Sei sulla pagina 1di 244

DIRITTO COMMERCIALE

1. LA FATTISPECIE IMPRESA
LA NOZIONE DI IMPRESA

Il codice civile, libro V “Del lavoro”, contiene la nozione di imprenditore, ma non


quella di impresa, che non viene trattata esplicitamente.

Art. 2082 c.c. : è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica


organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi.

Perché? Il diritto commerciale nasce per la classe dei commercianti, che nel
medioevo aveva dato vita a un corpus normativo, che andava a regolare le attività
poste in essere da questa classe. Il diritto commerciale era quindi il diritto del
soggetto commerciante. Con la rivoluzione inglese, si è passato ad essere non più il
diritto di una specifica classe sociale (corporazione), ma di chiunque potesse
intraprendere d’attività economica.

Il codice ha mantenuto fede alle proprie origini, ma ciò non significa che non prenda
come punto di riferimento l’attività che l’imprenditore pone in essere.

Questo articolo definisce, più che l’imprenditore, il fenomeno che l’imprenditore


pone in essere, in modo da isolarlo idealmente da esso. Descrive il suo
comportamento che si sostanzia in un’attività qualificata come produttiva,
economica, organizzata e professionale, che prende il nome di impresa. L’impresa è
il soggetto del diritto commerciale. La disciplina stabilisce le regole
comportamentali alle quali occorre attenersi nel suo svolgimento, in modo da
pervenire ad un giusto equilibrio o comportamento tra i diversi interessi che ne sono
coinvolti, nel suo interno e nei rapporti esterni.

LA RELATIVITÀ DELLA NOZIONE IMPRESA

Questa nozione è soltanto una delle nozioni, in particolare è quella che serve a
determinare quali sono i fenomeni che devono essere assoggettati al corpo di
norme che costituiscono lo statuto codicistico delle imprese e che rappresentano la
componente storicamente tradizionale del diritto commerciale.

Nozioni diverse: non vi è un concetto unitario


- Art. 2555 l’azienda è il complesso dei beni organizzato dall’imprenditore per
l’esercizio dell’impresa.

1 Valentina Gilardoni
- Della Corte di Giustizia: diretta ad individuare fenomeni produttivi soggetti alla
disciplina contenuta nel TFUE. I requisiti qualitativi richiesti dalla nozione
codicistica non sono necessari o assumono significato diverso
- TUIR: fenomeni produttivi idonei a produrre redditi da assoggettare al regime di
imposizione dei redditi di impresa. Non sono necessari alcuni dei requisiti
codicistici.

L’ATTIVITÀ PRODUTTIVA

L’impresa è qualificata come attività produttiva:

1. L’attività può essere immaginata come un modello comportamentale costituito


da tanti comportamenti, che rilevano sul piano normativo nel loro insieme.
Essi rappresentano una sequenza coordinata strutturalmente e
funzionalmente, ossia orientata rispetto al raggiungimento di un obiettivo
determinato

2. L’attività è qualificata a seconda della natura del suo scopo. Il risultato deve
essere socialmente riconoscibile come produttivo, ovvero deve produrre
un’utilità che prima non c’era e ciò attraverso la produzione e scambio di beni e
servizi. Diversa è l’attività di godimento (es. concessione di bene in locazione),
comportamenti finalizzati a trarre utilità da qualcosa che già si ha, senza dar
luogo ad un incremento di ricchezza.

LA PROFESSIONALITÀ

Un’ attività produttiva per essere classificata come impresa deve essere svolta
professionalmente. Si tratta del requisito che connota l’attività sul piano della
frequenza relativa al suo svolgimento, richiedendo che essa abbia luogo in maniera
abituale, stabile e reiterata, in definitiva non occasionale o sporadica.

I. Non è sinonimo di esclusività: l’attività può non essere l’unica da parte di chi
la pone in essere

II. Non è sinonimo di continuità: l’attività può essere svolta in modo non
continuativo purché le interruzioni siano legate non all’arbitrio, ma ad esigenze
naturali del ciclo produttivo sottostante.

III. Non è sinonimo di pluralità di risultati prodotti, sicché il requisito in esame è


integrato anche nel caso in cui l’attività sia finalizzata alla realizzazione di un

2 Valentina Gilardoni
unico affare. Si può dar vita a un’attività imprenditoriale per la produzione di una
sola opera complessa, esempio un ponte.

L’ ORGANIZZAZIONE

Si tratta del requisito che connota l’attività sul piano dei mezzi impiegati nel suo
svolgimento, richiedendo che essa sia esercitata non solo con la capacità
lavorativa di chi la pone in essere, ma anche con l’ausilio di altri fattori
produttivi.

Il ruolo del titolare non è quello di partecipare nel processo produttivo, ma di


svolgere un’opera di organizzazione, stabilendo un ordine funzionale e strutturale
dei fattori produttivi.

Essa consiste nello stabilire un ordine strutturale e funzionale finalizzato a definire


l’attività. Se manca questo profilo, ovvero se il titolare ha ruolo meramente
esecutivo, rappresentando il suo lavoro personale l’unico fattore impiegato nel
processo produttivo, allora non è impresa, ma lavoro autonomo.

L’organizzazione non deve necessariamente manifestarsi in un apparato tangibile,


ad esempio potrebbe essere sufficiente per un soggetto che svolge attività di
intermediazione finanziaria, l’utilizzo di una rete internet.

L’ECONOMICITÀ

Requisito che connota l’attività sul piano del metodo che deve essere eseguito nel
suo svolgimento. Vi erano due orientamenti a riguardo

1. Economicità come requisito inautonomo dalla professionalità. Il metodo è quello


lucrativo, ovvero per essere impresa i prezzi di cessione devono essere fissati ex
ante e devono recuperare i costi sostenuti e in più conseguire un margine di
profitto.

2. Economicità autonoma rispetto alla professionalità. Il metodo è quello


economico in senso stretto, ovvero è irrilevante il profitto, basta che i prezzi
fissati ex ante recuperino i costi. È sufficiente che il titolare sia in grado di
riperdere dal mercato l’investimento di capitali necessario per lo svolgimento del
processo produttivo, nell’ottica di una prosecuzione regolare dell’iniziativa,
senza interventi da parte di terzi. Deve mantenersi quindi in equilibrio
economico.

3 Valentina Gilardoni
La seconda interpretazione è quella preferibile e più condivisa. Vi è comunque un
rischio che l’iniziativa non riesca a ottenere dal mercato suddette risorse: il rischio di
mercato.

Rimangono estranee dalla definizione di impresa le attività erogative (attività


svolte senza prefiggersi obiettivo di pareggio).

Resta incerto se debbano considerarsi imprenditoriali o erogative le attività svolte


stabilendo un livello di ricavi insufficiente a coprire i costi, ove tuttavia il
differenziale negativo sia fissato in funzione dell’impegno alla sua copertura ex
ante da un terzo (attività con logica di perdita programmata)

COMPLETEZZA DELLA NOZIONE

La nozione contiene gli elementi necessari e sufficienti . Se un fenomeno produttivo


pronta le caratteristiche di professionalità, organizzazione ed economicità, si tratta
di impresa anche se:

- La produzione non sia destinata ad essere collocata sul mercato (impresa


per conto proprio) es. costruzione della propria casa acquisendo personale e
materiali

- La produzione è svolta senza osservare le condizioni richieste dalla legge


(impresa illegale)

- Persegue direttamente o indirettamente una finalità illecita (impresa immorale o


mafiosa)

4 Valentina Gilardoni
2. LE CATEGORIE DI IMPRESA
L’IMPRESA COME FENOMENO PRODUTTIVO DI PORTATA GENERALE E LA
SUA RILEVANZA NORMATIVA

Il legislatore del 1942 ha perseguito l’obiettivo di assoggettare ogni iniziativa


produttiva ad un nucleo di regole comuni. L’intento era quello di far sì che tutte le
iniziative imprenditoriali informassero non solo l’indirizzo della produzione ma anche
il proprio concreto svolgimento ai principi dell’ordinamento corporativo. In seguito
alla ceduazione delle norme corporative, l’impresa non risulta più assoggetta ad un
corpo organico di regole.

Secondo l’opinione consolidata, essa risulterebbe destinataria di uno statuto, lo


statuto generale d’impresa, costituito dagli istituti dell’azienda, della concorrenza
e dei consorzi e dei segni distintivi. Tuttavia essi o non sono integralmente
applicabili all’impresa o si applicano ad altri fenomeni produttivi. Inoltre vi sono
ulteriori disposizioni sparse nel codice civile.

L’impresa è dunque destinataria di singole disposizioni, che insieme costituiscono


una disciplina organica. D’altra parte si fa riferimento a due sottofattispecie sul
presupposto che non tutte le imprese dovessero essere assoggettate alla stessa
disciplina.

I fenomeni cui si attribuiva più ristretta rilevanza normativa riguardavano:

- la natura della produzione: enucleando dalla nozione generale quella di impresa


agricola

- La dimensione dell’organizzazione: enucleando la piccola impresa


È solo alle imprese commerciali non piccole che inizialmente il diritto dell’impresa
era indirizzato nella sua interezza. Le altre rimanevano sottratte dalla disciplina
costituita da istituti finalizzati a tutelare gli interessi dei finanziatori dall’iniziativa
imprenditoriale.

L’IMPRESA AGRICOLA

Art. 2135 c.c. : è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività:
coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per
coltivazione del fondo, selvicoltura e allevamento di animali si intendono le attività
diretta alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase di esso, di
carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco
o le acqua dolci, salmastre o marine.

5 Valentina Gilardoni
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo
imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione,
commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti
prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di
animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante
l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente
impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione
del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità
come definite dalla legge

La ragione per cui si è attribuito all’impresa agricola rilevanza normativa più ristretta
è che tale fenomeno si caratterizzava per una produzione incentrata sul fondo e
essa non presentava particolari esigenze di investimento. Un eventuale
finanziamento della produzione veniva regolato attraverso il diritto privato classico.

La riforma ha integrato l’articolo di due commi che descrivono attività agricole


essenziali e per connessione. Ne è uscita una nozione di impresa agricola più
ampia:

1. Le essenziali: vi rientravano solo quelle che avevano luogo sul fondo, ora che
utilizzano o possono utilizzare il fondo. Fondo da fattore produttivo essenziale e
eventuale.

2. Novità delle connesse. Sono connesse però se usano come materia prima
prevalente i prodotti derivati dall’attività di coltivazione e/o allevamento di
animali esercitata dal medesimo soggetto . Sono comunque connesse le attività
che impiegano principalmente le attrezzature o le risorse dell’impresa agricola
dello stesso soggetto (es. agriturismo)

Con questo ampliamento non vi sono più o presupposti di una rilevanza


negativa sul piano normativo. Infatti le imprese agricole di oggi richiedono
esigenze finanziarie significative e investimenti. Inoltre oltre al rischio di mercato
esse sono esposte al rischio naturale insito nel ciclo biologico.

Tuttavia non vi è stato un ampliamento della disciplina, e all’impresa agricola non


vi si applica la stessa rilevanza normativa dell’impresa nella sua interezza. Gli
interventi sul piano della disciplina sono stati insufficienti e parziali e vi è stata una
marginale estensione del diritto concorsuale.

6 Valentina Gilardoni
LA PICCOLA IMPRESA

Art. 2083: sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli
commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata
prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.

Prevalenza: bisogna verificare in termini qualitativi che il lavoro del titolare e della
sua famiglia costruisca il fattore essenziale, imprescindibile e centrale nel
processo produttivo, rispetto agli altri fattori produttivi. Il titolare è quindi chiamato
ad agire in un ruolo esecutivo nel processo.

La scelta di attribuirle rilevanza normativa più ristretta è data dalle caratteristiche del
processo produttivo: concentrato sul lavoro del titolare e dei suoi familiari, un
fattore produttivo di cui già dispone, senza bisogno di doverlo acquisire da
terzi.

Le esigenze di investimento dovrebbero essere non significative e quindi non


significativo dovrebbe essere l’eventuale ricorso al credito. Non è sembrato
necessario per il legislatore del 1942 l’assoggettamento delle corrispondenti
iniziative al diritto dell’impresa nella sua interezza e alla parte corrispondente alle
regole finalizzate a comporre gli interessi in gioco rispetto al rischio di impresa.

LA PICCOLA IMPRESA NELLA LEGGE FALLIMENTARE e codice della crisi

Il codice della crisi è una normativa destinata ad entrare in vigore il 15 agosto 2020,
in materia di crisi di impresa, che va a riformare la disciplina della crisi di impresa e
concorsuale.

Non è sempre facile tracciare una linea di confine tra piccole imprese e imprese, per
questo al criterio di prevalenza si affianca un criterio quantitativo, ove occorra
individuare i fenomeni produttivi possibili di applicazione di un istituto affatto
particolare che compone lo statuto predisposto all’indirizzo dell’impresa, vale a dire
le procedure concorsuali.

L’articolo 1, co. 2, 1.fall. esclude l’apertura delle procedure concorsuali di


fallimento e di concordato preventivo nei confronti delle imprese che si attestino
al di sotto di tre parametri:

1. L’esposizione debitoria complessiva sussistente al momento di apertura della


procedura concorsuale non supera 500.000 €

2. L’attivo patrimoniale nei tre esercizi precedenti non supera per ogni esercizio
300.000€

7 Valentina Gilardoni
3. I ricavi lordi nei tre esercizi non superano per ogni esercizio 200.000€

Presunzione di piccolezza: piccola impresa quella che si attesta al di sotto di tutti


e tre i parametri. Presunzione assoluta: se è così è piccola e non fallimentare.

Presunzione di grandezza: impresa che supera almeno uno dei tre parametri.
- Opinione 1: se supera un parametro ma si dimostra con il principio di prevalenza
che è piccola, è piccola
- Opinione 2: se supera un parametro è grande: OPINIONE PREVALENTE

L’IMPRESA COMMERCIALE

La nozione di impresa depurata dell’impresa piccola e agricola dovrebbe residuare


nella specie di impresa destinataria del diritto commerciale: l’impresa commerciale.

L’art 2195 non è una norma definitoria, bensì una disciplina, una norma, cioè che
contiene un primo precetto comportamentale (obbligo di pubblicità) all’indirizzo di
chi pone in essere una delle seguenti attività:

1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi

2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni

3) un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria

4) un'attività bancaria o assicurativa

5) altre attività ausiliarie delle precedenti

Sono allora queste e attività produttive che semplificano l’impresa commerciale.

Pertanto l’impresa commerciale è un’attività di produzione di beni e di servizi che si


qualifica come industriale e/o un’attività di circolazione di beni che si qualifica
come intermediaria.

Due interpretazioni dei due requisiti:

4. Accezione letterale dei requisiti. L’industriosità allude al processo produttivo


inaugurato con la rivoluzione industriale, l’intermediaria alle attività
classicamente commerciali di acquisto per la rivendita. Così che sarebbe
industriale se si tratta di un’attività di automazione o che si sostanzia in una
trasformazione fisico-tecnica e intermediaria se è un’attività originata da un
acquisito di qualcosa per la rivendita. Questa interpretazione suggerisce che

8 Valentina Gilardoni
vi siano ulteriori fenomeni che pur non avendo natura agricola, non avrebbero
nemmeno natura commerciale. Si aggiungerebbe una terza categoria:
l’impresa civile composta da

• Imprese artigiane (il processo non è automatizzato)


• Imprese primarie e imprese di pubblici spettacoli (sfrutta risorse che vi
sono in natura o risorse che rientrano nelle abilità umane)

• Imprese finanziarie (circolo del denaro non in modo intermediario)


• Agenzie matrimoniali, di collocamento, mediatori di prodotti agricoli
(attività ausiliarie di iniziative che non rientrano nell’elenco)

Prevale però l’idea che l’impresa civile abbia una rilevanza normativa uguale alla
piccola impresa e all’impresa agricola. Ma appare poco congruo trattare
l’impresa civile in modo diverso dall’impresa commerciale.

5. Pertanto vi è la seconda interpretazione. Si attribuisce a “industrialità” il


significato di “non agricolo” e a “intermediarità” il significato di scambio. Si
perviene a una nozione di impresa commerciale residuale: è impresa
commerciale tutti i fenomeni imprenditoriali che, in ragione della loro natura, non
possono considerarsi agricoli. Non residua spazio per la categoria dell’impresa
civile

Per le imprese commerciali non piccole vi è lo statuto delle imprese commerciali


non piccole, in cui si tratta la disciplina in merito di:
- Pubblicità legale
- Rappresentanza commerciale
- Scritture contabili
L’impresa commerciale può essere classificata nelle categorie dell’impresa
pubblica e dell’impresa privata.

L’IMPRESA PUBBLICA
L’impresa pubblica è un fenomeno produttivo imprenditoriale di natura commerciale
esercitato da o riconducibile ad un soggetto di diritto publico.

L’attività commerciale può costituire oggetto esclusivo o principale di un ente


pubblico, l’ente pubblico economico, ma può essere anche un’iniziativa
secondaria di un ente pubblico non economico.

9 Valentina Gilardoni
A. L’ente pubblico economico si prefigge di conseguire il suo fine istituzionale
attraverso un’attività commerciale. In passato si riscontrava nei principali settori
dell’economia italiana, oggi sono meno a causa del processo di privatizzazione.
L’interesse economico rimane di ragione pubblica, ma la forma giuridica diventa
privata (privatizzazione in senso formale)

B. La società in mano pubblica è una società in cui la partecipazione di controllo


è detenuta da un ente pubblico. Tra queste vi sono società a partecipazione
interamente pubblica, in cui tra l’ente e la società vi è una relazione
interoceanica ( società in house providing)

C. L’ente pubblico non economico realizza molteplici fini istituzionali, attraverso


numerose iniziative che talvolta possono essere imprese, per esempio gli enti
pubblici locali, che talvolta svolgono oltre ad attività amministrative, anche
commerciali.

Un ente pubblico può quindi direttamente o tramite una società, esercitare


un’attività economica. Tali servizi pubblici si distinguono in:

I. Servizi pubblici a rilevanza economica: obiettivo i realizzare un margine di


profitto (es. settori energetici). Deve essere affidata ad un’altra società in
house.

II. Servizi pubblici privi di rilevanza economica: obiettivo di copertura dei costi
(es. servizi sociali). Può essere affidata ad un’altra società o ad un’autonomia
funzionale con soggettività giuridica (azienda speciale, ovvero ente pubblico
economico) o priva di soggettività giuridica (ente pubblico non economico)

Pertanto, l’impresa pubblica può presentarsi nella forma della società pubblica
(impresa-società), dell’ente pubblico economico (impresa-ente) o all’interno del
contesto organizzativo di un ente pubblico non economico (impresa-organo)

Disciplina applicabile:

1. Nel caso in cui l’impresa assuma forma giuridica di diritto privato, l’applicazione
della disciplina dell’impresa dovrebbe avvenire in maniera non diversa da una
qualsiasi società

2. Nel caso in cui l’impresa assuma forma giuridica di diritto pubblico, l’art. 2093
dispone, per gli enti pubblici economici, l’applicazione delle disposizioni
contenute nel libro V e per gli enti pubblici non economici, l’applicazione delle
disposizioni del libro V limitatamente alle imprese da essi esercitate.

10 Valentina Gilardoni
Non sembra quindi che la forma pubblica possa incidere significativamente sulla
disciplina operante.

Art 2201: Gli enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un'attività
commerciale sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese.
(ENTI PUBBLICI ECONOMICI)

Art 2221: Gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti
pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso di insolvenza, alle procedure
del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali.

Ratio: esigenza di adeguare le modalità di applicazione del diritto d’impresa alla


forma giuridica pubblica rivestita da esso.

Nei confronti dell’impresa pubblica trova applicazione tutta la parte della disciplina
dell’impresa per la quale non è stabilito diversamente.

L’IMPRESA PRIVATA

Fenomeno produttivo imprenditoriale, che assume la forma giuridica di diritto


privato, vale a dire la persona fisica, la società o un altro ente privato non societario
(es. consorzio, rete d’impresa, associazione, fondazione).

1. Se l’impresa assume forma individuale non si verificano particolari ripercussioni


con riguardo alla disciplina applicabile,

2. Se l’impresa assume forma societaria, se si tratta di forma commerciale e


cooperative, la disciplina della forma giuridica implementa sempre alcune regole
mutate dalla disciplina dell’impresa commerciale: l’obbligo di pubblicità e di
tenuta delle scritture contabili. Anche se fosse agricola si applicherebbero
comunque suddette disposizioni, in quanto regole della forma giuridica

3. Se l’impresa assume forma di un ente privato non societario la conclusione è


meno immediata. Le associazioni e le fondazioni possono esercitare
un’impresa, che può costituire il suo oggetto esclusivo, principale o secondario.

1. Una prima corrente di pensiero è che siano assimilabili all’impresa


pubblica condividendo con essa il carattere non speculativo e l’essere a
servizio di interessi collettivi

2. L’orientamento prevalente invece considera che non sia giustificabile


l’esonero dall’obbligo di pubblicità nei confronti delle associazioni e
fondazioni o la sottrazione dalle procedure di fallimento e di concordato
preventivo. La disciplina dell’impresa deve trovare applicazione nella sua

11 Valentina Gilardoni
interezza nelle associazioni e nelle fondazioni che esercitano un’attività
commerciale, quale che sia la posizione o il ruolo assunto da
quest’ultima.

Le associazioni o fondazioni che svolgono un’impresa sociale del terzo settore


come oggetto esclusivo o principale o, nel caso degli enti ecclesiastici, anche
come oggetto secondario, sono assoggettare al diritto d’impresa nella sua
interezza. Gli enti ecclesiastici sono tenuti quindi all’obbligo di pubblicità, di tenuta
delle scritture contabili, e sono assoggettati alle procedure concorsuali. Per gli enti
del terzo settore che esercitino un’impresa solo in via secondaria, le disposizioni del
terzo settore li sottraggono alle regole d’impresa.

Art. 2086: L'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente


i suoi collaboratori. L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il
dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato
alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione
tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché
di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti
dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità
aziendale.

3. L’IMPRESA E LE PROFESSIONI INTELLETTUALI


Le professioni intellettuali si sostanziano nella produzione di servizi professionali
(assistenza, rappresentanza e difesa in giudizio, progettazione di un’immobile,
design, diagnosi di una malattia…).

Si distinguono in:

- Professioni protette: regolate da una specifica disciplina + art. 2229


- Professioni non protette: non hanno una specifica disciplina e derogano l’art.
2229

12 Valentina Gilardoni
Art. 2229: La legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è
necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi.

L'accertamento dei requisiti per l'iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei
medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati [alle associazioni
professionali], sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga
diversamente.

Contro il rifiuto dell'iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i


provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto
all'esercizio della professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei
termini stabiliti dalle leggi speciali.

Anche le professioni intellettuali, come l’impresa, si presentano sotto forma di


attività produttiva, vale a dire come successione di comportamenti, coordinati
strutturalmente e funzionalmente, ossia teleologicamente orientati verso il
raggiungimento di un determinato risultato economico apprezzabile. Ma c’è
coincidenza sul piano ontologico?

IL RAPPORTO TRA IMPRESE E PROFESSIONI INTELLETTUALI

A. Le professioni intellettuali sono un fenomeno produttivo che di per sé può dirsi


integrato già quando viene reso un singolo servizi professionale. Può essere
un’attività produttività occasionale, che non è esercitata “professionalmente”
ex art. 2082. Nondimeno, l’ipotesi più frequente è quella del soggetto che
svolge a tempo pieno la pressione intellettuale, in tal caso si realizza il profilo
ex art. 2082, assimilabile all’impresa.

B. Possono svilupparsi attraverso il solo lavoro del professionista. Esse sono infatti
collocate come caso particolare di lavoro autonomo. Oggi però il professionista
intellettuale si avvale di fattori produttivi (macchinari, personale..). pertanto essa
può (anche se non deve) essere un’attività organizzata.

C. Le professioni intellettuali sono senz’altro un’attività economica. Il servizio è


ceduto ad un prezzo superiore rispetto al costo sostenuto

Pertanto la professione intellettuale è un’attività produttiva che può presentare tutti


e tre i requisiti dell’art 2082, può trattarsi di un fenomeno analogo all’impresa non
piccola e all’impresa commerciale.

13 Valentina Gilardoni
L’ART. 2238

Se l'esercizio della professione costituisce elemento di un'attività organizzata in


forma di impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II.

In ogni caso, se l'esercente una professione intellettuale impiega sostituti o ausiliari,


si applicano le disposizioni delle sezioni II, III e IV, del capo I del titolo II.

Tale norma subordina l’applicazione delle disposizioni contenute nel titolo II alla
condizione che l’esercizio della professione costituisca elemento di un’attività
organizzata in forma d’impresa, ovvero che presenti una più ampia attività
organizzata. Non troverà quindi applicazione il titolo II nei casi in cui l’attività
produttiva si esaurisca nella realizzazione di un servizio professionale. Ciò
costituisce una sorta di privilegio a favore dei professionisti.

Al fine di individuare la relativa categoria, bisogna far ricorso a un criterio oggettivo,


che viene ravvisato nella circostanza che venga utilizzato la tipologia di contratto
d’opera intellettuale. Questo contratto è connotato dai requisiti di un minimo di
intellettualità nello sforzo professionale e un minimo di personalità nella prestazione.

ESERCIZI

Tizio è titolare di uno studio professionale che impiega 30 professionisti. Lo studio è


all’interno di un immobile molto prestigioso, il cui canone di locazione si aggira
attorno a 100.000 euro l’anno. Nello studio lavorano anche tre segretarie
regolarmente assunte a tempo determinato. L’attività si sostanzia nella produzione
di servizi professionali sia legali (assistenza in giudizio, assistenza stragiudiziale,
ecc.) che commerciali (assistenza fiscale e tributaria, assistenza su operazioni
straordinarie, ecc.). Dopo qualche tempo Tizio comincia a selezionare la clientela,
praticando, per le stesse identiche prestazioni, ad alcuni clienti condizioni
economiche molto diverse rispetto a quelle praticate ad altri. Tizio svolge
un’impresa? e, in caso di risposta negativa, come si qualifica l’attività svolta? Tizio
può selezionare la clientela nel modo descritto nel testo?

L’attività di Tizio è finalizzata alla produzione di servizi professionali. Essa, pur


soddisfando tutti i requisiti dell’impresa, previsti dall’articolo 2082, non è
qualificabile, sul piano normativo, come impresa. Preclude tale qualificazione
l’art. 2238 c.c., il quale consente l’applicazione della disciplina dell’impresa solo
«se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata
in forma di impresa»: ossia, quando l’attività professionale si svolge nell’ambito di
una più ampia e diversa attività imprenditoriale (es. l’ingegnere che lavora insieme
all’architetto.). Quanto detto non vale, tuttavia, ai fini della nozione di impresa

14 Valentina Gilardoni
comunitaria: quest’ultima nozione, di elaborazione giurisprudenziale, comprende
ogni attività produttiva che produce beni e servizi destinati ad un mercato. Anche la
professione intellettuale è, perciò, impresa (nell’ordinamento dell’Unione europea)
ed è assoggettata alla disciplina dell’impresa dell’ordinamento dell’Unione europea.
In particolare, la professione intellettuale è assoggettata al diritto della
concorrenza. In quest’ottica, poiché la pratica selettiva della clientela descritta
nel testo è un esempio di abuso di posizione dominante, si tratta di una pratica
senz’altro vietata.

Oggi ci sono degli studi legali dove lavorano in associazione tra loro 200
professionisti, più il personale dipendente, lo studio in un grande palazzo e un
sistema informatico complesso. Questa è una struttura che svolge una attività
produttiva dove possono esserci tutte le caratteristiche dell’articolo 2082: è una
attività produttiva, c’è organizzazione, c’è il metodo economico perché l’attività è
svolta programmaticamente per conseguire un profitto. Siamo in presenza di una
attività produttiva organizzata, economica e professionale. Ciò nonostante questo
studio professionale non è considerato imprenditore e quindi lo studio
professionale non fallisce e non si applicano le norme della disciplina
dell’impresa.

4. L’INIZIO E LA FINE DELL’IMPRESA


L’inizio e la fine dell’impresa devono valutarsi secondo un criterio di effettività
rispetto alla sussistenza o meno del fenomeno cui la disciplina si riferisce.

INIZIO

Momento dal quale comincia a trovare applicazione la disciplina dell’impresa.


Tale momento deve essere accertato secondo il criterio di effettività: la sua
individuazione deve prescindere da qualunque tipo di adempimento formale si
associ allo svolgimento dell’impresa (es. iscrizione al registro delle imprese,
autorizzazioni o licenze).

Il discorso non si differenzia a seconda che l’impresa sia una persona fisica o una
società. La costituzione dell’impresa è una mera dichiarazione di intenti

15 Valentina Gilardoni
rispetto all’inizio dell’impresa, che non giustifica l’applicazione della relativa
disciplina.

Meno certo è invece se l’inizio dell’impresa debba aversi sin dalla fase di
organizzazione, cioè dall’approntamento dei fattori produttivi alla successiva
attività produttiva, o debba posticiparsi alla fine di questa fase. Non è tra l’altro
facile segnare uno spartiacque tra la fase di preparazione del complesso
produttivo e l’attività produttiva in senso stretto. Inoltre, è proprio nella fase
organizzativa che vengono in considerazione i finanziatori a titolo di credito. Sicché
sembra non congruo escludere il credito che è stato concesso in questa fase dai
sistemi di tutela predisposti dal diritto dell’impresa (procedure concorsuali)

Si esclude però che l’inizio dell’impresa possa aversi già in seguito dell’elaborazione
di un semplice programma produttivo o del compimento di singoli atti di
organizzazione. Si ritiene necessaria l’esecuzione di una serie di atti coordinati
tra loro e volti ad organizzare un’attività produttiva, che abbia assunto fisionomia
unitaria e finalità non equivoche.

Con riferimento alle società due tesi:


- mera costituzione intesa come elemento organizzativo e quindi parte iniziale
dell’impresa
- Criterio di effettività: inizio effettivo dell’attività di impresa

ESERCIZI

Tizio decide di produrre un nuovo tipo di scarpe. A tal fine prende in affitto un
capannone industriale, provvede all’acquisito a credito di macchinari ed assume
quindici operai specializzati. La mancata consegna delle materie prime necessarie
impedisce, però, l’inizio della effettiva produzione. Di conseguenza, si determina
una situazione di illiquidità in ragione della quale la banca Alfa, finanziatrice di Tizio,
chiede al tribunale competente di dichiararne il fallimento (liquidazione giudiziale).
Tizio potrebbe difendersi allegando che, non essendo mai stato avviato il ciclo
produttivo, egli non ha mai assunto la qualità di imprenditore?

Bisogna soffermarsi sulla questione relativa all’inizio dell’impresa. In particolare,


occorre mettere in luce quando l’impresa può dirsi iniziata e se l’attività di
organizzazione può essere sufficiente per sostenere che l’impresa è iniziata.
L’orientamento ormai prevalente è nel senso che anche l’attività di organizzazione
(e non solo l’attività dell’organizzazione) integri l’impresa: con la conseguenza
che anche nella fase organizzativa trova applicazione la disciplina dell’impresa.

16 Valentina Gilardoni
FINE

Momento al cui verificarsi cessa di trovare applicazione la disciplina di impresa.


Deve essere accertata secondo il criterio di effettività, ossia deve essere dica nel
momento in cui nella realtà concreta viene meno il fenomeno produttivo qualificabile
come impresa, senza che possano aver rilievo gli eventuali adempimenti formali
obbligatori.

Non occorre attendere la fase della disgregazione del complesso produttivo,


ovvero la liquidazione (fase nella quale si monetizzano tutti i beni costituenti il
complesso aziendale). Essa è una fase che attiene all’eliminazione dell’ente
attraverso il quale si esercita l’impresa. L’impresa di una società cessa prima della
fine della società, che sopravvive invece finché non è liquidata e estinta
attraverso la cancellazione del registro delle imprese.

LA CANCELLAZIONE DELL IMPRESE

La fine dell’impresa non comporta di sé il venir meno della possibilità di aprire


una procedura concorsuale: possibilità che residua ancora per l’anno
successivo alla cessazione, a condizione che lo stato di insolvenza sia
antecedente alla cessazione dell’iniziativa o si sia verificato nell’anno
successivo. (diventerà art.33 dall’agosto 2020)

La ragione di questa prorogatio è che in tal modo si impedisce al titolare


dell’impresa di sfuggire alla soluzione concorsuale dell’insolvenza attraverso una
cessazione ex abrupto della sua iniziativa e si consente ai creditori di chiedere
l’apertura della procedura anche in questo eventualità. Consentire ai terzi di
poter agire nei confronti dell’imprenditore per un anno dopo la cancellazione dal
registro delle imprese o dal momento che si è a conoscenza della cessazione
stessa, così d poterli agevolare ad aggredire il patrimonio e dare via a una
procedura concorsuale. Evitare così comportamenti opportunistici che vedano la
chiusura immediata della propria attività con sottrazione dei beni ai creditori.

La ragione per cui il termine dell’anno debba decorrere dalla cancellazione del
registro delle imprese e non invece dalla cessazione dell’attività è per semplificare
l’accertamento dell’ambito temporale di assoggettabilità dell’impresa alle
procedure concorsuali. Una simile formalità può essere immaginata allora come una
presunzione dell’effettiva cessazione dell’attività.

17 Valentina Gilardoni
Tuttavia non è chiaro il motivo per cii la presunzione sia superabile nel solo caso di
impresa individuale e di cancellazione d’ufficio di un ente e solo su iniziativa di
creditori o del pubblico ministero, mentre all’imprenditore non è data una
speculare possibilità di dimostrare che la cessazione effettiva aveva preceduto
la cancellazione. Il motivo può ravvisarsi nel tentativo di creare un meccanismo
capace di incentivare un corretto adempimento dell’obbligo di pubblicità d’impresa
da apre del suo titolare. Resta incerto da quando decorre e se decorre il termine
all’anno per le imprese che abbiano omesso ab origine di adempiere all’obbligo di
iscrizione nel registro delle imprese. Si ritiene da alcuni che l’omessa iscrizione p
reclude il decorso del terme dell’anno e da altri che possa essere sostituita dalla
conoscenza effettiva da aperte dei terzi della cessazione dell’impresa io dalla sua
conoscibilità.

ESERCIZIO

Per via dell’agguerrita concorrenza proveniente dai Paesi in via di sviluppo, Tizio è
stato a lungo incerto se continuare o cessare la sua attività di produzione di mobili
su misura. Nelle more di una tale decisione, e precisamente in data 1 marzo 2018,
Tizio si è cancellato dal registro delle imprese ma ha continuato la produzione per
qualche mese, e precisamente fino al 30 giungo 2019: quando schiacciato dai debiti
e dalla crisi di liquidità ha deciso di smettere. Le banche finanziatrici potrebbero
ancora chiedere l’apertura delle procedure concorsuali nei confronti di Tizio?

Bisogna soffermarsi sulla questione relativa alla fine dell’impresa. In particolare,


occorre illustrare le problematiche sottese all’art. 33 d. lgs. 14/2019 (ex 10 l. fall.) e,
segnatamente, quelle che riguardano il computo del termine dell’anno dalla
cancellazione dal registro delle imprese: termine entro il quale può essere
dichiarata l’apertura delle procedure concorsuali dell’imprenditore cessato.
Nello specifico, si deve dire che la norma richiamata eleva la cancellazione a
presunzione di cessazione dell’impresa (art. 33, comma 1, d. lgs. 14/2019 ex art.
10, comma 1, l. fall.). Questa presunzione può, tuttavia, essere superata da alcuni
soggetti (i creditori), dimostrando che, nonostante la cancellazione, l’impresa
abbia continuato a svolgersi (art. 33, comma 2, d. lgs. 14/2019 ex art. 10, comma
2, l. fall.).

18 Valentina Gilardoni
5. L’IMPUTAZIONE DELL’IMPRESA
Rimane da vedere a chi si imputa l’impresa, cioè chi ne è il referente soggettivo,
vale a dire il soggetto tenuto ad adempiere ai diversi obblighi comportamentali in cui
la disciplina dell’impresa si scompone.

IL CRITERIO DI IMPUTAZIONE

Due principali orientamenti:

1. Criterio formale, o della spendita del nome nello svolgimento della stessa.
L’imprenditore è colui che svolge l’impresa a proprio nome

2. Criterio sostanziale, o dell’interesse perseguito. L’imprenditore è colui nel cui


interesse l’impresa è svolta

La questione è risolta se l’impresa venga svolta in nome e per conto di uno stesso
soggetto. L’imprenditore può affidare l’esercizio ad uno o più soggetti, che possono
seguire l’incarico in nome suo e per conto suo. Talvolta è obbligato a farlo per
mancata capacità di agire. Nel caso di un soggetto incapace di agire, il minore
dovrà essere considerato imprenditore e attività sarà svolta in suo nome e per conto
suo, ma da un soggetto terzo.

Il problema è se l’elemento formale e quello sostanziale si riscontrino in capo di


soggetti diversi.

CRITERIO DELLA SPENDITA DEL NOME (FORMALISTA)

L’orientamento prevalente è che l’elemento decisivo ai fini delimitazione


dell’impresa debba individuarsi nella spendita del nome.

Si pone rimedio attraverso il criterio previsto dall’ordinamento per l’imputazione


degli atti giuridici (l’attività è un insieme di atti giuridici). Poiché questo criterio è
rappresentato dalla spendita del nome, si deduce che secondo questo criterio
dovranno imputarsi anche gli atti che costituiscono l’attività.

Tuttavia vi sono rilievi critici:

I. Nel diritto commerciale non rilevano i singoli comportamenti da cui l’attività


è costituita, ma questa come fenomeno unitario nel suo insieme.

II. I creditori sarebbero garantiti dal solo patrimonio del soggetto, nel quale
nome è svolta l’impresa, che rende agevoli alcune forme di abuso: quando il
soggetto che svolge l’impresa a proprio nome è nullatenente e la svolge per

19 Valentina Gilardoni
conto di un soggetto che ha interesse a non esporre il suo patrimonio al rischio
di impresa.

In tal caso il patrimonio del “dominus” non può essere aggredito dai creditori del
prestanome. A questo stato di cose la giurisprudenza cerca di porre rimedio
attraverso l’impresa fiancheggiatrice. Il dominus dell’iniziativa può acquisire la
qualifica di imprenditore se si accerta che ha posto in essere un comportamenti nei
rapporti intercorsi con il prestanome, che possa qualificarsi come impresa e che
fiancheggia l’iniziativa svolta dal prestanome.

Poiché il dominus normalmente dirige, coordina e finanzia il prestanome questa


azione viene qualificata come impresa e anche il dominus viene considerato
imprenditore. In ogni caso non è sempre facile dimostrare il comportamento posto
in essere dal dominus.

Esempio caso Caltagirone: viene riconosciuta l’esistenza di un’impresa Caltagirone


in cui la cassazione ha ribaltato il giudizio e non è stata riconosciuta un’impresa
fiancheggiatrice

CRITERIO DELL’INTERESSE PERSEGUITO (SOSTANZIALISTA)

A seguito del pericolo di inadeguata sistemazione degli interessi in gioco, molti


pensano che l’impresa debba imputarsi secondo un criterio che si riferisca al
fenomeno in quanto tale e non alle singole frazioni in cui lo stesso si scompone.

Vi è la teoria dell’imprenditore occulto, elaborata da Walter Bigiavi negli anni ’50,


che assume che vi sia una relazione biunivoca tra potere e rischio. Chi ha la
direzione di un’impresa non può sottrarsi alle relative conseguenze sul piano
patrimoniale. Il dominus acquista quindi la figura di imprenditore.

Art. 256, comma 5, d. lgs. 14/2019 (ex art. 147, comma 5, l. fall): la sentenza che
dichiara il fallimento d una società di persone, produce come effetto anche il
fallimento dei soci illimitatamente responsabile.

Nel momento in cui fallisce una società, si estende il fallimento anche ai soci.

L’impresa si imputa in funzione dell’interesse perseguito a prescindere dal nome


speso. L’articolo si riferisce al caso di fallimento di una società in cui i soci sono
illimitatamente responsabili.

Comma 4: se dopo la dichiarazione d fallimento risulta l’esistenza di altri soci, il


tribunale dichiara i fallimento dei medesimi. È nell’ipotesi in cui la società abbia un
socio occulto. Il fallimento dev’essere dichiarato anche nei confronti di questo.

20 Valentina Gilardoni
Comma 5: se dopo il fallimento di un imprenditore individuale, risulti che l’impresa è
riferibile a una società di cui il fallito è soci illimitatamente responsabile, si dichiarerà
il fallimento anche del restante dei soci (società occulta). Essa è una società in cui
tutti soci tranne uno sono occulti e con essi anche il rapporto sociale. Ne risulta
confermato l’assunto iniziale, ovvero che l’imputazione dell’impresa prescinde dalla
spendita del nome ed è legata l’interesse perseguito.

In entrambi i casi emerge che l’imprenditore dichiarato insolvente sia in realtà legato
ad un altro in rapporto di società. Non sembra quindi revocabile che un’impresa
esercitata per conto di una società occulta debba imputarsi proprio ad essa.

Così non sembra più azzardato verificare che, in base agli stessi dati normativi, sia
possibile generalizzare la conclusione anche con riferimento a casi in cui l’impresa
sia esercita per conto di un soggetto diverso da una società , parimenti rimasto
occulto (IMPRENDITORE OCCULTO). Questo perché non vi è un rapporto societario
tra i due.

I principi dell’articolo 147 devono trovare una valenza generale? Non vi è risposta.
La questione è tutt’altro che agevole ma si intende come poi copio generale che si
parli o meno di società.

ESERCIZI

1. Bill ha un’impresa individuale che produce sistemi informatici; suo figlio Steve,
appena sedicenne, crea software molto innovativi e decide di farne oggetto di una
sua attività economica. Steve potrebbe avviare la propria attività economica?
Potrebbe, in alternativa, succedere a Bill qualora quest’ultimo decidesse di donare
al figlio la propria impresa? In caso di risposta affermativa, chi sarebbe legittimato a
compiere gli atti di impresa? e chi assumerebbe la qualifica di imprenditore?

Il problema riguarda l’incapacità di agire di Steve, ancora minorenne. L’impresa è


svolta dal tutore di un minorenne, il quale può compiere tutti gli atti straordinari e
ordinari. Il tutore svolge l’impresa in nome e per conto del minore, il quale
acquisisce la qualifica di imprenditore.

2. Tizio presenta un’esposizione debitoria che supera i dieci milioni di euro e un


attivo patrimoniale di appena un milione di euro.Dopo aver fatto opportune indagini,
si scopre che alcuni di questi debiti, per lo più con banche, sono garantiti da Caio.
Si chiede a Tizio di spiegare il perché di queste garanzie. Tizio afferma che, in realtà,
gestiva un’impresa per conto di Caio, il quale impartiva costantemente istruzioni
sulle modalità di svolgimento dell’attività, che, peraltro, finanziava di continuo, sia,

21 Valentina Gilardoni
appunto, attraverso il rilascio di garanzie, sia attraverso denaro contante che gli
metteva a disposizione.Cosa potrebbe succedere in questi casi?

A riguardo bisogna tenere conto di due teorie differenti: quella sostanzialista e


quella formalista. La teoria formalista prevede che sia imprenditore colui che svolge
l’impresa in suo nome (in tal caso Tizio). Tuttavia si può dimostrare che il
comportamento di Caio, che impartiva istruzioni e finanziaria l’impresa, sia esso
stesso qualificabile come impresa (fiancheggiatrice). Quindi accertando l’insolvenza
di Tizio, si potrà coinvolgere Caio nella procedura concorsuale. La teoria
sostanzialista prevede, invece, che sia imprenditore colui per conto del quale è
svolta un’impresa. Dimostrando il ruolo di dominus di Caio, ai sensi dell’articolo
256, si può parlare di imprenditore occulto, che assumerà responsabilità
patrimoniale.

22 Valentina Gilardoni
SEZIONE SECONDA - LA PUBBLICITÀ D’IMPRESA
IL REGISTRO DELLE IMPRESE

Caratteristiche generali del registro


La disciplina dell’impresa contempla un obbligo di pubblicità, finalizzato ad
assicurare un minimo di trasparenza informativa su alcuni fatti o atti previsti
espressamente dal dato normativo e, in particolare, su alcuni profili e alcune
vicende che riguardano l’organizzazione.
Si tratta di un obbligo pubblicitario minimo, che mira a conciliare due diverse
esigenze: da un lato, quella dell’imprenditore di poter contare sulla certezza legale
che alcune informazioni possano considerarsi conosciute da parte dei terzi con i
quali entra in contatto; dall’altro quella dei terzi e del mercato di poter utilizzare
concretamente di alcune informazioni inerenti all’impresa.

Per poter fissare un punto di equilibrio tra queste esigenze, l’obbligo originario è
conformato al principio di tipicità in forza del quale le informazioni da sottoporre a
pubblicità sono tutte e soltanto quelle per le quali la legge impone tale obbligo
pubblicitario.

La pubblicità dell’impresa ruota attorno all’istituto del registro delle imprese, ossia
un registro pubblico previsto dal legislatore del ’42 con la funzione di fungere da
collettore di fatti e atti di impresa per i quali è prescritto l’obbligo di pubblicità.

In particolare, il registro delle imprese è affidato alla gestione delle camere di


commercio di ogni provincia e, specificamente, al segretario generale o ad un
altro soggetto che ha funzioni dirigenziali, che funge da conservatore, sotto la
vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale (c.d. giudice del
registro), che funge da organo giudiziale competente di curare inizialmente le
controversie riguardanti i procedimenti di iscrizione e di deposito.

Il registro delle imprese, inoltre, è tenuto secondo tecniche informatiche e si


presenta nella forma di una “banca dati” di tutte le imprese soggette all’obbligo di
iscrizione e di tutti i fatti o gli atti per cui la legge impone l’obbligo di pubblicità.
Esso è consultabile tramite terminale ed è disponibile in tempo reale su internet sul
portale della camera di commercio.

Tale registro, si articola in sezioni: una sezione ordinaria e diverse sezioni speciali.

La sezione ordinaria e le relative iscrizioni.

23 Valentina Gilardoni
La sezione ordinaria è destinata ad accogliere le imprese commerciali non
piccole, le forme giuridiche commerciali (le società commerciali e le cooperative)
e le altre forme giuridiche (gli enti pubblici economici, i consorzi) per le quali il
codice civile prevede un obbligo di iscrizione, con l’aggiunta di due forme
giuridiche, una di fonte europea e l’altra di fonte interna. Art 2195

L’iscrizione deve avvenire attraverso la presentazione di una domanda che nella


società coincide con l’atto costituivo. Le informazioni sono quelle relative gli
elementi dell’assetto organizzativo strutturale dell’impresa stabilite dall’art.
2196, co.1 e cioè:

1. le generalità dell’imprenditore

2. l’eventuale ditta

3. l’oggetto dell’impresa

4. la sede dell’impresa

5. gli eventuali institori e procuratori.

6. Ad esse, si è aggiunta recentemente anche la posta elettronica certificata che


inizialmente era richiesta solo per le società.

A queste informazioni se ne aggiungono altre durante lo svolgimento


dell’iniziativa che variano a seconda del contesto soggettivo di riferimento (ad es.
l’eventuale autorizzazione alla continuazione dell’impresa di un incapace; la
sentenza dichiarativa di fallimento ecc.).

L’iscrizione deve essere richiesta entro il termine di trenta giorni dall’inizio


dell’impresa o dal verificarsi del fatto o dell’atto oggetto di pubblicità (ad es.
l’istituzione di una sede secondaria, la modifica degli atti o dei fatti già pubblicati,
ecc.). Una tempistica diversa, invece, è riferita all’obbligo di pubblicità delle società
di capitali.

L’iscrizione è, inoltre, subordinata ad un controllo finalizzato ad accertare la


sussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’iscrizione. Tale controllo è
volto a verificare, in primo luogo, il rispetto del principio di tipicità e cioè che sia
un’iscrizione prescritta dalla legge, in secondo luogo, la regolarità formale della
domanda con cui si richiede l’iscrizione. Questo controllo è esercitato
normalmente dall’ufficio del registro (art. 2189, co.2) ma è stato devoluto
recentemente al pubblico ufficiale (ad es. notaio) per le iscrizioni richieste dalle
imprese diverse dalle società azionarie sulla base di un atto pubblico o di una

24 Valentina Gilardoni
scrittura privata autentica (legalità formale, veridicità del fatto e dell’atto per cui si
chiede l’iscrizione; legalità sostanziale, validità dell’atto stesso).

Peraltro, se l’iscrizione avviene senza che ricorrano le condizioni previste dalla


legge, è possibile porre rimedio attraverso la cancellazione d’ufficio, che è
ordinata dal giudice del registro con decreto, sentito l’interessato (art. 2191).

EFFETTI: DICHIARATIVO, NORMATIVO E COSTITUTIVO

Bisogna anche aggiungere che l’iscrizione comporta degli effetti.


Anzitutto, l’iscrizione ha un’efficacia dichiarativa, in forza della quale, una volta
che si perfeziona, determina una presunzione di conoscenza del fatto o dell’atto
per il quale la legge prescrive l’obbligo di pubblicità, con cui la relativa informazione
si considera conosciuta senza bisogno di accertare che lo sia in concreto (ad es.
dopo che è stato iscritto il trasferimento della sede dell’impresa, ogni dichiarazione
recettizia inviata dai terzi presso la vecchia sede, non produce più i propri effetti, in
quanto non indirizzata correttamente al suo destinatario, a prescindere dal fatto che
il mittente ignorasse in concreto il mutamento della sede).

Inizialmente, tale presunzione era assoluta fin da subito con riferimento a tutti gli
atti o i fatti iscritti (art. 2193, co. 2), senza alcuna possibilità per i terzi di contestare
la propria ignoranza. Successivamente, il diritto europea ha imposto di rendere tale
presunzione relativa per i primi quindici giorni di iscrizione con riferimento ai
soli fatti o atti delle società di capitali, consentendo ai terzi in questo lasso di
tempo di superare la presunzione di conoscenza dimostrando l’impossibilità ad
acquisire l’informazione oggetto di iscrizione. La presunzione diventa poi
assoluta dal sedicesimo giorno.

Per contro, nel caso in cui l’iscrizione obbligatoria sia stata omessa, si verifica
una presunzione di ignoranza dei fatti o degli atti che avrebbero dovuto essere
iscritti (ad es. la mancata iscrizione del trasferimento della sede d’impresa, fa sì che
tutte le dichiarazioni recettizie inviate dai terzi presso la vecchia sede producano i
propri effetti come se fossero state indirizzate al destinatario presso la sua attuale
sede effettiva). La presunzione di ignoranza è sempre relativa e può essere
superata dall’imprenditore se dimostra che, nonostante l’omissione di pubblicità, il
fatto o l’atto da pubblicare era comunque conosciuto (e non semplicemente
conoscibile) da parte del terzo.

All’efficacia dichiarativa, talvolta, si aggiunge un’efficacia normativa, nel senso che


l’obbligo pubblicitario costituisce una condizione per rendere applicabile una
certa disciplina (ad es. l’iscrizione di una società commerciale di persone

25 Valentina Gilardoni
rappresenta una condizione per rendere applicabile alla società la disciplina della
società regolare. Invece, in mancanza di iscrizione, la disciplina che si applica alla
società è diversa ed è quella società irregolare). VALE PER LE SNC E SAS. Non è un
requisito di esistenza della società stessa, ma se le iscrivo si applicherà una
determinata disciplina, ovvero quella della società regolare

Dall’efficacia normativa si distingue poi l’efficacia costitutiva riconosciuta


all’iscrizione delle società di capitali e ad alcune decisioni sociali di queste ultime
società (come quelle modificative dell’atto costitutivo).
Si ritiene che tali iscrizioni abbiano l’effetto di far venire ad esistenza la società e
di rendere operative le modifiche apportate al suo codice organizzativo: in altre
parole, l’atto produce effetti solo con l’iscrizione. (spa, srl, sapa)

Le sezioni speciali e le relative iscrizioni

Le sezioni speciali sono state previste, invece, con l’obiettivo di razionalizzare le


diverse forme di pubblicità gestite dalla camera di commercio. In particolare,
queste sezioni nascono con l’obiettivo di farvi confluire le imprese e le forme
giuridiche che non trovano spazio nella sezione ordinaria, in quanto imprese
diverse da quelle commerciali non piccole o forme giuridiche per le quali non è
previsto un obbligo di pubblicità nelle norme del codice civile.

Inizialmente, venivano istituite tante sezioni speciali ad hoc per ogni tipologia di
impresa e forma giuridica obbligata ad iscriversi. Successivamente, queste sezioni
sono state riunite in un’unica sezione in cui devono prendere iscrizione: i titolari di
imprese agricole, i titolari di piccole imprese, le società semplici; e devono essere
annotati: i titolari di imprese artigiane e i loro consorzi (le imprese artigiane
appartengono al genus delle imprese commerciali e, in quanto tali, se non piccole
sarebbero già iscritte nella sezione ordinaria, se piccole, sarebbero già annotate in
quelle speciali). art.

Nel corso degli anni sono state istituite altre cinque sezioni speciali qualificate come
sezioni apposite.

1. Sezione speciale riservata alle società tra avvocati e ora generalizzata a tutte le
società tra professionisti.

2. Sezione apposita riservata agli enti e alle società che esercitano o sono
assoggettati al coordinamento e alla direzione altrui (società ed enti di gruppo).

3. Sezione riservata agli enti titolari in imprese sociali.

26 Valentina Gilardoni
4. Sezione apposita nella quale le società di capitali possono replicare i fatti e gli
atti già iscritti nella sezione ordinaria con una traduzione giurata di un esperto
in un’altra lingua ufficiale dell’Unione Europea.

5. Sezione riservata alle imprese di start-up innovative (cioè imprese che


sviluppano, producono e commercializzano prodotti o servizi innovativi ad alto
valore tecnologico).

È stato messo in dubbio se a tali iscrizioni può continuare a riconoscersi l’effetto di


pubblicità notizia, ossia la mera conoscibilità di fatto delle informazioni rese
disponibili.
Tali incertezze decadono solo se si consideri che l’art. 8, l. 580/1993 è stato
riformulato ad opera dell’art. 1, co. 10, d.lgs. 23/2010 che, al co. 5 ripropone che
nelle sezioni speciali le iscrizioni producono sempre effetti di pubblicità notizia,
salvo che non sia disposto diversamente nel dato normativo. Una disposizione
riguarda le imprese agricole, per cui è prevista efficacia dichiarativa dell’iscrizione
(art. 2193).

Il deposito. Le indicazioni negli atti e nella corrispondenza.

La pubblicità di impresa si realizza non solo attraverso la tecnica dell’iscrizione


ma anche attraverso il deposito. Prescritto per alcuni atti, tra i quali si annovera il
bilancio d’esercizio delle società di capitali e cooperative, per i quali non sarebbe
pensabile o sensato prevedere un’iscrizione e gli effetti che ad essa si associano. La
pubblicità di impresa si completa poi con il dovere di indicare negli atti e nella
corrispondenza il registro delle imprese in cui si è presa iscrizione e il numero di
iscrizione. Per le società di capitali va indicata anche nell’eventuale spazio
elettronico.

ESERCIZI

1. Tizio intende avviare un’impresa di produzione di macchine agricole ed apprende


che deve adempiere ad un obbligo di pubblicità relativo ad alcune informazioni
riguardanti l’impresa. Di che obbligo si tratta e come questo va adempiuto? che
informazioni deve riguardare?

Un’attività di produzione di macchine agricole consiste in un’impresa commerciale.


Per tali imprese vi è l’obbligo di pubblicità, ovvero l’obbligo di iscrizione al registro
d’impresa. Si tratta di un obbligo pubblicitario minimo che secondo il principio di
tipicità richiede l’iscrizione di tutte e solo quelle informazioni richieste dalla legge.

27 Valentina Gilardoni
A causa della tipologia d’impresa è richiesta l’iscrizione nella sezione ordinaria, che
richiede le seguenti informazioni:

• Generalità dell’imprenditore

• Eventuale ditta

• Sede dell’impresa

• Oggetto dell’impresa

• Eventuali institori e procuratori

• Posta elettronica
A queste informazioni se ne aggiungeranno altre durante lo svolgimento d’impresa.
L’iscrizione deve avvenire entro 30 giorni.

2. Al fine di fare pubblicità “a basso costo” della sua impresa di produzione di


macchine agricole, Tizio si rivolge al registro delle imprese per chiedere la possibilità
di depositare dei dépliant illustrativi la tipologia di produzione, i mercati serviti e i
risultati economici degli ultimi tre anni. Potrà ottenere l’iscrizione di tali dépliants
nella sezione ordinaria o in una delle sezioni speciali? In caso di risposta negativa,
cosa succederebbe nel caso in cui detti dépliants fossero comunque iscritti per
errore (nella sezione ordinaria)?

Non è possibile per l’imprenditore inserire nel registro dell’impresa informazioni che
non siano previste dalla legge, secondo il principio di tipicità. Nel caso in cui non
vengano rispettate le condizioni del principio di tipicità, o la regolarità formale della
domanda con cui avviene l’iscrizione, previste dal controllo dell’ufficio del registro
dell’impresa, avviene la cancellazione d’ufficio, che è ordinata dal giudice del
registro con decreto.

28 Valentina Gilardoni
SEZIONE 3 - ORGANIZZAZIONE E CIRCOLAZIONE DELL’IMPRESA
LA STRUTTURA DELL’ORGANIZZAZIONE

Non sono prevosto specifici strumenti giuridici di organizzazione.Nella struttura


organizzativa dell’impresa esiste una definizione giuridica: “il complesso dei beni
organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” forma l’azienda - art 2555.

Questa tuttavia non è disciplinata come tale. Viene in rilievo, sotto profilo giuridico,
solo quando è oggetto di atti di disposizione, ovvero quando per vendita
concessione in godimento, si realizza una sostituzione del soggetto che esercita
l’impresa.

L’organizzazione della struttura decisionale

Il diritto commerciale si applica della dimensione funzionale e precisamente della


struttura decisionale dell’impresa in cui si articolano i poteri decisionali e da cui
promanano gli atti dell’impresa.

L’imprenditore o gli amministratori non curano personalmente ogni atto, ma


demandano taluni poteri ai collaboratori che agiscono in nome e per conto del
titolare.

Il codice disciplina le figure funzionali che operano all’interno dell’apparato


organizzativo e ne regola la posizione e i poteri: gli institori, i procuratori e i
commessi. Anche altri possono operare nel potere decisionale, ma dall’esterno: i
collaboratori autonomi, alla quale sono legati da rapporti contrattuali di diritto
privato: mandatari, agenti, mediatori.

La disciplina non guarda la piccola impresa, né quella agricola, sebbene oggi la


struttura decisionale di questa possa essere comparabile a quella di un’impresa
commerciale.

I COLLABORATORI INTERNI DI IMPRESA

Il dato normativo prevede tre tipologie di collaboratori interni di impresa,


distinguendoli a seconda del posto occupato nell’ambito dell’apparato
organizzativo e dei poteri attribuiti ad ognuna di esse per il completamento delle
mansioni affidate.

1. La prima figura è l’institore, termine con il quale si identificano i collaboratori


posti al vertice dell’organigramma di impresa. Essi sono preposti all’esercizio
dell’impresa, ad una serie secondaria o ad un ramo particolare e sono dei veri e
propri alter ego dell’imprenditore o dei soggetti con qualifiche dirigenziali,

29 Valentina Gilardoni
noti come direttori generali, direttori di filiale o responsabili di uno specifico
settore produttivo.

2. La seconda figura è il procuratore, termine con il quale si identificano i


collaboratori che occupano un livello intermedio nell’organigramma
dell’impresa. Essi sono preposti al compimento di atti relativi all’esercizio
dell’impresa e riconducibili ad una specifica funzione che può essere gli
acquisti, le vendite, il marketing, ecc. Essi sono soggetti che hanno qualifiche
dirigenziali in uno di questi ambiti funzionali e sono noti come direttori del
personale, responsabili del servizio commerciale, della comunicazione, ecc.

3. La terza figura sono i commessi, termine con il quale si identificano i


collaboratori che occupano il livello più basso nell’organigramma
dell’impresa. Essi sono preposti al compimento delle specifiche operazioni di
cui sono incaricati e sono quindi soggetti con qualifiche essenzialmente
esecutive.

Ciascuna di queste figure è investita di poteri necessari al compimento delle


proprie mansioni:

• decisori, che consentono ai singoli collaboratori di assumere le decisioni che


rientrano nel proprio ambito operativo,

• dichiaratori, che consentono ai medesimi collaboratori di dare esecuzione


alle decisioni prese, attraverso la stipulazione di atti negoziali e di contratti con i
terzi.

• il potere di rappresentanza, nel senso che attribuisce ad ogni collaboratore


poteri di gestione esterna (di rappresentanza) coerenti rispetto ai poteri di
gestione interna (decisori), legittimandolo, quindi, al compimento di tutti gli atti
necessari ad attuare le decisioni prese nell’esercizio delle sue funzioni.

Il dato normativo, partendo dal presupposto che l’imprenditore avvalendosi di


collaboratori non fa altro che articolare il processo decisionale dell’impresa, fa sì
che ciascuno di essi sia un vero e proprio centro decisionale e, di conseguenza,
adegua al potere decisionale così decentrato

Nel caso in cui si voglia apportare limitazioni ai poteri naturali, cioè che
appartengono normalmente, ad un collaboratore (che possono essere limitazioni
qualitative o quantitative), occorre uno specifico atto che prende il nome di
procura.
In questo caso, si pone il problema di come rendere opponibili ai terzi i limiti

30 Valentina Gilardoni
contenuti nella procura, in particolare quelli che interessano il potere di
rappresentanza. Tale problema viene risolto attraverso l’assoggettamento della
procura ad un regime di pubblicità: alla pubblicità di impresa, mediante l’iscrizione
della procura stessa nel registro delle imprese, nel caso sia rilasciata all’indirizzo
degli institori o dei procuratori; alla pubblicità di fatto rendendo conoscibile la
procura con mezzi idonei, nel caso in cui sia rilasciata all’indirizzo dei commessi.

In assenza di tale pubblicità, la procura e i limiti che essa contiene, non può
essere opposta ai terzi, a meno che non si provi che questi ultimi erano comunque
a conoscenza dei relativi limiti. L’inopponibilità fa sì che la violazione di tali limiti da
parte dei collaboratori non abbia alcuna conseguenza all’esterno e non
pregiudichi l’efficacia degli atti posti in essere. Pertanto, la violazione avrà
conseguenze solo all’interno dell’impresa ed esporrà il collaboratore coinvolto in
tale violazione ad un’eventuale azione di responsabilità per i danni arrecati
all’imprenditore.

all’institore e al procuratore vengono riconosciuto poteri di rappresentanza generale.


La legge presuppone che a queste nomine consegua il conferimento di determinati
poteri, ovvero il potere di compiere tutti gli atti di gestione di impresa. Nel
procuratore vi è la limitazione che i poteri sono limitati al suo settore operativo

L’institore

L’institore è il collaboratore preposto all’esercizio dell’impresa (art. 2203, co.1)


o ad una sola parte di essa, che può essere rappresentata da una sede
secondaria o da un ramo particolare.

Può esservi un unico institore o possono esservi più institori: uno preposto
all’impresa e uno o più ad ogni sua articolazione organizzativa o funzionale.
Nel caso in cui vi siano più institori, essi agiscono disgiuntamente, cioè ognuno
agisce indipendentemente dall’altro o dagli altri, rispetto all’ambito operativo
assegnato ad ognuno di essi. Essi agiscono disgiuntamente anche nel caso in cui vi
siano più institori per uno stesso ambito operativo. Infatti, un’eventuale azione
congiunta, costituirebbe una limitazione dei poteri dell’institore, che deve risultare
da un’apposita procura.

L’institore può compiere tutti gli atti pertinenti all’impresa (art.2204) cioè può
decidere e fare tutto ciò che sia congruo rispetto all’iniziativa gestita, salva poi la
necessità di verificare la congruità a seconda della natura degli atti posti in essere e
della circostanza in cui quegli atti sono stati posti in essere. La valutazione della
congruità è qualcosa che può essere fatto solo ex post, cioè dopo il compimento

31 Valentina Gilardoni
dell’atto, al fine di accertare se in base alla nature e alle circostanze quell’atto risulta
o meno compatibile con l’impresa gestita. Di conseguenza, l’institore non può
spingersi al di là della gestione dell’impresa, come ad es. alienare l’azienda o
cambiare l’oggetto dell’impresa gestita; non può alienare o ipotecare neanche gli
eventuali immobili di cui l’azienda si compone.

Peraltro, come già detto in precedenza, all’institore possono essere apportate


ulteriori limitazioni ai suoi poteri da parte dell’imprenditore attraverso il rilascio di
una procura. Tali ulteriori limiti devono poter essere resi opponibili nei confronti dei
terzi, il che si realizza attraverso la pubblicità della procura nel registro delle
imprese, che fa scattare una presunzione assoluta di conoscenza riguardo al suo
contenuto. L’eventuale omissione della pubblicità della procura stessa non
consente di rendere opponibili ai terzi i limiti in essa contenuti, salvo che non
si provi che i terzi ne erano comunque a conoscenza (art. 2206).

L’institore aggiunge ai poteri sostanziali i poteri processuali, potendo stare in


giudizio per l’imprenditore come attore o convenuto.
Inoltre è tenuto, assieme all’imprenditore, all’osservanza delle disposizioni
riguardanti le scritture contabili e la pubblicità commerciale (art. 2205), cioè è
tenuto all’osservanza degli obblighi di impresa.

Poi, è tenuto a spendere il nome dell’imprenditore; in caso di omissione, diventa


titolare di tutti gli atti compiuti a proprio nome. Tuttavia, se si tratta di atti
pertinenti all’impresa, si affianca anche la responsabilità dell’imprenditore (art.
2208).

Il procuratore

Il procuratore è il collaboratore che compie atti pertinenti all’esercizio


dell’impresa, pur senza esservi preposto.

Per questa figura non vi è una vera e propria disciplina specifica, ma ad essa è
dedicato solo l’art. 2209, che rinvia agli art. 2206 e 2207 dettati per l’institore, con
riferimento alla pubblicità, alla modifica e alla revoca della procura.

Da parte di qualcuno si è tratta la conclusione che il procuratore sia una figura di


decentramento della sola attività dichiarativa, cioè dotata solo di poteri di
rappresentanza e quindi priva di poteri decisionali; ma tale conclusione non è
condivisa dall’opinione prevalente che è, invece, dell’avviso che il procuratore
abbia anche poteri decisionali, seppur circoscritti al proprio ambito operativo.

32 Valentina Gilardoni
Non essendo preposto all’impresa o ad una parte di essa, il procuratore non ha
rappresentanza processuale. Per la stessa ragione, su di lui non incombono
doveri relativi all’impresa, come l’obbligo di tenuta delle scritture contabili, di
pubblicità e non si può presentare, in nessun caso, neanche la responsabilità del
preponente in caso di omessa spendita nel compimento di atti di impresa.

I commessi

I commessi sono collaboratori che compiono gli atti che comporta


ordinariamente la specie di operazioni per cui sono incaricati.

Essi hanno poteri decisori e dichiaratori nell’ambito delle operazioni che sono
incaricati di porre in essere. Tuttavia, tali poteri sono perlopiù dichiaratori in quanto
si tratta essenzialmente di operazioni prive di autonomia funzionale e
necessitando di essere eseguite con i terzi con cui l’impresa entra in contatto.
Per questo motivo, il dato normativo detta delle specifiche disposizioni che
riguardano il momento della conclusione dei contratti (art. 2211 e 2212) e della
vendita (art. 2210 e 2213).

1. Non possono esigere il prezzo delle merci per le quali non fanno consegna

2. Non possono concedere dilazioni o sconti a proprio piacimento

3. Non hanno il potere di derogare dalle condizioni generali del contratto

4. Sono autorizzati a ricevere per conto dell’imprenditore le dichiarazioni che


riguardano l’esecuzione del contratto e i reclami relativi alle inadempienze

5. Sono legittimati a chiedere provvedimenti cautelari nell’interesse


dell’imprenditore

6. Possono esigere il prezzo delle merci vendute. Fuori dai locali dell’impresa non
possono esigere il prezzo se non sono autorizzati.

ESERCIZI

Tizio prepone Caio al ramo d’impresa deputato alla produzione delle macchine per
la raccolta e la pressa delle olive. Decide, però, di fissare un limite ai poteri di Caio,
stabilendo l’obbligo di una sua preventiva autorizzazione scritta, nel caso di
operazioni di valore superiore a 1.000.000 euro. Tizio rilascia una siffatta limitazione
attraverso un ordine di servizio da lui stesso sottoscritto. Dopo qualche tempo Caio
procede alla vendita di una pressatrice particolarmente evoluta e sofisticata del

33 Valentina Gilardoni
valore di 1.500.000 euro. Inoltre, Caio acquista da un cliente abituale delle
confezioni di olive in salamoia particolarmente pregiate, da omaggiare ai clienti che
acquistano macchinari per oltre 1.000.000 euro. Quale potrebbe essere la reazione
di Tizio una volta venuto a sapere della stipulazione di tali contratti?

La tipologia di reazione è legata alla circostanza che la limitazione apposta ai poteri


di Caio sia stata o meno pubblicata nel registro delle imprese. Se la procura è stata
pubblicata, il contratto di vendita sarebbe inefficace per Tizio (salvo che non lo
ratifichi). Se invece la procura non è stata pubblicata, Tizio dovrebbe adempiere al
contratto di vendita, a meno di provare che l’acquirente sapesse in concreto
dell’esistenza del limite. L’inopponibilità fa si che la violazione i tali limiti non abbia
alcuna conseguenza all’esterno, così che tutti gli atti svolti violando la procura
abbiano comunque effetto. La violazione avrà conseguenza solo all’interno.
L’imprenditore potrà esporre il violatore a un’azione di responsabilità per o danni
arrecati.

Il discorso è diverso con riferimento al secondo contratto (relativo all’acquisito di


confezioni di olive). Al riguardo, bisogna vedere se un contratto di questo tipo possa
essere considerato atto pertinente all’impresa: nel caso di risposta affermativa, il
contratto sarebbe valido ed efficace e quindi, vincolerebbe Tizio; nel caso di
risposta negativa, il contratto sarebbe inefficace e, quindi, non produrrebbe alcun
effetto nei confronti di Tizio (salvo che quest’ultimo non decida di ratificarlo).

34 Valentina Gilardoni
8. I PRESIDI ORGANIZZATIVI
Sotto il profilo delle modalità organizzative ed operative, il principio fondamentale è
quello di libertà dell’imprenditore. Tuttavia vi sono alcuni importanti presidi
organizzativi, obblighi diretti ad assicurare una gestione sana e consapevole di
impresa: il principio di adeguatezza e la documentazione.

L’ADEGUATEZZA DELLA STRUTTURA ORGANIZZATIVA

Art 2086 principio di adeguatezza della struttura organizzativa:

L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un


assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle
dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della
crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi
senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti
dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità
aziendale.

Non allude all’imprenditore individuale, perché generalmente tali imprese hanno


struttura elementare, incentrata sull’imprenditore, ma nel caso in cui sia complessa,
bisogna estendere tale principio anche all’impresa individuale.

Si tratta di assicurare che:

A. I fattori produttivi disponibili siano congrui rispetto al programma imprenditoriale

B. L’articolazione del procedimento decisionale interno all’impresa sia coerente in


relazione alla complessità dell’iniziativa

C. I centri decisionali siano sorretti da un sistema informativo capace di mettere


nelle condizioni di assumere decisioni ponderate

D. Il sistema informativo sia in grado di intercettare segnali di crisi, mettendo nelle


condizioni gli amministratori di attivare tempestivamente strumenti per affrontare
la situazione.

LA DOCUMENTAZIONE D’IMPRESA

La disciplina dell’impresa stabilisce un obbligo di documentazione di impresa e, in


particolare, si tratta dell’obbligo di dare rappresentazione scritta dei diversi
accadimenti relativi allo svolgimento dell’attività dell’impresa, che viene realizzato
attraverso l’obbligo di tenuta delle scritture contabili.

36 Valentina Gilardoni
Tale obbligo viene indicata dal legislatore come regola di buona gestione, con
l’obiettivo di creare le condizioni per una conduzione razionale ed efficiente
dell’impresa e di accrescere il livello di tutela dei terzi coinvolti nell’impresa e,
soprattutto, di coloro che hanno finanziato l’impresa a titolo di capitale di credito,
condizione di tutela dei creditori.

Ciò in quanto, attraverso le scritture contabili, l’imprenditore può avere un riscontro


ex post di come si è svolta l’iniziativa e di accertare se i risultati che ne sono
derivati sono in linea con quanto era stato programmato ex ante: in questo modo è
possibile decidere in maniera consapevole se è il caso di proseguire regolarmente la
gestione, o riprogrammare o arrestarla del tutto: strumento di controllo finanziario.

Il piccolo imprenditore non è tenuto all’obblio delle scritture contabili.

Le scritture contabili obbligatorie

Il dato normativo stabilisce un criterio di carattere generale per determinare tale


obbligo: in particolare, impone la tenuta delle scritture contabili che siano richieste
dalla natura e dalla dimensione dell’impresa, le quali perciò possono variare da
impresa a impresa (art. 2214).

Il dato normativo fissa comunque due scritture contabili obbligatorie minime,


cioè che vanno tenute a prescindere dalla natura e dalla dimensione dell’impresa,
vale a dire il libro giornale e il libro degli inventari (art 2214).

Il libro giornale è la scrittura contabile nella quale vanno indicate giorno per giorno
tutte le operazioni relative all’esercizio dell’impresa (art. 2216) secondo l’ordine con
il quale si susseguono; essa perciò è una scrittura che va tenuta secondo un criterio
cronologico.
Nel libro giornale vanno rilevati i fatti di gestione nel loro profilo patrimoniale e
reddituale, cioè accertandone l’impatto sulla consistenza del patrimonio d’impresa
e sulla formazione del risultato d’esercizio.

Il libro degli inventari è la scrittura contabile nella quale vengono indicate e


valutate le attività e le passività relative all’impresa e quelle estranee alla stessa
(art. 2217), ed è perciò una scrittura che va tenuta secondo un criterio sistematico.

Il libro degli inventari deve dare notizia di tutto il patrimonio dell’imprenditore.


Infatti, gli elementi da cui è costituito devono essere indicati e valutati, vale a dire
che devono essere riportati in forma descrittiva e poi, nel caso in cui si prestino ad

37 Valentina Gilardoni
essere valutati, anche attraverso la loro valutazione.
L’inventario deve essere redatto all’inizio dell’impresa (c.d. inventario iniziale) e poi
con cadenza annuale (c.d. inventario annuale). Quest’ultimo si chiude con il
bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite (c.d. bilancio d’esercizio).

Il bilancio di esercizio

Il bilancio di esercizio è composto da quattro documenti: lo stato patrimoniale, il


conto economico, il rendiconto finanziario e la nota integrativa.

• Lo stato patrimoniale contiene gli elementi attivi e passivi suscettibili di


valutazione economica e pertinenti all’impresa

• Il conto economico contiene i componenti positivi (ricavi) e negativi (costi) di


reddito

• Il rendiconto finanziario evidenzia la composizione della disponibilità liquide


dell’impresa e le relativa variazione avvenuta nell’esercizio per effetto della
gestione caratterista delle operazioni di investimento e di finanziamento

• La nota integrativa è infine un documento descrittivo che serve a rendere chiari i


documenti quantitativi.

Nell’ordinamento giuridico italiano manca una disciplina giuridica generale sul


bilancio di esercizio. Essa è prevista soltanto nel diritto della società per azioni;
peraltro, questa disciplina è in qualche modo richiamata nel diritto delle altre società
di capitali e delle cooperative.

Resta, invece, aperta la questione su quale disciplina debba applicarsi al bilancio


d’esercizio delle imprese che assumono una forma giuridica diversa dalle società
di capitali, dalle società per azioni e dalle cooperative. Tale questione risulta solo
parzialmente risolta dall’art. 2217, co. 2, il quale generalizza la disciplina del
bilancio delle società per azioni nella parte relativa alle valutazioni (art. 2426) che
trova applicazione nei bilanci di tutte le imprese.

Le scritture contabili devono essere conservate (assieme alla corrispondenza e alle


fatture spedite e ricevute: art. 2220) per dieci anni dall’ultima registrazione.

Infatti le scritture contabili svolgono un’importante funzione di prova relativa


all’esistenza di obbligazioni e/o diritti, quindi possono costituire mezzi di prova.

38 Valentina Gilardoni
• Al termine del primo anno di gestione Tizio si chiede se è obbligato alla redazione
di un bilancio d’esercizio e si rivolge ad un esperto in diritto dell’impresa (lo
studente). Quale sarà la risposta dell’esperto?

L’imprenditore che esercita attività commerciale è tenuto ad obbligo minimo di


libro giornale e libro degli inventari, che contiene il bilancio. Se Tizio esercita
attività commerciale e non è piccolo imprenditore è obbligato alla redazione del
bilancio. Non c’è una disciplina giuridica uniforme per la redazione del bilancio, le
uniche norme sono quelle per la società per azioni. Se siamo di fronte a una
società di persone, non so è costretti a un contenuto o una forma rigida. Per
quanto riguarda le valutazioni saranno le medesime previste per le società
cooperative e per azioni (art. 2117)

39 Valentina Gilardoni
SEZIONE QUARTA - IL COMPLESSO ORGANIZZATIVO E LA
“CIRCOLAZIONE” DELL’IMPRESA
L’AZIENDA
Lo svolgimento dell’attività d’impresa, richiede sempre l’allestimento di un apparato
produttivo, composto da diversi fattori che vengono coordinati ed assoggettati al
perseguimento dell’obiettivo economico. Questo apparato costituisce l’azienda, che
è definita dal codice civile come il complesso di beni che l’imprenditore organizza
per l’esercizio dell’impresa.

La nozione di azienda.
Dal punto di vista economico, l’azienda ha una rilevanza unitaria, perché
l’aggregazione dei diversi fattori consente di conseguire un risultato che gli stessi,
presi singolarmente, non sono idonei a raggiungere.

La cessione dell’azienda implica non solo la trasmissione di una pluralità di


beni, ma determina anche l’alternarsi di un imprenditore.
Proprio per il fatto che l’azienda rappresenta un’entità unitaria che va oltre i singoli
elementi, si individua tra i beni aziendali “un vincolo di interdipendenza e
complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo”.
Tale vincolo è dato dall’organizzazione, ossia dal coordinamento dei diversi
elementi da parte dell’imprenditore, che viene attuata attraverso un progetto
imprenditoriale.

L’attitudine a produrre nuova ricchezza e alla maturazione di un reddito, rappresenta


l’avviamento dell’azienda, il cui valore viene iscritto nel bilancio. Esso rappresenta il
maggior valore del complesso rispetto alla somma di quelli dei singoli beni.
L’avviamento non costituisce un bene a sé stante, ma rappresenta una qualità
intrinseca ad ogni azienda, che non può essere ceduta separatamente, ma che
contribuisce alla determinazione del prezzo. Avviamento oggettivo: dipende da
fattori intrinseci allo stesso complesso, mentre rimane estraneo alla determinazione
del prezzo l’avviamento soggettivo: componente che dipende dalle abilità e dalla
reputazione personale dell’imprenditore.

L’azienda può essere costituita da un insieme di beni che, giuridicamente, conserva


la propria autonomia e rimane oggetto di posizioni giuridiche indipendenti.
Inoltre, non è necessario che l’imprenditore sia proprietario di ciascuno di questi

40 Valentina Gilardoni
beni, ma è sufficiente che agli abbia un titolo giuridico per poterne godere
(immobile in locazione presso il quale viene esercitata l’attività).

L’azienda è un complesso di beni mutevole, la cui composizione varia


quotidianamente per effetto dell’ingresso di nuovi elementi e dalla cessione di altri.
Essa si costituisce anche nel caso in cui debbano ancora essere inseriti o siano
venuti meno alcuni elementi, purché questi non siano beni essenziali. Un bene si
definisce essenziale quando rappresenta un elemento primario in tale ambito di
attività.
L’azienda quindi, viene ad esistenza quando si è formato un complesso
identificabile in relazione all’ambito di attività in cui è destinata ad operare in un
concreto contesto economico. L’azienda può esistere indipendentemente dall’avvio
dell’attività e non viene meno nel caso in cui questa cessi, fino a quando l’insieme
non viene disgregato (un’azienda di trasporti non perde la propria identità per
effetto dell’interruzione dell’impresa finché permangono le vetture, una clientela,
rapporti di lavoro ecc).

All’interno del complesso aziendale, si possono individuare eventuali sottoinsiemi


dotati della stessa autonomia funzionale sul piano produttivo. Questi sono i rami
d’azienda; essi costituiscono delle parti dell’agglomerato aziendale, isolabili da
esso e destinabili all’esercizio di un’impresa. L’art. 2112 definisce il ramo come
una parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di
un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal
cessionario al momento del suo trasferimento.
Non è necessario che sussista una completa separazione organizzativa, né che sia
tenuta una contabilità separata. La circolazione autonoma del ramo è soggetta
alle regole della cessione d’azienda.

Il trasferimento dell’azienda

La fattispecie principale è quella del “trasferimento della proprietà” sul


complesso, ossia della cessione del fascio di posizioni giuridiche possedute
dall’alienante, su ciascuno degli elementi aziendali; si tratta, quindi, di trasferire
rispettivamente la proprietà dei beni e i diritti reali o personali di godimento sui beni.

Il “trasferimento dell’azienda” non costituisce un tipo negoziale autonomo ma, a


seconda dello schema prescelto dalle parti, può aversi una compravendita, una
donazione, una permuta ecc. a cui si applica integralmente la rispettiva disciplina
negoziale.

41 Valentina Gilardoni
Il trasferimento dell’azienda è valutato e regolato in quanto è finalizzato ad
immettere l’acquirente nel contesto imprenditoriale servito dall’azienda stessa e
pertanto costituisce un sottotipo contrattuale il cui scopo non consiste
esclusivamente nella cessione di uno o più beni. Nel trasferire l’azienda è
sufficiente che le parti la identifichino in base ad elementi estrinseci (la
localizzazione, la ditta, il settore di attività ecc.), perché l’effetto negoziale coinvolga
tutti i singoli elementi che attualmente la compongono.

Allo stesso modo, non è impedito alle parti che intendono trasferire l’azienda, di non
trasferire tutti i beni; ma per fare ciò è necessario che esse specifichino quali sono
quelli destinati a rimanere all’alienante. Tale esclusione è possibile solo se non si
tratti di elementi essenziali del complesso, anche se è bene precisare che
l’esclusione di un bene essenziale non comporta l’invalidità del negozio, ma
semplicemente la sua non qualificabilità come “trasferimento d’azienda” ed è
dunque un atto negoziale che rimane estraneo all’ambito di applicazione degli art.
2556 ss.

La forma e la pubblicità del contratto


In generale, il contratto traslativo dell’azienda è a forma libera, a meno che una
determinata forma non sia richiesta dalla natura del contratto stesso. Ciò significa
che l’azienda non ha una propria legge di circolazione ed è assoggettata allo statuto
dei diversi tipi contrattuali attraverso cui può essere ceduta e dei diversi beni che la
compongono. Inoltre, deve anche rispettare le prescrizioni pubblicitarie relative al
trasferimento di ciascun bene.

L’art. 2556 impone la forma scritta ad probationem (quando la forma richiesta non
influisce sulla validità del negozio ma costituisce l'unico mezzo per provare
l'esistenza di quel negozio), quando il contratto ha ad oggetto aziende relative ad
imprese soggette a registrazione (quelle commerciali).
Lo stesso art. 2556 dispone poi che il contratto, redatto in forma di atto pubblico o
per scrittura privata, deve essere depositato per l’iscrizione nel registro delle
imprese, a cura del notaio. La disposizione, realizzando in questo modo gli obiettivi
di trasparenza, persegue non solo l’interesse del sistema pubblicitario, ma anche
quello pubblico al contenimento dei rischi di riciclaggio del denaro frutto di attività
illecite. Il presupposto per la sua applicazione è che il contratto sia redatto in una
delle forme indicate, non per la validità del negozio, ma solo al fine di permettere
l’adempimento dell’obbligo di deposito.

42 Valentina Gilardoni
Soggetti all’obbligo di iscrizione sono i trasferimenti di qualsiasi azienda, purché
almeno una delle due parti sia un imprenditore soggetto al medesimo obbligo.
L’iscrizione è effettuata nel registro e nella sezione presso i quali è iscritto
l’alienante.

Il divieto di concorrenza

L’art. 2557 vieta all’alienante dell’azienda di iniziare, dopo il trasferimento della


stessa, qualsiasi attività imprenditoriale che per l’oggetto, l’ubicazione o altre
circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta.
La ragione che sta alla base di tale obbligo di astensione, dipende dalla speciale
pericolosità che l’eventuale concorrenza del cedente avrebbe nei confronti del
cessionario poiché, l’alienante, ha un’esperienza diretta e specifica delle abitudini e
delle inclinazioni dei propri clienti e in questo modo può facilmente raggiungerli.

Il divieto di avvio di una nuova attività ha una durata quinquennale. Sono vietate
attività intraprese per conto proprio, ma anche per conto di terzi, l’impresa
individuale, ma anche societaria, a meno che la partecipazione non rappresenti un
mero investimento finanziario.

Non sono specificati l’oggetto e i caratteri dell’attività preclusa, poiché l’estensione


del divieto è determinata dall’idoneità alla distrazione della clientela (attuale e
potenziale) e quindi abbraccia ogni iniziativa che manifesti tale caratteristica, anche
se riguarda, ad es. la commercializzazione di beni diversi ma succedanei (non
potrebbe aprire una paninoteca chi ha ceduto una pizzeria), o se esercitata
attraverso canali alternativi, ma concorrenti (non potrà avviare un’attività di vendita
di prodotti online chi ha ceduto un’azienda di vendita degli stessi prodotti per
corrispondenza).

Deve però trattarsi di un’azienda commerciale, poiché, in caso di trasferimento di


un’azienda agricola, esso riguarda esclusivamente le attività connesse, sempre
che vi sia in concreto un rischio di sviamento della clientela.
Anche nel caso in cui l’azienda venga concessa in usufrutto o in affitto, il divieto
opera a carico del proprietario per tutta la durata del rapporto. Allo stesso modo
esso si applica all’usufruttuario e al conduttore al termine del rapporto.

Nel caso di recesso da una società si considera applicabile la disciplina in via


analogica, purché la quota ceduta fosse di dimensione rilevante

43 Valentina Gilardoni
LA SUCCESSIONE NEI CONTRATTI, NEI CREDITI E NEI DEBITI
L’art. 2558 dispone l’automatico subingresso dell’acquirente nei contratti
stipulati per l’esercizio dell’impresa. Si tratta di contratti in forza dei quali il
titolare dell’azienda può godere dei beni aziendali di cui non è proprietario (ad
es. il contratto di locazione) o in virtù dei quali egli approvvigiona periodicamente
o stabilmente l’impresa di alcuni elementi (ad es. i contratti con i fornitori) o
consegue determinate prestazioni collaborative (contratto di prestazione d’opera
con un professionista) ma anche di tutti i contratti che nascono nell’esercizio
dell’attività imprenditoriale, soprattutto con la clientela.
In tutti questi rapporti negoziali subentra l’acquirente dell’azienda: ciò risponde
non solo al suo interesse di acquisire un complesso pienamente operativo e di
mantenere la clientela già raggiunta, ma anche all’interesse dei terzi di avere, come
controparte, il soggetto che continuerà l’esercizio dell’impresa.

I. EFFETTO AUTOMATICO: La successione in questi rapporti contrattuali


rappresenta un effetto naturale e automatico del trasferimento dell’azienda e
si determina ex lege, al momento in cui diviene efficace il trasferimento stesso.
In primo luogo, infatti, il subentro dell’acquirente prescinde dalla sua volontà
e da quella del cedente, perciò egli succede nella posizione dell’alienante
anche se ignora che un certo contratto sia in corso, alla condizione che si tratti
di un contratto inerente all’azienda e che non abbia carattere personale. In
secondo luogo, non è richiesto il consenso del terzo contraente, quindi a
prescindere dalla volontà di quest’ultimo il rapporto prosegue con il solo
acquirente con integrale e immediata liberazione dell’alienante.

II. La successione, però, riguarda solo i CONTRATTI A PRESTAZIONI


CORRISPETTIVE NON ANCORA ESEGUITE DA NESSUNO DEI DUE
CONTRAENTI nel momento in cui si verifica il trasferimento dell’azienda.

III. NATURA PERSONALE: non viene attuata la secessione dei contratti


personali e quindi essi continuano a far capo all’alienante. Questi sono i
contratti nella cui stipulazione il terzo contraente abbia attribuito una specifica
rilevanza alle qualità personali della controparte, quindi all’alienante
dell’azienda. Tale categoria coincide solo con quei contratti in cui la prestazione
promessa dall’alienante sia oggettivamente infungibile (ad es. fornitura di un
mobile decorato a mano personalmente dall’alienante) o soggettivamente
infungibile (ad es. un rapporto incedibile).

IV. DEROGA: La previsione normativa esaminata risulta comunque derogabile


(revocabile) dalle parti. Alienante ed acquirente possono escludere dalla

44 Valentina Gilardoni
successione uno o più rapporti contrattuali, a meno che non si tratti di
rapporti in forza dei quali il cedente consegue la disponibilità di un bene
essenziale dell’apparato produttivo. L’esclusione dalla successione comporta
che il rapporto prosegua tra alienante e il terzo contraente. L’accordo tra le
parti può provocare anche, viceversa, il subentro dell’acquirente in un rapporto
pur avente carattere personale, ma è necessario che vi sia il consenso del terzo.

V. RECESSO: il terzo ha il diritto di recesso dal contratto, qualora sussista una


giusta causa. Il diritto di recesso si esercita nei confronti dell’acquirente entro
tre mesi dalla notizia del trasferimento e determina l’estinzione del rapporto,
con efficacia ex nunc (i suoi effetti si verificano dal momento in cui si presenta
il caso). Giusta causa: ragioni oggettive che si oppongono alla prosecuzione
del rapporto con l’acquirente e che devono riguardare la sua persona o
precedenti rapporti con il terzo stesso (la situazione patrimoniale precaria
dell’acquirente faccia temere per il corretto adempimento del contratto).

VI. In caso di recesso, lo stesso art. 2558 co.2, fa salva la responsabilità


dell’alienante. Si tratta di una responsabilità nei confronti del terzo per i danni
che questo ha subito per essere stato costretto a risolvere anticipatamente il
contratto, ma in cui l’alienante incorre quando gli sia attribuibile una culpa in
eligendo, cioè una negligenza da parte dell’individuazione del cessionario e
quindi una insufficiente attenzione alla posizione del terzo contraente.

CREDITI E DEBITI

Gli art. 2559 e 2560 regolano i crediti e debiti puri, cioè rapporti obbligatori di
fonte extracontrattuale e contrattuale, quando risulti una prestazione isolata a favore
o a carico del cedente e inerenti all’esercizio dell’azienda.

I. CREDITI: l’art. 2559 stabilisce che il loro trasferimento diviene efficace nei
confronti dei terzi, anche in assenza della notifica o dell’accettazione del
debitore ceduto, con l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto traslativo
dell’azienda. La pubblicità nel registro rende efficace la cessione nei confronti
del debitore che è, tuttavia, liberato se paga in buona fede all’alienante,
anche ad iscrizione avvenuta.

II. DEBITI: l’art. 2560 dispone che l’acquirente ne risponde verso i creditori, se
e solo se essi risultano dalle scritture contabili obbligatorie. In quanto
stabilita a tutela del terzo, la norma è inderogabile dalle parti. In ogni caso,
l’alienante continua a rispondere di tali debiti in solido con l’acquirente, a
meno che i creditori non acconsentano alla sua liberazione. La registrazione

45 Valentina Gilardoni
del debito costituisce condizione essenziale e imprescindibile per tale
responsabilità, altrimenti il cessionario non risponderebbe di alcun altro debito.

Entrambi gli articoli, quindi, disciplinano solo i rapporti obbligatori nei confronti
dei terzi, ma non si occupano dei rapporti interni tra cedente e cessionario.
Questo perché, trattandosi di debiti e crediti isolati, essi rappresentano
rispettivamente costi e ricavi dell’attività propria dell’alienante e che dunque
continuano a far capo a quest’ultimo.
- Tesi 1: automatica successione del continuatore dell’impresa dei rapporti
pendenti e quindi anche nei crediti e nei debiti.
- Tesi 2: l’acquisto dei crediti richiederebbe un patto di cessione e il subentro nei
debiti richiederebbe invece un patto di accollo. In ogni caso, l’alienante e
l’acquirente possono regolare liberalmente questi aspetti.

Usufrutto e affitto dell’azienda

Abbiamo visto che l’azienda può essere oggetto anche di negozi che costituiscono
un diritto di godimento sui beni che la compongono, ossia un diritto reale, e in
questo caso si avrà concessione in usufrutto dell’azienda; o di un diritto personale
di godimento, e in tal caso di avrà affitto dell’azienda.

Queste vicende giuridiche sono destinate a produrre la continuazione dell’attività,


a titolo provvisorio da parte del beneficiario. Per questa ragione, la disciplina
appositamente dedicata a tali diritti (art. 2561) regola i diritti e i doveri che fanno
capo a tale soggetto, tra cui assume particolare importanza il dovere di gestire
l’azienda.

La gestione dell’azienda richiede che siano conservati l’attitudine produttiva e


l’avviamento e l’esercizio costante dell’attività. Si tratta non solo di una facoltà di
godimento, ma di un vero e proprio obbligo. Ne deriva che il soggetto è tenuto ad
ammodernante i beni, introdurre tecnologie, rinnovare l’offerta a passo con le
esigenze di mercato. Quindi collegato al potere di gestione vi è quello di
disposizione dei beni aziendali appartenenti al concedente. Inoltre, tutti i beni
immessi dall’usufruttuario o affittuario sono automaticamente acquistati in proprietà
dal concedente. L’azienda potrebbe trovarsi ad avere una composizione assai
diversa, così come il patrimonio aziendale.

L’usufruttuario o affittuario subentra nei contratti in corso di esecuzione negli stessi


limiti che riguardano il trasferimento d’azienda. Il concedente succede in quelli
pendenti al termine del rapporto stipulato dall’usufruttuario, con l’unica eccezione

46 Valentina Gilardoni
dei rapporti sproporzionati rispetto alle dimensioni d’impresa. Per la concessione
dei crediti occorre invece un espresso accordo tra le parti, mentre i debiti
continuano a gravare esclusivamente sulla persona che li abbia assunti, salvo
che si tratti di debiti di lavoro.

1051: L’usufrutto può anche cessare per l'abuso che faccia l'usufruttuario del
suo diritto alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli andare in perimento per
mancanza di ordinarie riparazioni. L'autorità giudiziaria può, secondo le circostanze,
ordinare che l'usufruttuario dia garanzia, qualora ne sia esente, o che i beni siano
locati o posti sotto amministrazione a spese di lui, o anche dati in possesso al
proprietario con l'obbligo di pagare annualmente all'usufruttuario, durante
l'usufrutto, una somma determinata.

DIRITTO REALE DI GODIMENTO: attribuiscono a una persona il potere di


utilizzare, in modo pieno e immediato, un bene di proprietà di un'altra persona.
*USUFRUTTO: diritto di un soggetto (usufruttuario) di godere di un bene di proprietà
di un altro soggetto (nudo proprietario) e di raccoglierne i frutti, ma con l'obbligo di
rispettarne la destinazione economica. Il diritto di usufrutto è sempre temporaneo.
Non può infatti durare oltre la vita dell'usufruttuario o, se questo è una persona
giuridica, oltre il termine di trent'anni.

DIRITTO PERSONALE DI GODIMENTO: diritto di credito avente ad oggetto il


godimento di un bene, e che ha il carattere di apparente immediatezza. Si
differenzia dai diritti reali di godimento perché questi ultimi non derivano da un
rapporto obbligatorio. *AFFITTO: cessione a tempo determinato dell'uso di un
bene immobile dietro pagamento.

ESERCIZI
1. Tizio è titolare di una partecipazione sociale equivalente all’80% del capitale
sociale di una società a responsabilità limitata (= s.r.l.) che gestisce un grosso
supermercato situato in un quartiere periferico di Milano. Non essendo più in grado
di far fronte ai numerosi impegni che comporta la gestione del supermercato, Tizio
decide di mettere in vendita la sua partecipazione, che dopo qualche tempo viene
acquistata da Caio al prezzo di 1.000.000 euro, superiore di ben quattro volte al
valore risultante dall’ultimo bilancio d’esercizio approvato. Tuttavia, appena
trascorso un anno dall’operazione, Tizio ha nostalgia del mondo degli affari e decide
di rientrarvi, con l’apertura di un punto vendita di generi alimentari in un locale
situato a non molta distanza dal supermercato. Saputa la notizia, Caio si dimostra
non poco contrariato e si rivolge a Tizio chiedendogli di desistere dall’intraprendere

47 Valentina Gilardoni
questa nuova iniziativa o, quanto meno, di collocarla in un’altra zona della città.
Caio ha, infatti, timore che l’apertura del nuovo negozio di Tizio possa sottrarre al
supermercato una parte consistente della clientela. Tuttavia, Tizio non vuole sentire
ragioni e avvia questa nuova iniziativa nel modo che ha programmato. Dopo
qualche mese, Caio si rende conto che le vendite del supermercato stanno
effettivamente calando e decide di interpellare un esperto di diritto dell’impresa (lo
studente) per chiedergli se è destinato a subire questa situazione o se è possibile
porvi rimedio per vie legali.Quale sarà la risposta dell’esperto?

L’art. 2557 vieta all’alienante dell’azienda di iniziare, dopo il trasferimento della


stessa, qualsiasi attività imprenditoriale che per l’oggetto, l’ubicazione o altre
circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta. È il caso del nuovo
supermercato aperto da Tizio, che, essendo vicino, svia la clientela dall’attività
ceduta a Caio.
Il divieto di avvio di una nuova attività ha una durata quinquennale. In questo caso è
trascorso solo un anno, quindi a Tizio non è consentito ancora avviare l’attività. Non
sono specificati l’oggetto e i caratteri dell’attività preclusa, poiché l’estensione del
divieto è determinata dall’idoneità alla distrazione della clientela (attuale e
potenziale) e quindi abbraccia ogni iniziativa che manifesti tale caratteristica. Anche
se deteneva l’80% delle partecipazioni, l’entità della quota è talmente rilevante da
far si che l’acquirente sia inserito nella gestione

2. Il signor Damiano svolge da tempo un’attività di lavorazione di oro e pietre


preziose, che gli vengono affidate da alcune importanti case rivenditrici di fama
internazionale. Il signor Damiano cura personalmente tutte le lavorazioni nei minimi
particolari e non consegna il prodotto finito senza averlo controllato ed
eventualmente ulteriormente aggiustato laddove lo ritenga necessario. Un bel
giorno Damiano riceve la proposta di acquisto del suo laboratorio da parte di una
casa rivenditrice sua cliente, la Cartiere S.r.l., con l’evidente obiettivo di sottrarre la
sua opera alle case rivenditrici concorrenti. Tale proposta è condizionata al fatto che
Damiano continui a prestare la sua opera lavorativa nel processo produttivo in
qualità di lavoratore dipendente. Pensatoci un po’ sù Damiano accetta la proposta,
sebbene in quel momento egli debba ancora eseguire tre lavorazioni commissionate
da parte di altre tre diverse case rivenditrici. Il pagamento di tali lavorazioni è
concordato al momento della consegna. Quali sono le conseguenze
dell’accettazione della proposta da parte del signor Damiano sulle tre lavorazioni in
corso di esecuzione?

Se Damiano accetta la proposta, bisogna applicare la disciplina di trasferimento di


impresa. Nel caso di trasferimento d’impresa viene disposto il subingresso

48 Valentina Gilardoni
automatico dell’acquirente nei contratti stipulati per l’esercizio di impresa senza
bisogno di consenso del terzo. Il subentro dell’acquirente prescinde dalla sua
volontà e da quella del cedente, perciò egli succede nella posizione dell’alienante
anche se ignora che un certo contratto sia in corso, alla condizione che si tratti di
un contratto inerente all’azienda, che non abbia carattere personale e che sia un
contratto a prestazioni corrispettive non ancora effettuate da nessuna delle due
parti. Occorre pertanto valutare se il contratto abbia natura personale o meno,
ovvero se si tratta di una prestazione infungibile. Se si tratta di contratto personale,
le lavorazioni rimangono in capo a Damiano. Ma essendo che Damiano lavorerà per
l’azienda, può essere che le tre lavorazioni potrebbero in ogni caso seguire l’azienda
e trasferirsi all’acquirente.

3. Tizio opera da tempo nel settore della produzione di lenti per occhiali sia chiare
(per occhiali da vista) sia colorate (per occhiali da sole). La lavorazione delle due
tipologie di lenti avviene in due diversi reparti produttivi. Ciascuno dei due reparti ha
una propria sede, propri fornitori e propri clienti. Al reparto che produce lenti chiare
è preposto Mevio. Al reparto che produce lenti colorate è preposto Sempronio. Un
bel giorno Tizio riceve dal sig. Leonardo una proposta di acquisto del reparto che
produce lenti colorate e dopo una velocissima valutazione tale proposta viene
accettata. Il prezzo viene fissato in 1.500.000 euro, comprensivo di un credito verso
un cliente per 50.000 euro relativo a fornitura già consegnata. Dopo ancora qualche
mese Tizio riceve dal sig. Lucottico una proposta di acquisito del reparto che
produce lenti chiare e dopo una velocissima valutazione anche tale proposta viene
accettata. Il prezzo viene fissato in 1.000.000 euro, il quale è stato determinato
senza tener conto di un debito verso un fornitore per 50.000 euro relativo ad una
fornitura già consegnata. Qual è la qualifica di Mevio e Sempronio? qual è la sorte
degli stessi Mevio e Sempronio a seguito della vendita dei reparti cui sono preposti?
qual è il rapporto tra Leonardo e il cliente del reparto di lenti colorate? qual è il
rapporto di Lucottico e il fornitore del reparto di lenti chiare? Dopo aver venduto i
due reparti (quindi, in definitiva, l’intera azienda) Tizio può entrare immediatamente
nel business della produzione di ombrelli?

Mevio e Sempronio sono senz’altro institori, ovvero sono preposti all’esercizio


d’azienda o di una sua parte. Svolgono tutti gli atti di gestione inerenti al proprio
ramo di impresa, hanno potere decisorio, dichiarativo, di rappresentanza e sono
sottoposti agli obblighi di impresa (tenuta delle scritture contabili, pubblicità). Nel
momento del trasferimento d’impresa, insieme al trasferimento dei contratti, avviene
anche quello dei contratti di lavoro di Mevio e Sempronio, che lavoreranno per i
nuovi acquirenti.

49 Valentina Gilardoni
Il rapporto tra Leonardo e il cliente è un rapporto obbligazionario. Il cliente dovrà
adempiere il debito nei confronti di Leonardo, nuovo creditore a cui è stato
ceduto il credito. Gli deve essere notificata la cessione.

A Lucottico, invece, non è stato trasferito un debito relativo ad una fornitura.


Nonostante ciò, Lucottico è responsabile del debito, se risulta dalle scritture
contabili

Tizio può rientrare nella produzione del business di ombrelli, poiché la produzione
di ombrelli non svierebbe clienti dall’acquisto di lenti.

50 Valentina Gilardoni
SEZIONE QUINTA - L’IMPRESA NEL MERCATO

MERCATO E CONCORRENZA
Il nostro ordinamento in base all’articolo 41 della Costituzione prevede il principio
della libertà della iniziativa economica privata. Non può svolgersi in contrasto
con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Il
principio di libertà di concorrenza non può però consentire all’impresa di
approfittare degli altrui investimenti nell’accreditamento della propria attività.
L’interesse alla protezione dell’accreditamento commerciale sta alla base del
riconoscimento dei diritti di proprietà industriale. L’ordinamento punta a instaurare
sul mercato una concorrenza dinamica: da una parte incentiva le innovazioni
dall’altra vuole evitare che questa capacità di innovazione diventi strumento per
emarginare i concorrenti.

• Limiti legali della concorrenza (art 2595): la concorrenza deve svolgersi in modo
da non ledere gli interessi dell’economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge e
dalle norme cooperative.

• Limiti contrattuali della concorrenza (art. 2596): il patto che limita la


concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una
determinata zona o ad una determinata attività e non può eccedere la durata di 5
anni. Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo
superiore a 5 anni, il patto sarà valido per la durata di 5 anni.

• Obbligo di contrattare in caso di monopolio (art. 2597): chi esercita un’impresa


in condizioni di monopolio legale ha l’obbligo di contrattare con chiunque richieda
prestazioni che formano l’oggetto dell’impresa, osservando la parità di
trattamento.

Non è possibile per l’impresa monopolista rifiutare la prestazione a chi la


chiede, salva la compatibilità con i mezzi dell’impresa per ragioni oggettive. Inoltre il
monopolista legale deve rispettare la parità di trattamento; la parità di
adempimento riguarda il caso dell’adempimento nei confronti dei clienti nei casi in
cui sia impossibile eseguire la prestazione nei confronti di tutti i richiedenti; cioè se
ci sono 1000 richieste di data prestazione nei confronti di un monopolista legale ed
egli non le può soddisfare tutte, non può soddisfare 500 richieste integralmente e le
altre no. In questo caso si parlerebbe di disparità di trattamento. Il monopolista
dovrà tentare almeno in parte di soddisfare le richieste di tutti garantendo la parità
di trattamento.

51 Valentina Gilardoni
Devono anche essere applicate condizioni economiche, normative e contrattuali,
alla clientela nel rispetto della parità di trattamento. Questo non vuole dire che il
monopolista non abbia flessibilità nello stabilire i prezzi, ma significa che le
condizioni praticate dal monopolista legale devono essere predeterminate e
generali (uguali per tutti). Al contrario una impresa privata può avere variazioni dei
prezzi da cliente a cliente.

CONCORRENZA E CORRETTEZZA IMPRENDITORIALE

La concorrenza sleale

La protezione contro gli atti di concorrenza sleale è imposta a livello internazionale


dalla Convenzione d’Unione di Parigi per la protezione della proprietà
commerciale, attuato all’interno del codice civile dagli articoli 2598 e ss. Il conflitti
tra imprenditori si risolvono mettendo al primo posto l’interesse generale ad un
corretto funzionamento del mercato, in conformità ai principi della costituzione
economica. Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei
diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque:

1. usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i


segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un
concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare
confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente;

2. diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente,


idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o
dell'impresa di un concorrente;

3. si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai


principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui
azienda.

La disciplina della concorrenza sleale presuppone la qualità di imprenditore tanto


del soggetto attivo quanto di quello passivo. La disciplina presuppone poi
l’esistenza di un rapporto di concorrenza: esse devono rivolgersi alla stessa
clientela, devono avere lo stesso profilo merceologico e lo stesso profilo territoriale.
Il rapporto di concorrenza vale anche a livelli economici diversi.

1. La concorrenza sleale per confusione

L’art.2598 n.1 tutela tutti i segni distintivi tipizzati dell’ordinamento: la ditta, la


ragione e la denominazione sociale, l’insegna, e il marchio, il nome e il dominio. Tra

52 Valentina Gilardoni
gli atti vietati c’è anche l’imitazione servile. Il divieto si applica quando l’aspetto
esteso del prodotto assume presso i consumatori una funzione distintiva
dell’impresa responsabile dell’offerta, così che l’imitazione determina un inganno. In
materia di marchi registrati, l’applicazione dell’articolo è sostanzialmente assorbita
dalla protezione ben più ampia prevista dal codice della proprietà industriale.
Esempio: se una società di servizi usa per i propri clienti delle uniformi confondibili
con quelle di un concorrente, questo può essere un atto di concorrenza sleale sotto
il profilo delle condotte confusorie.

2. Denigrazione e appropriazione di pregi

Art.2598 n.2: prevede queste due ulteriori fattispecie di concorrenza sleale. La


denigrazione ricomprende il comportamento di chi diffonde notizie e
apprezzamenti sui prodotti e sulle attività di un concorrente, idonei a determinare il
discredito. L’appropriazione di pregi si ha per esempio quando un imprenditore
riproduce nei propri cataloghi i prodotti del concorrente, o dichiara di aver
ricevuto premi ricevuti invece da altri, o di intrattenere rapporti commerciali con
imprese note. Ciò presuppone che il pregio venga vantato falsamente
Se la comunicazione denigratoria del concorrente è contenuta in un messaggio
pubblicitario si andrebbero ad individuare delle condotte plurilesive sia per il decreto
legislativo n°145 che per il comma 2 articolo 2598.

3. I principi di correttezza professionale

Art.2598 n.3: con una clausola generale vieta di avvalersi direttamente o


indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi di correttezza
professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda. Questi casi verranno
valutati caso per caso dal giudice.

La giurisprudenza tuttavia ha a suo tempo elaborato una casistica di generali


tipologie di comportamenti scorretti:

1. Comportamenti antitetici ai principi di trasparenza del mercato (sono vietate le


affermazioni ingannevoli relative al proprio prodotto)

2. Ipotesi di scorretta imputazione dei costi e dei benefici dell’attività


imprenditoriale. La scorrettezza può derivare dalla violazione di norme di diritto
pubblico che introducono limiti e costi allo svolgimento dell’attività.

3. Sono vietati atti di spionaggio industriale e la sottrazione di segreti industriali

53 Valentina Gilardoni
4. È vietato il cosiddetto storno di dipendenti (iniziativa volta a sottrarre lavoratori
al concorrente promettendo salari più alti)

Esempio: la violazione del diritto pubblico. Se violando una norma pubblica ho


un risparmio di spese pongo in essere un atto di concorrenza sleale nei confronti
del concorrete, si utilizza un illegittimo vantaggio. Si tende ad escludere che il
mancato rispetto delle normative sulla autorizzazioni e sulle licenze allo
svolgimento di attività imprenditoriali sia un atto di violazione della concorrenza
leale.

Sanzioni e processo
La violazione della disciplina della concorrenza sleale comporta l'applicazione delle
sanzioni degli articoli 2599 e 2600. La tutela si richiederà di fronte al giudice.

Art. 2599: la sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la


continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano cessati gli
effetti. (azione inibitoria e rimozione effetti, per esempio distruggere prodotti)

Art 2600: se gli atti di concorrenza sleale sono compiuti con dolo o colpa, l’autore
è tenuto al risarcimento dei danni. La colpa si presume. In tale ipotesi si può
anche ordinare la pubblicazione della sentenza.

Esempio: un giornalista recensisce in maniera negativa e priva di fondamento un


ristorante, grazie a questa recensione un altro ristorare risulta avvantaggiato;
quest’ultimo non ne è responsabile a meno che non si provi che la recensione era
stata commissionata proprio dal secondo ristoratore.

L’autorità competente che deve accertare l’illiceità della condotta e disporne


l’inibitoria o la condanna al risarcimento del danno è il giudice dello stato.

Articolo 2601: Quando gli atti di concorrenza sleale pregiudicano gli interessi di una
categoria professionale, l’azione per la repressione della concorrenza sleale può
essere promossa anche dalle associazioni professionali e dagli enti che
rappresentano la categoria.

Se imprenditori concorrenti immettono sul mercato un determinato prodotto


straniero con un nome simile a uno italiano, siamo di fronte ad condotta confusoria.
Questo prodotto viola il diritto di una categoria. Se c’è un’associazione
professionale, e l’atto di concorrenza sleale pregiudica gli interessi di essa in sé
considerata, essa potrà agire contro l’autore dell’illecito concorrenziale.

54 Valentina Gilardoni
Le pratiche commerciali
Le regole relative ai rapporti con i consumatori sono contenute nel codice del
consumo. Il legislatore impone di tenere un comportamento corretto con i
consumatori prima, durante e dopo un’operazione commerciale.

Il legislatore applica una clausola generale di: “divieto di pratiche commerciali


scorrette”

Quando si parla di pratica commerciale in questi casi si intende qualsiasi azione,


commissione, condotta o dichiarazione ivi compresa la pubblicità e la
commercializzazione del prodotto. Il divieto si applica tutti professionisti.

Sono definite scorrette le pratiche commerciali contrarie alla diligenza


professionale ed idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento
economico del consumatore. La diligenza impone il normale grado della specifica
competenza e attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono. Il
comportamento economico risulta falsato quando la pratica commerciale altera
sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione
consapevole. Quando questo comportamento risulti obiettivamente influenzato
dalla scorrettezza, non rileva l’intenzione del professionista.

Il legislatore specifica poi due tipologie: il divieto di pratiche ingannevoli e di


pratiche aggressive.

1. Le pratiche ingannevoli possono derivare da comunicazioni di informazioni


non corrispondenti al vero, nonché qualsiasi pratica ritenuta idonea ad indurre
in errore il consumatore medio. Può derivare anche da omissione di
informazioni rilevanti per il consumatore, o da informazioni oscure ed
incomprensibili. Avviene soprattutto tramite la pubblicità e tramite l’impiego di
pubblicità redazionale (annunci pubblicitari a pagamento mascherati da articoli
giornalistici)

2. Le pratiche aggressive sono attuate attraverso molestie idonee a limitare la


libertà di scelta del consumatore medio. L’aggressività si valuta in base alla
persistenza delle molestie, alla presenza di minacce e comportamenti
ostruzionistici.

L’accertamento dell'illecito avviene per mano di un'autorità amministrativa


indipendente dal governo denominata Autorità garante della concorrenza del
mercato (AGCM). Essa può infliggere inibizione della continuazione delle pratiche
scorrette, sanzioni pecuniarie e risarcimento del danno.

55 Valentina Gilardoni
La pubblicità ingannevole e comparativa
La pubblicità quindi costituisce una pratica commerciale ed è sottoposta ai divieti
di scorrettezza ed in particolare di ingannevolezza a tutti degli interessi dei
consumatori.

La disciplina è stata uniformata a livello europeo e le norme hanno lo scopo di


tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze
sleali, nonché di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa.

Ingannevole: pubblicità che in qualunque modo è idonea ad indurre in errore le


persone fisiche o giuridiche cui è rivolta o che essa raggiunge e che possa
pregiudicare il loro comportamento economico.

Pubblicità comparativa: pubblicità che identifica in modo esplicito o implicito


un concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente.

Essa è possibile purché non sia ingannevole, non determini confusione tra le
imprese e non denigri il competitor. Deve riguardare beni che soddisfano gli stessi
bisogni per confrontare oggettivamente una o più caratteristiche essenziali,
pertinenti, verificabili e rappresentative. In questo caso la liceità presuppone una
pubblicità informativa. È invece da ritenere vietata la pubblicità comparativa
meramente suggestiva, che presenti il prodotto concorrente in un contesto
svilente e la comparazione che presenti discredito o tragga indebitamente
vantaggio dalla notorietà connessa al marchio.

La pubblicità ingannevole costituisce un illecito amministrativo, accertabile


dall’AGCM e viene colpita da sanzioni pecuniarie e ordini di cessazione dell’illecito.

11. LA DISCIPLINA ANTITRUST


La disciplina relativa alla libertà di concorrenza, “antitrust”, si propone
essenzialmente di contrastare il potere di mercato delle imprese. L’espressione
potere di mercato fa riferimento alle situazioni in cui una o più imprese si
sottraggono alla pressione concorrenziale, e sono quindi in grado di imporre livelli
di prezzi più elevati, o di peggiorare la qualità dei prodotti, senza subire
contraccolpi derivanti dalla perdita di clientela. La disciplina antitrust cerca in
particolare di impedire alle imprese di creare artificiosamente un potere di
mercato attraverso intese restrittive della concorrenza o operazioni di
concentrazione. Cerca inoltre di impedire lo sfruttamento abusivo del potere di

56 Valentina Gilardoni
mercato da parte delle imprese che abbiano acquisito una posizione dominante. Il
diritto antitrust concerne invece l’acquisizione di posizioni dominanti, e del relativo
potere di mercato, derivante dalla crescita interna delle imprese e dalla loro capacità
di prevalere nella competizione.

Antitrust europeo e antitrust nazionale: fonti e autorità

La disciplina antitrust trova la propria fonte principale nelle norme dell’Unione


europea: e precisamente nel Trattato su funzionamento dell’Unione europea; e
nel Regolamento CE 139/2004 sulle concentrazioni. I meccanismi di applicazione
del diritto antitrust alle intese e agli abusi di posizione dominante sono poi
dettagliatamente disciplinati dal Regolamento CE 1/2003.

Il legislatore nazionale ha in gran parte ricalcato la normativa europea con la l.


287/1990 (legge antitrust).
La disciplina dell’antitrust italiano sancisce il principio per cui l’interpretazione
della normativa antitrust italiana debba essere fatta alla luce dei principi
comunitari. Quando un giudice italiano o una autorità garante della concorrenza del
mercato italiano applicano la disciplina antitrust italiana devono tenere conto le
prassi degli organi comunitari in materia di antitrust.

La legislazione nazionale si applica tuttavia soltanto alle fattispecie restrittive della


concorrenza che non pregiudicano il commercio fra stati membri dell’UE,
nonché alle concentrazioni che non superano le soglie di fatturato previste a
livello europeo. In presenza di pregiudizio al commercio tra stati membri dell’UE, o
in caso di superamento delle soglie previste a livello europeo, l’applicazione della
disciplina europea esclude quella della normativa italiana. Il sistema si ispira così al
principio della barriera unica: per il quale gli atti restrittivi della concorrenza
ricadono alternativamente nell’ambito della disciplina europea o in quello nazionale,
ma non possono essere assoggettati contemporaneamente ad entrambi i
sistemi. In questa prospettiva la legislazione nazionale finisce per avere un ambito
di applicazione residuale.

I meccanismi di applicazione del diritto antitrust (enforcement) vedono l’intervento


di diverse autorità europee e nazionali.

A. L’accertamento degli illeciti antitrust può avvenire in via amministrativa da


parte di autorità dotate di incisivi poteri di iniziativa (anche d’ufficio) e di
acquisizione del materiale probatorio. Queste autorità possono applicare
sanzioni pecuniarie ed ordinare la cessazione dell’infrazione. Competente

57 Valentina Gilardoni
all’applicazione in via amministrativa del diritto antitrust europeo è anzitutto la
Commissione europea. Il regl. 1(2003 ha tuttavia attribuito in via generale
anche alle autorità nazionali di controllo della concorrenza il potere di
accertare la violazione delle norme europee antitrust in materia di intese e di
abusi di posizione dominante, e di sanzionarne la violazione secondo la
disciplina di diritto interno (AGCM). L’Autorità garante è dunque competente ad
applicare in via amministrativa tanto il diritto europeo (competenza concorrente
a quella della Commissione) quanto il diritto nazionale (competenza esclusiva,
salvi i poteri delle autorità giudiziarie in materia di private enforcement).

B. L’accertamento delle violazioni del diritto antitrust può avvenire in via


privatistica da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria, secondo le regole del
processo civile, su iniziativa della parte interessata ad accertare la nullità
dei contratti conclusi in violazione della disciplina della concorrenza, o ad
ottenere il risarcimento del danno subito (c.d. private enforcement). L’azione
civile può anche sovrapporsi al procedimento amministrativo, ma i giudici
nazionali devono evitare di prendere decisioni in contrasto con quelle adottate
dalla Commissione.

Soggetti e mercato rilevante

La normativa sulla concorrenza si applica ai comportamenti delle imprese. Il diritto


antitrust ricomprende tuttavia una nozione di impresa allargata, fino a
ricomprendere fenomeni esclusi dalla definizione dell’art. 2082. La nozione di
impresa ricomprende qualsiasi attività economica, compresi i lavoratori autonomi
e liberi professionisti. Gli effetti restrittivi della concorrenza devono essere
valutati relativamente ad un mercato per il quale si ritiene opportuno preservare
condizioni di competitività. Nella terminologia del diritto antitrust, al questione
riguarda la determinazione del “mercato rilevante” per la valutazione di effetti
restrittivi e di posizioni dominanti.

Il mercato rilevante viene circoscritto in relazione a due fattori fondamentali: il fattore


geografico ed il fattore merceologico. Il mercato geograficamente rilevante è
delimitato dal territorio in cui le condizioni di concorrenza sono omogenee e
sensibilmente diverse da quelle dei territori contigui. La disomogeneità delle
condizioni di concorrenza può ad es. derivare dai costi di trasporto, da tradizioni
linguistiche (si pensi al mercato dei servizi televisivi), monopoli (es. energia).

58 Valentina Gilardoni
Il mercato merceologico è invece limitato dalla tipologia dei prodotti o servizi
reciprocamente sostituibili. Appartengono allo stesso mercato rilevante i prodotti o
servizi che i consumatori sono disponibili ad acquistare per fare fronte ad un
incremento del prezzo di alcuni di essi (sostituibili).

Le intese

La disciplina in materia di intese è contenuta nell'articolo 101 TFUE e negli art. 2 e


4. Il divieto d'intese vuole impedire pratiche di concertazione dei comportamenti
che ostacolano le strategie individuali di abbassamento dei prezzi o di
incremento delle qualità dei prodotti o servizi. Le intese infatti finirebbero per
agevolare gli imprenditori a danno dei consumatori. Il divieto d'intesa restrittive della
concorrenza si applica non solo gli accordi tra imprese operante allo stesso livello
economico ma anche a quelli fra imprese operanti su diversi livelli economici.
Viene riportata un’elencazione con le tipologie di intese vietate:

I. intese che fissano direttamente o meno i prezzi

II. Intese che limitano o controllano la produzione

III. Intese che ripartiscono i mercati e le fonti di approvvigionamento

IV. Intese dirette ad applicare condizioni dissimili per prestazioni equivalenti

V. Intese dirette a subordinare la conclusione di contratti all’accettazione di


prestazioni supplementari

Alcune intese, pur restrittive della concorrenza, possono essere esentate dai divieti
antitrust qualora risultino idonee a produrre effetti positivi di efficienza, ovvero
che contribuiscono a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a
promuovere il progresso tecnico o economico. Le norme richiedono tuttavia che
questi miglioramenti riservino agli utilizzatori (e perciò anzitutto ai consumatori) una
congrua parte dell’utile che ne deriva. Cosi ad es. un accordo di ricerca e sviluppo
in comune può produrre effetti di efficienza in quanto idoneo a ripartire i relativi costi
di investimento, ma può beneficiare dell’esenzione dal divieto antitrust solo se
contemporaneamente comporta una diminuzione dei prezzi praticati ai consumatori
(o un incremento della qualità dei prodotti).

L’intesa da un lato deve evitare restrizioni che non siano indispensabili al


miglioramento della produzione. Occorre quindi che le imprese partecipanti
all’accordo non coprano quote di mercato talmente elevate da rendere inefficace la
pressione concorrenziale esercitata da imprese terze.

59 Valentina Gilardoni
L’AGCM o la Commissione europea: tutela amministrativa di carattere pubblicistico
(public enforcement)
- Accertano violazione
- Adottano provvedimenti per rimuovere effetti intesa
- Irrogano le sanzioni pecuniarie

Gli abusi di posizione dominante

Gli art.102 del TFUE e 3 l.at. trattano in materia di sfruttamento abusivo da parte di
una o più impresa di una posizione dominante sul mercato. Essa consiste in un
potere di mercato che consente al titolare di tenere comportamenti indipendenti
(aumento prezzi). Per la dominanza sono sufficiente anche quote di mercato basse,
nel caso in cui il mercato sia frammentato.

Gli articoli contengono una elencazione di ipotesi di sfruttamento abusivo di


posizione dominante. L’abuso può in particolare consistere:

1. Nell’imporre direttamente o indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre


condizioni di transazione non eque

2. Nel limitare la produzione a danno dei consumatori; o comportamenti diretti a


provocare l’uscita id imprese dal mercato

3. Nell’applicare condizioni dissimili per prestazioni equivalenti

4. Nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri


contraenti di prestazioni supplementari (imposizione all’acquirente di un
macchinario l’obbligo di avvalersi esclusivamente dei servizi di riparazione e
assistenza prestati dal fornitore)

Le concentrazioni

La terza fattispecie disciplinata dall’ordinamento antitrust europeo e nazionale è


costituita dalle operazioni di concentrazione restrittive della concorrenza. La
disciplina europea delle concentrazioni si ritrova non nelle norme del Trattato, ma
in un apposito regolamento 139/2004. La disciplina nazionale si ritrova negli arte.
6-7 e 16ss. l.at.

Le concentrazioni si realizzano attraverso qualsiasi operazione idonea a determinare


una modifica duratura del controllo, per effetto della quale imprese

60 Valentina Gilardoni
precedentemente indipendenti vengono assoggettate ad un potere di direzione
unitario. La nozione concorrenziale di controllo fa leva sulla possibilità di esercitare
un’influenza determinante sull’attività di impresa. Possono realizzarsi attraverso
fusioni societarie, acquisti di partecipazioni, trasferimenti di aziende o relativi rami,
ecc.

Gli obiettivi di efficienza sottostanti alle concentrazioni giustificano la scelta del


legislatore antitrust di intervenire non a fronte di qualsiasi operazione, ma solo
quando il fatturato delle imprese coinvolte supera alcuni valori critici. Le soglie
di fatturato che determinano l’intervento delle autorità antitrust sono fissate a diversi
livelli dal legislatore europeo e dal legislatore nazionale. Il superamento dei livelli
fissati dal legislatore europeo determina l’applicazione del reg. 139/2004, e
reciprocamente esclude l’applicazione della normativa italiana (concentrazioni di
dimensione europea).

Il superamento delle soglie fissate dal legislatore nazionale determina


l’applicazione della legge italiana, se ed in quanto i limiti di fatturato restino al di
sotto di quelli fissati da reg. 139/2004 (concentrazioni di dimensione nazionale). Al
di sotto delle soglie di rilevanza fissate dal legislatore nazionale, l’operazione sfugge
al controllo delle autorità antitrust.

Le operazioni che rientrano nelle soglie di rilevanza del diritto europeo o nazionale
debbono essere oggetto di una notificazione preventiva alla Commissione
(europea) o all’AGCM (nazionale). L’obbligo di notifica consente di prevenire la
realizzazione di operazioni restrittive della concorrenza, difficilmente eliminabili ex
post. L’inosservanza di questo obbligo costituisce di per sé un illecito, sanzionato
indipendentemente dalla valutazione degli eventuali effetti anticoncorrenziali.

Se nessuna delle imprese separatamente o congiuntamente supera i limiti di


fatturato imposti dalla Commissione Europea, non è prevista alcuna procedura e la
concentrazione sarà oggetto di un controllo ex post da parte dell’Agcm, che
potrebbe anche prescrivere misure necessarie per impedire o eliminare gli
effetti restrittivi della concorrenza provocati dall’operazione.

La Commissione o AGCM verifica la compatibilità dell’operazione con la disciplina


della concorrenza. I criteri di valutazione sono leggermente diversi nel sistema
europeo ed in quello italiano. Il divieto europeo è più ampio, in quanto potrebbe
estendersi ad operazioni che, pur non rafforzando o costituendo una vera e propria
posizione dominante, determinano una significativa contrazione del numero di
imprese indipendenti.

61 Valentina Gilardoni
Profili procedimentali e sanzionatori

La Commissione e l’AGCM esercitano i loro poteri sanzionatori attraverso


l’applicazione di pene pecuniarie (ammende). Commissione e AGCM dispongono
inoltre di poteri inibitori in ordine alla continuazione dell’illecito, nonché di
ripristino della concorrenza. In alternativa, le autorità di controllo della
concorrenza possono accettare gli impegni proposti dalle imprese ed idonei ad
eliminare gli effetti restrittivi del comportamento.

Il procedimento giurisdizionale di applicazione del diritto antitrust si svolge


davanti ai giudici dei paesi membri. L’azione giudiziaria mira ad ottenere
l’accertamento della nullità delle intese restrittive della concorrenza (si pensi ad
un distributore interessato a fare valere la nullità di un accordo di acquisto esclusivo
concluso con un produttore, per potere liberamente rifornirsi da produttori
concorrenti).

Può essere promossa l’azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno


derivante da comportamenti anticoncorrenziali vietati dalla legge italiana: si
pensi ad es. al danno subito dai consumatori che hanno pagato prezzi elevati per
effetto dell’attuazione di un’impresa illecita, o di un’imposizione abusiva di prezzi
non equi.
Pur in assenza di previsione espressa, è da ritenere esercitabile in via giudiziale
anche l’azione inibitoria.

ESERCIZI
1. Otto imprenditori operanti nel settore della produzione degli arredamenti su
misura decidono di stipulare un accordo, con il quale vincolarsi ad osservare un
determinato livello di prezzi da applicare nella vendita al dettaglio dei singoli
prodotti. In che modo può essere stipulato un siffatto accordo? L’accordo è
ammissibile? in caso di risposta affermativa a quali condizioni? Il medesimo
accordo sarebbe ammissibile se gli imprenditori operassero nel mercato nazionale?
E se operassero anche nel mercato europeo? in caso di risposta negativa quali
sarebbero le conseguenze?

L’accordo può essere stipulato o nella variante del cartello o nella variante del
consorzio. L’accordo è ammissibile se soddisfa le condizioni dell’art. 2596 c.c. Con
riferimento al requisito di essere «circoscritto ad una determinata zona», l’accordo,
se la zona coincide con il mercato nazionale, potrebbe integrare la fattispecie
dell’art. 2 l. 287/1990: quindi sarebbe illecito, e perciò nullo, se restringesse o
falsasse la concorrenza sul mercato nazionale o su una parte rilevante di esso. Se la

62 Valentina Gilardoni
zona coincidesse con il mercato europeo, potrebbe integrare la fattispecie dell’art.
101 TrFUE, e perciò nullo, se restringesse o falsasse la concorrenza sul mercato
europeo o su una parte rilevante di esso.

2. Un’impresa leader nel mercato europeo degli arredamenti su misura decide di


acquisire il controllo delle due imprese leader nel mercato italiano della medesima
tipologia, in modo da rafforzare ulteriormente la propria posizione. È ammissibile
tale acquisizione? Nel caso di risposta affermativa essa è subordinata al rispetto di
qualche procedura?

Occorre valutare se l’acquisizione causi il fenomeno di concentrazione, fenomeno


vietato dalla disciplina antitrust. La concentrazione consiste nella modifica di
controllo di una o più imprese che precedentemente indipendenti vengono
assoggettate ad un potere di direzione unitario. La nozione concorrenziale di
controllo fa leva sulla possibilità di esercitare un’influenza determinante
sull’attività di impresa.

Se nessuna delle tre imprese separatamente o congiuntamente supera i limiti di


fatturato imposti dalla Commissione Europea, non è prevista alcuna procedura e la
concentrazione sarà oggetto di un controllo ex post da parte dell’Autorità garante
per la concorrenza e per il mercato, che potrebbe anche prescrivere misure
necessarie per impedire o eliminare gli effetti restrittivi della concorrenza provocati
dall’operazione.

Se invece tale sogli massima viene superata, l’impresa dovrà notificare alla
Commissione Europea l’intenzione di tale acquisizione e la Commissione Europea
dovrà verificare se tale acquisizione comporterebbe una concentrazione, ovvero la
costituzione di una posizione dominante sul mercato che elimini o riduca la
concorrenza in modo sostanziale.

3. Un’impresa leader nel mercato italiano degli arredamenti su misura decide di


subordinare la conclusione dei contratti di vendita all’accettazione della seguente
clausola: «l’acquirente è obbligato ad accettare il servizio di montaggio dei mobili
acquistati fornito dal venditore al prezzo di 100 euro l’ora più iva per ogni due
montatori». L’impresa può inserire questa clausola all’interno dei contratti di
vendita? In caso di risposta negativa quali sarebbero le conseguenze?

L’impresa non può inserire questa clausola nel contratto di vendita perché
comporterebbe un abuso di posizione dominante sul mercato, vietato dalla legge
antitrust, che consiste nella subordinazione della conclusione di un contratto alla
accettazione di prestazioni supplementari. Nel caso in cui l’impresa persegua

63 Valentina Gilardoni
questo comportamento, verrebbe esposta da parte ad azione inibitoria che faccia
cessare tale comportamento, rimozione degli effetti e sanzioni pecuniarie.

I DIRITTI DI PROPRIETA’ INDUSTRIALE


La nozione di proprietà industriale

La nozione è trattata nel “Codice della proprietà industriale”, che protegge i beni
immateriali, tra cui i segni distintivi di impresa, i risultati dell’attività di ricerca e
nel codice civile. Il più importante diritto sui risultati dell’innovazione tecnologica è
il brevetto d’invenzione, cui si affiancano i modelli di utilità. La dottrina individua una
nuova categoria: proprietà intellettuale. Trovano tutela nel diritto d’autore

Fine della tutela dei sogni distintivi : evitare confusione mercato

Fine della tutela delle creazioni industriali: garantire all’imprenditore che fa un


investimento per l’attività, un’idonea remunerazione

Tutela dei segni distintivi

L’interesse ad evitare confusione sul mercato quello più riconducibile ai principi


concorrenziali, in quanto favorite la trasmissione di informazioni relative all’impresa
responsabile dell’offerta di prodotti o servizi e permette di realizzare un mercato più
trasparente.

La tutela della funzione distintiva presuppone che l’uso del segno venga riferito
dal pubblico a un solo imprenditore. Ciò non esclude l’esistenza di segni utilizzati
da una pluralità di imprenditori (es. termine lavanderia), ovvero nomi generici e
descrittivi, che possono essere liberamente utilizzati in quanto necessari per
indicare la tipologia di attività.

Capacità distintiva denota la capacità del segno di identificare scelte riferibili ad un


solo imprenditore, richiede il primo requisito di tutelati ditta, insegna e marchio.

Vi è libertà nella formazione dei propri segni distintivi, salvo il rispetto di regole
volte ad evitare invano e confusione (verità, novità, liceità e distintività).

L’ordinamento deve preoccuparsi che segni uguali non vengano utilizzati da più
imprenditori diversi, e lo fa vietando l’utilizzazione di segni anche soltanto simili.

64 Valentina Gilardoni
Il concetto di somiglianza viene concretizzato in relazione all’interesse alla
distinzione nei confronti del pubblico: la somiglianza assume valore giuridico se
idonea a indurre il pubblico a credere erroneamente che segni simili siano
utilizzati dal medesimo imprenditore: divieto di utilizzazione confusoria dei segni
distintivi.

Segni simili o identici possono esser usati da imprenditori diversi nell’ambito di


attività diverse (es. auto Ferrari e vino Ferrari). In questo caso vi è il principio di
relatività della tutela.

Trasferibilità: l’imprenditore può trasferire i proprio sei distintivi purché dalla


circolazione non ne derivi un inganno per il pubblico.

La tutela dell’innovazione

L’interesse della remunerazione degli investimenti nell’innovazione tecnologica e nel


design comporta il divieto per i terzi di utilizzare le soluzione registrate o brevettate
da altri. Il motivo è:

• l’interesse ad arricchire la disponibilità di prodotti differenziati dal punto di vista


tecnico e di design

• evitare concorrenza imitativa che abbassi i prezzi

• Premiare le capacità del singolo imprenditore di proporre sul mercato innovazione

• Favore più ampia scelta

• Riconoscimento del potere del titolare di decidere le modalità di utilizzazione


del bene immateriale protetto, consentendone lo sfruttamento dei terzi
attraverso contratti di licenza.

Proprietà industriale e proprietà intellettuale

Proprietà intellettuale (opere dell’ingegno): risultati immateriali derivanti dal lavoro


creativo nel settore delle arti, spettacolo, musica e letteratura, ricadono nella
disciplina dei diritti d’autore

Ora il campo dei diritti d’autore protegge anche creazioni a contenuto tecnologico o
di design. L’espressione proprietà intellettuale viene usata in significato più ampio e
comprende diritti d’autore, di marchio, di invenzione e di modello. L’attrazione in
un’unica qualificazione proprietaria riflette l’esistenza di un diritto comune.

65 Valentina Gilardoni
Azioni a difesa della proprietà industriale

Un aspetto del diritto comune è l’esistenza di azioni a difesa della proprietà per
prevenire e rimovere l’illecito. Il titolare di beni immateriali dispone di:

• Azione risarcitoria

• Strumenti di prevenzione quali l’inibitoria della fabbricazione, del commercio e


dell’uso delle cose che violano il diritto

• Strumenti di rimozione degli effetti: ritiro dal commercio, o distruzione o


assegnazione in proprietà dei beni che violano il diritto

• Possibilità di fissare una somma dovuta per ogni violazione

I provvedimenti inibitori e di rimozione non richiedono il dolo o la colpa del


contraffattore. Il risarcimento invece presuppone dolo o colpa (art. 2043), così
come anche la possibilità di pretendere la restituzione degli utili realizzati dall’autore
della violazione.

Fonti e sistema

Il codice della proprietà industriale dedica parte delle proprie norme ai diritti
titolati: protetti da una complessa fattispecie costituito che si perfeziona a seguito
della registrazione o brevettazione presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM)

Il codice civile disciplina anche i diritti non titolati tra cui: diritto di ditta, insegna
e marchio non registrato che sorgono direttamente per effetto dell’uso,
indipendentemente da brevettazione o registrazione.

La registrazione e brevettazione può avvenire anche presso Uffici internazionali e


europei, per estendere gli effetti oltre i confini del paese:ufficio unione europea per
la proprietà intellettuale (EUIPO). vi è anche un Ufficio europeo dei brevetti (UEB).

66 Valentina Gilardoni
13. I SEGNI DISTINTIVI

Principi comuni:

• Libertà nella formazione dei segni distintivi

• Diritto all’uso esclusivo: tutela relativa e strumentale

• Trasferibilità

La ditta
Art 2598: Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei
diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque:

1. usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni
distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un
concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione
con i prodotti e con l'attività di un concorrente

Art 2563: L'imprenditore ha diritto all'uso esclusivo della ditta da lui prescelta. La
ditta, comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla
dell'imprenditore, salvo quanto è disposto all’articolo.

Ditta originaria: prescelta dall’imprenditore al momento della costituzione


dell’impresa. Sufficiente che contenga cognome o sigla

Ditta derivata: formata da un dato imprenditore e trasferita ad un altro imprenditore


insieme all’azienda. Si tratta di una pura verità storica, la ditta è quella
dell’imprenditore precedente.

La ditta contraddistingue l’imprenditore nella propria attività d’affari. Ha la funzione


distintiva di imputabilità di scelte organizzative aziendali. Assolvono la funzione
di ditta: i segni che compaiono negli elenchi telefonici, nella carta intestata, nelle
pubblicità. Ciò si differenzia dal marchio che distingue l’imputabilità di strategie
commerciali di accreditamento delle qualità di un prodotto e servizio

La necessità è di tutelare l’interesse a che attraverso la ditta i terzi identifichino il


titolare dell’attività ( teoria soggettiva), che è stata superata, o l’organizzazione
imprenditoriale (teoria oggettiva).

Art. 2564: Quando la ditta è uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e
può creare confusione per l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui questa è

67 Valentina Gilardoni
esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a
differenziarla.

Per le imprese commerciali l'obbligo dell'integrazione o modificazione spetta a chi


ha iscritto la propria ditta nel registro delle imprese in epoca posteriore.

La ditta può essere priva di nome e sigla (ditta irregolare), non iscrivibile al registro
delle imprese, ma ritenuta tutelabile dalla disciplina della concorrenza sleale, art.
2598.

Art. 2565: La ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda. Nel
trasferimento dell'azienda per atto tra vivi la ditta non passa all'acquirente senza il
consenso dell’alienante. Nella successione nell'azienda per causa di morte la ditta
si trasmette al successore, salvo diversa disposizione testamentaria.

2566: Per le imprese commerciali, l'ufficio del registro delle imprese deve
rifiutare l'iscrizione della ditta, se questa non è conforme a quanto è prescritto
dal secondo comma dell'articolo 2563 o, trattandosi di ditta derivata, se non è
depositata copia dell'atto in base al quale ha avuto luogo la successione
nell’azienda.

La ditta deve inoltre rispettare requisiti di:

• Novità: diversificazione rispetto agli altri segni distintivi. Secondo il principio di


confondibili la novità non deve essere assoluta, ma relativa al luogo e alla
tipologia dell’attività svolta.

• Verità
• Liceità: non deve essere contraria alla legge e al buon costume
• Capacità distintiva: non deve essere meramente generica

L’insegna
Art 2568: Le disposizioni del primo comma dell'articolo 2564 si applicano
all'insegna [2598).

Ovvero l’obbligo di modificare il segno distintivo uguale o simile a quello di un altro


imprenditore e idoneo a creare confusione per l’oggetto e per il luogo. Si applica
anche la disciplina di concorrenza sleale.

L’insegna è utilizzata all’ingresso dei locali e degli stabilimenti e assume una


funzione distintiva della gestione di un’organizzazione aziendale fisicamente

68 Valentina Gilardoni
collocata in un certo luogo.Può essere liberamente formata da lettere, disegni,
figure.

Vi è un principio di unitarietà dei segni distintivi: devono essere presi in


considerazione in via generale. Ovvero che l’insegna non deve essere simile né a
un’altra insegna, né a un marchio ecc.

TRASFERIMENTO DELL’INSEGNA: Sull’insegna la norma non dice nulla, la tesi


preferibile è quella più permissiva secondo cui l’insegna, come il marchio, può
essere trasferita singolarmente. Questo perché l’insegna, come il marchio, è un
segno distintivo del prodotto e non dell’imprenditore. L’insegna quindi è trasferita
separatamente rispetto alla azienda (franchising).

Ragione e denominazione sociale

Art. 2567: La ragione sociale e la denominazione delle società sono regolate dai
titoli V e VI di questo libro. Disposizioni dell’articolo 2564.

Questi segni distintivi costituiscono uno strumento di spendita del nome delle
società e ne costituiscono la ditta. Ragione e denominazione sociale sono tutelate
dalla disciplina di concorrenza sleale.

Il marchio
È il segno distintivo utilizzato mediante apposizione materiale sul prodotto. Vi sono
anche marchi di servizio, che non sono materialmente applicabili, usati tipicamente
nelle uniformi di lavoro.

Può esser mitizzato per una categoria di prodotti diversificati, come Volkswagen
(marchio generale) o per un singolo prodotto come Golf (marchio speciale).

Con riferimento alla composizione si distingue tra:

• Marchi denominativi, formati da parole

• Marchi figurativi, formati da disegni, loghi

• Marchi misti
Il marchio è protetto non soltanto a fronte di utilizzazioni confusorie, ma anche
contro i tentativi di approfittare o arrecare pregiudizio al valore pubblicitario della
sua notorietà.

Per il marchio è prevista la registrazione davanti ai pubblici uffici, caratterizzato da


efficacia costituiva della protezione, che si perfeziona ed è azionabile anche prima
dell’utilizzo del segno ed è estesa all’interno dell’UE.

69 Valentina Gilardoni
Tuttavia sono protetti anche i marchi non registrati, che rientrano nei segni
distintivi diversi dal marchio registrato e che il codice della proprietà industriale
dichiara protetti ricorrendone i presupposti di legge. Solo il marchio con una
notorietà estesa all’intero Stato vanta dunque una posizione geograficamente
corrispondente a quella derivante dalla registrazione.

Art. 2571: Chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare
ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui
anteriormente se ne è valso.

Impedimenti assoluti alla registrazione

La tutela del marchio registrato richiede alcuni requisiti, la cui mancanza può essere
fatta valere davanti al giudice quale causa di nullità della registrazione.

Alcuni requisiti riflettono l’esistenza di interessi generali in conflitto con la tutela del
marchio. L’azione di nullità può esser fatta valere da chiunque vi abbia interesse
(nullità assoluta). Il regolamento sul marchio utilizza l’espressione impedimenti
assoluti alla registrazione per indicare le ipotesi di mancanza di requisiti in esame.

A. Requisito della capacità distintiva del marchio. L’interesse è quello di


mantenere la disponibilità di strumenti di comunicazione utili a promuovere
l’offerta del prodotto. Sono privi di capacità distintiva i segni costituiti
esclusivamente da denominazioni gerarchiche di prodotti o da indicazioni
descrittive riferite a specie, qualità, quantità, funzioni, provenienza geografica..
L’assenza del requisito può essere sanata solo prima della proposizione della
domanda o dell’eccezione di nullità il segno ha acquisito tale carattere
(secondary meaning)

B. Segni che costituiscono caratteristiche intrinseche del prodotto.


L’impedimento riguarda perciò in primis la registrazione di marchi di forma
come trame del tessuto (che non possono essere marchio), odori e profumi (che
non possono essere marchio dei profumi), musiche e suoni (che non possono
essere marchio di un prodotto musicale). Sono escluse dalla registrazione le
caratteristiche imposte dalla natura stessa del prodotto, le forme necessarie per
ottenere un risultato tecnico o che danno valore sostanziale al prodotto.

In questi casi le caratteristiche intrinseche del prodotto possono essere protette


attraverso la brevettazione dell’invenzione, modelli di utilità, registrazione di
disegni e modelli, tutela del diritto d’autore (per valore artistico o musicale del
prodotto). Tutte queste tipologie di brevettazione hanno carattere temporaneo,
mentre la tutela del marchio è perpetua.

70 Valentina Gilardoni
C. Impedimenti sono la decettività e l’illiceità, ossia il divieto di registrare i segni
idonei ad ingannare il pubblico, nonché i segni contrari alla legge, all’ordine
pubblico e al buon costume.

Impedimenti relativi alla registrazione

Requisiti a tutela di interessi individuali di chi vanti diritti anteriori in conflitto con
la registrazione. La mancanza di questi costituisce una causa di nullità che può
essere fatta valere solo dai titolari dei diritti anteriori (nullità relativa). La presenza
di diritti anteriori fa venire meno il requisito della novità. Sono privi di novità i marchi
la cui utilizzazione rappresenterebbe una violazione dei diritti sui segni distintivi
anteriori.

A. Segni distintivi registrati con efficacia anteriore, valutata in relazione alla data
di deposito della domanda, non a quella di concessione della registrazione.
Rilevano tutte le domande depositate nello Stato.

B. Requisito della novità è pregiudicato anche dall’esistenza di diritti anteriori su


segni non registrati. L’uso precedente del segno quando non importi notorietà
o importi notorietà locale, non toglie la novità, ma il terzo preutente ha diritto a
continuare nell’uso del marchio anche ai fini della pubblicità, nonostante la
registrazione del marchio stesso. L’uso del segno che importi una notorietà
nazionale attribuisce diritti estesi a tutto lo Stato, fa perdere la novità dei marchi
posteriori confondibili e ne determina un vizio di nullità relativa.

Il procedimento di registrazione

La registrazione avviene a seguito di un procedimento avviato su domanda


dell’aspirante titolare. In Italia essa avviene presso l’Ufficio Italiano Brevetti e
Marchi (UIBM) ed offre una protezione limitata al territorio. L’estensione della tutela
prevede l’avvio di paralleli procedimenti di registrazione negli altri paesi, o presso
l’ufficio a Ginevra in cui è possibile indirizzare una domanda destinata a produrre
effetti nei paesi aderenti.

La domanda deve contenere:


- generalità del richiedente
- Riproduzione del marchio
- Elenco dei prodotti e servizi che contraddistingue

71 Valentina Gilardoni
La concessione della registrazione non garantisce la valida nascita di diritti sul
segno, perché è possibile lamentare davanti all’autorità giudiziaria che il marchio è
privo di uno o più requisiti.

In presenza dei requisiti l’iscrizione ha efficacia costitutiva di diritti che prescindono


dall’uso o dalla conoscenza del segno presso il pubblico. Il titolare della
registrazione ha tuttavia l’onere d utilizzare il segno entro 5 anni, diversamente
perde il diritto per decadenza. Il marchio registrato ha una protezione di durata
perpetua, ma deve essere rinnovata a scadenza decennale.

Il regolamento sul marchio UE disciplina una registrazione con effetti sovranazionali


necessariamente estesi all’interno dell’UE. Il procedimento si svolge all’ufficio
EUIPO. Diversamente il marchio depositato in base ad una domanda internazionale
all’Ufficio di Ginevra non produce effetti unitari, ma equivale ad una serie di
registrazioni autonome.

L’estensione della tutela della registrazione

2569: Il titolare vanta un diritto esclusivo sul marchio ed in particolare il diritto di


vietarne l’uso da parte di terzi. Il titolare del marchio ha il diritto di vietare l’uso di un
segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi identici o affini, se
possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico nell’associazione dei due
segni (principio di relatività di protezione).

Il principio di relatività della protezione muta se il marchio è rinomato/noto. Vi è


il diritto di vietare l’uso del marchio per prodotti anche non affini, se l’uso del segno
consente di trarre indebitamente vantaggio dalla rinomanza del marchio o reca
pregiudizio agli stessi.

Può essere considerato contraffazione anche se l’uso del segno avviene per fini di
comparazione, quando non vengano rispettati i limiti della pubblicità comparativa: si
protegge la funzione pubblicitaria acquisita dal marchio per effetto della sua
notorietà.

Il legislatore disciplina la tipologia di atti che possono costituire contraffazione: tutti


gli atti di commercio, importazione e esportazione. Il titolare può agire non solo nei
confronti di chi ha fabbricato i prodotti, ma anche di chi li ha commerciati.

Principio dell’esaurimento: i prodotti messi lecitamente in circolazione nella UE


con il consenso del titolare possono essere in linea di principio commercializzati
liberamente. (non si possono impedire importazioni da uno a un altro paese)

72 Valentina Gilardoni
Cessioni e licenze di marchi

2573: Il marchio può essere trasferito o concesso in licenza per la totalità o per
una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato, purché in ogni caso
dal trasferimento o dalla licenza non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti
o servizi che sono essenziali nell'apprezzamento del pubblico.

Il trasferimento dei diritti sul marchio avviene per effetti di accordi di vendita o da
altri accordi. Il trasferimento non è vincolato all’azienda, a differenza della ditta.
L’ordinamento prevede un sistema di trascrizione dei trasferimenti, che produce
effetti di pubblicità dichiarativa, in virtù del quale nel conflitto tra più acquirenti è
preferito chi ha trascritto per primo il suo titolo.

I diritti di marchio sono spesso oggetto di contratti di licenza stipulati dal titolare
(licenziante) con uno o più terzi licenziatari. Il licenziante mantiene la titolarità del
segno, consentendone però l’utilizzazione ad un licenziatario. I limiti di utilizzazione
del marchio possono essere diversi: territorio, tipologia di prodotti, qualità ecc.

Il corrispettivo della licenza è definito royalty. Il fenomeno della concessione di


licenze per l’uso di marchi avviene spesso per prodotti che l’impresa non sarebbe in
grado di produrre, come nel merchandising.

Le licenze si distinguono in:

- Esclusive: il licenziante non utilizza il marchio e il licenziatario è uno solo e opera


senza concorrenti

- Non esclusive: il licenziante utilizza il marchio in proprio e lo cede anche a più


licenziatari.

Il licenziatario deve usare il marchio per prodotti o servizi uguali a quelli del
licenziante. Se questo obbligo viene violato si considera contraffazione e se il
licenziante lo tollera incorre nella decadenza del marchio.

Nullità e decadenza della registrazione

Il mancato perfezionamento della registrazione ne determina la nullità.


Esistono comunque altri eventi successivi alla registrazione che privano ex nunc
di efficacia la fattispecie della protezione: ciò causa decadenza.

Nullità e decadenza: caratteristiche in comune

• possono essere entrambe parziali (colpire soltanto una parte dei prodotti
sottoposti al marchio)

• Vengono dichiarate con efficacia erga omnes

73 Valentina Gilardoni
• Producono effetto sull’intero territorio UE (nel sistema del regolamento del
marchio UE)

• Sono azionabili davanti all’autorità giudiziaria


La nullità del marchio UE è però azionabile davanti al giudice solo in via
riconvenzionale.

A. La nullità relativa della registrazione derivante dal conflitto con diritti anteriori
può essere sanata (convalida del marchio) qualora il titolare anteriore tolleri
consapevolmente per un periodo di 5 anni l’uso del marchio registrato. La
disciplina non si applica tuttavia in caso di mala fede del secondo registrante,
ovvero nel caso in cui vi fosse intenzione di approfittare dell’accreditamento
conseguito dal primo marchio

B. La decadenza avviene per non uso se il marchio non è stato oggetto di uso
effettivo entro 5 anni dalla registrazione, o quando l’uso sia stato interrotto
per 5 anni. La decadenza è sanabile attraverso la ripresa dell’utilizzazione
anteriormente alla proposizione di domanda o dell’eccezione di decadenza.

C. La decadenza può avvenire per ingannevolezza sopravvenuta, ovvero quando


il titolare del marchio induce in inganno il pubblico circa al natura, qualità o
provenienza die prodotti. Es: licenza non esclusiva, per la quale è posta
l’eguaglianza dei prodotti.

D. Decadenza se il marchio sia divenuto nel commercio denominazione generica


del prodotto o abbia perduto la sua capacità distintiva. Es: “nailon” era un
marchio registrato, ma ha acquisito un significato descrittivo della fibra sintetica.

I nomi a dominio

Sono espressioni letterali che consentono ad un computer di indirizzare il proprio


collegamento verso un altro computer per ricevere informazioni da quest’ultimo. I
nomi a dominio vengono assegnati ai gestori delle informazioni ospitate sui
server dalle autorità preposte al funzionamento di internet attraverso un
procedimento di registrazione del Domain name.

La norma vieta l’utilizzazione di un nome a dominio uguale o simile all’altrui


marchio se possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico o se il
marchio di servizi non affini goda di uno stato di rinomanza, che consente di trarre
indebitamente vantaggio.

Anche i nomi a dominio devono rispettare il divieto di utilizzazioni confusorie o


dirette a sfruttare la fama di altrui marchi notori.

74 Valentina Gilardoni
I segni distintivi collettivi

Una categoria di segni destinati a utilizzazione plurima sono i marchi collettivo e di


certificazione.

Marchi collettivi: possono essere registrati da persone giuridiche di diritto pubblico


e associazioni di categoria e sono destinati all’uso di produttori che condividano le
finalità istituzionali dell’ente.

Marchi di certificazione: registrati da persone fisiche o giuridiche preposte a


garantire l’origine, natura o qualità di determinati prodotti o servizi. La funzione
protetta del marchio di certificazione è di garantire che i prodotti o servizi
contraddistinti presentino particolari caratteristiche qualitative certificate dal
titolare.

L’utilizzazione di essi deve avvenire nel rispetto dei regolamenti d’uso: che
determinano le condizioni d’uso del marchio, i controlli per verificarne il rispetto e le
sanzioni previste. L’omissione delle misure idonee a prevenire un uso del marchio
non conforme costituisce motivo di decadenza dei diritti per sopravvenuta
ingannevolezza. L’inganno consiste nel mancato rispetto delle finalità istituzionali
del registrante o delle caratteristiche qualitative certificate dal regolamento.La
disciplina di questi marchi corrisponde in linea di principio a quella del marchio
individuale.

Indicazioni geografiche: garanzia di produzione tradizionale del territorio. Nel caso


in cui il nome del territorio risulti adottato per designare un prodotto che ne è
originario e le cui qualità, reputazione, caratteristiche sono dovute esclusivamente o
essenzialmente all’ambito geografico d’origine.

Le indicazioni geografiche possono essere tutelate mediante registrazione a titolo di


denominazioni d’origine protette (DOP) o indicazioni geografiche protette (IGP). La
registrazione è concessa sulla base di un complesso ricevimento davanti alla
Commissione che deve verificare la possibilità che il pubblico percepisca
l’indicazione geografica in funzione distintiva della provenienza del prodotto da una
determinata zona. La tutela è unitaria ed estesa a tutti gli stati membri.

-I diritti non decadono per effetto di volgarizzazione.

75 Valentina Gilardoni
DIRITTO DELLA PROPRIETÀ INDUSTRIALE
Diritto della proprietà intellettuale

Hanno comuni finalità: garantire che l’investimento dell’autore/inventore venga


remunerato. Ma si vuole anche permettere il progresso attraverso al diffusione di tali
invenzioni. Le due esigenze sono contrapposte.

Viene riconosciuto all’autore un diritto esclusivo di sfruttamento economico, ma si


regolamenta anche l’altro interesse favorendo la divulgazione delle coperte o delle
opere e limitando i monopoli. Viene remunerato l’investimento, ma con durata
prestabilita.

Le invenzioni industriali

Soluzioni di carattere tecnico che risolvono un problema tecnico (diversamente dalla


scoperta) e sono destinate ad avere un’applicazione nel settore produttivo. Si
differenziano anche dalla semplice attività intellettuale.

Un soggetto che procede con una invenzione industriale ottiene una tutela: potrà
sfruttare in modo esclusivo questa sua invenzione. Questa tutela si ottiene mediante
il brevetto. Il brevetto trova una tutela a livello sia nazionale (Codice civile e Codice
della proprietà industriale e Ufficio italiano brevetti e marchi), sia a livello
internazionale (PCT di Washington, Tipo di Ginevra). Vi è un fascio di brevetti
internazionali: si deposita una domanda di brevetto presso il UEB e si decide in
quali paesi si vuole estendere tale brevetto. A livello Unione Europea vi è un Fascio
di brevetti Europei, ovvero un fascio di brevetti con il vantaggio che si può
depositare un’unica domanda, ma si dovranno ottenere i singoli brevetti su base
nazionale. Ciò significa che ciascuna frazione nazionale di brevetto può essere
autonomamente ceduta dal titolare ed è assoggettata alle autonome azioni di
nullità. Ora però esiste anche il brevetto europeo unitario che ottiene anche effetti
unitari.

Tipologie

• Di prodotto: l’invenzione ha ad oggetto un nuovo prodotto materiale

• Di procedimento: nuovo metodo di produzione di un bene già noto

• Derivate: derivazione di una precedente invenzione (perfezionamento, infezione di


combinazione, invenzione di traslazione).

Non tutte sono brevettabili, alcune devono essere di libera trattazione:

76 Valentina Gilardoni
- Scoperte, teorie scientifiche e metodi matematici
- Piani, principi e metodi per attività intellettuali, gioco o attività commerciale
- Presentazioni di informazioni
- Metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale
- Metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale
- Varietà di vegetali e razze animali, nonché i procedimenti essenzialmente biologici
per l’ottenimento delle stesse

Inoltre i software non sono brevettabili, ma tutelati dal diritto d’autore

REQUISITI PER LA BREVETTAZIONE

1. LICEITÀ: non deve essere contraria all’ordine pubblico e al buon costume. Alla
legge no perché potrebbe essere contraria alle leggi di uno Stato ma non di un
altro

2. NOVITÀ: non compresa nello stato della tecnica (tutto ciò che è reso accessibile
al pubblico nel territorio dello Stato o all’estero). Non deve essere predivulgata,
a meno che non lo sia a una cerchia di persone ristrette che firmano patto di
non divulgazione. vi sono tipologie di divulgazioni non opponibili all’inventore:
abuso evidente ai danni del richiedente nei 6 mesi precedenti (es. spionaggio
industriale) e rivendicazione di priorità che consente di retrodatare la valutazione
di novità al primo deposito in uno dei paesi.

3. ORIGINALITÀ: per una persona esperta del ramo l’invenzione non deve risultare
in modo evidente dallo stato della tecnica (salto inventivo)

4. INDUSTRIALITÀ: deve essere utilizzabile in un qualsiasi tipo di industria

DIRITTI CONNESSI ALLE INVENZIONI INDUSTRIALI

• L’inventore ha diritto ad essere riconosciuto come tale (diritto morale), acquisito


con l’invenzione e non alienabile

• L’inventore ha il diritto a conseguire il brevetto (diritto al brevetto)

• L’inventore ha il diritto di sfruttamento economico esclusivo sull’invenzione (diritto


sul brevetto)

77 Valentina Gilardoni
Un’ipotesi di diritto al brevetto si ha con riferimento alle invenzioni dei dipendenti:
accade quotidianamente che un datore assuma dei soggetti affinché svolgano
un’attività di invenzione di nuovi prodotti o processi. Si tratta dell’attività di ricerca e
sviluppo. Il datore di lavoro ottiene il diritto al brevetto come remunerazione
dell’investimento. Al lavoratore verrà riconosciuto il diritto morale e un equo
premio.

Un dipendente potrebbe arrivare ad un’invenzione anche se non è quella la sua


attività specificamente retribuita, ma pur sempre all’interno di uno stabilimento e
contratto di lavoro. In tal caso il lavoratore mantiene il diritto morale, il datore di
lavoro ha un diritto di prelazione per l’acquisto del brevetto. Al dipendente dovrà
essere riconosciuto un corrispettivo che rispetti il valore dell’invenzione.

PROCEDIMENTO DI BREVETTAZIONE

Inizia su domanda dell’inventore, che ha un diritto al brevetto. La domanda


presentata da chi non vanti tale diritto consente all’inventore di ottenere dal giudice
il trasferimento a proprio nome del brevetto o di farne dichiarare la nullità. Il diritto al
brevetto si può comunque cedere.

La domanda deve presentare generalità del richiedente, descrizione dell’invenzione


idonea a consentire l’attuazione da parte di un esperto del ramo e una o più
rivendicazioni indicanti ciò che si intende debba formare oggetto del brevetto. La
concessione del brevetto avviene a seguito della verifica della regolarità dei
requisiti.

INVENZIONE BREVETTATA

L’invenzione brevettata garantisce un’esclusiva, ovvero la facoltà esclusiva di


attuare l’invenzione e trarne profitto nel territorio dello Stato (produzione,
importazione, commercializzazione). L’esclusiva di commercio si esaurisce con la
prima immissione in uno Stato UE o nello spazio economico europeo: nel momento
in cui il prodotto viene venduto nell’UE, lo sfruttamento economico del brevetto
viene a cessare (principio di esaurimento). Se chi l’ha acquistato sole rivenderlo,
può farlo.

La durata di brevetto è di 20 anni dalla deposizione della domanda e non può


essere rinnovato (solo per alcuni prodotti medicinai e fitosanitari)

Il brevetto può essere ceduto a titolo definitivo, può essere concesso in licenza
con o senza esclusiva oppure essere oggetto di diritti reali e di esecuzione forzata.

78 Valentina Gilardoni
Vi sono casi in cui il titolare può essere obbligato a concedere licenze: la licenza
obbligatoria. Può essere imposta quando non abbia ottemperato all’onere di
attuare l’invenzione in proporzione ai bisogni del paese entro tre anni o abbia
sospeso questa attuazione per tre anni. È concessa dietro il paggetto d un equo
compenso da parte del Ministero dello sviluppo economico.

Può essere fatto valere anche contro prodotti con modifiche all’invenzione, quando
sia ovvio che le modifiche non alterano il contenuto dell’invenzione (contraffazione
per equivalenti)

Trova come tutela l’azione di contraffazione, l’azione inibitoria, l’eliminazione degli


oggetti contraffatti e anche provvedimenti come il sequestro, la rimozione o la
distruzione dei beni

INVENZIONE NON BREVETTATA

Se l’invenzione non viene brevettata, l’utilizzatore di un’invenzione non brevettata


non vanta alcuna esclusiva. L’uso ne distrugge la novità, precludono così la
possibilità di brevettarlo.

Il soggetto inventore che non l’ha brevettata può continuare ad usarla, se l’ha usata
nei 12 mesi precedenti, anche nel momento in cui un soggetto terzo dovesse
arrivare alla medesima invenzione e brevettarla, ma solo nei limiti del preuso.

Il know how (insieme delle conoscenze che rappresenta un valore per qualsiasi
azienda) può essere mantenuto segreto, ma non attribuisce esclusiva. La violazione
del know how è oggetto di sanzione e quindi è tutelata.

NULLITÀ E DECADENZA

Il brevetto può essere dichiarato nullo da attività giudiziaria. L’azione di nullità può
essere intrapresa da chiunque vi abbia interesse, spesso dal convento in
contraffazione. La dichiarazione di nullità ha efficacia erga omnes. Le cause di
nullità sono: assenza di requisiti, insufficiente descrizione dell’invenzione o se il
brevetto è stato concesso al non avente diritto. Le cause di decadenza: malato
pagamento delle tasse brevettali, mancata attuazione dell’invenzione nei due anni
successivi al rilascio della licenza obbligatoria.

79 Valentina Gilardoni
MODELLI DI UTILITÀ

Sono creazioni intellettuali che conferiscono un’efficacia o comodità di


applicazione o impiego a macchine, strumenti, utensili. Migliorano la funzione del
bene già compreso nello stato della tecnica. La durata della tutela è di 10 anni.

Trovano la medesima disciplina delle invenzioni, ma la differenza a livello teorico è


netta. Distinzione quantitativa perché il modello di utilità presuppone una minore
efficacia creativa e qualitativa perché l’invenzione ha per oggetto un bene nuovo,
mentre il modello di utilità presuppone un modello esistente.

DISEGNI E MODELLI INDUSTRIALI

Sono nuove idee destinate a migliorare l’aspetto (forma, linea, colore, contorni) dei
prodotti industriali. La durata è di 5 anni.

Vi è possibilità di cumulo con il diritto d’autore.

I requisiti sono: novità (ci può essere predivulgazione ma per un anno) e carattere
individuale (l’impressione generale che suscita nell’utilizzatore informato differisce
da quelli già esistenti). Mentre nell’invenzione viene considerato il salto inventivo,
qui viene preso in considerazione l’utilizzatore.

La tutela è data dalla registrazione in sede nazionale allo UIBM o in sede europea
(EUIPO). La protezione derivante dalla registrazione ha durata 25 anni. Ammessa
tutela per non distrazione ma per serata minore.

ESERCIZI

1. Il sig. Polenghi, operante da tempo nel settore caseario, ha lanciato sul mercato
delle caramelle al latte, contrassegnate con il marchio Golosine, che stanno
riscuotendo un discreto successo: tanto che decide di incrementarne la produzione
e la conseguente distribuzione. Tuttavia, Polenghi ritiene opportuno far precedere
questa decisione da un’adeguata politica di marketing, finalizzata a diffondere il
marchio anche in mercati diversi da quello attualmente servito. Decide, pertanto, di
rivolgersi ad un professionista per sapere se possa cedere temporaneamente l’uso
del marchio Golosine ad altre piccole imprese specializzate nella produzione dei
“derivati” del latte, dislocate in ambiti territoriali tra loro diversi. Quale sarà la
risposta del professionista?

Si, il sig. Polenghi può cedere il marchio per la produzione di derivati del latte. Si fa
riferimento alla disciplina di trasferimento del marchio (art. 2573). Egli può cedere il

80 Valentina Gilardoni
marchio attraverso licenza non esclusiva a più imprese, con l’obbligo però di
attenersi agli obblighi previsti. I prodotti contraddistinti dallo stesso marchio devono
essere uguali tra loro nel territorio dello Stato.

2. Nel frattempo, Polenghi apprende che il sig. Tanza, anch’egli operante da tempo
nel settore caseario, ha appena avviato la produzione di caramelle simili a quelle da
lui prodotte e che ha cominciato a immettere sul mercato con il marchio Golose.
Polenghi si dimostra non poco infastidito da questa notizia e ritorna dal
professionista cui si era rivolto poco prima, per sapere se e quali rimedi sia possibile
adottare. Il professionista gli consiglia anzitutto di procedere alla registrazione del
marchio Golosine. Quale sarà la risposta del professionista? È possibile registrare il
marchio Golosine?

Il marchio Golosine non consente al marchio Golose di soddisfare il requisito di


novità.I rimedi adottabili dal sig. Polenghi sono quelli posti a tutela di un marchio
non registrato, il quale è tutelabile nei limiti del preuso (art. 2571 c.c.). L’art 2571
afferma che se il marchio Golose viene registrato, il marchio Golosine può essere
comunque utilizzato nei limiti del preuso. Detta tutela dipende da due variabili: dalla
notorietà del marchio Golosine (se nazionale o solo locale) e dalla circostanza che
per il marchio Golose sia stato richiesta o meno la registrazione. Se la notorietà di
Golosine è nazionale il sig. Polenghi si può opporre alla registrazione
eventualmente richiesta per il marchio Golose (o, se la registrazione è già
avvenuta, esercitare un’azione di nullità ex art. 25 c.p.i.) e/o azionare nei confronti
del sig. Tanza un’azione inibitoria per concorrenza sleale confusoria (art. 2598 n.
1 c.c.). Se la notorietà di Golosine è solo locale il sig. Polenghi non si può opporre
alla registrazione eventualmente richiesta per il marchio Golose (né, se la
registrazione è già avvenuta, può esercitare un’azione di nullità ex art. 25 c.p.i.) ma
può solo continuare ad utilizzare il marchio nel mercato in cui è presente.
Ricorrendone i presupposti, può poi azionare nei confronti del sig. Tanza un’azione
inibitoria per concorrenza sleale confusoria (art. 2598 n. 1 c.c.).

Il marchio Golosine può essere registrato se non è stata già richiesta la registrazione
del marchio Golose. Esso, infatti, soddisferebbe, oltre al requisito della capacità
distintiva (artt. 13 e 14 c.p.i.), anche il requisito della novità (art. 12 c.p.i.).

81 Valentina Gilardoni
I PRINCIPI
Si applica il codice civile o esiste una disciplina per i contratti d’impresa? Non esiste
una risposta, ma la contrattazione d’impresa è assoggettata ai principi comuni del
diritto civile. Bisogna però terre presente che sono state riconosciute alcune regole
specifiche per i contratti di impresa: commercializzazione del diritto civile. Si
individuano regole speciale che caratterizzano contratti: continuità dell’attività
economica, organizzazione seriale di rapporti, controparti deboli.

Continuità dell’attività economica

Si esprime attraverso le norme che garantiscono la sopravvivenza della relazione


d’affari in occasione di vicende personali dell’imprenditore, quando permangono
le esigenze dell’organizzazione produttiva.

Art. 1330: La proposta o l'accettazione, quando è fatta dall'imprenditore


nell'esercizio della sua impresa, non perde efficacia se l'imprenditore muore o
diviene incapace prima della conclusione del contratto, salvo che si tratti di piccoli
imprenditori o che diversamente risulti dalla natura dell'affare o da altre circostanze.

Art. 1722: Il mandato si estingue: per la morte, l'interdizione o l'inabilitazione del


mandante o del mandatario. Tuttavia il mandato che ha per oggetto il compimento
di atti relativi all'esercizio di un'impresa non si estingue, se l'esercizio
dell'impresa è continuato, salvo il diritto di recesso delle parti o degli eredi.

Art. 2588: trasferimento impresa, subentro nei contratti

L’organizzazione seriale dei rapporti

Art. 1368: Nei contratti in cui una delle parti è un imprenditore, le clausole ambigue
s'interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede
dell’impresa.

Ciò facilita l’interesse dell’imprenditore nell’uniformare i propri rapporti contrattuali


senza dover precisare il significato e la portata delle singole clausole.

Art 1341: Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti


sono efficaci nei confronti dell'altro, se al momento della conclusione del contratto
questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza

Rende il regolamento negoziale vincolante per il solo fatto di essere stato reso
conoscibile con mezzi adeguati, a prescindere dall’effettiva conoscenza (es,.
Clausole del trasporto ferroviarie pubblicate sul sito o esposte)

82 Valentina Gilardoni
La valutazione di meritevolezza del contratto

Gli interessi sottostanti la contrattazione giustificano a volte la meritevolezza del


contratto in deroga ai principi civilistico. La deroga riflettere la consapevolezza del
legislatore che un’acritica applicazione dei principi civilistici al mondo della
contrattazione imprenditoriale potrebbero ostacolare il funzionamento nel mercato.

Esempi di deroghe:

• Nell’ambito della prestazione di servizi e attività di investimento, agli strumenti


finanziari derivati non si applica l’art 1933 del codice civile (che non tutela il
credito di gioco o scommessa). Nei contratti derivati la “scommessa” è
giuridicamente vincolante

• Riconoscimento della liceità del contratto autonomo di garanzia, con cui il


garante, diversamente da quanto previsto dall’art 1939 e 1941, assume
un’obbligazione valida indipendentemente dalla validità dell’obbligazione garantita
e senza possibilità di opporre le eccezioni opponibili dall’obbligato garantito.

L’abuso di dipendenza economica

Risponde all’interesse di tutela della controparte debole, in una situazione in cui


un’impresa sia in grado di determinare nei rapporti commerciali con un’altra impresa
un eccessivo squilibrio diritti e obblighi. La norma vieta l’abuso di dipendenza
economica: vieta all’impresa dominante di imporre condizioni contrattuali o di
tenere comportamenti diretti a determinare un eccessivo squilibrio di diritti ed
obblighi (imposizione di sacrifici che pregiudicano l’interesse alla remunerazione
degli investimenti).

Il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica è nullo. Il


giudice può pronunciare anche provvedimenti inibitori e risarcimento danni

I ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali

Il decreto legislativo vuole porre rimedio al rischio che il debitore ritardi i pagamenti
per migliorare la gestione della propria liquidità trasformando i fornitori in
finanziatori.

La disciplina prevede la decorrenza di interessi dal giorno successivo la


scadenza del pagamento, senza necessità di mora. I termini di pagamento sono
30 giorni dal ricevimento della fattura, con allungamento contrattuale massimo di 60
giorni previsto per iscritto.

83 Valentina Gilardoni
Il saggio degli interessi moratori corrisponde alla misura degli interessi legali di
mora, ovvero con 8 punti percentuali in più rispetto al tasso applicato dalla BCE
nelle operazioni di rifinanziamento. Ne è consentita la deroga purché non risulti
iniqua per il creditore.

Si considera iniqua la clausola che esclude l’applicazione della mora o il


risarcimento per i costi di recupero del credito.

La tutela del consumatore contro clausole vessatorie

Il consumatore ha insufficiente possibilità di ponderazione nelle clausole


contrattuali, che solitamente gli sono imposte.

La disciplina riguarda le clausole che non siano state oggetto di trattazione


individuale. Si tratta precisamente delle clausole che escludono o limitano la
responsabilità del professionista per danni al consumatore o per inadempimento.

La disciplina si concentra su un principio di nullità delle clausole vessatorie: che


determinano un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal
contratto a carico del consumatore. Il legislatore presuppone un elenco di clausole
vessatorie presunte salvo prova contraria dal professionista:
- clausole che restringono l’opponibilità di eccezioni del consumatore
- Clausole che impongono penali, trattenimenti di caparre o risarcimenti
- Clausola che danno al professionista potere di recesso senza preavviso, di
modifica unilaterale ingiustificata delle clausole, di aumento del prezzo
- Clausole che introducono clausole arbitrali o deroghe alla competenza del
giudice

Le clausole vessatorie sono assoggettate ad una nullità di protezione, che opera


soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

La tutela del consumatore contro asimmetrie informativa

L’asimmetria informativa in un contratto è affrontata dal legislatore attraverso prime


che vogliono garantire al consumatore un’effettiva possibili di ponderazione dei
termini dell’operazione, nonché di confronto fra le proposte dei diversi concorrenti.

I. La disciplina sulle pratiche commerciali sleali tutela la libertà di scelta del


consumatore

84 Valentina Gilardoni
II. Il rischio di insufficiente ponderazione è presente nelle vendite effettuate fuori
dai locali commerciali: ove le informazioni si rilevino erronee si considerano
sufficienti i vizi della cosa o di annullamento del contratto per dolo o errore

III. Nel codice dei consumatori è tutelato anche nel commercio elettronico. È
riconosciuta la possibilità di recesso entro 14 giorni dalla ricezione. Il
professionista deve fornire un’informazione completa del bene, con spese,
modalità di recesso in modo appropriato e con un linguaggio comprensibile. Vi
sono obblighi di informazione relativi a tempo e modalità di pagamento.

La violazione di questa disciplina consente al consumatore: l’attivazione degli


ordinari rimedi civilistici (annullamento per vizio del volere, risarcimento del danno)

ESERCIZI

1. Tizio produce abbigliamento casual di vario genere, che poi rivende unicamente a
Caio, il quale, dopo aver contrassegnato lo stesso abbigliamento con un suo
marchio, lo rimette sul mercato. Tizio, una volta preparato, come di consueto, i capi
per la prossima stagione primavera-estate, non riceve l’ordine di Caio. Tizio, allora,
telefona a Caio per chiedere spiegazioni. Caio risponde dicendo di non essere più
interessato ai prodotti di Tizio e che nel futuro non si approvvigionerà più da lui.
Tizio può reagire in qualche modo a questo comportamento?

Tizio potrebbe reagire a questo comportamento, anzitutto, facendo valere una


situazione di dipendenza economica da Caio (cfr. art. 9 l. 192/1998). Tale possibilità
non è, tuttavia, agevole da far valere, essendo non poco incerti i confini della
fattispecie “dipendenza economica”. Tizio, se non riesce a dimostrare la
dipendenza economica, potrebbe, in alternativa, contestare l’interruzione ex
abrupto del rapporto di fornitura in altro modo: ad esempio, facendo valere un
eventuale obbligo contrattuale di preavviso che non è stato rispettato. Ma solo nel
caso in cui si riesca a dimostrare che il comportamento di Caio è illecito (violazione
della dipendenza economica; violazione dell’obbligo di preavviso), Tizio potrà
chiedere ed ottenere (quanto meno) il risarcimento del danno subito.

Esempio: Sky Italia acquistò nel 2003 Tele+, questo determinava che sul mercato
delle televisioni si sarebbe creata una posizione dominate in capo al nuovo
soggetto, qui viene richiamata in causa la commissione europea che autorizzò
l’acquisto da parte di Sky di Tele+ con impegni che Sky avrebbe dovuto rispetta per
i successivi 10 anni. In via eccezionale le concentrazioni sono autorizzate
dall’autorità competente se necessarie per rilevanti interessi pubblici generali o di
politiche industriali.

85 Valentina Gilardoni
SEZIONE SESTA - LA COOPERAZIONE TRA IMPRENDITORI

Strumenti di cooperazione e forme di integrazione tra imprese


L’esercizio di attività competitive su mercati in continua evoluzione presuppone una
notevole diversificazione di risorse, competenze tecnologiche, strategie ed
investimenti che un imprenditore è impossibilitato a procurarsi o effettuare da solo,
quindi necessitano di strumenti di cooperazione e reciproca integrazione.
Questi rapporti si realizzano con alleanze su base territoriale per il
soddisfacimento di esigenze comuni. Se poi gli obiettivi iniziali vengono realizzati,
allora le relazioni iniziali si consolidano in cooperazioni dotati di un apparato
organizzativo più o meno complesso.

Vi è una gamma articolata di forme di cooperazione ed integrazione tra imprese. Gli


strumenti di cooperazione trovano la propria fonte in contratti mediante i quali gli
imprenditori conservano la propria autonomia giuridica ed economica. Le forme
di integrazione, invece, sono caratterizzate dall’esistenza di legami partecipativi
nella proprietà dell’impresa e comportano la formazione di un’unica entità
economica.
Forme di cooperazione“strutturate”: come consorzi, società consortili e
cooperative che presuppongono un rapporto stabile e duraturo tra gli imprenditori
Forme potenzialmente “flessibili”: come i contratti di rete e le associazioni
temporanee di impresa, prive di una rigida organizzazione interna e indirizzate verso
una cooperazione occasionale in vista del perseguimento di obiettivi specifici
comuni.

Le forme di cooperazione inderogabilmente “strutturate”. I consorzi.


Il consorzio è un contratto con il quale più imprenditori istituiscono
un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate
fasi delle rispettive imprese.
Gli imprenditori consorziati mirano al conseguimento di un vantaggio economico
diretto nell’esercizio della propria attività (mutualità consortile), che consiste
solitamente in un risparmio di spesa o in un maggior ricavo che risulta da
un’organizzazione del ciclo produttivo o distributivo.

L’oggetto del consorzio, individuato nello svolgimento di “fasi delle rispettive


imprese”, consente di individuare una pluralità di modelli consortili.

Tuttavia l’attuale definizione di consorzio, non esclude la funzione di limitare la


concorrenza tra imprenditori. Tale finalità è consentita solo nei limiti tracciati dalla
disciplina antimonopolistica, visto che questi contratti costituiscono tipici esempi
di intese anticoncorrenziali, che sono vietate qualora abbiano per oggetto o per
effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza. La disciplina del

86 Valentina Gilardoni
consorzio è composta da una serie di disposizioni generali e di alcune regole
specifiche applicabili solo ai consorzi con attività esterna, che operano, cioè,
anche con i terzi.
Entrambi si caratterizzano per la costituzione di un’organizzazione comune che
però nell’attività interna è volta a regolare i rapporti reciproci degli imprenditori
consorziati; nell’attività esterna, invece, è volta non solo a tale obiettivo, ma anche
a disciplinare l’attività svolta dal consorzio con i terzi.

Le disposizioni generali dei consorzi


a. Il consorzio (art. 2602) è costituito mediante un contratto tra imprenditori e per
questo motivo le parti del contratto non possono essere persone fisiche o
giuridiche che non sono qualificabili come imprenditori.
b. Il contratto del consorzio deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità e
deve contenere una serie di indicazioni, delle quali sono da considerarsi
importanti solo l’oggetto e gli obblighi assunti dai consorziati ed i contributi da
essi dovuti sia costituiti da versamenti iniziali che da versamenti periodici.
L’assenza degli altri dati (durata, attribuzioni e poteri degli organi consortili,
condizione di ammissione di nuovi consorziati, casi di recesso ed esclusione ed
eventuali sanzioni per inadempimento degli obblighi) può essere rimediata con il
ricorso ai princìpi generali. In mancanza di una diversa determinazione della
durata del contratto del consorzio, questo è valido per dieci anni.
c. Elemento essenziale è la presenza di un’organizzazione comune. La sua
disciplina fissa solo poche regole derogabili, lasciando libero spazio
all’autonomia privata. Poiché il consorzio si crea anche in presenza di un
collegio di mandatari, nulla impedisce che questo sia dotato di un unico organo
con funzioni deliberative ed esecutive. Il modello legale, però, prevede una
struttura più complessa fondata sull’articolazione di un organo deliberativo (art.
2606) e un organo esecutivo (art. 2608).
• L’organo deliberativo è composto da tutti i consorziati e retto dal principio
maggioritario.
• Le modificazioni del contratto devono essere fatte per iscritto a pena di nullità
e decise all’unanimità. Il contratto, perciò, è aperto all’adesione di tutti gli
imprenditori che sono in possesso dei requisiti di ammissione stabiliti.
• Se non sono esplicitate le condizioni di ammissione per i nuovi consorziati, la
volontà delle parti deve intendersi nel senso che il rapporto ha una struttura
chiusa e l’ingresso dei nuovi membri deve avvenire per consenso unanime dei
contraenti.
• L’organo esecutivo del consorzio è composto dalle persone preposte dai
consorziati alla direzione del rapporto, per le quali è previsto, anche a garanzia
dei terzi, un regime di responsabilità. Questo organo deve anche controllare
l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte dai consorziati.

87 Valentina Gilardoni
d. La disciplina del consorzio prevede cause di scioglimento del contratto e
della singola partecipazione dei consorziati.
• Il contratto di consorzio si scioglie per il decorso del termine di durata, per il
conseguimento dell’oggetto o l’impossibilità di conseguirlo, o in seguito ad
una decisione unanime o una delibera maggioritaria se sussiste una giusta
causa. Vi è la possibilità di prevedere nel contratto ulteriori cause.
• Lo scioglimento della singola partecipazione può essere, invece, originato dalla
volontà del consorziato (recesso) o dalla decisione degli altri (esclusione).
L’esclusione costituisce la sanzione prevista per l’inadempimento degli obblighi.
• Recesso ed esclusione sono possibili nei casi previsti dal contratto ai quali deve
aggiungersi anche la perdita della qualità di imprenditore che costituisce il
requisito essenziale di partecipazione al consorzio.
Se il consorzio ha per oggetto il contingentamento della produzione o degli
scambi, il contratto deve inoltre stabilire le quote dei singoli consorziati o i
criteri per la determinazione di esse.

Le regole specifiche dei consorzi con attività esterna


I consorzi con attività esterna costituiscono dei centri autonomi dotati di
soggettività giuridica. Essi acquistano la qualità di imprenditori commerciali
esercitando un’attività ausiliaria. I consorzi con attività esterna sono dunque
esposti al fallimento.

La soggettività dei consorzi con attività esterna è legittimata dall’istituzione di un


ufficio destinato a svolgere attività con i terzi e dall’iscrizione nella sezione
ordinaria del registro delle imprese di un estratto del contratto (oggetto, sede
dell’ufficio comune, generalità dei consorziati, durata e indicazione delle persone a
cui è attribuita la presidenza, la direzione e la rappresentanza con i rispettivi poteri).
Alla stessa pubblicità legale è sottoposta ogni modifica dell’accordo.
I consorzi con attività esterna godono di un regime di autonomia patrimoniale. I
contributi dei consorziati ed i beni acquistati con questi confluiscono in un fondo
consortile del quale, per l’intera durata del consorzio, non può essere chiesta la
divisione dai consorziati.

L’elemento essenziale dell’autonomia patrimoniale è un particolare regime di


responsabilità verso i terzi delle obbligazioni consortili. Per le obbligazioni
assunte in nome del consorzio terzi possono far valere i loro diritti
esclusivamente sul fondo consortile.

Le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli
consorziati, invece, sono imputabili solo a questi ultimi, con l’aggiunta di una
responsabilità sussidiaria, a titolo di garanzia, del fondo consortile. Se il
consorzio è costretto a pagare, gli organi consortili potranno esercitare un’azione di

88 Valentina Gilardoni
rivalsa per l’intera somma pagata nei confronti del consorziato interessato
(solidarietà passiva disuguale).

L’art. 2615 prevede, inoltre, per il caso di insolvenza, la ripartizione del debito
dell’insolvente fra tutti gli associati in proporzione delle rispettive quote. Le
persone che hanno la direzione del consorzio devono redigere, entro due mesi dalla
chiusura dell’esercizio, una situazione patrimoniale in conformità delle regole
relative al bilancio di società per azioni.

Le società consortili
Gli scopi tipici del contratto di consorzio possono costituire l’oggetto sociale di una
società consortile. L’atto costitutivo della società consortile può procedere l’obbligo
dei soci di versare contributi periodici per il funzionamento della società.

L’art. 2615-ter consente di costituire la società consortile in tutti i tipi di società


(persone e capitali), esclusa quella semplice. Inoltre sono ammesse le società
consortili cooperative i cui soggetti realizzano lo scopo mutualistico attraverso
l’integrazione delle rispettive imprese o alcune fasi di esse.

I caratteri tipici dello scopo consortile possono ricavarsi dalla nozione di consorzio:
dal carattere ausiliario svolto dall’impresa consortile rispetto all’attività
esercitata dai singoli consorziati che, con la stipulazione del contratto di
consorzio, mirano ad integrare le rispettive imprese e alcune delle loro fasi.
Controversa invece è la disciplina in quanto vi è prevalenza della tesi per la quale le
società consortili vanno regolate esclusivamente sulla base delle norme stabilite
per il tipo societario prescelto. Non è ammessa di applicare una disciplina mista.

Le forme di cooperazione potenzialmente flessibili


Contratti associativi la cui disciplina: non prevede inderogabilmente la costituzione
di un’organizzazione comune, che possono utilizzarsi anche per il perseguimento di
obiettivi contingenti o per una collaborazione temporanea. Esse sono: il contratto
di rete e le associazioni temporanee di impresa.

Il contratto di rete
Con il contratto di rete, più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, la
propria capacità innovativa e la propria competitività e si obbligano, sulla base
di un programma comune di rete:
• a collaborare in forme e in ambiti attinenti all’esercizio delle proprie imprese
• a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale,
tecnica o tecnologi

89 Valentina Gilardoni
• ad esercitare in comune una o più attività della propria impresa.

Al contratto di rete sono riservate agevolazioni fiscali, la cui fruizione prevede


l’osservanza di regole di forma e contenuto:
• Il contratto deve avere una serie di indicazioni tra cui: nome, ditta, ragione o
denominazione sociale di ogni partecipante, l’indicazione degli obiettivi strategici
di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti, le
modalità concordate tra essi per misurare l’avanzamento di tali obiettivi e
deve contenere una definizione di un programma di rete.
• Il patrimonio della rete può consistere in un fondo comune alimentato dai
contributi delle imprese partecipanti, al quale deve applicarsi la disciplina dei
consorzi con attività esterna. Per le obbligazioni contratte dall’organo comune
in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti
esclusivamente sul fondo comune.
• La previsione nel contratto di rete di un organo comune e di un fondo patrimoniale
comune non implica che la rete acquisti soggettività giuridica, ma essa può
acquistarla se il contratto è stipulato nelle forme previste e se è iscritto nella
sezione ordinaria del registro delle imprese. Inoltre, il regime pubblicitario e gli
obblighi contabili corrispondono a quelli previsti per i consorzi con attività esterna.
Il contratto deve essere redatto in forma standard del decreto ministeriale per atto
pubblico o per scrittura privata autenticata, o per atto scritto firmato
digitalmente da ciascun imprenditore.
Quanto alle modifiche del contratto di rete, esse sono redatte e depositate per
l’iscrizione nel registro delle imprese.

È invece rimessa all’autonomia delle parti la previsione di eventuali cause


facoltative di recesso anticipato e di esclusione di un’impresa aderente. Il rinvio
alle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti
plurilaterali porta ad ammettere anche la facoltà di recesso per giusta causa. Manca
invece una specifica disciplina per quanto riguarda l’insolvenza e per la crisi delle
reti di impresa.

Le associazioni temporanee di imprese


La partecipazione a gare per l’assegnazione di appalti di opere pubbliche
presuppone che imprenditori, dotati di specializzazioni distinte, uniscano
temporaneamente le proprie forze per soddisfare i requisiti richiesti dai
commettenti che intendono assicurarsi una sufficiente affidabilità sulla reale
capacità delle imprese assegnatarie delle commesse.
A questa esigenza, i contratti associativi non offrono una risposta soddisfacente
in quanto la loro costituzione comporta dei costi preventivi che potrebbero rivelarsi
superflui nel caso in cui l’appalto dovesse essere assegnato ad altri.

90 Valentina Gilardoni
Inoltre, gli imprenditori ambiscono a conservare la propria autonomia
nell’esecuzione dell’opera e a procedere singolarmente e rendere riconoscibile ai
terzi il compimento della frazione della commessa di loro competenza.
Di qui la nascita del fenomeno delle associazioni temporanee di imprese (joint
venture). Si tratta di specifiche forme di cooperazione a carattere occasionale
tra imprenditori che non determina alcuna organizzazione. Le imprese aspiranti alla
commessa si presentano distinte ed autonome al committente ed il loro
collegamento consiste nel sottoporre al committente un’offerta congiunta
assumendo il comune impegno di eseguire l’opera complessiva e nell’assegnare ad
una di esse (impresa capogruppo o capofila), l’incarico di gestire i rapporti con il
committente ed assicurare il necessario coordinamento esecutivo dell’opera.
La giurisprudenza configura ormai tali associazioni come contratti associativi
innominati. Il legislatore ha provveduto a tipizzare talune figure di associazioni
temporanee come le partecipazioni egli appalti pubblici

ESERCIZI

1. Otto imprenditori operanti nel settore della produzione degli arredamenti su


misura hanno intenzione di accentrare l’acquisito del legname da utilizzare,
sperando di ottenere un risparmio nei costi di produzione, nonché la vendita del
prodotto finito, sperando di ottenere un incremento dei ricavi di vendita. Come
potrebbero realizzare tale intenzione?

Lo scopo degli otto imprenditori è di tipo mutualistico, ovvero di ottenere una


fornitura di beni ad un prezzo vantaggioso rispetto a quello che avrebbero
singolarmente e consortile, perché sono imprenditori che svolgono insieme fasi
delle rispettive imprese. Per realizzare un programma imprenditoriale si potrà optare
per: la società consortile, una società che ha per oggetto sociale gli scopi tipici del
consorzio (art. 2615 ter). La disciplina applicabile dipende dal tipo di scelta
dell’attività (esclusa la società semplice).

Le parti possono anche stipulare un contratto di consorzio, svolgendo il fine sancito


dall’articolo 2602, che afferma che con tale contratto si istituisce una
organizzazione comuna per la disciplina o lo svolgimento di determinate fasi di
imprese. Il consorzio sarebbe attività esterna perché coinvolgerebbe terzi.

Si può perseguire lo scopo anche attraverso una rete di impresa, in cui gli
imprenditori decidono per migliorare la propria competitività e capacità innovativa di
stipulare un programma di impresa che può avere come oggetto lo scambio di
informazioni o prestazioni, la collaborazione in ambiti attinenti all’esercizio delle
proprie imprese o l’esercizio in comune di una o più attività della propria impresa.

91 Valentina Gilardoni
SEZIONE SETTIMA - GLI STRUMENTI DI MOBILIZZAZIONE DELLA
RICCHEZZA. PRINCIPI FONDAMENTALI
I TITOLI DI CREDITO CARTACEI ED ELETTRONICI

Il titolo di credito è il documento, cartaceo o elettronico, menzionante una


situazione giuridica attiva che circola in modo autonomo mediante la
movimentazione del documento, ed al cui esercizio è legittimato il soggetto nella cui
disponibilità si trova il documento stesso.

La circolazione non cartolare è rischiosa e scarsamente agile. I rischi corsi dal


cessionario di un diritto di credito o di un rapporto contrattuale sono:

• Verificare che il cedente fosse titolare del diritto ceduto

• Verificare che la cessione sia efficace nei confronti del debitore ceduto: procedere
alla notificazione e accettazione

• Il ceduto può opporre al cessionario le eccezioni che avrebbe opposto al cedente

La circolazione cartolare (cioè dei titoli di credito) asseconda invece le esigenze di


celerità e protezione degli acquisti, attraverso le opportunità offerte dal
collegamento tra il documento e la posizione giuridica documentata.

La funzione di strumenti di circolazione della ricchezza è assolta mediante il


collegamento tra il documento (il titolo) e il diritto documentato, che si definisce
incorporazione del diritto nel documento. Tale collegamento si esplica su un
triplice livello:

A. Correla la circolazione della posizione giuridica documentata alla circolazione


della chartula. L’ acquirente acquista la posizione giuridica in quanto acquista la
chartula e viceversa. Le implicazioni sono immediate: ne è possibile l’acquisto
della proprietà anche a non domino, purché se ne consegua il possesso in
buona fede (art. 1153); per tal via, l’acquirente del titolo di credito acquista a non
domino anche il diritto documentato (art. 1994). AUTONOMIA REALE

B. Il debitore può opporre al possessore soltanto le eccezioni a questo personali,


eccezioni di forma, fondate sul contesto letterale e che dipendono dalla falsità
della propria firma, difetto di capacità o rappresentanza. Non può opporre delle
personali relative ai precedenti possessori, a meno che nell’acquistare il titolo il
possessore abbia agito a danno del debitore medesimo. 1993 LETTERALITÀ E
ASTRATTEZZA

92 Valentina Gilardoni
C. Il possessore che esibisce la chartula non deve fornire altra prova della
titolarità della sua pretesa e, specularmente, il debitore che paga a suo favore è
sempre liberato, a meno che non disponga di prove certe della carenza di
titolarità in capo a lui (art. 1992). LEGITTIMAZIONE ATTVIA E PASSIVA

È possibile la documentazione elettronica del diritto su un supporto magnetico


circolante. In tal caso si avrebbe un titolo di credito ancora materiale (la tessera),
sebbene non più cartaceo.

La più importante forma che oggi rivestono i titoli di credito elettronici è composta
dai titoli scritturali, a cui sono soggetti necessariamente i titoli negoziati nei
mercati regolamentati (azioni quotate, titoli di Stato, ecc.) e facoltativamente i titoli
di massa (cioè emessi in serie) non quotati.

Il rapporto giuridico è documentato in forma telematica in un conto acceso


presso un intermediario e intestato al possessore del titolo. L’insieme dei titoli di
pertinenza dei clienti di uno stesso intermediario viene a sua volta registrato in un
conto terzi, intestato all’intermediario stesso e acceso presso una società di
gestione accentrata (Sga). La circolazione dei titoli dematerializzati avviene
attraverso movimentazioni contabili telematiche (operazioni di giro).

A. L’acquirente che ha ottenuto l’accredito a proprio favore in buona fede non è


soggetto alla rivendicazione di precedenti titolari, cioè acquista la titolarità
del rapporto documentato anche a non domino

B. All’intestatario del conto in cui il titolo è registrato sono opponibili solo le


eccezioni a lui personali e quelle comuni a tutti gli altri titolari di titoli della
stessa serie, quindi non quelle personali ai precedenti “possessori”

C. Il titolare del conto ha la legittimazione piena ed esclusiva all’esercizio dei diritti


nascenti dal rapporto documentato e quindi, esibita all’emittente la
certificazione rilasciatagli dall’intermediario ed attestante la registrazione
dei titoli nel suo conto, non deve fornire altra prova della sua titolarità.

La fattispecie titolo di credito

A seconda della natura della posizione giuridica documentata possono distinguersi:

1. Titoli di finanziamento, che incorporano un diritto di credito avente ad oggetto


una prestazione pecuniaria: cambiali, titoli di Stato, ecc.

93 Valentina Gilardoni
2. Titoli partecipativi, che incorporano una posizione giuridica complessa,
rappresentativa della partecipazione economica ed organizzativa ad una
iniziativa produttiva: azioni di società, strumenti finanziari partecipativi. Qui il
rapporto documentato comprende diritti patrimoniali e amministrativi

3. Altri valori finanziari, che documentano posizioni giuridiche di vario tipo, come
diritti di opzione, ecc.

4. Titoli rappresentativi di merci, che incorporano il diritto alla consegna di merci


depositate presso un terzo o trasportate da un vettore, il possesso delle stesse
e il potere di disporne mediante trasferimento del titolo.

Molte di queste figure sono direttamente menzionate e regolate dalla legge. È


tuttavia opinione comune che il sistema sia retto dal principio di atipicità, che
cioè, sia possibile la creazione di titoli diversi da quelli normativamente tipizzati.

Tutto questo comporta la necessità di individuare gli elementi costitutivi della


fattispecie cartolare, i requisiti e le condizioni in presenza dei quali un
documento è qualificabile come titolo di credito. Non ogni supporto cartaceo su cui
sia annotato un rapporto giuridico, infatti, è sussumibile in questa fattispecie: non lo
è ad es. l’atto notarile di compravendita di un immobile, il biglietto aereo o per lo
stadio di calcio.

Può definirsi titolo di credito quel documento formato ed emesso per realizzare
un’operazione di finanziamento tra colui che è interessato a conseguire
l’investimento e colui che è interessato a concederlo assicurandosene pero
una facile liquidabilità mediante la negoziazione del rapporto.

Centrale è dunque la volontà dell’emittente e del primo prenditore; ma poiché la


manifestazione di volontà contenuta nel documento, è destinata a rilevare anche nei
confronti della comunità dei terzi che operano nel mercato, essa va interpretata
secondo il significato che l’indeterminato, potenziale destinatario di media
diligenza potrebbe attribuirle. Perciò, perché il documento sia effettivamente
qualificabile come titolo di credito, occorre che esso venga percepito come tale
(cioè destinato alla circolazione) dalla comunità dei consociati.

In particolare, consente di cogliere la distinzione fra titoli di credito e i documenti di


legittimazione, che hanno la sola funzione di premettere una pronta identificazione
del destinatario di una prestazione.

94 Valentina Gilardoni
Il problema dell’individuazione della fattispecie si fa assai meno complesso per i
titoli scritturali, perché qui la documentazione (registrazione nel conto) coincide con
l’immissione nel sistema di gestione accentrata, che di per sé vale come
destinazione alla circolazione e viene percepita come tale dal mercato.

I principi cartolari

Il cuore dell’istituto cartolare è la disciplina della circolazione e le regole di


esercizio del diritto, imperniate sull’esibizione del titolo. I relativi principi vengono
riassunti nelle formule dell’autonomia, della letteralità e dell’astrattezza, che
traducono e spiegano la tutela degli acquisti, e della legittimazione attiva e
passiva, che attengono alla fase esecutiva del rapporto documentato. L’intero
sistema si basa sulla circostanza di fatto della documentazione e del concreto ed
esclusivo controllo su quest’ultima da parte di chi ha in mano la chartula o di chi
dispone del conto in cui il titolo è registrato.

Le leggi di circolazione dei titoli

Per i titoli cartacei, centrale nel sistema è il possesso della chartula. Tuttavia non
sempre è sufficiente il semplice possesso. Esistono infatti tre distinte categorie:

1. Titoli al portatore (es. libretto di risparmio al portatore emesso da una banca):


circolano mediante semplice consegna materiale e l’applicazione delle regole
cartolari si ricollega al possesso del documento, senza ulteriori formalità

2. Titoli all’ordine (es. cambiali, assegni): contengono l’impegno ad eseguire la


prestazione all’ordine di un soggetto menzionato nel documento e dunque
circolano mediante consegna materiale accompagnata dalla girata, cioè
dalla sottoscrizione apposta dall’alienante (girante) sul documento stesso, con
l’indicazione del nuovo creditore (giratario).

3. Titoli nominativi (es. azioni): come nei titoli all’ordine, il nome del creditore è
menzionato nel documento, ma, in più, esso è riprodotto anche in un registro
tenuto dall’emittente; la circolazione avviene mediante consegna della chartula
e indicazione del nome dell’acquirente sul titolo e nel registro

Si parla, per i titoli all’ordine e nominativi, di possesso qualificato.

Per i titoli scritturali la legge di circolazione risulta unica e si basa sulla consegna
virtuale mediante operazione di giro. Per la verità permane, a livello normativo, la

95 Valentina Gilardoni
distinzione fra titoli non nominativi e titoli nominativi; a onor del vero al titolo
scritturale è sempre abbinato il nome del “possessore”, in quanto la registrazione
avviene sempre in un conto intestato, ma la distinzione dovrebbe riguardare la
necessità (per i titoli nominativi) o meno (per gli altri) di procedere altresì
all’annotazione dell’acquirente nel registro dell’emittente.

L’autonomia reale

L’art. 1994 dispone, per i titoli cartacei, che chi ha acquistato in buona fede il
possesso di un titolo di credito, in conformità delle norme che ne disciplinano la
circolazione, non è soggetto a rivendicazione; in altre parole, ne acquista la
proprietà anche a non domino. Si parla perciò di autonomia reale nella
circolazione.

L’acquisto della proprietà del documento presuppone perciò l’esistenza di un


negozio traslativo pienamente valido ed efficace: il possesso sana
esclusivamente il difetto di proprietà dell’alienante, non altri vizi che inficino l’atto.

La tutela giova all’acquirente a condizione che ne consegua in buona fede il


possesso del titolo. La buona fede consiste nell’ignoranza dell’altruità del titolo.

Per i titoli scritturali, il TUF dispone che colui il quale ha ottenuto la registrazione in
suo favore, in base a titolo idoneo e in buona fede, non è soggetto ad azioni da
parte di precedenti titolari.

L’autonomia obbligatoria. La letteralità e l’astrattezza

Per i titoli cartacei, l’art. 1993 stabilisce che il debitore può opporre al possessore
(eventualmente qualificato) del titolo soltanto le eccezioni a questo personali e
una serie di altre eccezioni opponibili a chiunque, mentre le eccezioni fondate
sui rapporti personali con i precedenti possessori sono opponibili a quello attuale
soltanto se, nell’acquistare il titolo, questi ha agito intenzionalmente a danno del
debitore medesimo.

La circolazione cartolare è caratterizzata quindi dall’autonomia obbligatoria


dell’acquisto e quindi dall’indipendenza della posizione dell’acquirente rispetto a
quella dei precedenti creditori. Tale indipendenza si esprime attraverso le formule
della letteralità e dell’astrattezza.

Letteralità significa che il possessore può esercitare la pretesa nei termini che sono
indicati nel titolo, senza subire le conseguenze di eventuali atti modificativi del

96 Valentina Gilardoni
contenuto (es. dilazioni) o estintivi della stessa (es. pagamento) riferibili a precedenti
possessori, ma non risultanti dal documento.

Astrattezza significa che la creazione del titolo scinde giuridicamente (astrae) il


diritto cartolare dal rapporto giuridico che vi ha dato causa (c.d. rapporto
fondamentale), rendendo quest’ultimo irrilevante nei confronti dei successivi
possessori del titolo, che non sono parti di tale rapporto.

A tal proposito le eccezioni opponibili dal debitore di un titolo di credito si


distinguono in:

A. Eccezioni reali. Opponibili a qualunque possessore e comprendono:

1. Quelle fondate sul contesto letterale del titolo (es. il fatto che la somma
dovuta risulti inferiore a quella pretesa) e quelle di forma (es. si richiede
l’apposizione della denominazione cambiale sul relativo titolo), anche
modifiche al rapporto originario divengono eccezioni fondate sulla lettera del
titolo, se vi sono documentate

2. Talune eccezioni di non riferibilità dell’obbligazione cartolare alla volontà di


chi figura come debitore: falsità della firma, difetto di capacità d’agire

B. Eccezioni personali. Opponibili solo al singolo possessore e comprendono:

1. Eccezioni personali in senso stretto: il difetto di proprietà del titolo (es.


perché acquistato in base a negozio nullo, o a non domino in mala fede) e il
difetto di legittimazione (cioè la carenza di possesso qualificato del titolo)

2. Eccezioni fondate su rapporti personali con l’attuale possessore: si


tratta di tutti i fatti che incidono sull’esistenza o sul contenuto della pretesa
documentata, intercorsi con tale possessore. Vi rientrano le vicende
direttamente modificative del rapporto cartolare (la concessione di una
dilazione nel pagamento, l’adempimento della prestazione, ecc.), nonché le
vicende concernenti altri rapporti, che possano dar luogo ad un’eccezione di
compensazione

3. Eccezioni fondate du rapporti personali con i precedenti possessori: si


tratta di tutte quelle radicate in fatti e rapporti, non riferibili al possessore
attuale; esse restano a costui inopponibili, a meno che egli non abbia
acquistato il titolo intenzionalmente a danno del debitore, cioè al solo scopo
di privarlo dell’eccezione. È in tale inopponibilità che si manifesta
l’autonomia obbligatoria dell’acquisto cartolare, come visto.

97 Valentina Gilardoni
La legittimazione cartolare attiva e passiva

Il possesso, eventualmente qualificato, attribuisce la legittimazione. Questa


attiene alla fase di esercizio del diritto e lo rende più agevole.

L’art. 1992, stabilisce che il possessore ha diritto alla prestazione in esso indicata
verso presentazione del titolo, purché sia legittimato nelle forme prescritte dalla
legge (cioè purché il suo possesso sia qualificato, nei titoli all’ordine a nominativi). È
questa la c.d. legittimazione attiva. Il possesso determina una presunzione di
titolarità, presunzione relativa, non già assoluta, essendo sempre possibile che il
debitore fornisca la prova contraria (es. dimostri che l’attuale possessore ha
acquistato il titolo in base ad un atto nullo).

Logico corollario della legittimazione attiva è la legittimazione passiva, consacrata


nel co.2:”il debitore, che senza dolo o colpa grave adempie la prestazione nei
confronti del possessore, è liberato anche se questi non è il titolare del diritto”.
Il debitore non potrà essere costretto a secondo adempimento, a meno che non vi
sia dolo o colpa grave. Non basta però, perché il pagamento sia liberatorio, la
conoscenza o conoscibilità, da parte del debitore, del difetto di titolarità in capo al
possessore: infatti questi otterrebbe comunque, dietro semplice presentazione del
titolo, la condanna al pagamento in suo favore, a meno che il debitore non possa
provare tale difetto. Perciò “dolo o colpa grave”, ai sensi della norma in esame, si
hanno solo quando il debitore disponesse (dolo) o avrebbe potuto agevolmente
disporre (colpa grave) di prove certe che gli avrebbe consentito di respingere la
pretesa del possessore.

Nei titoli scritturali, la legittimazione attiva è collegata all’intestazione del conto


in cui il titolo è registrato, che sostituisce dunque il possesso della chartula, e, per
i titoli nominativi, accompagnata dall’annotazione nel registro dell’emittente.

I diritti patrimoniali sono esercitati attraverso gli intermediari e la Sga. I diritti


amministrativi sono esercitati direttamente dall’intestatario del conto, dietro
presentazione di una certificazione, rilasciata dall’intermediario e attestante la
registrazione dei titoli nel conto intestato al richiedente.

Anche nel sistema scritturale può accadere che legittimato sia un soggetto
diverso dal titolare (es. colui che ha acquistato in base ad atto nullo). Perciò
l’emittente può eccepire all’intestatario del conto il difetto di titolarità, se riesce a
provarlo. Legittimazione passiva: il debitore che senza dolo o colpa grave adempie
nei confronti dell’intestatario del conto (i cui dati siano pure annotati nel suo
registro, se il titolo è nominativo) è liberato anche se questi non è il titolare.

98 Valentina Gilardoni
LA CIRCOLAZIONE DEL DENARO: GLI STRUMENTI DI PAGAMENTO

Dal contante ai strumenti di pagamento alternativi

Moneta scritturale: insieme dei saldi disponibili dei conti accesi presso banche o
altri intermediari specializzati. Essa presuppone l’esistenza di un sistema di
pagamenti in cui si realizza il trasferimento monetario, sottoposto a regime di
controlli pubblici. Si distinguono in:

• Mezzi di pagamento sostitutivi: strumenti che consentono di evitare un


trasferimento diretto di denaro contante sostituendolo con la consegna di
documenti rappresentativi di esso, comunemente accettati come corrispettivo di
uno scambio in sostituzione temporanea della moneta medesima. Assegni
bancari e circolari, cambiali

• Mezzi di pagamento alternativi: strumenti attraverso i quali viene totalmente


evitato il trasferimento materiale di denaro, in luogo del quale vengono eseguite
da banche o istituti di pagamento scritturazioni a debito e a credito su conti di
titolarità dei soggetti coinvolti.

Titoli cambiari

Impiegati nel pagamento di debiti pecuniari consentendo al debitore di evitare un


trasferimento materiale di contante.

Aspetto strutturale: cambiale e assegno si presentano come una promessa di


pagamento del sottoscrittore a favore della persona indicata nel titolo (prenditore)
per il pagherò cambiario e assegno circolare e come ordine di pagamento
impartito da un soggetto (traente) ad un altro soggetto (trattario) nell’assegno
bancario.

Aspetto funzionale: la cambiale tratta e il pagherò cambiario rispondono ad una


funzione creditizia (differimento del pagamento), l’assegno bancario e circolare ad
una funzione di pagamento, in quanto caratterizzato da esigibilità a vista.

Le cambiali

È un documento completo, nel senso che tutte le clausole che individuano e


regolano il diritto di credito devono essere contenute nello stesso documento
cambiario. Ai fini fiscali, è richiesta per la validità la carta bollata. Essendo un titolo
normalmente all’ordine, circola mediante la girata che fa diventare il giratario portare
legittimo della cambiale.

99 Valentina Gilardoni
È un titolo astratto perché il rapporto tra traente e primo prenditore (rapporto di
valuta) non risulta dal titolo e può essere il più vario. Nella cambiale tratta vi è anche
il rapporto di provvista tra traente e trattario, che vede quest’ultimo debitore di una
somma verso il primo per un debito non cambiario. In questa ipotesi il trattario
pagando estingue il rapporto di valuta tra traente e prenditore e il rapporto di
provvista di sé stesso verso il traente.

Essa nasce con la dichiarazione cambiaria del traente, a cui vengono aggiunte
spesso altre dichiarazioni, da ognuna delle quali nasce un obbligo. Può succedere
che il trattario accetti (dichiarazione di accettazione), diventando obbligato
cambiario. Vi sono anche le dichiarazioni di avallo, con cui si garantisce il
pagamento del debito cambiario assunto da un altro soggetto.

Le varie obbligazioni che derivano dalle dichiarazioni godono del principio di


indipendenza, l’invalidità di una non invalida le altre.

Gli obblighi si distinguono in:

- Obbligati diretti: emittente, accettante e loro avallanti


- Obbligati di regresso: traente, giranti e loro avallanti
Alla scadenza, il pagamento deve essere chiesto al trattario nella cambiale tratta,
all’emittente nella cambiale propria, dal portatore legittimo. Se l’obbligato rifiuta il
pagamento, l’ultimo giratario può rivolgersi ad uno qualunque tra gli altri obbligati
cambiari. Se viene effettuato da un altro obbligato, questo può pretendere il
rimborso di quanto ha pagato dai giranti che lo precedono, dal traente, e dai loro
avallanti —> ordine cambiario.

La cambiale è un titolo esecutivo: il creditore cambiario ha il potere di dare avvio


subito alla procedura esecutiva dei debitori cambiari inadempienti, senza il bisogno
di ottenere prima una sentenza di condanna.

L’assegno bancario

Se ne può servire chi dotato di conto corrente, stipula con la banca una
convenzione d’assegno, con la quale viene autorizzato dalla banca a trarre su di
essa dei titoli di credito. Con l’assegno bancario il cliente (traente) ordina alla
banca (trattaria) di pagare una determinata somma di denaro a favore del
legittimo prenditore del titolo.

È soggetto ad alcuni requisiti formali:

I. Denominazione di assegno bancario

100 Valentina Gilardoni


II. L’ordine incondizionato di pagamento

III. Nome del trattario

IV. Indicazione del luogo e della data di emissione

V. Sottoscrizione del traente

VI. Luogo di pagamento

La scadenza è sempre a vista. Può essere emesso con lo specifico nome del
beneficiario o “al portatore”. Si trasferisce mediante girata se pagabile ad una sola
persona fisica o con la consegna del documento se “al portatore”.

L’emissione dell’assegno presuppone:


- L’esistenza della convenzione di assegno
- Esistenza di fondi disponibili
L’assegno deve essere presentato per il pagamento entro un termine finale che
inizia a decorrere dalla data di emissione, 8 giorni se su piazza e 15 se fuori piazza.
Decorso il termine si estingue l’obbligazione di regresso dei giranti, e se il traente dà
al trattario l’ordine di non pagare più, il trattario deve eseguirlo.

Il beneficiario può presentare l’assegno all’incasso presso la banca trattaria del


traente e la banca deve verificare la copertura dell’assegno, l’autenticità della
firma del traente, l’assenza di alterazioni e la continuità del girante. Essa può
incorrere in responsabilità verso il traente qualora l’assegno venga pagato in
violazione dei doveri di controllo. Può presentarlo anche alla propria banca e in tal
caso la banca negoziatrice accredita l’importo a condizione che lo stesso venga
regolarmente pagato dalla trattaria.

Essendo un titolo esecutivo, il beneficiario, dopo il mancato pagamento può


esercitare l’azione di regresso contro gli eventuali giranti.

L’assegno circolare

Ha la struttura di promessa di pagamento come il pagherò cambiario. Viene


emesso su richiesta del cliente dalla banca emittente, la quale promette di pagare
una somma a favore del soggetto indicato nel titolo, ed è dunque direttamente
obbligata verso quest’ultimo. Il termine di presentazione è di 30 gironi dalla data
di emissione

Esso è invalido se non contiene gli elementi essenziali:

I. Denominazione di assegno circolare

101 Valentina Gilardoni


II. Promessa incondizionata

III. Indicazione del prenditore

IV. Indicazione del luogo e della data di emissione

V. Sottoscrizione della banca emittente

Gli strumenti alternativi

Viene totalmente evitato il trasferimento materiale di denaro, in luogo del quale


vengono eseguite da banche o istituti di pagamento scritturazioni a debito e a
credito su conti di titolarità dei soggetti coinvolti.

Bonifico: procedimento di trasferimento di fondi che ha luogo su iniziativa di un


soggetto titolare di un conto, il quale ordina il trasferimento di una determinata
somma dal suo conto ad un altro.

Addebito diretto: quando il trasferimento è disposto dal beneficiario, su consenso


del pagatore.

Strumenti alternativi sono pagamenti mediante carte di debito (transazioni e


prelievi con contestuale movimentazione di fondi dal conto), carte di credito
(regolamento rinviato ad un momento successivo). Tra titolare e emittente della
carta di credito sussiste un rapporto di provvista, mentre tra emittente e fornitore di
beni/servizi esiste una convenzione per cui il secondo si obbliga nei confronti del
primo ad eseguire la prestazione richiesta dal titolare, mentre il primo si obbliga a
pagare il corrispettivo.

La disciplina dei servizi di pagamento

UE: 2007/64/CE direttiva su servizi di pagamento nel mercato interno (PSD)

ITA: d.lgs. 11/2010

Obiettivo di istituire un quadro giuridico moderno per servizi di pagamento che


rappresenti un progresso in termini di costi, sicurezza e efficacia.

La disciplina PSD si applica a tuti i pagamenti in euro prestati nell’UE. Si è scelta


una disciplina di carattere trasversale delle operazioni di pagamento, non
differenziato secondo il tipo di operazione. Laddove necessario sono state
introdotte regole differenziate: operazioni su iniziativa del pagatore e operazioni su
iniziativa del beneficiario.

102 Valentina Gilardoni


SEZIONE OTTAVA - LA CRISI DELL’IMPRESA
• Legge fallimentare: 1.267/1942

• 1. 3/2012 composizione della crisi di sovraindebitamento introdotta per risolvere


lo stato di crisi dei soggetti non fallibili

• Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: d.lsg. 12 gennaio 2019, entrata in


vigore settembre 2021. È un nuovo testo unitario che regolamenta in materia più
organica. Non si parla più di fallimento ma di crisi

Stato di insolvenza: situazione che si manifesta con inadempimenti o altri fatti


esteriori che dimostrano che il debitore non è più in grado di soddisfare
regolarmente le proprie obbligazioni. Diversa da mero inadempimento. Richiesto
per la liquidazione giudiziale e l’amministrazione straordinaria di insolvenza

Stato di crisi: stato di difficoltà economica-finanziaria che rende probabile


l’insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza
dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente delle obbligazioni pianificate.
Richiesto per concordato preventivo e accordi di ristrutturazione dei debiti

La liquidazione coatta amministrativa ricorre in caso di crisi economiche e di


legalità.

Le ragioni della disciplina fallimentare


Nel caso di impresa commerciale, si parla di diritto fallimentare. La specialità
dipende dall’esigenza di una disciplina ad hoc per la particolare complessità di una
tale insolvenza. Si rende opportuna una procedura unitaria che consenta
un’attuazione coattiva e simultanea di tutti i debiti insoluti, che sia più efficiente,
economica ed equa rispetto a tante azioni separate.

La procedura esecutiva è collettiva perché operante a favore della collettività dei


creditori ed universale perché riguarda tutti i debiti dell’imprenditore e coinvolge il
suo intero patrimonio.

Si apre un concorso sul patrimonio del fallito da parte di tutti i creditori


(procedura concorsuale), tale per cui tutti i creditori meritano di essere soddisfatti in
ugual proporzione secondo il principio di par condicio creditorum, salvo i casi in
cui vi sia una preferenza attribuita da pegno o ipoteca.

Oggi anche l’imprenditore agricolo, piccolo imprenditore, lavoratore autonomo o


libero professionista ricorrono al credito, motivo per cui è comparsa una procedura

104 Valentina Gilardoni


volta alla composizione del sovraindebitamento o alla liquidazione del
patrimonio di coloro che non sono assoggettati alle procedure concorsuali.

Inoltre, l’imprenditore agricolo, può anche avvalersi di una procedura giudiziaria


volta alla omologazione giudiziaria degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

Nella definizione di piccolo imprenditore della legge fallimentare vi sono i parametri.


Se sono presenti due dei requisiti, l’imprenditore è piccolo.

Gli obiettivi delle procedure concorsuali sono due:


1. Obiettivo liquidatorio: prevede la liquidazione dell’attivo del patrimonio
dell’imprenditore per soddisfare con il ricavato della liquidazione tutti i creditori
nel migliore modo possibile e nel minore tempo possibile. Tutti i beni dell’attivo
devono quindi essere venduti.
2. Obiettivo di risanamento: vuole impedire la dissoluzione dei complessi
aziendali che hanno ancora un valore positivo e che quindi sono suscettibili e
meritevoli di risanamento; questo attraverso dei meccanismi tempestivi di
risanamento che consentano la ripresa dell’impresa.

La procedura concorsuale per eccellenza, il fallimento, continua ad avere un


obiettivo liquidatorio, ci sono però delle procedure dirette ad evitare il fallimento e
che quindi mirano ad un obiettivo di risanamento.
Altre procedure che possono conseguire obiettivo di risanamento sono le procedure
di amministrazione straordinaria che si applicano alle grandi imprese in crisi. Il
concordato preventivo consente di conseguire sia l’obiettivo di risanamento che
l’obiettivo di liquidazione.

La legge fallimentare e il sistema concorsuale


La legge fallimentare, oltre alla disciplina del fallimento prevede anche altre
procedure concorsuali: il concordato preventivo e la liquidazione coatta
amministrativa (natura giurisdizionale)

Oltre alla legge fallimentare vi è anche la procedura concorsuale denominata


amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (con
fatturato considerevole e grande numero di dipendenti).

Le soluzioni negoziate della crisi di impresa


Possono essere intraprese prima che l’impresa giunga in stato di decozione. Un
accordo può consentire al debitore di sfuggire agli effetti più indesiderati del
fallimento, ma può consentire ai creditori di ottenere grazie all’impegno
dell’imprenditore una soddisfazione che risulti maggiore di quella ricavata in esito

105 Valentina Gilardoni


di fallimento. A fronte della situazione promessa, i creditori acconsentono a
rinunciare a parte delle loro pretese. In tal modo si aiuterà l’imprenditore a sollevarsi
dalla crisi.

Queste soluzioni hanno prospettiva privatistica e non c’è concorsualità.

• Concordato preventivo

• Piani attestati di risanamento

• Accordi di ristrutturazione

CONCORDATO PREVENTIVO

La domanda di ammissione deve essere accompagnata da un piano (modalità e


tempi di adempimento della proposta), dalla relazione di un professionista
destinato dal debitore. Nella proposta: misure e modalità di trattamento dei crediti.
Essa deve assicurare il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare complessivo
dei crediti chirografari.

Il tribunale verifica la sussistenza dei presupposti, la completezza della


documentazione, la fattibilità economica e dichiara aperta la procedura. Ordina
la convocazione dei creditori per l’approvazione della proposta.

Il commissario illustra la relazione sulle cause del dissesto e la proposta definitiva


del debitore. La proposta viene votata e approvata con il voto favorevole dei
creditori che rappresentano la maggioranza. Se la maggioranza approva e il
concordato proposto, attestato e approvato deve essere omologato dal tribunale
che fa una valutazione sulla fattibilità. Se è omologato, il concordato è andato a
buon fine ed è obbligatorio per tutti.

Il concordato preventivo deve evitare fallimento e quindi si può accedere a tale


strumento anche se non si è ancora in stato di insolvenza, si è in crisi ma non tanto
grave da provocare l’insolvenza. Con lo stato di crisi non si può accedere al
fallimento, solo al concordato preventivo; la necessità è lo stato di crisi.

ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE

Contratto che l’impresa in stato di crisi o insolvenza stipula con i creditori, con il
quale riconosce autonomia negoziale molto estesa. La condizione è l’idoneità ad
assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nei 120 giorni
dall’omologazione o dalla scadenza per quelli non ancora scaduti.

106 Valentina Gilardoni


Devono aderire creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti ed è vincolante
solo per chi firma. Una volta che c’è un accordo, la fattibilità dello stesso deve
essere attestata da professionista attestatore indipendente e l’accordo
raggiunto è sottoposto al giudizio di omologazione del tribunale, c’è controllo il
finale del tribunale. Viene pubblicato nel registro delle imprese e depositato presso
il tribunale. Hanno un vantaggio: nel momento in cui il debitore acconsente, il
singolo creditore non può aggredire i suoi beni per un termine di 60 giorni. Nel
momento in cui vengono effettuati adempimenti, questi non potranno essere
oggetto di revocatoria: azione che rende inefficace nei confronti del eventuale
successivo fallimento un determinato fallimento.

È diverso perché l’imprenditore raggiunge un accordo con determinati creditori ma


gli altri non subiscono nessun sacrificio, anzi devono essere pagati integralmente al
100%.

PIANI ATTESTATI DI RISANAMENTO

Piano di risanamento che viene fatto dall’imprenditore, è una scelta individuale, ma


per funzionare richiede il consenso e l’approvazione da parte dei creditori più
importanti. Ci si propone di sanare l’esposizione dell’imprenditore (comporta una
ristrutturazione del suo debito). Questo strumento non necessita alcun controllo
del tribunale. Gli altri due strumenti devono essere iscritti nel registro delle imprese,
sono pubblici; l’attestato di risanamento invece è privato, se si pubblica si
hanno dei benefici fiscali. Quindi questo è uno strumento più agevole e di facile
adottabilità, ma dà una minore protezione all’imprenditore.

La salvaguardia dei processi produttivi


Vi è una nuova sensibilità legislativa orientata a comporre l’insolvenza prodottasi, o
addirittura a prevenire un’insolvenza non ancora prodottasi, salvaguardando il
complesso produttivi dell’impresa in crisi.

Il risanamento o la cessione sul mercato dell’azienda può consentire un risultato


più soddisfacente dello smembramento della stessa. I creditori potranno beneficiare
di nuovi flussi finanziari capaci di ripagarli meglio di quanto si sarebbe potuto
fare dalla liquidazione, così come i lavoratori e la società beneficeranno dalla
continuazione dell’impresa.

In questa prospettiva trova luogo l’amministrazione straordinaria, ma anche il


concordato preventivo si presa al risanamento di un’impresa insolvente.

107 Valentina Gilardoni


Le procedure amministrative
La liquidazione coatta amministrativa e l’amministrazione straordinaria sono
amministrate dall’autorità amministrativa (autorità di vigilanza di settore o
apparati ministeriali). La pubblica amministrazione si affianca al potere giudiziario
nella gestione delle crisi.

Le imprese assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa sono imprese


operanti in settori di interesse pubblico e in mercati sottoposti a particolari
controlli. Presupposti sono gravi irregolarità nella gestione, anche in assenza di
crisi economica dell’impresa. Finalità sono espellere l’impresa dal mercato e
provocare estinzione dell’ente societario liquidandolo, anche se non insolvente.

L’amministrazione straordinaria riguarda imprese con più di 200 dipendenti e un


indebitamento non inferiore ai 2/3 del totale dell’attivo e del fatturato dell’ultimo
esercizio. La prima fase consiste nell’osservazione e gestione temporanea sotto
controllo dell’autorità giudiziaria per valutazione dei presupposti e la seconda fase è
avvio della procedura (se valutazione positiva)

• Procedure giurisdizionali: fallimento e il concordato preventivo, vengono


disposte tramite provvedimento del giudice e si svolgono sotto il controllo del
giudice.

• Procedure amministrative: sono la liquidazione coatta amministrativa e le


procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese; vengono
disposte con provvedimento dell’autorità amministrativa (autorità governativa) o
sotto il controllo dell’organo amministrativo.

Procedura di allerta e composizione della crisi

Obbligo di adottare misure idonee a rilevare tempestivamente la crisi.

Debitore ha l’obbligo di illustrare la propria situazione in modo corretto veritiero e


trasparente e di assumere tempestivamente misure idonee.

Creditore ha il dovere di collaborare lealmente con il debitore e rispettare l’obbligo


di riservatezza della soluzione del debitore.

Gli strumenti di allerta sono finalizzati ad una tempestiva rilevazione degli indizi
della crisi e alla sollecita adozione delle misure idonee. Sono obblighi in capo agli
organi di controllo societario e revisione contabile che devono segnalare all’organo
amministrativo l’esistenza di indizi di crisi.

Viene richiesto anche ad alcuni enti pubblici specifici a segnalare al debitore sulla
circostanza che l’esposizione debitoria eccede determinati importi.

108 Valentina Gilardoni


SEZIONE NONA - LA NOZIONE DI SOCIETÀ E I PRINCIPI GENERALI
31. L’ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA: ELEMENTI COSTITUTIVI
Le società sono strutture organizzative destinate all’esercizio di un’attività
produttiva, sono organismi di diritto privato con una propria dotazione patrimoniale
e un apparato operativo più o meno articolato, attraverso i quali viene svolta
un’attività economica diretta alla produzione e allo scambio di beni o servizi.

Esse storicamente nascono come collettività di persone che si aggregano per trarre
un guadagno da un’iniziativa comune. Accanto alle imprese individuali,
essenzialmente di modeste dimensioni, si sviluppano e si affermano le imprese
collettive, promosse da gruppi di persone che uniscono le proprie forze finanziarie
e lavorative per intraprendere congiuntamene una determinata attività.

La società non deve essere necessariamente un’impresa collettiva, né qualsiasi


impresa collettiva è una società. Infatti oggi sono configurabili società che
esercitano un’attività produttiva non imprenditoriale (società tra professionisti
intellettuali), o che non svolgono un’attività collettiva perché all’organismo
partecipa un unico socio (società unipersonali), ed esistono anche altri enti
giuridici diversi dalle società che possono esercitare un’ impresa (associazioni,
fondazioni, consorzi).

Per questi motivi, la definizione generale del fenomeno societario li considera come
organismi di diritto privato destinati all’esercizio di attività genericamente produttive
e normalmente imprenditoriali; essi rappresentano ancora oggi le strutture
tipicamente e ordinariamente utilizzate per l’esercizio di un’attività di questo tipo.
Questo giustifica l’inserimento della relativa disciplina nel diritto dell’impresa: il
diritto delle società è il complesso delle norme che regolano l’organizzazione della
struttura.

La società non si esaurisce in un mero rapporto obbligatorio tra soggetti ma l’atto


costitutivo dà vita ad un centro di interessi unitario, dotato di un patrimonio
giuridicamente distinto da quelli personali dei soci e di autonomia soggettiva.
L’ordinamento giuridico definisce una pluralità di modelli organizzativi diversificati,
ognuno dotato di regole proprie e tra cui i fondatori possono liberamente scegliere
quello più vicino alle proprie esigenze.

Società di persone: società semplice, la società in nome collettivo (s.n.c.) e la


società in accomandita per semplice (s.a.s.). Sono organismi snelli, che svolgono
attività di dimensioni non particolarmente cospicue e con numero ridotto di soci.
Società di capitali: società per azioni (s.p.a.), la società a responsabilità limitata

110 Valentina Gilardoni


(s.r.l.) e la società in accomandita per azioni (s.a.p.a.). Sono enti più complessi, che
svolgono attività di dimensioni variabili e con compagine sociale più o meno ampio.
Complessivamente questi sei modelli formano la classe delle c.d. società lucrative,
denominate così per il fatto di perseguire uno scopo di lucro, cioè l’obiettivo di
realizzare, attraverso l’esercizio dell’attività, un profitto da dividere tra i soci (art.
2247). A questi sei modelli si affiancano quelli delle società cooperative e delle
mutue assicuratrici che perseguono uno scopo mutualistico, e le nuove figure
della società europea e della società cooperativa europea.

Società ente collettivo e società ente unipersonale

Pluralità di soci e socio unico

Non tutte le società sono organismi pluripersonali.

Sono organismi pluripersonali senza eccezioni le società di persone e in


accomandita per azioni e quelle con scopo mutualistico. Per le prime è
necessaria la pluralità di fondatori (almeno due) per la natura contrattuale dell’atto
che le costituisce e perché il venir meno della pluralità dei soci ne determina lo
scioglimento e l’estinzione. Per le società in accomandita per azioni e delle
cooperative, invece, le ragioni sono diverse: strutturali per le prime, poiché sono
composte tipicamente da due classi di soci (accomandanti e accomandatari);
funzionali per le seconde, perché il perseguimento di uno scopo mutualistico ha
senso solo in presenza di più fruitori.

S.p.a. e s.r.l. non sono invece necessariamente pluripersonali. Questi tipi possono
essere costituiti anche per atto unilaterale (art. 2328 e 2463), quindi da un unico
fondatore, e inoltre possono veder confluire nelle mani di un unico socio tutte le
quote di partecipazione. Tale fenomeno è particolarmente diffuso nei gruppi di
società in cui la capogruppo (holding) detiene tutte le partecipazioni.

La società unipersonale è diventata oggi una formula giuridica organizzativa di


esercizio delle attività produttive. La società con un unico socio è un ente
autonomo da questo, all’interno del quale viene formata la volontà negoziale
secondo precise regole organizzative, che acquista diritti e assume obblighi e che
espone alla responsabilità per l’adempimento di questi il patrimonio di cui viene
dotata al pari di ogni società pluripersonale: ciò che si traduce nel riconoscimento
agli organismi in questione della personalità giuridica.

La società, quando partecipata da un unico socio, risponde ad un interesse

111 Valentina Gilardoni


patrimoniale individuale e l’attività produttiva svolta dalla stessa risulta, dal punto di
vista economico, difficilmente distinguibile da un’impresa esercitata dal socio in
veste di imprenditore individuale.

Il contratto e l’atto unilaterale costitutivo: struttura e disciplina


Le società trovano la propria fonte in un atto di autonomia privata: un contratto o
un atto unilaterale.
Il contratto di società è un atto con cui due o più persone conferiscono beni o
servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli
utili. Esso definisce i tratti fondamentale del fenomeno societario e quindi il
contenuto che l’atto deve possedere. La volontà negoziale costitutiva si articola su
tre livelli:

1. il conferimento di una dotazione di risorse, funzionale all’esercizio dell’attività

2. lo svolgimento di questa attività attraverso quel patrimonio

3. la realizzazione di un profitto da assegnare ai partecipanti (scopo di lucro).

Va ricordato che esistono anche società che perseguono uno scopo mutualistico o
consortile. Sotto il profilo funzionale, l’art. 2247 definisce esclusivamente le
società lucrative e non quelle con scopi mutualistici. Quello che importa, però, è
che tutte le società perseguono uno scopo di natura patrimoniale ed egoistico e che
il contratto di società cooperativa o consortile coincide, nei tratti essenziali, con
l’atto costitutivo della società lucrativa. Il negozio unilaterale e contratto
condividono gli elementi fondamentali e differiscono solo sul piano del numero di
persone che si fanno promotrici dell’iniziativa.

L’identità di oggetto e di causa è la specificità del contratto di società, che differisce


da quello di scambio. I contratti di scambio sono diretti a comporre tra le parti una
contrapposizione di interessi, soddisfacendoli attraverso prestazioni reciproche. Il
contratto di società appartiene invece alla diversa categoria dei contratti
plurilaterali con comunione di scopo, negozi che mirano alla realizzazione di un
interesse comune tra le parti. Appartiene più precisamente alla categoria dei
contratti plurilaterali a rilevanza esterna, ossia dei contratti associativi.
L’esecuzione della prestazione costituisce il presupposto per l’esplicazione di
un’attività, che si sviluppa nel compimento di atti materiali e giuridici e che è
funzionale alla realizzazione dell’obiettivo finale del rapporto.

112 Valentina Gilardoni


Alle specificità funzionali e strutturali corrisponde una parziale autonomia del
contratto di società sul piano della disciplina. Infatti, il fenomeno societario non si
realizza in un contratto che deve essere adempiuto: la disciplina delle società non è
dell’esecuzione dell’atto negoziale, ma di una struttura organizzativa e dei modi
di esercizio di un’attività.

L’atto unilaterale ha un rilievo organizzativo. Allo stesso modo dà vita al rapporto


di partecipazione, cioè all’insieme dei diritti e degli obblighi in capo al socio.
Strutturalmente e funzionalmente, quindi, l’atto unilaterale e il contratto sono
uguali e questo spiega come anche il primo sia aperto all’ingresso di nuovi soci: o
per mezzo della cessione, dall’unico fondatore, di parte della sua quota, o
attraverso l’adesione di altri investitori che apportano nuovi conferimenti.

In questo modo si genera un rapporto tra i soci che prima non c’era ma che non
contraddice la fonte unilaterale dell’ente proprio perché quest’ultima continua a
manifestare il proprio valore per tutta la durata della società.

L’esercizio dell’attività produttiva

Attività sociale e attività di impresa. Le società per l’esercizio delle professioni


intellettuali (ovvero tra i professionisti).

La società è un organismo a cui si dà vita per l’esercizio di un’attività economica


(art. 2247). Il settore all’interno del quale essa opera è indicato nell’atto costitutivo
e viene definito oggetto sociale. I caratteri che l’iniziativa deve assumere sono
contenuti nell’art. 2247 che specifica che deve trattarsi di un’attività con carattere
economico, cioè la capacità di generare nuovi valori economici, deve quindi
trattarsi di un’attività produttiva.

La nozione richiama quella dell’imprenditore (art. 2082), anche se non pienamente in


quanto mancano i requisiti della professionalità e dell’organizzazione. È però
sotto il profilo dell’oggetto dell’attività che si distingue il fenomeno imprenditoriale
da quello societario: ciò che caratterizza l’attività sociale la produzione di valori
economici; questo è un carattere presente in ogni attività d’impresa ma anche
l’attività del professionista intellettuale è produttiva anche se viene sottratta alla
disciplina dell’impresa.

In ambito societario l’art. 10 l. 183/2011 permette la costituzione di società per lo


svolgimento di una professione intellettuale.
Questa norma chiude un periodo in cui una passata disposizione vietava di
costituire, esercitare o dirigere una società che avevano lo scopo di dare, anche

113 Valentina Gilardoni


gratuitamente, ai propri consociati o a terzi, prestazioni di assistenza o
consulenza in materia legale, tecnica, commerciale, amministrativa. La
giurisprudenza aveva sempre dichiarato la nullità della costituzione di società per
l’esercizio professioni intellettuali e dei contratti d’opera da esse stipulati.

Sebbene tale disposizione sia stata abrogata, esistono comunque dei vincoli
nell’ordinamento:

A. Vincoli di carattere pubblicistico: limitano la libertà individuale e costituzionale


di iniziativa economica e di esercizio dell’arte e della scienza. Infatti molte
professioni intellettuali richiedono il conseguimento di un titolo abilitativo e
l’iscrizione in un apposito albo, senza i quali l’esercizio della professione è
illecito e qualsiasi contratto stipulato dal soggetto non abilitato è nullo

B. Vincoli di carattere privatistico: incidono sul contenuto del contratto che ha ad


oggetto l’opera professionale. Infatti, tale vincolo pone tra i principi cardine del
rapporto, quello dell’esecuzione della prestazione personalmente da parte
del professionista.

La riforma del 2011 consente oggi di affermare per la prima volta la piena liceità
dell’esercizio in forma societaria di qualsiasi professione. Il fenomeno dei rapporti
tra professioni intellettuali e attività collettive è però più complesso.
Il problema riguarda solo le c.d. professioni protette, per le quali è necessaria
l’abilitazione e non le professioni non protette. Infatti, l’erogazione di servizi non
protetti è sempre stata possibile da parte di qualsiasi società (società imprenditrici)

La soluzione accolta dal legislatore prevede che: la società deve essere composta
da soci abilitati (anche se non esclusivamente) e che la prestazione deve essere
eseguita da uno dei soci iscritti all’albo.

1. Sono quindi inammissibili le società fra capitalisti, cioè esclusivamente tra


soci non abilitati. La legge usa, per designare il fenomeno l’espressione società
tra professionisti.

2. La prestazione professionale resta una prestazione dovuta dalla società. Il socio


gode nello svolgimento dell’incarico piena autonomia di giudizio, non essendo
soggetto ad alcun potere di direzione da parte degli amministratori. Il socio
esecutore assume, una responsabilità diretta per i danni arrecati nello
svolgimento della prestazione.

114 Valentina Gilardoni


Attività produttiva e godimento di beni: società e comunioni in generale.

L’attività sociale, in quanto produttiva, è creatrice di nuove utilità economiche.


Essa si distingue dall’attività di mero godimento di beni, intesa come semplice
fruizione delle utilità derivanti da uno o più beni.

Dalla definizione dell’art. 2247 si ricava l’inammissibilità di società di mero


godimento: nessuna società, infatti, può essere costituita esclusivamente a questo
scopo. Tale inammissibilità è confermata dall’art. 2248 per cui la comunione
costituita o mantenuta al solo scopo del godimento è regolata dalle norme del
titolo VII del libro III cioè delle norme sulla comunione ordinaria. Ciò significa che
se più persone mettono in comune uno o più beni con l’unico obiettivo di trarne i
relativi frutti, il solo effetto che si produce è la costituzione tra di esse di una
normale situazione di comproprietà per quote.
Quindi sorge un’impossibilità giuridica, che riguarda solo il momento genetico
dell’ente. Se una società, originariamente costituita per lo svolgimento di una
normale attività economica, cessa successivamente l’esercizio e si limita a godere
del patrimonio o a lasciare che ne godano i soci; qui la società resta comunque in
vita o nel secondo caso si lascia alla volontà dei soci di decidere se scioglierla.
Le ragioni della separazione stanno nella diversa funzione assolta dai beni stessi
che ne giustifica un trattamento giuridico diverso. La comproprietà è una
situazione giuridica statica, in cui si rileva solo l’appartenenza comune del bene,
perciò la disciplina che si applica è quella del diritto dei beni, ogni contitolare ha
diritto di fare individualmente uso della cosa, nel rispetto dei diritti degli altri.

La società presenta una situazione giuridica dinamica, in cui il conferimento dei


beni è strumentale all’esercizio di un’attività. La disciplina appartiene al diritto
dell’impresa: nessun socio può utilizzare i beni sociali per propri scopi personali,
poiché essi sono destinati e vincolati all’esercizio dell’attività economica (art. 2256).
Lo scioglimento si verifica solo quando questa sia stata realizzata, o quando è
impossibile attuarla, o quando i soci lo decidono all’unanimità.

Proprio per il fatto che, nella società, tutto ruota attorno all’attività la legge
conferisce al patrimonio sociale un’autonomia rispetto ai patrimoni dei soci.
Infatti, i creditori particolari di questi ultimi non possono mai aggredire i beni sociali
e i soci, al contempo, non rispondono con beni propri alle obbligazioni sociali o ne
rispondono solo in via sussidiaria. I beni in comproprietà non godono di alcuna
autonomia, infatti i terzi che hanno acquistato crediti sono normali creditori dei
singoli comproprietari, possono aggredire sia questo bene sia quelli personali dei
comproprietari.

115 Valentina Gilardoni


Però non è sempre facile definire un’attività come di godimento o produttiva. Il
dubbio riguarda, soprattutto, le attività ricettive e di noleggio. È godimento la
semplice locazione per la riscossione di canoni mensili, mentre non è di
godimento l’attività di autonoleggio o di gestione di una struttura turistica in
quanto il coordinamento di un servizio di noleggio o di ospitalità creano valore
economico altrimenti inesistente.

La semplice detenzione di quote sociali costituisce il godimento delle stesse; ma la


direzione e il coordinamento delle società di un gruppo genera valore e quindi
rappresenta un’attività produttiva. Legittime sono le c.d. holdings pure.

L’esercizio in comune dell’attività - Forme di partecipazione dei soci all’attività


sociale: gestione comune, rischio comune, regine di imputazione dell’attività
Ai sensi dell’articolo 2247, l’esercizio dell’attività deve essere comune, elemento
che consente di distinguere la società da altre figure affini. L’attività è resa comune
non dalla condivisione di poteri di decisione e dall’interesse economico (perché vi
possono essere società senza condivisione di potere economico (es. nelle società
semplici o snc e i soci accomandanti), né dalla condivisione del rischio (succede per
esempio nell’associazione di partecipazione, che non è una società). Ciò che rende
“comune” l’attività sono le regole della sua imputazione: la scelta della veste
societaria è scelta di un regime di imputazione non individuale, ma collettivo. Tale
criterio permette di distinguere la società da:

1. associazioni in partecipazione: un interesse di più soggetti nella medesima


iniziativa, in cui l’associato apporta i beni nell’impresa dell’associante in cambio
di una compartecipazione degli utili

2. l’impresa familiare: definita come quella cui collaborano il coniuge, i parenti


entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. Si tratta di un’impresa
giuridicamente imputabile solo al familiare che lo esercita

3. L’impresa coniugale: soggetta a regime di comunione legale l’azienda


costituita o acquistata dopo il matrimonio e gestita da entrambi i coniugi. Manca
la volontà negoziale corrispondente all’art 2427

Imputazione dell’attività e spendita del nome sociale. La società non


manifesta.
L’attività economica viene svolta in nome della società. Chi agisce compie i relativi
atti rappresentando la società stessa facendo così ricadere su di essa gli effetti
giuridici che ne conseguono. Inoltre la società viene iscritta nel registro delle

116 Valentina Gilardoni


imprese. La spendita del nome sociale comporta, quindi, l’imputazione giuridica
dell’attività all’ente come tale.

Si parla di società non manifesta, o interna, o occulta, quando il contratto, pur


contenendo tutti gli elementi costitutivi dell’art. 2247, prevede che l’esercizio
dell’attività avvenga nel nome di uno solo dei soci che apparirebbe come
imprenditore individuale. I partecipanti attribuiscono la disponibilità di beni
strumentali attraverso somministrazione periodica di mezzi finanziari necessari
(conferimenti) e si impegnano a concordare ogni decisione (esercizio comune), a
suddividere utili e perdite (scopo di lucro), mentre l’attività resta imputabile al solo
socio agente. Gli obiettivi perseguiti per questa via sono la sottrazione del
patrimonio dei soci ai creditori.
Il problema invece si pone quando i compartecipi condividono oltre al rischio
anche la gestione d’impresa: si tratta di patto di occultamento ed è invalido.
L’art. 2552 mostra come l’ordinamento ammetta la compartecipazione al rischio di
un’iniziativa imputata ad un terzo solo se essa non viene estesa al potere
decisionale, altrimenti se l’attività fosse soggetta ad un potere di gestione collettivo,
deve essere imputata al gruppo. Un patto di questo tipo dà vita ad una società
atipica, vietata.

Tutto questo non esclude che in concreto le parti osservino il patto e che quindi il
gruppo operi rimanendo occulto. In questo caso il problema è quello di determinare
se delle obbligazioni assunte dalla società risponda solo il prestanome o se la
responsabilità si estenda anche al gruppo e quindi ai soci occulti. È intuitivo che le
controversie sorgeranno perché i terzi creditori, rivelata la realtà, cercheranno di
aggredire i patrimoni di tutti costoro.
Con riferimento alla società occulta, la legge dichiara che “qualora dopo la
dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l’impresa è
riferibile ad una società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile, il
tribunale dichiara il fallimento di questa e degli altri soci illimitatamente responsabili.

Organizzazione interna: unanimità e maggioranza, gestione e controllo.

La compartecipazione dei soci all’interno della società può assumere gradi e forme
diverse.

Società di persone: tutti i soci sono amministratori, vi è la diretta attribuzione ai


soci stessi del potere di amministrazione, cioè del potere decisionale della gestione.
L’ atto costitutivo può escludere o limitare alcuni soci dalla compartecipazione,
sottraendo loro o limitando il potere di amministrazione.

117 Valentina Gilardoni


Società di capitali: i soci esercitano il proprio potere attraverso il voto in
assemblea con il quale nominano i soggetti preposti all’amministrazione
dell’ente. L’atto costitutivo può sottrarre il diritto di voto e in particolare il diritto di
nomina degli amministratori.

Società di persone: applicata la regola dell’unanimità, dove nessun atto può


essere compiuto se non vi sia il consenso di tutti. Questo è il principio che viene
attuato nelle società di persone per le modifiche del contratto sociale. Quindi si
può dire che tale modello rappresenta il massimo grado di esercizio collettivo
dell’attività.

Società di capitali: vige la regola maggioritaria, dove la posizione della


maggioranza assembleare (calcolata in base alle partecipazioni), prevale sempre
su quella della minoranza. Il principio maggioritario consente di superare gli ostacoli
ma rimette comunque la minoranza a subire le scelte dei soci più forti. Nelle società
che lo adottano, il rapporto tra i partecipanti si sviluppo innescando una dialettica
tra maggioranza e minoranza che può risultare utile quando la prima sia capace di
esprimere nel modo più efficiente l’interesse di tutti alla massimizzazione del profitto
o quando consenta, con il formarsi di volta in volta di maggioranze diverse in base
alla proposta migliore, l’adozione di strategie ottimali. Questa però può generare
anche clima di tensione e di pregiudizio per la minoranza quando una maggioranza
stabile e consolidata abusi del proprio potere recando danni agli altri soci.

In questo caso la legge prevede diverse prerogative di carattere difensivo, che


vengono accordate alla minoranza. Si tratta di poteri di vigilanza, poteri di attivare
rimedi giudiziali di fronte ad atti di mala gestio e il diritto di recedere dalla
società in presenza di giusta causa. Inoltre il principio di correttezza e buona
fede funge da limite all’arbitrio del socio nell’esercizio dei suoi diritti, cioè egli non
può esercitare questi ultimi per il perseguimento di interessi non meritevoli di tutela
e che hanno il solo scopo di arrecare danno agli altri partecipanti, esponendosi al
rischio che la sua azione risulti nulla e che questi possono chiamarlo a rispondere
dei danni provocati.

La dotazione patrimoniale : I conferimenti: il loro oggetto, la loro essenzialità


L’attività viene esercitata per mezzo delle unità economiche apportate dai soci,
ossia da beni e servizi. Questi sono i conferimenti che formano il complesso delle
risorse iniziali che i fondatori destinano all’esercizio dell’iniziativa economica. Ogni

118 Valentina Gilardoni


entità utile e suscettibile di valutazione economica può essere oggetto di
conferimento: il denaro, la proprietà, il godimento di cose mobili o immobili, i crediti
ecc. Possono essere conferiti anche gli obblighi di non facere (ad es. l’obbligo di
non costruire edifici industriali in un determinato terreno).

L’assunzione da parte dei soci di effettuare i conferimenti è contenuta nell’atto


costitutivo della società; essi possono essere di vario tipo e di diverso ammontare
e rappresentano le prestazioni degli stipulanti che giustificano la loro partecipazione
alla società.

I conferimenti sono l’elemento essenziale dell’atto costitutivo della società. Infatti


non esiste società se non si forma una dotazione iniziale di risorse per l’esercizio
dell’attività. L’art. 2247 ma anche la causa del negozio societario e cioè che la
partecipazione all’iniziativa economica presuppone necessariamente l’assunzione
del rischio, decreta la nullità di ogni accordo che escluda un socio da qualsiasi
partecipazione agli utili o alle perdite.

Il conferimento rappresenta il valore del rischio: se l’attività sociale infatti si chiude


in perdita, il valore di ciò che gli sarà rimborsato con la liquidazione dell’ente sarà
inferiore rispetto al valore del suo conferimento. Questa definizione è però messa in
crisi dall’attuale possibilità di costituire una s.r.l. con un capitale complessivamente
pari a 1€, ovvero una società “senza conferimenti” e quindi senza assunzione
iniziale del rischio da parte dei soci, che possono fondare la propria attività solo su
risorse reperite esternamente. A fronte del conferimento, il socio acquista la quota
di partecipazione che è proporzionale al valore che i contraenti attribuiscono al
conferimento stesso.

La legge fissa solo dei minimi nelle società di capitali (10.000€ nelle s.r.l., 50.000€
nelle s.p.a. e nelle s.a.p.a.) e dei talvolta dei limiti più elevati a seconda dell’oggetto
sociale. Queste però sono le uniche prescrizioni che devono essere osservate.

Vincolo di destinazione dei beni conferiti e vincolo di indisponibilità del


capitale.

Come abbiamo detto i beni conferiti sono destinati in via definitiva all’attività
sociale. Quindi l’atto costitutivo impone su di essi un vincolo di destinazione, in
forza del quale viene impedito che essi vengano sottratti all’iniziativa economica.

Il vincolo di destinazione impone delle regole:

119 Valentina Gilardoni


A. Il socio conferente non può chiedere la restituzione del bene. Anche se
recede dalla società, egli non può recuperare il bene conferito in proprietà, ma
solo una somma di denaro corrispondente al valore della sua partecipazione.
Non ha diritto alla riconsegna immediata del bene conferito in godimento, il
quale rimane alla società per tutto il periodo per il quale era stato concesso.

B. Il socio non può chiedere in qualsiasi momento la liquidazione, cioè non può
recuperare il valore dell’investimento se non nelle ipotesi in cui gli è stato
concesso il recesso. In questo senso egli con il conferimento vincola, non solo il
bene, ma anche il suo valore. Infatti per tutta la vita della società, può essere
distribuito ai soci solo l’utile, cioè il maggior valore acquisito dal patrimonio
netto rispetto ai conferimenti

C. I soci non possono individualmente servirsi dei beni per fini estranei a quelli
della società

D. I beni sono destinati alla garanzia dei creditori sociali, in modo prioritario
rispetto ai creditori individuali dei soci.

Il vincolo di destinazione non implica che i singoli beni conferiti debbano restare nel
patrimonio della società per tutta la sua durata (materie prime, cose conferite in
proprietà cedute a terzi, denaro)

Un concetto collegato ma diverso è il vincolo di indisponibilità del capitale


sociale, la cui definizione dipende da quella di capitale. Il capitale sociale è una
posta contabile che rappresenta il valore dei conferimenti e che viene indicata
nell’atto costitutivo. Esso non va confuso con il patrimonio della società con cui si
intende l’insieme degli elementi dell’attivo e del passivo, che varia continuamente. Il
capitale sociale, invece, è un valore astratto, una posta numerica e ideale che
rappresenta semplicemente il valore delle risorse iniziali della società, quindi è
un’entità immutabile che può essere modificata solo modificando l’atto costitutivo
della società (ad es. nuovi conferimenti da soci).

Tra le funzioni svolte dal capitale vi è la funzione produttiva, cioè rappresenta quel
valore complessivo di risorse che i soci destinano irreversibilmente all’attività. Alla
luce di questa funzione ha effetto il vincolo di indisponibilità che prevede che i soci
non possano prelevare dal patrimonio della società le somme che eccedono il
valore del capitale per distribuirsele. Solo se il patrimonio netto (differenza tra
attività e passività) è superiore al capitale, allora l’attività sociale ha prodotto un
utile che può essere distribuito.

120 Valentina Gilardoni


In definitiva, quindi, il vincolo non riguarda specifici beni, ma un valore: infatti la
società può assegnare ai soci solo il valore dell’eccedenza tra patrimonio netto e
capitale, il che significa che i soci non possono ridurre il valore dell’investimento e
quindi il rischio che hanno inizialmente accettato.

Lo scopo egoistico dell’attività - Scopo di lucro, scopo mutualistico e


consortile. La causa come criterio distintivo tra i fenomeni associativi.

La definizione dell’art. 2247 enuncia lo scopo negoziale, cioè la causa, dell’atto


costitutivo: i soci esercitano l’attività per realizzare un guadagno (lucro
oggettivo) da dividersi (lucro soggettivo) partecipando alla sua distribuzione
secondo la propria quota di partecipazione.

L’eventuale guadagno si definisce utile e, per effetto del vincolo di indisponibilità,


rappresenta la sola porzione ideale del patrimonio che può essere distribuita.

Inoltre, alle società lucrative si affiancano anche le cooperative che perseguono


scopi mutualistici. L’obiettivo di questi enti è quello di far avere ai soci
direttamente beni, servizi o occasioni di lavoro più favorevoli rispetto al mercato.

Nelle società lucrative il socio trae il proprio profitto per il solo fatto di essere socio,
mentre nelle mutualistiche ricava il suo beneficio solo se e nella misura in cui
acquisti prodotti e servizi dalla società o lavori per essa.

Infine, l’art. 2615-ter consente di costituire ogni tipo di società di persone o di


capitali (escluso la società semplice) per scopo consortile (art. 2602) cioè per uno
scopo di natura mutualistica, a beneficio delle imprese dei soci.

In tutti i casi, la società è una struttura costituita per il perseguimento di uno scopo
egoistico.

In generale, il criterio che consente di distinguere tra loro i negozi associativi è


basato sulla causa, cioè sulla funzione a cui assolve la società. A questa
categoria appartengono anche le associazioni e le fondazioni. Infatti, in tutti questi
casi, l’attività non solo è svolta stabilmente e con metodo economico, ma persegue
anche uno scopo di lucro oggettivo, proprio perché ciò che caratterizza questi enti è
la mancanza di uno scopo di lucro soggettivo in quanto i proventi realizzati
attraverso l’attività sono devoluti in beneficenza, destinati ad opere assistenziali, e
quindi impiegati nel perseguimento di uno scopo ideale o altruistico.

121 Valentina Gilardoni


Le eccezioni normative: le società senza scopo egoistico, in particolare
l’impresa sociale.

L’art. 2247 non ammette eccezioni alla causa egoistica del negozio societario.
Tuttavia, negli ultimi decenni, la legislazione speciale ha introdotto in modo
sempre più diffuso delle figure societarie caratterizzate dall’assenza di scopi
egoistici (es. le società sportive professionistiche che devono reinvestire tutti gli utili
nell’attività sportiva senza poterli distribuire in alcun modo tra i soci). Di importanza
ancora maggiore è la disciplina dell’impresa sociale; questa non è una nuova entità
organizzata a carattere imprenditoriale ma è una qualifica che associazioni,
fondazioni e società possono acquisire quando esercitano un’attività economica
in alcuni settori o con modalità di utilità sociale e rispettino determinate
condizioni, tra cui la mancanza dello scopo di lucro, a condizione che esse
arruolino tra il personale, in una certa percentuale, lavoratori che appartengono
alle classi disagiate e si assoggettano a certe regole coerenti con le finalità che
intende perseguire.

Il nome deve contenere l’espressione “impresa sociale”, ed è una scelta definitiva in


quanto non è possibile riconvertire la società in una con scopi lucrativi, né trasferire
l’azienda se non ad altre società prive di fini egoistici. Inoltre l’autorità governativa,
quando vengono meno i requisiti per il riconoscimento della qualità di impresa
sociale, ha il potere di sciogliere l’ente, devolvendone il patrimonio non ai soci, ma
ad organizzazioni che perseguono scopi della stessa natura.

32. I TIPI DI SOCIETÀ. AUTONOMIA PATRIMONIALE, PERSONALITÀ


GIURIDICA, SOGGETTIVITÀ

Il tipo di società: nozione


L’ordinamento disciplina una pluralità di modelli organizzativi societari: le società
lucrative (società semplice, s.n.c., s.a.s., s.p.a., s.r.l., s.a.p.a.) e le società
cooperative. Ogni modello rappresenta un tipo di società e si differenzia dagli altri
sotto molteplici aspetti, che riguardano essenzialmente:

1. le regole dell’organizzazione interna; tendenzialmente più agile nelle società


di persona; organizzazione più complessa e circondata da maggiori cautele e
tutela dei creditori nelle società di capitali e cooperative, nelle quali, inoltre,
asseconda la finalità solidaristica e non speculativa dell’ente

122 Valentina Gilardoni


2. l’autonomia patrimoniale; minore nelle società di persone, maggiore nelle altre.

Il tipo è dunque un modello societario con proprie caratteristiche distintive,


autonomamente disciplinato in via normativa. Quando si parla di tipi societari non si
introduce una sub-segmentazione della fattispecie “atto/contratto di società”,
nuovamente in funzione della causa, ma una suddivisione dipendente dal modello
organizzativo.

La libertà di scelta e i criteri di individuazione dei tipi. Il principio di tipicità e


l’autonomia privata. Le società di diritto speciale.
Il principio di fondo che presiede alla selezione tra i modelli è quello della libertà di
scelta: i fondatori possono eleggere liberamente il tipo che preferiscono. La scelta
avviene con la costituzione della società, ma può essere successivamente mutata
dai soci, attraverso la modificazione dell’atto costitutivo (trasformazione della
società). Il principio di libertà è previsto dalla legge che ne esplicita anche i limiti,
dipendenti dall’oggetto sociale (natura dell’attività programmata).

1. Il primo limite ha carattere generale: se l’attività è di natura commerciale non


può optarsi per la società semplice, che è utilizzabile esclusivamente per
attività non commerciali.

2. Il secondo limite ha portata settoriale: per lo svolgimento dell’attività in


determinati settori, la legge può chiedere l’adozione di un particolare tipo

Se le parti non effettuano alcuna scelta, cioè si accordano genericamente per lo


svolgimento comune di un’attività, o di fatto ne intraprendono l’esercizio, senza
ulteriori specificazioni, la legge stabilisce che si applichino le disposizioni sulla
società semplice, quando l’attività sia non commerciale e della s.n.c. se questa è
commerciale (tipi residuali).

Principio di tipicità della società: le società con oggetto commerciale “devono


costituirsi secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti”, mentre quelle con
oggetto non commerciale sono società semplici, “a meno che le parti non abbiano
voluto costituire la società secondo uno degli altri tipi regolati nei capi III e
seguenti”. Dunque le parti non possono dar vita a modelli organizzativi nuovi e
diversi da quelli regolati in via normativa.

Il principio di tipicità non cancella tuttavia ogni spazio all’autonomia privata:


nessuno dei modelli privati è infatti rigido e sotto molti profili la libertà negoziale
può tornare ad esplicarsi, o perché la legge stessa affida al negozio il compito di
regolarli, o perché la regolamentazione è predisposta sì in via normativa, ma con

123 Valentina Gilardoni


disposizione derogabile. La tendenza recente è anzi ad una sempre maggiore
accentuazione dell’autonomia negoziale.

I modelli organizzativi regolati nel codice civile hanno carattere generale. Diverse
normative speciali introducono disposizioni dedicate a categorie di società e talvolta
persino singole società, che derogano o integrano, in misura più o meno ampia, la
disciplina generale, società di diritto speciale. Esse sono enti che appartengono
ad uno dei tipi codicistici e quindi soggetti, in linea di principio, alle relative norme,
ma che, sotto certi profili, presentano invece una regolamentazione propria,
giustificata dall’esistenza di un interesse pubblico specifico.

Vi sono anche le società in mano pubblica, in cui partecipa, come socie unico, o
di maggioranza, un ente pubblico. Tali società sono assoggettate al diritto societario
comune, a volte con disciplina speciale.

L’autonomia patrimoniale nei diversi tipi.

La società è un organismo caratterizzato dall’autonomia patrimoniale. I beni che


ad essa fanno capo non si confondono mai, giuridicamente, con quelli personali dei
soci, ma ne rimangono separati. Questa separazione si traduce in un distinto
regime di responsabilità nei confronti dei creditori, rispettivamente delle società
e del singolo socio. L’autonomia varia però di grado a seconda del tipo di società:
è modesta nelle società semplici, e cresce via via fino a diventare piena nelle
società di capitali e nelle cooperative.

a. Comunione di beni: costituita per meri fini di godimento è retta dalla disciplina
della proprietà. Dal punto di vista della responsabilità, la contitolarità non isola in
alcun modo il bene comune da quelli individuali della cooperativa. La semplice
costituzione di una comunione patrimoniale, senza destinazione economica dei
beni, non consente di accedere ad alcuna forma di autonomia.

b. Azienda individuale. L’imprenditore che destini parte dei propri beni


all’esercizio di un’attività svolta a titolo individuale risponde dei relativi debiti,
secondo il principio previsto dalla legge, anche con tutti i propri beni
extraaziendali. La destinazione economica dei beni, se l’impresa resta
individuale, a sua volta non determina alcuna separazione patrimoniale.

c. Nella società semplice si delinea un primo grado di autonomia.

• Il creditore particolare di un socio non può aggredire direttamente i singoli


beni sociali, sebbene possa esigere dalla società la liquidazione in denaro

124 Valentina Gilardoni


della quota spettante al suo debitore. I creditori sociali possono aggredire i
beni dei soci, ma i soci possono indirizzarlo verso beni della società

• I beni dell’ente rispondono prioritariamente o addirittura esclusivamente dei


debiti sociali, rispetto ai patrimoni personali dei soci. Esclusivamente per quei
soci non amministratori, la cui responsabilità può essere limitata al
conferimento, prioritariamente per gli altri soci, che sono solidamente e
illimitatamente responsabili, ma che possono evitare l’espropriazione dei
propri beni, indicando quelli della società su cui il creditore può rifarsi

d. Maggiore intensità acquista l’autonomia patrimoniale nelle s.n.c., in esse il


creditore particolare del socio non può chiedere neppure la liquidazione della
quota. I soci sono comunque illimitatamente responsabili per le obbligazioni
sociali, i creditori sociali non possono aggredire i beni individuali, se non dopo
aver inutilmente escusso il patrimonio sociale. Il patrimonio è l’asset primario.

e. Analoga è l’autonomia nelle s.a.s., dove gli accomandanti sono sempre


responsabili solo nei limiti del trasferimenti (quota conferita), mentre gli
accomandatari sono responsabili illimitatamente.

f. Autonomia patrimoniale perfetta si raggiunge nelle società di capitali e


cooperative, i patrimoni sono del tutto separati. I creditori particolari non hanno
alcuna azione verso la società ed il creditore sociale nessuna verso i soci

Personalità giuridica e soggettività giuridica.

La dottrina tradizionale identifica l’autonomia patrimoniale perfetta con la nozione


di personalità giuridica: separazione patrimoniale, la società è un soggetto distinto
dai soci. Per questo, delle proprie obbligazioni non potrebbe che rispondere essa
soltanto, con il proprio patrimonio, mentre nessuna responsabilità potrebbe
gravare su quest’ultimo per i debiti di un’altra persona, quali sarebbero quelli del
socio. Tale concetto ha implicazioni notevoli in quanto ammette che, accanto alle
persone fisiche, esistano entità ulteriori che l’ordinamento eleva a centri autonomi di
imputazione di rapporti giuridici, cioè a titolari di pretese e destinatari di comandi: le
persone giuridiche delle società di capitali: “con l’iscrizione nel registro la società
acquista la personalità giuridica”.

Alle società di persona la legge invece non attribuisce la personalità giuridica.


Nella giurisprudenza moderna si afferma che esse sono dotate di una propria
autonomia soggettiva, di grado inferiore rispetto alla personalità giuridica, ma
comunque tale da erigerle a centri di imputazione di rapporti giuridici, destinati ai
soci.

125 Valentina Gilardoni


ESERCIZI

1. Tizio e Caio decidono di far fruttare i loro risparmi: li mettono assieme allo scopo
di acquistare una partita di vinili usati da rivendere ai collezionisti al prezzo più alto
possibile. Tizio e Caio costituiscono una società? e se sì che tipo di società?

Bisogna accertare se sussistano i tre requisiti dell’art 2427 per poter affermare
l’esistenza di una società:

1. Il conferimento da parte dei soci di una dotazione iniziale

2. L’utilizzo della dotazione iniziale per l’esercizio dell’attività economica produttiva

3. Lo scopo di dividere gli utili

In questo caso avviene il conferimento di denaro per svolgere un’attività economica


che consiste nel comprare e rivendere dei vinili. Anche lo scopo coincide con quello
di lucro. Si può quindi affermare che abbiano costituito una società. Poiché non
hanno effettuato la scelta del tipo di società, si applica la società di fatto, nel caso in
cui si tratti di impresa commerciale si applica la fattispecie s.n.c, nel caso in cui non
si tratti di impresa commerciale si applica la fattispecie società semplice. Bisogna
chiedersi se si tratta di impresa commerciale, ovvero un’attività produttiva con
requisiti di organizzazione, professionalità ed economicità. Qui manca il requisito
della professionalità, perché è un’attività occasionale e non professionale. Per
questo si tratta di società semplice.

2. Tizio e Caio vogliono costituire una società a responsabilità limitata, prevedendo


l’inserimento di una clausola statutaria con la quale i due soci s’impegnano a
ripianare le perdite che dovessero risultare dal bilancio d’esercizio. Questa clausola
può essere inserita nel contratto? In caso di risposta negativa, quali sarebbero le
conseguenze di un suo eventuale inserimento?

Il tipo di scelta di società determina una particolare disciplina. La srl è caratterizzata


da autonomia patrimoniale perfetta: il patrimonio dei soci è separato da quella
dell’impresa. La clausola non può essere inserita nell’atto costitutivo di una società
a responsabilità limitata, in quanto clausola contrastante con gli elementi essenziali
del tipo societario che i soci hanno dichiarato di voler costituire. La clausola sarà,
perciò, sicuramente nulla in quanto contraria a norme imperative.

3.Tizio e Caio hanno messo insieme tutti i loro risparmi per avviare la produzione di
dispositivi sanitari, molto richiesti in questo momento di crisi sanitaria. I due
ritengono di trarre grandi guadagni da questo business. Essi hanno costituito una
società? E nell’affermativa di che tipo?

126 Valentina Gilardoni


SEZIONE DECIMA - LE SOCIETÀ DI PERSONE
Le società di persone di caratterizzano per l’esercizio comune di imprese di
dimensioni contenute. Sul piano delle caratteristiche, esse presentano: la
responsabilità illimitata di almeno un socio per le obbligazioni sociali, la stabilità
nel tempo, la rilevanza normativa di alcune vicende personali dei soci e l’agilità
gestionale.
Per l’esercizio delle piccole e medie imprese, esse subiscono la concorrenza delle
s.r.l. ma tuttavia, i dati statistici confermano un interesse per le società di persone,
nonostante la responsabilità illimitata di almeno un socio.
I motivi di questo successo vengono ritrovati soprattutto nel trattamento tributario,
cioè gli utili realizzati dalla società vengono imputati direttamente ai soci e tassati
nell’ambito dell’IRPEF secondo le rispettive quote di partecipazione. Inoltre le
perdite sono direttamente imputate ai soci con conseguente riduzione
dell’imponibile nei loro confronti.
Inoltre le società di persone presentano maggiore elasticità sia in sede di
costituzione che nel corso della vita sociale. La disciplina della società di persone
ne regola tre tipi: la società semplice, società in nome collettivo, società in
accomandita semplice.
La società semplice può svolgere esclusivamente attività diverse da quella
commerciale e quindi impresa agricola e professionale. Questo limite non
sussiste invece per le s.n.c. e s.a.s. alle quali invece è consentito lo svolgimento di
impresa commerciale o altra attività.

Tutte presentano almeno un socio chiamato a rispondere illimitatamente per le


obbligazioni sociali, in solido con la società. Nella società semplice e nella s.n.c.
rispondono illimitatamente tutti i soci, mentre nella s.a.s. ne rispondono
illimitatamente solo i soci accomandatari, mentre invece per quelli accomandanti la
responsabilità è circoscritta al conferimento effettuato.
Infine, sul piano dell’organizzazione dell’attività, viene lasciata ampia autonomia e le
poche regole dettate determinano un modello organizzato “per persone”, cioè che
tutti i poteri sono rimessi ai soci e non ad organi designati, nominati o delegati.

SOCIETÀ SEMPLICE
• Può esercitare solo attività non commerciale
• L’atto costitutivo non richiede forme particolari, salvo quelle richieste dai beni
conferiti
• Iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese: funzione notizia per le
attività non commerciali, dichiarativa per la società agricola
• L’iscrizione non incide sull’esistenza della società, né sulla disciplina applicabile

128 Valentina Gilardoni


LA SOCIETÀ IN NOME COLLETTIVO. PROFILI FORMALI E FINANZIARI

Secondo l’art. 2291, nella società in nome collettivo tutti i soci rispondono
solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali. L’eventuale patto
limitativo della responsabilità dei soci viene fatto valere solo nei rapporti interni tra
soci e non sarà opponibile ai creditori della società. La responsabilità di tutti i soci
sussiste anche quando la s.n.c. non è iscritta nel registro delle imprese.

La s.n.c. agisca sotto una ragione sociale, composta dal nome di uno o più soci
con l’indicazione del rapporto sociale (art. 2292), che ha una funzione distintiva-
identificativa dell’ente come soggetto di diritto; ad esso poi possono aggiungersi
ulteriori elementi (ad es. Alfa Trasporti s.n.c. di Giovanni Bianchi).

La costituzione della società in nome collettivo.


L’atto costitutivo della s.n.c. deve contenere:
1. il cognome, il nome, il domicilio e la cittadinanza dei soci
2. la ragione sociale
3. i soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza della società
4. la sede della società e le eventuali sedi secondarie
5. l’oggetto sociale (cioè il settore in cui opererà)
6. i conferimenti di ciascun socio, il valore ad essi attribuito e il metodo di
valutazione
7. le prestazioni a cui sono obbligati gli eventuali soci d’opera
8. le norme secondo cui gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio
negli utili e nelle perdite
9. la durata della società.

Per quanto riguarda la forma, viene richiesta la stipula per atto pubblico o scrittura
privata autenticata (art. 2296), ma questo vale solo ai fini pubblicitari ossia per
ottenere l’iscrizione nel registro delle imprese.

L’iscrizione costituisce condizione di regolarità ma non di validità dell’atto


costitutivo. La conseguenza della mancata iscrizione è l’assoggettamento della
s.n.c. alla disciplina della società semplice, cioè la s.n.c. non iscritta gode di
minore autonomia patrimoniale. In questo caso si parla di efficacia normativa
dell’iscrizione. Ne consegue che la s.n.c. non iscritta (s.n.c. irregolare) è validamente
costituita anche in assenza delle forme richieste ai fini dell’iscrizione.

Quindi la s.n.c. può essere costituita indipendentemente dall’esternalizzazione della


stipula del contratto di società.

129 Valentina Gilardoni


S.n.c. irregolare: atto costituivo viene stilato in forma scritta osservando le
prescrizioni richieste ma senza l’iscrizione nel registro
S.n.c. di fatto: manca la documentazione dell’atto costitutivo e l’attività societaria
viene effettuata per atti concludenti. Manca la scelta del tipo s.n.c. e nel caso in
cui questo non venga specificato e l’attività svolta è di tipo commerciale, si ritiene
che vadano comunque applicate le norme della s.n.c. in quanto è l’unico tipo
compatibile con la società di fatto.

L’unico ostacolo alla validità dell’atto costitutivo della s.n.c. riguarda i conferimenti
di beni la cui circolazione prevede che sia assoggettata a forme particolari ad
substantiam. Si può riscontrare un vizio di costituzione nel caso in cui il
conferimento del bene immobile non sia effettuato in forma scritta, come richiesto
dalla natura del conferimento. Le conseguenze dipendono dall’essenzialità del
conferimento rispetto all’oggetto sociale: nel senso che se non è essenziale, il
conferimento è come se non fosse effettuato; se, invece, è essenziale, il vizio di
forma si ripercuote sull’intera società. La società, nel secondo caso, sarà invalida
(nulla). Alla società (anche s.n.c.) si applica la disciplina contenuta nell’art. 2332 c.c.
Presuppongono la mancata iscrizione delle s.n.c.: la società occulta in cui pur non
sussistendo un vincolo societario nei rapporti tra soci, si reputa comunque
sussistente, e quindi assoggettabile a fallimento, quella società che appare tale nei
rapporti esterni, inducendo i terzi a confidare sulla sua concreta esistenza.
Società apparente: una società non esiste, tuttavia due o più soggetti operano nei
confronti di terzi come se la società ci fosse. I soggetti terzi fanno affidamento
sull’esistenza effettiva della società e vengono quindi tutelati estendo la
responsabilità della società apparente al fallimento.

La partecipazione
La partecipazione ad una s.n.c. è consentita non solo alle persone fisiche, ma
anche alle persone giuridiche. Per le società di capitali è consentito che, previa
autorizzazione dell’assemblea, assumano partecipazioni in altre imprese che
comportano una responsabilità illimitata per le obbligazioni di queste.
Le società di persona di tipo commerciale devono redigere il bilancio secondo le
norme previste per la s.p.a. qualora tutti i soci illimitatamente responsabili siano
s.p.a., s.a.p.a., o s.r.l. Si ammette quindi la possibilità di una s.n.c i cui soci siano
esclusivamente società di capitali.
La partecipazione degli incapaci è equiparata all’esercizio di un’impresa
commerciale: soggetto minore, interdetto o inabilitato non può costituire la società,
ma può proseguirla brevia autorizzazione da parte del tribunale. Il minore
emancipato può partecipare anche alla costituzione, ma con autorizzazione da
parte del tribunale.

130 Valentina Gilardoni


L’invalidità del contratto
Il codice non detta alcuna specifica disposizione in tema di invalidità dell’atto
costitutivo di una s.n.c., così come per tutte le società di persona. Di conseguenza,
si è invocata l’applicazione della disciplina generale sulla patologia dei contratti.
Il problema non si pone tanto con riguardo ai vizi rilevanti, quanto rispetto agli
effetti dell’invalidità. In quasi tutti i casi di invalidità resterebbero infatti ferme le
regole comuni sulle retroattività degli effetti della stessa; l’applicazione dei comuni
canoni sulla patologia del contratto si rivelerebbe però foriera di conseguenze che
contrasterebbero il principio di salvaguardia dell’attività svolta dall’organizzazione
societaria nell’interesse di tutti i soci.
Individuare soluzione per preservare l’attività posta in essere dalla società nulla:
- Rilevanza dell’esercizio di fatto dell’attività
- Tutela dell’affidamento dei terzi
- Applicabilità della regola dettata in tema di s.p.a. secondo cui: la nullità opera ex
nunc
Art. 2332: le cause di invalidità di una società che ha iniziato la propria attività
legittimano gli interessati a richiederne l’eliminazione , ma non rendono improduttiva
di effetti l’attività svolta prima dell’accertamento giudiziale di invalidità
Avvenuta l'iscrizione nel registro delle imprese, la nullità(1) della società può essere
pronunciata soltanto nei seguenti casi:
1. mancata stipulazione dell'atto costitutivo nella forma dell'atto pubblico
2. illiceità dell'oggetto sociale
3. mancanza nell'atto costitutivo di ogni indicazione riguardante la
denominazione della società, o i conferimenti, o l'ammontare del capitale
sociale o l'oggetto sociale.
La dichiarazione di nullità non pregiudica l'efficacia degli atti compiuti in nome della
società dopo l'iscrizione nel registro delle imprese.
I soci non sono liberati dall'obbligo di conferimento fino a quando non sono
soddisfatti i creditori sociali.
La sentenza che dichiara la nullità [2309] nomina i liquidatori [2487].
La nullità non può essere dichiarata quando la causa di essa è stata eliminata e di
tale eliminazione è stata data pubblicità con iscrizione nel registro delle imprese.
Il dispositivo della sentenza che dichiara la nullità deve essere iscritto, a cura degli
amministratori o dei liquidatori nominati ai sensi del quarto comma, nel registro delle
imprese.
L’invalidità della singola partecipazione determina l’invalidità dell’intero contratto
solo quando la partecipazione è essenziale per il conseguimento dell’oggetto
sociale.

131 Valentina Gilardoni


I conferimenti
I soci sono tenuti ad indicare nell’atto costitutivo il valore attribuito ai conferimenti
e al modo di valutazione.

Il valore dei conferimenti potrà essere concordato liberamente tra i soci all’atto
della stipula dell’atto costitutivo o in sede di aumento del capitale. La somma del
valore dei conferimenti dà luogo al capitale della società, per il quale non è
prevista alcuna soglia minima.

Per quanto riguarda l’entità conferibili, non sussistono limiti, possono essere
conferiti tutti i beni e i servizi, ossia qualsiasi entità suscettibile di valutazione
economica.

Riguardo l’importo di ciascun conferimento, i soci possono fissarlo in piena


autonomia. Tuttavia se l’entità dei conferimenti dovuti da ciascuno non risulta
determinata, scatta una duplice presunzione:
I. sul piano del quantum complessivo, i soci devono ritenersi obbligati a conferire
quanto necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale
II. sul piano delle parti interne si presume che esse siano uguali per tutti i soci.

Con il conferimento d’opera (o servizi) il socio si obbliga nei confronti della


s.n.c. a svolgere una prestazione di fare (manuale/intellettuale), assumendo la
posizione di socio, con conseguente diritto di partecipare agli utili della società e
alle decisioni sociali. Il socio d’opera però è soggetto al rischio di esclusione che
sussiste quando emerge la sua inidoneità a svolgere l’opera conferita. Inoltre non
avrà diritto al rimborso del suo apporto
Conferimento di credito: il socio rispondo dell’insolvenza del debitore nei limiti del
valore assegnato al suo conferimento

Il capitale sociale
Come abbiamo detto, l’insieme dei conferimenti dei soci contribuisce a formare il
capitale sociale della s.n.c. e i soci sono liberi di fissare la cifra del capitale sociale
nominale e di valorizzare i beni nella misura tra loro concordata.
La determinazione dell’importo del capitale in cifra monetaria è richiesta
dall’art. 2295 che prescrive l’indicazione nell’atto costitutivo del valore attribuito ai
conferimenti. Perciò deve ritenersi che nella s.n.c. il capitale è l’elemento essenziale
dell’atto costitutivo, a cui alcune disposizioni assegnano una funzione vincolistica
ed organizzativa.

Piano vincolistico
Una prima disciplina di tutela del capitale vieta la restituzione ai soci di conferimenti
o di distribuire somme di patrimonio sociale (se non nella misura in cui vi sia

132 Valentina Gilardoni


eccedenza del patrimonio netto rispetto all’importo del capitale). Da queste regole si
ricava un obbligo a carico degli amministratori di conservazione del capitale.
A. Data la minore autonomia patrimoniale attribuita alla s.n.c. è previsto che la
decisione di riduzione reale del capitale non è immediatamente efficace,
ma lo diventa decorsi tre mesi dal giorno dell’iscrizione della società nel registro
delle imprese. Nello stesso termine di tre mesi i creditori della società anteriori
all’iscrizione che ritengano di subire un pregiudizio dall’esecuzione della
riduzione, possono fare opposizione dinanzi al tribunale che può disporre che
essa possa comunque avvenire, salva un’idonea garanzia da parte della società.
Questo ha l’obiettivo di tutelare i creditori delle società di persone di tipo
commerciale da riduzioni facoltative del capitale, effettuate in ragione di
un’esuberanza del capitale rispetto al perseguimento dell’oggetto sociale, ma
pregiudizievoli per i creditori.
B. Inoltre è vietato distribuire somme tra i soci se non per utili realmente
conseguiti, che riflette il principio del divieto di distribuzione di utili fittizi. La
s.n.c. può richiedere la restituzione degli utili fittizi eventualmente distribuiti.
C. Manca però una disciplina della riduzione obbligatoria del capitale a seguito
di perdita, sicché agli amministratori non è fatto obbligo di adottare particolari
provvedimenti quando il capitale venga eroso da perdite, ed in particolare non è
obbligatorio procedere ad una rettifica contabile del capitale, adeguandolo al
nuovo, minor valore del patrimonio.

Piano organizzativo
Va ricordata la funzione del capitale di attribuire importanza alla partecipazione al
capitale in quanto in base ad essa si misura la maggioranza per determinate
decisioni.

Utili e perdite. Divieto di patto leonino.


Nelle s.n.c. l’atto costitutivo può anche indicare espressamente le norme secondo
cui gli utili devono essere ripartiti e la quota di ciascun socio negli utili e nelle
perdite.

Se la parte di ciascuno negli utili coincide con la quota di partecipazione al capitale,


allora è possibile alterare tale simmetria tra conferimenti e partecipazione agli utili
(ad es. un socio potrà partecipare al 30% del capitale e solo al 20% degli utili; così
come il socio d’opera potrà avere il 10% degli utili anche se il suo conferimento non
venga imputato a capitale). Nei rari casi in cui la partecipazione agli utili del socio
d’opera non è determinata nell’atto costitutivo ex ante, è previsto un intervento
del tribunale che dovrà giudicare secondo equità.
Nel rapporto tra utili e perdite vi è un unico limite all’autonomia dell’atto costitutivo,
in quanto l’art. 2265 dispone che è nullo il patto con cui uno o più soci sono

133 Valentina Gilardoni


esclusi da ogni partecipazioni agli utili e alle perdite. Si tratta del divieto del
patto leonino, che mira ad evitare che si possano creare situazioni di particolare
favore o svantaggio nei rapporti tra un socio e gli altri.
La quota di partecipazione agli utili e alle perdite assume rilevanza in sede di
liquidazione della società. La parte di ciascuno negli utili funge da criterio per la
distribuzione del surplus di attivo al netto del rimborso dei conferimenti capitalizzati.
Per converso, la parte di ciascuno nelle perdite determina la distribuzione tra i soci
del peso dei debiti sociali, una volta che i fondi della s.n.c. si rilevano insufficienti.
Infine il diritto del socio alla percezione degli utili sorge automaticamente, una
volta che viene approvato il bilancio da cui risultano gli utili stessi.

La posizione dei creditori particolari dei soci


L’autonomia patrimoniale prevede che i creditori particolari non possono chiedere
la liquidazione della quota del socio loro debitore finché dura la società.

I creditori particolari possono tutelarsi aggredendo solo gli utili che spettano al
socio debitore e possono porre in essere atti conservativi sulla quota che spetta
a questi in occasione della liquidazione della società.
Non hanno la facoltà di provocare lo scioglimento del singolo rapporto sociale
anche quando offrono la prova che gli altri beni del socio sono insufficienti alla
soddisfazione del credito.
Il termine di durata della società si traduce in un limite temporale ai poteri dei
creditori particolari, tenuti ad attendere lo scioglimento della stessa per vedere
incrementare le chances di soddisfazione.
Vi è rischio che attraverso la proroga della durata venano sostanzialmente deluse le
aspettative dei creditori particolari del socio anteriori alla stessa, ai quali è
riconosciuta la possibilità ad opporsi alla decisione di proroga della società
(proroga espressa) entro 6 mesi dall’iscrizione nel registro delle imprese stesse. Se
l’opposizione è accolta, la società deve, entro altri 3 mesi dalla notificazione della
sentenza, liquidare la quota del socio debitore dell’opponente.
In caso di proroga tacita il creditore particolare del socio può in ogni momento
chiedere la liquidazione della quota del suo debitore.

Responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali. Il beneficio di escussione.


Un altro aspetto dell’autonomia patrimoniale riguarda la responsabilità per le
obbligazioni sociali. Nella s.n.c. tutti i soci rispondono solidalmente e
illimitatamente per esse. La responsabilità è illimitata, e dunque i soci rispondono
con l’intero patrimonio personale, senza alcuna possibilità di determinare un
limite. Anche i soci persone giuridiche rispondono con il loro patrimonio, sebbene la
persona fisica che partecipa al capitale della persona giuridica socia di una s.n.c. ne
risponde nei limiti di quanto conferito nella società di capitali.

134 Valentina Gilardoni


Inoltre i soci rispondono in solido tra loro, nel senso che ciascuno di loro può
essere costretto ad adempiere per l’intero importo dell’obbligazione sociale e tale
adempimento libera gli altri soci nei confronti dei terzi.

Nei rapporti esterni, l’eventuale patto che dovesse intercorrere tra i soci è
dichiarato privo di efficacia nei confronti dei terzi.
La responsabilità per le obbligazioni sociali permane anche dopo lo scioglimento
del rapporto sociale ed ha importanza anche in caso di fallimento della s.n.c.
Infatti i soci sono esposti al fallimento, in estensione al fallimento della s.n.c.
Anche l’ex socio potrà essere dichiarato fallito ma solo nel termine di un anno dallo
scioglimento se l’insolvenza dipende da obbligazioni sorte prima dello stesso.
La responsabilità dei soci di s.n.c. verso i creditori sociali è sussidiaria rispetto a
quello della società, in quanto accorda ai soci il beneficio di preventiva
escussione. Tale beneficio prevede un onere a carico dei creditori sociali che
sono chiamati a provare, nel processo di esecuzione promosso contro i soci, di aver
prima escusso, in modo infruttuoso, il patrimonio della società.

Il beneficio opera automaticamente, se la s.n.c. è iscritta nel registro delle


imprese, e non viene meno quando la società si trovi in stato di liquidazione.

In caso di s.n.c. irregolare il legislatore degrada infatti il beneficio ad eccezione che


il socio, il cui patrimonio venga aggredito per obbligazioni sociali, può sollevare in
sede esecutiva. I creditori sociali saranno quindi liberi di aggredire direttamente il
patrimonio del socio, su cui grava l’onere di invocare il beneficium excussionis
indicando i beni della società su cui i creditori sociali possono agevolmente
soddisfarsi.

38. PROFILI ORGANIZZATIVI . L’amministrazione.

Il modello legale e l’autonomia privata


Innanzitutto vi è un modello legale (applicabile in mancanza di una diversa opzione
dell’atto costitutivo) che prevede l’amministrazione disgiunta di tutti i soci per
assicurare la piena funzionalità della società, munendo ogni singolo amministratore
di più ampi poteri di gestione e rappresentanza. Esso però prevede che tra i soci vi
sia massima fiducia, in quanto ciascuno può operare indipendentemente dagli
altri e far insorgere obbligazioni che comportano la responsabilità illimitata e
solidale di tutti i soci. Allo stesso tempo viene sancita la derogabilità per adattare
il regime di amministrazione alle concrete esigenze della società.
L’atto costitutivo, però, può anche disporre che gli amministratori operino
secondo il regime dell’amministrazione congiunta.

135 Valentina Gilardoni


Amministrazione disgiunta
In regime di amministrazione disgiunta ciascun singolo socio amministratore è
pienamente legittimato ad assumere le decisioni di carattere gestorio
indipendentemente dagli altri amministratori, senza doverli quindi coinvolgere né
avvisarli sulle opinioni prese.

Allo stesso tempo, il legislatore riconosce a ciascun amministratore il diritto di


opposizione di veto nei confronti di una o più operazioni programmate dagli altri
amministratori. Esso si concretizza nel diritto di manifestare il proprio dissenso
rispetto all’operazione, prima che essa sia realizzata. L’opposizione acquista la
propria efficacia negativa (cioè impedisce il compimento dell’operazione) sempre
che venga esercitata tempestivamente. Questo presuppone che l’amministratore
venga in anticipo a conoscenza dell’operazione che l’altro intende compiere, o
perché quest’ultimo lo ha informato spontaneamente o perché ha acquisito tale
informazione autonomamente; è ammesso anche che gli amministratori facciano
opposizione animati dal solo sospetto. Il regime di amministrazione disgiunta
presenta al suo interno un sistema di superamento del conflitto così venutosi a
creare. La legge prevede infatti che sull’opposizione decida la maggioranza dei
soci, determinata secondo la parte attribuita a ciascun socio agli utili.

Amministrazione congiunta
Il regime di amministrazione congiunta (art. 2258) rappresenta uno schema
gestionale in cui tutti agli amministratori si impone un confronto costante.
Entrambe le varianti contemplate dal legislatore richiedono una previsione dell’atto
costitutivo.
A. Amministrazione congiunta all’unanimità, essa prevede che per la decisione
occorre il consenso di tutti gli amministratori. Si tratta di un modello
privilegiato dal codice in quanto si applica in mancanza dell’espressa
indicazione dello schema scelto. Inoltre attraverso tale regola si mette in
discussione l’agilità decisionale in quanto si concede a ciascun singolo un
potere di veto poiché nessun amministratore può esercitare da solo il potere
decisionale, ma deve coinvolgere gli altri nelle decisioni. Inoltre
nell’amministrazione congiunta il gruppo dei soci non assume nessun ruolo di
scioglimento dell’opposizione.
B. Se poi i soci intendono temperare le rigidità del modello, possono inserire
nell’atto costitutivo la previsione della possibilità che gli amministratori
decidano a maggioranza. In questo modo si crea la possibilità che un
amministratore prevalga su un altro, il computo della maggioranza vale anche
per la partecipazione agli utili.

La rigidità dell’amministrazione congiunta è temperata dall’art. 2258 che consente al


singolo amministratore di compiere individualmente atti di gestione quando vi
sia urgenza di evitare un danno alla società.

136 Valentina Gilardoni


Rappresentanza
Potere di gestione degli amministratori: decidere le operazioni sociali da
compiere per la realizzazione dell’oggetto sociale
Potere di rappresentanza: esternare, nei rapporti tra la s.n.c. e i terzi, la volontà
della società, acquistando in nome della stessa diritti ed assumendo obbligazioni in
base alle decisioni prese dagli amministratori per il raggiungimento dell’oggetto
sociale. Occorre, quindi, individuare chi sia titolato a spendere il nome della società.
L’art. 2295 prevede che l’individuazione dei rappresentanti può essere
contenuta nell’atto costitutivo. Potranno essere rappresentanti tutti gli
amministratori o solo alcuni di essi o addirittura soltanto uno.

In caso di pluralità di rappresentanti, l’atto costitutivo deve precisare se essi


operano congiuntamente o disgiuntamente. In mancanza di indicazioni, dovrà
reputarsi che il potere di rappresentanza sia simmetrico a quello di gestione.

Quanto all’estensione del potere di rappresentanza, l’art. 2298 precisa che


l’amministratore che ha la rappresentanza della società possa compiere tutti gli atti
che rientrano nell’oggetto sociale, salvo le limitazioni che risultano dall’atto
costitutivo o dalla procura. Esso comprende anche il potere di rappresentanza
giudiziale della società (art. 2266). Lo stesso articolo precisa anche che le
limitazioni non sono opponibili ai terzi, se non sono iscritte nel registro delle imprese
o se non si prova che i terzi ne hanno avuto conoscenza. Inoltre sui terzi ricade il
rischio che possano essere dichiarati inefficaci gli atti estranei rispetto all’oggetto
sociale della società.
L’autonomia statutaria può dar luogo ad ipotesi di dissociazione tra poteri di
gestione e di rappresentanza, cioè può essere eliminata la coincidenza soggettiva
tra amministratori e rappresentanti.

Nomina e revoca degli amministratori


L’art. 2295 richiede che l’atto costitutivo indichi i soci che hanno l’amministrazione e
la rappresentanza della società. Si parla in tal caso di nomina nell’atto costitutivo,
in quanto questa indicazione esprime la volontà dei soci di investire, solo alcuni di
loro del potere gestorio e rappresentativo, escludendo gli altri.

La nomina può anche mancare del tutto e in questo caso troverà applicazione la
regola secondo cui il potere di amministrazione e di rappresentanza spettano a
tutti i soci.

L’atto costitutivo può anche limitarsi a prevedere il numero degli amministratori,


rinviando ad una decisione successiva dei soci. La possibilità di poter essere
nominati con atto separato si ricava dall’art. 2259 in tema di revoca: in questo modo
il nuove entrato in società, anche se subentra ad un amministratore, non acquista il

137 Valentina Gilardoni


diritto di amministrare, ma quello di concorrere alla nomina di amministratore.

Si distingue tra:
• revoca negoziale (voluta dai soci) che è automaticamente efficace purché
soddisfi i requisiti di legge: se gli amministratori sono nominati nell’atto
costitutivo la revoca ha effetto solo se sussiste una giusta causa, cioè
quando si verifica un fatto di inadempimento degli obblighi abbastanza gravi da
legittimare la revoca dell’amministratore; e deve inoltre richiedere l’unanimità dei
consensi (salvo che la società abbia introdotto una clausola di maggioranza). La
revoca priva il socio solo del potere di amministrazione, ma non alla sua
partecipazione sociale. Per gli amministratori nominati con atto separato,
invece, la revoca è efficace anche in assenza di giusta causa anche se questo
espone la società al rischio di dover risarcire il danno (maggioranza di utili)

• revoca giudiziale che può produrre effetto solo dopo la pronuncia del tribunale.

L’art. 2259, infine, riconosce in capo a ciascun socio il diritto di richiedere la


revoca giudiziale per giusta causa.

Obblighi e responsabilità degli amministratori


Gli amministratori hanno il potere e dovere di gestire l’impresa sociale. A questo fine
essi hanno il potere di compiere tutti gli atti necessari o opportuni per il
conseguimento dell’oggetto sociale.
Inoltre agli amministratori spettano compiti più specifici come tenere la contabilità,
redigere il bilancio d’esercizio, iscrivere la società nel registro delle imprese
mediante deposito dell’atto costitutivo presso il relativo ufficio. Diritti ed obblighi
degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato.
In regime di amministrazione disgiunta, sugli amministratori grava anche un obbligo
di generale vigilanza sull’operato degli altri e di intervento quando si riscontri il
pericolo del compimento di operazioni dannose.

L’obbligo degli amministratori di gestire l’attività è un’obbligazione di mezzi, infatti


essi sono tenuti a svolgere le loro funzioni con la diligenza del buon padre di
famiglia e non rispondono, in caso di andamento negativo, quando hanno
adempiuto ai loro doveri.
In sede di accertamento della responsabilità non sarà possibile sindacare
l’opportunità e la convenienza delle decisioni assunte; a patto che rispettino i
canoni di prudenza e ragionevolezza che devono guidare le loro scelte per una
sana e corretta gestione imprenditoriale della società.

Per quanto riguarda la loro responsabilità, il codice si limita a sancire che “gli
amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per l’adempimento

138 Valentina Gilardoni


degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal contratto sociale” e che “la
responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da
colpa”.

Amministratore non socio. Socio non amministratore.


Uno dei problemi del diritto delle s.n.c. riguarda la possibilità di investire del ruolo di
amministratore soggetti estranei alla compagine sociale. La questione prevede tre
posizioni principali:
A. Inammissibilità, fondata sul principio che il potere di amministrazione spetta
solo ai soci a responsabilità illimitata
B. Possibile conferire ad un soggetto esterno la direzione dell’impresa anche se
questo non sarà un vero e proprio amministratore ma un institore
C. Ammissibilità dell’amministratore non socio.

I soci che sono esclusi dalla amministrazione:

• Partecipano all’attività sociale, essendo coinvolti nelle decisioni rimesse a tutti i


soci, compresa quella sull’opposizione in regime di amministrazione congiunta

• Hanno poteri di controllo e diritto di avere notizia sullo svolgimento degli affari
(diritto di informazione), consultare i documenti di amministrazione (diritto di
ispezione) e ottenere il rendiconto (prospetto analitico delle operazioni realizzate)
quando gli affari per cui sia stata costituita la società sono stati compiuti (diritto al
rendiconto).

3 9 . L O S C I O G L I M E N T O D E L S I N G O L O R A P P O RT O S O C I A L E . L O
SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ

Lo scioglimento del singolo rapporto sociale


Le singole cause di scioglimento (morte, recesso ed esclusione) si ricollegano
ad eventi personali o patrimoniali che colpiscono la persona del socio o vanno ad
incidere sulle relazioni interpersonali tra i soci. Sono quindi eventi che
impediscono, limitano o rendono sgradito il protrarsi della partecipazione di un
determinato socio in società.
Questi eventi non colpiscono direttamente l’organizzazione societaria salvo che
l’attività sociale prosegue con gli altri soci. Possono influire qualora la società si
ritrovi in stato di unipersonalità protratta per oltre sei mesi; in questo caso le
cause di scioglimento, collegate all’inerzia dell’unico socio rimasto, comporta lo
scioglimento della società.

139 Valentina Gilardoni


Fonte dello scioglimento del singolo socio può essere la sua volontà (recesso), o
degli altri soci (esclusione facoltativa), per una previsione legale (esclusione di
diritto) o un evento naturale (morte).
Infine si può notare che nella s.n.c. lo scioglimento del singolo rapporto sociale non
tronca immediatamente ogni legame tra socio e società, infatti l’ex socio o i suoi
eredi dovranno attendere un limite (fino a sei mesi) per vedersi liquidato il valore
della quota; continueranno a rispondere illimitatamente alle obbligazioni sorte fino
alla data dello scioglimento del rapporto; potranno essere dichiarati falliti entro
un anno dallo scioglimento del rapporto e il nome del socio receduto o defunto
potrà essere inserito nella ragione sociale, con il suo consenso o con quello degli
eredi.
In tutti questi casi gli amministratori devono provvedere entro 30 giorni ad iscrivere
lo scioglimento presso il registro delle imprese. L’iscrizione limita la responsabilità
del socio alle obbligazioni sociali sorte.

Morte del socio


L’art. 2284 esprime il principio secondo cui la morte di un socio determina l’obbligo
della società di liquidare la quota ai suoi eredi. Tuttavia, tale principio, vale a
condizione che nel termine dei sei mesi previsti per la liquidazione della quota agli
eredi, non vengano adottate decisioni che potrebbero incidere su tale situazione.
Le alternative che i soci superstiti possono attuare sono due ed entrambe
presuppongono una decisione, da assumersi all’unanimità, che modifica l’atto
costitutivo. Esse sono: lo scioglimento anticipato della società e la
continuazione della società con gli eredi.
I soci superstiti possono preferire lo scioglimento anticipato per motivi di ordine
soggettivo, quando ritengono che la figura del socio deceduto fosse essenziale
per la prosecuzione dell’attività; o per motivi di ordine oggettivo, quando i soci
ritengono che sia impossibile liquidare la sua quota senza privare la società del
patrimonio necessario al perseguimento dell’attività. In questo caso la decisione
di porre in liquidazione la società, purché presa entro sei mesi dalla morte del socio,
evita che si perfezioni il diritto degli eredi alla corresponsione della quota di
liquidazione per la quale dovranno attendere, così come gli altri soci, l’esito del
procedimento di liquidazione della società.
La seconda alternativa della continuazione della società con gli eredi richiede il
consenso degli eredi del socio. I soci superstiti dovranno accettare tali eredi come
soggetti che subentrano in società come soci e anche come amministratori.

Recesso
L’art. 2285 prevede il recesso del socio distinguendo tra società a tempo
determinato e a tempo indeterminato. La dichiarazione di recesso è una
manifestazione unilaterale di volontà del socio, recettizia nei confronti della società.

140 Valentina Gilardoni


• Per le società a tempo indeterminato non vi sono limiti in merito ai
presupposti per l’esercizio del diritto di recesso, quindi i soci sono liberi di
recedere (recesso ad nutum) con l’onere di rispettare un termine di preavviso di
tre mesi.
Ai fini del recesso, il codice equipara queste società a quelle contratte per tutta la
vita di uno dei soci e alla società, a tempo determinato, che contempli un termine
che non è determinabile o che comunque è tale da superare le aspettative di vita
medie dell’essere umano. Quando la durata di una società a tempo determinato
venga prorogata senza fissare un termine, si passa automaticamente al regime
che governa le società contratte a tempo indeterminato.
• Per le società a tempo determinato, invece, l’ordinamento subordina la validità
del recesso alla sussistenza di una giusta causa o ad un’apposita previsione
dell’atto costitutivo.
I soci hanno diritto di recedere qualora si verifichino eventi relativi alla loro
persona (ad es. trasferimento) o alla società (ad es. non sono stati raggiunti
determinati obiettivi entro un dato periodo).
Con riferimento alla giusta causa, invece, spesso la pretesa del socio di recedere
non viene assecondata dagli altri che negano la sussistenza di giusta causa. Così si
apre, a seguito di tensione tra i soci, un contenzioso giudiziario volto appunto ad
accertare quali siano i presupposti del recesso con la conseguente reazione dei
soci che consiste nella decisione di escludere il socio che ha dichiarato di voler
recedere.
La giusta causa viene individuata nella reazione ad un comportamento degli altri
soci che sia obiettivamente, ragionevolmente ed irreparabilmente
pregiudizievole del rapporto fiduciario tra soci, vale a dire nella violazione di
obblighi contrattuali o alla violazione di doveri di fedeltà, lealtà, diligenza o
correttezza inerenti alla fiducia del rapporto.
Vi è giusta causa anche quando sussistono situazioni oggettive che aggravano la
responsabilità del socio o le condizioni di rischio economico in presenza del
quale egli aveva aderito al contratto sociale.
La giusta causa si nega alle situazioni soggettive del socio, come malattie gravi,
impedimenti fisici o età avanzata. Naturalmente resta la possibilità che queste
vicende, se conducono all’interdizione o inabilitazione del socio, legittimino gli altri
soci ad escludere il socio.

Esclusione facoltativa
L’esclusione facoltativa è la causa di scioglimento del singolo rapporto sociale
legata ad un’iniziativa della società stessa, attraverso una decisione adottata a
maggioranza dagli altri soci. In questo caso la volontà del socio estromesso è
contraria e mira al mantenimento della posizione nella società. In ragione di tale
conflitto il legislatore ha approntato a tutela del socio escluso una forma specifica

141 Valentina Gilardoni


di opposizione diretta a verificare ex post la sussistenza dei presupposti
sostanziali e procedimentali fissati dagli art. 2286 e 2287.

I presupposti dell’esclusione facoltativa possono essere raggruppati in tre categorie:


1. Il primo gruppo delle inadempienze gravi ricomprende: l’obbligo di effettuare il
conferimento promesso nel contratto; il comportamento del socio contrario
al principio di buona fede, quando si riscontra un uso sistematico dei diritti del
socio con l’unico scopo di arrecare danno alla società. Tuttavia non può essere
escluso il socio che semplicemente si oppone ad una o più decisioni, ma si
rivelerà un comportamento ostruzionistico del socio qualora ostacoli
l’assunzione di qualsiasi decisione che mira alla paralisi dell’attività sociale
con l’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale.
Non rientrano nel procedimento di esclusione gli addebiti correlati alla violazione
degli obblighi gravanti sul socio in quanto amministratore della s.n.c. Infatti le
gravi inadempienze a cui si riferisce l’art. 2286 riguardano comportamenti ed
obblighi gravanti sul socio in quanto tale, perciò le inadempienze gravanti
sull’amministratore non possono giustificare l’esclusione. L’esclusione
determina la perdita della qualità di socio, compreso il diritto di
partecipazione agli utili, quindi si tratta di una sanzione molto penalizzante,
sproporzionata rispetto all’infrazione addebitata al socio/ amministratore.

2. Il secondo gruppo di ipotesi comprende l’interdizione, inabilitazione o


condanna del socio. Di regola, tali eventi comportano il subingresso di un
tutore nell’esercizio dei diritti sociali. Tale tipologia di evento è ritenuta
insufficiente a porre gli altri soci nella condizione di decidere l’estromissione del
socio interessato, e lo stesso vale nel caso in cui venga nominato un
amministratore di sostegno.
Per contro, la condanna penale di un socio rischia di screditare la società,
pregiudicando la sua immagine commerciale. Per condanna non si considerano
sufficienti a considerare l’esclusione del socio le misure cautelari penali che
colpiscono il suo patrimonio, anche quando prevedono la nomina di un custode
o un amministratore giudiziario della quota.
3. Il terzo gruppo, invece, riguarda particolari tipologie di conferimento, sia di
beni in godimento che d’opera i quali richiedono che per un determinato arco
di tempo permangono determinate condizioni tali da assicurare alla società
l’acquisizione dell’utilità promessa dal socio (ad es. se il socio si è impegnato a
prestare una determinata opera per dieci anni, e dopo otto anni diviene
fisicamente inabile a svolgere l’opera promessa, egli viene a trovarsi in una
situazione di parziale inadempimento rispetto alla società).
4. L’atto costitutivo della società può anche indicare ulteriori ipotesi di
esclusione che si affiancano a quelle dell’art. 2286 mentre è preclusa la clausola
che consente di escludere il socio senza alcuna motivazione, a discrezione
assoluta degli altri soci.

142 Valentina Gilardoni


Profili procedimentali. Opposizione all’esclusione.
Sul piano procedimentale l’esclusione va decisa, come abbiamo detto, dai soci a
maggioranza, definita come maggioranza per teste, sono ammessi al voto anche i
soci “non di capitale” cioè quelli che partecipano agli utili e alle perdite senza aver
conferito denaro o altri beni.
Per la complessità della vicenda, la legge prevede che l’efficacia dell’esclusione
decorre dopo trenta giorni dalla comunicazione della stessa al socio escluso, al
quale viene offerta la possibilità di opporsi alla decisione stessa,
sottoponendola allo scrutinio del giudice che verifica i presupposti.
Per il socio escluso vi è l’onere di agire tempestivamente per chiedere che venga
sospesa l’efficacia della decisione in attesa che si concluda il giudizio di merito sulla
validità dell’esclusione.
Se viene accolta tale opposizione del socio, egli ha il diritto di essere reintegrato
nella società e quindi parteciperà ai risultati positivi e negativi prodotti dalla
società.
Qualora, invece, la società si componga solo di due soci, si concede a ciascuno dei
soci la facoltà di richiedere direttamente al tribunale l’esclusione dell’altro. In
questo caso l’esclusione acquista efficacia solo dopo che il tribunale si sia
pronunciato al riguardo, ferma restando la possibilità però di richiedere un
provvedimento di urgenza che assicuri provvisoriamente gli effetti della decisione,
conferendo efficacia anticipata all’esclusione. Qualora il socio che richiede
l’esclusione non ottenga il provvedimento d’urgenza, l’altro conserverà la qualità di
socio, rendendo così estremamente conflittuale l’attività sociale.

Esclusione di diritto
L’esclusione di diritto, invece, sussiste in due ipotesi: quando il socio venga
dichiarato fallito perché titolare di un’impresa individuale o perché illimitatamente
responsabile di un’altra società; e quando il creditore particolare del socio abbia
ottenuto la liquidazione della quota del socio stesso. L’esclusione di diritto è
dettata a tutela di interessi esterni alla società (creditori del socio) e gode di piena
autonomia, la cui disciplina è immodificabile dall’atto costitutivo.

Liquidazione della quota


Regola comune a tutte le ipotesi di scioglimento del singolo rapporto sociale è
quella dell’obbligo della società di liquidare in denaro la quota del socio. Il
legislatore concede alla società un termine di sei mesi per provvedere al
pagamento.
Resta però la possibilità che i soci superstiti preferiscano sciogliere
anticipatamente la società e in questo caso il socio receduto o escluso, o gli eredi
del socio defunto, dovranno attendere per il pagamento i tempi della
liquidazione della società.

143 Valentina Gilardoni


Dopo il decorso di sei mesi il diritto può dirsi perfezionato. Dove la società non
rispetti tale termine semestrale, l’inadempienza esporrà la società ad azioni
esecutive e gli amministratori a responsabilità.
Situazione diversa si ha se la società si compone di due soli soci. In questo caso se
la società permane per oltre sei mesi in stato di unipersonalità, si procede allo
scioglimento. Inoltre non è mai consentito chiedere la liquidazione della quota agli
altri soci illimitatamente responsabili in quanto la loro responsabilità opera solo nei
confronti dei terzi. La domanda andrà indirizzata sempre ed esclusivamente alla
società, anche quando questa sia rimasta unipersonale.
L’art. 2289 identifica il diritto dell’ex socio ad una somma di denaro che
rappresenti il valore della quota, quindi non fa riferimento alla restituzione del
bene conferito in proprietà o in godimento.
Per quanto riguarda i criteri di determinazione del valore della quota, lo stesso art.
stabilisce che debba avvenire sulla base della situazione patrimoniale della
società al momento dello scioglimento e che se vi sono operazioni in corso, il
socio o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti a tali operazioni. La
data di riferimento per il calcolo è quella dello scioglimento, mentre il pagamento
può avvenire entro sei mesi, decorsi i quali scatta l’obbligo di corrispondere gli
interessi legali. Una volta liquidata la quota all’ex socio, il capitale della s.n.c. andrà
corrispondentemente ridotto, mentre per quanto riguarda la quota di partecipazione
agli utili e alle perdite dell’ex socio, si accresce proporzionalmente a quella degli altri
soci.

Decisioni dei soci. Modificazione dell’atto costitutivo.


Unanimità e maggioranza nelle decisioni dei soci.
Uno dei tratti tipi delle s.n.c. è l’assenza di una disciplina generale delle decisioni
dei soci, in quanto in essa si riscontra solo la disciplina di singole decisioni rimesse
ad essi. Tali decisioni prevedono due variabili già accennate: l’unanimità e la
maggioranza.
A. L’unanimità trova applicazione per le modifiche dell’atto costitutivo. Vi
rientrano sia le modifiche soggettive che quelle oggettive, fatte salve le decisioni
di trasformazione in società di capitali, fusione e scissione per le quali
basta la maggioranza.
B. Il principio di maggioranza, viene calcolato in base a tre diversi criteri:
1. Maggioranza in base alla partecipazione agli utili: per le decisioni
sull’opposizione in regimi disgiunti, per trasformazione in società di capitali,
fusione e scissione
2. Maggioranza per teste: per decisioni di esclusione del socio
3. M a g g i o r a n z a i n b a s e a l l a p a r t e c i p a z i o n e a l c a p i t a l e : p e r
l’amministrazione straordinaria, per la ristrutturazione dei debiti, per la

144 Valentina Gilardoni


presentazione di domanda di fallimento

C. Vi sono poi decisioni senza indicazione del numero di consensi richiesti. Si deve
distinguere tra:
A. Decisioni inerenti alle attività gestorie: assimilate al principio della
maggioranza, ovvero opposizione di un amministratore nel modello
disgiuntivo, decisioni di nomina e revoca degli amministratori nominati con
atto separato e l’approvazione del bilancio da cui scatta il diritto agli utili
B. Decisioni inerenti alla struttura organizzativa assimilabili all’unanimità:
rientrano alcune decisioni che, sono assimilabili alle modifiche contrattuali e
come tali sono assoggettate all’unanimità. Esse si riferiscono al consenso
all’esercizio di attività concorrenziali da parte del socio.
Il procedimento decisionale e l’impugnazione delle decisioni
Inoltre, il codice non detta nessuna regola riguardo il procedimento da applicare alle
decisione dei soci di s.n.c. né per quelle degli amministratori. La mancanza di
qualsiasi prescrizione ha alimentato la convinzione che le decisioni fossero del tutto
svincolate da regole formali. Tuttavia la dottrina ha cercato di colmare questa lacuna
per l’esigenza di articolare il procedimento decisionale nel rispetto delle fasi tipiche
del procedimento collegiale (convocazione, riunione, discussione, votazione e
verbalizzazione).

Anche con riferimento alla disciplina applicabile all’impugnativa della decisione


viziata, non si riscontrano norme, ad eccezione di quella sull’esclusione. Questo
infatti è l’unico caso in cui il legislatore applica una forma di impugnativa nella
decisione viziata, individuando il soggetto legittimato (socio escluso), il termine
(trenta giorni dalla comunicazione) ed un rimedio cautelare (potere del tribunale di
sospendere l’esecuzione della decisione in pendenza del giudizio).
Così ci si rifà all’art 2479-ter sulla disciplina delle s.r.l: le decisioni dei soci che
non sono prese in conformità della lege o dell’atto costitutivo possono essere
impugnate dai soci che non vi hanno consentito, da ciascun amministratore e dal
collegio sindacale entro 90 giorni dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci.
Il tribunale può assegnare un termine non superiore a 180 giorni per l’adozione di
una nuova decisione idonea a eliminare le cause di invalidità.

Le modificazioni dell’atto costitutivo: nozione e pubblicità. Modificazioni


soggettive e oggettive.

1. Le modifiche dell’atto costitutivo vanno assunte all’unanimità dei soci (art.


2252). L’ambito di applicazione di questa regola ricomprende sia le modifiche
avente ad oggetto elementi oggettivi che quelle relative ad elementi soggettivi.
Possono rientrare nella categoria delle modifiche degli elementi tipici dell’atto
costitutivo: le persone dei soci, la ragione sociale, gli amministratori o i

145 Valentina Gilardoni


rappresentanti, la sede sociale, regime di amministrazione, rappresentanza,
conferimenti.. ecc. I mutamenti soggettivi: ogni ipotesi di trasferimento delle
quote di partecipazione, sia inter vivos che mortis causa.

2. Nei rapporti tra soci le modifiche sono immediatamente efficaci, ma


divengono opponibili ai terzi solo dopo l’iscrizione nel registro delle imprese,
da effettuarsi a cura degli amministratori nel termine di 30 giorni. Le
modificazioni non iscritte possono essere poste solo fornendo la prova che i
terzi ne fossero a conoscenza.
3. Sul piano della forma e della pubblicità delle decisioni, occorre soffermarsi sul
principio di unanimità, che rappresenta uno dei cardini del diritto delle società di
persona. Esso tutela al massimo grado l’interesse dei singoli soci alla
conservazione nel tempo dell’assetto contrattuale originario, nella misura in cui
consente a ciascuno, a prescindere dalla misura della sua partecipazione, di
paralizzare con il suo dissenso, o mancato consenso, l’assunzione delle
decisioni modificative dell’atto costitutivo. La necessità del consenso di tutti i
soci rappresenta uno dei principali tratti distintivi delle società di persone.
Il modello legale di s.n.c. presenta un significativo margine di adattamento,
essendo espressamente consentito derogare al principio umanistico
confezionando modelli alternativi, che tutelino l’interesse alla pronta adattabilità
dell’atto costitutivo alle mutate esigenze dell’attività sociale. Tipico strumento in
tal senso è l’inserimento della clausola di maggioranza. Decisamente più
diffusa e funzionale è la clausola di libera trasferibilità delle partecipazioni
sociali, che rimuove ogni vincolo alla circolazione sia inter vivos che mortis
causa.
4. Il legislatore ha peraltro egli stesso sottratto al principio umanistico talune
decisioni anche se di carattere strutturale. La regola prevista per le decisioni di
trasformazione (in società di capitali), fusione e scissione, con il dichiarato
intento di favorire il transito verso le società di capitali. La trasformazione in
società di capitali è decisa con il consenso della maggioranza dei soci
determinata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili; al socio che non
ha concorso alla decisione viene riconosciuto il diritto di recesso.

Lo scioglimento della società


Cause di scioglimento della società
Lo scioglimento della s.n.c. si ha in diversi casi: (2272)
1. decorso del termine: è automatica e si ricollega alla durata della società. I soci
possono tuttavia assumere una decisione, volta a prorogare il termine originario
prima che lo stesso spiri (proroga espressa). La s.n.c. potrà anche limitarsi a
proseguire la propria attività come se il termine non fosse mai decorso (proroga
tacita); che si risolve nella implicita soppressione del termine originario di

146 Valentina Gilardoni


durata, con conseguente passaggio a società a tempo indeterminato. Il che,
nella prospettiva pubblicitaria, impone agli amministratori di iscriversi comunque
la relativa modifica nel registro delle imprese.
2. volontà di tutti i soci: volontà di tutti i soci di anticipare lo scioglimento rispetto
al termine fissato nell’atto costitutivo; tale decisione è necessaria per porre in
liquidazione del società a tempo indeterminato o la cui durata
è decorsa tacitamente.
3. conseguimento dell’oggetto sociale o sopravvenuta impossibilità di
conseguirlo: il conseguimento dell’oggetto sociale presuppone un tipo di
attività circoscritta e l’impossibilità di conseguimento che può essere vista sia
come impossibilità oggettiva (talvolta causata dall’illiceità sopravvenuta
dell’attività) che come impossibilità soggettiva, dovuta o al venir meno di una
partecipazione essenziale o all’incrinarsi dei rapporti tra i soci. In questo caso di
parla di insanabile dissidio nelle società di persone, in grado di condurre allo
scioglimento della società, a meno che non si escluda il socio opponente che
abbia un atteggiamento ostruzionistico.

4. viene a mancare la pluralità dei soci, se entro sei mesi non è ricostituita
5. provvedimento dell’autorità governativa nei casi previsti dalla legge, art. 2308
6. dichiarazione di fallimento (dal 2020) art. 2308
7. altre cause previste dal contratto sociale.

Effetti dello scioglimento. Procedimento di liquidazione.


Il verificarsi di una causa di scioglimento determina automaticamente l’ingresso
della s.n.c. in stato di liquidazione: l’attività residua deve essere preordinata a
liquidare il patrimonio sociale, a pagare i creditori della società e a ripartire
l’eventuale residuo attivo tra i soci. Solo dopo il compimento di tali operazioni si
potrà procedere alla cancellazione della s.n.c. dal registro delle imprese ed alla
conseguente estinzione.
Con l’entrata in stato di liquidazione, però, non viene meno l’organizzazione
societaria in quanto questa cessa solo con la successiva cancellazione dal registro
delle imprese. In questo caso potrebbe essere ammessa la revoca della
liquidazione, purché adottata con il consenso di tutti i soci.
Lo stato di liquidazione prevede anche una limitazione dei poteri degli
amministratori, che scatta al momento dello scioglimento della società. Da questo
momento essi conservano il potere di amministrare, ma limitatamente agli affari
urgenti, e fino a che siano presi i provvedimenti necessari per la liquidazione
(art. 2274). Agli amministratori si applica il divieto di nuove operazioni ossia di
evitare che possa perseguirsi l’attività produttiva in fase di liquidazione come se lo

147 Valentina Gilardoni


scioglimento non si fosse verificato. Si ammettono operazioni che mirano
esclusivamente a salvaguardare il valore del patrimonio.
La riduzione dei poteri e la responsabilità spingono gli amministratori ad avviare in
modo tempestivo il procedimento formale di liquidazione, che si articola nella
nomina dei liquidatori, passaggi di consegne tra questi e gli amministratori,
pagamento delle passività, riparto delle attività tra i soci e la cancellazione.
Il processo di liquidazione svolge un ruolo residuale, trova applicazione solo in
assenza di diverse situazioni pattizie al riguardo. Le modalità di liquidazione
possono essere indicate nell’atto costitutivo ma in mancanza, i soci possono
adottare una decisione ad hoc assoggettata al principio unanimistico. Se l’atto
costitutivo non dispone nulla in merito alla liquidazione del patrimonio ed i soci non
trovano un accordo al riguardo, si aprirà allora il processo di liquidazione previsto
dal codice.
A. Nominare, sempre all’unanimità, uno o più liquidatori. Se i soci non si
accordano provvederà il tribunale su istanza di un socio o amministratore (art.
2275)
B. I liquidatori succedono agli amministratori della società nella gestione del
patrimonio e dell’attività sociale. La legge impone agli amministratori l’obbligo
di collaborare con i liquidatori fornendo loro beni e documenti sociali e
presentando il conto della gestione per il periodo successivo all’ultimo bilancio.
Ai liquidatori è fatto obbligo di prendere in consegna i beni e i documenti sociali
e di redigere, insieme agli amministratori, l’inventario dal quale risulta lo stato
attivo e passivo del patrimonio sociale (art. 2277). Essi devono sottoscrivere
congiuntamente l’inventario che determina il subingresso dei liquidatori nella
gestione della società.
C. Gli obblighi e le responsabilità dei liquidatori sono gli stessi degli
amministratori. I liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci
e dal tribunale per giusta causa su richiesta di uno o più soci.
Sul piano dei poteri, ai liquidatori è consentito il compimento degli atti
necessari per la liquidazione. I liquidatori hanno poi la rappresentanza della
società (art. 2278). Allo stesso tempo i liquidatori non possono prescindere da
tali poteri per difendere la società dalle eventuali aggressioni dei creditori sociali.
In capo ai liquidatori sorge inoltre un duplice divieto, ossia quello di
intraprendere nuove operazioni (2279)e il divieto di ripartire tra i soci i beni
sociali, finché non siano stati pagati tutti i creditori della società o non
siano accantonate le somme per pagarli. (2280)
D. Quindi uno dei criteri principali è anteporre il diritto dei creditori sociali ad
essere soddisfatti. I liquidatori per il pagamento debiti sociali, devono attingere
innanzitutto ai fondi della società. Se questi risultano insufficienti, i liquidatori
possono chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti sulle rispettive quote e
allo stesso modo si ripartisce tra i soci il debito del socio insolvente. (2280)

148 Valentina Gilardoni


E. Estinti i debiti sociali, l’attivo residuo è destinato al rimborso dei
conferimenti. Se l’atto costitutivo, tuttavia, prevede che la ripartizione dei beni
sia fatta in natura, si applicano le disposizioni sulla divisione delle cose
comuni. (2281) Infine se dopo il rimborso dei conferimenti risulti un’eccedenza
di attivo, essa andrà ripartita tra i soci in proporzione della parte di ciascuno
negli utili, fissata dall’atto costitutivo. (2282)
F. Una volta realizzata la liquidazione è previsto che i liquidatori predispongano e
sottopongano all’approvazione dei soci il bilancio finale di liquidazione e il
piano di riparto comunicando detti documenti a mezzo di raccomandata.
Meccanismo di silenzio assenso, i due documenti si intendono approvati se non
vengono impugnati dai soci nel termine di due mesi dal ricevimento della
comunicazione. (2311)

Cancellazione, estinzione e fallimento della s.n.c.


Dopo l’approvazione del bilancio finale, i liquidatori devono presentare istanza
per la cancellazione della società dal registro delle imprese (art. 2312). La
cancellazione determina anche l’estinzione della società.
Il codice si occupa dell’ipotesi in cui, successivamente alla cancellazione, emergano
situazioni giuridiche attive e passive riconducibili alla società estinta. Al fine di
consentire la ricostruzione dell’andamento degli affari sociali, la maggioranza dei
soci deve designare un depositario delle scritture contabili e dei documenti sociali
che è tenuto a conservarli per dieci anni dalla cancellazione. Per le
sopravvenienze passive i creditori sociali insoddisfatti possono far valere i loro
crediti nei confronti dei soci che continueranno a rispondere illimitatamente
per le obbligazioni sociali, anche dopo la cancellazione. Potranno essere chiamati
a rispondere anche i liquidatori nel caso in cui i creditori sociali riescano a
provare che il mancato pagamento è dipeso da loro colpa.
Per i residui attivi non distribuiti e le sopravvenienze attive la legge non dice nulla
ma si ritiene che essi ricadano in una situazione di contitolarità tra soci.

La cancellazione ha i suoi effetti anche sul piano delle procedure concorsuali per un
anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, vale a dire che la s.n.c. anche se
estinta, può reputarsi ancora in vita ai fini concorsuali per un periodo limitato di un
anno.

149 Valentina Gilardoni


ESERCIZI
1. Tizio e Caio costituiscono una s.n.c., con l’impegno del primo di conferire 10.000
euro in contanti e del secondo la propria prestazione d’opera a favore della società
per un periodo di due anni dalla costituzione. Quest’ultimo conferimento sarà
imputabile a capitale sociale? in caso di risposta affermativa, per quale valore? sarà
soggetto a qualche formalità? In caso di risposta negativa quale sarà la
partecipazione del socio d’opera?
Nella società in nome collettivo, l’imputazione a capitale del conferimento d’opera
dipende dalla volontà dei soci: a seconda che essi lo vogliano oppure no. Se i soci
decidono di imputare il conferimento d’opera a capitale, l’imputazione avverrà per il
valore che i soci assegnano al conferimento medesimo. Nella società in nome
collettivo (a differenza di della società a responsabilità limitata), peraltro, la
valutazione fatta dai soci non è soggetta a nessuna forma di controllo e, quindi, a
nessuna formalità. Se i soci decidono di non imputare il conferimento d’opera a
capitale, la partecipazione del socio d’opera sarà determinata in funzione dalla
partecipazione ai risultati (positivi) di esercizio.

2. Tizio opera da tempo nel settore della produzione di tomaie per scarpe. Un bel
giorno riceve la proposta di un amico di vecchia data, Caio, di costituire con lui una
società, nella quale Tizio conferirebbe la sua azienda già avviata e Caio 100.000
euro in contanti. Quale sarebbe la disciplina applicabile al conferimento dell’azienda
di Tizio se si costituisse una s.n.c.? Quale sarebbe la disciplina applicabile al
conferimento Caio se si costituisse una s.n.c.?
Nella società in nome collettivo, il conferimento d’azienda (come qualunque altro
conferimento di bene diverso dal denaro) non è assoggettato a nessuna specifica
disciplina: l’azienda dev’essere valutata dai soci, con possibilità di imputare l’intero
valore assegnato a capitale sociale.

3. Tizio, socio della s.n.c. Tizio & Co., intende vendere la sua partecipazione sociale
a Caio. Cosa deve fare per realizzare detta vendita?
Nelle s.n.c. il trasferimento della partecipazione è considerato una modificazione
soggettiva dell’atto costitutivo e, come tale, richiede il consenso unanime dei soci
(art. 2252) e l’iscrizione nel registro delle imprese (art. 2300)

4. La società in nome collettivo di Tizio & Co. è formata da tre soci Tizio, Caio e
Sempronio che assumono tutti e tre la qualifica di amministratore. In che modo
prendono le decisioni amministrative?

150 Valentina Gilardoni


La disciplina in tema di amministrazione delle sic afferma che, se non è definito
diversamente nell’atto costitutivo, si applica il modello legale, secondo cui tutti i
scoi sono amministratori e operano in modo disgiunto. Tuttavia l’atto costitutivo può
disporre che non tutti gli amministratori sino soci e che operino in modo disgiunto o
congiunto.
Nell’amministrazione disgiunta ciascun scoio ha potere di gestione e di
rappresentanza ed è legittimato ad assumere decisioni indipendentemente dagli altri
amministratori, senza doverli coinvolgere o avvisare. Tuttavia un’amministratore
può opporsi alle decisioni programmate di un altro e la decisione verrà rimessa a
maggioranza.
Nell’amministrazione congiunta, gli amministratori operano congiuntamente. Si
distingue in unanime quando le decisioni vengono prese solo se vi è un consenso
unanime e a maggioranza quando occorre la maggioranza.

5. Tizio, Caio e Sempronio sono i soci di Alfa. Essi sono stati chiamati dagli
amministratori ad approvare il progetto di bilancio per l’esercizio 2019. In che modo
assumerebbero la relativa decisione sociale se Alfa fosse una s.n.c.?
Se Alfa è una s.n.c. e non è diversamente stabilito nell’atto costitutivo la decisione
di approvazione del bilancio d’esercizio è assunta in assemblea. Essendo una
decisione inerente alle attività gestorie, viene assimilata alle decisioni assunte per
maggioranza in base alla distribuzione degli utili (a maggioranza per quote di
interessi). L’atto costitutivo potrebbe sostituire il metodo collegiale (quindi:
l’assemblea) con il metodo referendario (sempre a maggioranza per quote di
interessi).

6. I soci di Alfa intendono aumentare il capitale sociale per far fronte a preoccupanti
esigenze di liquidità. In che modo devono assumere la relativa decisione sociale se
Alfa fosse una s.n.c.?
Per aumentare il capitale sociale, occorre modificare l’atto costitutivo. In una s.n.c.,
la decisione è subordinata – salvo che non sia previsto diversamente dall’atto
costitutivo – al consenso unanime dei soci. L’unanimità può essere sostituita dalla
maggioranza (da calcolarsi – si ritiene – per teste). Il modo di formazione del quorum
decisionale potrebbero essere o l’assemblea (di default) o il referendum.

7. Tizio, Caio e Sempronio sono i soci di Alfa s.n.c. Gli amministratori avvisano Tizio
e Caio della necessità di autorizzare – a norma di statuto – la stipulazione di un
contratto importante, omettendo, invece, di avvisare Sempronio per tempo. Tizio e
Caio, avendo insieme il 90% del capitale sociale, autorizzano la stipulazione del

151 Valentina Gilardoni


contratto. Sempronio, con una partecipazione pari al 10% del capitale sociale, potrà
far qualcosa?
Nel caso in cui Sempronio non sia stato per nulla coinvolto nell’assunzione della
decisione descritta, egli potrà certamente impugnare la decisione medesima, ai
sensi dell’art. 2479-ter, comma 3, c.c. Nel caso in cui Sempronio sia stato coinvolto,
ma solo irregolarmente (ad esempio, perché avvisato in modo non tempestivo), egli
potrà sempre impugnare la decisione sociale, ma ai sensi dell’art. 2479-ter, comma
1, c.c.

8. Filano è amministratore di Alfa, una società che gestisce uno stabilimento


balneare. L’amministratore, a seguito di un’inaspettata revoca della concessione del
tratto di spiaggia nel quale è stato da sempre collocato lo stabilimento, accerta la
sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale. Cosa deve fare se Alfa è
una s.n.c.?
Ai sensi dell’art. 2272, l’impossibilità di conseguire oggetto sociale è una delle
cause di scioglimento di una società in nome collettivo. Per tanto, l’assemblea potrà
decidere di modificare l’oggetto sociale tramite una modificazione dell'atto
costitutivo che richiede unanimità di voto (art. 2252) oppure lasciare chela società
entri in stato di liquidazione.
Nella seconda delle ipotesi, l’art. 2275 impone ai soci, se non vi sia già un piano di
liquidazione, di nominare i liquidatori. La nomina avviene con consenso unanime di
tutti i soci e in caso di mancanza di deliberazione, può avvenire su istanza da parte
del tribunale. Una volta nominati i liquidatori, agli amministratori rimarrà il potere di
complire atti urgenti fino alla liquidazione (art. 2274), mentre i liquidatori avranno il
potere di compiere tutti gli atti necessari alla liquidazione (art. 2278), con il divieto di
effettuare nuove operazioni, per i quali incorrerebbero in responsabilità (art. 2279)

9. In seguito all’approvazione del bilancio finale di liquidazione da parte dei tre soci
di Alfa (Tizio, Caio e Sempronio), Mevio, liquidatore della medesima Alfa, procede
alla cancellazione della società dal registro delle imprese. I tre soci hanno percepito,
a titolo di patrimonio netto di liquidazione, rispettivamente: 60.000 euro, Tizio;
30.000 euro, Caio e 10.000 euro. A Sempronio, dopo qualche mese, l’Agenzia delle
Entrate notifica, presso l’indirizzo della ex sede sociale, un avviso di accertamento
per imposte dirette non pagate per complessivi 500.000 euro. Nel caso in cui
l’accertamento fosse confermato, chi pagherebbe il relativo importo se Alfa è una
s.n.c.?
Ai sensi dell’art. 2312, se in seguito alla cancellazione della società risulti che
creditori sociali non siano stati soddisfatti, essi possono far valere i loro crediti nei
confronti dei soci, che nelle s.n.c. sono illimitatamente e solidalmente responsabili
per le obbligazioni sociali. Essendo un accertamento e non un debito preesistente
non pagato, i liquidatori non dovrebbero incorrere in responsabilità per la

152 Valentina Gilardoni


distribuzione ai soci di somme avvenuta prima della soddisfazione integrale dei
creditori sociali.

10. Tizio, che da tempo gestisce un punto di ristoro, ha bisogno di liquidità in


seguito alla recente crisi. Decide, pertanto, di conferire la sua azienda in una
costituenda società, alla quale partecipano, in qualità di soci finanziatori, Caio e
Sempronio. Si sceglie, pertanto, di costituire una s.a.s., nella quale: Tizio assume la
qualifica di accomandatario; e Caio e Sempronio la qualifica di accomandanti. Quali
poteri potrebbero avere questi ultimi all’interno della società? Potrebbero inserire il
loro nome nella ragione sociale?
La nozione di società in accomandita semplice (art. 2313) afferma che nella s.a.s. in
soci accomandatari rispondono illimitatamente e in solido delle obbligazioni sociali,
mentre gli accomandanti rispondo limitatamente alla loro quota. Ai sensi poi dell’art
2320 ai scoi accomandanti è disposto un divieto di immistione, che fa si che essi
non possano compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in
nome della società. Tuttavia vi è la possibilità che gli accomandanti possano
concludere contratti riferibili a determinati affarai sotto una procura. I soci
accomandanti che non rispettano tale divieto assumono la responsabilità illimitata e
in solido di tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso. Inoltre il socio
accomandante può esprimere autorizzazioni o pareri agli amministratori, che hanno
però solo ruolo consultivo e svolge un ruolo di autorizzazione. In ogni caso essi
hanno diritto di avere comunicazione annuale del bilancio, del conto dei profitti e
delle perdite e di controllarne l’esattezza.
Il nome del socio accomandante può essere inserito nella ragione sociale, tuttavia,
ai sensi dell’art. 2314, egli diverrebbe illimitatamente e solidalmente responsabile
con i soci accomandatari per le obbligazioni sociali.

153 Valentina Gilardoni


SEZIONE UNDICESIMA - LA COSTITUZIONE DELLE S.P.A. E LE
ALTRE VICENDE DELL’ORGANIZZAZIONE
38.LA SOCIETà PER AZIONI: FATTISPECIE ECONOMICA E RILEVANZA
GIURIDICA
Nozione e disciplina
1. La s.p.a. è uno strumento che consente di conferire risorse finanziarie, al
servizio di un’attività, presso degli investitori di rischio “anonimi”, cioè
soggetti interessati a non essere personalmente coinvolti nella gestione
dell’iniziativa e nelle responsabilità, che quindi viene affidata a fiduciari diversi
dagli investitori che sono incaricati di sfruttare gli investimenti e di
permettere agli investitori di ottenere un lucro. Questi ultimi invece
mantengono una legittimazione a operare un controllo di merito sugli atti posti in
essere dagli amministratori con le risorse da essi investite. Nella s.p.a. è in
particolare titolare dell’iniziativa chi la supporta fornendole capitale e lo è solo
nella misura ed entro i limiti in cui gli si riconosca di aver operato tale apporto.
Per un verso è la contribuzione al rischio che identifica i soci e ne giustifica i
poteri; per un altro è dalla misura dell’apporto di ciascuno, secondo una
logica del tutto spersonalizzata, la distribuzione dei risultati e del potere
all’interno della società. Seguendosi cosi un principio plutocratico, in virtù
del quale tra i soci, il potere è in linea di principio proporzionale alla ricchezza
investita e “capitalizzata”.

2. La responsabilità del socio è limitata alla quota conferita e, dunque, le società


per azioni si dicono caratterizzate dalla autonomia patrimoniale perfetta.

3. Possibilità di cedere a terzi delle quote dell’investimento di cui si è titolare, e


cioè del loro collocamento nel mercato secondario, offerta dal meccanismo di
suddivisione delle quote in “azioni”.La possibilità di rendere più agevole tale
disinvestimento, permette l’accesso all’iniziativa economica anche da parte di
coloro che non dispongono di grandi capitali, né che abbiano inclinazioni
imprenditoriali, come ad esempio i risparmiatori privati.

Proprio perché sia possibile e incentivato il processo di avvicinamento del risparmio


privato all’investimento azionario, il modello della s.p.a. è disciplinato dallo sviluppo
del mercato secondario degli investimenti in capitale di rischio

I tipi di s.p.a.
Si distinguono in particolare: le società di medio-grandi dimensioni da quelle
piccole; le s.p.a. con compagini sociali ampie e aperte alla partecipazione di nuovi

154 Valentina Gilardoni


soci, da quelle invece a “ristrette” a base familiare o destinate allo svolgimento di
iniziative riservate e quindi chiuse all’ingresso di nuovi soci; società che si rivolgono
ai mercati come luogo di reperimento degli investitori, dalle società prive di questa
caratteristica; le società le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati, da
quelle le cui azioni sono negoziate al di fuori di tali mercati; le società con titolarità
diffusa presso i privati da quelle le cui partecipazioni sono in mano pubblica.
L’art. 2325-bis che enuclea la categoria delle “società che fanno ricorso al mercato
del capitale di rischio” come le s.p.a. destinatarie di una particolare disciplina.
Questa classe è individuata da circostanze relative all’esecuzione dell’attività
societaria e quindi dall’eventualità che le azioni siano quotate in mercati
regolamentati o diffuse in maniera rilevante. Ne consegue un impianto articolato in
cui si distingue in particolare un regime comune a tutte le s.p.a. indipendentemente
dal grado di presenza nei mercati; e due statuti speciali, uno dettato con riferimento
alle società che fanno ricorso al capitale di rischio e uno con riguardo a tutte le altre.
Inoltre, all’interno della categoria delle società che fanno ricorso al capitale di
rischio deve riconoscersi una disciplina speciale destinata alle società con azioni
quotate nei mercati regolamentati.

La società unipersonale
Tutte le azioni di una data s.p.a. appartengono ad un’unica persona, che detiene
una partecipazione totalitaria della società.
Dal punto di vista dei conferimenti, l’azionista è obbligato a prestare da subito
l’intero apporto cui si sia impegnato con la sottoscrizione del capitale sociale. In
particolare va versato presso una banca già alla sottoscrizione dell’atto costitutivo
tutto l’ammontare dei conferimenti in denaro; mentre rimane l’obbligo di immediata
integrale liberazione delle azioni da emettere a fronte di apporti in natura.
Gli amministratori devono rendere pubblica tale circostanza, con il deposito presso
il registro delle imprese di un’apposita dichiarazione, che contiene l’indicazione
delle generalità dell’azionista stesso.
Quando i conferimenti non siano stati effettuati o fino a quando non sia stata attuata
la pubblicità, in caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel
periodo in cui le azioni sono appartenute ad un’unica persona, sarà essa a
risponderne illimitatamente.
Sempre a salvaguardia del patrimonio come garanzia dei terzi, è stabilita la regola di
cui all’art. 2362, co. 2, che riguarda il caso in cui lo svolgimento dell’attività
determini l’instaurarsi di rapporti contrattuali tra la s.p.a. e il suo unico socio. Per
evitare manovre fraudolente di quest’ultimo ai danni dei creditori, con l’aggiramento
della garanzia rappresentata dal patrimonio della società, si prevede che i contratti
della società con l’unico socio o le operazioni a suo favore siano opponibili ai
creditori della società solo se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni
del consiglio di amministrazione o da atto scritto avente data certa anteriore al
pignoramento.
La fattispecie legale di s.p.a. è rappresentata da un insieme di regole organizzative
relativa al come deve svolgersi un’attività lucrativa, i cui risultati siano destinati a

155 Valentina Gilardoni


investitori anonimi. La legge disciplina il momento della costituzione della società.
Al riguardo non è sufficiente la stipula di un contratto ma si richiede l’instaurazione e
il completamento di un procedimento che si conclude con l’iscrizione nel registro
delle imprese, momento in cui la società acquista la personalità giuridica e viene
ad esistenza.
L’atto che contiene la volontà dei fondatori a dare vita alla società e che ne
determina gli elementi essenziali, è l’atto costitutivo che viene affiancato dallo
statuto che invece contiene le regole relative allo svolgimento dell’attività.

Una volta costituita la s.p.a. l’assetto organizzativo può essere revisionato ed


integrato che può comportare l’opportunità di una modifica per un migliore
raggiungimento dell’obiettivo. La legge prevede così la possibilità di apportare
modificazioni allo statuto.
Oltre a prevedere i termini e le condizioni generali per la modifica dello statuto, il
legislatore si preoccupa anche di dettare una normativa speciale per i casi in cui
venga modificato il capitale sociale e per particolari ipotesi di alterazione degli
assetti originari dell’organizzazione come la trasformazione, la fusione o la
scissione.

La costituzione delle società per azioni


La costituzione della s.p.a. è segnata da due momenti: la definizione degli elementi
formali e sostanziali della società in un atto costitutivo e la pubblicità
dell’avvenuta costituzione dell’ente.

La legge detta una serie di regole relativa alla forma e al contenuto dell’atto;
prevede la necessità di ulteriori adempimenti materiali che vengono qualificati
come “condizioni per la costituzione” e stabilisce due procedimenti diversi per
integrare gli elementi formali e sostanziali.

Per quanto riguarda la pubblicità, invece, oltre all’iscrizione della s.p.a. nel registro
delle imprese, vengono dettate anche ulteriori norme che riguardano i problemi che
derivano dalla particolare efficacia della pubblicità sui fatti che intervengono nel
periodo che intercorre tra la stipulazione dell’atto costitutivo e l’iscrizione.

L’atto costitutivo e lo statuto: i contenuti


Ai sensi dell’art. 2328, co.1, la s.p.a. può essere costituita per contratto o per atto
unilaterale. In entrambi i casi si deve però redigere un formale atto costitutivo, i cui
contenuti sono specificati nel co. 2 dello stesso articolo.

1. Caratteristiche identificative dell’attività economica che la società si


propone di svolgere. Possono ricondursi a questo insieme i punti 2,3,4 e 13
dello stesso articolo, che impongono di dover specificare denominazione, sede,

156 Valentina Gilardoni


oggetto, capitale e durata. L’essenzialità di questi elementi è dimostrata dalla
loro irrinunciabilità a pena di nullità della società.
Ai fini dell’indicazione della sede, se la denominazione sociale (indicazione
utilizzata nei rapporti esterni ai fini della formale imputazione) può essere
liberamente formata, purché compaia la qualificazione di società per azioni, il
codice reputa oggi sufficiente la precisazione del comune della stessa.
Il requisito dell’oggetto è soddisfatto con la precisazione del genere di attività
da svolgere.La durata può essere indeterminata.

2. Un secondo gruppo riguarda gli elementi previsti dai punti 5,6,7,8 e 12 che
impongono l’inserimento nell’atto costitutivo:
• del numero e delle caratteristiche delle azioni e della loro emissione
• del valore attribuito a crediti e conferimenti in natura
• norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti
• i benefici eventualmente accordati ai promotori o ai soci fondatori
• l’importo globale, anche approssimato, delle spese per la costituzione della
società.
3. Previsioni che incidono sulla struttura di governo della società: determinare a
quali soggetti e con quale ordine dei rapporti spetterà di stabilire come le
risorse investite o reperite verranno gestite per realizzare l’attività comune. Di
questo insieme fanno parte le indicazioni ai numeri 9 e 10 che riguardano il
sistema di amministrazione adottato e la quantità di poteri degli
amministratori e il numero dei componenti dell’organo di controllo. Possono
integrarsi a tale categoria anche gli elementi indicate nei numeri 1 e 11 che
riguardano l’individuazione nominativa dei soci fondatori e dei primi soggetti
incaricati della gestione della società e del relativo controllo.

L’art. 2328, co. 3, tratta dello statuto, che contiene le norme per il funzionamento
della società. Questo documento ha per oggetto le regole rivolte a stabilire come la
s.p.a. sia destinata ad operare: le formalità sul modo di emissione e circolazione
delle azioni e le procedure sul funzionamento degli organi sociali.
Lo statuto costituisce parte integrante dell’atto costitutivo, anche se è oggetto
di atto separato, ed insieme concorrono a comporre le regole dell’organizzazione.
Infine si stabilisce che in caso di contrasto tra le clausole dell’atto costitutivo e
quelle dello statuto, prevalgono le seconde.

La forma dell’atto costitutivo. Il controllo notarile.


L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico (art. 2328, co.2).

157 Valentina Gilardoni


La forma dell’atto pubblico è un requisito di regolarità ed è rivolta a soddisfare una
duplice esigenza:
• certificare la dichiarazione con cui viene fondata la s.p.a. e destinati i conferimenti
a capitale
• operare una verifica circa l’effettiva conformità a legge di tale dichiarazione.

La redazione per atto pubblico implica che al notaio sia affidata una funzione di
controllo. I contenuti del controllo notarile sono contenuti nell’art. 28 l.not. ai sensi
del quale è vietato al notaio ricevere atti “espressamente proibiti dalla legge o
contrari al buon costume e all’ordine pubblico”. La forma notarile deve essere
osservata anche per lo statuto dal momento che esso è parte integrante dell’atto
costitutivo.

Le condizioni per la costituzione


L’art. 2329 stabilisce che, affinché si possa procedere alla costituzione della s.p.a.,
debbano essere rispettate tre condizioni:
1. che il capitale sociale sia sottoscritto per intero
2. che siano rispettate le previsioni relative ai conferimenti
3. che sussistano le autorizzazioni e le altre condizioni richieste dalla legge per la
costituzione della società, in relazione al suo oggetto.

La prima condizione riguardante l’integrale sottoscrizione del capitale sociale,


corrisponde al principio di effettività in senso lato del capitale stesso. Tale
principio implica che l’intero conferimento di mezzi di rischio che risulta destinato al
servizio degli scopi sociali sia oggetto di un impegno individuale da parte dei soci, e
cioè che il capitale sia un’entità reale ed attuale.

La seconda condizione, riguarda il rispetto delle norme sui conferimenti ed è ispirata


alle regole di effettività in senso stretto e di integrità del capitale sociale che
impongono che la società abbia immediata e sicura disponibilità delle risorse (25
% dei conferimenti in denaro e 100%dei conferimenti in beni) ad essa destinate e
che il loro valore corrisponda interamente alla cifra del capitale sottoscritto.
Questo si realizza in base ad un’esigenza di solidità della dotazione, rilevante per il
raggiungimento di un corretto equilibrio economico - finanziario nei rapporti con i
creditori e il mercato.
I conferimenti possono essere di denaro, di beni e di crediti (non di servizi d’opera).
Nel caso in cui siano di beni o di crediti, il loro valore deve essere valutato da un
perito e poi La stima deve essere oggetto di verifica da parte degli amministratori.

La terza condizione riguarda tutte quelle ipotesi in cui la rilevanza dell’attività


induce il legislatore a subordinarne lo svolgimento al rilascio di autorizzazioni
(ad es. per l’attività bancaria la costituzione della società è subordinata

158 Valentina Gilardoni


all’autorizzazione della Banca d’Italia).
Tale formalità, però, riguarda solo quelle autorizzazioni che devono pervenire prima
della stipula dell’atto costitutivo (o prima dell’iscrizione nel registro delle imprese)
affinché si possa esercitare l’attività in cui consiste l’oggetto sociale.

Le modalità di costituzione istantanea e per pubblica sottoscrizione


Al fine di integrare la fattispecie costitutiva, il codice civile prevede due diversi
procedimenti: quello della costituzione istantanea e quello della costituzione per
pubblica sottoscrizione.

La costituzione istantanea è la più immediata e diffusa. Essa prevede che i


contenuti dell’organizzazione vengano decisi istantaneamente dai sottoscrittori
del capitale al momento della stipula dell’atto costitutivo presso il notaio. Quindi
vi è una contestualità tra la determinazione del programma di attività, la sua
adozione con la destinazione dei conferimenti, la formulazione delle clausole e la
formale volontaria costituzione.
La fattispecie della costituzione per pubblica sottoscrizione è più articolata.
Infatti da un lato prevede che le fasi precedenti avvengano in momenti diversi;
dall’altro invece prevede che le sottoscrizioni siano sollecitate presso il
“pubblico” e quindi tra investitori sconosciuti. Questo si ha con la presentazione
di un progetto di s.p.a. da parte dei “promotori” che invitano gli interessati ad
aderire e a sottoscrivere quote di capitale, in modo che quando sia stata raggiunta
la cifra da raccogliere, si perviene alla stipulazione dell’atto costitutivo fra gli
aderenti. Tale procedimento però ha avuto scarso successo nella prassi, la quale ha
preferito il sistema della costituzione istantanea tra un numero ristretto di fondatori e
con una prima contribuzione di risorse, per farla poi seguire da una fase di raccolta
ulteriore da attuare presso un maggior numero di risparmiatori tramite un aumento
di capitale.

L’Iscrizione nel registro delle imprese e le operazioni prima dell’iscrizione


Affinché il procedimento di costituzione della s.p.a. si completi, è necessaria
l’iscrizione della società nel registro delle imprese. In funzione alla procedura di
iscrizione, l’art. 2330 impone innanzitutto al notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo
di depositarlo entro 20 giorni presso l’ufficio del registro delle imprese. Al
deposito vanno allegati i documenti che provano la sussistenza delle condizioni
previste dall’art. 2329. Là dove il notaio o gli amministratori, non provvedono a
depositarlo nel termine stabilito, possono provvedere i singoli soci.

Contestualmente al deposito si dovrà presentare la richiesta di iscrizione, su cui


l’ufficio del registro effettua un controllo di regolarità formale della documentazione;
se l’esito sarà positivo, l’ufficio iscriverà la società nel registro.

159 Valentina Gilardoni


Una volta iscritta, la s.p.a. acquista la personalità giuridica. In questo caso la
pubblicità ha un rilevo costitutivo, cioè determinante per la produzione degli effetti
dell’atto. Ciò implica che l’atto costitutivo e lo statuto divengono efficaci nel
momento in cui vi sia stata l’iscrizione. Si suol dire allora che la società nasce in
tutta la sua pienezza di organizzazione entificata solo con l’iscrizione: a partire da
questo momento le clausole statutarie fungeranno da parametri dai quali dipende la
validità degli atti di utilizzo delle risorse sociali e l’esistenza dell’ente societario
come soggetto in grado di entrare in rapporto con i terzi.
Rimane da capire quali sono gli effetti che la stipula dell’atto costitutivo produce
nel periodo antecedente l’iscrizione.Da tale stipula discende un irrevocabile
vincolo dei sottoscrittori ai conferimenti, che potrà sciogliersi solo se entro 90
giorni dalla redazione dell’atto costitutivo l’iscrizione non abbia avuto luogo.
Bisogna anche chiedersi quale sia il regime applicabile agli atti che in questo
periodo vengono eventualmente posti in essere.

In particolare, l’art. 2331, co. 2, stabilisce che “per le operazioni compiute in nome
della società prima dell’iscrizione sono illimitatamente e solidalmente
responsabili verso i terzi coloro che hanno agito”. Alla responsabilità di questi
soggetti si aggiunge poi quella dell’unico socio fondatore/ soci che hanno
confermato operazione.
Il co. 3, invece, si limita a precisare che la società è responsabile quando, in
s e g u i t o a l l ’ i s c r i z i o n e , a b b i a a p p ro v a t o u n ’ o p e r a z i o n e c o m p i u t a
precedentemente all’iscrizione, essendo in questo caso tenuta a rilevare coloro
che hanno agito.
Dalle norme però non risulta né se vi sia un criterio in base al quale la s.p.a. debba o
no reputarsi obbligata a procedere a ratificare gli atti compiuti antecedentemente
nel suo interesse, una volta che viene iscritta; né quale sia la sorte degli atti
compiuti nell’interesse della s.p.a. che non vengono approvati successivamente.
Solitamente si affrontano tali quesiti chiedendosi se si tratti o meno di una società
in formazione (dotata di soggettività). Se la risposta è affermativa, già prima
dell’iscrizione può identificarsi un interesse sociale all’operazione e si possono
individuare i soggetti a cui si richiede il perseguimento di tale interesse; pertanto
una volta costituita, la società ha il dovere di ratificare gli atti che, posti in essere
da questi soggetti, risultano rispondenti a tale interesse.

I vizi dell’organizzazione azionaria. La nullità della s.p.a.

L’art. 2332 disciplina la nullità della società e ne individua le cause. Si prevede che
la nullità della s.p.a. può essere pronunciata solo nei casi di:

1. mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma dell’atto pubblico

2. illiceità dell’oggetto sociale

160 Valentina Gilardoni


3. mancanza nell’atto costitutivo dei contenuti essenziali: la denominazione della
società, i conferimenti o l’ammontare del capitale sociale o l’oggetto sociale.

In base a tale norma la violazione della maggioranza delle norme previste in tema di
costituzione della s.p.a. è irrilevante sul piano dell’invalidità, al contrario di quanto
accade nei contratti. Quindi è chiaro che solo le ipotesi previste dalla legge possono
dar luogo alla nullità della società.

Tale disciplina riguarda anche tutte le ipotesi in cui potrebbe riconoscersi


l’annullabilità o l’inefficacia dell’atto costitutivo, vale a dire che non si potrà mai
provocare l’annullamento di una s.p.a. invocando il vizio della volontà o
dell’incapacità di uno dei soci.

Un altro punto fondamentale in cui la disciplina dell’invalidità della s.p.a. si distacca


dai contratti è quello delle conseguenze dell’accertamento di un’ipotesi di nullità.
Contratto: il negozio nullo non produce effetti

S.p.a.: irretroattività dei relativi effetti. L’iscrizione nel registro delle imprese ne
comporta la validità dell’azione a prescindere dalla circostanza che l’atto costitutivo
fosse stato stipulato a sua volta in modo conforme alle regole. La dichiarazione di
nullità non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo
l’iscrizione nel registro delle imprese e quindi non può essere pretesa alcuna
restituzione nei confronti dei terzi dopo l’accertamento dei vizi di nullità della s.p.a.
Inoltre, è anche efficace l’impegno assunto dal socio con la sottoscrizione del
capitale sociale anche se relativo a una società nulla; infatti è stabilito che i soci
non sono liberati dall’obbligo di conferimento fino a quando non sono
soddisfatti i creditori sociali.

La s.p.a. rispetto alla quale si sia accertata la presenza di vizi rilevanti non può
continuare ad esercitare la sua attività: il programma societario non può ritenersi
degno di riconoscimento e tutela; ma poiché la società non può “scomparire”, il
legislatore dispone che la nullità abbia come conseguenza la liquidazione.

Si prevede così che la sentenza che dichiara la nullità nomina i liquidatori. Il


legislatore considera ammissibile ed efficace la convalida di una s.p.a. colpita da
un vizio di nullità. Inoltre essa è soggetta ai principi e alle regole generali sulla nullità
per gli aspetti non disciplinati dall’art. 2332. Quindi all’azione di nullità è applicabile
la regola che ne stabilisce l’imprescrittibilità, spetta a chiunque ne abbia interesse.

161 Valentina Gilardoni


Le ipotesi non espressamente regolate sono le nullità parziali: nullità di singole
clausole statutarie, di singole partecipazioni e delle modifiche statutarie.
L’art. 2332 non si occupa espressamente di queste ipotesi, ma comunque è ad
essa che si rimanda in via interpretativa.
L’art. 2332, attraverso il principio di tassatività, impedisce che, anche quando una
clausola è determinante del consenso dei soci fondatori, la sua invalidità possa
provocare quella dell’atto costitutivo e quindi della nullità della società.

Nel caso dell’invalidità della singola partecipazione: l’accertamento dell’invalidità


non può avere effetto retroattivo, in quanto si deve garantire a tutela dei creditori
l’effettivo impegno finanziario assunto dal socio. Perciò la sentenza di annullamento
comporta solo il recesso del socio, a cui spetterebbe il rimborso in denaro di una
quota di liquidazione pari al valore attuale della sua partecipazione.

LA STRUTTURA FINANZIARIA
IL CAPITALE SOCIALE E I CONFERIMENTI
Gli elementi della struttura finanziaria della s.p.a.
Lo svolgimento dell’attività di una s.p.a. presuppone la raccolta nel mercato dei
finanziamenti ad essa destinati. A fronte della partecipazione a favore della società,
gli investitori ricevono strumenti rappresentativi della posizione che essi
rivestono nei confronti della stessa società, che a sua volta dipende dal tipo di
operazione effettuata per l’investimento.

Si distingue, quindi, la raccolta nel mercato di tipo essenziale, cioè necessaria


per la sua esistenza, da una raccolta eventuale.
1. È essenziale quella raccolta effettuata al momento della creazione delle
azioni. In questa circostanza la società riceve il capitale “di rischio” a cui
lega le sorti degli azionisti, indispensabili al funzionamento dell’organizzazione
e titolari di diritti di tipo patrimoniale ed amministrativo. Gli azionisti, in
quanto soci, non solo partecipano alla distribuzione degli utili e dell’avanzo di
liquidazione, ma hanno voce in capitolo anche per quanto riguarda l’esercizio
dell’impresa comune. Le azioni sono, inoltre, destinate a circolare: in questo
modo si realizza la possibilità di disinvestimento che costituisce un’altra
caratteristica della s.p.a. Per rendere più agevole tale circolazione, è stabilita
l’emissione dei titoli azionari i quali, essendo titoli di credito, rendono più sicuro
l’acquisto della partecipazione nel mercato e consentono di realizzare sia gli
interessi dei soci che della società.
2. È eventuale, invece, la raccolta di risorse sul mercato effettuata tramite la
creazione e l’assegnazione di altri strumenti finanziari partecipativi, i quali

162 Valentina Gilardoni


possono essere emessi anche a fronte di una contribuzione non finanziaria (ad
es. una prestazione d’opera) e attribuiscono ai titolari gli stessi diritti
patrimoniali di quelli degli azionisti e diritti di tipo amministrativo anche se
in misura ridotta. Lo stesso vale per l’emissione di obbligazioni, cioè
strumenti con cui la s.p.a. si procura risorse “a debito”, impegnandosi alla
restituzione a una data scadenza delle somme ricevute e a effettuare pagamenti
aggiuntivi a titolo di interessi nei confronti dei finanziatori. I titolari delle
obbligazioni, proprio in ragione del fatto che non contribuiscono a creare il
“capitale di rischio” bensì quello “di debito”, non godono degli stessi diritti
partecipativi dei soci. Tuttavia è stabilita una disciplina volta alla tutela della loro
posizione nei confronti della società e tale disciplina è estesa anche ai titolari
degli strumenti finanziari assimilabili alle obbligazioni.

Il capitale sociale
Con “capitale sociale” si intende l’insieme dei mezzi originariamente prestati dai
soci e stabilmente destinati alla società allo svolgimento dell’attività produttiva
che costituisce l’oggetto sociale. Tale concetto riguarda anzitutto un “fatto”, vale
a dire che il capitale sociale è ciò che è stato effettivamente prestato dai soci e
posto a disposizione dell’attività; in secondo luogo la destinazione dello stesso
corrisponde ad una “regola”, cioè la prestazione del capitale avviene in conformità
di una previsione dei soci i quali stabiliscono che la società deve avere un certo
capitale.

Dal primo punto di vista il codice civile prevede che il capitale sia integralmente
sottoscritto, cioè che i soci abbiano già assunto, con le dichiarazioni di
sottoscrizione, l’impegno ad effettuare i conferimenti in misura pari alla cifra che si
intende raggiungere come capitale.

Dal secondo punto di vista, invece, occorre sottolineare la stabilità. Infatti


all’originaria sottoscrizione corrisponde un vincolo della società al mantenimento
nel corso del tempo di entità di pari ammontare. Così viene adottata una regola
di costante autodestinazione all’attività di mezzi per un importo pari, al netto dei
debiti sociali, alla cifra che risulta dalla somma delle stesse sottoscrizioni. Tale
regola è rigida in quanto è previsto che la previsione dell’adozione di un certo
capitale avvenga con una clausola statutaria. Ne consegue, quindi, la fissità del
capitale sociale, e cioè la tua invariabilità nel tempo. Infatti affinché sia modificata
la cifra del capitale sociale occorre che si proceda ad una formale modifica dello
statuto che dovrà essere decisa dall’assemblea straordinarie.

Da tale regola discende un vincolo di non distribuzione presso gli azionisti di


risorse, che si manifesta nel: divieto di ripartizione di utili in caso di perdita del
capitale sociale, “fino a quando il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura
corrispondente”; nella previsione secondo cui la restituzione dei conferimenti ai soci
e la conseguente riduzione del capitale sociale non è libera, ma è condizionata a un
giudizio di concreta sostenibilità dell’operazione da parte della società. La regola
della stabilità è poi all’origine dell’inserimento di un’apposita voce relativa al capitale

163 Valentina Gilardoni


nel passivo del bilancio, nella classe del “patrimonio netto”.

Nelle s.p.a., la scelta del capitale sociale da sottoscrivere non è completamente


libera: deve costituirsi con un capitale non inferiore a 50.000€ (capitale minimo). Il
notaio, infatti, non può procedere alla stipula dell’atto costitutivo dove verifichi che il
capitale sottoscritto è inferiore alla soglia minima. Lungo il corso dell’esistenza
dell’ente è previsto che il capitale sociale non può mai ridursi al di sotto della misura
minima prevista, pena lo scioglimento.

La formazione del capitale sociale


Le sottoscrizioni del capitale sociale e i conferimenti in denaro
Come già detto, la cifra del capitale sociale coincide con quella risultante dalle
sottoscrizioni dei soci. Infatti non è possibile che la società dichiari un capitale per
una somma superiore o inferiore a quella sottoscritta. In Italia non è neanche
contemplato il meccanismo tipico dei sistemi anglosassoni, ossia il capitale
autorizzato, ai sensi del quale i soci si limitano a stabilire nell’atto costitutivo la
quota massima di capitale da potersi raccogliere nel corso della vita della società,
mentre compete agli amministratori la decisione di emettere e azioni e raccogliere
così il nuovo capitale. Un sistema simile, nel nostro ordinamento, è ammesso solo a
proposito della delega agli amministratori all’aumento del capitale.
Con la dichiarazione di sottoscrizione del capitale, chi la emette si assume
l’impegno ad effettuare una prestazione in favore della s.p.a., il conferimento, il cui
valore è determinato tenendo conto del capitale rappresentato dalle azioni da
emettere a nome del sottoscrittore e corrisponde a una quota del complessivo
capitale della società.

In relazione ai conferimenti, la legge detta una disciplina articolata che va dall’art.


2342 a 2343-quater, la quale forma il sistema del “capitale reale”, volta alla
realizzazione del principio di effettività del capitale sociale, cioè che viene
effettivamente conferito e non rimane solo sulla carta.
A tale proposito si prevede che “se nell’atto costitutivo non è stabilito
diversamente, allora il conferimento deve farsi in denaro”. La legge però
ammette una deviazione subordinandola al consenso dei soci espresso nell’atto
costitutivo o nella delibera di aumento del capitale sociale mediante conferimenti in
natura.

Poi è richiesto che 25% dei conferimenti in denaro deve essere versato dai soci
immediatamente, alla sottoscrizione dell’atto costitutivo, per poi rimanere
depositato presso una banca fino al momento dell’iscrizione della s.p.a. nel
registro delle imprese.
Con questa disposizione, da un lato, si prevede che la società disponga da subito di
una parte dei mezzi destinati, per ricoprire almeno in parte i costi di start-up,
dall’altro si ottiene una sorta di impegno cauzionale dei soci, garantendosi così la
serietà del loro impegno preso con la società. Spetta poi agli amministratori

164 Valentina Gilardoni


richiedere ai soci i versamenti ancora dovuti. Anche durante la fase di pendenza
dell’obbligo al conferimento dei versamenti residui le azioni possono comunque
circolare.
L’alienante non è liberato dall’obbligo suddetto “per il periodo di tre anni
dall’annotazione del trasferimento nel libro dei soci”, decorso tale termine
unicamente l’acquirente rimane vincolato ai versamenti residui. Per il caso di socio
inadempiente in seguito alla richiesta degli amministratori relativa al pagamento dei
conferimenti ancora dovuti, la società ha a disposizione un rimedio speciale in
alternativa a quelli ordinariamente spettanti al creditore per ottenere l’adempimento
coattivo. Possono offrire le azioni non ancora liberate prima ai soci e poi al mercato.
In mancanza di compratori, il socio può essere dichiarato decaduto (estinzione delle
sue azioni e riduzione del capitale).

I conferimenti diversi dal denaro


Per i conferimenti diversi dal denaro il legislatore prevede un’ampia serie di
previsioni, ispirate ai principi di “effettività in senso stretto” e di “integrità” del
capitale. Cioè si vuole assicurare che il capitale sociale sia certo nel “se” e nel
“quanto” imponendosi che la società consegua la sicurezza della disponibilità delle
prestazioni promesse a copertura del capitale sociale e che il valore di tali risorse
sia pari alla quota di capitale sociale individualmente assunta dal conferente.

Al principio di effettività “in senso stretto” fa riferimento la norma dell’art. 2342,


secondo la quale le azioni corrispondenti ai conferimenti di beni in natura e di
crediti “devono essere integralmente liberate all’atto della sottoscrizione”. In
questo modo il legislatore evita che il rinvio nel tempo dell’adempimento della
prestazione comporti il rischio successivo di una mancata acquisizione del
conferimento da parte della s.p.a. Tale esigenza non si riferisce tanto
all’acquisizione immediata di tutte le utilità della cosa conferita, ma all’assunzione
da parte degli amministratori della sicura e irrevocabile disponibilità della fonte
produttiva di tali utilità. Per questo è ammissibile il conferimento di un bene sono
solo in proprietà, ma anche in godimento in quanto l’esecuzione immediata della
prestazione consisterà nel mettere a disposizione della società il bene, anche se poi
le utilità verranno percepite successivamente.
Non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni d’opera o di
servizi, esse sono inidonee a fornire agli amministratori il controllo del fattore di
produzione rappresentato dal singolo conferimento.

Con riferimento invece all’esigenza di integrità del capitale, ad esso è dedicato


l’art. 2343, ai sensi del quale l’emissione e la consegna di azioni a fronte del
conferimento di beni in natura o di crediti avvengono solo a seguito di un
procedimento complesso che prevede: la stima del valore del bene o del credito
apportati, in una relazione giurata di un esperto; il successivo controllo di tale
stima da parte degli amministratori e infine la proporzionale riduzione del capitale
sociale nell’ipotesi in cui da una revisione degli amministratori risulta che il valore

165 Valentina Gilardoni


dei beni o dei crediti conferiti era inferiore di oltre un quinto a quello per cui è
avvenuto il conferimento, a meno che il conferente non decida di integrare con
versamento in denaro la propria prestazione o di recedere del tutto dalla società. In
caso receda dalla società è stabilito che egli ha il diritto alla restituzione del
conferimento solo quando sia possibile in tutto o in parte in natura. La legge
prevede alcuni casi di esenzione dal rispetto del vincolo, ritenendo che la ricorrenza
di particolari circostanze escluda il concreto verificarsi di rischi di errata valutazione
del conferimento. In particolare una perizia del conferimento non è necessaria
quando ci si trovi in una delle seguenti ipotesi:
I. Il conferimento riguardi valori mobiliari o strumenti del mercato monetario,
con valore ad essi attribuito minore o pari al prezzo medio ponderato di tali beni
II. Bene apportato per un valore corrispondente al fair value a cui il bene
medesimo è stato iscritto nel bilancio del conferente, relativo all’esercizio
precedente a quello nel quale è effettuato il conferimento
III. Il bene sia apportato per un valore corrispondente a quello che risulti da una
valutazione operata da un esperto indipendente e dotato di adeguata e
comprovata professionalità.

L’invalidità delle deliberazioni assembleari


Le deliberazioni assembleari possono essere viziate dalla violazione di norme del
procedimento deliberativo, o che riguardano il contenuto della delibera,
determinandone l’invalidità.

Come nella disciplina dei contratti, il codice non regola il fenomeno unitario di
invalidità, ma prevede due figure diverse: l’annullabilità e la nullità. Mentre nella
disciplina dei contratti costituisce un rimedio speciale, nella disciplina societaria
essa costituisce la categoria generale e residuale, cioè quella che si applica per la
gran parte delle fattispecie.
L’annullabilità si determina non solo quando viene violata una norma imperativa,
ma anche quando viene violata una norma dispositiva o una clausola statutaria
La nullità, a sua volta, si determina solo quando ricorre una delle tre cause tipiche
previste dall’art. 2378: l’illiceità o impossibilità dell’oggetto, la mancanza di
convocazione e la mancanza di deliberazione.

L’annullabilità richiede un’impugnazione tempestiva (entro 90 giorni) e anche la


nullità deve essere fatta valere entro un dato termine, sebbene più lungo (3 anni),
mentre vi sono addirittura delibere che, non appena ne viene data esecuzione (nelle
operazioni di fusione, scissione e trasformazione), divengono non impugnabili (e
l’impugnazione eventualmente già promossa diviene improcedibile), allo scopo di
assicurare la stabilità dell’assetto organizzativo. La legittimazione ad impugnare
l’annullabilità spetta, non a tutti i soci, ma solo a chi detiene una determinata
aliquota del capitale.

166 Valentina Gilardoni


L’inesistenza e inefficacia della delibera
L’inesistenza si riferisce al caso in cui la deliberazione sia solo apparente e
manchi di requisiti essenziali e minimi della fattispecie; in questo caso non si
tratta di invalidare e rimuovere gli effetti della decisione ma di accertare l’assenza
di qualsiasi atto qualificabile come deliberazione di una certa assemblea. Il ricorso
alla figura in questione deve essere circoscritta ai casi limite di “inesistenza
materiale”.
L’inefficacia, diversamente, è un vizio derivante dalla carenza di legittimazione
rispetto al potere deliberativo dell’assemblea. Ad esempio mancanza di titolarità dei
diritti di cui si dispone, carenza di giusta causa in caso di revoca di amministratore.
Può essere fatta valere in giudizio senza limiti di tempo e da parte di chiunque vi
abbia interesse.

L’annullabilità
A. L’art. 2377 prevede due tipologie di cause di annullabilità:
3. l’annullabilità delle deliberazioni che non siano prese “in conformità della legge
o dello statuto”. La difformità della delibera dalla legge o dallo statuto può
determinarsi per la violazione di norme sostanziali o procedimentali. Nel caso
di vizi di contenuto, si determina un problema di distinzione dalla figura più
grave della “illiceità dell’oggetto”, che dà invece luogo a nullità. Non sussistono
invece difficoltà di valutazione se la disposizione di ordine sostanziale è di fonte
statutaria o se la norma di legge violata è derogabile, dovendosi in questo caso
escludere la ricorrenza di un’illiceità dell’oggetto. Anche l’annullabilità per i vizi di
procedimento, derivante dalla violazione di norme aventi fonte legale o statutaria
non pone problemi di distinzione con le cause di nullità, che sono circoscritte
alle due ipotesi di omessa convocazione e omessa verbalizzazione: qualunque
altra violazione di norme procedimentali, determina annullabilità e non nullità
della deliberazione.
4. L’art. 2377, co.5, prevede poi delle ipotesi specifiche di annullabilità per le
quali non è sufficiente la mera sussistenza del vizio per determinare
l’annullabilità della deliberazione, occorrendo invece che il vizio superi una
determinata soglia di rilevanza sostanziale:
- la partecipazione all’assemblea di persone non legittimate è causa di
annullamento solo se, a seguito della prova di resistenza la partecipazione sia
risultata determinante per il raggiungimento del quorum costitutivo
- lo stesso vale per l’invalidità dei singoli voti (vizi di volontà: violenza, dolo,
errore) o per il loro errato conteggio da parte del presidente dell’assemblea
- l’incompletezza o l’inesattezza del verbale sono invece cause di annullamento
solo quando impediscono l’accertamento del contenuto, degli effetti o della
validità della delibera.

167 Valentina Gilardoni


B. La legittimazione ad impugnare le deliberazioni annullabili spetta,
innanzitutto, ai soci assenti, dissenzienti o astenuti che avevano diritto di voto
sulle materie oggetto della deliberazione. Il nuovo art. 2352, ult.co., ha stabilito
che i diritti amministrativi, fra cui l’impugnazione, spettano sia al socio, sia al
creditore pignoratizio o all’usufruttuario; mentre nel caso di sequestro delle
azioni, spettano unicamente al custode.
Vi è però un limite alle impugnative dei piccoli soci, in quanto la legittimazione
ad impugnare spetta solo a minoranze qualificate, che detengono determinate
quote di capitale (5% del capitale sociale, ridotto all’uno per mille nelle
società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio). Lo statuto può
tuttavia escludere o ridurre questo requisito. La soglia minima può essere
raggiunta anche sommando una pluralità di domande presentate
separatamente.
I soci che non rappresentano la parte di capitale necessaria per essere
legittimate a impugnare la deliberazione assembleare “hanno diritto al
risarcimento del danno cagionatogli dalla non conformità della deliberazione
alla legge o allo statuto”.

La legittimazione all’azione di annullamento è data pure agli amministratori e al


collegio sindacale.
C. Il termine per l’impugnativa è di novanta giorni e decorre dalla data della
deliberazione, o dall’iscrizione nel registro delle imprese, o dalla data del
deposito nel registro se la delibera è soggetta solo a tale obbligo.
D. Con riferimento al procedimento di impugnazione, l’azione si propone mediante
atto di citazione notificato alla società. La parte ha l’onere di dimostrare la
propria legittimazione attiva (numero minimo azioni o qualifica di organo
amministrativo o di controllo)
E. La proposizione dell’azione non sospende l’esecuzione della delibera da
parte degli amministratori, ma la sospensione cautelare può essere
disposta dal tribunale su richiesta degli attori se l’impugnazione appare
sorretta da valide ragioni e se sussiste il rischio di grave pregiudizio per le
ragioni dell’istante nel periodo che occorre per definire il giudizio di merito con
sentenza: il giudice, in particolare, dovrà valutare comparativamente il
pregiudizio che riceverebbe la società dall’eventuale sospensione cautelare (ad
es. mancato afflusso di risorse in caso di sospensione della delibera di aumento
di capitale), con il pregiudizio che riceverebbe il ricorrente dall’esecuzione della
delibera (ad es. perdita di titolarità delle azioni) e che può essere anche di tipo
indiretto, per il danno che la società stessa può subite dalla deliberazione
impugnata.
F. L’annullamento non può essere pronunziato se la società abbia sanato il vizio
attraverso apposita sostituzione della delibera con un’altra presa in conformità.
G. Se la deliberazione è annullata, l’annullamento ha effetto rispetto a tutti i soci ed
obbliga gli amministratori a prendere i conseguenti provvedimenti. Nel caso in

168 Valentina Gilardoni


cui si imponga la necessità di un provvedimento esecutivo degli amministratori,
essi hanno l’obbligo di provvedere.
H. L’annullamento non pregiudica i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base
ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.

La nullità
A. Le cause di nullità delle deliberazioni assembleari sono previste dall’art. 2379, e
sono tre: una di tipo sostanziale, e cioè la illiceità o impossibilità dell’oggetto;
due di tipo procedimentale, e cioè la mancata convocazione dell’assemblea
e la mancata verbalizzazione della deliberazione.
ii. L’illiceità dell’oggetto pone il problema di distinguere tale figura dalla non
conformità della deliberazione alla legge. La giurisprudenza indica come
criterio generale di distinzione tra delibere nulle e annullabili per vizi sostanziali
quello dell’interesse tutelato dalla norma violata: sono nulle le delibere che
costituiscono violazione di norme inderogabili poste nell’interesse
generale, mentre sono semplicemente annullabili quelle che costituiscono
una violazione di norme, anche inderogabili, ma poste nell’interesse e a
tutela dei soci.

iii. La mancata convocazione dell’assemblea è causa di nullità solo se è


assoluto e sostanziale. Questo vizio si verifica per il semplice fatto che
anche uno solo dei soci, avente diritto al voto, non sia avvertito nelle forme
minime previste. La convocazione non è invece “omessa”, ma solo
irregolare se l’avviso non rispetta i termini di convocazione o se manca di
alcuni contenuti tipici della legge o dello statuto. Occorre che sia ricevuto
prima dello svolgimento dell’assemblea, da ciascuno degli aventi diritto al
voto, un avviso proveniente da almeno un componente dell’organo di
amministrazione o controllo, che contenga almeno la data dell’assemblea, per
far sì che l’azionista non venga colto di sorpresa da una decisione adottata in
sua insaputa.

iv. La mancanza del verbale è causa di nullità solo se consiste nell’assoluta


mancanza di un documento, sottoscritto “dal presidente dell’assemblea, o
del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza e dal
segretario o dal notaio”, e contenente almeno l’indicazione dell’oggetto e
della deliberazione assunta dall’assemblea. La mancata indicazione degli
elementi di cui all’art. 2375, può essere solo causa di annullabilità. Si avrà
semplice annullabilità anche se il verbale è sottoscritto dai soggetti indicati
ma sia privo della sottoscrizione del presidente dell’assemblea o del
segretario. In questi casi si può proporre un’azione volta ad accertare il
contenuto della delibera che sostituisca la verbalizzazione irregolare.

La nullità, invece, è sanata con effetto retroattivo se la verbalizzazione


interviene prima dell’assemblea successiva, salvi i diritti acquisiti dai terzi

169 Valentina Gilardoni


in buona fede.

B. La legittimazione all’impugnazione spetta a chiunque vi abbia interesse


compresi i soci che hanno votato a favore della deliberazione. La nullità può
essere rilevata anche d’ufficio dal giudice.
C. Le deliberazioni nulle possono essere impugnate nel termine di tre anni
dall’iscrizione o dal deposito nel registro delle imprese, se previsti dalla
legge, o in caso contrario, dalla trascrizione nel libro delle adunanze
dell’assemblea.
Un problema di ordine generale è quello relativo alla permanenza o meno del
principio di inefficacia originaria dell’atto nullo, in base al quale la nullità opera ex
tunc (“da allora”) e la sentenza ha natura di mero accertamento. Sugli
amministratori grava l’obbligo di non dare esecuzione alle deliberazioni nulle,
indipendentemente dall’intervento dell’autorità giudiziaria.
La mancata impugnazione nei termini di legge determina, invece, la
sopravvenuta efficacia della delibera.
È poi previsto un termine di 180 giorni per le deliberazioni di aumento di capitale
sociale, di riduzione facoltativa del capitale sociale e di emissione di
obbligazioni. Se al società fa riscorso a capitale a rischio l’impugnazione è del
tutto preclusa e la sentenza non può essere pronunciata voi la delibera abbia
avuto esecuzione anche parziale mediante emissione o annullamento dei relativi
titoli.
Ulteriori preclusioni sono previste per le deliberazioni di approvazioni del
bilancio, trasformazione, fusione e scissione
D. Per quanto riguarda gli effetti della sentenza di nullità, la sentenza di nullità non
pregiudica i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. La nullità inoltre è
sanabile, mediante apposita sostituzione con un’altra delibera assembleare.

Le modificazioni dello statuto


Dopo la costituzione della società, vi è l’opportunità di apportare modifiche
all’assetto originario della s.p.a.
Tale modifica può riguardare sia le clausole dello statuto in senso stretto, cioè
quelle relative al funzionamento dell’apparato organizzativo; sia le regole dell’atto
costitutivo che identificano la società. Il legislatore le qualifica entrambe come
modificazioni dello statuto e prevede una disciplina generale con l’art. 2436. I
Le modifiche statutarie sono affidate alla competenza degli organi sociali, cioè
alla competenza dell’assemblea straordinaria, tranne che per i casi di riduzione di
capitale per perdite dove la competenza è dell’assemblea ordinaria o del
consiglio di sorveglianza.

170 Valentina Gilardoni


Le modifiche dello statuto sono di competenza dell’assemblea straordinaria dei
soci. Esse vengono decise, quindi, da questo organo che delibera con i normali
quorum costitutivi e deliberativi previsti.

Le nuove regole statutarie, una volta deliberate, possono essere adottate solo
osservando importanti vincoli formali. In particolare, l’art. 2436 prevede anzitutto
l’iscrizione presso il registro delle imprese della modifica a cura del notaio,
mediante il deposito dell’atto e allegando le eventuali autorizzazioni richieste.
Questi, prima del deposito, è tenuto a verificare l’adempimento delle condizioni
previste dalla legge, cioè deve operare un controllo sul rispetto delle norme.

Se la verifica del notaio dà esito negativo, questo deve comunicarlo


“tempestivamente” entro trenta giorni agli amministratori che, a loro volta, hanno
trenta giorni per scegliere tra il “convocare l’assemblea per gli opportuni
provvedimenti”, in modo da valutare la possibilità di assumere una nuova
decisione, o “ricorrere al tribunale” affinché esso, al termine di un apposito
procedimento di verifica della sussistenza delle condizioni di legge, “ordini
l’iscrizione nel registro delle imprese con decreto soggetto al reclamo”. Gli
amministratori hanno anche la possibilità di non procedere e in questo caso,
trascorsi trenta giorni dalla comunicazione, la deliberazione è definitivamente
inefficace. Qualora l’organo opti per il ricorso al tribunale, si apre il c.d.
procedimento di omologazione per l’ipotesi in cui la società, nonostante l’esito
negativo, reputa infondati i rilievi del notaio.

Se invece l’esito è positivo, l’ufficio del registro delle imprese procede all’iscrizione e
solo a seguito di questa, la delibera di modificazione dello statuto produce i suoi
effetti.

171 Valentina Gilardoni


SEZIONE DODICESIMA - LA SOCIETÀ A RESPONSABILITÀ
LIMITATA E LA SOCIETÀ IN ACCOMANDITA PER AZIONI
LA S.R.L. CARATTERISTICHE TIPOLOGICHE E STRUTTURA FORMALE
Il tipo S.r.l.
La società a responsabilità limitata risulta uno dei tipi societari più diffusi nella prassi
per la sua adattabilità e dalla sua utilizzabilità sia in contesti molto ristretti, sia in
contesti più ampi. Possono essere sia piccole imprese, che medio-grandi e questo
è reso possibile dalla stessa normativa che non prevede una soglia massima di
capitale sociale.

L’attuale disciplina è volta soprattutto ad enfatizzare la figura dei singoli soci e ad


attribuire ad essi ampi poteri. Infatti i soci delle s.r.l. sono di norma un numero
limitato e soprattutto sono interessati a partecipare attivamente alla vita della
società (soci imprenditori), differenziandosi quindi dalla s.p.a. in cui la compagine
sociale può essere anche molto ampia e la gestione spetta esclusivamente agli
amministratori. Si comprendono così quelle norme che impediscono che le
partecipazioni dei soci siano rappresentate da azioni e possano costituire oggetto
di offerta al pubblico di prodotti finanziari, e contestualmente attribuiscono ai soci
ampi poteri di controllo e di intervento nella gestione societaria.

Le regole introdotte nel 2003 accentuano il ruolo dell’autonomia negoziale e dei


rapporti contrattuali tra i soci. L’ampia autonomia riconosciuta alle parti trova solo
dei limiti in alcune norme imperative poste a tutela dei terzi, in considerazione del
fatto che la s.r.l. è dotata di autonomia patrimoniale perfetta, e in specifiche
disposizioni che possono fissare gli elementi distintivi della s.r.l. rispetto ad altri tipi
societari. Così, pur restando una società di capitali e mantenendo un regime di
autonomia patrimoniale perfetta, può presentare, in diversi casi, diversi elementi che
la distinguono ed avvicinarsi alla società di persone: come ad es. la facoltà di
adottare i sistemi di amministrazione disgiuntivi o congiuntivi, o la possibilità di
introdurre nell’atto costitutivo delle clausole di esclusione per giusta causa, o
conferimenti di prestazioni d’opera o servizi.

Proprio tale vicinanza con la società di persone, talvolta, può rendere difficile
accertare la disciplina applicabile in caso di lacune nella medesima normativa. Se
da un lato la mancanza di un’apposita normativa in relazione ad uno specifico tema
non sempre viene interpretata come una lacuna, in quanto può essere che il
legislatore abbia deciso autonomamente di non disciplinarlo, dall’altro, in presenza
di un’accertata lacuna, non appare corretto rinviare alle norme della s.p.a. essendo
in alcuni casi più opportuno rivolgersi alla disciplina posta in essere per le società di
persone.

172 Valentina Gilardoni


La costituzione
La s.r.l. può essere costituita unicamente mediante costituzione simultanea, a
differenza della s.p.a. per la quale è possibile anche una costituzione attraverso
pubblica sottoscrizione.
Essa prevede che i contenuti dell’organizzazione vengano decisi istantaneamente
dai sottoscrittori del capitale al momento della stipula dell’atto costitutivo
presso il notaio. Quindi vi è una contestualità tra la determinazione del
programma di attività, la sua adozione con la destinazione dei conferimenti, la
formulazione delle clausole e la formale volontaria costituzione

La S.r.l. unipersonale
Essa può essere costituita, ai sensi dell’art. 2463, con un contratto o con atto
unilaterale; infatti è permessa la costituzione di una s.r.l. unipersonale. Data però
la possibilità che l’unicità del socio possa rappresentare un aspetto “negativo”, il
legislatore prevede alcune disposizioni volte appunto a tutelare i creditori.

Si tratta di principi che coincidono con quelli delle s.p.a.


1. Gli amministratori (o il socio stesso) devono depositare per l’iscrizione nel
registro delle imprese entro trenta giorni dall’avvenuta variazione della
compagine sociale, una dichiarazione che contiene tutte le generalità del
socio.
2. L’intero ammontare del capitale sottoscritto deve essere versato, mentre, se
la pluralità dei soci viene meno successivamente, i versamenti ancora dovuti
devono essere effettuati entro novanta giorni da tale evento.
3. Negli atti e nella corrispondenza deve essere indicata l’esistenza dell’unico
socio. I contratti della società o le operazioni a favore dell’unico socio sono
opponibili ai creditori solo se risultano dal loro delle decisioni degli
amministratori.

In caso di violazione di tali obblighi, il socio risponde personalmente ed


illimitatamente delle obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui è stato unico
socio, sempre se la società risulti insolvente. Questa è l’unica deroga prevista
alla regola generale della responsabilità limitata.
La costituzione di una Srl unipersonale può avvenire mediante conferimenti in
denaro o conferimenti in natura. Pertanto, possono essere conferiti tutti gli
elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica. Anche se la norma non
prevede espressamente nessuna specificità, è controversa la questione relativa
alla costituzione di una Srl unipersonale mediante conferimento d’opera. In
questo caso il problema sorge sul fatto se il conferimento si consideri totalmente
liberato al momento della costituzione e quindi ammesso, o se si debba
attendere, per considerarlo liberato, l’opera ultimata. I sostenitori di quest’ultima

173 Valentina Gilardoni


ipotesi considerano il socio illimitatamente responsabile fino al termine
del compimento dell’opera.
L’atto costitutivo e l’iscrizione della società nel registro delle imprese
Per dare vita ad una s.r.l. occorre, innanzitutto, redigere l’atto costitutivo in forma di
atto pubblico. L’atto costitutivo deve necessariamente contenere, secondo l’art.
2463, tali aspetti, oltre ad altre previsioni che le parti possono decidere di inserire:
1. Gli elementi identificativi di ciascun socio fondatore
2. Gli elementi essenziali e identificativi della società cioè la denominazione
(contenente l’indicazione s.r.l.), il comune dove è posta la sede (e le eventuali
sedi secondarie), l’attività che costituisce l’oggetto sociale
3. Gli elementi identificativi delle risorse destinate alla società e delle
corrispondenti partecipazioni assunte dai soci fondatori, e cioè l’ammontare
del capitale sottoscritto e di quello versato, i conferimenti di ciascun socio e il
valore attribuito ai crediti e ai beni conferiti in natura, la quota di
partecipazione di ogni socio
4. Le norme relative al funzionamento della società, le persone a cui è affidata
l’amministrazione, il sindaco o il soggetto incaricato di effettuare la revisione
legale dei conti.

Il legislatore non menziona lo statuto, ma si consideri che formi parte dell’atto


costitutivo (come nelle spa).
Non è dedicata nessuna norma ai patti parasociali posti in essere dai soci: tale
mancanza può dipendere dal fatto che il legislatore confida che i soci preferiscono
introdurre già nell’atto costitutivo ogni previsione circa le loro negoziazioni, dando
così ad esse efficacia reale e rendendole così opponibili ai terzi. Questo però non
toglie che pure nella s.r.l. i soci stipulino un patto parasociale; in questo caso è
difficile capire quale sia la normativa applicabile e quindi se sia possibile ricorrere
alle regole previste per la s.p.a. o la disciplina generale in tema di contratti.

Ai sensi dell’art. 2329 è necessario che il capitale sociale sia sottoscritto per
intero, che siano rispettate le previsioni relative ai conferimenti e sussistano le
autorizzazioni e le altre condizioni richieste dalle leggi speciali per la costituzione
della società in base al suo particolare oggetto.

Il notaio, una volta predisposto l‘atto costitutivo ed effettuato un controllo di legalità,


deve depositarlo entro venti giorni presso l’ufficio del registro delle imprese,
allegando i vari documenti e contestualmente richiedere l’iscrizione della società nel
medesimo registro. L’ufficio del registro, verificata la regolarità formale della
documentazione, iscrive la società e con essa questa acquista personalità
giuridica.

174 Valentina Gilardoni


Le modifiche dell’atto costitutivo
Le modificazioni dell’atto costitutivo sono riservate generalmente alla competenza
dei soci che devono necessariamente esprimersi in assemblea, con voto
favorevole di tanti soci in grado di rappresentare almeno la metà del capitale
sociale.

Alcune modifiche dell’atto costitutivo, in considerazione degli effetti che producono


sull’organizzazione, danno luogo al diritto di recesso per il socio non
consenziente.
Il verbale trascritto nel libro delle decisioni dei soci, deve essere redatto da un
notaio il quale deve, previo controllo di legalità, depositarlo e richiedere
l’iscrizione nel registro delle imprese.

L’ufficio del registro, verificata la regolarità formale della documentazione, iscrive la


delibera nel registro. È solo con l’iscrizione che la delibera modificativa dell’atto
costitutivo acquista efficacia.

Le s.r.l semplificate
Nel 2012 il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento la società a
responsabilità limitata semplificata (art. 2463-bis) che può avere un capitale
minimo addirittura pari a un euro. Oggi invece può essere costituita da chiunque,
purché persona fisica. Per la loro creazione i costi sono stati ridotti, in quanto non
sono dovuti l’imposta di bollo, i diritti di segreteria e gli onorari notarili.
La costituzione della società semplificata avviene mediante contratto o atto
unilaterale redatto dal notaio a titolo gratuito, in conformità ad un modello
standard, non modificabile dalle parti, introducendo quindi un forte limite
all’autonomia patrimoniale.

Per permettere ai terzi di conoscere lo status di questa società, nell’atto costitutivo


occorre indicare che la società è una s.r.l. semplificata e tale indicazione deve anche
apparire negli atti e nella corrispondenza della società e nello spazio elettronico
destinato alla comunicazione, assieme all’ammontare del capitale sottoscritto e
versato, la sede della società e l’ufficio del registro presso cui è iscritta.
Essa, come si è detto, deve avere un capitale sociale sottoscritto e interamente
versato pari a un euro ed inferiore a 10.000€. Il conferimento deve farsi in denaro
ed essere versato all’organo amministrativo.

Sotto il profilo finanziario essa non è una società senza capitale, quindi deve
provvedere, per sopravvivere, all’aumento del capitale o alla trasformazione in
una società di persone.
Proprio la possibilità di costituire una società dotata di un’autonomia patrimoniale
perfetta e con un capitale “irrisorio” ha posto delle critiche. In particolare si segnala

175 Valentina Gilardoni


come questo possa rendere difficoltoso per la società il ricorso al credito e
soprattutto può creare problemi per i creditori sociali.

54. LA S.R.L.: LA STRUTTURA FINANZIARIA


I conferimenti
Con riferimento al capitale sociale e i conferimenti, il legislatore introduce per la s.r.l.
una disciplina apposita volta a garantire che la società operi in una situazione di
equilibrio economico-finanziario.

Il capitale sociale minimo (art. 2463) non può essere inferiore a 10.000€.
Altre differenze possono riscontrarsi per quanto riguarda le entità conferibili: il
legislatore prevede (art. 2464) che possono essere conferiti tutti gli elementi
dell’attivo suscettibili di valutazione economica.
I conferimenti in denaro devono essere versati agli amministratori nominati
nell’atto costitutivo già al momento della sottoscrizione, almeno il 25% del capitale
sociale, o l’intero ammontare in caso di socio unico. Il versamento può essere
sostituito però (differenza vs alla s.p.a.) dalla stipula, per un importo analogo, di una
polizza assicurativa o di una fideiussione bancaria.
Riguardo, invece, al conferimento di beni in natura e di crediti, le partecipazioni
corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento
della sottoscrizione, si richiede una relazione giurata predisposta da un revisore
legale o da una società di revisione legale iscritti nell’apposito registro e scelti dal
socio stesso e non nominati, come nelle s.p.a., al tribunale (art. 2465). Nella
relazione deve essere contenuta una descrizione dei beni o crediti conferiti,
l’indicazione dei criteri di valutazione adottati e l’attestazione che il loro valore è
almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale
sociale e dell’eventuale sovrapprezzo. Inoltre non è richiesto un controllo da parte
degli amministratori delle valutazioni contenute nella relazione e non sono indicate
le conseguenze di un’eventuale differenza tra valore accertato e valore effettivo.

A differenza della s.p.a., ed in analogia alla società di persone, è possibile effettuare


conferimenti sotto forma di prestazioni d’opera o di servizi in grado di accentuare
la caratterizzazione personalistica della società. In questo caso il legislatore, a tutela
dei terzi, prevede che il soggetto conferente debba fornire alla società una
polizza di assicurazione o una fideiussione bancaria con cui vengano garantiti,
per intero valore, gli obblighi assunti.

Qualora il socio risulti inadempiente rispetto all’obbligo di effettuare i conferimenti


promessi si applicherà la disciplina relativa al socio moroso: gli amministratori lo
diffidano ad adempiere entro 30 giorni. Decorso il termine inutilmente, gli
amministratori, qualora non ritengano utile proporre l’azione per l’adempimento,
possono vendere le partecipazioni ad altri soci.

176 Valentina Gilardoni


Nel caso di cessione di partecipazione non ancora interamente liberata l’alienante è
obbligato solidalmente con l’acquirente per i versamenti ancora dovuti, per il
periodo di 3 anni dall’iscrizione nel registro delle imprese.

Le partecipazioni dei soci


In base all’art. 2468, co.1, le partecipazione dei soci nella s.r.l. non possono
essere rappresentate da azioni: da questo deriva che esse non possono essere
suddivise in frazioni omogenee di capitale, né incorporate in titoli. Ciascun socio,
quindi, deve considerarsi titolare di una sola partecipazione, rappresentativa di
un complesso di situazioni giuridiche, qualunque sia l’ammontare, il cui “peso”
all’interno della società si determina o in percentuali (ad es. una partecipazione del
10%), o in termini assoluti (ad es. una partecipazione di mille euro). In caso di
comproprietà della partecipazione, i diritti sociali devono essere esercitati da un
rappresentante comune.

Le partecipazioni dei soci non possono costituire oggetto di offerta al pubblico


di prodotti finanziari, in questo modo impedendo alla s.r.l. di ricorrere al mercato
dei capitali di rischio.

Le partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al


conferimento effettuato, anche se è possibile introdurre una diversa disposizione
nell’atto costitutivo.

La regola della proporzionalità vale anche in relazione ai diritti sociali: si riconosce


che i diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione
posseduta da ciascuno, fermo restando che vi possono essere dei diritti sociali
che competono ai soci indipendentemente dall’entità della partecipazione
detenuta (ad. es. il diritto di impugnativa delle decisioni dei soci spetta a ciascun
socio).

I diritti particolari del socio.


L’atto costitutivo può anche prevedere l’attribuzione ai singoli soci di diritti
particolari. Si pensa ad esempio ad un diritto particolare attribuito ad un socio
finanziatore o ad un socio in grado di apportare alla società competenze e
conoscenze specifiche in un determinato settore.

Il legislatore specifica che i diritti particolari possono riguardare l’amministrazione


della società o la distribuzione degli utili.
In relazione all’amministrazione, possono essere attribuiti particolari privilegi per
quanto riguarda:
I. la facoltà di scelta di alcuni amministratori o di esprimere il proprio
gradimento in base alle persone indicate dagli altri soci

177 Valentina Gilardoni


II. la riserva a favore del socio stesso della funzione di amministratore
III. il diritto di veto o anche di decisione su determinati atti gestori.

Per quanto riguarda i privilegi riguardanti la distribuzione degli utili, è possibile


prevedere clausole che riservano ad uno o più soci percentuali qualificate, non
legate alla misura della partecipazione. Il privilegio sulla distribuzione degli utili
può consistere in una priorità nel prelievo del dividendo.

L’assegnazione di tali diritti al socio e non alla partecipazione comporta che, in caso
di trasferimento di quest’ultima, i diritti particolari non circolano con essa, ma si
estinguono. Nell’ambito dell’art. 2468, co.4, si prevede che tali diritti possano
essere modificati solo con il consenso unanime dei soci. La stessa regola deve
applicarsi anche al caso di introduzione degli stessi nell’atto costitutivo, fatta salva
diversa disposizione in quest’ultimo. In questo modo i soci possono reintrodurre per
le modifiche dirette la regola maggioritaria.

È poi riconosciuto che, in presenza di una modifica indiretta, cioè attuata non
attraverso una formale variazione dell’atto costitutivo, ma mediante il compimento
di un’operazione gestoria approvata dai soci a maggioranza, capace di incidere
indirettamente sul diritto particolare, spetti al socio non consenziente il diritto di
recesso.

Il trasferimento delle partecipazioni


Le partecipazioni nella s.r.l. sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per
successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo.
Quest’ultimo può limitare il trasferimento delle partecipazioni introducendo
clausole di gradimento o di prelazione, o escludendo del tutto la loro
trasferibilità. Questo fa sì che la s.r.l. possa caratterizzarsi come società chiusa
nell’ambito del quale le partecipazioni non risultano liberamente trasferibili.

Per quanto riguarda gli altri tipi di clausola, nella s.r.l. il potere di pronunciarsi sul
gradimento può essere concesso non solo ai singoli soci, ma anche a terzi estranei.

Il legislatore, a tutela dell’interesse del socio a non restare “prigioniero” nella


società, prevede che qualora l’atto costitutivo introduca l’intrasferibilità della
partecipazione o ponga condizioni o limiti che ne impediscono il trasferimento a
causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso.

L’atto costitutivo può solo stabilire un termine non superiore a due anni dalla
costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione prima del quale
il recesso non può essere esercitato.

178 Valentina Gilardoni


La disciplina relativa al trasferimento della partecipazione è contenuta nell’art. 2470.
Innanzitutto occorre stipulare l’atto di trasferimento per iscritto con
sottoscrizione autenticata da parte di un notaio. Esso, per essere efficace nei
confronti della società, deve essere depositato a cura del notaio autenticante
presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la
sede della società. Dal momento del deposito il trasferimento della partecipazione
ha effetto di fronte alla società, quindi essa rende possibile l’acquisto della qualità di
socio ancor prima che si sia completato il processo di iscrizione.

Le operazioni sulle proprie partecipazioni e i vincoli sulle cose.


L’atto di trasferimento deve poi essere iscritto nel registro delle imprese e in
caso di contrasto tra più acquirenti a fronte della doppia alienazione della stessa, è
preferito colui che per primo ha effettuato in buona fede la suddetta iscrizione
nel registro delle imprese, anche se il suo titolo è di data posteriore.
In forza dell’art. 2474, la s.r.l. non può in alcun caso acquistare o accettare in
garanzia partecipazioni proprie, o accordare prestiti o fornire garanzia per il
loro acquisto o la loro sottoscrizione. Per quanto riguarda le conseguenze
derivanti dalla violazione di tali divieti, la dottrina considera nullo l’atto contrario
alla norma 2474.
La partecipazione può formare oggetto di espropriazione (art.2471). Il
pignoramento si esegue mediante la notifica al debitore e alla società e successiva
iscrizione nel registro delle imprese. L’ordinanza del giudice dell’esecuzione che
dispone la vendita della partecipazione deve essere notificata alla società a cura del
creditore.

Nel caso di partecipazione non liberamente trasferibile, si applica una disciplina


volta a tutelare sia l’interesse della società ad evitare l’ingresso nella compagine
sociale di estranei non graditi, sia l’interesse dei creditori a soddisfarsi sulla
partecipazione. Tuttavia, per impedire che la partecipazione possa essere trasferita
a soggetti “non graditi”, si riconosce la possibilità per la società di rendere la
vendite priva di effetto qualora, entro dieci giorni dall’aggiudicazione, presenti un
altro acquirente in grado di offrire lo stesso prezzo.

Infine, la partecipazione può formare oggetto di pegno, usufrutto e sequestro.


In questo caso il legislatore, all’art. 2471-bis, richiama le disposizione previste
nell’art. 2352, in relazione alla s.p.a., volte a determinare i diritti che spettano al
socio e/o al titolare del diritto frazionato.

L’uscita del socio dalla società e recesso


Il recesso è regolato dall’art. 2473. Esso svolge soprattutto la funzione di bilanciare
il potere della maggioranza e gli interessi della minoranza dissenziente, di fronte alle

179 Valentina Gilardoni


scelte più radicale assunte dalla prima. A questo si deve la presenza di cause
inderogabili di recesso. L’atto costitutivo, però può ampliare le ipotesi in cui al
socio è consentito porre fine alla sua permanenza in società; l’introduzione di cause
statutarie di recesso consente di dare rilevo così a circostanze che i soci reputano
fondamentali per il mantenimento del vincolo con la società.

Le cause legali e inderogabili di recesso sono indicate nella prima parte dell’art.
2473. Il recesso è permesso ai soci che non hanno acconsentito a:
1. cambiamento significativo dell’oggetto sociale, tale da determinare
un’alterazione del rischio dell’investimento
2. cambiamento del tipo di società
3. fusione o scissione
4. revoca dello stato di liquidazione
5. trasferimento della sede all’estero
6. eliminazione di una o più cause di recesso statutarie
7. compimento di operazioni gestorie che comportano una sostanziale modifica
dell’oggetto sociale statutario o una rilevante modifica dei diritti particolari dei
soci
8. se la società è costituita a tempo indeterminato, ciascun socio può recedere
in qualsiasi momento con un preavviso di 180 giorni.

È discusso se l’autonomia statutaria possa spingersi fino a prevedere il recesso ad


nutum, cioè sino a consentire a ciascuno in una società a tempo determinato, di
sciogliersi dal vincolo.
Non è escluso però che, rispetto a determinate fattispecie, l’atto costitutivo
attribuisca solo ad alcuni soci la possibilità di recesso, come diritto
particolare.
L’atto costitutivo è libero di definire i termini e le forme entro cui la dichiarazione di
recesso deve essere comunicata alla società. Nel silenzio dell’atto costitutivo, si
rimanda all’art. 2473-bis (dichiarazione mediante raccomandata spedita alla società
entro 15 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera legittimante, o
dalla sua trascrizione nel libro delle decisione dei soci, se non è prevista iscrizione;
entro 30 giorni dalla conoscenza del fatto legittimante diverso da una decisione dei
soci).

Anche le modalità di attuazione del disinvestimento e di rimborso del recedente


sono affidate all’atto costitutivo. Si procede in primis attraverso la cessione della
quota ad altri soggetti. In mancanza di interessati, la quota è liquidata ricorrendo
alle riserve disponibili della società. Solo qualora esse non siano sufficienti, si
riduce il capitale, estinguendo la partecipazione; ma poiché si tratta di una

180 Valentina Gilardoni


riduzione reale i creditori possono opporsi; se per effetto dell’opposizione, la
riduzione e il rimborso vengono impediti, la società viene posta in liquidazione.
In caso di liquidazione, il recente partecipa con gli altri alla liquidazione, e viene
rimborsato solo al termine di questa, non più secondo il valore che la sua quota
aveva nel momento in cui il recesso è divenuto efficace, ma secondo il valore che
essa ha al termine della procedura di liquidazione. Il termine entro cui si deve
procedere al rimborso è 180 giorni dalla comunicazione del recesso.

Il valore della somma che spetta al recedente deve essere determinato


proporzionalmente al patrimonio sociale, applicando criteri di valutazione non
contabili, ma tali da riflettere il valore reale del patrimonio stesso nel momento in cui
il recesso diviene efficace.

L’esclusione
Ai sensi dell’art. 2473-bis “l’atto costitutivo può prevedere specifiche ipotesi di
esclusione per giusta causa del socio”. A differenza delle società di persone
quindi lo strumento espulsivo qui è previsto come eventuale e rimesso
all’autonomia statutaria: in assenza di un’apposita disposizione dell’atto
costitutivo, nessun socio può essere escluso, neanche in presenza di gravi motivi.
Quindi compete all’autonomia negoziale l’individuazione delle cause di esclusione e
in questo non c’è limite se non quello della giusta causa. Infatti l’esclusione è
legittima solo al verificarsi di fatti relativi alla persona di uno dei soci, che rendono
oggettivamente non più opportuna la sua permanenza in società.

La giusta causa può consistere:


A. nella violazione, da parte del socio, degli obblighi nascenti dal rapporto
sociale, diversi da quello di conferimento
B. i comportamenti del socio, reputati incompatibili con l’attività sociale (ad
es. l’esercizio di un’impresa concorrente, stipulazione di contratti con soggetti o
categorie di soggetti sgraditi alla società)
C. nella perdita, da parte del socio, di alcuni requisiti soggettivi (iscrizione a un
albo)
D. nel sopravvenire di altri fatti relativi alla sua persona (fallimento personale,
interdizione, condanne penali ecc).

Il requisito della giusta causa è condizione di legittimità della clausola dell’atto


costitutivo: occorre che l’espulsione del socio persegui un interesse obiettivamente
meritevole dei soci. Inoltre quando la fattispecie prevista non si riferisca ad una
vicenda di cui basti verificare se si è o no verificata, ma richiede una valutazione
discrezionale, la giusta causa opera anche come criterio di valutazione della gravità
e rilevanza del fatto in concreto verificatosi.

181 Valentina Gilardoni


L’art. 2473-bis pone inoltre un secondo requisito di validità, in quanto esige che le
ipotesi di esclusione siano “specifiche”, cioè enunciate nell’atto costitutivo in modo
preciso e non generico: il requisito di specificità tutela l’interesse di ciascun socio.
Proprio la presenza di questo requisito fa sì che l’elencazione statutaria sia da
considerarsi tassativa.

E’ rimessa all’autonomia statutaria anche la determinazione della procedura di


esclusione. L’atto costitutivo potrà prevedere così ipotesi di esclusione automatica
o facoltativa, attribuendo alla collettività dei soci o agli amministratori, il potere di
decidere se escludere o no il socio in relazione a cui si sia realizzato l’evento che
legittima l’estromissione.
In ogni caso, l’escluso ha diritto di opporsi davanti al Tribunale, potendo anche
richiedere la sospensione dell’esecuzione.

In ordine all’attuazione dell’esclusione, cioè alle forma attraverso cui l’escluso


viene privato della titolarità della quota e riceve la liquidazione del suo valore, l’art.
2473-bis rinvia alla disciplina del recesso. Il valore della quota di liquidazione è
determinato secondo il valore reale della partecipazione.

L’amministrazione della società


Le competenze gestorie. Il rapporto di amministrazione
Ai sensi dell’art. 2475, “l’amministrazione della società è affidata a uno o più
soci nominati con decisione dei soci” se l’atto costitutivo non dispone
diversamente.

Gli amministratori hanno una competenza gestoria generale in quanto il loro


compito è quello di elaborare piani strategici imprenditoriali e di darvi attuazione.
Tuttavia la competenza degli amministratori di s.r.l. non è esclusiva, infatti la
collettività dei soci conserva una competenza legale concorrente sull’intera
gestione e che l’atto costitutivo può sottrarre alcune prerogative agli
amministratori per affidarle ai soci. Clausole di questo tipo introducono limiti ai
poteri degli amministratori e li vincolano a dare esecuzione alle decisioni prese dai
soci.
La nomina avviene con decisione presa dai soci stessi, ma anche sotto questo
aspetto l’autonomia negoziale può disporre diversamente. Ad es. si può, infatti,
attribuire ad uno o più soci individualmente il potere di designare gli amministratori,
o il potere di indicare una rosa di nomi tra cui la collettività dovrà poi scegliere, o la
carica di amministratore anche a tempo indeterminato (diritti particolari).
La nomina va iscritta nel registro delle imprese e l’eventuale invalidità dell’atto
non è opponibile ai terzi che non ne fossero a conoscenza. La legge non indica
la durata della carica, quindi è l’atto costitutivo o quello di nomina a determinare

182 Valentina Gilardoni


la durata e può procedersi anche ad una nomina a tempo indeterminato; inoltre
gli amministratori sono rieleggibili.
Non è neanche disciplinata l’ipotesi di revoca, il che non significa che quindi essa
non sia legittima. Gli amministratori che sono tali in forza di un atto di nomina della
collettività dei soci o di uno di essi sono revocabili in qualunque momento dai
soggetti titolari del potere di nomina; in assenza di giusta causa, però, la società
è tenuta al risarcimento del danno. Se però la carica era a tempo indeterminato, il
risarcimento è dovuto solo se non viene dato un congruo preavviso. Ogni socio,
inoltre, può richiedere la revoca in caso di gravi irregolarità compiute
dall’amministratore.
Al contrario, coloro a cui la carica è attribuita come diritto particolare, non sono
revocabili se non in caso di gravi irregolarità, dal momento che il loro diritto è
immodificabile senza il consenso unanime dei soci.

I sistemi di amministrazione. La rappresentanza


Per quanto riguarda le forme di esercizio del potere gestorio, può essere affidato ad
un amministratore unico o ad una pluralità di soggetti, secondo la previsione
statutaria o la decisione dei soci al momento della nomina. In caso di pluralità di
amministratori, il modello legale prevede che l’esercizio delle funzioni avvenga
mediante costituzione di un consiglio di amministrazione, come nelle s.p.a.
Tuttavia l’atto costitutivo può anche optare per sistemi propri alle società di persone
come l’amministrazione disgiuntiva o congiuntiva, o per un sistema misto.
L’unico limite è imposto dall’art. 2475 riguardo la redazione del progetto di bilancio,
di quelli di fusione e scissione, e per l’aumento di capitale delegato che devono
essere decisi in forma collegiale.

Il passaggio dall’uno all’altro sistema è possibile in ogni momento ma richiede


una modifica dell’atto costitutivo.
1. La disciplina dell’amministrazione consiliare va ricostruita applicando la
disciplina della s.p.a.. L’atto costitutivo determina il procedimento deliberativo.
2. L’amministrazione disgiuntiva: ciascun amministratore può compiere in piena
autonomia ogni atto, salvo il reciproco potere di opposizione, che devolve tale
potere alla collettività dei soci.
3. L’amministrazione congiuntiva può essere a maggioranza o all’unanimità. La
prima può servire a snellire le procedure decisionali rispetto al sistema consiliare
ma mantenendo quel controllo reciproco tra i singoli componenti, che invece è
fortemente compromesso nel sistema disgiuntivo.

La rappresentanza legale è attribuita agli amministratori secondo i criteri indicati


nell’atto costitutivo ma anche qui, come nelle s.p.a., tale rappresentanza è
generale e i relativi limiti, anche se risultano dall’atto costitutivo iscritto nel
registro delle imprese, non sono opponibili ai terzi, a meno che non si provi
che essi hanno agito intenzionalmente a danno della società.

183 Valentina Gilardoni


Opponibili sono invece i limiti legali: i contratti conclusi dai rappresentanti in
conflitto di interessi possono essere annullati su domanda della società.
Diverso è il difetto assoluto di titolarità del potere di rappresentanza e in questo
caso è opponibile. La società può opporre a terzi la mancanza assoluta del potere
di rappresentanza in capo ad un amministratore.
Esempio: il contratto non è stato stipulato dall’amministratore che ha il potere di
rappresentanza con un limite quantitativo, e tale limite è stato violato (in questo
caso non opponibilità a terzi). Il contratto è stato stipulato da un altro
amministratore che non ha potere di rappresentanza. Qui non è un problema di
limite statutario ma di mancanza assoluta di potere di rappresentanza e in questo
caso vi l’opponibilità a terzi.
Dal punto di vista del terzo significa che quando deve stipulare un contratto con Srl
e si presenta l’amministratore, il terzo deve fare un controllo per capire se egli ha il
potere di rappresentanza.
Aspetto del conflitto di interessi 2475 ter:”I contratti conclusi dagli amministratori
che hanno la rappresentanza della società in conflitto di interessi, per conto proprio
o di terzi, con la medesima possono essere annullati su domanda della società, se il
conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo.
Le decisioni adottate dal consiglio di amministrazione con il voto determinante di
un amministratore in conflitto di interessi con la società, qualora le cagionino un
danno patrimoniale, possono essere impugnate entro novanta giorni dagli
amministratori.
In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti
compiuti in esecuzione della decisione”.

Due casi:
1. L’amministratore ha il potere di decidere il compimento di un atto che compie
nonostante il conflitto di interesse con la società. Tale contratto può essere
annullato su richiesta della società se il conflitto era conosciuto o conoscibile da
terzi.
2. Decisione del consiglio di amministrazione circa il compimento di un atto e ai fini
del compimento è stato decisivo il voto di un amministratore in conflitto di
interessi. La decisione può essere annullata se essa arrechi un danno
patrimoniale alla società entro 90 giorni.

Esempio caso 1: un amministratore ha potere di rappresentanza e stipula un


contratto di locazione di immobile con un’altra società di cui è socia unica la moglie
di tale amministratore. In virtù d questo contratto l’amministratore della società A
stipula un contratto di locazione con la società B della moglie. In base al contratto
di locazione, la società A è locataria di questo immobile, il problema è che la società
A si obbliga a pagare un canone di locazione che è il doppio del canone di

184 Valentina Gilardoni


locazione del mercato. C’è un conflitto di interesse perché l’amministratore della
società A si impegna la società a pagare un canone di locazione doppio di quello di
mercato e questo è fatto solo perché la moglie è il socio amministratore dell’altra
società così favorita. In un caso del genere è facile provare che la società B
conosceva il conflitto di interesse della società A e quindi la società A può chiedere
l’annullamento del contratto in quanto viziato da conflitto di interesse.

Mala gestio e responsabilità


Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni
derivanti dall’inosservanza dei loro doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto
costitutivo (art. 2476, co.1).

Il principio consacra l’obbligo degli amministratori di gestire diligentemente


l’impresa per l’attuazione dell’oggetto sociale. Nell’ambito della discrezionalità
tecnica che ogni attività imprenditoriale presenta, gli amministratori sono liberi di
determinare i tempi, le strategie e le modalità del suo esercizio, definendo e
realizzando tutte le operazioni in cui essa si articola: richiede che la gestione si
svolga secondo il criterio della diligenza professionale richiesta dalla natura
dell’incarico.
La responsabilità degli amministratori è solidale, in quanto ciascuno risponde
dell’intero danno nei confronti della società, salvo il diritto di regresso nei confronti
degli altri nella misura e secondo il grado della rispettiva colpa. Tuttavia la
responsabilità non si estende a chi sia immune da colpa e, conoscendo il fatto
dannoso, abbia fatto constatare il proprio dissenso.
Quindi per chi intenda sottrarsi all’obbligo risarcitorio, vi è l’onere di segnalare la
propria contrarietà all’operazione di cui sia a conoscenza. Il dissenso non
richiedere il rispetto di precise formalità, ma nei diversi sistemi di governo adottabili
da una s.r.l., variano le modalità della sua comunicazione e le funzioni che esso
deve assolvere: per il consiglio di amministrazione è sufficiente il voto negativo,
mentre, in caso di amministrazione disgiuntiva, è necessaria l’opposizione al
compimento dell’atto, e nell’amministrazione congiuntiva si richiede
all’unanimità l’esercizio del potere di veto.
Tuttavia la legge richiede che l’amministratore sia anche immune da colpa e
gravano su di esso l’obbligo di agire in modo informato e l’obbligo di intervento;
pertanto, risponde dei danni anche chi non ha avuto conoscenza dell’atto
lesivo per aver violato il dovere di vigilanza e chi, conosciutolo, non si sia attivato
per impedirne il compimento o attenuarne gli effetti.

L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun


socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione
della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli
amministratori medesimi.

185 Valentina Gilardoni


In caso di accoglimento della domanda la società, salvo il suo diritto di regresso
nei confronti degli amministratori, rimborsa agli attori le spese di giudizio e
quelle da essi sostenute per l'accertamento dei fatti.
Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'azione di responsabilità contro gli
amministratori può essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della
società, purché vi consenta una maggioranza dei soci rappresentante almeno i
due terzi del capitale sociale e purché non si oppongano tanti soci che
rappresentano almeno il decimo del capitale sociale.
Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli
obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale.
L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta
insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.
Diritto al risarcimento dei danni spettante al singolo socio o al terzo che sono
stati direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori.
Sono altresì solidalmente responsabili con gli amministratori, ai sensi dei
precedenti commi, i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il
compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.

I diritti di controllo del socio


L’esistenza di un organo di vigilanza nelle s.r.l. è meramente casuale e diviene
obbligatoria solo se si verificano le condizioni fissate nell’art. 2477.
Il controllo è affidato a ciascuno dei soci non amministratori, anche quando sia
presente il sindaco, che hanno il “diritto di avere dagli amministratori notizie sullo
svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro
fiducia, i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione”. Si determina così
una sorta di internazionalizzazione del controllo.
I documenti consultabili sono tutti quelli che riguardano le vicende della
gestione, senza eccezione e senza che gli amministratori possano respingere la
richiesta del socio per ragioni di riservatezza e segreto aziendale, essendo l’unico
limite quello dell’esercizio del diritto secondo buona fede e in modo da non
intralciare la conduzione dell’impresa. Si tratta di un diritto non eliminabile né
comprimibile dall’atto costitutivo, perché appartiene a quegli elementi che
caratterizzano la s.r.l. e come tratto che coinvolge i soci alla vita dell’impresa. L’atto
costitutivo resta però libero di accrescere i diritti di controllo, come di
regolarne le modalità di esercizio.

L’organo di controllo e il revisore


Solo al superamento di determinate soglie dimensionali si rende obbligatoria
l’attivazione di una funzione di controllo svolta da un soggetto indipendente e
professionalmente qualificato.

186 Valentina Gilardoni


Le condizioni necessarie alla nomina sono:
A. l’essere la società obbligata a redigere il bilancio consolidato e l’essere al vertice
di un gruppo
B. l’essere controllante di un’altra società obbligata alla revisione legale dei conti
C. il superare, per due esercizi consecutivi, due limiti (relativi all’ammontare
dell’attivo e dei ricavi e al numero dei dipendenti) fissati nell’art. 2435-bis.

Al verificarsi di queste circostanze l’interesse alla corretta gestione dell’impresa non


è più solo una questione interna all’impresa ma deve essere esternalizzata.

Per quanto riguarda il tipo di controllo obbligatorio, l’art. 2477, co.3, richiede la
nomina di un organo di controllo o di un revisore: esso deve riguardare
irrevocabilmente sia il profilo gestorio che quello contabile.

L’organo di cui è richiesta la nomina è monocratico, se l’atto costitutivo non


dispone diversamente e ad esso si applica la disciplina sui sindaci di s.p.a.

Il rinvio alla disciplina della s.p.a. consente di sancire automaticamente anche per la
s.r.l. l’immodificabilità delle funzioni e dei poteri attribuiti al titolare del controllo. Tale
soggetto ha il compito di vigilare “sull’osservanza della legge e dello statuto, sul
rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull’adeguatezza dell’assetto
organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società”. Inoltre ha il
compito di verificare costantemente “la regolare tenuta della contabilità sociale e la
corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili”, nonché di
esprimere in un’apposita relazione il giudizio sul bilancio.

Al di fuori delle ipotesi di nomina obbligatoria, l’atto costitutivo può comunque


prevedere la presenza di un “organo di controllo” monocratico o pluripersonale,
e/o di un revisore, potendone determinare anche le competenze con una certa
libertà (controllo facoltativo).

La legge affida all’atto costitutivo il compito di definirne i poteri, ma la libertà


negoziale deve rispettare il criterio della coerenza rispetto alle funzioni tipiche
dell’ufficio stesso: cioè al sindaco potranno essere attribuiti solo i poteri di controllo
sulla gestione e contabile ma non funzione di revisione dei conti, mentre al revisore
potrà essere affidata quest’ultima funzione ma non altre.

L’autonomia statutaria non può intervenire sulla competenza alla nomina, né sui
requisiti necessari per assumere la carica, e non è lecita neanche la revoca delle
presone già designate, in assenza di giusta causa (in questo caso se l’assemblea
vorrà rimuovere il sindaco o il revisore, potrà farlo cancellando l’ufficio).

187 Valentina Gilardoni


LA S.R.L. LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA
Il modello legale, cioè quello che opera se l’atto costitutivo non dispone
diversamente, si sviluppa con soci chiamati a decidere sulle modifiche dell’atto
costitutivo e a nominare gli amministratori; con un organo amministrativo,
unipersonale o collegiale, cui è affidata la gestione dell’impresa; e un organo per il
controllo contabile e amministrativo.
Nelle s.r.l., i soci sono parte attiva dell’organismo e questo rispecchia l’autonomia
negoziale:
• diversa distribuzione delle competenze e dei poteri: l’atto costitutivo può
arricchire le competenze gestorie della collettività dei soci o anche dei singoli
(potere di nomina dei componenti, potere di veto..)
• Introdurre forme e procedure decisionali più agili: snellire le procedure collegiali
e perfino adottare i regimi di amministrazione, disgiuntiva o congiuntiva, tipici delle
società di persone.

Le competenze dei soci e i procedimenti decisionali


Il ruolo della collettività dei soci è centrale all’interno della struttura organizzativa
della s.r.l. Essi infatti hanno competenze in ogni campo della gestione
imprenditoriale che l’autonomia statutaria può rafforzare ma non ridurre, se non
a favore di prerogative riconosciute a singoli soci. Le competenze della collettività
dei soci si distinguono in:
• Competenze necessarie (art. 2479) affidate inderogabilmente alla decisione
del gruppo dei soci e consistono o nella rilevanza delle materie stesse, in
quanto riguardano l’assetto fondamentale dell’ente (modifiche dell’atto costitutivo,
operazioni gestorie che comporta modifica oggetto statutario o modifica diritti dei
soci), o nella necessità di rispettare il normale equilibrio di poteri e funzioni tra
gli organi (approvazione del bilancio, nomina del revisore o dell’organo di
controllo, revoca)

• Competenze normali, ma derogabili. Si tratta della


- nomina degli amministratori: l’atto costitutivo può attribuire ai singoli soci un
diritto particolare che, investendoli individualmente della carica di amministratore
o del potere di nomina, esclude la competenza del gruppo, in parte o totalmente,
a seconda che l’organo gestorio così formato debba o meno essere integrato da
componenti designati da gruppo stesso.
- distribuzione degli utili: l’atto costitutivo può assegnare a singoli soci un diritto
di percepire gli utili che risultano dal bilancio, o parte di essi. Anche la revoca
degli amministratori spetta alla collettività.
• Competenze legali eventuali. I soci decidono sugli argomenti che uno o più
amministratori o tali soci che rappresentano almeno una terzo del capitale

188 Valentina Gilardoni


sottopongono alla loro approvazione. Si tratta di una competenza gestoria
illimitata (potenzialmente concernente qualsiasi operazione imprenditoriale),
concorrente con quella degli amministratori, ma eventuale in quanto si attiva solo
su richiesta dei soggetti indicati. La decisione della collettività è vincolante per gli
amministratori stessi, salvo che l’operazione deliberata non li esponga a
responsabilità nei confronti ella società o di terzi, in quanto potenzialmente
dannosa
• Competenze esclusive statutarie. L’atto costitutivo può attribuire ai soci ulteriori
e rafforzate competenze in ambito gestorio. L’art. 2483 prevede che ad essi possa
spettare il potere di emissione dei titoli di debito. Nella s.r.l. l’autonomia statutaria
non incontra alcun limite di materia: la clausola può assegnare ai soci il potere
decisionale, vincolate per gli amministratori, su qualsiasi argomento.

Il coinvolgimento dei soci nella gestione nella s.r.l. è istituzionalizzato. Questo


ruolo si rispecchia nella disciplina della responsabilità per gli atti di mala gestio,
per i quali rispondono in solido con gli amministratori, i soci che li hanno decisi e
autorizzati.

I procedimenti decisionali
Il procedimento attraverso cui la collettività dei soci assume le proprie decisioni non
ha necessariamente natura assembleare. L’art. 2479, co.3, consente infatti all’atto
costitutivo di “prevedere che le decisioni dei soci siano adottate mediante
consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto”.

La decisione indica ogni atto del gruppo dei soci, mentre la deliberazione
costituisce solo una specie della categoria delle decisioni, identificando quelle
adottate dall’assemblea; accanto ad esse, quindi, possono affiancarsi le decisioni
non assembleari.

Il metodo assembleare resta il modello principale in quanto è il più adatto,


attraverso il dibattito e il confronto tra i soci, all’assunzione di scelte ponderate ed
equilibrate. Per questo motivo le materie di maggiore importanza devono essere
inderogabilmente trattate in assemblea. (modifiche dell’atto costitutivo,
operazioni gestorie fondamentali)

I procedimenti non assembleari perseguono obiettivi di efficienza da un punto di


vista diverso: consentono di assumere decisioni con maggiore agilità e ne
semplificano l’iter di formazione. La norma li identifica come “consultazione
scritta” e con “consenso espresso per iscritto”; le tecniche consentite sono
molteplici, dalla sottoposizione ai soci di una proposta, inviata loro con qualsiasi
mezzo, sollecitandoli ad una dichiarazione di voto inviata con un mezzo analogo,
fino alla circolazione tra i soci stessi di un documento che contiene la proposta di
decisione, che viene sottoscritto da coloro che vi aderiscono.

Tuttavia anche quando sono previsti dall’atto costitutivo, questi metodi

189 Valentina Gilardoni


soccombono davanti alla richiesta, avanzata da uno o più amministratori o dai
soci che rappresentano almeno un terzo del capitale, di sottoporre l’argomento
alla discussione in assemblea.

Le deliberazioni assembleari
L’art. 2479-bis si dedica all’assemblea sei soci. Il procedimento si articola
secondo il modello comune alle s.p.a. Tuttavia l’applicazione in via analoga di quella
disciplina non può essere automatica in quanto la s.r.l. ha le proprie caratteristiche
sia per il maggiore spazio concesso all’autonomia statutaria, sia per la
centralità che le persone dei soci hanno all’interno della struttura organizzativa.
Quindi ogni fase del procedimento deliberativo richiede una ricostruzione specifica.
1. La convocazione avviene nelle forme indicate nell’atto costitutivo, tali da
assicurare la tempestiva informazione di tutti i soci sugli argomenti da
trattare. Nel silenzio dell’atto costitutivo, si procede mediante la lettera
raccomandata spedita almeno otto giorni prima della riunione. Queste è
svolta presso la sede della società. La norma non indica chi sia legittimato a
procedere alla convocazione. Si ritiene che lo siano gli amministratori ed
eventualmente l’organo di controllo, se nominato. È invece dubbio se spetta
anche ai soci che rappresentano il terzo del capitale, o se invece, quando
intendano sottoporre all’assemblea un argomento, debbano richiederne la
convocazione agli amministratori.
2. Hanno diritto di intervenire tutti i soci. Il principio è inderogabile, pertanto non
è ammessa nelle s.r.l. la creazione di quote senza diritto di voto o con diritto
di voto condizionato o limitato a particolari argomenti.
3. L’assemblea, presieduta dalla persona indicata nell’atto costitutivo o designata
dagli intervenuti, è validamente costituita se sono presenti tanti soci che
rappresentino almeno la metà del capitale (quorum costitutivo). Essa delibera
con voto favorevole della maggioranza del capitale presente o, nelle materie
indicate nei nn. 4 e 5 dell’art. 2479 (modifiche dell’atto costitutivo e operazioni
gestorie fondamentali) con una maggioranza rafforzata, che rappresenti
almeno la metà del capitale sociale (quorum deliberativo). Il voto espresso da
ciascun socio ha un peso proporzionale alla sua partecipazione.

Non è dunque prevista nelle s.r.l., un’articolazione dell’assemblea in ordinaria e


straordinaria, ma, come nella s.p.a., le deliberazioni più importanti richiedono
maggioranze più elevate e sono soggette a regole più rigide. Non è neanche
prevista una divisione in prima e seconda convocazione. Infatti se non si
raggiunge il quorum costitutivo nella prima e unica riunione prevista, è
necessario avviare ex novo l’iter procedimentale con una nuova convocazione.
L’atto costitutivo può però introdurre un’assemblea di seconda convocazione,
riducendo l’aliquota di capitale prevista dalla norma.
4. Anche per le assemblee della s.r.l. deve essere redatto il verbale, da trascrivere
nel libro dei soci. Il contenuto e i tempi della sua redazione sono disciplinati

190 Valentina Gilardoni


dall’art. 2375: esso quindi deve essere formato senza ritardo e deve indicare, in
allegato, l’identità dei partecipanti e il voto espresso da ciascuno di essi.
5. Una volta adottate, le delibere sono immediatamente efficaci, tranne quelle
modificative dell’atto costitutivo che acquistano efficacia con l’iscrizione nel
registro delle imprese.

Decisioni non assembleari.


Non è dedicata nessuna norma alle tecniche non collegiali. Si tratta quindi di
formule generiche che lasciano ampia libertà nella determinazione dell’iter
procedimentale.
La procedura può comunque essere scandita da fasi prestabilite e
regolamentate nelle forme e nei tempi, invio ai soci con un mezzo specifico, della
sollecitazione a pronunciarsi su una determinata proposta, ed un termine entro il
quale i soci devono far prevenire presso la sede della società il proprio voto scritto o
copia di esso.
Sono però anche previste forme destrutturate, come nel caso in cui si preveda
che chiunque possa assumere l’iniziativa di redigere un documento scritto
contenente la decisione, da sottoporre poi all’approvazione scritta e separata da
parte di ciascuno dei soci. L’atto costitutivo è libero di decidere per l’una o l’altra
forma.

Alcuni principi risultano tuttavia inderogabili. Tutti i soci devono essere


informati in tempo utile dell’avvio del procedimento e tutti devono poter
prendervi parte. . Infatti ogni voto resta revocabile fino alla chiusura del
procedimento e fino a questo momento può chiedersi l’interruzione della procedura
e della convocazione dell’assemblea, da parte di ciascun amministratore o del terzo
del capitale.
È anche previsto un quorum distinto rispetto a quello per l’assunzione delle
delibere assembleari: la decisione è presa con il voto favorevole della maggioranza
che rappresenta almeno la metà del capitale, ma lo statuto può disporre
diversamente, sia innalzandolo che riducendolo.

L’invalidità delle decisioni


L’art. 2479-ter disciplina l’invalidità delle decisioni, senza distinzione tra quelle
assembleari e quelle non collegiali. Infatti, mentre la disciplina del contratto si
focalizza esclusivamente sul rispetto delle norme e sulla libera determinazione della
volontà nella conclusione del contratto, l’ordinamento societario, pur presidiando la
conformità dell’azione alla legge e all’atto costitutivo, deve assicurare la stabilità
delle operazioni economiche, nel predisporre i rimedi in presenza di vizi.

Come nella s.p.a. i vizi invalidanti si dividono in due categorie: quella della non
conformità alla legge o all’atto costitutivo e quella che comprende l’assenza

191 Valentina Gilardoni


assoluta di informazione e l’illiceità o l’impossibilità dell’oggetto. Inoltre, l’art.
2479-ter non ricorre alle nozioni di annullabilità e nullità, ma in entrambi i casi la
decisione è impugnabile, e diversi sono i soggetti legittimati e i termini.
1. L’assenza assoluta di informazione consiste nella mancata comunicazione
ad uno o più soci dell’avvio del procedimento decisionale e corrisponde al vizio
di “mancata convocazione”. L’illiceità o impossibilità dell’oggetto
discendono dalla contrarietà a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon
costume, o dall’impossibilità materiale o giuridica del contenuto della decisione.
2. Ogni altro vizio rientra nel difetto di conformità alla legge o all’atto costitutivo
come: ogni irregolarità procedimentale compresa la mancata verbalizzazione
della delibera assembleare; il conflitto di interessi del socio il cui voto sia stato
determinante per l’assunzione di una decisione dannosa per la società e l’abuso
del diritto di voto a danno degli altri soci. Non ogni violazione inficia la decisione
ma solo quella che abbia concretamente e significativamente leso l’interesse
protetto della norma.

Legittimato all’impugnazione è ciascun socio che non ha consentito alla


decisione, ciascun amministratore e l’organo di controllo. Proprio perché la
legittimazione del socio non dipende dalle dimensioni della sua partecipazione, non
è prevista la tutela risarcitoria.

La decisione va impugnata negli stretti termini di novanta giorni (2) e di tre anni (1),
decorrenti dalla trascrizione della decisione nel libro delle decisioni dei soci. E’
impugnabile senza limiti di tempo, invece, la delibera che introduce un oggetto
sociale impossibile o illecito. Il procedimento di impugnazione coincide con quello
delle s.p.a.

ESERCIZI
1. Tizio e Caio costituiscono una società a responsabilità limitata con scrittura
privata non autenticata. Ognuno dei due conferisce 5.000 euro in contanti,
versandone subito il 25% (cioè, 1.250 euro ciascuno). La società viene regolarmente
iscritta nel registro delle imprese. Dopo qualche anno i due soci apprendono che
l’atto costitutivo della società doveva assumere la forma di atto pubblico e che,
quindi, la società che hanno costituito è invalida. Possono far valere il vizio di forma
per non completare gli obblighi di conferimento?
Uno dei requisiti di nullità della società è costituito dalla mancanza della forma di
atto pubblico dell’atto costitutivo (art. 2332)
Tuttavia, l’iscrizione nel registro delle imprese ne comporta la validità dell’azione a
prescindere dalla circostanza che l’atto costitutivo fosse stato stipulato a sua volta
in modo conforme alle regole. La dichiarazione di nullità della società opera ex
nunc, non ha quindi effetto di irretroattività. Ciò significa che tutti gli atti compiuti
precedentemente alla dichiarazione di nullità hanno efficacia.

192 Valentina Gilardoni


Conseguentemente i soci non saranno liberati fin quando non saranno soddisfatti i
creditori sociali, non può essere pretesa alcuna restituzione nei confronti dei terzi e
rimane efficace l’impegno dei soci di sottoscrivere il capitale sociale.
Dopo di che, la società verrà liquidata, a meno che non venga convalidata.

2. Tizio e Caio costituiscono una s.r.l., con l’impegno del primo di conferire 10.000
euro in contanti, del secondo la propria prestazione d’opera a favore della società
per un periodo di due anni dalla costituzione. Quest’ultimo conferimento sarà
imputabile a capitale sociale? in caso di risposta affermativa, per quale valore? sarà
soggetto a qualche formalità? In caso di risposta negativa quale sarà la
partecipazione del socio d’opera?
Il conferimento di prestazione d’opera è ammesso per le srl e viene imputato a
capitale sociale, a seconda della volontà dei soci. Il valora del servizio verrà
determinato dai soci. Inoltre, il socio dovrà prestare una polizza assicurativa o una
fideiussione come garanzia che copra l’intero valore del servizio. Se i soci decidono
di non imputare il conferimento d’opera a capitale, la partecipazione del socio
d’opera sarà determinata attraverso un’assegnazione non proporzionale della
partecipazione sociale (dei soci che conferiscono a capitale: nell’esempio, il
conferimento in denaro).

3. Tizio opera da tempo nel settore della produzione di tomaie per scarpe. Un bel
giorno riceve la proposta di un amico di vecchia data, Caio, di costituire con lui una
società, nella quale Tizio conferirebbe la sua azienda già avviata e Caio 100.000
euro in contanti. Quale sarebbe la disciplina applicabile al conferimento dell’azienda
di Tizio e al conferimento Caio se si costituisse una s.r.l.?
Al conferimento di Caio si applica l’articolo 2464, secondo cui il denaro deve essere
sottoscritto per intero nel momento della sottoscrizione e deve essere versato
almeno il 25%. Tale prestazione può essere sostituita da una stipulazione di una
polizza assicurativa o di una fideiussione che garantisca l’importo.
Il conferimento d’azienda (come qualunque altro conferimento di bene diverso dal
denaro) è assoggettato alla disciplina di cui all’art. 2465 c.c.: l’imputazione a
capitale della valutazione dei soci dev’essere sottoposta ad un controllo di un
revisore: essa non può eccedere l’importo risultante dalla relazione di stima del
revisore, con la quale attesti, sotto la propria responsabilità civile e penale, che
l’azienda non può essere valutata al di sopra di un certo ammontare. Ai sensi
dell’art. 2464, inoltre, le partecipazioni riferite a beni conferiti in natura devono
essere liberate per intero al momento ella sottoscrizione.

4. Tizio, socio della s.n.c. Tizio & Co., intende vendere la sua partecipazione sociale
a Caio. Cosa deve fare per realizzare detta vendita se fosse socio di una s.r.l.?
Nel caso di srl la trasferibilità di partecipazioni è liberamente permessa per atto tra
vivi o successione a causa di morte, salvo limiti nell’atto costitutivo, come afferma

193 Valentina Gilardoni


l’art. 2469 c.c.. Tali limiti possono escludere la possibilità di trasferibilità o riguardare
clausole di gradimento o prelazione. Se la società è una società a tempo
indeterminato, tuttavia, sarà possibile recedere al socio con preavviso. Nel caso in
cui non siano presenti tali limiti, l’art. 2470 afferma che per realizzare tale vendita è
necessario che il notaio rediga un atto di trasferimento sottoscritto che dovrà essere
deposita entro 30 giorni al registro delle imprese. Se Tizio fosse un socio
unipersonale, l’art. 2470 impone l’obbligo di depositare per l’iscrizione nel registro
delle imprese una dichiarazione contente le generalità del nuovo socio (nome,
cognome, data e luogo di nascita..)

5. La srl Alfa ha nello statuto una clausola che dispone quanto segue: «la
conclusione dei contratti per importi superiori al milione di euro deve avvenire
congiuntamente da parte di tutti gli amministratori». Uno degli amministratori, Tizio,
stipula da solo un contratto del valore di due milioni di euro. Quali sono le
conseguenze di quest’ultimo contratto? E quali sono le conseguenze per Tizio?
I limiti ai poteri di rappresentanza, anche se iscritti nell’atto costitutivo, depositato
presso il registro delle imprese, non sono opponibili a terzi, salvo che si provi che i
terzi hanno agito a danno dell’impresa, ai sensi dell’art. 2475bis. Il contratto sarà
quindi valido. La violazione della clausola espone Tizio a responsabilità verso la
società per i danni derivanti da tale violazione (art. 2476).

6. Tizio, Caio e Sempronio sono amministratori di Alfa s.r.l. I tre amministratori


ritengono che Alfa debba ampliare il parco macchine, acquistando una nuova auto.
Tizio propone di far acquistare l’auto di un suo parente. I tre amministratori possono
assumere questa decisione? in caso di risposta negativa, quali sarebbero le
conseguenze? Se Tizio fosse unico amministratore potrebbe acquistare l’auto del
suo parente? in caso di risposta negativa, quali sarebbero le conseguenza?
La decisione descritta nella domanda può essere assunta dagli amministratori. Tizio
deve valutare se l’interesse particolare di cui è portatore (l’interesse del parente a
vendere l’auto) è o meno in conflitto con l’interesse sociale: cosa che non accade
nel caso in cui l’operazione venga effettuata a condizioni di mercato (e sempre ché
la società abbia necessità di acquistare quell’auto). In questa ipotesi, Tizio può
certamente votare e concorrere a far assumere la decisione di acquisito. Nel caso in
cui Tizio fosse in conflitto di interessi (cioè, se l’operazione viene proposta ad un
prezzo più alto di quello di mercato) deve astenersi e deve lasciare agli altri
amministratori l’assunzione della decisione. Anche se Tizio fosse unico
amministratore potrebbe acquistare l’auto del suo parente. In questo caso, se
l’operazione è stata conclusa in conflitto di interessi il contratto potrà essere
annullato, nel caso in cui si provi che il conflitto era conosciuto o conoscibile
da terzo (il parente dell’amministratore).

7. Tizio, Caio e Sempronio sono i soci di Alfa. Essi sono stati chiamati dagli
amministratori ad approvare il progetto di bilancio per l’esercizio 2019. In che modo
assumerebbero la relativa decisione sociale se Alfa fosse una s.r.l.?

194 Valentina Gilardoni


L’approvazione del bilancio fa parte delle competenze necessarie del gruppo di soci
(art. 2479), ossia le competenze affidate inderogabilmente ad essi. La relativa
decisione può essere assunta tramite deliberazione in assemblea, o tramite
consultazione scritta o consenso per iscritto, se previsto dallo statuto.
L’approvazione in assemblea avviene con voto favorevole della maggioranza del
capitale sociale presente in assemblea, mentre l’approvazione tramite consultazione
scritta avviene tramite modalità previste dallo statuto. È necessario che tutti i soci
vengano avvisati dell’avvio del procedimento e che tutti ne prendano parte.

8. I soci di Alfa intendono aumentare il capitale sociale per far fronte a preoccupanti
esigenze di liquidità. In che modo devono assumere la relativa decisione sociale se
Alfa fosse una s.r.l.?
L’aumento del capital sociale consiste in una modificazione dell’atto costitutivo,
competenza inderogabile del gruppo di soci (art. 2479). Essendo una modificazione
dell’atto costitutivo, la decisione deve essere deliberata in assemblea ed è
necessaria una maggioranza rafforzata: la maggioranza del capitale sociale totale,
invece del capitale sociale presente in aula. L’art. 2481 afferma che l’atto costitutivo
può prevedere la possibilità di aumento del capitale sociale da parte degli
amministratori, decisione che deve risultare dal verbale di un notaio depositato
prezzo registro. La decisione di aumentare il capitale sociale non può essere
effettuata finché non vengano versati i conferimenti ancor dovuti.

9. Tizio, Caio e Sempronio sono i soci di Alfa. Gli amministratori avvisano Tizio e
Caio della necessità di autorizzare – a norma di statuto – la stipulazione di un
contratto importante, dimenticandosi, invece, di avviare Sempronio. Tizio e Caio,
avendo insieme il 90% del capitale sociale, autorizzano la stipulazione del contratto.
Sempronio, con una partecipazione pari al 10% del capitale sociale, potrà far
qualcosa per non esser stato coinvolto nella assunzione della decisione descritta?
Nel caso in cui la società Alfa sia una s.r.l, è causa di invalidità della deliberazione
l’assenza di informazione (art. 2479-ter), ossia la mancata comunicazione dell’avvio
della procedura a uno dei soci. Il socio che non vi ha acconsentito potrà impugnare
l’azione di invalidità entro 3 anni.
Nel caso in cui Sempronio sia stato coinvolto, ma irregolarmente, ossia non in modo
tempestivo, si tratta di decisione non conforme alla legge o all’atto costitutivo, che
può essere impugnata dai scoi che non vi hanno consentito entro 90 giorni dalla
trascrizione nel libro dei soci (2479-ter comma 1)

195 Valentina Gilardoni


SEZIONE TREDICESIMA - LO SCIOGLIMENTO E LA LIQUIDAZIONE
DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI
Il codice civile, dagli art. 2484 al 2496, disciplina unitariamente, per tutte e tre le
società di capitali, quella fase della vita della società che, dal verificarsi di una
causa di scioglimento e passando attraverso la liquidazione del patrimonio sociale,
conduce alla sua estinzione.

Con lo scioglimento, la società prosegue e mantiene la propria personalità


giuridica, infatti lo scioglimento in sé non incide sui rapporti giuridici in essere
che fanno capo alla società e ciò vale anche per quei rapporti che presuppongono
l’esercizio di un’attività d’impresa (consorzi, associazione, agenzia ecc.)

Le cause
Le cause di scioglimento delle società di capitali sono elencate nell’art. 2484 anche
se non si tratta di un’elencazione completa in quanto il co.2 rinvia ad “altre cause
previste dalla legge”. Inoltre alle cause di scioglimento “legali” si possono
affiancare anche quelle “convenzionali” previste dallo statuto.
Le cause legali ex art 2484 sono:
1. Il decorso del termine. Questa causa di scioglimento oggi è divenuta una
causa solo per quelle società il cui atto costitutivo prevede una scadenza.

Ovviamente, anche quando è prevista una scadenza, prima che questa subentri,
è possibile prorogare il termine per mezzo di una modifica statutaria. Per la
s.p.a. e la s.a.p.a., la deliberazione dell’assemblea straordinaria di proroga
del termine deve essere assunta con il quorum deliberativo rafforzato, mentre
non è prevista alcuna eccezione ai quorum stabiliti per le s.r.l. Inoltre va
sottolineato che nella s.p.a. e nella s.a.p.a., il socio che non ha concorso
all’approvazione della delibera di proroga del termine ha diritto di recedere
dalla società. Nella s.r.l., invece, visto che la proroga del termine non rientra
tra le cause per cui viene attribuito il diritto di recesso, questo spetta solo se
previsto nell’atto costitutivo. La proroga del termine deve comunque essere
deliberata.
2. Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di
conseguirlo. Il suo conseguimento può avvenire solo là dove esso consiste in
un’attività destinata a concludersi (ad es. la realizzazione di un’opera).
Quanto all’impossibilità, questa può essere sia materiale che giuridica, come nel
caso in cui lo svolgimento di una determinata attività economica, prima
consentito, sia successivamente vietato ai privati per effetto di un intervento
legislativo. Essa inoltre deve essere assoluta e definitiva e avere carattere
oggettivo, quindi senza dipendere da una mera impossibilità soggettiva della
società.

196 Valentina Gilardoni


In questa ipotesi gli amministratori sono obbligati a convocare l’assemblea per
eventuali modifiche statutarie, prima di procedere all’accertamento del
verificarsi della causa di scioglimento. Nella normalità dei casi, l’assemblea per
evitare lo scioglimento, dovrà modificare l’oggetto sociale, anche se
generalmente si fa riferimento alle “opportune modifiche statutarie” perché, a
fronte di un’impossibilità sopravvenuta, il rimedio potrebbe anche consistere per
es. in una delibera di trasformazione o in un aumento di capitale.
3. L’impossibilità di funzionamento o la continuata inattività dell’assemblea.
Le due fattispecie sono accomunate in quanto si riferiscono entrambe a una
situazione patologica dell’organo assembleare, ma mentre la prima comporta
una definitiva e irreversibile paralisi, la seconda prevede che sia sufficiente una
prolungata inerzia. La paralisi dell’organo deve, per essere considerata causa di
scioglimento, impedire l’adozione di delibere necessarie ed essenziali per il
funzionamento della società, come l’approvazione del bilancio d’esercizio e il
rinnovo degli organi sociali.
4. La riduzione del capitale al di sotto del minimo legale. Non tutte le riduzioni
al di sotto del minimo legale costituiscono causa di scioglimento, ma solo quella
che si realizza per effetto di una perdita di oltre un terzo del capitale, che
rende obbligatoria la riduzione del capitale.
5. Il recesso del socio può determinare causa di scioglimento quando per il
rimborso della partecipazione è necessaria la riduzione del capitale, ma
questa operazione risulta impedita dall’opposizione di uno o più creditori sociali.

6. La deliberazione dell’assemblea: consiste nell’apportare una modifica all’atto


costitutivo. La decisione deve essere assunta dall’assemblea straordinaria nella
s.p.a. e dall’assemblea nella s.r.l.

Le altre cause previste dalla legge


Tra le cause legali di scioglimento previste in norme diverse dall’art. 2484, va
ricordata soprattutto quella che si determina per effetto della dichiarazione di
nullità della società già iscritta nel registro delle imprese.
Nell’articolo non si fa riferimento al fallimento, che quindi non è un autonoma forma
di scioglimento per le società di capitali. Nel 2020 entreranno tra le cause di
scioglimento dell’art. 2848 l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e
della liquidazione controllata.

Le cause convenzionali
Il n.7 dell’art. 2484 prevede che sia lasciata all’autonomia privata la possibilità
inserire nei documenti costitutivi della società cause di scioglimento ulteriori
(convenzionali) rispetto a quelle legali (ad es. per mancato superamento di certe
soglie di fatturato ad una certa data). Qualora ciò si verifichi è necessario
effettuare gli adempimenti pubblicitari richiesti.

197 Valentina Gilardoni


Gli effetti
L’art. 2484, co.3, definisce che gli effetti dello scioglimento si producono solo con
l’iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione assembleare o della
dichiarazione con cui l’organo di gestione ha accertato il verificarsi di una delle
altre cause previste.

In vista degli adempimenti pubblicitari previsti in tale articolo, l’organo di gestione


deve procedere “senza indugio” all’accertamento della causa di scioglimento e
convocare, dove necessario, l’assemblea per le deliberazioni relative alla
liquidazione.
In caso di omissione da parte degli amministratori, spetta al tribunale, su istanza
dei singoli soci, sindaci o amministratori, di provvedere con decreto da iscriversi
nel registro delle imprese, all’accertamento del verificarsi di una causa di
scioglimento.

Al di là degli obblighi loro imposti, al verificarsi di una causa di scioglimento gli


amministratori subiscono un ridimensionamento del loro potere di gestione.
Infatti, l’art. 2486 stabilisce che essi conservano il potere di gestire ma solo ai fini
della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.
Se eccedano nella gestione o omettano di compiere atti di gestione finalizzati alla
conservazione del patrimonio sociale, gli amministratori assumono responsabilità
per gli eventuali danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali e ai terzi.

IL PROCEDIMENTO DI LIQUIDAZIONE

La nomina e la regola di funzionamento dell’organo


Il procedimento di liquidazione delle società di capitali è complesso, che si apre con
la nomina dei liquidatori, ed inderogabile anche quando manchino le attività e le
passività da liquidare.
Ai sensi dell’art. 2487, co.1, la nomina dei liquidatori spetta all’assemblea che
delibera con le maggioranze previste per le modificazioni dell’atto costitutivo. Non
è sempre necessaria però una deliberazione ad hoc in quando la legge prevede
l’eventualità che le disposizioni in tema di liquidazione siano contenute già nello
statuto o nell’atto costitutivo (potrebbero indicare nominativamente i liquidatori).
Nella s.p.a. spetta all’assemblea straordinaria provvedere alla nomina.
La deliberazione ha un contenuto complesso perché alla nomina dei liquidatori si
accompagna:
• l’indicazione dei criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione
• la definizione dei poteri dei liquidatori con riguardo alla cessione dell’azienda

198 Valentina Gilardoni


• la liquidazione degli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa,
compreso l’eventuale esercizio provvisorio della stessa.

L’assenza nella deliberazione di nomina di tali indicazioni non pregiudica la validità


della deliberazione. L’assenza di ulteriori indicazioni può però porre una serie di
problemi applicativi e con riferimento al funzionamento dell’organo e ai poteri
esercitabili dai liquidatori.

Dove vi siano più liquidatori, in assenza di indicazioni da parte dell’assemblea,


questi devono operare secondo il metodo collegiale, mentre, sempre in assenza di
indicazioni assembleari, la rappresentanza dovrebbe spettare disgiuntamente a
ciascuno dei liquidatori. Inoltre, non essendo previsto dalla legge un termine per la
durata in carica di questi, essi, in assenza di indicazioni contrare nella deliberazione
di nomina o nei documenti costitutivi, rimangono in carica per tutto il corso della
liquidazione.

L’intervento sostitutivo del tribunale


Dopo aver previsto l’intervento sostitutivo del tribunale in caso di inerzia degli
amministratori nell’accertamento del verificarsi una causa di scioglimento, nell’art.
2487, co.2, sono disciplinati anche altri due interventi dell’autorità giudiziaria: per il
caso di mancata convocazione dell’assemblea per la nomina dei liquidatori e per
il caso di mancata costituzione o di mancata deliberazione dell’assemblea.
I liquidatori possono essere revocati dall’assemblea o, quando sussiste giusta
causa, dal tribunale su istanza dei soci o del pubblico ministero

La revoca
Quanto alla revoca assembleare (stesse maggioranza richieste per la nomina) è da
ritenere che, in assenza di una giusta causa, spetta ai liquidatori il risarcimento
del danno. Quanto alla revoca giudiziale, invece, la legittimazione è attribuita al
pubblico ministero.

Pubblicità della nomina dei liquidatori e passaggio dei poteri con gli
amministratori
Ai sensi dell’art. 2487-bis, la pubblicità di nomina dei liquidatori e l’eventuale
determinazione dei loro poteri si realizza mediante iscrizione nel registro delle
imprese.

La legge prescrive anche l’obbligo di aggiungere alla denominazione sociale


l’indicazione che si tratta di una società in liquidazione.

L’iscrizione della nomina dei liquidatori nel registro delle imprese è importante anche
perché segna il momento in cui cessano dalla carica gli amministratori e avviene il
passaggio dei poteri in capo ai liquidatori. A questo fine gli amministratori

199 Valentina Gilardoni


consegnano ai liquidatori i libri sociali e “una situazione dei conti alla data
effettiva dello scioglimento, insieme ad un rendiconto sulla loro gestione relativo al
periodo successivo all’ultimo bilancio approvato”.

I poteri e gli obblighi dei liquidatori


Art. 2489: Ai liquidatori è riconosciuto il potere di “compiere tutti gli atti utili per la
liquidazione della società” salvo i limiti emergenti dall’atto costitutivo o dallo
statuto o dalla deliberazione di nomina.
Il tema più delicato è quello della continuazione dell’attività d’impresa in quanto si
richiede se la decisione di proseguire l’attività può essere frutto di un’autonoma
scelta dei liquidatori. Questa è consentita solo se determina un’utilità per la
liquidazione e può essere limitata solo se previsto dallo statuto o dell’atto di nomina

Obblighi: essi devono agire nell’adempimento dei loro obblighi con la


professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico.
Art. 2491: il potere dei liquidatori di chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti
circa i conferimenti promessi; se i fondi disponibili risultano insufficienti per
soddisfare i creditori, il divieto di ripartire tra i soci acconti sul risultato della
liquidazione e una responsabilità dei liquidatori per illecita ripartizione di tali
acconti. Riguardo la possibilità di chiedere ai soci di completare i versamenti, i
liquidatori hanno il potere di richiederli solo se i fondi disponibili risultano
insufficienti per soddisfare i creditori.

La responsabilità
Ai sensi dell’art. 2489, la responsabilità dei liquidatori per i danni derivanti
dall’inosservanza dei loro doveri è disciplinata secondo le norme riguardanti la
responsabilità degli amministratori, a cui si aggiungono due previsioni di
responsabilità per il caso di illecita ripartizione tra i soci di acconti sul risultato
della liquidazione e per il caso di cancellazione della società dal registro delle
imprese senza aver provveduto al pagamento dei creditori sociali.

Gli organi sociali durante la liquidazione


L’art. 2488 conferma la continuità della struttura organizzativa della società anche
nel corso della fase di liquidazione. Le disposizioni sulle decisioni dei soci, sulle
assemblee e sugli organi amministrativi e di controllo si applicano, in quanto
compatibili anche durante la liquidazione.
Riguardo l’individuazione delle decisioni sociali compatibili con la liquidazione, è
possibile deliberare una fusione, una scissione o una trasformazione. Vi è maggiore
libertà anche riguardo alle deliberazioni delle operazioni sul capitale.

200 Valentina Gilardoni


I bilanci
Anche nella fase di liquidazione vi è la regola della redazione periodica del bilancio
d’esercizio, cui sono tenuti i liquidatori e che deve essere presentato per
l’approvazione “all’assemblea o ai soci”.

Esso, nella liquidazione, ha la stessa struttura di quello “di funzionamento” e quindi


si compone di stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa.
Il bilancio nella fase di liquidazione si fonda su un sistema contabile flessibile, che
può subire modifiche nel progredire della liquidazione e che deve trovare adeguata
motivazione nella nota integrativa. Assume particolare rilievo informativo la
relazione che accompagna il bilancio, nella quale, ai sensi del co.2, art. 2490, i
liquidatori devono “illustrare l’andamento, le prospettive della liquidazione e i
principi e i criteri adottati per realizzarla”.

Nel primo bilancio di competenza dei liquidatori, questi, allegandovi i due


documenti contabili (situazione dei conti alla data dello scioglimento e rendiconto
sulla gestione relativo al periodo successivo all’ultimo bilancio approvato), devono
dare conto delle variazioni nei criteri di valutazione adottati rispetto all’ultimo
bilancio predisposto dagli amministratori e delle ragioni e conseguenze di tali
variazioni.

La revoca della liquidazione


2487-ter: La società può revocare in ogni momento lo stato di liquidazione con
deliberazione dell’assemblea presa con le maggioranze richieste per le
modificazioni dell’atto costitutivo”

Il ritorno della società all’ordinaria operatività è comunque condizionato dalla


rimozione della causa di scioglimento che aveva determinato l’apertura della
liquidazione delle eventuali altre cause insorte. In questo contesto occorre verificare
la sussistenza di un capitale minimo richiesto per il tipo di società e quindi si
impone la redazione di un bilancio straordinario.
La decisione di revoca attribuisce inderogabilmente al socio non consenziente il
diritto di recedere dalla società ed è garantita l’opposizione a tutela dei
creditori sociali.
La revoca avviene con la realizzazione della pubblicità

La chiusura della liquidazione


Compiuta la liquidazione (conversione in denaro del patrimonio e pagamento dei
creditori sociali) si apre la fase finale: redazione del bilancio finale da parte dei
liquidatori e approvazione da parte dei soci e ripartizione tra questi dell’attivo
residuo. Poi avviene la cancellazione della società dal registro delle imprese e al

201 Valentina Gilardoni


deposito dei libri sociali. Disposta la cancellazione, dove permangono creditori
sociali non ancora compiutamente soddisfatti, questi avranno azione
esclusivamente nei confronti dei soci o anche nei confronti dei liquidatori se il
mancato pagamento sia dipeso da loro colpa.

Bilancio finale
Il bilancio finale ha rilevanza informativa esclusivamente nei confronti dei soci:
rendiconto della gestione svolta dai liquidatori e determinazione della quota
dell’attivo residuo spettante ad ogni azione (piano di riparto).
Il bilancio è depositato presso il registro delle imprese e nei novanta giorni
successivi, ogni socio può proporre reclamo davanti al tribunale in contraddittorio
dei liquidatori.
La mancata proporzione del reclamo vale come approvazione tacita

Cancellazione e estinzione
Art 2495: Una volta approvato il bilancio finale, i liquidatori devono chiedere la
cancellazione della società. Ferma restando l’estinzione della società, i creditori non
soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci e dei liquidatori se il
mancato pagamento è dipeso dalla colpa di questi.
“Ferma restando l’estinzione della società”: efficacia costitutiva della cancellazione,
che determina il venir meno della società come soggetto di diritti.

Tuttavia gli interpreti si dividono sull’irreversibilità o meno della cancellazione, in


relazione non tanto all’esistenza di passività insoddisfatte, quanto in relazione alla
sussistenza di attività non distribuite ai soci. Al riguardo, mentre una parte della
dottrina rimane ferma nel sostenere l’effetto estintivo della cancellazione affermando
che le eventuali sopravveniente attive andranno regolate secondo la disciplina della
comunione tra ex soci, l’altra parte ritiene utilizzabile lo strumento della
cancellazione d’ufficio dal registro delle imprese, per mezzo del quale potrebbe
ottenersi “la cancellazione della cancellazione della società”, rimuovendo così i suoi
effetti.

ESERCIZI
1. Filano è amministratore di Alfa, una società che gestisce uno stabilimento
balneare. L’amministratore, a seguito di un’inaspettata revoca della concessione del
tratto di spiaggia nel quale è stato da sempre collocato lo stabilimento, accerta la
sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale. Cosa deve fare se Alfa è
una s.n.c.? E cosa deve fare se Alfa è una s.r.l.?
L’art 2484 elenca tra le cause di scioglimento di una società per azioni
l’impossibilità sopravvenuta dell’oggetto sociale. Occorre valutare che sia oggettiva,
e in questo caso si può dire lo sia. L’assemblea può modificare l’oggetto sociale
tramite una modificazione dell’atto costitutivo per evitare lo scioglimento o, nel caso

202 Valentina Gilardoni


contrario, gli amministratori dovranno accertare la causa di scioglimento tramite
dichiarazione iscritta nel registro delle imprese. In tal modo la società entrerà in
stato di liquidazione. Nel caso in cui gli amministratori non provvedano ad accertare
la causa di scioglimento, può porvi rimedio il tribunale su istanza di un socio,
sindaco o amministratore.

2. In seguito all’approvazione del bilancio finale di liquidazione da parte dei tre soci
di Alfa (i signori Tizio, Caio e Sempronio), Mevio, liquidatore della medesima Alfa,
procede alla cancellazione della società dal registro delle imprese. I tre soci hanno
percepito, a titolo di patrimonio netto di liquidazione, rispettivamente: 60.000 euro,
Tizio; 30.000 euro, Caio e 10.000 euro, Sempronio.
Dopo qualche mese, l’Agenzia delle Entrate notifica, presso l’indirizzo della ex sede
sociale, un avviso di accertamento per imposte dirette non pagate per complessivi
500.000 euro. Nel caso in cui l’accertamento fosse confermato, chi pagherebbe il
relativo importo se Alfa è una s.n.c.? E se Alfa è una s.r.l.
L’art. 2491 stabilisce che i liquidatori non possano ripartire tra i soci i acconti sul
risultato della liquidazione finché non vengano soddisfatti i creditori. I liquidatori
sono solidalmente responsabili per i danni cagionati ai creditori sociali con la
violazione di tali disposizioni

3. Alfa s.r.l. sta valutando la possibilità di trasferire la sede sociale in Germania. È


indecisa, tuttavia, se spostare, con il trasferimento delle sede, l’intera produzione
oppure lasciare la produzione in Italia e limitarsi ad assumere la forma giuridica
equivalente di diritto tedesco (GmbH). Se lo studente fosse richiesto di un parere,
quale sarebbe la risposta che darebbe al legale rappresentante di Alfa?

203 Valentina Gilardoni


SEZIONE QUATTORDICI - SOCIETÀ IN ACCOMANDITA SEMPLICE
La società in accomandita semplice si caratterizza per: i soci accomandatari e i
soci accomandanti e il venir meno di una delle due categorie comporta lo
scioglimento della società (art. 2323).
Tali categorie si distinguono per il diverso regime di responsabilità: gli
• accomandatari rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni
sociali. Soltanto i soci accomandatari possono essere amministratori (2318)
• accomandanti rispondono limitatamente alla quota conferita (art. 2313). Sono
esclusi dall’attività gestoria, nei limiti indicati dal divieto di immistione (art. 2320).

La responsabilità dei soci


Per gli accomandatari valgono le stesse regole dettate per i soci della s.n.c., diversa
invece è la posizione dei soci accomandanti che sono istituzionalmente a
responsabilità limitata, vale a dire che tale limitazione della responsabilità è prevista
nell’atto costitutivo. La limitazione di responsabilità a favore dei soci
accomandanti opera a prescindere dallo stato soggettivo dei creditori sociali,
infatti gli accomandanti rispondono limitatamente alla loro quota anche quando la
s.a.s. si trovi in una condizione di irregolarità, ossia non sia iscritta nel registro delle
imprese.
La responsabilità limitata comporta che il patrimonio dei soci non può essere
attaccato direttamente dai creditori sociali, quali possono soddisfarsi solo sul
patrimonio dei soci accomandatari e su quello della società. Se tuttavia i
conferimenti promessi dall’accomandante non sono in tutto o in parte effettuati, si
ammette il diritto dei creditori sociali di promuovere nei confronti di questi
un’azione surrogatoria per ottenere l’integrale versamento del conferimento
che era stato loro promesso.

La posizione dell’accomandate e dell’accomandatario


Per l’accomandatario valgono le stesse regole esposte in tema di s.n.c., compresa
la possibilità di investire del potere di amministrazione solo alcuni dei soci
accomandatari. Poiché nella maggior parte dei casi la s.a.s. viene costituita con un
unico socio accomandatario, questo funge da unico amministratore, senza doversi
confrontare, con il potere di veto degli altri soci, al momento delle scelte gestionali.
L’accomandante invece non può assumere la veste di amministratore, ma è pur
sempre socio ed in quanto tale portatore di un’istanza partecipativa all’attività
sociale.

I conferimenti
Il socio accomandante partecipa all’iniziativa economica apportando mezzi

204 Valentina Gilardoni


finanziari; ma può anche apportare altri tipi di beni e perfino la propria opera, nella
misura in cui sia reputata comunque conveniente per la società.
Circolazione della quota
Le partecipazioni, siano degli accomandanti o degli accomandatari, non possono
essere rappresentate da azioni.

Accomandatario: la circolazione della partecipazione come s.n.c., quindi


necessita del consenso unanime degli altri soci, salvo diversa previsione
statutaria. L’atto costitutivo potrebbe anche prevedere che la circolazione della
partecipazione dell’accomandatario sia subordinata al gradimento di un singolo
socio, accomandatario o accomandante. Invece, per la circolazione mortis causa,
verrà applicata la regola fissata dall’art. 2284.
La circolazione della partecipazione dell’accomandante, invece, su versante
mortis causa si realizza liberamente in capo ai soggetti designati dal de cuius; la
circolazione inter vivos invece si basa sul principio maggioritario: infatti la
cessione non avrà effetto in assenza del consenso dei soci che rappresentano la
maggioranza del capitale.

Il divieto di immistione dell’accomandante


L’art. 2320 articola il divieto di immistione in un limite di carattere generale e in una
eccezione.
1. I soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né
trattare o concludere affari in nome della società.
2. L’eccezione: si riferisce alle attività svolte in forza di una procura speciale per i
singoli affari. Infatti gli accomandati muniti di rappresentanza per il singolo affare
possono stipulare contratti collegati ad esso senza la presenza degli
accomandatari.
3. L’eccezione inoltre riconosce anche all’accomandante il potere di dare
autorizzazioni e pareri per determinate operazioni. Le autorizzazioni e i pareri
hanno carattere necessariamente consultivo e non vincolante.
4. Inoltre il socio accomandante può essere investito dall’atto costitutivo di
poteri di controllo sulla legittimità sull’operato degli amministratori
5. È fornito ex lege di poteri di informativa annuale sulle attività sociali
(ricevendo comunicazione del bilancio) e di verificare l’esattezza dei documenti
che le rappresentano che ha il potere di consultare.
6. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità
illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere
escluso.

205 Valentina Gilardoni


7. Per quanto riguarda gli effetti sugli atti gestori, se essi sono stati compiuti senza
procura, non impegnano la società, ma comportano una sanzione per
l’accomandante che tutela sia la controparte che tutti i terzi.

Scioglimento della società


Per quanto riguarda le cause di scioglimento della s.a.s. a quelle comuni alla s.n.c.
si aggiunge quella rappresentata dal venir meno di una delle due categorie di soci.
Lo scioglimento non opera automaticamente, ma l’art. 2323 concede un termine
di tolleranza di sei mesi nei quali è consentito ricostituire le due posizioni. In
particolare, se viene meno la categoria degli accomandatari, la società può rimanere
operativa per i sei mesi mediante la nomina di un amministratore provvisorio
legittimato a compiere atti di ordinaria amministrazione ma che però non assume la
qualifica di socio accomandatario.

Società in accomandita semplice irregolare


La s.a.s. irregolare ricorre nel caso di mancata iscrizione dell’atto costitutivo nel
competente registro delle imprese. In questo caso, i rapporti tra la società e i terzi
sono regolati dalle disposizioni relative alla società semplice e i soci sono
solidalmente e illimitatamente responsabili. Per le obbligazioni sociali i soci
accomandanti rispondono limitatamente alla propria quota, purché non abbiano
partecipato alle operazioni sociali (purché non vi sia procura)

SOCIETÀ SEMPLICE
La società semplice rappresenta l’unico tipo di società non commerciale, esercita
solo un tipo di attività d’impresa e consortile. Ad essa è consentito
esclusivamente l’esercizio in comune di attività d’impresa agricola (art. 2249),
professionali o di mero godimento nei casi eccezionali previsti dalla legge.

La costituzione e l’iscrizione
Massima libertà formale: il contratto non è soggetto a forme speciali, salvo quelle
richieste dalla natura dei beni conferiti (art. 2251). L’atto costitutivo può essere
anche concluso verbalmente o per fatti concludenti (società di fatto).

Non è previsto alcun requisito dell’atto costitutivo. La nozione di capitale sociale è


completamente assente nella disciplina della società semplice e la destinazione
all’esercizio di un’attività non commerciale la esclude anche dall’obbligo di tenuta
delle scritture contabili e della redazione annuale del bilancio.

206 Valentina Gilardoni


Il codice non prevedeva neanche l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese,
ma tale condizione è mutata nel tempo, prima con la riforma del registro delle
imprese che ha riconosciuto efficacia dichiarativa all’iscrizione delle s.s. che
esercitano attività agricola.

La responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali. I creditori personali dei


soci.
Per quanto riguarda la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali resta fermo
il principio proprio delle società di persone secondo cui tutti i soci sono
illimitatamente responsabili, ma tale regola è parzialmente derogabile.
Infatti, nella s.s. è possibile che i soci stipulino un accordo finalizzato a limitare la
responsabilità di alcuni di essi, che sarà opponibile ai terzi solo se: i soci
beneficiari dell’accordo non hanno il potere di rappresentanza e che il patto sia
portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, in quanto, in mancanza, tale
limitazione non è opponibile (art. 2267).
Ne consegue che i creditori sociali, oltre la garanzia del patrimonio sociale, godono
anche della garanzia personale e solidale dei soci che hanno agito in nome e per
conto della società, a cui si aggiunge quella degli altri soci per i quali non sussiste
alcuna limitazione o esclusione.
Il beneficio di escussione non opera automaticamente: il socio può essere il
destinatario diretto dell’azione esecutiva promossa dai creditori sociali e può
sottrarsi solo in via di eccezione, indicando i beni societari su cui il creditore
può agevolmente soddisfarsi. In mancanza, il socio subisce l’iniziativa esecutiva.

Creditori personali:
• possono colpire gli utili spettanti al socio debitore tramite il pignoramento
• chiedere in ogni momento la liquidazione della quota del socio debitore, purché
dimostri che gli altri beni sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti. La
quota deve essere liquidata entro tre mesi dalla domanda, salvo che sia stato
deliberato lo scioglimento della società, e il socio debitore è escluso di diritto dalla
stessa.
Amministrazione: stessa disciplina esposta con riferimento alla s.n.c.,
Rappresentanza della società: disciplina particolare

L’amministrazione della società: la rappresentanza

La società acquista diritti e assume obblighi per mezzo dei soci che hanno la
rappresentanza e sta in giudizio attraverso essi; in mancanza di diversa previsione
contrattuale, la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore e si
estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale.

207 Valentina Gilardoni


Diverso dalla s.n.c. appare il regime dell’opponibilità dei limiti originari del potere.

Iscrizione con efficacia notiziale: i limiti originari saranno sempre opponibili ai


terzi e questi hanno a propria tutela la verifica dei poteri, cioè il diritto di ottenere
dal socio con cui contratta i documenti che giustificano il suo potere di
rappresentanza. Sono regolati dalla stessa disciplina anche le limitazioni
successive e l’estinzione del potere di rappresentanza con la conseguenza che
potranno essere opposti solo se verranno portate a conoscenza dei terzi con mezzi
idonei.

Iscrizione con efficacia dichiarativa: per le limitazioni originarie l’opponibilità sarà


sempre condizionata all’iscrizione nel registro delle imprese (agricole)

208 Valentina Gilardoni


STUDIO PER PRINCIPI (SOLO LETTURA)
45. LE AZIONI. CREAZIONE ED ESTINZIONE
La partecipazione sociale è rappresentata da azioni”:
1. l’assegnazione di azioni attesta e misura la partecipazione al capitale sociale di
ciascun socio
2. dal numero e dal tipo di azioni assegnate discendono entità e contenuti della
partecipazione all’attività sociale di ciascun socio e quindi la quantità e il
contenuto dei diritti e degli obblighi ad esso imputati
3. il possesso o la disponibilità delle azioni condiziona l’acquisto e l’esercizio dei
diritti partecipativi.
In tali affermazioni, il termine “azioni” assume significati diversi: nel primo caso si
tratta di partizioni del capitale sociale; nel secondo di insieme di situazioni giuridiche
soggettive; nel terzo di documenti destinati all’esercizio di quei diritti.

Il significato delle azioni quale partecipazione al capitale. Il valore nominale


delle azioni
Le azioni rappresentano la partecipazione del socio al capitale sociale. Esse
indicano in che misura la collettività dei soci valuta il conferimento apportato dal
singolo in termini di risorsa finanziaria produttiva, rientrante nella dotazione comune
di capitale (ad es. un capitale sociale di 60.000€ diviso in 60 azioni, l’assegnazione
di 20 azioni di fronte ad un conferimento indica che esso è stato valutato 20.000€ e
quindi che al relativo conferimento è stato riconosciuto di aver contribuito al
capitale per un terzo). Le singole azioni sono l’unità minima di finanziamento
richiesta in una certa s.p.a. per partecipare all’iniziativa d’impresa.
Il valore nominale delle azioni deve corrispondere alla divisione della cifra del
capitale sociale per il numero delle azioni emesse. Il valore nominale delle azioni
rappresenta un dato formale, in quanto esprime in termini monetari l’unità minima di
investimento. Pertanto, in nessun modo tale espressione deve considerarsi
identificativa del valore reale delle azioni, il quale dipende dal valore del
patrimonio netto. Quindi esso è dato dalla divisione del valore del patrimonio
aziendale per il numero di azioni emesse e muta nel tempo al mutare di tale
patrimonio.
Il valore nominale delle azioni o, per le azioni senza valore nominale, il numero
complessivo delle azioni emesse e l’ammontare del capitale sociale, devono essere
indicati nei titoli azionari eventualmente emessi dalla società.

Creazione delle azioni


Esse presuppongono la sottoscrizione, cioè una dichiarazione con la quale i soci si
vincolano a prestare conferimenti per una somma almeno pari a quella del capitale
sottoscritto. Le azioni sono emesse sulla base del valore del conferimento operato o

209 Valentina Gilardoni


promesso dal socio.

La sottoscrizione del capitale può avvenire in due occasioni diverse: al momento


della costituzione della s.p.a.; o nel corso dell’attività, quando si decide di
accrescere la dotazione finanziaria.
Alla creazione delle azioni corrisponde, di conseguenza, anche l’estinzione delle
stesse e l’annullamento degli eventuali titoli emessi. Ciò può avvenire, oltre che in
occasione dello scioglimento generale, anche nelle ipotesi di riduzione di capitale
previste dalla legge connesse ad una decisione dei soci di modifica dello statuto,
o allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio.
La creazione e assegnazione delle azioni nella costituzione delle s.p.a.
I presupposti della creazione delle azioni sono: la sottoscrizione delle azioni
rappresentative del capitale, che interviene al momento della stipula dell’atto
costitutivo e il versamento presso una banca del 25% del valore nominale delle
azioni. Nel caso in cui abbia ad oggetto beni in natura, allora il conferimento va
effettuato per intero.
Questi fatti sono necessari e sufficienti per la creazione delle azioni e alla relativa
assegnazione al sottoscrittore, il quale ne acquista la titolarità senza che occorra
altra formalità. Inoltre è possibile che le azioni siano assegnate a un socio, mediante
apposita clausola dell’atto costitutivo, in modo non proporzionale alla sottoscrizione
effettuata.
La mancanza di uno di questi presupposti, determina la nullità della
partecipazione ma questa non ha efficacia retroattiva (cioè non legittima una
pretesa alla restituzione del conferimento effettuato), ma comporta il diritto
dell’azionista alla liquidazione in denaro della propria quota.

L’emissione successiva. L’aumento del capitale sociale gratuito.


Questa operazione può assumere due configurazioni: aumento di capitale sociale
gratuito e aumento di capitale sociale a pagamento.

L’aumento di capitale gratuito consiste in una mera operazione contabile di


imputazione a capitale di valori patrimoniali già esistenti in società, senza
incremento, quindi, del patrimonio, concretandosi in una sorta di “compensazione”
tra le poste presenti al suo interno. Condizione necessaria perché si possa
effettuare tale aumento, è che la società già possieda “fondi propri” in misura
superiore rispetto a quelli corrispondenti all’importo del capitale sociale.
L’operazione si concreta in una deliberazione dell’assemblea straordinaria con
cui si decide di “imputare” a capitale risorse patrimoniali che la società ha già
acquisito. L’operazione può concretarsi anche nell’emissione di nuove azioni e in
tale evenienza, queste azioni devono avere le stesse caratteristiche di quelle già
in circolazione e devono essere assegnate gratuitamente agli azionisti in
proporzione di quelle già possedute.

210 Valentina Gilardoni


L’aumento di capitale tramite nuovi conferimenti.
L’aumento di capitale sociale “a pagamento”, trattandosi di una modifica dell’atto
costitutivo, prevede un organo competente che è l’assemblea dei soci che
delibera in sede straordinaria.

Nell’aumento di capitale tramite nuovi conferimenti, la delibera non è sufficiente,


occorre che intervengano nuove sottoscrizioni, cioè dichiarazioni degli investitori
con le quali vengono espressi gli impegni a conferire il denaro o altri beni necessari
a coprire il capitale nominale aggiuntivo.
1. Vietata la realizzazione di un aumento di capitale fino a quando non vi sia
l’integrale liberazione delle azioni precedentemente emesse
2. 25% di questi debba essere versato al momento della sottoscrizione come
nel caso della costituzione.
3. Le azioni di nuova emissione dovranno liberarsi tramite conferimenti in denaro, a
meno che si stabilisca di accettare dai nuovi sottoscrittori degli apporti in
natura. Tale decisione deve essere presa in assemblea straordinaria e in
questo caso, le azioni devono essere liberate integralmente al momento della
sottoscrizione e occorre depositare la relazione di un perito. Inoltre la stima deve
essere conosciuta dai soci almeno al momento di tale decisione, la quale dovrà
avere per oggetto, non solo l’identità del bene che si intende apportare, ma
anche il relativo valore.

Il diritto di opzione
L’aumento di capitale tramite nuovi conferimenti potrebbe alterare le precedenti
percentuali di partecipazione alla società da parte degli azionisti.
La possibilità che l’aumento di capitale realizzi un mutamento delle precedenti
partecipazioni è fonte di pregiudizi degli interessi individuali dei soci.
Per questo le azioni di nuova emissione devono essere offerte in opzione ai soci
in proporzione al numero delle azioni possedute”.
L’offerta va pubblicata presso il registro delle imprese ad opera degli amministratori
e dal momento di tale pubblicazione, decorre un termine per l’esercizio del diritto di
opzione, da precisare nell’offerta stessa, non inferiore a quindici giorni. Il diritto di
opzione può essere escluso, solo in determinati casi: quando le azioni “devono
essere liberate mediante conferimenti in natura”; quando “l’interesse della
società lo esige”; quando le azioni “sono offerte ai dipendenti della società o di
società che la controllano o che sono da essa controllate”; o nei limiti del 10% del
capitale sociale preesistente.

La riduzione del capitale sociale. La riduzione “reale”


Abbassamento della soglia di investimento destinata all’attività sociale, rispetto a
quella precedentemente prevista dai soci con la determinazione del capitale sociale.

211 Valentina Gilardoni


La riduzione reale del capitale presuppone un corrispondente impoverimento
della società, con restituzione ai soci di parte delle risorse precedentemente
apportate.
La riduzione nominale che la legge disciplina in seguito al verificarsi di perdite di
capitale e realizza semplicemente un riallineamento tra l’importo del capitale e
l’importo del patrimonio di cui la società dispone effettivamente in un dato
momento storico.
La riduzione reale è di competenza dell’assemblea straordinaria e prevede due
possibili modalità dell’operazione: i soci possono stabilire o il rimborso del capitale
versato, o la liberazione dei soci dall’eventuale debito residuo ai versamenti.
La riduzione del capitale, infine, è soggetta a un importante vincolo, vale a dire che
essa “può essere eseguita solo dopo 90 giorni dall’iscrizione nel registro
dell’imprese, purché entro questo termine nessun creditore sociale anteriore
all’iscrizione abbia fatto opposizione”. Il tribunale quando ritiene infondato il
pericolo di pregiudizio per i creditori o la società abbia prestato idonea garanzia,
può disporre che l’operazione abbia comunque luogo nonostante l’opposizione.

La riduzione del capitale sociale per perdite


Il patrimonio netto della società è inferiore alla cifra del capitale sottoscritto.
La disciplina della riduzione del capitale per perdite è spiegata in coerenza con la
funzione di garanzia del capitale sociale.
Qualora la perdita del capitale sociale sia superiore 1/3 rispetto alla misura
dello stesso, gli amministratori hanno l’obbligo di convocare l’assemblea a cui
dovranno sottoporre una relazione sulla situazione patrimoniale della società. I soci
non devono necessariamente adottare una decisione di modifica alla cifra del
capitale sociale; è previsto semplicemente che l’assemblea assuma gli opportuni
provvedimenti.
Se entro l’esercizio successivo a quello in cui è stata accertata la perdita questa
non risulta diminuita a meno di un terzo, l’assemblea ordinario o il consiglio di
sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in
proporzione alle perdite accertate.
Se la perdita di oltre il terzo del capitale lo porti ad una misura inferiore al minimo di
50.000€. In questo caso la legge impone che l’assemblea sia convocata “senza
indugio” e che essa debba “deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo
aumento dello stesso a una cifra non inferiore al minimo”. In alternativa vi è la
possibilità di trasformare la società in un tipo per il quale sia previsto un capitale
minimo inferiore, dovendo altrimenti deliberare lo scioglimento della società.

42. LA PARTECIPAZIONE AZIONARIA


Un altro ruolo fondamentale assegnato alle azioni è quello di rappresentare la
partecipazione individuale all’attività sociale. Con il termine azione non si identifica,

212 Valentina Gilardoni


pertanto, la quota unitaria di investimento in capitale di rischio nella s.p.a. ma
un’ideale “porzione unitaria” del rapporto che lega l’azionista alla società. I
contenuti del rapporto sono espressi e conformati dai diritti e gli obblighi assunti dai
soci, attribuitigli dalle azioni possedute.

Indivisibilità e inscindibilità dell’azione


Le azioni sono indivisibili, vi è “l’impossibilità per l’azionista di suddividere in più
parti la partecipazione all’attività sociale e di imputare separatamente ai titolari delle
singole parti diritti e obblighi sociali, in modo frazionato”.

Nel caso di contitolarità di un’azione, i diritti dei comproprietari devono essere


esercitati da un rappresentante comune” che viene nominato secondo le regole
previste in tema di comunione.
Le azioni sono anche inscindibili, nel senso che non è ammissibile il
frazionamento, da parte dell’azionista, che consiste nel disporre in modo parziale
il contenuto dell’azione a favore di altri soggetti, con l’attribuzione ad essi solo di
uno o più diritti azionari e non della proprietà dell’intera partecipazione.
Uguaglianza e autonomia
Attribuiscono ai relativi titolari partecipazioni uguali l’una alle altre e che “le azioni
devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti”.
La legge consente la creazione di categorie diverse di azioni, che attribuiscono
diritti particolari, ma non è ammissibile che la diversità della partecipazione
azionaria sia legata, anziché al tipo di azione posseduta, alla persona.
Una differenziazione tra azionisti può determinarsi solo in correlazione con
l’eventualità che essi possiedano diverse quantità di azioni emesse da una s.p.a. La
maggior parte dei diritti sociali spettano in base al numero di azioni possedute.

Il contenuto della partecipazione azionaria


Il diritto agli utili : il diritto agli utili e il diritto alla quota di liquidazione della società
in sede di scioglimento generale o parziale. Sicuramente invalida sarebbe la
clausola che escludesse il diritto agli utili o alla quota di liquidazione degli azionisti.

La società non può pagare dividendi sulle azioni se non per utili realmente
conseguiti e che risultano da un bilancio regolarmente approvato.
Inoltre, tale diritto per sorgere, non basta neanche che un utile distribuibile risulti dal
bilancio, ma è necessario che l’assemblea dei soci deliberi espressamente la
distribuzione dei dividendi in una certa misura.
Il diritto di recesso
La legge si preoccupa proprio di tutelare tali interessi dei soci che possono essere
pregiudicati da modifiche dell’organizzazione decise dalla maggioranza degli
azionisti, là dove egli non vi abbia acconsentito. Per evitare il rischio che egli
subisca un abbassamento del valore di mercato delle azioni, al socio è attribuito il
diritto di recesso: il potere di sciogliersi dalla società, per mezzo di una propria,

213 Valentina Gilardoni


volontaria e unilaterale manifestazione di volontà, e di ottenere
anticipatamente la quota di liquidazione, da calcolare sulla base di criteri che
tengono conto dei valori che potevano essere attribuiti alla partecipazione prima
delle modifiche.

Tale diritto è concesso al verificarsi di particolari ipotesi: le deliberazioni di:


modifica dell’oggetto sociale; trasformazione della società; trasferimento della sede
sociale all’estero; revoca dello stato di liquidazione; eliminazione di una o più cause
di recesso previste dallo statuto; modifica dei criteri di determinazione del valore
delle azioni in caso di recesso; modificazioni dello stato riguardanti i diritti di voto o
di partecipazione. È nullo ogni patto volto a escludere o rendere più gravoso
l’esercizio del diritto di recesso” in relazione a tali cause.
• A queste fattispecie si affiancano poi quelle derogabili, cioè quelle in cui il recesso
opera solo dove lo statuto non disponga diversamente. Tali ipotesi sono: la
proroga del termine della società; l’introduzione o la rimozione di vincoli alla
circolazione dei titoli azionari.
• Ulteriori cause di recesso. Tuttavia tali ipotesi atipiche di recesso devono
comunque essere collegate a importanti mutamenti del programma organizzativo
• Tuttavia, è riconosciuto al socio anche un diritto di recesso ad nutum, nella
società a tempo indeterminato. Per questa ipotesi è previsto però un preavviso
di 180 giorni che può essere modificato in aumento dallo statuto, fino a un anno.
Recesso viene esercitato con lettera raccomandata, da spedire entro 15 giorni
dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima.
Il valore di liquidazione viene stabilito dagli amministratori “tenuto conto della
consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, oltre che
dell’eventuale valore di mercato delle azioni”. Si stabilisce che coloro che sono
interessati a recedere possono visionare anticipatamente la determinazione del
valore delle azioni ai fini del recesso
Le azioni del socio receduto vengono offerte in opzione agli altri soci
proporzionalmente, e ai soci, spetta anche un diritto di prelazione per le eventuali
azioni non optate dagli altri azionisti. Le azioni residue, se non vengono collocate
nel mercato, devono essere rimborsate direttamente dalla società, attingendo alle
riserve disponibili o agli utili. Se questi fondi non sussistono, occorrerà che si
deliberi una riduzione del capitale sociale.

I diritti “amministrativi” della generalità dei soci. Il diritto di voto


Attraverso il diritto di voto gli azionisti hanno la possibilità di incidere sulla vita della
società, sia direttamente, concorrendo alle scelte in materia di organizzazione
dell’attività sociale; sia indirettamente influendo nei confronti della gestione, specie
con la nomina e la revoca degli amministratori. Quindi tale interesse al “controllo”
dell’impresa comune rappresenta l’altro fondamentale profilo che giustifica
l’investimento azionario individuale.

214 Valentina Gilardoni


Sistema “un’azione-un voto”: ogni azione attribuisce il diritto di voto.
Salvo quanto previsto dalle leggi speciali, lo statuto può prevedere la creazione di
azioni con diritto di voto plurimo per particolari argomenti o subordinato al
verificarsi di particolari condizioni. Si precisa, inoltre, che “ciascuna azione a voto
plurimo può avere un effetto di massimo tre voti”.
L’art. 2351 stabilisce che lo statuto possa prevedere la creazione di azioni senza
voto o a voto limitato.
Può stabilirsi, ai sensi della legge, che in relazione alla quantità di azioni possedute
da uno stesso soggetto, il diritto di voto sia limitato ad una misura massima o
disporne scaglionamenti.

I diritti della minoranza


All’interesse degli amministratori alla gestione dell’impresa si contrappone quella dei
soci al controllo della stessa. In vista di proteggere tale esigenza, sono previste le
competenze dell’assemblea dei soci e le loro prerogative.
La s.p.a. è anche sede di un ulteriore contrapposizione di interessi, cioè quella tra
maggioranza e minoranza dei soci, in vista dell’esistenza, in capo ai primi, del
potere di determinare o indirizzare le scelte sociali.
Diritti della minoranza: possibilità di sollecitare o rinviare la convocazione della
riunione per una migliore preparazione della discussione, sollecitare l’intervento,
nei loro confronti, da parte degli organi di vigilanza e controllo.
Si rilevano in particolare i casi di potere di denunzia spettante ai soci: o nei
confronti del collegio sindacale, per l’ipotesi di compimento di fatti censurabili da
parte degli amministratori; o al tribunale, nel caso in cui vi sia un sospetto fondato di
gravi irregolarità nella gestione.
Le prerogative attribuite dalla legge sono riconosciute al socio, o a gruppi di soci,
solo al possesso di particolari percentuali del capitale sociale.

Pegno, usufrutto e sequestro di azioni.


Tali diritti spettano al socio in quanto titolare delle azioni e con esse acquista la
possibilità di esercitare tutte le prerogative collegate. Tale possibilità subisce,
tuttavia, una limitazione là dove le azioni siano sottoposte a vincoli di tipo reale o
giudiziale.
Il creditore pignoratizio e l’usufruttuario hanno esercizio del voto.

La libertà di creazione di azioni “speciali”.


Si possono creare categorie di azioni fornite di diritti diversi, azioni “speciali”
caratterizzate dall’attribuzione di diritti diversi da quelli che normalmente
spettano al socio in base al possesso dell’azione.

215 Valentina Gilardoni


Non è possibile creare una singola azione attributiva di particolari diritti ad hoc per
rispondere alle esigenze di un unico socio; ciò che è possibile è creare una
categoria di azioni, uguali tra loro, che risponda alle esigenze di una
particolare classe di investitori. Le fattispecie
A. Diritti di tipo patrimoniale, possono crearsi categorie di azioni che
attribuiscono ai relativi possessori un “privilegio patrimoniale” che consiste nel
diritto a un utile maggiorato; o una priorità nella riscossione del diritto al
dividendo entro certe percentuali.
B. Incidenza delle perdite: diritto di subire l’imputazione delle perdite della
società solo dopo che esse abbiano colpito la partecipazione degli altri soci.
C. Azioni correlate che si caratterizzano in quanto “fornite di diritti patrimoniali
correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore” e cioè da
una particolare porzione dell’attività o dalla realizzazione di uno specifico affare.
D. Diritti amministrativi: potenziamento che la compressione dell’ordinaria
posizione del socio, fino ad ammettere che si possano creare sia azioni a voto
plurimo, sia che si possa del tutto escludere il diritto di voto dell’azionista
Unici limiti inderogabili alla creazione di tali categorie sono rappresentati dal divieto
del patto leonino e dal rispetto di un equilibrio tra rischio e potere.

Le assemblee speciali
Assemblea speciale degli azionisti di categoria: quando le deliberazioni
dell’assemblea pregiudicano i diritti di una categoria di azioni, esse devono
essere approvate anche dall’assemblea speciale degli appartenenti alla categoria
interessata e ciò a pena di inefficacia di tali deliberazioni.
In altre parole, l’assemblea generale degli azionisti può modificare i diritti delle
azioni speciali ma dovrà ottenere il consenso della maggioranza di questi espressa
in forma di delibera dell’assemblea speciale.

43. I TITOLARI AZIONARI. LEGITTIMAZIONE DEL SOCIO E CIRCOLAZIONE


DELLE AZIONI.
Le diverse tecniche di documentazione dell’azione
Per garantire la circolazione delle azioni, il legislatore ha approntato un sistema di
regole rivolto a rendere possibile la creazione di un efficiente mercato secondario
delle azioni.
1. Strumento di emissione dei titoli azionari, la cui trasmissione è governata dalla
regole sui titoli di credito. Questa operazione di emissione è accompagnata dalla
consegna al socio di documenti che rappresentano azioni: essi diventeranno un
mezzo per permettere la cessione della partecipazione.
Tali documenti hanno un contenuto tipico, previsto dall’art. 2354: la
denominazione e la sede della società, la data dell’atto costitutivo e della sua

216 Valentina Gilardoni


iscrizione e l’ufficio del registro delle imprese dove la società è iscritta; il loro
valore nominale o, se si tratta di azioni senza valore nominale, del loro numero
complessivo e l’ammontare del capitale sociale; l’ammontare dei versamenti
parziali sulle azioni non interamente liberate; i diritti e gli obblighi ad esse
inerenti.
2. L’art. 2354, fa salve le “disposizioni delle leggi speciali in tema di strumenti
finanziari negoziati o destinati alla negoziazione nei mercati regolamentati”.
Tali strumenti finanziari non possono essere rappresentati da documenti in
forma cartacea. Infatti, il trasferimento e l’esercizio dei diritti derivanti da tali
azioni, devono effettuarsi in conformità alla c.d. dematerializzazione degli
strumenti finanziari, titoli scritturali, le cui regole di circolazione sono analoghe
a quelle dei titoli di credito.
3. Infine, la documentazione dell’azione in forma cartacea o scritturale non è
obbligatoria (tranne che per le azioni quotate). L’art. 2346, co.1, precisa
infatti che “lo statuto può escludere l’emissione di tali titoli” e in questa
eventualità accade che all’atto della creazione seguirà solo l’iscrizione
dell’azionista nel libro dei soci e all’atto del trasferimento seguirà
l’iscrizione dell’acquirente in tale libro. In questo caso la circolazione non è
soggetta alle regole cartolari e non viene dunque favorita la creazione di un
mercato secondario delle partecipazioni.

I titoli azionari cartacei


Il possesso dei titoli azionari da parte dell’azionista consente, anzitutto, di
riconoscergli la legittimazione all’esercizio dei diritti attribuitagli dalle azioni
possedute.
Nell’ipotesi dei titoli di credito, legittimato all’esercizio del diritto è il possessore del
titolo art.1992. Il possesso però non attribuisce di per sé la titolarità del diritto ma a
farlo è la legittimazione, che consiste nel potere di pretendere la prestazione dal
debitore senza dover provare la titolarità del diritto stesso, e il debitore, a sua volta,
sarà liberato dal suo obbligo se pagherà al legittimato senza dolo o colpa grave.
In secondo luogo, il possesso legittimo del documento conferisce pure la
titolarità dell’azione nel senso di non poter essere contestato un suo eventuale
acquisto a non dominio. Pertanto, l’investitore che decida di acquistare azioni, non
dovrà investigare circa la reale titolarità dell’ipotetico venditore, essendo sufficiente,
ai fini dell’acquisto della titolarità, che gli sia garantita l’assunzione del possesso
legittimo dei titoli stessi.

Trasferimento di titoli azionari e conseguimento della legittimazione


Le azioni delle società aventi sede nello Stato devono essere nominative.

Il trasferimento azionario si opera con la doppia annotazione del nome


dell’acquirente sul titolo e sul registro dell’emittente, o con rilascio in un nuovo
titolo intestato al nuovo socio.

217 Valentina Gilardoni


Il trasferimento delle azioni nominative può avvenire anche “mediante girata
autenticata dal notaio..

La dematerializzazione delle azioni


Il legislatore ha riservato la possibilità di emettere titoli azionari cartacei solo dove si
tratta della circolazione di azioni non quotate in mercati regolamentati. Invece, gli
strumenti negoziati o negoziabili in tali mercati, non possono essere
rappresentati da documenti: sistema di iscrizioni e annotazioni dei nomi degli
azionisti su registri tenuti da appositi intermediari.
Il sistema di dematerializzazione totale degli strumenti finanziari prevede la
necessaria scelta da parte dell’emittente di una società di gestione accentrata, a
cui affidare il ruolo di contabilizzare l’emissione e sovraintendere alle operazioni di
trasferimento.
L’emittente comunica “l’ammontare globale dell’emissione di strumenti finanziari, il
suo frazionamento e gli intermediari a cui accreditare i titoli emessi”, i quali saranno
banche, sim, agenti di cambio che per conto dei singoli clienti comunicheranno alla
s.p.a. le dichiarazioni di sottoscrizione. La società di gestione accentrata: apre per
ogni emissione un conto a nome dell’emittente; accende, per ogni intermediario
che gliene faccia richiesta, un conto destinato a registrare tutte le disposizioni
azionarie operate.
Si è detto che il titolare dei conti, ossia colui il quale ha ottenuto la
registrazione in suo favore, in base a titolo idoneo e in buona fede, non è soggetto
a pretese o azioni da parte dei precedenti titolari. A chi risulta titolare del conto
presso l’intermediario, l’emittente può opporre solo le eccezioni personali al
soggetto stesso e quelle comuni a tutti gli altri titolari degli stessi diritti.

La mancata emissione
La s.p.a. può anche statutariamente decidere di non adottare affatto strumenti rivolti
ad agevolare la rapida e sicura circolazione delle azioni, escludendo l’emissione dei
titoli (sia in forma cartacea che scritturale). Con riferimento alla disciplina della
circolazione delle azioni, in caso di non emissione dei titoli, la legge stabilisce che il
trasferimento delle azioni ha effetto nei confronti della società dal momento
dell’iscrizione nel libro dei soci.

I limiti statutari alla circolazione delle azioni


E’ principio generale dell’ordinamento delle s.p.a. la libera circolazione delle azioni.
Il legislatore prevede espressamente la possibilità che, nei casi di emissione di
azioni nominative o di mancata emissione dei relativi titoli, il principio di libera
circolazione delle azioni possa subire vincoli ad opera dell’autonomia statutaria.
È stabilito che le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal
titolo.

218 Valentina Gilardoni


1. Possibilità che si vieti del tutto, via statuto, il trasferimento delle azioni
(divieto di trasferimento). Esso è tuttavia temporalmente contenuto ex lege, ed
ha una durata massima di cinque anni dalla costituzione della società o dal
momento in cui il divieto viene introdotto.
2. Clausole statutarie “di prelazione”, con le quali viene stabilito che il socio che
intenda trasferire le azioni è vincolato a offrirle prima agli altri soci, i quali
avranno diritto ad essere preferiti nell’acquisto rispetto al terzo interessato.
3. Clausola di chiusura della compagine sociale è quella di gradimento che si
ha quando il trasferimento delle azioni viene subordinato al consenso degli
organi sociali.

Si tratta di una clausola lecita che deve essere però compatibile con la regola
secondo la quale l’azionista può vedersi concessa la possibilità di disinvestire.
Le clausole che subordinano il trasferimento delle azioni al “mero gradimento”
degli organi sociali sono inefficaci se non prevedono un obbligo di acquisto
oppure il diritto di recesso dell’alienante.

Amministrazione
Ha riforma del 2003 ha previsto la possibilità per la s.p.a. di adottare due sistemi
alternativi, cioè il sistema dualistico e il sistema monistico
Nel sistema dualistico: consiglio di sorveglianza (funzioni di controllo di legalità
della gestione, funzioni assegnate all’assemblea, come la nomina e la revoca degli
amministratori e l’approvazione del bilancio) e un consiglio di gestione; nel sistema
monistico: un comitato per il controllo sulla gestione.
In questo sistema, l’esercizio dell’impresa è interamente affidato all’organo
amministrativo, specializzato nell’attività di gestione e responsabile anche verso i
creditori ed i terzi per i danni arrecatogli con il proprio operato (art. 2392, 2394,
2395); viceversa, le decisioni di tipo organizzativo (nomina delle cariche sociali,
approvazione del bilancio, modifiche statutarie), sono rimesse alla competenza dei
soci, i quali sono destinatari dei risultati dell’attività sociale.
Inoltre, le società azionarie sono caratterizzate dalla presenza, all’interno
dell’organizzazione societaria, di un’autonoma funzione di controllo sulla legalità
e sulla correttezza della gestione imprenditoriale e dell’assetto aziendale, e sulla
regolarità dei bilanci e delle scritture contabili. La prima funzione è assegnata al
collegio sindacale (o al consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico, o al comitato
di controllo in quello monistico); la seconda al revisore, salvo che lo statuto assegno
tale compito al collegio sindacale.
I poteri dell’assemblea risultano arretrati rispetto alla posizione degli amministratori i
quali hanno una competenza esclusiva su tutto ciò che riguarda la gestione
dell’impresa sociale, ma questo non deve essere visto come rivolto ad attribuire
minore importanza agli interessi degli azionisti. Tali interessi possono essere tutelati
attraverso altri strumenti come la previsione di ampi spazi per il recesso dalla

219 Valentina Gilardoni


società (art. 2437), l’azione di responsabilità della minoranza (art. 2393), la
possibilità di impugnare le decisioni del consiglio (art. 2388).
Anche nelle società non quotate il modello organizzativo è caratterizzato da una
forte rigidità; infatti nelle s.p.a. è possibile semplificare solo alcuni aspetti
procedurali ed organizzativi “secondari”, mentre non si può intervenire sulle
caratteristiche principali del funzionamento di tale modello.

47. IL SISTEMA TRADIZIONALE L’ASSEMBLEA


L’assemblea dei soci è presente in tutti i sistemi di amministrazione e controllo, ma
le sue competenze risultano più limitate in caso di scelta del sistema dualistico.
L’assemblea è un organo rappresentativo degli azionisti della società, anche se non
è necessariamente composta da tutti gli azionisti. Tale possibilità rispetta le
esigenze delle società aperte, caratterizzate dal disinteresse di una rilevante parte
dei soci rispetto alla vita interna.
È un organo insopprimibile e necessariamente collegiale: lo statuto, infatti, può al
massimo consentire ai soci di esprimere il proprio per corrispondenza o
elettronicamente, ferma restando però la necessità di convocare e tenere la seduta
assembleare; pertanto, ogni avente diritto al voto ha il diritto di assistere ai lavori
assembleari per assicurare che le scelte fondamentali per la vita societaria
vengano adottate in seguito ad un procedimento che assicuri le esigenze di
partecipazione, ponderatezza e certezza delle decisioni.
Le competenze dell’assemblea sono determinate dalla legge e, salvo limiti
previsti da questa, non sono derogabili in favore di altri organi della società.

Infine, l’assemblea decide secondo la regola di maggioranza, sulla base di


aliquote di capitale fissate in misura variabile a seconda della materia (c.d.
quorum costitutivi e deliberativi), in tal modo si assicura che i soci di controllo
abbiano la possibilità di indirizzare la gestione e di adattare la struttura organizzativa
con modifiche statutarie.

Le competenze dell’assemblea
La divisione tra assemblea ordinaria e straordinaria ha la funzione di assicurare
che:
• le decisioni periodicamente necessarie per il funzionamento organizzativo
sociale siano adottate in “sede ordinaria”, secondo regole di funzionamento più
snello e una maggioranza meno elevata
• le decisioni riguardanti le regole di funzionamento (modifiche statutarie), le
vicende evolutive (liquidazione, trasformazione, fusione e scissione) e alla
struttura finanziaria (operazioni sul capitale, obbligazioni convertibili), siano
invece adottate in “sede straordinaria” secondo regole che assicurano una
maggiore partecipazione dei soci, grazie a quorum più elevati e la presenza del

220 Valentina Gilardoni


notaio.

1. Le competenze fondamentali e indisponibili dell’assemblea ordinaria sono: 1)


l’approvazione del bilancio e la destinazione degli utili; 2) la nomina e la revoca degli
altri organi sociali; 3) la determinazione del compenso degli amministratori e dei
sindaci 4) la deliberazione dell’azione di responsabilità contro altri organi della
società 5) ogni altra competenza rimessa da altre disposizioni di legge
all’assemblea dei soci, senza specificazione riguardo alla sede ordinaria o
straordinaria.
Si esclude che lo statuto possa attribuire all’assemblea ulteriori competenze,
rispetto a quelle previste dalla legge.
In generale, come si è detto, la gestione dell’impresa sociale spetta agli
amministratori in modo esclusivo, tuttavia l’art. 2364 consente allo statuto di
prevedere che, per certe operazioni, gli amministratori debbano ottenere
l’autorizzazione dell’assemblea.

Con l’autorizzazione, la legge esclude che lo statuto possa attribuire


all’assemblea una competenza diretta su atti di gestione e limita il suo
intervento al caso in cui gli amministratori abbiano già deliberato di compiere l’atto
e debbano quindi ricevere il consenso dell’organo assembleare per eseguire
l’operazione. Autorizzando l’operazione, l’assemblea non ne può però imporre il
compimento; infatti gli amministratori restano liberi di decidere di eseguirla o meno
e quindi anche di rivalutare la loro decisione, tanto è vero che l’autorizzazione non li
solleva dall’obbligo di valutare con la normale diligenza l’opportunità di compimento
dell’operazione, né dalla responsabilità per i danni che da questi derivano
eventualmente alla società.
Il ricorso del legislatore all’autorizzazione induce però a ritenere che, in caso di
diniego da parte dell’assemblea, gli amministratori non sono legittimate a
compiere l’operazione, in quanto il compimento dell’atto gestionale, nonostante la
mancata autorizzazione, li esporrà alla piena responsabilità per tutti i danni
conseguenti all’operazione compiuta, oltre a determinare la sussistenza di una
giusta causa di revoca.
Inoltre lo statuto può definire l’ambito di applicazione dell’autorizzazione,
individuando categorie di atti, secondo criteri di tipo quantitativo, qualitativo,
analitico (ad es. le cessioni d’azienda) o generico (ad es. operazioni aventi valore
strategico), fermo restando il principio secondo cui l’assemblea non può decidere
nella gestione corrente.
2. Le competenze fondamentali dell’assemblea straordinaria sono limitate alle
modificazioni statutarie e alla nomina dei liquidatori. Vi sono però anche altre
competenze stabilite dal codice civile e in particolare: la deliberazione di non
emissione delle azioni, l’emissione di obbligazioni convertibili in azioni,
l’autorizzazione alla concessione di prestiti e garanzie per la sottoscrizione o
l’acquisto di proprie azioni.
Il testo di tale articolo esclude la possibilità che lo statuto possa aumentare le

221 Valentina Gilardoni


competenze statutarie dell’assemblea straordinaria in quanto l’estensione delle
competenze può derivare solo da norme speciali di legge.
Viceversa, sono previste numerose ipotesi di delega all’organo amministrativo,
tramite clausola statutaria, del potere di deliberare modificazioni statutarie che
presentino carattere minore o che risultino collegate con l’ambito gestionale. Alcune
sono: 1) l’incorporazione di altre società già controllate per intero o quasi; 2)
istituzione o la soppressione di sedi secondarie; 3) il trasferimento della sede legale
nell’ambito del territorio nazionale;

Il procedimento assemblare
I momenti essenziali del procedimento collegiale hanno carattere formale e sono:
convocazione dell’organo (con relativo “ordine del giorno”), costituzione e riunione,
discussione, votazione e deliberazione, proclamazione e verbalizzazione.

Le regole di fonte legale possono essere integrate, e talvolta derogate, da apposite


clausole statutarie. Il rispetto di tali regole è condizione di validità delle deliberazioni:
salvo i due casi estremi di mancata convocazione e mancata verbalizzazione
che determinano la nullità della deliberazione (art. 2379), la non conformità della
deliberazione alla legge e allo statuto è causa di annullabilità della delibera (art.
2377), a meno che il vizio non risulti ininfluente sul risultato deliberativo.
La convocazione dell’assemblea
1. Convocazione, che è decisa dall’organo amministrativo ogni qual volta lo
ritenga opportuno. Al verificarsi di alcune circostanze, però, la convocazione
diviene obbligatoria: in particolare quando si determinano perdite superiori ad
un terzo del capitale sociale o si verifichi una causa di scioglimento della
società. Inoltre, la convocazione dell’assemblea ordinaria è obbligatoria in via
generale almeno una volta all’anno, per l’approvazione del bilancio.
La convocazione è obbligatoria anche se sussiste la richiesta della minoranza,
accompagnata dall’indicazione di argomenti da trattare e da tanti soci che
rappresentino 1/10 del capitale sociale o dalla minore percentuale minima
prevista nello statuto. Un rifiuto è legittimo solo se fondato su ragioni di
illegittimità della richiesta, ovvero su ragioni di abuso di diritto da parte della
minoranza.
2. L’atto di convocazione dell’assemblea è di competenza dell’organo
amministrativo e deve essere deliberato collegialmente. Questa regola è
derogabile in parte e si ritiene quindi che lo statuto può rimettere tale
competenza anche a singole cariche amministrative. L’avviso di
convocazione è emesso dal presidente del c.d.a. a meno che il consiglio non
autorizzi un altro amministratore indicato ad hoc. Altri soggetti titolari del potere
di convocazione, sono: i sindaci, il tribunale, l’amministratore giudiziario e i
liquidatori.
3. Le modalità di emanazione dell’avviso di convocazione variano a seconda
delle caratteristiche della società. Nelle società non quotate, esso deve essere

222 Valentina Gilardoni


pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica almeno quindici giorni
prima di quello fissato per l’adunanza.
Nelle società “chiuse” lo statuto può anche prevedere delle modalità di
convocazione più semplici e con termine ridotto, purché garantiscano la prova
dell’avvenuto ricevimento dell’avviso almeno otto giorni prima dell’assemblea.
Quindi può essere prevista la comunicazione per raccomandata con ricevuta di
ritorno, ma anche per posta elettronica certificata, telefax o consegnata
direttamente a mano dei soci. L’avviso di convocazione deve contenere tutte le
indicazioni relative alla data, all’ora e al luogo della riunione, oltre all’ordine
del giorno. Nelle società quotate, l’assemblea è convocata almeno trenta
giorni prima della data di svolgimento dell’assemblea, mediante avviso
pubblicato sul sito internet della società e con le altre modalità previste dalla
Consob.
4. Quanto al luogo della seduta, l’assemblea deve essere convocata nel comune
dove ha sede la società, a meno che lo statuto non autorizzi la convocazione
anche in luoghi diversi.
5. L’ordine del giorno ha la funzione di informare i soci sulle “materie” sulle quali
si dovrà discutere e deliberare. Non è necessario però che sia indicato il
contenuto di specifiche proposte che saranno avanzate dall’organo
amministrativo, quindi può essere “sintetico” ma non “generico”.
6. L’assemblea si reputa validamente costituita quando tutti i soci sono
presenti alla riunione (assemblea totalitaria:.

Costituzione dell’assemblea e validità delle deliberazioni


La validità delle deliberazioni assembleari della s.p.a. è subordinata al
raggiungimento di un quorum costitutivo, cioè della presenza alla riunione di un
numero minimo di azioni richiesto per la validità della seduta, ed al successivo
raggiungimento di un quorum deliberativo, cioè di una maggioranza di voti
favorevoli alla decisione, che può essere calcolata secondo diversi criteri: in
particolare, in base alla maggioranza, può essere semplice o rafforzata; in base al
computo, può essere prevista la maggioranza del capitale sociale o del solo
capitale presente in assemblea.

Per il calcolo del quorum costitutivo non devono computarsi le azioni


“istituzionalmente” prive del diritto di voto e di intervento, come le azioni di
risparmio e quelle a voto limitato. Devono computarsi le azioni “occasionalmente”
prive di tale diritto.
Con riferimento ad entrambi i paramenti, non si deve tener conto: a) delle azioni
del socio in conflitto di interessi, anche se non sia sospeso il suo diritto di voto,
qualora dichiari di astenersi in ragione della propria situazione personale; b) dei soci
il cui voto sia occasionalmente sospeso.

223 Valentina Gilardoni


In sede di prima convocazione, per l’assemblea ordinaria il quorum costitutivo è
pari alla metà del capitale sociale; il quorum deliberativo, invece, è pari alla
maggioranza assoluta del capitale avente diritto di voto e presente in assemblea.
Per l’assemblea straordinaria, invece, il quorum costitutivo è pari alla
maggioranza assoluta del capitale sociale; il quorum deliberativo è pari alla
maggioranza assoluta del capitale sociale. Tuttavia si ritiene generalmente
inammissibile, nella s.p.a., una clausola statutaria che imponga l’unanimità o
maggioranze così elevate da ostacolare il regolare funzionamento dell’assemblea.

Poiché l’art. 2368, co.2, consente le deroghe in aumento, è da ritenersi invece


illegittima la modificazione in diminuzione dei quorum, al fine di garantire
un’adeguata rappresentatività delle maggioranze assembleari, in materie di
particolare importanza. Se all’inizio della riunione si rileva la mancata formazione
del numero legale, il presidente dell’assemblea deve dichiarare la mancata
costituzione della seduta e l’assemblea viene convocata a nuova data. Per evitare
di riavviare tutto il procedimento ex novo, l’art. 2369 prevede l’istituto della
seconda convocazione. Essa deve essere fatta per un giorno diverso da quello
della prima, ma la seduta deve tenersi entro trenta giorni dalla prima.

I quorum legali per le assemblee in seconda convocazioni sono definiti dall’art.


2369. Per l’assemblea ordinaria non è previsto nessun quorum costitutivo, mentre il
quorum deliberativo non è stabilito per cui deve applicarsi la maggioranza assoluta
del capitale presente.
Per l’assemblea straordinaria, il quorum costitutivo è pari a un terzo del capitale
sociale e il quorum deliberativo ai due terzi del capitale rappresentato in assemblea.
Lo statuto può richiedere maggioranze più elevate, tranne che per l’approvazione
del bilancio e per la nomina e la revoca delle cariche sociali.
L’intervento
Il diritto di intervenire in assemblea spetta, oltre a tutti i componenti dell’organo
amministrativo e dell’organo di controllo, anche a tutti gli azionisti titolari di diritto
di voto.

A. Non hanno diritto di intervento gli azionisti privi del diritto di voto.
B. Per essere ammesso alla singola assemblea, l’azionista deve dimostrare la
propria legittimazione. Salvo il caso in cui non siano stati emessi titoli, occorre
distinguere a seconda che l’azione sia documentata in un titolo cartaceo o risulti
immessa nei sistemi di gestione accentrata.
Nella prima ipotesi il socio deve esibire i titoli azionari. La sua identità e la sua
legittimazione cartolare verranno accertate seduta stante dal presidente
dell’assemblea. Per le società con azioni dematerializzate, il controllo della
legittimazione è demandato agli intermediari presso cui sono registrate le azioni,
i quali effettuano una comunicazione alla società, dietro richiesta del socio.
C. Ammissibilità dell’intervento telematico e del voto per corrispondenza dietro
previsione di un’apposita clausola statutaria.

224 Valentina Gilardoni


Nel primo caso, la partecipazione del socio avviene mediante l’utilizzo di mezzi
di telecomunicazione: ai soci che partecipano a distanza deve essere data la
possibilità di intervenire attivamente anche nella discussione assembleare e
votare simultaneamente agli altri soci; deve essere garantita la parità di
trattamento tra partecipanti e la possibilità di identificarli in maniera attendibile.
Nel caso di voto per corrispondenza, il socio non partecipa alla seduta
assembleare ma invia il proprio voto prima della seduta, in forma cartacea o
elettronica, con le modalità indicate nello statuto.

La rappresentanza in assemblea
Agli azionisti è consentito partecipare all’assemblea personalmente oppure
mediante un proprio rappresentante.
La delega deve essere SEMPRE conferita per ISCRITTO e i relativi documenti
devono rimanere conservati dalla società; è prescritta la NULLITÀ della DELEGA
IN BIANCO, ovvero priva di indicazioni del nome del delegato; la PROCURA è
REVOCABILE, anche se sia conferita nell’interesse del delegato.
Nelle sole società che fanno ricorso al mercato del capitale del rischio, ivi
incluse le quotate, la procura può essere solo per singole assemblee. Nelle
società chiuse la delega per più assemblee è invece ammessa; è consentita sia
la delega generica a partecipare a tutte le assemblee di una determinata società, sia
la DELEGA a partecipare a tutte le assemblee in cui il socio detenga partecipazioni.
Per le società chiuse, diffuse, no società quotate -> NUMERO MAX di DELEGATI
rappresentabili da parte di un singolo delegato è definito: 20 società chiuse,
50,100,200 società diffuse a seconda dell’entità del capitale.
Società non quotate -> divieto di delega a favore di membri degli organi di
amministrazione e controllo e di dipendenti della società; istituti specifici quali :
rappresentante designato dalla società, a cui ciascun socio potrà conferire una
delega, impartendo istruzioni di voto cui il rappresentante dovrà attenersi;
SOLLECITAZIONE DI DELEGHE, ovvero particolare procedura di agevolazione della
rappresentanza assemblare .

Lo svolgimento dei lavori


Il presidente dell’assemblea ha un ruolo di particolare importanza nel procedimento
collegiale: il controllo sulla regolare costituzione dell’organo, incluso
l’accertamento dell’identità e della legittimazione dei presenti; la direzione dei
lavori; lo scrutinio e la proclamazione dei risultati; la verbalizzazione.

Il presidente dell’assemblea è rappresentato dalla persona indicata nello statuto


(presidente del c.d.a. o ad altra carica amministrativa) o, in mancanza, da quella
eletta con il voto di maggioranza dei presenti (calcolata per teste), ed è di norma
affiancato da un segretario, eletta nelle stesse modalità del presidente.

225 Valentina Gilardoni


Le funzioni del segretario possono essere assunte dal notaio al quale è affidata la
verbalizzazione.

È preferibile ritenere che il presidente non sia revocabile neanche in caso di giusta
causa. Se invece è nominato dall’assemblea, prevale il principio della revocabilità di
tutte le cariche in cui ricorra una giusta causa, in caso di abuso di poteri
presidenziali o di manifesta incapacità a condurre i lavori assembleari.
Un punto molto delicato nello svolgimento dei lavori assembleari, è costituito
dall’esercizio del diritto di informazione da parte degli azionisti: domande rivolte
agli amministratori che hanno il dovere di rispondere, purché la domanda sia
pertinente e la materia di cui si tratta non sia coperta da segreto aziendale. Il
presidente deve rispettare innanzitutto l’ordine del giorno, evitando così
allargamenti o restrizioni ingiustificate della materia in discussione. Anche la
successione degli argomenti contenuta nell’ordine del giorno dev’essere
rispettata. La discussione deve essere regolata in modo da evitare ogni
discriminazione a danno degli azionisti, ma è possibile adottare un limite ai tempi
di discussione. Il presidente può anche sciogliere la seduta, nel caso in cui non
sussistano le condizioni per un ordinato svolgimento dei lavori. In ordine alla
votazione, deve innanzitutto essere scelto il metodo, dal presidente. Fra i
possibili metodi di voto vi sono: le dichiarazioni verbali, il metodo per alzata di
mano, il metodo per acclamazione, l’utilizzo di schede precompilate. La votazione
deve essere simultanea, causa l’alterazione nella successione nelle varie fasi. Non è
ammissibile invece il sistema del voto segreto: identificazione nel verbale dei
soci favorevoli, contrari e astenuti. Inoltre il voto segreto comporta delle
complicazioni ai fini dell’esercizio del diritto di impugnazione e del diritto di recesso,
che spettano ai dissenzienti o astenuti. Infine, il voto segreto è incompatibile con la
disciplina del conflitto di interessi, la cui applicazione impone di verificare come
abbia votato ogni socio. Subito dopo la votazione, deve essere accertato il risultato
dei lavori e il presidente deve effettuare la c.d. proclamazione (cioè la dichiarazione
che l’assemblea ha accolto, o rigettato, le singole proposte di deliberazione), con la
conseguenza che la trattazione del relativo punto all’ordine sia esaurito.
La verbalizzazione
Le deliberazioni devono infine risultare da un verbale, che ha la funzione di
documentare lo svolgimento dell’assemblea, e ha carattere obbligatorio e
necessario, in quanto la sua assoluta mancanza determina la nullità della
deliberazione (art. 2379), mentre le irregolarità nella sua redazione determinano
l’annullabilità della delibera.

In caso di assemblea straordinaria, il verbale deve essere redatto da un notaio,


che lo sottoscrive insieme al presidente. Il notaio che ritrovi nella decisione un
profilo concreto di nullità, è tenuto comunque alla sua redazione in quanto è tenuto
a documentare ciò che accade realmente, ma successivamente non procederà
all’iscrizione nel registro delle imprese, bloccando così l’operatività della
delibera.

226 Valentina Gilardoni


In caso di assemblea ordinaria, il verbale è redatto insieme e sottoscritto dal
presidente e dal segretario.

Riguardo al contenuto del verbale deve essere “analitico”, cioè deve indicare
l’identità dei partecipanti, il capitale rappresentato in assemblea, le modalità e il
risultato delle votazioni, e deve consentire l’identificazione dei soci favorevoli,
contrari e astenuti.
Nel verbale devono essere anche riassunte le dichiarazioni, purché pertinenti
all’ordine del giorno. La verbalizzazione inesatta o incompleta, determina
l’annullabilità. Esso può essere redatto in data posteriore alla seduta assembleare,
purché senza ritardo e in tempo utile per gli obblighi di deposito e
pubblicazione. L’omessa verbalizzazione entro tali termini, determina la nullità della
deliberazione, salva la sanatoria per verbalizzazione tardiva che può farsi valere nel
termine di tre anni.

Il conflitto d’interessi

L’esercizio del diritto di voto costituisce un diritto di partecipazione del singolo ed è


pertanto rimesso al libero apprezzamento del socio, che può scegliere
autonomamente di partecipare o meno all’assemblea e di votare a favore o contro le
singole proposte.
Il componente dell’organo che si trovi in conflitto d’interessi con l’ente, dovrebbe
astenersi dal partecipare alla votazione sulla materia oggetto di conflitto.
Tale conflitto si verifica solo quando l’interesse personale del socio sia contrapposto
a quello della società, e cioè quando il socio è posto nell’alternativa di privilegiare
l’interesse sociale o quello personale.

In sostanza la legge non impone all’azionista di orientare il proprio voto in modo da


perseguire l’interesse sociale, dopo aver proceduto ad una valutazione di questo.
L’ordinamento non gli impone neanche di partecipare alle assemblee e di votare,
neppure quando una delibera è vitale per la società. Ancora, la legge non si occupa
neanche dell’ipotesi in cui l’azionista persegue, con il proprio voto, un interesse
extrasociale, finché questo non entra in contrasto con quello sociale.

Il legislatore non sancisce però un obbligo di astensione a carico dell’azionista in


caso di conflitto d’interessi, disponendo che il suo voto costituisce causa di
annullabilità della deliberazione solo quando: a) sia stato determinante b) abbia
contribuito ad approvare una deliberazione idonea a danneggiare la società.

L’idoneità a danneggiare la società deve comunque essere intesa in senso oggettivo


e non va confusa con la circostanza che l’azionista, attraverso un atto deliberativo,
realizzi anche i propri personali interessi. Per questa ragione la giurisprudenza
ritiene che le delibere di nomine a cariche sociali siano valide, anche nel caso in cui
determinati azionisti abbiano votato per sé stessi.

L’unica ipotesi in cui il codice vieta il voto è quella per i soci-amministratori nelle

227 Valentina Gilardoni


delibere che riguardano la loro responsabilità. In queste ipotesi il socio è privo di
legittimazione al voto, per cui il presidente dell’assemblea ha il dovere di escluderlo
dalla votazione, fermo restando il suo diritto di partecipare alla discussione.

L’abuso di maggioranza
Situazione diversa è quella che si determina se una deliberazione viene assunta
dalla maggioranza per danneggiare non la società, ma i soci in minoranza: tale
situazione viene definita come abuso di maggioranza.

A questo riguardo, è accettata la tesi secondo cui la deliberazione assembleare


deve rispettare il principio di buona fede ed è annullabile per non conformità alla
legge in caso di violazione. La sanzione consiste nell’annullamento della delibera
e nel risarcimento del danno a carico dell’azionista e a favore dei soci danneggiati.

L’ostruzionismo della minoranza


Accanto al problema dell’abuso di potere della maggioranza, vi è anche quello
dell’abuso di potere della minoranza, e cioè del caso in cui l’adozione della
delibera sia impedita dal comportamento di alcuni soci, finalizzato al
raggiungimento di interessi extra sociali. Questo accade più facilmente nel caso in
cui le partecipazioni sono divise fra due soci in parti uguali, o nel caso di assemblee
straordinarie di società aperte, in cui si delibera con il voto favorevole di almeno due
terzi del capitale presente, dal momento che il socio detentore di più del terzo dello
stesso può far rigettare qualsiasi proposta.

La giurisprudenza ritiene che non si possa annullare il voto e non si può attuare un
accertamento dell’approvazione della proposta sostenuta dal voto degli altri
azionisti. L’impugnazione della deliberazione negativa è inammissibile.
Appare però corretto negare all’autorità giudiziaria di poter sostituire la
deliberazione invalida con quella che sarebbe derivata se i soci di minoranza non
avessero votato in senso contrario. L’annullamento delle deliberazioni negative
dovrebbe avere quindi solo l’esito di imporre che l’assemblea venga
riconvocata sullo stesso ordine del giorno.

48. GLI AMMINISTRATORI


Nel sistema tradizionale di amministrazione e controllo, la gestione dell’impresa
societaria è affidata all’organo amministrativo, che può essere a composizione
unipersonale o pluripersonale (consiglio di amministrazione). Gli amministratori
hanno una competenza esclusiva sull’attività di gestione e quindi sul compimento
di tutte le operazioni volte ad attuare l’oggetto sociale.

La competenza esclusiva dell’organo amministrativo è inderogabile e può essere


limitata solo nei casi previsti dalla legge.
L’assemblea, invece, non ha poteri decisionali in materia gestoria e può incidere

228 Valentina Gilardoni


solo indirettamente grazie a: i) potere di scelta dei “governanti” dell’impresa; ii)
potere di controllo; iii) potere normativo; iv) potere autorizzatorio su singoli atti di
competenza degli amministratori attribuito dallo statuto.

Nomina degli amministratori e costituzione del rapporto di amministrazione


L’assemblea ordinaria nomina con propria deliberazione i candidati alla carica
gestoria. Lo statuto fissa la composizione numerica, ossia l’assemblea.

La competenza assembleare per la nomina è sancita in base a un principio


fondamentale, inderogabile dagli statuti. Il codice civile fissa, inoltre, alcune deroghe
che prevedono la possibilità di nomine separate:
• Si consente che lo statuto attribuisca il potere di nomina di un consigliere
indipendente ai portatori di strumenti finanziari partecipativi
• Possibilità che lo statuto assegni il potere di nomina esterna di “un numero di
amministratori”, purché “proporzionale alla partecipazione al capitale sociale”, ad
enti pubblici titolari di partecipazioni in s.p.a. che non fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio.
In materia di nomina degli amministratori, non sono stabilite norme generali a tutela
delle minoranze, ma gli statuti possono stabilire norme volte a garantire la c.d.
rappresentanza delle minoranze con diverse tecniche.
L’elezione con voto di lista è la tecnica maggiormente diffusa nella pratica
statutaria per consentire la nomina di “rappresentanti di minoranza”, tanto che il
legislatore ne ha imposto l’utilizzo alle società quotate per l’rogano di controllo.
Nelle società quotate è stabilito che almeno un componente del c.d.a. deve
essere espresso da una lista di minoranza.

I requisiti per la nomina. L’amministratore c.d. indipendente


Possono essere nominati amministratori di s.p.a. sia soci, sia terzi, che non siano
soci. Lo statuto però potrebbe scegliere di limitare l’eleggibilità ai soli soci.

I soci trovano tuttavia dei limiti nella scelta degli amministratori. Infatti l’ordinamento
prevede delle cause legali di ineleggibilità e di decadenza dalla carica, quali
l’incapacità legale, il fallimento e le condanne penali.
La nomina del soggetto ineleggibile è nulla e se la causa di ineleggibilità
sopravviene, l’amministratore decadrà automaticamente dal suo ufficio.
Il modello legale prevede requisiti di professionalità e onorabilità per gli
amministratori delle s.p.a. quotate o per alcune società a statuto speciale.

Il divieto di concorrenza
Per l’ipotesi di concorrente chiamato alla carica di amministratore, vi è un divieto di
concorrenza, sancito a carico di determinati soggetti.

229 Valentina Gilardoni


Tale divieto viene in rilevo solo con riferimento ad un’attività svolta in altra
impresa in concorrenza attuale o potenziale con quella svolta dalla società.
Esso, quindi, vieta espressamente all’amministratore l’esercizio di impresa
individuale, di attività concorrente per conto altrui, l’assunzione di qualità di
socio illimitatamente responsabile, e l’assunzione della qualità di
amministratore o direttore generale di altra impresa.

Però è possibile un’autorizzazione in deroga al divieto, che deve essere assunta


da una delibera formale dell’assemblea ordinaria, senza necessitare di una
specifica motivazione. L’eventuale violazione di tale divieto, può esporre
l’amministratore a revoca per giusta causa e a risarcimento dei danni.

L’accettazione della carica. L’amministratore di fatto.


L’assunzione della carica di amministratore non è automatica, ma richiede un atto di
accettazione, che può essere anche tacito. È richiesta l’iscrizione dei dati
anagrafici nel termine di trenta giorni dalla notizia della nomina, a cura di
ciascun amministratore.
È negato alla persona giuridica di essere nominato come amministratore.

Possono però, al contrario, essere amministratori anche l’amministratore di fatto,


ossia un soggetto che si inserisce nella gestione della società che svolge compiti
amministrativi e talvolta anche rappresentativi, se munito di procure speciali
provenienti dagli amministratori di diritto della società. In questo caso la
giurisprudenza riconosce che l’amministratore di fatto abbia gli stessi poteri e le
stesse responsabilità proprie dell’amministratore di diritto.

La cessazione degli amministratori


La durata massima della carica è di tre anni. La norma è inderogabile, restando
quindi inammissibili amministratori a vita o in posizione privilegiata al mantenimento
della carica.
L’amministratore cessa dalla carica anzitutto per i) scadenza del termine ii) rinunzia
iii) revoca; iv) cause di decadenza previste ex lege o dallo statuto; e v) decesso.

Dove interviene la cessazione di uno o più amministratori per tali cause, la disciplina
tende a salvaguardare l’efficienza dell’organizzazione societaria, ovviando a
soluzioni di continuità dell’esercizio della funzione amministrativa.
1. Illimitata prorogatio dell’organo amministrativo (cioè della permanenza in
carica) fino alla sua sostituzione da parte dell’assemblea.
2. Le dimissioni dell’amministratore sono ammesse dalla legge e non
richiedono la forma scritta ad substantiam. Non necessitano neanche di una
giustificazione, né comportano alcun obbligo di indennizzo verso la società. La

230 Valentina Gilardoni


rinunzia ha effetto immediato e una volta comunicata non può essere
revocata. La regola dell’effetto immediato è però derogata quando comporta
una paralisi dell’organo amministrativo, o per il venir meno della maggioranza
dei componenti in carica, o nel caso in cui il dimissionario sia amministratore
unico. In questi casi, la rinunzia ha effetto solo dal momento della sostituzione
dell’organo amministrativo.
3. La revoca dell’amministratore, invece, può essere esercitata, senza limiti, da
parte dell’assemblea ordinaria. Sono prevista anche ipotesi di revoca di diritto
e di revoca giudiziale. La delibera di revoca non richiede alcuna motivazione e la
sua efficacia non è subordinata alla sussistenza di una giusta causa. La
mancanza di giusta causa, però, dà luogo al diritto al risarcimento del danno a
favore dell’amministratore revocato.

La sostituzione degli amministratori cessati. La cooptazione.


Se nel corso del mandato vengono a mancare uno o più amministratori, per cause
diverse dalla revoca assembleare, soccorre la disciplina della sostituzione degli
amministratori.

In particolare, in caso di cessazione di uno o più consiglieri, ma solo se rimane in


carica la maggioranza degli amministratori di nomina assembleare, si prevede il
potere di cooptazione (scelta) di membri del consiglio di amministrazione, con
deliberazione del consiglio stesso, la quale deve essere approvata dai sindaci.

L’amministratore cooptato dura in carica fino all’assemblea immediatamente


successiva alla nomina, la quale potrà confermarlo.

Quando però viene meno la maggioranza degli amministratori nominati


dall’assemblea, quelli rimasti in carica devono convocare l’assemblea per la
sostituzione dei mancanti. In mancanza di diversa disposizione, il componente
cooptato, e confermato dall’assemblea, scadrà dalla carica contemporaneamente
alla scadenza del mandato di quei consiglieri che si trovavano in carica all’atto della
sua nomina.
I soci possono introdurre in statuto la clausola simul stabunt simul caden, al fine
di mantenere nel tempo gli equilibri fra le diverse componenti consiliari. Questa
clausola fissa la regola che qualora venissero a mancare nel corso del mandato uno
o più amministratori cesserà l’intero consiglio.

Struttura e funzionamento dell’organo di amministrazione


Lo statuto può anche limitarsi a fissare un numero minimo e massimo, chiedendone
la determinazione all’assemblea ordinaria. Tuttavia nelle s.p.a. quotate, deve
prevedersi necessariamente un c.d.a., con amministratore di minoranza e/o
indipendente.

231 Valentina Gilardoni


Consiglio di amministrazione e presidente
Se gli amministratori sono più di uno, essi costituiscono il consiglio di
amministrazione, e l’amministrazione dovrà allora essere attuata con metodo
collegiale. Vi è la figura del presidente del consiglio di amministrazione che può
essere nominato direttamente dall’assemblea o essere eletto dal consiglio stesso
fra i suoi componenti.
A lui spettano i) la convocazione dell’organo; ii) la fissazione dell’ordine del giorno;
iii) la direzione della discussione; iv) la proclamazione dei risultati della votazione; v)
la verbalizzazione dove non sia previsto l’intervento del notaio.
Nel definire i poteri organizzativi del presidente, la disciplina ha formalizzato anche
le fasi del procedimento deliberativo.
1. La convocazione di tutti i consiglieri è essenziale per la legittimità della
deliberazione nelle forme previste dallo statuto. Essa è disposta dal presidente
che emana un avviso, ma ciascun componente ha il potere di richiedere che
venga convocato il consiglio dal presidente.
2. L’avviso deve contenere l’ordine del giorno, che non è derogabile da parte del
consiglio.
3. Il quorum costitutivo della “presenza della maggioranza degli amministratori in
carica” e con il quorum deliberativo della “maggioranza assoluta dei presenti”.

Le deliberazioni del consiglio di amministrazioni possono essere impugnati in caso


di non conformità alla legge o allo statuto. Lo statuto della s.p.a. può legittimamente
prevedere maggioranze qualificate, ma non anche la regola dell’unanimità.

L’impugnazione delle delibere consiliari


La disciplina non distingue tra casi di nullità e annullabilità: tutti i possibili vizi delle
deliberazioni consiliari integrano sempre una causa di annullabilità, da far valere
nel termine di novanta giorni dalla data della deliberazione.

La legittimazione ad impugnare è attribuita agli amministratori assenti o


dissenzienti o astenuti e al collegio sindacale, per impedire la produzione di un
danno alla società. Anche il singolo socio è legittimato ad impugnare la
deliberazione qualora sia lesiva dei suoi diritti, cioè quando pregiudica situazioni
soggettive che nascono all’interno dell’organizzazione societaria. Rimangono in
ogni caso salvi i diritti acquistati dai terzi di buona fede.

L’amministrazione delegata
Le funzioni amministrative possono essere delegate dal consiglio ad uno o più dei
propri componenti (amministratori delegati) o ad un collegio ristretto composto
sempre dai propri componenti denominato comitato esecutivo. Gli amministratori
delegati possono essere chiamati a formare un comitato esecutivo. A questo organo

232 Valentina Gilardoni


è affidata non solo la gestione complessiva, a cominciare dal day-by-day
management, ma anche la predisposizione delle linee strategiche dell’impresa che
poi devono essere oggetto d’esame del consiglio.

Il plenum del consiglio, rimanendo titolare della funzione amministrativa, anche se


non esercita direttamente le funzioni gestorie delegate, avrà comunque il dovere di
vigilare sull’operato del delegato e di intervenire dove occorra, con diverse
conseguenze in base a presupposti di responsabilità dei consiglieri deleganti e dei
consiglieri delegati, se questi ultimi abbiano compiuto atti di mala gestio nelle
materie loro delegate ai danni della società, dei creditori, dei singoli soci e dei terzi.

La delega è soggetta all’autorizzazione di un’apposita clausola statutaria o di


una deliberazione dell’assemblea ordinaria, ed è attribuita con delibera
consiliare; inoltre è esclusa l’ammissibilità di una delega generica che non contiene
la determinazione dei poteri delegati; mentre è ammissibile una delega generale.

Alcune competenze rimangono però non delegabili (come la redazione del


progetto di bilancio, l’aumento del capitale) e riservate al consiglio.
Gli organi delegati hanno comunque competenze ex lege, derogabili a favore
della competenza del consiglio. L’organo delegato ha anche la competenza di
deliberare sui “piani strategici industriali e finanziari della società”.
Il consiglio mantiene una competenza concorrente e sovraordinata sulle
materie delegate. Dunque, nell’insieme, il consiglio conserva tali poteri/doveri: a)
indirizzo; b) avocazione (sospensione della delega per singoli atti); c) sostituzione; d)
controllo.

Gli amministratori delegati hanno l’obbligo di fornire regolarmente informazioni


essenziali agli altri organi sociali con periodicità non inferiore a sei mesi (tre
mesi nelle quotate), sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile
evoluzione, nonché sulle operazioni di maggior rilievo effettuate dalla società e dalle
sue controllate. L’obbligo di vigilanza del consiglio è fissato dalla disposizione per
cui il consiglio “valuta sulla base della relazione degli organi delegati, il generale
andamento della gestione”.

L’attività valutativa del consiglio è estesa a tutti gli elementi contenuti nei rapporti
periodici dei delegati. La disciplina impone anche a tutti gli amministratori un
obbligo di “agire in modo informato” e li rende responsabili per non avere assunto
le opportune iniziative, in relazione alle informazioni possedute, avendo il singolo
amministratore l’obbligo di attivarsi per impedire il realizzarsi di eventi dannosi.

Gli interessi degli amministratori


Gli amministratori, diversamente dai soci, non sono titolari di un interesse, ma
gestori di un interesse altrui, e come tali sono soggetti a regole di comportamento

233 Valentina Gilardoni


che attengono all’obbligo di diligente gestione, e all’obbligo del perseguimento
dell’interesse sociale.

Può accadere, tuttavia, che l’amministratore si trovi ad avere interessi diversi da


quello sociale. Al fine quindi di prevenire distorsioni nell’esercizio del proprio
compito, l’ordinamento predispone una disciplina inderogabile dagli statuti e
rafforzata da tutela penale, che impone obblighi di trasparenza a carico degli
amministratori stessi, che dovranno informare sia tutti gli altri componenti
dell’organo di gestione, sia i sindaci, nei casi in cui siano portatori di interessi
personali, per conto proprio o di terzi.
Diventa un vero e proprio obbligo di astensione, quando la situazione si presenta
in capo ad un amministratore delegato.
Se portatore di interesse è invece l’amministratore unico, questi non è
obbligato ad astenersi, ma solo a comunicare ai sindaci la situazione in cui si
ritrova per poi “darne notizia anche alla prima assemblea utile”.

Il consigliere latore dell’interesse, oltre all’obbligo di informare, ha anche quello


di votare in modo non pregiudizievole all’interesse della società. Non è invece
obbligatoria l’astensione al voto.
La delibera assunta in violazione della disciplina è invalida. In caso di mancato
adempimento degli obblighi sia di comunicazione che di motivazione, o voto
determinante dell’amministratore interessato, la delibera è soggetta ad
impugnazione, entro 90 giorni, ma solo quando possa arrecare danno alla
società. Resta ferma comunque la tutela risarcitoria per violazione della disciplina
sugli interessi degli amministratori, anche per il danno da lucro cessante. La tutela
risarcitoria sussiste anche nell’ipotesi in cui l’amministratore si approfitti,
nell’interesse personale o di terzi, di informazioni che ha acquisito nell’esercizio
delle sue funzioni all’interno della società (corporate opportunities).

Le operazioni con parti correlate


Una disciplina speciale, si applica solo alle società che fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio. Essa si sostanzia in un obbligo di informazione al mercato e in un
obbligo di istruttoria per i casi in cui il rischio di decisioni in conflitto di
interessi è maggiore, che ricorre tutte le volte in cui l’organo amministrativo deliberi
di realizzare un’operazione economica che ha come controparti soggetti
particolarmente “prossimi” alla società e che la disciplina qualifica come “parti
correlate”. Tali operazioni devono avvenire secondo principi di trasparenza e
correttezza sostanziale e procedurale. La concretizzazione finale delle regole
avviene con un regolamento interno approvato previo parere motivato favorevole di
un comitato composto soltanto da amministratori Il sistema procedurale è l’aspetto
saliente della disciplina. Esso prevede generali obblighi di approfondita istruzione
sull’interesse della società al compimento dell’operazione nonché sulla convenienza
e sulla correttezza sostanziale delle relative condizioni.

234 Valentina Gilardoni


I compensi degli amministratori
L’esercizio delle funzioni dell’amministratore avviene normalmente a titolo oneroso:
il diritto al compenso dell’amministratore nasce direttamente ex lege e non
richiede apposita clausola statutaria, né deliberazioni assembleari.
A. I compensi agli amministratori sono stabiliti, in via generale, dalla stessa
assemblea che li nomina
B. I compensi del comitato esecutivo possono essere stabiliti direttamente
dall’assemblea o dal consiglio all’atto di nomina
C. I compensi degli amministratori “investiti di particolari cariche in conformità allo
statuto” e cioè del presidente e degli amministratori delegati, sono stabiliti dal
consiglio di amministrazione, all’atto della nomina o della delega, previo
parere del collegio sindacale.

La compensazione esige un grado di trasparenza: nelle società non quotate


indicare nella nota integrativa solo l’ammontare cumulativo dei compensi degli
amministratori.
Nelle società quotate, è necessaria l’indicazione dei compensi percepiti da ciascun
componente.
La rappresentanza
La società opera all’esterno attraverso persone fisiche. Quindi è necessario
individuare una o più persone che abbiano il potere di agire in nome e per conto
della società.

Si distingue, a tale proposito, fra


1. rappresentanza volontaria: eventuale ed è disciplinata da mere regole generali.
Si tratta di una rappresentanza di secondo grado che può essere conferita con
una procura speciale da parte del rappresentante statutario. Se la società è
anche titolare di un’impresa commerciale, vi è poi anche la possibilità, oltre a
quella di rappresentanza fondata su procura speciale, di una rappresentanza
commerciale.
2. rappresentanza organica: necessaria per la società per poter agire all’esterno,
può essere attribuita solo ad uno o più amministratori, con indicazione
inserita nello statuto che gli stessi amministratori potrebbero modificare su
delega statutaria. Qualora siano individuati più amministratori come
rappresentanti, lo statuto stesso preciserà se il potere di rappresentanza è
attribuito in via congiuntiva o disgiuntiva. Gli eventuali limiti statutari
dell’ambito della rappresentanza non sono opponibili, anche se pubblicati
nel registro delle imprese, tranne al terzo che abbia intenzionalmente agito a
danno della società. Nella stessa disciplina rientra il diverso caso in cui l’atto
compiuto dal rappresentante non sia tanto il violazione di espressi e precisi limiti
statutari, ma risulti persino estraneo all’oggetto sociale. in quanto esso
costituisce un limite implicito ai poteri di rappresentanza statutari. La società

235 Valentina Gilardoni


potrebbe opporre il superamento al terzo solo nella misura in cui rientri nella
specie dell’exceptio doli.

La norma protegge i terzi non solo nel caso di vizio del potere rappresentativo
derivante dalla violazione di clausole statutarie, ma anche nel caso di limiti legali, in
cui il vizio sia costituito dalla violazione di una norma di legge.

Diverso trattamento riceve l’atto compiuto dal rappresentante in situazione di


conflitto d’interessi, che trova un regime speciale più severo per il terzo, in quanto
entra in gioco la disciplina dell’annullabilità tutte le volte in cui il rappresentante
abbia agito in conflitto di interessi, senza il supporto di una delibera autorizzativa
del consiglio di amministrazione.

Le azioni di responsabilità contro gli amministratori.


Le regole generali sulla responsabilità civile degli amministratori per violazione di
obblighi inerenti al proprio ufficio prevedono tre ipotesi di responsabilità civile: verso
la società, verso i creditori sociali e verso i singoli soggetti.

La responsabilità verso la società: presupposti


La responsabilità degli amministratori verso la società è un tipo di responsabilità
contrattuale, per inadempimento dell’obbligo di corretta amministrazione e in
particolare per violazione dei doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto, a cui
devono adempiere con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro
specifiche competenze (art. 2392, co.1). Il danno risarcibile si ritrova in tutti i casi in
cui la cattiva gestione porti ad un deterioramento dello stato patrimoniale o del
conto economico della società.
La responsabilità contrattuale degli amministratori è fondato su un criterio di
colpevolezza.
La colpa dell’amministratore nella violazione dell’obbligo generale di diligenza va
valutata secondo tre criteri: negligenza, imprudenza e imperizia. Con riguardo
all’imprudenza, l’obbligo di diligente gestione si dirà violato solo quando
l’amministratore abbia fatto scelte assolutamente irrazionali e incompatibili con la
logica d’impresa.
Se si rileva che vi sia stata violazione del dovere generale di diligenza, la prova
della colpa deve essere data dalla società attrice. Se, invece, si rileva la
violazione di un obbligo specifico di diligenza, l’onere della prova a carico della
società attrice consisterà solo nella prova dell’inadempimento e non anche della
colpevolezza. Resta però sempre salva la prova dell’errore scusabile da parte
dell’amministratore convenuto, il quale sarà esente da responsabilità se dimostra
una causa che ha reso impossibile l’adempimento o dimostri un “fatto impeditivo”
dell’adempimento. La responsabilità degli amministratori è poi solidale e si
estende ai c.d. amministratori di fatto.

236 Valentina Gilardoni


In proposito la disciplina distingue tra una responsabilità diretta di ciascun
consigliere di amministrazione, che sorge per gli atti di competenza del consiglio di
cui fa parte, ed una responsabilità per omessa o difettosa vigilanza, che può
addebitarsi al singolo consigliere non delegato rispetto ad atti di competenza di
amministratori delegati.
Al riguardo, agli amministratori è imposto un obbligo di intervento tutte le volte sia
a conoscenza di fatti pregiudizievoli per impedirne il compimento o eliminarne
o attenuarne le conseguenze dannose.
Il singolo amministratore può però sottrarsi dal vincolo di solidarietà nella
responsabilità con gli altri amministratori dando la prova contraria, dimostrando
di essere estraneo al vincolo di solidarietà in ragione della lontananza che
separa il singolo comportamento dannoso compiuto da un altro
amministratore, rispetto alla sfera di funzioni che gli competono o al proprio
ambito di competenze professionali.
Anche se l’amministratore non è in grado di sottrarsi al vincolo di solidarietà,
dispone comunque di un mezzo per separare la propria posizione dagli atti
produttivi di responsabilità, rispettando la procedura di dissociazione. Tale
procedura lo esonera da responsabilità a tre condizioni: i) che faccia annotare il
suo dissenso senza ritardo nel libro delle adunanze del consiglio; ii) che informi
immediatamente del suo dissenso il presidente del collegio sindacale; iii) che
l’amministratore che si sia dissociato risulti effettivamente esente da colpe.

L’azione di responsabilità.
L’azione sociale di responsabilità necessita di deliberazione dell’assemblea
ordinaria, anche se non è indicato nelle materie da trattare (art. 2393, co.2) in
deroga del principio per cui l’oggetto della deliberazione deve essere indicato
nell’ordine del giorno. Ma la deliberazione è consentita solo se la responsabilità è
legata a fatti compresi nell’esercizio oggetto di discussione e non a fatti pregressi o
successivi.
Oltre all’assemblea, anche il collegio sindacale ha competenza a deliberare, con
la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti. La deliberazione di
esercizio all’azione comporta la revoca degli amministratori, purché approvata
con voto favorevole di almeno 1/5 del capitale (se adottata in assemblea). La
revoca automatica comporta anche l’obbligo dell’assemblea di provvedere alla
nomina di nuovi amministratori. E’ inoltre nella piena disponibilità dell’assemblea
deliberare espressamente la rinunzia all’azione o una transazione gli amministratori,
senza che occorra alcuna motivazione. La delibera di rinunzia o transazione può
essere però impedita dall’esercizio di un diritto di veto con voto contrario da
esprimersi in assemblea da parte di una minoranza qualificata.

L’azione sociale esercitata dalla minoranza


Il legislatore attribuisce la legittimazione all’esercizio dell’azione sociale di
responsabilità anche ad una minoranza qualificata. La quota di capitale richiesta

237 Valentina Gilardoni


perché la minoranza possa esercitare l’azione è, nelle società chiuse 1/5 (20%) e, in
quelle aperte, di 1/40 (2,5%).

L’azione esercitata dagli azionisti di minoranza ha carattere surrogatorio (che può


sostituire qualcosa con gli stessi effetti), ed è infatti definita dalla legge come
“azione sociale di responsabilità” tale che le somme dovute per l’eventuale
sentenza di condanna (o transazione) vanno alla società e non ai soci che hanno
agito. La società potrà poi sempre rinunciare o transigere l’azione spettante
alla minoranza. Il sistema infatti non consente agli azionisti indagini esplorative
all’interno dell’organizzazione societaria, né la consultazione di libri sociali e
documentazione relativa all’amministrazione.
La responsabilità verso i creditori sociali
L’azione di responsabilità dei creditori sociali è fondata su due presupposti
1. anzitutto occorre che sia addebitabile agli amministratori l’ “inosservanza
degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”
2. l’azione, poi, può essere proposta dai creditori solo in via sussidiaria, cioè
quando il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro
crediti.
La prescrizione (quinquennale) decorre dal momento in cui si è manifestato l’evento
dannoso, cioè l’insufficienza del patrimonio sociale, e quindi l’insolvenza; in pratica,
dalla dichiarazione di fallimento che fa presumere che il deficit patrimoniale si sia
rilevato in quel momento, salva la prova contraria dell’interessato circa il fatto che
l’insufficienza del patrimonio al soddisfacimento dei creditori si sia manifestata in un
momento anteriore alla dichiarazione di fallimento.
L’eventuale rinunzia o transazione dell’azione sociale di responsabilità si riflette
sull’azione di responsabilità dei creditori: in particolare la rinunzia è inopponibile ai
creditori, mentre la transazione produce effetto anche nei loro confronti.
Le azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali
E’ poco frequente però che l’azione di responsabilità venga promossa da parte della
società o della minoranza, ma è anche raro che essa venga promossa dai creditori
dal momento in cui il pregiudizio patrimoniale tipicamente emerge quando
l’insolvenza della società è conclamata nell’ambito di procedura concorsuale. E’
proprio in questa sede che le azioni di responsabilità sono frequenti e, al riguardo, la
riforma del 2003 ha introdotto un nuovo art. 2393-bis. Con questo articolo, è stata
accolta la tesi secondo cui, in caso di fallimento della società, l’azione del curatore
costituisce la sintesi delle azioni di cui agli artt. 2393 e 2394. Quindi al curatore è
consentito avvalersi della disciplina più favorevole per la curatela, e la prescrizione
dell’azione decorrerà dal momento della conoscibilità per i creditori dell’insufficienza
patrimoniale. Secondo i principi dell’onere della prova, il curatore ha gli stessi oneri
di allegazione e prova dei fatti su cui si fonda la responsabilità degli amministratori,
il nesso causale e il danno risarcibile.
L’azione individuale del socio e del terzo
Infine, l’ordinamento attribuisce al singolo azionista o a terzi che siano stati
direttamente danneggiati dagli amministratori, la legittimazione a promuovere contro

238 Valentina Gilardoni


di essi un’azione diretta di responsabilità. Quindi non può avere ad oggetto i danni
“riflessi”, che l’azionista può subire per la perdita di valore delle sue azioni a seguito
di atti di mala gestio degli amministratori che hanno impoverito il patrimonio sociale.
In questo caso, infatti, l’ordinamento sottrae a questi ultimi l’azione che finirebbe
per esporre gli amministratori alla duplice riparazione dello stesso danno.
Il comportamento doloso o colposo dell’amministratore che ha causato pregiudizio
al terzo, è di solito la comunicazione di informazioni false. Altri fatti produttivi di
danno risarcibile possono essere eventuali azioni discriminatorie compiute dagli
amministratori a danno di un singolo azionista.

Nell’azione individuale di responsabilità, è a carico dell’attore fornire la prova


specifica del fatto colposo o doloso dell’amministratore, e del nesso di causalità
con il danno direttamente subito dal terzo.
I direttori generali
Il codice, inoltre, considera la figura del direttore generale, al fine di estenderle il
regime speciale di responsabilità civile dettato per gli amministratori, sempre che
questi sia nominato dall’assemblea o dall’organo di amministrazione sulla base di
autorizzazione statutaria (art. 2396).

Per essere assoggettati a tale regime, occorre che ricorrano i connotati tipologici
propri della figura: per direttore generale si intende un funzionario dirigente, posto
al vertice della struttura aziendale, che opera in relazione diretta con l’organo
amministrativo. Tale figura non è obbligatoria ma è sempre presente nelle imprese
di dimensioni medio-grandi, che possono averne anche più di uno, con mansioni sia
di “alta gestione” che più limitate alla gestione esecutiva quotidiana.

49. IL CONTROLLO SULLA GESTIONE E CONTABILE


I sindaci
La funzione di controllo interno è propria di ogni organizzazione imprenditoriale che
mira all’efficienza e, nelle s.p.a., il legislatore assegna tale funzione sia ad organi o
uffici interni all’organizzazione della società, sia a soggetti esterni.
Nel modello di amministrazione tradizionale, la funzione di controllo è suddivisa tra
un organo sociale, ossia il collegio sindacale, e un soggetto esterno, ossia il
revisore legale dei conti.

Il collegio sindacale vigila sull’osservanza della legge e dello statuto. Il controllo


di legalità è sostanziale, in quanto il collegio deve vigilare anche “sul rispetto dei
principi di corretta amministrazione”, e comprende la vigilanza sull’adeguatezza
dell’assetto amministrativo, organizzativo e contabile adottato dalle società e nel
suo funzionamento”.
Al collegio sindacale è quindi assegnata una posizione di alta sorveglianza
rispetto al sistema di controlli interni, la cui cura è di volta in volta demandata o
all’organo di amministrazione o al revisore legale esterno.

Al collegio sindacale della società quotata è intestato il potere di vigilanza sia

239 Valentina Gilardoni


sull’adeguatezza organizzativa dei sistemi di controllo interno, sia sull’attività
di revisione legale dei conti.

Ai sindaci però non spettano funzioni dirette di controllo contabile che è rimesso ai
revisori legali dei conti, pur restando in capo al collegio sindacale compiti di
supervisione sulla regolarità della loro funzione.

Oltre all’attività di controllo, il collegio sindacale ha compiti di informazione


dell’assemblea e consultivi obbligatori, soprattutto con riguardo alla relazione che
deve essere depositata in occasione della redazione del bilancio. Tale relazione è
centrale per l’informazione dei soci, in quanto il collegio sindacale deve riferire: a)
l’attività svolta nell’adempimento dei propri doveri; b) sulla valutazione dei risultati
dell’esercizio sociale; c) su osservazioni e proposte in ordine al bilancio e alla sua
approvazione.

Nomina e requisiti. Cause di cessazione della carica


L’organo di controllo ha composizione numerica rigida, infatti lo statuto può
scegliere solo fra due alternative: 3 o 5 membri effettivi. Devono essere comunque
nominati due supplenti. Solo nelle società quotate è consentita una deroga verso
l’alto. I sindaci devono godere di determinati requisiti di professionalità: almeno
uno di essi deve essere revisore legale dei conti, mentre occorre che gli altri siano
iscritti in appositi albi professionali individuati da regolamento o scelti fra
professori universitari in materie economiche o giuridiche.
Tali requisiti sono a pena di nullità della nomina, o di successiva decadenza in
caso di perdita sopravvenuta (art. 2399, ult.co).
La nomina del collegio sindacale è di competenza inderogabile dell’assemblea
ordinaria, secondo la regola di maggioranza: l’omissione della nomina
comporterà lo scioglimento della società per impossibilità di regolare
funzionamento dell’assemblea della società.

Le cause di cessazione del rapporto, oltre al decesso, sono:


A. Scadenza del termine: quanto al termine, i sindaci restano in carica per tre
esercizi, e scadono alla data dell’assemblea convocata per
l’approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della carica. La
scadenza è simultanea per l’intero collegio, anche là dove uno o più dei suoi
componenti sia stato sostituito durante il mandato. Fino alla nomina del nuovo
collegio, i precedenti sindaci rimangono in carica senza limitazioni di potere.
B. Decadenza: le cause di decadenza si suddividono a seconda che riguardino la
sopravvenuta perdita del requisito di eleggibilità, o all’inadempimento di un
dovere dei sindaci.
C. La rinuncia è sempre ammissibile in ogni momento, senza che la società
possa avanzare pretese risarcitorie verso il sindaco dimissionario: per

240 Valentina Gilardoni


integrarsi è sufficiente che sia comunicata al presidente del collegio sindacale, e
il supplente subentrerà automaticamente.
D. Revoca per giusta causa

L’indipendenza e l’inamovibilità dei sindaci


L’effettività della funzione di controllo è affidata a due caratteristiche dell’organo
sociale: l’indipendenza e l’inamovibilità dei componenti. Il principio
dell’indipendenza ricade sia sul piano dei requisiti di eleggibilità alla carica, sia sul
piano dell’eventuale rimozione dalla carica stessa.

Ipotesi che fanno presumere la carenza del requisito di indipendenza, con


conseguente nullità della delibera di nomina.
Sono cause legali di ineleggibilità e decadenza, non derogabili dallo statuto:
• quelle previste per gli amministratori (incapacità legale, fallimento, pene
accessorie)
• il coniugio, la parentela o l’affinità entro il quarto grado con amministratori della
società o di altre società del gruppo
• i rapporti di lavoro di carattere continuativo con la società o con altre società del
gruppo
• gli “altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza”.

Altra regola a salvaguardia dell’indipendenza del sindaco è quella sull’invariabilità


dei compensi: essi devono essere fissati contestualmente alla nomina da parte
dell’assemblea, in misura equa nel quantum, e a scadenza periodica annuale, senza
che possano essere modificati nel corso del mandato. Il diritto al compenso è
irrinunciabile.

Il collegio sindacale: funzionamento e poteri.


L’organo sindacale è pienamente collegiale, quindi le proprie deliberazioni
contemplano le fasi basilari di un collegio (convocazione, riunione, discussione,
votazione, proclamazione e verbalizzazione). Deve riunirsi ogni 90 giorni, salvo che
la diligenza professionale imponga riunioni più ravvicinate.

Non si tratta di un collegio perfetto (che funziona solo con la presenza di tutti i suoi
componenti), ma è regolarmente costituito con la maggioranza dei sindaci
(quorum costitutivo) e delibera a maggioranza assoluta dei presenti (quorum
deliberativo). Nell’esercizio delle proprie funzioni, l’attività dei sindaci si articola in
tre fasi: istruttoria, valutativa e reattiva. In ciascuna di queste fasi, i poteri
dell’organo possono essere individuali o collegiali; inoltre essi sono poteri/ doveri, il
cui mancato esercizio dà luogo a responsabilità dei sindaci.
1. Nella fase istruttoria, i sindaci godono di poteri ispettivi individuali, laddove la
richiesta di informazioni agli amministratori è di competenza del collegio. Nelle

241 Valentina Gilardoni


società quotate, però, i sindaci hanno anche poteri di informazione individuali.
Gli amministratori sono tenuti a fornire tutte le informazioni richieste, a pena di
reato di “impedito controllo” (art. 2625).
2. La fase valutativa deve essere esercitata collegialmente, ma al sindaco
dissenziente resta la possibilità di far uso di strumenti residuali di reazione
individuali. La fase reattiva può concretizzarsi in diverse iniziative.

Per quanto riguarda i poteri da esercitarsi collegialmente, i sindaci possono e


devono direttamente convocare l’assemblea in caso di omissione o di
ingiustificato ritardo degli amministratori nella convocazione obbligatoria
dell’assemblea. Il collegio sindacale convocherà l’assemblea pure per
l’adozione di provvedimenti urgenti, in caso di “fatti censurabili di rilevante
gravità”, commessi dagli amministratori o rilevati all’interno di uffici della
società in violazione dei rispettivi doveri. In caso di “gravi irregolarità nella
gestione”, i sindaci possono presentare denuncia al Tribunale e alla Consob per
le quotate. Il collegio sindacale è anche legittimato ad impugnare le
deliberazioni assembleari o consiliari illegittime, dove ritenga che esse
siano da eliminare. Quindi ha il potere/dovere di promuovere l’esercizio
dell’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori, con la
maggioranza dei due terzi dei componenti. Al singolo sindaco è dato
comunque di reagire individualmente rispetto ad accertate irregolarità.
Ad ogni socio è data la possibilità di spingere il collegio sindacare ad indagare
su fatti censurabili, che il collegio avrebbe dovuto già rilevare nell’esercizio delle
funzioni di controllo (c.d. denuncia semplice). In tal caso, il collegio stesso dovrà
tener conto di tale denuncia nella relazione annuale all’assemblea.

La responsabilità dei sindaci


I sindaci devono adempiere ai propri doveri con lo standard della diligenza
professionale. Un punto di riferimento di tale standard di comportamento dovuto
dai sindaci si ritrova nei Principi di comportamento.

I sindaci sono solidalmente responsabili con gli amministratori colpevoli di mala


gestio, se il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato in conformità
dei propri doveri (art. 2407, co.2). All’azione di responsabilità nei confronti dei
sindaci si applica la disciplina sull’azione contro gli amministratori.

Si tratta di una responsabilità per fatto proprio, in modo che il sindaco non risponde
automaticamente in caso di accertata responsabilità degli amministratori, ma solo là
dove gli possa essere imputata la violazione degli obblighi di vigilanza della
carica, e sempre che si dia prova del nesso di causalità fra il comportamento del
sindaco in violazione dei suoi doveri, e la produzione dell’evento dannoso a seguito
del comportamento di mala gestio degli amministratori. La funzione di controllo
contabile, è stata attribuita ad un revisore esterno.

242 Valentina Gilardoni


La revisione legale dei conti
La funzione di controllo contabile ha come contenuto tipico il compito di verificare la
“regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione nelle scritture
contabili dei fatti di gestione”.

Ulteriore compito del revisore è il giudizio sul bilancio d’esercizio e, dove presente,
del bilancio consolidato. Ovviamente il revisore non deve garantire che il bilancio sia
“vero”, ma ha l’obbligo di “ricercare” l’esistenza di possibili frodi contabili. Il
revisore deve quindi formulare un giudizio sul bilancio: positivo, positivo con rilievi,
negativo, o con impossibilità di emettere giudizio.

Se il giudizio è positivo, il revisore attesta non solo la conformità del bilancio alle
norme che ne disciplinano la redazione, ma anche se il bilancio rappresenta in
modo veritiero e corretto, sia la situazione patrimoniale e finanziaria della società,
sia il risultato economico d’esercizio.

Al fine di ottimizzare i controlli, sia il revisore sia il collegio sindacale hanno obblighi
di tempestiva e reciproca informazione riguardo informazioni rilevanti per lo
svolgimento delle relative funzioni.

Disciplina e responsabilità del revisore


In punto di nomina del revisore, si tenta di non lasciare al gruppo di maggioranza
una completa autonomia sulla scelta del revisore, infatti essa è su proposta
motivata dell’organo di controllo; l’assemblea, però, rimarrà libera di non
nominare il soggetto designato dall’organo di controllo, ma non può comunque
procedere alla nomina di un revisore diverso da quello proposto. La durata
dell’incarico è di tre esercizi.
Sotto il profilo del corrispettivo, esso deve essere adeguato all’incarico, previsto
in sede di nomina e non è variabile. La revoca del revisore, invece, può essere
deliberata dall’assemblea solo per giusta causa, ma è soggetta a parere
dell’organo di controllo.
Il revisore, il quale non deve essere coinvolto in alcun modo nei processi decisionali
della società revisionata (c.d. obiettività del revisore).

Per adempiere alle funzioni di controllo contabile, il revisore esterno gode di poteri
informativi, avendo il diritto ad ottenere dagli amministratori documenti e notizie
utili all’attività di revisione legale, ma anche poteri ispettivi, potendo procedere ad
accertamenti, controlli ed esame di atti e documentazione.

La responsabilità del revisore è solidale con gli amministratori verso la società,


i soci e i terzi per i danni cagionati in violazione dei propri doveri, secondo i
criteri di diligenza professionale.

Nel caso in cui il revisore legale sia una società di revisione, responsabili in solido
sono anche il responsabile della revisione e i dipendenti che hanno collaborato
all’attività di revisione.

243 Valentina Gilardoni

Potrebbero piacerti anche