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Commerciale a cura di
Vincenzo Buonocore
Diritto Commerciale
Università degli Studi di Perugia
114 pag.
1. La posizione del diritto commerciale nel sistema del diritto privato (pag. 3)
Gli istituti giuridici del diritto commerciale sono regolati dal Codice Civile del 1942, unificazione
del Codice Civile del 1865 e del Codice di Commercio del 1882.
Scelta in controtendenza in quanto gli ordinamenti europei distinguono fra i due codici.
Il C. Comm. ha le sue risorse normative nella legislazione speciale e nell’autoctonia, ovvero nella
capacità degli imprenditori di creare diritto.
Creare diritto non è l’unico carattere distintivo del Dir. Comm.; abbiamo anche a) i contenuti e b) il
metodo.
a) contenuti: 1) imprenditore e impresa; 2) società; 3) contrattazione e contratti d’impresa; 4) titoli
di credito; 5) procedure concorsuali.
b) metodo: aderenza del dir. comm. con i fenomeni della vita.
Altro carattere del dir. comm.: il mercato (ambito di elezione dell’agire imprenditoriale dove si
concentrano una serie di interessi che si incontrano o scontrano con quelli dell’imprenditore nella
sua attività di mercato, come l’interesse delle imprese concorrenti, delle controparti contrattuali, dei
creditori e dei consumatori, che possono e debbono trovarvi composizione).
Oltre alla specialità delle fonti, al metodo, al contenuto ed al mercato, il dir. comm. è quello che più
rapidamente tende a raccordarsi con quello degli altri paesi (regole internazionali dei commerci).
2. La microstoria del sistema previgente e le linee di tendenza del moderno diritto commerciale
(pag. 5)
Storia del passaggio dal sistema del cod. di comm. del 1882 al C.C. del 1942:
Il Cod. Comm. si basava essenzialmente su 5 norme:
1) art. 1 (ordine delle fonti: anteponeva usi commerciali al cod. civ.);
2) art. 3 (elencazione di 24 categorie di atti che la legge reputava atti di commercio);
3) art. 4 (sono atti di comm. i contratti e le obbligazioni dei commercianti non sono di natura
essenzialmente civile);
4) art. 8 (definizione dei commercianti: coloro che esercitano atti di commercio per professione
abituale e le società commerciali);
5) artt. 868 e segg. (riserva della materia commerciale alla giurisdizione del tribunale del
commercio).
Da ciò la materia commerciale comprendeva 1) le persone (commercianti) e 2) gli affari (atti di
commercio che consentivano il passaggio dal produttore al consumatore; in secondo luogo, che le
leggi applicabili erano costituite, nell’ordine, dalle leggi commerciali, dagli usi, dalle leggi civili.
Disputa fra autonomia del dir. comm. rispetto al dir. civ., con conseguente lotta tra il mantenimento
della diarchia codicistica o l’unificazione dei due codici. Vinse la seconda posizione che si
concretizzò: 1) nel passaggio dal sistema dell’atto di commercio al sistema dell’attività intesa come
un complesso di atti tra loro coordinati in vista di una comune finalità; 2) nel passaggio dalla figura
del commerciante a quella dell’imprenditore.
Fu portata in primo piano l’attività in luogo dell’atto, con la conseguente eliminazione
dell’incertezza di interpretare il singolo atto, ma anche di far emergere il concetto di impresa, non
più considerata come uno dei 24 atti di commercio. Oggi l’impresa è il fondamento del dir. comm.
e l’imprenditore è il suo protagonista incontrastato. L'autonomia giuridica può ritenersi rafforzata
Il primo elemento qualificante si riscontra nell’imprenditore (art. 2082) e nella società (2247).
Art. 2082 – E’ imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine
della produzione o dello scambio di beni e servizi.
Collegato vi è l’art. 2247 che, definendo le società, individua la forma che l’impresa deve avere
quando a volerla esercitare non è un soggetto singolo ma una pluralità di soggetti.
Concetto chiave è l’attività, non intesa come sinonimo di atto, ma come complesso degli atti
collegati dal comune denominatore di essere posti in essere per l’esercizio dell’impresa. Altro punto
qualificante dell’attività economica è l’organizzazione, ovvero l’organizzazione dei fattori
produttivi intesi come mezzi patrimoniali (capitale) e persone (lavoro), e che tale organizzazione sia
rivolta al mercato. Il professionista intellettuale, pur esercitando un’attività economica in quanto
produttrice di servizi, non è un imprenditore (fatta eccezione per l'esercizio associato) in quanto non
svolge attività con organizzazione dei fattori produttivi. L’organizzazione serve anche ad
identificare un altro elemento indispensabile per la qualifica dell’imprenditore, ovvero la
professionalità, o abitualità nell’esercizio dell’attività.
Il secondo elemento: Art. 2555 – L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore
per l’esercizio dell’impresa.
Il terzo elemento riguarda gli strumenti contrattuali dei quali l’imprenditore si serve, in quanto,
oltre ad organizzare i fattori della produzione, l’imprenditore deve far vivere quanto ha creato ed
organizzato.
Quarto concetto chiave sono gli strumenti finanziari che rappresentano veicolo di ricchezza verso le
imprese, intesi sia dalla parte dell’imprenditore, come mezzi utilizzati per procurarsi ricchezza, sia
nel senso più proprio, di mezzi a disposizione del risparmiatore per facilitare e diversificare gli
investimenti. Per avviare l’attività e per mantenerla efficiente e competitiva l’imprenditore ha
bisogno di mezzi patrimoniali. L’autosufficienza patrimoniale non è sempre sinonimo di buono
stato di salute di una impresa; normalmente è necessario ricorrere ad un finanziamento che però
deve essere mantenuto entro limiti di esposizione debitoria contenuti o equilibrati, con riferimento
al patrimonio ed al fatturato dell’impresa.
Le fonti di approvvigionamento possono esser di due tipi: 1) autofinanziamento (interno
all’impresa), 2) eterofinanziamento (esterno).
1) Autofinanziamento: investimento di mezzi propri (patrimonio personale - per imprenditore
individuale; conferimenti iniziali o successivi o aumenti di capitale - per le società; prestiti dei soci
-per società cooperative; finanziamenti dei soci - per s.r.l.);
2) Eterofinanziamento: attraverso canali bancari e finanziari, prestiti obbligazionari, altri elementi
finanziari disciplinai dal T.U. sull’intermediazione finanziaria del 1998, mediante i quali circola la
ricchezza dei risparmiatori che investono il loro denaro consentendo alle imprese di svolgere una
delle loro funzioni principali. L’impresa infatti non avrebbe ragione di esistere se non contribuisse
a creare e a sviluppare ricchezza, intesa non solo come lucro dell’imprenditore, ma anche come il
complesso delle positività e dei benefici ricadenti sulla collettività per effetto dell’attività
imprenditoriale.
Necessita un'analisi di quelle che sono le fonti del dir. comm. in quanto: 1) il dir. comm. è un diritto
in continua e percepibile evoluzione, dato che trae la sua vitalità dalla vita quotidiana e, di
conseguenza, la norma deve costantemente adeguarvisi; 2) in questi ultimi anni vi è stata una
marcata evoluzione del diritto delle fonti, pur rimanendo invariata la norma dell’art. 1 disp. prel.
c.c. che cita “Sono fonti del diritto: 1- le leggi; 2- i regolamenti; 3- [le norme corporative]; 4- gli
usi”.
Le fonti del dir. comm. possono essere divise in 3 gruppi:
1) Fonti legali (art. 1 nn. 1 e 2: leggi e regolamenti)
2) Fonti consuetudinarie (art. 1 n. 4: usi)
3) Fonti solo convenzionalmente denominate tali, diverse da leggi, regolamenti e usi e non
menzionate nell’art. 1.
1.. Le fonti legali: Costituzione, codice civile, legislazione speciale, legislazione internazionale, e
comunitaria, regolamenti (pag. 14)
In primis la Costituzione (art. 41: principio della libertà di iniziativa economica) ed il cod. civ., ma
subito accanto 1) la legislazione speciale (specie in settori come contratti commerciali, banca,
mercato immobiliare e società - che hanno subito profonde innovazioni rispetto al c.c.); 2) la
legislazione comunitaria (ovvero la legislazione interna attuativa delle direttive comunitarie che ha
inciso quasi esclusivamente su settori appartenenti al dir. comm.: diritto della concorrenza, diritto
delle società, diritto dei contratti commerciali, diritto della proprietà industriale, responsabilità
civile); 3) i regolamenti che, pur essendo una fonte antica, sono la vera novità per il dir. comm.
Gli usi commerciali sono relativi ad aspetti contrattuali non disciplinati da norme scritte o fatti salvi
da esse; sono pertanto usi interpretativi del contratto concluso senza esplicita previsione delle parti
sul punto. Esistono anche gli usi legali, frutto di prassi consuetudinarie, e le pratiche generali
interpretative (art. 1368 c.c.), relative all’interpretazione delle clausole ambigue.
D’altra parte i commercianti hanno riacquistato sul campo una sempre maggiore forza e con ciò la
capacità di imporre nuovi modelli che trovano poi la loro prima disciplina negli usi e, più
specificamente, nella raccolta di norme usuarie che sono la conseguenza della loro diffusione
nell’ambito della comunità in cui i modelli stessi vengono proposti (vedi leasing e factoring - dove
la giurisprudenza ha avallato prassi introdotte da operatori del settore attraverso la modulistica
contrattuale e, stante la mancanza di una legge regolatrice, le ha tradotte in norme usuarie).
Ad onta della preminenza accordata loro dal cod. comm., attualmente gli usi hanno importanza solo
come fonti sussidiarie, soprattutto in relazione ad alcune partizioni del diritto comm. (contratti) e
come forma di prassi derogative delle leggi (comparto fallimentare).
Con il cod. civ. sono stati ridimensionati gli usi normativi (commerciali), ma sono stati ampliati gli
usi negoziali, tra i quali occupano posizione predominante le clausole d’uso di natura commerciale.
I rapporti tra usi contrattuali e volontà delle parti sono analoghi a quelli che intercorrono tra norme
dispositive e volontà delle parti, ovvero le clausole d’uso si intendono inserite nel contratto solo se
non risulta che non siano state volute.
La 3^ categoria di fonti, non inserite nell'elenco dell'art. 1 disp. prel.c.c., è importante per l'attività
mercatoria, riguardando la produzione di nuovi strumenti e di nuove tecniche che non trovano una
immediata tipicizzazione legale (utilizzo di strumenti di organizzazione che consentono risparmi di
attività contrattuale e di tempo nella realizzazione degli scambi).
Tra queste fonti troviamo: a) codici collettivi e individuali; b) lex mercatoria; c) Principi Unidroit.
Per codice si intende un gruppo di norme ordinate intorno ad una materia, di norma predisposte
dagli imprenditori, che si sostituiscono o si aggiungono alla normazione statale.
Possono essere: a) collettivi; b) individuali.
a) i codici collettivi sono espressione di categorie di operatori interessati. Fra essi: 1) regolamenti di
borsa o delle camere arbitrali istituite c/o CCIA; 2) condizioni generali di affari predisposte da
associazioni professionali per una disciplina uniforme delle contrattazioni; possono assumere: i)
veste regolamentare, la cui violazione è sanzionabile per inosservanza; ii) condizioni generali di
contratto o contratti standard; 3) contratti normativi riguardanti i comportamenti futuri dei soggetti
ed i loro rapporti; 4) codici di lealtà e di correttezza professionale, il cui contenuto deontologico
riguarda i comportamenti dei soggetti operanti in certi settori.
b) tra i codici individuali la posizione di spicco riguarda i contratti-tipo, predisposti da singoli
imprenditori (schema di contratto da sottoporre a tutti i futuri potenziali contraenti).
La traduzione letterale significa legge dei mercanti, adottata da questi per tutto il Medioevo come
lex universalis - creata dal ceto imprenditoriale senza la mediazione del potere legislativo degli
Stati - e formata da regole destinate a disciplinare in modo uniforme, al di là delle unità politiche
statali, i rapporti commerciali che si instauravano entro l’unità economica dei mercati.
In altre elaborazioni viene dato un concetto più tecnico, ricomprendendo in essa sia le norme di
origine extrastatuale, ovvero regole e pratiche consuetudinarie nate all'interno dei diversi settori, sia
i formulari e i contratti tipo elaborati dalle associazioni di categoria. Il richiamo alla lex mercatoria
pone il problema se sia possibile riferire ad essa un complesso di norme applicabili
indipendentemente dai singoli diritti nazionali, in quanto in tema di diritto commerciale si tende
sempre più frequentemente a raccordarsi con gli ordinamenti vigenti negli altri paesi.
2.3. I Principi Unidroid - Istituto Internazionale per l’Unificazione del Diritto Privato
(U NIDROIT)
(pag. 19)
La fonte più nuova è costituita dai Principi Unidroit 2010 (in precedenza 2004) dei contratti
commerciali internazionali. I principi Unidroit possono essere utilizzati dalle parti contrattuali come
vera e propria legge applicabile al contratto poiché rappresentano una summa dei principi generali
PARTE PRIMA
1. Impresa e imprenditore nel sistema del codice civile e nel rapporto con le norme costituzionali
(pag. 23)
Art. 2082 c.c.: è imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.
Imprenditore e impresa sono l'architrave del diritto commerciale; la società è la forma che il
legislatore prefigura per l'esercizio dell'impresa in forma collettiva; presupposto soggettivo per le
procedure concorsuali è la qualità di imprenditore commerciale; i titoli rappresentativi di merce
(polizze di carico, fedi di deposito, note di pegno, duplicati di lettere di vettura) possono essere
emessi solo da soggetti che siano imprenditori.
Art. 41 Cost. indica i caratteri e le finalità dell'attività economica, che nella maggior parte dei casi
è organizzata ad impresa, ma non quella dell'attività imprenditoriale; sancisce 3 principi
fondamentali: a) libertà di iniziativa economica; b) finalizzazione all'utilità sociale e al rispetto
della persona; c) esistenza di una riserva di legge.
a) genera a sua volta 4 libertà: 1) di intraprendere attività di impresa accedendo al mercato; 2) di
svolgere tale attività; 3) di cessarla senza interferenze; 4) di concorrenza, a presidio della quale è
stata istituita apposita Autorità per la vigilanza contro monopoli di fatto, intese, concentrazioni,
abuso di posizione dominante.
b) imperativo non recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
c) la legge determina i programmi e i controlli perché l'attività economica pubblica e privata sia
indirizzata e coordinata a fini sociali.
L'attività economica costituisce la novità del codice civile rispetto al cod. commercio del 1882 che
era invece incentrato sull'atto di commercio. L'impresa prescinde da ogni qualificazione dell'attività
e la commercialità, accanto all'agrarietà, è solo un possibile attributo dell'attività. Attività sta ad
indicare una serie di atti finalizzati ad uno scopo, nel senso che ogni atto che l'imprenditore compie
serve all'esercizio dell'impresa e a realizzare la produzione o lo scambio di uno o più beni, di uno o
più servizi (concretizzazione del carattere economico dell'attività).
Il passaggio dagli atti di commercio all'attività comporta due conseguenze pratiche:
a) L'attività deve sempre farsi risalire alla volontà del soggetto; tale precisazione è assai importante
ed è essenziale in quanto deve farsi riferimento alla volontà del comportamento e non alla volontà
degli effetti, riferita all’origine e al carattere durevole (impresa come manifestazione di iniziativa la
cui libertà è consacrata dall'art. 41 Cost. che sancisce che la costituzione dell'impresa non può
essere imposta; b) Nell'ambito di una attività lecita l'imprenditore può porre in essere atti illeciti,
mentre nell'ambito di un'attività illecita è possibile anche il compimento di atti leciti.
L'attività, oltre che organizzata, deve essere esercitata professionalmente, dove professionalità
indica abitualità, ma non anche permanenza, esclusività, prevalenza nell'esercizio. Non sono
imprese quelle occasionali, mentre lo sono quelle stagionali (stabilimenti balneari e - quando la
lavorazione seguiva i ritmi naturali di fruttificazione - le imprese di trasformazione dei prodotti
agricoli).
La maggiore dottrina, pur considerando lo scopo di lucro come un elemento componente della
professionalità, non ritiene che esso rientri fra gli elementi costitutivi dell'impresa. Chi esercita
attività di impresa lo fa per ricavarne un guadagno, ma ciò non vuol dire che, mancando il
guadagno (scopo di lucro), non vi sia impresa. Lo scopo di lucro non è più elemento costitutivo
della nozione di impresa.
L'attività economica non deve essere intesa come attività lucrativa, bensì come attività
remunerativa, ovvero che consenta la copertura dei costi con i ricavi. Anche la mensa per gli
indigenti potrà essere considerata impresa se esercitata con metodo economico, cioè coprendo i
costi con i ricavi.
L'ultimo carattere è quello della produttività. La produzione è l'attività diretta alla confezione di
ogni bene mobile - anche se incorporato in altro bene mobile o immobile - o al conferimento di un
servizio, dove il concetto di servizio riguarda la soddisfazione di un bisogno. Costituisce attività
d'impresa anche la produzione di servizi di carattere assistenziale o sanitario (case di cura), o
culturale (istituti di istruzione privata), sempre che ricorrano gli altri requisiti legali della fattispecie
d'impresa (professionalità e organizzazione).
L'atto giuridico va imputato a colui nel cui nome è stato compiuto e non vi sarebbe motivo per
derogare a questo criterio anche per l'attività di impresa. In linea generale il rischio d'impresa ricade
sulla persona nel cui nome gli atti d'impresa vengono posti in essere e l'attività d'impresa viene
esercitata; l'attività viene imputata, con la conseguente attribuzione di responsabilità, secondo il
criterio della spendita del nome che diviene elemento costitutivo della figura dell'imprenditore. Può
però accadere che il vero padrone dell'impresa, cioè colui che ha investito i propri capitali
nell'attività imprenditoriale, non possa o non voglia apparire nelle vesti di imprenditore e si serva di
un prestanome che appare come imprenditore. Non di rado il prestanome è un nullatenente, per il
che, in caso di insolvenza, i creditori non avranno alcun patrimonio sul quale far valere le loro
pretese. Nei rapporti interni fra imprenditore occulto e imprenditore palese, il primo si comporta
come l'effettivo titolare dell'impresa, impartendo al secondo le direttive, erogandogli i mezzi
necessari ed incamerando gli utili; nei rapporti esterni è il secondo ad apparire come imprenditore,
trattando con banche e fornitori.
La dottrina prevalente ritiene che non possa derogarsi dal criterio della spendita del nome, con la
conseguenza che la responsabilità ricadrà sempre sull'imprenditore palese. Non tutti però la pensano
allo stesso modo e sono almeno 3 le correnti di pensiero che prescindono da tali regole di
imputazione:
1) Una prima tesi dell'imprenditore occulto riteneva che la scelta legislativa fosse nel senso di
riconoscere la qualità di imprenditore a prescindere dalla spendita del nome, e quindi anche al
padrone effettivo che si occultasse dietro al paravento di altro soggetto che agisse in nome proprio.
Il successivo tassello richiedeva anche il fallimento della società occulta e dell'imprenditore occulto
che rivestiva la qualifica imprenditoriale nel fallimento.
2) Altra corrente non considerava la spendita del nome come unico criterio di imputazione
dell'attività di impresa, non essendo richiesto che il soggetto dell'azione spendesse il proprio nome,
quanto che non spendesse il nome altrui, con un meccanismo capace di trasferire su altri l'atto e
l'effetto. Per il resto, una volta identificato l'autore dell'atto, a lui saranno imputati atto ed effetto.
Nell'ipotesi di prestanome, imprenditore è colui che agisce usando il nome altrui (imprenditore
occulto) e non anche colui che si limita a consentirne l'uso.
3) Altri autori fanno leva essenzialmente su una certa realtà normativa dalla quale risulta che al
conferimento naturale dei poteri di direzione la legge connette la sanzione della responsabilità
illimitata; non può non essere imprenditore colui che agisce, seppure per interposta persona, che
amministra e riscuote gli utili.
6. L'imputazione dell'attività d'impresa con riferimento alla “veste” esterna del soggetto esercente:
gli “statuti dell'imprenditore” (pag. 34)
La disciplina delle peculiari regole di organizzazione dettate dalla particolare veste che assume
l'imprenditore sono:
1) a tutte le entità che rispondono all'art. 2082 si applica lo statuto dell'imprenditore in generale;
2) in aggiunta a tale statuto si applicano le norme previste dalla:
All'imputazione di attività d'impresa appartiene anche il caso dell'imprenditore che esercita più
attività d'impresa o addirittura più imprese. Le difficoltà cominciano dall'individuazione della
fattispecie per stabilire se si sia in presenza di una impresa unica o di una pluralità di imprese in
quanto, fatta eccezione per il soggetto che esercita due attività sottoposte a statuti legali diversi
(impresa agricola e impresa commerciale), per il quale non si può parlare di impresa unica, la
risposta non è facile. Si avranno imprese distinte, seppure facenti capo al medesimo soggetto, se
potranno riscontrarsi: 1) pluralità di attività; 2) pluralità di organizzazioni – desumibili da elementi
come la qualità e la durata dei cicli di lavorazione del prodotto o di apprestamento dei servizi
oppure dai risultati produttivi. Si avrà impresa unica se l'attività è organizzata con articolazioni di
stampo esclusivamente territoriale, amministrativo, contabile o aziendale, cui sarà appropriato
attribuire la natura di rami di impresa. La pluralità di imprese facenti capo allo stesso soggetto, pur
postulando una diversa disciplina in ordine alle diverse attività, non significa necessariamente
autonomia o separazione patrimoniale. Si parla di gruppo di imprese quando una pluralità di
imprese, ben distinte da un punto di vista soggettivo, sono sottoposte ad una direzione unitaria. Il
problema è di stabilire se la direzione unitaria del gruppo possa identificare una impresa di gruppo.
L'art. 2082 si riferisce all'impresa in generale e tutti gli elementi in esso contenuti devono essere
presenti in ogni tipo di impresa. Esiste quindi una disciplina che si applica a tutti gli imprenditori ed
una normazione che vale solo per particolari categorie di imprenditori, secondo 4 distinzioni
particolari:
1) con riferimento alla natura dell'attività, si distinguono gli imprenditori agricoli da quelli
commerciali;
2) con riferimento alle dimensioni dell'impresa, distingueremo fra piccolo imprenditore e
imprenditore (medio-grande);
3) con riguardo al soggetto esercente, basandosi sulla natura di esso, distingueremo fra imprenditore
pubblico e imprenditore privato, mentre sulla scorta della veste che volontariamente assume,
avremo l'imprenditore individuale e l'imprenditore collettivo (società);
4) basando la distinzione sul co. 2 art. 2084, avremo imprese a statuto ordinario e imprese a statuto
speciale, regolate da speciali leggi che individuano normativamente la figura di certi imprenditori in
funzione della loro particolare attività (imprese bancarie, assicurative, editoriali, televisive).
Dopo la L. 580/93 non ha più ragione di esistere la distinzione tra imprese soggette e non a
registrazione.
All'impresa agricola è dedicato la Sez. I del Capo II del Titolo II, ma le norme che direttamente
interessano tale istituto sono quelle degli artt. da 2135 a 2140 (Sezione I). La materia agricola non
è mai stata considerata parte del diritto commerciale ed il salto di qualità si è avuto con il c.c. del
1942 che colloca l'impresa agricola accanto a quella commerciale (specificazione della categoria
generale di impresa). All'imprenditore agricolo si applicano sia il suo peculiare statuto, sia quello
generale di imprenditore. Del primo, modificato con d.lgs. 228/2001, è rimasta solo la definizione
di imprenditore agricolo principale (colui che esercita le attività di coltivazione del fondo, di
selvicoltura, di allevamento di animali e le attività connesse – 2135 co.1). Per coltivazione del
fondo, selvicoltura e allevamento di animali devono intendersi le attività della cura e dello sviluppo
di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso; si intendono "connesse" le attività
dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione
che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento
di animali. Del vecchio regolamento rimangono solo l'individuazione delle categorie di
imprenditori agricoli principali e la distinzione tra attività agricole principali e attività connesse.
Mentre le attività agricole principali hanno intrinseca natura agraria e sono idonee ad imprimere il
carattere di agrarietà all'impresa, l'esercizio di attività connesse serve a creare una zona di rispetto
per svolgere attività diverse ed ulteriori rispetto a quelle tipicamente agrarie.
1. Nel co. 1 c'è la sola novità della sostituzione di allevamento di bestiame con allevamento di
animali; tra le attività direttamente agrarie è stata inserita ogni attività zootecnica caratterizzata
dallo sfruttamento del fondo rustico, che non ponga limiti all'inquadramento nelle attività agricole
principali di ogni tipo di allevamento.
2. Nel co. 2 si dice che le attività agricole principali utilizzano o possono utilizzare il fondo,
abbattendo il concetto che le tre attività dovessero svolgersi obbligatoriamente sul fondo.
Con riferimento alle singole attività principali:
a) con riguardo alla coltivazione del fondo era richiesta la condizione che l'attività non consistesse
nella mera raccolta dei frutti naturali del suolo, necessitando un'attività umana, definibile come
attività di produzione dei beni, e che il fondo assumesse il ruolo di fattore produttivo e non di mera
conservazione delle piante; pertanto erano escluse le attività di giardinaggio e le colture artificiali
attuate fuori dal fondo – ora tali esclusioni non hanno più senso;
b) per la selvicoltura vale lo stesso discorso e, stante la nuova legge, non dovrebbe rientrare in tale
attività quella meramente estrattiva del legname (attività industriale);
c) per l'allevamento degli animali non vi è più alcuna distinzione facente capo alla specie; per quel
che riguarda l'itticoltura, il legislatore ha creato la figura dell'imprenditore ittico.
Sono quelle connesse ad un'attività agricola principale o da questa dipendenti. La connessione deve
sussistere da un duplice punto di vista: 1) soggettivo - identità tra la persona che esercita l'attività
agricola principale e quella che esercita l'attività connessa); 2) oggettivo - le attività connesse
devono avere come punto di riferimento il fondo; si distinguono in: 2a) attività connesse cc.dd.
tipiche; 2b) attività naturalmente connesse o attività connesse atipiche o attività genericamente
connesse.
2a) attività connesse tipiche: ne esistono 2 categorie – i) attività consistenti nella manipolazione,
conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti
prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dell'allevamento di animali; ii) attività
comprendenti quelle dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di
attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, consistenti
nelle attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale.
La prima novità in tale settore riguarda le attività agricole per connessione. Art. 8 co. 2 D.lgs.
228/07 – sono operatori agricoli per connessione le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro
consorzi quando utilizzino per lo svolgimento delle attività di cui all'art. 2135 prevalentemente
prodotti dei soci, ovvero forniscano prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura ed allo
sviluppo del ciclo biologico; art. 10 – prevede una serie di norme per l'acquisto facile della qualifica
di imprenditore agricolo a titolo principale; art. 1 co. 3 d.lgs. 99/04 – le società, ad esclusione delle
mutue assicuratrici e comprese le società consortili, sono considerate imprenditori agricoli
professionali se hanno ad oggetto esclusivo l'esercizio delle attività agricole (2135) e sono in
possesso dei seguenti requisiti: 1) nel caso di società di persone, almeno un socio sia in possesso
della qualifica di imprenditore agricolo professionale; 2) nel caso di società cooperative, almeno 1/5
dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale: 3) nel caso di società
di capitali, almeno un amministratore sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo
professionale; art. 1 co. 1 d.lgs. 101/05 – per far acquistare la qualifica di imprenditore agricolo
professionale ai soci di società di persone e di soc. cooperative, nonché agli amministratori di soc.
di capitali, basta l'attività svolta nella società, sempre che ricorrano i requisiti della conoscenza
professionale, del tempo, del lavoro e del reddito.
Con la Sez. I, Capo II, Titolo II Libro V sono stati messi in discussione i criteri di distinzione fra
impresa agricola e commerciale.
1) Art. 2136 – esonero dell'imprenditore agricolo dall'iscrizione nel registro delle imprese – non più
applicabile; artt. 2138 e 2139 - applicazione degli usi agli ausiliari dell'imprenditore; art. 2140 –
abrogato con l'istituzione dell'impresa familiare.
2) nessuna impresa agricola è soggetta alle procedure concorsuali.
3) Art. 8 L. 580/93 - obbligo di iscrizione nel registro delle imprese in sezioni speciali e per fini
diversi (efficacia dichiarativa).
4) particolare regime per imprese agricole costituite in forma commerciale (soc. commerciali aventi
ad oggetto attività agricola), tenute all'iscrizione nel registro delle imprese. Per quel che riguarda
l'applicazione delle norme in tema di scritture contabili, sembra che ciò sia rimesso alla volontà
dell'imprenditore.
Art. 2 L. 96/06 definisce tale attività come quella di ricezione e di ospitalità esercitate dagli
imprenditori agricoli utilizzando la propria azienda in rapporto di connessione con le attività di
coltivazione del fondo, di selvicoltura e di allevamento di animali. Possono essere addetti
all'esercizio di tale attività l'imprenditore agricolo e i suoi familiari, i lavoratori dipendenti a tempo
determinato, indeterminato e parziale, mentre il ricorso a soggetti esterni è consentito solo per lo
svolgimento di attività e servizi complementari. Rientrano fra le attività agrituristiche: a) dare
ospitalità in alloggi o spazi aperti destinati alla sosta dei campeggiatori; b) somministrare cibi e
bevande propri o di aziende agricole della zona; c) organizzare degustazioni di prodotti aziendali;
d) organizzare attività ricreative, culturali, didattiche, sportive, escursionistiche e ippoturismo. Sono
considerati di produzione propria i prodotti lavorati nell'azienda agricola e quelli ricavati da materie
prime dell'azienda lavorati all'esterno.
Accanto all'imprenditore agricolo si pone quello commerciale (non definito da norme); la sua
definizione si ricava in senso negativo (ogni imprenditore che non esercita attività agricola, ovvero
tutte le attività previste dal 2082 meno quelle previste dal 2135). Ma la norma da cui discende
l'impresa commerciale è la 2195: co. 1 - obbligo di iscrizione per le categorie di imprenditori che
svolgono determinate attività, la cui natura commerciale si desume dal co. 2. Tali attività sono: 1)
attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi; 2) attività commerciale propriamente
detta (intermediazione nella circolazione dei beni); 3) attività di trasporto ; 4) attività bancaria o
assicurativa; 5) attività ausiliarie delle precedenti (non determinabili a priori ma che agevolano
l'esercizio delle precedenti attività).
8.2.1. Lo statuto dell'imprenditore commerciale (pag. 46)
Comprende: 1) intero Capo III Titolo II Libro V c.c.; 2) Legge fallimentare (r.d. 267/42); 3)
legislazione speciale.
In base alle predette norme l'imprenditore commerciale ha: a) obbligo di iscrizione nel registro delle
imprese (Capo III Sez. II); b) possibilità di servirsi di ausiliari (Capo III Sez. III § 1); c) obbligo di
tenuta delle scritture contabili (Capo III Sez. III § 2); d) soggezione alla procedure concorsuali
(Capo III Sez. III § 3).
8.2.2. La rilevazione della situazione patrimoniale: scritture contabili e bilancio (pag. 47)
La tenuta della contabilità e la rilevazione periodica della situazione patrimoniale sono sia un
obbligo giuridico, sia una regola di buona amministrazione: a) consentono di seguire l'andamento
della gestione; b) assolvono ad una funzione informativa verso terzi; c) in caso di procedure
concorsuali permettono la ricostruzione della situazione patrimoniale.
La redazione del bilancio è consequenziale alla tenuta delle scritture contabili. Obbligati alla tenuta
delle scritture contabili sono: 1) l'imprenditore commerciale individuale; 2) le società; 3) gli enti
pubblici che svolgono attività commerciale non in via principale.
Per l'individuazione delle scritture contabili il legislatore ha adottato un regime misto: a) scritture
contabili espressamente individuate (libro giornale e libro inventario); b) altre scritture contabili
richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa.
Taluni ritengono che, oltre alle imprese agricole e commerciali, vi siano anche le imprese civili in
quanto non tutte le attività previste dal 2082 meno quelle del 2135 sono riconducibili ad attività
commerciali. La differenza infatti sarebbe costituita dalle attività civili. Un esempio di attività
civile può consistere nell'attività del professionista intellettuale organizzata ad impresa o
nell'attività delle società di revisione.
10. Le classificazioni degli imprenditori con riferimento alle dimensioni. Il piccolo imprenditore
(pag. 49)
L'art. 2083 disciplina solo i piccoli imprenditori, ovvero i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani,
i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente
con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Ma come deve essere interpretato il termine
“prevalentemente”? La piccola impresa si identifica nella persona del soggetto che la esercita fino
al punto che la sua morte provoca la caducazione dell'attività negoziale e prenegoziale da lui posta
in essere. Esaminiamo ora le singole categorie di piccoli imprenditori:
a) il coltivatore diretto – chi coltiva il fondo (che non deve superare limiti di estensione determinati)
col lavoro prevalentemente proprio e di persone della famiglia;
b) il piccolo commerciante – nel rispetto dell'art. 2083, colui che svolge attività di intermediazione
nella circolazione di beni o di servizi;
c) l'impresa artigiana (vedi paragrafo successivo).
La nozione di piccolo imprenditore ha validità soprattutto ai fini dell'applicazione di uno statuto
differenziato, anche se nella legislazione speciale ora vi è la tendenza ad accorpare piccola e media
impresa - distinte dalla grande impresa - l'unica per la quale è esigibile uno statuto particolare.
E' la figura di piccolo imprenditore che ha subito le trasformazioni più profonde a seguito della
legislazione speciale, con modifiche che hanno inciso sulla nozione stessa di artigiano.
Art. 45 co 2 C. - assicura tutela e sviluppo al settore; art. 117 C. - competenza delle Regioni.
La legge del 56 ha spostato il criterio di qualificazione della figura dell’artigiano dalla dimensione
alla natura dell'attività esercitata; la L. 443/85 contiene: a) sia la nozione di imprenditore artigiano
- colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare l'impresa artigiana,
assumendone la piena responsabilità, con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e
gestione, e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo
produttivo; b) sia di impresa artigiana - svolgimento di un'attività di produzione di beni, anche
L'impresa pubblica è esercitata dallo Stato o da altro ente pubblico (comuni, province) ed è retta da
uno statuto che ne individua gli scopi. Attualmente è in atto un progressivo processo di
privatizzazione.
Non sono imprese pubbliche le società a partecipazione statale dove lo Stato detiene la
maggioranza del capitale sociale. Circa i caratteri dell'impresa pubblica, questa non presenta
elementi di differenziazione rispetto a quella privata; l'impresa pubblica però non può perseguire il
mero profitto, dovendosi far carico dei costi sociali che l'esercizio di una attività può comportare.
L'unica differenziazione con l'impresa privata si ha in relazione al perseguimento del lucro e alla
sua devoluzione.
Il fine dell'attività imprenditoriale è la produzione o lo scambio di beni o di servizi, per cui la
finalità di interesse generale dell'impresa pubblica ha la medesima collocazione della finalità del
profitto per l'imprenditore privato.
Vi è l'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese solo per gli enti pubblici per i quali l'esercizio
d'impresa sia quello principale ed esclusivo. L'impresa pubblica non è soggetta né al fallimento né
al concordato preventivo, mentre è soggetta alla liquidazione coatta amministrativa.
E' sorta con d.lgs. 155/06 (successivamente abrogato con d.lgs. 112/17) - possono assumere la
qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati, compresi quelli costituiti nelle forme di cui al Libro
V del c.c., che esercitano, in via stabile e principale, senza scopo di lucro, un'attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi per finalità civiche,
solidaristiche o di utilità sociale, che abbiano i requisiti di cui agli artt. 2 d.lgs. 112/17. Ora vi sono
22 specie di utilità sociali (assistenza sociale, sanitaria, educazione istruzione e formazione, tutela
ambiente, patrimonio culturale ….).
Fra i requisiti per l'esercizio di tale impresa vi sono: a) obbligo di destinare gli utili allo svolgimento
dell'attività d'impresa o all'incremento del patrimonio (utili reinvestiti nell'impresa); b) obbligo di
iscrizione in apposita sezione del registro delle imprese. Per le imprese sociali con patrimonio
< 20.000 € vi è responsabilità per il solo patrimonio sociale.
E' il contratto con cui - compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel
rispetto delle differenti tipologie societarie - l'imprenditore o il titolare di partecipazioni societarie
trasferiscono in tutto o in parte, ad uno o più discendenti, l'azienda - il primo -, le proprie quote - il
secondo. Il contratto deve essere stipulato con atto pubblico; alla sua formazione devono
partecipare il coniuge ed i legittimari; può essere sciolto solo con altro contratto avente le stesse
caratteristiche del primo.
Per definizione è una persona fisica; a questa si aggiungerebbero anche le persone giuridiche non
corporative (fondazioni).
Una prima distinzione fra imprenditore individuale e imprenditore collettivo è dovuta alla
differenza per l'acquisizione del requisito di professionalità: il primo lo consegue con la reiterazione
degli atti di impresa, il secondo con la costituzione societaria.
a) Inizio dell'impresa - è indipendente da ogni carattere formale e consegue solo all'inizio effettivo
dell'attività economica che si verifica, a seconda della dottrina, in base a due tesi: 1) oggettiva -
l'impresa nasce quando vi è un'organizzazione stabile e vi è l'esercizio di un'attività produttiva in
cui non sono compresi gli atti preparatori al vero e proprio inizio dell'attività, come locazione dei
locali e acquisto di attrezzature; tali atti sono infatti distinti dagli atti di organizzazione che sono i
soli a concretizzare l'attività di impresa; 2) soggettiva - viene negata la distinzione fra atti
preparatori, non isolati, e atti di organizzazione; l'inizio dell'attività coincide quindi con l'inizio dei
primi. La scelta fra le due tesi è di estrema importanza poiché dal momento della nascita sorgono
gli obblighi dell'iscrizione e, per l'imprenditore commerciale, della tenuta della contabilità, nonché
l’assoggettabilità alle procedure concorsuali e la tutela dei segni distintivi e contro la concorrenza
sleale.
b) Fine dell'impresa - non è legata a momenti formali, ma consegue alla cessazione di fatto
dell'attività d'impresa. Fra i segnali che indicano la cessazione vi sono: 1) chiusura del negozio di
vendita o dello stabilimento di produzione; 2) revoca dell'institore (preposto dal titolare
all’esercizio di impresa commerciale); 3) nomina di mandatari a liquidare; 4) invio di
comunicazione di chiusura alla clientela. La disgregazione del complesso aziendale potrà dirsi
avvenuta quando l'imprenditore avrà esaurito la liquidazione dell'attivo (smaltimento delle giacenze
di magazzino e dell'attrezzatura necessaria allo svolgimento dell'attività). La determinazione del
momento della cessazione è importante ai fini della dichiarazione di fallimento (1 anno dalla
cancellazione dal registro delle imprese).
Compete a tutti coloro che hanno capacità di agire. Gli incapaci, e per loro i rappresentanti, possono
essere autorizzati a proseguire l'attività, ma non ad iniziarla; i provvedimenti relativi devono essere
annotati nel registro delle imprese. Si parla di continuazione nel caso in cui l'attività sia già stata nel
patrimonio dell'incapace quando egli è divenuto tale, ma anche se gli sia pervenuta a titolo gratuito
(testamento o donazione).
4. La pubblicità dell'imprenditore individuale: storia e nuova disciplina del registro delle imprese
(pag. 59)
Lo strumento della pubblicità è di duplice importanza; 1) per l'impresa, in quanto informa della
propria attività coloro che vi entrano in contatto; 2) per i terzi (fornitori, clienti, creditori), dato che
offre tutela mediante informazioni sulle vicende più importanti dell'impresa. Questi obiettivi sono
raggiunti tramite il registro delle imprese al quale devono iscriversi, entro 30 gg. dall'acquisto della
qualifica di imprenditore, tutti gli imprenditori commerciali. In tale registro devono essere annotate
le vicende della vita dell'impresa (sede, oggetto, ditta, ausiliari legittimati ad agire, modificazioni di
tali elementi, cessazione). Tali iscrizioni hanno efficacia dichiarativa. Dalla sua istituzione il
PARTE SECONDA
L’imprenditore, per distinguere la propria attività e i propri prodotti da quelli dei concorrenti, usa
alcuni segni distintivi che sono tutelati dalla legge: 1) ditta – identifica il suo nome commerciale; 2)
insegna – identifica i locali ove ha sede l’attività; 3) marchio – identifica i prodotti/servizi.
La coesistenza delle due norme sopra richiamate (2563 e 2565) riconduce dal principio di verità a
quello di verità storica, che fa escludere che l'imprenditore possa usare la ditta al posto del nome
civile per la sottoscrizione di atti. Il mancato rispetto del principio di verità all'atto della formazione
della ditta ne impedisce l'iscrizione nel registro delle imprese ma, per orientamento
giurisprudenziale, non impedisce alla ditta irregolare di invocare la protezione in tema di
concorrenza sleale per l'uso, da parte di altri, di nomi o segni che possano creare confusione con la
propria attività. Il contenuto minimo della ditta, nel rispetto del principio di verità, è costituito dal
cognome o dalla sigla del titolare, ma non ci sono limiti all'autonomia privata per aggiungervi ogni
altra indicazione di fantasia (principio di libertà), cui si estenderà il diritto all'uso esclusivo.
Art. 2564 – se la ditta è uguale o simile a quella usata da altro imprenditore, tale da creare
confusione per l'oggetto dell'impresa o per il luogo in cui questa è esercitata, deve essere integrata
o modificata con indicazioni idonee. Il richiamo all'oggetto ed al luogo dell'attività ipotizza un
rapporto di concorrenza prossima, intesa in modo elastico, in quanto l'oggetto comprende anche
attività similari o complementari che possano sorgere da uno sviluppo potenziale, mentre per il
luogo devono intendersi anche quelle zone raggiungibili in base ad eventuale possibile sviluppo. Il
criterio per risolvere il conflitto fra ditte confondibili è quello della priorità d'uso; l'obbligo di
integrazione o modifica compete a chi ha iscritto per ultimo la propria ditta nel registro delle
imprese (priorità di iscrizione). Ma la ditta non registrata, o registrata successivamente, può
prevalere sull'altra nel caso in cui possa provare la conoscenza da parte del titolare di quest'ultima
della sua preesistenza di fatto (priorità d'uso opponibile). Tuttavia non vi è uno specifico dovere,
bensì solo l'onere, di integrare o modificare la ditta nel caso si intenda conservarne l'uso. L'opera di
integrazione/modificazione deve riguardare il cuore della ditta, ovvero quegli elementi che possono
attrarre il consumatore medio. Se il cuore della ditta è costituito dal nome patronimico (che riporta
il nome civile dell'imprenditore - es. ceramiche Carlo Rossi), l'imprenditore dovrà sostituirlo con
una denominazione di fantasia, conservando il cognome (indicazione del soggetto responsabile per
le obbligazioni assunte) accanto alla nuova ditta.
Il diritto sulla ditta consiste nella possibilità di inibire l'uso della denominazione non solo come
ditta, ma anche come insegna o marchio, se vi è la possibilità che il pubblico sia indotto a riferire
l'attività del suo utilizzatore a quella del titolare della ditta. Tale diritto è variamente definito: 1)
diritto di proprietà su di un bene immateriale; 2) diritto della personalità. In ogni caso questo diritto
La scelta dell'insegna non è soggetta al principio di verità; può essere formata con criteri di fantasia,
nel rispetto dei limiti dell'ordine pubblico del buon costume e non deve trarre in inganno il
pubblico. Deve essere dotata di originalità, ovvero di capacità distintiva, e non può avvalersi
dell'indicazione denominativa o emblematica dell'attività svolta. Il principio di novità (2568), che
vale per la ditta, vale anche per l'insegna. Per l'insegna non vale la possibilità di ampliamento della
sfera di potenziale espansione, prevista invece per la ditta.
Il marchio può identificare: 1) un prodotto/servizio di una impresa (Opel Corsa); 2) una linea di
prodotti/servizio (Apple Mac); 3) un prodotto/servizio di più imprese (bancomat). Tutela l'interesse
dell'imprenditore differenziando, mediante apposito segno, la sua persona, la sua attività (compresa
la localizzazione) ed i suoi prodotti o servizi, fornendo alla clientela garanzie di affidabilità e
qualità. E' disciplinato dagli artt. 2569-2574 e da apposita legge (r.d. 929/42, mod. con d.lgs. 480/92
e 198/96). La sua funzione consiste nel garantire la presenza nei prodotti o nei servizi di quelle
caratteristiche particolari che li differenziano da altri beni/servizi analoghi. La garanzia del marchio
è limitata alla costante presenza di queste caratteristiche e non alla provenienza del prodotto da una
determinata impresa, stante la libertà di trasferire il marchio separatamente dall'azienda. Il marchio
adempie ad una funzione pubblicitaria, ma anche ad una funzione suggestiva se il segno usato ha
una particolare attrattiva, o se è soggetto a pubblicità intensiva (spot istantanei e pubblicità
subliminale, informazioni che il cervello assimila a livello inconscio). La funzione pubblicitaria è
la conseguenza di fatto della funzione distintiva. Il marchio non ha autonoma tutela giuridica in
quanto vi è la possibilità di utilizzo di uno stesso/simile marchio per classi di prodotti diversi.
Il marchio, dal punto di vista tipologico, è un segno apposto sul prodotto per far in moda da
differenziarlo da altri, ma che non si identifica con le sue caratteristiche tecniche sulle quali è
possibile acquisire un'esclusiva limitata nel tempo con il brevetto (estraneità del marchio al
prodotto). Il marchio può essere costituito da parole (marchi denominativi), da figure (marchi
raffigurativi o emblematici) o da entrambi (marchi misti); anche un suono può essere registrato
come marchio (sigla di una trasmissione), così come una forma (marchio tridimensionale), purché
forma arbitraria che non corrisponda ad esigenze tecniche. Può essere apposto dal fabbricante
(marchio di fabbrica) o dal rivenditore (marchio di commercio), purché non sopprima il primo. Il
marchio di fabbrica può essere: 1) speciale, se destinato a distinguere un solo prodotto; 2) generale,
se per più prodotti. Vi è anche il marchio di servizio, per distinguere un servizio offerto al pubblico;
mancando un bene materiale, il marchio è utilizzato mediante la pubblicità o con la sua apposizione
sulla divisa adoperata per la prestazione del servizio. Marchio debole è un segno la cui funzione
distintiva è affidata all'aggiunta di un prefisso/suffisso alla denominazione generica del prodotto, la
cui modificazione ne consente l'uso anche da parte di altri. Marchio forte è un'espressione di
fantasia, senza alcun riferimento al prodotto, e pertanto il suo utilizzo godrà di maggiore protezione
da contraffazioni (Apple e mela morsicata).
3.2. Titolarità del marchio e impresa. Marchio di gruppo e marchio collettivo (pag. 302)
Il diritto all'uso esclusivo del marchio si acquista con la registrazione su domanda all'Ufficio
Italiano Brevetti e Marchi che verificherà i requisiti di originalità e veridicità, mentre quelli di
novità e liceità saranno demandati ad eventuali terzi interessati. In caso di reiezione della domanda
è possibile proporre reclamo ad apposita Commissione, la cui sentenza è ricorribile per Cassazione.
La legge può tutelare il marchio non registrato (l'art. 2571), consentendo a chi lo usava di
continuare ad avvalersene, ma anche di richiedere la non registrazione da parte di altri per difetto
di novità se il marchio di fatto (non registrato) ha acquisito notorietà generale. Maggiore però è la
tutela nei confronti del marchio registrato in quanto il suo titolare potrà agire con azione di
contraffazione fondata sulla semplice identità o somiglianza del segno (carattere assoluto del diritto
di esclusiva). Il titolare del marchio non registrato, invece, potrà agire solo con azione di
concorrenza sleale, basata sul fatto che la confondibilità del segno si sia tradotta in confondibilità
dei prodotti/attività. L'esclusività del marchio registrato è limitata ai prodotti/servizi indicati nella
domanda di registrazione (specialità del marchio). Tale limite non opera nei confronti dei marchi
celebri verso i quali, per la loro forte carica pubblicitaria, l'esclusiva è estesa a prodotti diversi,
essendo sufficiente che il marchio eserciti un forte richiamo per la clientela.
L'esclusiva del marchio registrato è di 10 anni, decorrenti dalla data di deposito della domanda, ma
la registrazione è rinnovabile prima della scadenza per un numero illimitato di volte.
La circolazione del marchio può avvenire secondo due modalità: 1) cessione definitiva; 2) licenza
d’uso (che può essere concessa in modo esclusivo e non). Pertanto è possibile il trasferimento del
marchio anche separatamente dal trasferimento dell'azienda; vi è però una presunzione relativa di
trasferimento del marchio in caso di cessione d'azienda.
Una particolare forma di licenza d'uso dei marchi celebri si ravvisa nel contratto di merchandising
in cui il titolare del marchio ne concede l'uso ad altro imprenditore per prodotti diversi da quelli di
registrazione.
Legittimato a richiedere la nullità o la decadenza del marchio è sia chiunque vi abbia interesse
(specifico), sia il PM (interesse a non tollerare posizioni monopolistiche non conformi alla legge).
La sentenza dichiarativa della nullità ha valenza erga omnes ed effetto retroattivo anche per gli atti
dispositivi posti in essere precedentemente sul segno invalido . Vi è la sanatoria del marchio nullo
per difetto di novità se, per almeno 5 anni consecutivi, lo stesso è stato utilizzato, fatta salva la
registrazione del marchio fatta in mala fede.
Invenzione è l'idea che consente la soluzione di un problema tecnico, idonea a soddisfare i bisogni
dell'uomo, o basata sulla creatività o a seguito di applicazione di nozioni già acquisite; costituisce
un bene immateriale in quanto soddisfa un bisogno dell'uomo ed è separabile dalla personalità
dell'inventore e dalle cose materiali attraverso le quali l'idea viene realizzata. Si distingue per il
carattere creativo dalla scoperta scientifica, che è rivelazione di un quid già esistente in natura.
Consiste nella ideazione di un particolare modo di operare per pervenire ad un risultato pratico. Si
distingue in: a) invenzione di procedimento – scoperta di un particolare procedimento per la
realizzazione di un prodotto migliorandone lo standard o riducendone i costi; b) invenzione di
prodotto – realizzazione di nuovi prodotti con particolari caratteristiche; c) invenzione d'uso –
nuova utilizzazione di oggetti migliorandone il rendimento o evitando inconvenienti.
Tutti potrebbero beneficiare dell'idea inventiva, salva la tutela del diritto morale di invenzione che
consiste nel riconoscimento all’inventore di essere lo scopritore dell'idea. Ma l'attività inventiva
costa energie e spese, pertanto nasce l'interesse a sfruttare la propria idea direttamente o in via
esclusiva. Tale finalità non è perseguibile mantenendo il segreto sull'idea creativa, ma proprio
attraverso lo sfruttamento diretto della stessa. L'interesse dell'inventore è tutelato mediante la
concessione del brevetto con il quale il titolare ha la facoltà di sfruttare temporaneamente (20 anni)
ed in via esclusiva l'invenzione. Essendo incentivo alla ricerca, tale posizione monopolistica
realizza sia l'interesse privato dell'inventore sia il progresso tecnologico. La brevettazione implica
che l'invenzione sia resa di dominio pubblico.
Se l'invenzione presenta i requisiti della brevettabilità ed è frutto intellettuale ed economico del suo
autore, questi sarà titolare della paternità dell'idea e del suo sfruttamento. Ma il fenomeno della
ricerca scientifica, che utilizza rilevanti mezzi tecnici e più collaboratori facenti capo a
organizzazioni imprenditoriali, determina la scissione tra la persona fisica dell'inventore ed il
soggetto giuridico che ha sopportato i costi della ricerca. In tali ipotesi (invenzioni di servizio), il
diritto morale d'inventore spetta all'autore, mentre il diritto al suo sfruttamento economico spetta
all'ente di ricerca. Se invece l'invenzione è fatta nell'esecuzione di un contratto di lavoro
dipendente, senza però che l'attività di ricerca sia oggetto dello stesso (invenzioni industriali), il
diritto di sfruttamento spetta al datore di lavoro, mentre all'inventore spetta un equo premio. Se
Per essere brevettabile l'idea deve apportare al progresso tecnologico un contributo significativo,
tale da giustificare il privilegio monopolistico. I requisiti per la brevettabilità sono:
a) materialità dell'invenzione – attitudine dell'invenzione a realizzarsi in un quid fisicamente
percepibile che possa essere prodotto e immesso sul mercato. Ma come si evidenzia il requisito
della materialità nei confronti della tripartizione delle invenzioni (di procedimento, di prodotto,
d'uso)? In ogni invenzione brevettabile vi è un collegamento con un quid materiale che può
riguardare il prodotto, il procedimento per ottenere il prodotto o il modo di utilizzarlo.
b) industrialità dell'invenzione – deve concernere un oggetto materiale suscettibile di produzione in
serie e non di quella artigianale. Non deve essere intesa come utilizzazione immediata, bensì come
astratta idoneità dell'invenzione ad un'applicazione industriale.
c) novità (estrinseca) dell'invenzione – non già divulgata.
d) originalità dell'invenzione (novità intrinseca) – costituisce una quantificazione della novità in
quanto non è sufficiente che rappresenti un quid di diverso rispetto alle cognizioni tecniche diffuse
(novità estrinseca), ma che la diversità rappresenti un contributo creativo al patrimonio di
cognizioni dell'epoca.
Il livello di originalità risulta attenuato nelle invenzioni di perfezionamento, modifica di precedenti
invenzioni, che presentano un legame di dipendenza rispetto alle prime e che non possono essere
attuate senza il consenso del titolare del brevetto principale.
Anche l'invenzione di traslazione è collegata ad un precedente brevetto, ma è autonoma rispetto alla
prima in quanto, trasferendo in un altro campo un'invenzione preesistente, si perviene ad un
risultato diverso. L'invenzione di combinazione, infine, mette insieme elementi già noti per
raggiungere un risultato tecnico nuovo.
Il brevetto è rilasciato a seguito di domanda corredata dalla descrizione dell'invenzione nella quale
sia specificato l'oggetto dell'esclusiva richiesta (rivendicazione). L'Ufficio accerta la materialità e
l'industrialità dell'invenzione, non anche la novità, estrinseca o intrinseca, e nemmeno la titolarità al
diritto; contro la sua decisione si può ricorrere ad apposita commissione (Commissione dei ricorsi,
organo con giurisdizione esclusiva e speciale propria del diritto industriale, la cui decisione è
ricorribile per Cassazione). La durata del brevetto è di 20 anni, non rinnovabile. Il titolare ha il
diritto esclusivo all'attuazione dell'invenzione ed al suo sfruttamento economico (fabbricazione e
vendita). Il titolare può agire contro chi sfrutta abusivamente la sua invenzione con l'azione di
contraffazione; la sentenza che inibisce la prosecuzione dell'utilizzazione può disporre
l'eliminazione dal mercato dei prodotti, il risarcimento del danno e la pubblicazione del dispositivo.
Il diritto di esclusiva è trasferibile inter vivos o mortis causa.
Se l’inventore non provvede a richiedere il brevetto per prorogare la sua esclusiva di fatto, altri
possono pervenire in via autonoma agli stessi risultati e richiedere il brevetto; in tal caso all’autore
dell’invenzione non brevettata è riconosciuto il diritto al suo utilizzo, limitatamente al “preuso” che
ne aveva fatto.
2. I modelli di utilità ed i disegni e modelli (ornamentali): distinzione delle due categorie (pag. 315)
Tutela minore viene anche accordata all'attività di miglioramento della funzionalità e della
gradevolezza estetica della produzione di massa. Possono conseguire il brevetto per: a) modelli di
utilità - i nuovi modelli atti a conferire particolare efficacia o comodità di applicazione a macchine
o parti di esse; b) disegni e modelli - i nuovi disegni ornamentali che abbiano carattere individuale,
intendendosi per disegni e modelli l'aspetto dell'intero prodotto o di una sua parte. Le caratteristiche
devono essere estetiche e non tecniche. In entrambi i casi il titolare della tutela ha il diritto
esclusivo di realizzare il modello o il disegno e di commercializzare i relativi prodotti. Può essere
chiesta una doppia brevettazione nel caso in cui la forma dell'oggetto accresca utilità e pregio
estetico, da utilizzare in tempi successivi, essendo vietato il cumulo di 2 protezioni monopolistiche.
La tutela per i modelli di utilità è di 10 anni, per i disegni ornamentali è di 5 anni, prorogabile fino
a 25. Tali brevetti sono subordinati alla novità estrinseca e all'originalità. Dal 2010 anche alla liceità
(art. 33 bis C.P.I.).
Talora, potendosi riscontrare incertezza nella distinzione fra invenzione e modello di utilità, vi è la
possibilità di convertire il brevetto per invenzione, invalido per difetto di originalità, in brevetto per
modello di utilità, ove ne ricorrano i requisiti per quest'ultimo (brevettazione alternativa).
La distinzione fra modelli di utilità e disegni e modelli (privative industriali) e opere d'arte applicate
all'industria (opere dell'ingegno, indipendenti dal brevetto e tutelate per 50 anni) è assai delicata. Il
criterio per le opere dell'ingegno è quello della scindibilità, ovvero la possibilità di scindere il
valore artistico dall'utilizzazione su scala industriale. Le due forme di tutela non sono alternative ma
cumulabili.
Sono definiti ausiliari dell'imprenditore i soggetti che contribuiscono con il loro lavoro allo
svolgimento dell'attività di impresa, rimanendone però estranei agli effetti giuridici ed economici
(non subiscono l'alea imprenditoriale). Tale collaborazione può essere: 1) autonoma; 2) subordinata.
La differenza è data dalla presenza o meno di un vincolo di dipendenza, ma non dipende dalla
libertà nelle modalità di svolgimento della collaborazione. Se la collaborazione autonoma richiede
un certo coordinamento con l'attività affidata alla struttura principale, si parla di rapporto di
parasubordinazione che, unitamente al rapporto subordinato, è sottoposto alla cognizione del
giudice del lavoro. Se la collaborazione autonoma ha carattere imprenditoriale, questa dà luogo
all'impresa ausiliaria. La diversità fra le due forme di collaborazione dipende dal tipo contrattuale
alla base del rapporto: per gli ausiliari subordinati si parla di contratto di lavoro subordinato, mentre
gli altri ausiliari possono essere legati all'impresa da svariati possibili altri rapporti contrattuali. Agli
Institore è colui che è preposto dal titolare all'esercizio di una impresa commerciale, ovvero è un
soggetto che si caratterizza per la particolare posizione assunta all'interno dell'impresa, non
sottoposto a superiori gerarchie interne alla struttura a cui è preposto. Per questo gli deriva un
potere di rappresentanza che riguarda tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa. E' il sostituto
dell'imprenditore e può porre in essere validi rapporti giuridici in nome e per conto del titolare.
Insieme con l'imprenditore è tenuto all'osservanza delle norme relative alla tenuta delle scritture
contabili ed alla pubblicità nel registro delle imprese; è coinvolto anche nelle medesime
responsabilità penali in caso di fallimento. La qualità di institore non può essere ricollegata a
collaboratori autonomi, anche se con procura generale. La procura institoria è in forma libera. La
cessazione della preposizione institoria, che non coincide necessariamente con la risoluzione del
rapporto subordinato è soggetta, ai fini dell'opponibilità ai terzi, alla pubblicità nel registro delle
imprese.
Il suo potere rappresentativo si estende a tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, senza
distinzione fra atti di ordinaria o di straordinaria amministrazione, né tra necessità o utilità degli
stessi. Con atto espresso è possibile estendere tale potere, che potrà comprendere anche
l'alienazione o l'affitto dell'azienda, ma anche limitarlo. A tale potere di rappresentanza sul piano
sostanziale se ne accompagna un altro sul piano processuale: l'institore potrà essere convenuto in
giudizio , per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell'esercizio dell'impresa, dai terzi - in
luogo del titolare - o da quest'ultimo. Per lo spostamento degli effetti dell'atto dal patrimonio del
rappresentante (institore) a quello del rappresentato (imprenditore) occorre la spendita del nome di
quest’ultimo (contemplatio domini).
I procuratori sono coloro che, in base ad un rapporto continuativo, hanno il potere di compiere per
l'imprenditore gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, pur non essendo preposti ad essa. Il loro
inquadramento nella struttura dell'impresa avviene in base ad un rapporto di lavoro dipendente. Il
potere rappresentativo esterno è congiunto ad un potere decisionale interno, connesso
all'attribuzione di funzioni direttive. Il potere decisionale però non può abbracciare la globalità
dell'attività che si svolge sotto il controllo di un superiore gerarchico intermedio (a differenza
dell'institore). Tale rappresentanza è sottoposta al regime della pubblicità, mentre è esclusa la norma
sulla responsabilità. La rappresentanza processuale è possibile solo se espressamente conferita per
iscritto.
I commessi sono ausiliari subordinati con funzioni prevalentemente esecutive; condividono con i
procuratori l'attribuzione di un potere di rappresentanza, salvo espresse limitazioni. Essi sono sia
impiegati sia operai, accumulati dal potere di compiere gli atti di cui sono incaricati. Per gli affari
da loro conclusi sono legittimati passivamente, per conto dell'imprenditore, a ricevere dichiarazioni
Per circolazione dell'azienda si intende il trasferimento volontario della titolarità per atto tra vivi,
anche se è possibile il trasferimento coattivo e mortis causa. Il trasferimento può riguardare anche
un solo ramo d'azienda, ovvero una parte della struttura organizzata dotata di autonomia operativa.
Ma la possibilità di trasferire uno o più beni aziendali pone il problema se, così facendo, non si
intacchi l'unità aziendale. La distinzione dovrà essere fatta con criterio oggettivo, nel seno che, se il
trasferimento riguarda tutti i beni essenziali per la realizzazione del programma aziendale
originario, anche se rimangono esclusi alcuni beni aziendali, si parlerà di trasferimento d'azienda.
Nel caso però in cui l'alienante non dichiari espressamente di riservarsi la disponibilità di qualche
bene, il trasferimento riguarderà tutti i beni aziendali. In base al criterio della buona fede l'alienante
dovrà comunicare tutti i dati utili per la prosecuzione dell'attività (segreti di fabbrica, know-how,
elenco clienti/fornitori) e consentire la volturazione delle licenze amministrative.
Ai soli fini della prova il codice richiede l'adozione della forma scritta, già obbligatoria per
donazioni o trasferimenti di beni immobili, oltre che della scrittura privata autenticata o dell'atto
pubblico per la pubblicità nel registro delle imprese. Tale onere pubblicitario è previsto per le sole
aziende commerciali medio-grandi ai fini dell'opponibilità dell'acquisto ai terzi.
La legge non dispone in merito al trasferimento dei crediti che sono lasciati alla libera disponibilità
delle parti. In base ad una interpretazione oggettiva, passano all'acquirente i crediti scaturenti dai
contratti di azienda, aventi ad oggetto l'apporto di beni strumentali alle funzionalità dell'azienda.
2259 – l'opponibilità ai terzi della cessione è conseguenza della pubblicazione sul registro delle
imprese.
I debiti gravanti sull'alienante, risultanti dai libri contabili obbligatori, per la tutela dei terzi
vengono accollati all'acquirente. Tale norma non si applica per le imprese non obbligate alla tenuta
dei libri contabili (piccole imprese commerciali, imprese agricole). L'accollo è cumulativo, a meno
che i terzi abbiano consentito alla sua liberazione.
L'usufruttario beneficia della successione nei rapporti contrattuali in corso e della norma sulla
pubblicità, ma non è gravato dall'accollo dei debiti. Il concedente e l’usufruttario, al termine
dell'usufrutto, sono gravati dall'obbligo di non concorrenza.
2362 – Si applica la stessa disciplina dell'usufrutto, con esclusione della norma sulla opponibilità
della cessione dei crediti.
PARTE TERZA
Capitolo I – LA CONCORRENZA
Questo principio è sancito dall'art. 41 C. e consente l'operatività di una pluralità di soggetti sul
mercato dell'offerta e della domanda di beni o servizi. In un sistema di concorrenza perfetta la
qualità del prodotto e/o il prezzo dovrebbero consentire la conquista del mercato. Vi sono però dei
condizionamenti di varia natura, fra i quali: 1) imprese marginali – accesso a determinati settori di
attività di fatto precluso a chi non ha i mezzi necessari per dotare l'impresa delle dimensioni
ottimali per operare a prezzi competitivi, con la conseguente scomparsa dei soggetti più deboli che
porta all'oligopolio (pochi) o al monopolio di fatto (uno); 2) raggruppamento di imprenditori – che
per fronteggiare la concorrenza si raggruppano in varie forme per la realizzazione di economie di
scala per diminuire i costi o per dividersi il mercato.
La libertà di concorrenza però può essere limitata per legge laddove sia precluso ai privati l'accesso
a determinati settori, ovvero questo sia subordinato ad autorizzazioni amministrative. Ciò accade se
sono in gioco interessi generali della collettività. Questo insieme di disposizioni normative
costituisce il sistema di 1) limitazioni legali della concorrenza, in contrapposizione al sistema di 2)
limitazioni convenzionali della libertà di concorrenza, determinate dall'autonomia privata.
Le limitazioni legali devono possono contemplate solo da norme primarie e devono rispondere a
fini di utilità generale; possono consistere in:
a) condizionamenti all'impresa: necessità di premunirsi di permessi dell'autorità amministrativa
mediante: i) concessione – attribuzione di facoltà disconosciuta ai privati (rivendita tabacchi,
esercizio di pubblico trasporto); ii) autorizzazione – segmento di mercato aperto ai privati ma con
accesso filtrato dalla P.A. (imprese bancarie, assicurazioni);
b) condizionamenti all'organizzazione: controlli in itinere (gestione imprese bancarie o fissazione di
prezzi di beni fondamentali).
Lo Stato può escludere totalmente l'accesso a determinati settori di attività, riservandoli a sé stesso
o ad altro soggetto operante in regime di concessione. La libertà di concorrenza non si applica a
quelle imprese che, per disposizione di legge, operano in regime di monopolio sul mercato (legge
antitrust). Altre aziende però possono, per uso proprio, produrre beni o servizi la cui prestazione al
pubblico sia riservata per legge ad un monopolio legale. Il monopolista legale ha l'obbligo di: a)
contrarre con chiunque ne faccia richiesta; b) osservare parità di trattamento fra gli utenti.
I limiti del monopolista legale non si estendono al monopolista di fatto.
L. 287/90 legge antitrust: “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato” con la quale viene
introdotta una disciplina antimonopolistica che sacrifica la libertà di iniziativa economica del
singolo (libertà di concorrenza soggettiva) se in contrasto con la libertà di iniziativa economica
degli altri operatori (libertà di concorrenza in senso oggettivo), pregiudicandone l'accesso o la
permanenza sul mercato. Deriva strettamente dalla disciplina comunitaria e vieta le stesse
fattispecie previste dal Trattato.
2.1. L'Autorità garante (pag. 335) AGCM Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
Col termine di intese si intendono quei comportamenti che hanno per oggetto o per effetto quello di
impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del
mercato nazionale o di una sua parte rilevante. Sono intese:
a) accordi – incontri della volontà di soggetti, indipendentemente dalla forma adoperata, per la
produzione di obblighi giuridicamente rilevanti.
b) pratiche concordate – qualsiasi forma di collaborazione tra imprese con la quale si sostituisce alla
competizione concorrenziale la collaborazione reciproca.
c) deliberazioni di associazioni, consorzi o organismi similari – compilazione di tariffari comuni per
una certa categoria di imprese.
E' di difficile interpretazione il richiamo alla consistenza dell'intesa, da riferire all'ambito nazionale.
Per quel che riguarda il mercato sul quale può incidere l'intesa, occorre distinguere fra: a) mercato
di prodotto; b) mercato geografico. a) Fa riferimento a tutti i prodotti/servizi che per caratteristiche,
uso e prezzo possono apparire interscambiabili. b) E' il mercato nazionale, mentre solo per prodotti
deperibili il mercato geografico è più ristretto.
Anche per le intese vale la distinzione tra orizzontali – per soggetti operanti sullo stesso livello di
processo produttivo – e verticali – per soggetti operanti a livelli diversi e complementari.
Tra le intese orizzontali troviamo:
a) accordi di fissazione del prezzo – sono sempre vietati, così come sono vietati quelli concernenti
altre condizioni contrattuali;
La seconda fattispecie vietata è l'abuso di posizione dominante, dove la posizione sul mercato pone
al riparo dai rischi di concorrenza. Per posizione dominante si intende la situazione di potenza
economica tale da consentire all'impresa di vanificare una posizione di effettiva concorrenza sul
mercato e di assumere decisioni, afferenti ai rapporti con la clientela, assolutamente indipendenti
dai comportamenti dei concorrenti e dalle aspettative dei consumatori. Viene individuata facendo
ricorso a indici quantitativi (% di mercato controllato) e qualitativi (barriere amministrative per
l'ingresso al mercato o sua struttura tale da rendere difficile una concorrenza effettiva).
Le ipotesi più frequenti sono:
a) applicazione di prezzi o condizioni contrattuali ingiustificatamente gravosi – tutte le condizioni
accessorie cui sono subordinate le prestazioni del prodotto/servizio, non funzionalmente necessarie
(particolari condizioni di pagamento, clausola di esclusiva);
b) rifiuto di contrarre con chiunque ne faccia richiesta – apertamente o in forma coperta;
c) applicazione di condizioni diverse per prestazioni equivalenti – pratica di prezzi differenziati in
base a discriminazione soggettiva;
d) accordi leganti – conclusione di un contratto subordinata a fruizione obbligatoria di altra
prestazione.
Avanti all'Autorità garante sono previsti due procedimenti: 1) per intese e per abusi di posizione
dominante; 2) per concentrazioni.
1) Indagine preliminare a seguito del pervenimento della notizia; se risulta una probabile infrazione
si apre una istruttoria in contraddittorio, con possibilità di ispezioni e perizie; se viene accertata
l'infrazione, il procedimento si chiude con una provvedimento di diffida all'eliminazione o, nei casi
più gravi, con sanzioni pecuniarie.
2) La verifica preliminare è inevitabile in quanto la concentrazione è soggetta all'obbligo della
notificazione preventiva all'Autorità; la durata massima della verifica è di 30 g. e, in caso di
sospetto di violazione, si apre l'istruttoria (durata 45 g. prorogabili di 30). Se è accertata la lesione
della concorrenza:
a) se operazione non ancora realizzata – vietata esecuzione;
b) se operazione già realizzata – prescrizione di misure per ripristinare condizioni di concorrenza
effettive (misure di deconcentrazione).
La competenza giurisdizionale in ordine ad azioni di nullità e di risarcimento danni relativi alle
suddette violazioni di legge è della C.d.A.
Le misure contro la concorrenza sleale non sono una limitazione della libertà di concorrenza ma un
suo rafforzamento e sono rivolte alla protezione sia degli interessi dei consumatori, sia di quelli
degli altri imprenditori.
Art. 2598 – indica 2 categorie di atti tipici e una clausola generale.
La norma ha come soggetti quelli che rivestono la qualifica di imprenditore e che si trovano in
rapporto di concorrenza con altri imprenditori. L'imprenditore può essere sia pubblico sia privato,
purché operi in regime di concorrenza prossima, ovvero operi sullo stesso mercato dell'operatore
concorrente. La clientela deve essere non solo attuale ma anche potenziale.
Si individua la responsabilità dell'imprenditore anche negli atti di concorrenza sleale compiuti da
altri soggetti nel suo interesse (direttamente o indirettamente); l'autore materiale dell'atto può essere
considerato corresponsabile ai sensi art. 2055 (responsabilità solidale dei soggetti imputabili dello
stesso fatto illecito).
Per analogia, la concorrenza sleale si applica anche ai soggetti non qualificabili come imprenditori
(liberi professionisti).
Tali atti, consistenti nel far credere che il prodotto/servizio provenga da una impresa concorrente, si
distinguono in: 1) tipici; 2) atipici.
3.6. Gli atti contrari ai principi della correttezza professionale (pag. 345)
In questa definizione dovrebbero essere compresi tutti i vari comportamenti scorretti che non è
possibile indicare analiticamente. Nei corretti rapporti fra imprenditori deve essere utilizzato il
principio della morale corrente, principio soggetto a continui mutamenti a seconda dell'evoluzione
dei costumi e quindi anche alla concreta interpretazione da parte del giudice.
Tra le ipotesi più frequenti della prassi giurisprudenziale troviamo:
a) storno dei dipendenti – sottrazione di forza lavoro, la più qualificata e meno facilmente
sostituibile, finalizzata alla disgregazione dell'impresa concorrente;
b) boicottaggio – sistematico rifiuto di contrarre con un determinato imprenditore, illecito se
avviene in forma collettiva;
c) ribasso irregolare dei prezzi – fatto in perdita per eliminare dal mercato concorrenti con minori
riserve finanziarie;
d) concorrenza parassitaria – sistematica imitazione di iniziative/idee dell'imprenditore concorrente,
per comprometterne l'individualità;
e) violazione di norme di diritto pubblico – per violazioni in rapporto di causalità con l'acquisizione
di un vantaggio concorrenziale;
f) sottrazione di segreti imprenditoriali – per qualsiasi dato che l'imprenditore ritenga di non
divulgare al pubblico. Può avvenire in forma diretta (spionaggio industriale) o indiretta (assunzione
di ex collaboratore);
g) pubblicità menzognera – riferita ad ogni messaggio pubblicitario non rispondente al vero, idonea
a sviare la clientela;
h) reclame iperbolica – basata su affermazioni generiche di eccellenza del prodotto/servizio tendenti
ad ingannare il consumatore più sprovveduto;
i) pubblicità suggestiva – associazione all'uso di un prodotto di vantaggi che non siano in relazione.
Capitolo II – LA PUBBLICITA'
Le associazioni di categoria negli anni '60 hanno creato una sorta di ordinamento privato - di
origine volontaria - per disciplinare il settore pubblicitario e per salvaguardare la dignità di tale
strumento a tutela degli interessi degli imprenditori e dei consumatori. Tali regole costituiscono il
codice di autodisciplina pubblicitaria, soggetto a periodici aggiornamenti. Il codice prevede
particolari organi (Giurì e Comitato di controllo) a cui rivolgersi in caso di concrete lesioni, organi
che possono invitare a desistere dalla pubblicità riprovata o, nei casi più gravi, disporre la
pubblicazione della propria decisione che ha carattere definitivo e inappellabile. Tale procedimento
è vincolante a seguito di: a) impegno delle associazioni di categoria ad adottare e rispettare il codice
e a farlo applicare dalle imprese aderenti (apposita clausola); b) obbligo per le imprese pubblicitarie
di inserire nei propri contratti con le imprese la clausola di accettazione del codice e delle decisioni
del Giurì e del Comitato di controllo.
Alla base di tali regole vi è il principio di lealtà pubblicitaria, norma residua da applicare in caso di
mancanza di disposizioni specifiche. Punti cardine sono il divieto di pubblicità ingannevole e
l'obbligo di riconoscimento della pubblicità. Per quel che riguarda la veridicità del messaggio, colui
che si avvale di tale strumento deve essere in grado di dimostrarne la veridicità, con inversione
dell'onere della prova davanti al Giurì. Il limite del codice di autodisciplina - oltre ad avere sola
valenza morale - consiste nella sua applicazione limitata alle sole imprese aderenti e ai soli utenti di
pubblicità che abbiano sottoscritto la clausola di accettazione.
1.2. La disciplina repressiva della pubblicità ingannevole: gli interessi tutelati (pag. 350)
Non è sempre esistita una disciplina repressiva della pubblicità ingannevole e delle sue
conseguenze sleali. La lacuna è stata colmata con d.lgs. 67/00, la cui disciplina poi è stata trasfusa
nel Codice del consumo (d.lgs. 206/05) negli artt. 21-23. E' nato così l'illecito unitario di pubblicità
ingannevole che comprende la lesione degli interessi dei concorrenti e dei consumatori. Il d.lgs.
145/07 ha altresì recepito da Direttiva U.E. sulla pubblicità ingannevole.
La pubblicità deve avere 3 requisiti che consistono nell'essere: 1) palese; 2) veritiera; 3) corretta.
1) la legge impone la riconoscibilità del messaggio pubblicitario per proteggere il destinatario dello
stesso che in tal modo potrà calibrare il proprio affidamento in ordine al contenuto del messaggio,
nonché per consentire il rispetto della non ingannevolezza, specie nei confronti delle categorie più
deboli.
2) e 3) veridicità e correttezza del messaggio pubblicitario si ricavano, a contrario, dalla definizione
di pubblicità ingannevole, quella che - in qualunque modo, compresa la sua presentazione - sia
idonea ad indurre in errore o possa indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è
rivolta o che raggiunge e che - a causa del carattere ingannevole - possa pregiudicare il loro
comportamento economico, ovvero che - per questo motivo - sia idonea a ledere un concorrente. La
protezione è accordata anche a quei soggetti che si trovano in posizione intermedia fra i
concorrenti ed i consumatori finali nella catena distributiva, salva l'adozione di standard diversi da
quelli utilizzabili per il consumatore finale. Bisogna anche tener conto dell'ambiguità della
presentazione del messaggio (verifica di tutte le possibili interpretazioni) al fine di verificare la
corresponsione al vero. Per il giudizio di ingannevolezza vanno presi in considerazione i seguenti
elementi: a) disponibilità, natura, esecuzione, data di fabbricazione dei prodotti, risultati di prove o
controlli cui gli stessi sono stati sottoposti; b) prezzo e condizioni contrattuali di fornitura; c)
categoria di appartenenza e qualità dell'operatore pubblicitario.
Per la valutazione dell'ingannevolezza del messaggio bisogna far riferimento alla categoria dei
consumatori meno dotati, più suscettibili di essere indotti in errore (bambini, adolescenti, vecchi).
Il messaggio è censurabile non solo per l'oggettiva ingannevolezza, che prescinde dal dolo o dalla
colpa, ma anche per il potenziale pregiudizio che può arrecare ai clienti o ai concorrenti. Nel primo
caso dipende dalla potenziale incidenza del messaggio ingannevole sulla scelta del prodotto/
servizio, indipendentemente dal fatto che tale scelta si sia conclusa con un contratto; nel secondo
caso dipende dal potenziale sviamento della clientela. L'autore del messaggio pubblicitario, se si
tratta di prodotti suscettibili di mettere in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, ha
l'obbligo di informazione sui potenziali rischi.
Il potere di intervento nei confronti dell'autore del messaggio ingannevole compete all'Autorità
garante della concorrenza e del mercato - impregiudicato il ricorso all'autorità giudiziaria - su
istanza dei concorrenti, dei consumatori o dei loro organismi associativi, del Ministero delle attività
produttive o di ogni altra pubblica amministrazione. I provvedimenti dell'Autorità garante possono
avere: 1) carattere d'urgenza (sospensione provvisoria motivata della pubblicità ingannevole);
2) carattere definitivo (divieto di diffusione del messaggio non ancora attuato o inibizione della
continuazione). Può esservi anche un provvedimento a carattere restitutorio (pubblicazione della
decisione che dichiara ingannevole il messaggio o dichiarazione rettificativa, che consenta la non
continuazione degli effetti ingannevoli). La mancata ottemperanza ai provvedimenti è punita con
una sanzione amministrativa e, nei casi in cui l’ inottemperanza sia reiterata, può anche essere
disposta la sospensione dell'attività d'impresa fino a 30 gg. Il Garante non può disporre sul
risarcimento, per il quale bisogna rivolgersi all'autorità giudiziaria (illecito aquiliano). Il
procedimento avanti all'Autorità comporta l'inversione dell'onere della prova. Contro i
provvedimenti del Garante è ammesso ricorso amministrativo.
La disciplina della pubblicità comparativa si è aggiunta a quella della pubblicità ingannevole con
d.lgs. 67/00; tali tipologie di pubblicità hanno quindi trovato collocazione nel Codice del consumo
del 2005. La pubblicità comparativa tutela gli interessi degli imprenditori concorrenti, ma anche
quelli dei consumatori, nonché l'interesse ad un assetto di mercato corretto e concorrenziale. La
pubblicità comparativa è realizzata per mettere in risalto le differenze fra determinati beni/servizi e
la norma individua la fattispecie in qualsiasi pubblicità che identifichi in modo esplicito o implicito
un concorrente o beni/servizi offerti da un concorrente.
La norma individua 8 condizioni di liceità che devono essere cumulative e soddisfatte nella loro
interezza. Per essere lecita la pubblicità comparativa: 1) non deve essere ingannevole; 2) i beni/
servizi devono essere interscambiabili per i consumatori; 3) avere ad oggetto caratteristiche
essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso anche il prezzo - la verificabilità è
soddisfatta quando i dati addotti per illustrare la caratteristica del bene/servizio sono suscettibili di
dimostrazione; 4) essendo lo scopo della pubblicità comparativa quello di evidenziare le differenze,
è lecito l'utilizzo di segni distintivi altrui, ma il messaggio pubblicitario non deve suscitare
confusione fra l'operatore pubblicitario ed un concorrente, o tra marchi, denominazioni
commerciali, segni distintivi, beni/servizi; 5) non deve causare discredito o denigrazione; 6) nel
caso si tratti di prodotti con indicazioni geografiche, la comparazione deve avvenire tra prodotti con
stessa denominazione; 7) non devono esserci vantaggi derivanti dalla notorietà dell’altro prodotto;
8) non devono essere presentati prodotti come imitazione di altri.
La tutela dalla pubblicità comparativa segue le stesse norme della pubblicità ingannevole.
Le norme a tutela delle televendite riguardano il solo consumatore. E' vietato attraverso le
televendite lo sfruttamento della superstizione, della credulità o della paura, i comportamenti
pregiudizievoli per la salute, la sicurezza o la protezione dell'ambiente, la vendita di sigarette e
tabacchi, i comportamenti che ingannino i consumatori circa il prezzo, le condizioni di vendita, di
pagamento e di fornitura dei prodotti/servizi. Particolare attenzione è rivolta alla tutela dei minori.
Le sanzioni amministrative previste per tali casi di violazione prevedono pene pecuniarie elevate e,
nei casi di reiterazione delle violazioni, la sospensione dell'attività di impresa fino a 6 mesi.
PARTE SETTIMA
Il titolo di credito è un documento destinato alla circolazione atto a provare l’esistenza di un diritto
di credito (diritto al pagamento di una somma alla riconsegna del titolo). Serve a favorite la
circolazione dei diritti di credito, una delle più grandi conquiste del diritto commerciale. Il titolo di
In capo al debitore, con l'emissione del titolo di credito, si configurano due rapporti obbligatori:
1) rapporto fondamentale o causale, derivante dal rapporto obbligatorio tra il debitore ed il primo
prenditore (giustificazione economica); 2) rapporto cartolare, differenziato dal primo per: a) la fonte
(sottoscrizione del documento); b) il contenuto (lettera del documento); c) l'individuazione del
creditore (proprietario del documento). Il rapporto cartolare è svincolato dalla giustificazione
economica e si configura nel possesso. Il collegamento fra i due rapporti è dato dal contratto di
rilascio, accordo debitore/creditore, con il quale si conviene la sottoscrizione e la consegna del
titolo. Tali rapporti coincidono solo in capo al primo prenditore in quanto la cessione del titolo
(credito cartolare) non comporta il trasferimento del credito causale in quanto l'obbligazione
cartolare si presenta come astratta, svincolata da una giustificazione economica (le eccezioni
derivanti dal rapporto causale non sono opponibili ai terzi). La coesistenza del rapporto cartolare e
di quello causale non può portare al pagamento doppio da parte del debitore in quanto l'esercizio
dell'azione causale è subordinato all'offerta in restituzione del documento. Se nel titolo di credito è
individuata la natura del rapporto fondamentale, lo stesso sarà causale, in caso contrario sarà
astratto.
Al proprietario/possessore del documento, oltre alla titolarità del credito cartolare, è riconosciuta
anche la legittimazione attiva, ovvero il diritto alla prestazione indicata verso presentazione, nelle
forme prescritte dalla legge, del titolo legittimato (titolo al portatore, all'ordine, nominativo). Alla
legittimazione attiva si contrappone quella passiva, mediante la quale il debitore è liberato se
adempie a mani del portatore, anche se questi non è titolare del diritto. La legittimazione è tutelata
come tale e non perché ad essa si accompagna la presunzione di titolarità; il possesso è condizione
necessaria e sufficiente per l'esercizio del diritto cartolare.
La legittimazione si divide in: a) legittimazione reale – diritto riconosciuto a chiunque abbia la
disponibilità del titolo di pretendere la prestazione; b) legittimazione nominale – diritto attribuito ad
un soggetto individuato nel documento, per cui bisognerà verificare la coincidenza tra l'identità del
Le eccezioni reali, indicate tassativamente dall'art. 1993, sono opponibili a tutti; consistono in:
a) eccezioni di forma; b) eccezioni fondate sul contesto letterale del titolo; c) eccezioni di falsità
della firma; d) eccezioni di difetto di capacità; e) eccezioni di difetto di rappresentanza; f)
eccezioni di mancanza delle condizioni necessarie per l'esercizio dell'azione.
a) L'eccezione di forma si riferisce alle limitazioni previste per i titoli formali, che devono avere un
contenuto determinato (formalismo cartolare) a pena dell'inefficacia del titolo.
b) L'eccezione fondata sul contesto letterale del titolo configura casi di alterazioni del documento
verificatosi nella fase di circolazione del titolo.
c) L'eccezione di falsità di firma si configura nel senso di non riferibilità psicologica della
sottoscrizione a colui che appare dal titolo (ad esempio se la stessa è apposta da un omonimo).
d) L'eccezione di difetto di capacità fa riferimento alle ipotesi di mancanza di capacità legale e non
anche di quella naturale (opponibile solo al primo prenditore).
e) L'eccezione di difetto di rappresentanza può essere sanata con l'eventuale ratifica da parte del
soggetto che appare speso nel titolo.
Il difetto di capacità e il difetto di rappresentanza rilevano solo se esistenti al momento
dell'emissione del titolo.
f) La mancanza delle condizioni necessarie per l'esercizio dell'azione riguarda tutte le ipotesi
previste dalla legge per condizionare l'esercizio del diritto cartolare all'adempimento di determinate
formalità.
Nasce con la sottoscrizione autografa o riprodotta meccanicamente (se consentito dalla legge) del
titolo di credito; non necessita il requisito della leggibilità. Si ha titolo in bianco se lo stesso è
6. La struttura del diritto cartolare. Titoli semplici e complessi. Diritto principale e diritti accessori
(pag. 652)
Si parla di: a) titoli di credito semplici – se con essi viene attribuito al portatore il diritto ad una
prestazione determinata per soddisfare un unico interesse (cambiale) e vi è la restituzione del
documento dopo l'adempimento unico; b) titoli di credito complessi – se devono essere soddisfatti
interessi diversi (azioni di società) e la restituzione del titolo avviene solo dopo la soddisfazione di
tutte le pretese.
Vi è differenza fra i titoli complessi e quelli caratterizzati da una pretesa principale e da una o più
pretese accessorie (unicità dell'interesse sottostante alle varie pretese) - es. diritto al rimborso del
capitale e diritto all'interesse periodico. Per facilitare la negoziazione delle singole pretese di un
titolo principale e dei suoi diritti accessori, sono annesse al titolo delle cedole che, se staccate dal
documento principale, costituiscono titolo di credito autonomo.
La circolazione comincia con l'emissione, ovvero con il passaggio della disponibilità dal debitore al
primo prenditore; può essere:
1) volontaria – fondata su un valido contratto di rilascio che comporta sia la proprietà del
documento (titolarità del credito cartolare), sia il possesso (legittimazione).
2) involontaria – in mancanza del contratto di rilascio, con acquisto quindi del solo possesso (sola
legittimazione). Anche la circolazione successiva potrà assumere carattere volontario o
involontario. [La circolazione precede sempre il possesso del documento = legittimazione, ma non
anche la proprietà del documento = titolarità del credito cartolare. In presenza di contratto di
rilascio vi è la titolarità del credito cartolare è circolazione volontaria; in caso contrario non vi sarà
titolarità del credito cartolare è circolazione involontaria]
La scissione nella circolazione involontaria tra proprietà del titolo (titolarità del credito) - che
rimane al vecchio portatore - e possesso qualificato (legittimazione) - che passa al nuovo portatore
- può essere sanata nel caso di acquisto del possesso del titolo in base ad un contratto valido da
parte di un terzo in buona fede (acquisto a titolo originario).
8. Le forme di legittimazione cartolare e le regole del loro trasferimento. Premessa (pag. 654)
Per i titoli al portatore è legittimato all'esercizio del diritto il semplice detentore del documento e
per il trasferimento della legittimazione basta la consegna del titolo. Per essere al portatore, sul
titolo deve apparire la dicitura “pagabile al portatore”, indipendentemente dall’eventuale
apposizione di un nominativo. La libertà di emissione era limitata dalla nullità di emissione di titoli
atipici al portatore (concorrenza alla moneta legale, anche come buono di acquisto). Per la legge
antiriciclaggio i titoli al portatore sopra un certo valore, ora modificato con D.lgs. 90/17 in €.
3.000,00, sono trasferibili solo a favore di intermediari finanziari abilitati. Parimenti dal 4/7/17 è
vietata l’emissione di libretti di risparmio al portatore (solo nominativi), mentre quelli già esistenti
devono essere estinti entro il 31/12/2018.
Sono i titoli che indicano, all'atto dell'emissione, l'intestazione di una persona (legittimazione
nominale), che può variare ad opera del portatore mediante l'apposizione sul titolo della girata, che
consiste nell'ordine dato dal portatore (girante) al debitore di effettuare la prestazione a favore di
altro soggetto (giratario). La girata deve essere totalitaria (tutta la somma) e incondizionata e, in
caso contrario, è come se non fosse stata apposta; può essere apposta anche da un rappresentante,
basta che risulti la spendita del nome altrui. La girata non comporta responsabilità cartolare. La
girata può contenere l'indicazione del giratario (girata in pieno), ma può essere anche in bianco
(semplice firma del girante). In tal caso ci sono 4 possibilità per il giratario: 1) riempire la girata
con il proprio nome; 2) riempirla con il nominativo di un terzo a cui trasferisce il titolo; 3) apporre
una successiva girata in pieno o in bianco; 4) consegnare il titolo ad un terzo - qualunque portatore
è legittimato a pretendere la prestazione. La girata che proviene dall'originario intestatario
attribuisce al giratario la legittimazione cartolare, mentre se le girate sono più di una, occorre che
ognuna si inserisca in una serie continua di girate. In sede di controllo della legittimazione cartolare
il debitore deve accertare l'esistenza della serie continua di girate solo da un punto di vista formale;
le girate cancellate sono come non apposte. Oltre alle girate in pieno e in bianco, sono previste altre
2 girate speciali: a) girata per incasso o per procura – mandato ad incassare in nome e per conto del
portatore precedente, non a titolo primario ma derivato; b) girata a titolo di pegno – attribuisce
legittimazione a riscuotere in via primaria, ma limita il potere dispositivo del giratario che può solo
incassare o girare per procura (far incassare un terzo in nome e per conto suo).
Si parla di deterioramento del titolo nel caso in cui il documento consenta ancora l'individuazione
dell'impegno cartolare; se ciò non è possibile si parla di distruzione in senso giuridico e si
applicano le discipline previste per la distruzione materiale. In caso di deterioramento del titolo al
portatore (a legittimazione reale) il possessore ha il diritto di ottenerne un altro equivalente, previa
restituzione del primo ed eventuale rimborso delle spese. Non vi sono ragioni ostative per
l’applicazione di tali procedure anche ai titoli nominativi e all'ordine.
10. Smarrimento, sottrazione e distruzione del titolo. Titoli al portatore (pag. 658) – 2006 e 2007
Nel caso in cui si verifichi uno dei suddetti eventi, la legge cerca di contemperare gli interessi del
portatore, quelli del terzo in buona fede - che sia pervenuto in possesso del titolo a seguito di un
regolare trasferimento - e quelli del debitore. In caso di distruzione di un titolo al portatore l'ex
possessore ha il diritto di ottenere, dimostrando il precedente possesso, un duplicato del titolo
individuale o un titolo equivalente del titolo di massa. Nel caso in cui il titolo “presunto distrutto”
circoli, prevale il diritto del terzo in buona fede, salvo l'effetto liberatorio. per il debitore. del
pagamento al portatore del duplicato o del titolo equivalente. Se non vi è la prova della distruzione,
si applica la disciplina dello smarrimento e sottrazione che consente all'ex portatore, decorso il
termine di prescrizione, di ottenere la prestazione.
10.1. Smarrimento, sottrazione e distruzione dei titoli all'ordine e nominativi (pag. 659)
Per ovviare ai problemi derivanti dai tradizionali meccanismi di trasferimento cartolare dei titoli di
massa, sono state previste operazioni contabili di giro, ovvero semplici variazioni nelle posizioni di
conto dei singoli interessati. Il possesso di species individuate di titoli è stato sostituito con una
La gestione accentrata dei titoli di massa determina la dematerializzazione del titolo limitata alla
fase della circolazione (dematerializzazione impropria).
Il legislatore individua 3 livelli di dematerializzazione: 1) dematerializzazione obbligatoria legale –
per gli strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione sui mercati regolamentati; 2)
dematerializzazione obbligatoria regolamentare – per strumenti finanziari diversi dai precedenti ed
individuati con d.lgs. 213/98 “strumenti finanziari dematerializzati”; 3) dematerializzazione
volontaria – per strumenti finanziari con rilevante diffusione fra il pubblico dei risparmiatori.
I titoli dematerializzati mantengono i vantaggi della disciplina cartolare: a) legittimazione
all'esercizio del diritto svincolata dalla prova della titolarità, attribuita dalle risultanze dei conti
dell'intermediario autorizzato; b) autonomia dell'acquisto del diritto – colui che ha ottenuto la
registrazione a suo favore in base ad un titolo idoneo non è soggetto a pretese da parte di precedenti
titolari; c) l'emittente del titolo dematerializzato può opporre soltanto eccezioni personali al
soggetto e eccezioni comuni agli altri titolari degli stessi diritti.
I titoli cambiari sono disciplinati dai RR.DD. 1669/33 e 1736/33, a cui si associa la disciplina
generale dei titoli di credito contenuta nel codice. Si presentano come una promessa del
sottoscrittore (pagherò cambiario e assegno circolare) o come un ordine impartito dal traente ad un
trattario, avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro al potatore del titolo (cambiale
tratta e assegno bancario). Possono assumere la funzione creditizia di differimento del pagamento
(cambiale tratta e pagherò cambiario) o quella di pagamento (assegno circolare e bancario).
1.1. La progressiva incorporazione di obbligazioni cartolari ed i c.d. gradi cambiari (pag. 665)
All'obbligazione cartolare dell'iniziale sottoscrittore (emittente o traente) può aggiungersi quella del
girante e dell'avallante (soggetti che garantiscono il pagamento del titolo), nonché, per la cambiale
tratta, del trattario accettante e dell'accettante per intervento. Gli obbligati cambiari si dividono in 2
categorie: 1) obbligati diretti; 2) obbligati di regresso.
1) Sono quelli ai quali ci si deve rivolgere direttamente per il pagamento: a) pagherò cambiario –
emittente e suoi avallanti; b) assegno circolare – banca emittente; c) cambiale tratta – trattario
accettante e suoi avallanti.
Le obbligazioni incorporate dal titolo cambiario fanno capo al principio dell'autonomia delle
obbligazioni cambiarie: l'invalidità di una singola obbligazione non tocca la validità delle altre. Da
ciò la distinzione fra: 1) requisiti materiali - tutte le condizioni per le quali sia valida l'obbligazione
assunta dal singolo firmatario del titolo cambiario; in mancanza vi è invalidità dell'obbligazione
cambiaria, eccezione relativa, opponibile solo dal sottoscrittore interessato; 2) requisiti formali -
tutte le indicazioni che devono risultare dal contenuto del documento perché questo integri un
valido titolo cambiario della sua specie; in carenza viene inficiata la validità dell'intero titolo,
eccezione assoluta, opponibile da qualsiasi sottoscrittore.
1) I requisiti materiali, uguali per tutti i titoli, sono ricavabili solo dall'interpretazione della
disciplina: a) forma determinata – dato il carattere imperativo delle prescrizioni che riguardano le
modalità di espressione per l'assunzione della varie obbligazioni cambiarie; b) rispondenza della
pretesa del portatore ai termini del contesto originario della dichiarazione sottoscritta – in caso di
alterazione del titolo, chi ha firmato prima risponde per il testo originario, chi ha firmato dopo per il
testo alterato; c) paternità della sottoscrizione – difetto di rappresentanza, falsificazione, omonimia;
d) capacità di agire al momento dell'emissione – incapacità totale o parziale del sottoscrittore; e)
potere di rappresentanza al momento dell'emissione nel caso di sottoscrizione in nome altrui –
responsabilità in proprio del falso procuratore.
2) I requisiti formali in genere attengono alla sola forma della sottoscrizione che deve essere
autografa e autonoma, separata dal testo della dichiarazione cartolare, costituita dal nome (anche
puntato), dal cognome o dalla ditta.
Il trasferimento della proprietà dei titoli cambiari è analogo a quello previsto per i titoli di credito in
generale. Stante la possibilità dell'esistenza di obbligati di grado diverso, peculiare è l'acquisto della
proprietà per riscatto, caso che si verifica se dopo il pagamento del titolo sussistono ancora soggetti
obbligati cartolarmente nei confronti di chi ha pagato (pagamento effettuato da obbligato di
regresso). La responsabilità cartolare del girante nei confronti dei portatori successivi per il
mancato buon fine, mentre è esclusa per i titoli all'ordine in generale, - è invece effetto naturale
della girata cambiaria, escludibile solo con la clausola contraria sul titolo di “girata senza
garanzia”. Il girante può anche circoscrivere soggettivamente la sua responsabilità cartolare di
regresso con l'apposizione “non all'ordine”, che limita all’immediato giratario tale tipo di
responsabilità.
Il debitore può eccepire al portatore la nullità del titolo per difetti sui requisiti formali e per
eccezioni diverse da quelle fondate su rapporti personali con i precedenti portatori. Dato che i titoli
cambiari possono presentare una pluralità di obbligazioni cartolari, bisogna distinguere fra: 1)
eccezioni assolute, opponibili a qualunque obbligato, in quanto afferenti la validità del titolo; 2)
eccezioni relative, opponibili solo ad un determinato obbligato, dato che riguardano la validità della
sola obbligazione; le seconde non inficiano le posizioni degli altri obbligati. Sotto il profilo
processuale il titolo cambiario, se bollato, costituisce titolo esecutivo; tale caratteristica è riservata
anche ai provvedimenti giudiziari ed agli atti pubblici.
E’ promuovibile dal portatore contro gli obbligati principali (emittente e avallanti per pagherò
cambiario, trattario accettante e avallanti per cambiale tratta) senza particolari formalità.
L’esercizio dell’azione cambiaria diretta si prescrive in 3 anni dalla scadenza della cambiale.
E’ altresì previsto un procedimento ordinario in base al quale il portatore della cambiale può
avvalersi del procedimento di cognizione per ottenere la sentenza di condanna. Questa peraltro è
l’unica via praticabile qualora la cambiale non fosse stata originariamente in regola con il bollo,
purché successivamente regolarizzata.
La cambiale tratta è una delegazione di pagamento in quanto il delegante, debitore del delegatario,
ordina ad un terzo delegato, di solito suo debitore, di pagare il suo creditore. Se il delegato paga, il
suo debito nei confronti del delegante sarà compensato per tale importo. L'accettazione è una
dichiarazione cambiaria per ottenere la quale occorre presentare il titolo al trattario, ma la
presentazione è facoltativa; non richiede formule particolari e, se apposta sulla facciata anteriore del
titolo, può consistere nella semplice apposizione della firma del trattario. L’accettazione deve essere
incondizionata, ma può riguardare solo una parte della somma.
2.3. La circolazione delle garanzie che assistono il credito cambiario (pag. 677)
All'emissione della cambiale può accompagnarsi la concessione di una garanzia reale (pegno,
ipoteca) o personale (fideiussione), che si trasferisce come accessorio del credito cambiario a titolo
derivato. Nel caso dell'ipoteca, onde evitare che per la regola della nominatività si debbano
iscrivere sui registri immobiliari i nominativi di tutti i prenditori, è stata introdotta la cambiale
ipotecaria che, iscritta una prima volta, si trasferisce automaticamente ad ogni successivo giratario.
2.4. Il pagamento della cambiale ed il regresso per mancato pagamento (pag. 677)
Le cambiali a vista devono essere presentate per il pagamento al debitore principale entro 1 anno
dalla data di emissione; quelle a certo tempo vista, a data certa o a certo tempo data il giorno della
scadenza o nei 2 gg. feriali successivi. L'inosservanza della prima ipotesi comporta la perdita di
qualsiasi azione cambiaria, mentre quella della seconda provoca solo la perdita delle azioni di
regresso, restando il debitore principale obbligato fino al termine della prescrizione.
Il creditore cambiario può rifiutare il pagamento parziale; il portatore non è tenuto ad accettare un
pagamento prima della scadenza. L'azione di regresso per mancato pagamento può essere esercitata
anche in via anticipata in caso di: a) sottoposizione del trattario accettante/emittente a procedura
concorsuale; b) cessazione dei pagamenti o esecuzione infruttuosa di altri crediti; c) fallimento del
traente per cambiale tratta non accettata.
Se la cambiale non viene accettata, il portatore può esercitare azione di regresso prima della
scadenza nei confronti del traente (come per il caso di dissesto del trattario prima
dell’accettazione). Per evitare tale inconveniente la legge prevede la figura dell’accettante per
intervento, in base alla quale l’accettazione può avvenire con l’intervento di una persona diversa
dal trattario, sia che tale intervento sia fatto per indicazione del traente (indicazione di “indicato al
bisogno”), sia che l’intervento sia spontaneo (intervento per onore). L’accettazione per intervento
è ammessa solo in caso di mancata accettazione o di fallimento del trattario prima dell’accettazione
e determina il fatto che il regresso nei confronti del traente non può essere esercitato prima della
presentazione della cambiale all’interventore e fino a quando il suo eventuale rifiuto sia stato fatto
constatare tramite protesto.
Il pagamento per intervento può avvenire sia alla scadenza, sia prima, a condizione che vi sia un
obbligato di regresso a cui favore l'intervento è spiegato; non può essere rifiutato dal portatore. Il
pagamento deve essere integrale e tempestivo. A seguito del pagamento, l'interveniente acquista in
via autonoma i diritti cambiari del portatore.
L'assegno bancario è come una tratta a vista, anche se il primo ha funzione di pagamento e la
seconda funzione di credito. L'assegno, come mezzo di pagamento, prevede: a) esigibilità a vista;
b) divieto di assunzione di ogni responsabilità cartolare da parte del trattario; c) necessità che il
trattario rivesta una particolare qualifica (banca); d) necessità di accordo preventivo traente/
trattario; e) revocabilità dell’ordine contenuto nel titolo solo dopo la scadenza del termine di
presentazione (8/15/20/60 gg. rispettivamente per assegni su piazza-fuori piazza-altra nazione
europea-altro continente).
Il portatore di un assegno bancario non può vantare diritti nei confronti del trattario ma, l'eventuale
"visto" della banca che certifica l'esistenza dei fondi disponibili, obbliga quest’ultima a tenere
fermo il relativo importo fino alla scadenza del termine di presentazione.
La mancanza dei requisiti di regolarità, ora sanzionata in via amministrativa (L. 386/90), non tocca
l'efficacia cambiaria del titolo; essi sono: a) art. 1 - diritto di disporne mediante assegno bancario -
la convenzione di assegno, collegata alla regolamentazione in c/c, è paragonabile allo schema del
mandato; b) art. 2 - esistenza di fondi disponibili presso la banca - vi è disponibilità di fondi se il
traente è titolare di un credito disponibile nei confronti del trattario che ha l'obbligo di
corrispondere la somma di denaro o di tenerla a disposizione del cliente.
In deroga a tale disciplina generale:
- il pagamento deve essere fatto, non all'effettivo beneficiario, ma a chi appaia come tale;
- ogni alterazione dell'assegno fatta durante la sua circolazione, se non facilmente rilevabile, è a
carico del cliente;
- l'addebito dell'importo può prescindere dall'effettiva emanazione di un ordine conforme (falsità
della firma di traenza).
Essi sono: 1) denominazione di assegno bancario; 2) ordine incondizionato di pagare una somma
determinata; 3) nome di colui che è designato a pagare (trattario), necessariamente un banchiere,
autorizzato e controllato da BKI; 4) indicazione del luogo di pagamento (in caso di omissione deve
intendersi come luogo di emissione); 5) indicazione del luogo e della data di emissione (la data di
emissione deve essere esistente e corrispondere a quella del rilascio). E' nullo il patto extra cartolare
di non presentare l'assegno prima di una certa data. 6) sottoscrizione del traente (è prevista la
possibilità, previo accordo con la banca, che l'assegno sia tratto da un terzo su conto altrui).
Il titolo assente di uno o più requisiti formali, sin dalla sua emissione, è nullo; è esclusa la
possibilità di emissione di assegno in bianco.
[A partire dal 2007, i libretti di assegni in Italia sono emessi con la CLAUSOLA "non trasferibile",
salvo diversa indicazione da parte del cliente e previo assolvimento dell'imposta di bollo.
Non trasferibile: La clausola non trasferibile impedisce la girata dell'assegno e, di fatto, rende
l'assegno un titolo nominativo, consentendone l'incasso al solo beneficiario. Si può apporre la
clausola "non trasferibile" anche dopo una o più girate (penultimo comma art. 43 della Legge
sull'assegno), onde evitare ulteriormente la circolazione dell'assegno.
Il d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, modificato con d.lgs. 20 gennaio 2010, n. 11, ha stabilito che, al
fine di prevenire il riciclaggio di denaro, gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o
superiori a 1.000 euro debbano recare obbligatoriamente tale clausola, unitamente all'indicazione
del beneficiario.
In precedenza, il correntista otteneva dalla banca un libretto di assegni che, salvo diversa
indicazione, potevano essere girati a creditori terzi. Su ogni assegno vi era un apposito spazio
bianco, in modo da permettere di specificare la clausola della non trasferibilità, ossia che tale titolo
di credito poteva essere presentato all'incasso solamente dal beneficiario.
Attualmente al correntista viene consegnato un libretto di assegni personali non trasferibili; i vecchi
libretti devono essere richiesti esplicitamente e comportano una imposta di bollo di 1,5 euro per
ciascun modulo di assegno, versata alla Banca e da questa allo Stato. L'introduzione di tale
normativa costituisce un deterrente al riciclaggio di denaro sporco, poiché i continui passaggi da un
conto corrente all'altro mediante girata rendevano difficile la tracciabilità del denaro di provenienza
mafiosa o illegale.]
I termini di presentazione per il pagamento decorrono dalla data di emissione, anche se vi sono dei
termini previsti in base al luogo di pagamento/luogo di emissione per l'inefficacia della revoca del
traente, che però non riguardano l'esigibilità dell'assegno. La banca è tenuta a controllare la
legittimazione del portatore, l'autenticità della firma e l'esistenza dei fondi.
L'azione di regresso è esperibile solo per mancato pagamento ed è subordinata al protesto che
attesta la tempestiva presentazione ed il mancato pagamento; l’azione di regresso si prescrive
decorsi 6 mesi dalla scadenza del termine di presentazione.
Si presenta come un pagherò cambiario a vista emesso da una banca a seguito di un credito di pari
importo verso la stessa; è pagabile presso ogni sede o agenzia della banca emittente. Può essere
emesso a favore del richiedente o di un terzo.
Requisiti formali sono: 1) denominazione di assegno circolare; 2) promessa incondizionata di
pagare a vista una somma determinata; 3) indicazione del prenditore; 4) indicazione espressa del
luogo e della data di emissione; 5) sottoscrizione dell'istituto emittente (stampigliatura e sigla
autografa del funzionario addetto).
1. L’identificazione della fattispecie società e i punti di vista dai quali ciò può avvenire (pag. 66)
La società è la forma principale di esercizio comune dell’attività di impresa da parte di più soggetti.
Parlando di società bisogna fare riferimento a 2 concetti: 1) contratto attraverso il quale la società
viene costituita; 2) ente (soggetto giuridico) che da tale fonte trae vita.
La società viene definita come una forma di esercizio collettivo, di norma in forma di impresa, di
un’attività economica posta in movimento di regola attraverso un contratto con il quale due o più
soggetti conferiscono beni o servizi per il perseguimento di uno scopo lucrativo, mutualistico o
consortile. La nozione di società è unitaria, ma non altrettanto i tipi di società cui i vari contratti
possono dar luogo. L’art. 2249 sancisce il principio di tipicità delle società (no società atipiche).
3.1. L’acquisto della qualità di imprenditore da parte della società (pag. 67)
Le definizioni di imprenditore (2082) e di contratto di società (2247) portano ad alcune differenze:
l’art. 2247 non riprende il concetto di impresa né allude all’attività di impresa; manca inoltre il
concetto di professionalità; nell’art. 2082 non ci sono riferimenti né a scopi specifici né allo scopo
di lucro.
Sul momento dell’acquisizione della qualifica di impresa esistono 2 concetti contrapposti:
1) equazione impresa-società, dato che l’elemento della professionalità, necessario per l’acquisto
della qualità di imprenditore, è insito nella costituzione della società per l’esercizio di un’attività
economica; la società pertanto assume la qualità di imprenditore anche se non ha iniziato l’attività
di impresa o se manca l’abitualità nell’esercizio dell’attività stessa. Se la soc. esercita attività
commerciale è soggetta allo statuto dell’imprenditore commerciale (iscrizione nel registro, tenuta
della contabilità, soggezione alle procedure concorsuali).
2) altri contestano la parificazione fra attività economica e attività imprenditoriale e negano che il
requisito della professionalità sia compreso nella definizione di società. Pertanto viene parificato
l’imprenditore individuale all’imprenditore società, sottoponendo la società - fino a che non inizi
l’attività - alle sole norme societarie e non anche allo statuto dell’imprenditore. Pertanto il criterio
principale per l’identificazione della fattispecie impresa-società non differisce da quello che
individua l’impresa individuale, essendo fondamentale l’esercizio effettivo di un’attività che
corrisponda all’art. 2082.
Ma ciò non comporta l’assoluta parificazione fra i due tipi di impresa, necessitando per l’impresa
societaria anche altri elementi di identificazione.
5. I profili funzionali delle società. Scopo istituzionale e causa del contratto sociale: società
lucrative, società mutualistiche, società consortili (pag. 70)
Dopo l’impresa e il tipo, la soc. è identificata dal punto di vista funzionale (scopo istituzionale
assunto come causa del contratto). Le soc. si identificano in lucrative, mutualistiche e consortili ed
ognuno degli scopi prende le sembianze di causa del contratto sociale:
1) se la soc. persegue uno scopo lucrativo si propone un utile (lucro oggettivo) e la sua distribuzione
ai soci (lucro soggettivo), senza possibilità di esclusione di qualche socio (patto leonino, 2265).
Sono soc. lucrative: a) soc. semplici; b) soc. in nome collettivo; c) soc. in accomandita semplice; d)
soc. per azioni; e) soc. in accomandita per azioni; f) soc. a responsabilità limitata (T. V – C. II/VII).
2) se la soc. persegue uno scopo mutualistico, si propone di offrire ai soci - senza intermediari e a
condizioni migliori di quelle sul mercato - beni, servizi, occasioni di lavoro (vantaggio
mutualistico). Sono soc. mutualistiche: a) soc. cooperative; b) soc. di mutua assicurazione (T. VI –
C. I/II).
3) se la soc. persegue uno scopo consortile, si propone di creare un’organizzazione comune per la
disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle imprese dei soci (2602). Possono rientrare
in questo scopo le soc. previste nel titolo V - capi III/VII.
6.1. Il contratto di società. Caratteri comuni a tutti i tipi di società e caratteri distintivi (pag. 71)
La soc. si costituisce per l’esercizio di attività economica in comune fra più persone, secondo uno
dei tipi identificati per il raggiungimento di uno scopo lucrativo, mutualistico o consortile. Dall’art.
2247 si ricavano elementi comuni a tutti i tipi di soc.; A) soggetti (2 o + persone); B) costituzione di
un fondo sociale (conferimento beni o servizi); C) oggetto sociale (specificazione dell’esercizio in
comune dell’attività economica); D) causa (come specificazione dello scopo istituzionale).
Accanto a questi elementi ne esistono degli altri, a volte combinai fra loro, che servono ad
identificare i vari tipi di soc.. Ad eccezione della soc. semplice, il contratto assume il nome di atto
costitutivo.
6.3.1. Il regime dei beni sociali. Comunione di godimento e società (pag. 74)
I conferimenti dei soci, comportando trasferimenti dal patrimonio dei soci a quello della società,
danno origine ad una comunione di beni finalizzata all’esercizio in comune dell’attività economica,
primo carattere della società. L’art. 2248 stabilisce che la comunione costituita o mantenuta al solo
scopo del godimento di una o più cose è regolata dalle norme del Libro III Titolo VII (norme sulla
comunione dei beni e non sull’attività economica). C’è comunione quando i soggetti costituiscono
e mantengono un rapporto solo per godere dei beni stessi e dei frutti che essi producono; tutti i
comunisti, rispettando gli altrui diritti e in modo autonomo dagli altri, possono esercitare i diritti
spettanti al proprietario. Per le società, invece, i beni sociali vengono impiegati, su specifico
vincolo di destinazione, dai soci solo per l’esercizio in comune dell’attività di impresa, con
esclusione di altre destinazioni. In tema di società la base legislativa comporta importanti
conseguenze: 1) il socio non può servirsi dei beni del patrimonio sociale senza il consenso degli
altri soci (2256); 2) vengono fissate le cause di scioglimento della soc., impedendo, a differenza
dalla comunione, la possibilità per il socio di richiederlo a suo piacimento (2272, 2484 ss., 2539); 3)
le norme che disciplinano le modalità di liquidazione delle quote del socio stabiliscono che allo
stesso non spetta la restituzione del bene conferito e dettano regole particolari per ogni tipo di
6.3.2. Fondo sociale, capitale sociale e patrimonio sociale. L’autonomia patrimoniale delle società
(pag. 75)
I conferimenti confluiscono nel fondo sociale che prende la denominazione di capitale sociale (no
per la soc. semplice). Il capitale sociale è il valore in denaro dei conferimenti come risultante dalla
valutazione espressa nel contratto sociale. I conferimenti diversi dal denaro devono essere valutati
all’atto del conferimento e convertiti in espressione numerica. La disciplina dei vari tipi di società
rimanda a istituti differenziati: 1) per le soc. di persone la valutazione di tali conferimenti rinvia, per
i beni in natura, alla disciplina della vendita - per i beni in godimento, alle norme sulla locazione -
per i crediti, fatto salvo il buon fine (norme del diritto dei contratti e delle obbligazioni); 2) per le
soc. per azioni e per le soc. cooperative vale l’art. 2343 – conferimenti - (relazione giurata di un
esperto nominato dal Trib).
Il patrimonio sociale, che rappresenta il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi della soc.,
va distinto dal capitale sociale che fa parte, insieme agli altri beni, del patrimonio sociale. Il
confronto fra patrimonio e capitale sociale indica l’evoluzione in + o in – della soc.
L’autonomia patrimoniale delle soc. fa riferimento alla condizione dei rapporti giuridici
intercorrenti fra un soggetto di diritto diverso da una persona fisica (soc.) rispetto a quelli degli altri
soggetti che compongono il primo. Si parla di autonomia patrimoniale perfetta se esiste reciproca
insensibilità fra patrimonio dell’ente e patrimoni dei singoli associati (le vicende dell’uno non
incidono sulle vicende degli altri). Tale autonomia si ha nelle sole persone giuridiche (soc. di
capitali e soc. cooperative). Vi è invece autonomia patrimoniale imperfetta nelle soc. di persone in
quanto per i debiti sociali possono essere chiamati a rispondere anche gli stessi soci.
6.5. D) Il conseguimento dello scopo istituzionale. La causa del contratto sociale (pag. 77)
Il quarto elemento rilevante è quello causale. Gli scopi possono essere quelli lucrativi, mutualistici
o consortili che quindi caratterizzano il contratto di società del quale costituiscono la causa.
7.1. Società di fatto, società irregolare, società occulta, società apparente (pag. 79)
Sebbene la definizione di soc. di fatto spesso venga usata come sinonimo di soc. irregolare o di soc.
apparente, la distinzione fra di loro è abbastanza netta.
Può parlarsi di soc. di fatto, di soc. apparente e di soc. occulta per qualsiasi tipo di soc. personale,
mentre il concetto di irregolarità può essere riferito alle sole soc. personali soggette ad iscrizione
nel registro delle imprese.
A) è irregolare la soc. commerciale personale (snc e sas) che non abbia provveduto all’iscrizione.
B) è occulta la soc. nel cui contratto vi è l’espressa e concordata volontà dei soci che i rapporti con
i terzi vengano posti in essere per conto, ma non in nome, della soc., bensì nel nome di chi appare
all’esterno. L’impresa è sociale in quanto l’esercizio compete ai soci e i conferimenti rappresentano
il patrimonio sociale, ma all’esterno le operazioni vengono compiute da una persona come
imprenditore individuale, restando occulti i soci.
C) è apparente la soc. in cui più persone operano nel mondo esterno in modo da ingenerare nei terzi
la convinzione dell’esistenza di un vincolo sociale ancorché inesistente.
Pertanto soc. di fatto non è sinonimo di soc. irregolare, dato che la situazione di fatto può riguardare
tutti i tipi di soc. personali, mentre quella di irregolarità solo le soc. commerciali personali soggette
ad iscrizione nel registro delle imprese.
Palese è la distinzione fra soc. di fatto e soc. occulta.
La dottrina nega che l’apparenza possa assurgere al rango di elemento costitutivo del vincolo
sociale, necessitando sempre la prova dell’esistenza dei rapporti interni.
9. La prova della società. Problemi – conferimenti di beni immobili, società apparente – e mezzi
(pag. 81)
Può essere data prova della soc. di fatto, apparente o occulta con qualsiasi mezzo (giuramento
decisorio, testimoni, presunzioni o altri fatti concludenti). Per le soc. di fatto in cui sia conferito un
bene immobile, la soluzione cambia a seconda che si intenda che la forma scritta debba riguardare
l’intero contratto o invece il solo conferimento. Nel primo caso i limiti di ammissibilità di prove
diverse da quella scritta riguarderanno l’intero contratto, nel secondo il solo atto di conferimento.
10. Contratto di società e disciplina dei contratti. L’invalidità e la simulazione (pag. 82)
E’ importante individuare l’invalidità del contratto di società, in particolare per stabilire la sorte
degli atti compiuti medio tempore dalla soc., o meglio degli effetti prodotti da tali atti, in quanto la
declaratoria di nullità di un contratto di società travolgerebbe tutti i contratti e gli atti che la soc. ha
posto in essere fin dalla sua costituzione. Bisogna parlare di retroattività o di irretroattività? Per le
spa la dichiarazione di nullità non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della soc. dopo
l’iscrizione nel registro delle imprese. Non vi sono norme precise per le soc. di persone.
Per quel che riguarda la simulazione del contratto di soc., sembra che l’esperibilità della relativa
azione riguardi essenzialmente le soc. di persone in quanto l’art. 2332 non menziona la simulazione
tra i casi di nullità dell’atto costitutivo. Ammessa la simulazione, 3 sono i problemi da chiarire:
1) differenza fra soc. simulata (presupponendo un accordo simulatorio fra le parti) e soc. apparente
(prescindendo da ogni rilevanza della volontà delle parti);
2) difficoltà di individuare la simulazione assoluta (se figura all’esterno come sociale un’impresa
individuale e i soci apparenti non intendono in realtà stipulare alcun contratto di soc.) dalla
simulazione relativa (se l’apparente rapporto sociale sottintende un rapporto diverso – associazione
in partecipazione, lavoro subordinato – che le parti hanno interesse a far valere come sociale);
3) disciplina applicabile agli effetti della simulazione rispetto ai terzi.
12. La società e i rapporti con i terzi. Responsabilità verso i creditori sociali e responsabilità verso
i creditori particolari dei soci (pag. 84)
Per le obbligazioni sociali assunte nei confronti dei terzi (2740) ogni soggetto dell’attività giuridica
risponde con il proprio patrimonio. Ma la soc. è un’associazione di persone e una comunione di
beni, perciò bisogna tener conto del grado di autonomia patrimoniale dalla stessa goduto.
1) in tutti i tipi di soc. per le obbligazioni sociali risponde, in prima battuta, il patrimonio della soc.
2) nelle soc. cui è conferita personalità giuridica (soc. di capitali e soc. cooperative) il patrimonio
sociale è l’unica fonte di garanzia per le pretese dei creditori sociali; il limite di rischio del singolo
socio è costituito dal valore della partecipazione, mentre i creditori particolari del socio non
potranno chiedere la liquidazione della quota e potranno rivalersi solo sui frutti della partecipazione
sociale.
3) nelle soc. senza personalità giuridica (soc. di persone) alla garanzia del patrimonio sociale si
aggiunge quella del patrimonio dei singoli soci; la responsabilità dei soci ha carattere sussidiario e i
creditori sociali, nel caso di insufficienza del patrimonio sociale, potranno rivalersi sul patrimonio
dei singoli soci.
4) per le soc. cooperative la riforma del 2003 ha modificato la precedente responsabilità limitata,
illimitata e limitata ad un multiplo della quota, nella sola responsabilità limitata.
13.1. Le società con personalità giuridica e le società senza personalità giuridica. La capacità
delle società (pag. 85)
Le soc. sono soggette all’onere di registrazione indipendentemente dal fatto che l’attività sia o
meno esercitata ad impresa e dal fatto che l’attività sia o no di natura commerciale. Va introdotto il
discorso sulla soggettività delle soc. che si ricollega al discorso sull’autonomia patrimoniale.
Vi è distinzione fra: 1) soc. con personalità giuridica (soc. di capitali e soc. cooperative - 2331); 2)
soc. senza personalità giuridica (soc. di persone).
15.1. Impresa societaria e piccola impresa. Il problema delle società artigiane (pag. 87)
Nonostante le modifiche normative del 2004 e 2005, che hanno istituito l’imprenditore agricolo, il
problema delle attività agricole per connessione è rimasto invariato.
La soc. artigiana è quella che è costituita ed esercitata in forma di società, anche cooperativa, dalle
snc e sas, a condizione che la maggioranza dei soci (1 nel caso di 2 soci) svolga in prevalenza
lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che nell’impresa il lavoro abbia
funzione prevalente sul capitale. Successivamente vi è stata la possibilità di qualificare come
artigiana la srl con socio unico e la sas, a condizione che l’unico socio o che i soci accomandatari
abbiano il requisito di essere artigiani. La s.s. non potrà essere artigiana in quanto l’attività artigiana
è per definizione attività commerciale.
15.2. Impresa societaria e attività agricola. Il problema delle società esercenti attività agricole
“connesse” (pag. 88)
La soc. formata da imprenditori agricoli che abbia ad oggetto sociale la trasformazione e la
commercializzazione dei prodotti provenienti dai fondi appartenenti ai soci può considerarsi
impresa agricola per connessione o deve invece essere considerata impresa esercente attività
commerciale? I criteri validi per l’impresa individuale sono validi anche per l’impresa agricola
collettiva, ovvero per quell’impresa che raggruppi più imprenditori agricoli principali che si
servono di essa per la trasformazione e l’alienazione dei propri prodotti? Con il vecchio testo
dell’art. 2135 per considerare agricola la soc. affidataria della trasformazione e
commercializzazione dei prodotti dei fondi dei soci bisognava che della soc. facessero parte solo
imprenditori i cui prodotti dovevano essere trasformati (rapporto diretto fra soci ed ente collettivo).
A seguito del D.Lgs. 228/01 è scomparso il criterio della normalità e sono considerate attività
Sezione II
LA SOCIETA’ SEMPLICE
5.4. Fonte del rapporto di amministrazione. Poteri, diritti ed obblighi degli amministratori
(pag. 99)
Pur essendo identica la funzione amministrativa, il potere di amministrazione non è disciplinato allo
stesso modo in tutti i tipi di soc. La funzione amministrativa va divisa da quella rappresentativa:
l’amministrazione ha ad oggetto la direzione degli affari sociali nell’ambito della competenza
risultante dalla legge o dal contratto; la rappresentanza attiene alla legittimazione sostanziale e
processuale a spendere il nome della soc. nei confronti dei terzi, con il conseguente radicamento dei
rapporti giuridici in capo alla soc.
Le fonti del rapporto di amministrazione possono essere la legge (2257) o il contratto di società
(deroga alla legge) – in tal caso la nomina deve avvenire con il consenso di tutti i soci.
I diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato (2260).
Diritti. L’unica questione aperta è quella relativa al diritto al compenso: la giurisprudenza e una
parte della dottrina ammettono la presunzione di onerosità del mandato; altra parte della dottrina
nega il diritto al compenso in assenza di espressa pattuizione, mentre una restante parte lo nega in
quanto il socio è l’amministratore naturale della soc.
Obblighi. Gli amministratori sono solidalmente responsabili per l’adempimento degli obblighi
imposti dalla legge e dal contratto sociale. Altri obblighi sono: 1) fornire ai soci non amministratori
il rendiconto annuale e le informazioni sugli affari sociali; 2) ottemperare agli obblighi di iscrizione
della soc. nell’Albo speciale del registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili.
Poteri. Occorrono tre premesse: 1) problema dei poteri collegato all’art. 2266; 2) richiamo artt.
2257 e 2258 per il concreto modo di esercizio dei poteri amministrativi; 3) distinzione fra atti di
ordinaria e straordinaria amministrazione che, nel caso di soc. di persone, perde molta della sua
importanza in quanto dai poteri dell’amministratore sono escluse solo le modificazioni del contratto
sociale.
7.1. I modi di acquisto: trasferimento inter vivos e trasferimento mortis causa della partecipazione
sociale (pag. 104)
L’acquisto può avvenire:
a) originariamente: a1) per sottoscrizione del contratto sociale; a2) per effetto dell’esercizio
effettivo dell’attività in comune con altri soggetti (soc. di fatto);
b) successivamente a tale momento: b1) per acquisto inter vivos di una quota di partecipazione (la
quota di soc. di persone è considerata trasferibile con il consenso degli altri soci); b2) per effetto
della successione mortis causa (clausola di continuazione della soc. con gli eredi – accoglimento da
parte degli eredi della proposta dei soci di subentro in soc.).
7.2. Vicende della quota: usufrutto, pegno, misure cautelari, contitolarità (pag. 104)
Dopo l’ammissione del trasferimento della quota sociale è stata ammessa anche la costituzione,
subordinata al consenso di tutti i soci, di diritti reali (usufrutto e pegno) sulle quote sociali. Ma su
chi gravano gli obblighi e a chi spetta l’esercizio dei diritti connessi alla partecipazione?
Per gli obblighi di conferimento sono state adottate soluzioni differenti per: a) pegno - gravano sul
socio; b) usufrutto - gravano sull’usufruttario.
Per i diritti, ferma restando la qualità di socio in capo al socio e del suo diritto di recesso da tale
qualità, bisogna distinguere fra: a) diritti il cui esercizio spetta all’usufruttario e al creditore
pignoratizio (diritto agli utili, di voto, di amministrazione – ove ammissibili amministratori esterni);
b) diritti che possono essere esercitati sia dal socio sia dall’usufruttuario (diritto alla quota di
liquidazione, diritti ex art. 2261 per informazioni spettanti ai soci non amministratori).
Per le misure cautelari si fa ricorso all’art. 2270 – il creditore particolare del socio, finché dura la
soc., può: 1) rivalersi sugli utili a questi spettanti, 2) compiere atti conservativi sulla quota spettante
a quest’ultimo nella liquidazione, 3) chiedere la liquidazione della quota del socio debitore.
Rientrano negli atti conservativi l’espropriazione e il pignoramento c/o terzi.
L’esercizio dei diritti da parte dei comproprietari di una quota non è espressamente regolamentato
per le soc. di persone.
9.2. Il problema della responsabilità e l’autonomia patrimoniale delle società (pag. 108)
Di autonomia patrimoniale perfetta – insensibilità reciproca tra patrimonio societario e quelli dei
singoli soci – può parlarsi solo riferendosi alle soc. di capitali e alle soc. cooperative, mentre per le
soc. di persone il grado di autonomia varia a seconda dei tipi di soc. Per la soc. semplice esiste la
responsabilità sussidiaria dei soci per le obbligazioni sociali ed il patrimonio sociale è esposto
anche agli attacchi dei creditori particolari dei soci.
La materia della responsabilità è regolata da un sistema di cinque norme: tre (2267 - 2268 - 2269)
riguardano la responsabilità per le obbligazioni sociali; uno (2270) la responsabilità dei soci verso i
loro creditori particolari; uno (2271) regola una fattispecie mista.
9.2.2. La responsabilità dei soci nei confronti dei propri creditori particolari (pag. 110)
L’art. 2270 concede al creditore particolare 3 possibilità: 1) far valere i propri diritti sugli utili
spettanti al debitore (compimento atti conservativi ed esecutivi); 2) compiere atti conservativi sulla
quota spettante al socio nella liquidazione (ammesso sequestro conservativo, discussione su
espropriazione e pignoramento); 3) ottenere la liquidazione della quota del socio debitore se gli altri
suoi beni sono insufficienti a soddisfare i crediti.
Il creditore particolare che chieda la liquidazione della quota deve provare che gli altri beni del
debitore siano insufficienti alla soddisfazione dei suoi crediti. Il creditore personale non potrà
ottenere beni sociali, ma solo una somma di denaro.
L’art. 2271 non ammette la compensazione fra debito del 3° v/s soc. e credito del 3° v/s socio.
10.3. L’esclusione del socio. L’esclusione facoltativa e l’esclusione di diritto (pag. 112)
Per l’importanza dell’istituto il c.c. vi dedica 3 artt.: 2286 (esclusione) – 2287 (procedimento di
esclusione) – 2288 (esclusione di diritto).
La fonte delle gravi inadempienze che determinano i casi di esclusione è costituita dalla legge e dal
contratto sociale (dubbia l’esclusione convenzionale).
L’esclusione può essere: 1) facoltativa; 2) di diritto.
1) per deliberazione a maggioranza dei soci o a seguito di delibera del tribunale nel caso di soc. di
due soci. E’ prevista per: i) gravi inadempienze delle obbligazioni derivanti dalla legge o dal
contratto sociale; ii) motivi riguardanti la persona del socio (interdizione, inabilitazione,
interdizione dai pubblici uffici); iii) impossibilità della prestazione (inidoneità del socio d’opera a
svolgere la prestazione);
2) a seguito del verificarsi del fatto che la legge indica come generatore, della clausola di
esclusione, indipendentemente da ogni valutazione discrezionale (socio dichiarato fallito e socio nei
cui confronti il creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota).
Sezione III
LA SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVO
2. Metodologia della esposizione e differenze principali tra società semplice e società in nome
collettivo (pag. 117)
Non sono presenti caratteri di novità rispetto alla soc. semplice, ma solo alcune differenze:
1) presenza di una norma che indica il contenuto dell’atto costitutivo;
2) inesistenza di limiti relativi alla scelta dell’oggetto sociale che può riguardare indifferentemente
attività commerciali, agricole e professionali;
3) inefficacia esterna di eventuali patti limitativi della responsabilità dei soci;
4) un più accentuato livello di autonomia patrimoniale;
5) esistenza di un regime di pubblicità degli atti sociali articolato;
6) esistenza di una serie di norme in tema di capitale sociale che mancano nella soc. semplice
(richiamato negli art. 2303, co 2, e 2306).
Sezione IV
LA SOCIETA’ IN ACCOMANITA SEMPLICE
Sezione I
I CARATTERI
Sezione II
3. Deposito e iscrizione dell’atto costitutivo presso il registro delle imprese (pag. 143)
Il notaio o i designati all’ufficio di amministratori depositano entro 20 gg. l’atto costitutivo presso il
registro delle imprese (in difetto può provvedervi ogni socio a spese della soc.). Contestualmente
deve essere chiesta l’iscrizione, previa verifica della regolarità formale della documentazione.
All’iscrizione consegue l’acquisizione della personalità giuridica (autonomia patrimoniale perfetta).
Sezione III
Sezione IV
Sezione V
AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO
12. Il sistema dualistico (pag. 194) – Capo V – Sez. VI bis - § 5 (da 2408 octies)
13. Il sistema monistico (pag. 198) – Capo V – Sez. VI bis - § 6 (da 2409 sexiesdecies)
Di origine anglosassone, impostato su un organo unitario formato da un consiglio di
amministrazione (gestione dell’impresa) e da un comitato costituito al suo interno (organo di
controllo). Il controllo contabile è affidato ai revisori. I componenti del consiglio di
amministrazione (almeno 1/3) devono possedere i requisiti di indipendenza prescritti per i sindaci.
Almeno 1 dei membri del comitato interno deve avere la qualifica di revisore contabile.
Competenze del comitato di controllo sulla gestione: a) eleggere al suo interno il presidente; b)
vigilare sull’adeguatezza organizzativa della soc.; c) svolgere i compiti affidati dal consiglio di
amministrazione (in particolare con riguardo ai rapporti con il revisore contabile).
Sezione VI
LE OBBLIGAZIONI
Sezione VII
10. La distribuzione degli utili. Gli utili distribuibili: Le riserve (pag. 217)
Con la deliberazione di approvazione del bilancio viene anche decisa la distribuzione degli utili
distribuibili in quanto non tutto l’incremento patrimoniale conseguito può essere distribuito;
bisogna rispettare i vincoli di destinazione dell’utile maturato (no prima della reintegrazione delle
perdite o della riduzione del capitale); 1/20 dell’utile netto compete alla riserva legale (fino al
raggiungimento di 1/5 del capitale sociale).
Sezione VIII
9. La riduzione del capitale per perdite (art. 2446 c.c.) (pag. 228)
Se le perdite intaccano il capitale sociale, questo deve essere ridotto. Va controllata l’evoluzione
delle perdite e dei provvedimenti di riduzione del capitale. Il limite di rilevanza per la riduzione del
capitale sociale è quello di 1/3, ovvero se sono integralmente erose le riserve. In tal caso deve
essere convocata l’assemblea straordinaria e deve essere redatta una relazione sulla situazione
patrimoniale che deve essere depositata nella sede della soc. Se entro l’esercizio successivo la
perdita non è diminuita a meno di 1/3, l’assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza in sede di
approvazione del bilancio devono ridurre il capitale in modo proporzionale alle perdite. Se non
viene fatto, la riduzione deve essere chiesta al tribunale che provvede con decreto iscritto nel
registro delle imprese. Il decreto può essere impugnato avanti la CdA entro 30 gg dall’iscrizione.
Sezione IX
Sezione X
Sezione XI
3.1.1.5. I conferimenti di ciascun socio e il valore attribuito ai crediti e ai beni conferiti in natura.
La nuova disciplina dei conferimenti (pag. 245)
N. 5 – Quella dei conferimenti è una delle materie maggiormente toccata dalla riforma. Le novità
sono sintetizzabili nei punti:
a) possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica
(denaro, beni in natura, crediti, conferimenti d’opera); b) ogni conferimento diverso dal denaro deve
essere espressamente previsto nell’atto costitutivo; c) obbligo dei soci di versare almeno il 25% del
proprio conferimento in denaro, mentre il socio unico deve versare l’intero ammontare; d) per i
conferimenti in natura il procedimento di stima viene snellito in quanto il perito non deve essere
nominato dal presidente del tribunale; e) il conferimento può avvenire anche mediante prestazione
di polizza assicurativa o di fideiussione bancaria.
3.1.2. L’iscrizione della società nel registro delle imprese e l’acquisto della personalità giuridica.
Rinvio (pag. 247)
L’argomento è stato trattato al punto 3.1.
9.2. Il finanziamento dell’impresa sociale e l’emissione dei “titoli di debito” (pag. 256)
Si tratta di un eterofinanziamento con appello al mercato finanziario di investitori qualificati; la
legge lascia ampio spazio all’autonomia privata.
2.1.2. Gli effetti del verificarsi delle cause di scioglimento (pag. 260)
Se si verifica una causa di scioglimento non si produce l’estinzione ma solo una serie di effetti
preliminari e funzionali al momento estintivo, il primo dei quali consiste nella mutazione dello
scopo della soc. che passa da lucrativo a liquidativo (fase di liquidazione). Le cause di scioglimento
operano di diritto (non occorrono deliberazioni dei soci o decreti del Tribunale, necessitando solo
l’accertamento dichiarativo da parte degli amministratori). L’accertamento e l’iscrizione nel registro
delle imprese sono i due effetti che scaturiscono dal verificarsi della causa di scioglimento (fasi
propedeutiche al procedimento di liquidazione). Altro effetto consiste nell’obbligo degli
amministratori di convocare l’assemblea per la nomina dei liquidatori (in assenza provvede il Trib.
con decreto). Gli amministratori conservano il potere gestionale, fino alla pubblicazione della
nomina dei liquidatori, ai soli fini di salvaguardare l’integrità e il valore del patrimonio sociale;
sono personalmente responsabili dei danni arrecati ai soci, ai creditori e ai terzi.
2.2. La liquidazione
2.2.1. Gli effetti dell’entrata della società in stato di liquidazione e la nomina dei liquidatori (pag.
261)
L’avverarsi della causa di scioglimento fa venir meno il vincolo di destinazione del patrimonio
(dissoluzione di un patrimonio autonomo). Procedimento formale di liquidazione è la deliberazione
di nomina del liquidatore/i che deve indicare: 1) criteri della liquidazione; 2) poteri dei liquidatori;
3) atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa. Con la pubblicazione della nomina
dei liquidatori cessa la carica degli amministratori che devono consegnare i libri sociali, una
relazione sulla situazione dei conti e sulla gestione del periodo successivo all’ultimo bilancio
approvato. Vi è l’obbligo di aggiungere alla denominazione sociale la locuzione “società in
liquidazione”.
2.3. La cancellazione della società dal registro delle imprese (pag. 262)
Successivamente al procedimento di liquidazione i liquidatori devono chiedere la cancellazione
della soc. dal registro delle imprese; solo così la soc. può considerarsi estinta. La morte della soc.
non impedisce che i creditori sociali insoddisfatti possano far valere i loro crediti nei confronti dei
soci fino alla concorrenza delle somme da loro riscosse in fase di liquidazione.
LA TRASFORMAZIONE
Sezione II
LA FUSIONE
2.1. Progetto di fusione, situazione patrimoniale, relazione degli amministratori e degli esperti,
deposito degli atti (pag. 285)
2501 ter – deve essere redatto un progetto comune da parte degli amministratori di tutte le soc. che
vogliono parteciparvi. Fra gli elementi del progetto deve risultare: 1) soc. partecipanti alla fusione;
2) atto costitutivo della soc. risultante dalla fusione; 3) rapporto di cambio delle azioni/quote e
eventuale conguaglio in denaro (non superiore al 10% del valore nominale delle azioni/quote). Il
progetto di fusione deve essere depositato per l’iscrizione presso i registri delle imprese (sedi delle
soc) o pubblicato sui siti Internet delle stesse. Per determinare il rapporto di cambio delle azioni/
quote, gli amministratori devono redigere una relazione che illustri e giustifichi tale rapporto,
unitamente ad una relazione degli esperti che attesti la sua congruità. La situazione patrimoniale e
le relazioni degli amministratori e degli esperti devono essere depositate in copia presso la sede
della società.
2.2. Deliberazione di fusione, opposizione dei creditori e degli obbligazionisti (pag. 286)
Occorrono le deliberazioni approvative di tutte le soc. che partecipano al progetto. La fusione non è
esecutiva se non dopo 60 gg dall’iscrizione nel registro delle imprese senza che vi sia stata
opposizione da parte dei creditori. Il tribunale può disporre la fusione, anche in presenza di
opposizione, previa presentazione di idonee garanzie. L’opposizione può essere proposta anche
dagli obbligazionisti.
Sezione III
LA SCISSIONE
PARTE QUARTA
7. I gruppi di imprese nella legislazione speciale: il diritto antitrust, il gruppo bancario, i gruppi di
imprese nella nuova disciplina del mercato mobiliare e i gruppi assicurativi (pag. 388)
A) Diritto di antitrust - A tutela della libertà di concorrenza bisogna avere riguardo alla posizione e
al potere di mercato che fa capo alle ampie aggregazioni di imprese cui appartengono i soggetti che
hanno posto in essere l’intesa restrittiva della concorrenza, l’abuso di posizione dominante o
l’operazione di concentrazione.
B) Gruppo bancario – molto diffuso in Italia (> 80%). Il gruppo bancario è composto dalle sole soc.
di capitali che abbiano ad oggetto l’esercizio di attività bancaria, finanziaria o strumentale, nonché
dalla capogruppo (banca o soc. finanziaria con sede legale in Italia). La Banca d’Italia esercita la
vigilanza nei confronti del gruppo bancario e il suo interlocutore è la capogruppo.
C) Mercato mobiliare – il T.U. delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria annovera
varie norme che riguardano le aggregazioni societarie, intese a garantire la trasparenza informativa
anche in presenza di una struttura di gruppo.
D) Gruppo assicurativo – una disciplina particolare è introdotta per i gruppi assicurativi dal codice
delle assicurazioni private. Ai fini della vigilanza il gruppo assicurativo è composto da più imprese,
la cui capogruppo può essere una impresa di assicurazione o riassicurazione italiana. Sono escluse
da questo gruppo le soc. esercitanti attività bancaria.
8. La disciplina dei gruppi introdotta dalla riforma delle società (d.lgs. n. 6/2003) (pag. 393)
Nella norma non sono mai menzionati i gruppi, ma sono disciplinate le attività di direzione e
coordinamento delle soc. (esercizio di tali attività).
PARTE QUINTA
Sezione I
GENERALITA’
3. Altre forme di finanziamento: raccolta del risparmio fra il pubblico. Rinvio (pag. 404)
Consiste nell’investimento che il pubblico dei risparmiatori fa nei capitali di grandi imprese
(acquisto di azioni di soc. quotate in borsa).
Sezione II
Sezione III
3. Operazioni bancarie di servizio: deposito dei titoli in amministrazione e servizio delle cassette di
sicurezza (pag. 423)
Le operazioni accessorie disciplinate dal c.c. sono due: 1) deposito dei titoli in amministrazione; 2)
servizio delle cassette di sicurezza.
1) a- la banca custodisce i titoli depositati dal cliente, incassa dividendi/interessi, verifica i sorteggi
per l’attribuzione di premi e per il rimborso del capitale, cura la riscossione per conto del
depositante. b- le somme riscosse devono essere accreditate al depositante; c- sono nulli i patti che
esonerano la banca dall’ordinaria diligenza; d- alla banca spetta il rimborso delle spese ed un
compenso.
11. Il leasing finanziario: struttura dell’operazione e caratteri del contratto (pag. 437)
Dall’inglese “to lease” (affittare) che si sviluppa negli USA estendendosi a qualsiasi bene e
trasformandosi in tecnica di finanziamento. Deve farsi distinzione fra: 1- leasing operativo; 2-
leasing finanziario.
1- il leasing operativo è un contratto con il quale il produttore di un bene concede in godimento lo
stesso ad un imprenditore verso un corrispettivo commisurato al valore d’uso del bene e per un
periodo inferiore alla vita economica dello stesso. Il contratto può prevedere, alla fine del rapporto,
l’acquisto del bene. Questa figura contrattuale si identifica in una locazione.
2- il leasing finanziario, invece, si identifica nella figura di finanziamento. L’imprenditore che
necessita di beni strumentali, anziché acquistarli per contanti o ricorrendo al credito o acquistandoli
a rate, si accorda con una impresa finanziaria specializzata (soc. di leasing) che acquista i beni e li
concede in godimento all’imprenditore a fronte di un corrispettivo corrisposto in frazioni (quantità
preponderante costituita da canoni periodici e frazione esigua dal prezzo di opzione di acquisto). E’
un contratto atipico, senza organica disciplina legislativa. Nella prassi esiste una modellistica
contrattuale uniforme, con standardizzazione dei contratti tipo. Nella struttura del leasing
confluiscono due contratti collegati: 1- la compravendita (acquisto del bene dal fornitore); 2- il
leasing col quale la soc. concede in godimento all’utilizzatore il bene acquistato. Al termine del
contratto l’utilizzatore può: 1- acquistare il bene ad un prezzo predeterminato; 2- restituire il bene;
3- chiedere il rinnovo del rapporto ad un prezzo molto basso.
Sezione I
INTRODUZIONE