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Carmine P. Trombetta
1. L’impresa 2
2.La pubblicità d’impresa 13
3. L’organizzazione dell’impresa 14
4. Il complesso organizzativo e la circolazione d’impresa 17
5. L’impresa nel mercato 19
6. La cooperazione tra imprenditori 33
7. Strumenti di mobilitazione della ricchezza 36
8. La crisi dell’impresa 40
9. Nozione di società e principi generali 70
10. Le società di persone 76
11. La società per azioni 90
12. La s.r.l. e la s.a.p.a. 144
13. Scioglimento e liquidazione delle società di capitali 156
14. L’articolazione del rischio d’impresa 160
15. Le società con scopo mutualistico 165
16. Le operazioni straordinarie 170
17. Il diritto del sistema finanziario 176
1. L’impresa

La nozione di impresa
E’ possibile ricavare una nozione d’impresa dalla definizione di
imprenditore, contenuta nel titolo II, art. 2082, il quale recita:”E’
imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi”.
All’impresa, definita quindi attività produttiva qualificata dai requisiti di
organizzazione, professionalità ed economicità, si applica la disciplina
d’impresa, dettata dalle peculiarità di quest’ultima, al fine di giungere ad
un equilibrio tra gli interessi che essa coinvolge.
Passando all’analisi delle qualificazioni apportate dall’art.2082:
-L’impresa è descritta in quanto attività produttiva.
a) L’attività può essere immaginata come un modello comportamentale:
essa è formata da alcuni comportamenti che rilevano, nel piano
normativo, nel loro insieme, in quanto coordinati teologicamente
rispetto al raggiungimento di uno scopo;
b) L’attività è qualificata in base alla natura di tale scopo, che deve
identificarsi come il perseguimento di un risultato produttivo, ossia di
produzione di un’utilità che prima non c’era, e quindi di incremento
del livello di ricchezza complessiva attraverso un processo produttivo;
se tale attività produttiva non si estrinseca, si tratta allora piuttosto di
attività di godimento (ricavo utilità d’uso o di scambio da qualcosa che
già si ha).
-L’attività produttiva dev’essere svolta professionalmente: questo requisito
si riferisce alla frequenza dello svolgimento della stessa, che dev’essere
esercitata in maniera abituale, stabile e reiterata e non in maniera
occasionale.
a) La professionalità non è sinonimo di esclusività: è quindi ammesso che
un soggetto svolta un’attività produttiva d’impresa ed un’attività
differente o due diverse attività d’impresa;
b) La professionalità non è sinonimo di continuità: è quindi ammesso che
l’attività non sia svolta in via continuativa e che vi siano delle
interruzioni, purché siano giustificate ad esigenze del ciclo produttivo e
non all’arbitrarietà del soggetto (es.: gestione stabilimento balneare);
c) La professionalità non è sinonimo di pluralità di risultati prodotti:
l’attività produttiva può quindi essere destinata anche alla
realizzazione di un singolo affare purché esso sia un affare complesso
e quindi non un’attività che possa essere improvvisata (es.: costruzione
ponti ma non compravendita occasionale di beni).
-L’attività produttiva dev’essere organizzata: questo requisito coinvolge i
mezzi utilizzati per il suo svolgimento, richiedendo che sia svolta con
l’ausilio di altri fattori produttivi e non con la sola capacità lavorativa di
chi la pone in essere. I fattori produttivi sono sostanzialmente riconducibili
a lavoro (forza lavoro) e capitale (entità materiali o immateriali) e non è
necessario che nell’attività ricorrano congiuntamente. Il titolare ha il ruolo
di svolgere un’opera di organizzazione, stabilendo un’ordine funzionale e
strutturale tra i fattori produttivi; qualora il ruolo del titolare non fosse
riconducibile a quello di organizzatore, e fosse piuttosto di tipo meramente
esecutivo, mancherebbe il profilo di eterorganizzazione, e si avrebbe
piuttosto un’autorganizzazione e quindi un’iniziativa di lavoro autonomo.
-L’attività dev’essere svolta col criterio dell’economicità: questo requisito
è relativo al metodo di svolgimento dell’attività. Esistono due orientamenti
riguardo la nozione di economicità.
a) Il primo orientamento, detto lucrativo, considera il requisito di
economicità un requisito inautonomo e dipendente dalla
professionalità, di cui sarebbe un rafforzamento: questo metodo tende
a far conseguire un margine di profitto o un maggior profitto possibile
dall’attività d’impresa. L’impresa, per essere tale, deve dunque avere
prezzi di cessione fissati ex-ante (prezzi-ricavo) così da sostenere i
costi del processo produttivo (prezzi-costo), ma anche da conseguire
un margine di profitto.
b) Il secondo orientamento, economico stretto, considera questo requisito
ulteriore rispetto alla professionalità: questo metodo tende a far
conseguire un pareggio tra ricavi e costi, considerando eventuale ed
irrilevante il profitto. I prezzi devono dunque essere fissati ex-ante così
da consentire almeno di recuperare i costi di produzione. Sarebbe
dunque necessario che l’impresa rinnovi gli investimenti che sono
richiesti rimanendo in equilibrio economico ed in autonomia da altre
economie.
E’ evidente che, considerando l’orientamento lucrativo, il fenomeno
d’impresa sarebbe più circoscritto in maniera ingiustificata e sarebbero
pertanto estrani alla fattispecie una serie di fenomeni che hanno comunque
l’obiettivo di appagare le istanze di coloro che ne soddisfano le esigenze
finanziarie sostenendo il rischio d’impresa; è a partire da questo
presupposto che, a prescindere dal criterio applicato, ciascuno di questi
enti dev’essere sottoposto alla disciplina d’impresa, cosicché anche i diritti
dei creditori siano tutelati.
Rimangono comunque estranee dalle attività d’impresa le attività
erogative, operanti senza prefiggersi di pareggiare costi e ricavi.
Resta incerto se debbano considerarsi imprenditoriali o erogative le attività
svolte stabilendo prezzi-ricavi non sufficienti a correggere i costi ex-ante
con una logica di perdita programmata, che dovrà sistematicamente coprire
un terzo (es.: no-profit, attività mutualistico consortili)
Il modello comportamentale d’impresa descritto dalla norma è esaustivo:
contiene cioè gli elementi necessari e sufficienti affinché un fatto sia
considerato impresa, a prescindere che la produzione sia destinata al
mercato (es.: impresa per conto proprio) o che operi senza osservare criteri
di legge (es.: impresa illegale).

Le categorie d’impresa
La nozione d’impresa comprende un qualsiasi fenomeno produttivi che
presenti i tre requisiti esposti, così da poter assoggettare quante più
iniziative produttive ad un nucleo di regole comuni; inizialmente erano
rappresentate dalle norme corporative, sostituite poi dallo statuto generale
d’impresa. Dalla nozione d’impresa sono state enucleate due
sottofattispecie, poiché non tutti i fenomeni possono essere assoggettati
alla stessa nozione d’impresa, in quanto tale applicazione sarebbe
eccessiva. Viene attribuita più ristretta rilevanza ai fenomeni di:
-Impresa agricola, in ragione della natura della produzione;
-Piccola impresa, in ragione della dimensione dell’organizzazione.
Si volevano sottrarre queste due categorie in particolare dai tradizionali
istituiti di tutela dei creditori, atti a salvaguardare il debito di produzione
delle normali imprese (non piccole).
-La nozione di impresa agricola si desume dall’art.2135, che la descrive
come attività di coltivazione del fondo, allevamento di animali (attività
essenziali) e attività connesse (agricole per connessione). Venne data una
rilevanza normativa più ristretta all’impresa agricola in quanto, in origine,
era incentrata sul fattore produttivo principale del fondo, ossia la terra
coltivata direttamente dall’imprenditore che ivi esercita la sua attività in
compenetrazione col suo diritto di proprietà: per conseguenza i fattori
produttivi coincidevano prevalentemente col fondo e non erano richiesti
particolari investimenti neppure per la commercializzazione eventuale dei
prodotti del fondo.
In seguito ad una riforma, ai sensi dell’art.2135 per attività essenziali si
intendono le attività dirette alla cura di un ciclo biologico, mentre per
attività connesse si intendono le attività alternative (es.:
commercializzazione) aventi ad oggetto le attività agricole essenziali.
a) Se in passato erano attività essenziali solo quelle che si tenevano sul
fondo, oggi lo sono anche quelle che lo possono utilizzare; essendo ora
fattore produttivo eventuale non è più elemento caratterizzante della
fattispecie; il nuovo elemento costitutivo è proprio la cura del ciclo
biologico.
b) Le attività connesse sono tali se utilizzano come materia prima
prevalente (e non esclusiva) i prodotti derivanti dal fondo: si
considerano quindi connesse le attività di manipolazione,
trasformazione e commercializzazione di prodotti provenienti
dall’attività essenziale. Inoltre sono connesse tutte le attività che
utilizzano principalmente le attrezzature o le risorse dell’azienda
agricola (es.: agriturismi).
E’ evidente che la fattispecie di impresa agricola si sia largamente ampliata
e che pertanto richieda un maggior ricorso al capitale di credito che, in
passato, aveva determinato l’esclusione di questa fattispecie dalla nozione
d’impresa; servirebbe dunque approntare migliori meccanismi di tutela per
i creditori.
-La nozione di piccola impresa si desume dall’art.2083, che la descrive
come un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro
del titolare e dei componenti della sua famiglia, specificando le figure di
coltivatore del fondo, artigiano e piccolo commerciante. La decisione di
attribuire minore rilevanza a questa fattispecie è dovuta al rapporto di
prevalenza intercorrente tra le risorse (lavoro e capitale) proprie, di cui già
si dispone senza la necessità di acquisirle da terzi, rispetto a quelle esterne;
in virtù di questo rapporto di prevalenza è escluso che sia significativo
l’eventuale ricorso al credito di produzione. Tale prevalenza va accertata in
senso qualitativo più che quantitativo: le risorse proprie devono essere
quelle centrali nel processo produttivo, ed, in particolare, il fattore lavoro
dev’essere prevalentemente approntato dal titolare o dalla sua famiglia,
che devono svolgere un ruolo prevalentementemente esecutivo, che non si
avrebbe qualora tale ruolo fosse delegabile all’organizzazione. Non sembra
comunque potersi escludere l’applicabilità di questo principio alle società,
purché il lavoro prevalga sugli altri fattori.
Non è sempre possibile applicare il criterio qualitativo in maniera agevole,
ed è per questo che va applicato un criterio quantitativo che qualifichi le
imprese come piccole e che pertanto escluda l’apertura delle tradizionali
procedure concorsuali. E’ il codice della crisi a contenere questi parametri,
identificabili non tanto come una nuova definizione quanto più come
un’area di esenzione dalle procedure tradizionali, ossia fallimento o
concordato preventivo (che saranno sostituite dal codice di crisi ed
insolvenza); i parametri che qualificano l’impresa come piccola sono:
1. Esposizione debitoria complessiva al momento dell’apertura della
procedura non superiore a 500mila euro;
2. Attivo patrimoniale di ognuno dei tre esercizi precedenti non superiore
a 300mila euro;
3. Ricavi lordi in ognuno dei tre esercizi precedenti non superiori a
200mila euro.
Se l’impresa si trova al di sotto di tutti e tre i parametri, sarà sottoposta a
presunzione di piccolezza e sarà sottoposta ad una procedura concorsuale
semplificata (la stessa dell’impresa agricola) detta di composizione dalla
crisi da sovraindebitamento, che prevede una liquidazione controllata ed
un concordato minore in ragione delle piccole dimensioni d’impresa.
Rimane da chiedersi se tale presunzione possa essere smentita allorché sia
dimostrata una contrarietà all’art.2083 (i fattori produttivi utilizzati sono
prevalentemente non propri); l’introduzione del codice di crisi ed
insolvenza sembrerebbe risolvere il problema, in quanto l’art.384,
prevedendo la sola applicazione dei parametri, abroga l’art.2221.
Ogni impresa che non rientri in queste due nozioni enucleate vede
applicata la normale disciplina d’impresa: le imprese di questa categoria
sono dette commerciali.

La nozione d’impresa commerciale non è inclusa con precisione in


nessuna norma, ma può essere desunta dall’art.2195, la quale impone
l’obbligo di pubblicità a chi pone in essere un comportamento che si
sostanzia in una serie di attività identificanti un’impresa commerciale
(attività industriale di produzione beni e servizi, intermedia nella
circolazione di beni, di trasporto, bancaria o assicurativa o ausiliaria alle
precedenti). Se ne deduce che l’impresa commerciale è un’attività di
produzione di beni e servizi che si qualifica come industriale e/o
un’attività di circolazione di beni che si qualifica come intermediaria.
Sulla definizione di industrialità ed intermediarietà si sono affermati due
orientamenti.
a) L’attività si qualifica come industriale se si tratta di attività
automatizzata o che si sostanzia in una trasformazione tecnico-fisica
di materie prime; è intermediaria se si tratta di compravendita di
qualcosa. Secondo questa definizione sarebbero da definirsi
commerciali tutte le imprese caratterizzate da questo tipo di processo
produttivo o dalla circolazione di beni in positivo; ne consegue che
non vadano esclusi ulteriori fenomeni produttivi non aventi natura
commerciale né agricola. All’impresa agricola o commerciale si
affiancherebbe dunque la categoria di impresa civile (che potrebbe
essere composta da imprese artigiane, di pubblici spettacoli,
finanziarie, matrimoniali). Risulterebbe però problematico identificare
una disciplina da applicarvici e c’è chi riterrebbe opportuno
considerarla simile alla piccola impresa ed all’agricola; tuttavia la
disciplina applicata mancherebbe di unitarietà.
b) E’ per questi motivi che si preferisce la seconda interpretazione: il
requisito di industrialità sarebbe da interpretare come non agricolo,
quello di intermediarietà come di scambio. Andrebbe dunque
considerata come commerciale ogni fenomeno imprenditoriale che non
possa qualificarsi come agricolo: tale nozione di impresa commerciale
è dunque di natura residuale.
In base a questa nozione un fenomeno imprenditoriale o è un’impresa
commerciale o agricola.

L’impresa commerciale può essere a sua volta riqualificata, e risentire


variazioni nella disciplina applicata in ragione della forma giuridica, come
pubblica e privata.
L’impresa pubblica fa riferimento ad un fenomeno produttivo
imprenditoriale di natura commerciale esercitato da o riconducibile ad un
soggetto di diritto pubblico (ente pubblico).
In particolare, si profilano tre casi:
-L’attività commerciale è oggetto esclusivo o principale di un ente
pubblico, che viene qualificato quindi come ente pubblico economico,
ossia un ente che si prefigge di perseguire il suo fine istituzionale
attraverso un’attività commerciale. In passato assumevano grande
importanza, ma con i fenomeni di privatizzazione sono diventati
circoscritti perlopiù ai monopoli legali; l’interesse è rimasto tuttavia di
entità pubblica, per cui si è parlato di privatizzazione formale;
-Se l’attività commerciale è esercitata da una società controllata da un
ente pubblico essa è quindi detta società in mano pubblica: è il caso delle
società privatizzate di cui si è appena parlato, caratterizzate dal fatto che la
partecipazione di controllo è detenuta da un ente pubblico. In particolare,
è possibile riscontrare società a partecipazione interamente pubblica, per le
quali si parla di relazione interorganica in quanto la gestione è
assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle assoggettate dall’ente
pubblico sui propri uffici; tipica è stata la costituzione di società in house
providing, di stampo privatistico.
-L’attività commerciale può essere un’iniziativa secondaria di un ente
pubblico, qualificabile come non economico in quanto non operante
secondo il criterio di economicità.
I servizi pubblici esercitati da queste società possono distinguersi come
rilevanti economicamente o meno in base al regime di economicità
applicato (ricavo margine profitto o copertura costi). Le attività a rilevanza
economica non possono essere svolte dall’ente pubblico, che deve
necessariamente istituire una società in house cui affidarle; quelle prive di
rilevanza economica possono essere gestite sia dall’ente che da una in
house. In base alla forma giuridica assunta dall’impresa viene applicata
una disciplina differente:
a) In caso d’impresa con forma privatistica (in house) vengono applicate
le stesse disposizioni di qualsiasi società (cosicché in caso di
fallimento verrà applicato il processo tradizionale);
b) In caso d’impresa con forma pubblicistica (enti pubblici economici e
non) viene applicata tutta la disciplina d’impresa per la quale non è
stabilito diversamente, ossia in campo di fallimento, per il quale è
prevista la liquidazione coatta amministrativa.

L’impresa privata è un fenomeno produttivo imprenditoriale che assume


forma giuridica di diritto privato, ossia persona fisica (impresa
individuale), società (impresa societaria) o altri enti non societari.
Per la forma individuale o societaria vengono applicate le discipline
esposte a seconda della dimensione e della natura, a meno che l’impresa
societaria non sia di forma commerciale o cooperativa, cui è altresì
imposto l’obbligo di pubblicità e di tenuta delle scritture contabili; è
invece possibile desumere la disciplina dell’ente privato non societario,
ossia enti di diritto privato costituiti per il raggiungimento di una finalità
ideale (associazioni, comitati e fondazioni), dal libro I del codice civile.
Nell’esperienza pratica associazioni e fondazioni per espletare il loro
scopo devono raccogliere risorse, e ciò avviene spesso attraverso la
raccolta di donazioni del pubblico o l’esercizio di attività d’impresa a
scopo di profitto con criterio di lucro oggettivo, per cui il risultato
conseguito non viene distribuito tra gli associati ma destinato alla
realizzazione della finalità ideale
Si pone il problema di individuare la disciplina applicabile a questi enti.
Se alcune correnti di pensiero hanno ritenuto che andasse applicato il
diritto d’impresa così come stabilito per l’ente pubblico, pur non essendo
giustificato l’esonero dall’obbligo di pubblicità e dalle procedure di
fallimento, o ancora, partendo da queste conclusioni, che bisognasse
applicare per intero la disciplina dell’impresa alle associazioni esercitanti
attività commerciale, è intervenuto il codice del terzo settore a chiarire che
il diritto d’impresa va applicato integralmente alle associazioni svolgenti
impresa (sociale) come oggetto esclusivo o principale (e nel caso delle
associazioni ecclesiastiche anche qualora fosse secondaria); questi sono
quindi assoggettati alla tenuta delle scritture contabili, all’obbligo di
pubblicità ed al tradizionale concorso fallimentare.

Per le imprese collettive, a differenza delle individuali, ai sensi dell’art.


2086 è imposto un principio di adeguatezza della struttura organizzativa:
esse devono istituire un apparato organizzativo interno consono alla natura
ed alle dimensioni dell’impresa e che consenta una chiara divisioni di
compiti, oltre che di individuare la crisi e la perdita di continuità
dell’impresa.

Imprese e professioni intellettuali


Le professioni intellettuali si sostanziano nella produzione di servizi
professionali e si distinguono in protette, richiedenti l’iscrizione in un albo
professionale in seguito ad un esame di ammissione, da quelle non
protette, che non la richiedono; la nozione d’impresa dell’art.2082 è
applicabile anche ad esse perché soddisfano i requisiti di organizzazione
(in quanto sussiste spesso l’eterorganizzazione dei fattori produttivo, come
capitali e lavoro di aiutanti) economicità-lucrativa (in quanto vi è la ricerca
di un lucro) e professionalità (in quanto l’attività viene svolta con
continuità, a meno che non sia sporadica); ne consegue che il
professionista non è un imprenditore ai sensi del codice civile, ma essendo
applicabile la nozione di impresa del codice civile, possono esserlo ai sensi
di alcune leggi speciali (come la disciplina antimonopolistica).
Alle professioni protette non è applicabile la disciplina d’impresa
senz’altro, mentre perché valga l’esenzione dallo statuto d’impresa
commerciale per quelle non protette è necessario che sussistano i caratteri
che il codice civile accorda al contratto di opera professionale, ossia
personalità della prestazione professionale, compenso concordato secondo
le tariffe vigenti, accesso contingentato alla professione.
Nella disciplina delle professioni intellettuali ha rilevanza l’art.2238:
questo, ponendo il caso che l’attività si inquadri in una più ampia attività
d’impresa, subordina l’applicazione delle disposizioni dello statuto
d’impresa commerciale alla condizione che l’esercizio della professione
costituisca elemento di un’attività organizzata in forma d’impresa, ossia
che ne rappresenti una componente; qualora l’attività produttiva si
esaurisca nella realizzazione di un servizio professionale allora non
troverà applicazione lo statuto.
Pertanto, se il professionista intellettuale esercita la professione nel
contesto di una più ampia attività d’impresa (es.: medico proprietario di
una clinica), la disciplina della professione si applica alla sola frazione di
attività professionale, mentre si applica la disciplina d’impresa per la
restante parte di attività (il medico può invocare le guarentigie solo
nell’esercizio della sua attività professionale pura e semplice). Il fatto che
il professionista non sia un’imprenditore ha alcuni svantaggi: non gli si
può applicare ad esempio la disciplina dell’azienda (pertanto la cessione
dello studio non può essere monetizzato), non può invocare la tutela dei
segni distintivi (pertanto non può tutelare il marchio con il quale effettua i
suoi servizi). Resta il fatto che il professionista non è sottoposto alle
tradizionali procedure di fallimento.

L’inizio e la fine dell’impresa


E’ importante determinare il momento d’inizio e fine dell’impresa poiché
da questi momenti sono determinati i periodi da cui sono applicate le
discipline relative e da cui è avviata la tutela dei terzi. Nell’ordinamento
abbiamo una norma che determina la fine dell’impresa, ma non una che ne
regola l’inizio, che va dunque determinato in via interpretativa attraverso il
principio dell’effettività, di tipo fenomenologico ed associato all’effettiva
attività d’impresa. Si prospetta dunque necessario individuare il momento
da cui l’impresa inizia la sua attività, intesa come serie di azioni
teologicamente orientate ad un fine, e si vuole escludere che dipenda da
qualsiasi adempimento formale, come l’iscrizione nel registro delle
imprese, in quanto sarebbe in questo modo subordinata alla volontà del
soggetto che le deve porre in essere; si ritiene piuttosto che questo
momento possa coincidere con la fase di organizzazione, ossia
dall’approntamento dei fattori produttivi, fase in cui peraltro si fa ricorso a
credito esterno, che va necessariamente tutelato attraverso le procedure
concorsuali; pertanto l’impresa si ritiene iniziata in seguito al ripetersi di
una serie di atti teologicamente orientati all’inizio di un’attività
produttiva.
La fine dell’impresa è invece regolata da una norma da ritenersi fondata
sul criterio di effettività: essa deve quindi identificarsi nel momento in cui
viene effettivamente meno il fenomeno produttivo impresa. Per la norma
regolante la fine dell’impresa, perché un imprenditore possa essere
dichiarato fallito (e sottoposto alle pratiche concorsuali) dev’essere
passato meno di un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese;
solo a decorrere dalla cancellazione si forma una presunzione semplice
relativa alla cessazione dell’attività d’impresa. La fine dell’attività
d’impresa va fatta coincidere con l’espletamento di un requisito formale,
ossia la cancellazione dell’imprenditore dal registro; non si poteva
escludere tuttavia il fallimento dal giorno successivo al cancellamento, in
quanto il registro si sarebbe potuto utilizzare in maniera strumentale per
concludere l’attività d’impresa senza concludere i rapporti creditori in
essere. Il decorso dell’anno viene introdotto per questo: nel corso di questo
lasso i creditori insoddisfatti in maniera regolare possono richiedere la
procedura di fallimento (che sarà sostituita dalla liquidazione giudiziale
col nuovo codice). Tuttavia, come stabilito dalla norma 11 del codice del
fallimento (che coinciderà con l’art.33 del codice della crisi fallimentare)
la cancellazione dell’imprenditore viene a costituire soltanto una
presunzione semplice, superata dal dato fattuale: quando esso dimostra che
l’attività è proseguita oltre la cancellazione, l’anno non decorrerà dal
procedimento formale ma da quando si dimostra che l’impresa è terminata.

L’imputazione dell’impresa
L’imputazione dell’attività d’impresa consente di individuare il suo
referente soggettivo tenuto ad adempiere gli obblighi comportamentali
imposti dalla disciplina, così da fornire garanzie alla salvaguardia degli
interessi dei terzi.
Esistono due criteri per l’imputazione.
Il primo di questi è il criterio formale della spendita del nome, per il quale
è imprenditore colui che svolge l’attività a proprio nome; vi è poi un
criterio sostanziale dell’interesse perseguito, per cui è imprenditore colui
nel cui interesse è svolta.
L’imputazione appare risolta quando l’impresa viene svolta in nome e per
conto dello stesso soggetto, ossia in caso di coincidenza dei due aspetti;
sorgono invece dei problemi quando i due criteri si riscontrano in capo a
soggetti diversi, e ciò accade quando l’imprenditore affida l’attività ad un
diverso soggetto.
In mancanza di istruzioni normative chiare, si ricorre al criterio previsto
per l’imputazione degli atti giuridici, considerata l’attività come un
insieme di atti giuridici, fondato sul criterio della spendita del nome ex.art.
1705. E’ stato tuttavia sostenuto in opposizione che non rilevano i singoli
atti costituenti l’attività, ma quest’ultima in quanto fenomeno unitario; in
secondo luogo desta perplessità che i creditori possano soddisfarsi sul solo
patrimonio del soggetto che svolge l’impresa, poiché questo sistema dà
spazio ad abusi, che si possono avere in particolare quando il soggetto cui
l’impresa è imputata è un nullatenente che nasconde un soggetto che ha
interesse a non esporre il suo patrimonio, cosicché il peso dell’insolvenza
grava esclusivamente sui creditori.
La giurisprudenza cerca di porre rimedio attraverso il criterio dell’impresa
fiancheggiatrice, per il quale il dominus acquisisce la qualifica di
imprenditore se si accerta che ha posto in essere un comportamento che
possa qualificarsi come impresa; ci si riferisce a comportamento di
finanziamento e direzione del prestanome, che assoggettano il dominus
alla disciplina d’impresa; tuttavia, il fallimento del dominus consentirebbe
la completa soddisfazione ai pochi creditori che hanno richiesto una
garanzia.
Si è raggiunta una svolta con la teoria dell’imprenditore occulto, fondata
sul criterio dell’interesse perseguito; questa teoria sostiene una relazione
biunivoca tra potere e rischio, implicante la responsabilità di chi dirige
l’iniziativa imprenditoriale delle obbligazioni nascenti durante l’esercizio.
Si cerca quindi di dimostrare che il dominus acquisisce per questo motivo
la qualifica di imprenditore, essendo assoggettato alla disciplina
d’impresa ed alle procedure concorsuali.
La conferma sarebbe data dall’art.147 del codice di fallimento,
confermante il criterio dell’interesse: tale articolo è riferito ad una società
palese (due soci palesi ed uno occulto) con soci illimitatamente
responsabili e prevede il fallimento in estensione. Viene poi specificato
che, qualora fosse individuato un socio occulto, il fallimento ricadrebbe
anche su di esso. Secondo la suddetta teoria andrebbe estesa questa
disposizione anche alle società occulte (società con un socio palese ed uno
occulto). Questo orientamento sembra confermato dal nuovo art.147 del
codice fallimentare, per il quale se emerge che l’imprenditore insolvente
sia in società con un altro soggetto ed entrambi siano illimitatamente
responsabili, la dichiarazione di insolvenza si estende anche al secondo.

2.La pubblicità d’impresa

Il registro delle imprese: sezioni, principi ed iscrizioni


La disciplina d’impresa contempla un obbligo di pubblicità la cui finalità è
la trasparenza informativa su alcuni fatti o atti previsti espressamente dalla
norma, volta a fornire certezza legale che certe informazioni possano
opporsi ai terzi e che questi ultimi possano fruire di informazioni certe;
non sono ammessi fatti o atti ulteriori rispetto a quelli imposti secondo un
principio di tipicità il quale opera da filtro contro gli atti irrilevanti
imponendo l’obbligo di iscrizione solo ad atti o fatti espressamente
previsti dalla norma.
Si adempie a tale obbligo attraverso all’accesso al registro delle imprese,
diviso in sezione ordinaria e sezione speciale; nella sezione ordinaria
rientrano le forme giuridiche previste da codice civile, ossia le imprese
commerciali non piccole, le società commerciali, le cooperative (cui si
aggiunge il gruppo europeo di interesse economico), mentre rientrano nella
sezione speciale le forme giuridiche non originariamente previste dal
codice come imprese agricole, le piccole imprese, le società semplici, le
imprese sociali.
L’iscrizione nel registro avviene attraverso domanda dalla quale devono
risultare le informazioni oggetto d’obbligo, relative all’assetto
organizzativo; viene poi effettuato un controllo sulla regolarità formale
della documentazione e sul rispetto del principio di tipicità, al termine del
quale avviene l’iscrizione dell’atto o del fatto. In caso di iscrizione
effettuata senza il rispetto delle condizioni, è disposta la cancellazione
d’ufficio.
Gli effetti dell’iscrizione possono essere di tre tipi.
-L’efficacia dichiarativa, per la quale viene determinata una presunzione
di conoscenza da parte dei terzi al momento dell’iscrizione dell’atto/fatto;
questa presunzione è di norma assoluta, fanno eccezione gli atti/fatti delle
società di capitali per i primi quindici giorni in cui sono stati compiuti, nel
cui decorrere si mantiene relativa per il la complessità degli atti/fatti di
queste imprese; decorso il periodo diventa assoluta. Accanto all’efficacia
positiva appena esposta ve ne è una negativa: si presume che atti o fatti
non iscritti sono ignorati dai terzi, a meno che non si dimostri che
l’imprenditore abbia informato il terzo in maniera diretta attraverso una
raccomandata, una PEC o altri strumenti telematici, essendo questa
presunzione di carattere relativo. Questo tipo di efficacia è stata ampliata
agli imprenditori agricoli ma non ai piccoli imprenditori, per i quali
l’iscrizione è di mera certificazione anagrafica.
-L’efficacia normativa è condizione per rendere applicabile una certa
disciplina: in particolare le società iscritte è applicata la disciplina delle
società regolari, mentre a quelle non iscritte delle società irregolari; le
società regolari hanno una disciplina più favorevole per i soci, non potendo
i creditori soddisfarsi sul patrimonio personale qualora quello sociale non
fosse bastevole, ed è disposto così al fine di incentivare l’iscrizione.
-L’Efficacia costitutiva fa venire ad esistenza le società come centro
autonomo di diritto ed obbligo dinanzi ai soci ed ai terzi; essa si applica
alle società di capitali ed alle cooperative.
Alla domanda di iscrizione segue un deposito.

3. L’organizzazione dell’impresa

La struttura dell’organizzazione
Nell’organizzazione di ogni impresa si possono distinguere i fattori
produttivi (asset materiali ed immateriali) e la struttura collaborativa
(personale), distinguibile in struttura decisionale ed esecutiva.
L’art.2555 definisce azienda il complesso dei beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
Dalla struttura decisionale promanano gli atti dell’impresa: il codice
disciplina la struttura decisionale interna prevedendo specifiche forme di
rappresentanza per l’imprenditore sia commerciale che agricolo, ossia
institore, procuratore, commesso; possono poi subentrare dei collaboratori
autonomi esterni, strutturalmente estranei all’impresa cui si legano
attraverso rapporti contrattuali di diritto privato, ossia mandatari, agenti e
mediatori.
I collaboratori interni rappresentano commercialmente l’imprenditore
secondo criteri diversi da quelli privatistici, per i quali i poteri sono
concessi dal rappresentante attraverso l’atto unilaterale della procura;
inoltre è facoltà del terzo, ex art.1333, esigere dinanzi al rappresentante di
provare i poteri per non incorrere in un falsus procurator. Poiché sarebbe
difficoltoso richiedere di volta in volta tale prova nella pratica d’impresa,
in diritto commerciale si rimanda a forme speciali di rappresentanza con
l’art.1400, che rinvia agli artt.2203 e seguenti. I contenuti della
rappresentanza non trovano specificazione nella procura, bensì nel codice
civile indicanti poteri e limiti del rappresentante, salve eventuali
limitazioni poste dall’imprenditore attraverso una procura iscritta nel
registro delle imprese per fini dichiarativi nei confronti dei terzi.
-La prima di queste figure è l’institore, identificato come colui il quale è
preposto all’esercizio dell’impresa, ad una sede secondaria o ad un ramo;
si desume che l’institore ha poteri generali ed è abilitato a compiere tutti
gli atti di pertinenza dell’impresa; secondo il medesimo principio non è
abilitato a cambiare l’oggetto della stessa, alienare o ipotecare beni
immobili. E’ poi dotato di poteri di rappresentanza processuale.
Non è escluso che vi siano più institori, che di norma agiscono
disgiuntamente, salvo obbligo di azione congiunta che costituirebbe una
limitazione dei loro poteri; peraltro, questi potrebbero essere limitati anche
in altri ambiti con apposita iscrizione nel registro delle imprese di procura.
E’ inoltre tenuto, insieme all’imprenditore, all’osservanza degli obblighi di
tenuta delle scritture e di pubblicità, ed è tenuto a spendere il nome
dell’imprenditore; in caso di omissione, diventa titolare di tutti gli atti
compiuti a proprio nome e si affianca alla sua la responsabilità
dell’imprenditore, e ciò poiché è necessario che i terzi siano a conoscenza
del fatto che l’institore è un rappresentante dell’imprenditore.
-Il procuratore compie atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, in
relazione ad una circoscrizione della stessa, sulla quale esercita altresì
poteri decisionali che possono tuttavia essere limitati dall’imprenditore.
Non ha poteri di rappresentanza processuale né di tenuta di scritture né di
spendita del nome dell’imprenditore.
-I commessi compiono gli atti che comportano le operazioni di cui sono
incaricati. Non hanno poteri decisionali, pertanto non possono concedere
sconti o dilazioni oltre quelli degli usi commerciali né possono derogare
condizioni di contratto, possono ricevere reclami su inadempienze
contrattuali.

I presidi organizzativi: assetto organizzativo e scritture


Sotto il profilo delle modalità organizzative vige il principio della libertà
dell’imprenditore; sono comunque introdotti alcuni presidi organizzativi
diretti ad assicurare una corretta gestione dell’impresa. In questo contesto
il principio di adeguatezza, art.2086, riferito all’impresa collettiva ma in
via analogica applicabile anche all’impresa individuale, esplicita che
l’imprenditore ha il dovere di istituire un assetto organizzativo,
amministrativo e contabile adeguato alla natura ed alle dimensioni
dell’impresa, a prescindere che l’impresa sia individuale o collettiva.
In particolare, è imposto in capo all’imprenditore un obbligo di
documentazione d’impresa che rappresenti i diversi accadimenti relativi
allo svolgimento d’impresa svolto attraverso la tenuta di scritture
contabili.
Dalla lettura congiunta degli artt. 2086 (adeguatezza) e 2214, che impone
di tenere scritture contabili adatte alla natura ed alla dimensione
dell’impresa, è possibile delineare un criterio elastico sulla composizione
delle scritture, che possono variare da impresa ad impresa. Vengono
comunque individuate due scritture obbligatorie, ossia libro giornale e
degli inventari. Il libro giornale è la scrittura contabile indicante giorno
per giorno tutte le operazioni relative all’esercizio secondo un criterio
cronologico; nel libro degli degli inventari sono indicate le attività e
passività relative all’impresa o estranee ad essa secondo un criterio
sistematico.
L’inventario si chiude con il bilancio di esercizio, insieme di stato
patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario e nota integrativa.
Manca una disciplina giuridica sul bilancio di esercizio se non sull’ambito
della valutazione, che, come generalizzato dall’art.2217 in ambito di
bilancio di spa, dev’essere chiara, veritiera e corretta; nulla è invece detto
sulla struttura del bilancio, ed è quindi ritenuto che possano avere, per le
imprese più piccole, strutture semplificate.
4. Il complesso organizzativo e la circolazione d’impresa

La nozione di azienda
L’azienda, come definita dall’art.2555, è un complesso di beni che
l’imprenditore organizza per l’esercizio dell’impresa, sul complesso di
beni l’imprenditore esercita un diritto di proprietà o di godimento.
Sotto il profilo economico, essa rappresenta un’entità unitaria che
trascende dai singoli beni; l’unità è data dall’organizzazione, ossia il
coordinamento dei diversi elementi apportato dall’imprenditore, il quale
determina in questo modo un aumento dell’efficienza e quindi un
plusvalore che prende il nome di avviamento oggettivo, ossia l’attitudine
alla produzione di nuova ricchezza ed alla maturazione di un reddito.
L’avviamento è una qualità legata ad ogni azienda, non alienabile
singolarmente ma avente grossa rilevanza nel calcolo del suo prezzo.
Dal punto di vista giuridico, ciascuna parte del complesso conserva la sua
autonomia rispetto agli altri beni: affinché facciano parte del complesso è
necessario e sufficiente che l’imprenditore abbia titolo giuridico per
poterne godere. I beni d’azienda possono mutare ed è irrilevante la loro
sostituzione a meno che non si tratti di beni essenziali.
All’interno del complesso sono poi individuabili dei sottoinsiemi autonomi
sul piano produttivi, detti rami (art.2112), non aventi totale autonomia
organizzativa (es.: non hanno autonomia nelle scritture contabili).

Il trasferimento d’azienda (artt. 2556 e seguenti)


La fattispecie principale in ambito d’azienda è il suo trasferimento, ossia
del complesso di posizioni giuridiche facenti capo all’alientante. Il
trasferimento non è un tipo negoziale autonomo, ma si applica la
disciplina del contratto utilizzato per il trasferimento.
La causa del negozio è l’immissione dell’acquirente nel contesto
imprenditoriale dell’alienante preservando l’unitarietà del complesso, ed è
per questo che si giustifica l’integrazione della disciplina generale con le
regole speciali del trasferimento: è sufficiente identificare l’impresa perché
siano trasferiti tutti gli elementi salvo esclusioni.
Il contratto traslativo è a forma libera a meno che non sia richiesta una
determinata forma dalla natura del contratto adottato, e quindi dalla natura
dei beni trasferiti (es.: donazione richiede atto pubblico); parimenti,
bisogna rispettare le prescrizioni pubblicitarie di ogni bene.
Per le imprese commerciali e agricole, ossia soggette a registrazione, è
necessaria la forma scritta ad probationem ex art.2556 per provare
l’esistenza del negozio tra le parti, ferma restando la validità; quando
redatto in forma scritta il contratto traslativo richiede poi l’iscrizione nel
registro delle imprese.
Una volta conclusa l’alienazione, l’art.2557 vieta all’alienante di
intraprendere pratiche di concorrenza, ossia aventi per effetto di sviare la
clientela dall’azienda ceduta per cinque anni si vuole in questo modo
salvaguardare l’avviamento oggettivo dell’imprenditore acquirente, che
costituisce un parte rilevante del valore dell’impresa acquisita. Non sono
specificati i caratteri dell’attività preclusa, in quanto essa deve essere
sostanzialmente idonea a produrre quegli effetti in via attuale o potenziale;
rimane comunque ferma la possibilità di diminuire l’entità del divieto in
fase di contrattazione.
Al fine di preservare l’unitarietà del complesso aziendale anche dal punto
di vista dei contratti che la componevano, l’art.2558 dispone l’automatico
subingresso ex lege dell’acquirente nei contratti stipulati nell’esercizio
dell’azienda; ciò avviene in deroga alla disciplina generale della ceditura
(art.1406), la quale disciplinerebbe il consenso della controparte, al
contrario di quanto avviene in ambito commerciale, nel quale è irrilevante,
e ciò al fine di facilitare le pratiche di trasferimento (sarebbe altrimenti
necessario raccogliere consensi per tutti i contratti). Questa norma riguarda
però solo i contratti a prestazioni corrispettive non eseguiti; si creerebbe
altrimenti una situazione in cui vi è una parte adempiente ed una
inadempiente e bisognerebbe applicare quindi una ceditura del credito o
del debito e non quindi la ceditura del contratto (artt.2559-2560).
Tale pratica non si applica ai contratti personali, nei quali è promessa
dall’alienante una prestazione infungibile.
Le disposizione sono tuttavia ampiamente derogabili dalle parti, che
possono escludere dalla transazione una o più disposizioni o determinare
un subentro dell’acquirente anche in contratti di carattere personale; se il
terzo contraente ha elementi univoci di timori fondati sull’inadempienza
del nuovo contraente ha diritto di recesso da esercitare in tre mesi. In caso
di recesso è fatta salva la responsabilità dell’imprenditore alienante nei
confronti del terzo qualora egli avesse subito dei danni dalla risoluzione
anticipata del contratto.
Gli artt.2559-2560 disciplinano la ceditura di crediti e debiti di natura
contrattuale ed extracontrattuale. In deroga alla normale ceditura dei
crediti, essi vengono ceduti senza notifica al debitore e con l’iscrizione nel
registro delle imprese, che sostituisce la nota; se il debitore paga in buona
fede all’alienante sarà liberato e l’imprenditore alienante dovrà
corrispondere l’importo all’imprenditore acquirente.
Con la disciplina della ceditura dei debiti si intende tutelare il terzo: ai
debiti nei confronti dei creditori rispondono sia l’alienante che
l’acquirente in responsabilità solidale. Non è tuttavia chiara la disciplina
dei rapporti interni, in particolare se sia presupposta la divisione del debito
o se l’acquirente debba succedervi all’alienante, e sarebbe ammessa nel
secondo caso un’azione di rivalsa ai danni dell’alienante; prevale tuttavia
la tesi per cui sia l’alienante a doversi far carico dei debiti.

Usufrutto e affitto d’azienda (art.2561)


L’azienda può essere oggetto di diritti di godimento quali usufrutto e
affitto, disciplinati dagli artt.2561 e seguenti; è previsto che in entrambi i
casi sia preservata l’attitudine produttiva e l’avviamento del complesso
aziendale senza comprometterlo, per cui si richiede un esercizio costante
dell’attività produttiva comportante un’obbligo (piuttosto che facoltà) di
godimento cui è correlato un obbligo di manutenzione ordinaria dei beni
ed un potere di disposizione dei beni, comportante la facoltà di alienare e
sostituire beni, purché il complesso mantenga lo stesso valore.

5. L’impresa nel mercato

Capo I: mercato e concorrenza

Disciplina della concorrenza e correttezza imprenditoriale

La concorrenza sleale (art.2598)


La disciplina della concorrenza è imposta a livello sovranazionale (CUP,
art.10) ed è disciplinata dall’art.2598 a livello nazionale, che impone
inoltre il principio di correttezza professionale. La disciplina presuppone
per applicarsi la qualità di imprenditore (non necessariamente
commerciale) sia per il lato attivo che passivo, oltre che un rapporto di
concorrenza, intesa come clientela comune in senso merceologico e
geografico. La prima fattispecie di concorrenza sleale è costituita dalla
confusione, provocata dall’utilizzo di nomi o segni simili a quelli usati dal
concorrente; è altresì vietata l’imitazione, poiché l’aspetto esterno del
prodotto determinerebbe un inganno, facendo ritenere ai consumatori la
provenienza dall’impresa legittima.
E’ stata poi tipizzata la fattispecie di denigrazione, attinente alla diffusione
di notizie e apprezzamenti determinanti un discredito presso il
concorrente, ferma restando la liceità delle pubblicità comparative basate
su fatti verificabili. E’ poi vietata l’appropriazione di pregi appartenenti
all’impresa concorrente, pratica in contrasto con la trasparenza del
mercato.
L’art.2598 si chiude poi con una clausola generale vietante di avvalersi di
ogni altro mezzo non conforme alla correttezza professionale ed idoneo a
danneggiare l’altrui impresa, così da fornire un’applicazione continua di
tale principio anche al di fuori delle situazioni tipizzate.
Le sanzioni in violazione della disciplina sono regolate dagli artt.
2599-2600: è accordata al giudice l’azione inibitoria, ossia l’ordine di
cessare dalla continuazione dell’illecito. E’ altresì possibile per
l’imprenditore richiedere il risarcimento del danno qualora l’atto fosse
doloso o colposo ex art.2043; tuttavia, si presume la colpa accertati gli atti
di concorrenza.

Le pratiche commerciali vietate (artt.19-27 codice consumo)


Il rapporto tra professionisti (tra cui lavoratori autonomi e intellettuali) e
consumatori è regolato dal codice del consumo, il quale introduce un
divieto generale di pratiche commerciali scorrette nel rapporto con i
consumatori; in particolare, l’art.20 tipizza pratiche ingannevoli e
aggressive, entrambe aventi l’effetto di falsare il comportamento
economico del consumatore. Le pratiche aggressive si attuano attraverso
molestie limitanti la libertà di scelta del consumatore, mentre quelle
ingannevoli attraverso la comunicazione di informazioni non veritiere che
inducono ad errore il consumatore; queste pratiche commerciali
consistono in un illecito amministrativo, sul quale vigila l’Autorità Garante
del Commercio e del Mercato, che può imporre inibizione delle pratiche
scorrette e sanzioni pecuniarie.
La pubblicità, pratica commerciale per eccellenza, è regolamentata i da
una legge speciale (attuazione della direttiva 2006/114CE): si qualifica
ingannevole qualsiasi pubblicità idonea ad indurre in errore persone
fisiche o giuridiche cui è rivolta e che possa quindi pregiudicare il
comportamento economico del soggetto. E’ ammessa la pubblicità
comparativa se basata su dati facilmente verificabili e se è volta a creare
trasparenza nel mercato, creando una pubblicità informativa; viene invece
vietata la pubblicità che denigri il competitor, costituendo un atto di
concorrenza sleale.

La disciplina antitrust
Con la disciplina antitrust s’intende contrastare il potere di mercato delle
imprese quando essere si sottraggano alla pressione concorrenziale (non
migliorino i loro prodotti o alzino i prezzi) senza subire conseguenze in
termini di perdita di clientela. La fonte principale della disciplina è stata
l’UE, mentre sul piano nazionale sono stati attuati i regolamenti emessi
dalla fonte sovranazionale nella legge antitrust. L’accertamento degli
illeciti può avvenire in via amministrativa da parte della Commissione (a
livello europeo) o dell’AGCM (a livello locale) o in via privatistica
attraverso la richiesta di risarcimento danni; la competenza è valutata in
base al criterio del mercato rilevante, identificato geograficamente
(territorio con condizioni di concorrenza omogenee) e merceologicamente
(tipi di prodotti reciprocamente sostituibili).

Le intese (artt.2-4 codice antitrust)


Il divieto di intese vuole colpire pratiche ostacolanti strategie di
abbassamento di prezzi o incremento della qualità; vengono di
conseguenza vietati tutti i tipi di intesa che impediscano il gioco della
concorrenza, salvo che a) non coinvolgano una parte rilevante del mercato
e b) siano volte a produrre effetti positivi di efficienza economica,
contribuendo a promuovere il progresso tecnico ed economico e c)
ammesso questo caso, non impongano limitazioni non indispensabili.

Gli abusi di posizione dominante (art.3 codice antitrust)


Ferma restando lecita la possibilità di assumere posizione dominante, sono
vietati gli abusi che consentano all’imprenditore di agire in maniera
indipendente dal mercato con comportamenti unilaterali (es.: imposizione
condizioni dissimili per prestazioni equivalenti).

Le concentrazioni (artt.6,7,16 legge antitrust)


Si ha concentrazione a seguito di una modifica duratura del controllo, per
effetto del quale due impresi prima indipendenti assumono direzione
unitaria. Sono vietate le operazioni di concentrazione restrittive della
concorrenza, che vengono cioè effettuate per conseguire posizione
dominante sul mercato di riferimento, creando posizioni oligopolistiche, e
sono reputate tali quando superano alcune soglie quantitative relative al
fatturato; le imprese che superano queste soglie devono notificare
all’organo competente la volontà di fusione e quello dovrà verificare la
compatibilità dell’operazione con il mercato, in mancanza della quale
potrà ordinare la deconcentrazione.

Sanzioni
Commissione e AGCM esercitano poteri sanzionatori attraverso inflizione
di ammende, in sostituzione delle quali possono accettare impegni ad
eliminare effetti restrittivi. Possono inoltre operare in via giudiziale
imponendo la nullità delle intese ed il risarcimento del danno.

I diritti di proprietà industriale


Ricadono nella proprietà industriale una serie di fattori di produzione
immateriali tra cui rientrano i segni distintivi dell’impresa, le tecnologie ed
i design cui è applicato il brevetto d’invenzione; nella tutela di questi diritti
è fondamentale l’interesse ad evitare situazioni confusorie, cosicché l’uso
dei segni distintivi venga riferito dal pubblico ad un solo imprenditore,
conferendogli la capacità di identificare scelte riferibili ad un solo
imprenditore, e cioè capacità distintiva. E’ dunque interesse
dell’ordinamento che segni uguali non vengano usati da imprenditori
diversi, cosicché è vietato l’uso di segni simili, in quanto la somiglianza è
idonea ad indurre il pubblico a credere che siano segni del medesimo
imprenditore; questa tutela assume forma relativa al settore di utilizzo.
Altro interesse tutelato è quello alla remunerazione degli investimenti nelle
innovazioni tecnologiche; la tutela comporta un diritto esclusivo sui beni
immateriali e quindi il divieto ai terzi di utilizzare senza consenso del
titolare le soluzioni tecniche brevettate e se da un lato limita la
concorrenza, dall’altro incentiva la diversificazione delle caratteristiche dei
prodotti e quindi l’offerta di prodotti differenziati. A difesa di questi diritti
esistono particolari forme di azioni a difesa della proprietà, come
l’inibitoria alla fabbricazione, l’azione risarcitoria e strumenti di rimozione
degli effetti come il ritiro dal commercio o l’assegnazione in proprietà.

I segni distintivi

Ditta, insegna, ragione sociale (artt.2563ss, art.2568, art.2567)


La ditta contraddistingue l’imprenditore nella propria attività d’affari e, in
particolare, nell’imputabilità delle scelte organizzative aziendali
(distinguendosi dal marchio, volto all’imputabilità di strategie commerciali
di accreditamento), venendo utilizzata nei rapporti istituiti
dall’imprenditori con i terzi interessati (venendo invece usato il marchio
per distinguere le politiche commerciali nei rapporti spersonalizzati). La
ditta, comunque formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla
dell’imprenditore (teoria soggettiva) o il nome dell’organizzazione
imprenditoriale (teoria oggettiva) ed essere formata da espressioni
letterali, così da tutelare l’interesse che i terzi identificano il titolare
dell’attività; non è comunque escluso l’utilizzo di elementi idonei ad
attrarre il pubblico, tuttavia qualora la ditta fosse priva di nome o sigla
sarebbe irregolare e non ascrivibile nel registro delle imprese ma
comunque tutelabile. La ditta presuppone l’esistenza di una capacità
distintiva, e cioè la capacità di identificare le scelte riferibili ad un unico
imprenditore; in tal senso, l’ipotesi di conflitto tra ditte va superata attraverso
l’integrazione o la modifiche della stessa con opportune differenziazioni.
L’insegna assume funzione distintiva di un’organizzazione fisicamente
collocata in un luogo e può essere, a differenza della ditta, liberamente formata,
purché non sia idonea a creare confusione per l’oggetto o per il luogo in cui è
esercitata, essendo in questo caso disposta la modifica del segno.
Ragione e denominazione sociale hanno duplice funzione di spendita del nome
e (non necessariamente) ditta. Tutti e tre i segni distintivi sono tutelati dalla
disciplina della concorrenza sleale nei limiti di un rischio di confusione.

Il marchio (artt.2571 e seguenti)


Il marchio è un segno normalmente apposto sul prodotto, caratterizzato
dalla spersonalizzazione delle relazioni in cui esplica la propria funzione
distintiva. E’ protetto a fronte di utilizzazioni confusorie e dai tentativi di
approfittare del suo valore pubblicitario o di arrecarne pregiudizio,
cosicché la tutela è altresì riferita alle strategie commerciali di
accreditamento dei prodotti.
Il marchio è l’unico segno distintivo per il quale è previsto un procedimento di
registrazione caratterizzato da efficacia costitutiva della protezione, azionabile
anche prima dell’uso del segno; pur mancando una disciplina per i marchi non
registrati, è previsto che chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la
facoltà di continuare ad usarlo nonostante la registrazione effettuata da altri,
purché non porti a rischi concreti di confusione.
La tutela del marchio registrato prevede alcuni requisiti imposti in tutela di
alcuni interessi generali in conflitto con la tutela del marchio; una parte di
essi può essere fatta valere dinanzi al giudice da chiunque ne abbia
interesse con un’azione di nullità (assoluta). E’ necessaria a) innanzitutto
la capacità distintiva del marchio, al fine di lasciare libera disponibilità di
strumenti comunicativi; vanno pertanto escluse dalla tutela denominazioni
generiche a meno che esse acquisiscano carattere distintivo, sanando la
nullità (es.: La Scarpa è un marchio registrato); sono poi b) vietati i marchi
di forma, relativi ad una caratteristica intrinseca del prodotto cui
andrebbe piuttosto applicata la brevettazione dell’invenzione e c) i segni
idonei ad ingannare il pubblico o contrari alla legge ed al buon costume.
Esistono poi ulteriore requisiti previsti a tutela di interessi individuali, la
cui mancanza è pertanto invocabile dai titolari dei diritti anteriori; la più
importante categoria di impedimenti relativi è quella relativa all’esistenza
di diritti di terzi su segni distintivi anteriori al marchio registrato, la cui
presenza fa venire meno il requisito sostanziale della novità; a partire
dall’ipotesi di assenza di novità si formano delle categorie di segni in
conflitto, ossia a) i segni distintivi registrati con efficacia anteriore, di cui
sia stata quindi depositata la domanda nello Stato, nel limite in cui
l’utilizzazione del marchio successivo crei confusione, e b) segni distintivi
non registrati sui quali esistano dei diritti, e cioè utilizzati anteriormente
alla registrazione; nel caso in cui essi siano noti solo a livello locale non è
tolta la novità, tuttavia il terzo preutente potrà utilizzare il marchio nei
limiti della diffusione locale, in caso di notorietà nazionale perdono novità
i marchi posteriori confondibili.
La registrazione avviene attraverso la presentazione all’UIBM di una
domanda di registrazione contenente generalità del richiedente, la
riproduzione del marchio e l’elenco dei prodotti che dovrà
contraddistinguere; rimane comunque per ogni soggetto interessato la
possibilità di richiedere un’azione di nullità per la mancanza dei requisiti.
Il titolare della registrazione ha l’onere di utilizzare il segno entro cinque
anni, pena la decadenza; inoltre, pur avendo il segno tutela perpetua,
dev’essere rinnovato a scadenze decennali. La tutela è tuttavia valida
esclusivamente sul territorio italiano, a meno che non sia stata effettuata
presso l’EUIPO con la creazione di un marchio UE.
Il diritto sul marchio è di natura esclusiva, potendo di conseguenza
vietarne l’uso da parte di terzi. In questo senso, la contraffazione, ossia
l’uso illecito del marchio, ricorre in caso di rischio di confusione, non
essendovi in caso di utilizzo in due settori differenti, cosicché il titolare del
diritto può vietare l’uso di un segno identico o simile al marchio registrato
per prodotti o servizi identici o affini e se possa determinarsi un rischio di
confusione, secondo il principio di relatività della protezione. Il titolare di
un marchio rinomato o notorio può tuttavia vietare l’uso del marchio
qualora gli rechi pregiudizio o produca un indebito vantaggio.

Il titolare del diritto gode di libera disponibilità di quest’ultimo; il più


importante atto di disposizione è il trasferimento, il quale avviene
normalmente per mezzo di accordi di vendita o di altri accordi traslativi
producendo una trascrizione avente effetto dichiarativo.
Sono poi frequenti i contratti di licenza mediante il quale il licenziante, pur
mantenendo la titolarità del segno, ne consente l’utilizzazione ad un
licenziatario nei limiti previsti in cambio di un canone o royalty.
Si distinguono in particolare le licenze esclusive per l’impegno del
licenziante a non usare il marchio in concorrenza con il licenziatario e a
non concedere ulteriori licenze a terzi.

La domanda di registrazione non determina la nascita di un diritto


inopponibile ai terzi, i quali, se interessati, potranno contestare la
mancanza di alcuni requisiti che determinino il non perfezionamento della
fattispecie costitutiva e quindi la nullità della registrazione. Le cause di
nullità assoluta colpiscono le registrazioni violanti gli impedimenti
assoluti, mentre quelle di nullità relativa colpiscono quelle violanti diritti
anteriori di terzi; quest’ultima può essere sanata quando il titolare
anteriore tolleri per un periodo di cinque anni l’uso del marchio registrato,
salvo in caso di mala fede del secondo registrante.
Può poi subentrare la decadenza a) per non uso, quando il titolare non
utilizzi il diritto per cinque anni (sanabile attraverso la ripresa
dell’utilizzazione prima dell’eccezione di decadenza), b)in caso di
utilizzazioni idonee ad indurre in inganno il pubblico (ingannevolezza
sopravvenuta), c) qualora il marchio diventi denominazione generica del
prodotto, che perda la capacità distintiva (volgarizzazione).

Tecnologia e design

I brevetti d’invenzione
S’intende per invenzione la soluzione di un problema tecnico, la quale
applica le relazioni di causalità di fenomeni naturali (oggetto di precedenti
scoperte) per soddisfare bisogni umani attraverso una produzione seriale.
Un’invenzione è brevettabile se possiede i requisiti dell’industrialità, della
novità, dell’attività inventiva e della liceità. Il requisito dell’industrialità
ricorre quando l’oggetto dell’invenzione può essere fabbricato in un
qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola. Per la sussistenza
del requisito di novità occorre osservare se l’oggetto dell’invenzione si
distacca dal patrimonio di conoscenze detto stato della tecnica,
comprendente tutto ciò che è già stato reso accessibile al pubblico sul
territorio di uno Stato o all’estero, ne consegue che un inventore che abbia
predivulgato le proprie invenzioni pubblicamente si escluda la possibilità
di brevettazione. E’ dotata del requisito di attività inventiva l’invenzione
che fornisca un salto inventivo rispetto all’attuale stato della tecnica, non
fornendo semplici differenze di dettaglio. Infine, il requisito della liceità è
stato considerato puramente teorico.
Il diritto sulle invenzioni sorge per effetto della brevettazione; se nel
marchio nasce un diritto sul marchio non registrato azionabile nei
confronti dei terzi, l’utilizzatore di un’invenzione non brevettata non vanta
di alcun diritto di esclusiva, e anzi predivulga al pubblico l’invenzione
eliminando la possibilità di brevettazione.
Il procedimento di brevettazione inizia con domanda dell’inventore,
possessore del diritto al brevetto; la brevettazione da parte di chi non vanti
questo diritto è annullabile o trasferibile in capo al terzo che lo possiede.
Come per i marchi, i brevetti sono assoggettati al principio di territorialità
ed hanno effetto solo nello Stato dell’ufficio che li ha concessi;
l’estensione della protezione richiederebbe la formazione di più brevetti o
il rilascio di un brevetto europeo, configurato come un fascio di brevetti.
Alla conclusione della brevettazione, sorge il diritto di brevetto.
Il titolare del brevetto vanta un diritto esclusivo di sfruttamento
ventennale, decorrente dal deposito della domanda ed azionabile solo dal
momento in cui la domanda è resa accessibile al pubblico; può essere
azionato anche in presenza di modifiche apportate ad alcuni elementi
dell’invenzione, a meno che queste non siano dei perfezioamenti, in tal
caso sarà possibile formare un brevetto dipendente con consenso del
titolare del brevetto anteriore. Il diritto esclusivo si estende alla
produzione, commercio e uso industriale.
I diritti patrimoniali di brevetto sono liberamente trasferibili ed è previsto
in tal senso un sistema di trascrizione con efficacia dichiarativa. Il
licenziante può concludere contratti di licenza e consentire ai licenziatari
di sfruttare il brevetto secondo tempi e modalità stabiliti nell’accordo in
cambio di un corrispettivo (royalty); il contratto può inoltre fissare delle
clausole di esclusiva implicante l’obbligo per il licenziante di non sfruttare
l’invenzione e di non concedere ulteriori licenze.
Il brevetto può essere sempre dichiarato nullo dall’autorità giudiziaria, con
efficacia erga omnes, su azione di chiunque ne abbia interesse; le cause di
nullità sono riconducibili all’assenza dei requisiti di brevettabilità o alla
concessione ad un soggetto non avente il diritto al brevetto. Esistono poi
delle cause di decadenza, ossia mancato pagamento delle tasse brevettuali
e mancata attuazione dell’invenzione entro due anni dal rilascio.

Capo II: i contratti dell’impresa

I principi
Tra gli interessi relativa al coordinamento dei fattori ha rilievo l’interesse
alla continuità dell’attività economica, espresso attraverso norme che
garantiscono la sopravvivenza delle relazioni d’affari in occasione di
vicende personali dell’imprenditore.
Per coordinare i fattori di produzione viene inoltre concesso di
semplificare le contrattazioni serializzandole: così, ciascun imprenditore
può uniformare i propri rapporti secondo le pratiche del luogo
(interpretandosi le clausole contrattuali alla loro luce) e applicare nei
confronti delle controparti tutte le clausole rese conoscibili secondo
l’ordinaria diligenza solo per il fatto di averle rese tali.
Sono inoltre giustificate valutazioni di meritevolezza del contratto in
deroga ai principi generalcivilistici che potrebbero ostacolare meccanismi
utili al funzionamento del mercato: così, ad esempio, è data tutela agli
strumenti finanziari derivati.
Vengono inoltre tutelate le controparti deboli in diversi modi.
a) Viene vietato l’abuso di dipendenza economica, che si ha in qualsiasi
situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare un eccessivo
squilibrio di diritti ed obblighi nei rapporti commerciali con un’altra
impresa.
b) I creditori/fornitori sono tutelati dai ritardi nei pagamenti delle
controparti attraverso la previsione di decorrenza automatica degli
interessi dal giorno successivo alla scadenza del termine per il
pagamento, senza necessità di costituzione in mora; i termini possono
essere allungati, ma se superiori a 60 giorni vanno pattuiti, purché la
proroga non risulti iniqua per il creditore.
c) Il consumatore, parte debole economicamente ed in ragione delle
carenza informative, viene tutelato nella sua insufficiente possibilità di
ponderazione delle clausole contrattuali che possono esporlo a rischi
non in linea con la tipologia di operazione posta in essere attraverso la
sostanziale invalidità delle clausole squilibrate (vessatorie); vengono
inoltre escluse le clausole che escludano o limitano la responsabilità
del professionista per danni al consumatore o per inadempimento.
d) Viene tutelata la formazione della volontà contrattuale dalle
asimmetrie informative di cui imprenditore o professionista possono
approfittare: al consumatore è riconosciuta la possibilità di recesso
entro 14 giorni dalla conclusione del contratto ed il diritto a ricevere
da parte del professionista un’informazione completa.

I contratti di collocamento di beni e servizi

I contratti relativi al collocamento di beni


a) Il principale contratto di collocamento di beni è la compravendita,
avente per oggetto il trasferimento della proprietà o di un altro diritto
verso un prezzo in denaro; si tratta di un contratto a forma libera
(salvo che non sia richiesta una data forma in ragione della natura del
bene ceduto) producente di norma effetti reali in seguito al semplice
scambio di consensi. Il venditore assume l’obbligazione di eseguire la
consegna (mettere il venditore nella condizione di disporre della cosa
o del diritto) e di garantire il compratore dall’evizione e dai vizi sul
bene/diritto; l’evizione si ha quando il venditore non aveva
disponibilità sul bene, cosicché il compratore risulta esposto ad azioni
di terzi che vantano diritti su tutto il bene o su una sua parte (evizione
totale o parziale). Il compratore avrà così diritto a richiedere la
restituzione del prezzo e delle sue spese ed un risarcimento e potrà
richiedere la risoluzione del contratto qualora la parte sottoposta ad
evizione fosse determinante del consenso. Il bene è invece viziato
quando è reso alterato o imperfetto all’uso cui è destinato; la garanzia
non è dovuta quando il compratore era a conoscenza dei vizi. Il
compratore, denunciato il vizio, potrà comunque richiedere la
risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo entro un anno dalla
consegna. Inoltre, qualora il bene non avesse le qualità promesse, il
compratore potrà richiedere la risoluzione del contratto in un termine
di dieci anni. L’obbligazione principale del compratore rimane invece
il solo pagamento del prezzo.
b) Con il contratto di somministrazione una parte si obbliga ad eseguire
prestazioni periodiche o continuative di beni verso un corrispettivo;
oggetto del contratto sono dunque una pluralità di prestazioni
continuative o periodiche, che rendono quindi il rapporto di durata (a
tempo determinato o indeterminato), accordando quindi alle parti la
possibilità di recedere in ogni momento previ congruo preavviso. In
caso di inadempimento delle singole prestazioni, l’altra parte ha diritto
alla risoluzione se esso era grave e se mettesse in dubbio la fiducia
sulle successive prestazioni. Il contratto può contenere clausole di
esclusiva o di preferenza.
c) Con il contratto di locazione il locatore si obbliga a far godere il
conduttore di una cosa mobile o immobile in cambio di un prezzo;
qualora il bene fosse produttivo, si avrebbe un affitto. Con riferimento
alla durata è previsto solo un termine massimo di trenta anni, tuttavia
è previsto che le locazioni commerciali abbiano un termine minimo di
sei anni automaticamente rinnovato; il conduttore ha poi diritto ad un
indennizzo per la perdita dell’avviamento in caso di termine del
rapporto non a lui imputabile. La forma del contratto varia a seconda
dell’oggetto mobile o immobile (forma scritta e trascrizione se superiore ai
nove anni); inoltre, per consentire la tassazione del contratto, va registrato
pena nullità. Il conduttore acquisisce un diritto personale di godimento e
dev’essere tutelato dal locatore dalle molestie di diritto dei terzi che
pretendono di avere diritto sulla cosa locata, e spetta inoltre al locatore la
manutenzione dell’immobile; inoltre, qualora la cosa sia alienata a terzi nel
corso del rapporto, il contratto rimane opponibile ad essi. Il conduttore ha
l’obbligo di pagare il corrispettivo (il canone), senza il quale il contratto
sarebbe piuttosto un comodato. Va inoltre segnalato che nella pratica è
emerso un nuovo tipo di locazione di immobili funzionale alla successiva
cessione del bene denominata rent to buy; a fronte dell’immediata
concessione in godimento dell’immobile, i canoni pagati sono imputati a
corrispettivo del trasferimento qualora il conduttore decidesse di
acquistare il bene entro un termine determinato; qualora non lo facesse, il
concedente dovrebbe restituire parte del corrispettivo incassato.
Ci si riferisce spesso al noleggio riferendosi alla locazione di beni mobili,
attraverso il quale il noleggiante mette a disposizione dell’utilizzatore un
bene mobile per un periodo di tempo (breve) e per un corrispettivo
(canone). Al noleggio è altresì ricondotto il leasing operativo, attraverso al
quale il proprietario di beni mobili ad alta obsolescenza concede in
godimento all’utilizzatore tale bene per un periodo commisurato alla vita
economica del bene verso un corrispettivo.

I contratti relativi al collocamento di servizi


a) Il principale contratto di collocamento è l’appalto, attraverso il quale
l’appaltatore assume l’obbligo verso il committente di compiere
un’opera per mezzo di un’organizzazione imprenditoriale a fronte di
un corrispettivo in denaro. Elemento caratterizzante è la prestazione di
fare dell’appaltatore e l’esecuzione mediante sua assunzione del
rischio, ragion per cui l’obbligazione è di risultato e non di mezzi.
L’appalto si distingue dal contratto di compravendita avendo ad
oggetto un’attività di fabbricazione e non solo di trasferimento, e si
distingue da quello d’opera in cui la prestazione è svolta attraverso un
lavoro personale. Entrambi i contraenti possono chiedere all’altra
parte una revisione del prezzo in caso di aumenti o riduzioni
imprevedibili del costo di materiali e mano d’opera. Il committente ha
inoltre il diritto di recedere quando non abbia più interesse alla
prosecuzione del contratto con l’obbligo di indennizzare l’appaltatore;
è inoltre previsto il diritto di risoluzione nel caso in cui l’opera sia
divenuta impossibile per causa non imputabile ai contraenti.
Al completamento dell’opera, il committente effettua una verifica e
assume il rischio di deterioramento o ferimento dell’opera, prima
gravante sull’appaltatore; il committente potrà comunque far valere
garanzie su vizi o difformità in seguito a denuncia degli stessi.
b) Il trasporto è il contratto con cui il vettore si impegna a trasferire
persone o cose da un luogo all’altro; si produce un’obbligazione di
risultato verso un’obbligazione di passeggero o mittente al pagamento
del prezzo. In caso di trasporto di persone il vettore è responsabile per
inadempimento, danni alla persona del viaggiatore e per l’avaria delle
cose che porta con sé; in caso di trasporto di beni grava su di lui
l’obbligazione di custodia della merce.
c) Il contratto di viaggio è il contratto con cui un imprenditore turistico
svolge attività di intermediazione o di organizzazione di viaggi a
vantaggio del turista.
d) Il deposito è il contratto con cui il depositario riceve dal depositante
una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura; è
un contratto reale che si perfeziona con la consegna della cosa al
depositario, che non può servirsi della cosa depositata. Il depositante
rimborserà le spese sostenute per depositare la cosa.

I contratti di organizzazione

Organizzazione della filiera di sbocco: contratti allocativi


L’impresa può organizzare una filiera allocativa tra il produttore ed i
distributori intermedi attraverso diverse tipologie di contratto.
a) Attraverso il contratto atipico di concessione in vendita il concedente,
produttore di determinati beni, si obbliga a fornire al concessionario i
propri beni, dovendo questo rivenderli con o senza esclusiva; si
distingue dal contratto di agenzia in quanto il concessionario rivende i
beni direttamente al pubblico, sopportando un rischio maggiore.
b) Con il contratto di affiliazione commerciale (franchising) l’affiliante
attribuisce all’affiliato il diritto all’uso di marchio, insegna e
denominazione commerciale ed assistenza tecnica e commerciale in
cambio di un corrispettivo; l’affiliato rimane un imprenditore
autonomo rispetto all’affiliante, tuttavia si crea una distinzione dalla
concessione in vendita data dal fatto che l’affiliato è vincolato
all’utilizzo dei segni distintivi dell’affiliante.

Organizzazione della produzione: outsourcing


Si ha il fenomeno dell’outsourcing quando l’imprenditore sceglie di
dismettere la gestione diretta di alcune parti dell’attività produttiva verso
imprenditori terzi, ed è attuabile attraverso contratti di somministrazione,
appalto, subappalto e subfornitura.
Nel contratto di subfornitura una parte assume l’obbligo di eseguire
lavorazioni su materia prima o su prodotti semilavorati forniti dal
committente o di realizzare prodotti e servizi da incorporare nell’attività
economica del committente o nella produzione di un bene complesso. E’
previsto che il contratto sia scritto a pena nullità; il subfornitore non può
affidare a terzi la realizzazione del bene per una quota superiore al 50%
senza espressa autorizzazione del committente, a differenza di quanto
accade per il subappalto, in cui senza espressa autorizzazione l’appaltatore
non può dare affatto in subappalto l’esecuzione dell’opera, pena la nullità
del contratto.

Organizzazione della struttura collaborativa


La struttura collaborativa è costituita da personale dipendente (vincolati da
un contratto di lavoro subordinato) e da collaboratori autonomi, che
fornire servizi manuali o intellettuali con un contratto d’opera oppure
possono curare alcuni affari; in tal caso la collaborazione si può strutturare
secondo tre diverse tipologie di contratto.
a) Attraverso il mandato il mandante affida al mandatario il compito di
compiere per suo conto uno o più atti giuridici; il mandato attribuisce
solo il potere di agire per conto altrui, ma non in nome, e cioè non di
spendere il nome, a tal fine sarebbe necessario affiancare al mandato
una procura.
Il mandante ha l’obbligo di fornire provvista al mandatario, e cioè di
mettergli a disposizione i mezzi necessari per l’esecuzione
dell’incarico, ed il potere di dare istruzioni vincolanti e di revocare il
mandatario (con risarcimento danni), tuttavia se il mandato sia anche
nell’interesse del mandatario (in rem propriam) potrebbe farlo solo per
giusta causa; il mandatario deve eseguire il suo incarico con la
diligenza del buon padre di famiglia ed attenendosi alle istruzioni,
oltre che informare il mandante in corso d’opera e con un rendiconto
finale.
b) Attraverso l’agenzia l’agente assume l’incarico di promuovere la
conclusione di contratti nell’interesse del preponente in una
determinata zona; l’agente, con organizzazione e rischio propri, si
obbliga a ricercare e condurre trattative con soggetti interessati. Il
contratto dev’essere stipulato in forma scritta ad probationem.
L’agente è tenuto ad operare secondo le istruzioni del preponente, e
quest’ultimo è tenuto a corrispondergli il compenso pattuito solo una
volta che sia stato concluso il contratto con il terzo; l’agente sarà
tenuto a restituire la provvigione qualora il contratto con il terzo non
possa avere esecuzione. Dall’obbligo di operare nella circoscrizione
territoriale deriva per ciascuna della parti un diritto di esclusiva, salvo
che sia diversamente pattuito. Essendo un rapporto di durata, qualora
sia a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere previa
preavviso; l’agente ha diritto ad un’indennità di fine rapporto e sarà
libero da qualsiasi obbligo salvo patto di non concorrenza.
c) Il mediatore mette in relazione delle parti per la conclusione di un affare
(determinata operazione economica patrimoniale) senza essere legato ad
alcuna di essa da rapporti di dipendenza, collaborazione o rappresentanza;
non ha dunque alcun obbligo di svolgimento dell’attività, essendo piuttosto
la mediazione una relazione di fatto generante conseguenze giuridiche. In
caso di mancata conclusione dell’affare, grava sulle parti l’obbligo di
rimborso spese, in caso di conclusione sono invece tenute a corrispondere
un compenso calcolato sul valore dell’affare concluso (questo diritto spetta
solo ai mediatori iscritti al ruolo di agenti di affari in mediazione).

6. La cooperazione tra imprenditori

Disciplina della cooperazione tra imprenditori

Strumenti di cooperazione e forme di integrazione


Le forme di integrazione danno luogo alla costituzione di gruppi di
imprese caratterizzate da legami partecipativi nella proprietà che portano
alla formazione di un’unica entità economica: tali sono la fusione,
l’acquisto e la partecipazione, regolate dalla legge antitrust.
Gli strumenti di cooperazione hanno invece fonte contrattuale e non
presuppongono una partecipazione nella proprietà, cosicché le imprese
rimangono giuridicamente indipendenti. Questi strumenti possono portare a
forme inderogabilmente strutturate (consorzi) o flessibili (contratto di rete o
associazioni temporanee di imprese).
I consorzi e le società consortili
Il consorzio è un contratto inderogabilmente strutturato con il quale più
imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per
lo svolgimento di alcune fasi delle rispettive imprese, al fine di attuare un
coordinamento interaziendale; gli imprenditori vogliono così conseguire
una mutualità consortile, ossia un vantaggio economico nell’esercizio
delle proprie attività (es.: razionalizzazione ciclo produttivo). E’ ammesso
che i consorzi siano utilizzati come inizialmente immaginati, ossia per
ridurre concorrenza, a meno che rispettino i limiti della legge antitrust
(diventerebbero altrimenti pratiche concordate). Possono essere distinti
come ad attività interna, quando vengono istituiti per predisporre una
disciplina tra gli imprenditori, o ad attività esterna, quando agiscono come
soggetto giuridico autonomo con i terzi; va applicata una disciplina
generale a tutti i consorzi, mentre quelli ad attività esterna hanno
un’ulteriore disciplina ad essi dedicata. Quanto a quelle generali:
a) Il consorzio è costituito mediante un contratto tra imprenditori; non
sono pertanto ammesse persone fisiche o giuridiche;
b) Il contratto dev’essere scritto, pena nullità, e deve necessariamente
contenere oggetto ed obblighi dei consorziati (inclusi i tributi); altre
indicazioni (es.: durata) sono integrate con norme suppletive;
c) Il consorzio prevede necessariamente un’organizzazione che esegua il
programma consortile; nella sua organizzazione è data ampia
autonomia, tuttavia è stabilito che debba avere un organo deliberativo,
composto da tutti i consorziati votanti con metodo maggioritario, ed
uno esecutivo, preposto alla sua direzione e che controlli gli
adempimenti dei consorziati. Le modificazioni del contratto vanno
deliberate all’unanimità e non è ammessa l’entrata di nuovi consorziati
in quanto è rilevante il contesto di operatività dell’impresa e non la
loro personalità.
d) Sono tipizzate alcune cause di scioglimento o del singolo partecipante:
esse sono il decorso della durata, il conseguimento dell’oggetto o
l’impossibilità a conseguirlo o una decisione unanime per giusta causa,
mentre lo scioglimento della partecipazione si può avere per recesso o
per decisione dei consorziati (es.: per non rispetto degli obblighi).
I consorzi ad attività esterna sono autonomi centri di imputazione dotati di
soggettività giuridica in ragione della loro attitudine a rapportarsi con
terzi; acquistano la qualifica di imprenditori (commerciali o agricoli) e
sono pertanto sottoponibili a fallimento ed iscritti nel registro delle
imprese. Godono di un fondo consortile autonomo patrimonialmente sul
quale i creditori possono far valere i loro diritti in maniera esclusiva
quando l’obbligazione è assunta in nome del consorzio; se è assunta per
conto di singoli consorziati è imputabile ad essi e il fondo assume solo
titolo di garanzia; qualora il consorzio non riuscisse ad adempire a questa
obbligazione il debito si distribuirebbe il debito tra i consorziati.

Attraverso un contratto di consorzio è altresì possibile formare una società


consortile (in tutti i tipi di società esclusa quella semplice) per realizzare
gli scopi mutualistici del consorzio, cui vanno integrate le rispettive
imprese o alcune sue fasi. Si unisce quindi lo scopo lucrativo-soggettivo
delle società a quello lucrativo-oggettivo e quindi mutualistico dei
consorzi; viene tuttavia compresso il lucro soggettivo poiché i soci
stipulano il contratto di società non per massimizzare i ricavi, bensì per
conseguire un beneficio mutualistico imprenditoriale dato dall’attività del
consorzio. Rimane controversa la questione sulla disciplina da applicare.
Veniva inizialmente applicata una disciplina mista, per la quale era
applicata la disciplina della società prescelta per il funzionamento degli
organi e quella consortile per i rapporti patrimoniali; prevale tuttavia
l’ipotesi per cui vadano applicate esclusivamente le norme applicate al
tipo di società scelta. E’ possibile che i soci possano essere chiamati a
contributi periodici per il funzionamento dell’impresa, mentre nei consorzi
i soci versano solo conferimenti iniziali ed eventuali aumenti di capitali.

Il contratto di rete
Il contratto di rete è concluso da più imprenditori per accrescere la
capacità innovativa e competitiva sul mercato seguendo un programma di
rete, impegnandosi a collaborare in forme o ambiti predeterminati.
Essendo una forma flessibile non necessita di un’organizzazione articolata
come quella del consorzio che ne gestisca operazioni e costi. Al contratto
di rete sono riservate alcune agevolazioni fiscali; esso dev’essere redatto
come atto pubblico o scrittura privata, contenere gli obiettivi di
innovazione ed un programma di rete completo degli obblighi delle
imprese. La rete può essere interna tra i partecipanti o soggettivata, ed
assume questa classificazione quando ha a disposizione un fondo
alimentato dai contributi (cui è applicata la disciplina dei consorzi esterni)
ed un organo comune.
L’associazione temporanea
Le associazioni temporanee d’imprese sono una specifica forma di
cooperazione a carattere contingente e temporaneo, non determinante
nessuna organizzazione particolare né la nascita di un nuovo soggetto di
diritto; le imprese si presentano come distinte ed autonome al committente,
cui viene presentata un’offerta congiunta da un’impresa capofila, cui
spetta inoltre il compito di gestire i rapporti col committente.
Questo tipo di contratto ricorre nel caso di partecipazione a gare d’appalto,
in quanto le imprese trovano più conveniente affidarsi a forme
organizzative del genere piuttosto che a consorzi per gare che potrebbero
anche non vincetere. Dalla dottrina sono reputati contratti associativi
innominati (non regolati dal codice civile) che ruotano attorno al mandato
collettivo speciale in rem propria con rappresentanza conferita dalle
imprese mandanti all’impresa capofila, che agisce da mandataria in
rappresentanza esclusiva delle imprese.

7. Strumenti di mobilitazione della ricchezza

Titoli di credito

Nozione
Il titolo di credito è il documento menzionante una situazione giuridica
attiva circolante in modo autonomo mediante la movimentazione del
documento; la situazione è esercitabile dal possessore (soggetto nella cui
disponibilità si trova il documento). Essi rafforzano i presidi del mercato
della ricchezza mobiliare, facilitando il disinvestimento ed offrendo
garanzie di fronte ai rischi d’acquisto; costituiscono quindi uno strumento
giuridico per la circolazione dei valori finanziari (con protezione rafforzata
degli acquisti). La funzione di circolazione è assolta mediante il
collegamento tra il titolo ed il diritto documentato, definito
incorporazione, la quale a) correla la circolazione del diritto a quella del
documento, cosicché sia possibile acquisire il titolo altresì il diritto a non
domino; b) correla il contenuto del diritto a quello del documento,
cosicché nessuna eccezione personale ai precedenti possessori e non
menzionata nel titolo sia opponibile; c) correla l’esercizio del diritto al
possesso del documento, cosicché il possessore non debba fornire altre
prove della titolarità del diritto. Importante alternativa è quella dei titoli
scritturali (dematerializzati), aventi rapporto giuridico è documentato in
forma telematica in un conto acceso presso un intermediario abilitato
intestato al possessore del titolo e circolazione avvenente attraverso
movimentazioni telematiche.

La fattispecie titolo di credito


I titoli di credito possono distinguersi a seconda della natura della
posizione giuridica documentata come a) titoli di finanziamento,
incorporanti un credito di prestazione pecuniaria (cambiali, titoli di Stato),
b) titoli partecipativi, incorporanti una posizione giuridica complessa,
comprendente diritti patrimoniali ed amministrativi, relativa alla
partecipazione economica ed organizzativa ad un’iniziativa produttiva
(azioni di società, strumenti finanziari partecipativi), c) altri valori
finanziari documentanti posizioni giuridiche di vario tipo (diritti di
opzione), titoli rappresentativi di merci incorporanti il diritto di consegna.
E’ opinione comune che, per un principio di atipicità, sia possibile creare
titoli diversi da quelli tipizzati. Può dunque definirsi titolo di credito il
documento formato ed emesso per realizzare un finanziamento tra chi
ricerca una raccolta di investimenti e chi è propenso all’investimento,
volendo tuttavia riservarsi un eventuale disinvestimento; essendo il diritto
incorporato, esso è destinato a rilevare non solo nei rapporti fra le parti
originarie ma anche tra i terzi operanti nel mercato, che percepiscono il
documento come destinato alla circolazione (destinazione che i titoli
scritturali hanno sin dall’immissione nel sistema; non è dunque richiesto
che siano riconosciuti come tali dai terzi).

I principi cartolari (artt.1992-1994)


L’istituto cartolare si fonda sulla disciplina della circolazione e
sull’esercizio del diritto contenuto nel titolo, imperniato sull’esibizione.
Quanto alla circolazione, è applicata una diversa disciplina a seconda della
tipologia di titolo: a) i titoli al portatore circolano mediante la consegna
materiale, cosicché l’applicazione delle regole cartolari si basa sul
possesso del documento, senza ulteriori formalità; b) i titoli all’ordine
circolano mediante consegna e girata (sottoscrizione dell’alienante,
girante, sul documento e indicazione giratario) e contengono l’impegno ad
eseguire una prestazione al soggetto menzionato nel documento; c) nel
titoli nominativi hanno la stessa disciplina di quelli all’ordine, tuttavia il
creditore, oltre ad essere menzionato nel titolo è iscritto in un registro
dell’emittente, cosicché la circolazione avviene mediante doppia iscrizione
dell’acquirente sul documento e nel registro (transfert).
Per i titoli scritturali la circolazione avviene attraverso la movimentazione
virtuale tra i conti ed il possesso corrisponde alla titolarità del conto.
E’ riconosciuta, nella circolazione, autonomia reale: chi ha acquistato in
buona fede (ignoranza dell’altruità del titolo) il possesso di un titolo di
credito (tramite le modalità prima esposte) non è soggetto a rivendicazioni
di terzi, cosicché risulta acquisita la titolarità anche a non domino.
L’autonomia è resa possibile dall’incorporazione del diritto nel titolo di
credito: il rapporto obbligatorio viene materializzato nel documento,
cosicché colui che acquista il suo possesso in seguito a valido ed efficace
negozio traslativo diviene titolare del rapporto obbligatorio.
Per i titoli scritturali è disposto che non è soggetto o ad azioni da
precedenti titolari colui che abbia ottenuto la registrazione a suo favore
con titolo idoneo e buona fede.
La circolazione cartolare è caratterizzata dall’autonomia obbligatoria
dell’acquisto e quindi dall’indipendenza della posizione dell’acquirente
rispetto a quella dei precedenti creditori, cosicché ad esso siano opponibili
le sole eccezioni reali (opponibili a qualunque possessore) o a lui personali
(opponibili al singolo possessore). Tale autonomia si articola nelle formule
di letteralità, per la quale il possessore può esercitare pretesa nei termini
indicati nel titolo, ed astrattezza, per la quale la creazione del titolo scinde
il diritto dal rapporto giuridico che inizialmente gli ha dato causa.
Per la legittimazione attiva il possessore ha diritto alla prestazione
indicata dal titolo in ragione della sola presentazione: il possessore che
esibisca il titolo non deve fornire altra prova della sua titolarità, in quanto
il possesso determina una presunzione di titolarità e dunque una
legittimazione ad esercitare il diritto nei rapporti coi terzi. Alla
legittimazione attiva corrisponde quella passiva: il debitore che senza dolo
o colpa grave adempie la prestazione al possessore, è liberato anche se
questi non è titolare del diritto.
Nei titoli scritturali la legittimazione è collegata all’intestazione del conto.
La circolazione del denaro: gli strumenti di pagamento

L’evoluzione degli strumenti di pagamento


L’odierno sistema di pagamenti ruota attorno alla nozione di moneta
scritturale, prodotto della prestazione di servizi di pagamento, e quindi
relativa all’insieme dei saldi disponibili in conti accesi presso banche.
Gli strumenti di pagamento sostitutivi
Rispetto al denaro contante esistono innanzitutto mezzi sostitutivi di
pagamento, nei quali rientrano tutti gli strumenti che consentono di evitare
un trasferimento diretto di denaro contante sostituendolo con la consegna
di documenti rappresentativi, ossia assegno bancario e circolare (questi
ultimi connessi all’attività di intermediazione bancaria poiché emessi dalle
banche) e cambiale. La cambiale è documento completo in quanto
contenente regole e clausole del diritto cartolare di credito; essendo un
titolo all’ordine, circola per mezzo della girata, che rende il giratario
portatore del titolo; in seguito a girata, il girante sarà debitore nei
confronti del giratario o dei giratari successivi, peraltro l’invalidità di
un’obbligazione non influisce sulle successive. La cambiale nasce con una
dichiarazione cambiaria del traente che fa sorgere un obbligo cambiario
verso un trattario; alla sua scadenza, il pagamento può essere richiesto al
dal legittimo possessore della cambiale al girante, e qualora l’obbligato
principale si rifiuti può richiederlo ad un qualunque obbligato cambiario.
La cambiale è infine titolo esecutivo in quanto legittima alla procedura
esecutiva senza aver ottenuto una sentenza di condanna.
Attraverso l’assegno bancario il traente ordina alla banca (trattaria) di
pagare una determinata somma di denaro al portatore del titolo sulla base
di una convenzione di assegno e di un conto corrente; l’assegno può essere
emesso col nome del beneficiario o al portatore. L’assegno pagabile a
persona determinata si trasferisce tramite girata. Il beneficiario può
presentare l’assegno all’incasso presso la banca trattaria entro un termine.
Essendo anche l’assegno titolo esecutivo, è esercitabile l’azione di
regresso contro i giranti.
L’assegno circolare viene emesso su richiesta del cliente direttamente
dalla banca emittente, che si impegna a pagare una somma al soggetto
indicato nel titolo.

Gli strumenti di pagamento alternativi


Rientrano tra i mezzi alternativi quelli mediante i quali si sostituisce alla
consegna del denaro una scritturazione a debito o credito su conti di titolarità
dei soggetti coinvolti; il principale strumento è il bonifico, che ordina il
trasferimento di una somma da un conto ad un altro, ma rientrano in tale
categoria altresì le carte di debito, che consentono transazioni o prelievi con la
movimentazione dei soli fondi disponibili, e di credito, che possono invece
eccedere le disponibilità, con regolamento sul conto in un momento successivo.

8. La crisi dell’impresa

Le ragioni del diritto fallimentare


E’ necessaria una disciplina fallimentare per regolare in maniera e coattiva
e simultanea tutti i debiti insoluti; essa è applicabile agli imprenditori non
piccoli, ai lavoratori autonomi ed ai professionisti finanche ai consumatori,
ossia ad ogni soggetto, così da assicurare la maggior tutela possibile ai
creditori. Fondamentale è l’applicazione della par condicio creditorum, che
vuole assicurare parità di trattamento a ciascun creditore, così da annullare
il vantaggio di enti dotati di un apparato informativo più ampio (spesso le
banche) a discapito di chi non lo ha (es.: fornitori). Tale principio impone
la sopportazione solidale dell’insolvenza del debitore rispetto a più
creditori, tra i quali il credito sarà ripartito proporzionalmente, e cioè la
ripartizione tra i creditori di tutta la perdita che i debitori hanno subito
per effetto dell’insolvenza.
La legge fallimentare disciplina il fallimento (per le imprese non piccole),
il concordato preventivo, la liquidazione coatta amministrativa (per gli enti
pubblici) e l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese. Sono stati
previste più procedure per regolare il fallimento per diversi motivi. Il
primo di questi è l’affermarsi di soluzioni negoziate tra creditore e
debitore, che possono offrire al primo effetti meno gravi, per il secondo,
talvolta, una soddisfazione maggiore. Si cerca poi di salvaguardare i
complessi produttivi; gli imprenditori possono così prevenire l’insolvenza
e, in caso, porre l’impresa sul mercato, uscendo dalla situazione con una
certa utilità sia per loro che per il creditore, che potrà così ottenere una
maggiore soddisfazione; qualora ciò non avvenisse, interverranno le
misure di amministrazione straordinaria. Infine, è stata affiancata per gli
enti pubblici una misura di carattere amministrativo, la liquidazione coatta,
al tradizionale concorso effettuato dall’autorità giudiziaria.
Capo I: il fallimento

Presupposti (art.5) e apertura della procedura (artt.6 e seguenti)


Perché sia possibile aprire la procedura sono necessari un presupposto di
natura soggettiva, ossia che l’imprenditore eserciti un’attività
commerciale, non sia piccolo e sia privato (non pubblico), ed uno di
natura oggettiva, ossia che l’imprenditore sia insolvente; questo stato si
manifesta con inadempimenti o fatti esteriori dimostranti che egli non è
più in grado di soddisfare le proprie obbligazioni regolarmente.
Il presupposto oggettivo, a sua volta, si definisce in un lato intrinseco ed
estrinseco.
-Quello intrinseco è legato all’impotenza finanziaria di adempiere alle
obbligazioni in maniera regolare; il requisito della regolarità non riguarda
solo l’integralità e la puntualità del pagamento, ma anche le modalità di
ottenimento del denaro o l’utilizzo di mezzi di pagamento anomali (es.:
svendita beni propri, datio in solutum), cosicché non basta ad escludere
l’insolvenza il fatto che l’imprenditore abbia adempiuto, e, al contrario,
non necessariamente all’inadempimento si correla l’insolvenza (es.
dimenticanza della scadenza, non volontà a pagare).
-Il fattore estrinseco è legato al manifestarsi di inadempimenti o fattori
esteriori, questi ultimi indicanti la possibile insolvenza del debitore.
Lo stato di insolvenza non si identifica dunque necessariamente con
l’inadempimento e non si è esclusi dall’insolvenza se non è avvenuto con
mezzi normali, o se vi sono indizi di futura incapacità finanziaria.
Si aggiunge poi un altro aspetto: la procedura concorsuale va intrapresa
quando l’esposizione espositoria è significativa, ossia superiore ai 30mila
euro, in quanto i costi della procedura renderebbero poco conveniente la
sua apertura.

In caso di imprenditore che cessa l’esercizio dell’impresa o defunto (artt.


10-11), sarà possibile dichiarare il fallimento dell’impresa entro un anno
dalla cessazione o dalla morte, a condizione che l’insolvenza sia
imputabile ad insolvenze nate prima della cessazione o della morte.

Il fallimento è una procedura giudiziaria dichiarata dal tribunale civile, e


può sorgere per iniziativa pubblica o privata.
-Sorge per iniziativa privata su richiesta dei creditori (in alternativa
all’azione individuale) che devono provare il fallimento, o per richiesta del
debitore stesso, e ciò accade in particolare modo qualora egli sia stato
oggetto di azioni individuali, che vengono così congelate;
-Sorge per iniziativa pubblica per richiesta di un pubblico ministero al
quale risulti un’insolvenza o in seguito ad un processo penale per reato
fallimentare o per l’insorgere di fatti esteriori.
Il procedimento di dichiarazione di fallimento è volto all’accertamento dei
presupposti suesposti e può concludersi con una sentenza dichiarativa di
fallimento o con un decreto di rigetto, entrambe impugnabili dinanzi alla
Corte di Appello dagli interessati; gli effetti del primo tipo di sentenza si
produrranno tra le parti dal momento della sua pubblicazione e nei
confronti dei terzi in seguito alla sua iscrizione.

Gli organi del fallimento


Al fallimento partecipano quattro organi.
-Il primo di questi è il tribunale del luogo in cui l’impresa ha la sede
principale; questo dichiara il fallimento, e con esso le disposizioni
contenenti il curatore ed il giudice delegato, in prima istanza ed è investito
dell’intera procedura fallimentare e delle controversie derivanti, per cui si
parla di vis attractiva sui giudizi dipendenti dal fallimento (es.: revocatoria
fallimentare).
-Il giudice delegato vigila sulla regolarità della procedura e ne condiziona
lo svolgimento, nominando (o revocando) il comitato dei creditori,
autorizzando alcune scelte del curatore (es.: azione revocatoria); verifica
inoltre la consistenza dei crediti, rendendo esecutivo il passivo.
-Il curatore ha poteri amministrativi sul patrimonio fallimentare
spossessato al fallito, potendo compiere tutte le operazioni necessarie alla
procedura, come atti negoziali con terzi, stare in giudizio per la procedura
con l’autonomia e la discrezionalità propria dei rappresentanti. Deve
rendere conto della sua gestione attraverso un’informativa periodica e finale.
-Il comitato dei creditori vigila sulle azioni del curatore autorizzandole
(piano liquidazione) o dando pareri non vincolanti; non è sempre formato,
dovendo i suoi membri assumere obblighi di diligenza e non prevedendo
retribuzione, pertanto è lo stesso codice ad accordare al giudice delegato
potere di sostituzione, non creando così vuoti di potere.
Gli effetti del fallimento
Si possono riconoscere quattro tipi di effetti del fallimento: i primi due tipi
sorgono sui soggetti, gli altri due sugli atti coinvolti nel fallimento.

Effetti sul debitore (artt.42 e seguenti)


Sul debitore possono generarsi effetti di natura patrimoniale, processuale,
personale e talora penale.
Sotto il punto di vista patrimoniale si produce lo spossessamento: il fallito
viene privato del possesso e della disponibilità dei suoi beni alla data di
dichiarazione del fallimento e di quelli che sopravvengono (es.: per
eredità), e ciò in applicazione al principio per il quale il debitore risponde
alle obbligazioni con tutti i beni presenti e futuri (art.2740). S’intende per
bene le cose oggetto di diritto ma anche tutti i rapporti di cui il fallito è
titolare; i poteri sui beni spetteranno al curatore, cui spetta il compito di
destinare il patrimonio, denominato massa attiva, alla soddisfazione dei
creditori; non rientreranno nella massa attiva i beni strettamente personali
o destinati al mantenimento della famiglia. Lo spossessamento ha efficacia
relativa, operando soltanto a beneficio dei creditori concorsuali e non
incidendo sulla titolarità dei diritti del debitore, che non vengono persi
finché non sono alienati dalla curatela; si produce quindi una scissione tra
titolarità del diritto reale e di quello di godimento.
Sul piano personale è disposta l’inefficacia degli atti del fallito affinché
non distolga i beni dalla finalità di soddisfare i creditori; tale è inefficacia
è di natura relativa, in quanto si produce solo rispetto ai creditori e non
rispetto ai terzi. L’atto, che resta valido nei confronti dei terzi, diventa
efficace se l’effetto è favorevole nei confronti dei creditori concorsuali, cui
va destinato il pagamento riscosso dal fallito. Questa regola si estende ai
pagamenti eseguiti dal fallito, e qualora venissero effettuati nei confronti
dei creditori dei pagamenti occulti, producendosi un’infrazione del
principio di par condicio creditorum, verrebbe commesso un reato penale
per fallimento preferenziale.
Il fallito non potrà inoltre partecipare a controversie relative a rapporti
patrimoniali, e lo farà il curatore in sua vece.

Effetti sui creditori (artt. 51 e seguenti)


I titolari dei crediti sorti prima del fallimento sono detti creditori
concorsuali; le loro pretese saranno accertate dal giudice delegato e
soddisfatte secondo le regole dettate dal principio della par condicio
creditorum, comportante una ripartizione paritetica e quindi una
preclusione da ogni procedura individuale, così da escludere il principio
prior in tempore potior in iure; rimangono fermi i privilegi dati dalle
prelazioni legittime precedenti alla procedura di fallimento. Un’altra
categoria di creditori privilegiati, detti creditori della massa, è composta
da tutti coloro verso i quali si sia creato un debito nel corso della
procedura, avendo essi effettuato una prestazione (es. avvocati); questi
crediti vengono sottratti alla falcidia fallimentare e soddisfatti per intero
in prededuzione. Va comunque sottolineato che taluni creditori possano
avere pretese su singoli diritti reali o personali, chiedendo che questi gli
siano attribuiti in via esclusiva.
L’insieme delle pretese dei creditori formeranno la massa passiva, la quale
deve essere omogenea rispetto alla massa attiva; l’omogeneità sarà
assicurata dalla misurabilità in denaro, attuata attraverso una liquidazione
dei crediti concorsuali. Viene poi garantita la stabilità della massa da un
lato impedendo di effettuare azioni individuali e dall’attribuendo un valore
fermo ai crediti. Sotto questo aspetto:
a) I crediti non pecuniari non scaduti concorreranno secondo il valore
che hanno alla data del fallimento, se scaduti secondo il valore che
avrebbero avuto alla scadenza;
b) I crediti pecuniari non saranno gravati da interessi ulteriori rispetto a
quelli già maturati alla data del fallimento;
c) I crediti pecuniari non scaduti si considereranno tali per effetto del
concorso;
d) I crediti condizionali sono calcolati nel riparto ma non sono attribuiti
fino al verificarsi della condizione sospensiva cui sono sottoposti.
e) I debitori del fallito possono liberarsi dal debito con una
compensazione, e cioè con un proprio credito, in deroga al principio
della par condicio.

Atti pregiudizievoli al creditore (artt.64 e seguenti)


Gli atti pregiudizievoli al creditore, svolti prima del fallimento ma quando
l’insolvenza si era già verificata, incidendo negativamente sulla garanzia
patrimoniale ai creditori concorsuali, possono essere resi inefficaci nei
confronti dei creditori reintegrando tale garanzia. Un istituto di natura
privatistica che rende inefficaci gli atti pregiudizievoli verso i creditori è
l’azione revocatoria. Affinché si applichi, secondo la disciplina del codice
civile sono necessarie due condizioni: l’eventus damni, ossia il pregiudizio
alle ragioni del creditore, ed il consilium fraudis, ossia la consapevolezza
del danno arrecato dal debitore al creditore. I presupposti oggettivi e
soggettivi dell’azione, l’onere probatorio cui è sottoposta comportano dei
limiti superabili attraverso l’azione revocatoria fallimentare; tuttavia,
prima che questa si applichi va specificato che alcuni atti sono inefficaci di
diritto rispetto ai creditori, tanto che qualora, il terzo contestasse l’azione
di recupero del curatore, il tribunale interverrà con una sentenza
dichiarativa. Essi sono gli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni
anteriori alla dichiarazione di fallimento (inclusi gli atti di rinunzia o
remissione del debito) ed i pagamenti anticipati la cui scadenza sarebbe
stata anteriore o coincidente alla dichiarazione del fallimento effettuati
nei due anni precedenti; si vuole in questo modo anteporre l’interesse
dell’insieme dei creditori, come imposto dalla par condicio, rispetto a
quello del singolo creditore. Agli altri atti è applicabile la revocatoria
fallimentare (art.67), che può essere intrapresa dal curatore su
autorizzazione del giudice contro gli atti dell’imprenditore che, sebbene
non fallito, fosse già insolvente; questi atti devono essere stati compiuti in
un periodo sospetto in cui l’insolvenza si presume già in essere
(presupposto oggettivo) e, per tutela della buona fede, è necessaria la
conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo (presupposto
soggettivo). Gli atti revocabili sono distinti in normali e anormali: l’onere
della prova del presupposto soggettivo negli anormali ricade sul terzo, nei
normali ricade invece sul curatore.
-Sono anormali:
a) Gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno precedente la dichiarazione
in cui l’obbligazione assunta sorpassano di oltre un quarto ciò che gli è
stato dato o promesso, creando così un indebito squilibrio patrimoniale;
b) Gli atti estintivi (pagamenti anche coattivi) effettuati nell’anno
precedente non effettuati con regolari mezzi di pagamento.
c) Le garanzie non contestuali su debiti preesistenti, richieste temendo la
sopravvenuta incapacità del debitore a pagare alla scadenza;
d) Garanzie concesse per debiti scaduti nei sei mesi precedenti.
-Sono normali:
a) I pagamenti di debiti liquidi ed esigibili (scaduti);
b) Gli atti a titolo oneroso, per i quali non vi siano squilibri patrimoniali;
c) Gli atti costitutivi di un diritto di prelazione contestualmente creati.
L’azione di revocatoria vede poi delle categorie di esenzione, inserite al
fine di non scoraggiare il compimento di alcuni atti utili a superare lo
stato di crisi; queste sono:
a) Pagamenti di beni e servizi effettuati nei termini d’uso nell’esercizio
dell’impresa, cosicché le controparti non cessino la loro normale
attività;
b) Rimesse effettuate su un conto corrente bancario che non abbiano
ridotto l’esposizione debitoria e che siano state effettuate per sfruttare
il servizio di cassa depositando somme da riutilizzare a breve;
c) Pagamenti per prestazioni lavorative effettuate dai dipendenti;
d) Atti, pagamenti e garanzie concessi in esecuzione di un piano di
risanamento, così da scongiurare la futura insolvenza;
e) Atti, pagamenti e garanzie concessi in esecuzione di un concordato
preventivo.
Le azioni revocatorie di qualsiasi tipo non possono essere promosse
decorsi tre anni dalla dichiarazione fallimentare o cinque anni dal
compimento dell’atto; qualora l’atto non venga effettuato nel periodo
sospetto indicato dalla norma fallimentare, rimane comunque la possibilità
di esercitare l’azione revocatoria civile. Una volta ottenute, entrambe
hanno l’effetto di infliggere l’inefficacia dell’atto nei confronti dei
creditori concorsuali, che vedranno aumentare la massa attiva; si tratta
quindi di disconoscere il credito o il titolo di prelazione ottenuto dal terzo
qualora sia contrario alla par condicio; in quest’ultimo caso, il creditore
potrà essere ammesso al passivo con la revoca del diritto di prelazione,
dando luogo alla revocatoria incidentale; il pagamento degli atti a titolo
oneroso cui corrisponde una prestazione già eseguita, dovrà essere
restituito, tuttavia il terzo avrà diritto ad insinuarsi nel passivo.

Rapporti giuridici preesistenti (artt.72 e seguenti)


Il fallito potrebbe aver posto in essere dei contratti di diversi tipi:
-I contratti integralmente eseguiti potranno essere revocati;
-I contratti in cui una delle parti ha integralmente eseguito la prestazione
producono un credito a favore del fallito, che il curatore potrà attrarre alla
massa attiva, o della controparte, che potrà insinuare al passivo, salvo che
il curatore ritenga di revocare l’atto;
-I contratti ineseguiti da entrambe le parti, definiti rapporti giuridici
preesistenti, sono sospesi dalla dichiarazione di fallimento (non rimanendo
inandempiuti) così da non creare ulteriori impegni contrattuali comportanti
altri debiti da soddisfare in prededuzione; viene riservata al curatore la
facoltà di subentrare o sciogliere il contratto. Nel primo caso il curatore,
su autorizzazione del comitato dei creditori, il curatore assume a carico
della massa i relativi obblighi, da pagare in prededuzione; nel secondo
caso, in caso di precedente adempimento del terzo, questo potrà insinuare
il proprio credito nella massa passiva. Il terzo potrà sollecitare il curatore a
decidere costituendolo in mora dinanzi al giudice.
In caso di esercizio provvisorio d’impresa la regola subisce una deroga: i
contratti proseguiranno in quanto strumentali all’esercizio dell’impresa,
ferma restando la possibilità del curatore di sciogliersi dai contratti che
non ritiene fondamentali.

Lo svolgimento della procedura

Le attività preliminari (artt. 84 e seguenti)


Le attività preliminari sono propedeutiche all’inizio della procedura; viene
innanzitutto concretizzato lo spossessamento e formata la massa attiva
attraverso la requisizione da parte del curatore del denaro contante, degli
effetti cambiari, dei titoli e delle scritture contabili; sui beni del fallito
verrano posti dei sigilli, ed in seguito viene redatto l’inventario dei beni
componenti la massa attiva.

L’accertamento del passivo (artt. 92-103)


Al termine delle attività preliminari viene compilato un elenco dei
creditori, funzionale alla fase successiva dell’accertamento del passivo, nel
corso della quale va verificato il fondamento giuridico di ogni singola
pretesa, e cioè che chi la vanta ne sia effettivamente titolare. Sulla base del
predetto elenco e delle scritture del fallito, il curatore comunicherà a tutti
coloro che vantino pretese concorsuali la possibilità di depositare la
domanda di partecipazione e le date per l’adunanza dei creditori. Va
sottolineato che la domanda è presentabile anche da chi non abbia ricevuto
la comunicazione ma che vanti ugualmente una pretesa. In seguito, il
curatore redige un progetto di stato passivo completo di conclusioni su
ciascuna domanda, completando la fase di istruttori prefallimentare;
ciascuna di queste è di natura giudiziale, e spetta poi al giudice delegato
esaminarle sulla base dell’istruttoria e, nel corso dell’adunanza,
ammetterla (completamente, in parte, eliminando le prelazioni, con riserva,
attendendo il verificarsi di una condizione sospensiva), respingerla o
dichiararla inammissibile (poiché priva di elementi sostanziali o posta al di
fuori del termine). Terminata questa fase, il giudice rende esecutivo il
passivo con decreto.

Contestazioni del passivo e domande tardive (artt. 98 e 101)


In seguito al decreto di esecuzione del passivo è possibile che si apra una
fase eventuale di contestazione del passivo. Al passivo possono essere
eccepite con ricorso dinanzi al tribunale opposizioni, proposte dai creditori
per contestare la totale o parziale inammissione della domanda, o
impugnazioni, proposte da curatore o creditori volendo contestare
l’ammissione di taluni creditori.
Un’altra fase eventuale è quella della ricezione di domande tardive (che
può verificarsi anche successivamente nel corso della liquidazione), ossia
domande proposte dopo il termine di trenta giorni prima dell’udienza ma
non oltre i dodici mesi; domande proposte oltre questo termine decadono a
meno che non si dimostri che il ritardo non dipendesse dal creditore. Le
domande tardive partecipano solo alle ripartizioni posteriori all’ammisione.

Esercizio provvisorio dell’impresa e affitto d’azienda (art.104)


Un’altra fase eventuale è quella della prosecuzione dell’attività d’impresa
strumentale ad una più proficua liquidazione nell’interesse dei creditori,
cui potrà essere destinato un maggior valore dell’attivo dato dalla
monetizzazione dell’avviamento e della cessione unitaria.
L’esercizio provvisorio può essere disposto dal tribunale già con la
sentenza dichiarativa o proposto dal curatore con parere vincolante del
comitato dei creditori; la gestione sarà affidata al curatore, ogni nuova
obbligazione derivante costituirà debito della massa da prededurre ed i
contratti pendenti avranno prosecuzione automatica salvo scioglimento o
sospensione.
Nel caso della stipulazione di un contratto d’affitto gli organi fallimentari
risultano sollevati dalla gestione, dovendo gestire l’impresa l’affittuario, e
le obbligazioni sorte non gravano sulla massa passiva; di converso, la
massa attiva incassa, in attesa della cessione, i canoni dell’affitto. L’affitto
dovrà essere autorizzato dal giudice previo parere favorevole del comitato.
La liquidazione dell’attivo (artt.104 e seguenti)
L’attivo da liquidare consiste nella titolarità dei beni patrimoniali e dei
diritti derivanti da rapporti giuridici facenti capo al fallito. L’obiettivo di
massimizzare la monetizzazione dell’attivo presuppone l’obbligo di
predisporre un programma di liquidazione, ossia un atto di indirizzo sulle
modalità ed i termine relativi alla liquidazione, valutante l’eventuale
continuazione dell’attività d’impresa, le azioni revocatorie attuabili, la
cessione dei beni ed in particolare quella d’azienda. L’approvazione del
piano spetta poi al comitato, mentre sarà il giudice a renderlo esecutivo
dopo un controllo formale ed a darne pubblicità ai creditori.
La legge privilegia le cessioni aggregate, consentendo la liquidazione dei
singoli beni solo quando è prevedibile che la vendita dell’intera azienda o
dei suoi rami non consenta una maggior soddisfazione. Alle cessioni
aggregate viene applicata la disciplina del trasferimento d’azienda, con
l’eccezione della sorte dei debiti, che non saranno imputabili al
cessionario bensì alla procedura; sono poi cedibili le attività, le passività,
beni e rapporti giuridici d’azienda in blocco o i singoli crediti o le azioni
revocatorie. Le vendite fallimentari devono avvenire con modalità
trasparenti e competitive che consentano l’individuazione dell’acquirente e
di un prezzo competitivo, applicando piena trasparenza e competitività.

La ripartizione dell’attivo (art.111)


La soddisfazione diviene effettiva con la ripartizione del denaro ottenuto
dalla liquidazione dell’attivo, che va effettuata attraverso alcuni criteri.
Innanzitutto va rilevato che gli imprenditori sono distribuiti su diversi
ranghi, e che la par condicio si applica solamente sui creditori di stesso
livello; la par condicio risulta quindi di natura relativa, in conseguenza
della quale i creditori di livello più basso vengono soddisfatti solo in
seguito all’integrale soddisfazione di quelli di livello più alto.
Vengono innanzitutto soddisfatti i crediti prededucibili, nei quali rientrano
le spese per la procedura ed i debiti della massa, assunti dal curatore nel
corso della procedura, oltre che quelli “di tutela” sorti nel corso del
concordato preventivo. Vengono poi soddisfatti i crediti assistiti da cause
legittime di prelazione, che possono trovare il loro diritto svuotato da un
diritto di garanzia di maggior grado, e, infine, i debitori chirografari i quali
concorrono in proporzione dell’ammontare del proprio debito sul ricavato
della liquidazione non assorbito dai precedenti ranghi. Tra i chirografari si
distingue poi una categoria subordinata di postergati, la cui subordinazione
sia stata imposta per legge (legale) o stabilita contrattualmente
(convenzionale); la loro subordinazione può operare rispetto a tutti gli altri
creditori (assoluta) o solo rispetto ad altri (relativa).
Nel procedimento si vuole assecondare l’utilità dei creditori anche nella
tempestività di ripartizione; rimane tuttavia incerto fino alla fine quale sia
il ricavato e quali siano i crediti da soddisfarsi, ed è per questo che la
distribuzione prosegue mediante riparti parziali stabiliti dal curatore in un
progetto di ripartizione; questi ultimi dovranno procedere altresì degli
accantonamenti formati da non meno del 20% delle somme disponibili;
queste somme saranno destinate ai debiti della massa ed ai creditori
incerti, come quelli ammessi con riserva o tardivi; questi ultimi potranno
partecipare solamente alle ripartizioni posteriori alla loro ammissione
(salvo che il ritardo non sia a loro imputabile) e qualora privilegiati hanno
diritto a recuperare a discapito dei meno titolati le quote che gli sarebbero
spettate nelle riparazioni precedenti.
Al completamento della liquidazione il curatore deve presentare un
rendiconto contabile su quanto compiuto; il giudice ordinerà la ripartizione
finale delle somme, compresi gli accantonamenti effettuati, di cui si
disporrà la ripartizione tra i creditori.

Chiusura del fallimento ed esdebitazione (artt.118 e seguenti)


La chiusura del fallimento è uno dei due modi di cessazione della
procedura fallimentare, insieme al concordato fallimentare; si attua per
decreto di chiusura da parte del tribunale per mancanza di domande di
ammissione all’attivo (quando ad esempio vi sia stato un accordo tra
creditori per un concordato stragiudiziale), quando vi sia stata la
soddisfazione di tutti i creditori anche grazie ad un terzo, quando è
compiuta la ripartizione dell’attivo e per mancanza dell’attivo; tale
decreto ha effetti opposti a quelli della dichiarazione di fallimento,
determinando per il debitore il termine dello spossessamento e delle
limitazioni di carattere personale, per i creditori il riacquisto della facoltà
di effettuare azioni individuali e la possibilità di esigere gli interessi, per
gli organi fallimentari la decadenza (salvo procedure ultrafallimentari), la
sostituzione del fallito al curatore nelle azioni già intraprese e non
terminate. Il decreto vale dal giorno della pronuncia e non ha efficacia
retroattiva (a differenza della revoca della sentenza, producente effetti ex
tunc). Dopo la chiusura del fallimento non si esclude nel termine massimo
di cinque anni una riapertura dello stesso, in particolar modo qualora la
chiusura fosse stata determinata dall’avvenuta ripartizione dell’attivo o
dalla sua mancanza e nel frattempo si fosse creata la possibilità di nuove
ripartizione (ad esempio per un credito sopravvenuto).
Attraverso l’esdebitazione (art. 142) il fallito si libera dai debiti residui nei
confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, che di norma sarebbero
esigibili; si tratta dunque di un beneficio concesso a persone fisiche che ne
facciano istanza entro un anno dal decreto di chiusura qualora esse siano
state particolarmente collaborative durante la procedura e sia stata
soddisfatta almeno parte dei creditori, che potranno comunque reclamare
la procedura. L’esdebitazione opera in deroga all’art. 2740.

Il fallimento delle società


Dall’art.2484 non è specificato il fallimento quale causa di scioglimento
delle società capitali e cooperative ed è specificato dall’art.118 che il
curatore dovrà richiederne la cancellazione dal registro delle imprese solo
qualora la procedura si concludesse per integrale ripartizione dell’attivo o
per sua mancanza. Quanto alle società di persone, è espressamente
previsto dall’art.2308 lo scioglimento in caso di fallimento. In ogni caso, il
fallimento non provoca la cessazione degli organi sociali. Sono escluse
dalla procedura di fallimento le società semplici.

Il fallimento in estensione (art.147ss)


La sentenza dichiarante il fallimento di una s.n.c., s.a.s. o di una s.a.p.a.
produce anche il fallimento in estensione dei soci illimitatamente
responsabili (il fallimento di uno di questi soci non comporterebbe il
fallimento della società) in maniera automatica, su dichiarazione d’ufficio
del tribunale senza necessità d’istanza e senza l’accertamento dei requisiti
di fallimento, così da riservare alla soddisfazione dei creditori anche il
patrimonio dei soci; le regole della par condicio andranno applicate sia al
concorso delle pretese dei creditori sociali fra loro sia a quello fra essi ed i
creditori particolari dei soci. Il fallimento in estensione può peraltro
verificarsi a) quando un socio abbia cessato di esser tale per morte,
recesso o esclusione, qualora non sia decorso più di un anno dallo
scioglimento del rapporto e qualora l’insolvenza sia riferita a debiti
esistenti alla cessazione e b) in caso di scoperta successiva alla
dichiarazione di fallimento di altri soci illimitatamente responsabili; tali
soci possono essere ulteriori rispetto a quelli già noti (soci occulti) o può
trattarsi della scoperta di una società occulta alla quale partecipa (quello
che sembrava) l’imprenditore individuale; non essendo il fallimento
riferito ad un’impresa, bensì ad una società, la dichiarazione di fallimento
sarà sostitutiva piuttosto che integrativa, cambiando il regime fallimentare
applicato

Coordinamento fra fallimento sociale e dei singoli soci


Il tribunale, prima di dichiarare il fallimento in estensione, disporrà la
convocazione dei soci per consentirgli un diritto di difesa (dimostrando
l’insussistenza dei presupposti del fallimento della società).
In seguito alla dichiarazione si apriranno delle procedure distinte con lo
scopo di regolare il concorso delle pretese dei creditori sociali (su tutti i
patrimoni sottoposti alle procedure) con quelle dei creditori personali dei
soci. Ogni socio risponde illimitatamente e solidalmente verso tutti i
creditori sociali; la richiesta di insinuazione di questi ultimi varrà per il
fallimento di tutti i singoli soci, mentre i creditori particolari potranno
partecipare solo al fallimento del relativo debitore. Ne risulta la
distinzione tra il patrimonio sociale e quello dei singoli soci, cui consegue
la distinzione delle relative masse attive e passive, sulle quali occorrerà
assicurare il concorso tra creditori personali e sociali, la par condicio tra i
creditori sociali e la ripartizione delle obbligazioni tra i soci in maniera
proporzionale alla loro partecipazione.
Gli effetti del fallimento in estensione sono quelli ordinari. Al momento
della cessazione della procedura relativa alla società per una delle
ordinarie cause si produce altresì la chiusura delle procedure dei soci.

Responsabilità dei soci a responsabilità limitata


I soci limitatamente responsabili avranno il solo obbligo di attuare i
conferimenti non ancora eseguiti, che si configurano quindi come crediti
della massa che il curatore potrebbe esigere.

Capo II: Le soluzioni negoziate della crisi

Il concordato preventivo
Il concordato preventivo ha la funzione di ristrutturare i debiti e soddisfare
i creditori attraverso una proposta che possa ritenersi migliore della
soluzione fallimentare. Il presupposto soggettivo della procedura è lo
stesso necessario per il fallimento, essendo rivolto ad imprese non piccole,
quello oggettivo è lo stato di crisi dell’impresa, concetto più ampio
rispetto a quello di insolvenza, ivi contenuto, cosicché, in prevenzione del
fallimento, il concordato potrà essere proposto anche in situazioni di
difficoltà, quand’anche solo si prospetti il rischio dell’insolvenza.

Il piano (artt.160 e seguenti)


Il nucleo del concordato è la proposta, mediante ricorso del debitore, ai
creditori di un piano concordatario che, sebbene offrendo una
soddisfazione incompleta, consenta ai creditori di ottenere più utilità di
quanto ne possano ottenere dal fallimento, assicurando ai chirografari
almeno il 20% dei loro crediti; la legge stabilisce che la funzione del piano
debba essere la ristrutturazione dei debiti, ma lascia libertà nella scelta
della forma, tipizzando in forma esemplificativa la promessa di pagamento
assistita da garanzie, il concordato con continuità aziendale che consenta il
di ripagare i debiti attraverso i flussi futuri di reddito provenienti
dall’esercizio dell’azienda da parte del debitore o di eventuali cessionari, il
concordato liquidatorio che prevede la cessione dei beni ai creditori. La
proposta può essere assistita da garanzie offerte dall’imprenditore o da
terzi (assuntori) che si accollino i debiti previsti dalla proposta. Va poi
sottolineato che i creditori possano essere suddivisi secondo posizione
giuridica ed interessi economici omogenei, riservando trattamenti
differenziati ai creditori di ciascuna classe (in deroga alla par condicio) e
che vi sia la possibilità di non prevedere un pagamento integrale dei
creditori privilegiati. L’autonomia della redazione ha tuttavia dei limiti:
qualora sia già prevista l’offerta di un soggetto già individuato di acquisire
l’azienda ad un prezzo già determinato, il debitore sarà costretto a
modificare il piano qualora sopravvenisse un’offerta concorrente più
conveniente da un procedimento competitivo indetto da un tribunale;
qualora inoltre l’offerta del debitore non soddisfi i chirografari almeno per
il 40%, creditori che rappresentano almeno il 10% dei crediti possono
presentare una o più proposte concorrenti.

Apertura della procedura (artt. 161-162)


La domanda di ammissione è sottoscritta dal debitore con ricorso (o dagli
amministratori in caso di società) presso il tribunale presentando una
relazione sulla situazione patrimoniale, un’estivazione delle attività,
l’elenco dei creditori, una descrizione analitica delle modalità e dei tempi
di adempimento; in caso di concordato con continuità aziendale, va
presentata un’indicazione dei costi e dei ricavi attesi e delle risorse
finanziarie necessarie.
Qualora la documentazione non fosse pronta e il debitore, volendo evitare
gli effetti del fallimento, volesse proporla, egli potrà presentare una
domanda di concordato con riserva, avente valore parificato a quello della
normale domanda, attraverso la quale, pur presentando il ricorso, si riserva
di presentare successivamente la proposta, il piano e la documentazione
(entro 60-120 giorni); per evitare abusi di questa possibilità, il tribunale
potrà nominare anticipatamente il commissario giudiziale affinché accerti
la sussistenza di atti fraudolenti, disporre obblighi informativi periodici e
abbreviare il termine assegnato.
Una volta presentata la domanda, il tribunale verifica l’ammissibilità del
ricorso, verificando la sussistenza dei presupposti e della documentazione,
lasciando ai creditori l’onere di giudicare su convenienza e fattibilità,
verificando esclusivamente la corretta costruzione delle classi e la
sussistenza delle premesse economiche per adempire il piano.
Il tribunale dichiarerà così l’inammissibilità (e qualora il debitore fosse
insolvente il fallimento) o l’ammissibilità della domanda, dichiarando
aperta la procedura con decreto di ammissione, nominando inoltre giudice
delegato e commissario giudiziale.

Gli effetti dell’apertura (artt.167 e seguenti)


L’apertura lascia al debitore intatta l’amministrazione dei suoi beni e
l’esercizio dell’impresa, rispondendo di ogni atto con il suo patrimonio;
per evitare abusi il suo potere di gestione viene limitato, avendosi uno
spossessamento attenuato, il quale si esplica a) innanzitutto nella necessità
di autorizzazione del giudice delegato al compimento di atti straordinari
affinché producano effetto nei confronti dei creditori anteriori al
concordato (rimanendo nell’ordinaria amministrazione l’assunzione ed il
pagamento di nuovi crediti di gestione) e b) nella vigilanza apportata
sull’imprenditore dal commissario giudiziale nell’esercizio dell’impresa,
che potrà interromperlo quando l’imprenditore attui atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione o atti fraudolenti, avvisando il tribunale che
annulla la procedura e se necessario dichiara il fallimento.
A pena di nullità, i creditori non potranno iniziare o proseguire azioni
individuali sul patrimonio del debitore né acquisire diritti di prelazione
rispetto ai creditori precedenti alla domanda senza specifica autorizzazione
del commissario; tali divieti non valgono per i creditori successivi alla
domanda, che anzi, in caso di fallimento avranno diritto alla prededucibilità.
Il debitore può richiedere di sospendere (per massimo sessanta giorni) i
contratti pendenti o di sciogliersi da essi, dovendo riconoscere in questo
caso un indennizzo al terzo da soddisfarsi come credito anteriore; nel caso
di concordato con continuità è escluso che i contratti pendenti possano
automaticamente sospendersi per la domanda di concordato. Quanto agli
atti pregiudizievoli precedenti all’apertura della procedura non esiste una
disciplina, non essendovi la necessità di reintegrare il patrimonio del
fallito, tuttavia qualora avvenisse il fallimento il termine a ritroso per
l’individuazione del periodo sospetto scatterebbe alla data di apertura del
concordato (consecuzione delle procedure); non saranno invece
successivamente revocabili gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in
essere in esecuzione del concordato, oltre che i pagamenti dei debiti
necessari ad ottenere i servizi necessari all’avvio delle procedure (anche se
pregiudizievoli), e ciò a tutela dell’operatività dell’impresa.

La fase intermedia e la nuova finanza


Aperta la procedura il commissario svolge un ruolo ricognitivo nella
definizione della massa passiva avvalendosi delle scritture contabili
dell’impresa, e della massa attiva, della quale redige un inventario dopo
aver inoltre individuato i debitori dell’imprenditore; su attivo e passivo
redigerà una relazione particolareggiata individuando le cause del dissesto.
Il suo ruolo di vigilanza attiene altresì alla permanenza delle condizioni
osservate dal tribunale per la fattibilità del concordato; quando questi
presupposti siano minati da eventi sopravvenuti, il Tribunale dichiarerà la
revoca del decreto di ammissione.
Nell’esercizio dell’impresa il debitore potrebbe aver necessità di nuova
finanza che andrà inevitabilmente ad aggravare il suo indebitamento;
questo può sorgere a) all’apertura della procedura (finanziamento ponte)
per fronteggiarne i costi necessari all’accesso, b) durante la procedura
(finanziamento interinale) al fine di preservare la continuità aziendale o il
valore dei beni dai liquidare, c) dopo la chiusura della procedura in
esecuzione al piano omologato. Per tutelare i finanziatori dall’evento del
fallimento (e dalla relativa falcidia), la legge incentiva l’erogazione di
nuova finanza accordandole prededucibilità in caso di fallimento; questa
tutela è offerta, insieme alla tutela dalla revocatoria per eliminare i
disincentivi che potrebbero avvertire le controparti dell’impresa in crisi.

La votazione (artt.174 e seguenti)


Nella data fissata nel decreto di ammissione alla procedura si tiene
l’adunanza dei creditori, nel corso della quale viene illustrata la proposta
concordataria e le eventuali proposte concorrenti; in seguito i creditori
saranno chiamati a votare la proposta (o le proposte)
Senz’altro sono ammessi al voto i chirografari, mentre sono ammessi i
privilegiati solo se non soddisfatti integralmente o rinunciando a parte del
loro privilegio. Il concordato è approvato se avranno votato a favore la
maggioranza dei creditori ammessi al voto calcolati per quote; se il piano
abbia previsto una suddivisione in classi, la maggioranza andrà raggiunta
anche all’interno di almeno sei classi.

Omologazione del concordato (artt. 180 e seguenti)


Approvata la proposta si ha la fase del giudizio dell’omologazione nel
corso del quale il giudice dovrà depositare un parere sull’approvazione
e riferire ai creditori l’eventuale mutamento delle iniziali condizioni di
fattibilità, così da consentire la possibilità di mutare il voto espresso;
in caso di mancanza di opposizione si procede omologando il concordato.
In caso di opposizioni da parte di creditori dissenzienti si avrà l’inizio di
un contenzioso, che potrà essere richiesto da ogni singolo creditore
appartenente ad una classe o, in caso di mancanza di queste, dai creditori
che rappresentino almeno il 20% dei creditori ammessi al voto. La
sussistenza dell’inconvenienza sarà valutata attraverso il best interest test,
in virtù del quale l’opposizione sarà respinta qualora il credito possa
risultare soddisfatto in misura non inferiore rispetto alle alternative
applicabili. Il tribunale si esprimerà con decreto motivato, accogliendo
l’opposizione o emanando il decreto di omologazione.
Con l’omologazione il debitore recupera la disponibilità piena del suo
patrimonio e viene liberato dalle obbligazioni eccedenti quelle della
proposta, godendo di un effetto esdebitativo che vincola tutti i creditori
anteriori alla pubblicazione della domanda (compresi dissenzienti e non
partecipanti alla procedura); rimane tutta via fermo l’obbligo di eseguire
quanto promesso, da adempire sotto la vigilanza del commissario
giudiziale (e con l’ausilio di liquidatori in caso concordato con cessione
dei beni), il quale in caso di inadempimento viene investito dal tribunale
dei poteri necessari per dargli atto; a fronte dell’inadempimento i creditori
potranno richiedere la risoluzione attraverso ricorso. Qualora il tribunale
lo accolga, dichiarerà l’inadempimento (ed eventualmente il fallimento),
facendo venire meno retroattivamente gli effetti del concordato, compresa
l’esdebitazione, ma lasciando efficaci tutti gli atti compiuti nel corso della
procedura. L’efficacia potrà inoltre venir meno attraverso l’annullamento,
richiedibile al tribunale su ricorso dei creditori o del commissario quando
il disegno del piano risultava fraudolento e pertanto non applicabile.

Il concordato fallimentare (artt.124 e seguenti)


Il concordato fallimentare è una subprocedura del fallimento proposta nel corso
di una procedura fallimentare già in corso attraverso l’avanzo di una proposta
che dovrebbe soddisfare i creditori più del fallimento e che, se omologata, porta
alla chiusura di quest’ultimo; il contenuto e la forma della proposta sono simili
a ciò che si avrebbe per il concordato preventivo, mentre a variare è l’iniziativa,
che potrà essere inizialmente presentata soltanto dai creditori o da un terzo che
si ponga come garante (concordato con assunzione) dopo che sia stato reso
esecutivo lo stato passivo, essendo disponibile da questo momento la
rappresentazione complessiva dei creditori da soddisfare; il fallito potrà invece
proporla ad un anno dalla dichiarazione di fallimento e non oltre due anni dal
decreto di esecutività del passivo. In ogni caso, la proposta va presentata al
giudice delegato, che dovrà valutare il parere del curatore e del comitato dei
creditori (di natura vincolante) e sottoporre la proposta al tribunale in caso di
suddivisione in classi; superato il vaglio del tribunale, il giudice comunica ai
creditori la proposta. Saranno legittimati a votarla senz’altro i creditori
chirografari ed i privilegiati non del tutto soddisfatti o rinuncianti ad una parte
della loro prelazione; la votazione avviene attraverso la regola del silenzio
assenso.
L’esito della votazione sarà riferito dal curatore al giudice ed al proponente, che
richiederà l’omologazione; la proposta sarà inoltre rivolta al fallito ed ai
creditori dissenzienti, che potranno opporsi al decreto di omologazione
pronunciato dal tribunale. In seguito all’omologazione il tribunale dichiarerà la
chiusura della procedura fallimentare da cui conseguiranno i relativi effetti
(recupero disponibilità patrimoniale e fine spossessamento) oltre che quelli
tipici del concordato preventivo (liberazione dagli impegni non indicati dalla
proposta, applicazione dell’omologazione ai creditori anteriori alla
dichiarazione di fallimento compresi quelli non appartenenti al passivo).
L’esecuzione del concordato dev’essere sottoposta alla vigilanza dei tre organi
del fallimento secondo le modalità indicate dal decreto di omologazione sino
all’accertamento di avvenuta esecuzione da parte del giudice, che cancellerà
tutte le garanzie poste per il completamento del concordato; qualora il
concordato non fosse eseguito o fosse viziato da frode potrà dichiararsi la
risoluzione o l’annullamento comportanti la risoluzione e la riapertura della
procedura fallimentare. I creditori verranno quindi riammessi al passivo per
l’importo originario decurtata la parte riscossa, le azioni revocatorie potranno
essere riprese e si conserveranno le garanzie dei creditori; non è esclusa la
possibilità di presentare una nuova proposta, purché sia accompagnata da una
garanzia adeguata.

Gli accordi stragiudiziali


Accade spesso che l’imprenditore sia restio ad intraprendere procedimenti
giudiziali volendo mantenere riserva sulla difficoltà economica
dell’impresa, in quanto diverrebbe da un lato poco meritevole di credito da
parte delle banche, e dall’altro esposto al rischio di spossessamento
(attenuato o totale); d’altro canto i suoi creditori più autorevoli, temendo la
falcidia fallimentare, potrebbero accettare un accordo di ristrutturazione
dei debiti (basato su riduzione in conto capitale, dilazione, rinuncia
interessi, conversione credito in partecipazione sociale) per il quale non sia
prevista una procedura. In virtù della mancanza di tale procedura,
l’imprenditore non è tenuto al rispetto della par condicio, potendo invece
disporre liberamente del proprio credito e rivolgere la proposta soltanto ad
una parte del ceto creditorio. Tuttavia, essendo questo un mero accordo
frutto di trattativa contrattuale, ad esso si applica il principio di efficacia
relativa del contratto, in virtù del quale esso produce effetti solo tra le
parti, rimanendone estranei i creditori non coinvolti, i quali conservano
integre le loro pretese e pertanto la facoltà di attuare azioni individuali o
richiedere il fallimento; inoltre gli atti compiuti restano esposti ad azione
revocatoria in caso di fallimento e, parimenti, i crediti sorti dall’accordo
non godrebbero di prededuzione.

Gli accordi di ristrutturazione (art.182bis)


Volendo dare rilievo alla libertà di trattativa del debitore, tutelando tuttavia
un apprezzabile numero di creditori, l’art.182bis introduce gli accordi di
ristrutturazione dei debiti per gli imprenditori (commerciali ed agricoli);
pur essendo simili agli accordi giudiziali, offrendo maggiore tutela ai
creditori gli è accordata la neutralizzazione degli inconvenienti propri di
questa fattispecie (revocatoria, non prededucibilità, soggezione alle pretese
dei creditori ed alle loro misure) essendo tali accordi non un mero atto di
autonomia privata, bensì prodotti in virtù di un procedimento giudiziale
inglobante la vicenda giudiziale, che termina con l’omologazione.
Affinché questa sia ottenibile, l’accordo deve però sottostare a delle
condizioni: quanto alle parti, è previsto che sia concluso tra un
imprenditore in crisi (ed è in questo ambito coincidente con il concordato
preventivo) e che il (o i) creditore con il quale è concluso rappresenti
almeno il 60% dei crediti; quanto al contenuto, è previsto che consista in
una ristrutturazione dei debiti e che si riveli idoneo ad assicurare
l’integrale pagamento dei creditori estranei. L’accordo, che può essere
proposto sia dal debitore che dai creditori, ha efficacia legale (ultra partes)
subordinata alla fattibilità dell’accordo (ed alla tutela di tutti i creditori,
anche estranei) che dev’essere attestata da una relazione redatta da un
professionista.
L’accordo va depositato con forma di ricorso dall’imprenditore e
pubblicato nel registro dell’imprese, rendendo così efficaci gli effetti ultra
partes: in particolare, si produrrà da un lato un blocco temporaneo delle
azioni esecutive e cautelari, conservando il debitore l’amministrazione del
suo patrimonio, dall’altro si attribuirà ad ogni emissione di nuova finanza
diritto di prededucibilità in caso di fallimento. Affinché i creditori
allarmati non rendano inconcludibile l’accordo, cautelandosi
anteriormente, tale protezione è estendibile alla fase delle trattative
attraverso la pubblicazione di una proposta di accordo nel registro delle
imprese. In questo caso, la sussistenza dei presupposti per pervenire
all’accordo verrà poi accertata giudizialmente; in caso di loro sussistenza
un decreto confermerà gli effetti descritti, permettendo al debitore di
preparare l’accordo o, eventualmente, dirottare la procedura verso un
concordato preventivo.
Avviato il procedimento di omologazione, ogni creditore può proporre
opposizione entro trenta giorni all’accordo, investendo il tribunale del
compito di vagliarne la fondatezza; ritenendo infondata l’opposizione o
non presentandosi opposizioni, il tribunale omologa l’accordo con decreto
motivato, pubblicandola nel registro delle imprese; in virtù della predetta
omologazione effettuata da un organo giudiziale (e non di un accordo
privato come nel caso degli accordi stragiudiziali) sono accordati gli effetti
di prededuzione ed esenzione dalla revocatoria in caso di fallimento.
La vigilanza sull’esecuzione dell’accordo spetta ai creditori: quelli estranei
potranno reagire a tutela delle proprie ragioni, i partecipanti potranno
invece chiedere la risoluzione in caso inadempimento o l’annullamento in
caso il loro consenso fosse stato viziato da errore o dolo.
Qualora una quota superiore alla metà dell’indebitamento fosse detenuta
da intermediari finanziari si potrà integrare la disciplina esposta con quella
dell’art.182septies il quale, in deroga al principio di relatività degli effetti,
rende l’accordo di natura concorsuale; ciò è possibile sulla base
dell’omogeneità degli interessi giuridici dei creditori, sulla base della quale
essi potranno ritenersi appartenenti ad una sola categoria. Nel ricorso alla
procedura il debitore potrà chiedere che l’accordo concluso con banche o
intermediari finanziari rappresentanti il 75% della categoria venga esteso
a coloro i quali non hanno partecipato all’accordo; nella procedura vanno
comunque rispettate le condizioni di omogeneità per posizione giuridica ed
interesse economico della categoria, di trasparenza verso i creditori non
aderenti e la salvaguardia del best interest(come previsto nel c.preventivo).

Piani di risanamento
Il piano di risanamento è introdotto dalla norma della revocatoria
fallimentare, che fa salvi da tale procedura gli atti, i pagamenti e le
garanzie posti in essere in esecuzione di un piano idoneo a risanare
l’esposizione debitorio di un impresa; non può qualificarsi giuridicamente
come accordo, essendo formulato dal debitore con l’assistenza di un
professionista verificante la validità e la procedibilità dell’accordo, quanto
piuttosto una disposizione unilaterale che può o meno essere mostrato ad
un creditore (come la banca di riferimento); fatta salva l’approvazione del
professionista, è svincolato da qualsiasi forma procedimentale

Capo III: le procedure amministrative

La liquidazione coatta amministrativa


La l.c.a. è una procedura concorsuale con finalità liquidatoria, come il
fallimento, tuttavia è investita della procedura l’autorità amministrativa,
che ne provoca apertura, ne vigila lo svolgimento e la indirizza; è
applicabile nei soli casi espressi dalla legge in ragione dell’interesse
pubblico che rivestono i soggetti nei cui confronti è prevista, ossia enti
pubblici economici ed imprese sottopose a vigilanza pubblica; a questo
presupposto soggettivo se ne aggiunge uno di natura oggettiva più ampio
rispetto a quello della sola insolvenza, di natura economica, ossia la
presenza di una situazione gestionale patologica data da anomalie
amministrative come la violazione di norme legislative o irregolarità nella
gestione dell’ente. Va sottolineato che alcune categorie d’imprese (come le
società cooperative) sono sottoponibili sia alla l.c.a che al fallimento; in tal
caso trova applicazione il principio di prevenzione, per il quale viene
applicata la procedura aperta per prima, ad esclusione dell’altra. Inoltre,
se la legge non dispone diversamente, le imprese soggette ad l.c.a. possono
essere ammesse al concordato preventivo.
L’apertura della l.c.a. si verifica quando, con esclusione del fallimento, nei
confronti di un impresa soggetta a questa procedura venga accertata
l’insolvenza, che viene accertata dal tribunale ma dichiarata dall’autorità
amministrativa; nel caso invece di presupposto diverso dall’insolvenza,
sarà quest’ultima a verificare il fondamento ed aprire la procedura.
L’autorità amministrativa procede emanando il provvedimento di
liquidazione e nominando il commissario liquidatore, avente ruolo simile
al curatore fallimentare, ed il comitato di sorveglianza, avente un ruolo
simile al comitato dei creditori. A decorrere dalla data del provvedimento
si producono gli effetti a) dello spossessamento ai danni del debitore, e b)
la regolazione concorsuale dei crediti, la sospensione dei contratti pendenti
(salvo continuazione automatica in caso di proseguimento dell’attività
d’impresa) e c) l’applicazione della revocatoria ordinaria o fallimentare
(questa solo nel caso in cui fosse accertata l’insolvenza).
In seguito il commissario liquidatorio, che procede a tutte le operazioni
secondo le direttive dell’autorità, prende i beni e le scritture contabili in
consegna e forma l’inventario; procede poi all’accertamento del passivo,
forma autonomamente l’elenco dei crediti ammessi e lo deposita nella
cancelleria del tribunale rendendolo esecutivo. I creditori potranno poi
proporre impugnazione o domande tardive.
Quanto all’amministrazione ed alla liquidazione dei beni, il commissario
liquidatore dispone di tutti i poteri necessari alla liquidazione dell’attivo
salvo che l’autorità non abbia fissato dei limiti.
La chiusura avviene in seguito alla presentazione di un bilancio finale da
parte del commissario e di una relazione sul commissario da parte del
comitato di sorveglianza; i creditori lesi potranno effettuare contestazioni
alle quali provvederà il tribunale, ed in mancanza di contestazioni il
commissario potrà procedere alle ripartizioni. Non è previsto uno specifico
provvedimento di chiusura, pertanto la procedura può dirsi chiusa in seguito alla
ripartizione o, eventualmente, con la proposta di un concordato di liquidazione.

L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese (270/1999)


L’a.s. è applicata ad alcune imprese di grande rilevanza economica per
conservare i posti di lavoro e l’economia indotta; ai fini dell’applicazione
della procedura è necessario che l’impresa sia da un lato soggetta alle
disposizioni sul fallimento e che possieda altri due requisiti che la
classifichino come grande, ossia che a) abbia un numero di lavoratori non
inferiore a 200 da almeno un anno, e che b) abbia debiti per un ammontare
complessivo non inferiore a 2/3 dell’attivo e del fatturato, mentre rimane
come presupposto oggettivo lo stato di insolvenza, cui si affianca il
presupposto che l’impresa possa raggiungere le finalità della procedura,
ossia la conservazione del patrimonio produttivo mediante prosecuzione,
riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali (non sarebbe
altrimenti giustificata l’applicazione di tale procedura).
La procedura parte dalla dichiarazione dello stato di insolvenza da parte
del tribunale con sentenza dichiarativa (comunicata al Ministero dello
Sviluppo Economico, MISE), con la quale a) sono nominati un giudice
delegato e un commissario giudiziale, b) è assegnato un termine per la
presentazione delle domande, c) è fissata l’adunanza e d) è stabilito se, nel
corso della successiva fase di osservazione, l’impresa è lasciata
all’imprenditore o affidata al commissario (applicazione spossessamento
attenuato o completo). Nel corso della successiva fase di osservazione è
accertata la compatibilità delle condizioni economiche dell’impresa con le
finalità della procedura, e cioè se sussistono concrete prospettive di
recupero dell’equilibrio economico; il debitore avrà effetti diversi a
seconda della sorte dell’impresa, come prima esposto, mentre i creditori
non potranno intraprendere azioni cautelari o individuali ed i loro crediti
saranno cristallizzati. Inoltre, tutti crediti sorti in continuazione dell’attività
saranno prededucibili ed i contratti pendenti continueranno la loro
prosecuzione; il tribunale in virtù della vis attractiva potrà decidere su tutte
le situazioni relative all’insolvenza dell’impresa.
Al termine di questa fase il commissario redige una relazione nella quale
nega o ammette l’esistenza dei presupposti dell’a.s.; nel primo caso il
tribunale dichiarerà il fallimento, altrimenti dispone con decreto l’apertura
dell’a.s., nominando un commissario straordinario che si sostituisce al
commissario giudiziale ed un comitato di sorveglianza. Gli effetti sono
un’intensificazione di quelli già prodotti nella prima fase: il debitore, se
non già spossessato, lo sarà in questa fase, i creditori vedono confermarsi
gli effetti già prodotti dalla precedente fase, i contratti pendenti avranno
automatica prosecuzione (salvo che il commissario non decida di
sciogliersene, fatta eccezione per i contratti di lavoro subordinato); in
particolare, gli atti pregiudizievoli potranno essere resi inefficaci solo se, nella
successiva fase di pianificazione, venga scelto un programma di cessione.
Entro 60 giorni dalla dichiarazione di ammissibilità della procedura il
commissario straordinario dovrà predisporre il programma che potrà essere di
cessione (programma di prosecuzione dell’impresa non superiore ad un anno) o
di ristrutturazione (sulla base di un programma di risanamento non superiore a
due anni); l’autorità amministrativa potrà eventualmente integrarli e
modificarli, dandone infine approvazione, inoltre se il commissario
straordinario ritiene che durante l’esecuzione sia necessaria la sostituzione
di un’altro programma solleciterà la modifica del programma. Il
commissario straordinario esegue il programma informando con una
relazione periodica ed una finale il MISE, svolgendo accertamento del
passivo e ripartizione dell’attivo nelle stesse modalità previste dalla
disciplina fallimentare.
L’a.s. può cessare a) per conversione in fallimento quando il programma
autorizzato non risulti più realizzabile o quando al termine previsto per la
sua esecuzione, esso risulti irrealizzato, b) per chiusura della procedura
quando non siano state presentate domande di ammissione al passivo,
quando l’imprenditore abbia recuperato la capacità di soddisfare le proprie
obbligazioni, quando i crediti siano stati integralmente o quando sia stato
totalmente ripartito l’attivo, e c) per effetto di un concordato, regolato
dalla stessa disciplina della l.c.a. e proponibile dall’imprenditore o da un
terzo con autorizzazione del MISE.
In ogni caso, alla chiusura il commissario straordinario sottopone al MISE
bilancio finale e conto della gestione, che ne autorizza il deposito; in caso
di mancanza di contestazioni viene emesso il decreto di chiusura,
reclamabile dinanzi alla Corte d’Appello.

Capo IV: Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza

I principi ispiratori
Il c.ins è stato redatto secondo alcuni principi ispiratori.
Innanzitutto è stata valorizzata l’esigenza di far emergere con anticipo la
crisi imprenditoriale potendo così intervenire anticipatamente nel
risanamento, evitando l’insorgere dell’insolvenza; tale possibilità andrebbe
poi affiancata a soluzioni di ristrutturazione preventiva e di recupero
dell’impresa, anziché puramente liquidatorie, finalizzate a reinserire
l’impresa nel mercato. Sono quindi state approntate delle procedure di
allerta e privilegiate le proposte assicuranti la continuità aziendale.
E’ stato poi designato un percorso unitario per l’accesso ad ogni
procedura, a prescindere dalla natura del debitore e dalla finalità
perseguita; ne consegue che ogni debitore in crisi o insolvente andrà
sottoposto ad una unitaria procedura di accertamento dello stato di crisi o
insolvenza, per poi essere assegnato ad uno dei possibili percorsi
alternativi in ragione della gravità della crisi e del tipo di debitore.
E’ stata poi data unitarietà alla procedura coinvolgente un gruppo di
società.

Procedure di allerta
Il primo capitolo del codice della crisi sulle procedure di allerta vuole dare
attuazione alle disposizioni della raccomandazione europea 114/2014.
Viene innanzitutto generalizzato il criterio organizzativo per cui ogni
imprenditore deve adottare misure o assetti organizzativi adeguati a
rilevare tempestivamente la crisi e farvi fronte, dove viene inteso per crisi
uno stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile
l’insolvenza del creditore, manifestata dall’inadeguatezza dei flussi di
cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni; dinanzi alla crisi è imposto
un obbligo di adeguata e tempestiva reazione per prevenire l’insolvenza, e
ciò sarà possibile attraverso il ricorso a degli indicatori di crisi da stabilire
in seno al Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti. Una volta
rilevato attraverso essi lo stato di crisi, ogni imprenditore avrà l’obbligo di
reazione tempestiva, da attuarsi attraverso le procedure di allerta gestite
dagli OCRI (Organismi Composizione Crisi d’Impresa); il ricorso a queste
procedure è stimolato dagli organi di controllo societari e dai creditori
pubblici qualificati (INPS, Agenzia delle Entrate) attraverso gli obblighi di
segnalazione. L’OCRI, sollecitato da segnalazione o interpellato dallo
stesso debitore, ascolta quest’ultimo e individua possibili misure per porre
rimedio alla crisi e ricerca una soluzione concordata coi creditori.
Il procedimento unitario e le diverse procedure
L’imprenditore è sottoposto o si sottopone in caso di crisi alle procedure di
regolazione della crisi e dell’insolvenza a prescindere dalla sua natura o
dalla sua situazione debitoria attraverso ricorso; questo procedimento è di
natura unitaria, configurandosi come accesso comune alla procedura di cui
il tribunale riterrà sussistere i presupposti. In base all’analisi del tribunale,
sarà poi applicata una procedura in base alla natura del debitore ed al suo
stato di crisi, dando nei limiti della sempre necessaria soddisfazione dei
creditori priorità a strumenti diversi dalla liquidazione. Lungo questo
percorso il tribunale applicherà il divieto di azioni individuali o cautelari
nei confronti del debitore su espressa richiesta del debitore e per un
periodo massimo di un anno, non più quindi in maniera automatica.
I gruppi di società potranno con unico ricorso essere ammesse al
concordato preventivo o all’omologazione di un accordo o, se in stato di
insolvenza, alla liquidazione giudiziale.

Gli strumenti stragiudiziali di regolazione della crisi: accordi di


risanamento e di ristrutturazione dei debiti
Il primo tipo di accordo attuabile è quello in esecuzione di un piano di
risanamento, che presenta rispetto all’attuale quattro profili di novità.
1) E’ rivolto a qualsiasi imprenditore (anche minore o agricolo);
2) E’ dato rilievo non al piano approntato, ma agli accordi effettuati in
sua esecuzione, in quanto sono tali operazioni a consentire il
raggiungimento delle finalità di tale istituto ed a rendere valida
l’esenzione dalla revocatoria, che sarà estesa ai pagamenti ricevuti da
terzi in esecuzione del piano;
3) E’stata inserita una struttura del piano più precisa così da verificare il
realizzo del piano in itinere e di attuare strumenti di adeguamento in
caso di scostamenti dal piano;
4) Vengono limitati gli abusi attraverso la revoca dell’esenzione nelle
situazioni di dolo o colpa di attestatore o debitore, di cui il debitore
era a conoscenza al momento dell’operazione, nella redazione del piano

Sono poi previsti gli accordi di ristrutturazione dei debiti a favore di


imprenditori commerciali ed agricoli (i minori potranno accedere alle
procedure da sovraindebitamento); tali accordi sono strumenti
stragiudiziali, essendo in tal senso differenti dal concordato preventivo, ma
soggetti ad omologazione di natura giudiziale e volta ad attestare
l’idoneità a garantire il pagamento dei crediti.
Viene introdotta la possibilità di effettuare modifiche sostanziali
all’accordo sia durante l’omologazione che l’esecuzione, e quindi di
consentire ai creditori aderenti di provvedere ad una novazione senza
pregiudicare la produzione dei suoi effetti legali, potendo il debitore
procedere unilateralmente ad una nuova formulazione dell’accordo
(dovendo assicurare comunque l’integrale soddisfazione dei creditori); il
nuovo accordo sostituirà il precedente a meno che i creditori propongano
opposizione entro 30 giorni, che potrà o meno essere respinta dal tribunale.
Sono inoltre stati inseriti dei congegni che favoriscano il raggiungimento
del consenso: innanzitutto a) è reso possibile omologare l’accordo anche
mancanza di adesione dell’amministrazione finanziaria purché rimanga
evidente nel piano la convenienza ad essa riservata, che in questo modo
favorisce il raggiungimento della maggioranza necessaria
all’omologazione; in secondo luogo b) è stata introdotto un accordo di
ristrutturazione agevolato che vede ridotta la normale maggioranza al
30% a fronte di una rinuncia della dilazione di 180 giorni concessa per
pagare i creditori; infine c) è stato generalizzato lo schema concorsuale
degli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari attraverso
l’introduzione di un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa, nel
quale il trattamento accettato dalla maggioranza dei creditori omogenei
raggruppati in una o più categorie è imposto anche ai creditori dissenzienti. E’
tuttavia imposto che tale schema sia applicato solo in caso di concordato non
liquidatorio, a meno che i creditori non siano intermediari finanziari.

Strumenti giudiziari di regolazione: il concordato preventivo


Il concordato preventivo è accessibile ai soli imprenditori commerciali non
minori. Premura del legislatore è stata quella di eliminare gli abusi
attuabili attraverso finalità meramente dilatorie; il ricorso al concordato
preventivo è stato pertanto limitato ai soli casi in cui il piano proposto
preveda l’apporto di risorse esterne che incrementino di oltre il 10% il
soddisfacimento dei creditori rispetto al risultato di una liquidazione
giudiziaria. A ciò si è unita l’esigenza di subordinare il concordato in
continuità a dei maggiori controlli in ragione della sua maggiore
ambiziosità rispetto al concordato liquidatorio; ciò è stato attuato
subordinando il concordato non solo all’analisi dell’ammissibilità della
procedura, ma anche ad un’analisi della fattibilità economica, cosicché la
continuità assicuri il maggior soddisfacimento possibile ai creditori,
producendo quindi un sostanziale anticipo dell’analisi del best interest.
Rimane ammissibile una domanda di concordato in bianco, tuttavia le
misure protettive non saranno applicate al patrimonio del debitore in via
automatica né saranno accordati atti di straordinaria amministrazione senza
la precedente presentazione di informazioni sul contenuto del piano.
Per agevolare il procedimento del concordato viene confermata la
prededucibilità della nuova finanza ed introdotta inoltre una moratoria fino
a due anni per il pagamento dei creditori privilegiati. In sede di voto alla
proposta viene temperato il principio maggioritario: pur essendo
confermata la sua applicazione sul valore dei crediti e per classi, viene
introdotta una componente per teste qualora solo un creditore sia titolare
di crediti in misura superiore agli ammessi al voto. Viene inoltre introdotto
l’obbligo di suddivisione per classi.
Dal punto di vista degli effetti va sottolineato il potenziamento della
prededuzione al credito, per la quale viene soddisfatto il credito
prededucibile già nel corso della procedura stessa, senza attendere la fase
di esecuzione. La nozione di contratti pendenti è stata limitata ai soli
contratti non compiutamente eseguiti nelle sole prestazioni principali,
essendo quindi esclusi quelli ineseguiti nelle prestazioni accessorie.
Sul piano del procedimento è stata eliminata l’adunanza dei creditori, cui
sostituita dalla forma telematica per l’emissione di ogni dichiarazione, è
stato ammesso il reclamo contro la sentenza di omologazione (che diventa
dunque caducabile) e l’eventuale sospensione che può portare a revoca o
apertura della liquidazione giudiziale, è stata estesa la competenza del
tribunale a proporre opposizione alle operazioni di fusione o scissione
previste nel piano in attuazione della procedura concordataria.
In fase di esecuzione, il debitore avrà l’obbligo coercibile di dare
esecuzione al piano omologato; in caso di sua inerzia, il tribunale potrà
attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari ad agire in luogo del
debitore. In altri termini, il debitore rimane vincolato rispetto al piano,
essendo eventuali discostamenti scongiurati in modo più pesante.
Inoltre, in caso di conflitto fra regole societarie e concorsuali prevale lo
statuto concordatario su quello societario.

La liquidazione giudiziale
Nel disegno del codice la liquidazione giudiziale dovrebbe avere una
posizione residuale, ricorrendo a questo procedimento come ultima
alternativa, tuttavia è probabile che nella prassi sarà il più utilizzato.
Il presupposti per l’applicazione della procedura rimangono quelli
dell’insolvenza (e non il mero stato di crisi) e dell’imprenditore non
minore (del quale è chiarita la nozione, da ricondurre ai tre parametri di
presunzione di piccolezza). Viene dato maggior rilievo all’esdebitazione,
che si configura come un diritto dell’imprenditore (persona fisica o altro
ente) sorgente a tre anni dall’apertura della procedura o alla sua
chiusura, e ciò al fine di consentirgli un reinserimento sul mercato. Sono
poi stati innovati alcuni aspetti puntuali dell’intera procedura.
In fase di apertura:
a) Vengono inclusi gli organi e le autorità amministrative di controllo e
vigilanza sull’impresa tra i soggetti aventi potere di iniziativa e viene
incentivato il debitore ad aprire il procedimento attraverso l’esenzione
di punibilità per alcuni reati fallimentari;
b) Viene ancor di più condizionato il funzionamento degli organi
dall’interesse dei creditori; così sarà possibile richiedere la
sostituzione del comitato dei creditori (oltre che del curatore) e questi
ultimi avranno diritto ad essere informati ogni giorno attraverso
l’inserimento di aggiornamenti giornalieri in un registro informativo;
c) Quanto agli effetti: il debitore vedrà decorrere il termine per la
riassunzione dei procedimenti dalla dichiarazione di interruzione del
giudice; i creditori non potranno compensare i crediti acquisiti dopo la
domanda di apertura o nell’anno anteriore; gli atti pregiudizievoli a
titolo gratuito saranno inefficaci già per effetto della trascrizione
dell’apertura; inoltre, il termine a ritroso per l’esercizio della
revocatoria decorrerà dalla data della domanda di apertura; nei
rapporti pendenti (ineseguiti nelle prestazioni principali) saranno
prededucibili i soli crediti sorti in corso di procedura, saranno
automaticamente sciolti i contratti personali (salva scelta contraria del
curatore), in caso di affitto d’azienda si esclude la responsabilità
solidale di curatore ed affittuario, sono sospesi i contratti di lavoro
subordinato con facoltà di recesso da parte del curatore ed eventuale
diritto all’indennità per il lavoratore.
In fase di procedura:
a) E’ ridotto il periodo per la presentazione di domande tardive a 6 mesi;
b) In caso di esercizio provvisorio d’impresa, l’apertura della procedura, non
sospendendone l’attività, comporta il proseguimento dei contratti pendenti
c) Viene stabilito un termine massimo di inizio della liquidazione di 12
mesi dall’apertura ed un termine di fine di 5 anni dall’apertura; la
verifica dello stato passivo diviene inoltre svolgibile telematicamente;
d) In fase di ripartizione il programma sarà trasmesso ai creditori
telematicamente; viene inoltre riconosciuto il rango di creditori postergati.
In fase di chiusura:
a) La chiusura per compiuta ripartizione non è impedita da pendenza di
giudizio; vi potrà essere un riparto supplementare in seguito alla chiusura.
b) Il concordato, pur non differenziandosi dall’attuale concordato
fallimentare, sarà proponibile dal debitore, come per il concordato
preventivo, solo se realizzi un apporto di nuove risorse che incrementino il
valore dell’attivo oltre il 10%.

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento


Il codice inserisce tre procedure per il regolamento del sovraindebitamento,
ossia lo stato di crisi dei debitori non assoggettabili a l.g. o a l.c.a.
La prima di queste è la ristrutturazione dei debiti del consumatore,
esclusivamente rivolta a quest’ultimo, inteso come persona fisica agente per
scopi estranei all’attività imprenditoriale. Egli, con l’ausilio di una OCC,
presenta al tribunale un piano indicante modalità e tempi per il superamento
della crisi ed una proposta indicante la soddisfazione dei creditori. Il piano sarà
dichiarato ammissibile con decreto se il debitore non ha ricevuto esdebitamento
per due volte o negli ultimi cinque anni e se l’indebitamento non è dovuto a
dolo o colpa; dopodiché, se ammissibile giuridicamente ed attuabile, il giudice
ne dichiara l’omologazione, obbligando il consumatore all’esecuzione del
piano.
Il concordato minore è rivolto ad imprese agricole, minori o ai professionisti
intellettuali ed è finalizzato alla continuità dell’attività imprenditoriale sulla
base di un piano, da presentare con domanda formulata da una OCC presso il
tribunale; valutato il piano, il giudice disporrà decreto l’ammissibilità ed
eventuali misure protettive, invitando i creditori ad aderire alla proposta. Infine,
valutata ammissibilità giuridica e fattibilità economica, proclamerà
l’omologazione.
La liquidazione controllata è applicabile a tutti i debitori sopraelencati con
finalità liquidatoria; è attivabile su istanza del debitore, dei creditori o del p.m;
la sentenza che apre la procedura nomina un liquidatore avente funzione e ruolo
analogo a quello del curatore della l.g.
Ciascuna di queste procedure conduce all’esdebitazione del sovraindebitato, che
opererà come conseguenza della falcidia nel caso della regolazione della crisi o
di diritto nel caso della liquidazione controllata. Si distingue poi l’ipotesi del
debitore persona fisica del tutto incapiente ma meritevole, nella quale il
debitore in questione non ha alcuna utilità diretta o indiretta nemmeno in
prospettiva futura da destinare alla soddisfazione dei creditori; l’esdebitazione è
ottenuta con domanda presentata tramite OCC qualora il debitore sia
considerato meritevole; rimane in capo ad esso l’impegno di ripagare i debiti
qualora gli sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento
dei debitori in misura non inferiore al 10%.

9. Nozione di società e principi generali

Elementi fondamentali della società (artt.2247-2249)


Le società sono strutture organizzative destinate all’esercizio di un’attività
produttiva; esse sono una specifica categoria di impresa collettiva, con la
quale non sono del tutto coincidenti (potendo esistere società esercitanti
un’attività produttiva non imprenditoriale, come quelle tra professionisti
intellettuali, o non formate da una pluralità di soci, come quelle
unipersonali), comprendente altresì enti come associazioni, fondazioni e
consorzi esercitanti attività d’impresa. Esiste una pluralità di modelli
organizzativi societari: da un lato, la categoria delle società di persone
accoglie la società semplice, la società in nome collettivo (s.n.c.) e la
società in accomandita semplice (s.a.s.), mentre la categoria delle società
di capitali accoglie la società per azioni (s.p.a.), la società a responsabilità
limitata (s.r.l.) e le società in accomandita per azioni (s.a.p.a.); a queste si
affiancano poi le società cooperativi e le mutue assicuratrici, perseguenti
uno scopo mutualistico.
Possono essere innanzitutto pluripersonali; lo devono essere
necessariamente le società di persone, in accomandita per azioni (per la
struttura contrattuale dell’atto) e quelle a scopo mutualistico (non
potendosi lo scopo mutualistico conseguire senza più fruitori). S.p.a ed
s.r.l. possono invece essere costituite attraverso atto unilaterale da un unico
fondatore; la società assume autonomia da quest’ultimo in quanto centro di
imputazione e formazione della volontà negoziale.
Le società trovano il loro fondamento in atto di autonomia privata di
natura contrattuale o unilaterale; ne consegue che la disciplina di società
può essere ottenuta dalla disciplina del contratto di società, definito come
il contratto con cui due o più persone conferiscono beni o servizi per
l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli
utili. Va comunque sottolineato che l’atto di autonomia non costituisce
l’unica fonte delle società, che, nel caso delle società legali, possono
originarsi anche in virtù di un procedimento normativo.
In ogni caso, la volontà negoziale costitutiva del fenomeno societario deve
contenere un conferimento di beni o servizi, indicare lo svolgimento
dell’attività e prevedere la realizzazione di un profitto, fatta eccezione per
le società aventi scopo mutualistico o consortile, delineando quindi uno
scopo di natura patrimoniale ed egoistica.
La società è irriconducibile alla categoria dei contratti di scambio, in
quanto questi ultimi sono diretti a soddisfare gli interessi delle parti
attraverso lo scambio di prestazioni reciproche; il contratto di società è
invece riconducibile ai contratti con comunione di scopo, ed in particolare
ai contratti di associazione, miranti a realizzare un interesse comune tra le
parti, cosicché le prestazioni effettuate dai soci (i conferimenti) non si
esauriscono nello scambio, bensì convergono per il soddisfacimento di tale
interesse. L’esecuzione della prestazione non soddisfa dunque il diretto
interesse delle parti, costituendo invece il presupposto per l’esplicazione di
un’attività; il fenomeno societario non si risolve quindi in un contratto che
deve essere adempiuto ed è per questo che la disciplina della società è
riferita non all’esecuzione di un atto negoziale, bensì di una struttura
organizzativa e dei modi di esercizio di un’attività. In virtù dello scopo
societario resta inessenziale altresì il numero di parti, configurandosi
quindi come un contratto a struttura aperta.

Il carattere produttivo dell’attività


La società è un organismo istituito per l’esercizio di un’attività economica,
cioè generante nuovi valori economici attraverso un’attività produttiva;
mancano tuttavia richiami ai requisiti di professionalità ed organizzazione.
Se quest’ultima è implicito nell’attività sociale, si rileva che alcune società
possano esercitarsi in maniera non professionale (società occasionali,
esempio di società senza impresa), tuttavia un profilo più complesso è
quello riferito allo svolgimento di società di professionisti intellettuali,
dovendosi la disciplina societaria conciliare con vincoli pubblicistici,
limitanti il libero svolgimento delle professioni economiche mediante
l’esigenza del conseguimento di un titolo abilitativo ai fini dell’esercizio
dell’attività, e privatistici, facendo riferimento all’oggetto del contratto di
opera professionale, avente come principio l’esecuzione personale della
prestazione. La disciplina delle società di professionisti intellettuali è
contenuta nella legge 183/2011, che le sottopone ad alcune condizioni.
Il legislatore si è preoccupato di regolare il rapporto con le professioni
protette, essendo libera l’erogazione delle professioni non protette; il
problema della personalità della prestazione è inoltre superabile attraverso
il ricorso al contratto d’appalto, avente ad oggetto il compimento di un
servizio a favore del committente. Quando le società hanno per oggetto
l’esercizio di una professione protetta la società deve innanzitutto essere
composta da abbastanza soci abilitati alla professione da determinare la
maggioranza di due terzi nelle deliberazioni dei soci, potendo quindi
essere possibile la formazione di società miste tra capitalisti e
professionisti; in secondo luogo, la prestazione professionale viene
eseguita dal socio in quanto conferimento nei confronti della società, che
formalmente esegue tale prestazione.

L’attività sociale, in quanto produttiva, dev’essere creatrice di nuova


ricchezza, distinguendosi dall’attività di mero godimento. E’ dunque
ricavata l’inammisibilità di società di mero godimento, dovendo invece la
società destinare tale godimento all’esercizio di un’attività produttiva. Tale
inammissibilità è confermata dall’art.2248, che rimanda comunione
costituita al solo scopo di godimento al libro III. Questo motivo è
riconducibile alla staticità della comproprietà, da rimandare piuttosto al
diritto dei beni, rilevando l’appartenenza comune del bene. Le società
configurano invece una situazione giuridica dinamica in cui il
conferimento dei beni in comune non è finalizzato al solo godimento ma
strumentale all’esercizio di un’attività produttiva. Vanno tuttavia escluse
dalla nozione di comunione alcune attività, come quelle ricettive e di
noleggio, destinando i beni non ad un mero godimento, bensì ad un’attività
coordinata di noleggio o ospitalità creante un valore economico; parimenti,
le attività di gestione di partecipazioni coordinano le società di un gruppo
attraverso l’esercizio di poteri di controllo, non limitandosi al godimento.

L’esercizio in comune dell’attività


L’esercizio dell’attività dev’essere comune, ed è tale quando sono
condivisi il potere di decisione e, in particolare, il rischio d’impresa, ossia
la partecipazione agli utili ed alle perdite. Questa partecipazione si
differenzia da quella data dall’associazione in partecipazione (art.2549)
nella quale l’associato si limita ad apportare dei beni all’impresa
dell’associante in cambio di una compartecipazione agli utili; tra le parti
non si configura tuttavia la comunione di scopo tipica del contratto
associativo, avendosi piuttosto un contratto di scambio nel quale
l’associante attribuisce all’associato una partecipazione in cambio di un
contributo, né vi è una effettiva sopportazione del rischio d’impresa da
parte dell’associato, che appare piuttosto un creditore, sopportando un
rischio di credito. Al rischio d’impresa devono partecipare tutti i soci e
sono pertanto nulli i patti leonini.
Gli amministratori svolgono l’attività economica, compiendo i relativi atti,
rappresentando la società e quindi in suo nome, facendo ricadere gli effetti
giuridici nella sua sfera; la spendita del nome sociale comporta quindi
l’imputazione giuridica dell’attività all’ente. Si parla di società occulta
quando ad un solo socio (che appare imprenditore individuale) è attribuito
l’esercizio dell’attività, che di fatto è esercitata da terzi; tale patto di
occultamento sarebbe invalido, in quanto la partecipazione ad una società
imputata ad un terzo è possibile solo se non viene condiviso il potere
decisionale. Sebbene l’attività sia imputabile al solo prestanome, è stabilito
dal nuovo art.147 della legge fallimentare che sia dichiarabile il fallimento
in estensione anche dei soci occulti illimitatamente responsabili quando
sia provato che tra questi ed il prestanome sussista un rapporto sociale.
I soci possono partecipare all’attività in diversi modi: innanzitutto
attraverso il potere di amministrazione, ossia attraverso l’esercizio diretto
del potere decisionale, o attraverso il voto in assemblea, con la quale è
peraltro possibile nominare gli amministratori. Quando è prevista una
compartecipazione all’amministrazione è altresì necessario un modello di
risoluzione dei conflitti, e può essere quello dell’unanimità o quello della
regola maggioritaria; nel primo caso nessun atto può essere compiuti senza
il consenso di tutti, nel secondo caso viene invece a crearsi una
maggioranza ed una minoranza ed una dialettica tra di esse

I conferimenti e la dotazione patrimoniale all’attività


I conferimenti, ossia le utilità economiche apportate dai soci, consentono
l’esercizio dell’attività stessa; essi formano il complesso delle risorse
iniziali, destinate in via definitiva all’iniziativa economica, cui rimangono
vincolati durevolmente. Possono essere oggetto di conferimento tutte le
entità utili e suscettibili di valutazione economica (incluse opere, obblighi
di fare e di non fare). L’obbligo di effettuare i conferimenti è contenuto
nell’atto costitutivo della società e ne rappresenta pertanto elemento
essenziale; essi rappresentano la prestazione degli stipulanti e ne
giustificano la partecipazione alla società in quanto risultano così esposti
al rischio d’impresa, e cioè al rischio di non riottenere il loro conferimento,
che d’altro canto rappresenta lo strumento per l’esercizio dell’attività
stessa; d’altro canto non esisterebbe società senza i conferimenti. Pur non
esistendo un principio generale indicante la dimensione adeguata dei
conferimenti, nelle società di capitali è imposto un minimo, non imposto
invece nelle società di persone. Il principio di essenzialità dei conferimenti
è messo in crisi dalla possibilità accordata di costituire s.r.l. con una cifra
minima di 1€: tali società senza conferimenti sono costituite senza assunzione
di rischio da parte dei soci, che reperiscono risorse esternamente.
Essendo i beni conferiti destinati in via definitiva all’attività sociale, è
imposto su di essi un vincolo di destinazione, che impedisce di sottrarli
all’iniziativa economica per tutta la durata della società, vietando quindi a)
al socio di richiedere la restituzione del bene (potendo solo ottenere una
quota di liquidazione quando gli è concesso di recedere), b) di servirsi
individualmente dei beni per fini estranei a quello sociale e c) di destinare i
beni a garanzia dei creditori sociali. Al suddetto vincolo se ne collega uno di
indisponibilità del capitale sociale; questo è una posta contabile rappresentante
il valore dei conferimenti inseriti nel patrimonio della società, quest’ultimo
rappresentante a sua volta l’insieme degli elementi attivi e passivi facenti capo
all’ente. Ne consegue che i soci possono distribuire solo le somme del
patrimonio sociale eccedenti il valore del capitale sociale, ossia l’incremento di
ricchezza (utile) ottenuto mediante l’attività produttiva; la riduzione di capitale
si potrebbe avere solo alle condizioni dettate dalla legge, non potendo i soci
ridurre arbitrariamente il valore del loro investimento.

Lo scopo egoistico dell’attività


I soci esercitano l’attività per realizzare un guadagno (lucro oggettivo) da
distribuire (lucro soggettivo) secondo una proporzione da essi convenuta;
tale guadagno, ossia l’incremento di valore del patrimonio netto rispetto al
capitale, si definisce utile ed è la sola porzione distribuibile durante la vita
della società. Lo scopo del contratto associativo è dunque di natura
egoistica, conseguito attraverso lo scopo-mezzo dell’attività economica. A
questo scopo se ne affiancano tuttavia uno di natura mutualistica, proprio
delle società cooperatrici, che mirano all’ottenimento a condizioni più
favorevoli di beni da assegnare ai soci, ed uno di natura consortile, proprio
delle società consortili, che mirano all’ottenimento di utilità consortili per
le imprese dei soci. Ognuno di questi scopi è di natura egoistica: ne
consegue che la società è una struttura costituita per il perseguimento di
uno scopo egoistico.
A mettere questo principio in discussione questo principio intervengono le
società perseguenti scopi non egoistici, bensì ideali o altruistici,
caratterizzate dall’eterodestinazione del profitto ottenuto attraverso un
lucro meramente oggettivo; a queste società è riservata la qualifica
dell’impresa sociale, attribuita a società (oltre che associazioni e
fondazioni) esercitanti un’attività economica di interesse generale e senza
fine di lucro soggettivo, ed in sua ragione è accordata la possibilità di
distribuire una quota minoritaria degli utili maturati. A queste si
aggiungono poi alcune società operanti in alcuni particolari settori, come quelle
che gestiscono i mercati finanziari, che possono non avere scopo di lucro. Sono
questi casi eccezionali; fatte salve queste fattispecie, l’atto costitutivo di una
società non può contenere clausole incompatibili con lo scopo lucrativo.

I tipi di società

Nozione di tipo di società e la scelta del tipo


Ogni tipo di società si esplica in un modello societario con proprie
caratteristiche, varianti dal punto di vista dell’organizzazione interna (più
agile nelle società di persone e più complessa a tutela dell’interesse dei
creditori nelle società di capitali e cooperative) e dei regimi di autonomia
patrimoniale (minore nelle società di persone e maggiore nelle altre); il
tipo esplica dunque il modo in cui raggiungere lo scopo egoistico tipico
della società. Il principio alla base della selezione dei modelli è quello
della libertà di scelta al momento della costituzione della società o in
seguito ad un’eventuale operazione di trasformazione della società; tale
principio è limitato a) dall’impossibile impiego della società semplice per
per attività commerciale e b) e per l’imposizione di specifici tipi in alcuni
settori (es.: s.p.a. per alcune società operanti nei mercati finanziari). Alla
scelta del tipo si applica poi il principio di tipicità delle società, in virtù
del quale le parti non possono dar vita a modelli organizzativi diversi da
quelli regolati, e ciò in ragione della rilevanza esterna delle società, i cui
regolamenti devono essere prontamente riconosciuti, ferma restando
l’ampia derogabilità da cui discende l’irrigidità dei modelli legali.
Dall’art.2249 sono stati posti dei tipi residuali, operanti quali integrazione
dell’atto costitutivo qualora mancasse la definizione del tipo scelto:
quando l’attività è non commerciale viene applicato il tipo della società
semplice, quando è commerciale viene invece applicato il tipo della s.n.c.
L’autonomia patrimoniale e la personalità giuridica
In virtù dell’autonomia patrimoniale di ogni società, i beni che ad essa
fanno capo non si confondono con quelli dei soci, creandosi quindi un
distinto regime di responsabilità nei confronti dei creditori. Si ha un primo
grado di autonomia già nella società semplice, nella quale il creditore
particolare di un socio non può aggredire direttamente i singoli beni sociali
potendo solo esigere dalla società la liquidazione della sua quota; tale
quota non è neppure richiedibile nelle s.n.c., aventi un regime simile alle
s.a.s., nelle quale però la classe degli accomandanti è responsabile solo nei
limiti del conferimento. Infine si ha l’autonomia patrimoniale perfetta nelle
società di capitali e cooperative, nelle quali i patrimoni dei soci sono del
tutto separati da quelli sociali.
L’autonomia patrimoniale si identifica con la nozione di personalità
giuridica: infatti, la separazione patrimoniale è conseguenza del fatto che
la società è un soggetto distinto dai soci e risponde delle proprie
obbligazioni soltanto con il suo patrimonio, essendo quindi, al pari delle
persone fisiche, autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici. Tale
personalità è esplicitamente attribuita in ragione dell’alterità soggettiva
dell’organismo alle società di capitali, ma si ritiene che vada estesa alle
società di persone, in quanto dotate di una autonomia soggettiva che,
seppur inferiore, la rende centro di imputazione distinto dai soci.

10. Le società di persone

Capo I: Le società in nome collettivo (s.n.c.)

Profili formali e finanziari

Nozione (art.2291)
Tutti i soci rispondono solidalmente ed illimitatamente delle obbligazioni
sociali; l’eventuale patto limitativo della responsabilità ha rilevanza
meramente interna (tra i soci) non essendo opponibili ai creditori. La s.n.c.
agisce sotto una ragione sociale composta dal nome di uno o più soci con
l’indicazione del rapporto sociale.
L’atto costitutivo (art.2295)
Il contenuto dell’atto costitutivo è piuttosto ampio, contenendo
informazioni oggettive (sede, ragione sociale, oggetto sociale,
conferimenti di ciascun socio e metodo di valutazione del valore, norme di
ripartizione degli utili durata della società) e soggettive (amministratori e
rappresentanti, generalità soci); non tutti gli elementi sono tuttavia
essenziali, essendo integrati da specifiche norme in loro mancanza.
Il contratto costitutivo è di base a forma libera, tuttavia ai fini pubblicitari
è richiesto l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata; l’iscrizione non
costituisce condizione di esistenza della società, avendo piuttosto efficacia
normativa, relativa all’applicazione del regime di società regolare. Per
conseguenza, la s.n.c. non iscritta (irregolare) è validamente costituita e
anzi è possibile la costituzione per fatti concludenti (s.n.c. di fatto) a
prescindere dalla stipula dell’atto costitutivo, e ciò per applicazione della
disposizione sui tipi residuali. Alla società irregolare sono ricondotte la
società occulta e la società apparente, entrambe presupponenti la mancata
iscrizione; quest’ultima costituisce applicazione del principio di apparenza
di diritto, in quanto si presuppone la sussistenza di un vincolo societario,
pur effettivamente non esistente (in virtù del quale sarebbe applicabile la
disciplina del fallimento), nei rapporti tra i soggetti, in quanto appaiono
soci nei rapporti esterni nei confronti dei terzi, che confidano sulla
concreta esistenza di questo rapporto.
La partecipazione alla s.n.c. è consentita alle persone fisiche ed a quelle
giuridiche, ed è pertanto consentito che società di capitali vi partecipino;
per evitare abusi è espressamente previsto che le società di persone
commerciali devono redigere il bilancio secondo le norme previste per le
s.p.a quando i soci sono s.p.a., s.a.p.a. o s.r.l.
Quanto all’invalidità dell’atto, va distinto innanzitutto il momento in cui la
società non ha ancora iniziato la sua attività, circostanza in cui si attuano
le norme di diritto privato in materia di nullità ed annullabilità; quando la
società diventa operativa ed il contratto produce efficacia nei confronti dei
terzi, in virtù del principio di salvaguardia dell’attività svolta, e dunque per
ragioni di praticità, si applicano le norme sull’invalidità con efficacia ex nunc, e
cioè irretroattiva, lasciando salvi gli atti effettuati prima della nullità.

Profili finanziari e rapporti patrimoniali (artt.2303,2304,2306)


E’ previsto che i soci sono tenuti ad indicare nell’atto costitutivo il valore
dei conferimenti ed il metodo utilizzato per la loro valutazione; i soci
potranno liberamente concordare il valore dei conferimenti e non è fissata
alcuna soglia minima. E’ conferibile qualsiasi entità suscettibile di
valutazione economica, ed è in particolare stabilito che in caso di
conferimento di opera, e quindi con il conferimento di una prestazione di
fare, il prestatore diventa socio. In assenza di un criterio stabilito dai soci
sull’entità dei conferimenti, si ritiene che il complesso degli investimenti
debba essere di un’altezza tale da consentire il conseguimento dell’oggetto
sociale.
L’insieme dei conferimenti forma il capitale sociale della s.n.c.; i soci sono
liberi di fissare una cifra del capitale, che costituisce comunque elemento
essenziale dell’atto costitutivo, essendo richiesto esplicitamente dall’art.
2295. Va poi specificato che i conferimenti d’opera non devono essere
necessariamente capitalizzati.
I beni conferiti sono sottoposi ad un vincolo in virtù del quale i soci non
possono riprendersi quanto conferito; in virtù di tale vincolo è previsto
(art.2306) che la decisione di riduzione reale del capitale diventi efficace
solo decorsi tre mesi dal giorno dell’iscrizione della stessa nel registro
nelle imprese, periodo nel quale i creditori pregiudicati possono opporsi.
Non possono distribuirsi utili fittizi (art.2303), ossia somme del patrimonio
netto che non siano eccedenti rispetto al capitale sociale o che siano destinate
alla copertura di perdite maturate in esercizi precedenti. Non è tuttavia fatto
obbligo di adottare particolari provvedimenti in caso di erosione del capitale da
parte delle perdite (in società di capitali sarebbe doverosa una riduzione), non
potendo tuttavia ripartire utili. In ogni caso, ogni modifica del capitale
originario va assunta all’unanimità (in quanto modifica dell’atto costitutivo).
L’atto costitutivo può indicare le norme di ripartizione degli utili e la quota di
ognuno in utili e perdite (in caso di mancata attribuzione al socio d’opera, la
stabilirà il tribunale secondo equità); l’atto può prevedere un’asimmetria
partecipativa ad utili e perdite (es.:20% utili e 15% perdite), tuttavia qualora sia
stabilita solo la partecipazione agli utili, si presume che la partecipazione alle
perdite sia della stessa grandezza. In tema di utili e perdite, l’art.2265 sancisce
nullo il patto leonino, con cui uno o più soci sono esclusi da ogni
partecipazione da utili e perdite; tale divieto, volendo evitare lo snaturazione
del contratto societario, è applicabile per ogni tipo sociale.
La partecipazione agli utili può assumere anche valore organizzativo, essendo
ancorato ad essa uno dei criteri di maggioranza.
I creditori particolari dei soci non possono richiedere la liquidazione della
quota del socio né provocare lo scioglimento del singolo rapporto sociale (a
meno non si tratti di s.n.c. irregolare), potendo soltanto aggredire gli utili
spettanti al socio e porre atti conservativi sulla quota; in questo caso il termine
di durata della società diventa un limite ai poteri dei creditori, che sono pertanto
legittimati ad opporsi alla proroga della società entro tre mesi dall’iscrizione
nel registro qualora lesi o in ogni momento alla proroga tacita o non iscritta nel
registro (attuata per atti concludenti).
Tutti i soci rispondono solidalmente ed illimitatamente alle obbligazioni sociali
in virtù della debole autonomia patrimoniale delle s.n.c.. Essendo la
responsabilità illimitata, i soci rispondono con l’intero patrimonio personale
senza possibilità di predeterminare un limite. Rispondendo i soci solidalmente,
il creditore può costringere all’adempimento per l’intero importo ciascun socio,
che con l’adempimento libererà gli altri soci, pur conservando il socio il diritto
di rivalersi per intero nei confronti della società; l’eventuale patto limitativo
della responsabilità ha effetto solo tra le parti ed è inopponibile a terzi.
In virtù della responsabilità illimitata, in caso di fallimento i soci (anche gli ex-
soci nel termine di un anno dallo scioglimento del rapporto) sono esposti alla
procedura in estensione di quella aperta in capo alla s.n.c.. La responsabilità dei
soci rispetto i creditori è tuttavia sussidiaria rispetto a quella della società,
essendo accordato dall’art.2304 il beneficio di preventiva escussione, per il
quale i creditori sociali potranno aggredire il patrimonio del socio solo dopo
aver provato di aver previamente escusso in modo infruttuoso il patrimonio
sociale; se questo beneficio opera automaticamente in caso di s.n.c. regolare,
nel caso di quella irregolare è degradato ad eccezione del socio, che in sede di
aggressione può invocare il beneficio indicando al socio i beni della società su
cui i creditori possono agevolmente soddisfarsi.

Profili organizzativi

L’amministrazione (art.2257ss)
Le regole in tema di amministrazione e rappresentanza presentano un
ampio margine di elasticità; il modello legale previsto prevede
l’amministrazione disgiunta di tutti i soci in modo da assicurare piena
funzionalità alla società, ma viene espressamente sancita la derogabilità
della disciplina attraverso diverse disposizioni dell’atto costitutivo, ferma
restando la responsabilità degli amministratori di compiere tutte le
operazioni necessarie al compimento dell’oggetto sociale nel rispetto
dell’art.2086 sull’adeguatezza della struttura sociale.
Nel silenzio dello statuto tutti i soci sono amministratori che possono
esercitare il loro potere disgiuntamente; la rappresentanza spetta a ciascun
amministratore. In virtù della gestione disgiunta, ciascun amministratore è
legittimato ad assumere decisioni gestorie indipendentemente dagli altri;
ogni amministratore conserva tuttavia un diritto di veto che può esercitare
per manifestare il proprio dissenso rispetto ad un’operazione prima che
questa sia attuata. Questo diritto dev’essere esercitato in maniera
tempestiva non appena si viene a conoscenza dell’intenzione e può essere
esercitato anche in caso di solo sospetto. Il conflitto creatosi può venir
superato attraverso la decisione della maggioranza dei soci, determinata
secondo la partecipazione agli utili di ciascun socio.
L’atto può prevedere l’amministrazione congiunta, che rappresenta uno
schema gestionale in cui si impone agli amministratori un confronto
costante all’unanimità ed a maggioranza. Il primo modello (forma
residuale applicata in caso di mancanza di previsioni statutarie) prevede il
raggiungimento di decisioni col solo consenso di tutti i soci; il secondo
metodo prevede la decisione a maggioranza, calcolata col criterio di
partecipazione agli utili salva diversa disposizione statutaria. Per
stemperare la rigidità di questo regime è accordata ai singoli
amministratori, in caso di urgenza, la possibilità di provvedere
all’attuazione di un atto per evitare un danno alla società.

Il potere di rappresentanza è quello di esternare nei rapporti con i terzi la


volontà della società e di imputarle per conseguenza obbligazioni; i
rappresentanti sono indicati dai soci nell’atto costitutivo, tuttavia in
mancanza di disposizioni tutti i soci sono considerati rappresentanti.
Gli amministratori con rappresentanza possono compiere tutti gli atti rientranti
nell’oggetto sociale (atti sia di ordinaria che straordinaria amministrazione)
salve limitazioni dell’atto costitutivo. L’autonomia statutaria può dar luogo ad
ipotesi di scissione tra potere di gestione e di rappresentanza, in quanto è
possibile che la rappresentanza sia riservata solo ad alcuni amministratori.
I soci iscritti nell’atto costitutivo quali amministratori e rappresentanti sono
nominati nell’atto costitutivo; tale nomina può mancare del tutto, e si avrà in tal
caso un’applicazione dei poteri a tutti i soci. Può altresì essere previsto il solo
numero di soci, rinviando ad una successiva decisione dei soci la loro
designazione per atto separato.
La revoca negoziale opera diversamente a seconda che gli amministratori siano
nominati per atto costitutivo o atto separato: nel primo caso non ha effetto se
non ricorre una giusta causa che ne legittimi la rimozione, ed essendo
un’effettiva modifica dell’atto costitutivo è applicata l’unanimità dei consensi
(salvo diversa disposizione), mentre nel secondo caso la revoca è ammessa
secondo quanto disposto in tema di mandato, e si potrà pertanto avere in
mancanza di giusta causa con consenso di maggioranza (in deroga alla
disciplina del mandato collettivo). Esiste altresì una revoca giudiziale,
proponibile al tribunale da ciascun socio per giusta causa; valutata
quest’ultima, il giudice potrà imporla, sostituendosi alla società inerte.
Gli amministratori hanno il potere-dovere di compiere tutti gli atti
rientranti nell’oggetto sociale (in particolare è compito degli
amministratori tenere la contabilità, redigere il bilancio ed occuparsi della
pubblicità della società); in generale, è loro compito attuare tutti gli atti
(ordinari o straordinari) necessari a conseguire l’oggetto sociale.
Tale obbligazione è di mezzi e non di risultato: gli amministratori saranno
quindi tenuti a svolgere le loro funzioni con la diligenza del buon padre di
famiglia. Essi godono quindi di un ampio margine di discrezionalità,
cosicché in sede di accertamento delle responsabilità non sarà possibile
sindacare l’opportunità e la convenienza delle decisioni assunte, non
essendo essi responsabili dell’andamento negativo della gestione. In caso
di responsabilità, essi saranno solidalmente responsabili verso la società
per l’adempimento degli obblighi; la responsabilità non si estende a chi
abbia provato di essere esente da colpa. Nell’eventuale azione di
risarcimento danni la società dovrà provare l’entità del danno subito ed il
nesso di causalità tra danno e condotta degli amministratori.
Non vi è sempre coincidenza tra qualità di socio e di amministratore.
Innanzitutto, è possibile che soggetti estranei alla società siano nominati
amministratori (non è possibile nelle società in accomandita semplice né
nelle società semplici); risponderanno in quanto amministratori e non in
quanto socio (e cioè non rispondendo illimitatamente con il proprio
patrimonio). Questa possibilità è confermata dalla previsione di arbitraggio
gestionale, con il quale si rimette ad un terzo la risoluzione dei contrasti tra
amministratori su una data operazione.
I soci esclusi dall’amministrazione partecipano all’attività sociale
attraverso le decisioni riservate a tutti i soci; sono inoltre riconosciuti loro
penetranti poteri di controllo, di informazione (notizie sullo svolgimento
della società), di ispezione (consultazione documenti amministrativi) e di
rendiconto (richiesta agli amministratori di un prospetto analitico sulle
operazioni effettuate), giustificati dall’esposizione patrimoniale illimitata.

Decisioni dei soci e modifiche dell’atto costitutivo


Le decisioni sociali sono prese all’unanimità, applicata in generale per
modifiche soggettive o oggettive dell’atto costitutivo, o per maggioranza,
calcolata secondo il criterio di partecipazioni agli utili (opposizione nel
regime di amministrazione disgiunta, trasformazione in società di capitali,
fusione e scissione), per teste (esclusione del socio) o per partecipazione
al capitale (proposta di concordato); tali disposizioni operano salve
diverse previsioni statutarie.
Esistono poi delle decisioni per le quali non è indicato il numero di
consensi richiesti, per le quali si può distinguere la categoria di decisioni
inerenti all’attività gestoria, assimilabili all’opposizione di un
amministratore nell’ambito del modello disgiuntivo (e pertanto risolte a
maggioranza in base alla partecipazione agli utili) e contenente nomina e
revoca di amministratori nominati con atto separato e approvazione del
bilancio, e decisioni sulla struttura organizzativa, assimilabili alle
modifiche dell’atto costitutivo (risolte all’unanimità), comprendente il
consenso all’esercizio di un’attività concorrenziale da parte di un socio.
Non vi è alcuna regola sul procedimento da applicare alle decisioni,
tuttavia si ritiene che possa seguire le fasi del procedimento collegiale
(convocazione, riunione, discussione, votazione e verbalizzazione) salve
diverse disposizioni; neppure sulle impugnazioni delle decisioni viziate vi è una
disciplina specifica, ma si ritiene che vi si possa applicare la disciplina delle
s.r.l. (a tutte le società di persone), avendo simile disciplina.
Le modifiche dell’atto costitutivo vanno assunte all’unanimità dei soci
(salvo disposizioni contrarie), sia per quanto riguarda le modifiche
oggettive (ragione sociale, soci aventi amministrazione, rappresentanza,
oggetto sociale, conferimenti, norme di riparazione degli utili, durata della
società, quota di ciascun socio in utili e perdite ecc.) che quelle soggettive
(trasferimento delle quote di partecipazione inter vivos o mortis causa).
Nei rapporti tra soci le modifiche sono immediatamente efficaci, ma sono
opponibili ai terzi solo con l’iscrizione nel registro delle imprese da
effettuarsi entro trenta giorni ad opera degli amministratori. Le modifiche
all’atto costitutivo sono state sottoposte all’unanimità al fine di preservare
l’assetto contrattuale originario ed in virtù della responsabilità illimitata
dei soci, in particolare l’applicazione dell’unanimità anche alle modifiche
soggettive (non applicabile nelle società di capitali) tutela il vincolo
fiduciario che si instaura tra i soci (intuitus personae); vengono invece
sottratte all’unanimità la trasformazione in società di capitali, la fusione e
la scissione, per le quali basta la maggioranza, e ciò per la volontà del
legislatore di favorire il passaggio alle società di capitali (s.r.l. escluse).
Scioglimento del singolo rapporto sociale e della società

Lo scioglimento del singolo rapporto sociale (artt.2284-2290)


Le cause di scioglimento del singolo rapporto sociale (morte, recesso
esclusione) limitano, impediscono o rendono sgradito il protrarsi della
partecipazione; lo scioglimento, in linea di principio, non inficia la
prosecuzione della società, che proseguirà con gli altri soci a meno che il
socio venuto meno non fosse considerato essenziale, inoltre non tronca
immediatamente ogni legame tra società e socio, dovendo quest’ultimo
attendere fino a sei mesi per la liquidazione del valore della quota e
potendo essere dichiarato fallito entro un anno dallo scioglimento del
rapporto. Sarà compito dell’amministratore iscrivere nel registro delle
imprese lo scioglimento entro trenta giorni.
-Lo scioglimento può avvenire innanzitutto per la morte di un socio, che
determina l’obbligo per la società di liquidare la sua quota agli eredi. In
alternativa, i soci potranno adottare due soluzioni implicanti una modifica
dell’atto costitutivo (e quindi da approvare, di norma, all’unanimità): essi
potranno a) sciogliere anticipatamente la società per motivi soggettivi, e
cioè qualora la figura del socio fosse essenziale per il continuo della
società, o oggettivi, quando reputino la liquidazione della quota
impossibile senza privare la società del patrimonio necessario, o b)
continuare la società con gli eredi, che, prestato il consenso, subentreranno
in società come soci nella quota del socio defunto, rispondendo
illimitatamente delle obbligazioni passate e future.
-Lo scioglimento può avvenire per recesso, ossia per una manifestazione
unilaterale di volontà del socio. Nel caso delle società a tempo
indeterminato i soci sono liberi di recedere ad nutum con preavviso di tre
mesi, in seguito ai quali cominceranno a prodursi gli effetti, mentre nel
caso delle società a tempo determinato il recesso sarà subordinato
all’esistenza di una giusta causa o ad un’apposita previsione nell’atto; le
cause di recesso prevedibili dall’atto potranno essere di qualsiasi tipo,
legate ad eventi personali o societari, mentre è da intendersi per giusta
causa la situazione oggettiva che aggravi la responsabilità del socio o le
condizioni di rischio economico in presenza del quale aveva aderito al
contratto sociale. Infine, viene accordato il recesso ai soci che non
abbiano concorso alle decisioni prese a maggioranza, ed in particolare a
quelle di trasformazione in società di capitali, fusione o scissione.
-L’esclusione può essere proposta facoltativamente dai soci o operare di
diritto; nel primo caso si tratta di un’iniziativa promossa dalla società con
decisione dei soci, nel secondo è imposta dalla legge a tutela dei creditori.
La decisione è facoltativa (nel senso che, al manifestarsi delle circostanze,
può anche non attuarsi) ed è riconducibile a) innanzitutto a gravi
inadempimenti imputabili al socio, come l’omesso conferimento, o al
comportamento contrario al principio di buona fede, come
l’ostruzionismo decisionale volto a procurare la paralisi della società (gli
inadempimenti devono essere relativi al socio in quanto tale e non in
quanto amministratore, le cui inadempienze non possono giustificare una
decisione di esclusione, quanto piuttosto un procedimento di revoca), b) ad
ipotesi di interdizione o inabilitazione, comportanti il subingresso di tutore
o curatore nell’esercizio dei diritti sociali, c) ad impossibilità
sopravvenuta di effettuare il conferimento d’opera o ad esecuzione dedotta
del conferimento dei beni in godimento (es.: immobile che subisca un
deperimento) per fatto non imputabile alla società, d) ad ulteriori ipotesi
contenute nell’atto.
La decisione, presa a maggioranza per teste, è evidentemente contraria alla
volontà del socio estromesso (nel recesso è sua la volontà di sciogliere il
rapporto), al quale sarà quindi offerta la possibilità di opporre ex post la
verifica giudiziale dei presupposti sostanziali e del rispetto del
procedimento decisionale entro trenta giorni dalla comunicazione di
esclusione; il socio può altresì richiedere la sospensione dell’efficacia,
cosicché, in caso di accettazione dell’opposizione, gli verranno fatti salvi
tutti gli effetti ex tunc (potendo partecipare ad utili e perdite prodotti nel
frattempo). In caso di società di due soli soci, non potendosi formare una
maggioranza per teste, entrambi i soci hanno la facoltà di richiedere al
tribunale l’esclusione dell’altro; gli effetti si produrranno dopo la
decisione, ma il socio proponente ha la possibilità di richiedere
provvisoriamente l’applicazione degli effetti dell’esclusione.
L’esclusione di diritto opera automaticamente quando a) il socio venga
dichiarato fallito o b) quando il creditore particolare abbia ottenuto la
liquidazione della quota. Essendo queste condizioni poste a tutela dei
creditori, non potranno essere modificate dall’atto costitutivo.
In ogni caso, lo scioglimento individuale comporta l’obbligo per la società
di liquidare in denaro (non essendo possibile la semplice restituzione del
bene conferito) la quota del socio la cui partecipazione è venuta meno in
un termine di sei mesi (o tre in caso di esclusione di diritto); tale termine
andrà rispettato anche in caso i soci preferiscano sciogliere
anticipatamente la società, giacché l’inadempienza espone la società ad
azioni e gli amministratori a responsabilità opposte dall’ex socio (o dagli
eredi) che diventa creditore della società. Il valore della quota dev’essere
determinato sula base della situazione patrimoniale della società al
momento dello scioglimento.
In tutti i casi lo scioglimento del singolo rapporto può diventare causa di
scioglimento della società in caso di unipersonalità sopravvenuta, ossia
qualora, sciolto il rapporto e venuta meno la pluralità sociale, essa non si
ricomponga nel termine dei sei mesi successivi.

Lo scioglimento della società e liquidazione (artt.2274ss)


Lo scioglimento della società può avvenire:
a) Innanzitutto per decorso del termine indicato nell’atto costitutivo; lo
scioglimento è automatico, ferma restando la possibilità per i soci di
prorogare il termine originario, attuando una proroga espressa con
decisione modificante l’atto costitutivo, da iscrivere nel registro delle
imprese, o di continuare l’attività sociale per atti concludenti, attuando
una proroga tacita che sopprime il termine di durata e rende la società
a tempo indeterminato (tale cambiamento va comunque iscritto nel
registro, pena l’applicazione del regime irregolare alla società);
b) Per scioglimento anticipato della società, ossia per decisione(unanime
in quanto modifica dell’atto)di anticipare lo scioglimento della società;
c) Per conseguimento dell’oggetto sociale indicato nell’atto o per
sopravvenuta impossibilità nel conseguirlo, di natura oggettiva
(sopraggiunta illiceità dell’attività) o soggettiva(ipotesi di liquidazione
di una partecipazione essenziale o per insanabile dissidio);
d) Per unipersonalità sopravvenuta;
e) Per provvedimento dell’autorità governativa o per dichiarazione di
fallimento (salvo che la continuazione sia conveniente per i creditori).

Il verificarsi di una causa di scioglimento determina l’automatico ingresso


della società in liquidazione, nel corso della quale si procede a liquidare il
patrimonio sociale, pagare i creditori della società ed a ripartire
l’eventuale residuo attivo tra i soci; al termine di tali operazioni avverrà la
cancellazione dal registro delle imprese, pur non venendo meno
l’organizzazione sociale, ammettendosi quindi una revoca della
liquidazione adottata all’unanimità in caso del venir meno delle cause di
scioglimento. L’inizio di tale fase prende luogo con lo scioglimento e la
limitazione dei poteri degli amministratori, cui va applicato il divieto di
nuove operazioni; gli amministratori dovranno avviare tempestivamente il
processo di liquidazione attraverso nomina all’unanimità di uno o più
liquidatori (in mancanza di accordo lo nomina un tribunale su istanza di
qualsiasi socio), che succedono agli amministratori nella gestione del
patrimonio e dell’attività sociale, dopo aver preso in consegna i beni, i
documenti sociali e redatto l’inventario con gli amministratori.
I liquidatori possono compiere tutti gli atti necessari a trasformare in
denaro il patrimonio sociale; assumono rappresentanza sostanziale e
giudiziale e gli viene applicato, come per gli amministratori, il divieto di
compiere nuove operazioni, oltre che quello di ripartire tra i soci i beni
sociali finchè non siano stati pagati i creditori della società. Per il
pagamento dei debiti sociali, i liquidatori potranno attingere ai fondi della
società, e qualora incapienti potranno chiedere i versamenti ancora dovuti
o le somme necessarie in proporzione alla parte dei soci nelle perdite.
Estinti i debiti, l’attivo residuo è destinato al rimborso dei conferimenti ed
eventuali eccedenze di attivo saranno ripartite tra i soci in proporzione
alla parte di ciascuno negli utili. Infine, realizzata la liquidazione viene
sottoposta all’approvazione dei soci il bilancio finale ed il piano di riparto
con regola del silenzio assenso; in seguito i liquidatori presentano istanza
per la cancellazione della società dal registro e si produce quindi
l’estinzione della società (rimanendo esigibili i debiti per tributi e
contributi previdenziali solo dopo cinque anni e richiedibile la
dichiarazione di fallimento entro un anno).
Per le eventuali sopravvenienze passive i creditori possono farsi valere nei
confronti dei soci, che continueranno a rispondere illimitatamente; non
dicendo nulla la legge su residui e sopravvenienze attive, si ritiene che
ricadano in contitolarità tra i soci. Va tenuto conto che nelle società di
persone il procedimento di liquidazione legale ha un ruolo residuale che si
applica in mancanza di differenti disposizioni derogatorie da parte dei soci;
tale libertà manca invece nelle società di capitali.
Capo II: s.a.s e società semplice

Società accomandita semplice

Nozione e responsabilità dei soci (artt.2313ss)


La società in accomandita semplice si caratterizza per la previsione di due
categorie di soci, accomandanti, sottoposti ad un regime di responsabilità
limitata alla quota conferita, ed accomandatari, sottoposti ad un regime di
responsabilità illimitata ed unica categoria amministrativa.
Ai soci accomandatari sono applicabili le regole dei soci di s.n.c.; agli
accomandanti è invece applicato il regime di responsabilità limitata in
ragione della circostanza di essere indicati come tali nell’atto costitutivo,
ed in virtù di tale regime non possono essere aggrediti direttamente dai
creditori sociali, che possono soddisfarsi solo sul patrimonio sociale e su
quello degli accomandatari, potendo al limite richiedere i conferimenti
promessi dall’accomandante con un’azione surrogatoria.

Posizione dei soci (divieto di immissione art.2320 in particolare)


Per gli accomandatari valgono le stesse regole delle s.n.c., compresa quella
di investire del potere di amministrazione soltanto alcuni soci
accomandatari; gli accomandanti, pur non potendo essere amministratori,
rimangono comunque soci a tutti gli effetti.
Quanto ai conferimenti, l’accomandante può conferire qualsiasi bene
suscettibile di valutazione economica. Accomandanti e accomandatari non
possono avere le loro quote rappresentate da azioni (a differenza di quanto
accade per le s.a.p.a.); l’accomandante è sottoposto ad una specifica
disciplina per la circolazione della sua quota (all’accomandatario si
applicano la regola applicata ai soci della s.n.c., e cioè la decisione per
consenso unanime), realizzandosi liberamente in caso di trasferimento mortis
causa e per decisione a maggioranza di capitale in caso di atto inter vivos.
Al fine di mantenere la divisione tra soci tipica del modello, concentrando il potere di
gestione in mano ai soli accomandatari, l’art.2320 impone agli accomandanti il
divieto di immistione quale limite di carattere generale; ad essi viene preclusa ogni
attività gestoria, non potendo compiere atti di amministrazione né concludere affari
in nome della società, e qualora violassero tale principio verrebbero innanzitutto
esposti ad un’esclusione dalla società oltre che all’assunzione della responsabilità
illimitata per tutte le obbligazioni sociali passate e future (mentre agli atti conclusi
vengono applicate le disposizioni sanzionatorie del falsus procurator). E’ prevista
un’eccezione a tale divieto relativa al conferimento da parte degli accomandatari di
una procura speciale per singoli affari; essi possono inoltre autorizzare alcune
operazioni (come il bilancio) ed esprimere pareri non vincolanti, e conservano inoltre
poteri di controllo sulla legittimità dell’operato e poteri di informativa annuale
sull’attività sociale, non avendo diritto tuttavia agli ampi poteri dei soci s.n.c. in
ragione del loro regime di responsabilità limitata.

Sciogimento della società (art.2323)


Lo scioglimento della società può essere dovuto a tutte le cause per cui si
ha nella s.n.c., e si aggiunge a queste il venir meno della dualità delle
categorie di soci, da ricostituirsi in un termine di sei mesi; nel corso di
questo termine la gestione l’amministrazione sarà affidata ad un
amministratore provvisorio, che potrà essere un accomandante o un
estraneo. Questo è abilitato a compiere atti di ordinaria amministrazione e
non assume la posizione di socio accomandatario, a meno che continui di
fatto a gestire la società oltre il termine di sei mesi; in tal caso, la mancata
registrazione del nuovo accomandatario renderebbe la s.a.s. irregolare.
L’amministratore deve altresì essere dotato del potere di rappresentanza
pro tempore con nomina da iscrivere nel registro, non potendo altrimenti
obbligare la società all’esterno. Qualora venissero meno gli accomandanti
e la società dovesse continuare ad esercitare la propria attività oltre il
semestre verrebbe a formarsi una s.n.c. irregolare.

Società in accomandita semplice irregolare


La s.a.s. irregolare ricorre in caso di mancata iscrizione dell’atto nel
registro delle imprese; fino a che tale iscrizione non ha luogo viene
applicato il sistema di responsabilità per le obbligazioni previsto per la
società semplice. Essendo la qualità di accomandante derivata dal tipo
societario, essa potrà essere opponibile ai creditori, mentre non potranno
invece essergli conferite le procure speciali, non potendo essere iscritte;
per gli accomandatari il beneficio di escussione non sarà invece opposto
automaticamente, dovendo questi opporlo indicando ai creditori su quali
beni soddisfarsi agevolmente, e ciò in ragione della mancanza dell’atto che
indichi con precisione i beni componenti il patrimonio sociale.
Società semplice
La società semplice rappresenta l’unico tipo di società non applicabile ad
attività commerciale, bensì soltanto ad attività d’impresa agricola o di una
professione intellettuale, con la conseguenza che queste sono esonerate da
fallimento (o l.g.) e vedono l’applicazione delle procedure concorsuali per
imprese minori. La struttura delle società semplice è il prototipo normativo
della società di persone, e trova applicazione la sua disciplina ogni volta che
non sia derogata da quella degli altri tipi societari. Va poi segnalata
l’eccezionale ammissibilità (deroga art.2248) delle società semplici di gestione
dei beni, che si configurano come società di godimento

Costituzione ed iscrizione (art.2251)


Il contratto costitutivo non è soggetto a nessuna forma speciale (salvo
quelle richieste dalla natura dei beni conferiti) e può essere concluso per
fatti concludenti o verbalmente; non è inoltre richiesto espressamente
alcun contenuto dell’atto costitutivo, cosicché non è previsto che siano
menzionati conferimenti e capitale sociale, la cui nozione è del tutto
assente, essendo peraltro la società esclusa dall’obbligo di tenuta di
scrittura contabili e dall’obbligo annuale di bilancio in ragione della sua
attività non commerciale. Se inizialmente era escluso l’obbligo di
iscrizione, nel 1993 la legge istitutiva del registro ha previsto per essa una
sezione speciale con funzione di pubblicità notizia, riconoscendo nel 2001
efficacia dichiarativa all’iscrizione di attività agricole.

L’ordinamento patrimoniale della società (artt.2267-2268)


I conferimenti sono previsti alla stessa disciplina prevista per le s.n.c.,
tuttavia è previsto un differente regime di responsabilità: tutti i soci sono
illimitatamente responsabili, tuttavia, a differenza delle s.n.c., tale regola è
parzialmente derogabile essendo ammesso, e quindi opponibile ai terzi, il
patto limitante la responsabilità dei soci, a condizione che i soci
beneficiari a) non abbiano il potere di rappresentanza (di agire in nome e
per conto della società) e che b) il patto sia portato a conoscenza dei terzi,
e ne consegue che i creditori beneficiano della garanzia del patrimonio
sociale e della garanzia personale e solidale dei soci rappresentanti.
In assenza del capitale sociale dello statuto ed in ragione del differente
regime di pubblicità, i creditori potranno direttamente soddisfarsi sui soci,
che potranno opporre il beneficio di escussione in via eccezionale,
indicando ai creditori i beni societari su cui può agevolmente soddisfarsi.
I creditori particolari potranno inoltre chiedere ed ottenere in qualsiasi
momento la liquidazione della quota, purché sia dimostrato che gli altri
beni sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti; la quota andrà liquidata
entro tre mesi dalla domanda, salvo che la società sia sciolta ed il debitore
sia escluso di diritto dalla società.

Rappresentanza (art.2266)
La società acquista diritti ed assume obbligazioni per mezzo dei
rappresentanti e sta in giudizio attraverso essi; in mancanza di diversa
disposizione, la rappresentanza spetta a ciascun amministratore e si
estende a tutti gli atti rientranti nell’oggetto sociale. In ragione del
differente regime di pubblicità, l’opponibilità ai terzi della rappresentanza
(limiti, modificazioni ed estinzione) dipende dal tipo di efficacia: se la
società è iscritta con efficacia dichiarativa (società agricola) si applicano
tutte le disposizioni applicabili per le s.n.c. (l’opponibilità condizionata
all’iscrizione nel registro), mentre se la società è iscritta con efficacia
notiziale (società professionali) sarà opponibile ai terzi rendendoglielo
noto (ferma restando la loro possibilità di esercitare la verifica dei poteri
del rappresentante).

11. La società per azioni

Capo I: la struttura formale

Fattispecie economica e rilevanza giuridica

Nozione e disciplina (art.2325ss)


La nozione di s.p.a. è contenuta dall’art.2325. Essa viene a rilevare come
strumento di raccolta di risorse finanziarie da investitori di rischio non
interessati ad essere coinvolti nella sua gestione, delegata a degli
amministratori sui quali mantengono comunque una legittimazione ad
operare controlli, cosicché è socio chi le fornisce capitali e contribuisce al
rischio (e non chi ha convenuto di essere socio) e nella misura della
partecipazione al rischio si identifica la distribuzione di risultati e potere
(principio plutocratico); in deroga all’art.2740 (università della
responsabilità patrimoniale) è prescritto che i soci sono inderogabilmente a
responsabilità limitata, configurandosi un’autonomia patrimoniale
perfetta, essendo quindi del tutto separato il patrimonio sociale da quello
dei soci e rispondendo la società alle obbligazioni col suo solo patrimonio.
Viene poi concesso il disinvestimento anticipato rispetto a quello che
avverrebbe al termine dell’iniziativa (scadenza termine durata) senza che
venga ridotto il patrimonio sociale attraverso la facoltà di cedere a terzi le
quote di titolarità dell’investimento su mercati secondari, essendo le quote
suddivise in azioni, ossia frazioni standard dell’investimento in capitale
attribuenti al titolare diritti sociali.

Tipologie e società unipersonale


Quello delle s.p.a. è un tipo sociale suddivisibile in vari modelli secondo
vari criteri: le società piccole possono distinguersi da quelle medio-grandi,
aventi azioni diffuse tra il pubblico in maniera rilevante, queste ultime
aventi bisogno norme specifiche che tengano conto dell’ampiezza della
società e che forniscano quindi maggiore tutela alle minoranze; possono
essere distinte quelle aperte all’ingresso di nuovi soci da quelle chiuse
(come le familiari); quelle che si rivolgono ai mercati per reperire
investitori (aventi azioni quotate in mercati finanziari regolamentati o al di
fuori di essi e regolate da discipline ancora più specifiche che
salvaguardino il risparmio diffuso) da quelle che non lo fanno; quelle con
titolarità pubblica da quelle (totalmente o parzialmente) in mano pubblica.
In generale, vengono a rilevare tre sub-modelli: le s.p.a. chiuse (avente
disciplina dettata dal codice), le s.p.a. con azioni diffuse in misura
rilevante, (disciplinate dal codice civile ma derogabili), le s.p.a. quotate nei
mercati regolamentati (disciplinate dal TUF, mentre per quanto non
disposto da questo testo valgono le regole disposte dal codice civile)
Alcune regole specifiche possono essere applicate a tutte le società (come
lo scioglimento), altre hanno applicazioni specifiche (come la disciplina
delle azioni di risparmio per società quotate), altre possono applicarsi a
società con azionariato diffuso o quotato (validità delibere assembleari),
mentre le norme contenute nel TUF non possono hanno applicazione
generale (come per i patti parasociali).
Sono ammesse le società unipersonali, sia essa sopravvenuta (al contrario
di quanto accade per le società di persone) o originaria (per atto
unilaterale), e accade spesso che l’unico socio sia un’altra persona
giuridica per articolazione del rischio d’impresa; il regime di
responsabilità limitata, per disposizione dell’art.2325, è tuttavia
subordinata ad oneri su conferimenti, per cui è prescritto dall’art.2342 che
i conferimenti sottoscritti vanno contestualmente effettuati integralmente, e
sull’informazione dei terzi, per cui è prescritto dall’art.2362 che la
circostanza dell’esistenza di un unico socio vada notificata con il deposito
di un’apposita dichiarazione presso il registro delle imprese (anche
qualora fosse sopravvenuta) indicante le generalità del socio, fermo
restando che la responsabilità illimitata si applica solo in caso di insolvenza
della società e quando i creditori dimostrino l’infruttuosa escussione del
patrimonio sociale (per cui rimane il beneficio di escussione sul socio). Questo
regime si differenzia dal regime di responsabilità illimitata della società di
persone, in quanto in quel caso la responsabilità illimitata è istituzionale
(salvo per l’accomandante); qui il socio è a responsabilità normalmente
limitata, che diviene illimitata non avendo ottemperato alle disposizioni
prescritte in tema di conferimenti e pubblicità. La conseguenza è che
qualora la società fosse insolvente e dichiarata fallita, la dichiarazione di
fallimento non si estenderebbe all’unico socio in ogni caso, mentre nelle
società di persone la procedura concorsuale si estende invece ai soci
illimitatamente responsabili.

Costituzione della s.p.a., modificazione dello statuto e nullità

La costituzione della società per azioni (artt.2328ss)


La costituzione della società per azioni attraverso un procedimento più
articolato di quello che si ha per le società di persone, avente come primo
passo la stipula dell’atto costitutivo (contratto o atto unilaterale)
contenente elementi formali e sostanziali elencati dall’art.2328. Un primo
gruppo di informazioni è relativo alle caratteristiche dell’attività,
immancabili a pena di nullità: esse sono la denominazione sociale
(liberamente formabile purché compaia il tipo s.p.a.), la sede principale
(ossia il luogo dove operano stabilmente gli amministratori, oltre che le
secondarie), l’oggetto (il genere di attività da svolgere), la durata (è
ammesso che sia indeterminata); sono poi da inserire informazioni sulla
struttura finanziaria, ossia numero e caratteristiche delle azioni, il valore
attribuito a crediti e conferimenti in natura e le norme di ripartizione degli
utili; infine vanno inserite informazioni relative alla struttura di governo,
relative al sistema di amministrazione adottato (dualistico, monistico,
tradizionale), poteri degli amministratori e componenti dell’organo di
controllo (l’organizzazione rimane corporativa e l’unico spazio concesso
dalla legge è quello sulla scelta del sistema di governance). La norma tratta
poi dello statuto, documento contenente le norme relative al
funzionamento della società (contenendo l’atto costitutivo informazioni
sintetiche sull’organizzazione di base); è precisato che è parte integrante
dell’atto costitutivo e che in caso di contrasto tra le clausole prevalgono
quelle statutarie.
L’atto costitutivo dev’essere redatto per atto pubblico, cosicché risulti
certificata da un notaio, pubblico ufficiale, la conformità formale e
sostanziale alla legge della dichiarazione privata con cui si fonda la s.p.a.
E’ poi stabilito (art.2329) che per procedere alla costituzione vada a)
sottoscritto per intero il capitale sociale (principio di effettività del
capitale in senso lato), cosicché sin dall’origine corrispondano all’intera
dotazione di mezzi di rischio inserita nello statuto le relative promesse di
conferimento sottoscritte con le azioni; b) è poi previsto che siano
effettuati in maniera contestuale alla sottoscrizione almeno il 25% dei
conferimenti in denaro e la totalità di quelli di altro tipo (effettività in
senso stretto ed integrità del capitale) affinché la società abbia pronta
disponibilità di una parte delle risorse; c) infine è previsto che siano
raccolte le autorizzazioni necessarie allo svolgimento delle attività
contenute nell’oggetto sociale prima della stipula dell’atto.
Al fine di integrare la costituzione sociale sono previsti due diversi
procedimenti: il primo è quello della costituzione istantanea, nel quale è
previsto che i soci sottoscrivano interamente il capitale con la stipula
dell’atto costitutivo, il secondo è quello della costituzione con pubblica
sottoscrizione, nel quale è ammesso che stipula e sottoscrizione avvengano in
momenti differenti, e che queste ultime siano sollecitate presso il pubblico in
seguito alla presentazione di un progetto di s.p.a. da parte di promotori.
Una volta concluso il controllo notarile, seconda fase del processo di
costituzione, va iscritta la società nel registro delle imprese. Il notaio deve
entro venti giorni depositare l’atto presso l’ufficio del registro, allegando i
documenti previsti dall’art.2329 e, contestualmente, richiedere
l’iscrizione, che avverrà in seguito ad un ulteriore controllo di regolarità
formale da parte dell’ufficio (art.2330). L’art.2331 prevede che la s.p.a.
acquista personalità giuridica (distinta da quella dei soci con la
conseguente autonomia patrimoniale perfetta) in seguito all’iscrizione, che
presenta dunque efficacia costitutiva; rimane poco pacifica la disciplina
relativa alle operazioni effettuate prima della costituzione. Il dato
normativo dell’art.2331 stabilisce che verso i terzi sono illimitatamente e
solidalmente responsabili coloro che hanno agito e coloro che hanno
autorizzato il compimento dell’autorizzazione ma che la società è
responsabile solo qualora, in seguito all’iscrizione, abbia approvato
un’operazione precedente a tale momento; da questa prescrizione si sono
formate due posizioni: per una la responsabilità della società sorgerebbe
sin da quando la società è in formazione, ed essa risponderebbe quindi col
suo patrimonio embrionalmente formato applicandosi provvisoriamente le
disposizioni in tema di società semplice, per l’altra (più fedele al dato
normativo) sorgerebbe invece solo in seguito all’iscrizione (rispondendo in
maniera illimitata i soli soci prima elencati). Accogliendo la prima tesi si
dà una tutela maggiore ai terzi, in quanto è offerta la garanzia del
patrimonio sociale già vincolato a capitale sociale; non è concessa tale
tutela dalla seconda tesi, in quanto si supporrebbero i terzi a conoscenza
del rischio che correvano effettuando credito ad una società non formata.

Le modificazioni dello statuto (art.2436)


Il processo di modifica è riferibile tanto allo statuto quanto all’atto
costitutivo e ricalca quello di costituzione della s.p.a., e ciò affinché ogni
modifica apportata vada effettuata con lo stesso rigore e gli stessi controlli.
Posta la distinzione tra persona societaria rispetto agli azionisti, le
modificazioni non sono sottoposte all’unanimità bensì alla generale
competenza dell’assemblea straordinaria, deliberante con le maggioranze
previste dagli artt.2368-2369 (salvo diversa disposizione in materia);
all’assemblea straordinaria di modifica partecipa il notaio, che redige il
verbale assembleare, contenente la decisione, ne verifica il rispetto delle
condizioni legali (sia sul procedimento di formazione che sui contenuti) e,
qualora non sussistano problematiche il tal merito, lo deposita presso il
registro (allegando eventuali autorizzazioni) e l’ufficio iscrive la delibera
(in seguito a controllo formale della documentazione), mentre dà
tempestivamente comunicazione dell’esito negativo in caso contrario,
affinché la società possa a) assumere una nuova decisione che oltrepassi le
criticità indicate, b) attendere il decorso di trenta giorni per rendere la
delibera inefficace, c) decidere di insistere sulla delibera già presa
rivolgersi al tribunale per un procedimento di omologazione (previsto in
via residuale), attraverso il quale sia emesso un decreto relativo al
controllo di conformità a legge. La delibera di modificazione dello statuto
produrrà effetti solo dopo l’iscrizione, mentre mantiene efficacia notizie il
mero deposito del testo integrale della modifica.

Nullità della s.p.a. (art.2332)


Essendo la struttura societaria destinata a rilevare nei confronti dei terzi e
del mercato, è necessario che sia data certezza alla sua azione e che
dunque sia applicata una disciplina sulla patologia del fenomeno differente
rispetto a quelle che si hanno per i normali contratti, producenti effetti per
le sole parti. E’ disciplinato che, in seguito all’iscrizione della società, si
possa rilevare la nullità solo in tre casi tassativi di contrarietà alla legge
(in deroga alla regola di nullità generale per cui ogni contrasto con norme
imperative determina nullità) essendo invece irrilevanti la contrarietà ad
altre norme (anche sulla costituzione) e le eventuali ipotesi di annullabilità
(incapacità naturale, vizi della volontà); queste sono a) la mancata
stipulazione con atto pubblico, b) mancanza di indicazioni su oggetto
sociale, denominazione della società, conferimenti e ammontare di capitale
sociale, c) illiceità (anche sopravvenuta) dell’oggetto sociale. Altra deroga
rispetto alla regola generale (per la quale sono travolti ex tunc tutti effetti
prodotti dal contratto) è l’irretroattività della nullità, che non pregiudica
gli atti compiuti dalla società dopo l’iscrizione nel registro (pertanto, da un
lato non avranno fondamento eventuali pretese restitutorie, dall’altro i soci
non saranno liberati dall’obbligo di conferimento finché non saranno
soddisfatti i creditori sociali) ma che opera tuttavia quale causa di
scioglimento della società, che verrà posta in liquidazione. Altra deroga
alla regola generale è l’ammissibilità della convalida, che può compiersi
quando viene eliminata la causa di nullità e dell’eliminazione sia stata
data pubblicità. Viene confermata l’imprescrittibilità dell’azione di nullità
e la legittimazione a compierla in capo a chiunque ne abbia interesse.
La nullità può essere parziale e colpire solo una o più clausole statutarie
contrarie a norme imperative, senza che la loro invalidità possa provocare
l’invalidità dell’intero atto costitutivo anche quando le clausole siano
determinanti del consenso. L’invalidità può applicarsi anche alla singola
partecipazione sociale (la cui nullità non potrà mai provocare quella
dell’intera società), caso in cui si può ritenere che possano rilevare le cause di
nullità o annullabilità e che la nullità non abbia effetto retroattivo per tutela dei
creditori; l’eventuale scioglimento vale come recesso e produce il rimborso
della quota di liquidazione del socio.
I patti parasociali
E’ possibile che alle previsioni statutarie (vincolanti i soci nei confronti
della società e dei terzi) si affianchino pattuizioni negoziali tra soci
(vincolanti tra loro tutti o parte di essi), finalizzate ad inserire determinati
vincoli in relazione all’esercizio dei loro diritti amministrativi; essi
producono effetti obbligatori solo tra le parti (e non possono incidere sulla
validità degli atti della società), pertanto un’eventuale violazione
rispecchia un inadempimento contrattuale producente l’obbligo di
risarcimento danni ma mai l’invalidità di delibere o di contratti e sono
inopponibili ai terzi. Ai patti aventi per oggetto voto e limiti di
trasferimento delle azioni e finalità di stabilizzare gli assetti proprietari o
il governo della società è applicabile una durata massima di cinque anni, e
qualora non vi sia una durata ciascun socio può recedere con preavviso di
centottanta giorni. I patti devono essere comunicati alla società e
dichiarati in apertura di ogni assemblea con obbligo di verbalizzazione
della dichiarazione e relativo deposito nel registro.

Capo II: la struttura finanziaria

Capitale sociale e conferimenti

Gli elementi della struttura finanziaria


La struttura della s.p.a. presuppone la raccolta di finanziamenti ad essa
destinati; a fronte delle contribuzioni in favore della società gli investitori
ricevono strumenti rappresentativi della posizione assunta
nell’organizzazione sociale. Da questo punto di vista si può distinguere
una raccolta di fondi essenziale, che interviene in occasione della
creazione e dell’assegnazione delle azioni (in virtù delle quali i titolari
partecipano alla distribuzione degli utili ed all’esercizio dell’impresa),
quando la società riceve la provvista primaria di rischio, ossia il capitale,
una raccolta eventuale, per la raccolta di risorse effettuata tramite
creazione ed assegnazione di altri strumenti finanziari e partecipativi o
attraverso l’emissione di obbligazioni attraverso le quali la s.p.a. si procura
risorse a debito (rimanendo gli obbligazionisti esclusi dal rischio di impresa e
da relativi diritti ed obblighi e sottoposti invece ad un minore rischio di credito)
Il capitale sociale (art.2327ss)
Il capitale sociale indica l’insieme dei mezzi conferiti dai soci con vincolo
di destinazione allo svolgimento dell’attività produttiva costituente
l’oggetto sociale; si configura come un fatto, ossia un valore storico
indicante quanto effettivamente prestato dai soci, e come una regola
implicante di mantenere nel tempo un’entità di capitale sociale almeno
pari al totale delle sottoscrizioni dei soci; tale regola è rigida, ed è imposta
con una precisa clausola statutaria (modificabile con l’articolato processo
già esposto) che implica la fissità del capitale da cui discende il vincolo di
non distribuzione, articolato nel divieto di ripartizione degli utili in caso di
perdita fino alla reintegrazione o riduzione del capitale e nella
sottoposizione a delibera di eventuali riduzioni del capitale sociale. E’
previsto che la società vada costituita con un capitale sociale non inferiore
a 50mila euro e il capitale sociale non possa mai scendere sotto tale quota,
pena lo scioglimento della società qualora non si ricostituisca o non si opti
per la trasformazione in una società avente capitale minimo minore.

Formazione del capitale sociale (artt.2342-2343)


Il capitale sociale è coincidente con le sottoscrizioni dei soci ed è anzi
impossibile che la società dichiari un capitale superiore alle
sottoscrizioni; in particolare, attraverso queste ultime i soci assumono
l’impegno di effettuare una prestazione (il conferimento) nei confronti
della società di un espresso valore cui corrisponde una quantità di azioni
da emettere al sottoscrittore. Particolare rilievo è dato al principio di
effettività del capitale sociale, che intende dare un’effettiva solidità a
quest’ultimo, ne discende che un quarto dei conferimenti in denaro vada
versato alla sottoscrizione dell’atto costitutivo (l’intera somma per le
società unipersonali) e che gli amministratori possano in qualsiasi
momento richiedere l’esecuzione della prestazione rimanente ai soci;
inoltre, in caso di circolazione delle azioni, l’alienante non è liberato
dall’obbligo (ex art.2356) ma ne risponde solidalmente con l’acquirente
per un periodo di tre anni dall’annotazione del trasferimento. E’ inoltre previsto
(ex art.2344) in caso di socio inadempiente, decorsi quindici giorni dalla
pubblicazione di una diffida, gli amministratori possono offrire le azioni
non liberate agli altri soci in maniera proporzionale alla loro
partecipazione e poi sul mercato; in mancanza di compratori, il socio viene
dichiarato decaduto, vengono trattenute le somme già riscosse, le azioni
vengono estinte e viene ridotto il capitale sociale riportando il capitale
nominale della società al capitale reale necessariamente più basso.
Tale regolamentazione è necessaria in quanto il capitale della società
rappresenta l’unica garanzia verso i creditori sociali, in virtù della
responsabilità limitata.
E’ possibile prevedere da statuto che il conferimento possa apportarsi con
mezzi diversi dal denaro, tuttavia sono previste delle disposizioni che
assicurino la certezza del capitale per l’effettività, ossia per la disponibilità
degli apporti sottoscritti, e per l'integrità, ossia che il loro valore sia pari
alla quota conferita: in primis quella per cui devono essere integralmente
liberati i conferimenti di beni in natura all’atto della sottoscrizione, e ciò
per scongiurare il pericolo di una sopravvenuta prestazione che renda tale
quota ineffettiva; per lo stesso motivo non possono formare oggetto di
conferimento prestazioni di opera o di servizi, che (pur potendo essere
effettuate nei confronti della società, non essendo vietata la prestazione in
se) non possono con il loro valore formare capitale sociale, essendo
dipendenti dalle qualità del soggetto che le opera e quindi aleatorie.
L’integrità è assicurata dalla sottoposizione dei conferimenti in natura ad
un procedimento formale di stima, che prevede l’espressione di una stima
sul conferimento ad opera di un esperto indipendente (non legato da
vincoli parentelari o professionali ai soci) con relazione giurata (necessaria
ai fini della conclusione dell’atto statutario e pertanto sottoposta a
controllo notarile) e la verifica della stima da parte degli amministratori,
che qualora riscontrassero che il valore dei conferimenti si sia ridotto di
oltre un quinto, richiederanno al conferente l’integrazione con versamento
in denaro del valore, potendo questo accettare o recedere dalla società e
avendosi in quest’ultimo caso la restituzione del bene (qualora sia
possibile, in tutto o in parte) in natura e quindi la riduzione del capitale,
essendo divenuto il capitale reale più basso di quello nominale. Esistono
delle ipotesi di esenzione dal processo di stima volte a semplificare la
formazione di una s.p.a., ricorrenti in caso di a) conferimenti riguardanti
valori mobiliari cui sia stato dato un valore pari o inferiore al prezzo
medio ponderato del mercato regolamentato, b) beni a cui sia stato
attribuito in un precedente bilancio valore pari al fair value, c) beni
apportati per un valore corrispondente ad una precedente stima di un
esperto indipendente effettuata nel semestre precedente al conferimento;
rimane tuttavia l’obbligo a carico dei soci di verificare la permanenza dei
requisiti e di depositare un’apposita dichiarazione della loro esistenza
presso il registro delle imprese, cosicché graverà su di essi la
responsabilità qualora il bene non avesse il valore effettivamente stimato.
E’ possibile che i soci compensino il debito della sottoscrizione con un
credito fatto derivare da un altro negozio, eludendo così le disposizioni in
tema di conferimenti; è quindi stabilito che l’acquisto di beni o crediti da
soggetti correlati alla società che avvenga nei due anni dall’iscrizione e
per importi pari almeno al decimo possa avvenire solo a patto a) che sia
autorizzato dall’assemblea, b) che ai soci sia messa a disposizione una
stima del bene e che c) il verbale dell’assemblea sia depositato e iscritto al
registro. Sono esentati da tale disciplina gli acquisti di beni in
procedimenti avvenenti sotto il controllo dell’attività giudiziaria avvenenti
a condizioni normali nell’ambito di azioni correnti di società.

Il sovrapprezzo e gli altri apporti fuori capitale


Non sempre ad ogni conferimento corrisponde l’imputazione di una quota
di capitale sociale. In particolare, è ammessa l’ipotesi che il socio effettui
in favore della società prestazioni aggiuntive rispetto a quelle oggetto di
conferimento, le quali accresceranno il patrimonio sociale senza
aumentarne il capitale. Tra le possibili prestazioni aggiuntive si
distinguono a) il sovrapprezzo, ossia una prestazione aggiuntiva rispetto al
conferimento a capitale richiesta dalla società (“ticket d’ingresso” per
nuovi soci) e che non andrà ad aumentare il capitale sociale (bensì ad
alimentare dei fondi) essendo un valore reale eccedente al valore nominale
delle azioni; tale sovrapprezzo è richiesto dalla società quando il valore
reale del capitale (patrimonio netto) ecceda il capitale sociale; si distingue
poi b) il conferimento a capitale “individualmente esuberante”, che si
produce nel caso in cui un socio apporti conferimenti in misura maggiore
a quanto proporzionalmente obbligato rispetto alla sua quota di capitale,
favorendo ad un socio l’emissione di un numero di azioni più che
proporzionale rispetto a quanto questo abbia conferito, purché si rispetti il
principio per cui il valore dei conferimenti dev’essere in nessun caso
inferiore al valore dell’ammontare del capitale; infine c) possono essere
richiesti versamenti a patrimonio attraverso una clausola statutaria, che li
destina a conto capitale (fondi utilizzabili per sopperire a perdite o per altre
esigenze come la capitalizzazione) o a fondo perduto (fondi utilizzabili per
l’aumento di capitale sociale).
Da queste fattispecie si distingue quella dei prestiti dei soci, nei quali il socio
finanzia la società diventandone creditore sottoponendosi al rischio di credito.
Le azioni con prestazioni accessorie (art.2345)
Le azioni con prestazioni accessorie sono emesse per soci che, oltre al
conferimento a capitale, sono obbligati per clausola statutaria a
conferimenti non consistenti in denaro di cui viene stabilito contenuto,
durata, compenso e sanzioni per l’inadempimento; la società può così
vincolare gli azionisti assegnatari a fornire utilità di altra natura, come
prestazioni d’opera, ed operare così una personalizzazione della
partecipazione azionaria, in virtù della quale tali azioni non possono
circolare senza consenso degli amministratori.

Le azioni: creazione ed estinzione


Ai sensi dell’art.2346, la partecipazione sociale è rappresentata dalle
azioni, la cui assegnazione attesta quindi a) la partecipazione al capitale
sociale, b) peso e carattere della stessa (in base al numero ed al tipo) e c)
l’accesso ai diritti partecipativi, non accordati al socio in quanto tale, bensì
all’azione e per suo tramite al detentore (oggettificazione dei diritti).

Azioni come partecipazione al capitale e valore (art.2346)


L’azione esprime la partecipazione del socio, tendenzialmente
proporzionale al capitale sociale conferito e ne cristallizza il valore; essa si
configura come una unità minima di apporto finanziario richiesta dalla
s.p.a. per partecipare all’iniziativa, cosicché la partecipazione del socio è
misurata dall’investimento effettuato (più azioni ha un socio, maggiori
saranno i diritti che questo può esercitare essendo titolare di più unità di
investimento) e da ciò discende la fungibilità delle azioni sul piano
dell’esercizio dell’impresa. Pertanto, il valore nominale delle azioni, ossia
la porzione di capitale corrispondente alla singola azione, è dato dalla
divisione del capitale per il numero di azioni emesse, essendo ogni azione
frazione omogenea e standardizzata del capitale, ed è per tale ragione che
il valore nominale è da riferirsi a tutte le azioni emesse dalla società, fermo
restando che possa essere espresso o meno da determinazione statutaria,
mancando in questo caso una rigida predeterminazione dell’investimento
minimo che porta a migliori risvolti pratici in caso di aumento di capitale
(nel corso del quale non dovranno essere sostituite le precedenti azioni). Il
valore nominale non coincide col valore reale; se il primo rimane fisso,
essendo dipendente dal capitale sociale (salvo modifiche), il secondo
dipende dal patrimonio netto, esprimente l’andamento reale della società
in un dato momento storico.

Creazione delle azioni per costituzione o aumento del capitale


La creazione delle azioni implica la formazione del capitale sociale e
quindi la relativa sottoscrizione (attraverso la quale i soci si vincolano a
prestare conferimenti) completa, e sono emesse al socio sulla base del
conferimento operato o promesso in maniera tendenzialmente
proporzionale. L’emissione può avvenire a) al momento della costituzione
della s.p.a., b) nel corso della sua attività in caso di aumento di capitale
tramite conferimenti o c) in caso di aumento di capitale tramite
imputazione a capitale di fondi o utili già presenti nel patrimonio netto;
corrisponde invece all’estinzione delle azioni l’eventuale venir meno di
una quota di capitale ad esse proporzionale, che può avvenire per riduzione
di capitale o per scioglimento di un singolo rapporto sociale.
La mancanza di uno dei presupposti necessari alla creazione di azioni al
momento della costituzione porta alla nullità della partecipazione non avente
efficacia retroattiva, facendo dunque salvo il conferimento già effettuato, ma
comporta il diritto per l’azionista alla liquidazione della quota in denaro.
L’emissione di nuove azioni può avvenire a seguito di un aumento di
capitale, effettuato in vista di uno sviluppo futuro o per un riadeguamento
del capitale sociale all’attività svolta; l’aumento di capitale può essere di
natura gratuito (nominale) o oneroso (reale) e rappresenta in ogni caso una
modifica statutaria da applicare in seguito a delibera ad assemblea
straordinaria con il relativo processo. L’aumento di capitale gratuito (art.
2442) avviene senza nuovi conferimenti, ossia attraverso l’imputazione a
capitale di fondi già esistenti, che non produce quindi un aumento del
patrimonio sociale, bensì una mera operazione contabile frutto di delibera;
i fondi imputati a capitale sociale saranno tuttavia sottoposti alla regola
vincolistica tipica del capitale sociale. Va inoltre sottolineato che possano
essere imputati a capitale i soli fondi “disponibili”, formati cioè in esubero
al capitale sociale ed esclusa la riserva legale. L’operazione può portare
all’emissione di nuove azioni (aventi le stesse caratteristiche delle
precedenti), assegnate gratuitamente e proporzionalmente ai precedenti
soci (fatta eccezione per l’assegnazione di azioni ai dipendenti per
decisione dell’assemblea straordinaria) o ad un aumento del valore
nominale delle azioni in circolazione.
L’aumento del capitale avviene più frequentemente attraverso nuovi
conferimenti, e cioè in via onerosa, quando si voglia destinare i fondi ad
altro utilizzo o quando non si disponga di mezzi finanziari in misura
necessaria; è delegabile agli amministratori, che lo compiono in un termine
di cinque anni e per la misura statutariamente determinata. In ossequio al
principio di integrità, una volta deliberato l’aumento (che non avverrà
automaticamente come per il gratuito) sarà necessaria la raccolta di nuove
sottoscrizioni, che dovranno corrispondere esattamente al nuovo capitale
sociale entro un termine previsto, diventando altrimenti inefficaci (salvo
che sia previsto che il capitale aumenti dell’importo delle nuove
sottoscrizioni). Per applicazione del principio di effettività non è invece
possibile procedere all’aumento di capitale prima che le azioni
precedentemente emesse siano state tutte liberate, e, sempre per lo stesso
principio, è necessario che il 25% delle sottoscrizioni di conferimenti in
denaro sia versato contestualmente alla sottoscrizione e che gli apporti in
natura siano integralmente liberati; a fronte dell’apporto di nuovo
capitale, vengono emesse le nuove azioni, e gli amministratori avranno
l’obbligo di dare pubblicità (con efficacia dichiarativa) ex art.2444 entro
trenta giorni dalla sottoscrizione dell’avvenuto aumento.

Per evitare una possibile alterazione non concordata dei rapporti tra i soci
successiva ad un’operazione di aumento di capitale (aumentando il numero
di azioni in circolazione e non necessariamente aumentando il numero di
azioni detenute dai soci, dovendo questi sottoscrivere l’aumento di
capitale) e che le azioni siano offerte a terzi, che subentrerebbero in
società pagando le azioni al valore nominale, è previsto dall’art.2441 che
le azioni di nuova emissione debbano essere offerte in opzione ai soci
proporzionalmente al numero di azioni possedute attraverso un’offerta di
sottoscrizione presso il registro delle imprese, nella quale va stabilito un
termine non inferiore a 15 giorni per l’esercizio del diritto; le azioni
inoptate (non sottoscritte dagli azionisti) non saranno collocabili
liberamente dagli amministratori, bensì è previsto che nelle società non
quotate si riconosca una prelazione ai soci che abbiano esercitato
tempestivamente il diritto di opzione, mentre è previsto che nelle società
quotate i diritti di opzione non esercitati vadano offerti sul mercato
regolamentato per almeno cinque riunioni. Potendo il diritto di opzione
essere utilizzato dalla maggioranza al fine di rafforzare la propria
posizione, è previsto che sia escluso in tre ipotesi tassative (aventi per
denominatore comune una tutela dell’interesse sociale), ossia quando a) le
azioni vengono liberate mediante conferimenti in natura, b) quando
l’interesse della società lo esige, c) quando sono offerte ai dipendenti della
società; a tutela del medesimo principio, anche con l’esclusione del diritto
di opzione, le azioni sono offerte al valore del patrimonio netto.

Riduzione del capitale ed estinzione delle azioni (artt.2445-2447)


La riduzione del capitale sociale consiste nell’abbassamento della soglia
di capitale sociale vincolato all’attività sociale con delibera modificativa
dello statuto di competenza dell’assemblea straordinaria. Parimenti
all’aumento, può prodursi innanzitutto maniera reale, cioè con l’effettiva
restituzione ai soci delle risorse precedentemente apportate (cui
corrisponde un effettivo impoverimento della società) attraverso rimborso
parziale o attraverso la liberazione dai conferimenti residui; è accordata
ampia discrezionalità all’assemblea nella decisione dell’operazione, che
potrà essere attuata per una pluralità di motivi. Analogamente a quanto
previsto dall’art.2306 per le società di persone, la riduzione può essere
eseguita soltanto dopo novanta giorni dalla sua iscrizione nel registro,
termine entro il quale i creditori sociali potranno opporsi qualora vi sia il
rischio che i loro interessi risultino lesi; la società potrà allora rivolgersi al
tribunale, che potrà ritenere fondato rischio ed impedire l’operazione (a
meno che la società non fornisca idonea garanzia) o infondato, in tal caso
autorizzandola. L’operazione sarà dunque eseguita con riduzione del
valore nominale delle azioni in circolazione o con l’estinzione di azioni in
misura corrispondente alla riduzione decisa ed in maniera proporzionale
alla partecipazione dei soci.
Il capitale sociale può essere ridotto altresì nominalmente, ossia per
tramite dei fondi, quando si sia verificata una perdita, ossia un’eccedenza
delle passività (comprendenti del capitale sociale) rispetto alle attività
(comprendenti dei fondi) che intacca il capitale sociale (non essendoci
riserve idonee a coprire tale disparità); pur essendo la perdita rilevante solo
qualora superiore ad un terzo del capitale sociale, in tale situazione
l’assemblea non potrà deliberare la distribuzione degli utili successivi se
inferiori alle perdite, ed è per questo motivo che i soci possano essere
interessati alla riduzione anche qualora essa fosse facoltativa, ossia lasciata
alla loro discrezionalità, seguendo in questo caso la disciplina della
riduzione reale. Se la perdita è superiore al terzo, essa diventa rilevante
con la conseguenza che gli amministratori avranno l’obbligo di convocare
l’assemblea, nella quale esporranno una situazione patrimoniale
aggiornata, in base alla quale dovranno esprimersi i membri del collegio
sindacale (aventi funzione di controllo) ed i soci dovranno prendere
opportuni provvedimenti; così, essi potranno ritenere la perdita relativa ad
un dissesto temporaneo e rimandarla al successivo esercizio, nel quale
sarà iscritta nel patrimonio netto e dovrà essere ridotta a meno di un terzo,
e qualora ciò non accadesse la società (ad opera dell’assemblea ordinaria o
del consiglio di sorveglianza) sarà vincolata a ridurre il capitale in
proporzione delle perdite accertate o attuare tale procedimento sin da
questa assemblea. E’ prevista un’ulteriore particolare ipotesi nella quale la
perdita è doppiamente qualificata, che sia cioè superiore al terzo e che
abbia ridotto il minimo legale; in tale situazione gli amministratori
dovranno convocare immediatamente l’assemblea e sottoporvi una
delibera di riduzione pari all’importo della perdita ed il contestuale
aumento ad una cifra non inferiore al minimo, e qualora la delibera non
fosse ammessa dovranno invece optare per la trasformazione in un tipo
con capitale minimo inferiore, determinandosi invece lo scioglimento.
Qualora la perdita fosse inferiore al terzo, bisognerebbe applicare per la
Corte di Cassazione la riduzione facoltativa (dando maggiore tutela ai
creditori), ritenendo tuttavia la giurisprudenza che gli amministratori siano
comunque obbligati a depositare i documenti ed a convocare l’assemblea.
La riduzione potrà attuarsi o con la riduzione del valore nominale delle
azioni esistenti o con l’estinzione di alcune di esse, colpendo ciascun socio
proporzionalmente.

La partecipazione azionaria

Caratteri della partecipazione azionaria (artt.2347-2348)


Le azioni sono frazioni omogenee standardizzate di partecipazione al
capitale sociale, si caratterizzano in quanto unità minime indifferenziate e
sono caratterizzate dai caratteri di indivisibilità, inscindibilità, uguaglianza
ed autonomia. Il primo di questi caratteri (indivisibilità) è sancito dall’art.
2347, il quale stabilisce che l’azione è il limite al di sotto del quale non è
consentito l’investimento, non potendo quindi l’azionista suddividere in
più parti la partecipazione ed imputare diritti ed obblighi ai titolari delle
singole parti; non è esclusa la contitolarità tra più persone (come per
successione mortis causa) da esercitare attraverso un rappresentante eletto
dalle parti, né è escluso che la società, con modifica statutaria volta a
modificare il valore nominale delle azioni, operi un frazionamento o un
raggruppamento delle stesse. Dal carattere dell’inscindibilità deriva invece
l’inammissibilità di disporre in misura parziale dei diritti contenuti
dall’azione attribuendone altri a diversi soggetti, separandoli dalla
titolarità della stessa. In virtù dell’uguaglianza, le azioni hanno pari valore
e conferiscono ai possessori uguali diritti, spersonalizzando la
partecipazione alla s.p.a., contando non il socio in quanto tale ma il
numero di azioni possedute (principio plutocratico); è ammessa tuttavia la
creazione di categorie diverse di azioni (relatività dell’uguaglianza). In
virtù dell’autonomia, ciascuna azione attribuisce al possessore prerogative
esercitabili in modo autonomo (come il diritto di voto solo per una parte
delle azioni possedute) purché sia rispettato il principio di buona fede.

Il contenuto della partecipazione azionaria


Dalla titolarità dell’azione discendono i diritti sociali di natura
innanzitutto patrimoniale (artt. 2433ss). Il primo diritto patrimoniale è
quello agli utili: dovendo perseguire la s.p.a. una finalità lucrativa, sarebbe
invalida una clausola che escludesse il diritto alla divisione degli utili (o
alla quota di liquidazione). In particolare, il diritto è più propriamente
riferito al dividendo, in quanto, ai fini della distribuzione è necessario a)
che risulti effettivamente l’utile, b) che resista al netto di eventuali perdite
da ripianare e dalle deduzioni finalizzate ad accantonamenti ex lege o per
statuto c) che si adotti una delibera di distribuzione dei dividendi piuttosto
che un loro trattenimento per autofinanziamento.

Viene tutelato l’interesse del socio al disinvestimento attraverso il diritto di


recesso, ossia il potere di sciogliersi dalla società per mezzo di una
unilaterale manifestazione di volontà. A questo diritto coincide quello alla
quota di liquidazione, che viene ottenuta anticipatamente dal socio,
diminuendo tuttavia il patrimonio sociale; è per evitare un eccessivo
impoverimento della società che il legislatore ha introdotto a) delle cause
inderogabili di recesso (salvaguardando tuttavia l’interesse al
disinvestimento rendendo nullo ogni patto che renda nullo o più gravoso
l’esercizio del recesso), aventi per oggetto rilevanti modifiche dell’atto
costitutivo aventi impatto sull’interesse del socio, tra cui trasformazione,
modificazioni sui diritti di voto, modifica dell’oggetto sociale. Esistono poi
b) delle cause derogabili (operanti laddove lo statuto non disponga
diversamente) ossia la proroga del termine della società e l’introduzione o
la rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni; ulteriore autonomia è
data dalla prevedibilità per statuto di c) ulteriori cause di recesso aventi ad
oggetto rilevanti mutamenti del programma organizzativo, nei confronti
dei quali saranno legittimati al recesso i soli soci che non abbiano
partecipato alla delibera. Infine d) è concesso un recesso ad nutum quando
la società non sia quotata e sia a tempo indeterminato, cosicché, in
mancanza del mercato azionario, l’interesse al disinvestimento sia tutelato.
Il diritto va esercitato con lettera raccomandata in seguito all’iscrizione
della delibera che legittima il socio. La quota di liquidazione è stabilita
dagli amministratori tenuto conto il valore attuale del patrimonio, delle
sue prospettive reddituali e del valore di mercato delle azioni, o per le
azioni quotate facendo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di
chiusura nei sei mesi precedenti; il socio potrà ottenerla quindici giorni
prima dell’assemblea cosicché possa contestarla e sollecitare una diversa
stima da un esperto nominato da un tribunale. Il recesso determina il
trasferimento ad altri soggetti delle azioni (e non l’estinzione del
rapporto), che dovranno prima essere offerte in opzione ai soci ad un
prezzo pari a quanto precedentemente stimato, poi a terzi sul mercato; le
azioni residuate, a tutela dell’integrità patrimoniale, devono essere
acquistate e rimborsate direttamente dalla società (acquisto di azioni
proprie) attraverso i fondi disponibili o gli utili distribuibili, e qualora
questi fossero insufficienti occorrerà che si deliberi una riduzione reale ed
in caso di opposizione da parte dei creditori si delibererà o lo scioglimento
della società o la revoca della delibera da cui si era originato il recesso.

Sono diritti amministrativi (artt.2351ss) quelli attraverso i quali i soci


realizzano la vita sociale. Il principale di questi è il diritto di voto,
attraverso il quale gli azionisti concorrono a determinare la volontà
assembleare, organizzando l’attività sociale e nominando o revocando gli
amministratori. Lo statuto può prevedere azioni senza diritto di voto o
limitato ad alcuni argomenti o condizioni non meramente potestative, nel
limite che tali azioni non superino la metà del capitale sociale. Il normale
principio è che ogni azione vale un voto in virtù del principio plutocratico,
tuttavia tale principio può essere oggetto di deroghe volte a centralizzare il
potere, come accade con l’emissione di azioni con voto plurimo di massimo
tre voti (vietate nelle società quotate per renderla contendibile), o ad una sua
attenuazione, come accade con la limitazione o lo scaglionamento del diritto di
voto (es.: il diritto non spetta al di sotto del 10% o di altre soglie; si elimina così
la proporzionalità tra investimento e voto).
Una parte dei diritti amministrativi è rivolta alla tutela della minoranza,
avente l’interesse che l’esercizio della società non sia volto al
soddisfacimento di interessi personali della maggioranza: così vengono
accordate prerogative alla promozione dell’attività assembleare (possono
sollecitarne la convocazione, impugnarne le delibere) o esercitare potere di
denunzia per fatti censurabili o per gravi irregolarità rispettivamente verso
il collegio sindacale o al tribunale. Tali prerogative sono accordate al
possesso (anche congiunto) di alcune percentuali di capitale sociale per
evitare effetti meramente ostativi o ricattatori.

E’ possibile che le azioni siano sottoposte a vincoli di tipo reale,


l’usufrutto, diritto di godimento, o giudiziari, il pegno, diritto di garanzia,
o a sequestro, i quali producono la scissione dei diritti sociali; il diritto di
voto spetta al creditore pignoratizio e all’usufruttuario (rispettivamente
nell’interesse di assicurare la garanzia e di aver maggior godimento
dall’azione) e al custode (che lo esercita nell’interesse altrui) nel caso del
sequestro, mentre spetta al socio il diritto di opzione sulle azioni di nuova
emissione. I diritti della minoranza diversi dal voto spettano sia al creditore che
all’usufruttuario; verso la società il diritto agli utili compete a questi ultimi, nei
rapporti interni segue il regime a volta a volta considerato.

Le categorie di azioni
In eccezione al carattere di uguaglianza, è possibile che da statuto siano
previste delle categorie speciali di azioni, caratterizzate dall’attribuzione di
diritti non coincidenti alle ordinarie, così da diversificare l’offerta di
strumenti finanziari di raccolta del capitale e coinvolgere un più ampio
margine di investitori; per la logica della spersonalizzazione non è tuttavia
possibile dar vita ad un’unica azione speciale destinata ad hoc ad un socio.
E’ accordata ampia libertà di creazione, fermo restando che le azioni
debbano attribuire o escludere diritti patrimoniali o amministrativi: dal
punto di vista patrimoniale, esse possono conferire un utile maggiorato
(una certa percentuale in più) o una priorità nella riscossione di una
percentuale dell’utile, oltre che produrre una postergazione delle perdite,
che saranno attribuite dopo aver colpito la partecipazione di altri soci,
inoltre viene prevista una classe di azioni correlate, aventi diritti
patrimoniali relativi all’attività in un solo settore della società (fermo
restando che i dividendi saranno pagati nei limiti degli utili risultanti dal
bilancio della società); dal punto di vista amministrativo possono
prevedersi azioni a voto plurimo, limitato ad alcuni argomenti o
condizionato al verificarsi di condizioni non meramente potestative. Sono
prive del diritto di voto le azioni di godimento, emesse a favore dei
soggetti cui sia stata rimborsato il valore nominale delle azioni possedute
nel corso di una riduzione reale non operata proporzionalmente. Oltre che
le azioni elencate, la società è libera di crearne altre, in virtù del principio
di atipicità delle azioni speciali; è tuttavia inderogabile il divieto del patto
leonino (vietata la categoria che esoneri da utili o perdite), di superare la
metà del capitale sociale con azioni a voto limitato o escluso, e, in società
quotate, l’emissione di azioni a voto plurimo.

Le assemblee speciali
I diritti degli azionisti speciali sono salvaguardati con assemblee speciali
degli azionisti di categoria per il cui funzionamento si applicano le regole
in materia di assemblea straordinaria; quando l’assemblea pregiudica i
diritti di una categoria di azioni con una delibera, questa deve essere
approvata dall’assemblea speciale degli appartenenti alla categoria
danneggiata a pena di inefficacia sulla delibera.

Titoli azionari, legittimazione del socio, circolazione azionaria

Tecniche di documentazione dell’azione


Per facilitare la circolazione dell’azione, creando un mercato secondario
che faciliti il disinvestimento, è possibile applicare tre tipi di regime.
1) L’azione di una società non facente ricorso al capitale di rischio può
essere fisicamente emessa e consegnata al socio quale titolo di credito
ed essere assoggettata al relativo regolamento;
2) E’ previsto ex art.2354 per gli strumenti finanziari negoziati (azioni
quotate) un rimando all’art.83TUF, il quale prevede che essi vadano
dematerializzati e rappresentati da titoli scritturali; tale regime può essere
facoltativamente applicato dalla società emittente azioni non quotate.
3) Salvo che per le azioni quotate, lo statuto può escludere l’emissioni di
titoli azionari e la dematerializzazione.

I titoli azionari cartacei (artt.1992-1994 e artt. 2354-2355)


L’emissione di titoli azionari consente l’applicazione della disciplina dei
titoli di credito, così da dare velocità e certezza all’esercizio dei diritti
sociali ed alla circolazione. In generale, i titoli di credito sono un
documento incorporante una situazione giuridica attiva, un legame sociale
nel caso delle azioni; l’incorporazione della posizione ne consente
l’esercizio in virtù di una finzione giuridica per la quale (art.1992) il
possessore in buona fede e con titolo idoneo pur non acquisendo la
titolarità del diritto (spettanza del diritto) ne acquisisce la legittimazione
attiva ad esercitarlo efficacemente nei rapporti coi terzi, potendo
pretendere la prestazione dal debitore senza provare la titolarità del diritto,
né è sottoponibile a rivendicazioni di terzi sulla base della titolarità del
diritto dell’alienante (art.1994, autonomia reale) o è possibile opporre
eccezioni personali basate sui presenti possessori, potendo essere opposte
solo eccezioni reali o a lui personali (art.1993). Ne consegue che
l’emissione del titolo azionario attribuisce la legittimazione attiva
all’esercizio dei diritti sociali a chi assuma il possesso del titolo stesso
secondo le modalità indicate dall’art.2555: essendo l’azione un titolo
esclusivamente nominativo (fatta eccezione per le azioni di risparmio e
delle SICAV, al portatore), tale articolo rimanda al sistema di circolazione
di titoli nominativi transfert (art.2022), in virtù del quale il trasferimento
azionario è operato con la doppia annotazione del nome dell’acquirente
sul titolo e sul registro dell’emittente (o con il rilascio di un nuovo titolo
intestato al socio), ed introduce il sistema alternativo della girata (pienae
sottoscritta anche dal giratario che si obbliga in solido qualora le azioni
non siano del tutto liberate) autenticata da notaio o da altro soggetto.
Inoltre, in deroga a quanto previsto per i titoli nominativi (il possessore è
legittimato per intestazione nel titolo e nel registro dell’emittente), viene
previsto che il giratario è comunque legittimato ad esercitare i diritti
sociali quando il documento sia munito di regolare girata.
Va notato che alla legittimazione attiva se ne affianca una passiva relativa
al debitore il quale è liberato se, senza dolo o colpa grave, effettua la
prestazione al possessore del titolo, che dà quindi luogo ad un affidamento,
mentre il debitore dovrebbe normalmente provare di essere in buona fede
nell’aver effettuato il pagamento.
Le azioni al portatore sono trasferibili con la consegna del titolo e l’esercizio
dei diritti avviene pertanto con la mera dimostrazione del possesso.
Dematerializzazione delle azioni (83bis TUF)
Per le azioni quotate è previsto inderogabilmente il regime della
dematerializzazione dell’emissione, nel quale i titoli non sono
effettivamente emessi poiché creazione e circolazione dei titoli viene
interamente sostituita da un sistema di iscrizioni e annotazioni delle azioni
e dei nomi degli azionisti su registri informatici tenuti dall’intermediario
incaricato del collocamento delle azioni presso il pubblico, ossia il
depositario centrale, che contabilizza l’emissione e sovrintende il
trasferimento. Quest’ultimo, comunicate le caratteristiche dell’emissione
azionaria da parte dell’emittente, accende per ogni intermediario che ne
faccia richiesta i conti destinati a registrare le disposizioni azionarie
operate tramite lo stesso; gli intermediari che accedono al sistema possono
registrare per ogni titolare di conto i trasferimenti disposti da questo,
gestendo i trasferimenti attraverso operazioni di addebito e accredito nei
conti tenuti dai titolari delle azioni presso gli intermediari. Ai titolari dei
conti è garantita la stessa tutela prevista per le norme cartolari, essendo
disposto a) che non è soggetto a pretese o ad azioni di precedenti titolari
colui che ha ottenuto la registrazione a titolo idoneo ed in buona fede, b)
gli è inopponibile ogni eccezione personale dei precedenti titolari. Il
titolare del conto ha legittimazione all’esercizio dei diritti relativi agli
strumenti finanziari, tuttavia tale esercizio può avvenire indirettamente per
tramite dell’intermediario tramite mandato, inderogabile per i diritti
patrimoniali.

La mancata emissione (art.2346)


Qualora da statuto risultasse esclusa l’emissione delle azioni, il
trasferimento sarebbe efficace nei confronti della società quando verrebbe
iscritto il cessionario nel libro dei soci; in mancanza dell’indicazione dei
presupposti di iscrizione si applica il transfert.

Limiti statutari alla circolazione delle azioni (2355bis)


Uno dei principi generali dell’ordinamento delle s.p.a. è la libera
circolazione delle azioni, in modo da favorire il disinvestimento dei soci,
tuttavia è ammesso che si introducano nello statuto regole di limitazione
della circolazione quando la società è interessata controllare e
condizionare le quote dell’impresa per evitare cambiamenti di governance.
a) E’ innanzitutto prevedibile un divieto di trasferimento, operante
tuttavia per un periodo massimo di cinque anni e con la correlata
previsione di diritto di recesso;
b) Sono poi previste delle clausole di prelazione, con le quali viene
stabilito il vincolo al socio che voglia trasferire le azioni di offrirle
prima agli altri soci in proporzione alle rispettive partecipazioni, a
parità di condizioni rispetto ai terzi (prelazione propria) o ad un prezzo
determinato da criteri oggettivi predefiniti (impropria);
c) Esiste poi una clausola di gradimento subordinante il trasferimento
delle azioni al consenso degli organi sociali; tale selezione è tuttavia
da ammettersi solo in base a criteri predeterminati, essendo invece
inefficace la clausola di mero gradimento che non preveda il diritto di
recesso per l’alienante o l’obbligo di acquisto per la società, cosicché
il socio non rimanga prigioniero della società.
La violazione di uno di questi vincoli determina l’inefficacia del
trasferimento nei confronti della società, che non riconosce
all’acquirente l’esercizio dei diritti sociali; si sarebbe avuto invece, in
caso di violazione di un patto parasociale un mero obbligo risarcitorio
a carico del socio inadempiente.

Le azioni proprie e le partecipazioni sociali (artt.2357-2361)

L’acquisto di azioni proprie (art.2357)


L’acquisto di azioni proprie a titolo derivativo (quando esse siano già state
emesse e collocate) può avere finalità organizzativa (concessione azioni a
dirigenti o dipendenti), di stabilizzazione delle quotazioni (ritiro di
flottante per stabilizzare le fluttuazioni non derivanti dall’attività sociale),
di business finanziario (speculazione sulle proprie azioni); pur concedendo
il perseguimento di tali finalità economiche, il legislatore ha interesse a a)
preservare l’integrità del patrimonio, cosicché non si intacchi il capitale e
la struttura finanziaria della s.p.a., e b) gli equilibri di governance. A tutela
dell’integrità (di cui il punto a), è stabilito che la società può acquisire
azioni proprie solo nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve
disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato, cosicché non si
configuri un’indiretta restituzione dei conferimenti ai soci (es. se un socio
sottoscrive 100 e la società riacquista la stessa azione, allora si configurerà
una restituzione; si riduce il capitale reale ma non quello nominale in
quanto è rimborsato il valore delle azioni attraverso il patrimonio,
aggirandosi quindi la regola sulla riduzione del capitale), e per lo stesso
principio possono essere oggetto di acquisto le sole azioni completamente
liberate. A tutela dell’assetto di governance (di cui al punto b) l’acquisto e
la disposizione delle azioni sono subordinati ad autorizzazione
dell’assemblea ordinaria; il loro diritto di voto è sospeso ed il diritto agli
utili e quello di opzione è attribuito proporzionalmente alle altre azioni.
Infine, è stabilito per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio un limite quantitativo: il valore nominale delle azioni proprie non
può eccedere il 20% del capitale sociale. In caso di violazione di queste
disposizione, la legge prevede obbligo di alienazione ed annullamento
delle azioni illegittimamente acquistate.

La sottoscrizione di azioni proprie e reciproche (artt.2357,-59,-60)


La sottoscrizione di azioni proprie opera come acquisto a titolo originario
di azioni emesse dalla società, tale operazione è inderogabilmente vietata
né la società controllata può sottoscrivere azioni della controllante in
aumento in tutela dell’effettività e dell’integrità del capitale (attraverso la
sottoscrizione figurerebbe un aumento di capitale cui non
corrisponderebbero nuove risorse finanziarie, né corrisponderebbe valore
reale e nominale); le azioni sottoscritte in violazione del divieto non sono
nulle, bensì si intendono sottoscritte da soci fondatori o dagli
amministratori (esclusi quelli esenti da colpa) che dovranno liberarle. E’ altresì
vietata la sottoscrizione reciproca di azioni tra due società che sottoscrivono
l’una il capitale dell’altra, restituendo l’una all’altra le somme sottoscritte.

Il finanziamento per l’acquisto di azioni proprie (art.2358)


La società può essere interessata ad agevolare l’ingresso di terzi attraverso
finanziamenti e concessioni di garanzia nei confronti di soggetti interessati
nell’acquisto a titolo derivativo o originario; alla realizzazione di tali
operazione è necessaria l’autorizzazione dell’assemblea straordinaria, e
che sia attuata con utili distribuibili e riserve disponibili. Rimane vietata
l’accettazione di azioni proprie in garanzia.

L’assunzione di partecipazioni sociali qualificate (art.2361)


L’acquisto di partecipazioni in altre società avviene per ragioni industriali,
per generare un controllo o un collegamento produttivo tra due società, o
finanziarie, per investire liquidità in altri business o per la realizzazione di
un portafoglio di partecipazioni in imprese (holding). Tale partecipazione
non è consentita se risulta mutato l’oggetto sociale determinato dallo
statuto cosicché, al fine di mantenere coerente l’esercizio delle risorse, sarà
necessario prima modificare l’oggetto sociale (riconoscendo ai soci un
diritto di recesso), rispondendo l’amministratore per eventuali danni
qualora ciò non avvenga. Dev’essere poi deliberato dall’assemblea
l’acquisto di partecipazioni in società a responsabilità illimitata.

Le obbligazioni

Nozione e tipologie
Con l’emissione di obbligazioni la s.p.a. riceve risorse finanziarie a debito,
da restituire a termine e con pagamenti aggiuntivi a titolo di interesse.
Come le azioni sono titoli di massa, emissibili cioè non singolarmente
bensì in serie come pluralità di strumenti finanziari con eguale valore, e di
credito (precisamente di debito), incorporanti il diritto di credito
dell’obbligazionista. Possono avere struttura semplice, indicizzata
(quantificazione interessi collegata ad indici di borsa o valutari), a premio
(corresponsione di somme aggiuntive), partecipative (interessi funzionali
all’andamento della società); per il contenuto giuridico rilevano le
postergate, nelle quali il rimborso è subordinato alla soddisfazione di altri
creditori sociali, e le convertibili in azioni. La principale differenza rispetto
alle azioni è il tipo di rischio, di credito, corso dall’obbligazionista,
contrapposto al rischio d’impresa dell’azionista.

Il procedimento di emissione (artt.2410-2414)


L’emissione è disposta dagli amministratori (o dall’assemblea per statuto) con
delibera indicante contenuto dei titoli da emettere; questa deve risultare da un
verbale redatto e depositato da un notaio. I titoli sono emessi con la
sottoscrizione (in forma cartacea o con le dematerializzazione) e possono essere
nominativi o al portatore; è previsto poi che le obbligazioni emesse e
l’ammontare delle estinte vadano annotate in un libro delle obbligazioni.

Limiti legali all’emissione (art.2412)


Il legislatore vuole evitare un’eccessiva esposizione finanziaria che faccia
ricadere sui terzi sprovvisti di poteri di controllo il peso dell’operazione
attraverso l’imposizione di una limitazione legale all’entità del prestito
obbligazionario, che non può superare il doppio del capitale, della riserva
legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato;
tale limite non si applica a) nel caso di sottoscrizioni da parte di investitori
professionali in grado di valutare i rischi assunti (e qualora questi
cedessero le obbligazioni risponderebbero della solvenza della società), b)
in caso di obbligazioni quotate, sottoposte ad obblighi informativi, c) alle
convertibili, d) per particolari ragioni di interesse economico nazionale, e ai fini
della verifica del superamento del tetto non è tenuto conto di obbligazioni
garantite con ipoteca di primo grado sugli immobili (2/3 del valore)

Organizzazione degli obbligazionisti (artt.2415, 2417 e 2419)


La legge prevede due organi che monitorino il comportamento generale
della società e le vicende incidenti sul rapporto creditizio. Il primo è
l’assemblea degli obbligazionisti, che assume nell’interesse comune
decisioni sulla posizione dei sottoscrittori del prestito obbligazionario; in
particolare ha potere a deliberare sulle modifiche delle regole del prestito
decise dalla società (cosicché questa possa applicare tali modifiche se la
maggioranza è consenziente) e sulla nomina o revoca del secondo organo,
il rappresentante comune, avente funzione esecutiva nella tutela degli
interessi comuni ed il compito di assistere all’assemblea dei soci per
informare gli obbligazionisti sui fatti societari. Infine gli interessi possono
essere tutelati dall’iniziativa individuale nel limite in cui l’oggetto della
contestazione non sia approvato dall’assemblea, esprimente l’interesse comune.

Obbligazioni convertibili in azioni (art.2420)


Le obbligazioni convertibili riconoscono la facoltà di convertire a
scadenza prestabilita la concessione di credito in rapporto sociale piuttosto
che ottenere il rimborso, cosicché il capitale di credito sia conferito come
capitale di rischio. La delibera di emissione spetta all’assemblea
straordinaria anziché agli amministratori in quanto si assume
sostanzialmente un aumento di capitale sociale per l’ammontare da
convertire. La conversione avviene a scadenza semestrali cosicché
l’aumento avvenga progressivamente (dando gli amministratori pubblicità
di ciascun aumento). Le obbligazioni convertibili devono essere offerte in
opzione agli azionisti. Gli obbligazionisti, in quanto azionisti potenziali
sono tutelati nei casi di operazioni sul capitale; in caso di aumento
oneroso, il diritto di opzione viene concesso anche ad essi, mentre in caso
di aumento gratuito o riduzione per perdite viene rideterminato il rapporto
di conversione, infine la riduzione reale è ammessa solo se gli è concesso
di esercitare preventivamente la conversione.

Strumenti partecipativi diversi da azioni e obbligazioni

Gli strumenti finanziari partecipativi (art.2346)


La s.p.a. può reperire investimenti nel mercato finanziario con strumenti
diversi da azioni ed obbligazioni, essendo fatta salva dall’art.2346 la
possibilità di emettere altre forme atipiche di strumenti finanziari
partecipativi, inquadrabili nello schema dell’associazione in
partecipazione (l’attività economica rimane imputata alla società e
l’associato si comporta da finanziatore avente diritto a degli utili); la loro
emissione dev’essere prevista da statuto e prevede la necessità di operare a
favore della società un apporto (assimilabile al finanziamento
dell’associato) che si ritiene vada destinato a patrimonio netto con riserva,
non parlandosi quindi di conferimento, non essendo la risorsa destinata a
capitale sociale. Ai sottoscrittori, oltre che al diritto patrimoniale agli utili
sono riconosciuti diritti amministrativi tra cui il diritto di voto per
argomenti specifici, la nomina di un componente indipendente del
consiglio amministrativo o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco,
tuttavia è escluso che il loro diritto di voto sia esercitabile nell’assemblea
generale essendogli piuttosto riservata un’assemblea speciale.

Gli strumenti con obbligo di rimborso condizionato (art.2411)


La società è altresì legittimata (art.2411) ad emettere strumenti di debito
atipici, non partecipativi, che prevedano per la società un obbligo di
rimborso condizionato all’andamento economico, in base al quale
varieranno tempi ed entità del rimborso; tali strumenti sono sottoposti al
medesimo regime giuridico delle obbligazioni (pur differenziandosi da
queste ultime, che danno diritto ad un rimborso pieno, e anche da quelle
indicizzate, per le quali cambia non l’entità del rimborso ma degli interessi).

Capo III: la struttura organizzativa


Nella s.p.a. a fronte del beneficio della responsabilità limitata e della
maggiore apertura si ha un sistema di governance molto rigido basato su
un principio di ripartizione delle competenze, in virtù del quale a ciascun
organo sono inderogabilmente prescritte delle competenze: l’assemblea ha
funzione deliberativa, il consiglio di amministrazione funzione gestoria e
di rappresentanza ed il collegio sindacale funzione di controllo. Da statuto
è possibile prevedere un sistema che non sia il tradizionale tra quelli
previsti, ossia dualistico o monistico.

Il sistema tradizionale: l’assemblea


L’assemblea è l’organo deliberativo rappresentante gli interessi degli
azionisti (pur essendo composta dai soli azionisti senza limitazioni al
diritto di voto), di natura necessariamente collegiale con fasi
analiticamente dettagliate e avente competenze tassativamente
determinate come relative a decisioni organizzative, relative all’assetto
strutturale dell’amministrazione, prese a maggioranza.

Le competenze dell’assemblea (artt.2364-2365)


L’assemblea è bipartita in ordinaria e straordinaria.
a) In sede ordinaria sono prese decisioni periodicamente necessarie per
il funzionamento della società, approvazione del bilancio e
distribuzione utili, e relative al rapporto con gli organi sociali,
nomina o revoca e deliberazione azioni di responsabilità, oltre che la
determinazione del compenso; vanno escluse ulteriori competenze
rispetto a quelle previste, ma a queste se ne può affiancare una
eventuale di autorizzazione di alcuni atti degli amministratori previsti
da statuto. Gli amministratori devono aver già deliberato di compiere
l’atto per loro scelta e la ricezione dell’autorizzazione non li esime
dalle proprie responsabilità, né l’assemblea può costringerli a
compiere l’atto dopo aver concesso l’autorizzazione (in quanto
diverrebbero così irresponsabili dell’atto compiuto); qualora
compiessero l’atto in seguito al diniego sarebbero responsabili di tutti
i danni conseguenti e ricorrerebbe giusta causa di revoca, e l’atto
risulterebbe efficace nei confronti dei terzi.
b) In sede straordinaria sono prese decisioni attinenti al funzionamento
della società, articolate in vicende evolutive, ossia trasformazione,
fusione, scissione e liquidazione, ed alla struttura finanziaria, in
relazione alle operazioni sul capitale, oltre che altre stabilite dal
codice civile, ossia la non emissione di azioni e l’emissione di
obbligazioni convertibili (peraltro riconducibile ad un aumento di
capitale); è inoltre possibile provvedere da statuto alla delega agli
amministratori di operazioni minori, collegate all’ambito gestionale
(scelta degli amministratori dotati di potere dirappresentanza),
all’aumento reale o all’emissione di obbligazioni convertibili.

Il procedimento assembleare (2364-2379)


Tutti i momenti del procedimento collegiale dell’assemblea hanno
carattere formale e vincolante e le relative regole legali integrabili con
regole statutarie vanno rispettate pena l’annullabilità della deliberazione,
salvi i due casi di mancata convocazione o verbalizzazione, per cui è
prevista la nullità.
1) La prima fase è la convocazione dell’assemblea ad opera dell’organo
amministrativo a sua discrezionalità (in seguito a delibera), e diviene
obbligatoria in caso di perdite superiori ad un terzo del capitale
sociale, quando si verifichi una causa di scioglimento o quando sia
richiesta dalla minoranza (tanti soci che rappresentino 1/10 del
capitale sociale, 1/20 nelle società che fanno ricorso al capitale di
rischio o da una minore percentuale prevista da statuto). Altri soggetti
legittimati alla convocazione sono i sindaci (quando vengano a
mancare tutti gli amministratori o quando sia obbligatorio e gli
amministratori non provvedano), l’amministratore giudiziario ed i
liquidatori. L’avviso di convocazione nelle società non quotate è
pubblicato su almeno un quotidiano 15 giorni prima, nelle società
chiuse è possibile che siano previsti mezzi più semplici (come la
raccomandata) e che sia emesso almeno 8 giorni prima, nelle società
quotate che sia pubblicato 30 giorni prima sul sito. Elemento
essenziale dell’avviso è l’indicazione dell’ordine del giorno, che
consente ai soci di informasi sulle materie oggetto di delibera (le
deliberazioni prese su materie non all’o.d.g. sono annullabili a meno
che non strettamente consequenziali); nelle società quotate gli
amministratori predispongono una relazione sulle materie sul sito
internet ed è previsto che almeno 1/40 dei soci possano richiedere di
integrare l’o.d.g. In caso di mancata convocazione l’assemblea è nulla,
mentre è annullabile quando non siano rispettate queste regole; il
mancato rispetto è sanabile quando siano presenti tutti i soci con
diritto al voto e la maggioranza dei membri degli organi, tuttavia
l’assemblea sarà instabile e precaria, potendo qualunque socio opporsi
alla trattazione della materia dichiarandosi non sufficientemente
informato.
2) La seconda fase dell’assemblea è la costituzione della riunione, che è
validamente costituita se interviene alla seduta un numero di soci
rappresentanti tante azioni quante richieste dal quorum costitutivo,
cosicché intervenga alla riunione una percentuale più alta possibile
dell’investimento azionario; per il calcolo di tale quorum non devono
considerarsi le azioni prive del diritto di voto da statuto
(normativamente) ma devono considerarsi quelle occasionalmente
prive del diritto di voto (socio in conflitto di interessi). Alle
deliberazioni è poi applicato il quorum deliberativo, attraverso il quale
queste sono adottate solo se vi sia stato il voto favorevole di un certo
numero di soci; esso può essere calcolato sul capitale sociale
complessivo o su quello effettivamente presente in assemblea e non
sono computate, e nel calcolo non intervengono le azioni prive del
diritto di voto né quelle dei soci in conflitto di interesse.
Nelle società chiuse in prima convocazione, per l’ordinaria è richiesto
un quorum costitutivo pari al 50% del capitale sociale ed un
deliberativo pari al 50%+1 del capitale presente; per la straordinaria
sia il costitutivo che il deliberativo sono pari al 50% del capitale
sociale. Tali quorum di prima convocazione possono essere modificati
in aumento dallo statuto ma non in diminuzione per garantire adeguata
rappresentatività.
Qualora il quorum costitutivo non risulti rispettato il presidente
dell’assemblea dichiara la mancata costituzione e convoca l’assemblea
ad una nuova data (entro trenta giorni) in seconda convocazione, per
la quale sono previste maggioranze ridotte: per l’ordinaria non è
previsto quorum costitutivo e si applica il 50%+1 per il deliberativo,
mentre per la straordinaria il costitutivo è pari ad 1/3 del capitale
sociale ed il deliberativo ai 2/3 del capitale presente. Lo statuto può
richiedere maggioranze più elevate tranne che per l’approvazione del
bilancio e per la nomina o revoca delle cariche sociali. E’ possibile che
siano previste successive convocazioni con quorum identici. Nelle
società aperte, essendo la convocazione effettiva la seconda, è previsto
che già dalla prima si applichino per l’ordinaria i quorum previsti in
seconda convocazione e per la straordinaria un costitutivo di 1/5 del
capitale ed un deliberativo dei 2/3 del capitale intervenuto.
3) La terza fase è quella della discussione, che prevede l’intervento di
tutti gli azionisti titolari del diritto di voto, di amministratori ed organi
di controllo, mentre non hanno diritto di intervento gli azionisti privi
del diritto di voto; gli azionisti dovranno quindi dimostrare la propria
legittimazione. Nel caso non siano state emesse azioni il presidente
verifica la corrispondenza tra l’identità del socio ed il nominativo
iscritto a libro soci, in caso siano state emesse il socio deve esibire i
titoli azionari e la legittimazione verrà accertata dal presidente, nel
caso di dematerializzazione il socio esibirà il documento rilasciato
dall’intermediario presso cui sono registrate le azioni.
Per le società quotate la legittimazione è legata alla detenzione delle
azioni ad una determinata data antecedente l’assemblea (record date);
l’eventuale cessione delle azioni non priverebbe l’alienante del diritto
di voto. L’assemblea può svolgersi anche con modalità di intervento
telematico e con voto per corrispondenza.
4) Prima della votazione il presidente (indicato dallo statuto o eletto a
maggioranza dei presenti) si occupa dello svolgimento dei lavori
coadiuvato da un segretario (eletto nelle stesse modalità), sostituito dal
notaio in caso di assemblee straordinarie ed è dotato di competenze
autonome (e le sue decisioni non sono pertanto sindacabili o revocabili
dall’assemblea). La disciplina di svolgimento dei lavori non è
dettagliata ed è perlopiù relativa alla verifica della legittimazione ed
alla moderazione della discussione (rispetto o.d.g. e regolazione
discussione in modo da non discriminare alcun azionista); deve
consentire l’esercizio del diritto di informazione agli azionisti, che
possono rivolgere domande ad amministratori e sindaci, aventi il
dovere di rispondere (nelle società quotate potranno essere chieste
anche prima con conseguente pubblicazione di una relazione sul sito).
E’ attribuito un diritto di rinvio dell’assemblea ai soci (1/3 del
capitale) che si dichiarino non sufficientemente informati sugli
argomenti in discussione. E’ poi compito del presidente scegliere le
modalità di votazione, purché sia simultanea (pena invalidità), e
proclamare il risultato della votazione.
5) La fase finale è quella della redazione del verbale, documentante lo
svolgimento della riunione; questo risulta obbligatorio e necessario e
la sua assoluta mancanza determina nullità della delibera, le
irregolarità nella redazione l’annullabilità. Nell’assemblea
straordinaria è redatto da un notaio cui è attribuita una funzione di
controllo. Il contenuto del verbale dev’essere analitico ed indicare l’identità
dei partecipanti, il capitale rappresentato, il risultato delle votazioni.

La rappresentanza in assemblea (artt.2371-2372 e 135-138TFU)


L’azionista può partecipare all’assemblea mediante rappresentante, a
meno che lo statuto (solo nelle società chiuse) escluda o limiti questa
possibilità; tale opzione può risultare utile sia per limitare l’assenteismo in
assemblea che per conferire l’esercizio dei diritti a soggetti
professionalmente qualificati. Sono previsti diversi regimi di regole.
a) E’ innanzitutto previsto in linea generale che la delega debba essere ad
substantiam sempre prevista per iscritto (validità procura ed
ammissione alla seduta), che sia nulla la delega in bianco, che la
procura sia sempre revocabile anche se in rem propriam e tacitamente
e che la subdelega sia ammessa solo se il subdelegato è contenuto
nella procura o se la delega è attribuita ad una personalità giuridica,
rappresentabile da un collaboratore.
b) Nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio (quotate incluse)
la procura può essere usata per singole assemblee per evitare di sganciare
durevolmente il potere dal possesso azionario (rimane ammessa per più
assemblee nelle società chiuse ma revocabile ad nutum).
c) Nelle società chiuse e con azioni diffuse è stabilito un numero
massimo di delegati rappresentabili per ogni soggetto; in particolare
modo nelle società non quotate è prevista una disciplina di
trasparenza operante in conflitto di interesse tra rappresentate e
sostituti, e per la quale risulti per iscritto al delegante la circostanza
da cui derivi il conflitto e che siano date istruzioni di voto su tutti gli
argomenti all’o.d.g.
d) Sono previste alcune regole specifiche per le società quotate, tutte
volte a sollecitare l’esercizio del voto. Queste devono indicare un
rappresentante designato cui ciascun socio potrà conferire una delega.
Viene poi inserito l’istituto della sollecitazione di deleghe che
consente di coordinare la minoranza a formare il consenso su
determinate materie: un promotore richiede ad un pubblico di soci
(almeno 200) la delega con la presentazione di un prospetto, attraverso
il quale andranno conferite le istruzioni di voto. Non costituisce
sollecitazione il caso in cui la richiesta sia effettuata da associazioni di
azionisti (formate da almeno 50 soci non detentori di più dello 0,1%),
che possono ottenere il rilascio di deleghe senza il rispetto delle norme
previste per il precedente istituto.

Il conflitto di interesse in assemblea (art.2373)


Il diritto del voto, essendo volto a soddisfare l’interesse lucrativo-sociale
del socio, è rimesso al suo libero apprezzamento, che incontra tuttavia un
limite nel conflitto di interessi, che si instaura quando l’interesse personale
di natura patrimoniale del socio sia contrapposto a quello della società;
tale interesse rileva solo in quanto contrastante con la società e non è
invece rilevante il voto del socio che non persegua l’interesse sociale
(questo è un dovere degli amministratori). Quando il contrasto sussiste, il
legislatore non dispone un obbligo di astensione, bensì indica il voto come
causa di annullabilità della delibera quando accada a) che il voto sia stato
determinante per l’adozione della delibera (prova di resistenza) e che b) la
delibera sia idonea a danneggiare (anche potenzialmente) la società.
E’ vietato il voto solo ai soci amministratori nelle deliberazioni sulla loro
responsabilità; il presidente avrà il dovere di escluderli dalla votazione.

L’abuso di maggioranza e l’ostruzionismo della minoranza


Si produce un abuso di maggioranza quando la deliberazione sia assunta
dalla maggioranza per danneggiare i soci di minoranza; tale deliberazione
violerebbe il principio di buona fede, che è pertanto ulteriore limite
all’esercizio del diritto di voto, che non può essere utilizzato per arrecare
danno. La delibera presa in sua violazione sarebbe annullabile, e può
inoltre sorgere un obbligo di risarcimento a carico dell’azionista.
Si ha ostruzionismo della minoranza quando questa, con comportamento
ostruzionistico contrario al principio di buona fede, impedisca l’adozione
di una delibera (anche essenziale, ad esempio un aumento di capitale),
determinando la paralisi della società. La delibera potrebbe essere
annullata per contrarietà al principio di buona fede, tuttavia tale risultato
non è particolarmente utile, essendo piuttosto necessaria un’approvazione
giudiziale ritenuta tuttavia inapplicabile, cosicché l’unica concreta
sanzione applicabile è il risarcimento del danno arrecato.

L’invalidità delle deliberazioni assembleari (artt.2377-2379)


Nella disciplina societaria la disciplina generale e residuale è quella
dell’annullabilità, determinata quando sia quando viene violata una norma
imperativa sia quando ne viene violata una dispositiva o statuaria; l’intento
del legislatore è quello di dare stabilità agli atti societari, ed è per questo
che per l’invalidità è stata dettata una disciplina apposita.
Oltre alla nullità ed all’annulabilità sono definite altre due categorie di
inefficacia: la prima di queste è l’inesistenza, che si riferisce al caso in cui
la deliberazione sia solo apparente e che non vi sia stato nessun atto
qualificabile come deliberazione, parlandosi quindi di inesistenza
materiale, ossia verbalizzazione di un’assemblea mai convocata, non
potendosi prevedere ulteriore categoria in quanto è prevista la nullità per
vizi di procedimento gravi; la seconda categoria è quella dell’inefficacia,
derivante dalla carenza di legittimazione di delibera o di una particolare
condicio iuris, (cosicché la delibera risulta valida ma priva di effetti sin
dalla sua emissione) e può essere fatta valere senza limiti di tempo e da
chiunque ne abbia interesse.

E’ prevista l’annullabilità per le delibere che non siano state prese in


conformità della legge o dello statuto (cioè tutte le cause che non portano
all’illiceità dell’oggetto). Essa può essere riferita innanzitutto a norme
sostanziali (vizi di contenuto) attinenti all’oggetto della decisione, essendo
applicata quando violi norme statutarie o derogabili, applicandosi invece
la nullità in caso di violazione di norme imperative; in secondo luogo può
essere riferita alla violazione di norme procedimentali (a vizi di
procedimento), fatti salvi i due soli casi per cui è prevista la nullità. In
particolare, l’annullabilità è applicata solo ad alcune ipotesi di rilevanza
sostanziale, identificate come a) la partecipazione all’assemblea di persone
non legittimate, b) in caso di invalidità dei singoli voti, c) inesattezza o
incompletezza del verbale, impedisca l’accertamento del contenuto; le
ipotesi di cui a) e b) sono cause di nullità quando rispettivamente la
partecipazione o il voto espresso siano stati determinanti per il
raggiungimento dei quorum. La violazione delle norme procedimentali
porta all’annullabilità solo quando comporti una lesione concreta. La
legittimazione ad impugnare spetta, oltre che ad amministratori e sindaci,
ai soci che non abbiano contribuito alla votazione e che avessero diritto di
voto sulle materie oggetto della deliberazione; spetta inoltre a minoranze
rappresentanti il 5% del capitale sociale o 1/1000 nelle società aperte; lo
statuto può ridurre tale requisito, inoltre i soci non legittimati hanno diritto
al risarcimento del danno. Il termine per l’impugnativa è di 90 giorni dalla
deliberazione o dall’iscrizione ed è proponibile con atto di notificazione
alla società dinanzi al tribunale; il socio dovrà dimostrare la propria
legittimazione, e qualora questa venisse meno, il giudice potrà
pronunciarsi sulla sola domanda di risarcimento. La proposizione
dell’azione non sospende l’esecuzione della delibera, tuttavia la
sospensione cautelare, richiesta dagli attori, sarà concessa se il giudice,
valutando comparativamente il pregiudizio di società ed attore, valuti che
sia maggiore per questo. La società può sanare il vizio con sostituzione
della delibera impugnata con una conforme a legge o statuto, rendendo
l’annullamento inesperibile. L’annullamento ha effetto retroattivo su tutti i
soci obbligando gli amministratori a prendere provvedimenti necessari
conseguenti all’annullabilità (come il tempestivo ritiro di azioni emesse);
sono fatti salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi non soci.

Il regime della nullità è concepito come eccezione all’annullabilità ed è


previsto tassativamente per tre cause, la prima di queste è a) l’illiceità
dell’oggetto, che va distinta dalla non conformità della deliberazione alla
legge (causa di annullabilità) ed a tal fine la giurisprudenza valuta
l’interesse tutelato dalla norma violata; sono nulle le delibere che violino
norme inderogabili poste nell’interesse generale (come la violazione di
criteri di redazione del bilancio), mentre sono annullabili quelle che
violino norme tutelanti l’interesse di soci, anche inderogabili. La seconda
causa è b) la mancanza assoluta e sostanziale di convocazione, considerata
omessa quando anche uno solo dei soci aventi diritto di voto non riceva un
avviso contenente la data dell’assemblea da almeno un componente
dell’organo di amministrazione o di controllo, essendo invece considerata
irregolare (non rispettante termini di convocazione, mancanza contenuti
come l’o.d.g.) e quindi annullabile; il vizio può essere fatto valere dai soli
soci che non abbiano dato assenso allo svolgimento. L’ultima causa è c) la
mancanza del verbale, valida solo in caso di mancanza assoluta di un
documento sottoscritto contenente la data, l’oggetto delle materie trattate,
le deliberazioni assunte, mentre rimane causa di annullabilità la mera
insufficienza contenutistica; la nullità è sanata con effetto retroattivo se la
verbalizzazione interviene prima dell’assemblea successiva. La
legittimazione all’impugnazione spetta a chiunque ne abbia interesse,
compresi i soci che abbiano votato a favore o il giudice d’ufficio, nel
termine di 3 anni, di 90 giorni per omessa convocazione dell’assemblea, di
180 giorni per le sole deliberazioni sulle operazioni sul capitale e
sull’emissione di obbligazioni, non più impugnabili quando la delibera
abbia avuto esecuzione parziale, pur essendo accordato il risarcimento dei
danni (tale regola è estesa alle deliberazioni di approvazione del bilancio,
trasformazione, fusione e scissione); la nullità è sanabile con effetto
retroattivo mediante sostituzione con altra delibera assembleare, non
pregiudicando tuttavia i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

Gli amministratori

Le competenze degli amministratori


L’organo di amministrazione (pluripersonale o unipersonale) ha
inderogabilmente competenza gestoria esclusiva, limitabile nei soli casi
previsti dalla legge; l’assemblea può intervenire nell’amministrazione in
maniera meramente indiretta attraverso a) la nomina degli amministratori,
b) con l’approvazione del bilancio, c) con un potere normativo sul
funzionamento della società e d) con il potere autorizzatorio su singoli atti
amministrativi.

Nomina degli amministratori


Gli amministratori sono nominati dall’assemblea; l’organo amministrativo
può essere unipersonale tranne che nelle quotate, in cui è necessariamente
pluripersonale. Quello della nomina è un principio inderogabile dagli
statuti; sono tuttavia previste delle deroghe tassative per nomine separate
che consentono a) la nomina di un consigliere indipendente ai portatori di
strumenti finanziari partecipativi e b) la nomina da parte di enti pubblici
titolari di azioni in s.p.a. che non fanno ricorso al mercato del rischio di un
numero di amministratori proporzionale alla partecipazione sociale. Può
essere garantita la rappresentanza delle minoranze attraverso criteri di tipo
proporzionalistico come lo scrutinio di lista, obbligatori nelle società
quotate per l’elezione dell’organo amministrativo e di controllo (almeno
un membro del c.d.a. dev’essere estratto da una lista di minoranza); tale
sistema prevede di trarre amministratori dalla lista maggiormente votata
ma anche da quella seconda per numero di voti.
Possono essere nominati amministratori sia soci che terzi (salvo diversa
clausola) ma è dubbia la legittimità della nomina di una persona giuridica,
in quanto questa sarebbe libera di nominare un rappresentante che eserciti
l’amministrazione. Sono cause legali di ineleggibilità o decadenza
l’incapacità legale, il fallimento e le condanne penali; la nomina di
soggetto ineleggibile è nulla. Non sono previsti requisiti di professionalità
o onorabilità, tranne che nelle quotate o nelle società a statuto speciale
(es.: la maggioranza degli amministratori della società di revisione deve
essere abilitata all’esercizio), tuttavia è possibile inserirne alcuni da
statuto, come è possibile fissare requisiti di indipendenza dagli azionisti di
controllo. Tali requisiti sono obbligatori nelle quotate, nelle quali il c.d.a.
deve comprendere almeno un consigliere indipendente o due se il
consiglio ha più di sette componenti.
E’ posto a carico degli amministratori un divieto di concorrenza (simile a
quello del socio s.n.c.), rilevante quando questi compiano un’attività di
concorrenza attuale o potenziale (impresa individuale, assunzione qualità
socio illimitatamente irresponsabile o di amministra per società
concorrente), tuttavia è possibile che l’assemblea ordinaria con delibera
autorizzi in deroga al divieto; la sua violazione potrebbe esporre a revoca per
giusta causa, al risarcimento dei danni e ad azione di concorrenza sleale.
L’assunzione della carica avviene con atto di accettazione (anche tacito); a
trenta giorni dalla nomina, questa va iscritta nel registro, cosicché i terzi
possano conoscerli. La disciplina dell’amministratore è applicata anche agli
amministratori di fatto, non investiti formalmente della carica ma svolgenti
compiti sostanzialmente amministrativi; avranno medesimi poteri e
responsabilità degli amministratori formali.

La cessazione degli amministratori (artt.2383-2386)


La durata massima della carica è inderogabilmente di 3 anni, affinché si
riconfermi periodicamente la fiducia ai gestori. L’amministratore cessa
dalla carica innanzitutto a) per scadenza del termine, situazione nella quale
è prevista illimitata prorogatio fino alla sua sostituzione da parte
dell’assemblea; b) per rinunzia, avente effetto immediato, salvo che questo
non comporti una paralisi dell’organo, essendo prevista in questo caso la
prorogatio; c) revoca, esercitabile senza limiti (la mancanza di giusta causa
data da grave inadempimento, giustificato motivo oggettivo dà solo diritto
al risarcimento) dall’assemblea, che provvede contestualmente alla
sostituzione (sono previste ipotesi di revoca di diritto o giudiziale, inoltre
l’amministratore eletto da enti pubblici è revocabile solo da questi); d)
decadenza ex lege; e) morte.
Al venir meno di un amministratore, l’assemblea procede alla sostituzione,
tuttavia quando venga meno la minoranza degli amministratori, il
consiglio stesso può provvedere (ex art.2386) alla cooptazione dei membri
venuti meno con approvazione dei sindaci, che opera come sostituzione
temporanea sino alla nomina di nuovi amministratori (che potrà
confermarlo); quando a venir meno sia la maggioranza degli
amministratori, quelli rimasti dovranno convocare prontamente
l’assemblea per la sostituzione, e quando a venir meno siano tutti gli
amministratori, saranno i sindaci ad effettuare la convocazione,
esercitando nel frattempo i poteri di amministrazione ordinaria. Rimane
ferma la possibilità per i soci di introdurre una clasuola simul stabunt simul
cadunt, attraverso la quale al cessare di un amministratore, cessa l’intero
consiglio;tale clausola mantiene inalterati gli equilibri, a tutela della minoranza.

Struttura e funzionamento del c.d.a. (artt.2379-2381)


Il numero di componenti è fissato dall’assemblea (lo statuto può imporre
un numero minimo e massimo) fermo restando l’obbligo per le quotate
della presenza di un c.d.a. con almeno un amministratore di minoranza o
indipendente. Quando gli amministratori sono più di uno,
l’amministrazione va attuata con metodo collegiale con metodo
decisionale a maggioranza. Il presidente del c.d.a. è nominato
dall’assemblea o dal consiglio ed esercita le funzioni di coordinamento
dell’attività collegiale. E' suo compito effettuare la convocazione di tutti i
consiglieri (ma può essere sollecitato da questi), essenziale per la
legittimità della deliberazione, attraverso emanazione di un avviso
contenente o.d.g. (non derogabile dal consiglio) sul quale somministra
adeguate informazioni, collaborando eventualmente, nelle quotate, con un lead
independent director (amministratore indipendente di riferimento per gli altri
consiglieri non esecutivi), e si occupa infine di coordinare i lavori del consiglio.
Il quorum costitutivo dell’assemblea è la maggioranza degli amministratori in
carica, quello costitutivo è la maggioranza assoluta dei soli presenti per teste;
lo statuto può prevedere maggioranze qualificate ma non unanimità.
Le deliberazioni del c.d.a. sono suscettibili di impugnazione con la sola
annullabilità (anche se in assemblea il vizio sarebbe stato causa di nullità: si
vuole così dare ancor maggiore stabilità all’attività sociale) in caso di non
conformità alla legge o allo statuto; essa può essere fatta valere nel termine di
90 giorni dagli amministratori che non abbiano contribuito alla votazione o dal
collegio sindacale, quando la deliberazione possa provocare danni alla società,
ed in via eccezionale dal singolo socio quando è lesiva dei suoi diritti (come
l'aumento del capitale che escluda il diritto di opzione). Rimangono salvi i
diritti acquisiti dai terzi in buona fede.
Le funzioni amministrative sono delegabili da parte del consiglio a degli
amministratori delegati o ad un comitato esecutivo; il c.d.a. mantiene funzioni
di controllo ed indirizzo, mentre gli amministratori delegati si occupano della
gestione delle materie delegate. La delega è soggetta ad autorizzazione o a
delibera assembleare ordinaria ed è poi attribuita con delibera consiliare
determinante contenuto e limiti; alcune prerogative dei delegati sono poi
attribuite dalla legge (ma derogabili alla competenza del consiglio), come la
cura dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo e contabile (ex art.2086) e la
decisione dei piani strategici, esaminati poi dal c.d.a.; quest’ultimo mantiene
una competenza concorrente, potendo avocare la decisione su singole decisioni
sulle materie delegate e disporre la revoca in qualsiasi momento, e
sovraordinata, potendo impartire direttive. Il consiglio si avvale per lo
svolgimento di queste funzioni di un obbligo di reporting a carico dei delegati,
che forniscono agli altri organi le informazioni essenziali (ogni 6 mesi o ogni 3
mesi nelle quotate) affinché essi possano attuare il loro obbligo di vigilanza, e
cioè valutare l’andamento della gestione; a questo obbligo è correlato quello di
agire in modo informato, attuando le iniziative opportune in base alle
informazioni in loro possesso per evitare eventi dannosi. Non è escluso che si
formino più comitati interni aventi funzione istruttoria e composti da
amministratori non esecutivi e/o indipendenti.

Interesse sociale e degli amministratori e le parti correlate (2391)


Gli amministratori sono gestori di un interesse altrui e sono pertanto
soggetti ad un obbligo di diligente gestione e di perseguimento del solo
interesse sociale, ragion per cui è imposta una disciplina inderogabile
civilistica e penalistica che impone agli amministratori da un lato obblighi
di trasparenza, per i quali dovranno informare gli organi sociali ogni volta
che siano portatori di interessi personali per conto proprio o di terzi
interferenti in una data operazione (quando gli amministratori sono
delegati, tale obbligo diventa di astensione, se è invece l’amministratore è
unico, questo non si asterrà ma comunicherà ai sindaci la situazione),
dall’altro di votare in modo non pregiudizievole all’interesse sociale; il
consiglio dovrà poi motivare le sue delibere, esplicitandone ragioni e
convenienza. La delibera che violi queste disposizioni è annullabile in quanto
non perseguente il fine lucrativo sociale. Per la stessa ragione risultano
annullabili altresì le delibere viziate da eccesso di potere, ricorrente in caso di
scelte gestionali irrazionali, inconciliabili con il fine lucrativo, rimanendo
inoltre ferma la tutela risarcitoria (applicabile anche quando l’amministratore
utilizzi informazioni acquisite nell’esercizio per suoi scopi o di terzi).
Alle società ricorrenti al mercato del capitale si applica una specifica disciplina
ogni volta che la società realizza operazioni economiche aventi come
controparti delle parti correlate, ossia soggetti prossimi alla società: in
particolare, sono previsti obblighi di istruzione sull’interesse della società e
sulla convenienza dell’operazione. Inoltre, il compimento di tali operazioni è
sottoposto o a parere vincolante degli amministratori indipendenti o a voto
favorevole della maggioranza dei soci diversi dalle parti correlate.

I compensi degli amministratori


In mancanza di clausola statutaria, la competenza a determinare i
compensi degli amministratori e del comitato esecutivo (qualora non li
esprima per questi, saranno stabiliti dal c.d.a. alla nomina) spetta
all’assemblea ordinaria, mentre spetta al c.d.a. (previo parere dei sindaci)
in relazione al presidente ed agli amministratori delegati, tuttavia lo statuto
può stabilire un tetto per la loro remunerazione. Le delibere attribuenti
remunerazioni eccessive sono annullabili in quanto illegittime per
l’interesse sociale quando siano prese con il voto determinante
dell’amministratore interessato. Particolare peso è dato alla trasparenza in
particolar modo nelle quotate, in cui il consiglio deve approvare una
relazione sulla remunerazione messa a disposizione del pubblico.
Nell’oggetto del compenso possono rientrare anche partecipazioni agli
utili: ciò può tuttavia creare distorsioni, spingendo gli amministratori a
gestire la società in una prospettiva di massima remuneratività nel breve
periodo e portare ad un disinteresse nel medio-lungo periodo.

Il potere di rappresentanza (art.2384)


La società agisce necessariamente attraverso persone fisiche che agiscano
in suo nome e suo conto: la principale forma di rappresentanza è quella
organica, di natura necessaria, attribuita per iscrizione di uno o più
amministratori nello statuto, indicante altresì, quando siano più di uno, se
operino congiuntamente o disgiuntamente; esiste poi un’eventaule
rappresentanza volontaria di secondo grado, conferita con procura
speciale (che non può essere generale) dal rappresentante statutario (se la
società è titolare d’impresa commerciale può avvalersi anche della
proposizione institoria) e regolata dalle regole civilistiche generali in tema
di rappresentanza. L’amministratore avente potere di rappresentanza è un
rappresentante generale che può compiere qualsiasi tipo di atto in nome
della società; lo statuto può però prevedere delle limitazioni al suo potere
che sono tuttavia inopponibili, anche se iscritte nel registro, ai terzi, a
meno che non si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno
della società (exceptio doli). Ne deriva a) che non basta dimostrare la
semplice mala fede del terzo ai fini dell’opponibilità e che b) a tutela del
suo affidamento sul rappresentante, questo confermi dal registro che colui
che agisce in nome della società ne è rappresentante legale perché sia
sicuro dell’efficacia dell’atto; tale disciplina non è applicabile quando il
potere sia attribuito congiuntamente a tutti, in quanto si suppone che il
terzo fosse a conoscenza della limitazione, mentre rientra
nell’inopponibilità sia l’atto estraneo all’oggetto sociale che, si ritiene,
l’atto inosservante dei limiti legali (va tuttavia notato che potrebbero
essere ritenuti opponibili e annullabili se si pensa che il terzo dovrebbe
conoscere il limite legale e non si potrebbe quindi tutelare il suo
affidamento). Si ritiene poi applicabile ai casi di dissociazione tra potere
gestorio e di rappresentanza, in quanto sembrerebbe una limitazione di
rappresentanza (tuttavia si porta in questo modo alle estreme conseguenze
il principio di tutela dei terzi). Risulta invece annullabile l’atto compiuto
in conflitto di interessi senza il supporto di una delibera autorizzata se il
conflitto era noto o riconoscibile (peraltro, a conferma di una possibile
annullabilità degli atti inosservanti i limiti legali: anche qui il conflitto è
noto o riconoscibile, come la disposizione legale in quel caso), mentre in
caso di delibera, pur essendo annullabile, si consolida per decadenza del
termine di delibera ed è pertanto necessaria un’azione tempestiva.

Le azioni di responsabilità contro gli amministratori (artt.2392ss)


Si configurano per gli amministratori tre ipotesi di responsabilità civile:
verso la società, i creditori sociali, soggetti soci o terzi.
a) La responsabilità degli amministratori verso la società è di natura
contrattuale per inadempimento dell’obbligo di corretta
amministrazione, che dev’essere attuata con la diligenza professionale
richiesta dalla natura dell’incarico e nell’interesse della società; si
configura un danno risarcibile tutte le volte che la cattiva gestione porti
ad un deterioramento dello stato patrimoniale o del conto economico.
La responsabilità per violazione dell’obbligo di diligenza è valutata su
un criterio di soggettivo di colpevolezza, viene cioè valutato se gli
amministratori, con l’applicazione della loro diligenza professionale,
avessero potuto, al momento del compimento dell’atto producente il
danno, prevedere che questo si sarebbe verificato, non violando tanto
obblighi tipizzati ma agendo con imperizia, imprudenza e negligenza;
a questo tipo di volontà se ne affianca un’altra per violazione degli
obblighi specifici, quando essi abbiano violato un comportamento
tipizzato dalla legge. La perizia è relativa all’applicazione da parte
dell’amministratore della diligenza professionale relativa alle sue
specifiche competenze e al suo agire in maniera informata; quanto alla
prudenza, essa è relativa alla razionalità delle scelte attuate, mentre
sono precluse sul piano giudiziale valutazioni sul merito delle azioni
attuate. Se è stato violato l’obbligo di diligenza, la società deve dare
prova della colpa o del dolo, quando invece viene violato un obbligo
specifico la società deve provare solo l’inadempimento ed il nesso di
causalità con l’atto, ma non la colpevolezza; l’amministratore viene
fatto salvo in caso di errore scusabile, quando cioè questo dimostri la
sussistenza di una causa impediente all’adempimento.
La responsabilità degli amministratori è solidale ed estesa anche agli
amministratori di fatto. Si distingue una responsabilità diretta di
ciascun amministratore che sorge per fatti imputabili a lui o al suo
consiglio ed una responsabilità di omessa o difettosa vigilanza,
attribuibile ad ogni amministratore non delegato quando non attui
l’obbligo di intervento tutte le volte che sia a conoscenza di fatti
pregiudizievoli attuati da amministratori delegati.
L’amministratore può sottrarsi al vincolo di solidarietà: questo opera
infatti come criterio presuntivo, potendo l’amministratore dare prova
della distanza dal comportamento dannoso altrui in quanto relativo a
diversa sfera di funzioni o ad altre competenze professionali, fermo
restando l’obbligo di agire in modo informato che comporta, se
necessario, la richiesta di ulteriori informazioni. Quando
l’amministratore non possa sottrarsi dalla solidarietà può allora
applicare la procedura di dissociazione, che lo esonera dalla
responsabilità quando a) faccia annotare il dissenso senza ritardo nel
libro delle adunanze del consiglio, b) informi del dissenso il presidente
del collegio sindacale, stimolandolo così al controllo, c) che sia esente
da colpe e che abbia cioè adempiuto all’obbligo di agire informati, di
vigilanza e di intervento.
L’azione di responsabilità è deliberata dall’assemblea (anche quando
non sia inserita nell’o.d.g.) o dal collegio sindacale. La delibera è
approvata a maggioranza dei presenti rappresentante 1/5 del capitale
e comporta la revoca di diritto degli amministratori, pertanto nella
stessa assemblea di procede alla nomina di nuovi amministratori.
L’assemblea può rinunciare all’azione o transigere con gli amministratori
se non è applicato il veto di della minoranza; la prescrizione è
quinquennale dalla cessazione degli amministratori dalla carica.
L’azione sociale può essere avviata da una minoranza qualificata
rappresentante 1/5 del capitale nelle chiuse ed 1/40 nelle aperte;
l’azione ha carattere surrogatorio a quella della società, cosicché a)
sarà preclusa quando ve ne sia una pendente o la società ne abbia già
disposto, b) la società potrà rinunciare o transigere su tale azione
(fermo restando il diritto di veto), mentre la minoranza può farlo solo
circa il giudizio intrapreso, c) quanto ottenuto dalla minoranza (inclusi
corrispettivi ottenuti per rinunzia e transazione) andrà a favore della
società. Tale azione è applicata poco frequentemente in quanto da un lato
gli azionisti non hanno accesso alle informazioni necessarie per preparare
un piano probatorio, dall’altro la società rimborsa i soci solo dopo che
abbiano infruttuosamente escusso gli amministratori soccombenti.
b) L’azione di responsabilità dei creditori sociali è attuabile quando si
verifichi a) che gli amministratori siano inosservanti degli obblighi
relativi a conservazione e integrità del patrimonio sociale e che b)
quando questo risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti:
la responsabilità degli amministratori non riguarda i debiti
inadempiuti, bensì il pregiudizio subito dai creditori a causa
dell’incapienza patrimoniale. Tale azione ha natura diretta, ed in
quanto tale è attuabile autonomamente rispetto all’azione
eventualmente avviata dalla società, e ne consegue a) l’inopponibilità
ai creditori di ogni eccezione invocata dagli amministratori verso la
società e b) che il risultato dell’azione verrà acquisito dal creditore che
agisce e non dalla società. La prescrizione, quinquennale, decorre dal
momento in cui si manifesta l’evento dannoso, ossia l’insufficienza, e
quindi tipicamente all’apertura del fallimento, salvo che
l’amministratore non provi che l’insufficienza fosse già precedente.
L’eventuale rinunzia all’azione da parte della società non ha effetto
sull’azione dei creditori, tuttavia lo ha la transazione, che potrà essere
però revocata con azione revocatoria quando l’accordo transattivo sia
frutto di collusione fra vecchi e nuovi amministratori.
Se è vero che il pregiudizio patrimoniale emerge perlopiù nell’ambito
del fallimento, allora tali azioni di responsabilità vengono con la
massima frequenza avviate nell’ambito di una procedura concorsuale
dal curatore interessato a ricomporre l’attivo, che avrà i medesimi
oneri probatori relativamente alle azioni pregiudizievoli
dell’amministratore. In via eccezionale, in ambito di liquidazione del
danno, quando gli amministratori non abbiano adottato gli
adempimenti necessari per mettere in liquidazione la società,
continuando a gestire l’impresa ed aggravando il dissesto, sono
previste delle presunzioni: una relativa, per la quale il danno
risarcibile è pari alla differenza tra il valore del patrimonio netto alla
data di cessazione dell’amministratore o di apertura della procedura
ed il valore alla data in cui si è determinato lo scioglimento, ed in
quanto relativa sarà dimostrabile un diverso ammontare o una minore
durata dell’illecito, una assoluta, che si ha per mancanza delle
scritture contabili o per gravi irregolarità delle stesse, che stima
l’ammontare del danno pari alla differenza tra attivo e passivo
accertati nella procedura concorsuale.
c) L’azione è proponibile dal singolo azionista o dal terzo che siano stati
direttamente danneggiati (il danno non può essere riflesso,
conseguente ad atti di mala gestio) da quanto attuato dagli
amministratori in gestione della società, ottenendo una perdita
patrimoniale in seguito ad una specifica vicenda nella quale si trovi
coinvolto per dolo o colpa dell’amministratore; nel corso dell’azione
va data prova specifica del fatto doloso o colposo e del nesso di
causalità, in maniera simile a quanto accade per la responsabilità
extracontrattuale; il termine quinquennale decorre da quando il
danneggiato sia in grado di venire a conoscenza dell’evento dannoso.
Le azioni di responsabilità civile saranno altresì esperibili contro i direttori
generali nominati da assemblea o amministratori; tale figura, essendo
gerarchicamente subordinata agli amministratori, risponde solidalmente
con essi anche quando agisca per loro incarico, tuttavia vengono fatte salve
le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro che lo lega alla società,
cosicché, qualora la prima azione venisse rinunciata o transatta, non è
impedita la continuazione dell’altra azione.
I sindaci, controllori della gestione

Le funzioni del collegio sindacale


Nel sistema tradizionale, il controllo sulla gestione è affidato al collegio
sindacale che vigila sull’osservanza della legge e dello statuto per quanto
riguarda i procedimenti formali, sul rispetto dei principi di corretta
amministrazione e sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, contabile e
amministrativo (con l’istituzione di procedure idonee al governo ed al
controllo dei rischi operativi) dal punto di vista sostanziale; il controllo
non è riferito a singoli atti ma è continuativo e può avvenire a campione,
inoltre non può estendersi al merito della discrezionalità degli
amministratori. Pur vigilando sull’attività di revisione legale dei conti,
affidata al revisore esterno, i sindaci non hanno l’onere di verificare la
regolare tenuta della contabilità e della corretta rilevazione nelle scritture
dei fatti di gestione, compito dei revisori dei conti, tuttavia nelle s.p.a.
chiuse è possibile prevedere da statuto l’assegnazione al collegio della
funzione di revisione quando tutti i sindaci abbiano qualifica di revisori
dei conti. Il collegio ha inoltre funzione di informazione dell’assemblea
(principalmente attraverso la relazione depositata in approvazione del
bilancio) e consultiva obbligatoria, come in materia di remunerazione ed
emissione di obbligazioni; altri poteri, di natura eccezionale, sono quelli di
amministrazione attiva e di approvazione degli atti, come nel caso della
cooptazione.

Nomina e cause di cessazione dalla carica


L’organo di controllo è composto da 3 o 5 membri, nelle quotate è
consentita una deroga aumentativa, e vanno nominati 2 supplenti. A
differenza degli amministratori, è previsto a pena di nullità (o decadenza,
in caso di perdita sopravvenuta) che i sindaci godano di alcuni requisiti di
professionalità, in particolare è richiesto a) almeno uno sia revisore dei
conti e che b) gli altri siano iscritti in albi o che siano professori
universitari in materie economico-giuridiche (o c) che siano tutti revisori
nella società chiusa che gli affidi funzione di revisione). La nomina del
collegio è di competenza dell’assemblea ordinaria, tuttavia, in deroga, è
prevedibile la nomina proporzionale alla partecipazione da parte di ente
pubblico e di un sindaco da parte dei portatori di strumenti finanziari
partecipativi; a tutela della minoranza, è poi prevedibile (obbligatorio nelle
quotate) il voto di lista per la nomina di un sindaco di minoranza (il
presidente del collegio è scelto tra questi nelle quotate). Alla nomina segue
l’accettazione anche per fatti concludenti; questa dev’essere espressa per i
supplenti. Le cause di cessazione del rapporto sono le medesime degli
amministratori. a) Il termine è inderogabilmente di 3 anni per tutti i
sindaci; la scadenza è simultanea per l’intero collegio, che può rimanere in
prorogatio fino alla nomina di nuovi sindaci; b) la decadenza è
conseguente alla perdita di requisiti di eleggibilità (requisiti
professionalità o indipendenza) o all’inadempimento dei doveri (assenza
ingiustificata a più di due adunanze degli organi); c) la rinuncia è sempre
ammissibile ed immediata, salvo che sia impossibile integrare il collegio
con supplenti, caso in cui il dimissionario rimane in prorogatio; d) la
revoca è ammessa solo per giusta causa. Il regime della supplenza ha
funzione (analoga alla cooptazione) di preservazione dell’integrità
dell’organo: prevede la sostituzione automatica (senza accettazione, già
avvenuta) del sindaco venuto meno (salvo che il supplente non goda delle
stesse qualifiche del sindaco cessato) fino alla successiva assemblea possibile,
nel corso della quale vengono nominati nuovi sindaci e supplenti.

L’indipendenza e l’inamovibilità dei sindaci


L’effettività del controllo è affidata alle caratteristiche proprie dei sindaci
di indipendenza ed inamovibilità, necessarie a fronte della possibilità
concessa alla maggioranza di nominare tutto l’organo di controllo (e tutto
quello gestorio); sono quindi fissate alcune cause legali di ineleggibilità e
decadenza in situazioni facenti presumere la carenza del requisito di
indipendenza. Esse sono a) le stesse previste per gli amministratori che
comporterebbero la mancanza strutturale dell’indipendenza (incapacità
legale, pene accessorie, fallimento), b) la parentela, c) i rapporti
continuativi di lavoro, d) rapporti di natura patrimoniale di natura non
continuativa. Il sindaco è poi revocabile soltanto per giusta causa
(inadempienza dovere, motivo oggettivo comportante il venir meno della
fiducia) con deliberazione dell’assemblea ordinaria resa efficace da
approvazione del Tribunale. L’indipendenza è altresì tutelata
dall’invariabilità dei compensi, da fissare contestualmente alla nomina ed
immodificabili durante il mandato.
Funzionamento e poteri del collegio
Come l’amministrativo, l’organo sindacale è collegiale; si riunisce ogni 90
giorni ed opera con quorum costitutivo della maggioranza dei sindaci e
quorum deliberativo della maggioranza assoluta dei presenti.
-I sindaci esercitano le loro funzioni (poteri-doveri; quando non attuati
danno luogo alla loro responsabilità) innanzitutto nella fase istruttoria, nel
corso della quale vengono attuati poteri ispettivi individuali (come l’esame
dei documenti sociali) e poteri di richiesta di informazioni (di competenza
collegiale, di competenza individuale nelle quotate) alla quale gli
amministratori non possono sottrarsi (reato penale di impedito controllo),
ed è inoltre previsto il potere di scambiare informazioni con il revisore
contabile e di collaborare con le gli organi di controllo delle società
controllate; tutti gli accertamenti eseguiti vengono registrati nel libro delle
adunanze del collegio sindacale.
-Segue poi la fase valutativa, esercitata collegialmente;
-Infine vengono attuate diverse iniziative nella fase reattiva:
collegialmente, l’organo può a) in caso di omissione o ingiustificato
ritardo degli amministratori o per l’adozione di provvedimenti urgenti su
fatti censurabili di rilevante gravità direttamente convocare l’assemblea, b)
impugnare le deliberazioni assembleari o consiliari illegittime, c)
promuovere l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità con la
maggioranza dei 2/3 dei componenti; il singolo sindaco può invece reagire
individualmente formulando rilievi in collegio, intervenendo nella
discussione in assemblea, convocando il c.d.a. (solo nelle quotate).
L’intervento del collegio è infine sollecitabile con denuncia degli azionisti; di
questa si dovrà tener nota nella relazione annuale all’assemblea, e se la
denuncia proviene da minoranza qualificata (1/20 o 1/50 nelle chiuse) indagano
senza ritardo e riferiscono l’esito dell’indagine alla prima assemblea utile.

La responsabilità dei sindaci


I sindaci devono adempiere ai loro doveri con diligenza professionale.
Sono solidalmente responsabili con gli amministratori colpevoli di mala
gestio quando il danno non si sarebbe prodotto se avessero vigilato
applicando la loro diligenza; tale responsabilità si applica nei limiti dei
flussi informativi recepiti dagli amministratori (che in mancanza di questi
violerebbero gli obblighi di informazione) e qualora vi sia nesso di
causalità fra il comportamento del sindaco ed il danno. In altre ipotesi il
danno è causato dal loro comportamento, in particolare nei casi di
violazione di segreti (danno alla società) o di false attestazioni (danno ai
soci o ai terzi); in tal caso questi potranno promuovere un’azione di
responsabilità nei loro confronti nel termine di cinque anni.

I revisori contabili, controllori legali dei conti

La funzione di controllo contabile


La funzione di controllo contabile ha come contenuto tipico la verifica
della regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione
nelle scritture contabili dei fatti di gestione. Sul bilancio di esercizio viene
espresso un giudizio (non relativo alla veridicità del bilancio) relativo alla
conformità del bilancio alle norme relative alla sua redazione ed alla sua
idoneità a rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione
patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato economico
dell’esercizio; tale giudizio può essere positivo, attestandosi in questo caso
quanto appena esposto, positivo con rilievi, negativo, o è possibile che sia
dichiarata l’impossibilità di renderlo (in caso di giudizio positivo, anche in
caso di positivo con rilievi nelle chiuse, la legittimazione all’impugnazione
del bilancio spetterà solo ai soci aventi partecipazione del 5%). Il controllo
deve esercitarsi con continuità nel corso di tutto l’esercizio, ed al fine di
ottimizzare i controlli è previsto un reciproco scambio di informazioni con
il collegio sindacale. Alcune disposizioni particolari sono previsti per gli
enti d’interesse pubblico (EIP).

Disciplina e responsabilità del revisore


L’indipendenza del revisore rispetto alla maggioranza ed
all’amministrazione è salvaguardata in diversi modi. Innanzitutto è
previsto che la nomina sia dell’assemblea ma su proposta dell’organo di
controllo (l’assemblea è libera di non procedere alla nomina, ma non potrà
proporre un revisore diverso); la durata dell’incarico è fissata a 3 esercizi
(7 o 9 negli EIP, nei quali inoltre vige il divieto di rinnovare l’incarico
dopo la scadenza se non siano decorsi almeno 3 esercizi). In secondo
luogo è prevista che il corrispettivo vada previsto in sede di nomina e non
sia variabile salvo che si presentino motivati criteri per un adeguamento.
E’ poi previsto che la revoca sia attuabile solo per giusta causa su parere
dell’organo di controllo (il Ministero dell’economia o negli EIP la Consob
possono revocare d’ufficio i revisori). Infine, viene disposto che il revisore
non debba essere in alcun modo coinvolto nei processi decisionali della
società revisionata né che possa detenere strumenti garantiti o emessi
dalla stessa, né intrattenere rapporti lavorativi non audit o rivestire cariche
sociali; in particolare è stabilito un criterio di autoresponsabilità per il
quale il revisore è tenuto a non effettuare la revisione in circostanze in cui
l’indipendenza sia compromessa. Negli EIP è poi posto un divieto di porta
girevole, per il quale non può assumere cariche sociali chi abbia svolto la
revisione prima che siano trascorsi due anni.
Il revisore gode di poteri informativi, potendo ottenere dagli
amministratori documenti e notizie utili; la sua responsabilità è solidale
con gli amministratori verso la società per i danni cagionati non
adempiendo alla diligenza professionale e la prescrizione delle azioni è
quinquennale a decorrere dalla data della relazione di revisione.

Sistemi alternativi: il dualistico (art.2409)

Il consiglio di sorveglianza ed il ruolo dell’assemblea


Il sistema dualistico prevede la presenza di un consiglio di gestione, avente
caratteristiche simili al consiglio di amministrazione, e di un consiglio di
sorveglianza, avente competenze simili al collegio sindacale ed
all’assemblea. Il consiglio di sorveglianza è necessariamente collegiale ed
è composto da almeno 3 membri, i primi indicati da statuto ed i successivi
nominati dall’assemblea; nelle quotate è obbligatoria la nomina di un
componente da parte della minoranza con voto di lista. I requisiti di
professionalità, in particolare l’iscrizione nel registro dei revisori legali,
deve ricorrere per uno solo dei componenti, mentre nelle quotate sono
fissati dal regolamento del Ministro della Giustizia; quando
all’indipendenza, è vietato solamente il cumulo con la carica di consigliere
di gestione e con rapporti di lavoro. Mentre il compenso non è variabile in
corso di mandato, la revoca è attuabile anche in assenza di giusta causa con
voto favorevole di almeno 1/5 del capitale; il termine di durata rimane fisso a 3
anni e non è prevista né la cooptazione né il ricorso a supplenti, dovendo
l’assemblea provvedere alla sostituzione.
Quanto alla funzione di controllo, il consiglio di sorveglianza ha le stesse
prerogative del collegio sindacale e stessi poteri ispettori, attuabili tuttavia
solo in seguito di deliberazione collegiale (nelle quotate è richiedibile,
sempre con delibera collegiale, anche dal singolo sindaco), oltre che
medesimi poteri di convocazione (nelle quotate il singolo sindaco può
inoltre convocare il consiglio di gestione ed è possibile collegialmente
convocare l’assemblea anche al di fuori dei casi previsti dal codice) e di
denuncia in caso di irregolarità. Importante è il rapporto instaurato con
l’organo di gestione, del quale nomina i membri ed eventualmente li
revoca, ne approva il bilancio ed autorizza l’azione di responsabilità;
ulteriori poteri possono essere previsti dallo statuto in relazione
all’approvazione di operazioni strategiche.
Risulta invece compresso il ruolo dell’assemblea, che vede esclusa ogni
competenza in sede di nomina e revoca dei consiglieri di gestione e di
approvazione di bilancio (salvo che 1/3 del consiglio di gestione o
sorveglianza non lo demandi ad essa in caso di inapprovazione del
bilancio), conservando tuttavia i ruoli di nomina del revisore, la
competenza in materia di distribuzione degli utili, nonché (in concorrenza
col consiglio di sorveglianza) la proposta dell’azione contro gli
amministratori e naturalmente la nomina dei consiglieri di sorveglianza.
Il presidente del consiglio è eletto dall’assemblea; il consiglio si riunisce
con cadenza trimestrale con quorum costitutivo della maggioranza dei
componenti e deliberativo della maggioranza assoluta dei presenti; le
deliberazioni possono essere impugnate solo dai consiglieri di sorveglianza
assenti e dissenzienti con l’azione di annullabilità. I consiglieri, come i
sindaci, devono adempiere ai loro doveri con diligenza richiesta dalla
natura dell’incarico, rispondendo a responsabilità per omessa vigilanza
nei confronti del consiglio di gestione, promossa dall’assemblea ordinaria.

Il consiglio di gestione
L’organo di gestione esercita esclusivamente la gestione dell’impresa; è di
natura necessariamente collegiale e composto dal almeno due componenti,
nominati dal consiglio di sorveglianza, che si occupa inoltre della loro
eventuale revoca anche in assenza di giusta causa (salvo in tal caso il
risarcimento danni). La durata è come per il sistema tradizionale triennale
ma non è prevista la cooptazione e la sostituzione dev’essere disposta al
venir meno del componente dall’organo di sorveglianza. L’azione sociale
di responsabilità è promossa con delibera, comportante revoca automatica,
dell’assemblea ordinaria (o su iniziativa di una sua minoranza) o del
consiglio di sorveglianza.
Il sistema monistico (2409)

Composizione e funzione del comitato di controllo sulla gestione


Il sistema monistico prevede la costituzione interna all’organo di
amministrazione di un comitato per il controllo sulla gestione composto da
amministratori indipendenti aventi competenze simili ai sindaci. I
componenti del comitato sono nominati dal c.d.a. stesso (il comitato
risulta quindi meno indipendente da quest’ultimo), tuttavia è previsto che
almeno 1/3 degli amministratori risulti in possesso dei requisiti di
indipendenza stabiliti per i sindaci, e tra questi saranno scelti i componenti
del comitato, che non devono inoltre avere ruoli amministrativi esecutivi
(nelle quotate dev’essere nominato almeno un amministratore di
minoranza con meccanismo di lista); l’eventuale revoca è attuata dallo
stesso c.d.a. anche senza giusta causa (salvo il risarcimento del danno), e
non comporta la cessazione dalla carica di amministratore.
Le funzioni del comitato sono simili a quelle del collegio sindacale,
tuttavia è espressamente previsto il solo potere di scambiare informazioni
con il revisore, ritenendosi, nelle non quotate, a) che gli siano attribuiti i
poteri informativi comuni degli amministratori conseguenti al dovere di
agire in modo informato e b) che gli sia riconosciuto un potere collegiale
di ispezione e controllo, in quanto essenziale alla loro funzione; è invece
espressamente previsto per le quotate un potere di ispezione attribuito anche ai
singoli componenti del comitato. Il comitato di controllo si riunisce
trimestralmente con convocazione del presidente, quando occorre sollecitato
dai membri con quorum costitutivo della maggioranza dei componenti e
deliberativo della maggioranza dei presenti. Essendo i membri del comitato
amministratori, trova applicazione la disciplina della responsabilità degli
amministratori, che discende dal mancato rispetto della diligenza richiesta
dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

Il controllo giudiziario sulla gestione (art.2409)


Nelle s.p.a. è previsto, oltre ai meccanismi di controllo interno, un
meccanismo di controllo esterno di natura giudiziaria, avente natura
eccezionale in quanto configurante una forte interferenza sulla gestione ed
applicabile pertanto solo quando esplicitamente previsto (per le s.p.a., le
s.r.l. e le cooperative). Il presupposto della denuncia è il fondato sospetto
di gravi irregolarità, ed è previsto che basti il sospetto in quanto i soci non
hanno la possibilità di consultare i documenti sociali né i libri delle
adunanze degli amministratori, non potendo quindi fornire un’effettiva
prova, mentre le gravi irregolarità sono riferibili alla violazione dei doveri
degli amministratori nella gestione, e che non riguardino violazioni
formali ma atti idonei a danneggiare la società. Sono legittimati alla
denunzia gli azionisti, quando rappresentino il 10% del capitale sociale o
il 5% per le aperte (gli statuti possono diminuire tali percentuali, fornendo
una più forte tutela alla minoranza, ma non aumentarle), l’organo di
controllo ed il P.M.(solo nelle aperte) cosicché coloro che non raggiungano
tale quota potranno rivolgersi ad essi per stimolare un controllo.
La procedura prevede che il Tribunale ascolti gli organi e verifichi la
fondatezza della denuncia; quando questa lo risulti, il Tribunale potrà
procedere a sospendere la procedura per ravvedimento operoso quando la
società abbia sostituito amministratori e sindaci con altri organi di
adeguata professionalità che si impegnino in un programma di
risanamento, ma quando ciò non accada il Tribunale nomina un ispettore
giudiziale, ed al termine della sua ispezione sono adottati opportuni
provvedimenti provvisori (viene data ampia discrezionalità dalla legge).
Nei casi più gravi viene nominato un amministratore giudiziario in
sostituzione degli amministratori ed eventualmente dei sindaci, che
verranno revocati giudizialmente. Esso svolge funzioni di risanamento,
avendo poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione e quando
necessario i poteri dell’assemblea, potendo inoltre proporre azione sociale
contro gli amministratori; al termine della sua attività dovrà convocare
l’assemblea affinché a) approvi i nuovi organi della società risanata o b)
la messa in liquidazione della società o l’autofallimento quando non sia
stato possibile risanarla.

La documentazione dell’attività sociale


La società deve tenere diverse evidenze della sua attività. A prescindere dal
carattere commerciale o meno dell’attività, essa deve tenere conti
dell’iniziative economica tra cui il bilancio e libri societari relativi ai
profili societari dell’ente, documentati a) l’attività degli organi, di cui ne
contengono i verbali (libro delle adunanze assembleari ecc.), b)
informazioni sui rapporti di investimento e finanziamento di natura
societaria (libro dei soci, delle obbligazioni, degli strumenti finanziari). Le
scritture contabili ed il libri sociali sono documenti interni non consultabili
dai soci (salvi il libro dei soci e delle adunanze assembleari).

Il bilancio di esercizio (artt.2423ss)


Il bilancio d’esercizio è l’insieme di documenti rappresentante in modo
veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società,
nonché il risultato economico di ciascun esercizio, avente durata
inderogabile di un anno e svolgente funzione informativa verso il mercato,
essendo quindi sottoposto a regime di pubblicità, potendo tutti i portatori
di interesse evincere i dati patrimoniali e finanziari contenuti, funzione
estimativa dei risultati, determinando se il patrimonio netto sia maggiore e
di quanto rispetto al capitale, funzione organizzativa, fungendo i dati da
parametro e limite (come nel caso di emissione di obbligazioni o acquisto
di azioni proprie).
La natura degli interessi tutelati spiega l’inderogabilità della relativa
disciplina, che vede in ordine gerarchico a) delle clausole generali, vertici
dell’intera struttura normativa, b) dei principi di redazione applicativi delle
clausole generali ed indicativi pertanto dei criteri generali di iscrivibilità e
valutazione e c) delle disposizioni attuative delineanti la composizione del
bilancio; alla disciplina civilistica si affiancano dei d) principi contabili
contenenti dei criteri guida utili nell’interpretazione delle norme,
nell’integrazione della disciplina e nell’applicazione della stessa; questi
non hanno tuttavia valore normativo, cosicché non può farsi ricorso ad essi
quando in contrasto con la disciplina normativa. Il principale insieme di
regole è in particolare l’IFRS, che ha assunto valore normativo nelle
quotate, le quali sono obbligate a redigere il bilancio secondo questi
principi, ed è inoltre accordata alle società di altro tipo superanti le soglie
che le permettono la redazione del bilancio in forma abbreviata la facoltà
di applicarli.

Le clausole generali
-Il principio di verità è il fulcro dell’intera disciplina ed è strettamente
correlato alla funzione informativa del bilancio, che deve indicare un
risultato ed una situazione patrimoniale e finanziaria veritieri, ed è cioè
necessario che a) che gli elementi patrimoniali, proventi e costi iscritti
siano reali e completi e che b) ciascun elemento sia iscritto secondo il suo
valore reale, rendendosi quindi necessario che la valutazione dei cespiti
(per i quali esista un margine di discrezionalità) abbia valore attendibile e
che la stima sia oggettiva e tecnicamente corretta, in definitiva veritiera.
-Il principio di chiarezza impone un’esposizione ordinata, trasparente ed
intellegibile dei dati, essendo necessario somministrare le informazioni in
maniera chiara; ciò è garantito a) dalla struttura di bilancio delineata dalla
legge e b) dal rispetto dell’ordine delle voci e della collocazione delle
informazioni
-Il principio di correttezza è corollario degli altri due: un bilancio è vero
quando adeguato tecnicamente, ossia quando segua corretti principi
contabili e corrette regole aziendalistiche, mentre è chiaro quando sia
redatto secondo buona fede oggettiva, in maniera non fuorviante e trasparente.
Le tre clausole sono strumento interpretativo di tutta la disciplina e sono
sovraordinate rispetto alle disposizioni attuative, tanto che queste sono
disapplicate in circostanze straordinarie, quando non idonee a fornire una
rappresentazione veritiera e corretta; non risultano invece inapplicabili i principi
di redazione, loro conseguenza logica.

I principi tecnici di redazione


I principi tecnici, conseguenza logica delle clausole di cui sono chiave di
lettura, sono i criteri tecnici da applicare nella redazione e risultano
sovraordinati alle disposizioni attuative, di cui sono a loro volta
fondamento logico.
-Il principio di prudenza è relativo all’iscrivibilità degli elementi
nell’attivo e nel passivo ed alla loro valutazione, dovendosi evitare che
essa indichi una consistenza patrimoniale solo sperata, ossia non poggiata
sulla certezza della sua esistenza; da ciò deriva a) il principio di
realizzazione, per il quale si possono indicare esclusivamente gli utili
giuridicamente conseguiti alla data di chiusura dell’esercizio e non quelli
sperati (per quanto il loro conseguimento sia certo), e b) il principio di
dissimmetria, per il quale vanno inserite non solo le diminuzioni
patrimoniali già concretizzate, ma anche quelle temute e probabili con
iscrizione in un fondo rischi.
-Il principio di continuità dell’attività prevede che gli elementi
patrimoniali vadano valutati non per il valore corrente, bensì per il valore
d’uso nella prospettiva della continuazione dell’attività, cosicché risulterà
minore il loro valore in sede di liquidazione.
-Il principio di competenza prevede che le poste vadano inserite per
competenza e non per cassa, cioè che queste vadano inserite nel bilancio
relativo all’esercizio a cui sono giuridicamente ed economicamente
imputabili, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento.

La struttura del bilancio


Il bilancio si compone di stato patrimoniale, conto economico, rendiconto
finanziario e nota integrativa.
a) Lo stato patrimoniale è rappresentazione di una situazione statica,
enunciando nei blocchi contrapposti di attivo e passivo le componenti
del patrimonio alla chiusura dell’esercizio. L’attivo presenta i) le
immobilizzazioni, beni destinati durevolmente all’attività sociale,
iscritte al costo di acquisto o produzione, corrispondente al valore
d’uso (principio di continuità) in quanto indice dell’utilità attesa dalla
società, potendo eventuali plusvalenze essere inserite solo in caso di
cessione (principio di prudenza); ii) l’attivo circolante, formato dai
beni di cui la società deve disfarsi nel corso dell’esercizio (rimanenze,
crediti nel valore presumibile di liquidazione, liquidità). Il passivo
presenta i) i debiti ripartiti per categorie di creditori, ii) i fondi per
rischi ed oneri (passività certe nel quanto ma non nel quando o
passività probabili), iii) il patrimonio netto, differenza tra il valore
dell’attivo e del passivo, ed inserito al passivo in quanto ulteriore
esposizione nei confronti dei terzi, composto dal capitale sociale,
porzione del netto soggetto a vincolo di indisponibilità (se il netto è
inferiore, il capitale si bilancerà con una perdita di esercizio di segno
negativo, se è maggiore si inseriranno con segno positivo iscrizioni a
riserva o ad utili), dalle riserve (legali, formata prelevando
annualmente 5% dell’utile finché non raggiunge il valore di 1/5 del
capitale, statutarie o facoltative), rappresentanti ricchezza superiore
rispetto al capitale conservata in società e reinvestita, dagli utili di
bilancio (composti da tutti gli utili non appostati a riserva, inclusi quelli di
esercizio) e da eventuali perdite, risanate, in ordine, con utili di bilancio,
riserve, capitale.
b) Il conto economico è sintesi di un processo dinamico, riepilogando ricavi
realizzati e costi sostenuti a scalare, ossia con la loro somma algebrica,
e determinando così il risultato economico dell’esercizio. Esso presenta le
macrovoci dei valori della produzione e dei suoi costi, elaborate secondo il
principio di competenza e rappresentanti il valore complessivo della
produzione, nel quale rientrano pertanto altresì le rimanenze di magazzino;
le altre macrovoci sono relative a proventi ed oneri diversi da quelli
nascenti dall’esercizio dell’attività.
c) Il rendiconto finanziario indica l’ammontare delle disponibilità finanziarie
ed i flussi di cassa d’esercizio; la rilevazione avviene per cassa e non per
competenza.
d) La nota integrativa raccoglie informazioni illustrative dei dati contabili,
complementari alla conoscenza della situazione societaria; esse sono in
parte numeriche ed in parte narrative, analiticamente previste dalla legge.
Al bilancio si accompagna una relazione degli amministratori, resoconto
qualitativo/numerico della situazione patrimoniale e del risultato economico.

Il procedimento di formazione e l’invalidità del bilancio


L’organo gestorio redige il progetto di bilancio che viene sottoposto
all’organo di controllo, che redige una relazione, ed al revisore, che
formula un giudizio; successivamente l’assemblea ordinaria lo approva
con delibera e viene ad acquisire rilevanza giuridica, dovendo poi essere
depositato presso il registro.
La delibera di approvazione può essere impugnata con l’annullabilità per i
vizi di procedimentali, tuttavia è prevista la nullità quando il bilancio non
sia conforme alla disciplina sulla sua redazione per illiceità dell’oggetto
della delibera (il bilancio) data dalla contrarietà a norme imperative;
tuttavia, per evitare impugnative meramente ostruzionistiche è previsto a)
la decadenza della legittimazione all’approvazione del successivo bilancio
e b) che quando il revisore ha espresso giudizio positivo (anche con rilievi
nelle quotate) i soci possano proporre l’azione solo se rappresentano il 5%
del capitale.

12. La s.r.l. e la s.a.p.a.

Caratteristiche e struttura formale

Caratteristiche di base
La s.r.l. presenta una costituzione di base caratterizzata dal ruolo
maggiormente rilevante, rispetto alle s.p.a., della componente sociale, che
continua a rispondere in maniera limitata, cui si affianca un più ampio
ruolo dell’autonomia negoziale e dei rapporti tra i soci. Alla disciplina
generale si affiancano poi alcune discipline speciali, tra cui quella del
regolamento europeo 2003/361, per il quale sono classificabili come PMI
(piccole-medie imprese), caratterizzate da una particolare disciplina, per la
quale possono raccogliere risorse da canali alternativi, le imprese aventi
meno di 250 dipendenti, fatturato non superiore a 50 milioni o un totale
del bilancio annuo non superiore a 43 milioni, o quella delle s.r.l.
costituibili con capitale ridotto.

La costituzione della s.r.l. (artt.2463ss)


A differenza della s.p.a., la s.r.l. può costituirsi solo per costituzione
simultanea e non con pubblica sottoscrizione, con contratto o con atto
unilaterale, essendo quindi concessa la costituzione di una s.r.l.
unipersonale, alle condizioni a) che i soci depositino nel registro entro
trenta giorni dalla costituzione o dall’avvenuta unipersonalità una
dichiarazione contenente tutte le generalità del socio unico e che b) a
tutela dell’integrità sia versato immediatamente l’intero ammontare del
capitale sottoscritto (se la pluralità viene meno i versamenti ancora dovuti
vanno effettuati entro 90 giorni) e che c) i contratti con l’unico socio sono
opponibili ai creditori solo se risultano dal libro delle decisioni degli
amministratori; in violazione degli obblighi di cui a) e b), il socio risponde
illimitatamente delle obbligazioni sorte mentre la s.r.l. era unipersonale.
Per dare vita ad una s.r.l. occorre redigere con la forma di atto pubblico
l’atto costitutivo, che deve contenere una serie di aspetti ed altre previsioni
inseribili dai soci; si ritiene poi che all’atto costitutivo, contenete i dati
storici relativi alla società, si possa affiancare lo statuto, parte integrante
dell’atto costitutivo e contenente le regole organizzative.
Non è poi prevista una specifica disciplina relativa ai patti parasociali, per
cui si ritiene che il legislatore intendesse dare ai soci la possibilità di
prevedere già nello statuto ogni previsione frutto di negoziazione, in virtù
della maggiore libertà loro concessa in termini di libertà negoziale. Anche
per le s.r.l. è necessario che sia sottoscritto per intero il capitale sociale e
che siano rispettate le previsioni sui conferimenti previste per le s.p.a.
Una volta predisposto l’atto, il notaio effettua, come nelle s.p.a. il controllo
di legalità depositando poi lo statuto presso il registro, che dopo un
controllo formale effettua l’iscrizione e rende la società dotata di
personalità giuridica.
Le modifiche dell’atto costitutivo (art.2479-2480)
Le modifiche all’atto sono riservate alla competenza dei soci che le
deliberano in assemblea (non straordinaria, essendo prevista solo
l’ordinaria) con voto favorevole di metà del capitale sociale; la delibera è
verbalizzata da un notaio che la deposita chiedendone l’iscrizione, che
avviene ad opera dell’ufficio dopo il controllo formale, rendendola
efficace. Qualora il notaio non procedesse con l’iscrizione, la società potrà
richiederla al tribunale come nelle s.p.a.

Le s.r.l. semplificate nella costituzione (art.2463)


Alle s.r.l. semplificate si applica una disciplina speciale in fase costitutiva.
Esse possono essere costituite solo da persone fisiche (e non anche dalle
giuridiche) e vedono una sostanziale riduzione dei costi, non essendo
dovuti nemmeno gli onorari notarili ma solo l’imposta di registro, essendo
al notaio sottoposto un modello standardizzato tuttavia non modificabile
dalle parti, sacrificanti la possibilità di modellarlo. Le semplificate
devono inoltre avere un capitale sociale sottoscritto ed interamente
versato inferiore a 10000 euro, conferito necessariamente in denaro;
sebbene abbia entità ridotta, ad esse si applicano comunque le disposizioni
sul capitale. Le semplificate sono comunque riconducibili al tipo s.r.l., non
essendo un tipo autonomo; potranno evolversi in s.r.l. ordinarie, mentre è
negato il processo inverso, essendo tale tipo applicabile per la fase di
avvio dell’attività.

La struttura finanziaria

Capitale sociale e conferimenti (artt.2463ss)


Quanto al capitale, la principale differenza con le s.p.a. è che capitale
sociale minimo non può essere inferiore a 10000 euro. Un’altra differenza
è relativa alle entità conferibili, che possono essere tutti gli elementi attivi
suscettibili di valutazione economica, essendo pertanto prevedibili da
statuto non solo conferimenti diversi dal denaro, come beni in natura o
crediti (tutti e tre da conferire secondo le regole delle s.p.a.; non è però
previsto esplicitamente un controllo del valore da parte degli
amministratori, e che il valore sia certificatile da un esperto scelto dai soci
e non dal tribunale), ma anche prestazioni d’opera o servizi, accentuanti la
dimensione personalistica della società, purché il loro valore sia assicurato
con polizza assicurativa o fideiussione bancaria; il socio può inoltre
evitare il versamento del 25% fornendo lo stesso tipo di garanzia. Qualora
il socio non effettui i conferimenti quando richiesto, si potrà applicare la
disciplina del socio moroso, per la quale il socio viene innanzitutto i)
diffidato all’adempimento entro 30 giorni; ii) decorso il termine la sua
partecipazione viene offerta proporzionalmente agli altri soci, iii) in mancanza
di offerte viene venduta all’asta, in mancanza di compratori, gli amministratori
escludono il socio, trattengono le somme già riscosse e riducono in misura
corrispondente il capitale. La cessione di partecipazione di azioni non
interamente liberate segue le regole della s.p.a.
Le operazioni sul capitale possono avvenire in via nominale o reale.
L’aumento nominale consiste in una imputazione contabile delle riserve a
capitale (come nella s.p.a.) che lascia immutato il rapporto tra partecipazione e
capitale; l’aumento reale consiste in un effettivo incremento dell’attivo dato
dalla sottoscrizione di nuovi conferimenti, attuabile dai soci solo quando tutti i
precedenti conferimenti siano stati liberati. In sostituzione del diritto di opzione
è previsto il diritto di sottoscrizione, che consente ai soci di sottoscrivere il
capitale in proporzione alle partecipazioni possedute così da mantenere
immutata la posizione nella società. L’atto costitutivo può tuttavia prevedere
che l’aumento possa essere attuato mediante offerta di partecipazioni di nuova
emissione a terzi senza l’introduzione di un sovrapprezzo, ed essendo i soci
esposti al pericolo che si modifichi la loro posizione viene accordato il diritto di
recesso a coloro che non abbiano deciso l’aumento. L’aumento reale può quindi
comportare l’accrescimento delle quote esistenti o l’emissione di nuove quote.
La riduzione reale può aver luogo mediante rimborso ai soci delle quote pagate
o mediante liberazione dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti; come nelle
s.p.a., diventa effettiva dopo 90 giorni dall’iscrizione, nel corso dei quali
valgono le stesse disposizioni da differenza di quanto accade nelle s.p.a., non è
necessario indicare la ragione della riduzione. La riduzione nominale consiste
in un adeguamento contabile, mediante i fondi, delle perdite verificatesi; come
nelle s.p.a., vi possono essere casi di riduzione facoltativi ed obbligatori
(perdita superiore al terzo e perdita doppiamente qualificata). In tutti i casi di
riduzione per perdite, queste devono incidere proporzionalmente su tutti i soci.
Le s.r.l. con capitale inferiore ai 10000 euro sono caratterizzate da regole
specifiche, oltre che per il capitale, in tema a) di conferimenti, effettuabili
esclusivamente in denaro e per intero alla sottoscrizione, b) di riserva legale,
per cui è previsto che sia detratto 1/5 degli utili annuali finché non arrivi
all’ammontare di 10000 euro.
Le partecipazioni dei soci (artt.2468ss)
Le partecipazioni dei soci s.r.l. non possono essere rappresentate da azioni
e non possono essere incorporate pertanto in titoli di credito, non
essendogli quindi applicabile la relativa disciplina circolatoria, non
possono essere suddivisibili in frazioni omogenee del capitale né possono
essere offerte al pubblico di prodotti finanziari (fatta eccezione per le
PMI); ciascun socio risulta quindi titolare di una singola partecipazione
rappresentativa di un complesso di situazioni giuridiche. Essa risulta
tuttavia divisibile, e di ciò è dato conferma nelle norme sul socio moroso o
recedente (per cui la partecipazione può essere acquistata da altri soci
proporzionalmente); la misura della partecipazione dipende dal
conferimento effettuato, salva diversa disposizione statutaria, e da essa
dipendono in misura proporzionale al suo peso i diritti societari.
Mentre nelle s.p.a. è previsto che le azioni attribuiscano pari diritti salvo
che vengano create diverse categorie di azioni, nelle s.r.l., in enfasi alla
persona dei soci, è previsto che a questa siano attribuibili con previsione
statutaria diritti particolari che possono essere di natura amministrativa
(facoltà di scelta degli amministratori, la riserva della funzione di
amministratore, diritto di veto o di decisione su alcuni atti gestori),
patrimoniale (percentuali qualificate di distribuzione degli utili, priorità
nel prelievo del dividendo) o di natura atipica (diritto di recesso più ampio
o di prelazione); essendo tali diritti legati alla natura del socio, e non alla
partecipazione, si ritiene che in caso di trasferimento della quota i diritti
particolari si estinguano. E’ inoltre previsto che possano essere modificati
o inseriti solo con il consenso unanime dei soci (potendo variare la
posizione di questi ultimi); qualora si produca una modifica indiretta,
riflesso di un’operazione approvata dai soci a maggioranza e che incida
direttamente sul diritto, si ritiene che al socio non consenziente spetti il
diritto di recesso. Per disposizione speciale, è accordata la possibilità nelle
PMI di creare serie di partecipazioni dotate oggettivamente di diritti
particolari e collocabili sul mercato per la raccolta di capitale per il
tramite di un intermediario che sottoscrive in nome proprio ma per conto
dell’aderente all’offerta.

Le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per


successione salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, che può
introdurre clausole di gradimento o di prelazione o escludere la
trasferibilità con divieto. A tutela della facoltà di disinvestimento del
socio, è previsto che quando l’atto prescriva divieto di trasferimento o che
lo subordini a mero gradimento, il socio può effettuare diritto di recesso.
L’atto di trasferimento deve essere redatto per iscritto con atto pubblico o
sottoscrizione autenticata e diverrà efficace dal momento del deposito
presso il registro a cura del notaio; in caso di contrasto tra più acquirenti,
è preferito invece colui che per primo ha effettuato in buona fede
l’iscrizione nel registro. Nel caso delle PMI l’alienazione può avvenire
mediante annotazione del trasferimento nel registro dell’intermediario;
l’acquirente si legittima nei confronti della società esibendo un’apposita
certificazione da esso rilasciata.

La società non può acquistare o accettare in garanzia partecipazioni


proprie o accordare prestiti o garanzie per il loro acquisto o
sottoscrizione, pena nullità dell’atto. La partecipazione può formare
oggetto di espropriazione; nel caso di azione non liberamente trasferibile è
prevista una disciplina tutelante l’interesse dei creditori a soddisfarsi sulla
partecipazione e quello sociale di non far entrare soci non graditi, cosicché
è prevista una fase finalizzata al raggiungimento di un accordo per la
cessione della partecipazione, e se non viene raggiunto porta alla vendita
all’incanto, che può essere resa priva di effetto dalla società quando entro
10 giorni dall’aggiudicazione un altro acquirente offra lo stesso prezzo, in
particolare quando il primo acquirente non risulti gradito alla società.
Come nella s.p.a., l’azione può essere oggetto di pegno, usufrutto e sequestro.

Il finanziamento dei soci (art.2467)


Il legislatore si occupa dei finanziamenti forniti dal socio alla società
quando questa necessiti di nuovi capitali, e cioè quando la società, non
avente risorse finanziarie adeguate, venga soddisfatta con capitale di
credito e non di rischio, creandosi una situazione di sottocapitalizzazione
nominale; i soci si sottopongono così a rischio non d’impresa, bensì di
credito, avendo diritto al rimborso di quanto prestato. D’altronde il socio
non è un qualunque creditore, avendo accesso ad atti riguardanti la
gestione sociale e poteri ispettori più penetranti di quelli del socio di s.p.a.,
di qui la necessità di una disciplina che non lo renda pari a creditori: è
dunque previsto che il credito dei soci sia postergato rispetto a quello
degli altri creditori quando sia concesso in un momento di squilibrio
dell’indebitamento (di oltre 1/4) rispetto al patrimonio netto che avrebbe
reso più opportuno un conferimento; inoltre, in caso di fallimento, se il
rimborso del finanziamento è stato effettuato nell’anno anteriore, esso
viene dichiarato inefficace e rientra nella massa attiva. In tale circostanze il
credito dei soci viene quindi assimilato ad un conferimento. Tale disciplina
si applicherebbe soltanto durante la vita della società, in quanto si
tratterebbero i finanziamenti dei soci in maniera più vincolante delle poste
del patrimonio netto.

I titoli di debito (art.2483)


Alla s.r.l. è consentita l’emissione di titoli di debito, titoli di massa
rappresentativi una frazione predeterminata di un debito pecuniario,
potendo così ricorrere (anche le non PMI) al mercato del capitale di
credito; la possibilità di emissione va prevista con clausola nell’atto
indicante il soggetto cui compete la decisione di emissione (soci o
amministratori), che specifica poi modalità del rimborso e condizioni del
prestito all’emissione (per modificare queste ultime sarà necessario
l’assenso di tutti i possessori di titoli). Considerata la minore affidabilità
patrimoniale delle s.r.l., è previsto che i titoli siano sottoscrivibili solo da
investitori professionali, che possono sì vendere i titoli ad altri soggetti ma
assumendo garanzia della solvenza della società verso il compratore, a
meno che non sia anch’egli un investitore professionale.

L’uscita del socio dalla società (art.2473)


La disciplina della s.r.l. adotta modalità di estinzione del rapporto sociale
simili sia alla s.p.a., dalla quale trae il recesso a difesa del socio non
assenziente come contrappeso del potere di maggioranza di mutare gli
elementi fondamentali della società, sia alle società di persone, dalle quali
trae l’esclusione attuabile al verificarsi di fatti che rendono inopportuna la
permanenza in società di un socio.
Il recesso è accordato innanzitutto a) in cause legali ed inderogabili
dall’atto ai soci non assenzienti ad importanti modifiche della società
(come quelle definite nelle s.p.a. o che alterino di riflesso i diritti del socio)
o del diritto di recesso stesso (eliminazione di una o più cause statutarie di
recesso, o quando questo venga subordinato a condizioni ulteriori prima
non previste), operando in questi casi come correttore della maggioranza;
viene inoltre accordato il recesso ad nutum (previa preavviso) in caso di
società costituita a tempo indeterminato. Ulteriori cause di recesso b)
convenzionali possono essere previste dall’atto (come in caso di mancato
raggiungimento di obiettivi aziendali), ma non si ritiene che sia
ammissibile, nelle società a tempo determinato, l’introduzione del recesso
ad nutum. Se l’atto lo prevede, il recesso può essere parziale e riguardare
solo una parte della partecipazione. L’atto costitutivo può stabilire i
termini di esercizio del diritto, purché non lo rendano troppo gravoso.
Quanto all’attuazione, come nelle s.p.a., non si produce da subito
l’estinzione del rapporto partecipativo, venendo prima la quota offerta in
proporzione ad altri soci o a terzi. Il rimborso deve poi effettuarsi in 180
giorni dalla comunicazione del recesso, divenendo poi il socio legittimato
ad agire quale titolare di un diritto di credito.
L’esclusione opera in maniera eventuale e può essere prevista
dall’autonomia statutaria (fatta eccezione per l’esclusione legale del socio
moroso) per specifiche ipotesi di giusta causa che rendono inopportuna la
permanenza del socio in seguito al verificarsi di fatti relativi alla sua
persona; la giusta causa, relativa alla meritevolezza dell’interesse tutelato
mediante l’esclusione, è requisito di legittimità della clausola e, quando la
fattispecie richieda una valutazione discrezionale, opera da criterio di
valutazione della gravità. Altro requisito della validità è che le clausole di
esclusione siano enunciate in modo preciso e puntuale(requisito di
specificità) cosicché il socio conosca dal principio il comportamento dante
luogo all’esclusione. Al verificarsi della fattispecie, l’esclusione può operare
automaticamente o attribuire il potere di decidere l’esclusione (facoltativa). Il socio
ha diritto di opporsi davanti al Tribunale chiedendo la sospensione dell’esecuzione.

La struttura organizzativa (artt.2475ss)


In ragione delle contenute dimensioni della s.r.l., viene prevista una
disciplina avente come caratteristiche principali la flessibilità del sistema
di amministrazione e l’attribuzione ai soci di un ruolo attivo e centrale: i
soci non sono esclusi dalla gestione ed hanno accesso alle informazioni ed
ai documenti societari, potendo inoltre ingerirsi nella gestione (viene
dunque meno la separazione delle competenze propria della s.p.a.). La
forte autonomia negoziale può poi dare ancora più rilievo alla componente
organizzativa personalistica, attribuendo competenze gestorie aggiuntive ai
soci e adottando i sistemi amministrativi delle società di persone. Non esiste poi
(di base) un organo di sorveglianza, essendo questa affidata ai soci.
Le competenze dei soci ed i procedimenti decisionali
I soci s.r.l. hanno competenze gestorie concorrenti a quelle degli
amministratori ed accettabili dall’autonomia statutaria. Un primo gruppo
di a) competenze necessarie è attribuito inderogabilmente ai soci in virtù
della rilevanza delle materie, relative alla struttura societaria, e vi rientrano
le modifiche dell’atto costitutivo, le operazioni gestorie modificanti
l’oggetto sociale o i diritti dei soci, l’approvazione del bilancio, la nomina/
revoca del sindaco o revisore; un secondo gruppo di b) competenze
normalmente dei soci ma derogabili in virtù dell’attribuzione di diritti
speciali a singoli soci è quello includente la nomina degli amministratori e
la distribuzione degli utili; c) sono poi attribuibili ulteriori competenze
eventuali quando 1/3 dei soci o almeno un amministratore decidano di
sottoporre un argomento ai soci; d) comprimendo il potere degli
amministratori, lo statuto può attribuire ulteriori competenze esclusive
(come l’emissione di titoli di debito) di qualsiasi tipo.
Il coinvolgimento dei soci nella gestione è quindi istituzionalizzato, tanto che i
soci autorizzanti o decidenti atti lesivi rispondono in solido con gli
amministratori che li hanno attuati; in particolare, mentre ai soci spetta il
potere decisorio, spetta agli amministratori il potere di attuare le decisioni e
quindi la prerogativa di filtrare le decisioni lesive, potendo essi rifiutarsi di
attuarle.

Il procedimento decisionale non è necessariamente assembleare, pur


essendo le principali decisioni riservate all’assemblea, ed è anzi previsto
un procedimento non assembleare che consenta l’assunzione di decisioni
con maggiore velocità.
In particolare, il procedimento assembleare, assicurante un’adeguata
ponderatezza ad ogni decisione, segue metodo collegiale, tuttavia la
disciplina è molto più scarna e l’applicazione analogica del modello s.p.a.
va “corretta” alla luce delle specificità della s.r.l.
i) La convocazione avviene nelle forme previste dallo statuto purché si
assicuri l’informazione su tutti gli elementi da trattare; si ritengono
legittimati gli amministratori e l’eventuale organo di controllo nella loro inerzia.
ii) Sono legittimati ad intervenire tutti i soci (fatta eccezione quelli delle
PMI con quota avente diritto di voto limitato). iii) Non è prevista
un’articolazione dell’assemblea in ordinaria e straordinaria, ma è
comunque previsto un rafforzamento del quorum deliberativo per decisioni
rilevanti (oltre che la verbalizzazione notarile): il quorum costitutivo è
della metà del capitale avente diritto di voto, quello deliberativo è della
metà del capitale presente o, in caso di delibere su modifiche dell’atto
costitutivo o di operazioni gestorie di particolare importanza della metà del
capitale; i quorum possono essere aumentati o diminuiti dall’atto fino a
potersi richiedere l’unanimità. Non è prevista, salvo disposizione dell’atto,
una divisione in prima e seconda convocazione. iv) E’ necessario redigere
il verbale analitico prima dell’assemblea successiva. v) Una volta adottate,
le delibere sono immediatamente efficaci, salvo quelle modificanti l’atto,
efficaci in seguito all’iscrizione.
Le decisioni non collegiali, assicuranti un’elevata agilità decisionale,
prevedono una consultazione scritta ed una raccolta del consenso nella
medesima forma ad un quorum deliberativo più elevato (modificabile in
alto o in basso) della metà del capitale; tale formulazione consente
un’ampia discrezionalità, purché i soci risultino informati in tempo utile
dell’inizio del processo avendo la possibilità di prendervi parte. E’ poi previsto
che ciascun amministratore o i soci rappresentati il terzo del capitale possano
chiedere l’interruzione della procedura e la convocazione dell’assemblea.

Quanto all’invalidità delle decisioni, non è prevista una formale


distinzione tra nullità e annullabilità, facendosi piuttosto riferimento ad
una generica impugnazione. Sostanzialmente, come nella s.p.a., i vizi si
dividono in una a) categoria generale e residuale di difetto di conformità
alla legge o all’atto costitutivo, nella quale rientrano i vizi procedimentali,
l’abuso del diritto di voto, il caso di conflitto di interessi del socio il cui
voto sia stato determinante, la mancanza del verbale (nella s.p.a. causa di
nullità), e b) una categoria specifica comprendente l’assenza assoluta di
informazione, consistente nella mancata comunicazione dell’avvio del
processo decisionale ad uno o più soci, e l’illiceità o l’impossibilità
dell’oggetto; le decisioni rientranti in a) sono impugnabili dai soci non
assenzienti, dagli amministratori e dall’organo di controllo nel termine di
3 anni, quelle rientranti in b) nel termine di 90 giorni da chiunque ne
abbia interesse, mentre rimane imprescrittibile l’azione contro la decisione
introducente un oggetto sociale impossibile o illecito. Il procedimento di
impagugnazione è equivalente a quello previsto per le s.p.a.

L’amministrazione
Gli amministratori svolgono funzione gestoria generale in concorrenza ai
soci, che possono sottrargli, ad opera dello statuto, alcune prerogative,
sulle quali gli amministratori svolgono comunque la funzione di filtro già
esposta; sono nominati dai soci (sono nominabili soci o soggetti esterni) se
non disposto differentemente dall’atto, che può attribuire diritti particolari
di nomina o designare dei possibili amministratori tra cui scegliere, e la
relativa nomina va iscritta nel registro delle imprese (l’eventuale invalidità
non è opponibile ai terzi che non ne fossero a conoscenza). La durata della
carica è indicata dall’atto costitutivo o dalla nomina e può essere anche a
tempo indeterminato. I soggetti titolari del potere di nomina possono
revocare gli amministratori in qualsiasi momento anche in assenza di
giusta causa ed ogni socio può chiedere la revoca giudiziaria in caso di
gravi irregolarità; non è invece revocabile l’amministratore titolare di
diritto particolare, se non con modifica all’unanimità del loro diritto.
L’amministrazione può essere esercitata da amministratore unico o da più
soggetti; il modello legale prevede che in caso di pluralità di
amministratori si applichi il modello del c.d.a. (rimane peraltro ferma la
possibilità di nominare degli amministratori delegati), tuttavia lo statuto
può prevedere le forme tipiche delle società di persone di amministrazione
disgiunta o congiunta, la cui disciplina richiama quella delle società di
persone, o sistemi misti, ma vanno svolti in forma necessariamente
collegiale la redazione del progetto di bilancio, fusione e scissione,
l’aumento del capitale delegato. Il passaggio da un sistema all’altro può
avvenire in qualunque momento con modifica dell’atto.
La rappresentanza legale è attribuita agli amministratori secondo i criteri
delle differenti forme di gestione, tuttavia è generale ed i relativi limiti
risultano inopponibili (salvi i limiti legali; in particolare il contratto
stipulato in conflitto di interessi del rappresentante se il conflitto era
conosciuto o conoscibile dal terzo).

Gli amministratori hanno l’obbligo di gestire diligentemente l’impresa per


l’attuazione dell’oggetto sociale, ritenendosi la diligenza di natura
professionale (“richiesta dalla natura dell’incarico”) e da affiancarsi agli
obblighi di agire in modo informato e di intervento; essi rispondono
solidalmente (a prescindere da quale sia la fonte della loro carica, quindi
anche un diritto particolare) dei danni verso la società derivanti
dall’inapplicazione di tale diligenza, salvo il loro dissenso, da applicare in
c.d.a. con il voto negativo, in amministrazione disgiunta con l’opposizione
all’atto, in congiunta con l’esercizio del veto. L’azione di responsabilità è
proponibile individualmente da qualunque socio e qualsiasi sia la sua
partecipazione in via inderogabile, spettando ai soci il diritto di controllo
sulla gestione; rimane comunque ferma la responsabilità degli
amministratori verso i creditori della società e verso i soci o terzi. In virtù
del coinvolgimento dei soci nell’amministrazione, risultano solidalmente
responsabili altresì i soci che abbiano intenzionalmente deciso o
autorizzato il fatto dannoso esercitando anche occasionalmente il potere
gestorio di cui dispongono istituzionalmente, cosicché il socio è tenuto a
valutare le conseguenze dell’operazione con una diligenza variabile a
seconda del contesto.

Il controllo
Se nella s.p.a. la funzione di controllo sulla gestione è affidata
istituzionalmente al collegio sindacale, nella s.r.l. l’esistenza di un organo
di vigilanza è meramente eventuale ed il controllo è affidato ai soci, aventi
pertanto diritto ad ottenere notizie sullo svolgimento degli affari sociali
attraverso la consultazione di documenti e libri sull’amministrazione; tali
diritti spettano ai soci non amministratori anche quando sia presente il
sindaco, avendo dunque natura inderogabile e non potendo pertanto né gli
amministratori respingere la richiesta (nel limite che il diritto sia però
usato in buona fede in modo non ostruzionistico) né lo statuto eliminarlo o
comprimerlo (salve le quote di PMI dotate di diritti diversi).
La funzione di controllo indipendente è necessaria solo al superamento di
certe soglie dimensionali, che rendono il controllo un interesse non più
solo sociale: è necessario a) che la società sia obbligata a redigere il
bilancio consolidato (essendo al vertice di un gruppo), b) l’essere
controllante di altra società obbligata alla revisione legale, c) superare per
due esercizi consecutivi 4mln di ricavi o di attivo o i 20 dipendenti.
L’organo è monocratico (se l’atto non dispone diversamente) e si ritiene
che il controllo riguardi la contabilità e la gestione; il rinvio alla disciplina
della s.p.a. fa desumere l’immodificabilità delle funzioni e dei poteri in
ragione del carattere generale degli interessi protetti. La nomina del
sindaco compete necessariamente alla collettività dei soci anche con
decisione non collegiale. Al di fuori delle ipotesi di nomina obbligatoria,
l’atto può comunque prevedere la presenza di un organo di controllo
facoltativo, le cui funzioni, creando l’affidamento dei terzi, risultino
immodificabili.
Il controllo giudiziale rimane in ogni caso attivabile con denuncia del
sindaco (se presente) o del 10% dei soci.
La s.a.p.a. (artt.2452ss)

Caratteri generali e soci accomandatari


Nella s.a.p.a., come nella s.a.s., esiste una distinzione tra soci
accomandanti ed accomandatari, tuttavia a) le quote di partecipazione
sono rappresentate da azioni e b) tutti gli accomandatari hanno il diritto
di essere amministratori (nella s.a.s. possono esserci accomandatari non
amministratori); si conserva tuttavia il loro profilo di responsabilità
solidale ed illimitata di carattere sussidiario, non potendo i creditori
pretendere da loro il pagamento. Gli accomandatari sono amministratori a
tempo indeterminato aventi una posizione forte rispetto all’assemblea, in
virtù della disciplina della loro revoca, da deliberare con la maggioranza
prescritta per le deliberazioni dell’assemblea straordinaria nelle s.p.a., e
della loro sostituzione, che prevede l’approvazione di una nomina
(effettuata con la stessa maggioranza) dagli altri amministratori rimasti in
carica a pena di inefficacia; inoltre, la cessione di azioni facenti capo
all’accomandatario non rende l’acquirente tale, essendo tale posizione
relativa al fatto individuale di essere amministratore e non al possesso di
azioni. La posizione dell’accomandatario è predominante anche in caso di
modifiche all’atto costitutivo, adottate con le maggioranze dell’assemblea
straordinaria, per le quali conserva diritto di veto. Contrappeso al loro
potere è l’indipendenza dell’organo di controllo, sulla cui nomina o revoca
e sull’azione di responsabilità gli accomandatari non hanno diritti.
L’amministrazione non può essere affidata a soggetti diversi dagli
accomandatari: la società si scioglie se cessano tutti gli amministratori e
non sono sostituiti in 180 giorni.

13. Scioglimento e liquidazione delle società di capitali

Lo scioglimento (artt.2484-2486)

Le cause di scioglimento
Le cause di scioglimento possono essere di natura legale o convenzionale.
Quelle legali, ossia previste dalla legge, sono:
a) Il decorso del termine (di natura eventuale, essendo prevedibile la
società a tempo indeterminato) ferma restando la possibilità di prorogarlo
con modifica dell’atto costitutivo; la proroga porta al diritto di recesso per
il socio non assenziente (ma non nelle s.r.l.); b) il conseguimento
dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo,
quest’ultima sia di natura materiale che giuridica e di carattere oggettivo;
al suo verificarsi lo scioglimento diventa evitabile quando, convocata
l’assemblea, questa applichi le opportune modifiche statuarie (non solo un
mutamento dell’oggetto sociale, ma anche una trasformazione o un
aumento di capitale); c) la continuata inattività dell’assemblea o
l’impossibilità del suo funzionamento, quest’ultima relativa ad una
irreversibile paralisi dell’organo che impedisca l’adozione di delibere
essenziali come l’approvazione del bilancio o il rinnovo degli organi; d) la
riduzione del capitale al di sotto del minimo legale per effetto di una
perdita superiore ad un terzo a meno che la società non si trasformi in un
tipo con capitale minimo inferiore o riduca il capitale e lo aumenti
contestualmente ad una cifra pari al minimo legale; e) il recesso del socio
che renda necessaria una riduzione che sia bloccata dai creditori; f) la
deliberazione dell’assemblea che sciolga la società prima della scadenza
del termine con modifica dell’atto costitutivo. E’ poi previsto lo
scioglimento in altre cause legali quali a) la nullità della società già
iscritta, b) il venir meno di tutti gli amministratori accomandatari nella
s.a.p.a. e c) dall’introduzione del codice della Crisi l’apertura della
procedura di liquidazione giudiziale.
Le cause convenzionali, ulteriori a quelle legali, sono prevedibili
attraverso l’inserimento di clausola statutaria nella quale sia altresì
previsto l’organo o il soggetto che deliberi o accerti lo scioglimento.

Gli effetti
Gli effetti dello scioglimento si producono con l’iscrizione nel registro
della deliberazione o della dichiarazione accertante il verificarsi di una
delle cause previste; l’organo di gestione (o nella sua inerzia il Tribunale),
accertata la causa di scioglimento, convoca l’assemblea per adottare le
deliberazioni sulla liquidazione. Il potere di gestione degli amministratori
viene ridotto, potendo esclusivamente operare ai fini della conservazione
dell’integrità e del valore patrimoniale, assumendo responsabilità qualora
eccedano tali limiti per gli eventuali danni arrecati alla società, ai soci o ai
creditori sociali ed ai terzi.
Il procedimento di liquidazione (artt. 2487-2496)

Nomina e revoca dei liquidatori


La nomina dei liquidatori compete all’assemblea, deliberante con le
maggioranze previste per la modifica dello statuto; è altresì possibile che
le disposizioni in tema di liquidazione siano già contenute nell’atto
costitutivo, rendendo l’assemblea non necessaria. La stessa nomina
contiene l’indicazione dei criteri della liquidazione (definizione dei poteri
riguardo la cessione dell’azienda, individuazione atti finalizzati alla
conservazione del valore, dell’impresa l’eventuale suo esercizio
provvisorio). I liquidatori, in assenza di indicazioni assembleari e quando
più di uno, operano secondo metodo collegiale e, in assenza di indicazioni,
con rappresentanza disgiunta spettante a ciascuno di essi; non essendo
previsto un termine per la durata in carica, si deve ritenere che essi
rimangano in carica per tutta la liquidazione. Qualora gli amministratori
non convocassero l’assemblea per la nomina o in caso di mancata
costituzione della stessa o di mancata deliberazione, interverrebbe allora il
Tribunale per la nomina dei liquidatori.
La revoca dei liquidatori è proponibile da soci (con le stesse maggioranze
previste per la nomina) sindaci o p.m. quando ricorra giusta causa, e qualora
questa fosse assente spetterebbe ai liquidatori il risarcimento del danno.
Alla nomina, ai poteri, eventualmente a modifiche o alla revoca dei
liquidatori si dà pubblicità attraverso l’iscrizione nel registro; tale
momento segna il passaggio dei poteri in capo ai liquidatori, e vi si
accompagna la consegna dei libri sociali da parte degli amministratori.

Poteri, obblighi e responsabilità dei liquidatori


I liquidatori possono compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della
società, ivi inclusa la continuazione dell’attività d’impresa, che si ritiene
rimessa alla loro scelta salva esplicita esclusione con clausola dell’atto
costitutivo o in sede di nomina. I liquidatori applicano la diligenza
professionale (adeguata alla natura dell’incarico) all’attività di
liquidazione, consistente nell’alienazione dei beni costituenti il patrimonio
sociale finalizzata al pagamento dei creditori ed alla successiva
ripartizione dell’attivo tra i soci; a tal fine essi gestiscono le risorse della
società, potendo a) richiedere ai soci i versamenti ancora dovuti, ma solo
quando i fondi disponibili risultassero insufficienti alla soddisfazione dei
creditorio, e non potendo invece b) ripartire acconti sul risultato della
liquidazione, a meno che dai bilanci risulti che tale ripartizione non incida
sulla disponibilità di somme idonee alla prioritaria soddisfazione dei creditori.
Quanto alla responsabilità, si applicano ai liquidatori le stesse norme previste
per gli amministratori; a questo tipo di responsabilità si aggiunge a) quella
relativa all’illecita ripartizione di acconti e b) quella relativa alla cancellazione
della società senza aver soddisfatto integralmente i creditori per colpa.

Gli organi sociali durante la liquidazione


E’ prevista l’applicabilità delle disposizioni sulle decisioni dei soci, sulle
assemblee e sugli organi amministrativi e di controllo anche durante la
liquidazione, cosicché viene assicurata la continuità della struttura
organizzativa, nel limite che le decisioni prese non siano incompatibili con
la liquidazione, dovendo in tal caso il liquidatore disattenderle; è dunque
possibile fino alla distribuzione dell’attivo deliberare una fusione, una
scissione, una trasformazione o un’operazione sul capitale (fuorché
l’aumento nominale, privo di utilità). La liquidazione risulta peraltro
compatibile con il sistema dualistico, nel quale però il consiglio di
sorveglianza perde le principali funzioni di nomina e revoca dei gestori e
dell’approvazione di bilancio, ma incompatibile con il sistema monistico,
al cui ingresso in liquidazione seguirà la cessazione degli amministrare e
l’obbligo di elezione dei sindaci.

I bilanci
Anche durante la liquidazione viene redatto periodicamente dai liquidatori
ed approvato il bilancio, avente medesima struttura di quello ordinario ma
criteri di valutazione più flessibili: in particolare, nelle situazioni in cui è
prevista la continuazione dell’attività (come nella cessione di un ramo
d’azienda) i beni sono valutati nella prospettiva di continuità dell’attività
(going concern), venendo invece valutati i singoli cespiti per il loro valore
liquidatorio quando tale prospettiva manchi. I liquidatori devono poi porsi
in continuità rispetto ai precedenti bilanci, adottando quando possibile i
medesimi criteri valutativi ed indicando, quando necessario, le ragioni dei
discostamenti.

La revoca della liquidazione


La società può in ogni momento revocare lo stato di liquidazione con
deliberazione dell’assemblea presa con le maggioranze richieste per la
modificazione dell’atto costitutivo; a tale possibilità fa da contrappeso
l’attribuzione ai soci non consenzienti del diritto di recesso; i creditori
avranno poi la possibilità di opporsi alla revoca nelle stesse modalità
previste per la riduzione reale. In ogni caso, il ritorno all’operatività è
condizionato alla rimozione della causa di scioglimento. Si deve poi
ritenere che la revoca sia deliberabile fino al deposito del bilancio finale.

La chiusura della liquidazione


Compiuti la conversione in denaro del patrimonio ed il pagamento dei
creditori finali si apre la parte finale della liquidazione, che vede
innanzitutto la redazione di un bilancio finale avente medesima struttura
del bilancio di esercizio (bilancio in senso stretto e piano di riparto) ma
funzione informativa verso i soli soci a) dell’operato dei liquidatori e b) di
determinazione della quota di liquidazione spettante ad ogni azione o
socio di s.r.l.; è previsto ai fini dell’approvazione che questo sia depositato
con la relazione dei sindaci e del revisore e che entro 90 giorni
dall’iscrizione sia reclamabile dai soci; la mancata proposizione di
reclami vale come approvazione tacita per silenzio-assenso.
In seguito all’approvazione i liquidatori dovranno chiedere la
cancellazione della società dal registro, avente efficacia costitutiva
dell’estinzione e determinando il venir meno della società come soggetto di
diritti (salvo nel caso del fallimento, dichiarabile ad un anno dalla
cancellazione); una volta effettuata, eventuali creditori non soddisfatti, non
esistendo più la società, potranno richiedere il pagamento ai soci (determinando
sopravvenienze passive), nel limite della loro quota ripartita dalla liquidazione,
o ai liquidatori, qualora il mancato pagamento sia dipeso da loro colpa.
Eventuali sopravvenienze attive si possono intendere regolate dalla comunione
tra soci; secondo un’altra impostazione, essendo esse attribuibili alla società e
non ai soci, sarebbe necessario cancellare d’ufficio la cancellazione della
società, rimuovendo gli effetti dell’estinzione affinché la società possa essere
loro titolare, tale soluzione sarebbe tuttavia eccessivamente complessa e si
preferisce la prima.

14. L’articolazione del rischio d’impresa

I gruppi di società
Le società possono esercitare attività eterogenee in più settori, e ciò è
possibile attraverso delle procedure d’articolazione del rischio d’impresa
che vedano o la costituzione di una persona giuridica sulla quale effettuare
un’attività di controllo e coordinamento cui imputare le obbligazioni del
settore, o la costituzione di un patrimonio destinato a specifici affari, volto
ad evitare costituzione e costi del mantenimento in vita di una persona
giuridica.

Il controllo (art.2359) e la relativa disciplina


Sono individuate tre distinte forme di controllo: a) il controllo di diritto,
che sussiste quando una società dispone della maggioranza dei voti
esercitabili nell’assemblea ordinaria di un’altra società (in quanto è il
fondamento della vita della società); b) il controllo di fatto quando la
società detenga non la maggioranza dei voti, bensì voti sufficienti ad
esercitare un’influenza dominante (in quest’ultimo caso dipende dalle
posizioni di potere in assemblea, e in maggior modo quando questo sia
ampiamente diffuso); c) il controllo contrattuale che si verifica quando il
controllo nasce in virtù di vincoli contrattuali con la società (come un
contratto di esclusiva che crei un’oggettiva dipendenza economica).
Qualora si configurasse una di queste situazioni di controllo si renderebbe
necessaria l’applicazione di diverse discipline: a) obblighi di vigilanza, per
i quali gli organi delegati devono informare l’organo gestorio e sindacale
sul generale andamento della gestione delle società controllate, mentre il
collegio sindacale assume il potere di scambiare informazioni con l’organo
di controllo delle controllate; b) obblighi di informazione al mercato, per i
quali si rende necessario tenere nota nelle scritture contabili di alcune
informazioni e di redigere un bilancio consolidato nel quale sia possibile
osservare la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica delle
società nel loro insieme, con interesse al risultato generato nel complesso
dalle società nei confronti dei terzi, rendendosi necessaria l’eliminazione
dei valori delle partecipazioni detenute, dei crediti e debiti reciproci, degli
oneri derivanti dai loro rapporti; c) obbligo di conservazione del capitale,
per il quale le società controllate non possono sottoscrivere azioni o quote
della controllante (potendo però acquistarle negli usuali limiti ed a
condizione che, nelle aperte, il valore nominale complessivo non ecceda il
quinto del capitale della controllante.
I gruppi (art.2497)
I gruppi sono forme organizzative nelle quali un capogruppo,
generalmente in posizione di controllo, esercita su altre società mantenenti
autonomia giuridica e patrimoniale un’attività di direzione e
coordinamento (da ritenersi applicabile a tutti i tipi di società, quindi anche
a quelle di persone); essa è quindi presupposto per l’applicabilità delle
norme sui gruppi. Non è però esplicitamente previsto il contenuto di tale
attività (che di norma attiene alla pianificazione delle scelte imprenditoriali
delle società appartenenti al gruppo), pertanto è prevista una presunzione
relativa (superabile con prova contraria) in merito alla sua esistenza.
-Esistono due categorie di norme applicabili alla fattispecie di gruppo, la
prima di queste è quella delle norme fisiologiche, tese a garantire
trasparenza ed informazione: a) sull’esistenza del gruppo, per la cui
finalità è prevista un’apposita sezione del registro nella quale sono iscritte
le società del gruppo ad opera degli amministratori delle società
eterodirette; b) sull’operatività del gruppo, per la cui finalità gli
amministratori delle società controllate sono tenuti ad indicare nella
relazione sulla gestione i rapporti tenuti con società controllante e con le
altre società e gli effetti che l’attività di direzione ha avuto sull’esercizio
dell’impresa, oltre che ad inserire in nota integrativa un riepilogo dei dati
essenziali dell’ultimo bilancio della capogruppo; c) sulle decisioni assunte
sotto l’influenza della capogruppo, che devono essere motivate analiticamente.
-La seconda categoria è quella delle norme patologiche, che si occupano di
arginare le conseguenze negative dell’attività.
E’ innanzitutto previsto l’esercizio dell’azione di responsabilità verso la
capogruppo per i danni da essa cagionati. Essa è proponibile innanzitutto
dai creditori della società eterodiretta quando il pregiudizio consiste nella
lesione cagionata all’integrità patrimoniale; è invece proponibile dai soci
quando si verifichino alcune condizioni: a) che sia stata posta in essere
l’attività di direzione e coordinamento da parte di una società o un ente (e
non da persone fisiche), b) che le decisioni intraprese non rispettino i
principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale e cioè che le
decisioni intraprese non rispecchino una valutazione imprenditoriale
razionale o siano prese con un’inadeguata informazione preventiva, c) che
vi sia stato un pregiudizio alla redditività ed al valore della partecipazione
sociale. Il danno arrecato ai soci dovrebbe considerarsi indiretto (riflesso
del minor valore del patrimonio sociale in seguito all’attività di
coordinamento), tuttavia non vi è responsabilità se il danno risulti
eliminato alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione: il
criterio valutativo adottato deve dunque tener conto delle conseguenze del
complesso di attività esercitate e degli eventuali vantaggi compensativi.
E’ poi previsto che il socio ed il creditore possano agire contro il
capogruppo solo se non soddisfatti dalla società soggetta all’attività di
direzione e coordinamento: non è tuttavia chiaro come il socio di una
società possa ottenere soddisfazione per il pregiudizio arrecato da un’altra.
Sono responsabili in solido con la capogruppo coloro i quali abbiano
preso parte al fatto lesivo e ne abbiano beneficiato consapevolmente; per
coloro che non hanno partecipato al fatto lesivo ma che ne beneficiano, la
responsabilità è imitata al vantaggio conseguito. La responsabilità
sembrerebbe di natura contrattuale sulla base che essa deriverebbe dalla
violazione di obblighi giuridici preesistenti, ossia le regole di corretta
gestione societaria ed imprenditoriale: l’onere della prova risulta pertanto
essere più agevole ed il termine di prescrizione di 10 anni.
Un particolare aspetto delle norme patologiche riguarda il caso di flussi
finanziari attribuiti dalla controllante in sostituzione dei conferimenti ed in
caso di sottocapitalizzazione: per evitare che tale forma di finanziamento
pregiudichi gli altri creditori, è prevista la prostergazione del rimborso del
finanziamento quando sia concesso in un momento di squilibrio
dell’indebitamento (di oltre 1/4). Tale disciplina si applica altresì ai
finanziamenti provenienti dalle società sorelle, ma non a quelli provenienti
dalle eterodirette alla capogruppo.

Al fine di tutelare i soci di minoranza dinanzi ad eventi modificanti le


condizioni di rischio dell’investimento, sono accordati alcuni casi di
recesso: il socio dell’eterodiretta può recedere a) quando la capogruppo
deliberi una trasformazione che muti il suo scopo sociale (quando ad
esempio diventi una cooperativa con scopo mutualistico), b) quando risulti
modificato l’oggetto sociale della capogruppo ed il socio dimostri che ciò
produca conseguenze nell’eterodiretta, c) quando inizi o cessi l’attività di
direzione. Il recesso è attuabile solo quando il socio non abbia altre
possibilità di disinvestire la sua partecipazioni, e cioè quando la società
non sia quotata né sia stata promossa un’offerta i acquisto.

I patrimoni destinati a specifici affari (art.2447)


Attraverso la formazione di un patrimonio destinato a specifici affari le
società azionarie possono limitare il rischio connesso alle distinte
iniziative d’impresa intraprese, in deroga al principio di università della
responsabilità patrimoniale, destinando un patrimonio strumentale ad
un’operazione economica puntualmente identificata qual è lo specifico affare.

I patrimoni destinati operativi


I patrimoni operativi si basano sul principio della separazione
patrimoniale, rispondendo delle sole obbligazioni nascenti dallo specifico
affare, e non potendosi soddisfare su di esso i creditori estranei, pur
rimanendo nella titolarità della società; sorgono per delibera
amministrativa (salvo diversa previsione) da sottoporre per il controllo di
legalità formale e sostanziale al notaio, tenuto poi a depositarla per
l’iscrizione, in seguito alla quale, nei 60 giorni successivi, i creditori
sociali possono fare opposizione dinanzi al tribunale, non potendo, oltre
tale termine, far valere alcuna pretesa. Il presupposto di formazione del
patrimonio è la menzione del vincolo di destinazione in relazione allo
specifico affare, in mancanza della quale si determina l’imputazione degli
atti all’intero patrimonio sociale; è poi imposta una limitazione
quantitativa al patrimonio, che non può eccedere il 10% del patrimonio
netto, né la separazione influisce per le responsabilità di obbligazioni
derivate da fatto illecito. Il patrimonio permane finché dura lo specifico
affare; in caso di fallimento o l.g. della società il patrimonio viene a
formare distinte masse attive e passive sulle quali potranno soddisfarsi i
soli creditori dello specifico affare, quando invece l’insolvenza è
imputabile al patrimonio (determinandosi un’incapienza), gli
amministratori provvedono alla sua liquidazione (applicando, si ritiene, le
regole della par condicio).

I finanziamenti destinati ad uno specifico affare


Le società azionarie possono ottenere finanziamenti destinati ad uno
specifico affare da terzi disposti a concederlo al fine di conseguirne i futuri
proventi, cosicché sono questi ultimi a formare il patrimonio che si porrà a
garanzia dei finanziatori, precludendosi ai creditori sociali l’esercizio di
azioni esecutive su di essi oltre che sui beni strumentali allo svolgimento
dell’affare; la società è quindi tenuta all’adozione di sistemi di incasso e
contabilizzazione che individuino in ogni momento i proventi dell’affare.
Qualora l’affare non si realizzasse, venendo meno la garanzia stessa, il
finanziatore perderebbe la possibilità di recuperare il credito; in caso di
fallimento/l.g. della società, esso avrebbe invece diritto ad insinuarsi nel
passivo per il suo credito, in quanto, essendogli preclusa la realizzazione
di proventi, viene anche meno la separazione patrimoniale.

15. Le società con scopo mutualistico

Le società cooperative (artt.2511ss)

La mutualità ed i principi del modello cooperativistico


Le cooperative svolgono una funzione sociale a carattere di mutualità e
senza fini di speculazione riassunta nello scopo mutualistico di fornire beni
o servizi ed occasioni di lavoro direttamente ai membri
dell’organizzazione ed a condizioni più vantaggiose di quelle di mercato:
lo scopo-fine consiste quindi nel soddisfacimento di un bisogno economico
dei soci e lo scopo-mezzo l’esercizio in comune di attività economica, e
questi si realizzano in seguito alla rinuncia della società al profitto
imprenditoriale a beneficio dei soci fruitori, cosicché si configura una forte
compressione del lucro soggettivo ma non di quello oggettivo (rendendosi
altresì attuabile l’attività con i terzi), volto alla massimizzazione degli utili
finalizzata al miglioramento della competitività ed al miglioramento delle
prestazioni della società rispetto ai soci (e non alla distribuzione del
dividendo). Il rapporto sociale si configura dunque come una gestione di
servizio, ossia una tendenziale destinazione dei beni e servizi prodotti
dalla cooperativa ai soci, che si configurano dunque come fruitori elettivi
ossia ammessi nella società solo quando idonei ad intrattenere il rapporto
mutualistico; ciò genera in loro una legittima pretesa nell’erogazione della
prestazione mutualistica che non si traduce in un diritto alla prestazione
mutualistica, bensì in un potere di controllo indiretto sulle delibere
amministrative affinché non violino il principio di parità di trattamento.
Affinché la cooperativa possa attuare il suo scopo è dunque necessaria una
giusta base sociale, che si traduce in una struttura che valorizzi la
partecipazione personale: fondamentale è in tal senso il principio della
porta aperta, per cui si incentiva l’accesso di tutti i soci che abbiano i
requisiti previsti dalla società, alla cui attuazione è essenziale la variabilità
del capitale, comportante l’automatico mutamento del capitale senza
necessità di una modifica all’entrata ed all’uscita di soci, e ciò comporta
l’assenza di limiti minimi nell’entità di capitale.
Alle cooperative si applica un nucleo di norme generali ricavabili dal
codice civile (artt.2511ss) ed eventuali loro lacune sono colmate in via
residuale dalle disposizioni su s.p.a. o s.r.l. a seconda del tipo scelto o
imposto; sono in ogni caso dotate di personalità giuridica e rispondono
pertanto alle obbligazioni esclusivamente con il patrimonio sociale.

Il codice distingue le cooperative a mutualità prevalente da quelle diverse


subordinando la fruizione delle agevolazioni tributarie alle limitazioni del
lucro soggettivo imposte alle prime. In particolare, sono cooperative a
mutualità prevalente quelle che svolgono prevalentemente la loro attività
in favore dei soci o che si avvalgono prevalentemente delle prestazioni
lavorative dei soci; la prevalenza è ancorata al tipo di scambio
mutualistico praticato dalla cooperativa e dev’essere documentata nella
nota integrativa da amministratori e sindaci. E’ poi previsto l’inserimento
nello statuto di clausole antilucrative consistenti nella compressione del
lucro soggettivo: a) il divieto di distribuzione di dividendi in misura
superiore all’interesse massimo dei buoni fruttiferi postali aumentato di
due punti e mezzo, b) il divieto di remunerare gli strumenti finanziari
offerti in sottoscrizione ai soci in misura superiore al 2% rispetto a quanto
previsto per i dividendi, c) il divieto di distribuzione di riserve tra i soci, d)
l’obbligo di devoluzione, allo scioglimento, del patrimonio sociale ai fondi
mutualistici, dedotto solo il patrimonio sociale ed eventuali dividendi
maturati; il non rispetto di questi requisiti per più di due esercizi comporta
la perdita della qualifica di mutualità prevalente.

La struttura formale: costituzione, nullità e modifiche dell’atto


Il procedimento di costituzione ricalca quello previsto per s.p.a. e s.r.l..
L’atto deve innanzitutto prevedere lo schema residuale applicato: si
applicano obbligatoriamente le norme sulle s.r.l. quando la società abbia
meno di 9 soci, mentre non sono applicabili quando i soci siano più di 20
o l’attivo sia superiore ad un milione, essendo qui previsto lo schema della
s.p.a. E’ previsto che l’atto includa le generalità dei soci, la denominazione
sociale (con l’indicazione di società cooperativa) e le azioni/quota di
capitale sottoscritte da ogni socio, che devono rientrare nei limiti legali
affinché un socio non assuma il controllo della società portandola a finalità
lucrative; peculiare è poi a) la previsione nell’oggetto sociale dei requisiti
e degli interessi dei soci, cosicché questi possano qualificare lo scopo
mutualistico, b) l’indicazione di requisiti e procedura per l’ammissione dei
soci, c) regole per la distribuzione degli utili e dei ristorni (è poi previsto
l’inserimento delle condizioni di recesso o esclusione). Spetta al notaio
depositare l’atto entro venti giorni; si ritiene poi che i soci siano tenuti a
rispettare le regole sui conferimenti in denaro o in natura in tema di s.p.a.
Si applicano le cause tassative e gli effetti della nullità della s.p.a. nonché
le regole previste per la modifica dell’atto costitutivo.

La struttura finanziaria
Il richiamo alle norme di s.p.a. o s.r.l. (in base al modello scelto o imposto)
si applica tutte le volte in cui non sia specificamente prevista una deroga al
loro modello, cosicché la partecipazione alla cooperativa è rappresentata
da quote o azioni, le quali non possono avere un valore superiore a
100000 euro (per non vanificare il principio della porta aperta e per evitare
deviazioni dallo scopo mutualistico); è inoltre possibile creare categorie di
azioni attribuenti diritti diversi o attribuire ai soci diritti particolari, ed è
inoltre possibile, al fine di favorire la raccolta di risorse finanziare,
l’emissione di obbligazioni o di strumenti finanziari (questi ultimi solo nel
modello s.p.a.) che non costituiscono tuttavia una categoria particolare,
rientrando nella generale. In caso di emissione di strumenti finanziari privi
di voto, i diritto dei loro possessori devono essere salvaguardati attraverso
assemblee speciali e rappresentanti comuni.
Il trasferimento della partecipazione sociale è inefficace nei confronti della
società se la cessione non è autorizzata dagli amministratori; è inoltre
prevedibile un divieto di circolazione, riconoscendosi tuttavia ai soci un
diritto di recesso esercitabile due anni dopo dall’ingresso in società.

Per il principio della porta aperta l’ingresso di nuovi soci avviene


attraverso una procedura semplificata ma articolata (volendosi evitare la
discrezionalità degli amministratori) che non richiede una modifica
dell’atto costitutivo; l’ammissione di un nuovo socio è deliberata dagli
amministratori su domanda dell’interessato, ed è comunicata e annotata
nel libro dei soci, mentre l’eventuale rigetto è comunicato entro sessanta giorni
con motivazione, potendo tuttavia l’interessato richiedere che sulla richiesta si
pronunci l’assemblea con decisione vincolante per gli amministratori.
Il singolo rapporto sociale si scioglie per recesso, esclusione e morte del
socio. a) Il recesso è attuabile (visto tuttavia con sfavore volendosi
comprimere eventuali intenti speculativi, essendo a tal fine vietato il
recesso parziale) nei casi previsti dalla legge, che indica il solo caso del
divieto di cessione della quota (o quelli che si ricavano dal modello s.p.a. o
s.r.l.), o dall’atto costitutivo; esso va dichiarato con raccomandata alla
società, i cui amministratori dovranno accertare i presupposti del recesso,
e qualora insussistenti darne comunicazione al socio che potrà opporsi
dinanzi al tribunale entro 60 giorni. Gli effetti sul rapporto sociale (la
perdita dei diritti all’utile ed al voto) si producono immediatamente, quelli
sui rapporti mutualistici tra socio e società vengono differiti alla chiusura
dell’esercizio se comunicato entro 3 mesi, in caso contrario alla di quello
successivo. b) L’esclusione del socio è disposta per cause legali o
convenzionali: quelle legali sono l’inadempimento dei conferimenti,
attuabile in seguito ad intimazione ad adempiere e successiva delibera,
gravi inadempimenti, la mancanza o la perdita dei requisiti soggettivi,
l’interdizione, l’inabilitazione o la condanna del socio, i casi di mancata
attuazione (incolpevole) del conferimento previsti per la società di persone
o il fallimento del socio. In ogni caso l’esclusione è facoltativa e
dev’essere liberata dagli amministratori (o se lo statuto lo prevede
dall’assemblea); il provvedimento dev’essere comunicato al socio che può
opporsi dinanzi al tribunale. In caso di c) morte del socio è previsto
l’automatico scioglimento del rapporto sociale e la liquidazione della
quota o il rimborso delle azioni per gli eredi. L’indice di valutazione della
liquidazione della quota resta il bilancio; in ogni caso l’uscita del socio
non si attua attraverso il trasferimento delle partecipazione, bensì
attraverso un vero e proprio scioglimento del rapporto.

L’organizzazione della società cooperativa


L’organizzazione della società cooperativa ricalca quella di s.p.a. o s.r.l. a
seconda del modello normativo adottato.
Nella cooperativa viene abbandonato il criterio plutocratico (per cui sono
attribuiti a ciascun socio voti proporzionali al conferimento di ognuno) a
favore di un criterio democratico che prevede un voto per teste (un solo
voto qualsiasi sia il valore della quota o il numero di azioni); tale criterio è
derogabile nelle sole cooperativi consortili (che realizzano lo scopo
mutualistico attraverso l’integrazione delle fasi produttive di un processo),
nelle quali è prevedibile che il diritto di voto sia attribuito in proporzione
alla partecipazione allo scambio mutualistico. La legittimazione al voto
spetta ai soli soci iscritti da almeno 90 giorni. Al fine di agevolare la
partecipazione all’assemblea, sono prevedibili assemblee separate nelle
non quotate, nelle quali vengono eletti soci delegati che, in assemblea
generale, riferiscano su quanto deciso nella separata.
Quanto all’organo amministrativo, è previsto che la maggioranza degli
amministratori debba essere scelta tra i soci o tra coloro che siano stati
indicati dai soci persone giuridiche. Il collegio sindacale è invece
obbligatorio nei casi in cui sia obbligatoria la nomina del sindaco s.r.l. e
qualora sia stato scelto il modello s.p.a., oltre che quando siano stati
emessi strumenti finanziari non partecipativi.
In virtù delle agevolazioni tributarie, le cooperative sono sottoposte a vigilanza
amministrativa volta a verificare l’effettivo perseguimento dello scopo
mutualistico. Sono poi sottoposte al controllo giudiziario sulla gestione tutte le
cooperative: qualora vi sia il sospetto che gli amministratori abbiano compiuto
irregolarità idonee ad arrecare danno alla società, i soci titolari di almeno 1/10
del capitale possono farne denuncia al tribunale.

Il bilancio delle cooperative


Il bilancio della cooperativa ricalca le forme di quello della s.p.a., venendo
aggiunto solo un obbligo informativo in capo a sindaci ed amministratori
circa le modalità di gestione attuate; rilevante invece è la variabilità del
capitale, dalla quale discende la disciplina relativa alla riserva legale, che
assorbe il 30% degli utili netti annuali senza limiti di tempo, volendo il
legislatore accentuare la tutela dei creditori stante la variabilità e l’assenza
di limiti minimi. Lo scopo mutualistico impone altresì forti limiti alla
distribuzione dei dividendi comportanti una compressione del lucro
soggettivo, che non è tuttavia del tutto escluso: è previsto a) che le non
quotate possano distribuire dividendi solo quando il rapporto tra
patrimonio netto ed indebitamento della società sia superiore ad 1/4 e che
b) che l’atto costitutivo indichi la percentuale massima di ripartizione (nei
limiti degli interessi dei buoni fruttiferi postali aumentati di due punti e
mezzo rispetto al capitale versato per quelle a mutualità prevalente).
I soci della cooperativa conseguono il vantaggio mutualistico annualmente
e non al perfezionarsi dello scambio con la società attraverso il ristorno,
che prevede nelle cooperative di consumo il rimborso ai soci della quota
di prezzo eccedente il costo di produzione di beni e servizi e nelle
cooperative di produzione e lavoro l’integrazione della retribuzione per la
prestazione resa; si genera in sostanza un vantaggio di gestione (ed
essendo tale non possono essere distribuiti se il bilancio si chiude in
perdita) redistribuito ai soci al termine dell’esercizio in proporzione agli
scambi mutualistici instaurati con la società (e non in proporzione ai
conferimenti). Non si applicano ai ristorni i limiti alla distribuzione degli utili.

Lo scioglimento della società


Oltre che per le cause delle società di capitali, tipicamente la cooperativa si
scioglie per la perdita del capitale sociale o per la mancata reintegrazione
del numero minimo di soci entro un anno. In caso di insolvenza, l’autorità
governativa controllante dispone la liquidazione coatta amministrativa;
esse possono essere sottoposte anche al fallimento/l.g. secondo il criterio
della prevenzione. In caso di scioglimento e liquidazione, analoghi alle
società di capitali nel procedimento, è previsto che il residuo attivo,
detratti solo il capitale versato ed i dividendi eventualmente maturati,
sia versato a fondi mutualistici per la promozione della cooperazione.

Le mutue assicuratrici
Le mutue assicuratrici sono un tipo di cooperativa nel quale l’acquisto e la
permanenza della qualità di socio è subordinato alla stipula di un
contratto di assicurazione con la società; si differenziano dalle cooperative
di assicurazione, nelle quali il contratto di assicurazione eventualmente
stipulato è distinto dal rapporto sociale, non essendone sua condizione. I
contribuiti del socio hanno al contempo funzione di apporto patrimoniale e
di pagamento del premio assicurativo, cosicché non possono essere
utilizzati per misurare la partecipazione sociale né tuttavia sono
assimilabili del tutto ai premi assicurativi.

16. Le operazioni straordinarie

Le trasformazioni (art.2498ss)

Nozione e disciplina comune


La trasformazione è una modifica dell’atto costitutivo attraverso la quale la
società assume un nuovo tipo conservando la continuità dell’attività
d’impresa, e cioè i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione,
proseguendo altresì nei rapporti processuali; in mancanza di tale istituto,
occorrerebbe, per raggiungere tal fine sciogliere l’ente, liquidarlo e
ricostituirlo nella forma scelta, si è voluto invece favorire l’adeguamento
della struttura d’impresa, quando ciò fosse opportuno nel corso della sua
esistenza, con diversi incentivi tra cui l’assenza di limiti all’operazione,
eseguibile altresì in pendenza di procedura concorsuale (potendosi così
ridurre i costi relativi alla struttura della società attraverso la
trasformazione in una società più semplice). Regola di applicazione
generale ad ogni tipo di trasformazione è quella dell’invalidità della
trasformazione (simile a quella in tema di fusione e scissione), che non
può essere pronunciata una volta eseguita l’iscrizione a salvaguardia delle
operazioni economiche, rimanendo salvo l’eventuale risarcimento a coloro
che siano stati pregiudicati dalla trasformazione, sostituendosi una
salvaguardia risarcitoria a quella reale.

Le trasformazioni omogenee
Le trasformazioni sono distinguibili in omogenee ed eterogenee. Sono
omogenee le trasformazioni avvenenti tra tipi appartenenti alla stessa
famiglia (delle società) generalmente non implicanti una modifica dello
scopo-fine (ad eccezione della trasformazione di cooperative a mutualità
non prevalente in società di capitali); si distinguono le trasformazioni
progressive, nelle quali avviene un passaggio da società di persone società
di capitali, queste ultime favorite dal legislatore, e quelle regressive, aventi
ad oggetto il processo inverso.
Le trasformazioni progressive sono regolate sotto diversi aspetti,
innanzitutto nella a) decisione di trasformazione, che, in deroga alla regola
generale prevedente l’unanimità per le modifiche dell’atto in ragione del
favore accordato alle progressive, è presa con la maggioranza dei soci
secondo la parte di ciascuno agli utili, pur essendo accordato ai soci non
assenzienti il diritto di recesso; è poi previsto che la trasformazione risulti
da atto pubblico, contenente le indicazioni richieste dall’atto costitutivo
della società prescelta, e che sia riconosciuta efficacia alla trasformazione
dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari. Al fine di evitare elusioni del
principio di corretta formazione ed effettività del capitale sociale, tali
trasformazioni comportano l’obbligo di b) determinare il capitale sociale
risultante dalla trasformazione ad una cifra non eccedente il patrimonio
netto risultante dalla relazione giurata di un esperto; il patrimonio è
considerato come un unico conferimento in natura da valutare, e qualora
sia inferiore al minimo stabilito si rende necessario che i soci effettuino
nuovi conferimenti con l’applicazione della relativa disciplina. Per tutela
ai soci c) è previsto che gli si assegni una partecipazione proporzionale a
quella detenuta nella società personale, ed è previsto che ai soci d’opera si
assegni una partecipazione proporzionale alla loro partecipazione agli utili.
Infine, i soci a responsabilità illimitata d) non sono liberati
automaticamente dalle obbligazioni sorte prima dell’iscrizione dell’atto,
essendo necessario il consenso dei creditori che, in incentivo a tale
trasformazione, si presume quando, comunicata in qualsiasi modo la
decisione non lo abbiano esplicitamente negato entro 60 giorni.
Sono invece sfavorite le trasformazioni regressive, in ragione all’esistenza
di meno ampi obblighi pubblicitari ed informativi nelle società minori;
quando applicata, i soci rispondono illimitatamente anche delle
obbligazioni sorte anteriormente all’iscrizione dell’atto di trasformazione,
ed è per questo che a) gli amministratori devono approntare una relazione
che illustri motivazioni ed effetti della trasformazione e b) è necessario che
tutti i soci prestino il loro consenso.

La trasformazione delle cooperative è vista con evidente sfavore, ed è per


questo che a) è vietata la trasformazione di società cooperative a
mutualità prevalente in società lucrative e che b) pur essendo consentita
quella delle cooperative diverse, decisa almeno dalla metà dei soci,
(qualificata omogenea dalla legge), queste devono devolvere il patrimonio
ai fondi mutualistici.

Le trasformazioni eterogenee
Le trasformazioni eterogenee hanno ad oggetto una radicale modifica
dell’assetto organizzativo, incidente sullo scopo-fine e sulla forma
giuridica. In virtù dell’incisività delle modifiche previste da questo tipo di
trasformazione, sono state previste disposizioni a tutela a) dei creditori,
che possono esercitare diritto di opposizione entro 60 giorni
dall’iscrizione, b) dei soci, per cui è previsto che la decisione venga presa
con quorum rafforzato dei 2/3 degli aventi diritto al voto e che gli
amministratori illustrino motivazioni ed effetti della trasformazione; è tuttavia
previsto in deroga che, in caso di trasformazione in società di capitali, essa
possa essere assunta a maggioranza, applicandosi poi in via analogica le
disposizioni sulla relazione di stima e l’applicazione dell’atto pubblico.

Le trasformazioni atipiche
Si ritengono ammissibili fattispecie di trasformazioni atipiche, diverse da
quelle espressamente previste (come quella dal consorzio alla società di
persone), a condizione che non violino norme inderogabili e che non
ledano l’interesse di soci terzi; non rientra tuttavia nelle trasformazioni né
il passaggio da impresa individuale a società unipersonale, configurabile
piuttosto come un conferimento d’azienda, né l’operazione inversa, per
l’inderogabilità dello scioglimento della società di capitali.

Le fusioni (artt.2501ss)

Nozione, forme, effetti e limiti


La fusione è uno strumento di concentrazione tra imprese societarie di
natura giuridica e che può essere di due forme, in senso stretto, che
avviene mediante la formazione di una nuova società in cui vengono
unificate le preesistenti, o per incorporazione, nella quale una società già
operante ne assorbe altre; in entrambi i casi le società incorporate o fuse si
estinguono per effetto della fusione. La società fusa o incorporante assume
diritti ed obblighi delle società preesistenti proseguendo tutti i loro
rapporti, assumendo cioè i loro diritti, obblighi e partecipazioni
processuali; tale continuazione implica inoltre l’attribuzione ai soci di
partecipazioni nell’incorporante in cambio di quelle precedenti, che
vengono annullate.
La definizione di omogeneità ed eterogeneità è qui relativa al tipo delle
società coinvolte nell’operazione, ed è quindi omogenea la fusione che
coinvolge società di uguale tipo ed è eterogenea la fusione coinvolgente
società di due tipi differenti, cosicché almeno una debba procedere alla
trasformazione in un diverso tipo di società, ed è poi prevista la fusione
trasformativa eterogenea, quando la fusione comporti una trasformazione
eterogenea di una delle società partecipanti.
L’unico limite alla fusione è che essa non è consentita alle s.p.a. in
liquidazione che abbiano cominciato la distribuzione dell’attivo, tuttavia si
ritiene che possa avvenire quando la distribuzione non sia cominciata
purché la risultante non permanga in liquidazione. Non è poi previsto
alcun limite per fusioni di società sottoposte a procedure concorsuali, e
anzi può essere la soluzione per il superamento della crisi d’impresa.

Il procedimento di fusione
Il procedimento di fusione è inderogabilmente composto da tre fasi
consecutive: progetto, decisione e atto di fusione
1) Il progetto di fusione è redatto inderogabilmente dagli amministratori
in c.d.a. ed ha uguale contenuto per tutte le società coinvolte,
indicando le caratteristiche dell’operazione da proporre ai soci, che
devono approvarla in assemblea; nel suo contenuto devono risultare,
accanto ai dati sulle società coinvolte, l’atto costitutivo della risultante
o incorporante e le regole di assegnazione delle partecipazioni, tra cui
il rapporto di concambio, indicante il rapporto di cambio delle
partecipazioni e dunque indice della convenienza per i soci. Il progetto
dev’essere sottoposto a pubblicità mediante iscrizione o pubblicazione
sul sito Internet della società in un termine minimo (rinunciabile
all’unanimità) di 30 o 15 giorni, quest’ultimo nelle società non
azionarie, dalla data fissata, dalla decisione di fusione. Insieme al
progetto devono poi essere forniti degli allegati illustranti il contenuto
dell’operazione: a) l’organo amministrativo redige la situazione
patrimoniale, illustrante la situazione contabile delle società coinvolte,
secondo le regole del bilancio, b) sempre gli amministratori redigono
una relazione illustrante motivazioni e finalità del progetto, oltre che i
criteri di determinazione del rapporto di cambio, c) un esperto deve
redigere una relazione sulla congruità del rapporto di cambio
indicante i metodi seguiti per determinarlo; nelle fusioni eterogenee tra
società di persone e capitali deve inoltre redigere la relazione di stima
del patrimonio della società di persone. Questi documenti rimangono a
disposizione per tutto il periodo precedente la decisione di fusione.
2) La fusione dev’essere decisa da ogni società partecipante mediante
approvazione del progetto, che avviene con la maggioranza nelle
società di persone, a maggioranza e con metodo assembleare nelle
s.r.l. e con le maggioranze dell’assemblea straordinaria nelle s.p.a.;
nei primi due casi è previsto il diritto di recesso per i soci non
assenzienti, nel caso della s.p.a. è previsto solo in caso di fusioni
eterogenee (in quanto presuppongono una trasformazione). La
delibera, che può apportare modifiche al progetto di fusione, è
sottoposta a controllo notarile.
E’ previsto un iter semplificato nel caso delle fusioni per
incorporazione di società possedute interamente o al 90%; la
decisione di fusione, in questi casi, è esercitabile dall’organo
amministrativo mediante atto pubblico. Il rapporto di cambio va
inoltre determinato nelle sole società possedute al 90%.
Se alla fusione partecipano società meno solide o con problemi
finanziari, i creditori possono subire una lesione: essi sono così
legittimati ad opporsi entro 60 giorni dall’iscrizione dell’ultima
decisione di fusione, sospendendone l’attuazione; è possibile però
attuarla quando a) vi sia il consenso di tutti i creditori, b) quelli non
consenzienti siano pagati oppure c) quando le somme relative siano
depositate presso una banca a garanzia, d) si ritiene poi possibile che
una società di revisione assicuri che le garanzie siano superflue.
L’incorporazione in una società di capitali non libera i soci
responsabili illimitatamente a meno che i creditori non abbiano
acconsentito alla fusione.
3) L’atto di fusione è il documento attraverso il quale sono attuate le
modifiche statutarie decise per la fusione; essa deve risultare da atto
pubblico e dev’essere depositata dal notaio rogante. L’ultima iscrizione
dell’atto ha efficacia costitutiva della fusione, assumendo la società
incorporante o risultante da questo momento diritti ed obblighi delle società
partecipanti.

Invalidità della fusione e rimedi risarcitori


Una volta eseguita l’iscrizione, l’atto di fusione non può essere dichiarato
invalido (anche in caso di assenza di una fase, incongruità del tasso di
cambio o l’iscrizione in pendenza dell’opposizione dei creditori), pur
restando fermo il diritto di risarcimento ai danneggiati.

Le scissioni

Nozione e forme di scissione


La scissione è una tecnica di riorganizzazione di complessi patrimoniali
attuata mediante la ristrutturazione della società; essa può essere totale,
quando il patrimonio è completamente assegnato a più società, avendosi in
questo caso l’estinzione senza liquidazione, o parziale, quando parte del
patrimonio della società, che, in questo caso, non risulta scissa ma
operante con patrimonio ridotto, è assegnato ad una o più società.
Quando le beneficiarie del patrimonio sono di nuova costituzione, si ha
scissione in senso stretto, fungendo in tal caso l’atto di scissione da atto
costitutivo della nuova società, quando le società sono preesistenti si ha
scissione per incorporazione. Valgono gli stessi limiti della fusione e lo
stesso criterio di distinzione tra omogeneità ed eterogeneità.
Il procedimento di scissione
Il procedimento di scissione ricalca le regole della fusione, con
l’introduzione di ulteriori regole a tutela di soci è creditori.
a) Gli amministratori redigono un progetto di scissione nel quale, oltre
alle indicazioni richieste per quello della fusione, indicano gli elementi
del patrimonio da assegnare alle società beneficiarie ed i criteri di
distribuzione delle partecipazioni beneficiarie; tale assegnazione di
azioni ai soci è fondamentale, in quanto se fossero assegnate alla
società si avrebbe uno scorporo (conferimento in cambio di azioni), se
non fossero assegnate affatto sarebbe una donazione. Le parti di attivo
la cui destinazione non sia desumibile dal progetto in caso di scissione
totale sono ripartite tra le società beneficiarie in proporzione alla
quota del patrimonio netto assegnato a ciascuna, in caso di parziale
l’elemento non menzionato resta in capo alla società; per le parti del
passivo è prevista una responsabilità solidale nei limiti del patrimonio
netto attribuito a ciascuna società. Le relazione degli amministratori e
degli esperti presentano le stesse funzioni, inoltre quest’ultima è
omissibile quando il progetto di scissione in senso stretto preveda
l’assegnazione proporzionale alle partecipazioni nella scissa.
b) Il progetto di scissione è approvato dai soci e pubblicato (fermi
restando il diritto di opposizione dei soci entro 60 giorni e le stesse
condizioni della fusione per la stipula anticipata, oltre che la
responsabilità solidale delle benficiarie).
Il progetto di scissione può prevedere un’assegnazione delle nuove
partecipazioni non proporzionale alla partecipazione originaria; è
altresì possibile una scissione in senso soggettivo, essendo possibile
all’unanimità assegnare ad alcuni soci partecipazioni nella scissa e
non nella beneficiaria.
c) L’atto di scissione deve risultare da atto pubblico e vale anche come
atto costitutivo nelle scissioni in senso stretto; acquista efficacia
costitutiva nel momento in cui avviene l’ultima iscrizione nel registro,
momento dal quale diventa inattaccabile e la società assume diritti ed
obblighi della scissa.
17. Il diritto del sistema finanziario

Le fonti del diritto del sistema finanziario ed i principi


L’ordinamento italiano
Le basi della regolazione del sistema finanziario sono gli artt. 47 e 41 della
Costituzione, il primo incoraggiante alla tutela del risparmio (che letto in
chiave moderna indica tutti i tipi di attività finanziarie ad esso relative), ed
essendo quindi fonte di tutti i poteri di regolamentazione e controllo, il
secondo sul diritto di iniziativa economica, fondamento della regolazione
dei mercati in relazione a tutte le attività imprenditoriali incidenti sui
pubblici interessi.
Le novità relative al settore bancario, assicurativo e mobiliare sono state
recepite attraverso dei Testi Unici (TUB e TUF) che mantengono regole
distinte per ciascun comparto, tuttavia è sempre più evidente il passaggio
da un sistema rigido di divisioni nette ad uno più fluido. Ciascun settore
vede l’attribuzione di un ruolo fondamentale ad un Autorità di vigilanza, la
Banca d’Italia per il settore creditizio, la Consob per il settore mobiliare,
l’IVASS per l’assicurativo, indipendenti dall’indirizzo del governo e per le
quali sono previste ex lege delle finalità a) di stabilità (degli intermediari e
del sistema nel suo complesso) b) di efficienza e competitività del sistema
(finalizzata alla tutela della concorrenza), c) di trasparenza informativa
verso la clientela. Per attuare tali finalità le Autorità possono a) emanare
norme secondarie nelle materie di competenza o b) applicare strumenti di
vigilanza informativa, ispettiva o sanzionatoria; a tali strumenti si
affiancano poi degli arbitri (ADR) aventi funzione di risoluzione
stragiudiziale delle controversie. Caratteristica comune delle disposizioni è
che non è consentito agli intermediari finanziari l’esercizio diretto di
attività industriali o commerciali; altre attività sono invece sottoposte a
riserva, in particolare l’assicurativa, la bancaria, quest’ultima relativa alla
raccolta del risparmio dal pubblico e l’erogazione del credito (non sono
vietate queste attività se svolte singolarmente, ma è vietato svolgerle
insieme ed in maniera sistematica), e l’attività di gestione collettiva del
risparmio, connotata dal fatto che l’investitore partecipa ad una forma
collettiva di investimento alimentando un fondo diviso per quote ed
indirizzato a tal fine, e gestibile da SGR, SICAV e SICAF.
In ogni ambito del sistema finanziario si tende a garantire trasparenza
delle condizioni contrattuali e correttezza dei rapporti verso il cliente; a tal
fine sono potenziati gli obblighi informativi, introdotti vincoli per
equilibrare le posizioni contrattuali delle parti per evitare un eccessivo
sbilanciamento a favore dell’impresa, l’obbligo di assistenza del cliente da
cui discende quello della valutazione dell’adeguatezza del prodotto offerto.

Organizzazione e gestione delle imprese finanziarie

L’inizio dell’attività
L’esercizio dell’attività nel settore finanziario richiede l’autorizzazione
preventiva dell’Autorità competente, concessa quando siano rispettati dal
richiedente tutti i necessari requisiti a) di forma giuridica dell’ente, che
dev’essere una società di capitali o cooperativa, b) di capitale sociale
(sottoscritto ed interamente versato), c) di onorabilità dei titolari di
partecipazioni rilevanti, d) di professionalità ed indipendendenza di
amministratori e controllori.
L’acquisto di una partecipazione rilevante dev’essere autorizzato
dall’Autorità, che valuterà in base all’idoneità del socio a garantire la sana
e prudente gestione ed in base al possesso dei requisiti di onorabilità.

Gestione ordinaria e straordinaria dell’attività


I vincoli della gestione ordinaria riguardano a) l’adeguatezza patrimoniale,
per la quale è previsto che il patrimonio dell’ente non scenda mai al di
sotto di quanto richiesto per la sua formazione e mantenga determinati
rapporti rispetto ai rischi assunti nell’attività, in modo da assicurare la
piena copertura del rischio qualora esso si verifichi, b) l’assunzione di
partecipazioni in altre imprese, così da presidiare il rischio insito nella
partecipazione al capitale altrui, c) l’organizzazione, declinata in governo
societario, del quale va predisposto un progetto indicante le funzioni di
supervisione, gestione e controllo degli organi, ed assetto organizzativo,
che sia adeguato ai rischi assunti ed al controllo interno, affinché sia sana e
prudente, ossia giustamente commisurata ai rischi, trasparente e sostenibile.
Quanto alla gestione straordinaria, per le modifiche statutarie (incluse
fusioni e scissioni) delle banche e delle SGR è prevista l’autorizzazione
della Banca d’Italia destinata a verificare che l’operazione sia sana e
prudente; nel caso delle società finanziarie, la modifica andrà comunicata
ed entro 30 giorni la BdI potrà vietarla. In caso di inosservanza di queste
disposizioni sono previste sanzioni amministrative che spaziano dalle
pecuniarie allo scioglimento dell’ente.
Patologia e cessazione dell’attività
Al verificarsi di una causa di scioglimento, la liquidazione avviene sotto il
controllo della BdI. In caso di irregolarità non gravi l’Autorità può inibire
nuove o operazioni, in caso di irregolarità gravi può invece disporre
l’amministrazione straordinaria, in caso di irregolarità eccezionalmente
gravi l’autorità ricorre alla liquidazione coatta amministrativa; l’Autorità
può altresì sottoporre la banca a risoluzione per ripristinarne le condizioni
di sostenibilità economica. L’intervento dell’Autorità è finalizzato a
scongiurare crisi sistemiche date dalla perdita di fiducia nei confronti dei
sistemi bancari.

Principali contratti finanziari

Contratti di esercizio del credito e garanzie personali


I contratti con cui si svolge l’attività creditizia soddisfano un bisogno di
liquidità del cliente esponendo l’intermediario al rischio di credito.
-Il mutuo prevede che il mutuante consegni una somma di denaro al
mutuatario e che questo restituisca la somma in un momento successivo
con gli interessi maturati in ragione del differimento del rimborso; è un
contratto reale in quanto si perfeziona con la consegna del denaro.
-L’apertura di credito bancario prevede l’apertura in conto (se non
previsto diversamente) di una somma di denaro di cui il cliente entra in
disposizione, avendone la facoltà ma non l’obbligo di utilizzo, essendo
dunque il rapporto consensuale e non reale. Il cliente dovrà reintegrare con
versamenti la somma sul conto (pur potendosi stabilire che la somma sia
utilizzabile una volta sola e non reintegrabile); diversamente dal mutuo,
l’apertura può essere a tempo indeterminato.
Sia al mutuo che a tale attività può collegarsi una garanzia che rafforzi il
diritto di rimborso del capitale.
-Il credito fondiario è un’apertura di credito a medio/lungo termine
garantita da ipoteca, la quale, in deroga, non può essere oggetto di
revocatoria ed è frazionabile (se suddivisibile in porzioni) dal terzo acquirente.
-Il leasing finanziario è un’operazione trilaterale (tra utilizzatore,
intermediario e fornitore) che prevede che l’intermediario finanziario si
obblighi ad acquistare un bene su indicazione dell’utilizzatore, che ne
assume tutti i rischi, mettendoglielo a disposizione in cambio di un
corrispettivo; alla scadenza del contratto questo potrà acquistare la
proprietà del bene o restituirlo. Esiste poi l’alternativa del lease-back, nel
quale il proprietario di un bene (che abbia bisogno di liquidità) vende
questo all’intermediario, che concede il bene in godimento al venditore,
che potrà riscattarlo.
-Con l’anticipazione bancaria, la banca anticipa il valore di titoli e merci
concessi in pegno; il finanziato può rimborsare prima della scadenza la
somma anticipata anche solo in parte e ritirare titoli e merci dati in pegno
in proporzione (ulteriore deroga all’indivisibilità del pegno). Simile a tale
operazione è l’alienazione in garanzia, ossia la cessione di un bene con
diritto di riacquisto (simile peraltro al lease-back) che può rappresentare
un negozio in frode quando l’altra parte non sia un imprenditore. E’ poi
ammesso il pegno rotativo, che prevede la sostituzione dell’oggetto di
garanzia senza che ciò comporti la costituzione di nuova garanzia.
-Lo sconto bancario è un mutuo cui è collegata una cessione del credito, il
cui importo è anticipato dalla banca scontati gli interessi; la cessione serve
a garantire il pagamento del debito ed è salvo buon fine, essendo il debito
del cliente estinto solo con la riscossione del credito e potendo la banca
rivalersi sul cliente per quanto dovuto qualora questa non avvenga.
-Il factoring prevede una cessione in massa dei crediti commerciali, di cui
può mancare l’anticipo, su scelta del factor; questo svolge in ogni caso un
servizio di gestione del credito.
I finanziamenti bancari possono essere assistiti da garanzie reali e
personali, cosicché, oltre alla fideiussione, è prevedibile una fideiussione
omnibus prestata a garanzia di tutti i crediti verso il soggetto garantito; si
allenta così il rapporto di accessorietà tra garanzia e credito garantito,
essendo quindi prevedibili clausole a prima richiesta o di reviviscenza,
dovendo tuttavia essere previsto l’importo massimo garantito. Si passa
dalla fideiussione ad un contratto autonomo di garanzia quando sia
previsto che il terzo garante non possa opporre eccezione al creditore né
prima né dopo aver pagato.

Contratti di raccolta del risparmio tra il pubblico


-I depositi bancari di denaro prevedono che, con la consegna del denaro,
la banca ne acquista la proprietà e può disporne, obbligandosi a restituire
il denaro alla scadenza di un termine o alla richiesta del cliente (deposito a
termine o a vista, quest’ultimo regolabile in conto corrente attraverso il
collegamento con il relativo contratto); il cliente può incrementare la
somma depositata e richiederne restituzioni parziali. I depositi sono
documentabili con libretti di deposito a risparmio, o con i titoli di deposito
(certificati di deposito e buoni fruttiferi), nominativi o al portatore.
-Le banche possono utilizzare per raccogliere il risparmio le obbligazioni
bancarie, le quali non possono avere un taglio inferiore a 10000 euro ed
una durata inferiore a 36 mesi, ma possono essere rimborsate anticipatamente
decorsi 18 mesi o può essere richiesto dal cliente decorsi 24 mesi. In forma di
obbligazioni possono offrirsi prestiti subordinati, aventi diritto al rimborso
postergato, o irredimibili, aventi diritto di rimborso incerto legato
all’andamento della banca.

Contratti aventi ad oggetto servizi di investimento


Pur non esistendo una nozione di servizi di investimento, è fornita
un’elencazione di tipologie che devono aver per oggetto strumenti finanziari.
-La negoziazione per conto proprio è un mandato con cui l’intermediario
si obbliga ad eseguire specifici ordini di acquisto o trasferimento di
strumenti finanziari stipulando i contratti in contropartita diretta col
cliente.
-Il contratto di esecuzione di ordini per conto del cliente obbliga
l’intermediario a stipulare contratti esecutivi di un ordine a nome del cliente.
-Il contratto di gestione di portafogli è un mandato a gestire strumenti
finanziari secondo una valutazione di convenienza affidata
all’intermediario attraverso operazioni di acquisto o trasferimento.
-Col collocamento l’intermediario si impegna ad offrire al pubblico
strumenti finanziari emessi o di titolarità del cliente.
-Con la ricezione e trasmissione di ordini l’intermediario riceve e
trasmette gli ordini impartiti ad un altro intermediario che esegue l’ordine.
-Con la consulenza finanziaria l’intermediario fornisce ad un cliente
raccomandazioni sull’opportunità di alcune operazioni.
-Con la gestione collettiva del risparmio l’intermediario gestisce un FCI
nell’interesse di una pluralità di investitori
La tutela del cliente finanziario

Linee di base della tutela nei rapporti bancari e d’investimento


Sia nell’ambito dei rapporti bancari che in quello dei contratti di
investimento le regole si differenziano per tipi di cliente e di operazione;
in particolare le operazioni bancarie hanno una disciplina generale e delle
discipline più dettagliate per cliente al dettaglio e consumatore, caratterizzate
per una protezione crescente in base alla debolezza del cliente. Funziona allo
stesso modo nel settore dei rapporti di investimento, nella quale vi è una
distinzione tra clienti professionali, controparti qualificate e clienti al dettaglio.

Le regole a tutela del cliente nei rapporti bancari


Un primo nucleo di regole è relativo alla trasparenza. E’ in ogni caso
previsto che i testi usati dall’intermediario siano facilmente leggibili.
Nell’ambito pre-contrattuale, è previsto che l’intermediario metta a
disposizione dei fogli illustrativi, documenti standard esplicanti i contratti
offerti, dei quali il cliente può ottenere, su richiesta, un testo completo. Per
quanto riguarda la fase contrattuale è prevista la forma scritta per la
conclusione del contratto. Nella fase post-contrattuale il cliente ha diritto
a ricevere un’informazione periodica sull’andamento del rapporto una
volta l’anno, per i servizi di pagamento è prevista una ricevuta per ogni
singola operazione ed un rendiconto mensile; l’informativa è gratuita.
E’ poi prevista una serie di regole per l’equilibrio economico del contenuto
dei contratti bancari. La principale è quella della disciplina antiusura,
prevista per il mutuo ma estensibile ad ogni finanziamento e vietante la
pattuizione di interessi usurai, prevedendo la nullità della sola clausola
che li prevede e quindi la gratuità del finanziamento; è usuraio l’interesse
che supera il tasso soglia vigente per il tipo di finanziamento cui è
ascrivibile il contratto stipulato dal cliente o che risulti sproporzionato.
E’ poi previsto un altro nucleo sull’equilibrio disciplinare. L’intermediario
può variare unilateralmente il contratto (ius variandi) solo per giustificato
motivo e con approvazione per iscritto; il cliente può invece concludere il
rapporto senza dovere gli interessi maturandi e gli è poi concesso il
recesso gratuito anche quando (in deroga) il contratto è a tempo
determinato, potendo inoltre il finanziato surrogare un terzo nella
posizione del finanziatore.
Infine, sono previste regole organizzative, le quali esigono che
l’intermediario sia dotato di una struttura organizzativa adeguata (per le
sole attività svolte nei confronti della clientela al dettaglio). Come
sanzione per l’inadempimento degli obblighi c’è innanzitutto la nullità
relativa (che può essere fatta valere solo dal cliente); è prevista poi la
nullità del contratto non stipulato per iscritto e l’inefficacia delle modifiche
fatte dall’intermediario senza rispetto della legge, e le clausole nulle sono
sostituite con quelle inserite nei fogli illustrativi, e vale la stessa regola
quando delle clausole non siano indicate, salvo che nel caso del tasso di
interesse, che viene sostituito da quello delle operazioni dei buoni ordinari del
tesoro. Nel caso di nullità dell’intero contratto di credito ai consumatori, questi
non sono tenuti a restituire più delle somme utilizzate. Infine sono previste
sanzioni amministrative per la trasgressione di tutte le regole di tutela.
Il cliente può sottoporre la propria lite con un intermediario ad un Arbitro
Bancario Finanziario, evitando di rivolgersi all’organismo giudicante e quindi i
tempi ed i costi di quest’ultimo. L’ABF darà modo all’intermediario di
ricomporre il rapporto del cliente e di non perderne la fiducia.

Le regole a tutela del cliente nei rapporti d’investimento


Le regole per la trasparenza a tutela del cliente richiedono la forma scritta
e che l’intermediario informi il cliente sul contenuto del contratto.
L’equilibrio disciplinare è protetto attraverso regole di diligenza tra cui la
best execution, consistente nel dovere dell’intermediario di ottenere
nell’esecuzione degli ordini il miglior risultato possibile per i clienti;
l’intermediario devo poi rispettare regole di adeguatezza, valutandola nelle
operazioni per il cliente in base alle sue capacità finanziarie e di non
consigliare operazioni inadeguate per il cliente. L’intermediario può agire sotto
conflitto di interessi purché a) adotti ogni misura per identificare i conflitti e b)
li gestisca in modo che non incidano negativamente sul cliente. Sono previste la
nullità relativa del contratto per inosservanza della forma prescritta, e, dal punto
di vista amministrativo, sanzioni amministrative per l’inosservanza delle regole
di tutela e, in caso di gravi irregolarità, la l.c.a. o l’amministrazione
straordinaria. I clienti possono sottoporre il loro caso ad un Arbitro a seguito di
un reclamo che non abbia avuto risposta o che l’abbia avuta negativa; non
condanna a pagare somme superiori di 500000 euro.

La disciplina dei mercati

I mercati regolamentati e la società di gestione dei mercati


Il mercato è un sistema in cui vengono eseguiti scambi di strumenti finanziari
secondo regole e meccanismi propri dello stesso; l’attività di organizzazione e
gestione dei mercati regolamentati ha carattere di impresa ed è esercitata da
s.p.a. senza scopo di lucro, le quali devono inoltre rispettare dei requisiti di
oggetto sociale, che può unicamente prevedere l’esercizio di attività connesse
all’organizzazione e gestione dei mercati. Alla società vengono conferiti poteri
di autoregolamentazione, essendo il mercato disciplinato con regolamento
deliberato dall’assemblea ordinaria; esse hanno inoltre il potere di adottare
tutti gli atti necessari per l’ordinato funzionamento del mercato regolamentato.
Sui mercati regolamentati le autorità effettuano solo vigilanza esterna (e non
attività di gestione). Accanto ai mercati regolamentati esistono quelli non
regolamentati: in seguito alla ricezione della direttiva MiFID è venuta meno la
netta distinzione tra mercati regolamentati e non, che sono stati sostanzialmente
equiparati, essendo adesso entrambi parti di una più ampia accezione di trading
venues (sedi di negoziazione). Ciò ha comportato altresì la creazione di una
nuova attività d’investimento di gestione dei sistemi multilaterali di
negoziazione (MTF).

La disciplina degli emittenti

I principi
Gli emittenti ricorrono al mercato mobiliare per la raccolta diretta di
risorse finanziarie, sottoponendo gli strumenti emessi al collocamento
presso il pubblico e ad ulteriore negoziazione; essi devono pertanto
sottostare a specifici obblighi informativi affinché sia attribuito un certo
prezzo agli strumenti collocati. E’ poi stabilito che l’Autorità deve attuare
la sua azione di controllo a) per tutelare gli investitori, la cui fiducia nel
mercato ne è il fondamento, per garantire la trasparenza e l’efficienza b)
nel mercato di capitali, favorendo la circolazione di informazioni sugli
emittenti presso gli investitori e c) nel mercato del controllo.

L’offerta al pubblico
La sollecitazione all’investimento è possibile attraverso l’offerta al
pubblico, una sollecitazione ad una cerchia di soggetti da parte
dell’emittente, di intermediari che si occupano del collocamento, o
soggetti diversi a sottoscrivere o acquisire un titolo; l’offerente ha
l’obbligo di redigere un prospetto informativo, sottoposto ad espressa
approvazione della Consob e contenente tutte le informazioni necessarie a
formare un giudizio sul prodotto offerto. E’ poi delineata una responsabilità
di prospetto per i danni arrecati agli investitori derivanti dall’affidamento sulla
veridicità delle informazioni del prospetto. Tali disposizioni non si applicano ad
una serie di casi, come alle offerte rivolte ad investitori qualificati.
L’offerta pubblica di acquisto
Si configura come offerta pubblica di acquisto (opa) ogni invito finalizzato
a sollecitare l’investitore al disinvestimento. Prima della promozione
dell’offerta viene presentato il documento destinato alla pubblicazione alla
Consob, che verifica entro 15 giorni se sia utile a formare un giudizio
sull’offerta; una volta autorizzato (anche senza espressa autorizzazione
decorsi i 15 giorni) viene trasmesso e si passa alla fase di pendenza
dell’offerta, la quale è irrevocabile, e nel suo corso i titolari dei prodotti
finanziari possono valutare se procedere alla vendita. Per aumentare
l’efficienza del mercato e la contendibilità del controllo di una società è
prevista una passivity rule, per la quale le società devono astenersi dal
compiere atti che contrastino gli obiettivi dell’opa; tale divieto è
derogabile a) dallo statuto, b) quando l’operazione sia autorizzata
dall’assemblea, c) quando gli offerenti provengono da Paesi stranieri.
Per fornire tutela agli investitori di fronte al mutamento del controllo sono
previste due ipotesi di opa obbligatoria. La prima, l’opa successiva, è
prevista quando a seguito di acquisti di titoli dotati di diritto di voto
l’offerente venga a detenere una partecipazione superiore al 25% (30%
nelle PMI, modificabile tra il 25% ed il 40%); l’offerta sarà rivolta ai
titolari di tutti gli altri titoli ad un prezzo non inferiore a quello più elevato
pagato nei 12 mesi precedenti, consentendo ad ogni investitore di
beneficiare del premio di maggioranza. La seconda, l’opa totalitaria, è
prevista quando un soggetto già possieda una quota superiore al 30% ed
acquisti ulteriori partecipazioni con diritto di voto per più del 5%.
L’obbligo non scatta quando sia stata lanciata dallo stesso soggetto un’opa
su almeno il 60% delle azioni. E’ poi stabilito un obbligo di acquisto
residuale a chi abbia conseguito una partecipazione al capitale del 95%,
che dovrà acquistare i titoli di chiunque ne faccia richiesta. Tali
disposizioni si applicano per le sole emittenti quotate.

L’informazione societaria
Per tutelare la trasparenza e l’efficienza del mercato gli emittenti devono
essere costantemente trasparenti per i fatti concernenti l’impresa; sotto tal
profilo, all’accesso dei titoli di un’emittente al mercato, questo deve
diffondere un prospetto di quotazione, presupposto della loro stabile
negoziazione, e deve poi fornire le informazioni individuate dalla legge
sulle principali operazioni, con particolare attenzione a quelle price
sensitive, aventi cioè un effetto significativo sui prezzi. La Consob dispone
di poteri individuali per verificare la correttezza delle informazioni.

Lo statuto speciale delle società con azioni quotate


Al fine di garantire il gioco del mercato nel controllo della società e per
garantire che il valore delle azioni rifletta il valore assegnato ai diritti in
esse contenuti, sono previste per le società quotate particolari regole.
Innanzitutto è previsto per gli assetti proprietari che i titolari di azioni per
più del 3% del capitale sociale (5% nelle PMI) debbano comunicare tale
situazione alla Consob ed alla società partecipata (hanno lo stesso obbligo
al superamento di altre soglie); in caso di inadempimento è previsto che il
voto inerente alle azioni quotate o agli strumenti finanziari è sospeso (e se
è stato determinante per una delibera questa è annullabile). Le società
quotate aventi partecipazioni reciproche per le stesse soglie sopra indicate
sono soggette alla stessa sanzione.
I patti parasociali riguardanti le società quotate o che le controllano
devono essere a) comunicati alla Consob ed alla società, b) pubblicati per
estratto nella stampa quotidiana, c) depositati presso il registro; in caso di
inottemperanza a tali obblighi viene bloccato l’esercizio del diritto di voto.
Pur essendo rinnovabili e stipulabili a tempo indeterminato, i patti non
possono avere durata determinata di più di 3 anni. Tali disposizioni sono
estese a tutti i patti aventi per oggetto l’esercizio del diritto di voto tra
partecipazioni almeno pari al 2%.
La legge riconosce dei particolari istituti per la struttura finanziaria delle
quotate. Il primo è quello delle loyalty shares, per il quale è prevista una
maggiorazione del dividendo (fino al 10%) per coloro che abbiano
posseduto le azioni per un periodo non inferiore ad un anno (stabilito nello
statuto) o un’attribuzione di un maggiorazione del diritto di voto (fino ad
un massimo due) per coloro che abbiano detenuto le azioni per un periodo
di due anni (non è invece possibile nelle quotate emettere categorie di
azioni con voto plurimo). L’altro istituto è quello delle azioni di risparmio,
prive del diritto di voto e dotate di particolari privilegi di natura
patrimoniale determinati dallo statuto; in quanto prive di voto, tali azioni
sono tutelate come le obbligazioni (assemblea speciale e rappresentante
comune). Accanto a tali istituti sono poi previste delle particolari regole di
governo in virtù della polverizzazione della proprietà azionaria, in virtù
della quale il controllo effettuato dall’assemblea è effettivamente meno
forte, essendo questa composta perlopiù da risparmiatori; il controllo di
merito verso gli amministratori non è quindi affidati all’esercizio dei diritto
sociali, bensì al confronto con gli investitori professionisti e, in seguito, al
gioco del mercato. L’assemblea viene così resa il luogo in cui approvare o
meno il rendiconto di gestione e quindi gli indirizzi politico-strategici
dell’attività amministrativa, forniti attraverso il più articolato avviso di
convocazione e attraverso la relazione dettagliata sull’ordine del giorno,
piuttosto che la sede di decisioni collegiali sulla gestione. I risultati sociali,
una volta approvati dagli effettivi partecipanti alla vita sociale, sono
sottoposti al giudizio esterno degli investitori, che valutano il
mantenimento o meno dell’investimento, e per mantenere una chiara
informazione verso di loro è previsto il rafforzamento dei controlli interni
e sono ampliati i poteri degli organi di controllo.

Carmine P. Trombetta - Management Imprese Internazionali - UniParthenope

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