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INTRODUZIONE:

1. IL DIRITTO COMMERCIALE:
Nel nostro sistema di diritto privato è presente un complesso di norme riferito agli imprenditori, questo poiché la
Costituzione determina un sistema giuridico che riconosce la proprietà privata e la libertà di iniziativa economica
(art.41 e 42 Cost.); inserendo il nostro paese in un modello di sviluppo economico basato sull’economia libera di
mercato, in cui il fenomeno imprenditoriale costituisce l’asse portante del sistema economico.

Nel nostro ordinamento è presente quindi una normativa (c.c.+ norme speciali) che riguarda:
a) Sia i singoli rapporti economici in cui si sviluppa l’attività d’impresa, una disciplina dei singoli atti di
autonomia privata a contenuto patrimoniale e volti dunque al soddisfacimento dei bisogni materiali della
collettività;
b) Sia l’attività d’impresa unitariamente considerata, la libertà di competizione economica, disciplina della
sua organizzazione e del suo esercizio, volta al raggiungimento del massimo guadagno.

Il diritto commerciale moderno è quella parte del diritto privato che regola ed ha per oggetto l’attività e gli atti
d’impresa; ma non è solo il diritto del commercio e dei commercianti (=diritto privato delle imprese).
Non lo è perché:
 Imprese giuridicamente commerciali non sono solo quelle dedite al commercio, ma sono tutte le imprese
(industriali, bancarie, assicurative, di trasporto ecc.) ad eccezione di quelle agricole come si deduce
dall’art.2195 c.c.;
 Nel sistema vigente tutti gli imprenditori (e non solo quelli commerciali) sono sottoposti ad uno speciale
statuto professionale.
Il diritto commerciale lo si etichetta come tale ormai per ragioni storiche; il diritto commerciale è stato ed è
ancora oggi:
a) Diritto speciale in quanto costituito da norme diverse da quelle valevoli per la generalità dei consociati;
b) Diritto tendente all’uniformità internazionale, per far identificare quelle esigenze giuridiche comuni alla
vita economica di tutti i paesi a economia di mercato e per una progressiva liberalizzazione dei rapporti
commerciali internazionali;
c) Diritto in continua evoluzione.

2. L’EVOLUZIONE STORICA DEL DIRITTO COMMERCIALE. IL DIRITTO STATUTARIO DEI


MERCANTI:
La formazione di un sistema organico del diritto commerciale si fa risalire al basso Medioevo, col tramonto del
sistema feudale, la riapertura dei mercati e la fioritura dell’economia di scambio. Accompagnata dalla nascita
delle Corporazioni di Arti e Mestieri.
Il diritto commerciale nasce dall’esigenza del ceto mercantile di una giustizia amministrata secondo procedure
agili, rapide e rese secondo gli usi mercantili, anziché sulla base dell’incerto ed inadatto diritto comune.
Nelle sue linee essenziali il diritto commerciale delle origini è un diritto speciale su due piani:
I. Piano Formale: dotato di proprie fonti e propri organi di giustizia, distinti da quelli su cui si fonda il diritto
comune;
II. Piano Sostanziale: basato su regole e principi, facilità degli scambi e tutela del credito, diversi e distinti da
quelli dello ius civile.
Si tratta di un diritto definibile come un diritto di classe in quanto espressione del ceto mercantile, ma non
asservito ai suoi interessi, piuttosto orientato a favorire un generale sviluppo della ricchezza.
Si tratta di un diritto a vocazione universale, un diritto internazionale uniforme.

3. IL DIRITTO DEGLI ATTI DI COMMERCIO E DEI COMMERCIANTI:


Nel Cinquecento si ha in Europa la formazione degli Stati monarchici e l’affermarsi di una politica interventista
nella vita economica, la quale segna la fine dell'autonomia normativa delle corporazioni mercantili.

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Il diritto commerciale diventa diritto statale e nazionale. L’attività economica è vista come strumento di
accrescimento della potenza dello Stato e di espansione economica e territoriale ed è così che nascono i prototipi
della moderna società per azioni: le compagnie coloniali olandesi e inglesi nelle quali si afferma il principio della
responsabilità limitata dei soci e della divisione del capitale in azioni.

CODIFICAZIONE DEL DIRITTO PRIVATO


Il diritto commerciale conserva la sua formale distinzione dal diritto civile anche nell’Ottocento con le
Codificazioni del diritto privato le quali portarono all’emanazione di due distinti codici di diritto privato: il codice
civile del 1882 ed il codice di commercio del 1865 (sostituito nel 1882); ma la giurisdizione, già statale, è poi
unificata a quella civile.
Il codice di commercio abbandona l’originaria impostazione soggettiva, amplia la sua sfera di applicazione non
regolando più solo alla categoria degli atti di commercio e l’attività dei commercianti; inoltre si realizza un decisivo
ampliamento della sfera di applicazione dei principi di diritto commerciale come riflesso della rivoluzione
industriale.
Abbiamo il tramonto dell’epoca in cui i mercanti erano al centro della vita economica, questi vengono infatti
sostituiti dalla figura degli industriali e dei banchieri.
 Così sono commercianti tutti coloro che esercitano atti di commercio per professione abituale, e non solo i
mercanti. Viene qualificato giuridicamente come commerciante chiunque operi abitualmente nel campo della
produzione e della distribuzione (società commerciali= industriali, banchieri, imprese di trasporto, ecc.), con la
sola eccezione degli artigiani, degli agricoltori ed enti pubblici.

Nell’ambito di applicazione del diritto commerciale rientrano tutti gli atti di commercio, anche se nessuna delle
parti è commerciante e, alla legge commerciale è sottoposto inoltre chiunque contratti con un commerciante,
anche se non è commerciante. Così facendo il diritto commerciale regola la maggior parte dei rapporti sociali, e
prevale sul diritto civile per quanto riguarda lo svolgimento dell'intero ciclo economico.
Per il Codice italiano del 1882 rientrano negli atti di commercio:
I. Atti oggettivi di commercio, elencati dall’art.3, anche se occasionali;
II. Atti soggettivi di commercio, quegli atti svolti da un commerciante nell’esercizio
III. della propria attività;
IV. Atti di commercio unilaterali, commerciali per anche una sola delle parti.

4. IL DIRITTO PRIVATO DELLE IMPRESE:


Nel nostro paese il sistema dualistico è finito con la riforma legislativa del 1942 che ha integrato il Codice di
Commercio in quello Civile sotto il titolo di Libro del Lavoro.

Tre dati delineano l’attuale fisionomia della nostra disciplina:


1. Scompare la categoria degli atti di commercio e la disciplina è riorganizzata attorno alla figura
dell’imprenditore commerciale, al posto che il commerciante.
Riflesso di una realtà sociale caratterizzata dalla presenza di organismi economici complessi: le imprese.
2. È superata la radicale contrapposizione fra industria e commercio, fra agricoltura ed artigianato e fra
operatori economici privati e pubblici.
È delineata all’art.2082 una nozione generale ed unitaria di imprenditore, di cui l’imprenditore
commerciale è una species.
3. L’unificazione del diritto delle obbligazioni e dei contratti: permangono alcune norme specifiche, ma
scompare la contrapposizione fra atti civili e commerciali, fra obbligazioni civili e commerciali; si ha la
commercializzazione del diritto, nella misura in cui si rendono generali e comuni i principi e le regole che
erano, nel sistema dualistico, propri di atti ed obbligazioni prettamente commerciali.
Tuttavia, questo non segna la fine del diritto commerciale come autonoma categoria del diritto privato:
resta sempre identificabile un complesso di norme applicabili solo agli imprenditori nello svolgimento
della loro attività.

5. IL DIRITTO COMMERCIALE ATTUALE. PROSPETTIVE:

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Dal 1942 sono intervenuti molti mutamenti del sistema politico economico:
1. La Costituzione repubblicana del 1948 la quale ha ribadito il Principio della libertà di iniziativa economica
privata, nel contempo ha delineato nuovi valori da tutelare e ha fissato nuove direttive programmatiche
della legislazione.
2. Mutamenti del sistema economico e relativa legislazione.
Si è affermato nel tempo il fenomeno della grande impresa, risultato della “privatizzazione” di molte imprese
pubbliche, in merito:
 L’istituto delle società per azioni, prima unitario, oggi tende a polarizzarsi con l’introduzione nel 1974
delle società per azioni quotate in borsa.
 Le prospettive di finanziamento della grande impresa mediante appello al pubblico risparmio si sono
ampliate a partire dal 1983.
 Nel 1979 è stata introdotta una nuova procedura concorsuale: l’amministrazione straordinaria delle
grandi imprese in crisi, poi riformata.
 La legge 287/1990 ha introdotto una normativa nazionale a tutela della struttura concorrenziale del
mercato
3. La costituzione della Comunità europea, oggi Unione Europea. Questa è volta alla realizzazione di un
mercato comune, realizzato e protetto tramite:
a. La costituzione di un vero e proprio ordinamento sovranazionale, con competenze relative alla
tutela della libertà di commercio fra Stati.
b. Progressivo avvicinamento delle singole legislazioni nazionali, tramite le direttive comunitarie volte
alla armonizzazione;
4. La globalizzazione dei mercati, con la conseguente esigenza di certezza delle transazioni la quale induce
sempre più a svincolare le contrattazioni internazionali dalle singole leggi nazionali ed a fondarle su regole
contrattuali uniformi.

6. DIRITTO COMMERCIALE E DIRITTO DELLE IMPRESE:


Il diritto commerciale non è tutto il diritto delle imprese, lo è al pari della disciplina laburista, tributaria e
pubblicistica.

L’IMPRENDITORE:
Art. 41: “L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da
recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni
perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Esistono delle formalità riguardo l’inizio e fine delle imprese, ma hanno delle finalità ben precise e quindi non
incidono nell’avvio dell’attività dell’impresa ovviamente vi sono attività particolari che richiedono formalità
precise e che di conseguenza possono essere realizzate solo da determinate imprese.
Art. 2082: “È imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi”.
Fornisce la definizione di imprenditore. È da questa norma che bisogna partire per identificare chi è imprenditore
commerciale. La qualifica dell’impresa deriva dal fatto che è imprenditore chi la svolge. 3 elementi “minimi”
fondamentali previsti dall’articolo:
1. Esercizio dell’attività economica. Economicità= concetto fondamentale nella qualifica di imprenditore
perché se un’attività non è economica non qualifica un imprenditore. Anche il termine attività è
importante perché indica un insieme di atti che qualifica l’imprenditore. Economicità= pareggio dei ricavi
con costi non basta che l’attività sia a scopo di lucro: non è fondamentale per la qualifica di un’attività
economica il fatto che essa venga svolta con scopo di lucro. È necessario che l’attività sia realizzata con
metodo economico, ovvero che ci sia un pareggio, che deve essere riscontrato effettivamente ( non
riscontrabile solo dal fatto che un’impresa è in perdita). Ovviamente finché sussiste la condizione per cui i
costi ricoprono i ricavi, si parla sempre di imprenditore, anche se ispirato a fine pubblico, ideale, o
altruistico (anche enti di diritto privato come associazioni e fondazioni) o anche se le condizioni di
mercato non consentano di remunerare i fattori produttivi.

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Il requisito dell’economicità deve sussistere nell’attività dell’impresa per poterne definire una tale.
L’impresa è attività produttiva (serie di atti) finalizzata alla produzione o allo scambio di beni e servizi.
Perché l’attività sia economica (da un punto di vista giuridico) non è essenziale che essa abbia scopo di
lucro, essendo individuabile l’attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità
dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi.
Non è impresa l’attività di mero godimento, ovvero l’attività che non dà luogo alla produzione di nuovi
beni e servizi ma che gode esclusivamente di beni/servizi preesistenti.
Esempi: Impresa pubblica e sociale: fattispecie di attività economiche, in entrambi i casi troviamo una
definizione normativa del fenomeno (sono stabilite delle norme scritte che rispettano i criteri
dell’articolo). Lo stato avvia un’impresa pubblica per finalità economico-politiche che devono rispettare il
requisito dell’economicità: non ci possono essere costi>ricavi, ma deve essere previsto per lo meno un
pareggio nell’esempio dello stato italiano questo aspetto non è stato sempre rispettato, però allo
stesso tempo ha imposto la necessità di intervenire quando un’impresa pubblica sia in perdita:
intervenire= procede alla chiusura dell’azienda. L’impresa sociale è un altro esempio di impresa che non
ha scopo di lucro ma ha una finalità sociale: ciò è talmente importante che è vietata una distribuzione di
dividendi (qualora ci siano) più alta di quella istituita dal legislatore (si intende anche una distribuzione di
dividendi occulti). Tutta questa attenzione per quanto riguarda il fatto che un’impresa sociale non deve
avere uno scopo di lucro è dovuta al fatto che essa riceve un trattamento fiscale di favore proprio in
quanto si prefigge un obiettivo sociale piuttosto che di lucro.
Riguardo l’attività economica si è arrivati a sostenere la necessaria liceità dell’attività economica per
poterla definire tale: si presuppone che ciò che si svolge durante l’attività venga svolto in un ambito
lecito. Problema dell’impresa illecita è necessario andare a riflettere sulla natura della illeceità
dell’impresa: un’impresa può essere illecita per diversi motivi. Ad esempio, un’impresa che svolge
un’attività lecita ma non segue l’iter previsto dalla legge ben preciso e necessario affinché questa sia
considerata un’impresa a tutti gli effetti (deficit di caratteristiche organizzative, formali…), è definita
un’impresa illecita in questo caso il soggetto che gestisce l’impresa può essere sempre considerato un
imprenditore. Impresa illecita= esistono quei fenomeni in cui lo stesso soggetto imprenditoriale svolge
attività in parte lecita e in parte illecita. Il legislatore ritiene illecita anche l’impresa in cui l’attività illecita
risulti per valore nettamente superiore alla parte lecita di attività svolta.
L’impresa immorale invece è caratterizzata da una illegalità sostanziale, ovvero è l’attività economica in
sé ad essere illecita secondo un orientamento, in questo caso il legislatore non può consentire che tale
attività sia considerata impresa, cioè non si può mai parlare di impresa. Secondo un altro orientamento è
necessario fare una serie di altri ragionamenti.
Esistono diversi tipi di imprese. Esse si distinguono per:
 Oggetto distinzione tra imprenditore commerciale (art. 2135) e imprenditore agricolo (art.
2195);
 Dimensione distinzione tra piccolo imprenditore (art. 2083) e imprenditore medio-grande, le
grandi imprese hanno poche norme specifiche;
 Partecipazione questo criterio riguarda la natura del soggetto che esercita l’impresa e troviamo
la distinzione tra impresa individuale, impresa societaria e pubblica. Ciascun tipo d'impresa ha
obblighi diversi. Possiamo immaginare anche altre distinzioni di minore rilievo (imprese pubbliche
e private).
2. Organizzazione= lavoro + capitale. Il mix tra queste due unità può essere uguale come no. In ogni caso
l’imprenditore organizza capitale e lavoro: questo concetto è rilevabile in modo molto esplicito quando si
osserva l‘inizio e la fine di un’impresa. Impresa= somma di attività e passività, flusso di contratti tutto
ciò è un mero elenco che è ben visibile soprattutto all’inizio e alla fine dell’impresa, ma sarà
l’organizzazione a far sì che questo elenco possa essere caratteristico di una reale impresa.
È normale e tipico che un imprenditore si doti di un complesso produttivo.
Si discute se un’impresa totalmente priva di lavoro o di capitale possa essere considerata un’impresa (ad
esempio nella piccola impresa spesso il fattore capitale è molto basso, mentre altre imprese sono
caratterizzate soprattutto da capitale e poco fattore lavoro). Si è arrivati però alla conclusione che è
imprenditore anche chi opera senza utilizzare altrui prestazioni lavorative autonome o subordinate e chi
no si dota di un apparato aziendale composto di beni mobili e immobili.

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Fa parte dell’organizzazione di un’impresa anche definire specifiche modalità di svolgimento dell’attività.
Il problema però si pone per quanto riguarda il confine tra imprenditore e lavoratore autonomo: sono da
considerare imprenditori anche quegli operatori economici la cui attività produttiva si fonda
esclusivamente sul loro lavoro personale? Il lavoratore autonomo è colui che utilizza esclusivamente il
proprio lavoro a fini produttivi, quindi con la mancanza totale di un minimo di “etero organizzazione”. Il
lavoratore autonomo (proprio perché manca l’etero organizzazione) non può essere considerato un
imprenditore ne deriva che un minimo di organizzazione di lavoro altrui o di capitale è necessaria per
definire un’impresa (anche se piccola) tale.
3. Professionalità. Professionalità=non occasionalità, ma abitualità di una data attività produttiva (può
anche essere un’attività stagionale, basta che sa abituale). La professionalità non richiede che quella di
impresa sia l’attività unica e principale. Si ha l’impresa anche se si opera per il compimento di un “unico
affare” se questo comporta il compimento di operazioni molteplici e l’utilizzo di un apparato produttivo
complesso.
Si considera impresa anche la cosiddetta “impresa per conto proprio”, ovvero l’impresa che produce beni
o servizi destinati ad uso o consumo personale.
Caso dei liberi professionisti non sono mai imprenditori. Disciplinati dall’art.2238: Se l'esercizio della
professione costituisce elemento di un'attività organizzata in forma di impresa, si applicano anche le
disposizioni della disciplina di impresa. Esempio: medico che gestisce una clinica privata nella quale
opera si è in presenza di due distinte attività (quella intellettuale e di impresa) quindi si applicano nei
confronti dello stesso soggetto la specifica disciplina dettata per la professione intellettuale e la disciplina
dell’impresa.
Artt.2229-2238 c.c. statuto specifico per i professionisti intellettuali. sono esonerati dallo statuto
dell’imprenditore. Non ci sono delle vere ragioni di esclusione dei professionisti dalla categoria degli
imprenditori, si tratta probabilmente di un vero e proprio privilegio.
Tutti gli imprenditori sono assoggettati a una disciplina base comune, lo “Statuto dell’imprenditore”: questo
comprende in parte la disciplina dell’azienda (artt. 2555-2562), dei segni distintivi (artt. 2563-2574), della
concorrenza e de consorzi (artt. 2595-2620). Oltre allo statuto generale dell’imprenditore esiste anche lo statuto
dell’imprenditore commerciale non piccolo.

1. L’imprenditore agricolo:
L’imprenditore agricolo è sottoposto solo alla disciplina prevista per l’imprenditore generale ed è esonerato, salvo
per alcuni aspetti, dalla disciplina dell’imprenditore commerciale (tenuta delle scritture contabili,
assoggettamento al fallimento e altre procedure concorsuali). L’imprenditore agricolo gode di un trattamento di
favore rispetto all’imprenditore commerciale.
All’art. 2135 troviamo una specifica definizione di imprenditore agricolo. Con il d.lgs. 228/2001 la norma
riguardante l’imprenditore agricolo è stata largamente ampliata.
Coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di bestiame sono attività tipicamente e tradizionalmente
agricole, quindi caratteristiche dell’attività agricola. Il continuo sviluppo tecnologico però ha permesso
un’evoluzione dell’agricoltura rendendola sempre più industrializzata ciò ha reso possibile ottenere prodotti
che dal punto di vista della merce prodotta sono agricoli, ma che sono ottenuti con metodi che prescindono dallo
sfruttamento della terra c’è un contrasto tra la definizione legislativa di impresa agricola e quella che è oggi
l’impresa agricola e questo ha reso necessario un intervento per modernizzare la norma (d.lgs.).
Nel nuovo testo formativo a coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali sono state aggiunte anche
le “attività connesse”. Inoltre, il termine bestiame è stato sostituito con quello più ampio di animali.
Differenza tra:
 Attività essenziali: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di bestiame; qualsiasi tipo di
produzione di specie vegetali o animali;
 Attività connesse.
All’imprenditore agricolo essenziale è stato equiparato con il d.lgs. anche l’imprenditore ittico.

Le attività connesse:

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Art. 2135 c.c.= Le attività agricole sono quelle attività dirette alla coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento
di animali e attività connesse. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore
agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che
abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento
di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di
attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività
di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite
dalla legge.
Il concetto di attività connesse è molto complesso. Questo deriva da due specificazioni:
 Criterio della connessione soggettiva. La qualificazione di attività agricola di quell’attività presupposta
all’attività connessa (il soggetto che la esercita deve essere già di per sé imprenditore agricolo perché
svolge tutte le attività sopra citate e in particolare l’attività essenziale coerente con quella connessa);
 Criterio della connessione oggettiva fra le due attività.
 Criterio della prevalenza (il più importante). Deve riguardare prodotti ottenuti direttamente dallo
sfruttamento del fondo, l’elemento agricolo deve essere prevalente rispetto al resto (rispetto all’attività
commerciale, all’elemento capitalistico, ecc.). è necessario e sufficiente che le attività connesse non
prevalgano, per rilievo economico, sull’attività agricola essenziale.
Data la complessità del concetto di attività connesse è molto importante precisare (da un punto di vista
normativo) quando un’attività intrinsecamente commerciale possa qualificarsi come agricola per connessione.
La disciplina dell’imprenditore agricolo è cambiata notevolmente a partire del 2001, in quanto prima delle
modifiche la norma era molto stringata. L’attività connessa è un’attività di per sé commerciale, ma diventa
agricola se si rispettano le regole di connessione soggettiva (ovvero lo stesso soggetto deve svolgere sia l’attività
agricola che quella connessa) ed oggettiva (ovvero l’attività svolta non può essere del tutto distonica da quella
agricola, ma deve essere una modificazione di essa, il prodotto ottenuto deve provenire dalla lavorazione del
fondo agricolo). Lo statuto dell’imprenditore commerciale non si applica all’imprenditore agricolo, inoltre
quest’ultimo è soggetto ad una disciplina tributaria maggiormente agevolata questo perché il soggetto un
doppio rischio: il rischio di impresa (che può andar bene o andar male) e il rischio che la sua attività venga
deturpata anche da fattori atmosferici.

Classificazione in base all’oggetto dell’attività:


 Imprenditore agricolo è importante distinguerlo da quello commerciale
 Imprenditore commerciale.
2. L’imprenditore commerciale:
La locuzione statuto dell’imprenditore commerciale indica quelle norme che sono specifiche dell’imprenditore
commerciale e che ne regolano l’attività. Il legislatore si preoccupa di stabilire tali norme soprattutto per i terzi,
andando a stabilire una serie di norme che regolino l’interazione tra imprenditore e mercato.
Per legge, è imprenditore commerciale ‘imprenditore che esercita una o più delle categorie di attività elencate
all’art. 2195, che sono:
 Un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi settore delle imprese industriali;
 Un'attività intermediaria nella circolazione dei beni settore del commercio;
 Un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
 Un'attività bancaria o assicurativa;
 Altre attività ausiliarie delle precedenti.
Quest’elencazione però non ha valore tassativo perché la distinzione tra imprenditore agricolo e commerciale
esaurisce la classificazione in base all’oggetto dell’attività per cui possono essere imprenditori commerciali anche
quelli che non rientrano direttamente in questo elenco. In generale si considera commerciale ogni impresa che
non è classificabile come agricola, e viceversa.

Altra importante distinzione è quella del piccolo imprenditore (al quale non si applica lo statuto dell’imprenditore
commerciale) rispetto all’imprenditore non piccolo. Distinzione in base alla dimensione.

1. Piccolo imprenditore:
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Art. 2083 = “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro
che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della
famiglia.”.
Storicamente la distinzione del piccolo imprenditore aveva una disciplina fondamentale in ambito fallimentare
perché si prevedeva che il piccolo imprenditore non poteva essere dichiarare fallito ciò è stato abrogato, la
disciplina fallimentare offre un aggancio specifico al concetto di imprenditore che contiene anche quello di piccolo
imprenditore, sempre andando però a definire dei parametri quantitativi precisi che individuano l’imprenditore
escluso dalla disciplina fallimentare a prescindere dall’attività che esso svolge (art. 1 comma 2 legge fallimentare).
Al piccolo imprenditore non si applica lo statuto dell’imprenditore commerciale, ma lo statuto generale
dell’imprenditore. È esonerato, anche se svolge attività commerciale, dalla tenuta delle scritture contabili e
l’iscrizione al registro delle imprese (prevista recentemente) non ha scopo pubblicitario. L’art. 2083 non individua
questi soggetti come gli unici che possono essere definiti piccoli imprenditori, ma offre una definizione generale
non offre solo un’individuazione specifica. Nella disciplina del piccolo imprenditore non è rilevante la natura
dell’attività che esercita, è il requisito dimensionale che è importante (dimensione in termini di prevalenza del
lavoro sul capitale e in particolare tra coloro che vanno a formare la forza lavoro troviamo una prevalenza dei
membri della famiglia rispetto a terzi).
Per aversi piccola impresa è necessario:
 Che l’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa
 Il suo lavoro e quello degli eventuali familiari che collaborano dell’impresa prevalgano sia rispetto al
lavoro altrui sia rispetto al capitale proprio o altrui investito nell’impresa.
La definizione di piccolo imprenditore la si ritrova anche nella legge fallimentare, dove era descritto in base a dei
parametri quantitativi la presenza di due discipline ha creato per lungo tempo diversi problemi. Inoltre, la
disciplina fallimentare riguardante il piccolo imprenditore è stata modificata due volte (d.lgs. 5 del 09/01/2006 e
d.lgs. 169 del 12/09/2007), per arrivare al testo odierno che non si occupa più di definire “chi è” il piccolo
imprenditore, ma di individuare alcuni parametri dimensionali al di sotto dei quali l’imprenditore commerciale
non fallisce: «non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori […], i
quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
 Aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio
dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore
ad euro 300.000;
 Aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di
fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo
non superiore ad euro 200.000;
 Avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro 500.000.»
La definizione di piccolo imprenditore che dà il c.c. serve solo per individuare chi è il piccolo imprenditore e di
conseguenza applicare la disciplina adeguata.

Imprenditore Artigiano:
Rientra nei piccoli imprenditori. L’artigiano è il soggetto che ha una maggiore attenzione da parte del legislatore
vi sono delle discipline speciali. Sono state fatte 2 discipline:
 Legge 860 del 25/07/1956 disciplina più ampia, contiene norme pe la disciplina giuridica. Voleva dare
dei benefici agli artigiani con un esonero dalla disciplina dell’imprenditore commerciale e da alcune
previsioni fiscali. Questa però non forniva una spiegazione precisa dal punto di vista civile della figura
dell’artigiano si limitava a dire che l’impresa rispondente ai requisiti fondamentali indicati è da
considerarsi artigiana a tutti gli effetti;
 Legge 443/1985 disciplina più ristretta e di conseguenza più specifica. Ha abrogato la legge precedente.
Con questa si estende il concetto di impresa artigiana a tutte quelle imprese che svolgono attività di
produzione di beni/servizi (considerando anche le imprese societarie) ponendo come solo limite il
numero di dipendenti coinvolti. La definizione di impresa artigiana qui proposta è basata su:
o Oggetto dell’impresa;
o Ruolo dell’artigiano nell’impresa.
Scopo della legge quadro è quello di fissare i principi direttivi che dovranno essere osservati dalle regioni
nell’emanazione di una serie di provvidenze a favore dell’artigianato. Oggi infatti, per poter sottrarre l’artigiano
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allo statuto dell’imprenditore commerciale è necessario che sia rispettato anche il criterio della prevalenza fissato
dall’art.2083 del c.c.

La qualifica artigiana era riconosciuta, a certe condizioni, anche alle imprese costituite in forma di società
società artigiane. Questa è un’altra deroga alla disciplina originale apportata dalla legge 860/1956. Ad oggi però è
cessato anche l’esonero delle società artigiane dal fallimento. Una società artigiana gode delle provvidenze di cui
godono le altre imprese artigiane, ma in caso di dissesto fallirà al pari di ogni altra società che esercita attività
commerciale se supera le soglie dimensionali di fallibilità.

Impresa familiare:
Impresa familiare art. 230-bis. Riguarda la tutela del familiare. È da distinguere dalla piccola impresa. Si
considera impresa familiare, l’impresa in cui collaborano (anche attraverso il lavoro nella famiglia) il coniuge, i
parenti entro il terzo grado (fino ai nipoti) e gli affina entro il secondo grado (fino ai cognati) dell’imprenditore
si parla di famiglia nucleare.
Tale istituto è stato inserito con la riforma del diritto di famiglia del 1975 ed ha avuto molto successo perché
consente il frazionamento del reddito di impresa tra i parenti dell’imprenditore.
Con questo articolo si vuole andare ad attribuire dei diritti ai familiari che lavorano all’interno dell’impresa in
quanto, fino a prima della riforma del diritto di famiglia, si presumeva che dovessero offrire a titolo gratuito il
proprio lavoro.
L’articolo ha dunque lo scopo di predisporre una tutela minima nei confronti del lavoro familiare: sono previsti
una serie di diritti patrimoniali e amministrativi per il familiare che presta la sua attività in modo continuato:
 Piano patrimoniale:
o Diritto al mantenimento, anche se non dovuto ad altro titolo;
o Diritto di partecipazione agli utili in proporzioni alla quantità del lavoro prestato;
o Diritto sui beni acquistati con gli utili;
o Diritto di prelazione.
 Piano amministrativo:
o Le decisioni in merito alla gestione straordinaria dell’impresa e altre decisioni importanti è
previsto che vengano prese a maggioranza dei familiari che partecipano alla stessa.
Impresa familiare≠ impresa societaria l’impresa familiare rimane un’impresa individuale. L’imprenditore agisce
nei confronti dei terzi in proprio quindi solo a lui saranno imputabili gli effetti degli atti posti in essere e solo lui
sarà responsabile delle obbligazioni contratte in nome dell’impresa. Se l’impresa è commerciale e non piccolo solo
il capo di famiglia-datore di lavoro sarà esposto al fallimento.

1. Imprese pubbliche:
Concetto molto ampio. Si ha quando l’attività di impresa viene svolta dallo stato e dagli altri enti pubblici. Si hanno
3 possibili forma di intervento dei pubblici poteri:
 Società a partecipazione pubblica: imprese societarie, tipicamente spa. Lo stato svolge attività di impresa
servendosi di strutture di diritto privato e generalmente costituendo o prendendo parte a una società per
azioni. La particolarità qui è che lo stato possiede una parte delle azioni dell’impresa. Si ha una disciplina
generale e si applica lo statuto dell’imprenditore commerciale in quanto l’impresa si presenta
formalmente come un’impresa societaria;
 Enti pubblici economici: istituti di diritto pubblico il cui compito istituzionale esclusivo o principale è
l’esercizio dell’attività di impresa. Si ha una disciplina generale e l’applicazione dello statuto
dell’imprenditore commerciale, fermo l’esonero dal fallimento e dalle procedure concorsuali minori,
sostituiti dalla liquidazione coatta amministrativa e da altre procedure;
 Imprese organo: strutture organizzative prive di distinta soggettività, ma dotate di una più o meno ampia
autonomia decisionale e contabile. Si applica una disciplina generale e lo statuto dell’imprenditore
commerciale, fermo l’esonero dall’iscrizione nel registro delle imprese e dalle procedure concorsuali. Si
ha quando lo stato o altri enti territoriali svolgono direttamente attività di impresa.

2. Impresa sociale:
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Nuova disciplina dell’impresa sociale. Introdotta dal d.lgs. 155 del 2006 e sostituito dal d.lgs. 112 del 2017:
riguarda le imprese gestite senza scopo di lucro in settori di interesse generale.
«Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati» che «esercitano in via stabile e principale
un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità
sociale». Assenza dello scopo di lucro:
 Utili e avanzi di gestione destinati allo svolgimento dell’attività statutaria, all’incremento del patrimonio
dell’ente, oppure impiegati per erogazioni gratuite in favore di altri enti del Terzo settore per finanziare
specifici progetti di utilità sociale;
 Sul patrimonio dell’impresa grava un vincolo di indisponibilità né durante l’esercizio dell’imprese né
allo scioglimento è possibile distribuire utili, fondi o riserve a vantaggio di fondatori, soci o associati,
componenti degli organi sociali, lavoratori e collaboratori (art. 3, comma 2);
 Allo scioglimento dell’impresa sociale, il patrimonio residuo è devoluto ad altri enti del Terzo settore o
fondi per la promozione delle imprese sociali, secondo quanto previsto dallo statuto (art. 12, comma 5).

Il criterio dell’assenza dello scopo di lucro è però un divieto più leggero in determinati casi, si delineano dei
contorni più snelli. Questi sono i casi in cui si ricorra al contratto di consorzio o quando si sceglie la forma di
giuridica di società interviene una deroga al meccanismo dei possibili utili e avanzi di gestione, che possono
essere usati per una rivalutazione del patrimonio (sempre però con un limite). Gli utili possono anche essere divisi
tra i vari soci, sempre però con dei limiti. È prevista anche la possibilità che, al termine del rapporto sociale, è
consentita la restituzione del capitale versato, eventualmente rivalutato e aumentato tramite gli impieghi degli
utili.

Quando parliamo di imprenditore si intende quel soggetto di cui all’art.2082, quindi colui che esercita un’attività
economica in modo professionale ed organizzato. Noi pensiamo all’imprenditore o come persona fisica o come
società, però in realtà il legislatore non limita il concetto di imprenditore, per cui qualunque entità (individuale o
non) che svolga un’attività di impresa può essere considerata come imprenditore anche le associazioni e
fondazioni, in generale tutti gli enti privati anche con fini ideali e altruistici, questo proprio perché lo scopo di
lucro non è un elemento immanente alla definizione di imprenditore. Non è importante chi svolge l’attività di
impresa, è l’attività che fa l’impresa non l’imprenditore.
Dobbiamo andare ad individuare l’impresa per l’attività che svolge.
Questo tipo di impresa è stata inserita nel nostro regolamento nel 2006 (d.lgs. 155) e va a regolamentare un
fenomeno anche al fine di evitare conseguenze come il fallimento per le imprese sociali e prevede per queste dei
benefici di carattere organizzativo ( hanno il privilegio sul piano civilistico, ovvero di potersi organizzare in
qualsiasi forma di ente privato) e tributarie.
La disciplina di tale impresa è stata modificata con un decreto legislativo nel 2017 per la necessità di individuare
un nucleo di norme che possono essere applicate a tutte quelle imprese che operano nel terzo settore.
Per quanto riguarda la responsabilità per le obbligazioni dell’impresa, essa sarà regolata secondo le norme
caratteristiche del tipo di ente prescelto
Indipendentemente dalla natura agricola o commerciale dell’attività svolta, le imprese sociali:
 Devono iscriversi in un’apposita sezione speciale del registro delle imprese (art. 5);
 Devono redigere le scritture contabili, nonché pubblicare il bilancio d’esercizio ed il bilancio sociale, ossia
un documento volto a rappresentare l’osservanza nel corso della gestione delle finalità sociali proprie
dell’impresa (art. 10);
 In caso di insolvenza, sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa, invece che al fallimento
(art. 14).
Gli enti che intendono prendere la nomina di “impresa sociale” devono costituirsi per atto pubblico. L’atto
costitutivo deve essere redatto nella forma dell’atto pubblico e deve indicare:
 L’oggetto sociale, individuandolo tra le attività di interesse generale riconosciute dalla legge;
 L’assenza dello scopo di lucro;
 La denominazione dell’ente, da integrare con la locuzione “impresa sociale”;
 I requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza per i componenti delle cariche sociali;
 Le modalità di ammissione ed esclusione dei soci (principio di non discriminazione);

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 Adeguate forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari dell’attività d’impresa nell’assunzione
delle decisioni che possono incidere direttamente sulle condizioni di lavoro e sulla qualità delle
prestazioni erogate.
In particolare, lo statuto deve regolare casi e modalità di partecipazione dei lavoratori e degli utenti all’assemblea
degli associati o dei soci e, nelle imprese sociali di maggiori dimensioni, occorre prevedere la nomina da parte dei
lavoratori ed eventualmente degli utenti di almeno un componente dell’organo di amministrazione e di controllo.
Sempre all’interno dell’atto costitutivo è molto importante anche il profilo dei controlli, che si distinguono tra:
 Controlli interni L’atto costitutivo deve prevedere la nomina di uno o più sindaci che hanno i compiti di
controllare: la legalità della gestione; il rispetto dei principi di corretta amministrazione; il rispetto delle
finalità dell’impresa.
NB: nelle imprese sociali di maggiori dimensioni, deve essere nominato un revisore legale incaricato del
controllo contabile.
 Controlli esterni Le imprese sociali sono soggette alla vigilanza del Ministero del lavoro, che:
o Può procedere ad ispezioni per accertare il rispetto della relativa disciplina;
o Può disporre la perdita della qualifica di impresa sociale se rileva irregolarità non sanabili o se,
diffidati gli organi direttivi a porre fine ai comportamenti illegittimi, l’impresa non vi ottempera
entro un congruo termine;
o In caso di perdita della qualifica, l’impresa sociale sarà cancellata dalla sezione speciale e il suo
patrimonio dovrà essere devoluto ad un Fondo per la promozione e lo sviluppo delle imprese
sociali, dedotto in caso di società e consorzi il capitale e i dividendi eventualmente maturati.
Impresa agrituristica:
Si includono nelle attività connesse anche quelle attività di ricezione e di ospitalità così come previste dalla
legge si parla delle attività agrituristiche. La natura commerciale o agricola di un'impresa, rilevante al fine di
stabilire se la stessa sia soggetta a fallimento, deve essere apprezzata sulla scorta di criteri generali e uniformi,
valevoli per l'intero territorio nazionale: pertanto l'accertamento della concreta ricorrenza del requisito della
connessione tra le attività "agrituristiche" e quelle propriamente agricole, e della prevalenza di queste ultime sulle
prime, va principalmente condotto alla luce delle disposizioni del codice civile (in particolare, il comma 3 dell'art.
2135): ne consegue che i criteri integrativi della nozione di connessione, forniti dalle legislazioni regionali in
attuazione della legge quadro sull'agriturismo, possono fungere da criteri interpretativi ma non assumere
carattere decisivo ai fini della verifica della natura, se agricola o commerciale, dell'impresa - diversamente infatti
ciò si tradurrebbe nella fissazione di soglie di fallibilità diversificate da Regione a Regione.
Il nostro punto di riferimento deve essere sempre l’art. 2135.
Impresa artigiana: L'art. 2083 c.c. definisce piccolo imprenditore l'artigiano che eserciti una attività professionale,
organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia, occorrendo valutare dunque
l'attività svolta, il capitale impiegato, l'entità dell'impresa, numero dei lavoratori, l'entità e la qualità della
produzione, finanziamenti ottenuti. Pertanto, l'artigiano, va considerato un normale imprenditore commerciale,
come tale sottoposto alle procedure concorsuali, allorché abbia organizzato la sua attività in guisa da costituire
una base di intermediazione speculativa e da far assumere al suo guadagno i connotati del profitto, avendo in tal
modo organizzato una vera e propria struttura economica a carattere industriale con un'autonoma capacità
produttiva, sicché l'opera di esso titolare non sia più né essenziale né principale.

L’imprenditore occulto:
Questa fattispecie si presenta nei casi in cui ci sia una dissociazione tra colui che è formalmente imprenditore e
colui che di fatto esercita l’attività di impresa non sempre colui che è formalmente imprenditore (colui che è
iscritto nel registro) è colui che decide gli atti da compiere, colui che finanzia l’attività di impresa: ci può essere
una dissociazione tra l’imprenditore palese e l’imprenditore effettivo.
Il fenomeno coinvolge due soggetti:
 L’imprenditore palese si tratta di una persona fisica nullatenente (c.d. prestanome) o di una società per
azioni o società a responsabilità limitata con capitale irrisorio (c.d. società di comodo) che, pur eseguendo
direttive e impiegando mezzi e risorse messe a disposizione da altri, compie in proprio nome i singoli atti di
impresa, trattando con clienti e fornitori, intrattenendo rapporti con le banche e così via;

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 L’imprenditore occulto (o indiretto) si tratta del reale dominus dell’attività che, pur non palesandosi come
imprenditore dinanzi ai terzi, è colui che definisce le strategie, finanzia l’attività e beneficia dei relativi
risultati.

Siamo nell’ambito dell’esercizio indiretto dell’attività di impresa, proprio per la presenza di questa dissociazione
nella persona dell’imprenditore.
PROBLEMA La responsabilità per le obbligazioni assunte dall’impresa deve appuntarsi sull’imprenditore
occulto, vero dominus dell’attività, o sull’imprenditore palese, puro e semplice interprete ed esecutore di scelte
imprenditoriali altrui? Tale problema si verifica quando si ha una crisi dell’impresa: il problema sorge se i creditori
dell’impresa non vengono soddisfatti. Normalmente l’imprenditore occulto è quello che ha risorse patrimoniali,
mentre quello palese generalmente è nulla tenente (oppure è una S.p.A. con capitale irrisorio= società di
comodo) anche se i creditori dichiarassero il fallimento dell’impresa, sarebbe inutile perché l’imprenditore
palese è nulla tenente.
Per cercare di risolvere questo problema sono state avanzate diverse teorie.
La prima teoria prevede che nei casi in cui si ha una dissociazione della figura dell’imprenditore, si aggiunge alla
responsabilità patrimoniale dell’imprenditore palese anche la responsabilità patrimoniale dell’imprenditore
occulto. A questa si aggiunge la teoria dell’imprenditore occulto (elaborata dal professor Bigiavi nel 1950) la quale
sostiene non solo l’aggiunta della responsabilità patrimoniale dell’imprenditore occulto, ma anche che i creditori
possono provocare il fallimento dell’imprenditore occulto stesso. La teoria dell’imprenditore occulto trova molte
obbiezioni.
I sostenitori della teoria dell’imprenditore occulto fondavo la loro tesi sul binomio potere-rischio/potere-
responsabilità: il soggetto che ha potere (decisionale, di attività) ha anche la responsabilità patrimoniale e il
rischio di impresa. Questo binomio però in realtà non esiste (non ha un fondamento normativo) e quindi non è
elevabile a principio generale dell’ordinamento, perché vi sono delle società di capitale che possono essere
unipersonali (con un unico socio), che di conseguenza non risponde illimitatamente delle obbligazioni sociali (
non esiste il binomio come principio generale). Tuttora non c’è nessuna norma che sancisca il fallimento
dell’imprenditore occulto dimostrazione che ad oggi la teoria dell’imprenditore occulto non ha grande seguito.
Una teoria che ha trovato più seguito è la teoria dell’impresa fiancheggiatrice. Tale teoria molto spesso è stata
considerata dall’ordinamento come teoria valida per superare il problema dell’imprenditore occulto. L’impresa
fiancheggiatrice è una figura inventata della dottrina. Si ritiene che nei casi in cui si verifichi una dissociazione, si
può ritenere che l’imprenditore occulto sia titolare di un’autonoma attività di impresa, ovvero l’impresa
fiancheggiatrice e come tale è soggetto a fallimento. Questa teoria interviene anche nel caso in cui l’imprenditore
palese sia socio unico di una S.p.A. o S.r.l. impersonale. Si utilizza tale teoria anche quando siamo davanti ad un
caso in cui il socio dominante di un’impresa ha abusato della stessa, disponendone a suo piacimento.

Inizio dell’impresa:
Principio di effettività La qualità di imprenditore si acquista con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attività
d’impresa. Ciò è valido per le persone fisiche, per l’impresa individuale e per l’impresa collettiva. Per quanto
riguarda invece le società esse acquisterebbero la nomina di imprenditori fin dal momento della loro costituzione,
quindi prima ed indipendentemente dall’inizio effettivo dell’attività. Nonostante questo, però il principio di
effettività deve trovare applicazione anche nelle società.
È da tener presente poi, che l’effettivo inizio dell’attività di impresa è preceduto da una fase preliminare di
organizzazione si diventa imprenditori anche durante questa fase o no? Si tende ad accettare la risposta
affermativa perché l’organizzazione stessa viene considerata come attività di impresa indirizzata ad un fine
produttivo. Nel caso della persona fisica, è però necessario che gli atti di organizzazione siano numerosi e
significativi al fine di manifestare in modo non equivoco lo stabile orientamento dell’attività. Nel caso di società
basta anche un solo atto, soprattutto se particolarmente qualificato.
L’iscrizione dell’inizio dell’impresa ha rilevanza costituiva solo per le società di capitali. L’intervenuta iscrizione
dell’inizio dell’impresa in tutti gli altri casi non determina il reale inizio di essa. Quindi quando inizia
effettivamente l’impresa? Si può parlare di impresa che viene all’esistenza quando vi è un nucleo organizzato di
capitale e lavoro che possa lasciare intravedere l’esistenza di un’impresa.
Per quanto riguarda l’impresa commerciale, l’inizio dell’attività di impresa non è determinabile in un momento
preciso perché si arriva all’inizio di essa quando vi è un nucleo organizzato (quindi l’iscrizione nel registro non è
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fondamentale, infatti anche la legge fallimentare precisa che il creditore se riesce a dimostrare l’inizio di
un’impresa in un momento diverso da quello indicato nel registro, si considera questo come inizio dell’impresa).

Fine dell’impresa:
Si ha sempre il principio di effettività La qualità di imprenditore si perde con l’effettiva cessazione dell’esercizio
dell’attività d’impresa. Questo per quanto riguarda l’imprenditore individuale.
Anche qui abbiamo una grande differenza tra società di capitali e altre imprese. Per le società di capitali
l’estinzione si registra con la cancellazione dell’atto costitutivo dal registro delle imprese. Se esiste un’impresa
societaria che svolge la sua attività senza essere iscritta nel registro, nei fatti semplicemente non sarà una S.p.A.
(anche se è così registrata) ma sarà un altro tipo di società. Se invece una S.p.A. viene cancellata, da quel
momento questa risulta estinta (se ci sono dei debiti questi faranno carico ai soci per la parte ricevuta dai resti di
capitale e in parte al liquidatore se ha proceduto alla cancellazione in un momento in cui l’impresa non doveva
essere cancellata, però non si ha una riviviscenza dell’impresa). Per tutte le altre imprese, la cancellazione dal
registro delle imprese ha solo una funzione di indirizzo, di pubblicità dichiarativa, che determina che quella è la
data di cessazione dell’attività, salvo prova contraria: se si è in grado di dare una prova diversa riguardo la data di
fine dell’impresa, verrà considerata questa. Di conseguenza, l’impresa (nel caso di tutte le imprese eccetto quelle
di capitali) cessa nel momento in cui si ha una disgregazione nell’organizzazione del nucleo di capitale e lavoro,
del complesso aziendale (la cessazione non dipende dall’estinzione dei debiti o dal pagamento del salario di tutti i
dipendenti).
La società, benché cancellata dal registro delle imprese, doveva ritenersi ancora esistente ed esposta al
fallimento, fin quando non ci fosse stata la completa definizione dei rapporti pendenti.
La fine dell’impresa è di base preceduta da una fase di liquidazione (fa ancora parte dell’attività di impresa).
Questa fase è regolata per le società, ma non per l’imprenditore individuale. La fase liquidativa può ritenersi
chiusa solo con la definitiva disgregazione del complesso aziendale che rende definitiva ed irrevocabile la
cessazione.
Art. 10, l. fall.: «Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla
cancellazione dal registro delle imprese, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro
l'anno successivo. In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta
salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione
dell'attività da cui decorre il termine del primo comma.»

LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE:


La pubblicità delle imprese commerciali (la pubblicità legale):
La necessità di poter disporre con facilità di informazioni veritiere e non contestabili su fatti e situazioni delle
imprese con cui si entra in contatto ha portato il legislatore ad introdurre, per le imprese commerciali e per le
imprese societarie, un sistema di pubblicità legale; è cioè previsto l’obbligo di rendere di pubblico dominio,
secondo forme e modalità predeterminate, determinati atti o fatti relativi alla vita dell’impresa. In tal modo le
relative informazioni sono rese accessibili ai terzi interessati (c.d. pubblicità notizia) e diventano opponibili a
chiunque, indipendentemente dall’effettiva conoscenza (c.d. conoscibilità legale).
Lo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali non piccole e delle società commerciali previsto dal
codice civile del 1942 è il registro delle imprese.
Per oltre cinquant’anni l’istituto è però restato inoperante, dato che l’entrata in funzione del registro delle
imprese era subordinata all’emanazione del relativo regolamento di attuazione. Durante gli anni di attesa ha
trovato invece applicazione il “regime transitorio”, previsto dallo stesso codice civile: tale regime era imperniato
sull’iscrizione nei preesistenti registri di cancelleria presso il tribunale e caratterizzato dall’esonero temporaneo
dell’iscrizione degli imprenditori commerciali individuali. Il sistema di pubblicità legale operava perciò solo per le
società commerciali. Inoltre, in attesa del registro delle imprese, erano state introdotte nuove ed ulteriori forme
di pubblicità per le società di capitali e per le società cooperative: per le prime fu prevista nel 1969 la
pubblicazione nel Bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata (Busarl), in aggiunta
all’iscrizione nel registro delle imprese; per le seconde fu introdotta nel 1973 la pubblicazione nel Bollettino
ufficiale delle società cooperative (Busc), sempre in aggiunta all’iscrizione nel registro delle imprese. Ulteriori
adempimenti pubblicitari, con valore di pubblicità-notizia, erano poi previsti da leggi speciali, quali l’iscrizione nel
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Registro delle ditte, tenuto dalle camere di commercio. Ne risultava perciò un sistema di pubblicità delle imprese
particolarmente disorganico e complesso.
L’art. 8 della legge 29-12-1993, n. 580 ed il relativo regolamento di attuazione hanno finalmente istituito il registro
delle imprese, che è divenuto pienamente operante agli inizi del 1977, ponendo così fine al lungo regime
transitorio. Nel contempo ha cessato di esistere il Registro delle ditte e, a partire dal 1° ottobre 1997, sono stati
soppressi anche il Busarl ed il Busc.
L’unico strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali è perciò oggi costituito dal registro delle
imprese. La nuova disciplina ha tuttavia introdotto alcune novità rispetto al sistema previsto dal codice del 1942:
 L’attuale registro delle imprese non è solo strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali, ma,
con la riforma del 1993, è diventato anche strumento di informazione sui dati organizzativi di tutte le altre
imprese;
 La tenuta del registro delle imprese è affidata alle camere di commercio;
 Il registro delle imprese è tenuto con tecniche informatiche, in modo da garantire la tempestività
dell’informazione su tutto il territorio nazionale.

Il registro delle imprese:


Rapporto tra imprenditore e registro delle imprese registro delle imprese= registro pubblico (originariamente
tenuto presso il tribunale) dedicato a conoscere gli atti e fatti dell’impresa commerciale maggiormente rilevanti.
Il nuovo registro venne attuato con la legge 580 del 1993 con la cura di esso a carico delle camere di commercio. È
l’imprenditore che deve procedere all’iscrizione in tale registro. È un registro pubblico al quale chiunque può
rivolersi per ottenere i dati delle imprese italiane bisogna indicare la circostanza dell’inizio dell’attività
dell’impresa, alcuni atti e fatti relativi all’impresa e l’avvenuta cessazione dell’attività.
Subito dopo l’entrata in vigore del registro, il legislatore ha eliminato i limiti riguardo alle imprese che possono
iscriversi ad esso, andando però ad istituire delle parti speciali per quanto riguarda l’iscrizione delle imprese
piccole, pubbliche e agricole.
L’iscrizione nel registro provoca diversi effetti in base al tipo di pubblicità che vale. Per quanto riguarda piccole
imprese, imprese pubbliche e agricole la pubblicità dell’iscrizione si denota come “pubblicità notizia”: da questa
non derivano particolari conseguenze giuridiche per i terzi (è una mera notizia). Invece per l’imprenditore
commerciale si tratta di “pubblicità dichiarativa”: dal momento in cui quell’atto/fatto è iscritto nel registro,
decorsi 15 giorni, si presume che questo sia conosciuto dai terzi. Si presume ciò perché tale fatto/atto si ritiene
conoscibile da quel momento (non ne deriva la veridicità dell’atto/fatto, ma solo la conoscenza: se un terzo è in
grado di dimostrare che l’atto/fatto non è vero lo può fare, ma deve fornire delle prove).
Pubblicità costitutiva: con tale pubblicità l’iscrizione di un atto nel registro determina l’avvenuta esistenza di quel
fatto se un fatto/atto non è iscritto nel registro, questo non esiste nel mondo del diritto. Si ha in casi
particolarissimi. Esempio: la costituzione della S.p.A. si ha con l’iscrizione nel registro delle imprese e qui la
pubblicazione nel registro vale come pubblicità costitutiva.
Per iscrivere l’atto/fatto, salvo che la legge non preveda una forma apposita, si devono rispettare due formalità
(dipende dal tipo di atto/fatto):
 Atto pubblico;
 Scrittura autenticata.
Imprenditori soggetti a registrazione (art. 2195 c.c.):
«Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione, nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano:
o Un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
o Un'attività intermediaria nella circolazione dei beni;
o Un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
o Un'attività bancaria o assicurativa;
o Altre attività ausiliarie delle precedenti.
Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta
diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano.»

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L’ufficio del registro delle imprese è istituito in ciascuna provincia presso le camere di commercio ed è retto da un
conservatore nominato dalla giunta; l’attività si svolge sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del
tribunale del capoluogo di provincia.
È articolato in una sezione ordinaria ed in sezioni speciali:
 Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori (non agricolicommerciali) riportati nel d.p.r. 581,
per i quali l’iscrizione nel registro delle imprese era originariamente prevista e produce effetti di
pubblicità legale. Vi sono iscritte le imprese soggette allo statuto dell’imprenditore commerciale;
 Il numero delle sezioni speciali varia a secondo della legislazione speciale, ad oggi:
o Sezione speciale degli imprenditori agricoli e dei piccoli imprenditori*: imprenditori agricoli
individuali, piccoli imprenditori, società semplici.
Per gli imprenditori agricoli, anche piccoli, e le società semplici esercenti attività agricola il d.lgs.
228 del 2001 ha anche efficacia di pubblicità legale;
o Sezione speciale delle società tra professionisti: ad efficacia di pubblicità notizia;
o Sezione speciale dei soggetti che esercitano attività di direzione e coordinamento: (pubblicità
dei legami societari di gruppo) sono comprese anche quelle che vi sono soggette, in aggiunta
all’autonoma iscrizione al registro;
o Sezione speciale delle imprese sociali;
o Sezione speciale degli atti di società di capitali in lingua straniera: dove queste possono
pubblicare la traduzione giurata in una lingua ufficiale delle Comunità europee di atti per i quali è
obbligatoria l’iscrizione o il deposito;
o Sezione speciale delle start-up innovative e degli incubatori certificati: le prime sono le società di
capitali e cooperative costituite da non più di 4 anni aventi ad oggetto sviluppo, produzione e
commercio di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. Le seconde sono le società
che offrono servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo delle start-up innovative.
o Sezione speciale delle piccole e medie imprese innovative (PMI innovative).
All’interno delle sezioni speciali sono iscritte tutte le altre imprese, quelle non soggette allo statuto
dell’imprenditore commerciale.

GLI ATTI DA REGISTRARE:


I fatti e atti da registrare sono specificati da una serie di norme a seconda della natura dell’impresa; riguardano:
I. Gli elementi di individuazione dell’imprenditore e dell’impresa: dati anagrafici dell’imprenditore, ditta
oggetto, inizio e fine dell’impresa etc.;
II. La struttura e l’organizzazione delle società: atto costitutivo e modificazioni, nomine degli
amministratori etc.

PROCEDIMENTO D'ISCRIZIONE:
Entro 30 giorni dall’inizio dell’impresa l’imprenditore deve presentare e richiedere l’iscrizione al registro delle
imprese della provincia in cui l’impresa ha sede su domanda dell’interessato o d’ufficio (se l’iscrizione è
obbligatoria e l’interessato non vi provvede).
Prima di procedere all’iscrizione l’ufficio deve controllare che il fatto o l’atto è soggetto a iscrizione e che la
domanda è formalmente regolare (regolarità formale), inoltre l’esistenza e la veridicità dell’atto o del fatto
(regolarità sostanziale).
In caso di verifica negativa entro 8 giorni dalla comunicazione del rifiuto dell’iscrizione il richiedente può ricorrere
al giudice del registro che, tramite decreto, può o accogliere l’iscrizione o rigettarla nuovamente.
Entro 15 giorni dalla comunicazione del decreto l’imprenditore può fare reclamo al tribunale che provvederà
anch’esso tramite decreto.
Se l’iscrizione è obbligatoria e l’interessato non vi provvede questa può essere effettuata d’ufficio, come la
cancellazione di un’iscrizione per carenza di requisiti e la cancellazione d’impresa che ha cessato l’attività.
L’inosservanza dell’obbligo di registrazione è punita con sanzioni amministrative e pecuniarie e con sanzioni
indirette quale il mancato decorso del termine annuale per la dichiarazione di fallimento.

EFFETTI DELL’ISCRIZIONE:

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L’iscrizione nella sezione ordinaria ha sempre funzione di pubblicità legale, serve non solo a rendere conoscibili i
dati pubblicati, ma, a seconda dei casi, ha anche efficacia: dichiarativa, costitutiva o normativa:
 Di regola ha efficacia dichiarativa, ossia rileva SOLO sul piano della conoscenza e opponibilità (verso
chiunque) dell’atto o del fatto iscritto;
Ha efficacia positiva immediata= gli atti e i fatti soggetti ad iscrizione ed iscritti sono opponibili dal
momento stesso della registrazione ed efficacia negativa= in caso di omessa iscrizione impedisce che il
fatto possa essere opposto a terzi. L’imprenditore che ha omesso la registrazione ha la possibilità di
provare che, nonostante la mancata registrazione, i terzi hanno avuto conoscenza effettiva dell’atto o del
fatto.
 Tassativamente ha efficacia costitutiva, ossia produce effetti ulteriori e rilevanti:
o Efficacia costitutiva totale, presupposto di effetti fra le parti e per i terzi. Prevista per le società di
capitali e le società cooperative.
o Efficacia costitutiva parziale, presupposto di effetti per i terzi. Prevista ad esempio per la
registrazione della deliberazione di riduzione reale del capitale sociale di una società in nome
collettivo.
o In altri casi efficacia normativa, presupposto per la piena applicazione di un determinato regime
giuridico; caso de società in nome collettivo (S.n.c.) e in accomandita semplice (S.a.s.) le quali vengono ad
esistenza anche SE NON registrate (operano senza autonomia patrimoniale)
L’iscrizione nelle sezioni speciali ha solo funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia l’iscrizione
consente di prendere conoscenza dell’atto o del fatto iscritto, ma NON lo rende opponibile a terzi, oltre agli
eventuali effetti previsti dalle leggi speciali.

LA PUBBLICITÀ DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI E DELLE COOPERATIVE:


Il d.p.r. 531 del 1995 aveva mantenuto la disciplina di pubblicità:
 Delle società di capitali che prevedeva la pubblicazione di una serie di atti nel Busarl con pubblicità solo
dichiarativa in aggiunta all’iscrizione nel registro;
 Della società cooperativa che prevedeva la pubblicazione di una serie di atti nel Busc con pubblicità
notizia in aggiunta all’iscrizione nel registro.
L’informatizzazione ha determinato la soppressione del Busarl e del Busc e del doppio regime di pubblicità,
restano come residue norme speciali:
1. OPPONIBILITÀ:
o Per le società di capitali l’opponibilità diventa piena 15 giorni dopo l’iscrizione.
2. PUBBLICAZIONE
o Per le società di capitali e le società cooperative alcuni atti devono essere pubblicati anziché nel
registro nella Gazzetta Ufficiale.

La disciplina dell’iscrizione nel registro delle imprese è stata recentemente modificata dal d.lgs. 228 del 2001.
Questo prevede che per gli imprenditori agricoli anche piccoli (coltivatori diretti) e per le società semplici
esercenti attività agricola, l’iscrizione nella sezione speciale ha anche efficacia di pubblicità legale con questa
modifica si va ad eliminare la grande differenza che c’è tra sezioni speciali e sezione ordinaria.

Scritture contabili:
Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione, in termini numerici e/o monetari, dei
singoli atti di impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del risultato economico dell’attività
svolta. Di regola sono spontaneamente tenute da qualsiasi imprenditore perché contribuiscono a rendere
razionale ed efficiente l’organizzazione e la gestione dell’impresa, tuttavia la tenuta di tali scritture è elevata ad
obbligo e legislativamente disciplinata per:
1. Gli imprenditori che esercitano attività commerciale, meno i piccoli imprenditori,
2. Le società commerciali anche se non svolgono attività commerciale,
3. Enti pubblici e di diritto privato diversi dalle società che svolgono attività commerciale in via secondaria
ed accessoria,

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4. Le imprese sociali indipendentemente dalla natura dell’attività.
L’art.2214 pone il principio generale per cui l’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili che siano
richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa; e conservare per ciascun affare gli originali delle lettere, dei
telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite (si tratta
della corrispondenza commerciale).
Il legislatore per l’imprenditore commerciale prevede 2 scritture contabili obbligatorie:
 Libro giornale. È un registro cronologico-analitico: vi si annotano in maniera cronologica le operazioni
relative all’attività dell’impresa. Questo documento può anche essere articolato in libri parziali in
relazione alle articolazioni dell’impresa.
 Libro degli inventari. È un registro periodico-sistematico che si redige all’inizio dell’impresa e
successivamente una volta all’anno, in cui sono contenute l’indicazione e la valutazione delle attività e
passività dell’impresa e le attività e passività personali dell’imprenditore (questo perché l’imprenditore
risponde con tutto il suo patrimonio personale per i debiti dell’impresa, quindi è necessario un
documento contabile riguardante il patrimonio dell’imprenditore) siamo nel caso delle imprese
individuali.
La norma sulle scritture contabili ci dice anche al termine di ogni esercizio, l’inventario si chiude annotando il
bilancio e il conto dei profitti e delle perdite si tratta del bilancio complessivo dello stato patrimoniale e del
conto economico. Il bilancio è un prospetto contabile riassuntivo dal quale devono risultare con evidenza e verità
la situazione complessiva del patrimonio (stato patrimoniale) alla fine di ciascun anno, nonché gli utili conseguiti o
l perdite sofferte (conto economico) nel medesimo arco di tempo.
Dicendo ciò la disciplina afferma che tutti gli imprenditori commerciali (individuali e societari) devono redigere il
bilancio e nel farlo devono seguire la disciplina del bilancio delle S.p.A. (art.2423-2435-bis).
Queste due scritture sono le scritture contabili obbligatorie, poi però il rispetto del principio generale imporrà la
tenuta di tutte le altre scritture contabili (=scritture contabili facoltative) richieste dalla natura e dalle dimensioni
dell’impresa l’imprenditore che svolge attività di impresa contenute può considerare tali scritture come
facoltative, per gli altri sono obbligatorie. Un esempio ne sono:
o Il libro mastro dove le operazioni sono registrate sistematicamente;
o Il libro cassa che contiene entrate e uscite di denaro;
o Il libro magazzino che contiene entrate e uscite di merci.
L’imprenditore deve inoltre tenere i libri e le scritture contabili previsti dalla legislazione tributaria e dalla
legislazione lavoristica.
Al fine di garantire veridicità alle scritture contabili è imposta l’osservanza di determinate regole formali e
sostanziali:
 Formalità estrinseche: il libro-giornale e il libro-degli inventari devono essere solo enumerati in
progressione ad ogni pagina prima di essere messi in uso;
 Formalità intrinseche: tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di un’ordinata contabilità.
Devono essere tenute regolarmente: bollate, vidimate, no cancellature, no abrasioni (se necessario
cancellare qualcosa, la cancellazione deve consentire di vedere cosa c’è scritto sotto).
 Devono essere tenute dall’imprenditore che ne risponde
L’inosservanza delle formalità prescritte dalla legge rende le scritture irregolari e quindi giuridicamente irrilevanti;
inoltre, le scritture contabili e la corrispondenza devono essere conservate per 10 anni, cosa che può essere fatta
anche tramite supporti informatici.

Le scritture non sono di regola soggette ad alcun tipo di controllo esterno, tuttavia a partire dal 1975 la contabilità
delle società con azioni quotate in borsa è sottoposta ad un apposito controllo esterno; a partire dal 2003 ciò vale
anche per le società per azioni non quotate.
La violazione dell’obbligo di tenuta delle scritture non prevede alcuna sanzione generale e diretta, salvo quelle
previste dalla legislazione tributaria. Ne sono previste però alcune indirette: l’imprenditore non può utilizzarle
come mezzo di prova a suo favore e, in caso di fallimento, è assoggettato alle sanzioni penali per i reati di
bancarotta semplice o fraudolenta.

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Le scritture contabili, che siano tenute regolarmente o meno, hanno un’efficacia probatoria, ovvero possono
essere sempre utilizzate dai terzi come mezzo processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene. Queste
fanno prova:
 Contro l’imprenditore un terzo può chiedere in un giudizio di vedere le scritture contabili di un
imprenditore o può decidere di portarle lui stesso come prova. Ciò che è scritto nelle scritture contabili fa
prova contro l’imprenditore stesso sempre e in qualsiasi stato esse siano (però non possono essere scisse
nel contenuto);
 A favore dell’imprenditore affinché possano fare prova a favore dell’imprenditore devono ricorrere 3
condizioni (più rigorose):
o Le scritture devono essere regolarmente tenute;
o Deve trattarsi di un rapporto attinente all’esercizio dell’impresa;
o Devono essere entrambe le parti imprenditori (per garantire la parità di trattamento)
Queste ultime due perché io devo poter confrontare le scritture contabili dei due imprenditori e ciò lo
posso fare solo se entrambi sono imprenditori.
In ogni caso è rimesso all’apprezzamento del giudice riconoscere valore probatorio alle scritture contabili.
Le scritture contabili si chiedono in giudizio con 2 metodi:
 Esibizione: chiedo l’esibizione solo delle scritture relative al nostro rapporto, le quali però non possono
essere scisse, quindi dovranno essere considerate completamente. Molto più frequente come metodo;
 Comunicazione: evento rarissimo, perché riguarda l’esibizione in giudizio della totalità delle scritture
contabili.

LA RAPPRESENTANZA COMMERCIALE:
Con tale formula si intende trattare tutti quei soggetti che a vario titolo collaborano con l’imprenditore: egli
nell’esercizio dell’attività si può avvalere della collaborazione di altri soggetti (=ausiliari) che possono essere
inseriti nell’organizzazione dell’impresa a vario titolo. Gli ausiliari possono essere:
 Ausiliari esterni o autonomi soggetti esterni all’organizzazione imprenditoriale, che collaborano con
l’imprenditore in modo occasionale o anche stabile, sulla base di rapporti contrattuali di varia natura (artt.
1387 ss. c.c.)
 Ausiliari interni o subordinati soggetti stabilmente inseriti nella organizzazione aziendale per effetto di
un rapporto di lavoro subordinato che li lega all’imprenditore (artt. 2203-2213 c.c.). sono gli ausiliari più
importanti:
o Institori;
o Procuratori;
o Commessi.
Tali soggetti sono ex-lege investiti del potere di rappresentanza dell’imprenditore: non sono investiti
tramite un’espressa procura, ma costituisce effetto naturale del ruolo che questi soggetti ricoprono
all’interno dell’organizzazione.
Con la rappresentanza i soggetti possono agire in nome e per conto dell’imprenditore stesso: spendono
direttamente il nome dell’imprenditore nei confronti di terzi.
La disciplina della rappresentanza si applica a tutti i tipi di ausiliari, con una disciplina specifica però per i
rappresentanti interni.
Nonostante la particolare disciplina, l’imprenditore può in tutti i casi modificare il contenuto legale tipico del
potere di rappresentanza, andando ad allargarlo, restringerlo o addirittura annullarlo. Ogni modifica del potere di
rappresentanza è possibile farla con uno specifico atto che può essere fatto valere nei confronti di terzi se si
rispettano alcune norme specifiche (soprattutto riguardo la pubblicità).

Institore:
È l’ausiliario più importante. Art. 2203: «È institore colui che è preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa
commerciale. La preposizione può essere limitata all'esercizio di una sede secondaria o di un ramo particolare
dell'impresa. Se sono preposti più institori, questi possono agire disgiuntamente, salvo che nella procura sia
diversamente disposto».

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L’institore è di regola un lavoratore subordinato con la qualifica di dirigente ed è investito di un potere di gestione
generale, cui si affianca anche un altrettanto ampio e generale potere di rappresentanza sia sostanziale, sia
processuale (attiva e passiva).
Per quanto riguarda la posizione ricoperta dall’institore all’interno della società, di norma egli è un lavoratore
subordinato con la qualifica di dirigente posto al vertice della gerarchia del personale:
 Vertice assoluto se è preposto all’intera impresa e in questo caso dipende solo dall’imprenditore;
 Vertice relativo se è preposto ad una filiale o ramo dell’impresa e in tal caso può ritrovarsi in posizione
subordinata anche rispetto ad un altro institore.
Potere di gestione generale dell’impresa può svolgere qualsiasi atto, sia in termini di gestione che di
rappresentanza, non ha la necessità di un intervento dell’imprenditore stesso. Esiste un solo limite al suo potere,
inserito dal legislatore, e che è collegato alla tradizione storica per cui i beni immobili sono visti dal legislatore con
particolare cautela: per questo motivo il limite al potere dell’institore prevede che egli non possa alienare o
ipotecare i beni immobili dell’imprenditore.
Il potere di gestione generale deve abbracciare tutte le operazioni relative alla struttura alla quale è preposto. Ne
deriva l’obbligo di adempiere, congiuntamente con l’imprenditore, agli obblighi di iscrizione nel registro delle
imprese e di tenuta delle scritture contabili dell’impresa o della sede a cui è preposto (art.2205). Inoltre, in caso di
fallimento dell’imprenditore le sanzioni penali a carico del fallito troveranno applicazione anche nei confronti
dell’institore (art.27 legge fall.); fermo restando che solo l’imprenditore potrà essere dichiarato fallito e solo lui
sarà esposto agli effetti patrimoniali e personali del fallimento.

Al potere generale di gestione dell’impresa, il legislatore aggiunge dei poteri di rappresentanza:


 Rappresentanza sostanziale l’institore può svolgere “tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa”
anche in mancanza di espressa procura, ma non può compiere atti che esorbitano dall’esercizio/gestione
dell’impresa e soprattutto gli è espressamente vietato alienare o ipotecare beni immobili del preponente,
se non è stato a ciò specificatamente autorizzato.
 Rappresentanza processuale:
o Rappresentanza processuale attiva l’institore sta in giudizio sia come attore (colui che cita);
o Rappresentanza processuale passiva l’institore sta in giudizio come convenuto. Questo tipo di
potere, secondo il legislatore è un atto che non può essere sottoposto a limitazioni perché
solitamente i terzi si confrontano con l’institore.
In entrambi i casi, l’institore sta a processo per “le obbligazioni dipendenti da atti compiuti -da lui o
direttamente dall’imprenditore- nell’esercizio dell’impresa cui è preposto” (art. 2204).

I poteri dell’institore possono essere ampliati o ristretti: ciò può essere fatto solo dall’imprenditore in persona e
devono risultare dalla procura istitoria (atto che deve essere iscritto al registro delle imprese). Se un atto di
ampliamento viene iscritto al registro, sarà più agevole per i terzi conoscere tale ampliamento, però se tale atto
abilita l’institore ad alienare un bene immobile egli per farlo dovrà esibire l’istitoria. Per quanto riguarda invece la
limitazione, se questa non viene registrata nel registro delle imprese, l’institore ha ancora tutti quei poteri che
l’imprenditore intendeva limitargli: il solo deposito nel registro della limitazione dei poteri la rende efficace.
L’unica situazione che può salvaguardare l’imprenditore in caso di limitazione non depositata nel registro è
l’imputazione di conoscenza: è perciò necessario che l’imprenditore provi in aula che i terzi fossero a conoscenza
delle limitazioni al momento della conclusione dell’affare. Stesso principio vale per la revoca e per il caso di
mancata iscrizione della revoca nl registro delle imprese.

L’institore non perde la propria sfera privata quando realizza un atto per conto dell’imprenditore, egli deve
dichiarare al terzo che tale atto lo sta compiendo nella qualità di institore: deve spendere il nome del
rappresentato. L’institore per essere escluso da qualsiasi responsabilità deve esplicitare il fatto che egli sta
spendendo il nome dell’imprenditore stesso le conseguenze di qualsiasi atto riguardante attività di impresa
ricadranno nella sfera del soggetto il cui nome è stato speso per metterli in pratica.
Quando omette la spendita del nome dell’imprenditore, l’institore avrà responsabilità solidale nei confronti
dell’imprenditore per tutto ciò che riguarda tale atto. Il fine è quello di salvaguardare e tutelare il terzo contraente
dalla possibilità di incertezze circa il reale dominus dell’affare.

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L’institore non risponde patrimonialmente degli atti compiuti a meno che non abbia occultato il suo ruolo di
institore lui non fallisce. Tuttavia, l’institore ha alcuni obblighi:
 Iscrizione nel registro delle imprese;
 Regolare tenuta delle scritture contabili.
Laddove l’institore ometta questi atti (ai quali sarebbe tenuto l’imprenditore ma che sono di competenza anche
dell’institore), l’institore risponderà solidalmente con l’imprenditore di ogni conseguenza.

Procuratori:
I procuratori sono coloro che “in base ad un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per
l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur non essendo preposti ad esso”. Sono degli ausiliari
subordinati di grado inferiore rispetto all’institore. Questo perché hanno un potere di rappresentanza di carattere
generale (anche in mancanza di esplicita procura, sono investiti ex lege) rispetto alla specie di operazioni per le
quali sono investiti di autonomo potere decisionale, però:
 Non sono posti a capo né dell’impresa né di un ramo o di una sede della stessa;
 Pur essendo degli ausiliari con funzioni direttive, Il loro potere decisionale resta circoscritto ad un
determinato settore operativo;
 Non hanno rappresentanza processuale né attiva né passiva dell’imprenditore;
 Non sono soggetti ad obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili.
Esempio di procuratore dirigente del personale: ha un potere di gestione e di rappresentanza in questo settore,
però se ci spostiamo nel settore acquisti egli non ha alcun tipo di potere.
L’imprenditore non risponde per gli atti, pur pertinenti all’esercizio dell’impresa, compiuti da un procuratore
senza spendita del nome dell’imprenditore stesso.

Commessi:
I commessi sono ausiliari subordinati cui sono affidate mansioni esecutive o materiali che li pongono in contatto
con i terzi sono comunque ausiliari che hanno potere di rappresentanza (anche in mancanza di specifico atto di
conferimento).
Hanno poteri limitati rispetto agli institori o procuratori.
Art. 2210: principio base possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di
cui sono incaricati. Tuttavia, hanno dei poteri molto limitati ad esempio: i commessi preposti alla vendita nei
locali dell’impresa non possono esigere il prezzo delle merci che vendono se ad essi è preposta una cassa speciale,
inoltre al di fuori dei locali dell’impresa, dove non possono influire sul prezzo (a meno che non facciano le
consegne).
I commessi sono degli ausiliari di grado inferiore rispetto ai procuratori, anche se sono stabilmente legati alla
figura dell’imprenditore e all’organizzazione del lavoro all’interno dell’impresa. Anche i loro poteri possono essere
ampliati, ristretti o annullati dall’imprenditore affinché queste modifiche siano opponibili a terzi è necessario
che ciò venga portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei in quanto non è previsto un sistema di pubblicità
legale.
Poteri di deroga alle condizioni generali del contratto (art. 2211 c.c.): «I commessi, anche se autorizzati a
concludere contratti in nome dell'imprenditore, non hanno il potere di derogare alle condizioni generali di
contratto o alle clausole stampate sui moduli dell'impresa, se non sono muniti di una speciale autorizzazione
scritta.».
Poteri dei commessi relativi agli affari conclusi (art. 2212 c.c.): «Per gli affari da essi conclusi, i commessi
dell'imprenditore sono autorizzati a ricevere per conto di questo le dichiarazioni che riguardano l'esecuzione del
contratto e i reclami relativi alle inadempienze contrattuali.
Sono altresì legittimati a chiedere i provvedimenti cautelari nell'interesse dell'imprenditore.»

L’AZIENDA:
Ex art.2555: L’azienda è il complesso dei beni organizzati e destinati dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività
di impresa.

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L’azienda è l’apparato strumentale di cui si avvale l’imprenditore ed è anche un insieme di beni eterogenei che
subisce modificazioni qualitative e quantitative anche radicali nel corso dell’attività e resta però un complesso
caratterizzato da unità di tipo funzionale, per:
 Il coordinamento e il rapporto di complementarità fra i vari elementi;
 L’unitaria destinazione ad uno specifico fine produttivo.
Il rapporto di complementarità e strumentalità fra i singoli beni costitutivi, fa sì che il complesso acquisti un valore
di scambio maggiore della semplice somma dei singoli beni che lo costituiscono, tale maggior valore è il
cosiddetto avviamento. Si distingue fra:
1. Avviamento oggettivo, ricollegabile a fattori suscettibili di permanere anche se muta il titolare
dell’azienda, poiché insiti nel coordinamento esistente fra i vari beni;
2. Avviamento soggettivo, dovuto all’abilità operativa dell’imprenditore sul mercato ed in particolare alla
sua abilità nel formare e accrescere la clientela.
L’azienda (o un suo ramo dotato di organicità operativa) può formare oggetto di atti di disposizione di diversa
natura, a titolo definitivo così come temporaneo; la sua circolazione segue una particolare disciplina (artt. 2556-
2562 c.c.): ratio conservazione dell’unità economica e mantenimento dell’efficienza e della funzionalità dei
complessi produttivi.
Elementi costitutivi dell’azienda sono TUTTI i beni di qualsiasi natura, organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa.
Ai fini della qualifica aziendale del bene è rilevante la destinazione funzionale impressagli:
1. Non sono aziendali i beni dell’imprenditore che non siano destinati all’attività;
2. Sono beni aziendali i beni di proprietà di terzi di cui l’imprenditore può disporre in base ad un valido titolo
giuridico, purché attualmente impiegati nell’attività di impresa.
In merito al termine “beni aziendali” in giurisprudenza è presente la tendenza ad ampliare la nozione a tutto ciò
che può costituire oggetto di tutela giuridica; Campobasso ritiene che siano elementi costitutivi dell’azienda SOLO
le cose in senso proprio di cui l’autore si avvale per l’esercizio dell’impresa.

L’azienda fra concezione atomistica e concezione unitaria. Azienda e universalità di beni:


La natura giuridica dell’azienda è da tempo dibattuta e vede contrapposte teorie unitarie e teorie atomistiche:
 Teorie unitarie, per le quali l’azienda è un bene unico, nuovo e distinto da quelli che la compongono, un
bene immateriale rappresentato dall’organizzazione stessa, una universalità di beni. In forza di ciò si è
ritenuto che il titolare abbia sull’azienda un vero e proprio diritto di proprietà unitario, oltre a quello sui
singoli beni; potrebbe in forza di ciò tutelare tale diritto con gli strumenti esistenti per la difesa del diritto
di proprietà, benché non potrebbe invece farne ricorso per i singoli beni;
 Teorie atomistiche, per le quali l’azienda è una semplice pluralità di beni funzionalmente collegati, sui
quali l’imprenditore può vantare diritti diversi. In forza di ciò si è attribuito un significato tecnico alle
norme che parlano di proprietà o di proprietario dell’azienda e di usufrutto della stessa.
Secondo Campobasso la scelta atomistica è da preferirsi in quanto base, poiché le teorie unitarie trovano ostacolo
nei dati normativi; tuttavia la salvaguardia dell’unità funzionale dell’azienda deve essere assunta a criterio
interpretativo per problemi pratici lasciati aperti dalle teorie atomistiche.
Per quanto attiene la definizione dell’azienda in quanto universalità di beni, l’applicazione diretta ed integrale
della disciplina dell’universalità di mobili è da escludersi, ma può avvenire tramite analogia.

La circolazione dell’azienda. Oggetto e forma dei negozi traslativi.


L’azienda può formare oggetto di atti di disposizione di diversa natura, al pari l’imprenditore può compiere atti di
disposizione riguardo uno o più beni aziendali; è importante stabilire se un determinato atto dell’imprenditore si
qualifichi nell’uno o l’altro senso.
La qualificazione di una data vicenda circolatoria come trasferimento di azienda o di singoli beni aziendali deve
essere operata secondo criteri oggettivi, guardando al risultato realmente perseguito e realizzato, non al nomen
del contratto o alla loro intenzione soggettiva. Per aversi trasferimento d’azienda:
 Non è necessario che l’atto di disposizione riguardi l’intero complesso aziendale. Può riguardare anche il
trasferimento di un ramo particolare, purché dotato di organicità operativa;

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 È necessario che sia trasferito un insieme di beni potenzialmente idoneo a essere utilizzato per l’esercizio
di una determinata attività d’impresa. È però necessario che i beni esclusi dal trasferimento non alterino
l’unità economica e funzionale di quella data azienda.
Le forme da osservare nel trasferimento dell’azienda sono fissate all’art.2556, modificato dalla legge 310 del
1993; in merito alla:
1. Validità: i contratti di trasferimento della proprietà o del godimento dell’azienda sono validi se rispettano
le forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la
particolare natura del contratto manca un’autonoma ed unitaria legge di circolazione dell’azienda.
(Forma necessaria ed identica per ogni tipo di azienda, sia agricola che commerciale);
2. Prova: SOLO per le imprese soggette a registrazione con effetti di pubblicità legale, secondo l’originario
sistema del Codice, “ogni atto di disposizione dell’azienda deve essere provato per iscritto ad
probationem”;
3. Pubblicità: per tutte le imprese soggette a registrazione secondo l’originario sistema del Codice, è oggi
prescritto che i relativi contratti di trasferimento sono da iscriversi nel registro delle imprese nel termine
di 30 giorni redatto o per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.

La vendita dell’azienda. Il divieto di concorrenza dell’alienante:


L’alienazione dell’azienda produce, oltre gli effetti dedotti in contratto, ex lege effetti ulteriori inderogabili che
riguardano: il divieto di concorrenza dell’alienante, i contratti, i crediti e i debiti aziendali. Ai sensi dell’art.2557
“chi aliena un’azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di 5 anni dal trasferimento,
dall’iniziare qualunque attività che possa per l’oggetto, per l’ubicazione o altre circostanze sviare la clientela
dell’azienda ceduta”.
Il divieto di concorrenza (a tutela dell’acquirente) è derogabile e a carattere relativo, ossia:
 Sussiste nei limiti in cui la nuova attività di impresa dell’alienante sia potenzialmente idonea a sottrarre
clientela all’azienda ceduta;
 Le parti possono ampliare la portata dell’obbligo di astensione, ma MAI oltre i 5 anni, purché non sia
impedita ogni attività professionale all’alienante.
Il divieto è da ritenersi applicabile oltre alla vendita volontaria anche in seguito alla vendita coattiva, perciò
graverà sull' imprenditore fallito; casi controversi sono quelli relativi a:
1. Divisione ereditaria con assegnazione dell’azienda ad uno degli eredi;
2. Scioglimento di una società con assegnazione dell’azienda sociale ad uno dei soci quale quota di
liquidazione;
3. Vendita dell’intera partecipazione sociale o di controllo in una società di persone o di capitali.
In questi casi vi è un trasferimento, ma è un trasferimento delle quote o delle azioni e NON dell’azienda, perciò il
divieto è da escludersi. Tuttavia, dato che nei primi casi in sede di liquidazione si tiene conto del valore di
avviamento e nel terzo la vendita può costituire un risultato sostanzialmente uguale a quello della vendita, a certe
condizioni si ammette l’estensione analogica.
Dato che l’avvio di una nuova impresa concorrente può avvenire tramite prestanome, società di comodo o con la
nomina a dirigente di una concorrente: il divieto dovrà ritenersi violato ogni volta sia avuto sviamento della
clientela dall’azienda ceduta, per fatto concorrenziale direttamente o indirettamente imputabile all’alienante.

La successione nei contratti aziendali:


Al fine di favorire il mantenimento dell’unità economica dell’azienda è facilitato, tramite deroghe alla disciplina
comune della cessione dei contratti (artt.1406 e ss.), il subingresso dell’acquirente nei rapporti contrattuali in
corso d’esecuzione, stipulati dall'alienante.
Ai sensi dell’art.2558 comma 1° “se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti
stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che NON abbiano carattere personale”.
Ai sensi dell’art.2558 comma 2° al “terzo contraente è riconosciuto il diritto di recedere dal contratto entro 3
mesi dalla notizia del trasferimento, con effetto ex nunc, se sussiste giusta causa, salvo responsabilità
dell’alienante”.
TUTELA DEL 3° CONTRAENTE: Spetterà al terzo provare che l’acquirente dell’azienda si trova in una situazione
oggettiva tale da non poter fare affidamento su di lui per la regolare esecuzione del contratto; con il recesso il

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contratto si estingue definitivamente ed il contraente può solo chiedere il risarcimento del danno all’alienante,
provando la sua mancata cautela nella scelta dell’acquirente.

Contratti personali:
La disciplina sopra esposta non trova applicazione ai contratti con carattere personale; così si definiscono quei
contratti nei quali l’identità della persona e le qualità personali dell’imprenditore alienante sono state in concreto
determinanti per il consenso del terzo contraente, da accertare in base a criteri oggettivi. Per il trasferimento di
tali contratti saranno necessari un’espressa pattuizione contrattuale tra alienante ed acquirente, sia il consenso
del contraente ceduto.

I crediti e i debiti aziendali:


In caso di presenza di debiti e crediti aziendali trova luogo la disciplina dettata in deroga ai principi di diritto
comune:
1. CREDITI, ex art.2559:
a. Per le imprese iscritte nella sezione ordinaria (registrazione con effetti di pubblicità legale) si
rende più semplice opporre tali crediti ai terzi tramite la sostituzione della notifica al debitore
ceduto e la conseguente accettazione da parte di questi, con una notifica collettiva, ossia
l’iscrizione del trasferimento nel registro; “il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede
all’alienante”.
b. Imprese iscritte nelle sezioni speciali, trova applicazione la disciplina generale della cessione dei
crediti.
2. DEBITI, ex art.2260:
a. l’alienante non è liberato dai debiti dell’azienda ceduta, sorti prima del trasferimento, se non
risulta che i creditori vi hanno consentito.
b. nel trasferimento delle aziende commerciali risponde di tali debiti ANCHE l’acquirente
dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori.
Nel rapporto tra alienante ed acquirente: i crediti ed i debiti NON passano in automatico all’acquirente, è
necessaria una espressa pattuizione; in assenza:
1. L’acquirente riceverà il pagamento dei crediti come semplice legittimato a riscuotere per conto
dell’alienante e sarà tenuto a trasferire lui quanto riscosso,
2. L’acquirente pagherà i debiti quale garante ex lege dell’alienante stesso ed avrà diritto di rivalsa per
l’intero verso quest’ultimo.

Usufrutto e affitto dell’azienda:


L’azienda può formare oggetto di diritto reale o personale di godimento può dunque essere costituita in usufrutto
o concessa in affitto. La concessione in usufrutto dell’azienda comporta modifiche alla disciplina comune, ai sensi
dell’art.2561 l’usufruttuario sul quale ricadono particolari poteri-doveri “deve esercitare l’azienda sotto la ditta
che la contraddistingue, deve condurla senza modificare la destinazione ed in modo da conservare l’efficienza
dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte, previa cessazione di usufrutto per abuso
dell’usufruttuario”.
L’usufrutto dà il potere di disporre dell’azienda nei limiti segnati dalle esigenze di gestione, sia relativamente al
capitale circolante (scorte), sia al capitale fisso, (impianti e immobili) purché tali atti non alterino l’identità ed
efficienza dell’azienda.
L’usufruttuario può acquistare ed immettere nuovi beni su cui avrà diritto di godimento e che diventeranno
proprietà del nudo proprietario; è dunque previsto che venga redatto un inventario alla fine ed all’inizio
dell’usufrutto e che la differenza tra essi risultante viene poi regolata in denaro.
Ai sensi dell’art.2562 la disciplina prevista per l’usufrutto si applica anche all’affitto.
Si applicano ad entrambe le fattispecie le discipline del divieto di concorrenza e della successione nei contratti
aziendali; solo all’usufrutto la disciplina dei crediti.
Non si applica a nessuna delle due fattispecie la disciplina dei debiti aziendali.

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I DIRITTI DI PROPRIETÀ INDUSTRIALE: I SEGNI DISTINTIVI
La ditta è il segno distintivo dell’impresa (c.d. nome commerciale), l’insegna è quello dei locali in cui viene
esercitata all’attività di impresa e il marchio il segno distintivo dei prodotti. Sta acquistando sempre più
importanza il nome a dominio, che individua un sito internet usato nell’attività economica.
Attorno ai segni distintivi ruotano vari interessi:
1. Quello degli imprenditori a dotarsi di segni che godano di spiccata
forza distintiva ed attrattiva, parallelo all’interesse alla tutela di quanti con essi entrino in contatto per
non essere tratti in inganno;
2. Quello degli imprenditori di poter cedere ad altri i propri segni per monetizzare l’autonomo valore
economico;
3. Quello generale a che la competizione concorrenziale si svolga in modo ordinato e leale.
Dalle tre distinte discipline è possibile desumere principi ispiratori comuni:
1. L’imprenditore ha ampia libertà nella formazione dei propri segni distintivi, MA è tenuto a rispettare
criteri di: verità, novità e capacità distintiva.
2. L’imprenditore ha diritto all’uso esclusivo dei propri segni distintivi, MA è un diritto relativo e
strumentale alla realizzazione della funzione distintiva.
3. L’imprenditore può trasferire ad altri i propri segni distintivi, MA in modo tale da evitare di trarre in
inganno il pubblico.

La ditta: è il nome commerciale dell’imprenditore, lo individua come soggetto di diritto nell’esercizio dell’attività
d’impresa è per questo che è segno distintivo necessario infatti in mancanza di diversa scelta coincide con il
nome dell’imprenditore. Non è necessario che coincida per forza con il nome dell’imprenditore: c’è libertà di
scelta purché si rispettino i principi della verità e della novità.
Nasce come ditta soggettiva all’inizio dell’attività c’è una totale corrispondenza tra ditta e imprenditore, solo
con l’inizio dell’attività la ditta si oggettivizza e quindi viene ricondotta all’impresa nella sua oggettività. I requisiti
della ditta:
 Requisito della verità (art. 2563). La ditta deve essere vera, ovvero deve riportare il nome e cognome o
almeno la sigla dell’imprenditore (parliamo dell’imprenditore individuale). Accanto a questi elementi si
può accompagnare una denominazione di fantasia. Occorre distinguere tra:
o Ditta originaria, formata dall’imprenditore che la utilizza: deve contenere almeno il cognome o la
sigla dell’imprenditore. Oltre questo requisito formale, l’imprenditore è poi libero di completare
come preferisce la propria ditta;
o Ditta derivata, formata da un dato imprenditore e successivamente trasferita ad un altro insieme
all’azienda; quest’ultimo NON è tenuto ad integrarla con il proprio cognome o con la propria sigla.
La verità in questo caso è “storica”.
 Requisito della novità (art. 2564): la ditta deve essere nuova non devono esserci altre imprese nel
mercato che per il luogo in cui si esercita l’attività o per l’oggetto dell’attività siano confondibili con la
ditta che si vuole usare. Novità estrinseca del segno: non deve essere uguale o simile a quella usata da
altro imprenditore. La ditta che voglio creare non si deve neanche confondere con altre esistenti.
Chi ha adottato per primo una data ditta ha diritto all’uso esclusivo della stessa, ma tale diritto e il
corrispondente obbligo di differenziazione sono relativi: sussistono SOLO SE gli imprenditori sono in
rapporto concorrenziale tra loro e si possa dunque creare confusione. Per le imprese commerciali vale il
principio della priorità dell’iscrizione nel registro delle imprese: l’obbligo dell’integrazione o modificazione
spetta a chi ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore.
Il Principio di novità, secondo il Principio di unitarietà dei segni distintivi, opera anche nei rapporti fra la
ditta ed altri segni distintivi.
Per paragonare più ditte si fa riferimento al cuore della ditta il cuore della ditta è quell’elemento che la
rende diversa e riconoscibile rispetto a ogni altra ditta (in alcuni casi può essere anche il nome e cognome
dell’imprenditore, o anche la denominazione di fantasia). Si può verificare la situazione in cui per superare
il requisito della novità si debba fare a meno del requisito della verità e quindi che l’imprenditore non
possa usare il proprio nome o cognome (per ovviare ciò l’imprenditore è costretto a modificarli in modo
che non si confondano con altre attività). Vale però il principio della non concorrenza, infatti se parliamo

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di attività diverse o luoghi diversi è possibile avere due ditte confondibili perché tanto tra le due non si
crea concorrenza. Colui che ha utilizzato per primo e iscritto per primo nel registro delle imprese è colui il
quale ha il diritto di chiedere e imporre al successivo imprenditore che vuole usare la stessa ditta di
cambiare ditta.
 Requisito della liceità. Si declina in due modi, entrambi devono essere rispettati:
o La ditta deve rispettare le norme imperative, di buon costume e di ordine pubblico;
o Non decettività della ditta la ditta non deve essere tale da indurre in errore coloro che operano
con questa ditta.

La ditta può essere oggetto di trasferimento, tuttavia siccome essa è elemento distintivo dell’impresa essa può
essere trasferibile sol congiuntamente all’azienda (art. 2565). Quando si parla di trasferimento dell’azienda ci
riferiamo non necessariamente al trasferimento alla totalità dell’azienda ma anche al trasferimento di un solo
ramo dell’azienda. Trasferimento della ditta= situazione molto delicata trasferimento per atto tra vivi: affinché
il trasferimento sia effettivo, la volontà dell’originale titolare della ditta di trasferirla all’altro, deve risultare da
esplicita dichiarazione scritta. Inoltre, l’alienante deve provvedere subito all’iscrizione nel registro delle imprese
altrimenti, dato che sia l’azienda che la ditta hanno lo stesso nome, il mercato potrebbe cadere in errore nel caso
in cui voglia entrare in rapporti con l’azienda.
Nel caso del trasferimento mortis causa non è possibile avere il consenso del defunto, per cui il legislatore decide
che in questo caso si trasferisce automaticamente per successione anche la ditta, salvo diversa disposizione
testamentaria (ad es: il defunto prima di morire può stabilire che la ditta cessi con la sua morte).

L’Insegna: segno distintivo dei locali nei quali viene esercitata l’attività d’impresa o dell’intero complesso
aziendale. La disciplina dell’art.2568 prevede l’obbligo di modificazione dell’insegna simile o confondibile. La
disciplina dell’insegna deve essere ricostruita: questo perché pure nel silenzio della disciplina specifica sono
applicabili i principi cardine della ditta e del marchio. Requisiti:
 Requisito della liceità (nei due sensi già visti per la ditta)
 Requisito della novità non deve essere simile o confondibile a quella usata da un altro imprenditore che
per il luogo di svolgimento dell’attività o per l’oggetto dell’attività sia in concorrenza con essa. Deve avere
sufficiente capacità distintiva.
No requisito della verità.
Per il trasferimento dell’insegna, si applica il principio per cui si trasferisce solo con l’azienda? Non si è arrivati a
una conclusione pacifica perché secondo alcuni dato che non c’è una disciplina esplicita è possibile trasferirlo
senza il trasferimento dell’azienda, ma altri no. Rimane però opinione condivisa il fatto che l’insegna è trasferibile:
si applica la più permissiva disciplina prevista per il marchio dato che l’insegna riguarda elementi materiali e non
la persona dell’imprenditore.
Laddove l’insegna abbia una forte connotazione geografica/storica con il luogo in cui l’impresa è esercitata,
questa non può essere trasferita se il trasferimento implica un grande cambiamento dal punto di vista geografico
del luogo di realizzazione dell’attività d’impresa.

Il Marchio: La disciplina dei marchi la ritroviamo sia nell’ordinamento nazionale che nell’ordinamento
comunitario ed internazionale.
Il marchio è il segno distintivo del prodotto/servizio. Elementi che compongono il marchio: da questo punto di
vista il legislatore dà ampia libertà agli imprenditori, per cui può essere: una denominazione, un colore, un
numero, un segno, un profumo, ecc. può essere qualsiasi cosa. Vi è però un limite, ovvero che il marchio possa
essere rappresentabile graficamente questo perché la rappresentabilità grafica è elemento fondamentale
affinché il marchio possa essere soggetto a brevettazione.
 Marchio nazionale: disciplinato dagli artt.2569-2574 dal Codice Civile e dal Codice della proprietà
industriale d.lgs. 30 del 2005;
 Marchio comunitario: disciplinato dal regolamento Ce 207/2009. Obiettivo= delineare un marchio che
ottenga gli stessi effetti in tutta l’Unione;
 Il marchio internazionale, disciplinato da Convenzione d’Unione di Parigi del 1883 e dall’Accordo di
Madrid del 1891 e relativo Protocollo.

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Queste normative, tutte imperniate sull’istituto della registrazione, riconoscono al titolo del marchio il diritto
all’uso esclusivo dello stesso. Il marchio NON è un segno distintivo essenziale, ma è il più importante dei segni
distintivi per le funzioni che svolge:
1. Funzione distintiva dei prodotti, costituisce il principale simbolo di collegamento fra produttori e
consumatori e li distingue dagli altri;
2. Funzione attrattiva, alcuni assumono un’autonoma forza attrattiva dei consumatori a causa del massiccio
impiego della pubblicità commerciale.
Fra queste non può ricomprendersi la Funzione di garanzia della qualità, dato che nella disciplina dei marchi non
c’è nessuna norma a riguardo.
esistono diversi tipi di marchio I marchi possono essere classificati secondo diversi criteri:
 In base alla natura dell’attività:
a. Marchio di fabbrica e di commercio, di un marchio può servirsi il fabbricante di un prodotto, ma
anche il commerciante dello stesso. Perciò su un prodotto possono coesistere più marchi e in tal caso
ex art.2572 il rivenditore può apporre il proprio marchio ai prodotti ma NON può sopprimere il
marchio del produttore;
b. Marchio di servizio, utilizzato da imprese che producono servizi; la sua forma classica è quella
pubblicitaria;
c. Marchio generale e marchio speciale, il primo quello che l’imprenditore utilizza per tutti i propri
prodotti (UN SOLO MARCHIO), il secondo quello che utilizza per differenziare i diversi tipi di prodotti
o tipi diversi dello stesso prodotto;
d. Marchio denominativo costituito cioè da sole parole (può coincidere con la stessa ditta e/o il nome
civile dell’imprenditore;
e. Marchio figurativo costituito da sole figure, disegni, lettere ecc.;
f. Marchio di forma o tridimensionale, costituito dalla forma del prodotto o dalla confezione dello
stesso;
g. Marchio collettivo, svolge la funzione di garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati
prodotti o servizi ed è utilizzato non dall’ente che lo registra ma da produttori o commercianti
consociati che rispettino determinate regole.
Il marchio per essere tutelato giuridicamente deve rispettare i requisiti:
 Requisito di originalità deve essere composto in modo tale da consentire l’individuazione dei prodotti
contrassegnati fra tutti gli altri;
 Requisito della novità estrinseca del segno. Deve essere nuovo, non deve essere già usato da un altro
imprenditore per quel determinato settore di attività. Il codice di proprietà industriale però da questo
punto di vista si allarga, perché impone che il marchio non deve essere confondibile anche con qualsiasi
altro segno distintivo (anche ditta o insegna) usato da altre imprese. Aggiunge anche il tema del marchio
di fatto può accadere che un imprenditore usi un marchio senza brevettarlo= lo usa di fatto.
Utilizzandolo di fatto quel segno acquisisce una capacità distintiva, però nel momento in cui un’altra
persona brevetti lo stesso marchio, egli obbliga l’imprenditore che ha iniziato a usarlo senza brevetto, ad
usarlo solo nell’ambito di utilizzo che ne faceva anche prima dell’introduzione del brevetto. Il marchio
deve essere nuovo anche intrinsecamente, ovvero dotato di capacità distintiva o dotato di originalità
non può essere usato come marchio il nome generico del prodotto, la forma esteriore del prodotto, una
forma che dà una particolare utilità al prodotto, ecc. Inoltre, nella disciplina dei marchi vige il principio
della lontananza del segno dal nome, per cui più lontano è il segno marchio dal nome generale del
prodotto, quanto più quel marchio sarà originale questo introduce la differenza tra:
o Marchio debole: segno molto vicino al prodotto;
o Marchio forte: segno molto lontano dal nome del prodotto
Questa differenza fa sì che quando il marchio è debole occorre una debole modifica di un segno
successivo per renderlo un marchio utilizzabile. Il marchio può anche acquisire forza in base all’uso che
l’imprenditore ne fa. Qualifica massima nel mondo dei marchi= marchio notorio o marchio dotato di
rinomanza.
Esistono dei casi in cui gli imprenditori usano i nomi dei prodotti come marchi (es: divani e divani o
poltrone e sofà): questi sono esempio di marchi che acquistano significato nella loro composizione
letterale.
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 Requisito di liceità. Concetto molto ampio che si estende a tanti fenomeni e fattispecie. Si sostanzia nel
rispetto delle norme citate per la ditta, ma anche in altro. Il marchio non deve contenere: segni contrari
alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume; stemmi o altri segni protetti da convenzioni
internazionali senza autorizzazione; il nome notorio può essere brevettato come marchio solo da chi ha
quel nome o da chi ne ha la proprietà; il nome non notorio può essere brevettato anche da chi non lo
possiede purché chi ne fa uso non lo usi in modo che crei danno al titolare. Questo requisito è proprio
solo del segno, però se il segno è il cuore della ditta, allora il requisito della novità diventa il più
importante. Nel caso in cui si voglia usare un ritratto come marchio, questo sia che si tratti di una persona
famosa che non, può essere utilizzato solo dietro consenso del soggetto. Impossibilità di registrare come
marchio la forma del prodotto quando questa sia necessaria o abbia una capacità tecnico/funzionale;
 Requisito di verità: non deve contenere segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla
provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi.
 Rappresentazione grafica. Elemento fondamentale per procede alla registrazione del marchio. Un
marchio deve essere registrato, in modo tale anche da tutelarlo da abusi che terzi ne possano fare. La
registrazione vale dal momento in cui si presenta la domanda e ha una durata di 10 anni ma può essere
sempre rinnovato, anche all’infinito. I principi sopra elencati devono essere proprio del marchio per tutta
la durata della registrazione, perché nel momento in cui un marchio perde questi requisiti non può essere
più tutelato.
Il legislatore stabilisce i tipi di segni privi di capacità distintiva:

 Denominazioni generiche,
 Indicazioni descrittive dei caratteri essenziali del prodotto
 I segni divenuti di uso comune nel linguaggio.
Il requisito dell’originalità viene però rispettato quando si utilizzano tali denominazioni o figure generiche che non
hanno alcuna relazione con il prodotto o sono state combinate e modificate fra loro.
Il Codice della proprietà industriale distingue fra:
 Marchi ordinari, per cui NON sono nuovi i segni che possono determinare un rischio di confusione per il
pubblico.
 Marchi celebri, per cui ex lege non sono nuovi i marchi confondibili da altri successivamente usato per
prodotti e servizi non affini, se chi lo usa “trarrebbe indebito vantaggio dal carattere distintivo o della
rinomanza del segno anteriore”.
Ex art.25 c.p.i. il difetto di uno dei requisiti di cui sopra comporta la nullità del marchio con 2 eccezioni:
1. Il difetto di novità non implica nullità SE colui che ne ha chiesto la registrazione non era in mala fede e il
titolare del marchio ne abbia tollerato l’uso per 5 anni.
2. Il difetto di originalità non implica nullità SE per l’uso fattone ha acquistato capacità distintiva prima della
domanda o dell’eccezione di nullità.

La registrazione del marchio:


Il titolare di un marchio rispondente ai requisiti di validità ha diritto all’uso esclusivo del marchio prescelto. La
registrazione presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi attribuisce al titolare del marchio il diritto all’uso esclusivo
su tutto il territorio nazionale; l’esclusiva copre i prodotti identici, ma anche i prodotti affini -qualora possa
determinarsi rischio di confusione- ossia tutti quei prodotti che a causa della loro vicinanza merceologica possono
ritenersi di fatto destinati alla stessa clientela o al soddisfacimento di bisogni identici o complementari. La
registrazione nazionale è il presupposto per l’estensione della tutela sul piano internazionale con la successiva
registrazione presso l'Organizzazione mondiale per la proprietà industriale di Ginevra; per il marchio comunitario
la registrazione è indipendente, va effettuata presso l’Ufficio per l’armonizzazione del mercato di Alicante, in
Spagna.
MARCHI CELEBRI: Nel caso di marchi celebri, l’utilizzo degli stessi da parte di altri imprenditori, anche per merci
del tutto diverse, può determinare equivoci sulla reale fonte di produzione per questo la giurisprudenza utilizza
un concetto ampio di affinità merceologica. Il diritto di esclusiva sul marchio decorre dalla data di presentazione
della relativa domanda: ogni marchio uguale o simile presentato successivamente è ex lege nullo per difetto del
requisito di novità.

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La registrazione nazionale dura 10 anni ed è rinnovabile per un numero illimitato di volte, fornisce quindi una
tutela perpetua salvo la successiva dichiarazione di nullità per difetto dei requisiti.
Il marchio può anche non essere sottoposto a registrazione siamo nel caso del marchio di fatto (non registrato).
L’ordinamento tutela in modo minore anche il marchio non registrato sulla base dell’uso di fatto e dell’effettivo
grado di notorietà raggiunto, permettendo al titolare di continuare ad usarlo dopo la registrazione altrui nei limiti
in cui se ne era avvalso(art.2571)
Tuttavia, la tutela non riguarda i prodotti affini ed è limitata alla zona di pre-uso.

Un marchio può decadere per:


 Volgarizzazione avviene quando quel marchio diventa una denominazione per uso comune. Esempio: il
nome cellofan nasce come marchio, ma ora è decaduto.
 Mancata utilizzazione del marchio o sospensione per 5 anni se il marchio non è più utilizzato o da colui
che lo ha brevettato o da chi ha il potere di usarlo in nome di colui che lo ha brevettato, decade o
comunque nuovi imprenditori nel mercato possono iniziare ad usare quel marchio. Ne fanno eccezione i
marchi difensivi, ovvero un marchio che viene brevettato sapendo fin dall’origine che non verrà utilizzato
ma che viene brevettato con lo scopo di difendere il marchio originale (si usa per i marchi famosi).
 Per mancato pagamento dei diritti di rinnovo dopo 6 mesi dalla scadenza,
 Omissione dei controlli per l’uso previsti da padre del titolare.
DIFESA DEL MARCHIO: Il titolare di un marchio il cui diritto di esclusiva sia stato leso può promuovere contro il
concorrente l’azione di contraffazione ex artt.124 e ss c.p.i.; la quale è volta ad ottenere l’inibitoria alla
continuazione degli atti lesivi, la rimozione degli stessi e in particolari casi la pubblicazione della sentenza di
condanna.
Inoltre, il titolare ha diritto al risarcimento dei danni nei casi di dolo o colpa del concorrente.

La circolazione del marchio: è prevista una disciplina totalmente diversa da quella prevista per la ditta e per
l’insegna. Il marchio è trasferibile e può essere trasferito sia a titolo definitivo che a titolo temporaneo (licenza di
marchio), per tutti o per una parte dei prodotti per i quali è stato registrato, senza che sia necessario come prima,
il contemporaneo trasferimento dell’azienda o del corrispondente campo produttivo. Una particolarità del
marchio è che può anche capitare che il proprietario di un marchio conceda una licenza ad altro imprenditore per
l’utilizzo di esso per un determinato lasso di tempo, riappropriandosi totalmente del marchio una volta trascorso
quel periodo licenza non esclusiva: è possibile quindi la contitolarità del marchio (licenza non esclusiva),
utilizzato nello stesso momento sia dal titolare originario sia da uno o più concessionari: vengono immessi sul
mercato prodotti dello stesso genere, con stesso marchio ma fonte di provenienza diversa.
Sono previsti dei limiti Il legislatore ex art.2573 ha stabilito che dal trasferimento o dalla licenza non deve
derivare inganno nei caratteri dei prodotti o servizi e che, ex art.23 c.p.i., il licenziatario sia obbligato ad utilizzare
il marchio per prodotti con caratteristiche qualitative uguali a quelli degli altri licenziatari e dell’originario titolare.

La contraffazione del marchio: la brevettazione conduce a una tutela molto forte, molto più forte di quella
realizzata dalla disciplina della concorrenza sleale. Nel caso della contraffazione del marchio, il proprietario non
deve dimostrare niente, deve solo provare che l’altro marchio sia confondibile o richiami il suo affinché venga
applicata la disciplina punitiva che prevede l’annullamento di tutto ciò che è stato realizzato con il marchio
contraffatto.

Le invenzioni industriali. Si definiscono creazioni intellettuali tutte quelle invenzioni che portano alla soluzione di
un problema. Ne fanno parte le opere dell’ingegno idee creative nel campo culturale) e le invenzioni industriali
(idee creative nel campo della tecnica). Le opere dell’ingegno fanno parte del diritto d’autore, mentre le
invenzioni industriali possono formare oggetto:
a. Brevetto per invenzioni industriali;
b. Brevetto per modelli di utilità oppure della registrazione per disegni e modelli.

Con il termine invenzioni industriali si definisce la soluzione originale di un problema tecnico e riguarda le idee
creative che appartengono al campo della tecnica. Deve trattarsi di un’invenzione di un qualcosa, di una soluzione
originale (non conosciuto o utilizzata sul mercato) che può riguardare il prodotto o il procedimento. Si distinguono
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dalle opere dell’ingegno soprattutto per il diverso modo di acquisto del diritto di utilizzazione economica, che per
le invenzioni avviene tramite la concessione del brevetto: possono formare oggetto di brevetto le idee inventive di
maggior rilievo tecnologico abbiamo:
 Invenzioni di prodotto. Oggetto= nuovo prodotto/servizio;
 Invenzioni di procedimento (produttivo/distributivo). Consistono in nuovo metodo di produzione di beni
già noti, nuovo processo di lavorazione industriale, nuovo dispositivo meccanico;
 Invenzioni derivate. Derivazione di una precedente invenzione. Si distinguono:
o Invenzioni di combinazione: combinazione di invenzioni precedenti per ricavarne una nuova;
o Invenzioni di perfezionamento: migliorare un’invenzione precedente;
o Invenzioni di traslazione: nuova utilizzazione di una sostanza/composizione già conosciuta.
Non vengono considerate invenzioni industriali:
 Le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici;
 I piani, i principi ed i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciali e i programmi di
elaboratori;
 Le presentazioni di informazioni.
Ne deriva che non può essere considerato come invenzione industriale ciò che già esiste in natura e l’uomo si
limita a percepire o una nuova teoria.
Requisiti dell’invenzione industriale (necessari affinché l’invenzione sia oggetto di brevetto):
 Novità è nuova l’invenzione che non è compresa nello stato della tecnica, ovvero tuto ciò che sia
accessibile al pubblico prima della data di deposito della domanda di brevetto= manca del requisito di
novità l’invenzione divulgata;
 Deve implicare attività inventiva questo avviene quando per una persona esperta del ramo,
l’invenzione non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica;
 Liceità;
 Industrialità sono escluse quindi dalla brevettazione le invenzioni commerciali: devono essere idonee
ad avere un’applicazione industriale.
Ovviamente, un’invenzione per essere brevettata deve anche essere rappresentabile graficamente.
La tutela giuridica dell’invenzione ha carattere sia patrimoniale che morale. L’inventore ha diritto ad essere
riconosciuto autore dell’invenzione e tale diritto morale lo acquista per il solo fatto dell’invenzione. Il brevetto per
invenzione industriale è concesso dall’Ufficio brevetti a seguito di una domanda che deve essere corredata di
descrizione dell’invenzione e di rivendicazione, ovvero in cui si deve specificare ciò che deve formare oggetto del
brevetto. Tutto ciò che nascondo nel processo di brevettazione non verrà tutelato dal brevetto, quindi se voglio
avvalermi del brevetto devo presentare tutto.
Il vantaggio della brevettazione sa nel fatto che essa impedisce agli altri operatori di mercato di produrre il
medesimo prodotto/servizio o di adottare il medesimo procedimento. La brevettazione di un’invenzione ha
solitamente una durata di 20 anni (esclusa ogni possibilità di rinnovo), ma si riduce a 10/15 in alcuni casi. Nel
momento in cui scade il brevetto, l’invenzione diventa pubblica, in modo tale che anche un altro imprenditore
possa arrivare alla stessa invenzione. Il diritto di esclusiva che deriva dal brevetto può venire meno anche prima
della scadenza di esso: questo avviene in caso di nullità o di decadenza del brevetto.
Diritto di esclusiva: il brevetto concede al titolare la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e di trarne profitto nel
territorio dello stato esclusiva: di fabbricazione, di commercio (che si esaurisce con la prima immissione in
circolazione del prodotto) e importazione dei prodotti cui l’invenzione si riferisce. Se l’invenzione che si vuole
brevettare è un’invenzione di procedimento, l’esclusiva copre solo l’applicazione del nuovo procedimento e la
messa in commercio del prodotto.
Trasferimento del brevetto: è liberamente trasferibile sia fra vivi che mortis causa e lo si può trasferire
indipendentemente dal trasferimento dell’azienda. Sul brevetto si possono costituire diritti reali di godimento o di
garanzia. Il titolare del brevetto può inoltre concedere licenza d’uso dello stesso con o senza esclusiva di
fabbricazione a favore del licenziatario.
L’invenzione brevettata è tutelata con sanzioni civili e penali il titolare del brevetto:
 Può esercitare azione di contraffazione nei confronti di chi sfrutta l’invenzione abusivamente;
 Ha diritto al risarcimento dei danni subiti sia patrimoniali che morali;
 Può chiedere la restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione.

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Oltre al brevetto che concede il diritto di esclusiva sul territorio nazionale abbiamo anche un brevetto autonomo e
unitario che è il brevetto unitario europeo (o brevetto europeo con effetto unitario) questo ha carattere
sovranazionale, unitario ed autonomo.
L’invenzione non brevettata: l’inventore può astenersi dal brevettare il proprio trovato e decidere di sfruttarlo in
segreto: così facendo corre il rischio che qualcun altro arrivi a brevettare la stessa invenzione prima di lui
conseguendone il relativo diritto di esclusiva (tra due inventori prevale chi ha per primo presentato la domanda di
brevetto). La disciplina prevede però una tutela (limitata) di chi ha fatto uso di un’invenzione senza brevettarla
chiunque ha fatto uso dell’invenzione nella propria azienda, nei 12 mesi anteriori al deposito dell’altrui domanda
di brevetto, può continuare a sfruttare l’invenzione stessa nei limiti del pre-uso.

Il tema delle invenzioni industriali porta con sé varie problematiche, che spesso sfociano anche nell’etica, nel
sociale ad esempio spesso nel campo farmaceutico si pone spesso il problema se è giusto dare il brevetto a
determinate invenzioni. La ratio giuridica del brevetto dell’invenzione è però quella di incentivare coloro che
fanno ricerca e sviluppo a continuare a farlo.
L’invenzione del dipendente nel caso normale l’imprenditore assume dei soggetti specifici per svolgere attività
di ricerca e sviluppo. Se tali soggetti riescono a fare un’invenzione i diritti patrimoniali e di proprietà
dell’invenzione spettano all’imprenditore perché essi erano remunerati per la loro attività di ricerca (l’unica cosa
che spetta ai dipendenti in questo caso è la titolarità morale dell’invenzione). Ci sono però delle eccezioni:
 Un dipendente non viene assunto per scopo di ricerca e sviluppo, ma svolgendo il proprio lavoro arriva lo
stesso a un’invenzione la titolarità dell’invenzione spetta sempre all’imprenditore, ma al dipendente
dovrà essere riconosciuto un equo compenso che dovrà essere dato dall’imprenditore o dal giudice;
 Un dipendente raggiunge un’invenzione senza che questa abbia alcun collegamento con la sua attività
operativa tutti i diritti sono del dipendente, l’imprenditore avrà solo diritto di prelazione sull’acquisto
dell’invenzione in caso di vendita della stessa, ma la dovrà pagare a prezzo di mercato.

Segreto aziendale (KNOW HOW):


Riguarda quelle invenzioni che non sono brevettabili o quelle che avrebbero potuto essere brevettate, ma che
l’imprenditore sceglie di non brevettare perché ritiene di avere la possibilità di tenere l’invenzione segreta e in
questo modo di perpetuarne l’utilizzo. Il “know how” viene tutelato con la disciplina del segreto aziendale. I
requisiti del segreto aziendale sono tutti quelli già elencati più la segretezza. Finché il know how rimane segreto, il
legislatore offre una tutela simile a quella della concorrenza sleale. Laddove un imprenditore concorrente venga a
conoscenza del contenuto del know how attraverso mezzi illeciti, egli non potrà avvalersi dell’invenzione e dovrà
risarcire i danni all’imprenditore abusato. Se però un altro imprenditore, attraverso l’osservazione del prodotto
messo in vendita, arriva alla stessa invenzione o capisce il procedimento innovativo e lo riproduce, il segreto non
può più essere tutelato e quindi l’imprenditore concorrente può legittimamente usare l’invenzione e di
conseguenza il segreto può essere divulgato.
Il legislatore guarda alla circostanza che l’imprenditore abbia introdotto, assicurato, degli strumenti utili a
garantire la sicurezza dell’invenzione se l’imprenditore non ha preso le dovute precauzioni affinché l’invenzione
rimanesse segreta e poi il dipendente divulga il segreto, l’imprenditore non potrà essere tutelato.
Invenzione e marchio= si parla di brevettazione, però al termine della tutela l’invenzione deve diventare di
conoscenza di tutti.
Nel caso di invenzione di miglioramento, se il prodotto che voglio migliorare non è più nel periodo di tutela, io
posso brevettare tranquillamente il miglioramento che voglio apportargli, se invece il prodotto è ancora sotto
tutela, bisogna chiedere l’autorizzazione del titolare per poter migliorare tale prodotto.

LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA


1. Concorrenza perfetta e monopolio:

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Il modello di concorrenza perfetta prevede la contemporanea presenza sul mercato di numerose imprese in
competizione tra loro, nessuna delle quali sia singolarmente in grado di condizionare il prezzo delle merci
vendute, piena mobilità dei fattori produttivi e assenza di barriere all’entrata.
La concorrenza perfetta è appunto solo un modello ideale e teorico perché spinge verso una riduzione dei costi e
dei prezzi di vendita; assicura la naturale eliminazione dal mercato delle imprese meno competitive; stimola il
progresso tecnologico e l’accrescimento dell’efficienza produttiva.
Nella realtà si vengono spesso a creare situazioni di oligopolio (mercato caratterizzato dal controllo dell’offerta da
parte di poche grandi imprese al fine di limitare la reciproca concorrenza).
Le imprese arrivano anche al punto da controllare l’intera offerta di un dato prodotto (monopolio di fatto). Fissato
il principio guida della libertà di concorrenza (art. 41 Cost.) il legislatore italiano:
1. Consente limitazioni legali della concorrenza per fini di “utilità sociale” e la creazione di monopoli legali in
specifici settori di interesse generale
2. Consente limitazioni negoziali della concorrenza nel rispetto della libertà di iniziativa economica attuale e
futura
3. Reprime gli atti di concorrenza sleale
Per lungo tempo il sistema italiano della concorrenza è stato sprovvisto di una normativa antimonopolistica.
Questo vuoto è stato colmato dalla legge 287/1990, recante norme per la tutela della concorrenza del mercato.
Con la legge 287/1990 è stata istituita l’Autorità garante della concorrenza del mercato, che vigila sul rispetto
della normativa antimonopolistica generale, adotta i provvedimenti antimonopolistici necessari ed irroga le
sanzioni amministrative e pecuniarie previste dalla legge.
Tre sono i fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica nazionale e comunitaria:
Le INTESE (o cartelli) sono comportamenti concordati fra imprese, anche attraverso organismi comuni, volti a
limitare la libertà di azione sul mercato.
Non tutte le intese anticoncorrenziali sono vietate: sono vietate le intese che abbiano per oggetto o per effetto di
impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato o in una sua parte rilevante; sono
lecite invece le intese minori in quanto non incidono in modo rilevante sull’assetto concorrenziale del mercato.
(art.4 l. 287/1990) Peraltro il divieto di intese anticoncorrenziali non ha carattere assoluto: l’Autorità può
concedere esenzioni temporanee purché si tratti di intese che migliorano le condizioni di offerta del mercato o
producono un sostanziale beneficio per i consumatori.

Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto e chiunque può agire in giudizio per farne accertare la nullità, così che
l’Autorità a sua volta possa adottare i provvedimenti per la rimozione degli effetti anticoncorrenziali generati ed
irrogare le relative sanzioni pecuniarie. (può ridurre o non applicare la sanzione alle imprese che, ravvedendosi,
forniscano informazioni utile o decisive per la scoperta di un’intesa illecita di cui hanno fatto parte – legge
248/2006 c.d. “programmi di clemenza”).

Qualsiasi danneggiato può agire per il risarcimento davanti alla magistratura ordinaria, secondo una speciale
disciplina introdotta dal D.lgs. 3/2017 (applicabile anche agli abusi di posizione dominante, no concentrazioni).

Il diritto al risarcimento si prescrive in cinque anni dal momento della cessazione del comportamento illecito, ma il
termine inizia a decorrere solo dopo che il danneggiato sia venuto a conoscenza del fatto lesivo e dell’autore di
tale violazione. (art. 8)

L’attuale disciplina agevola l’onere probatorio del danneggiato con presunzioni e speciali mezzi di ricerca prove: la
violazione si ritiene definitivamente accertata quando il provvedimento dell’Autorità garante non è più
impugnabile oppure è stato confermato in sede di ricorso con sentenza passata in giudicato.
Quando la violazione del diritto di concorrenza consiste in un cartello, l’esistenza del danno è presunta salva
prova contraria; se il danno non è provato nel suo preciso ammontare, il giudice può determinarlo in via
equitativa.

Ciascuna parte può chiedere al giudice di ordinare alla controparte o ad un terzo l’esibizione delle prove di cui
dispone e le eventuali informazioni contenute nel fascicolo aperto dall’Autorità garante sia pure con alcuni limiti
fissati dall’art. 4
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Il secondo fenomeno è L’ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE da parte di una o più imprese (art. 3 legge 287/1990 e
102 TFUE).
Vietato non è il fatto in sé dell’acquisto di una posizione dominante sul mercato, ma lo sfruttamento abusivo di
tale posizione con comportamenti capaci di pregiudicare la concorrenza effettiva.
Una posizione tale per cui l’impresa non è price-taker, ma price-maker, può agire dunque liberamente in relazione
alla quota di mercato posseduta (maggiore del 40%);
Quando un’impresa con posizione dominante ne abusa?
- Pone prezzi o condizioni contrattuali ingiustamente gravose
- Impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso
tecnologico, a danno dei consumatori (non è vietato ad un’impresa in posizione dominante di generare sviluppo
tecnico).
- Applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti.
- Subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti (contratti collegati –
fenomeno per cui l’impresa in posizione dominante pone un’ulteriore condizione non giustificata per concludere
un determinato contratto)
Il divieto di abuso di posizione dominante non ammette eccezioni (a differenza delle intese che possono avere
esoneri da parte dell’Autorità Garante).
Accertata infrazione, l’Autorità competente ne ordina la cessazione, irroga le sanzioni pecuniarie e, in caso di
ripetuta inottemperanza, può anche disporre la cessazione dell’attività d’impresa fino a 30 giorni (art. 15).

L’abuso di stato di dipendenza economica consiste nella “situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare,
nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi” (art. 9 legge
191/1998, nel testo modificato dalla legge 57/2001).
Al di là della rilevanza dominante dell’impresa, si ha un rapporto one to one: spesso nei settori automobilistici.
In questo caso il patto è nullo ed espone al risarcimento dei danni nei confronti dell’impresa che ha subito l’abuso.

La l. 287/1990 non fornisce una definizione generale di CONCENTRAZIONE, preferendo invece indicare le varie
fattispecie attraverso le quali si può realizzare tale operazione.
In particolare, si ha concentrazione quando:
- più imprese si fondono e danno luogo ad un’unica impresa (concentrazione giuridica);
- due o più imprese, pur restando giuridicamente distinte, diventano un’unica entità economica;
- Due o più imprese indipendenti costituiscono un’impresa societaria comune;

Le concetrazioni costituiscono un utile strumento di ristrutturazione aziendale e non sono di per sé vietate: sono
vietate quando comportano la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato in modo da
ridurre sostanzialmente e in maniera durevole la concorrenza.
È perciò stabilito che le operazioni di concentrazione che superano determinate soglie di fatturato, a livello
nazionale o comunitario devono essere preventivamente comunicate all’Autorità italiana o alla Commissione
europea.

In presenza di rilevanti interessi generali dell’economia nazionale, l’Autorità può, in via eccezionale, autorizzare
anche concetrazioni vietate, in conformità dei criteri generali fissati preventivamente dal Governo (art. 25 legge
287/1990).

In relazione alle sanzioni pecuniarie, esse possono giungere fino al 10% del fatturato delle imprese interessate e
vengono inflitte dall’Autorità se la concentrazione vietata viene comunque eseguita o se le imprese non si
adeguano a quanto dallo stesso prescritto per eliminare gli effetti anticoncorrenziali della concentrazione.

Le limitazioni della concorrenza:


4. Limitazioni pubblicistiche e monopoli legali:
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La libertà di iniziativa economica privata e la libertà di concorrenza sono libertà disposte nell’interesse generale
della collettività ed enunciate all’articolo 41 della Costituzione.
È pur vero che l’interesse generale può legittimare la soppressione di tale libertà concorrenziale a fronte della
creazione di monopoli pubblici in settori predeterminati dalla stessa Costituzione.
In tali casi, il legislatore si preoccupa di tutelare gli utenti contro possibili comportamenti arbitrati del
monopolista, in particolare:
- chi opera in regime di monopolio ha l’obbligo di contrattare con chiunque richieda la prestazione e il
soddisfacimento di richieste che siano compatibili con i mezzi ordinari dell’impresa;
- obbligo di rispettare la parità di trattamento (le condizioni non devono essere però necessariamente le
medesime per tutte le categorie di acquirenti) fra i diversi richiedenti.
5. Limitazioni convenzionali della concorrenza
La libertà individuale di iniziativa economica e di concorrenza è libertà parzialmente disponibile: si desume
dall’art. 2596 che consente la stipulazione di accordi restrittivi della concorrenza dettando una disciplina generale
fondata su tre regole.
Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto e non può precludere al soggetto che si vincola
lo svolgimento di ogni attività professionale, in quanto l’accordo è valido solo se circoscritto ad un determinato
ambito territoriale o ad una determinata attività. È inoltre posto un limite di durata pari a cinque anni. (i patti di
durata superiore sono validi sempre fino a 5 anni).

RATIO: La finalità è quella di tutelare i soggetti che assumono convenzionalmente l’obbligo di non concorrenza,
evitando un’eccessiva compressione della loro libertà individuale di iniziativa economica.
Esempi classici di patti limitativi della concorrenza sono:
1. i cartelli
2. i consorzi anticoncorrenziali

La concorrenza sleale:
Ciascun imprenditore gode di ampia libertà di azione e può porre in essere le strategie economiche che ritiene più
proficue, non solo per attirare clienti ma anche per sottrarli alla concorrenza.
È necessario però distinguere fra comportamenti concorrenziali leali e comportamenti sleali.
Nello svolgimento della competizione fra imprenditori concorrenti è vietato servirsi di mezzi e tecniche non
conformi ai principi della correttezza professionale e gli atti o i fatti che non soddisfano questo requisito vengono
considerati atti di concorrenza sleale.
È tutelato anche l’interesse generale dei destinatari finali della produzione: i consumatori. Per tutelare le esigenze
di questi è stata introdotta nel Codice del consumo una disciplina contro tutte le pratiche commerciali scorrette
(che possono indurre il consumatore medio ad assumere le decisioni commerciali che altrimenti non avrebbe
preso).

È un atto di concorrenza sleale ogni atto idoneo a creare confusione con i prodotti o con l’attività di un
concorrente (art. 2598). È lecito attrarre a sé l’altrui clientela, ma non è lecito farlo avvalendosi di mezzi che
possono trarre il pubblico in inganno. Molteplici sono le tecniche o le pratiche che l’imprenditore può porre in
atto per realizzare la confondibilì dei propri prodotti:
1. Uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente
usati da altri imprenditori concorrenti
2. Imitazione servile dei prodotti di un concorrente (riproduzione delle forme esteriori dei prodotti altrui).
La seconda vasta categoria di atti di concorrenza sleale comprende:
- gli atti di denigrazione che sono notizie e giudizi sui prodotti e sulle attività di un concorrente idonei a
determinarne il discredito;
- appropriazione di pregi dei prodotti o delle imprese di un concorrente.
Esempio di concorrenza sleale per denigrazione è la pubblicità iperbolica con cui si tende ad accreditare l’idea che
il proprio prodotto sia il solo a possedere determinati pregi (non oggettivi) che invece vengono implicitamente
negati ai concorrenti.

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- Per quanto riguarda la pubblicità comparativa, la comparazione è lecita quando è fondata su dati veri e
oggettivamente verificabili, non genera confusione sul mercato e non comporta discredito o denigrazione del
concorrente.
- La pubblicità menzognera è la falsa attribuzione ai propri prodotti di qualità o pregi non appartenenti ad alcun
concorrente (quindi non inquadrabile nella figura tipica dell’appropriazione di pregi).
Altre forme di concorrenza sleale sono:
- concorrenza parassitaria (sistematica imitazione di prodotti, marchi, campagne pubblicitarie altrui, sia pure con
accorgimenti tali da evitare la piena confondibilità delle attività;
- dumping (sistematica vendita sottocosto dei propri prodotti finalizzata alla eliminazione dei concorrenti);
- storno di dipendenti (sottrazione ad un concorrente di dipendenti particolarmente qualificati attuata con mezzi
scorretti come ad esempio fornire false notizie sulla situazione economica del concorrente).

I CONSORZI FRA IMPRENDITORI


2. NOZIONE E TIPOLOGIA:
Ai sensi della legge 377/1976 che ha modificato l’art.2602:
Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo
svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese.
Deve essere presente che l’espressione consorzio nel nostro ordinamento è utilizzata per indicare una serie
ampia di fenomeni che hanno come dato comune il fatto di costituire organismi volti al soddisfacimento in
comune di un bisogno proprio di coloro che vi partecipano.
L’attuale definizione individua il consorzio quale schema associativo tra imprenditori, idoneo a ricomprendere
due distinti fenomeni:
● Consorzi anticoncorrenziali, costituiti al fine di limitare la reciproca concorrenza sul mercato fra
imprenditori che svolgono la stessa attività o simili. Tale consorzio è un puro contratto limitativo della
reciproca concorrenza.
● Consorzi di coordinamento, costituiti al fine di svolgere determinati fasi delle rispettive imprese; in tal
caso rappresenta uno strumento di cooperazione interaziendale, finalizzato alla riduzione dei costi di
gestione delle singole imprese consorziate: ufficio vendite o centro contabile comune.
Questi si prestano a valutazioni politiche diverse:
● Consorzi anticoncorrenziali, sollecitano controlli volti ad impedire che tramite essi si instaurino situazioni
di monopolio di fatto, contrarie all’interesse generale; esigenza soddisfatta dalla disciplina
antimonopolistica in tema di intese.
● Consorzi di coordinamento, rispondono all’esigenza di conservare e accrescere la competitività delle
imprese e della struttura del mercato; perciò la loro diffusione è favorita dal legislatore.

Altra è la distinzione (su piano civilistico) da effettuare fra:


1. Consorzi con sola attività interna, il compito dell’organizzazione comune si esaurisce nel regolare i
rapporti reciproci tra consociati e controllare il rispetto di quanto convenuto (NON opera con terzi).
2. Consorzi con anche attività esterna, il compito di organizzazione comune prevede l’istituzione di un
ufficio comune destinato a svolgere attività con i terzi nell’interesse delle imprese consorziate.

3. IL CONTRATTO DI CONSORZIO:
Il contratto di consorzio ha come solo requisito soggettivo, quello di essere stipulato SOLO fra imprenditori; è un
contratto formale, ex art.2603 deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità e deve contenere indicazioni
relative a:
 -Determinazione dell’oggetto del consorzio
 -obblighi assunti dai consorziati
 -eventuali contributi in denaro dovuti da essi per il suo funzionamento.

Se si tratta di un consorzio di contingentamento deve altresì stabilire le quote dei singoli consorziati o i criteri di
determinazione delle stesse.
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Il contratto di consorzio è un contratto di durata, in caso di mancato previsione ex art.2604 è valido SEMPRE per
10 anni, in deroga all’art.2596 (—> fissa a 5 anni la durata massima dei patti limitativi della concorrenza).
È un contratto tendenzialmente aperto, NON è necessario il consenso di tutti gli attuali consorziati; ex art.2603 le
condizioni per l’ammissione dei nuovi imprenditori devono però essere predeterminate nel contratto.
Ex art.2610, salvo diversa pattuizione, il trasferimento dell’azienda comporta l’automatico subingresso
dell’acquirente nel contratto di consorzio; tuttavia se è presente una giusta causa e si tratta di un atto fra vivi, gli
altri membri potranno determinare l’esclusione dell’acquirente.

SCIOGLIMENTO DEL CONSORZIO (recesso ed esclusione):


Il contratto può sciogliersi limitatamente ad un consorziato, per recesso di questo o per esclusione da parte degli
altri consorziati; le rispettive cause devono essere indicate nel contratto.
Al receduto o escluso competerà la sua liquidazione della sua quota di partecipazione al fondo patrimoniale
consortile.
L’art.2611 indica le cause di scioglimento dell’intero contratto, e consente lo scioglimento con delibera
maggioritaria dei consociati per giusta causa, altrimenti in assenza all’unanimità.

4. I CONSORZI CON ATTIVITÀ INTERNA. L’ORGANIZZAZIONE CONSORTILE:


Sugli organi preposti all’attuazione del contratto, le loro funzioni e il loro funzionamento, la disciplina legislativa è
lacunosa e prevalsa dall’idea di lasciare ampia libertà all’autonomia contrattuale.
In ogni caso l’organizzazione si fonda su:
● Assemblea, con funzioni deliberative e compiute, salvo diversa pattuizione, a maggioranza se si tratta di
delibere relative all’attuazione dell’oggetto del consorzio; impugnabili entro 30 giorni se adottate non in
conformità alle previsioni. Ex art.2607 all’unanimità se relative a modificazioni del contratto.
● Organo direttivo, con funzioni gestorie ed esecutive, la cui articolazione è rimessa all’autonomia
contrattuale e funzione di controllo dell’attività dei consorziati.
Ex art.2608 la responsabilità degli organi preposti al consorzio verso i consorziati è regolata dalle norme sul
mandato.

5. I CONSORZI CON ATTIVITÀ ESTERNA:


I consorzi destinati a svolgere attività esterna con i terzi, attraverso un ufficio a tal fine istituito, sono soggetti ad
una specifica disciplina poiché hanno carattere tipicamente imprenditoriale.
Ex art.2612 è previsto un regime di pubblicità legale: un estratto del contratto di consorzio deve essere
depositato per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese a cura degli amministratori, entro 30 giorni
dalla stipulazione; così come:
1. Eventuali modificazioni degli elementi iscritti,
2. La situazione patrimoniale del consorzio, che gli amministratori devono redigere annualmente secondo le
regole del bilancio delle società per azioni.
Ex art.2612 il contratto deve specificare le persone cui è attribuita la presidenza, la direzione e la rappresentanza
del consorzio e i relativi poteri.
Ex art.2613 il consorzio può essere chiamato in giudizio nelle persone del presidente e del direttore, anche se la
rappresentanza è attribuita ad altre persone.
Ex art.2614 è espressamente prevista la formazione del cosiddetto fondo consortile, ossia un fondo patrimoniale
costituito dai contributi iniziali e successivi dei consorziati e i beni acquistati con gli stessi; è elevato a patrimonio
autonomo rispetto al patrimonio dei singoli consorziati e, per la durata del consorzio, i consorziati NON possono
chiedere la divisione del fondo e i loro creditori particolari non possono farvi valere i propri diritti.
Ex art.2615 le obbligazioni gravanti sul fondo consortile si distinguono in:
● Obbligazioni assunte in nome del consorzio dai suoi rappresentanti; ne risponde esclusivamente il
consorzio con il fondo consortile.
● Obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati; Ne rispondono
solidalmente sia il consorziato interessato, sia il fondo consortile.

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6. LE SOCIETÀ CONSORTILI:
Ex art.2247 Consorzio e società sono istituti diversi:
● il consorzio svolge solo attività interna MANCA l’esercizio in comune di un’attività economica—>
elemento essenziale delle società
● il consorzio svolge ANCHE attività con terzi la distinzione (che diventa più sottile) sta nella diversità dello
scopo egoistico perseguito:
1. Scopo societario è ricavare un utile dall’attività con i terzi poi distribuito;
2. Scopo consortile è conseguire un vantaggio patrimoniale diretto sotto forma di minor costi
sopportati o maggiori ricavi conseguiti nella gestione delle imprese (consorzi con attività esterna).

In ogni caso al consorzio non è vietato svolgere attività lucrativa con terzi.
Lo scopo consortile presenta più affinità con lo scopo mutualistico delle società cooperative, che tende a
procurare ai soci un vantaggio patrimoniale diretto, sotto forma di un risparmio si spesa o maggior guadagno
personale; ma si differenzia poiché la mutualità consortile è tipicamente imprenditoriale.
Consorzi e società sono forme associative previste dal legislatore per la realizzazione di società non coincidenti.
In passato per perseguire lo scopo consortile si preferiva dar vita a società per azioni o a società cooperative, per
godere di un regime di responsabilità limitata e di una disciplina dettagliata dell’organizzazione.
Con la riforma della legge 377 del 1976 si è riconosciuta tale possibilità e sebbene non sia stato esplicitato
Campobasso ritiene che si debba guardare alle società consortile come a vere e proprie società assoggettare alla
tipica disciplina.

7. IL GRUPPO EUROPEO DI INTERESSE ECONOMICO:


I CARATTERI GENERALI:
Una funzione identica a quella dei consorzi di coordinamento con attività esterna può essere realizzata in campo
transnazionale attraverso la costituzione di un gruppo europeo di interesse economico (GEIE).
Il GEIE è un istituto giuridico predisposto dall’unione europea per favorire la cooperazione tra imprese
appartenenti a diversi stati membri.
La disciplina base del GEIE è fissata dal regolamento comunitario 25-7-1985n.2317 direttamente applicabile in
tutti gli stati membri e ciascun stato membro ha poi provveduto ad emanare specifiche norme integrative.
In Italia questo è avvenuto con il d.lgs 25-7-1991 n.240.

STRUTTURA E FUNZIONE
La struttura del GEIE coincide con quella dei consorzi di attività esterna: parti del contratto costitutivo del gruppo
possono essere solo persone fisiche o giuridiche che svolgono un’attività economica, ma non necessariamente
imprenditori.
È necessario che almeno due membri esercitino la loro attività economica in stati diversi della comunità.
Il GEIE è un centro autonomo di imputazione di rapporti giuridici distinto dai suoi membri, ma privo di personalità
giuridica.
Anche il GEIE non ha lo scopo di realizzare profitti.
DISCIPLINA
Per quel che riguarda la disciplina del GEIE ci sono delle differenze con quella dei consorzi:
● Il contratto del GEIE deve essere redatto per iscritto, a pena di nullità (come consorzi)
● Nel contratto devono essere indicati almeno: la denominazione del gruppo, la sede, l’oggetto, la durata.
● Il contratto è soggetto a pubblicità legale, mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione
nella gazzetta ufficiale della repubblica e in quella delle comunità europee.

L’organizzazione interna e le regole del GEIE sono rimesse all’autonomia privata, ma sono previsti due organi:
● Un organo collegiale: è l’assemblea.
Le decisioni più importanti devono essere prese all’unanimità, le altre secondo maggioranze richieste.
ciascun membro dispone di un solo voto, ma il contratto può attribuire più voti ad alcuni membri.
● Un organo amministrativo: la gestione è affidata ad uno o più amministratori e può essere nominato
amministratore anche una persona giuridica, che esercita le sue funzioni tramite un rappresentante. solo
a questi spetta la rappresentanza del gruppo verso terzi.
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Le scritture contabili
Il GEIE deve tenere le scritture contabili previste per gli imprenditori commerciali, indipendentemente dalla
natura commerciale o meno dell’attività.
Gli amministratori redigono il bilancio, lo sottopongono all’approvazione dei membri e provvedono a depositarlo
nel registro delle imprese.
In applicazione del principio che il GEIE non ha scopo di realizzazione di profitti per sé stesso, questi vengono
ripartiti tra i membri secondo proporzioni previste dal contratto o, nel silenzio, in parti uguali.
Inoltre, nel GEIE non viene a formarsi obbligatoriamente un fondo, ma tutti i membri devono rispondere
solidamente e illimitatamente delle obbligazioni con il proprio patrimonio.
ogni nuovo membro de gruppo risponde delle obbligazioni anteriori al suo ingresso, salvo patto chiaro opponibile
a terzi, solo se pubblicato.
In caso di insolvenza il GEIE è esposto a fallimento, che non determina l’automatico fallimento dei suoi membri,
ma la richiesta ai membri di estinguere i debiti secondo le proporzioni indicate o in parti uguali.

LA SOCIETÀ SEMPLICE:
1. LE SOCIETÀ DI PERSONE:
La categoria delle società di persone comprende:
● La società semplice (artt.2251-2290): società che può esercitare SOLO attività NON commerciale, è il
regime residuale dell’attività societaria non commerciale.
La società semplice può essere intesa come il prototipo normativo della società di persone, ma con scarsa
diffusione
RUOLO DELLA S.S.
La legislazione speciale ha ampliato il suo ambito di utilizzazione consentendone l’uso per la costituzione
di società tra professionisti.
La sua disciplina è in linea di principio applicabile anche alla collettiva e all’accomandita semplice per i
rinvii operati dal legislatore: artt.2293 e 2315, ma nella pratica la sua disciplina non ha avuto una
significativa diffusione in sostanza infatti essa viene impiegata SOLO per le imprese agricole.
● La società in nome collettivo (artt.2291-2312):
Tipo di società che può esercitare SIA l’attività commerciale che l’attività NON commerciale, è il regime
residuale dell’attività societaria non commerciale.
È in ogni caso soggetta all’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale.
In essa tutti i soci rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali, sono NULLI
patti contrari (art.2291).
● La società in accomandita semplice (artt.2312-2324):
Tipo di società scelto specificatamente dalla parte e caratterizzata dalla presenza istituzionale di due
categorie di soci:
1. accomandatari, che rispondono solidamente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali,
2. accomandanti, che rispondo limitatamente alla quota conferita.

2. LA COSTITUZIONE DELLA SOCIETÀ:


L’ATTO COSTITUTIVO. FORMA E CONTENUTO.
SOCIETA’ SEMPLICE
Ex art.2251 il contratto di società semplice: “non è soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura
dei beni conferiti”.
In base al Codice del 1942 la ss non era inoltre assoggettata ad iscrizione nel registro delle imprese, ma dal 1942
essa è soggetta ad iscrizione nella sezione speciale:
 Legge 580/1993 ha previsto anche per le SS l’iscrizione al registro in una sezione speciale con funzione di
certificazione anagrafica e pubblicità notizia.

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 D.Lgs. 228/2001 costituisce modifica della legge precedente e all’art.2 attribuisce all’iscrizione delle
società semplici esercenti attività agricola funzione di pubblicità legale.
Il contratto può essere concluso verbalmente o risultare da comportamenti concludenti, si parla nel caso di
società di fatto; l’eventuale silenzio delle parti in merito a suoi aspetti essenziali è colmato dal legislatore con
norme suppletive.

SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVO


Riguardo l’atto costitutivo di società in nome collettivo:
1. l’art.2295 detta regole di contenuto per cui l’atto costitutivo deve rispettare il principio di verità e
contenere:
 generalità dei soci;
 la ragione sociale;
 i soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza della società;
 la sede;
 l’oggetto sociale;
 i conferimenti (valore e modo di valutazione esplicitati);
 prestazioni dei soci d’opera;
 criteri di ripartizione degli utili;
 durata della società.
2. l’art.2296 detta regole di forma: l’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura
privata autenticata.

Tali pergole però sono soltanto condizioni di regolarità della società -ai fini dell’iscrizione delle stessa al registro
delle imprese- e non di esistenza; si distinguono infatti:
 S.n.c. regolari, ISCRITTE nel registro delle imprese e interamente disciplinate dalle norme della S.n.c.
 S.n.c. irregolari, NON iscritte nel registro delle imprese e possono essere talvolta disciplinate dalle norme
relative alla S.S. o S.n.c. irregolare.
La libertà di forma trova il suo limite nella richiesta di forme speciali in base alla natura die beni conferiti: in
particolare la forma scritta ad substantiam per beni immobili o diritti reali immobiliari o il godimento a tempo
determinato o per un tempo di oltre 9 anni.
Tuttavia, la forma è richiesta per la sola validità del conferimento, non per la validità del contratto di società,
essa infatti non sarà NULLA a meno che la partecipazione del socio in questione non rivesta carattere essenziale.

LA PARTECIPAZIONE DEGLI INCAPACI.


La partecipazione ad una società di persone richiede la capacità di agire ed è un atto eccedente l’ordinaria
amministrazione; ex art.2294.
La partecipazione di un incapace alla società in nome collettivo è subordinata in ogni caso all'osservanza delle
disposizioni degli articoli 320, 397, 424 e 425.

PARTECIPAZIONE DI SOCIETÀ IN SOCIETÀ DI PERSONE.


In merito alla partecipazione di società in società di persone, ciò è possibile per le società di capitali ai sensi
dall’art.2361 e dall’art.111-duodecies disp. att. cod. civ. seppur con alcune cautele:
● L’assunzione di partecipazioni comportanti responsabilità illimitata deve essere deliberata
dall’assemblea;
● Gli amministratori devono dare specifiche informazioni nella nota integrativa del bilancio su tali
partecipazioni;
● Se TUTTI i soci illimitatamente responsabili di una Snc o di una sas sono società di capitali, il bilancio della
società di persone deve essere redatto secondo le norme della società per azioni.

Ciò è possibile anche per le società di persone, sia come socio illimitatamente responsabile, sia come
accomandante, ossia limitatamente responsabile.

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In senso contrario NON sono decisive le affermazioni relative all’intuitus personae al presupposto di qualità di
persona fisica dei soci, ma soprattutto che le persone fisiche socie delle società di capitali avrebbero potuto di
fatto gestire direttamente la società di persone sottraendosi alla responsabilità illimitata prevista dalla legge.
Infatti, il solo effetto che si produce in questo caso è una parziale modifica del regime di responsabilità dei soci
della società partecipante, il cui patrimonio potrà essere aggredito solo dopo l’inutile escussione di quello di una e
dell’altra società.

L’INVALIDITÀ DELLA SOCIETÀ.


In tema di invalidità del contratto costitutivo di una società di persone valgono le cause di nullità e di
annullabilità previste dalla disciplina generale dei contratti:
1. Ex art.1418: è nullo quando
● contrario a norme imperative,
● l’oggetto è impossibile o illecito, quando è illecito il motivo comune determinante.
2. Ex artt.1425 e ss.: è annullabile in caso di
● incapacità delle parti
● di vizio del consenso per errore, violenza o dolo.

È necessario distinguere fra cause di invalidità che:


● Colpiscono direttamente l’intero contratto di società e ne determinano l’invalidità dello stesso solo
quando la partecipazione viziata è essenziale per il conseguimento dell’oggetto sociale; altrimenti resta in
vigna se sussistono ancora 2 soci
● Colpiscono direttamente solo la singola partecipazione.
È necessario distinguere i casi in cui:
A. L’attività della società NON è ancora iniziata, allora la sentenza che accerta la nullità produce effetto ex tunc: le
parti sono liberate dall’obbligo di eseguire i conferimenti promessi e hanno diritto alla restituzione di quelli
eseguiti.
B. L’attività della società è GIÀ INIZIATA, allora le cause di invalidità legittimano l’eliminazione della società per il
futuro ma non rendono improduttiva di effetti l’attività svolta prima dell’accertamento giudiziale.

4. I CONFERIMENTI:
Il Principio dell’obbligo del conferimento è ripreso dall’art.2253 per cui: “il socio è obbligato a eseguire i
conferimenti determinati nel contratto sociale”.
Se le parti NON fissano convenzionalmente il conferimento dovuto da ciascuno:
 Si presume che tutti i conferimenti debbano essere eseguiti in denaro;
 Si presume che i soci siano obbligati a conferire in parti uguali tra loro, quanto necessario per il
conseguimento dell’oggetto sociale.
La determinazione del conferimento non è infatti condizione essenziale per la valida costituzione della stessa
società.
Nelle società di persone conferito ogni bene o servizio suscettibile di valutazione economica ed utile per il
conseguimento dell’oggetto sociale: prestazioni di fare, di dare ed anche di non fare.
Nella prassi giurisprudenziale si ammette quale conferimento anche la semplice responsabilità personale ed
illimitata, per affermare nel caso concreto l’esistenza di una società di fatto, occulta o apparente, se proprio non
si riesce a trovare altro.

LA DISCIPLINA DEI CONFERIMENTI.


Per il conferimento di beni in proprietà ex art.2254: “la garanzia dovuta dal socio e il passaggio dei rischi sono
regolati dalle norme sulla vendita”.
Il socio è tenuto alla garanzia per evizione, sopporta il rischio del perimento fortuito fino al trasferimento della
proprietà e se la cosa perisce questi può, ma non deve, essere escluso.
Per il conferimento di beni in godimento ex art.2254 il socio sopporta il rischio del perimento e ex art.2286 può,
ma non deve, essere escluso qualora il godimento diventi impossibile per causa non imputabile agli
amministratori.
La garanzia per il godimento è poi regolata con rinvio alle norme sulla locazione (artt.1578 e ss.).
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Per il conferimento di crediti ex art.2255 il socio risponde nei confronti della società dell’insolvenza del debitore
ceduto, nei limiti del valore assegnato al suo conferimento; è tenuto eventualmente a rimborsare le spese e a
corrispondere interessi, altrimenti può, ma non deve, essere escluso dalla società.

IL SOCIO D’OPERA.
Si definisce socio d’opera, il socio che presta la propria attività lavorativa manuale o intellettuale a favore della
società.
Si tratta di un conferimento e NON di lavoro subordinato e questi NON gode delle garanzie previste
dall’ordinamento per quest’ultimo, non ha dunque diritto al trattamento salariale e il suo compenso è
rappresentato dalla partecipazione ai guadagni della società.
Su questi grava il rischio dell’impossibilità dello svolgimento della prestazione, anche per causa a lui non
imputabile e nel caso può per volontà degli altri soci, ma non deve, essere escluso per sopravvenuta inidoneità
(art.2286, c.2)
In sede di liquidazione egli partecipa solo alla ripartizione dell’eventuale attivo che residua DOPO il rimborso del
valore nominale del conferimento ai soci che hanno apportato capitali; a meno che non gli sia pattiziamente
riconosciuto il diritto alla restituzione del valore dell’apporto, che se non determinato è stabilito dal giudice
secondo equità.

5. PATRIMONIO SOCIALE E CAPITALE SOCIALE:


I conferimenti dei soci formano il patrimonio iniziale della società (attivo patrimoniale iniziale), di cui questi
NON possono servirsi per fini estranei ex art.2256 previa risarcimento dei danni ed esclusione dalla società, tale
divieto è però derogabile col consenso unanime dei soci.
● Nella disciplina della SS è assente la nozione di capitale sociale, sono assenti norme dettate per garantire
che il patrimonio netto della società presenti un’eccedenza pari almeno alla cifra del capitale sociale;
addirittura non è neppure rischiata la valutazione iniziale dei conferimenti.
● Nella disciplina della S.n.c. invece è stabilito che l’atto costitutivo indichi sia i conferimenti dei soci, sia il
valore ad essi attribuito e il modo di valutazione, nei casi diversi dal denaro rimesso alla libertà delle
parti, così da poter determinare il capitale sociale nominale.
Il Codice prevede norme dettate a tutela della integrità del capitale sociale:
1. L’art.2303 vieta la ripartizione fra i soci di utili fittizi che non corrispondono ad una eccedenza del
patrimonio netto rispetto al capitale sociale nominale; inoltre se si verifica una perdita del capitale
sociale, non può avvenire ripartizione di utili finche il capitale sociale non è reintegrato o ridotto in misura
corrispondente.
2. L’art.2306 vieta agli amministratori di rimborsare ai soci i conferimenti eseguiti o di liberarli da obblighi
in assenza di una specifica riduzione del capitale sociale, adottata secondo le norme di modifica dell’atto
costitutivo e soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese. Questo perché comporterebbe una
riduzione reale del patrimonio netto pregiudicando i creditori sociali (diritto di opporsi)

6. PARTECIPAZIONE DEI SOCI AGLI UTILI E ALLE PERDITE:


TUTTI i soci hanno diritto di partecipare agli utili e partecipano alle perdite della gestione sociale; godono della
massima libertà nella determinazione della parte spettante a ciascuno e NON è necessario che la ripartizione sia
proporzionale ai conferimenti.
Il solo limite è il divieto di Patto Leonino, ex art.2265: “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da
ogni partecipazione agli utili o alle perdite”; l’esclusione non può essere né formale né sostanziale. Sono nulli
anche i patti parasociali che violino il divieto, se privi di una propria giustificazione causale.

Nullo in via di principio è solo il patto leonino con la conseguenza che troveranno applicazione i criteri legali di
ripartizione degli utili e delle perdite suppletivi.
Infatti, ex art.2263:
● Se il contratto nulla dispone, le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono
proporzionali ai conferimenti;
● Se neppure il valore dei conferimenti è stato determinato, le parti spettanti ai soci si presumono uguali;

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● Se è determinata solo la parte di ciascuno nei guadagni, si presume che nella stessa misura debba
determinarsi la partecipazione alle perdite e viceversa.
Inoltre, si dispone che la parte spettante al socio d’opera se non è determinata è fissata dal giudice secondo
equità; la determinazione della parte di ciascuno può essere demandata ad un terzo che opererà come
arbitratore.
Ex art.2262: Salvo patto contrario, ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utili dopo l'approvazione del
rendiconto; se il compimento degli affari sociali dura oltre un anno, deve essere predisposto dai soci
amministratori, al termine di ogni anno, salvo patto contrario. La sua approvazione compete a TUTTI i soci, anche
gli amministratori che lo hanno predisposto, ma si discute se a maggioranza o unanimità.
Nelle società di persone, salvo patto contrario, la maggioranza dei soci NON può legittimamente deliberare la
NON distribuzione degli utili accertati e l’autofinanziamento.
Il rendiconto nel caso della S.n.c. in ragione del rinvio operato dall’art.2217 di un vero e proprio bilancio di
esercizio redatto secondo i criteri dettati per le società per azioni.
Per quanto riguarda le perdite, queste incidono direttamente sul valore della singola partecipazione sociale,
riducendolo proporzionalmente, cosicché in sede di liquidazione della società il socio si vedrà rimborsare meno di
quanto conferito.
Prima dello scioglimento le perdite hanno un rilievo solo indiretto: impediscono la distribuzione degli utili
conseguiti dopo, fino al ristoro o alla riduzione del capitale.
7. LA RESPONSABILITÀ DEI SOCI PER LE OBBLIGAZIONI SOCIALI:
Come stabilito dall’art.2267 nella società Semplice e nella S.n.c. delle obbligazioni sociali risponde innanzitutto la
società con il proprio patrimonio, che costituisce la garanzia primaria per i creditori sociali, ma NON esclusiva
dato che rispondono personalmente ed illimitatamente anche i singoli soci.
Tuttavia:
○ Nella società semplice ex art.2267 la responsabilità personale di tutti i soci è un principio
dispositivo parzialmente derogabile: i soci non investiti del potere di rappresentanza possono
essere limitati o esclusi dalla responsabilità, a patto che ciò sia stato reso noto a terzi con mezzi
idonei.
In NESSUN caso può essere esclusa la responsabilità di tutti i soci:
● Nella società in nome collettivo la responsabilità illimitata di tutti i soci è inderogabile, ex art.2291
l’eventuale patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi.
● In entrambe le società per quanto riguarda la responsabilità dei nuovi soci
ex art.2269: Chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni
sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio.
● Per quanto riguarda la responsabilità dell’ex socio, ai sensi dell’art.2290:
Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi sono
responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento.
In tal senso lo scioglimento parziale del rapporto sociale non fa venir meno la responsabilità personale
del socio per le obbligazioni sociali anteriori al verificarsi degli eventi.
Lo scioglimento deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei; in mancanza non è
opponibile ai terzi che lo hanno senza colpa ignorato. Tale norma dettata in materia di società semplice è
da ritenersi applicabile anche alla collettiva irregolare, mentre nella collettiva regolare l’opponibilità ai
terzi delle cause di scioglimento resta soggetta al termine di pubblicità legale delle modificazioni dell’atto
costitutivo.

8. RESPONSABILITÀ DELLA SOCIETÀ E RESPONSABILITÀ DEI SOCI:


Nella società semplice e nella società in nome collettivo i patrimoni della società e quelli dei soci non sono sullo
stesso piano (autonomia patrimoniale della società di persone).
Infatti, ex art.2267 i soci sono responsabili in solido fra loro ma lo sono in via sussidiaria rispetto alla società
poiché godono del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale.

Beneficio che però opera diversamente a seconda dei casi:

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● Nella società semplice il beneficio opera in via d’eccezione: il creditore sociale può rivolgersi direttamente
al singolo socio responsabile e questi deve invocare il beneficio, indicando l’onere probatorio ed i beni sui
quali il creditore può agevolmente soddisfarsi, per capienza e prontezza.
● Nella collettiva irregolare il beneficio opera in via d’eccezione come sopra, fermo restando la
responsabilità solidale ed illimitata di tutti i soci.
● Nella collettiva regolare il beneficio opera automaticamente, ex art.2304: “i creditori sociali non possono
pretendere il pagamento dai singoli soci se non dopo l’escussione del patrimonio sociale”.
È necessario che abbiano esperito senza successo l’azione esecutiva sul patrimonio sociale, a meno che
circostanze oggettive già prima dimostrino l’inutilità della stessa.

In ragione della natura solidale della responsabilità, il socio che paga può a sua volta esercitare azione di
regresso:
1. Anzitutto verso la società stessa per l’intero debito, possibilità solo teorica nella collettiva regolare,
2. Poi verso gli altri soci, secondo la misura della partecipazione di ciascuno alle perdite.

Nella pratica i creditori sociali più forti, ad esempio le banche, si fanno rilasciare dai soci specifiche garanzie
personali per sottrarsi ai tempi della procedura di escussione; in passato si è dubitato della loro validità
sostenendo che non ampliassero il potere di aggressione del creditore ma ad oggi si riconosce che si tratta di una
duplicazione dei titoli di responsabilità a vantaggio del creditore.

9. I CREDITORI PERSONALI DEL SOCIO:


Aspetto della autonomia patrimoniale delle società è che il loro patrimonio è insensibile alle obbligazioni
personali dei soci ed intangibile da parte dei creditori di quest’ultimi.
A riprova di ciò il divieto di compensazione di cui all’art.2271: “Non è ammessa compensazione fra il credito che
un terzo ha verso un socio con un debito che egli ha verso la società”.
Tuttavia, sia nella società semplice che nella S.n.c. il creditore personale del socio può:
1. Far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al socio suo debitore,
2. Compiere atti conservativi sulla quota spettante ad esso nella liquidazione.

Nella società semplice e nella collettiva irregolare il creditore personale del socio può anche:
● chiedere la liquidazione della quota del debitore, dovendo però provare che gli altri beni del debitore
sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti. Anche in tal caso non si soddisferà sul patrimonio della
società, ma questa sarà tenuta a versargli una somma di denaro corrispondente al valore della quota al
momento della domanda.

Nella collettiva regolare il creditore personale del socio ex art.2305 NON può, finché dura la società, chiedere la
liquidazione della quota del socio debitore.
In caso di proroghe (tacite o espresse) della durata ex art.2307 se espresse può opporsi giudizialmente altrimenti
può compiere atti conservativi.

L’ATTIVITÀ SOCIALE:
MODELLO LEGALE E MODELLI STATUTARI.
La disciplina dell’attività sociale nella ss. e nella Snc si caratterizza per lo spazio lasciato all’autonomia negoziale; è
previsto un modello organizzativo fondato sulla distinzione fra amministrazione e modificazione dell’atto
costitutivo,
basato sui tali principi:
1. OGNI socio illimitatamente responsabile è investito del potere di amministrazione e di rappresentanza
della società;
2. È NECESSARIO il consenso di tutti i soci per le modificazioni del contratto sociale.
Si tratta di principi dispositivi, applicati SOLO se i soci non dispongono diversamente; questo però pone due
problemi di fondo: individuare gli eventuali limiti che i soci incontrano nel moderare la struttura e colmare i silenzi
del legislatore in materia, soprattutto di regole procedimenti nella formazione della volontà di gruppo.

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10. L’AMMINISTRAZIONE DELLA SOCIETÀ:
L’amministrazione della società è l’attività di gestione dell’impresa sociale; il potere di amministrare è quello di
compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale.
Secondo il modello legale (art.2257) ogni socio illimitatamente responsabile è amministratore, ma l’atto
costitutivo può prevedere che siano amministratori solo alcuni.

Si distinguono due modalità di esercizio dell’amministrazione della società:


● amministrazione disgiuntiva, salvo patto contrario trova applicazione il modello legale: ciascun socio
amministratore è investito del potere di intraprendere da solo tutte le operazioni che rientrano
nell’oggetto sociale SENZA informare gli altri amministratori.
Regime temperato dal diritto di opposizione degli altri amministratori, da esercitarsi prima dell’atto per
paralizzarne la realizzazione.
In caso di opposizione la soluzione del conflitto è rimessa alla collettività di tutti i soci che decide della fondatezza
della stessa per quote di interesse, ossia per parte attribuita a ciascun socio negli utili; l’atto può prevedere che la
soluzione sia deferita ad uno o più terzi in qualità di arbitrati.
Tale tipologia di amministrazione offre vantaggi dal punto di vista della rapidità delle decisioni, ma non è, come
abbiamo visto, senza pericoli e per questo viene previsto un metodo alternativo.
● amministrazione congiuntiva, un regime convenuto espressamente dai soci nell’atto costitutivo o con
modificazione dello stesso: è necessario il consenso di tutti i soci amministratori per il compimento delle
operazioni sociali. L’atto costitutivo può prevedere che per tutti o per determinati atti sia necessario il
consenso della maggioranza dei soci per quote di interesse e non per teste.
Regime temperato dalla possibilità ai singoli amministratori di agire individualmente quando vi sia urgenza di
evitare danno alla società.
Tali modalità di amministrazione possono essere anche combinate fra loro, una per tali atti, una per altri.

11. AMMINISTRAZIONE E RAPPRESENTANZA:


Potere di firma: I soci amministratori sono investiti per legge del potere di rappresentanza della società, ex
art.2266 tale rappresentanza corrisponde al potere di agire nei confronti dei terzi in nome della società, dando
luogo all’acquisto di diritti e all’assunzione di obblighi da parte della stessa; è l’attività amministrativa esterna, di
attuazione con i terzi delle operazioni, differente dunque dal potere di gestione.

La rappresentanza è anche processuale: la società può agire e essere convenuta in giudizio in persona dei soci
amministratori che ne hanno la rappresentanza.

Ai sensi degli artt.2266 e 2298 vi è coincidenza fra il potere gestori e il potere di rappresentanza, salvo patto
contrario, la rappresenta spetta a ciascun amministratore disgiuntamente o congiuntamente a seconda della
modalità di esercizio dell’amministrazione.

L’atto costitutivo può derogare e:


1. Riservare la rappresentanza legale della società solo ad alcuni soci amministratori, dando così luogo ad
una dissociazione soggettiva fra potere di gestione e di rappresentanza.
2. Stabilire per la rappresentanza modalità di esercizio diverse da quelle del potere di gestione.
3. Limitare l’estensione del potere di rappresentanza del singolo amministratore; prevedendo per alcuni atti
di firma disgiunta e per altri firma congiunta.
Le limitazioni convenzionali al potere di rappresentanza pongono il problema della loro opponibilità ai terzi:
● Snc regolari, non sono opponibili ai terzi se non iscritte nel registro o se non si provi che i terzi ne erano a
conoscenza.
● Snc irregolari, non sono opponibili ai terzi se non si provi che i terzi ne erano a conoscenza.
● Società semplici, occorre distinguere fra:
1. limitazioni originarie che sono SEMPRE opponibili ai terzi, sicché su costoro incombe l’onere di
accertare se il socio che agisce in nome della società abbia o meno il potere di rappresentanza;
2. limitazioni successive o estinzione del potere devono invece essere portate a conoscenza dei terzi
con mezzi idonei.
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12. I SOCI AMMINISTRATORI:
L’atto costitutivo può riservare l’amministrazione solo ad alcuni soci, dando così luogo alla distinzione fra soci
amministratori e soci non amministratori.
Gli amministratori possono essere nominati sia nell’atto costitutivo oppure su indicazione di quest’ultimo, con
atto separato.
Tale distinzione sulle modalità della nomina acquisisce rilevanza in caso di revoca:
● L’amministratore nominato nel contratto sociale ex art.2252 deve essere deciso dagli altri soci
all’unanimità, salvo patto contrario. NON ha mai effetto se manca una giusta causa; l’amministratore può
adire l’autorità giudiziaria perché sia accertata la causa, previa suo reintegro.
● L’amministratore nominato per atto separato ex art.2259 revocabile secondo le norme del mandato, su
istanza di ciascun socio.
Dunque, è revocabile se non ricorre giusta causa salvo risarcimento dei danni.

Il rapporto di amministrazione è autonomo rispetto a quello sociale; diritti ed obblighi degli amministratori, ex
art.2260 sono regolati dalle norme sul mandato, ma sono diversi e più ampi di quelli di un mandatario o
dell’institore.
PoteriEx art.2266: L’amministratore per legge è investito del potere di compiere tutti gli atti che rientrano
nell’oggetto sociale, meno gli atti che comportano modificazioni del contratto sociale stesso.
Doveri Ha doveri specifici: nelle S.n.c. devono tenere le scritture contabili e redigere il bilancio di esercizio e
provvedere agli adempimenti pubblicitari connessi all’iscrizione nel registro; è gravato da specifiche sanzioni
penali anche in caso di fallimento della società.
Gli amministratori hanno il dovere di amministrare con la diligenza del mandatario e sono solidamente
responsabili verso la società per i danni ad essa arrivati; l’azione si prescrive in 5 anni e può essere esercitata da
chi abbia rappresentanza legale o se sono responsabili tutti gli amministratori, da qualsiasi socio.
Ex applicazione dell’art.1709 avranno diritto al compenso per il loro uffici, meno si tratti di conferimenti di soci
d’opera, compenso che può essere costituito da una più elevata partecipazione agli utili.

13. I SOCI NON AMMINISTRATORI. IL DIVIETO DI CONCORRENZA:


Ex art.2261 i soci non amministratori hanno diritto di avere notizia dello svolgimento degli affari sociali, di
consultare i documenti relativi all'amministrazione e di ottenere il rendiconto quando gli affari per cui fu costituita
la società sono stati compiuti. Il gruppo di soci non amministratori può impartire direttive vincolanti
all’amministratore unico nominato per atto separato.

IL PROBLEMA DELL’AMMINISTRATORE ESTRANEO:


Ci di domanda se sia possibile per i soci affidare l’amministrazione della società ad un NON socio; tale possibilità è
esclusa dal legislatore per la S.a.s. e si ritiene ammissibile per la S.S. ad eccezione della società tra avvocati e
anche per la S.n.c.
Egli gestisce sempre l’impresa nell’interesse esclusivo dei soci, deve rispettare le direttive che da loro provengono
e può essere revocato ad nutum.

IL DIVIETO DI CONCORRENZA:
Nella S.n.c. incombe su tutti i soci il divieto di concorrenza stabilito ex art.2301: “Il socio non può, senza il
consenso degli altri soci, esercitare per conto proprio o altrui un'attività concorrente con quella della società, né
partecipare come socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente”.
Il consenso si presume, se l'esercizio dell’attività o la partecipazione ad altra società preesisteva al contratto
sociale, e gli altri soci ne erano a conoscenza.
In caso di inosservanza delle disposizioni del primo comma la società ha diritto al risarcimento del danno, salva
l'applicazione dell'art. 2286 ossia l’esclusione.

14. LE MODIFICAZIONI DELL’ATTO COSTITUTIVO:

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Nella società semplici e nella S.n.c. ex art.2252: “il contratto sociale può essere modificato soltanto con il
consenso i tutti i soci, se non è convenuto diversamente”.
Sono modificazioni anche i mutamenti nella composizione della compagine sociale, dato l’intuitu personae, è
necessario il consenso di tutti gli altri soci, preventivo, espresso o risultante da comportamenti concludenti, per il
trasferimento della quota sociale sia fra vivi che causa di morte o la costituzione di diritti reali sulla quota;
altrimenti sono privi di effetti per la società e gli altri soci.

In merito alla pubblicità:


● Le S.n.c. sono soggette a pubblicità legale e finché non sono iscritte nel registro non sono opponibili a
terzi a meno che se ne provi la loro conoscenza.
Così anche nelle società semplici dopo con il D.lgs. 228 del 2001 e la recente previsione dell’iscrizione nel
registro delle imprese con efficacia di pubblicità legale.
● Nella collettiva irregolare devono essere portare a conoscenza di terzi con mezzi idonei e non sono
opponibili a coloro che le abbiano ignorate.
L’art.2252 prevede la possibilità di una clausola che permetta la modificazione a maggioranza dell’atto
costitutivo.
Per l’autore l’unico limite è l’obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede e rispetto della parità di
trattamento fra i soci.

METODO COLLEGIALE E PRINCIPIO MAGGIORITARIO:


La disciplina delle società di persone prevede e comprende numerose norme che prevedono una decisione dei
soci, ma non specificano se la stessa debba essere
adottata all’unanimità ex art.2252 o a maggioranza, per quote, ex art.2267.
In tema la tesi più persuasiva è quella di Serra che vede negli artt.2252 e 2257 due regole distinte con autonomo
campo di applicazione:
● L’art.2252 esprime il principio che il consenso unanime è necessario, salvo diverso accordo, quando la
decisione tocca le basi organizzative, legali o convenzionali, della società.
● L’art.2257 esprime il principio che il consenso della maggioranza dei soci, per quote di interesse, trova
applicazione quando si tratti di decisioni che attengono la gestione dell’impresa comune.
Tale tesi non ha perso validità dopo la riforma del 2003 che ha esteso la regola della maggioranza in caso di
trasformazione, fusione e scissione di società di capitali; poiché in questo caso il legislatore ha derogato per
facilitare queste operazioni.
La disciplina delle società di persone omette anche di specificare se le deliberazioni sociali, sia all’unanimità che a
maggioranza, debbano essere adottate tramite metodo collegiale, o assembleare o possano essere prese nella
assoluta libertà di forme, dove l’atto costitutivo non preveda niente a riguardo.

Giurisprudenza e dottrina sono concordi nell’affermare la libertà di forme, in quanto il metodo assembleare è
superfluo nelle società di persone, data sul piano formale l’assenza di personalità giuridica delle società di
persone e sul piano sostanziale l’esigenza di rapidità ed elasticità delle decisioni.
Considerando le argomentazioni della dottrina minoritaria e quanto stabilito per le società a responsabilità
limitata con la riforma del 2003, secondo Campobasso nelle società di persone i soci sono comunque tenuti a
rispettare una forma embrionale di metodo assembleare, inderogabile, quanto meno per le decisioni a
maggioranza di maggior rilievo.
Abusi procedimentali danno luogo a rimedi di carattere obbligatorio ed interno, risarcimento dei danni e possibile
esclusione dalla società.

15. SCIOGLIMENTI DEL SINGOLO RAPPORTO SOCIALE E SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ:


Il socio può cessare di far parte della società, per morte, recesso o esclusione.
Tali vicende sono dominate dal Principio della conservazione dell’ente societario, per cui il venir meno di uno o
più soci non determina in nessun caso lo scioglimento della società; il quale opera anche quando resta un solo
socio che ex art.2272 ha 6 mesi di tempo per decidere se associare a sé altre persone o porre fine alla società.

LA MORTE DEL SOCIO:


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La morte del socio produce come effetto ex lege lo scioglimento del rapporto fra tale socio e la società, di
conseguenza l’obbligo per i soci superstiti di liquidare la quota del defunto ai suoi eredi nel termine di 6 mesi.
Disciplina dispositiva, dato che l’art.2284 concede ai soci superstiti un termine di 6 mesi per decidere altrimenti:
● Lo scioglimento anticipato della società; nel caso gli eredi non hanno diritto alla liquidazione ma devono
attendere la conclusione della liquidazione per partecipare alla divisione dell’attivo che residua dal
pagamento dei debiti.
● La continuazione della società con gli eredi del socio defunto; nel caso è necessario il consenso di tutti i
soci superstiti e degli eredi, che perciò diventano soci, per atto tra vivi, in proporzione della rispettiva
quota ereditaria.
L’art.2284 fa salvi patti contrari, permettendo l’inserzione di varie clausole, fra cui:
1. Clausola di consolidazione: la quota del socio defunto sarà acquistata dagli altri soci, che
corrisponderanno agli eredi il valore della stessa.
2. Clausola di continuazione con gli eredi: fissa il trasferimento della quota mortis causa, precludendo
scioglimento della società e liquidazione della quota.
a) Clausola che vincola solo i soci superstiti, eredi sono liberi di aderire o chiedere la liquidazione.
b) Clausola che vincola anche gli eredi, sono tenuti a risarcire i danni ai soci superstiti se non
presentano il proprio consenso.
c) Clausola di Successione, automatico subingresso degli eredi con l’accettazione dell’eredità.
La validità delle ultime due è discussa.

IL RECESSO:
Il recesso è lo scioglimento del rapporto sociale per volontà del socio ex art.2285.
Se la società è a tempo indeterminato o è contratta per tutta la vita di uno dei soci, ogni socio può recedere
liberamente con un preavviso di almeno 3 mesi e il recesso diviene produttivo al decorrere di questi.
Se la società è a tempo determinato il recesso è possibile se sussiste una
giusta causa, ossia secondo la giurisprudenza, se è la reazione ad un illegittimo comportamento degli altri soci,
tale da minare la reciproca fiducia. Tale volontà deve essere portata a conoscenza degli altri soci ma ha effetto
immediato; questa possibilità vale anche nel caso di società a tempo indeterminato.
Il contratto sociale può prevedere altre ipotesi di recesso, oltre a quelle stabilite per legge, specificandone le
modalità, ma non può privare il socio di recedere nelle ipotesi previste dal legislatore, quindi inderogabili.

L’ESCLUSIONE:
L’esclusione del socio dalla società può essere:
● Esclusione di diritto, ex art.2288 colpisce il socio:
○ Che sia dichiarato fallito, salvo si tratti di fallimento a causa della società;
○ Il cui creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota;
● Esclusione facoltativa, rimessa alla decisione dei soci nei casi previsti dall’art.2286, che possono essere
raggruppati in 3 categorie:
1. Gravi inadempienze degli obblighi che derivano dalla legge o dal contratto sociale: mancata
esecuzione dei conferimenti promessi, violazione del divieto di concorrenza ed anche il
sistematico comportamento ostruzionistico tale da porre in pericolo la vita stessa della società.
2. Interdizione, inabilitazione del socio o condanna ad una pena che comporti l’interdizione, anche
temporanea, dei pubblici offici; eventi che possono determinare sia discredito per la società che
subentro di terzi sgraditi, il tutore o curatore, nell’amministrazione.
3. Sopravvenuta impossibilità di esecuzione del conferimento per causa non imputabile agli
amministratori; perimento della cosa prima del trasferimento, perimento della cosa in
godimento, impossibilità di prestazione per il socio d’opera.

L’esclusione facoltativa è ex art.2287 deliberata dalla maggioranza dei soci calcolata per teste, non contando nel
numero il socio da escludere; deve essere comunicata al socio ed ha effetto decorsi 30 giorni, durante i quali il
socio può fare opposizione di fronte al tribunale, che può respingerla o sospenderne l’esecuzione, stabilendo il
suo reintegro con effetto retroattivo.

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Nel caso in cui la società sia composta da solo 2 soci, allora l’esclusione di un socio è pronunciata direttamente
dal tribunale su domanda dell’atro e opera dal momento in cui la sentenza sia passata in giudicato, salvo
provvedimento d’urgenza.

17. SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ:


Ex art. 2272 le cause di scioglimento per la società semplice I S.n.c. sono:
1. Per il decorso del termine di durata eventualmente fissato nel contratto sociale;
2. Per il conseguimento dell’oggetto sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo;
3. Per la volontà di tutti i soci, salvo che il contratto non preveda che lo scioglimento anticipato della società
possa essere deciso a maggioranza;
4. Quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita;
5. Per altre cause eventualmente previste nel contratto sociale.

Sono poi cause specifiche di scioglimento della S.n.c.:


● Il fallimento della stessa
● Il provvedimento dell'autorità governativa (ex art.2308 dispone la liquidazione coatta amministrativa
della società)
Verificatasi una causa di scioglimento la società entra automaticamente in stato di liquidazione; nelle S.n.c. tale
situazione deve essere indicata negli atti e nella corrispondenza in modo esplicito.

18. IL PROCEDIMENTO DI LIQUIDAZIONE. L’ESTINZIONE DELLA SOCIETÀ:


Verificatasi una causa di scioglimento, la società entra automaticamente in stato di liquidazione, il cui
procedimento legale è esso stesso derogabile.
Ex art.2275: il procedimento di liquidazione si svolge solo “se il contratto sociale non prevede il modo di liquidare
il patrimonio sociale e i soci non sono d’accordo nel determinarlo”.

NOMINA E REVOCA dei liquidatori:


Il procedimento legale di liquidazione inizia con la nomina di uno o più liquidatori, che richiede il consenso di tutti
i soci, se nel contratto sociale non è stabilito diversamente.
In caso di disaccordo fra i soci, i liquidatori sono nominati dal presidente del tribunale.

I liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci ed in ogni caso dal tribunale per giusta causa, su
domanda di uno o più soci (art. 2275).

OBBLIGHI DEGLI AMMINISTRATORI:


Gli amministratori devono consegnare ai liquidatori i beni e i documenti sociali e presentare loro il conto della
gestione relativo al periodo successivo all’ultimo rendiconto (art. 2277, comma 1).

OBBLIGO DEI LIQUIDATORI:


I liquidatori hanno l’obbligo di prendere in consegna i beni e i documenti sociali e di redigere, insieme con gli
amministratori, l’inventario dal quale risulti lo stato attivo e passivo del patrimonio sociale (art. 2277, comma 2).

POTERI DEI LIQUIDATORI_


I liquidatori hanno il compito generale di compiere tutti «gli atti necessari per la liquidazione» (art. 2278).
Hanno anche la competenza della rappresentanza legale della società dunque se i fondi disponibili sono
insufficienti per pagare i creditori, i liquidatori possono chiedere ai soci di effettuare i versamenti promessi e, se
ancora necessario, possono chiedere ai soci di versare ulteriori somme nei limiti della rispettiva responsabilità e in
proporzione della parte di ciascuno nelle perdite.

DIVIETI, OBBLIGHI E RESPONSABILITÀ DEI LIQUIDATORI:


Ferme le regole stabilite per gli amministratori (art. 2276), i liquidatori:

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 Non possono intraprendere «nuove operazioni» e, in caso di violazione, essi «rispondono personalmente
e solidalmente per gli affari intrapresi» (art. 2279) nei confronti dei terzi;
 Non possono ripartire tra i soci i beni sociali finché i creditori sociali non siano stati pagati o non siano
state accantonate le somme necessarie per pagarli (art. 2280).

ATTIVITÀ DI LIQUIDAZIONE:
I liquidatori procederanno alla vendita dei beni aziendali e ai pagamenti ai creditori secondo la loro discrezione,
nell’interesse della società.
Estinti tutti i debiti sociali, se eventualmente residua un attivo patrimoniale, esso sarà convertito in denaro, salvo
che i soci abbiano convenuto per la ripartizione dei beni in natura, e verrà distribuito fra i soci.
Il saldo attivo di liquidazione è destinato:
 Anzitutto, al rimborso del valore nominale dei conferimenti;
 L’eventuale eccedenza è poi ripartita tra i soci in proporzione della partecipazione di ciascuno nei
guadagni, in denaro o in natura se è stato così convenuto.
(Nelle S.n.c. i liquidatori devono redigere il bilancio finale nonché il piano di riparto cioè la proposta di
divisione tra i soci dell’attivo residuo).

ESTINZIONE DELLA SOCIETÀ:


Per quanto riguarda le Società Semplici e le S.n.c. regolari: Al termine di queste operazioni la società si estingue
e, ove iscritta, viene cancellata dal registro delle imprese.
L’eccedenza è poi ripartita tra i soci in proporzione della partecipazione di ciascuno nei guadagni, in denaro o in
natura se è stato così convenuto.

Per le S.n.c. irregolari la chiusura del procedimento di liquidazione determina l’estinzione della società sempre
che la relativa disciplina richiedente il soddisfacimento di tutti i creditori sia stata rispettata; in mancanza, la
società dovrà considerarsi ancora esistente, anche perché manca un atto formale che segni chiaramente il
momento finale della sua vita.

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