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Carmine P. Trombetta
1. L’impresa 2
2.La pubblicità d’impresa 13
3. L’organizzazione dell’impresa 14
4. Il complesso organizzativo e la circolazione d’impresa 17
5. L’impresa nel mercato 19
6. La cooperazione tra imprenditori 33
7. Strumenti di mobilitazione della ricchezza 36
8. La crisi dell’impresa 40
9. Nozione di società e principi generali 70
10. Le società di persone 76
11. La società per azioni 90
12. La s.r.l. e la s.a.p.a. 144
13. Scioglimento e liquidazione delle società di capitali 156
14. L’articolazione del rischio d’impresa 160
15. Le società con scopo mutualistico 165
16. Le operazioni straordinarie 170
17. Il diritto del sistema finanziario 176
1. L’impresa
La nozione di impresa
E’ possibile ricavare una nozione d’impresa dalla definizione di
imprenditore, contenuta nel titolo II, art. 2082, il quale recita:”E’
imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi”.
All’impresa, definita quindi attività produttiva qualificata dai requisiti di
organizzazione, professionalità ed economicità, si applica la disciplina
d’impresa, dettata dalle peculiarità di quest’ultima, al fine di giungere ad
un equilibrio tra gli interessi che essa coinvolge.
Passando all’analisi delle qualificazioni apportate dall’art.2082:
-L’impresa è descritta in quanto attività produttiva.
a) L’attività può essere immaginata come un modello comportamentale:
essa è formata da alcuni comportamenti che rilevano, nel piano
normativo, nel loro insieme, in quanto coordinati teologicamente
rispetto al raggiungimento di uno scopo;
b) L’attività è qualificata in base alla natura di tale scopo, che deve
identificarsi come il perseguimento di un risultato produttivo, ossia di
produzione di un’utilità che prima non c’era, e quindi di incremento
del livello di ricchezza complessiva attraverso un processo produttivo;
se tale attività produttiva non si estrinseca, si tratta allora piuttosto di
attività di godimento (ricavo utilità d’uso o di scambio da qualcosa che
già si ha).
-L’attività produttiva dev’essere svolta professionalmente: questo requisito
si riferisce alla frequenza dello svolgimento della stessa, che dev’essere
esercitata in maniera abituale, stabile e reiterata e non in maniera
occasionale.
a) La professionalità non è sinonimo di esclusività: è quindi ammesso che
un soggetto svolta un’attività produttiva d’impresa ed un’attività
differente o due diverse attività d’impresa;
b) La professionalità non è sinonimo di continuità: è quindi ammesso che
l’attività non sia svolta in via continuativa e che vi siano delle
interruzioni, purché siano giustificate ad esigenze del ciclo produttivo e
non all’arbitrarietà del soggetto (es.: gestione stabilimento balneare);
c) La professionalità non è sinonimo di pluralità di risultati prodotti:
l’attività produttiva può quindi essere destinata anche alla
realizzazione di un singolo affare purché esso sia un affare complesso
e quindi non un’attività che possa essere improvvisata (es.: costruzione
ponti ma non compravendita occasionale di beni).
-L’attività produttiva dev’essere organizzata: questo requisito coinvolge i
mezzi utilizzati per il suo svolgimento, richiedendo che sia svolta con
l’ausilio di altri fattori produttivi e non con la sola capacità lavorativa di
chi la pone in essere. I fattori produttivi sono sostanzialmente riconducibili
a lavoro (forza lavoro) e capitale (entità materiali o immateriali) e non è
necessario che nell’attività ricorrano congiuntamente. Il titolare ha il ruolo
di svolgere un’opera di organizzazione, stabilendo un’ordine funzionale e
strutturale tra i fattori produttivi; qualora il ruolo del titolare non fosse
riconducibile a quello di organizzatore, e fosse piuttosto di tipo meramente
esecutivo, mancherebbe il profilo di eterorganizzazione, e si avrebbe
piuttosto un’autorganizzazione e quindi un’iniziativa di lavoro autonomo.
-L’attività dev’essere svolta col criterio dell’economicità: questo requisito
è relativo al metodo di svolgimento dell’attività. Esistono due orientamenti
riguardo la nozione di economicità.
a) Il primo orientamento, detto lucrativo, considera il requisito di
economicità un requisito inautonomo e dipendente dalla
professionalità, di cui sarebbe un rafforzamento: questo metodo tende
a far conseguire un margine di profitto o un maggior profitto possibile
dall’attività d’impresa. L’impresa, per essere tale, deve dunque avere
prezzi di cessione fissati ex-ante (prezzi-ricavo) così da sostenere i
costi del processo produttivo (prezzi-costo), ma anche da conseguire
un margine di profitto.
b) Il secondo orientamento, economico stretto, considera questo requisito
ulteriore rispetto alla professionalità: questo metodo tende a far
conseguire un pareggio tra ricavi e costi, considerando eventuale ed
irrilevante il profitto. I prezzi devono dunque essere fissati ex-ante così
da consentire almeno di recuperare i costi di produzione. Sarebbe
dunque necessario che l’impresa rinnovi gli investimenti che sono
richiesti rimanendo in equilibrio economico ed in autonomia da altre
economie.
E’ evidente che, considerando l’orientamento lucrativo, il fenomeno
d’impresa sarebbe più circoscritto in maniera ingiustificata e sarebbero
pertanto estrani alla fattispecie una serie di fenomeni che hanno comunque
l’obiettivo di appagare le istanze di coloro che ne soddisfano le esigenze
finanziarie sostenendo il rischio d’impresa; è a partire da questo
presupposto che, a prescindere dal criterio applicato, ciascuno di questi
enti dev’essere sottoposto alla disciplina d’impresa, cosicché anche i diritti
dei creditori siano tutelati.
Rimangono comunque estranee dalle attività d’impresa le attività
erogative, operanti senza prefiggersi di pareggiare costi e ricavi.
Resta incerto se debbano considerarsi imprenditoriali o erogative le attività
svolte stabilendo prezzi-ricavi non sufficienti a correggere i costi ex-ante
con una logica di perdita programmata, che dovrà sistematicamente coprire
un terzo (es.: no-profit, attività mutualistico consortili)
Il modello comportamentale d’impresa descritto dalla norma è esaustivo:
contiene cioè gli elementi necessari e sufficienti affinché un fatto sia
considerato impresa, a prescindere che la produzione sia destinata al
mercato (es.: impresa per conto proprio) o che operi senza osservare criteri
di legge (es.: impresa illegale).
Le categorie d’impresa
La nozione d’impresa comprende un qualsiasi fenomeno produttivi che
presenti i tre requisiti esposti, così da poter assoggettare quante più
iniziative produttive ad un nucleo di regole comuni; inizialmente erano
rappresentate dalle norme corporative, sostituite poi dallo statuto generale
d’impresa. Dalla nozione d’impresa sono state enucleate due
sottofattispecie, poiché non tutti i fenomeni possono essere assoggettati
alla stessa nozione d’impresa, in quanto tale applicazione sarebbe
eccessiva. Viene attribuita più ristretta rilevanza ai fenomeni di:
-Impresa agricola, in ragione della natura della produzione;
-Piccola impresa, in ragione della dimensione dell’organizzazione.
Si volevano sottrarre queste due categorie in particolare dai tradizionali
istituiti di tutela dei creditori, atti a salvaguardare il debito di produzione
delle normali imprese (non piccole).
-La nozione di impresa agricola si desume dall’art.2135, che la descrive
come attività di coltivazione del fondo, allevamento di animali (attività
essenziali) e attività connesse (agricole per connessione). Venne data una
rilevanza normativa più ristretta all’impresa agricola in quanto, in origine,
era incentrata sul fattore produttivo principale del fondo, ossia la terra
coltivata direttamente dall’imprenditore che ivi esercita la sua attività in
compenetrazione col suo diritto di proprietà: per conseguenza i fattori
produttivi coincidevano prevalentemente col fondo e non erano richiesti
particolari investimenti neppure per la commercializzazione eventuale dei
prodotti del fondo.
In seguito ad una riforma, ai sensi dell’art.2135 per attività essenziali si
intendono le attività dirette alla cura di un ciclo biologico, mentre per
attività connesse si intendono le attività alternative (es.:
commercializzazione) aventi ad oggetto le attività agricole essenziali.
a) Se in passato erano attività essenziali solo quelle che si tenevano sul
fondo, oggi lo sono anche quelle che lo possono utilizzare; essendo ora
fattore produttivo eventuale non è più elemento caratterizzante della
fattispecie; il nuovo elemento costitutivo è proprio la cura del ciclo
biologico.
b) Le attività connesse sono tali se utilizzano come materia prima
prevalente (e non esclusiva) i prodotti derivanti dal fondo: si
considerano quindi connesse le attività di manipolazione,
trasformazione e commercializzazione di prodotti provenienti
dall’attività essenziale. Inoltre sono connesse tutte le attività che
utilizzano principalmente le attrezzature o le risorse dell’azienda
agricola (es.: agriturismi).
E’ evidente che la fattispecie di impresa agricola si sia largamente ampliata
e che pertanto richieda un maggior ricorso al capitale di credito che, in
passato, aveva determinato l’esclusione di questa fattispecie dalla nozione
d’impresa; servirebbe dunque approntare migliori meccanismi di tutela per
i creditori.
-La nozione di piccola impresa si desume dall’art.2083, che la descrive
come un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro
del titolare e dei componenti della sua famiglia, specificando le figure di
coltivatore del fondo, artigiano e piccolo commerciante. La decisione di
attribuire minore rilevanza a questa fattispecie è dovuta al rapporto di
prevalenza intercorrente tra le risorse (lavoro e capitale) proprie, di cui già
si dispone senza la necessità di acquisirle da terzi, rispetto a quelle esterne;
in virtù di questo rapporto di prevalenza è escluso che sia significativo
l’eventuale ricorso al credito di produzione. Tale prevalenza va accertata in
senso qualitativo più che quantitativo: le risorse proprie devono essere
quelle centrali nel processo produttivo, ed, in particolare, il fattore lavoro
dev’essere prevalentemente approntato dal titolare o dalla sua famiglia,
che devono svolgere un ruolo prevalentementemente esecutivo, che non si
avrebbe qualora tale ruolo fosse delegabile all’organizzazione. Non sembra
comunque potersi escludere l’applicabilità di questo principio alle società,
purché il lavoro prevalga sugli altri fattori.
Non è sempre possibile applicare il criterio qualitativo in maniera agevole,
ed è per questo che va applicato un criterio quantitativo che qualifichi le
imprese come piccole e che pertanto escluda l’apertura delle tradizionali
procedure concorsuali. E’ il codice della crisi a contenere questi parametri,
identificabili non tanto come una nuova definizione quanto più come
un’area di esenzione dalle procedure tradizionali, ossia fallimento o
concordato preventivo (che saranno sostituite dal codice di crisi ed
insolvenza); i parametri che qualificano l’impresa come piccola sono:
1. Esposizione debitoria complessiva al momento dell’apertura della
procedura non superiore a 500mila euro;
2. Attivo patrimoniale di ognuno dei tre esercizi precedenti non superiore
a 300mila euro;
3. Ricavi lordi in ognuno dei tre esercizi precedenti non superiori a
200mila euro.
Se l’impresa si trova al di sotto di tutti e tre i parametri, sarà sottoposta a
presunzione di piccolezza e sarà sottoposta ad una procedura concorsuale
semplificata (la stessa dell’impresa agricola) detta di composizione dalla
crisi da sovraindebitamento, che prevede una liquidazione controllata ed
un concordato minore in ragione delle piccole dimensioni d’impresa.
Rimane da chiedersi se tale presunzione possa essere smentita allorché sia
dimostrata una contrarietà all’art.2083 (i fattori produttivi utilizzati sono
prevalentemente non propri); l’introduzione del codice di crisi ed
insolvenza sembrerebbe risolvere il problema, in quanto l’art.384,
prevedendo la sola applicazione dei parametri, abroga l’art.2221.
Ogni impresa che non rientri in queste due nozioni enucleate vede
applicata la normale disciplina d’impresa: le imprese di questa categoria
sono dette commerciali.
L’imputazione dell’impresa
L’imputazione dell’attività d’impresa consente di individuare il suo
referente soggettivo tenuto ad adempiere gli obblighi comportamentali
imposti dalla disciplina, così da fornire garanzie alla salvaguardia degli
interessi dei terzi.
Esistono due criteri per l’imputazione.
Il primo di questi è il criterio formale della spendita del nome, per il quale
è imprenditore colui che svolge l’attività a proprio nome; vi è poi un
criterio sostanziale dell’interesse perseguito, per cui è imprenditore colui
nel cui interesse è svolta.
L’imputazione appare risolta quando l’impresa viene svolta in nome e per
conto dello stesso soggetto, ossia in caso di coincidenza dei due aspetti;
sorgono invece dei problemi quando i due criteri si riscontrano in capo a
soggetti diversi, e ciò accade quando l’imprenditore affida l’attività ad un
diverso soggetto.
In mancanza di istruzioni normative chiare, si ricorre al criterio previsto
per l’imputazione degli atti giuridici, considerata l’attività come un
insieme di atti giuridici, fondato sul criterio della spendita del nome ex.art.
1705. E’ stato tuttavia sostenuto in opposizione che non rilevano i singoli
atti costituenti l’attività, ma quest’ultima in quanto fenomeno unitario; in
secondo luogo desta perplessità che i creditori possano soddisfarsi sul solo
patrimonio del soggetto che svolge l’impresa, poiché questo sistema dà
spazio ad abusi, che si possono avere in particolare quando il soggetto cui
l’impresa è imputata è un nullatenente che nasconde un soggetto che ha
interesse a non esporre il suo patrimonio, cosicché il peso dell’insolvenza
grava esclusivamente sui creditori.
La giurisprudenza cerca di porre rimedio attraverso il criterio dell’impresa
fiancheggiatrice, per il quale il dominus acquisisce la qualifica di
imprenditore se si accerta che ha posto in essere un comportamento che
possa qualificarsi come impresa; ci si riferisce a comportamento di
finanziamento e direzione del prestanome, che assoggettano il dominus
alla disciplina d’impresa; tuttavia, il fallimento del dominus consentirebbe
la completa soddisfazione ai pochi creditori che hanno richiesto una
garanzia.
Si è raggiunta una svolta con la teoria dell’imprenditore occulto, fondata
sul criterio dell’interesse perseguito; questa teoria sostiene una relazione
biunivoca tra potere e rischio, implicante la responsabilità di chi dirige
l’iniziativa imprenditoriale delle obbligazioni nascenti durante l’esercizio.
Si cerca quindi di dimostrare che il dominus acquisisce per questo motivo
la qualifica di imprenditore, essendo assoggettato alla disciplina
d’impresa ed alle procedure concorsuali.
La conferma sarebbe data dall’art.147 del codice di fallimento,
confermante il criterio dell’interesse: tale articolo è riferito ad una società
palese (due soci palesi ed uno occulto) con soci illimitatamente
responsabili e prevede il fallimento in estensione. Viene poi specificato
che, qualora fosse individuato un socio occulto, il fallimento ricadrebbe
anche su di esso. Secondo la suddetta teoria andrebbe estesa questa
disposizione anche alle società occulte (società con un socio palese ed uno
occulto). Questo orientamento sembra confermato dal nuovo art.147 del
codice fallimentare, per il quale se emerge che l’imprenditore insolvente
sia in società con un altro soggetto ed entrambi siano illimitatamente
responsabili, la dichiarazione di insolvenza si estende anche al secondo.
3. L’organizzazione dell’impresa
La struttura dell’organizzazione
Nell’organizzazione di ogni impresa si possono distinguere i fattori
produttivi (asset materiali ed immateriali) e la struttura collaborativa
(personale), distinguibile in struttura decisionale ed esecutiva.
L’art.2555 definisce azienda il complesso dei beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
Dalla struttura decisionale promanano gli atti dell’impresa: il codice
disciplina la struttura decisionale interna prevedendo specifiche forme di
rappresentanza per l’imprenditore sia commerciale che agricolo, ossia
institore, procuratore, commesso; possono poi subentrare dei collaboratori
autonomi esterni, strutturalmente estranei all’impresa cui si legano
attraverso rapporti contrattuali di diritto privato, ossia mandatari, agenti e
mediatori.
I collaboratori interni rappresentano commercialmente l’imprenditore
secondo criteri diversi da quelli privatistici, per i quali i poteri sono
concessi dal rappresentante attraverso l’atto unilaterale della procura;
inoltre è facoltà del terzo, ex art.1333, esigere dinanzi al rappresentante di
provare i poteri per non incorrere in un falsus procurator. Poiché sarebbe
difficoltoso richiedere di volta in volta tale prova nella pratica d’impresa,
in diritto commerciale si rimanda a forme speciali di rappresentanza con
l’art.1400, che rinvia agli artt.2203 e seguenti. I contenuti della
rappresentanza non trovano specificazione nella procura, bensì nel codice
civile indicanti poteri e limiti del rappresentante, salve eventuali
limitazioni poste dall’imprenditore attraverso una procura iscritta nel
registro delle imprese per fini dichiarativi nei confronti dei terzi.
-La prima di queste figure è l’institore, identificato come colui il quale è
preposto all’esercizio dell’impresa, ad una sede secondaria o ad un ramo;
si desume che l’institore ha poteri generali ed è abilitato a compiere tutti
gli atti di pertinenza dell’impresa; secondo il medesimo principio non è
abilitato a cambiare l’oggetto della stessa, alienare o ipotecare beni
immobili. E’ poi dotato di poteri di rappresentanza processuale.
Non è escluso che vi siano più institori, che di norma agiscono
disgiuntamente, salvo obbligo di azione congiunta che costituirebbe una
limitazione dei loro poteri; peraltro, questi potrebbero essere limitati anche
in altri ambiti con apposita iscrizione nel registro delle imprese di procura.
E’ inoltre tenuto, insieme all’imprenditore, all’osservanza degli obblighi di
tenuta delle scritture e di pubblicità, ed è tenuto a spendere il nome
dell’imprenditore; in caso di omissione, diventa titolare di tutti gli atti
compiuti a proprio nome e si affianca alla sua la responsabilità
dell’imprenditore, e ciò poiché è necessario che i terzi siano a conoscenza
del fatto che l’institore è un rappresentante dell’imprenditore.
-Il procuratore compie atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, in
relazione ad una circoscrizione della stessa, sulla quale esercita altresì
poteri decisionali che possono tuttavia essere limitati dall’imprenditore.
Non ha poteri di rappresentanza processuale né di tenuta di scritture né di
spendita del nome dell’imprenditore.
-I commessi compiono gli atti che comportano le operazioni di cui sono
incaricati. Non hanno poteri decisionali, pertanto non possono concedere
sconti o dilazioni oltre quelli degli usi commerciali né possono derogare
condizioni di contratto, possono ricevere reclami su inadempienze
contrattuali.
La nozione di azienda
L’azienda, come definita dall’art.2555, è un complesso di beni che
l’imprenditore organizza per l’esercizio dell’impresa, sul complesso di
beni l’imprenditore esercita un diritto di proprietà o di godimento.
Sotto il profilo economico, essa rappresenta un’entità unitaria che
trascende dai singoli beni; l’unità è data dall’organizzazione, ossia il
coordinamento dei diversi elementi apportato dall’imprenditore, il quale
determina in questo modo un aumento dell’efficienza e quindi un
plusvalore che prende il nome di avviamento oggettivo, ossia l’attitudine
alla produzione di nuova ricchezza ed alla maturazione di un reddito.
L’avviamento è una qualità legata ad ogni azienda, non alienabile
singolarmente ma avente grossa rilevanza nel calcolo del suo prezzo.
Dal punto di vista giuridico, ciascuna parte del complesso conserva la sua
autonomia rispetto agli altri beni: affinché facciano parte del complesso è
necessario e sufficiente che l’imprenditore abbia titolo giuridico per
poterne godere. I beni d’azienda possono mutare ed è irrilevante la loro
sostituzione a meno che non si tratti di beni essenziali.
All’interno del complesso sono poi individuabili dei sottoinsiemi autonomi
sul piano produttivi, detti rami (art.2112), non aventi totale autonomia
organizzativa (es.: non hanno autonomia nelle scritture contabili).
La disciplina antitrust
Con la disciplina antitrust s’intende contrastare il potere di mercato delle
imprese quando essere si sottraggano alla pressione concorrenziale (non
migliorino i loro prodotti o alzino i prezzi) senza subire conseguenze in
termini di perdita di clientela. La fonte principale della disciplina è stata
l’UE, mentre sul piano nazionale sono stati attuati i regolamenti emessi
dalla fonte sovranazionale nella legge antitrust. L’accertamento degli
illeciti può avvenire in via amministrativa da parte della Commissione (a
livello europeo) o dell’AGCM (a livello locale) o in via privatistica
attraverso la richiesta di risarcimento danni; la competenza è valutata in
base al criterio del mercato rilevante, identificato geograficamente
(territorio con condizioni di concorrenza omogenee) e merceologicamente
(tipi di prodotti reciprocamente sostituibili).
Sanzioni
Commissione e AGCM esercitano poteri sanzionatori attraverso inflizione
di ammende, in sostituzione delle quali possono accettare impegni ad
eliminare effetti restrittivi. Possono inoltre operare in via giudiziale
imponendo la nullità delle intese ed il risarcimento del danno.
I segni distintivi
Tecnologia e design
I brevetti d’invenzione
S’intende per invenzione la soluzione di un problema tecnico, la quale
applica le relazioni di causalità di fenomeni naturali (oggetto di precedenti
scoperte) per soddisfare bisogni umani attraverso una produzione seriale.
Un’invenzione è brevettabile se possiede i requisiti dell’industrialità, della
novità, dell’attività inventiva e della liceità. Il requisito dell’industrialità
ricorre quando l’oggetto dell’invenzione può essere fabbricato in un
qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola. Per la sussistenza
del requisito di novità occorre osservare se l’oggetto dell’invenzione si
distacca dal patrimonio di conoscenze detto stato della tecnica,
comprendente tutto ciò che è già stato reso accessibile al pubblico sul
territorio di uno Stato o all’estero, ne consegue che un inventore che abbia
predivulgato le proprie invenzioni pubblicamente si escluda la possibilità
di brevettazione. E’ dotata del requisito di attività inventiva l’invenzione
che fornisca un salto inventivo rispetto all’attuale stato della tecnica, non
fornendo semplici differenze di dettaglio. Infine, il requisito della liceità è
stato considerato puramente teorico.
Il diritto sulle invenzioni sorge per effetto della brevettazione; se nel
marchio nasce un diritto sul marchio non registrato azionabile nei
confronti dei terzi, l’utilizzatore di un’invenzione non brevettata non vanta
di alcun diritto di esclusiva, e anzi predivulga al pubblico l’invenzione
eliminando la possibilità di brevettazione.
Il procedimento di brevettazione inizia con domanda dell’inventore,
possessore del diritto al brevetto; la brevettazione da parte di chi non vanti
questo diritto è annullabile o trasferibile in capo al terzo che lo possiede.
Come per i marchi, i brevetti sono assoggettati al principio di territorialità
ed hanno effetto solo nello Stato dell’ufficio che li ha concessi;
l’estensione della protezione richiederebbe la formazione di più brevetti o
il rilascio di un brevetto europeo, configurato come un fascio di brevetti.
Alla conclusione della brevettazione, sorge il diritto di brevetto.
Il titolare del brevetto vanta un diritto esclusivo di sfruttamento
ventennale, decorrente dal deposito della domanda ed azionabile solo dal
momento in cui la domanda è resa accessibile al pubblico; può essere
azionato anche in presenza di modifiche apportate ad alcuni elementi
dell’invenzione, a meno che queste non siano dei perfezioamenti, in tal
caso sarà possibile formare un brevetto dipendente con consenso del
titolare del brevetto anteriore. Il diritto esclusivo si estende alla
produzione, commercio e uso industriale.
I diritti patrimoniali di brevetto sono liberamente trasferibili ed è previsto
in tal senso un sistema di trascrizione con efficacia dichiarativa. Il
licenziante può concludere contratti di licenza e consentire ai licenziatari
di sfruttare il brevetto secondo tempi e modalità stabiliti nell’accordo in
cambio di un corrispettivo (royalty); il contratto può inoltre fissare delle
clausole di esclusiva implicante l’obbligo per il licenziante di non sfruttare
l’invenzione e di non concedere ulteriori licenze.
Il brevetto può essere sempre dichiarato nullo dall’autorità giudiziaria, con
efficacia erga omnes, su azione di chiunque ne abbia interesse; le cause di
nullità sono riconducibili all’assenza dei requisiti di brevettabilità o alla
concessione ad un soggetto non avente il diritto al brevetto. Esistono poi
delle cause di decadenza, ossia mancato pagamento delle tasse brevettuali
e mancata attuazione dell’invenzione entro due anni dal rilascio.
I principi
Tra gli interessi relativa al coordinamento dei fattori ha rilievo l’interesse
alla continuità dell’attività economica, espresso attraverso norme che
garantiscono la sopravvivenza delle relazioni d’affari in occasione di
vicende personali dell’imprenditore.
Per coordinare i fattori di produzione viene inoltre concesso di
semplificare le contrattazioni serializzandole: così, ciascun imprenditore
può uniformare i propri rapporti secondo le pratiche del luogo
(interpretandosi le clausole contrattuali alla loro luce) e applicare nei
confronti delle controparti tutte le clausole rese conoscibili secondo
l’ordinaria diligenza solo per il fatto di averle rese tali.
Sono inoltre giustificate valutazioni di meritevolezza del contratto in
deroga ai principi generalcivilistici che potrebbero ostacolare meccanismi
utili al funzionamento del mercato: così, ad esempio, è data tutela agli
strumenti finanziari derivati.
Vengono inoltre tutelate le controparti deboli in diversi modi.
a) Viene vietato l’abuso di dipendenza economica, che si ha in qualsiasi
situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare un eccessivo
squilibrio di diritti ed obblighi nei rapporti commerciali con un’altra
impresa.
b) I creditori/fornitori sono tutelati dai ritardi nei pagamenti delle
controparti attraverso la previsione di decorrenza automatica degli
interessi dal giorno successivo alla scadenza del termine per il
pagamento, senza necessità di costituzione in mora; i termini possono
essere allungati, ma se superiori a 60 giorni vanno pattuiti, purché la
proroga non risulti iniqua per il creditore.
c) Il consumatore, parte debole economicamente ed in ragione delle
carenza informative, viene tutelato nella sua insufficiente possibilità di
ponderazione delle clausole contrattuali che possono esporlo a rischi
non in linea con la tipologia di operazione posta in essere attraverso la
sostanziale invalidità delle clausole squilibrate (vessatorie); vengono
inoltre escluse le clausole che escludano o limitano la responsabilità
del professionista per danni al consumatore o per inadempimento.
d) Viene tutelata la formazione della volontà contrattuale dalle
asimmetrie informative di cui imprenditore o professionista possono
approfittare: al consumatore è riconosciuta la possibilità di recesso
entro 14 giorni dalla conclusione del contratto ed il diritto a ricevere
da parte del professionista un’informazione completa.
I contratti di organizzazione
Il contratto di rete
Il contratto di rete è concluso da più imprenditori per accrescere la
capacità innovativa e competitiva sul mercato seguendo un programma di
rete, impegnandosi a collaborare in forme o ambiti predeterminati.
Essendo una forma flessibile non necessita di un’organizzazione articolata
come quella del consorzio che ne gestisca operazioni e costi. Al contratto
di rete sono riservate alcune agevolazioni fiscali; esso dev’essere redatto
come atto pubblico o scrittura privata, contenere gli obiettivi di
innovazione ed un programma di rete completo degli obblighi delle
imprese. La rete può essere interna tra i partecipanti o soggettivata, ed
assume questa classificazione quando ha a disposizione un fondo
alimentato dai contributi (cui è applicata la disciplina dei consorzi esterni)
ed un organo comune.
L’associazione temporanea
Le associazioni temporanee d’imprese sono una specifica forma di
cooperazione a carattere contingente e temporaneo, non determinante
nessuna organizzazione particolare né la nascita di un nuovo soggetto di
diritto; le imprese si presentano come distinte ed autonome al committente,
cui viene presentata un’offerta congiunta da un’impresa capofila, cui
spetta inoltre il compito di gestire i rapporti col committente.
Questo tipo di contratto ricorre nel caso di partecipazione a gare d’appalto,
in quanto le imprese trovano più conveniente affidarsi a forme
organizzative del genere piuttosto che a consorzi per gare che potrebbero
anche non vincetere. Dalla dottrina sono reputati contratti associativi
innominati (non regolati dal codice civile) che ruotano attorno al mandato
collettivo speciale in rem propria con rappresentanza conferita dalle
imprese mandanti all’impresa capofila, che agisce da mandataria in
rappresentanza esclusiva delle imprese.
Titoli di credito
Nozione
Il titolo di credito è il documento menzionante una situazione giuridica
attiva circolante in modo autonomo mediante la movimentazione del
documento; la situazione è esercitabile dal possessore (soggetto nella cui
disponibilità si trova il documento). Essi rafforzano i presidi del mercato
della ricchezza mobiliare, facilitando il disinvestimento ed offrendo
garanzie di fronte ai rischi d’acquisto; costituiscono quindi uno strumento
giuridico per la circolazione dei valori finanziari (con protezione rafforzata
degli acquisti). La funzione di circolazione è assolta mediante il
collegamento tra il titolo ed il diritto documentato, definito
incorporazione, la quale a) correla la circolazione del diritto a quella del
documento, cosicché sia possibile acquisire il titolo altresì il diritto a non
domino; b) correla il contenuto del diritto a quello del documento,
cosicché nessuna eccezione personale ai precedenti possessori e non
menzionata nel titolo sia opponibile; c) correla l’esercizio del diritto al
possesso del documento, cosicché il possessore non debba fornire altre
prove della titolarità del diritto. Importante alternativa è quella dei titoli
scritturali (dematerializzati), aventi rapporto giuridico è documentato in
forma telematica in un conto acceso presso un intermediario abilitato
intestato al possessore del titolo e circolazione avvenente attraverso
movimentazioni telematiche.
8. La crisi dell’impresa
Il concordato preventivo
Il concordato preventivo ha la funzione di ristrutturare i debiti e soddisfare
i creditori attraverso una proposta che possa ritenersi migliore della
soluzione fallimentare. Il presupposto soggettivo della procedura è lo
stesso necessario per il fallimento, essendo rivolto ad imprese non piccole,
quello oggettivo è lo stato di crisi dell’impresa, concetto più ampio
rispetto a quello di insolvenza, ivi contenuto, cosicché, in prevenzione del
fallimento, il concordato potrà essere proposto anche in situazioni di
difficoltà, quand’anche solo si prospetti il rischio dell’insolvenza.
Piani di risanamento
Il piano di risanamento è introdotto dalla norma della revocatoria
fallimentare, che fa salvi da tale procedura gli atti, i pagamenti e le
garanzie posti in essere in esecuzione di un piano idoneo a risanare
l’esposizione debitorio di un impresa; non può qualificarsi giuridicamente
come accordo, essendo formulato dal debitore con l’assistenza di un
professionista verificante la validità e la procedibilità dell’accordo, quanto
piuttosto una disposizione unilaterale che può o meno essere mostrato ad
un creditore (come la banca di riferimento); fatta salva l’approvazione del
professionista, è svincolato da qualsiasi forma procedimentale
I principi ispiratori
Il c.ins è stato redatto secondo alcuni principi ispiratori.
Innanzitutto è stata valorizzata l’esigenza di far emergere con anticipo la
crisi imprenditoriale potendo così intervenire anticipatamente nel
risanamento, evitando l’insorgere dell’insolvenza; tale possibilità andrebbe
poi affiancata a soluzioni di ristrutturazione preventiva e di recupero
dell’impresa, anziché puramente liquidatorie, finalizzate a reinserire
l’impresa nel mercato. Sono quindi state approntate delle procedure di
allerta e privilegiate le proposte assicuranti la continuità aziendale.
E’ stato poi designato un percorso unitario per l’accesso ad ogni
procedura, a prescindere dalla natura del debitore e dalla finalità
perseguita; ne consegue che ogni debitore in crisi o insolvente andrà
sottoposto ad una unitaria procedura di accertamento dello stato di crisi o
insolvenza, per poi essere assegnato ad uno dei possibili percorsi
alternativi in ragione della gravità della crisi e del tipo di debitore.
E’ stata poi data unitarietà alla procedura coinvolgente un gruppo di
società.
Procedure di allerta
Il primo capitolo del codice della crisi sulle procedure di allerta vuole dare
attuazione alle disposizioni della raccomandazione europea 114/2014.
Viene innanzitutto generalizzato il criterio organizzativo per cui ogni
imprenditore deve adottare misure o assetti organizzativi adeguati a
rilevare tempestivamente la crisi e farvi fronte, dove viene inteso per crisi
uno stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile
l’insolvenza del creditore, manifestata dall’inadeguatezza dei flussi di
cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni; dinanzi alla crisi è imposto
un obbligo di adeguata e tempestiva reazione per prevenire l’insolvenza, e
ciò sarà possibile attraverso il ricorso a degli indicatori di crisi da stabilire
in seno al Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti. Una volta
rilevato attraverso essi lo stato di crisi, ogni imprenditore avrà l’obbligo di
reazione tempestiva, da attuarsi attraverso le procedure di allerta gestite
dagli OCRI (Organismi Composizione Crisi d’Impresa); il ricorso a queste
procedure è stimolato dagli organi di controllo societari e dai creditori
pubblici qualificati (INPS, Agenzia delle Entrate) attraverso gli obblighi di
segnalazione. L’OCRI, sollecitato da segnalazione o interpellato dallo
stesso debitore, ascolta quest’ultimo e individua possibili misure per porre
rimedio alla crisi e ricerca una soluzione concordata coi creditori.
Il procedimento unitario e le diverse procedure
L’imprenditore è sottoposto o si sottopone in caso di crisi alle procedure di
regolazione della crisi e dell’insolvenza a prescindere dalla sua natura o
dalla sua situazione debitoria attraverso ricorso; questo procedimento è di
natura unitaria, configurandosi come accesso comune alla procedura di cui
il tribunale riterrà sussistere i presupposti. In base all’analisi del tribunale,
sarà poi applicata una procedura in base alla natura del debitore ed al suo
stato di crisi, dando nei limiti della sempre necessaria soddisfazione dei
creditori priorità a strumenti diversi dalla liquidazione. Lungo questo
percorso il tribunale applicherà il divieto di azioni individuali o cautelari
nei confronti del debitore su espressa richiesta del debitore e per un
periodo massimo di un anno, non più quindi in maniera automatica.
I gruppi di società potranno con unico ricorso essere ammesse al
concordato preventivo o all’omologazione di un accordo o, se in stato di
insolvenza, alla liquidazione giudiziale.
La liquidazione giudiziale
Nel disegno del codice la liquidazione giudiziale dovrebbe avere una
posizione residuale, ricorrendo a questo procedimento come ultima
alternativa, tuttavia è probabile che nella prassi sarà il più utilizzato.
Il presupposti per l’applicazione della procedura rimangono quelli
dell’insolvenza (e non il mero stato di crisi) e dell’imprenditore non
minore (del quale è chiarita la nozione, da ricondurre ai tre parametri di
presunzione di piccolezza). Viene dato maggior rilievo all’esdebitazione,
che si configura come un diritto dell’imprenditore (persona fisica o altro
ente) sorgente a tre anni dall’apertura della procedura o alla sua
chiusura, e ciò al fine di consentirgli un reinserimento sul mercato. Sono
poi stati innovati alcuni aspetti puntuali dell’intera procedura.
In fase di apertura:
a) Vengono inclusi gli organi e le autorità amministrative di controllo e
vigilanza sull’impresa tra i soggetti aventi potere di iniziativa e viene
incentivato il debitore ad aprire il procedimento attraverso l’esenzione
di punibilità per alcuni reati fallimentari;
b) Viene ancor di più condizionato il funzionamento degli organi
dall’interesse dei creditori; così sarà possibile richiedere la
sostituzione del comitato dei creditori (oltre che del curatore) e questi
ultimi avranno diritto ad essere informati ogni giorno attraverso
l’inserimento di aggiornamenti giornalieri in un registro informativo;
c) Quanto agli effetti: il debitore vedrà decorrere il termine per la
riassunzione dei procedimenti dalla dichiarazione di interruzione del
giudice; i creditori non potranno compensare i crediti acquisiti dopo la
domanda di apertura o nell’anno anteriore; gli atti pregiudizievoli a
titolo gratuito saranno inefficaci già per effetto della trascrizione
dell’apertura; inoltre, il termine a ritroso per l’esercizio della
revocatoria decorrerà dalla data della domanda di apertura; nei
rapporti pendenti (ineseguiti nelle prestazioni principali) saranno
prededucibili i soli crediti sorti in corso di procedura, saranno
automaticamente sciolti i contratti personali (salva scelta contraria del
curatore), in caso di affitto d’azienda si esclude la responsabilità
solidale di curatore ed affittuario, sono sospesi i contratti di lavoro
subordinato con facoltà di recesso da parte del curatore ed eventuale
diritto all’indennità per il lavoratore.
In fase di procedura:
a) E’ ridotto il periodo per la presentazione di domande tardive a 6 mesi;
b) In caso di esercizio provvisorio d’impresa, l’apertura della procedura, non
sospendendone l’attività, comporta il proseguimento dei contratti pendenti
c) Viene stabilito un termine massimo di inizio della liquidazione di 12
mesi dall’apertura ed un termine di fine di 5 anni dall’apertura; la
verifica dello stato passivo diviene inoltre svolgibile telematicamente;
d) In fase di ripartizione il programma sarà trasmesso ai creditori
telematicamente; viene inoltre riconosciuto il rango di creditori postergati.
In fase di chiusura:
a) La chiusura per compiuta ripartizione non è impedita da pendenza di
giudizio; vi potrà essere un riparto supplementare in seguito alla chiusura.
b) Il concordato, pur non differenziandosi dall’attuale concordato
fallimentare, sarà proponibile dal debitore, come per il concordato
preventivo, solo se realizzi un apporto di nuove risorse che incrementino il
valore dell’attivo oltre il 10%.
I tipi di società
Nozione (art.2291)
Tutti i soci rispondono solidalmente ed illimitatamente delle obbligazioni
sociali; l’eventuale patto limitativo della responsabilità ha rilevanza
meramente interna (tra i soci) non essendo opponibili ai creditori. La s.n.c.
agisce sotto una ragione sociale composta dal nome di uno o più soci con
l’indicazione del rapporto sociale.
L’atto costitutivo (art.2295)
Il contenuto dell’atto costitutivo è piuttosto ampio, contenendo
informazioni oggettive (sede, ragione sociale, oggetto sociale,
conferimenti di ciascun socio e metodo di valutazione del valore, norme di
ripartizione degli utili durata della società) e soggettive (amministratori e
rappresentanti, generalità soci); non tutti gli elementi sono tuttavia
essenziali, essendo integrati da specifiche norme in loro mancanza.
Il contratto costitutivo è di base a forma libera, tuttavia ai fini pubblicitari
è richiesto l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata; l’iscrizione non
costituisce condizione di esistenza della società, avendo piuttosto efficacia
normativa, relativa all’applicazione del regime di società regolare. Per
conseguenza, la s.n.c. non iscritta (irregolare) è validamente costituita e
anzi è possibile la costituzione per fatti concludenti (s.n.c. di fatto) a
prescindere dalla stipula dell’atto costitutivo, e ciò per applicazione della
disposizione sui tipi residuali. Alla società irregolare sono ricondotte la
società occulta e la società apparente, entrambe presupponenti la mancata
iscrizione; quest’ultima costituisce applicazione del principio di apparenza
di diritto, in quanto si presuppone la sussistenza di un vincolo societario,
pur effettivamente non esistente (in virtù del quale sarebbe applicabile la
disciplina del fallimento), nei rapporti tra i soggetti, in quanto appaiono
soci nei rapporti esterni nei confronti dei terzi, che confidano sulla
concreta esistenza di questo rapporto.
La partecipazione alla s.n.c. è consentita alle persone fisiche ed a quelle
giuridiche, ed è pertanto consentito che società di capitali vi partecipino;
per evitare abusi è espressamente previsto che le società di persone
commerciali devono redigere il bilancio secondo le norme previste per le
s.p.a quando i soci sono s.p.a., s.a.p.a. o s.r.l.
Quanto all’invalidità dell’atto, va distinto innanzitutto il momento in cui la
società non ha ancora iniziato la sua attività, circostanza in cui si attuano
le norme di diritto privato in materia di nullità ed annullabilità; quando la
società diventa operativa ed il contratto produce efficacia nei confronti dei
terzi, in virtù del principio di salvaguardia dell’attività svolta, e dunque per
ragioni di praticità, si applicano le norme sull’invalidità con efficacia ex nunc, e
cioè irretroattiva, lasciando salvi gli atti effettuati prima della nullità.
Profili organizzativi
L’amministrazione (art.2257ss)
Le regole in tema di amministrazione e rappresentanza presentano un
ampio margine di elasticità; il modello legale previsto prevede
l’amministrazione disgiunta di tutti i soci in modo da assicurare piena
funzionalità alla società, ma viene espressamente sancita la derogabilità
della disciplina attraverso diverse disposizioni dell’atto costitutivo, ferma
restando la responsabilità degli amministratori di compiere tutte le
operazioni necessarie al compimento dell’oggetto sociale nel rispetto
dell’art.2086 sull’adeguatezza della struttura sociale.
Nel silenzio dello statuto tutti i soci sono amministratori che possono
esercitare il loro potere disgiuntamente; la rappresentanza spetta a ciascun
amministratore. In virtù della gestione disgiunta, ciascun amministratore è
legittimato ad assumere decisioni gestorie indipendentemente dagli altri;
ogni amministratore conserva tuttavia un diritto di veto che può esercitare
per manifestare il proprio dissenso rispetto ad un’operazione prima che
questa sia attuata. Questo diritto dev’essere esercitato in maniera
tempestiva non appena si viene a conoscenza dell’intenzione e può essere
esercitato anche in caso di solo sospetto. Il conflitto creatosi può venir
superato attraverso la decisione della maggioranza dei soci, determinata
secondo la partecipazione agli utili di ciascun socio.
L’atto può prevedere l’amministrazione congiunta, che rappresenta uno
schema gestionale in cui si impone agli amministratori un confronto
costante all’unanimità ed a maggioranza. Il primo modello (forma
residuale applicata in caso di mancanza di previsioni statutarie) prevede il
raggiungimento di decisioni col solo consenso di tutti i soci; il secondo
metodo prevede la decisione a maggioranza, calcolata col criterio di
partecipazione agli utili salva diversa disposizione statutaria. Per
stemperare la rigidità di questo regime è accordata ai singoli
amministratori, in caso di urgenza, la possibilità di provvedere
all’attuazione di un atto per evitare un danno alla società.
Rappresentanza (art.2266)
La società acquista diritti ed assume obbligazioni per mezzo dei
rappresentanti e sta in giudizio attraverso essi; in mancanza di diversa
disposizione, la rappresentanza spetta a ciascun amministratore e si
estende a tutti gli atti rientranti nell’oggetto sociale. In ragione del
differente regime di pubblicità, l’opponibilità ai terzi della rappresentanza
(limiti, modificazioni ed estinzione) dipende dal tipo di efficacia: se la
società è iscritta con efficacia dichiarativa (società agricola) si applicano
tutte le disposizioni applicabili per le s.n.c. (l’opponibilità condizionata
all’iscrizione nel registro), mentre se la società è iscritta con efficacia
notiziale (società professionali) sarà opponibile ai terzi rendendoglielo
noto (ferma restando la loro possibilità di esercitare la verifica dei poteri
del rappresentante).
Per evitare una possibile alterazione non concordata dei rapporti tra i soci
successiva ad un’operazione di aumento di capitale (aumentando il numero
di azioni in circolazione e non necessariamente aumentando il numero di
azioni detenute dai soci, dovendo questi sottoscrivere l’aumento di
capitale) e che le azioni siano offerte a terzi, che subentrerebbero in
società pagando le azioni al valore nominale, è previsto dall’art.2441 che
le azioni di nuova emissione debbano essere offerte in opzione ai soci
proporzionalmente al numero di azioni possedute attraverso un’offerta di
sottoscrizione presso il registro delle imprese, nella quale va stabilito un
termine non inferiore a 15 giorni per l’esercizio del diritto; le azioni
inoptate (non sottoscritte dagli azionisti) non saranno collocabili
liberamente dagli amministratori, bensì è previsto che nelle società non
quotate si riconosca una prelazione ai soci che abbiano esercitato
tempestivamente il diritto di opzione, mentre è previsto che nelle società
quotate i diritti di opzione non esercitati vadano offerti sul mercato
regolamentato per almeno cinque riunioni. Potendo il diritto di opzione
essere utilizzato dalla maggioranza al fine di rafforzare la propria
posizione, è previsto che sia escluso in tre ipotesi tassative (aventi per
denominatore comune una tutela dell’interesse sociale), ossia quando a) le
azioni vengono liberate mediante conferimenti in natura, b) quando
l’interesse della società lo esige, c) quando sono offerte ai dipendenti della
società; a tutela del medesimo principio, anche con l’esclusione del diritto
di opzione, le azioni sono offerte al valore del patrimonio netto.
La partecipazione azionaria
Le categorie di azioni
In eccezione al carattere di uguaglianza, è possibile che da statuto siano
previste delle categorie speciali di azioni, caratterizzate dall’attribuzione di
diritti non coincidenti alle ordinarie, così da diversificare l’offerta di
strumenti finanziari di raccolta del capitale e coinvolgere un più ampio
margine di investitori; per la logica della spersonalizzazione non è tuttavia
possibile dar vita ad un’unica azione speciale destinata ad hoc ad un socio.
E’ accordata ampia libertà di creazione, fermo restando che le azioni
debbano attribuire o escludere diritti patrimoniali o amministrativi: dal
punto di vista patrimoniale, esse possono conferire un utile maggiorato
(una certa percentuale in più) o una priorità nella riscossione di una
percentuale dell’utile, oltre che produrre una postergazione delle perdite,
che saranno attribuite dopo aver colpito la partecipazione di altri soci,
inoltre viene prevista una classe di azioni correlate, aventi diritti
patrimoniali relativi all’attività in un solo settore della società (fermo
restando che i dividendi saranno pagati nei limiti degli utili risultanti dal
bilancio della società); dal punto di vista amministrativo possono
prevedersi azioni a voto plurimo, limitato ad alcuni argomenti o
condizionato al verificarsi di condizioni non meramente potestative. Sono
prive del diritto di voto le azioni di godimento, emesse a favore dei
soggetti cui sia stata rimborsato il valore nominale delle azioni possedute
nel corso di una riduzione reale non operata proporzionalmente. Oltre che
le azioni elencate, la società è libera di crearne altre, in virtù del principio
di atipicità delle azioni speciali; è tuttavia inderogabile il divieto del patto
leonino (vietata la categoria che esoneri da utili o perdite), di superare la
metà del capitale sociale con azioni a voto limitato o escluso, e, in società
quotate, l’emissione di azioni a voto plurimo.
Le assemblee speciali
I diritti degli azionisti speciali sono salvaguardati con assemblee speciali
degli azionisti di categoria per il cui funzionamento si applicano le regole
in materia di assemblea straordinaria; quando l’assemblea pregiudica i
diritti di una categoria di azioni con una delibera, questa deve essere
approvata dall’assemblea speciale degli appartenenti alla categoria
danneggiata a pena di inefficacia sulla delibera.
Le obbligazioni
Nozione e tipologie
Con l’emissione di obbligazioni la s.p.a. riceve risorse finanziarie a debito,
da restituire a termine e con pagamenti aggiuntivi a titolo di interesse.
Come le azioni sono titoli di massa, emissibili cioè non singolarmente
bensì in serie come pluralità di strumenti finanziari con eguale valore, e di
credito (precisamente di debito), incorporanti il diritto di credito
dell’obbligazionista. Possono avere struttura semplice, indicizzata
(quantificazione interessi collegata ad indici di borsa o valutari), a premio
(corresponsione di somme aggiuntive), partecipative (interessi funzionali
all’andamento della società); per il contenuto giuridico rilevano le
postergate, nelle quali il rimborso è subordinato alla soddisfazione di altri
creditori sociali, e le convertibili in azioni. La principale differenza rispetto
alle azioni è il tipo di rischio, di credito, corso dall’obbligazionista,
contrapposto al rischio d’impresa dell’azionista.
Gli amministratori
Il consiglio di gestione
L’organo di gestione esercita esclusivamente la gestione dell’impresa; è di
natura necessariamente collegiale e composto dal almeno due componenti,
nominati dal consiglio di sorveglianza, che si occupa inoltre della loro
eventuale revoca anche in assenza di giusta causa (salvo in tal caso il
risarcimento danni). La durata è come per il sistema tradizionale triennale
ma non è prevista la cooptazione e la sostituzione dev’essere disposta al
venir meno del componente dall’organo di sorveglianza. L’azione sociale
di responsabilità è promossa con delibera, comportante revoca automatica,
dell’assemblea ordinaria (o su iniziativa di una sua minoranza) o del
consiglio di sorveglianza.
Il sistema monistico (2409)
Le clausole generali
-Il principio di verità è il fulcro dell’intera disciplina ed è strettamente
correlato alla funzione informativa del bilancio, che deve indicare un
risultato ed una situazione patrimoniale e finanziaria veritieri, ed è cioè
necessario che a) che gli elementi patrimoniali, proventi e costi iscritti
siano reali e completi e che b) ciascun elemento sia iscritto secondo il suo
valore reale, rendendosi quindi necessario che la valutazione dei cespiti
(per i quali esista un margine di discrezionalità) abbia valore attendibile e
che la stima sia oggettiva e tecnicamente corretta, in definitiva veritiera.
-Il principio di chiarezza impone un’esposizione ordinata, trasparente ed
intellegibile dei dati, essendo necessario somministrare le informazioni in
maniera chiara; ciò è garantito a) dalla struttura di bilancio delineata dalla
legge e b) dal rispetto dell’ordine delle voci e della collocazione delle
informazioni
-Il principio di correttezza è corollario degli altri due: un bilancio è vero
quando adeguato tecnicamente, ossia quando segua corretti principi
contabili e corrette regole aziendalistiche, mentre è chiaro quando sia
redatto secondo buona fede oggettiva, in maniera non fuorviante e trasparente.
Le tre clausole sono strumento interpretativo di tutta la disciplina e sono
sovraordinate rispetto alle disposizioni attuative, tanto che queste sono
disapplicate in circostanze straordinarie, quando non idonee a fornire una
rappresentazione veritiera e corretta; non risultano invece inapplicabili i principi
di redazione, loro conseguenza logica.
Caratteristiche di base
La s.r.l. presenta una costituzione di base caratterizzata dal ruolo
maggiormente rilevante, rispetto alle s.p.a., della componente sociale, che
continua a rispondere in maniera limitata, cui si affianca un più ampio
ruolo dell’autonomia negoziale e dei rapporti tra i soci. Alla disciplina
generale si affiancano poi alcune discipline speciali, tra cui quella del
regolamento europeo 2003/361, per il quale sono classificabili come PMI
(piccole-medie imprese), caratterizzate da una particolare disciplina, per la
quale possono raccogliere risorse da canali alternativi, le imprese aventi
meno di 250 dipendenti, fatturato non superiore a 50 milioni o un totale
del bilancio annuo non superiore a 43 milioni, o quella delle s.r.l.
costituibili con capitale ridotto.
La struttura finanziaria
L’amministrazione
Gli amministratori svolgono funzione gestoria generale in concorrenza ai
soci, che possono sottrargli, ad opera dello statuto, alcune prerogative,
sulle quali gli amministratori svolgono comunque la funzione di filtro già
esposta; sono nominati dai soci (sono nominabili soci o soggetti esterni) se
non disposto differentemente dall’atto, che può attribuire diritti particolari
di nomina o designare dei possibili amministratori tra cui scegliere, e la
relativa nomina va iscritta nel registro delle imprese (l’eventuale invalidità
non è opponibile ai terzi che non ne fossero a conoscenza). La durata della
carica è indicata dall’atto costitutivo o dalla nomina e può essere anche a
tempo indeterminato. I soggetti titolari del potere di nomina possono
revocare gli amministratori in qualsiasi momento anche in assenza di
giusta causa ed ogni socio può chiedere la revoca giudiziaria in caso di
gravi irregolarità; non è invece revocabile l’amministratore titolare di
diritto particolare, se non con modifica all’unanimità del loro diritto.
L’amministrazione può essere esercitata da amministratore unico o da più
soggetti; il modello legale prevede che in caso di pluralità di
amministratori si applichi il modello del c.d.a. (rimane peraltro ferma la
possibilità di nominare degli amministratori delegati), tuttavia lo statuto
può prevedere le forme tipiche delle società di persone di amministrazione
disgiunta o congiunta, la cui disciplina richiama quella delle società di
persone, o sistemi misti, ma vanno svolti in forma necessariamente
collegiale la redazione del progetto di bilancio, fusione e scissione,
l’aumento del capitale delegato. Il passaggio da un sistema all’altro può
avvenire in qualunque momento con modifica dell’atto.
La rappresentanza legale è attribuita agli amministratori secondo i criteri
delle differenti forme di gestione, tuttavia è generale ed i relativi limiti
risultano inopponibili (salvi i limiti legali; in particolare il contratto
stipulato in conflitto di interessi del rappresentante se il conflitto era
conosciuto o conoscibile dal terzo).
Il controllo
Se nella s.p.a. la funzione di controllo sulla gestione è affidata
istituzionalmente al collegio sindacale, nella s.r.l. l’esistenza di un organo
di vigilanza è meramente eventuale ed il controllo è affidato ai soci, aventi
pertanto diritto ad ottenere notizie sullo svolgimento degli affari sociali
attraverso la consultazione di documenti e libri sull’amministrazione; tali
diritti spettano ai soci non amministratori anche quando sia presente il
sindaco, avendo dunque natura inderogabile e non potendo pertanto né gli
amministratori respingere la richiesta (nel limite che il diritto sia però
usato in buona fede in modo non ostruzionistico) né lo statuto eliminarlo o
comprimerlo (salve le quote di PMI dotate di diritti diversi).
La funzione di controllo indipendente è necessaria solo al superamento di
certe soglie dimensionali, che rendono il controllo un interesse non più
solo sociale: è necessario a) che la società sia obbligata a redigere il
bilancio consolidato (essendo al vertice di un gruppo), b) l’essere
controllante di altra società obbligata alla revisione legale, c) superare per
due esercizi consecutivi 4mln di ricavi o di attivo o i 20 dipendenti.
L’organo è monocratico (se l’atto non dispone diversamente) e si ritiene
che il controllo riguardi la contabilità e la gestione; il rinvio alla disciplina
della s.p.a. fa desumere l’immodificabilità delle funzioni e dei poteri in
ragione del carattere generale degli interessi protetti. La nomina del
sindaco compete necessariamente alla collettività dei soci anche con
decisione non collegiale. Al di fuori delle ipotesi di nomina obbligatoria,
l’atto può comunque prevedere la presenza di un organo di controllo
facoltativo, le cui funzioni, creando l’affidamento dei terzi, risultino
immodificabili.
Il controllo giudiziale rimane in ogni caso attivabile con denuncia del
sindaco (se presente) o del 10% dei soci.
La s.a.p.a. (artt.2452ss)
Lo scioglimento (artt.2484-2486)
Le cause di scioglimento
Le cause di scioglimento possono essere di natura legale o convenzionale.
Quelle legali, ossia previste dalla legge, sono:
a) Il decorso del termine (di natura eventuale, essendo prevedibile la
società a tempo indeterminato) ferma restando la possibilità di prorogarlo
con modifica dell’atto costitutivo; la proroga porta al diritto di recesso per
il socio non assenziente (ma non nelle s.r.l.); b) il conseguimento
dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo,
quest’ultima sia di natura materiale che giuridica e di carattere oggettivo;
al suo verificarsi lo scioglimento diventa evitabile quando, convocata
l’assemblea, questa applichi le opportune modifiche statuarie (non solo un
mutamento dell’oggetto sociale, ma anche una trasformazione o un
aumento di capitale); c) la continuata inattività dell’assemblea o
l’impossibilità del suo funzionamento, quest’ultima relativa ad una
irreversibile paralisi dell’organo che impedisca l’adozione di delibere
essenziali come l’approvazione del bilancio o il rinnovo degli organi; d) la
riduzione del capitale al di sotto del minimo legale per effetto di una
perdita superiore ad un terzo a meno che la società non si trasformi in un
tipo con capitale minimo inferiore o riduca il capitale e lo aumenti
contestualmente ad una cifra pari al minimo legale; e) il recesso del socio
che renda necessaria una riduzione che sia bloccata dai creditori; f) la
deliberazione dell’assemblea che sciolga la società prima della scadenza
del termine con modifica dell’atto costitutivo. E’ poi previsto lo
scioglimento in altre cause legali quali a) la nullità della società già
iscritta, b) il venir meno di tutti gli amministratori accomandatari nella
s.a.p.a. e c) dall’introduzione del codice della Crisi l’apertura della
procedura di liquidazione giudiziale.
Le cause convenzionali, ulteriori a quelle legali, sono prevedibili
attraverso l’inserimento di clausola statutaria nella quale sia altresì
previsto l’organo o il soggetto che deliberi o accerti lo scioglimento.
Gli effetti
Gli effetti dello scioglimento si producono con l’iscrizione nel registro
della deliberazione o della dichiarazione accertante il verificarsi di una
delle cause previste; l’organo di gestione (o nella sua inerzia il Tribunale),
accertata la causa di scioglimento, convoca l’assemblea per adottare le
deliberazioni sulla liquidazione. Il potere di gestione degli amministratori
viene ridotto, potendo esclusivamente operare ai fini della conservazione
dell’integrità e del valore patrimoniale, assumendo responsabilità qualora
eccedano tali limiti per gli eventuali danni arrecati alla società, ai soci o ai
creditori sociali ed ai terzi.
Il procedimento di liquidazione (artt. 2487-2496)
I bilanci
Anche durante la liquidazione viene redatto periodicamente dai liquidatori
ed approvato il bilancio, avente medesima struttura di quello ordinario ma
criteri di valutazione più flessibili: in particolare, nelle situazioni in cui è
prevista la continuazione dell’attività (come nella cessione di un ramo
d’azienda) i beni sono valutati nella prospettiva di continuità dell’attività
(going concern), venendo invece valutati i singoli cespiti per il loro valore
liquidatorio quando tale prospettiva manchi. I liquidatori devono poi porsi
in continuità rispetto ai precedenti bilanci, adottando quando possibile i
medesimi criteri valutativi ed indicando, quando necessario, le ragioni dei
discostamenti.
I gruppi di società
Le società possono esercitare attività eterogenee in più settori, e ciò è
possibile attraverso delle procedure d’articolazione del rischio d’impresa
che vedano o la costituzione di una persona giuridica sulla quale effettuare
un’attività di controllo e coordinamento cui imputare le obbligazioni del
settore, o la costituzione di un patrimonio destinato a specifici affari, volto
ad evitare costituzione e costi del mantenimento in vita di una persona
giuridica.
La struttura finanziaria
Il richiamo alle norme di s.p.a. o s.r.l. (in base al modello scelto o imposto)
si applica tutte le volte in cui non sia specificamente prevista una deroga al
loro modello, cosicché la partecipazione alla cooperativa è rappresentata
da quote o azioni, le quali non possono avere un valore superiore a
100000 euro (per non vanificare il principio della porta aperta e per evitare
deviazioni dallo scopo mutualistico); è inoltre possibile creare categorie di
azioni attribuenti diritti diversi o attribuire ai soci diritti particolari, ed è
inoltre possibile, al fine di favorire la raccolta di risorse finanziare,
l’emissione di obbligazioni o di strumenti finanziari (questi ultimi solo nel
modello s.p.a.) che non costituiscono tuttavia una categoria particolare,
rientrando nella generale. In caso di emissione di strumenti finanziari privi
di voto, i diritto dei loro possessori devono essere salvaguardati attraverso
assemblee speciali e rappresentanti comuni.
Il trasferimento della partecipazione sociale è inefficace nei confronti della
società se la cessione non è autorizzata dagli amministratori; è inoltre
prevedibile un divieto di circolazione, riconoscendosi tuttavia ai soci un
diritto di recesso esercitabile due anni dopo dall’ingresso in società.
Le mutue assicuratrici
Le mutue assicuratrici sono un tipo di cooperativa nel quale l’acquisto e la
permanenza della qualità di socio è subordinato alla stipula di un
contratto di assicurazione con la società; si differenziano dalle cooperative
di assicurazione, nelle quali il contratto di assicurazione eventualmente
stipulato è distinto dal rapporto sociale, non essendone sua condizione. I
contribuiti del socio hanno al contempo funzione di apporto patrimoniale e
di pagamento del premio assicurativo, cosicché non possono essere
utilizzati per misurare la partecipazione sociale né tuttavia sono
assimilabili del tutto ai premi assicurativi.
Le trasformazioni (art.2498ss)
Le trasformazioni omogenee
Le trasformazioni sono distinguibili in omogenee ed eterogenee. Sono
omogenee le trasformazioni avvenenti tra tipi appartenenti alla stessa
famiglia (delle società) generalmente non implicanti una modifica dello
scopo-fine (ad eccezione della trasformazione di cooperative a mutualità
non prevalente in società di capitali); si distinguono le trasformazioni
progressive, nelle quali avviene un passaggio da società di persone società
di capitali, queste ultime favorite dal legislatore, e quelle regressive, aventi
ad oggetto il processo inverso.
Le trasformazioni progressive sono regolate sotto diversi aspetti,
innanzitutto nella a) decisione di trasformazione, che, in deroga alla regola
generale prevedente l’unanimità per le modifiche dell’atto in ragione del
favore accordato alle progressive, è presa con la maggioranza dei soci
secondo la parte di ciascuno agli utili, pur essendo accordato ai soci non
assenzienti il diritto di recesso; è poi previsto che la trasformazione risulti
da atto pubblico, contenente le indicazioni richieste dall’atto costitutivo
della società prescelta, e che sia riconosciuta efficacia alla trasformazione
dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari. Al fine di evitare elusioni del
principio di corretta formazione ed effettività del capitale sociale, tali
trasformazioni comportano l’obbligo di b) determinare il capitale sociale
risultante dalla trasformazione ad una cifra non eccedente il patrimonio
netto risultante dalla relazione giurata di un esperto; il patrimonio è
considerato come un unico conferimento in natura da valutare, e qualora
sia inferiore al minimo stabilito si rende necessario che i soci effettuino
nuovi conferimenti con l’applicazione della relativa disciplina. Per tutela
ai soci c) è previsto che gli si assegni una partecipazione proporzionale a
quella detenuta nella società personale, ed è previsto che ai soci d’opera si
assegni una partecipazione proporzionale alla loro partecipazione agli utili.
Infine, i soci a responsabilità illimitata d) non sono liberati
automaticamente dalle obbligazioni sorte prima dell’iscrizione dell’atto,
essendo necessario il consenso dei creditori che, in incentivo a tale
trasformazione, si presume quando, comunicata in qualsiasi modo la
decisione non lo abbiano esplicitamente negato entro 60 giorni.
Sono invece sfavorite le trasformazioni regressive, in ragione all’esistenza
di meno ampi obblighi pubblicitari ed informativi nelle società minori;
quando applicata, i soci rispondono illimitatamente anche delle
obbligazioni sorte anteriormente all’iscrizione dell’atto di trasformazione,
ed è per questo che a) gli amministratori devono approntare una relazione
che illustri motivazioni ed effetti della trasformazione e b) è necessario che
tutti i soci prestino il loro consenso.
Le trasformazioni eterogenee
Le trasformazioni eterogenee hanno ad oggetto una radicale modifica
dell’assetto organizzativo, incidente sullo scopo-fine e sulla forma
giuridica. In virtù dell’incisività delle modifiche previste da questo tipo di
trasformazione, sono state previste disposizioni a tutela a) dei creditori,
che possono esercitare diritto di opposizione entro 60 giorni
dall’iscrizione, b) dei soci, per cui è previsto che la decisione venga presa
con quorum rafforzato dei 2/3 degli aventi diritto al voto e che gli
amministratori illustrino motivazioni ed effetti della trasformazione; è tuttavia
previsto in deroga che, in caso di trasformazione in società di capitali, essa
possa essere assunta a maggioranza, applicandosi poi in via analogica le
disposizioni sulla relazione di stima e l’applicazione dell’atto pubblico.
Le trasformazioni atipiche
Si ritengono ammissibili fattispecie di trasformazioni atipiche, diverse da
quelle espressamente previste (come quella dal consorzio alla società di
persone), a condizione che non violino norme inderogabili e che non
ledano l’interesse di soci terzi; non rientra tuttavia nelle trasformazioni né
il passaggio da impresa individuale a società unipersonale, configurabile
piuttosto come un conferimento d’azienda, né l’operazione inversa, per
l’inderogabilità dello scioglimento della società di capitali.
Le fusioni (artt.2501ss)
Il procedimento di fusione
Il procedimento di fusione è inderogabilmente composto da tre fasi
consecutive: progetto, decisione e atto di fusione
1) Il progetto di fusione è redatto inderogabilmente dagli amministratori
in c.d.a. ed ha uguale contenuto per tutte le società coinvolte,
indicando le caratteristiche dell’operazione da proporre ai soci, che
devono approvarla in assemblea; nel suo contenuto devono risultare,
accanto ai dati sulle società coinvolte, l’atto costitutivo della risultante
o incorporante e le regole di assegnazione delle partecipazioni, tra cui
il rapporto di concambio, indicante il rapporto di cambio delle
partecipazioni e dunque indice della convenienza per i soci. Il progetto
dev’essere sottoposto a pubblicità mediante iscrizione o pubblicazione
sul sito Internet della società in un termine minimo (rinunciabile
all’unanimità) di 30 o 15 giorni, quest’ultimo nelle società non
azionarie, dalla data fissata, dalla decisione di fusione. Insieme al
progetto devono poi essere forniti degli allegati illustranti il contenuto
dell’operazione: a) l’organo amministrativo redige la situazione
patrimoniale, illustrante la situazione contabile delle società coinvolte,
secondo le regole del bilancio, b) sempre gli amministratori redigono
una relazione illustrante motivazioni e finalità del progetto, oltre che i
criteri di determinazione del rapporto di cambio, c) un esperto deve
redigere una relazione sulla congruità del rapporto di cambio
indicante i metodi seguiti per determinarlo; nelle fusioni eterogenee tra
società di persone e capitali deve inoltre redigere la relazione di stima
del patrimonio della società di persone. Questi documenti rimangono a
disposizione per tutto il periodo precedente la decisione di fusione.
2) La fusione dev’essere decisa da ogni società partecipante mediante
approvazione del progetto, che avviene con la maggioranza nelle
società di persone, a maggioranza e con metodo assembleare nelle
s.r.l. e con le maggioranze dell’assemblea straordinaria nelle s.p.a.;
nei primi due casi è previsto il diritto di recesso per i soci non
assenzienti, nel caso della s.p.a. è previsto solo in caso di fusioni
eterogenee (in quanto presuppongono una trasformazione). La
delibera, che può apportare modifiche al progetto di fusione, è
sottoposta a controllo notarile.
E’ previsto un iter semplificato nel caso delle fusioni per
incorporazione di società possedute interamente o al 90%; la
decisione di fusione, in questi casi, è esercitabile dall’organo
amministrativo mediante atto pubblico. Il rapporto di cambio va
inoltre determinato nelle sole società possedute al 90%.
Se alla fusione partecipano società meno solide o con problemi
finanziari, i creditori possono subire una lesione: essi sono così
legittimati ad opporsi entro 60 giorni dall’iscrizione dell’ultima
decisione di fusione, sospendendone l’attuazione; è possibile però
attuarla quando a) vi sia il consenso di tutti i creditori, b) quelli non
consenzienti siano pagati oppure c) quando le somme relative siano
depositate presso una banca a garanzia, d) si ritiene poi possibile che
una società di revisione assicuri che le garanzie siano superflue.
L’incorporazione in una società di capitali non libera i soci
responsabili illimitatamente a meno che i creditori non abbiano
acconsentito alla fusione.
3) L’atto di fusione è il documento attraverso il quale sono attuate le
modifiche statutarie decise per la fusione; essa deve risultare da atto
pubblico e dev’essere depositata dal notaio rogante. L’ultima iscrizione
dell’atto ha efficacia costitutiva della fusione, assumendo la società
incorporante o risultante da questo momento diritti ed obblighi delle società
partecipanti.
Le scissioni
L’inizio dell’attività
L’esercizio dell’attività nel settore finanziario richiede l’autorizzazione
preventiva dell’Autorità competente, concessa quando siano rispettati dal
richiedente tutti i necessari requisiti a) di forma giuridica dell’ente, che
dev’essere una società di capitali o cooperativa, b) di capitale sociale
(sottoscritto ed interamente versato), c) di onorabilità dei titolari di
partecipazioni rilevanti, d) di professionalità ed indipendendenza di
amministratori e controllori.
L’acquisto di una partecipazione rilevante dev’essere autorizzato
dall’Autorità, che valuterà in base all’idoneità del socio a garantire la sana
e prudente gestione ed in base al possesso dei requisiti di onorabilità.
I principi
Gli emittenti ricorrono al mercato mobiliare per la raccolta diretta di
risorse finanziarie, sottoponendo gli strumenti emessi al collocamento
presso il pubblico e ad ulteriore negoziazione; essi devono pertanto
sottostare a specifici obblighi informativi affinché sia attribuito un certo
prezzo agli strumenti collocati. E’ poi stabilito che l’Autorità deve attuare
la sua azione di controllo a) per tutelare gli investitori, la cui fiducia nel
mercato ne è il fondamento, per garantire la trasparenza e l’efficienza b)
nel mercato di capitali, favorendo la circolazione di informazioni sugli
emittenti presso gli investitori e c) nel mercato del controllo.
L’offerta al pubblico
La sollecitazione all’investimento è possibile attraverso l’offerta al
pubblico, una sollecitazione ad una cerchia di soggetti da parte
dell’emittente, di intermediari che si occupano del collocamento, o
soggetti diversi a sottoscrivere o acquisire un titolo; l’offerente ha
l’obbligo di redigere un prospetto informativo, sottoposto ad espressa
approvazione della Consob e contenente tutte le informazioni necessarie a
formare un giudizio sul prodotto offerto. E’ poi delineata una responsabilità
di prospetto per i danni arrecati agli investitori derivanti dall’affidamento sulla
veridicità delle informazioni del prospetto. Tali disposizioni non si applicano ad
una serie di casi, come alle offerte rivolte ad investitori qualificati.
L’offerta pubblica di acquisto
Si configura come offerta pubblica di acquisto (opa) ogni invito finalizzato
a sollecitare l’investitore al disinvestimento. Prima della promozione
dell’offerta viene presentato il documento destinato alla pubblicazione alla
Consob, che verifica entro 15 giorni se sia utile a formare un giudizio
sull’offerta; una volta autorizzato (anche senza espressa autorizzazione
decorsi i 15 giorni) viene trasmesso e si passa alla fase di pendenza
dell’offerta, la quale è irrevocabile, e nel suo corso i titolari dei prodotti
finanziari possono valutare se procedere alla vendita. Per aumentare
l’efficienza del mercato e la contendibilità del controllo di una società è
prevista una passivity rule, per la quale le società devono astenersi dal
compiere atti che contrastino gli obiettivi dell’opa; tale divieto è
derogabile a) dallo statuto, b) quando l’operazione sia autorizzata
dall’assemblea, c) quando gli offerenti provengono da Paesi stranieri.
Per fornire tutela agli investitori di fronte al mutamento del controllo sono
previste due ipotesi di opa obbligatoria. La prima, l’opa successiva, è
prevista quando a seguito di acquisti di titoli dotati di diritto di voto
l’offerente venga a detenere una partecipazione superiore al 25% (30%
nelle PMI, modificabile tra il 25% ed il 40%); l’offerta sarà rivolta ai
titolari di tutti gli altri titoli ad un prezzo non inferiore a quello più elevato
pagato nei 12 mesi precedenti, consentendo ad ogni investitore di
beneficiare del premio di maggioranza. La seconda, l’opa totalitaria, è
prevista quando un soggetto già possieda una quota superiore al 30% ed
acquisti ulteriori partecipazioni con diritto di voto per più del 5%.
L’obbligo non scatta quando sia stata lanciata dallo stesso soggetto un’opa
su almeno il 60% delle azioni. E’ poi stabilito un obbligo di acquisto
residuale a chi abbia conseguito una partecipazione al capitale del 95%,
che dovrà acquistare i titoli di chiunque ne faccia richiesta. Tali
disposizioni si applicano per le sole emittenti quotate.
L’informazione societaria
Per tutelare la trasparenza e l’efficienza del mercato gli emittenti devono
essere costantemente trasparenti per i fatti concernenti l’impresa; sotto tal
profilo, all’accesso dei titoli di un’emittente al mercato, questo deve
diffondere un prospetto di quotazione, presupposto della loro stabile
negoziazione, e deve poi fornire le informazioni individuate dalla legge
sulle principali operazioni, con particolare attenzione a quelle price
sensitive, aventi cioè un effetto significativo sui prezzi. La Consob dispone
di poteri individuali per verificare la correttezza delle informazioni.