioni che sono state emesse e dall’assemblea convocata. Se ci
sono delle azioni privilegiate che non danno diritto di partecipazione
all’assemblea ordinaria, allora parteciperanno solo all’assemblea straordinaria.
Chi è legittimato a partecipare? Se le azioni sono smaterializzate c’è l’ente
monte titoli azioni che fornisce ai soci una certificazione da cui risulta la loro
partecipazione azionaria. Se invece le azioni non sono smaterializzate ma
esistono i certificati, allora il titolare dell’azione è colui che risulta dal titolo e
sul titolo c’è una serie continua di girate.
Occorre l’iscrizione al libro soci? Non è necessaria. Dopo la riforma la
legittimazione deriva dal possesso del titolo confermato da una serie continua
di girate. Per cui, il socio che deposita il titolo per la partecipazione
all’assemblea, ha diritto di parteciparvi e la società deve iscriverlo al libro soci.
Esiste però un’eccezione. Quando la società può rifiutare l’iscrizione al libro
soci e la partecipazione di un socio in assemblea? Quando l’aspirante socio lo è
diventato in violazione di una clausola statutaria che limita la circolazione delle
azioni.
Se, per esempio, c’è una clausola di prelazione e il socio venditore non ha
rispettato le modalità di esercizio della prelazione ma ha semplicemente
venduto e girato ad un soggetto terzo, questo soggetto si trova in una
situazione un po’ singolare in quanto ha acquistato validamente la
partecipazione però non è legittimato ad esercitare i diritti di voto e i diritti
patrimoniali collegati all’azione in quanto non può accreditarsi nei confronti
della società perché è stata violata la clausola statutaria di prelazione.
Cosa succede se la clausola di prelazione non è nello statuto ma in un patto fra
i soci? Non rileva nei confronti della società. Quindi in questo caso, il socio
acquirente dell’azione ha diritto di legittimarsi nei confronti della società. Gli
altri soci, a favore dei quali non è stato rispettato il diritto di prelazione avranno
un’azione contrattuale di risarcimento del danno, ma dal punto di vista della
società l’acquirente sarebbe legittimato.
Questo deposito (del titolo o della certificazione) deve avvenire almeno 5 giorni
prima dell’assemblea. Questo per consentire alla società di verificare
l’ammissione del socio all’assemblea.
Nelle società quotate il tempo del deposito è di 2 giorni. È favorita
maggiormente la partecipazione del socio in assemblea.
Una volta convocata e costituita l’assemblea, i soci vi si ritrovano e si ha una
discussione, con il seguente voto.
La maggioranza qualificata non è un sistema accettabile. Bisogna quindi
trovare altre modalità particolari.
È ammesso il voto segreto? Per circa 6 mesi era previsto per le società
quotate come modalità tipica di voto. Il problema del voto segreto è quello
delle invalidità delle delibere. Una delibera viziata può essere impugnata da
certi soci. Una delibera annullabile perché presa non in conformità della legge o
dell’atto costitutivo può essere impugnata dai soci assenti o dissenzienti. Come
faccio però a sapere se i soci sono dissenzienti se il voto è segreto?! Il
meccanismo del voto segreto comporta una serie di problemi e quindi oggi non
è ammesso.
Voto divergente un socio può decidere di votare con parte della sua
partecipazione a favore della delibera e con parte astenersi (o andare contro).
Si può fare ciò o no? la giurisprudenza non è favorevole ed oggi questo voto
non è ammesso.
Perché ad un soggetto può venire in mente di dividere il proprio voto? Una
ragione è quella per cui si tratti di una delibera che può dare diritto di recesso
ai soci.
La verità è che, in concreto, una forma di voto divergente è possibile nei fatti.
Se io ho 1000 azioni di una certa banca e ne deposito solo 500, questa è già in
sé una forma di voto divergente e ciò non è contestato. È pacifico che un socio
possa partecipare in assemblea con solo una quota della sua partecipazione,
senza depositare tutti i suoi titoli.
L’assemblea è presieduta dal presidente della società che guida i lavori. Se
l’assemblea è straordinaria occorre la presenza di un notaio. Quando si tratta di
approvare il bilancio ci sono diverse tecniche: in certe assemblee viene data
lettura integrale del bilancio. Altre volte si vuole privilegiare la discussione e si
propone che il bilancio sia dato per letto (questo è possibile in quanto il bilancio
e i documenti allegati devono essere depositati 15 giorni prima).
Il socio ha diritto di parlare. Ci può essere un regolamento assembleare che
disciplina questo diritto (es: non più di 10 minuti).
Per quanto riguarda la convocazione vi sono delle previsioni specifiche. La
prima è la convocazione su richiesta dei soci tanti soci che rappresentano
almeno il 10% del capitale sociale o il 5% se è una società che fa riscorso al
mercato del capitale di rischio può chiedere agli amministratori la convocazione
dell’assemblea indicando gli argomenti da mettere all’ordine del giorno. Se gli
amministratori non adempiono, questi soci possono fare ricorso al tribunale, il
quale, verificata la legittimità della richiesta, dispone la convocazione.
Verificare la legittimità della richiesta comporta una duplice verifica. Prima se la
percentuale del capitale rappresentato dai soci che fanno la richiesta rispetta i
limiti di legge e la seconda è se gli argomenti posti all’ordine del giorno nella
richiesta di convocazione sono di competenza dell’assemblea.
Altro profilo rilevante è quello dell’assemblea totalitaria, prevista dall’art.
2366, 4° comma. Significa che in assenza della regolare convocazione si può
comunque tenere quando è presente l’intero capitale sociale e la maggioranza
degli organi sociali. In questo caso l’assemblea può deliberare e può fare ciò su
qualunque argomento, sempre nell’ambito di competenza dell’assemblea,
senza che vi sia un ordine del giorno in quanto manca una convocazione
formale. Questo serve per le società con una ristretta base azionaria.
Prima della riforma era previsto che perché vi fosse un’assemblea totalitaria
dovessero essere presenti anche tutti gli organi sociali. Con la riforma si è
invece ritenuto che la maggioranza fosse sufficiente.
Se non sono previsti tutti gli organi sociali, l’art. 2366 prevede espressamente
che debbano essere informati gli assenti dello svolgimento dell’assemblea e
delle deliberazioni prese.
Ciascun socio, in sede di assemblea totalitaria, può opporsi alla discussione di
argomenti sui quali ritiene di non essere sufficientemente informato.
C’è un ulteriore previsione che riguarda l’art. 2374: prevede che su una
assemblea regolarmente convocata e costituita, tanti soci che rappresentano
almeno il terzo del capitale sociale, possono chiedere un rinvio non superiore a
5 giorni per approfondire certi argomenti sui quali non si ritengono
adeguatamente informati. Questo rinvio può esser chiesto una sola volta per
ogni argomento.
Voto per corrispondenza l’art. 2370, 4° comma prevede che lo statuto
possa prevedere il voto per corrispondenza.
Che problemi pone? Per anni la giurisprudenza era contraria all’ammissibilità
del voto per corrispondenza perché viveva nel mito della discussione
assembleare, cioè un incontro tra saggi che discutono delle sorti della società e
a seguito della discussione esprimono il loro voto. Il voto per corrispondenza
prescinde dalla discussione e dalla effettiva partecipazione all’assemblea.
Questo può comportare un problema. Immaginiamo che a seguito della
discussione in assemblea cambi il progetto di delibera e che insieme
all’approvazione del bilancio ci sia una delibera sulla distribuzione del
dividendo. Abbiamo quindi una proposta del consiglio di amministrazione. Chi
vota per corrispondenza ha una scelta secca. La vera difficoltà del voto per
corrispondenza è l’eventuale cambiamento dell’ipotesi di delibera. Sarebbe
bene che lo statuto, nel momento in cui prevedesse il voto per corrispondenza,
prevedesse anche i limiti al mutamento della delibera.
Abbiamo poi un altro problema che è quello delle cosiddette assemblee
speciali. Se abbiamo diverse categorie di azioni può anche capitare che una
deliberazione dell’assemblea arrechi dei danni ad una specifica categoria di
azioni.
In questo caso la legge, all’art. 2376, prevede che le decisioni di un’assemblea
che danneggiano i diritti di una particolare categoria di azioni e, se sono stati
emessi degli strumenti finanziari partecipativi la disciplina si applica anche ad
essi, prima che diventi definitiva deve essere approvata anche dai soli soci
della categoria danneggiata in una loro assemblea che è governata dalle regole
dell’assemblea straordinaria. Quindi, se viene proposta una delibera che può
danneggiare i diritti di un’altra categoria deve essere poi approvata
dall’assemblea speciale.
Un altro tema è quello della rappresentanza in assemblea, cioè della possibilità
che il socio ha di delegare qualcuno che partecipi in suo nome o in suo conto
all’assemblea della società.
Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non può essere
vietata la possibilità di delega. Nelle società chiuse si può anche prevedere il
divieto di delega. Questo per evitare che la delega venga data a degli avvocati
o dei tecnici che creano poi problemi alla gestione della società. Normalmente
il divieto di delega è fatto a danno della minoranza.
Chi non può essere delegato? Gli organi sociali (amministratori, sindaci o
dipendenti della società), le società controllate e gli amministratori, i sindaci o i
dipendenti di queste società.
Prima della riforma era vietata anche la delega alle banche.
Il vincolo generale è che tipicamente può essere data pe runa sola assemblea,
seppur per diverse convocazioni. Nelle società chiuse si può prevedere la
delega aperta a diverse assemblee mentre nelle società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio no.
Ci sono anche dei limiti quantitativi in quanto non si possono raccogliere
deleghe per tutti. Non si può avere deleghe per un numero maggiore a 20 soci
nelle società chiuse, mentre, nelle società che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio c’è uno scaglione: non più di 50 soci fino a 5milioni di euro
del capitale sociale; non più di 100 fino a 25milioni di euro del capitale sociale;
oltre i 25milioni il limite è 200.
Vi sono alcune questioni che non possono essere oggetto di delega:
- Aumento di capitale;
- Redazione del progetto di bilancio;
- Riduzione del capitale per perdite;
- Redazione del progetto di fusione o scissione della società.
BILANCIO
Il bilancio è un atto di grande importanza per la società, soprattutto in funzione
informativa. È il momento in cui i soci e i terzi, con il deposito del bilancio nel
registro delle imprese, vengono a conoscenza della situazione della società.
Il progetto di bilancio viene redatto dagli amministratori e non è un atto
delegabile. Il progetto di bilancio è di competenza del consiglio di
amministrazione.
Il legislatore prevede delle modalità specifiche:
- Bilancio normale
- Bilancio semplificato (art. 2435-bis): le società devono avere un totale
dell’attivo dello SP entro 4milioni e 400mila euro; ricavi vendite e
prestazioni entro 8milioni e 800mila euro e in media non più di 50
dipendenti.
Art. 2435.ter: le società devono avere un totale dello SP di 175mila
euro, ricavi, vendite e prestazioni di 350mila euro e in media non più di 5
dipendenti.
- Bilancio ultra semplificato: per le mini S.p.A.
Il bilancio deve essere redatto e approvato dall’assemblea una volta per
esercizio (una volta all’anno, entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio). È
possibile arrivare a 180 giorni se vi sono particolari ragioni.
Ci possono essere esercizi che non chiudono al 31 dicembre. Es: la società
controllante chiude il bilancio un po’ dopo le società controllate.
Come deve essere redatto il bilancio? Il bilancio deve rappresentare in modo
chiaro, veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società
alla fine di ogni esercizio.
Quando parliamo di bilancio parliamo di un compelsso di scritture e di
documenti. Il bilancio è costituito dallo stato patrimoniale (SP), dal conto
economico (CE: dà un quadro dei risultati dell’attività della società nel corso
dell’esercizio), dalla nota integrativa (redatta dagli amministratori in
applicazione del principio di chiarezza. Rende chiaro come a quei numeri si è
arrivati e cosa rappresentano), dalla relazione degli amministratori
(racconta cosa è successo di rilevante nel corso dell’esercizio passato e illustra
l’evoluzione della società nei primi 3 mesi del successivo esercizio), dalla
relazione del collegio sindacale (o conferma che l’attività della società si è
svolta regolarmente oppure analizza anche la situazione contabile. Se esiste un
revisore legale, la relazione del collegio sindacale sarà solo sulla legalità e il
revisore contabile farà a sua volta una sua relazione sulla tenuta della
contabilità che potrà essere o senza osservazioni, o con osservazioni oppure
negativa. Per consentire che i sindaci producano la loro relazione il bilancio
deve essere trasmesso entro 30 giorni all’assemblea, i quali entro 15 giorni
devono completare le loro operazioni perché il bilancio deve rimanere
depositato presso la sede della società almeno 15 giorni prima dell’assemblea).
Nel 2015 il legislatore ha introdotto un ulteriore documento che deve essere
redatto: rendiconto finanziario (non necessario per le piccolissime società).
Il bilancio dell’esercizio deve sempre riportare affiancati i dati del bilancio
precedente. Inoltre, non sono ammesse compensazioni.
Se ritengo che un credito che ho non verrà totalmente onorato, devo indicare il
credito ma appostare un importo in un fondo speciale a fronte dei rischi di
incasso di quel credito in modo da ottenere nel mio bilancio una svalutazione di
quel credito.
Principi contabili da applicare: il legislatore individua i suoi criteri, basati su
un principio di prudenza.
Il problema nasce dal fatto che l’UE impone l’applicazione di diversi principi
contabili. Sono i cosiddetti principi contabili IAS (International Accounting
Standard) che sono obbligatori per le società quotate. Le società che non fanno
ricorso al mercato di capitale di rischio possono scegliere, in Italia, se utilizzare
quei principi contabili oppure quelli del codice. Una volta fatta la scelta, per
cambiarla occorrono seri motivi che devono essere illustrati dagli
amministratori nella nota integrativa e nella loro relazione.
Per quanto riguarda le piccole e le micro società è vietato l’utilizzo degli
standard internazionali (principi contabili IAS).
Gli schemi di bilancio previsti dal codice sono vincolanti.
L’art. 2423, 3° comma prevede l’obbligo per gli amministratori, durante il
processo di bilancio, di dare eventuali informazioni non previste o richieste
dagli schemi di bilancio se quelle previste non sono sufficienti per dare un
quadro veritiero e corretto della situazione della società.
Il tema è quello del potere dell’assemblea in relazione al progetto di bilancio
redatto dagli amministratori. Quello che esce dalla delibera del consiglio di
amministrazione non è un bilancio ma un progetto che viene presentato
all’assemblea. L’assemblea può non approvare il progetto di bilancio.
Tipicamente, l’assemblea che approva il bilancio decide sulla distribuzione
dell’utile. Non può essere distribuito un utile che non sia stato conseguito.
L’unico tema incerto è quello relativo alla modificabilità del progetto di bilancio.
L’assemblea può correggere delle voci di bilancio ed anche il progetto stesso.
Acconti dividendo: è possibile per una società in corso d’esercizio distribuire un
acconto sugli utili d’esercizio? L’art. 2433-bis lo vede con una certa
preoccupazione perché magari ad un ceto punto dell’esercizio ci può essere un
utile significativo ma non è detto che quell’utile rimanga fino alla fine
dell’esercizio. Quindi la risposta è sì, ma con delle cautele:
- La distribuzione di acconti per dividendi possono farlo solo le società
soggette a revisione legale del bilancio, per legge.
- Deve esserci nello statuto la previsione specifica.
- Deve esserci nel bilancio precedente una certificazione dei revisori senza
alcuna osservazione.
- Nell’ultimo bilancio approvato non devono risultare perdite a nuovo degli
esercizi precedenti.
- Non può superare il minore importo tra gli utili conseguiti dalla chiusura
dell’esercizio precedente e le riserve disponibili per la distribuzione.
RECESSO
Prima della riforma i motivi per cui un socio poteva recedere erano solo 3 nella
S.p.A.:
1. Modificazione dell’oggetto sociale;
2. Trasformazione della società;
3. Trasferimento della sede sociale all’estero.
Il recesso era visto malissimo dal legislatore per cui: doveva essere comunicato
in tempi brevissimi, potevano recedere solo i soci assenti o dissenzienti e se la
società non era quotata in borsa il valore delle partecipazioni era basato sul
patrimonio netto risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio.
Il legislatore della riforma ha compresso molti diritti dei soci ma ha allargato da
un’altra parte sistemi di difesa dei soci. Ha quindi rielaborato tutta la disciplina
del recesso.
Si prevede che la società possa, entro 90 giorni, revocare la delibera. In questo
caso il recesso non potrà più essere esercitato.
La liquidazione può essere revocata a maggioranza.
Sono aumentati i casi di recesso ma è anche cambiata la valutazione delle
azioni del socio che recede.
Prima della riforma, per le società quotate il problema era relativo: sono società
in cui esiste un prezzo di mercato. Allora, per quelle azioni, il prezzo del recesso
è la media dei listini degli ultimi 6 mesi.
Per le azioni delle società non quotate il discorso era diverso: faceva
riferimento al netto patrimoniale risultante dall’ultimo esercizio. Di solito, il
patrimonio netto risultante dal bilancio non dava un’indicazione ragionevole e
corretta del valore effettivo delle azioni, il che significava penalizzare i soci.
Va bene da una parte consentire un maggior numero di casi in cui il socio può
recedere. Se però non si corregge il criterio di valutazione non si va molto
lontani. Il legislatore, infatti, ha corretto questo criterio.
Quali sono i casi di recesso? Vi sono 3 fattispecie:
1. Casi di recesso inderogabili: quelli previsti dalla legge e che non
possono essere modificati. Sono gli stessi tre che erano previsti prima,
ma con qualche differenza. La dizione è leggermente diversa. Per quanto
riguarda trasformazione della società e trasferimento all’estero
non c’è differenza nella formulazione della norma. Per quanto riguarda la
modifica dell’oggetto sociale, adesso è diventata modifica della
clausola dell’oggetto sociale quando consente un cambiamento
significativo dell’attività della società.
Ci può essere un caso in cui si ha una significativa modifica dell’oggetto
sociale senza che si applichi la norma, se scegliamo l’interpretazione
letterale? Se la società che ha per oggetto sociale lo sfruttamento delle
miniere investe la sua liquidità per comprare un giornale, di fatto risulta
modificato l’oggetto sociale. Se fosse stata la vecchia formulazione non
c’è dubbio che una modifica dell’oggetto sociale avrebbe comportato un
diritto di recesso. Ma qui non c’è la modifica della clausola dell’oggetto
sociale e quindi le cose sono diverse.
Qual è l’argomento per sostenere un’interpretazione letterale della norma?
L’argomento è che il legislatore ha proprio cambiato il testo della norma.
Se si verifica una sostanziale modifica dell’getto sociale senza modificare
concretamente il testo, di solito viene riconosciuto ugualmente il diritto di
recesso. Si propende per l’interpretazione sostanziale e non tanto per
l’interpretazione letterale della norma.
2. Revoca della liquidazione: prima della riforma la liquidazione era
ritenuta revocabile solo all’unanimità. Oggi è previsto un recesso per chi
non partecipa alla deliberazione. Il recesso è ammesso per i soci assenti,
dissenzienti o astenuti. La revoca della liquidazione consente ai soci
contrari di recedere. Se sono previste come cause di recesso nello statuto
e io le tolgo, questo è un diritto di recesso inderogabile. È possibile
prevedere alcune cause particolari di recesso. Se lo statuto della mia
società prevede queste cause particolari e l‘assemblea straordinaria a
maggioranza dice che queste non danno più diritto di recesso, su quella
decisione i soci hanno diritto di recesso.
Es: una causa derogabile di diritto di recesso è quella che prevede il
diritto di recesso in caso di proroga della società. Lo statuto dice che la
società scade il 31 dicembre 2017. Si riunisce l’assemblea a proroga la
scadenza al 31 dicembre 2050. I soci, a fronte di una delibera di questo
genere, possono decidere di recedere se non sono d’accordo. La stessa
assemblea modifica un altro articolo dello statuto: quello che consente il
recesso in caso di proroga della società. È legittimo in quanto non è uno
dei casi tassativi di diritto di recesso. A fronte del fatto che si toglie
questo diritto, i soci assenti o dissenzienti hanno il diritto di recesso
perché questa è una norma inderogabile.
3. Modifica dei criteri di valutazione delle azioni: la valutazione delle
azioni in caso di recesso non avviene sulla base del netto patrimoniale
ma sulla base di criteri che diano una rappresentazione il più possibile
corretta del valore effettivo della società. Questi criteri devono essere
indicati in statuto. Se la norma di statuto che stabilisce i criteri viene
modificata, i soci hanno diritto di recedere approfittando dei criteri
prevedenti alla modifica.
C’è poi un’ulteriore causa di recesso:
- Modifiche concernenti i diritti di voto o patrimoniali: non è però
questo che ha in mente il legislatore. Anche qui l’interpretazione è
abbastanza delicata.
Queste sono le norme inderogabili. Se si verifica uno di questi casi, i soci hanno
diritto di recesso.
Vi sono poi delle cause derogabili:
1. Proroga del termine della società;
2. Introduzione o eliminazione dallo statuto di vincoli alla
circolazione delle azioni: questa previsione ha una serie di effetti:
diventa pacifico e acquisito il fatto che questa introduzione o
eliminazione può venire a maggioranza. Se fosse necessaria l’unanimità
non avrebbe senso la possibilità di prevedere in statuto il recesso di chi
non partecipa alla delibera. Inoltre, può essere deliberato a maggioranza
e non essere previsto nemmeno il recesso (dipende da come lo statuto è
stato formulato): questo avrà un impatto sui soci soprattutto alla
costituzione della società.
Quando abbiamo parlato di clausola di gradimento la legge stabilisce che
quando il gradimento è mero, la clausola è valida se prevede dei
meccanismi che impediscano al socio di rimanere prigioniero. Se io ho
nello statuto una clausola che prevede il recesso in caso di inserimento
abbiamo un recesso al quadrato: prevedo una clausola che prevede il
recesso del socio e per inserirla prevedo un ulteriore recesso.
Con la riforma è possibile che anche un S.p.A. sia costituita a tempo
indeterminato e quindi i soci hanno diritto di recesso (con un preavviso di 180
giorni che può essere aumentato in statuto fino al massimo di 1 anno). Questa
norma si applica solo alle società non quotate. Solo per le quotate è prevista
una delibera che revoca la quotazione e quindi in questo caso i soci hanno
diritto di recesso. C’è una clausola che dà diritto di recesso nei casi di fusione.
Nei gruppi c’è una clausola che prevede il diritto di recesso di una società
controllata quando per il cambiamento di una società controllante si modifica il
profilo di rischio della società. Un’altra previsione di recesso nei gruppi
riguarda il socio che ha agito contro i suoi amministratori perché hanno
danneggiato la società. Questa azione non può essere proposta se risulta che la
sc danneggiata ha tratto altri concreti vantaggi dall’appartenenza al gruppo. Se
recede devo farlo con la sua intera partecipazione.
Il recesso si esercita con una comunicazione inviata entro 15 giorni
dall’iscrizione della delibera nel registro delle imprese.
Per consentire al socio di muoversi con cognizione di causa gli amministratori
devono depositare presso la sede sociale, 15 giorni prima della data della
convocazione dell’assemblea in cui si potrebbe prendere una delibera che dia il
diritto di recesso, un documento da cui risulti la valutazione delle azioni
applicando i criteri previsti dalla legge o integrati dallo statuto.
Con la dichiarazione di recesso il socio può dire che questa valutazione non è
corretta e chiedere che venga disposta una perizia di un esperto nominato dal
tribunale dove ha sede la società. Se non contesta la valutazione, quella è. Ci
sono due problemi:
- Gli amministratori se ne dimenticano e quindi non depositano la
valutazione delle azioni. Di conseguenza, la delibera diventa invalida
perché non è presa in conformità della legge o dell’atto costitutivo.
- Abbiamo una società non quotata a tempo indeterminato. Il socio
dichiara di recedere. Se la società è a tempo indeterminato il diritto di
recesso non nasce da un’assemblea con una data certa e quindi il socio
in ogni momento, con un preavviso di 180 giorni fono a 1 anno, può
dichiarare di recedere. In base a quale valutazione? Il socio che recede
condizionerà il recesso in qualche misura. Per quanto riguarda il recesso
non conseguente ad una delibera, il legislatore diche che ha 30 giorni da
quando è venuto a conoscenza della causa di recesso. In ogni caso
rimane il problema della stima.
Il recesso può avere delle conseguenze pesanti per la società. Non può essere
impedito ad un socio che ha legittimamente formulato la dichiarazione di
recesso di ottenere la liquidazione della sua partecipazione.
Se sono passati 180 giorni e non tutte le azioni sono state acquisite, la società
deve acquistarle lei stessa con i suoi meccanismi. Se questi meccanismi non ci
sono, si mette in liquidazione la società.
Il diritto di uscita prevale sull’interesse della società, dei soci ecc…
Il legislatore ha previsto una via d’uscita. Prevede che il diritto di recesso non
può essere più esercitato se entro 90 giorni dalla delibera che ha dato luogo al
diritto di recesso, questa delibera viene revocata (con una nuova decisione
dell’assemblea straordinaria).
Quando il socio che dichiarato di recedere cessa effettivamente di essere socio
della società?
Es: Immaginiamo che una società abbia 100 azioni e un patrimonio netto di
1000. Le azioni hanno un valore nominale di 1 e un valore reale di 10. Ogni
azione rappresenta una quota pari a 10 del patrimonio netto. Adesso
raddoppiamo il capitale con esclusione del diritto di opzione e le diamo ai
soggetti che non sono soci. Dopo l’aumento di capitale al nominale, il
patrimonio della società diventa 1100. Dopodiché io quante azioni ho? 200. Il
valore reale di ogni azione diventa 5,5. Ho trasferito quasi metà del mio
patrimonio ai nuovi soci, facendogli pagare quasi nulla. Se la maggioranza
delibera un’operazione del genere avrà i suoi motivi. Quindi, in questo caso la
delibera avrebbe dovuto essere 100 di valore nominale + 900 di sovrapprezzo.
A questo punto avremmo avuto 2000 di patrimonio e quindi rimaneva la
proporzione precedente. Quando la delibera è presa riconoscendo il diritto di
opzione agli azionisti, questi hanno la possibilità di sottoscriverle loro. Il
problema nasce nel momento in cui le azioni vengono date a terzi e quindi il
legislatore richiede che il prezzo di emissione sia stabilito in quel modo.
CASO: c’era una società quotata con due signori che si contendevano il
controllo della società. La società aveva un capitale di 200 diviso così: 100
azioni ordinarie e 100 azioni privilegiate. Le azioni privilegiate davano diritto di
voto solo nell’assemblea straordinaria. C’era un socio A che aveva la
maggioranza delle azioni ordinarie. C’era un socio B che aveva la minoranza
delle azioni ordinarie. Il socio B ha iniziato a rastrellare azioni privilegiate della
società. Alla fine si è trovato ad avere 49 azioni ordinarie e 80 azioni
privilegiate. La quotazione di borsa di questa società era di 10 euro per azione
(per le ordinarie) e di 5 euro per azione (per le privilegiate). Cosa volesse fare B
si è scoperto quando ha mandato una comunicazione agli amministratori della
società nominati da A proponendo una delibera di aumento di capitale di sole
azioni ordinarie per 200, al nominale (quindi a 1 euro). A questo punto se il
socio B avesse sottoscritto tutte le azioni che gli spettavano dall’aumento di
capitale sarebbe andato in maggioranza anche con le azioni ordinarie. Il
soggetto A chiede al suo avvocato di far saltare questa operazione. Si può fare
o no? non si ha una risposta al caos. La preoccupazione di perdere di entrambi
li ha portati a fare un accordo e quindi si sono spartiti il gruppo. Gli avvocati di
A avevano trovato un argomento forte abbastanza da convincere B a trattare.
La delibera deve essere approvata dall’assemblea speciale dei portatori di
quella categoria. L’errore è stato l’aumento al nominale perché la quotazione in
borsa dei due titoli era diversa: le privilegiate valevano meno delle ordinarie.
Facendo un aumento al nominale, la tesi degli avversari è stata: “ in questo
modo trasferite parte del valore delle azioni ordinarie agli azionisti privilegiati ”.
C’è un trasferimento di ricchezza dagli ordinari ai privilegiati.
Quali altri problemi ci sono da un aumento di pagamento di capitale? per
esempio, l’art. 2439 dice che in caso di aumento a pagamento, salva la
previsione che se rimane un unico socio deve eseguire integralmente
l’aumento, i soci devono versare almeno il 25% del valore nominale.
Oggi però di possono emettere azioni prive di valore nominale, ma l’art. 2349
non ne parla. Questo non è un vero problema perché ad ogni modo il valore di
ogni azioni si ottiene dividendo l’ammontare del capitale per il numero delle
azioni.
C’è un problema più serio sul quale il legislatore non dice nulla: partecipazione
non proporzionale ai conferimenti. Con la riforma del 2003 il legislatore
ammette che ci possano essere delle partecipazioni che non sono proporzionali
ai conferimenti (con l’accordo degli altri soci che devono mettere loro la
differenza). Ci sono casi in cui può succedere? Dov’è il problema? Non abbiamo
un problema in sede di costituzione della società ma in caso di aumento di
capitale. La differenza tra la costituzione e l’aumento di capitale è che in sede
di costituzione tutti i soci che partecipano alla costituzione della società
accettano e prevedono questa soluzione. In sede di aumento di capitale non
occorre l’unanimità ma si decide a maggioranza secondo i quorum
dell’assemblea straordinaria. Si deve ricreare la stessa situazione o no?
Abbiamo un’attribuzione di azioni fatta in un modo alla costituzione e la legge
poi non ci dice nulla in sede di aumento. Siccome l’aumento si delibera a
maggioranza, se lo statuto prevede che quella ripartizione del capitale con quei
conferimenti è valida per tutta la vita della società allora va bene; se lo statuto
nulla prevede al proposito non si sa cosa fare perché il legislatore non dice
nulla. rimane un dubbio aperto. Si è propensi a ritenere che se non c’è un
accordo unanime si ritorna alla percentuale.
Per quanto riguarda l’esclusione del diritto d’opzione ci sono altri due casi:
1. Si può escludere il diritto d’opzione per le azioni che sono espressamente
destinate ai dipendenti. Fino al 2012 il limite massimo di aumento che
poteva essere destinato ai dipendenti era di ¼ dell’aumento. Con la
riforma del 2012 è stato tolto questo limite e anche tutto l’aumento può
essere destinato ai dipendenti.
2. Non si ritiene che sia escluso il diritto di opzione se le azioni vengono
collocate presso banche o istituti di credito che poi si impegnano in un
secondo momento a concedere il diritto d’opzione ai soci.
LA TRASFORMAZIONE
La trasformazione è quella decisione, nelle società di capitali dell’assemblea
straordinaria, con il quale si cambia il tipo di società.
È possibile la trasformazione da una società di persone ad una società di
capitali. Per queste società, se lo statuto non prevede altrimenti, la decisione
viene presa a maggioranza dei soci sulla base della quota di partecipazione agli
utili.
Con la riforma è cambiata significativamente la disciplina per quanto riguarda
le possibilità. Storicamente la trasformazione era possibile fra società della
stessa categoria, cioè società lucrative o società mutualistiche.
Le società mutualistiche sono le cooperative, le mutue assicuratrici ecc….
Quelle società che non hanno istituzionalmente scopo di lucro.
Tipicamente le società non lucrative non distribuiscono utili e i soci delle
società traggono i loro vantaggi da altro.
Con la riforma questa distinzione, per quanto riguarda trasformazione e
fusione, è venuta meno.
Oggi è possibile anche la trasformazione da una società non lucrativa ad una
società lucrativa e viceversa.
La trasformazione dà diritto al recesso per i soci che non hanno aderito alla
delibera.
Quando parliamo di trasformazioni da società di persone a società di capitali, e
viceversa, c’è il profilo della responsabilità dei soci da tener presente.
Se trasformo una società di capitali in una società di persone, la responsabilità
dei soci cambia.
Se la trasformo in una accomandita semplice, alcuni soci diventano
illimitatamente responsabili.
Se la trasformo in s.n.c. tutti i soci sono illimitatamente responsabili. Cosa
succede ai soci di una s.n.c. che decidono a maggioranza di trasformare la
s.n.c. in una S.p.A.? I soci della S.p.A. hanno responsabilità limitata.
La regola è che non possono i soci unilateralmente, con un atto di
trasformazione, liberarsi della responsabilità limitata per le obbligazioni
precedenti. Per tutte le obbligazioni successive vige il regime normale della
S.p.A. e quindi non abbiamo problemi.
Il legislatore è favorevole alla trasformazione da una società di persone ad una
società di capitali e questo viene visto attraverso una serie di norme nel nostro
ordinamento.
Nelle società personali, la trasformazione in società di capitali si può fare a
maggioranza.
Un modo di eliminare la responsabilità limitata dei soci è l’assenso dei creditori.
Se i creditori precedenti sono d’accordo sulla riduzione della responsabilità, si
può fare.
Se i creditori non si pronunciano per 60 giorni, l’assenso si presume. Si dà per
accettato il fatto che i soci avranno responsabilità limitata anche per le
obbligazioni risalenti.
Art. 2502-ter la trasformazione di società di persone in società di capitali è
decisa con il consenso della maggioranza dei soci determinata secondo la
parte attribuita a ciascuno negli utili […].
Se io voglio trasformare una società di persone in un’altra società di persone
(es: parto da una s.n.c. e mi voglio trasformare in una s.a.s.) si chiede
maggioranza o unanimità? Occorre l’unanimità. Questa è l’ulteriore conferma
del desiderio del legislatore di trasformare la società di persone in società di
capitali.
Trasformazione della società di capitali in società di persone la responsabilità
dei soci passa da limitata a illimitata.
Se io la trasformo in una s.n.c. ho bisogno dell’unanimità. Non vuol dire che
non si possa deliberare a maggioranza ma che una delibera a maggioranza è
impugnabile.
In caso di delibere a maggioranza la scelta spetta al socio.
La delibera presa a maggioranza e senza il voto di un socio che diventerebbe
illimitatamente responsabile è nulla o annullabile? Nulla. La delibera annullabile
non può essere impugnata del socio che ha meno del 5% nelle società chiuse.
LA FUSIONE
Gli amministratori delle due società preparano un progetto di fusione, cioè un
documento in cui si spiegano i vantaggi dell’operazione e si individuano gli
elementi fondamentali, in particolare qual è il valore del conferimento.
Es: A incora B. Occorre determinare il valore del patrimonio di B che viene di
fatto conferito da A. Si determina il rapporto di concambio perché i soci della
società che vengono incorporati, all’esito della fusione diventano incorporati. Il
rapporto di cambio confronta i patrimoni delle due società.
I problemi nelle operazioni di fusione sono soprattutto legati al rapporto di
cambio.
La delibera di fusione, che viene con l’approvazione del progetto di fusione, è
decisa con la maggioranza dell’assemblea straordinaria. I soci di minoranza si
adeguano alle decisioni dei soci di maggioranza. Il socio di maggioranza può
avere interesse ad incrementare il valore di una delle due società rispetto
all’altra.
L’impugnativa della delibera non si può proporre dopo l’iscrizione nel registro
delle imprese. Una volta che vi è stata la delibera e provvedo all’iscrizione nel
registro delle imprese, non è più impugnabile. I soci di minoranza che non
hanno fatto a tempo a chiedere una sospensione della delibera ormai sono
blindati (non possono impugnare ma possono chiedere il risarcimento del
danno).
Normalmente la contestazione del socio di minoranza è sulla determinazione
del rapporto di cambio.
Una volta che le due società hanno deliberato la fusione, questa comporta la
successione universale della nuova società o dell’incorporante, nei rapporti
giuridici delle società che hanno partecipato alla fusione o dell’incorporata.
Il diritto del socio di minoranza ha un contenuto economico. il rapporto di
cambio alla fine si traduce o in numero di azioni o in soldi. Questa situazione si
può correggere con un risarcimento del danno.
Dopo il progetto di fusione e a seguito della delibera si redige l’atto di fusione
(documento in cui sono inserite le previsioni necessarie per il passaggio alla
fusione). Con l’iscrizione si chiude il processo della fusione.
Per le azioni proprie c’è un divieto assoluto per una società di dare garanzie o
aiuto ad un soggetto terzo per l’acquisto di queste azioni.
I pratici si sono inventati un’altra cosa (leverage by out): sono il commendator
Fracazzetti e sono interessato ad acquistare la maggioranza della società A,
che ha un buon patrimonio. Vado da una banca e dico di costituire una nuova
società [NC](“posso comprare A per 30milioni di euro. Tu banca mi presti i
30milioni ed io ti do in garanzia le azioni di B ”). Devo rimborsare la banca dei
30milioni. Cosa faccio? Incorporo la NC in A. A questo punto ho una sola
società, quella produttiva, che ha un debito di 30milioni e che pagherà. Quindi,
ho pagato A con i soldi di A. È legittimo questo? Se l’operazione è completa e
viene fatta, non ci sono particolari problemi.
Se a seguito di una fusione una società quotata cessa di esserlo, i soci che
hanno aderito hanno diritto di recesso.
COOPERATIVE
Il legislatore ha un occhio di riguardo per le cooperative. Tutto parte dall’art. 45
della costituzione.
La cooperazione ha una tutela costituzionale per la funzione sociale che svolge.
Le cooperative godono di una notevole serie di agevolazioni fiscali e finanziarie
se e in quanto hanno uno scopo prevalentemente mutualistico.
A fianco delle cooperative di cui parla la costituzione ci possono essere delle
cooperative che non hanno uno scopo prevalentemente mutualistico. Queste
non hanno i benefici fiscali e molti altri benefici che sono riconosciuti dalla
legge alle cooperative prevalentemente mutualistiche.
Negli artt. 2511 e ss. troviamo la disciplina delle cooperative.
Visto che i benefici collegati al tipo sociale sono legati alle cooperative a scopo
mutualistico, perché dovrei costituire una società non a scopo prevalentemente
mutualistico? Perché la normativa delle cooperative è particolare. Io posso
voler costituire un ente giuridico che sia disciplinato secondo le norme sulle
cooperative.
Una cooperativa non può avere meno di 9 soci.
Una cooperativa può però avere anche 3 soci purché siano persone fisiche e
con un patrimonio non superiore ad 1 milione di euro (cooperativa minima).
Per integrare la disciplina delle cooperative si fa riferimento alla disciplina della
S.p.A.
La regola è che per le obbligazioni della cooperativa risponde esclusivamente
la cooperativa stessa. La responsabilità dei soci della cooperativa è limitata.
Normalmente l’attività della cooperativa è svolta attraverso il lavoro dei soci.
Non è escluso che ci si avvalga anche di collaboratori esterni.
Visto che l’attività della cooperativa è svolta dai soci, non chiunque può essere
socio.
L’atto costitutivo prevede i requisiti che devono avere i soci che chiedono di far
parte della cooperativa. Se un soggetto esterno chiede di essere ammesso alla
cooperativa, la decisione spetta al consiglio di amministrazione.
Se gli amministratori rifiutano l’ammissione del nuovo socio devono motivare
questa esclusione e l’aspirante socio può appellarsi all’assemblea della
cooperativa.
Il principio generale è che il voto è paritario, cioè indipendente dalla quota di
partecipazione al capitale ogni socio ha un voto. Sono ammesse delle deleghe
solo in nome di altri soci. Un socio non può rappresentare più di 10 soci.
Siccome in alcuni casi le cooperative sono molto grandi ed operano su territori
molti ampi, c’è un meccanismo di assemblee separate (es: tutti i soci della
Lombardia si riuniscono a Milano). Si nominano due rappresentanti che
andranno ad esprimere il voto dell’assemblea separata in assemblea generale.
Si può impugnare la delibera dell’assemblea separata? No, l’unica vera delibera
della cooperativa è quella dell’assemblea generale. Sono impugnabili invece le
delibere dell’assemblea generale in base alle norme del 2377 e ss. (se
applichiamo le norme sulla S.p.A.) o in base alle norme della s.r.l.
La costituzione deve avvenire per atto pubblico che viene poi depositato presso
il registro delle imprese.
Se applichiamo la disciplina delle S.p.A. i conferimenti avverranno per AZIONI.
Se applichiamo la disciplina delle s.r.l. i conferimenti avverranno per QUOTE.
Se c’è un divieto di alienazione quale correttivo ci sarà? Il recesso.
Altrimenti occorre l’autorizzazione degli amministratori.
Ci sono dei limiti alla distribuzione degli utili per le società cooperative a
mutualità prevalente. Tipicamente l’utile non viene distribuito. I benefici i soci li
hanno dalla partecipazione all’attività cooperativa e quindi dai compensi che
maturano. È ammessa una ridotta distribuzione di utili (art. 2514). Il massimo
di utile che una cooperativa può distribuire, rimanendo a mutualità prevalente,
è una percentuale del capitale versato pari al tasso di interesse sui buoni
fruttiferi postali + il 2,5%. Si aggiungono altri 2 punti se hanno emesso
strumenti finanziari. I soci possono recuperare quanto hanno versato + una
quota di utili in proporzione alle misure viste e il resto deve essere devoluto o
ad altre cooperative o alle leghe delle cooperative ecc…
In caso di morte del cooperatore il capitale versato verrà liquidato agli eredi
però si può decidere che continui l’attività con gli eredi ma solo se questi
acconsentono ed abbiano i requisiti e le caratteristiche necessarie per
diventare cooperatore della cooperativa.
MOD. B
-secondo motivo per cui sono dati consigli di investimento è il fatto che la
società ha una previsione di crescita, per cui la nostra previsione di prezzo
aumenta.
Questa figura è una figura di un investitore non industriale ed è una figura
prevista dall’art. 2497, dove si dice che il socio (non industriale, possiamo
definirlo “mordi e fuggi”) ha un’aspettativa di redditività e valore della
partecipazione.
Redditività quanto mi dà il dividendo ogni anno
I CONFERIMENTI IN DENARO
I conferimenti in denaro devono essere eseguiti almeno per il 25% il minimo
che un soggetto deve conferire è del 25% (1\4).
Come funziona il conferimento? Con l’atto costitutivo (che si fa di fronte al
notaio) il soggetto si obbliga a dare un tot di denaro io mi obbligo a conferire
100.000 euro, ma non lo verso subito, la legge mi dice di versare
immediatamente 1\4 di questo denaro.
Questa è la differenza tra il capitale sottoscritto e il capitale versato.
ESEMPIO: La mia quota di 100.000 euro risulterà: liberata (=versata) per 1\4
cioè 25.000 euro, ancora da versare per 3\4 cioè 75.000 euro.
Quando lo verserò? Questo è un caso anomalo di una obbligazione che non ha
un termine specifico; è un’obbligazione esigibile a discrezione degli
amministratori, cioè il capitale rimanente verrà versato quando gli
amministratori della società ne faranno richiesta.
Un’altra particolarità è che se io non voglio versare il 25% del capitale per cui
mi sono obbligato, posso sostituire il denaro da versare con una polizza di
assicurazione o una fideiussione bancaria.
Polizza di assicurazione colloquialmente si chiama polizza fideiussoria.
La fideiussione (art. 1936) è un contratto civilistico: “è fideiussore colui che
obbligandosi personalmente verso il creditore garantisce un adempimento di
un’obbligazione altrui.”
Secondo le regole della fideiussione se io non adempio la mia obbligazione, che
si chiama obbligazione principale, il creditore si rifà verso il fideiussore, che
contrae un’obbligazione detta di garanzia.
È evidente che anche l’obbligazione del fideiussore ha un peso di maggiore o
minore a seconda del soggetto da cui proviene: se il fideiussore è una banca o
un’assicurazione è ovvio che viene data una solidità maggiore, rispetto al caso
in cui il garante fosse un soggetto privato.
Il capitale sociale può comunque essere sostituito, quanto a
versamento, con un contratto di garanzia, che deve essere rilasciato
come fideiussione da una banca o da una società di assicurazioni.
I CONFERIMENTI DI BENI
Se vengono conferiti dei beni in natura, allora ci sono problemi di valutazione.
Non è obbligatorio conferire solo denaro (la polizza di assicurazione o la
fideiussione bancaria prendono il suo posto) ma si possono conferire anche
beni.
Esempio: io possiedo un capannone, noi tutti soci decidiamo di svolgere la
nostra attività nel capannone e io conferisco il capannone.
(N.B. conferire vuol dire che un bene, che è mio, io lo conferisco, cioè lo
inserisco in un fondo comune, che noi chiamiamo patrimonio delle società e
che agli effetti dei rapporti intra societari chiamiamo capitale.
Questa è una regola che vale per tutte le società di capitali Si chiamano
società di capitali perché la partecipazione dei singoli soci è commisurata al
suo capitale : se io ho capitale di 100.000 euro la mia quota vale 100 volte
quella del soggetto che ha capitale di 1000 euro).
Questo è molto evidente quando capitale è versato in contanti: art. 1277
principio nominalistico.
In realtà mentre la legge generale dice che il denaro può essere versato in
quantità ingenti, le leggi speciali dicono che il denaro può essere usato solo in
termini molto bassi leggi speciali c.d. antiriciclaggio, dicono che il
versamento in contanti si può fare fino a 3000 euro al massimo.
Ovviamente non si possono dare 3000 euro al giorno tutti i giorni, perché i
trasferimenti di denaro tra soggetti che si succedono nel tempo viene
considerato un pagamento unitario.
Quindi come lo faccio? Attraverso gli intermediari finanziari.
Chi sono gli intermediari finanziari?
Uno per tutti le banche, ma non solo le banche, anche altre tipologie societarie
(es. SICAB –società per azioni a capitale variabile; le SIM – società di
intermediazione finanziaria)
Gli intermediari finanziari sono assoggettati al controllo pubblico, controllo della
Banca d’Italia.
(La Banca d’Italia non controlla solo le banche; oggi non controlla più
esattamente le banche).
La Banca d’Italia prima che ci fosse l’unione bancaria europea emetteva denaro
e determinava un tasso ufficiale di sconto.
Il tasso ufficiale di sconto è chiamato anche costo del denaro; in realtà il tasso
ufficiale di sconto è il tasso a cui la banca centrale di qualunque paese del
mondo presta dei soldi al circuito e al sistema bancario.
Il tasso ufficiale ovviamente è uguale per tutti.
È evidente che quando è chiamato costo del denaro non vuol dire niente,
perché il denaro è una misura, non ha un costo.
Una moneta d’oro ha un valore intrinseco; nella banconota il valore intrinseco
non c’è.
Il denaro non è un bene che io posso comprare; quando si dice costo del
denaro si intende il costo delle operazioni interbancarie di prestito fatte
all’interno del circuito bancario.
Oggi c’è una polemica molto importante: la Banca d’Italia non emette più
moneta (n.b. emettere è diverso da stampare; il primo è un atto giuridico, il
secondo è un atto fisico) e non può più determinare il tasso ufficiale di sconto e
non ha più vigilanza sulle banche. Prima era un ente autonomo, oggi è una
delle tante braccia della banca centrale europea.
La Banca d’Italia ha cumulato un patrimonio colossale, ogni tanto lo Stato
italiano si rivolge alla Banca d’Italia chiedendo denaro ma la Banca d’Italia si
rifiuta).
Tutto questo per dire che quando noi conferiamo il denaro problemi non ci
sono, quando conferisco un bene invece ci sono dei problemi relativi alla
valutazione.
Chi valuta il valore di un bene?
All’art. 2465 si richiama la figura del revisore legale o una società di
revisione, quindi soggetto che è iscritto ad appositi albi\registri, che deve
presentare una relazione giurata.
Fisicamente si va in Tribunale davanti a un cancelliere: di fronte al cancelliere il
revisore deve giurare che la relazione di stima presentate è stata fatta secondo
tutti i crismi e i criteri di legge.
N.B. solo del denaro si può dire con certezza quale sia il suo valore; qualsiasi
altro bene ha un range di ragionevolezza: non esiste un valore preciso, esiste
un ambito di ragionevolezza.
il revisore legale con la relazione giurata, dal momento che il bene è
stato conferito attribuendogli il valore x, certifica che non valga meno
di x.
Questo perché?
Perché se noi conferiamo dei beni che diventano capitale sociale, abbiamo due
versanti:
- Versante interno:
se io dico che il mio conferimento vale 100.000 euro e quello degli altri 1000
euro, io valgo 100 volte la quota degli altri. Questo però deve essere il più
possibile vero.
La relazione serve a questo allora, a confermare il valore.
I rapporti tra i soci si regolano secondo a quanto è stato conferito nel capitale.
La valutazione però deve essere il più possibile vera ed infatti il perito dirà
“posso assicurarti che non vale meno di...” e i rapporti saranno definiti.
- Versante esterno:
se io conferisco una borsa per 1000 euro, che non vale 1000 euro, dal punto di
vista esterno come valore con cui la società si presenta nei confronti dei
creditori, delle banche, dei dipendenti etc. c’è un buco, non vale 1000 euro;
abbiamo quello che si chiama annacquamento del capitale sociale.
Si ha annacquamento del capitale sociale quando noi indichiamo come valore
1000 euro, ma non è vero perché non è un valore coperto da un valore
intrinseco.
Perché si chiama annacquamento del capitale sociale? (capitale sociale in
inglese si chiama stock exchange, ma stock originariamente era la mandria.
Annacquare la mandria cosa vuol dire? USA sono fondati sulla ferrovia, perché
le mandrie erano a ovest e gli umani a est, allora succedeva che le mandrie
venivano caricate sui i treni diretti ad ovest. Il viaggio era lungo e le mandrie
arrivavano deperite, quindi venivano annacquate e poi vendute al mercato. Un
conto è pagare il peso di carne; un conto è pagare il peso di acqua. Ecco
perché denaro annacquato: perché era la mandria che veniva annacquata,
perché in questo modo imbrogliavano e si facevano pagare acqua con il prezzo
della carne).
Ciò che il legislatore vuole evitare che si abbia capitale sociale annacquato; è
addirittura reato mostrare a terzi dei valori che non ci sono.
Nulla vieta che tra i soci, a livello interno, si manifesti un valore diverso; ma
non si può fare a livello esterno.
L’imprenditore commerciale è soggetto a pubblicità; tra i vari elementi che
sono pubblicizzati c’è anche il bilancio; se il bilancio è redatto falsamente viene
imbrogliato tutto il pubblico.
Quando io attesto qualcosa in un atto che viene pubblicato, imbroglio la
pubblica fede quindi è un reato contro la pubblica fede. La pubblica fede siamo
tutti noi che possiamo avere accesso a certi documenti e presumiamo che
questi documenti attestino il vero.
Se poi la società dovesse andare male o fallire, questo è uno dei fatti che
portano alla bancarotta fraudolenta perché ho violato un obbligo di pubblica
fede.
Ecco perché per chi conferisce un bene in natura è necessaria una relazione
giurata.
Se il revisore ha giurato il falso, sarà anche lui responsabile per un reato contro
la pubblica fede.
I privati invece non hanno nessun obbligo di pubblica fede, perché si ha un
rapporto interpersonale.
La pubblica fede è un rapporto con chiunque.
Cosa succede quando Tizio si obbliga a dare una certa a somma a Caio e poi
non lo fa? Normalmente nel diritto privato, se questo diritto non viene
soddisfatto, si va dal giudice (giudice civile: giudicano in materia di lesioni di
diritti soggettivi).
In realtà il socio ha conferito una parte di quello che si è obbligato a conferire
(minimo ¼). Gli amministratori gli chiedono di pagare il residuo ma non lo fa.
Quindi cosa succede? Diventa moroso. Quando il socio è moroso ha comunque
una quota della società intestata a sé stesso. Questa quota resta scoperta per
la parte che non ho pagato e quindi non è completamente liberata.
Quando una quota/azione è liberata? Quando tutti i versamenti inerenti sono
stati interamente eseguiti/versati.
Quando la quota non è interamente liberata vi è un meccanismo di
soddisfazione del credito molto particolare.
Nelle società vi è un interesse di tutti i soci, e il legislatore lo conferma, ad
avere la stabilità della compagine sociale.
Quando do un ordine alla banca di acquistarmi le azioni dell’IBM lo faccio
perché penso di fare un buon affare sia come utili e sia come valore del bene
acquistato (art. 2497).
Nelle società di persone a regola è opposta: muore un socio e il socio che resta
liquida la quota agli eredi.
Art. 2466 c.c. gli amministratori dovrebbero tentare di vendere la quota del
socio moroso agli altri soci in modo tale da mantenere la stabilità della
compagine sociale. Si vende la quota al prezzo che viene fuori dal valore di
bilancio. Se i soci la comprano, il problema non c’è. Se invece gli altri soci non
la comprano, la regola generale direbbe che viene venduto per aste ma,
mentre un bene immobile può venire comprato da chiunque, nella s.r.l. (art.
2469) le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per
successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo .
Se noi dovessimo vendere le quote all’asta ma poi non è possibile trasferirle
perché l’atto costitutivo non lo consente, allora gli amministratori dichiarano
escluso il socio in quanto non ha pagato quello che avrebbe dovuto pagare.
Ci sono poi delle idee di fondo: una è quella che si collega agli obblighi
pubblicitari e divide il lato interno dal lato esterno (es. la cessione di una
partecipazione quando è valida? per i fatti interni nel momento della cessione e
per i fatti esterni al momento della pubblicazione nel registro delle imprese).
Il termine “finanziario” vuol dire che quel contratto, quel tipo di attività, inizia
con il danaro e termina con il danaro.
“Liquidare” vuol dire rendere liquido, cioè rendere in una somma di danaro.
L’art. 2325-bis dice che ci sono certe categorie di società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio.
La banca deve restituire i depositi bancari “a vista”, cioè senza termine.
Mentre il capitale di rischio non dà luogo ad alcun debito, il capitale di credito è
ben diverso in quanto incorpora un’obbligazione.
Art. 2467 c.c. riduce le distanze essenziali tra capitale di rischio e capitale
di credito. Questo articolo dice che: “Il rimborso dei finanziamenti dei soci è
postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto
nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere
restituito”.
Abbiamo visto alcune particolarità come ad esempio mentre nella SPA il
capitale sociale è rilevante e deve essere sempre presente, nella SRL non lo è,
questo non vuol dire però che non ci siano SRL con capitale sociale, non è
obbligatorio, ma c’è.
La legge stessa pone un limite a questo che altrimenti potrebbe essere una
sottovalutazione dell’importanza dell’impresa gestita dalla società nei confronti
dei terzi.
Perché il legislatore detta tutte queste regole organizzative per le società che
gestiscono le imprese commerciali? Perché l’impresa commerciale si pone sul
mercato, e quindi la rilevanza di un’impresa commerciale non è paragonabile
alla rilevanza di una persona che non gestisce un’impresa.
Avevamo detto inizialmente che le società erano di creazione governativa
all’epoca del re e c’era il governo che diceva tu diventi una persona giuridica
(soggetto di diritti).
Con lo sviluppo delle società si è rilevato impossibile che il re, il principe, il
governo possa provvedere singolarmente per ogni società, ed ecco che si è
creata una costruzione giuridica obbligatoria e nel momento in cui si aderisce a
questa costruzione giuridica la incorporazione (quella che una volta era il
decreto del re) è automatica.
La legge non può obbligare ad essere economicamente solidi, ma la legge può
obbligare a pubblicizzare tutti i fatti rilevanti dell’impresa.
Pubblicizzare à rendere pubblico, quindi a disposizione di chiunque, che non è
la comunicazione tipica del diritto privato, perché quelle sono iter personali.
È fondamentale leggere correttamente le norme come ad esempio l’art
2469 poiché sembra dire una cosa, ma in realtà ne dice un’altra, il quale dice
che: “Le partecipazioni della società sono liberamente trasferibili per atto tra
vivi e successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto
costitutivo” vuol dire quindi che possono essere ma anche non essere
trasferibili. Tutte le volte che c’è una virgola o un salvo vuol dire che la prima
regola non è assoluta, anzi è molto relativa poiché può essere derogabile.
Mentre nelle società più strutturate come SPA l’atto costitutivo è in buona parte
obbligato, nelle SRL l’atto costitutivo può prevedere moltissime deroghe, c’è
uno schema generale salvo che l’atto costitutivo non decida cose diverse.
La gran parte delle regole dettate nella società di persone sono derogabili se le
parti decidono qualcosa di diverso.
Esempio: tutte le decisioni sono prese all’unanimità, salvo che i soci non
decidono altrimenti.
Noi non possiamo nelle deroghe andare contro la logica perché il diritto è prima
di tutto logica.
Potrebbe l’atto costitutivo disporre che le decisioni collettive di una comunità di
persone siano prese a minoranza? No, perché le decisioni sono prese a
maggioranza.
Qual è il contenuto semplice ma che vale non solo nel diritto del principio di
maggioranza? C’è scritto da qualche parte come funziona il principio di
maggioranza? Nel diritto commerciale sì, ma bisogna saperlo trovare.
Il funzionamento si può ricavare dall’art. 2377 comma 1; è dettato in tema di
società commerciali ma vale per tutti gli organismi pluripersonali.
(se organizzazione è mono personale ovviamente non c’è maggioranza o
unanimità).
Cosa dice l’art. 2377? “Le deliberazioni dell'assemblea, prese in conformità
della legge e dell'atto sostitutivo, vincolano tutti i soci, ancorché non
intervenuti o dissenzienti.”
Il principio di maggioranza funziona così: se il parlamento approva una legge
con 350 voti a favore e 200 contrari, la deliberazione è del parlamento non dei
soli 350. E’ la deliberazioni di tutti, anche di chi ha votato contro perché la
maggioranza ha votato a favore.
Lo dice la stessa legge “vincolano tutti i soci, sia dissenzienti che assenti “.
Quindi la deliberazione assunta a maggioranza non è la deliberazione della
maggioranza, ma è la deliberazione dell’organo nella sua totalità.
Quando noi diciamo che quasi tutte le regole sono derogabili dall’atto
costitutivo (es. partecipazioni sono liberamente trasferibili salvo contraria
previsione dell’atto costitutivo) dobbiamo stare attenti perché questo principio
per cui tutto è derogabile va preso con logica.
Non tutto è derogabile, come il principio di maggioranza, è un principio pre
giuridico.
Il principio di maggioranza è un principio di calcolo, matematico.
Sappiamo che nel diritto possiamo trovare le regole, ma non sono tutte regole
assolute (es. della circolazione stradale: è vietato svoltare a destra per gli
automobilisti, ma questo divieto non vale per le ambulanze con sirena accesa,
macchine della polizia) e i principi e più andiamo avanti nell’elaborazione della
legge valgono più i principi delle regole.
I principi, a differenza delle regole, sono elastici e ci sono quando si dice
“ragionevolmente” o cose del genere.
Es: nel codice della strada: bisogna sempre mantenere la distanza di sicurezza.
Non è una regola, bensì un principio, perché la distanza di sicurezza è un
concetto variabile che dipende da diversi fattori.
Tra i principi del nostro diritto c’è ne è uno che non viene enunciato come
principio ma che lo si ritrova in numerosissime norme: nessuno può impegnarsi
per sempre.
(i contratti nel diritto privato: nella compravendita l’interesse contrattuale del
venditore è acquistare al prezzo più alto possibile, l’interesse dell’acquirente di
acquistare al prezzo più basso possibile; il contratto è il punto di unione tra le
volontà, tra i due interessi contrastanti; stessa cosa vale per la locazione.
Questo è il contratto tipico dove gli interessi sono contrapposti. La definizione
di contratto dice che a un certo punto la proposta trova l’accettazione, le due
volontà si uniscono ed il contratto è fatto.
Il diritto privato, proprio per il fatto che è logico, non è difficile: è evidente che
se io dico “ti vendo il libro per 10 euro” e l’altra parte mi dice” va bene”, le due
volontà si sono incontrate e il contratto è concluso.
Il contratto è concluso anche se il bene non viene consegnato e rimane nella
proprietà dell’alienante.
In questo caso il bene è il libro, ma la regola vale per qualsiasi cosa. Ci sono poi
contratti che si perfezionano con la dazione della cosa, come il pegno).
Quindi tutto questo per dire che quando la legge dice che “ le partecipazioni
sono liberamente trasferibili salvo contraria disposizione dell’atto
costitutivo” sembra che vada contro un principio generale, che è quello che la
volontà delle parti vale ma ha dei limiti: nessuno può impegnarsi per sempre.
Al legislatore non piace infatti che ci si impegni indefinitivamente e ciò lo si può
notare dall’art. 2285 (dettato nelle società di persone, ma è un affiorare di un
principio generale; il legislatore non ama che ci si impegni senza termine,
tranne alcune eccezioni come il contratto di lavoro a tempo indeterminato).
L’art. 2285 dice “ogni socio può recedere dalla società quando questa è
contratta a tempo indeterminato”.
Quando c’è un contratto a tempo indeterminato è possibile risolverlo.
Normalmente, e infatti anche l’art. 2285 lo dice, non lo risolviamo di colpo ma
dando un preavviso.
Es: nel diritto del lavoro c’è il c.d. licenziamento immediato (in tronco) per
giusta causa.
In questo scenario impedire per tutta la vita il trasferito delle quote non va
bene perché sarebbe una previsione a tempo indeterminato.
La legge pone allora dei correttivi.
Bisogna concludere un discorso prima di poter continuare:
il contratto di diritto privato è il raggiungimento di un accordo tra due o più
persone che hanno degli interessi contrapposti, il contratto risolve un conflitto
di interessi.
Una società può costituirsi o con atto unilaterale o con un contratto; in questo
caso lo schema non è però quello tipico. È un contratto non con scopi
contrapposti, ma con comunione di scopi (= gestire un’impresa commerciale
per ottenere degli utili).
Quindi in realtà non è un contratto con volontà contrapposte, ma un contratto
in cui tutte le volontà vanno nella stessa direzione in generale.
Tuttavia queste volontà nello specifico possono andare in direzioni opposte: es.
siamo soci di una società, io dico di voler essere nominato come
amministratore, un altro dice la stessa cosa, la volontà dei soci dovrà quindi
decidere.
Il fatto che il contratto di fondo ha la volontà comune non comporta che la
volontà comune c’è in ogni momento; in alcuni momenti come la nomina
dell’amministratore, altri momenti importanti, la volontà comune può non
esserci e quindi ecco che interviene il principio di maggioranza.
Nel contratto di diritto privato il principio di maggioranza non esiste, deve
esserci l’incontro di tutte le volontà.
Nel diritto privato contrattuale non si va a maggioranza; a maggioranza si può
andare quando si ha una comunione di scopo.
Lo schema è logico.
Tutto questo lo inseriamo in questa regola un po’ “antigiuridica” secondo la
quale le quote sono trasferibili ma l’atto costitutivo può dire di no à contratto
indeterminato perché se le quote non sono trasferibili si resta all’interno della
società per tutta la vita, anche gli eredi restano bloccati. Evidente che c’è
qualcosa che non va
Se l’atto costitutivo prevede che la partecipazione sia intrasferibile o che il
trasferimento è assoggettato al gradimento (es: nelle società cooperative dove
principio di maggioranza è molto semplice, per teste e non per capitale.
Quando si dice che le società cooperative sono in scalabili si fa riferimento
proprio a questo, impossibile perché anche se continuo a comprare il voto è
sempre lo stesso. Le più grosse banche italiane sono cooperative, quindi se si
va in borsa e si compra un migliaio di azioni di una di queste banche poi
nell’assemblea il voto resta sempre una. Nelle società cooperative esiste il
gradimento, alla base c’è alla base un concetto solidale. Le cooperative
nascono quando si afferma il capitalismo che trova la sua massima estensione
nell’Inghilterra della seconda metà del 700 dove c’erano grandi fabbriche.
Queste fabbriche avevano decine di migliaia di dipendenti con salari di
sussistenza, allora l’idea è quella di creare tali cooperative, i cosiddetti spazi
aziendali à i consumatori non comprano più i beni nei negozi ma si rivolgono al
produttore stesso, ne acquistano di più e a un prezzo più basso. Quindi la
cooperativa non era fatta per guadagnare ma per spendere meno.
Se si spende di meno allora si riesce a fare risparmi che prima non si riusciva a
fare, con questi risparmi si possono acquistare case ed ecco che nascono le
cooperative edilizie. Oppure con i risparmi magari si può aprire un conto
corrente e fare degli investimenti, ecco le cooperative finanziarie (es. banca di
credito cooperativo) Il concetto è lo stesso, le banche di questo genere operano
con i soci.
Nelle cooperative c’è questo gradimento, si presenta il nuovo socio e si chiede
di accettarlo o meno. E può esserci anche nelle società)
Se quota trasferibile o assoggettata al gradimento o in ogni caso ci sono limiti
che impediscono il trasferimento della quota stessa, allora il socio può dire che
non ci sta più. Può decidere di andarsene, di recedere, di tagliare quella parte
del contratto che riguarda lui.
Non è esattamente come dare le dimissioni. Nel caso del recesso si ha il diritto
di avere la mia quota, mentre se si danno le dimissioni non si ha diritto a nulla.
L’unica cosa che è possibile è che l’atto costitutivo vieti il trasferimento per due
anni, che non è un tempo indeterminato ma determinato.
Se pattuita l’intrasferibilità nell’atto costitutivo si può recedere, ma tutti hanno
firmato l’atto costitutivo all’inizio, quindi anche chi recede lo ha firmato e com’è
che adesso vuole recedere? Possono cambiare le circostanze, se cambiano le
prospettive, è mutato qualcosa e quindi ha diritto di recedere (non sempre
ovviamente, solo nei casi previsti dalla legge come quando si cambia l’oggetto
sociale e non si è d’accordo ma si è in minoranza; se la società è in liquidazione
e si revoca la liquidazione; in caso di fusione con altra società. Si può recedere
quando in minoranza si vota contro a quella decisione oppure quando non ci si
presenta in assemblea à la legge distingue i soci che hanno consentito (e
quindi hanno votato a favore) da tutti gli altri, quelli che non hanno consentito
sono gli assenti, i dissenzienti e gli astenuti).
Tra le cause che possono dare luogo al recesso c’è anche il TRAFERIMENTO
DELLA SOCIETÀ ALL’ESTERO, giustificato dalla scomodità
Però se notiamo, se dovessimo trasferire la società da Milano a Lugano la
distanza è di 40 minuti, se si trasferisce a Palermo è molto più complicato.
Quindi non ha molto senso questa giustificazione.
Perché importante il diritto di recesso? perché il socio se ne va e ha il diritto
che la società gli liquidi la sua quota di partecipazione alla società.
Es: ha una quota di 10 mila euro su un capitale di 100 mila euro. Si presenta
una causa di recesso e se ne va, a che cosa ha diritto? non a 10 mila euro
(perché capitale di rischio), se la società sta andando malissimo magari non li
avrà neanche indietro ma se la società va benissimo il socio non vorrà 10 mila
euro ma vorrà il 10% del patrimonio della società non del capitale.
Questo lo dice la legge, art 2473: deve venir rimborsato in proporzione al
patrimonio della società e non del capitale.
Come si determina il valore del patrimonio? tenendo conto del suo valore di
mercato al momento della dichiarazione di recesso.
Uno dei problemi più importante è la valutazione di un complesso aziendale.
L’impresa non vale nulla perché quella è l’attività, ma si valuta i beni che sono
al servizio della gestione dell’impresa. Azienda ha valore di mercato, ma
valutare azienda non facile. C’è una espressione che usano gli
anglosassoni “going concern”, dove concern è l’azienda (insieme di tutti i beni)
che è going, ovvero in funzione.
Valutare il going concern è difficilissimo, mentre valutare azienda in
liquidazione è facile.
Pensiamo alla costruzione di dighe (leader mondiali di costruzioni di dighe
siamo noi italiani), dura moltissimo tempo e il soggetto viene è pagato secondo
gli stati di avanzamento. Ha fatto il 10% verrà pagato il 10% del prezzo. Cosa
vale in una azienda una cosa del genere? Un lavoro eventualmente non finito
non vale nulla, se la diga non viene finita non vale niente.
Valutare l’attività aziendale non è facile, non sappiamo cosa potrà accadere
domani. Se il lavoro non finisce vale zero.
Quindi quando si dice il socio che recede viene liquidato per la sua quota del
patrimonio sociale non è facile, perché il patrimonio sociale è rappresentato da
una azienda in movimento going se non è going è tutto lì e sarebbe più facile
liquidare. Tanto è vero che La quotazione se non si è d’ accordo la legge dice di
andare da perito nominato da tribunale che provvederà alla valutazione ci sono
dei criteri molto complessi che portano alla valutazione delle aziende ma è
molto complicato, perché non valuti dei beni es. un camioncino (non vendo più
biciclette ma ora consegno dei gelati) per la consegna dei gelati ha 10 anni e
finché funziona ha un certo valore aziendale, dal momento la società cessa non
vale più, vale finché è dentro nel complesso aziendale, ma non vale come bene
singolo isolato ma vale nel complesso perché noi lo usiamo per la consegna dei
gelati, dal momento che l’azienda non è più going prende il valore di mercato
cioè vale zero.
Noi parliamo di come cambia la compagine sociale.
Parliamo del recesso ci sono 3 casi in cui la quota di una società deve
venire liquidata o trasferita: due casi sono volontari:
1. RECESSO: io ho votato contro decisione e me ne vado non ci sono
problemi tranne la valutazione della quota, c’è conflitto di interessi
perchè io che me ne vado ho interesse ad avere il massimo del
pagamento possibile ma possibile ma chi mi deve liquidare ha interesse a
darmi la minore somma possibile, perché ogni £ in più che prendo io è un
£ in meno che avete nel patrimonio residuo della società.
2. ESCLUSIONE: siete voi che volete buttarmi fuori, è volontario per
volontà degli escludenti. Cosa vuol dire escludere? Stiamo parlando di
eventi che tranne la morte dove c’è passaggio da defunto a eredi gli altri
due sono casi di eliminazione volontaria da parte di eliminato o
eliminatori, una manifestazione di volontà nel recidere parte del
complesso contratto di società noi siamo 50 e non mettiamo nel nulla i
50 rapporti sociali ma il mio. Io recido parte del contratto ma resta valida
tutta la parte generale, io me ne vado ma la società continua bella
tranquilla, perché il contratto (regola generalissima 1446 nei contratti tra
più parti dove le volontà non sono solo due ma siamo tutti insieme in
società, l’art 1446 dice che nei contratti indicati dall'articolo 1420
l'annullabilità che riguarda il vincolo di una sola delle parti non importa
annullamento del contratto, salvo che la partecipazione di questa debba,
secondo le circostanze, considerarsi essenziale. Noi abbiamo contratto
plurilaterale se uno dei lati è viziato noi tagliamo quel lato ma tutti gli
altri continuano a valere (principio di economia giuridica non si deve
togliere ciò che di buono è presente nel contratto) tutto ciò è presente
solo nel contratto plurilaterale. Il recesso è la volontà del recedente,
l’esclusione è la volontà di tutti gli altri, vuol dire che nel contratto sociale
è possibile prevedere delle specifiche ipotesi di esclusione per giusta
causa art. 2473 bis bisogna saperlo leggere si può prevedere nel
contratto di società alcune ipotesi specifiche: es. ti sei obbligato a
partecipare all’aumento del capitale sociale e non l’hai fatto perciò ti
escludiamo, ti sei obbligato a prestare opera a favore della società e non
puoi più prestarla es. società medica doctor dentis i soci della società
devono essere medici dentisti iscritti all’albo, se vengo cancellato non
sono più dentista e non posso più conferire la mia opera nella società
ecco che io sono diventato inadempiente, l’inadempienza non è
direttamente imputabile al soggetto; conferire la mia opera di dentista è
un’opera specifica, l’esclusione non è necessariamente concetto di colpa
può essere sopravvenuta a incapacità per ciò che sono tenuto a fare.
concetto di giusta causa: utilizzato spesso anche nelle società di persone,
non è un concetto specifico: non può esserci un elenco è un principio è
un inadempimento talmente grave da non consentire temporaneamente
la prosecuzione del rapporto, nasce nel diritto del lavoro es. caso del
licenziamento in tronco, che non consente anche istantaneamente la
prosecuzione del rapporto. Quando ci sono delle ipotesi che sono
liberamente determinabili in atto costitutivo il socio è escluso, ma ciò non
vuol dire che non ha diritto alla sua quota però ciò è complicato, se io ho
recato delle perdite a società e dovrei avere 100 non avrò 100 ma meno.
Cosa succede se socio recede? Ha dritto a rimborso delle partecipazioni
nella misura in cui vale la sua quota di patrimonio sociale; se la società
non ha mezzi o voglia per pagarlo esiste principio di stabilità delle
società, non c’è in SPA ciò vuol dire che se siamo soci tutti insieme
abbiamo interesse a restare insieme, possiamo mettere delle clausole di
gradimento e decidere chi può accedere alla società. La legge prevede
che invece che la società paga la quota paghi il patrimonio e receda
capitale sociale, i soci possono chiedere di rilevare pro quota la mia quota
in modo tale che la compagine sociale rimanga invariata.
3. MORTE: inevitabile ma non volontario, interessa perché se uno muore ha
degli eredi che entrano nel patrimonio compresa la quota, non ci sono
particolari problemi tranne per colui che muore.
Gli anglosassoni dividono le società in:
- Private: società in cui le partecipazioni sociali non circolano così
facilmente.
- Public: pubbliche nel senso dei soci (i soci entrano ed escono quando
vogliono).
È ovvio che la S.r.l., per definizione legislativa e per la volontà del legislatore, è
sicuramente “private”. Invece, la S.p.A. è “public”.
Questa società “private” ha delle particolarità in tutte le sue regolamentazioni.
Una società è un modo di gestire un’impresa (individualmente, nella forma
della società di persone, nella forma delle società cooperative, nella forma della
S.p.A. o nella forma della S.r.l.).
Nell’attività d’impresa abbiamo sempre fisse almeno 2 cose:
1. Chi detta le regole con cui si gestisce l’impresa? Se l’impresa è
individuale il problema non esiste. Se l’impresa è individuale, ma si tratta
di una società costituita con atto unilaterale, il problema sembra uguale
ma in realtà è molto differente.
2. Quali sono le regole di diritto per regolamentare la gestione
commerciale? Se l’impresa è un’attività, allora c’è qualcuno che questa
attività la mette in atto (qualunque sia la dimensione di essa). Questo
vale per tutte le attività, tranne per quelle che pur essendo catalogate
come attività commerciali, in realtà non lo sono. Sono le cd. attività
finanziarie (quelle che iniziano e finiscono con il danaro). Nell’impresa c’è
sempre chi detta le regole dell’impresa collettiva e chi poi le amministra.
Di fatti la legge, all’art. 2475 c.c., ci parla di amministrazione della
società. In realtà, quella che viene amministrata non è la società ma
l’impresa gestita dalla società. L’amministrazione di un’impresa è un
elemento che non può mai mancare perché se non c’è nessuno che
nell’impresa mette in essere un’attività, essa non esiste. L’imprese c’è,
ed esiste, e si traduce in un grandissimo numero di atti che hanno
rilevanza giuridica. Gli atti sono tutti necessari per gestire l’impresa. In
realtà questo viene detto.
Art. 2475 c.c. “Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo,
l'amministrazione della società è affidata a uno o più soci nominati con
decisione dei soci presa ai sensi dell'articolo 2479 ”. [non ci dice esattamente
cosa vuol dire amministrazione della società. Normalmente possiamo decidere
diversamente ma se non lo facciamo la normalità è che l’amministrazione della
società è affidata ad uno o più soci.].
Il legislatore ce lo dice nell’art. 2380-bis c.c. “La gestione dell’impresa
spetta esclusivamente agli amministratori”. [Chi sono gli amministratori? Sono
coloro che gestiscono l’impresa. Quando leggiamo questa norma capiamo che
parla della gestione dell’impresa sociale].
Non è logicamente immaginabile che nel consiglio di amministrazione di una
piccola società tutti i soci vogliano fare gli amministratori.
La legge delle S.r.l. dice che tutta questa attività deve essere riservata ai soci. I
soci amministrano un’impresa che, almeno in parte, è anche loro.
Gli amministratori sono sempre esterni. Es. Fiat: Marchionne non aveva nulla a
che fare con la famiglia Agnelli, è un manager esterno. Questo vale solo per le
società per azioni, perché nelle S.r.l. invece, come affermato dall’articolo, salve
diverse disposizioni, si devono nominare i soci come amministratori, che quindi
amministrano un patrimonio che è anche il loro (sono amministratori in casa
loro ma in parte). Il fatto che gli amministratori siano in primo luogo soci, e solo
eventualmente estranei, avvicina molto la S.r.l. alle società di persone; in
particolare società in nome collettivo (s.n.c.) è normale che il socio sia anche
amministratore ed è anomalo che i soci decidano di affondarsi a amministratori
estranei. Nella società in accomandita semplice (s.a.s.) è presente questo ma
in maniera meno evidente. Le società di capitali hanno una logica
completamente diversa, si interessano della quota di partecipazione del
capitale.
Quindi la società di capitali, definita S.r.l., è un ibrido perché è una società di
capitale dove però alcune previsioni la assimilano ad una società di persone,
come ad es. il fatto che alcuni soci siano anche amministratori.
Non è una regola inderogabile, perché salvo diversa previsione dell’atto
costitutivo, può essere prevista una diversa situazione, ma se si tace si segue
ciò che la legge disciplina.
È importante questo perché pone un elemento di diversità tra la S.r.l. e le altre
società di capitali.
Cosa dice il comma 7 dell’art. 2476 quando dice che sono responsabili oltre gli
amministratori anche i soci, nelle spa non possono centrare mentre nelle S.r.l.
si perché la legge dice che i soci decidono sulle materie di loro competenza
sulla base dell’atto costitutivo. L’art. 2476 comma 7 afferma che i soci vengono
assoggettati alla medesima regolazione.
Ipotesi 2: Sugli argomenti che gli amministratori propongono ai soci, cosa vuol
dire che l’amministratore vuole compiere una operazione ma non la voglio
compiere solo io, perciò chiedo ai soci: “vi va bene che io venda l’immobile per
10 lire? Vi va bene?” Sono sollevato da ogni responsabilità a riguardo. Per
togliere la responsabilità in capo all’amministratore ciò non è sufficiente,
perché ogni giudice direbbe che si è compiuto un atto al di là di ogni
ragionevolezza.
Negligenza, imperizia rispetto al grado di negligenza che mi viene chiesto, nel
caso del cane è quello del buon padre di famiglia e quindi molto basso ma nel
caso dell’impresa molto alto. La gestione dell’impresa ha un risvolto
pubblicistico perché si rivolge al mercato. Il sistema delle SRL è molto diverso i
soci possono intervenire nelle decisioni amministrative, se la decisione è stata
autorizzata anche dai soci allora anche i soci rispondono nei confronti dei terzi
per i danni che derivano da questa decisione. Quando si parla di danni: anche
quando diritto sembra astratto è in realtà molto concreto. In riferimento ai
danni in impresa commerciale che ha dimensioni molto più ampie di impresa
familiare, nel caso Parmalat alla società di vigilanza alla quale chiedevano i
danni questi chiedevano 500 milioni di danni, i danni sono rilevanti così come
le dimensioni delle imprese commerciali, non è che io come danno avrò
causato danno di £ 1000, ciò è difficile, danni tributari commissione tributaria
di £ 1000 diventa immediatamente di 4/5 milioni.
Assemblea: decisioni dei soci, ciò nella SPA è una assemblea cioè un organo
strutturato con regole precise che dà luogo a delle delibere assembleari. Nella
SRL la regola inizia con previsione generica, non si sa bene quale sia l’esatto
contenuto poiché molto generale: i soci decidono sulle materie riservate alla
loro competenza sulla base dell’atto costitutivo o su quelle deferite alla loro
competenza da un amministratore.
Ci sono poi materie che la legge comunque riserva alla competenza dei soci:
che sono pochissime:
- L’imprenditore commerciale e anche società deve redigere il bilancio, i
soci hanno il compito di approvare il bilancio, ciò è la base per vedere se
si sono guadagnati dei soldi e se li abbiamo guadagnati è la base per
poter dividere gli utili che è anche lo scopo per cui i soci si sono uniti. Si
deve provare tramite bilancio che ci siano degli utili altrimenti si
tratterebbe di reato. Comunque i soci devono fare approvazione del
bilancio e decidere se e quanti utili distribuire a patto che ci siano, non si
può decidere di distribuire qualcosa che non c’è.
- Nomina gli amministratori la legge dice se ciò è previsto nell’atto
costitutivo, l’atto costitutivo può prevedere che la nomina degli
amministratori sia fatta per correnti ogni 30% dei soci ha diritto alla
nomina di un proprio amministratore. La nomina degli eventuali
controllori, nelle società è possibile se previsto dall’atto costitutivo per
SRL e se è previsto è possibile nominare controllori. Chi sono i controllori?
La gestione di una società non è semplice, in una gestione di impresa
medio grande, il problema fondamentale che è anche il problema della
società di oggi sono i flussi informativi, pensiamo ad una banca c’è la
sede centrale e poi ci sono delle filiali e succursali dalle agenzie derivano
i flussi informativi al centro che decide sulle scelte da fare. I flussi
informativi non siano disonesti ma veri, se c’è funzionario corrotto, mi
infetta tutto il sistema, seconda possibilità i flussi informativi contengono
degli errori: garbage in, garbage out. Il computer è indifferente, non
distingue tra la pattumiera, noi siamo orientati a pensare che il computer
censuri ma se nel computer si introduce pattumiera non può uscire altro
che pattumiera, perciò è necessario introdurre delle informazioni corrette.
Il problema della amministrazione è problema di trasmissione di flussi
informativi, è l’obbligo di agire informati, principio cardine del diritto.
Questo riguarda gli Amministratori ma anche soci nella parte in cui possono
intervenire ed avere in relazioni amministrative e gestionali, poi c’è un’altra
previsione art. 2479 n. 5 la legge ci dice che è riservato alla competenza della
decisione dei soci la competenza di prendere decisioni che comportano
sostanziale modificazione dell’oggetto sociale, oppure una rilevante
modificazione dei diritti dei soci. Cosa vuol dire è rilevante, è sostanziale? Chi
mi dice cos’è rilevante? Il legislatore dice che i giudici nelle loro sentenze
riempiranno la norma di contenuti dicendo cosa è rilevante e sostanziale, ciò
può creare un problema perché i giudici probabilmente arrivano decentemente
a definire cos’è una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale, il problema
è nelle zone grigie dove non si sa bene es. Noi facevamo automobili e ora
vogliamo solo fare nicchia di automobili di lusso no modificazione formale
perché facciamo sempre automobili però è modificazione sostanziale. Ogni
volta che c’è giudizio di valore entriamo nella zona dei principi per poter
riempire di concretezza e valore dobbiamo andare ai principi di diritto
societario.
Il diritto differisce da altre attività perché noi sappiamo che non sappiamo cosa
succederà domani ecco perché il diritto non vuole delle decisioni indeterminate
nel tempo. Quindi una norma del genere sarebbe contro i principi generali, una
frase del genere sarebbe inutili perché potremmo decidere di volta in volta
come dividere gli utili.
La legge delle SRL prevede possibilità di avere delle consultazioni scritte, però
non è più contestuale, mentre il collegamento elettronico è contestuale.
L’importante è che ciò sia compreso nell’atto costitutivo. La regolamentazione
dei poteri dell’assemblea termina con disposizione più; qualunque organismo
pluripersonale deve operare con una regola, criterio utilizzato universalmente è
la maggioranza, che può essere in vari modi, nelle società di capitale il criterio
per quote di partecipazione al capitale.
Le maggioranze vanno di conseguenza.
Salvo diversa disposizione di atto costitutivo l’atto costitutivo può decidere ciò
che vuole, e il legislatore interviene solo in via residuale, il buco non è
accettato. I buchi vengono coperti dall’interpretazione analogica o da norme
residuali, le decisioni sono prese con voto favorevole della maggioranza che
rappresenti almeno la metà del capitale sociale.
Se noi come soci abbiamo 100, cosa si intende per maggioranza? La
maggioranza deve rappresentare la metà di 100à 50 ma 50 è la maggioranza
rispetto a 100? 50, qualcosa. Non è una maggioranza però la legge dice la
maggioranza del 50 che è una anomalia. Pensiamo al caso in cui una società ha
due soci 50 ciascuno e uno dei due ha avuto ritardo aereo ed è confinato in
Alaska senza possibilità di muoversi e di comunicazione il socio presente può
fare assemblea e con 50 può decidere cosa fare.
Ciò che è rilevante è che ai soci venga assicurata la tempestiva informazione,
non è ammesso che si arrivi in assemblea e il socio non sappia di cosa si tratti.
Il socio deve essere a conoscenza dell’ordine del giorno. Anche nell’assemblea
condominiale deve essere sempre noto l’ordine del giorno, che delimita la
competenza di quella assemblea.
L’assemblea è convocata per la nomina dell’amministratore del condominio. Le
decisioni dell’assemblea come tutti gli atti giuridici possono essere valide o
invalide come qualunque manifestazione umana prevista dal diritto, si chiama
principio di maggioranza, la decisione valida non è quella di maggioranza ma
dell’intero organo. la legge interpreta questo dicendo all’art. 2377 non regola
specifica ma principio generale che le decisioni che siano valide vincolano tutti
i soci ancorché non intervenuti o dissenzienti. Le decisioni come tutti gli atti
giuridici di qualunque genere possono essere valide (principio di maggioranza
la decisione valida non è quella della maggioranza ma dell’intero organo) o
invalide sono invalide perché per esempio hanno assunto una deliberazione
vietata dalla legge o da atto costitutivo. Cosa vuol dire contraria alla legge? Se
abbiamo un’impresa che fabbrica biciclette e poi decidiamo di passare al
commercio di droga l’oggetto è illecito, è vietato dalla legge. Bisogna sempre
diffidare da esempi troppo lampanti è evidente che noi non possiamo dedicarci
al commercio di droga. Quando noi abbiamo una deliberazione che non è presa
secondo le norme della legge o le regole dell’atto costitutivo la deliberazione
non è valida.
La delibera valida vincola tutti anche i dissenzienti, la delibera invalida non
vincola tutti, quindi se non vincola tutti i soci possono lamentarsene davanti al
giudice, abbiamo assunto deliberazione non valida e tutti possiamo dire al
giudice che la delibera non è valida. Ma non è così perché la delibera è stata
presa la maggior parte ha votato a favore, i romani dicevano che lo stesso
comportamento per effetto del principio di non contraddizione io non posso
votare a favore della delibera e lamentarmene davanti al giudice, potranno
lamentarsi davanti al giudice coloro che hanno votato contro la delibera o
coloro che non erano presenti al momento della votazione. Io non posso votare
a favore e poi dire che la norma è illecita principio immanente di tutto il
diritto. Qui c’è una modalità piuttosto sbrigativa perché la legge dice che puoi
andare davanti al giudice entro 90 gg dal momento della presa delibera
(termine molto stretto perché non è agevole per la raccolta dei documenti e
per il ricorso al giudice). Se la deliberazione rischia di essere dannosa può
essere richiesto al giudice di sospenderla, viceversa le deliberazioni con
oggetto illecito o impossibile se decidiamo di aprire sede secondaria su Marte
oggi impossibile, qui bisogna ritornare a teoria generale dei contratti teoria
utilitaristica, se voi avete stipulato contratto con oggetto impossibile es. io ti
vendo duomo di Milano, io mi obbligo ad averne proprietà. Ma se io assumo un
obbligo di vendere a lei il duomo di Milano il problema è che non solo il duomo
non è mio ma non posso nemmeno cedere proprietà, così come non posso
vendere pezzo di terreno su Giove. Illecito non è come si può immaginare, sono
casi sofisticati dove non c’è stata informazione allora il termine di 3 mesi
diventa di 3 anni.
MODIFICAZIONI DELL’ATTO COSTITUTIVO
In realtà quelle che interessano alla legge sono solo una categoria di
modificazioni dell’atto costitutivo, ossia le modificazioni del capitale sociale.
Perché? Perché il capitale sociale è la cifra più importante nelle società di
capitali.
(capitale sociale è la misura della partecipazione di tutti i soci e quindi anche la
misura della partecipazione agli utili di tutti i soci).
Serve per indicare ai creditori che quella massa di capitale è presente e non
può essere toccata se non modificando l’atto costitutivo.
Mentre il patrimonio è un concetto che varia continuamente, il capitale è un
nucleo duro che resta sempre uguale a sé stesso a meno che i soci decidano di
modificare l’atto costitutivo modificando quella parte che riguarda il capitale
sociale.
Riduzione del capitale sociale per perdite: quando risulta che per perdite noi
non abbiamo più un nucleo intaccabile, la legge sancisce che è necessario
convocare un’assemblea, che prenderà atto della situazione e prenderà gli
opportuni provvedimenti (il più opportuno è cacciare amministratore) e se la
perdita prosegue l’anno seguente deve ridurre il capitale sociale.
Questa norma del capitale sociale che deve essere ridotto per perdite si presta
ad un utilizzo disinvolto (socio di maggioranza che ho 60% del capitale, non ho
voglia che ci siano gli altri che hanno il 40%, allora gioco un po’ presento il
bilancio facendo vedere che abbiamo perso più di 1\3 del capitale sociale, gli
altri soci se ne vanno à questo avviene molto spesso, bisogna allora andare di
fronte al giudice…).
In un’attività imprenditoriale è umano, e non è vietato dalla legge, razionare il
rischio d’impresa.
Holding società che di per sé detiene i pacchetti azionari o di quote di altre
società.
Noi abbiamo una società che possiede un’altra società. Ciò di cui si occupa la
legge non è di vietare ciò ma di definire la fattispecie. La legge deve quindi
definire il perimetro, cioè quella che noi chiamammo la fattispecie (il dato
fenomenico) e dopo ne trae le conseguenze. Le conseguenze possono essere
fisiologiche (viene regolamentato il fenomeno) oppure patologiche (la legge
vieta determinati comportamenti che ritiene contrari ai principi della legge).
L’abuso è un comportamento contrario o a regole di legge specifiche o a
principi generali e nel campo dei gruppi li avremo entrambi.
Uno dei criteri principali è quello che dice che la legge generale vale fino a che
una legge speciale posteriore on la modifica.
Nel nostro codice civile, il concetto di società che tra loro hanno un qualche
collegamento o controllo lo troviamo nell’art. 2359. Questo articolo dice che
“sono considerate società controllate le società in cui un’altra società dispone
della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria ”. In questo caso
il termine “dispone” non è un concetto di proprietà ma può essere un concetto
di delega, di usufrutto….
L’assemblea ordinaria è la più importante delle società in quanto approva il
bilancio e nomina gli amministratori.
In realtà ci sono le società che si chiamano “public”, cioè con una base
azionaria enorme. Se noi abbiamo 1milione di soci siamo, secondo la
terminologia anglosassone, public, mentre, secondo la nostra terminologia
siamo una società con azioni o quote diffuse tra il pubblico in maniera
rilevante.
Nel diritto commerciale moderno c’è un proliferare di leggi speciali che devono
regolare tutto questo sviluppo del diritto commerciale.
Gruppo di società il codice civile non ci dà una definizione specifica. La
definizione di gruppo la troviamo in alcune leggi speciale (es. il TUB).
Uno dei problemi fondamentali del gruppo di società sta nei rapporti
infragruppo, molto diffusi e che possono creare dei seri problemi in quanto
possono esserci sì dei rapporti economico-commerciale ma soprattutto rapporti
tipo finanziario che non sono coerenti con le singole personalità distinte delle
singole società del gruppo.
Il nostro legislatore, non parlando di gruppo, evidenzia alcune situazioni di fatto
che danno luogo a quello che noi chiamiamo gruppo o alla nozione di controllo
(art. 2359 c.c.). Ci sono alcune ipotesi:
- Chi controlla matematicamente l’assemblea ordinaria, evidentemente
controlla la società. Ho la maggioranza dei voti e quindi decido io (si
tratta del principio di maggioranza che viene espresso come regola di
diritto). la deliberazione di un qualunque organo, che delibera a
maggioranza, è la deliberazione dell’intero organo.
Art. 2377 c.c. la deliberazione presa da un qualunque organo collegiale, se
presa correttamente, vincola tutti (anche chi non era d’accordo, chi non c’era e
chi si era astenuto).
Così funziona in un certo numero di società ma non in quelle più grandi, dove il
principio di maggioranza opera in un modo diverso, non con la maggioranza
assoluta (che va bene nelle piccole società);
- Avere una influenza dominante (art. 2359, n. 2): il legislatore non ci
spiega cosa questo termine voglia dire ma ci dice che questa “influenza
dominante” può esserci nelle società dove il governo dell’assemblea lo
troviamo nelle società molto più piccole;
- Altra ipotesi: “le società sono sotto l’influenza dominante di un’altra
società, in virtù di particolari vincoli contrattuali ”. Non si tratta di un
controllo di assemblea ma di un controllo contrattuale.
Es: la Ferrero fa gli ovetti e dentro c’è la sorpresa in plastico. C’è quindi bisogno
di un’impresa che costruisca ciò. la società che crea queste sorprese è legata
ad un contratto di esclusiva con la società Ferrero. Se il rapporto di esclusiva,
per qualsiasi motivo, viene meno, la società si trova in un grande periodo di
crisi (che può portarla anche al fallimento).
Ci sono poi le società collegate, che sono collegate quando non c’è
un’influenza dominante ma un’influenza notevole (art. 2359, n.3). in realtà poi
specifica che si presume che ci sia un’influenza notevole quando si ha il 20%
dei voti in assemblea ordinaria. Nelle società di grandi dimensioni il 20% c’è
l’hanno in pochi.
Da questo discorso ne derivano conseguenze sotto 3 aspetti:
1. Aspetto informativo: nelle società di capitali l’informazione è il bene
principale ed è tutelata dal legislatore attraverso la pubblicità. Nei bilanci
delle società (artt. 2424 – 2427 c.c.) bisogna sempre dare
un’informazione specifica relativa ai rapporti intrattenuti con le società
controllate. Quindi, le società controllate hanno una specie di zona
informativa, riservata e specifica, in tutte le materie attinenti al bilancio.
Questi dati di cui la legge impone la pubblicazione, evidentemente sono
quelli che la legge ritiene importanti. C’è una legge speciale del 9 aprile
1991 - n. 127 che impone che ogni società che ne controlla un’altra
debba redigere, oltre al suo bilancio, anche il bilancio consolidato , cioè un
bilancio redatto secondo certe tecniche contabili in cui, la società
controllante, espone tutti i dati insieme (i suoi e quelli delle società
controllate) e queste società vengono considerate come un unico centro
economico. questo ci dice che il concetto di controllo viene visto dal
legislatore come un unico centro economico. Anche il bilancio consolidato
va pubblicato;
2. Aspetto di vigilanza: nell’art 2381 c.c. c’è scritto che gli amministratori
devono comunque rendere informazione non solo sui fatti di maggior
rilievo che hanno interessato la società da loro amministrata, ma anche
sui fatti che riguardano le controllate. Questo perché le società
controllate vengono considerate come facenti parte dell’organizzazione
economica unitaria delle società controllanti. La società, quando viene
iscritta presso l’ufficio del registro delle imprese, acquista personalità
giuridica e diventa un soggetto di diritto. Dal punto di vista della
personalità giuridica, ogni società ha la sua.
3. Aspetto della tutela del capitale sociale: il legislatore ritiene il
capitale sociale come un elemento fondamentale, in quanto si tratta di
un elemento contabile di garanzia per i creditori sociali. È una posta
contabile bloccabile perché non può venire modificata, se non attraverso
una modifica dello statuto (di fatti si chiama patrimonio indisponibile).
Quello che il legislatore vuole evitare è il cd. annacquamento del capitale
sociale, questo perché se il capitale sociale è una barriera a garanzia dei
creditori, ed io lo “annacquo”, questa barriera viene giù. Il divieto di
annacquamento del capitale sociale fuoriesce dalla singola società
controllante e va anche nelle società controllate. Il capitale sociale deve
essere effettivo.
Art. 47 Cost. “La repubblica tutela il risparmio in tutte le sue forme ”. Questo
vuol dire che la repubblica incoraggia il risparmio e lo tutela attraverso
l’istituzione di regole speciali che riguardano l’aspetto finanziario. Nel tutelare il
risparmio, tutela e controlla anche l’ordinamento bancario, tutte le società
bancarie, le assicurazioni e i mercati finanziari. Nei mercati finanziari ci vanno
le società quotate, che hanno uno statuto molto diverso rispetto alle società
non quotate. Questo per il principio costituzionale, in quanto le società non
quotate non attingono al risparmio del pubblico. Quindi, alle società non
quotate non si applica l’art. 47 della Cost. Invece, per le società quotate
interviene l’art. 47 della Cost. e c’è bisogno.
Nelle società quotate, l’acquisto delle azioni o quote delle società controllate,
non può eccedere la quinta parte del capitale sociale (il 20%) perché si ritiene
che in queste società il 20% sia già una partecipazione che dà luogo
all’influenza dominante.
Normalmente il giudice non entra nella società in quanto si tratta di un
contratto privato ma, quando andiamo a toccare il capitale sociale, il giudice
può entrare. Se non vendiamo le azioni che abbiamo comprato in eccedenza, e
non vogliamo venderle, allora interviene il giudice dicendo di annullarle e
riducendo, di conseguenza, il capitale sociale.
La società controllata non può sottoscrivere azioni o quote della società
controllante (in quanto il capitale sociale continuerebbe ad andare avanti e
indietro).
La disciplina del controllo la consideriamo disciplina dei gruppi, ma in realtà
non è del tutto vero. Il gruppo di società non ha luogo, con una propria
definizione, nel c.c.
Il legislatore vede comunque il fenomeno del controllo delle società in maniera
limitativa, in modo tale da evitare gli abusi.
Quali possono essere gli abusi? Ad esempio i rapporti finanziari infragruppo che
possono essere disequilibrati (es. una società compie qualcosa di gratuito nei
confronti di un’altra società). Questo non è di per sé vietato ma non è
nemmeno visto tanto bene.
Gli abusi nel gruppo sono molto più numerosi a livello fiscale. I “ prezzi di
trasferimento” sono il problema di tipo fiscale più diffuso al mondo. È evidente
che una società del gruppo, per evitare una tassazione del gruppo, vende i
propri prodotti ad un prezzo irrisorio ad un’altra società, la quale vende gli
stessi prodotti ad un prezzo molto più elevato in quanto non pagano le
imposte.
Art. 2497 c.c. questo articolo introduce una nuova definizione generale,
quella di “direzione e coordinamento”. Questo art. dice che: “le società o gli
enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono
nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di
corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono
direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio
arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale”.
Una norma del genere trova un’applicazione anche a livello penale (art. 2634
c.c.) perché la fattispecie che viene citata nell’art. 2497 è la stessa che viene
individuata a livello penale che prevede la reclusione per chi agisce a proprio
vantaggio e contro il vantaggio della società. Queste due ipotesi sono collegate
ma sono molto diverse tra di loro, non tanto nella fattispecie ma più che altro
nella disciplina.
È una fattispecie di abuso dell’attività di direzione e coordinamento. Quindi,
quando il legislatore prevede una certa fattispecie e ne sanziona l’abuso, vuol
dire che la fattispecie è legittima e quello non è legittimo è l’abuso.
Il nostro legislatore aveva prima un’idea atomistica delle società e quindi
all’art. 2359 aveva dettato non una nozione di gruppo ma di controllo.
Esistono marchi di gruppo (es. Ferragamo) che poi vengono utilizzati per tutte
le società del gruppo. Avere un marchio di gruppo è una positività e soprattutto
un risparmio di spesa. Altre positività del gruppo sono una maggiore facilità nei
rapporti finanziari.
Ci possono essere anche degli elementi negativi perché può darsi che la
società capogruppo emani delle direttive a tutte le società del gruppo che
magari sono a vantaggio di una società e a svantaggio dell’altra società. Per
esempio, una politica di gruppo impone che la società nel gruppo che sta molto
bene aiuti la società che sta meno bene dando dei soldi a prestito
gratuitamente o concedendo fideiussioni gratuitamente. Di male c’è che da noi,
e in tutto il mondo, esiste ancora il concetto di “ogni società è un ente giuridico
autonomo ed ha un proprio oggetto sociale”. Questo è il problema che dà la
difficoltà di pensare al gruppo.
Una persona è giuridicamente rilevante nel senso che è un centro di interessi.
La nostra norma cardine di tutta l’amministrazione delle imprese è l’art. 2380-
bis c.c.
Tutto questo varrebbe a dire che il gruppo non esiste, ad eccezione del gruppo
paritetico (tutti con gli stessi diritti).
Il gruppo a cui facciamo riferimento è quello in cui c’è una società che
“comanda” sulle altre. La società, governando l’assemblea ordinaria, nomina
come amministratori persone di fiducia.
i soci di minoranza sono tali in quanto non sono organizzati. Inoltre essi non
hanno voce in capitolo. Questi soci di minoranza potrebbero essere pregiudicati
da una politica molto disinvolta della capogruppo che indebolisce la loro
società in favore di un’altra.
Coordinamento di società vuol dire che il legislatore si rende conto che
esiste il fenomeno economico che è in senso opposto rispetto alla normalità
delle società dove non esistono società coordinate ma ogni società fa per sé.
L’attività di direzione e coordinamento è legittima, in quanto disciplinata dalla
legge. Ciò che è vietato è l’abuso.
Nel 2000 il bene più importante che c’è è caratterizzato dalle informazioni.
Proprio perché siamo nella società dell’informazione il legislatore immagina che
il dato più importante è proprio quello.
L’art. 2497-bis dice che “la società deve indicare la società o l’ente alla cui
attività di direzione e coordinamento è soggetta negli atti e nella
corrispondenza, nonché mediante iscrizione, a cura degli amministratori,
presso la sezione del registro delle imprese”. Si tratta di un registro in cui si
iscrivono solo le società che esercitano l’attività di direzione e coordinamento.
Oltre al documento numerario (bilancio) ci sono altri due documenti: la
relazione degli amministratori e la nota integrativa (documenti fatti di parole).
Nella nota integrativa bisogna scrivere un prospetto in cui si riepilogano i dati
essenziali della società.
L’art. 2497-ter dice che “le decisioni delle società soggette ad attività di
direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere
analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli
interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione ”. Questa è tutta materia di
elaborazione da parte dei giudici.
Il socio di una società assoggettata a direzione e coordinamento può recedere
dalla società. Il recesso è uno strumento eccezionale che viene dato in casi
eccezionali.
Casi di recesso:
1. La società che esercita attività di direzione e coordinamento ha
deliberato una trasformazione che implica il mutamento del suo scopo
sociale ovvero ha deliberato una modifica del suo oggetto sociale
consentendo l’esercizio di attività che modifichino in modo sensibile e
diretto le condizioni economiche e patrimoniali delle società che
esercitano un’attività di direzione e coordinamento.
In una S.r.l. se il socio concede dei soldi in prestito alla società, invece di
metterli come capitale sociale, questo capitale viene postergato e quindi è un
credito che viene declassato.
L’art. 2497-septies dice che l’attività di direzione e coordinamento può
essere anche sulla base di un contratto.
Esiste l’obbligo per qualunque società che ne controlla almeno un’altra di
redigere il cd. bilancio consolidato, perché da un punto di vista economico la
legge considera questo insieme di società come un soggetto, cioè un centro di
interessi, diritti e doveri.
Le società appartenenti al gruppo, cioè le società dirigenti e coordinanti e quelli
dirette e coordinate vengono viste come un’unica entità economica e di fatti,
nel bilancio consolidato, vengono eliminate tutte le operazioni all’interno del
gruppo.
Il legislatore vede fisiologicamente il gruppo imponendo degli obblighi di
pubblicità e obbligando a motivare le operazioni infragruppo così i terzi,
leggendo la relazione al bilancio, possono sapere cosa è successo e perché.
C’è un’altra anomalia rispetto al diritto essenziale per cui i soci della società
assoggettata a direzione e coordinamento possono operare il diritto di recesso
anche per delle modificazioni che riguardano la società coordinante e dirigente.
I finanziamenti fatti dalla capogruppo alle società del gruppo vengono
postergati a tutti gli altri crediti come fossero dei finanziamenti fatti da un
socio.
Queste sono le norme che riguardano l’aspetto fisiologico, cioè una
regolamentazione di un’attività consentita e legittima e che la legge riconosce
come fattibile.
Ci sono poi delle regole patologiche, che sono frutto di un’elaborazione molto
complicata che si è strutturata nel tempo, e che danno luogo a parecchi
problemi.
Art. 2497 c.c. contiene quasi tutte le regole patologiche dal punto di vista
civilistico
Art. 2634 c.c. contiene le regole patologiche dal punto di vista penalistico.
Al 3° co. dice che: “ in ogni caso non è ingiusto il profitto della società collegata
o del gruppo se compensato da vantaggi, conseguiti o fondatamente
prevedibili”. [la norma penale è molto più avanzata della norma civilistica].
Il diritto commerciale si è sviluppato in maniera molto più importante anche in
direzioni non così immediatamente percepibili (es. il diritto finanziario) e quindi
nel diritto commerciale si sono verificati alcune direttive di fondo che sono
abbastanza anomale (per esempio, oltre alle regole che ci sono vi sono anche
molti principi).
Quindi, si dettano dei principi o si rimanda per il contenuto dei principi.
Il principio dà luogo ad attività interpretativa da parte dei giudici. È il giudice
che riempie il principio di contenuto concreto, con riferimento al singolo caso.
Proprio per il fatto che il legislatore si basa sempre di più sui principi e non sulle
regole, si è verificato il fenomeno dell’amministrativizzazione del diritto privato.
Fuori dalla causa sono le autorità amministrative che riempiono i principi di
legge di contenuti concreti e generali.
Es: il TUB in tati luoghi delle sue norme dice che le banche devono venire
condotte con una sana e prudente gestione. Di per sé si tratta di una clausola
generale che non vuol dire niente. È la banca d’Italia, l’autorità amministrativa,
che riempie di contenuto questa regola generale.
L’art. 2325-bis c.c. ci dà un’indicazione sulle società quotate. Ci dice che
“sono società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio le società
emittenti di azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse fra il pubblico in
misura rilevante”.
È la CONSOB che con una deliberazione del 1989 ci dice che cosa voglia dire
“misura rilevante”.
Quando parliamo di patologia possiamo far riferimento ad un comportamento
abusivo. Un abuso è un uso non corretto, cioè contrario alle regole e/o ai
principi di legge.
L’art. 2497 c.c. dice che: “le società o gli enti che, esercitando attività di
direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale,
proprio o altrui, in violazione dei principi di corretta gestione societaria e
imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei
confronti di soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore
della partecipazione sociale”.
Si tratta di una norma che riferisce alle società e agli enti. Gli enti sono dei
soggetti giuridici che non sono società ma che entro certi limiti possono
esercitare anche un’attività di tipo imprenditoriale.
La giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato una forma di sottotipo della
società, chiamata società in house, cioè una società apparentemente privata
ma i cui soci sono esclusivamente enti pubblici.
In realtà non è detto che il capogruppo sia necessariamente una società o un
ente.
Art. 12, 2° co. delle preleggi Analogia, cioè qualcosa che è analogo e quindi
paragonabile ad un caso simile.
Art. 2497 c.c.:
Queste società ed enti agiscono nell’interesse di impresa. Parlando di enti
non è detto che questi esercitino un’attività di impresa in quanto un ente
pubblico esercita molte altre attività ma può anche esercitare un’attività
imprenditoriale.
L’impresa commerciale è un’attività e quindi io per svolgere la mia
impresa agisco in ambito imprenditoriale.
Principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale non solo
l’impresa deve essere gestita correttamente ma anche la società.
Business judgement rule regola interpretativa adottata fin dagli anni ’30 negli
USA e presente anche nel nostro ordinamento. Sostanzialmente questa regola
dice che non è possibile una regola di giudizio sulla gestione imprenditoriale
perché la regola di giudizio, per sua natura, viene fatta ex post. Questa regola
dice quindi che non è possibile giudicare ex post un atto di gestione.
L’amministratore ha agito in modo ragionevole quando ha assunto il
maggior numero possibile delle informazioni.
La sanzione del diritto civile è il risarcimento del danno. Quindi le società
che hanno fatto sì che la società controllata non abbia rispettato i principi
di corretta gestione sono direttamente responsabili nei confronti dei soci
delle società controllate. Non è un danno diretto e nemmeno una
conseguenza.
I soci sono i soggetti che hanno diritto a questo risarcimento del danno.
Chi ha provocato il danno nel patrimonio della società controllata
risponde nei confronti dei singoli soci della società per aver recato
pregiudizio alla redditività e al valore della partecipazione sociale.
La legge inoltre dice che in realtà “non vi è responsabilità quando il
danno risulta mancante, alla luce del risultato complessivo dell’attività di
direzione e coordinamento”. Quando diciamo che il danno risulta
mancante vuol dire che non c’è effettivamente. Come faccio in una
gestione imprenditoriale a dire quanto manca? È impossibile.
Tutte queste società vengono viste come un’economia unitaria, cioè tutte
insieme. C’è quindi un interesse di gruppo.
Il 3° co. dell’art. 2497 dice che: “il socio ed il creditore sociale possono agire
contro la società o l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento,
solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta all’attività di direzione
e coordinamento”.
È una norma anormale in quanto prevede che il danneggiato vada a risarcire lo
stesso danno ai propri soci, così raddoppiandolo. L’unico senso che può avere
questa norma è di rimettere anche questa, ma il legislatore non lo dice,
all’interno dei cd. vantaggi compensativi.
LE SOCIETA’ QUOTATE
Art. 2325-bis c.c. prima dà una definizione di società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio e poi al 2° comma c’è scritto che l’ordinamento
sulle S.p.A. si applica anche per le S.p.A. che hanno i titoli quotati, salvo che
non sia diversamente disposto sia dal codice che dalle leggi speciali.
La norma ci dice che occorre vedere cosa dicono le norme speciale. C’è il testo
unico della finanza (decreto del 24 febbraio 1998, n. 98) che si rivolge al
mercato di capitali. Il testo unico non è piccola legge di pochi articoli ma è una
specie di codice. Il testo unico dell’intermediazione finanziaria è la legge
fondamentale della quotazione dei titoli sulle borse, e cioè sul mercato del
capitale di rischio.
La parte degli articoli 113 e ss. è quella più importante che si chiama
“disciplina degli emittenti”.
Il testo dell’intermediazione finanziaria e la specialità delle S.p.A. con i titoli
quotati deriva da un principio generale che è l’art. 47 della costituzione che
dice “la repubblica tutela il risparmio in tutte le sue forme”. La norma
costituzionale va avanti e dice “la repubblica disciplina, coordina e controlla
l’esercizio del credito”. Questo perché all’epoca l’unico istituto finanziario erano
le banche. Oggi non è più così. Abbiamo la disciplina, il controllo e degli
organismi pubblici che fanno le loro regole sulla base della legge, cioè il testo
unico dell’intermediazione finanziaria.
Se non c’è il risparmio allora è inutile dettare le leggi perché a questo punto
non c’è più niente da fare. È il risparmio che costituisce la circolazione di un
qualunque paese.
Una volta le borse valori erano dei fenomeni molto piccoli e il grosso
dell’economia monetaria passava attraverso le banche. Non è esatto che io
dica “ho 1000€ in banca” perché quando li deposito, questi diventano di
proprietà della banca; quindi io ho un credito nei confronti della banca, il cd.
credito a vista (quindi in ogni momento posso andare in banca per chiedere i
soldi). È un mezzo tecnico essenziale perché la banca possa, a sua volta, fare il
suo mestiere.
La gran parte dei fondi che tutti noi diamo alla banca, vanno come prestito alle
imprese.
I prodotti finanziari sono gli strumenti finanziari e ogni altra forma di natura
finanziaria.
L’art. 1933 c.c. dice che “non compete azione per il pagamento di un debito di
gioco o di scommessa, anche se si tratta di un gioco o di una scommessa non
proibiti”. Se noi applicassimo questo art. non verrebbero più fatti contratti del
genere in quanto è evidente che non ci sarebbe il mercato mobiliare
finanziario.
Il legislatore lo sa benissimo, infatti il 5° co., dell’art. 23 del testo unico della
finanza dice che a tutti questi contratti finanziari non si applica l’art. 1933 del
c.c. C’è una specifica disapplicazione (il vizio del gioco che dà luogo a quella
norma cambia completamente e diventa un’attività riconosciuta e tutelata dal
legislatore a livello finanziario).
Es: anni 70 tipografia a NY. Un impiegato, chiamato Chiarella, doveva
redigere determinati documenti e stamparli. Arrivano dei comunicati stampi
che notiziavano che il giorno dopo sarebbe stata deliberata un’importante
fusione tra due importanti società quotate in borsa. La mattina, all’apertura
della borsa, Chiarella faceva le sue operazioni di acquisto dei titoli delle
società. Aveva indovinato e nel giro di 2-3 giorni ha guadagnato 30mila dollari.
La CONSOB americana (SEC) lo chiama in giudizio dicendogli di aver fatto una
cosa che non poteva fare. Non si poteva imbrogliare il mercato: loro avevano
delle informazioni privilegiate, in quanto era un insider, e quindi era come se
giocassero con un mazzo truccato. In realtà Chiarella si è poi difeso dicendo
che non c’entrava nulla. in un primo momento è stato condannato a restituire
questi soldi. Il caso arriva alla corte suprema, che ha assolto Chiarella
sostenendo che lui non era un insider. L’insider aveva un obbligo fiduciario di
mantenere la riservatezza delle cose che sa ma il tipografo non c’entra nulla e
non ha questo obbligo fiduciario. Chi è il soggetto danneggiato? Nessuno.
Quello che è danneggiato è la credibilità e la fiducia del mercato.
Il testo unico della finanza sanziona l’abuso di informazioni privilegiate da 1 a 6
anni.
Se avessimo avuto questo caso, sulla base della norma 184, non avremmo
nemmeno iniziato il processo.
L’art. 185 si intitola “manipolazione del mercato”. Manipolare vuol dire mettere
le mani e spostare le cose nel mercato. Questo art. dice: “ chiunque diffonde
notizia false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi idonei a
provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari è punito
con la reclusione da 1 a 6 anni e con una multa da 20mila euro fino a 5milioni
di euro”.
Il risparmio viene tutelato attraverso una gabbia di regole che fa sì che il
sistema viaggi in maniera corretta.
L’art. 2 del testo unico della finanza è molto importante.
Noi non abbiamo solo il diritto nazionale ma abbiamo anche il diritto
sovranazionale europeo.
Tutte queste norme hanno un ragionamento di fondo che è meno complicato.
Questo si chiama gap informativo. Questo gap informativo è ineliminabile,
inefficiente e positivo.
Fin-tech tecnologia finanziaria. Consiste nella fornitura di servizi finanziari
con l’ausilio della tecnologia. Si tratta di una definizione della commissione
europea.
Parlando di mercati dei valori immobiliari e di attività finanziaria entriamo in un
mondo diverso, sia per la sua struttura, sia per i suoi scopi e soprattutto per
quanto riguarda la formulazione delle norme.
Art. 2325-bis si riferisce alle società che fanno ricorso al mercato del capitale
di rischio. Dopodiché al 2° co. dice che le norme dettate dal c.c. in materia di
S.p.A. sono applicabili anche alle S.p.A. quotate, se non sia diversamente
disposto sia dal c.c. che dalle leggi speciali.
Le eccezioni contenute nel c.c. sostanzialmente riguardano un
riposizionamento e una diminuzione delle percentuali di capitale necessari in
assemblea.
Il testo unico della finanza è una legge speciale ma è considerato una specie di
codice.
L’art. 2 ci dice che tutte le varie autorità che regolano il settore (le agencies)
esercitano i loro poteri in armonia con le disposizioni dell’UE; quindi hanno
come loro referente principale non il parlamento della repubblica italiana ma
l’UE (che ha una capacità di elaborazione legislativa molto elevata).
La tutela sulla privacy non esiste; quella che esiste è la tutela per la protezione
dei dati personali.
Quando la norma ci dice che le autorità devono sempre riferirsi all’UE è molto
rilevante perché l’UE riemette sempre e aggiorna le norme nel giro di poco
tempo. Questo vuol dire che le nostre autorità devono continuamente ricevere
nuove regole da parte dell’UE che continua a risistemare le norme.
Ecco perché bisogna avere ben chiaro alcune cose, in particolare del sistema
della legge.
I dati sono abbastanza a disposizione di chiunque, tranne quelli sensibili che
invece hanno bisogno di un consenso particolare.
L’art. 4 del testo unico dell’intermediazione finanziaria dice che le varie
autorità, tra di loro si scambiano le informazioni. Ma tutte le informazioni
ricevute sono coperte dal segreto d’ufficio, cioè un obbligo generale che se
viene violato dà luogo ad un reato.
L’art. 5 del testo unico della finanza dice che la vigilanza sulle attività
finanziarie ha per obiettivi la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario e
la tutela degli investitori. Gli investitori sono tutti, sia i piccoli risparmiatori che
i grandi investitori. Altri obiettivi riguardano la competitività del sistema
finanziario e l’osservanza delle disposizioni in materia finanziaria.
L’art. 127 del trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) dice che l’obiettivo
principale del sistema europeo di banche centrali è il mantenimento della
stabilità dei prezzi, quindi non bisogna far surriscaldare i prezzi e quindi
provocare l’inflazione. [questa è una norma tedesca e non se ne parla
nemmeno; quindi quando si dice che la BCE non favorisce la crescita è vero in
quanto la legge non glielo consente]. Questo per dire che bisogna abituarsi ad
avere delle norme che vanno elaborate ed interpretate da noi.
La tutela del sistema viene prima di tutto.
La banca d’Italia dice che è competente per il contenimento del rischio (non
per l’eliminazione in quanto non è possibile). Invece, la CONSOB ha una
competenza diversa: ha competenza per quanto riguarda la trasparenza e la
correttezza dei comportamenti. Entrambe operano in modo coordinato al fine di
ridurre al minimo gli oneri gravati sui soggetti che operano sui mercati
regolamentari.
Si vigila su tre livelli:
1. Vigilanza regolamentare: prevede delle regole, i regolamenti, che, a
differenza delle regole che sono rivolte alla generalità dei cittadini, hanno
sì portata generale ma settoriale;
2. Vigilanza Informativa: disciplinata dall’art. 8 del testo unico della
finanza.
3. Vigilanza Ispettiva: possono effettuarla senza limiti sia la CONSOB che
la banca d’Italia. Questo soprattutto per un fine essenziale che va sotto il
nome di “doppia separazione”. Se io do i soldi ad un intermediario
finanziario non diventano suoi, come per la banca, ma li investe in un
patrimonio comune che gestisce ma i soldi restano miei e devono essere
separati dal patrimonio proprio dell’intermediario.
Oggi c’è differenza di informazione, il cd. gap informativo, che è necessario ma
divide in due categorie i cittadini. Questa divisione è necessaria, più o meno, in
tutti i campi.
Nel codice del consumo del 2005, n. 206, viene stabilito all’art. 3 il “dizionario”
del codice del consumo. Le definizioni fondamentali sono due:
1. Consumatore
2. Professionista
Anche qui la differenza è proprio il gap informativo. Il professionista, a
differenza del consumatore, è un imprenditore.
I consumatori sono persone fisiche che agiscono per scopo estranei all’attività
imprenditoriale, commerciale, artigianale e professionale eventualmente
svolta.
Il professionista è sia una persona fisica che una persona giuridica (una
società) che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale,
commerciale, artigianale o professionale o un suo incaricato.
Questa differenza comporta necessariamente che i consumatori, o gli
investitori, devono essere in qualche modo tutelati perché il gap informativo tra
consumatore e professionista è ineliminabile ma si può prestare anche ad
abusi. Altrimenti il professionista che ne sa di più dell’altro potrebbe porre in
essere dei comportamenti abusivi o dannosi senza che l’altro soggetto li
capisca.
Si è sviluppata quella che noi chiamiamo normazione secondaria (non promana
dalla fonte primaria ma ha gli effetti generali tipici delle norme legislative).
In realtà è lì che si trovano tutte le regole specifiche che governano un certo
settore, come, nel nostro caso, la CONSOB che ha emesso tantissimi
regolamenti o deliberazioni che sono generali nel caso di quel settore. Il più
importante era del 14 maggio del 1999 n. 11971.
La legge si pone, nei confronti di questi enti, come una fonte di principi generali
quindi darà solo dei principi generali e ovviamente anche dei poteri. Una volta
che abbiamo un organismo di controllo, quali sono le linee guida entro cui deve
muoversi? Questo lo dice la legge.
L’art. 91 del TUF dice qual è lo scopo per cui è stata istituita l’autorità
amministrativa di controllo. Questo articolo dice che la CONSOB esercita i
poteri previsti dalla presente parte avendo riguardo alla tutela degli investitori,
nonché all’efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e
del mercato dei capitali.
SPIEGAZIONE: Gli investitori, da un punto di vista giuridico, devono essere
tutelati perché esiste l’art. 47 della Costituzione che dice che la repubblica
tutela il risparmio; gli investitori investono i risparmi e quindi è un derivato del
principio costituzionale di tutela del risparmio. Dal punto di vista moderno
sappiamo che noi siamo divisi in due categorie e occorre tutelare i non
professionisti. Trasparenza vuol dire tutelare l’investitore in un modo che lui
capisca. Quando si parla di trasparenza del mercato si parla di informazioni,
che sono quasi sempre molto tecniche.
Tutto il diritto europeo si sviluppa più o meno in questo modo. L’art. 127 del
TFUE dice che esiste la BCE che ha il compito di mantenere la stabilità dei
prezzi ma anche la crescita.
Il prospetto informativo, art. 94, è l’obbligo principale per tutti quelli che
offrono al pubblico i prodotti finanziari e riguarda la trasparenza del mercato e
la tutela degli investitori. Si tratta di un documento che contiene al suo interno
varie informazioni in modo tale che il consumatore sia in grado di investire il
risparmio in un prodotto adatto alle sue esigenze. Il 2° co. dice che il prospetto
contiene, in una forma facilmente analizzabile e comprensibile, tutte le
informazioni che, a seconda delle caratteristiche dell’emittente e dei prodotti
finanziari offerti, sono necessarie perché gli investitori possano pervenire ad un
fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati
economici e sulle prospettive dell’emittente (prospettive economiche di
qualunque professionista del risparmio gestito che opera sul mercato dei
capitali).
Dopodiché c’è un’ulteriore norma, ancora più “speciale”. Come dice la legge, il
prospetto deve contenere altresì una nota di sintesi (riassunto) la quale,
concisamente e con linguaggio non tecnico, fornisce le informazioni chiave
nella lingua in cui il prospetto è stato in origine redatto. Inoltre devono essere
fornite informazioni adeguate circa le caratteristiche fondamentali sui prodotti
finanziari.
La legge dice che qualunque emittente non può collocare nessuno strumento
finanziario sul mercato se prima non c’è il prospetto.
Il 5° co. dell’art. 49 dice che la CONSOB può esigere che l’emittente o
l’offerente includa delle informazioni supplementari.
La CONSOB ha un potere di tipo informativo, cioè riceve dall’emittente il
prospetto, lo esamina e dà i suoi pareri al riguardo ed eventualmente lo
pubblica. Dopodiché la CONSOB può sospendere l’offerta se ha un fondato
sospetto di violazione delle norme di legge. Ha quindi un potere cautelativo di
sospensione (la sospensione è per non più di 10 giorni). Può vietare l’offerta nel
caso in cui abbia fondato sospetto che potrebbero essere violate sia le
disposizioni del TUF che le regole specifiche. La CONSOB ha anche il potere di
rendere pubblico il fatto che l’offerente o l’emittente non ottempera i propri
obblighi.
Art. 50-quinquies TUF (inserito nel 2015) sostanzialmente dice che c’è
un’altra categoria di intermediari finanziari (oltre a banche, assicurazioni,
società di gestione del risparmio… tutti gli OIGR, cioè quelli che collocano il
prodotto finanziario: o io vado da lui o lei viene da me e in questo caso non c’è
il diritto di pentimento; noi però siamo in una società diversa e quindi c’è un
terzo modo di raccogliere danaro: la legge dice che è gestore di portali colui
che esercita professionalmente il servizio di gestione di portali per la raccolta di
capitali per le PMI per gli organismi di investimento collettivo di risparmio e per
le società di capitali che investono principalmente nelle PMI. Occorre iscriversi
nel registro dei gestori di portali per gli investimenti del PMI tenuto dalla
CONSOB).
SOCIETA’ QUOTATE
Nelle società quotate ci sono la maggior parte degli obblighi che sono
informativi c’è l’obbligo di comunicare informazioni all’autorità
amministrativa, la CONSOB, e tutto ciò ha una derivazione costituzionale
all’art. 47.
La disciplina delle società quotate è contenuta in una cinquantina di artt. del
TUF, precisamente dall’art. 119 all’art. 174.
C’era veramente bisogno di una legge diversa per le quotate? Non bastavano
le norme del c.c.? Perché occorre fare delle norme speciali sulle società
quotate? Questa è una legge che ci dice come devono funzionare,
diversamente, le società che sono quotate sui mercati regolamentati. La
risposta a queste domande è semplicissima: passa sotto la definizione di
apatia razionale. Parliamo di ciò in quanto nelle società molto grandi la
grande maggioranza dei soci sono apatici perché sanno che con la loro
partecipazione al miliardesimo del totale delle azioni il loro potere è nullo. Non
vanno nemmeno in assemblea a votare in quanto il loro voto non conta nulla.
allora perché partecipano alla società? Quando parlavamo di gruppi di società
abbiamo fatto riferimento all’art. 2497, che in parte vale anche per i soci
razionalmente apatici. Questo articolo dice che lo scopo del socio della società
è quello di valorizzare la sua quota di partecipazione e avere degli utili. Il socio
apatico non ha nessuna intenzione e nessun potere di intervenire nella
gestione della società. Gli importa solo che la gestione sia positiva in modo tale
che la sua quota valga di più.
Ci sono non solo i soci passivi ma anche i soci attivi. Questi partecipano in una
società grande sulla base di un loro progetto industriale perché hanno un’idea
che non è quella di essere apatici ma intendono realizzare un progetto
industriale in modo tale che la quota poi aumenti.
L’art. 120 del TUF dà una regola fondamentale di trasparenza: coloro che
partecipano in un emittente azioni quotate avente l'Italia come Stato membro
d'origine in misura superiore al tre per cento del capitale ne danno
comunicazione alla società partecipata e alla Consob.
La Consob ha poi, con un regolamento, determinato ciò che la legge dà come
quadro generale dei poteri della Consob (4° co.).
Se la società è una PMI il 3% diventa 5%.
La sanzione più corretta per un socio che non è sottoposto ad apatia razionale
è quella di privarlo del diritto di voto. Il 5° comma dice: “ Il diritto di voto
inerente alle azioni quotate od agli strumenti finanziari per i quali sono state
omesse le comunicazioni previste dal comma 2 non può essere esercitato ”.
Ne deriva che se il socio se frega, e nonostante ciò vota, la delibera che è stata
assunta con il suo voto determinante non è regolare e quindi è annullabile.
Ciò che è nuovo rispetto al c.c. è che il c.c. diceva che potevano agire per
l’annullamento i soci che avevano votato contro, quelli che non c’erano, gli
amministratori e i sindaci. Adesso viene aggiunta anche la Consob.
Prescrizione ho un credito nei confronti di un soggetto e se non lo esercito
per 10 anni è prescritto. È una misura di contenimento. Il termine per le società
è ridotto a 5 anni.
Decadenza non agisce sul diritto ma sull’azione. Sono un socio che ha
votato contro una di queste deliberazioni e quindi ho il diritto di agire per
l’annullamento di essa. Se non lo fa, è decaduto dall’azione in quanto non ha
agito entro il termine stabilito. Il termine di decadenza per impugnare la
deliberazione assembleare è di 90 giorni. La Consob ha invece un termine di
180 giorni.
A quest’obbligo di comunicazione vi è un’eccezione: tutti i soci che partecipano
per il 3% devono dare l’informazione, tranne se il socio è il ministero
dell’economica e delle finanze. Per le partecipazioni di questo soggetto non c’è
questo obbligo. Il 6° co. infatti dice: “Il comma 2 non si applica alle
partecipazioni detenute, per il tramite di società controllate, dal Ministero
dell’economia e delle finanze. I relativi obblighi di comunicazione sono
adempiuti dalle società controllate”.
L’art. 122, 1° co., dice che anche i cd. patti parasociali che hanno come
oggetto l’esercizio del diritto di voto, vanno comunicati alla Consob.
I patti parasociali sono degli accordi di diritto privato, dei contratti, che però
hanno ad oggetto l’esercizio di diritti che afferiscono ad una società. L’oggetto
di questo contratto è l’esercizio di determinati diritti all’interno della società. I
patti parasociali si distinguono in 2 categorie:
- Di blocco: ci mettiamo tutti d’accordo nel senso che se uno ha necessità
di vendere le sue azioni, prima di venderle a terzi le vende a qualcuno di
noi. Solo se nessuno accetta questa offerta, allora è possibile venderli al
di fuori.
- Di voto/di sindacato: parte di noi conclude un contratto in cui
decidiamo che prima di andare in assemblea ed esercitare il diritto di
voto ci troviamo tutti insieme e decidiamo, per quanto riguarda le nostre
quote, che in esse votiamo tutti insieme e in un certo modo, o addirittura
diamo delega ad un unico soggetto ad andare in assemblea e votare in
un certo modo. Sono dei patti che la legge non vede con negatività.
1° co., art. 122 “I patti, in qualunque forma stipulati, aventi per oggetto
l'esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che
le controllano entro cinque giorni dalla stipulazione sono: a) comunicati alla
Consob; b) pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana; c) depositati presso
il registro delle imprese del luogo ove la società ha la sua sede legale; d)
comunicati alle società con azioni quotate”.
Se non adempiamo gli obblighi pubblicitari, il nostro diritto di voto non può
essere esercitato.
Vengono inseriti tra i patti parasociali anche i patti che istituiscono degli
obblighi di preventiva consultazione e altre poche categorie.
Nelle società quotate vi è un organismo di controllo. Hanno quindi un’autorità
che regola il mercato, la Consob.
Risparmio: ciò che avanza dal mio guadagno e che non mi occorre per far
fronte ai bisogni della vita quotidiana. Senza risparmio un paese moderno non
vive in quanto il risparmio è stato equiparato alla circolazione sanguigna di un
paese (con il risparmio facciamo andare avanti le imprese le imprese danno
lavoro e guadagno ai cittadini che lavoro i cittadini risparmiano; si instaura un
circolo vizioso).
In base a delle statistiche è stato calcolato che l’italiano medio, rispetto a 10
anni fa, è più povero di 20.000€. Quindi, proprio per questo, il risparmio va
tutelato. Vengono fatti anche una serie di convegni che tendono ad incentivare
e comunque chiarire cos’è il risparmio.
I diritti dei soci sono diversi, l’amministrazione delle società quotate è diversa,
così come il controllo.
C’è un’importante sezione legislativa, OPA (Offerte Pubbliche di Acquisto), che
sono obbligatorie in quanto la legge vuole che gli azionisti di una società
quotata siano tutti parificato quanto a rendimento del loro investimento. L’OPA
ha lo scopo di livellare i rendimenti di tutti gli azionisti.
Le regole in materia di società quotate le troviamo nel TUF e in tutti i
provvedimenti che la Consob ha assunto in tema di regole.
Per poter collocare tra il pubblico dei prodotti finanziari tutti devono predisporre
e sottoporre all’esame della Consob un prospetto informativo.
Art. 123bis TUF: gli amministratori devono fornire informazioni non tanto
diverse ma comprensibili e quindi ridotte, su tanti oggetti.
Tutta la regolamentazione discende sempre dalla tutela del risparmio. Se non ci
fosse la norma costituzionale non avremmo tutte queste norme.
Il secondo blocco di regole è rappresentato da quella sezione del TUF, chiamata
“diritti dei soci”, e che troviamo agli artt. 125bis ss.
Quotate vuol dire:
1. La compagine sociale, i soci, possono cambiare mille volte al giorno
2. In ogni momento, dal lunedì al venerdì, c’è un prezzo
C’è un’autorità che sorveglia che il mercato funzioni bene e può sospendere la
quotazione: in genere si sospende la quotazione per eccesso di rialzo o per
eccesso di ribasso.
Il socio ha diritto di voto in assemblea.
Nelle società “public” la gran parte dei soci non esercita questo diritto di voto
perché magari non gli interessa o perché comunque il voto sarebbe irrilevante.
Quando si parla di diritto di voto, sostanzialmente, si parla di soci che hanno
investito delle somme abbastanza rilevanti.
La Consob può, con una sua delibera, regolamentare altre modalità di
pubblicizzazione.
L’art. 125bis dice che:
L’assemblea è convocata mediante avviso pubblicato sul sito Internet della
società entro il trentesimo giorno precedente la data dell’assemblea, nonché
con le altre modalità ed entro i termini previsti dalla Consob con regolamento
emanato ai sensi dell’articolo 113-ter, comma 3, ivi inclusa la pubblicazione
per estratto sui giornali quotidiani.
Nel caso di assemblea convocata per l'elezione mediante voto di lista dei
componenti degli organi di amministrazione e controllo, il termine per la
pubblicazione dell'avviso di convocazione è anticipato al quarantesimo giorno
precedente la data dell'assemblea.
Art. 147ter: “Lo statuto prevede che i componenti del consiglio di
amministrazione siano eletti sulla base di liste di candidati e determina la
quota minima di partecipazione richiesta per la presentazione di esse, in
misura non superiore a un quarantesimo del capitale sociale o alla diversa
misura stabilita dalla Consob con regolamento tenendo conto della
capitalizzazione, del flottante e degli assetti proprietari delle società quotate.
Le liste indicano quali sono gli amministratori in possesso dei requisiti di
indipendenza stabiliti dalla legge e dallo statuto. Lo statuto può prevedere che,
ai fini del riparto degli amministratori da eleggere, non si tenga conto delle
liste che non hanno conseguito una percentuale di voti almeno pari alla metà
di quella richiesta dallo statuto per la presentazione delle stesse; per le società
cooperative la misura è stabilita dagli statuti anche in deroga all’articolo”.
Almeno uno dei componenti del consiglio di amministrazione è espresso dalla
lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti e non sia
collegata in alcun modo, neppure indirettamente, con i soci che hanno
presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti.
Comma 1-ter: “lo statuto prevede, inoltre, che il riparto degli amministratori da
eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi.
Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo degli
amministratori eletti”.
Nelle S.p.A. vi è la possibilità, da parte dei soci, di chiedere la convocazione
dell’assemblea indicando le materie da trattare (art. 2377 c.c.).
L’art. 125quater dice cosa la società deve mettere sul proprio sito internet.
Art. 127ter: “Coloro ai quali spetta il diritto di voto possono porre domande
sulle materie all'ordine del giorno anche prima dell'assemblea ”. Questa cosa,
nelle altre società non quotate, può farla solo in assemblea. il termine entro il
quale porre le domande può essere al massimo 3 giorni prima. Queste
domande vengono messe a disposizioni di tutti sul sito internet.
Questo diritto è importante in quanto tutti i soci ne sono al corrente e gli
amministratori hanno il tempo di elaborare le risposte.
La disciplina per quanto riguarda i diritti dei soci è particolare sia per il termine
che viene dato per informarsi e sia per quanto riguarda i poteri. Questi sono i
diritti dei soci.
Art. 127quater: è possibile che se lo stesso azionista tiene lo stesso titolo
azionario per un periodo continuativo indicato nello statuto, comunque non
inferiore ad 1 anno, la società può riservarti una maggiorazione del dividendo
fino al 10% in più rispetto al dividendo che viene dato agli altri. Viene dato una
specie di “premio fedeltà”. Questo tipo di incentivi è molto diffuso. Dando dei
soldi in più ai soci che restano fermi ne vengono avvantaggiati anche tutti gli
altri in quanto si mantiene il corso del titolo.
L’unica forma per avere un cambio di proprietà di queste azioni privilegiate e
non perdere il privilegio è che io le riceva per causa di morte.
L’art. 127sexies introduce la maggiorazione del diritto di voto e il voto
plurimo, un ulteriore forma di premio fedeltà. Questo articolo dice: “ le azioni a
voto plurimo emesse anteriormente all'inizio delle negoziazioni in un mercato
regolamentato mantengono le loro caratteristiche e diritti”.
Per livellare il gap informativo, che deve esserci, bisogna cercare di diminuirne i
pericoli di abuso. Dovunque c’è una posizione non livellata, c’è un pericolo di
abuso.
Non dobbiamo però dimenticarci che stiamo parlando di diritto finanziario,
quindi di danaro. Questo ci interessa perché c’è una norma che è vero è dettata
nell’ambito della regolamentazione dei gruppi ma è una norma molto generale
(art. 2497 c.c.). Questo articolo ci dice che i soci tendono ad avere la redditività
e il valore dell’investimento.
Redditività utile che deriva dalla gestione societaria.
Art. 106, 2° co.: “Per ciascuna categoria di titoli, l'offerta è promossa entro
venti giorni a un prezzo non inferiore a quello più elevato pagato dall'offerente
e da persone che agiscono di concerto con il medesimo, nei dodici mesi
anteriori alla comunicazione di cui all'articolo 102, comma 1, per acquisti di
titoli della medesima categoria”.
Da un lato è uno strumento di corretto svolgimento di un mercato (luogo ideale
dove, per ogni titolo che si tratta, c’è sempre un prezzo).
L’offerta è pubblica nel senso che è rivolta a chiunque detenga quel tipo di
titolo.
La prova non sarà mai una prova fisica (es. io ho il titolo cartaceo). Per
dimostrare la mia legittimazione, cioè che possiedo quel determinato titolo, c’è
un’attestazione dell’intermediario finanziario che attesta che io ho, ad esempio,
100.000€ di quel determinato strumento finanziario che identifico con il codice
ISIN (= targa auto ma + lunga).
Dall’altra parte è uno strumento di perequazione perché tutti i possessori di
quel determinato strumento finanziario, con quel determinato codice ISIN,
devono essere trattati allo stesso modo.
Il danaro non è liberamente emesso: viene emesso a seguito di una
deliberazione del consiglio della BCE. Si passa poi l’ordine all’istituto poligrafico
dello stato che stampa il danaro. Che cosa stampa? Dei pezzi di carta che in
realtà non valgono nulla. Alcuni dicono che diventa danaro quando è immesso
nel circuito monetario. Altri dicono che una volta che è stampato è danaro.
Adesso, periodicamente, presso le banche vengono ritirate tutte le banconote
usurate e le sostituiscono con banconote nuove. Qualcuno a volte riesce ad
impadronirsi di queste banconote usurate e quello è comunque danaro.
Strumenti finanziari misure di valori che dipendono da altre variabili (variabili
di tassi di cambio, variabili di prezzi di materie prime…).
Quello che dice la legge quando parla di o.p.a. è che è vero che questi
strumenti finanziari sono quotati sul mercato di capitale di rischio (perché non
è garantito che io guadagni), ma all’interno di quel determinato titolo, con quel
determinato codice ISIN, se c’è la quotazione di quel titolo sul mercato
pubblico, tutti devono essere trattati allo stesso modo.
Nel diritto privato sappiamo che ogni volta che si conclude un contratto si è
modificato l’ordinamento fattuale giuridico precedente e finché non c’è
l’accettazione del contratto posso sempre ritirare la mia offerta. Nel caso
dell’o.p.a. la regola del diritto privato non vale più.
La società target non può modificare il proprio assetta. Una volta lanciata
l’offerta la società non deve modificare il proprio assetto (art. 103).
L’o.p.a. diventa obbligatoria quando si superano determinate soglie di
partecipazione che sono molto importante. La legge all’art. 106 prevede il 30%.
Il flottante è la quota che c’è sul mercato.
La legge ha previsto, all’art. 109, che sarebbe tropo semplice evitare tutte
queste regole di legge. Se il soggetto che detiene più del 30% non è uno solo
ma sono in 5 e nessuno detiene il 30% a nessuno dovrebbe applicarsi la legge
ma se agiscono di concerto (insieme) senza che nessuno dei singoli abbia in
totale del 30% possono raggiungere questa quota solo insieme. La legge dice
che tutti questi obblighi di o.p.a. obbligatoria e residuale si applicano non solo
ai soggetti individuali ma anche a seguito di acquisti effettuati quando le
persone agiscono di concerto, cioè insieme.
Art. 110 La sanzione consiste nella sterilizzazione del diritto di voto.