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PROFILI DELL’IMPRESA

ALBERTO ASQUINI

Sommario

1. Premessa. — 2. L’impresa in senso economico. — 3. L’impresa nella


legislazione anteriore al nuovo codice civile (codice civile del 1865, codice di
commercio, legislazione infortunistica) secondo l’ordinamento corporativo e
il nuovo codice civile. — 4. Diversi profili giuridici. — 5. A) Profilo sogget-
tivo: l’impresa come imprenditore. — 6. Nozione di imprenditore. — 7. B)
Profilo funzionale: l’impresa come attività imprenditrice. — 8. Nozione di
attività imprenditrice. — 9. C) Profilo patrimoniale e oggettivo: l’impresa
come patrimonio aziendale. — 10. e come azienda. — 11. Posizione del
codice. — 12. D) Profilo corporativo: l’impresa come istituzione. — 13.
Nozione di istituzione. — 14. Gli elementi istituzionali dell’impresa. — 15.
Conclusioni.

1. — Nei primi contatti della pratica col nuovo codice civile sul tema dell’im-
presa si è creato un certo disorientamento. Non è piaciuto a molti che il codice non
abbia dato una definizione giuridica dell’impresa. Meno incoraggiante è sembrata
la posizione discordante presa al riguardo dai commentatori del codice (1), la quale
si è prestata alle solite facili ironie sull’opera dei giuristi: Bisogna superare questo
stato d’animo di insoddisfazione, vedendo le cose come sono.

Il concetto di impresa è il concetto di un fenomeno economico poliedrico, il


quale ha sotto l’aspetto giuridico non uno, ma diversi profili in relazione ai diversi
elementi che vi concorrono. Le definizioni giuridiche dell’impresa possono quindi
essere diverse secondo il diverso profilo, da cui il fenomeno economico è riguardato.
È questa la ragione della mancata definizione legislativa; è questa, almeno in parte,
la ragione del mancato incontro delle diverse opinioni finora manifestate nella
dottrina.

Uno è il concetto di impresa, come fenomeno economico; diverse le nozioni


giuridiche relative ai diversi aspetti del fenomeno economico. Quando si parla
genericamente di diritto dell’impresa, di diritto dell’impresa commerciale (diritto

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commerciale), di diritto dell’impresa agricola (diritto agrario), si considera l’im-
presa nella sua realtà economica unitaria (materia di diritto). Ma quando si parla
dell’impresa in relazione alla sua disciplina giuridica, occorre operare con nozioni
giuridiche diverse, secondo i diversi aspetti giuridici del fenomeno economico.

L’interprete può correggere talune incertezze di linguaggio del codice; però alla
sola condizione di non confondere i concetti che occorre tener distinti e special-
mente quelli che il codice ha voluto tener distinti. Per arrivare a ciò il concetto
economico di impresa deve essere il punto di partenza; ma non può essere un punto
di arresto.

2. — Il concetto economico di impresa fatto proprio dal codice civile è quello


dell’ordinamento corporativo che è un ordinamento a base professionale.

Come tale il concetto economico di impresa è essenzialmente riferito all’econo-


mia di scambio, poiché solo nell’orbita dell’economia di scambio l’attività dell’im-
prenditore può acquistare carattere professionale. È quindi impresa nel senso del
codice civile ogni organizzazione di lavoro e di capitale al fine della produzione di
beni o servizi per lo scambio (2). Non sono imprese, nel senso del codice civile,
quelle forme di organizzazione della produzione, che, pure impiegando lavoro ed
eventualmente capitale altrui ed avendo una struttura tecnica analoga a quella
dell’impresa operante per lo scambio, sono destinate a provvedere esclusivamente
al consumo diretto dell’imprenditore (coltivazione di un fondo per gli esclusivi bi-
sogni famigliari del produttore; costruzione di una casa in economia per uso del
costruttore; esercizio della navigazione per diporto dell’armatore, che certamente
invece è impresa per il codice della navigazione) (3).

La dottrina economica dell’impresa fa parte della dinamica dell’economia, poi-


ché il fenomeno della produzione si svolge necessariamente nel tempo ed è soprat-
tutto in relazione alla variabilità nel tempo del risultato utile dell’impresa per
l’imprenditore (rischio dell’impresa), che il lavoro organizzativo dell’imprenditore
assume rilievo economico. Il rischio dell’impresa — rischio tecnico, inerente a ogni
procedimento produttivo, e rischio economico, inerente alla possibilità di coprire i
costi del lavoro (salari) e del capitale (interessi) impiegati con i ricavi dei beni o
servizi prodotti per lo scambio (4) — fa si che all’imprenditore si richieda un la-
voro di organizzazione e di creazione per determinare conformemente ad adeguate
previsioni le modalità di attuazione della produzione e della distribuzione dei beni.
È questo l’apporto tipico dell’imprenditore; donde quella speciale rimunerazione
dell’imprenditore che dicesi profitto (margine differenziale tra i ricavi e i costi) e
che costituisce il normale motivo della attività imprenditrice sul piano economico.

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Anche nell’economia di scambio la funzione dell’imprenditore è dunque una
funzione creativa di ricchezza e non soltanto intermediaria. Vero è che attraver-
so l’attività dell’imprenditore trovano impiego il lavoro e i capitali disponibili sul
mercato e viene soddisfatta la domanda di beni o servizi da parte del mercato.
Ma nei beni o servizi forniti dall’imprenditore al mercato sono incorporati non
solo il lavoro esecutivo e i capitali impiegati, ma anche il lavoro organizzativo e
creativo dell’imprenditore. Ciò vale qualunque sia l’oggetto dell’impresa; consista
esso nella trasformazione di beni preesistenti in nuovi beni o servizi, come av-
viene nell’attività agricola e industriale, o nell’accrescimento dell’utilità di beni
preesistenti, mediante la loro distribuzione al mercato di consumo, come avvie-
ne nell’attività commerciale (intermediaria) in senso stretto; operi l’impresa sul
mercato delle merci, come avviene nel campo dell’attività agricola, industriale o
commerciale, oppure operi sul mercato dei capitali, come avviene nel campo del-
l’attività bancaria e assicurativa. La funzione organizzatrice dell’imprenditore è
più evidente nelle imprese di maggiori dimensioni — grandi e medie imprese — in
cui il lavoro organizzativo dell’imprenditore si distacca nettamente dal lavoro dei
suoi dipendenti; ma sussiste anche nella piccola impresa, in cui la prestazione del
lavoro personale dell’imprenditore e dei suoi famigliari prevale bensı̀ sull’impiego
del lavoro altrui, oltre che sull’impiego di capitale, ma non esclude che, in scala
ridotta, un impiego di lavoro altrui e di capitale ci sia.

Nell’economia di scambio il carattere professionale dell’attività dell’imprendi-


tore è un elemento naturale dell’impresa. Il principio della divisione del lavoro e la
necessità di ripartire nel tempo le spese organizzative di primo impianto, infatti,
orientano naturalmente l’imprenditore a specializzare la sua funzione attraver-
so un’attività a serie dando luogo a un’organizzazione di durata, normalmente a
scopo di guadagno. L’estensione della durata dell’impresa è inoltre spesse volte
inerente allo stesso oggetto dell’impresa (es. costruzione di una strada, sommini-
strazione periodica di una merce). L’impresa momentanea può pertanto venire in
considerazione nell’economia solo come un fenomeno marginale (5).

3. — È appena il caso di rilevare che il concetto di impresa, entrando nel codice


civile attraverso l’ordinamento corporativo col significato economico sopraindicato,
si è staccato dai diversi significati che la parola impresa  aveva nella legislazione
anteriore.

Nel codice del 1865, che ricalcava il codice napoleone, impresa era nella locatio
operis (contrat d’entreprise) la prestazione del conductor operis (imprenditore)
(art. 1627, n. 3); mentre nella locatio operarum impresa era uno dei possibili
termini di riferimento per la determinazione delle operae dovute dal locator ope-

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rarum (art. 1628), nel qual caso appariva come imprenditore il datore di lavoro
(conductor operarum).

Nel codice di commercio il concetto di impresa era bensı̀ adottato in senso eco-
nomico, come organizzazione della produzione per lo scambio, però solo sotto il
profilo di atto obiettivo di commercio (prescindendo quindi dall’elemento profes-
sionale) (6) e solo nel limitato settore della produzione industriale, con esclusione
dell’artigianato (art. 3, n. 6, 7, 8, 9, 10, 13, 21); mentre la professionalità del-
l’attività dell’imprenditore diveniva rilevante solo per conferire all’imprenditore la
qualità di commerciante (art. 18).

Nella legislazione infortunistica, nel settore dell’industria è considerata impresa


qualsiasi organizzazione produttiva che impieghi più di cinque operai e, in questi
limiti, imprenditore è sinonimo di datore di lavoro, anche se produca esclusiva-
mente per il proprio consumo (t. u. 31 gennaio 1904, n. 51) (7). In analogo
senso nella legislazione infortunistica, nel settore dell’agricoltura, è usata la parola
azienda, prescindendosi anche dal requisito minimo dell’impiego di cinque operai
(r. d. 23 agosto 1917, n. 1450).

È stato l’ordinamento corporativo ad assumere per la prima volta nella no-


stra legislazione il concetto di impresa nel suo significato economico tecnico di
organizzazione della produzione per lo scambio, con riferimento ad ogni settore
dell’economia e a riconoscere e a identificare in relazione a tale concetto le diverse
categorie professionali: datori di lavoro o imprenditori da un lato, prestatori di
lavoro dipendente nell’impresa, dall’altro lato.

In questo senso le parole imprenditore  e  impresa , che non ricorrono


ancora nella prima legge 3 aprile 1926, n. 525, sono usate nella legislazione corpo-
rativa successiva (r. d. 1 luglio 1926, n. 1130, r. d. 6 maggio 1928, n. 1251; I. 25
gennaio 1934, n. 150; cod. pen. art. 330, 331) e anzitutto nella Carta del lavoro
(Dich. VII, XIV, XVIII ecc.). In questo senso il concetto di impresa è entrato nel
nuovo codice civile, come è espressamente dichiarato nella relazione  Il concetto
di impresa accolto nel codice è quello della Carta del lavoro, non legato a par-
ticolari settori dell’economia, ma abbracciante ogni forma di attività produttiva
organizzata, agricola, industriale, commerciale, creditizia, non legato a particolari
dimensioni quantitative, ma comprendente cosi la grande e la media impresa, co-
me la piccola impresa del coltivatore diretto del fondo, dell’artigiano, del piccolo
commerciante, salvo per la piccola impresa la particolarità del suo statuto .

4. — Affermare, però, che la nozione di impresa è entrata nel nuovo codi-


ce civile con mi determinato significato economico non vuoi dire che la nozione

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economica di impresa sia immediatamente utilizzabile come nozione giuridica. La
relazione al nuovo codice ha assolto il suo compito politico definendo i termini
economici secondo i quali il concetto di impresa è entrato nel nuovo codice. Tra-
durre i termini economici in termini giuridici è compito dell’interprete, come ha
rettamente avvertito SANTORO-PASSARELLI nel precedente fascicolo di questa
Rivista. Ma poiché di fronte al diritto il fenomeno economico dell’impresa si pre-
senta come un fenomeno avente diversi aspetti, in relazione ai diversi elementi che
in esso concorrono, l’interprete non deve operare con il preconcetto che il fenomeno
economico dell’impresa debba per forza entrare in uno schema giuridico unitario.
Al contrario, occorre adeguare le nozioni giuridiche dell’impresa ai diversi aspet-
ti del fenomeno economico. Dove per indicare un particolare aspetto giuridico
dell’impresa economica il codice ha adottato un particolare nomen iuris, questo
deve essere rispettato. Negli altri casi, dove la parola impresa è usata dal codice
— per comodità pratica di linguaggio o per povertà di vocabolario — in diverso
significato giuridico, spetta all’interprete chiarire il diverso significato. In questo
senso sono dettate le note che seguono, rivolte a fermare l’attenzione sui diversi
profili giuridici sotto cui il codice considera il fenomeno economico dell’impresa.
Si vedrà, almeno spero, che questi profili non sono riducibili a quelli del tempo e
dello spazio, come vorrebbe il sistema dualistico di CARNELUTTI (8), né tanto
meno ad un problema di dimensione, come vorrebbe SANTORO-PASSARELLI.

5. — A) Profilo soggettivo: l’impresa come imprenditore. — Il codice civile


e le leggi speciali considerano spesso l’organizzazione economica dell’impresa dal
suo vertice, usando la parola in senso soggettivo come sinonimo di imprenditore
(cod. civ. 2070, 2188, 2570; legge fall. art. 1, 2, 195, 166, 202, 205, ecc.; T. d. 1
luglio 1926, n. 1130, art. 8; T. d. 6 maggio, art. 2; d. m. 11 gennaio 1931 sull’in-
quadramento sindacale, ecc.). Alcune leggi usano come sinonimo di imprenditore
anche la parola  azienda : es. r. d. 16 agosto 1934, n. 1386 sull’inquadramento
delle aziende esercenti il credito e l’assicurazione. Si tratta di metonimie giusti-
ficate dalla considerazione che l’imprenditore, non solo sta nell’impresa (in senso
economico), ma ne è il capo e l’anima. Ciò non toglie che nel linguaggio giuridico
l’uso della parola  impresa  per imprenditore  è un traslato che può essere
evitato, anche se l’imprenditore è una persona giuridica (cosı̀ anche il codice, art.
2221) (9).

6. — La definizione di imprenditore secondo il codice, risulta dall’art. 2082:


É imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata
al fine della produzione e dello scambio di beni o di servizi . Emerge da questa de-

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finizione (malgrado qualche imperfezione, inevitabile come in tutte le definizioni) il
puntuale riferimento della nozione giuridica d’imprenditore alla nozione economica
di impresa, come sopra delineata.

Dall’analisi della definizione dell’art. 2082 risulta infatti che, secondo il codice,
è imprenditore:

a)  chi esercita , cioè il soggetto di diritto (persona fisica o persona giuridica,


persona giuridica privata o pubblica) che esercita in proprio nome: quindi, se
vi è gestione rappresentativa, il rappresentato, non il rappresentante; la persona
giuridica, non gli organi sociali, attraverso cui la persona giuridica esplica la sua
attività;

b)  un’attività economica organizzata  cioè un’attività imprenditrice (or-


ganizzazione del lavoro altrui e del capitale proprio od altrui) il che importa da
parte dell’imprenditore la prestazione di un lavoro autonomo di carattere organiz-
zativo e l’assunzione del rischio tecnico ed economico correlativo. Non è quindi
imprenditore chi esercita un’attività economica alle dipendenze altrui e a rischio
altrui. Non è nemmeno imprenditore chi presta un lavoro autonomo di carattere
esclusivamente personale, sia di carattere materiale, sia di carattere intellettuale.
Non è quindi imprenditore chi esercita un semplice mestiere (la guida, il media-
tore, il portabagagli, ecc.), né di regola chi esercita una professione intellettuale
(l’avvocato, il medico, l’ingegnere, ecc.), a meno che l’esercizio della professione
intellettuale non  dia luogo a una speciale attività organizzata a forma d’impresa
 (art. 2238), come nel caso dell’esercizio della farmacia, dell’esercizio di un casa

di cura, dell’esercizio di un istituto di istruzione, ecc. La nozione di imprendi-


tore non è però legata a una particolare dimensione dell’impresa economica. A
differenza di quanto prevedeva il progetto di codice di commercio del 1940, che-
distingueva tra  impresa  (Unternehmen) (art. i) ed  esercizio professionale
 dell’artigiano e del piccolo commerciante (art. 2) (Gewerbebetrieb), secondo il

nuovo codice civile (art. 2083) chiunque eserciti un’attività organizzata, anche se
di modeste dimensioni, è imprenditore, sia pure con uno statuto speciale: quello
di piccolo imprenditore: il coltivatore diretto del fondo, l’artigiano, il piccolo com-
merciante, ne sono esempi. Il piccolo imprenditore si distingue dall’imprenditore
ordinario solo per la prevalenza che nell’organizzazione della piccola impresa ha il
coefficiente rappresentato dal lavoro proprio dell’imprenditore e dei suoi familiari,
rispetto al coefficiente rappresentato dal lavoro altrui o dal capitale proprio od
altrui. In questo senso la precisazione contenuta nell’art. i della legge fallimentare
ha carattere interpretativo, non innovativo, rispetto all’art. 2083 (10).

c)  al fine della produzione per lo scambio di beni o servizi  rectius:  al


fine della produzione per lo scambio o dello scambio di beni o servizi . Risulta da

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ciò l’essenziale riferimento della nozione di imprenditore al concetto- economico
di impresa operante per il mercato (n. 2) (11). Ma qualunque organizzazione
produttiva ai fini dello scambio dà luogo a un’attività imprenditrice. La distinzione
tra  produzione (per lo scambio)  e  scambio  puro e semplice, fatta dall’art.
2082, è una distinzione empirica, in relazione alla tradizionale distinzione dei due
momenti economici della produzione e della distribuzione dei beni. Ma anche
la distribuzione dei beni, cioè il loro avvicinamento al mercato di consumo, è una
forma di accrescimento della loro utilità, cioè una forma di produzione. In sostanza
con le parole  al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi  il codice
intende dire che il concetto di imprenditore va riferito ad ogni settore dell’economia;
agricola, industriale, commerciale, creditizia, ecc., salvo il raggruppamento delle
diverse figure dell’imprenditore, in relazione all’oggetto dell’attività imprenditrice,
nei due fondamentali tipi di imprenditore agricolo e imprenditore commerciante ai
fini del loro diverso statuto legislativo;

d)  professionalmente, cioè non occasionalmente, ma con carattere continua-


tivo. Ne è conferma la disposizione dell’art. 2070, che volendo estendere l’efficacia
del contratto collettivo di lavoro, anche ai rapporti di lavoro relativi all’esercizio
non professionale di un’attività organizzata, considera il caso come estraneo alla
sfera dell’impresa. L’elemento della professionalità è naturalmente assorbito dallo
 scopo statutario , quando imprenditore è una persona giuridica costituita per

una determinata attività imprenditrice; cosı̀ nel caso delle società.

Nel concetto di professionalità entra come elemento naturale, non però essen-
ziale, il fine di rimunerazione (profitto) come motivo dell’attività dell’imprenditore
(n. 2). Ciò è in perfetta armonia anche con i principii della carta del lavoro, che
riconosce espressamente il servizio sociale prestato dall’imprenditore (Dich. VII).
L’abrogato codice di commercio distingueva tra semplice fine di produzione per
lo scambio (fine di intermediazione) essenziale all’impresa come atto oggettivo di
commercio (art. 3) (12) e fine di speculazione, essenziale al concetto di imprendito-
re professionale, cioè di commerciante (art. 8). Il nuovo codice si è però staccato da
queste posizioni. Esso annovera infatti tra gli imprenditori anche gli enti pubblici,
che esercitano un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello
scambio di beni o servizi (art. 2093, 2201), indipendentemente dalla circostanza se
essi si propongano o meno un fine di profitto, a rimunerazione della loro attività
imprenditrice. È dunque certo che secondo il nuovo codice il concetto della pro-
fessionalità dell’attività imprenditrice si riduce al concetto della sua continuità,
mentre l’elemento del fine di profitto entra in tale concetto solo come elemento
naturale, non essenziale (13).

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7. — B) Profilo funzionale: l’impresa come attività imprenditrice. Poiché
l’impresa economica è un’organizzazione produttiva che opera per definizione nel
tempo, guidata dall’attività dell’imprenditore, dal punto di vista funzionale o dina-
mico l’impresa appare come quella particolare forza in movimento che è l’attività
imprenditrice diretta a un determinato scopo produttivo.

Il progetto di codice di commercio del 1940 dava effettivamente la nozione di


impresa sotto questo profilo, considerando l’impresa come un particolare modo
di attività economica:  attività organizzata ad impresa  (art. i). Anche il
nuovo codice civile usa molte volte la parola impresa  in questo significato; cosı̀
tutte le volte che parla di esercizio dell’impresa, di inizio dell’impresa, di durata
dell’impresa (art. 2084, 2085, 2087, 2196, 2198, 2203, 2204, ecc.) e la relazione
ministeriale espressamente avverte che l’impresa in senso funzionale è l’attività
professionale organizzata dell’imprenditore . Nello stesso senso la parola impresa
è usata anche da altre leggi (ad es. cod. pen. art. 330, 331). È questo, infine, il
senso che al concetto di impresa — come fatto giuridico — intenderebbe attribuire
CARNELUTTI (in contrapposto al concetto di azienda come situazione giuridica)
(14).

Poiché il nostro vocabolario non dispone di un’altra parola semplice come la


parola impresa per esprimere il concetto di attività imprenditrice,

non è facile resistere contro l’uso della parola impresa in tale senso, purché non
sia un uso monopolistico. Comunque, a parte la questione di parole, è indubbio che
il concetto di attività imprenditrice ha una notevole rilevanza nella teoria giuridica
dell’impresa; anzitutto perché per arrivare alla nozione di imprenditore bisogna
partire dal concetto di attività imprenditrice (n. 6); in secondo luogo perché dalla
diversa natura dell’attività imprenditrice — agricola o commerciale — dipende la
qualificazione dell’imprenditore, come imprenditore agricolo o commerciale (art.
2135, 2195); in terzo luogo per l’applicazione delle norme particolari relative ai
rapporti di impresa.

8. — Secondo le premesse economiche anteposte, il concetto di attività im-


prenditrice implica un’attività rivolta da un lato a raccogliere e a organizzare le
forze di lavoro e il capitale necessari alla produzione o alla distribuzione di de-
terminati beni o servizi, rivolta dall’altro lato a realizzare lo scambio dei beni o
servizi raccolti o prodotti. L’analisi giuridica di questo concetto è stata già fatta,
per quanto di ragione, dalla teoria dell’impresa come atto obiettivo di commercio,
secondo l’abrogato codice di commercio. Secondo tale teoria si consideravano co-
me opera, zioni fondamentali d’impresa le operazioni passive rivolte alla raccolta e

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all’organizzazione del lavoro e del capitale e le operazioni attive rivolte allo scam-
bio dei beni e servizi raccolti o prodotti; e come operazioni accessorie d’impresa le
operazioni ausiliarie alle precedenti. Il collegamento di queste diverse operazioni
veniva posto nel fine o motivo di organizzare la produzione per lo scambio (fine di
intermediazione) (15). Quest’analisi conserva tutto il suo valore anche in relazione
all’ampio concetto di impresa adottato dal nuovo codice civile; cosı̀ vale anche nei
riguardi dell’imprenditore agricolo, che in tanto è imprenditore in quanto orga-
nizza capitale e lavoro, o almeno lavoro altrui, e in quanto dirige la produzione
ai fini dello scambio. L’attività imprenditrice si risolve dunque in una serie di
operazioni (fatti materiali e atti giuridici) succedentisi nel tempo, e collegati fra
loro da un fine comune. La professionalità dell’attività imprenditrice importa, in
più, l’elemento della costanza nel tempo di tale serie di operazioni e normalmente
il loro preordinamento al fine di profitto, connaturale se non essenziale all’impresa
economica (n. 6 d ).

Sulla base di quest’analisi, per accertare l’esistenza dell’attività imprenditrice,


occorre accertare l’esistenza delle operazioni fondamentali d’impresa. Per accer-
tare l’esistenza dell’imprenditore occorre accertare in più il carattere professionale
dell’attività imprenditrice. Accertata l’esistenza di un’attività imprenditrice pro-
fessionale, tutte le operazioni che vi sono funzionalmente connesse acquistano il
carattere di operazioni di impresa e sono come tali soggette alla particolare disci-
plina che il codice dà ai rapporti di impresa (art. 1330, 1368, 1722, ecc.). Dalla
natura agricola o commerciale dell’attività imprenditrice, a norma degli art. 2135,
e 2195, cod. civ., deriva poi la qualità dell’imprenditore, come imprenditore agri-
colo o commerciale (16). Con analoghi criteri per le persone giuridiche pubbliche si
deve accertare se e in quale misura il loro scopo riguardi l’esercizio di una attività
imprenditrice, agli effetti di considerarle istituzionalmente imprenditrici (e come
tali, di regola, inquadrate nelle associazioni professionali) oppure di considerarle
imprenditrici limitatamente alle imprese da esse esercitate  (art. 2093): Con
analoghi criteri, infine, va tracciata la linea di demarcazione tra società (art. 2247)
e comunione di godimento di beni (art. 2248), perché l’ attività economica  il
cui esercizio in comune allo scopo di dividerne gli utili, è posto dall’art. 2247 come
oggetto tipico della società, è precisamente l’attività imprenditrice; la quale nelle
cosiddette società di fatto può essere solo occasionale (17).

9. — C) Profilo patrimoniale e oggettivo: l’impresa come patrimonio aziendale


e come azienda. — Poiché l’esercizio dell’attività imprenditrice dà luogo al for-
marsi d’un complesso di rapporti giuridici che fanno capo all’imprenditore (diritto
sui beni di cui l’imprenditore si serve, rapporti coi prestatori di lavoro, coi fornitori
di merci e di capitali, con la clientela), il fenomeno economico dell’impresa, pro-

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iettato sul terreno patrimoniale, dà luogo ad un patrimonio speciale distinto per
il suo scopo dal rimanente patrimonio dell’imprenditore (tranne se l’imprenditore
è una persona giuridica, costituita per l’esercizio di una determinata attività im-
prenditrice, nel quale caso l’intero patrimonio della persona giuridica serve quello
scopo).

È noto che non sono mancate dottrine tendenti a personificare tale patrimo-
nio speciale e a identificare in esso l’impresa  come soggetto di diritto (persona
giuridica) distinto dall’imprenditore (18). Ma queste tendenze non hanno trovato
accoglimento né nel nostro, né in altri ordinamenti giuridici. Il nuovo codice (art.
2362) ha adottato anzi particolari misure per contenere il fenomeno della società
per azioni con un solo azionista, al fine di evitare che questo mezzo indiretto serva a
sdoppiare la personalità dell’imprenditore: quella fisica e quella giuridica, costitui-
ta dal suo patrimonio per l’esercizio della sua attività professionale. È noto altresı̀
che il nostro ordinamento giuridico ha sempre escluso ed esclude ogni costruzione
tendente a fare del patrimonio speciale, di cui si parla, un patrimonio giuridica-
mente separato dal rimanente patrimonio dell’imprenditore (patrimonio allo scopo;
Sondervermogen; Patrimoine d’affectation) (19). Vale in proposito il principio ge-
nerale per cui ciascuno risponde delle obbligazioni con tutti i propri beni presenti e
futuri, salve le limitazioni della responsabilità ammesse dalla legge (art. 2740 cod.
civ.); né vi è alcuna norma generale che deroghi a tale principio per l’imprenditore.
Anche nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali dell’imprenditore, concor-
rono tutti i suoi creditori, qualunque sia la causa del loro credito, inerente o non
inerente all’esercizio delle attività professionali dell’imprenditore (nel fallimento vi
è certo un fenomeno di separazione di patrimonio, ma secondo un diverso criterio)
(19 bis).

L’individualità dell’organizzazione patrimoniale cui dà luogo l’esercizio dell’at-


tività professionale dell’imprenditore, rispetto al rimanente patrimonio dell’im-
prenditore, è tuttavia un fenomeno estremamente rilevante per il diritto, oltre che
agli effetti dei particolari obblighi legali incombenti all’imprenditore in relazione
a tale patrimonio speciale (obbligo di uno speciale inventario, se il patrimonio ap-
partiene a minori, art. 365; obbligo dell’indicazione analitica degli elementi di tale
patrimonio, nell’inventario dell’imprenditore commerciale, art. 2217), soprattutto
agli effetti dei molteplici rapporti giuridici che possono riguardare tale patrimonio
speciale nella sua unità organica: rapporti di gestione volontaria (procura istitoria)
e coatta (amministrazione giudiziaria); rapporti di trasferimento (vendita, donazio-
ne, apporto in società, legato, ecc.); rapporti di godimento (usufrutto, locazione);
rapporti di concorrenza.

Tale patrimonio speciale dell’imprenditore è stato perciò particolarmente stu-


diato dalla dottrina (20) in relazione alle seguenti considerazioni: che si tratta di

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un patrimonio risultante da un complesso di rapporti giuridici eterogenei (reali,
obbligatori,, attivi e passivi) e aventi oggetti eterogenei (beni materiali, immobili
e mobili, beni immateriali, servizi); che il contenuto di tale patrimonio speciale è
separabile, per modo che nei rapporti giuridici che lo riguardano e nei quali non
opera la legge (come nei casi di gestione coatta), ma la volontà privata (gestione
volontaria, trasferimenti, ecc.) questa può allargare e restringere il contenuto di
tale patrimonio a sua discrezione (patrimonio lordo; patrimonio netto da debiti o
da alcuni debiti, ecc.); che infine la caratteristica eminente di tale patrimonio è
di risultare da un complesso di rapporti organizzati da una forza in movimento
— l’attività dell’imprenditore — la quale ha la capacità di staccarsi dalla persona
dell’imprenditore e di acquistare in se stessa un valore economico (organizzazio-
ne, avviamento); cosicché tale patrimonio appare come un’entità dinamica, non
statica.

A tale patrimonio si è dato talora il nome di azienda, concepita questa come


universitas iurium (21). In realtà azienda in questo senso vuol dire patrimonio
aziendale (22).

10. — Col nome di azienda la dottrina dominante ha invece più precisamente


indicato non il complesso dei rapporti giuridici che fanno capo all’imprenditore
per l’esercizio della sua attività imprenditrice — cioè il patrimonio aziendale, —
ma il complesso di beni (materiali e immateriali, mobili e immobili, secondo alcuni
anche i servizi) che sono gli strumenti di cui l’imprenditore si avvale per l’esercizio
della sua attività imprenditrice. L’azienda in questo senso, come è noto, viene
da alcuni considerata come un’unità economica, ma non giuridica (cosiddette teo-
rie atomistiche dell’azienda) (23); da altri invece come universitas rerum (24) o
come oggetto di diritti sui generis a certi particolari effetti (25). A queste teo-
rie si contrappone infine la teoria che condensa il concetto di azienda — come
autonomo oggetto di diritto — essenzialmente nell’elemento (bene immateriale)
dell’organizzazione dei diversi strumenti della produzione e quindi dell’avviamento
(26).

11. — Non intendo in questa sede prendere posizione rispetto a queste diverse
teorie, dal punto di vista dogmatico. Mi limito a rilevare che la nozione di azienda,
data dal codice,  complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa  (art. 2555), considera certamente l’azienda come res. Però è vero
che sotto il titolo  dell’azienda  e in altre disposizioni (es. art. 2112) il co-
dice non dà solo la disciplina dell’azienda, come definita nell’art. 2555, ma dà

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anche sotto certi riflessi la disciplina del patrimonio aziendale, come complesso
di rapporti giuridici facenti capo all’imprenditore per l’esercizio della sua attività
imprenditrice. I due concetti di patrimonio aziendale (complesso di rapporti giu-
ridici) e di azienda res (complesso di beni) risultano pertanto acquisiti al nuovo
codice.

Si potrà discutere se l’azienda, come complesso di beni, secondo il nuovo codice,


rientri nel concetto di  universalità di mobili , come definita nell’art. 816, o sia
un oggetto di diritti sui generis, e in quest’ultimo caso se il suo nucleo essenziale
non sia veramente l’elemento immateriale costituito dall’organizzazione e dall’av-
viamento (in questo senso, nel testo coordinato della relazione ministeriale è stata
opportunamente soppressa la qualificazione dell’azienda come universitas rerum).
Si potrà altresı̀ discutere se ciò che il codice disciplina come patrimonio aziendale
possa a sua volta essere riguardato a certi effetti come autonomo oggetto di diritti,
punto di vista non nuovo nella dottrina (vedi FADDA e BENSA, loc. cit.), a cui
sostanzialmente ritorna SANTORO-PASSARELLI, nel configurare l’azienda come
centro di collegamento di rapporti giuridici (27).

Ma non par dubbio che, sulla base del codice, la distinzione già fatta dalla
dottrina precedente tra il concetto di patrimonio aziendale e di azienda in senso
stretto conservi tutto il suo valore. Del resto la distinzione risponde alla realtà
delle cose, la quale insegna che nei diversi rapporti giuridici (di gestione, di tra-
sferimento, ecc.) può essere dedotta sia l’azienda come res, sia l’azienda come
patrimonio aziendale (compresi quindi i debiti). La disciplina data dal codice nel
titolo VIII del libro del lavoro ha in proposito solo questa portata: che il codi-
ce considera normalmente implicito nel trasferimento dell’azienda come res anche
il trasferimento, in certi limiti, del patrimonio aziendale; ma il codice lascia in
materia all’autonomia privata i più larghi margini di libertà.

Comunque entrato nel codice il nomen iuris d’azienda, per designare il feno-
meno economico dell’impresa sotto il profilo oggettivo, questo nomen iuris vincola
l’interprete a non usare in senso giuridico la parola impresa  nel significato
che il codice dà alla parola  azienda ; anche perché la titolarità del diritto
sull’azienda, per quanto normalmente spettante all’imprenditore, può disgiunger-
si dall’imprenditore, come nel caso di usufrutto e di affitto dell’azienda, in cui
imprenditore — colui che esercita l’attività imprenditrice — è l’usufruttuario o
il conduttore, pur conservando il nudo proprietario e il locatore la titolarità del
proprio diritto sull’azienda. In questo senso non potremmo seguire il MOSSA, che
usa le parole impresa o azienda come sinonimi (28). Meno che meno possiamo
seguire SANTORO-PASSARELLI, che considera l’impresa come una particolare
species del genus azienda, nel senso che l’azienda si riferirebbe a qualsiasi organiz-
zazione economica (azienda domestica, azienda del piccolo imprenditore, azienda

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professionale del non imprenditore) e l’impresa si riferirebbe invece solo all’orga-
nizzazione economica dell’imprenditore ordinario, cioè sarebbe l’azienda del medio
e grande imprenditore (29).

La terminologia adottata da SANTORO-PASSARELLI è una terminologia per-


sonale, in contrasto con quella del codice e come tale non ci sembra la più idonea
a orientare l’interprete. La sola cosa che si può dire è che oltre l’azienda dell’im-
prenditore, considerata dal codice, vi sono altri tipi di azienda (es. l’azienda del
professionista intellettuale) a cui si possono estendere talune regole dettate dal
codice per l’azienda dell’imprenditore.

12. — D) Profilo corporativo: l’impresa come istituzione. — Ho lasciato per


ultima la considerazione dell’impresa come istituzione, secondo il nostro ordina-
mento corporativo e il nuovo codice civile. Mentre secondo i diversi profili sopra
esaminati (impresa come imprenditore, impresa come attività imprenditrice, im-
presa come patrimonio aziendale e come azienda), l’impresa è considerata dal punto
di vista individualistico dell’imprenditore, secondo il profilo corporativo l’impresa
viene considerata come quella speciale organizzazione di persone che è formata
dall’imprenditore e dai prestatori d’opera, suoi collaboratori. L’imprenditore e i
suoi collaboratori — dirigenti, impiegati, operai — non sono infatti semplicemente
una pluralità di persone legate fra di loro da una somma di rapporti individuali di
lavoro, con fini individuali; ma formano un nucleo sociale organizzato, in funzione
di un fine economico comune, in cui si fondano i fini individuali dell’imprendito-
re e dei singoli collaboratori: il raggiungimento del migliore risultato economico
nella produzione. L’organizzazione si realizza attraverso la gerarchia dei rapporti
tra l’imprenditore — dotato di un potere di comando — e i collaboratori, tenuti
all’obbligo di fedeltà e di obbedienza nell’interesse comune.

Che sia questo il profilo corporativo dell’impresa non vi ha dubbio. Intendono


l’impresa in questo senso la Carta del lavoro (Dich. VII) quando parla dell’impren-
ditore come  organizzatore dell’impresa  e del prestatore d’opera come  col-
laboratore attivo dell’impresa ; la relazione ministeriale al codice civile quando
dice che l’impresa in senso istrumentale è l’ organizzazione del lavoro cui dà luogo
l’attività professionale dell’imprenditore distinguendola dall’azienda  proiezione
patrimoniale dell’impresa  (rel. n. 834; n. 1035); il testo del codice civile quando
sotto il titolo  Del lavoro nell’impresa  Libro V, Tit. II, dà insieme lo statuto
dell’imprenditore e dei collaboratori nell’impresa; quando dice che l’imprenditore
è il capo dell’impresa  (art. 2086) e che i prestatori di lavoro hanno verso l’im-
prenditore l’obbligo di Obbedienza e di fedeltà, con le relative sanzioni disciplinari
(art. 2104, 2105, 2106); quando parla dei requisiti delle diverse categorie di col-

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laboratori in relazione alla struttura dell’impresa  (art. 2095), e in numerose
altre disposizioni (art. 2145, 2173, ecc.) (30).

Solo sotto questo profilo si coglie inoltre il sostanziale significato del principio
corporativo che vuole considerato il lavoro come soggetto, e non come oggetto del-
l’economia; perché se l’azienda appartiene all’imprenditore, dell’impresa, in senso
corporativo, formano parte come soggetti di diritto tanto l’imprenditore, quanto
i suoi collaboratori. Solo sotto questo profilo si spiega infine l’orientamento della
legislazione corporativa verso la considerazione dei prestatori di lavoro nell’impre-
sa come  associati  dell’imprenditore per un fine comune, donde la tendenza a
favorire la partecipazione dei prestatori di lavoro ai benefici dell’ impresa  e a
creare adeguati organi corporativi, anche nell’interno dell’impresa, che permettano
ai prestatori di lavoro di partecipare all’esame degli interessi comuni dell’impresa.

13. — La considerazione dell’impresa come organizzazione di persone, per un


fine comune, nel senso ora indicato, porta ad inquadrare giuridicamente l’impresa
nella figura dell’ istituzione .

La nozione di istituzione  è stata elaborata dalla scienza del diritto pub-


blico, in Italia specialmente da ROMANO (31), e precedentemente in Germania
da GIERKE (32), in Francia da HAURIOU (33). Istituzione è ogni organizza-
zione di persone — volontaria o coatta — fondata su un rapporto di gerarchia e
di cooperazione tra i suoi membri in funzione di uno scopo comune. Ogni istitu-
zione crea nel suo interno un ordinamento elementare che, in quanto riconosciuto
dall’ordinamento giuridico dello Stato, che è l’istituzione sovrana, può a sua volta
considerarsi come un ordinamento giuridico di grado inferiore (teoria della pluralità
degli ordinamenti giuridici di ROMANO).

Il riconoscimento di un’organizzazione di persone come istituzione non significa


personificazione — né perfetta, né imperfetta — dell’organizzazione. Istituzione
e persona giuridica operano in direzioni diverse. Il conferimento della personalità
giuridica a un’organizzazione di persone ha essenzialmente lo scopo di riferire a
un soggetto diverso dai singoli i rapporti giuridici esterni dell’organizzazione. Il
riconoscimento di un’organizzazione di persone come istituzione implica solo il rico-
noscimento di un determinato modo di essere dei rapporti interni tra i componenti
dell’organizzazione in relazione a un fine comune. Certo, quando un’organizzazio-
ne di persone è elevata dal diritto al grado di persona giuridica, il fenomeno della
personalità può assorbire quello dell’istituzione anche nei rapporti interni (cosı̀
nelle società). Ma la vita di un’organizzazione di persone come istituzione è una
vita interna che per se stessa non implica affatto personificazione.

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Il fenomeno giuridico della istituzione ha interessato particolarmente la scienza
del diritto pubblico, perché è nel campo del diritto pubblico dove — a parte la
considerazione dello Stato come istituzione — il fenomeno ha le sue manifestazioni
più eminenti (il Partito, l’esercito, la scuola, ecc.). Ma anche nel dominio del diritto
privato, e specialmente in quei settori che sono al confine col diritto pubblico,
il fenomeno della istituzione ha già richiamato l’interesse della scienza: esempio
tipico di istituzione è certamente la famiglia.

14. — Ora l’impresa, sotto il profilo corporativo, offre un esempio tipico di isti-
tuzione. Nell’impresa come organizzazione di persone, comprendente l’imprendito-
re e i suoi collaboratori, ricorrono infatti tutti gli elementi caratteristici dell’istitu-
zione: il fine comune, cioè il conseguimento di un risultato produttivo socialmente
utile, che supera i fini individuali dell’imprenditore (intermediazione, profitto) e dei
prestatori di lavoro (salario); il potere ordinatore dell’imprenditore rispetto ai pre-
statori di lavoro subordinati; il rapporto di cooperazione tra di essi; la conseguente
formazione di un ordinamento interno dell’impresa, che conferisce al rapporto di
lavoro, oltre l’aspetto contrattuale e patrimoniale, un particolare aspetto istitu-
zionale (34). Certamente la configurazione dell’impresa come istituzione prende
rilievo solo nelle imprese di maggiori dimensioni: ma ciò non impedisce di conside-
rate come istituzione anche la piccola impresa a base familiare; si può dire solo che
in tal caso l’impresa come istituzione tende a coincidere con l’istituzione familiare.

È merito dei cultori del diritto del lavoro di avere per primi esaminato il fe-
nomeno dell’impresa sotto il profilo istituzionale, in Italia soprattutto di GRECO
(35). Le conclusioni di GRECO meritano però qualche riserva per quanto riguarda
i rapporti fra il concetto di impresa come istituzione e quello di azienda. Secondo
GRECO l’azienda rientrerebbe nel concetto di impresa-istituzione come parte del
tutto. Ora, se con questo si vuol dire che l’impresa come istituzione non è un’or-
ganizzazione di persone campata in aria; ma un’organizzazione di persone nella
quale l’imprenditore opera con i beni che costituiscono l’azienda, si dice una verità
ovvia. Ma ciò non vuol dire che il rapporto tra il concetto di impresa-istituzione e
il concetto di azienda sia quello del  tutto  rispetto a  una parte . Si tratta di
aspetti diversi del fenomeno economico dell’impresa. L’azienda è oggetto di diritti,
rispetto all’imprenditore; l’impresa-istituzione è un’organizzazione di persone, che
non ha diritti propri sull’azienda. L’azienda interessa soprattutto i rapporti ester-
ni dell’imprenditore con i terzi; l’impresa-istituzione interessa i rapporti interni
tra l’imprenditore e i prestatori di lavoro. Il concetto di impresa-istituzione e di
azienda stanno cioè su piani diversi.

Vero è solo che la titolarità dell’impresa, in senso economico, significa insie-

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me, in senso giuridico, titolarità del patrimonio aziendale e titolarità del potere di
comando nell’impresa-istituzione. Cosicché col trasferimento dell’azienda si tra-
sferiscono normalmente non solo i rapporti patrimoniali dell’imprenditore con i
prestatori di lavoro (art. 2112), ma anche il potere ordinatore dell’imprenditore
(attraverso una specie di investitura). Ma il complesso dei rapporti patrimoniali e
il potere di comando, che fanno capo all’imprenditore, precisamente perché hanno
un contenuto diverso — l’uno attinente all’aspetto patrimoniale, l’altro all’aspet-
to istituzionale dell’impresa — non hanno nulla da guadagnare ad essere confusi.
Comunque il codice non ha inteso confonderli mantenendo distinti il concetto di
impresa da quello di azienda e di patrimonio aziendale (36).

15. — Conclusioni. — Le osservazioni precedenti presuppongono che si usi il


concetto di istituzione nel senso tecnico sopra delineato. Che se invece si usa il
concetto di istituzione in senso generico, e si designa come istituzione il fenomeno
economico dell’impresa nella sua interezza come il concetto di impresa è usato da
SOPRANO (37) — allora nel concetto di impresa entra tutto: l’imprenditore co-
me soggetto, l’attività imprenditrice, il patrimonio aziendale e l’azienda, l’impresa
come istituzione in senso tecnico. Come ho premesso, l’analisi dei diversi profili
giuridici dell’impresa sopra considerati non intende rompere l’unità del concetto di
impresa come fenomeno economico e quindi come materia di diritto; ché l’impresa
esiste e vive come fenomeno economico unitario, senza fratture. Né tale anali-
si intende negare che a certi effetti la disciplina giuridica dell’impresa investa il
fenomeno economico dell’impresa sotto tutti gli aspetti; cosı̀ per es. per quanto
riguarda le distinzioni tra impresa e piccola impresa; tra impresa pubblica e impre-
sa privata; tra impresa agricola e impresa commerciale. Ma la tecnica del diritto
non può dominare il fenomeno economico dell’impresa per darne una compiuta
disciplina giuridica, senza considerarne distintamente i diversi aspetti, in relazione
ai diversi elementi che vi concorrono.

In questo senso, a parte le quistioni di parole, le diverse opinioni della dottrina


sul tema dell’impresa sopra esaminate, per quanto discordanti, sono destinate non
ad elidersi a vicenda, ma, in certi limiti, a completarsi; e l’analisi dei diversi profili
dell’impresa sopra compiuta contiene già in sé la traccia della teoria giuridica
dell’impresa, la quale dovrebbe precisamente comprendere le seguenti parti: a)
statuto professionale dell’imprenditore; b) ordinamento istituzionale dell’impresa
(disciplina del lavoro nell’impresa); c) disciplina del patrimonio aziendale e della
azienda; d) disciplina dell’attività imprenditrice nei rapporti esterni (rapporti di
impresa).

Poiché la materia più viva e più ricca di contenuto nella teoria giuridica dell’im-

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presa è data dall’impresa commerciale, la costruzione di questa teoria è soprattutto
compito — il nuovo compito — della scienza del diritto commerciale (38).

ALBERTO ASQUINI

Prof. ord. nell’Università di Roma.

(1) SOPRANO, Il libro del lavoro nel nuovo codice civile, Torino, 1942  Impresa è l’esercizio
professionale di un’attività economica organizzata ai fini di produzione o di scambio  (pag. 65);
 l’azienda è parte dell’impresa che può staccarsi dal tutto  (pag. 67); MOSSA, Trattato del

nuovo diritto commerciale, Milano, 1942 ( Impresa è l’organismo vivente di lavoro e di cose
materiali ed immateriali destinato, in comunione di uomini e di capi, agli scopi dell’economia
sociale  (pag. 165);  Noi impieghiamo il termine unico d’impresa, perché azienda non vuol dire
nulla di diverso  (pag. 337, nota 3); CARNELUTTI, Le nuove posizioni del diritto commerciale,
in questa Rivista, 1942, I, 67.  L’impresa è un atto, l’azienda in atto; l’azienda è un ente,
l’impresa in quiete  (pag. 68); GRECO, Profilo dell’impresa economica, Torino, 1942, L’impresa
è istituzionale in quanto organizzazione costitutiva di un nucleo sociale  (pag. 14) e l’azienda
è  una parte dell’impresa  (pag. 48); SANTORO PASSARELLI, L’Impresa nel codice civile,
in questa Rivista, 1942, I, 376.  L’impresa è la stabile azienda produttiva di grande e inedia
dimensione  (pag. 390).

(2) Conforme il concetto d’impresa nell’economia moderna secondo la scienza economica:


PAPI, Lezioni di economia politica e corporativa, 1940, pag. 99; VITO, Economia politica
corporativa, pag. 56 e seg.; DE FRANCISCI GERBINO, Economia politica corporativo, pag.
324.

(3) Codice della navigazione, Libro I, Tit. III, da cui risulta che il concetto di  impresa di
navigazione  ha riguardo al fatto tecnico dell’armamento della nave indipendentemente dallo
scopo economico dell’esercizio della navigazione.

(4) Sul concetto di fischio dell’impresa vedi CARNELUTTI, Il concetto di impresa nella legge
sugli infortuni, Studi sugli infortuni, I, pag. 74; ASQUINI, Il contratto di trasporto di persone,
1915, pag. 23; WIELAND, Handelsrecht, I, pag. 145.

(5) Il fenomeno economico dell’impresa è stato particolarmente studiato dalla scienza econo-
mica nel sistema dell’economia liberale, che ha avuto nel secolo XIX — il secolo della rivoluzione
industriale — il suo apogeo, ed ha segnato il definitivo passaggio dalla fase dell’economia artigia-
na alla fase delle ’grandi concentrazioni di capitale e di lavoro moderne (grande industria, grande
commercio, grandi organizzazioni bancarie, ecc.). Ma l’impresa è la cellula fondamentale di qua-
lunque tipo di economia organizzata. Diverso ne è solo l’ordinamento . Nel sistema dell’economia

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liberale l’iniziativa privata nell’impresa era soggetta solo alle leggi naturali del mercato; mentre lo
Stato si riservava essenzialmente la funzione di garantire l’ordine nella concorrenza (che, di fronte
alle dimensioni assunte dalle crisi economiche nella moderna produzione di massa, aveva finito col
divenire, in realtà, disordine). Dove, come in Russia, il crollo dell’economia capitalistica priva-
ta ha portato all’instaurazione di un’economia capitalistica collettivizzata, l’impresa è divenuta
parte dell’organizzazione monopolistica della produzione da parte dello Stato e come tale opera
sulla base di piani politici più o meno mastodontici, imposti dallo Stato, arbitro del mercato.
Nella maggior parte dei paesi, anche di quelli sedicenti liberali, in cui il superamento dell’econo-
mia del secolo scorso ha portato all’instaurazione di un’economia controllata, qualunque ne sia
il sistema, l’impresa è rimasta di regola affidata all’iniziativa privata, però sulla base di piani
individuali coordinati dallo Stato nell’interesse collettivo. A questi principi è particolarmente
informato il nostro sistema di economia corporativa, secondo la Carta del lavoro, che considera
l’impresa privata come  lo strumento efficace e più utile nell’interesse della Nazione  (Dich.
VII). Solo  quando manchi o sia insufficiente l’iniziativa privata o quando siano in gioco interessi
politici dello Stato  l’impresa privata viene sostituita dall’impresa pubblica in gestione diretta
dallo Stato (Dich. IX). Non è vero dunque che in regime di economia corporativa l’imprenditore
privato si trasformi in un pubblico funzionario della macchina economica burocratica dello Stato
senza proprio rischio. Anche in regime di economia corporativa l’impresa privata gode di una
propria sfera di autonomia e l’imprenditore svolge una propria iniziativa a proprio rischio, che
implica un lavoro creativo e organizzativo, avente nel  profitto  la sua specifica rimunerazione.
Solamente, l’applicazione del principio del rischio e del profitto non resta più rimessa al solo gioco
meccanico delle leggi economiche, in funzione delle condizioni di concorrenza e di monopolio in
cui operi l’impresa, ma viene moderata politicamente dallo Stato, in relazione ai fini superiori
di interesse nazionale. In relazione a questi fini ha in particolare assunto nuove forme o almeno
nuovi atteggiamenti l’organizzazione del lavoro nell’impresa, considerandosi i prestatori di lavoro
nell’impresa come collaboratori dell’imprenditore a servizio di un interesse comune. Ciò può in-
fluire sulla stessa struttura giuridica del rapporto di lavoro, che può assumere forme associative
in luogo della forma di un rapporto di scambio (come avviene nell’organizzazione dell’impresa
agricola a mezzadria); ma influisce comunque sull’aspetto istituzionale della impresa e quindi
del rapporto di lavoro, anche quando questo conserva sotto l’aspetto patrimoniale la struttura
di un rapporto di scambio (salariato) (n. 14). In questo senso l’impresa corporativa perde quel
carattere individualistico e speculativo che ha l’impresa capitalistica nell’economia liberale, per
assumere una funzione non solo economica, ma anche politica ed etica (cfr. PAPI, op. cit., pag.
108; VITO, op. cit. pag. 60; DE FRANCISCI GERBINO, op. cit., pag. 353).

(6) L’impresa come atto obiettivo di commercio era prevalentemente considerata sotto il
profilo di atto di intermediazione nello scambio del lavoro. BOLAFFIO, Commentario, I, n. 40;
ROCCO, Principii, n. 46; CARNELUTTI, Il concetto d’impresa, cit., pag. 67, nota 2.

(7) CARNELUTTI, idem, pag. 72.

(8) CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, 1940. La forza e la debolezza della Teoria di
CARNELUTTI stanno nel suo modo di concepire il diritto, che fa più credito alla logica che alla
storia. Metodo a certi effetti certamente semplificatore, quando è usato da un grande maestro
come CARNELUTTI; ma metodo che nasconde la relatività storica dei concetti giuridici, che
pure è essenza del diritto. Il concettualismo di CARNELUTTI, fondato sulle categorie del tempo
e dello spazio, è lineare e avvincente; ma postula un ordinamento giuridico staccato dalla storia,
cioè.... fuori dal tempo e dallo spazio.

(9) Concordi in questo rilievo: CARNELUTTI, Le nuove posizioni; SANTORO-PARSARELLI,

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loc. cit.

(10) L’interpretazione del concetto di piccolo imprenditore data dalla legge fallimentare (nel
senso che viene presunto piccolo imprenditore, iuris et de iure, colui che dimostri di trovarsi nelle
condizioni — sufficienti, non necessarie — ivi previste) spiega quindi la sua efficacia anche oltre
i limiti dell’istituto fallimentare. Conf. BIGIAVI, Sulla nozione di piccolo imprenditore, Dir.
fall., 1942, II, pag. 188. Allo stesso risultato giungono GRECO, Profilo, pag. 25; MOSSA, Foro
it., 1942, I, 1129; FERRARA j., Gli imprenditori e le società, 1942, pag. 26, 27; SANTORO
PASSARELLI, in questa Rivista, 1942, I, pag. 384, pur considerando la disposizione della
legge fallimentare derogatrice, non interpretatrice del codice civile. Dissenzienti nel senso che
il concetto di piccolo imprenditore dato dalla legge fallimentare spiegherebbe il suo effetto solo
nei limiti di applicazione della legge fallimentare: ANDRIOLI, Sul piccolo imprenditore, Foro
it., 1942, 796-797; SATTA, Istituzioni di diritto fallimentare, 1943, pag. 28; JAEGER, Il piccolo
imprenditore, in questa Rivista, 1942, II, 290; VALERI, Brevi note, in questo fascicolo pag. 51.

(11) Il dubbio manifestato in proposito da SANTORO PASSARELLI, cit., pag. 387, nota
49, non ha ragione d’essere, tenuto conto dell’art. 2070, di cui appresso sub d).

(12) Vedi autori citati alla nota 5.

(13) Confr. GRECO, Profilo, pag. 30.

(14) CARNELUTTI, Le nuove posizioni, cit., pag. 68. Conf. NAVARRINI, Tratt., I,
pag. 228, nota 3. La distinzione di CARNELUTTI tra impresa e azienda corrisponderebbe alla
distinzione che si fa nella dottrina germanica tra Die Unternelmung e Das Unternehmen.

(15) Vedi autori citati a nota 5.

(16) Le nozioni di attività commerciale e di attività agricola sono complementari. La nozione


di attività agricola serve in realtà solo a limitare il concetto di attività industriale, di cui all’art.
2195, n. 1. Cosicché si pub dire che nel sistema del codice ogni attività imprenditrice che non
rientri nel concetto di attività agricola, è commerciale, e che la suddistinzione delle diverse cate-
gorie di attività commerciali, fatta nell’art. 2195, ha solo carattere descrittivo. Che poi l’esercizio
delle professioni intellettuali non sia di regola considerato dal codice attività imprenditrice risulta
dall’art. 2238. Conf. FERRARA j., op. cit.

(17) Dalla natura commerciale dell’attività imprenditrice, come oggetto della società, deriva
poi la natura commerciale della società, con il rilievo che per le società di fatto la commercialità è
in funzione di un’attività imprenditrice commerciale anche occasionale. In questo senso VALERI
(Brevi note, in questo fascicolo, pag. 46), acutamente osserva che l’atto obiettivo di commercio
sopravvive a certi effetti anche nel nuovo codice civile.

(18) ENDEMANN, Deutsche Handelsrecht, 25-17; VALERY, Annales de droit commercial,


1902, n. 14.

(19) BEKKER, Pandekten, I, 40, app. I, pag. 134; Zweckvermogen, ecc., in Zeits.f. das
Handelsrecht, IV, pag. 499; VALERY, loc. cit.

(19 bis) La sola ipotesi in cui il patrimonio aziendale trova forse nel nuovo Codice una
speciale disciplina come patrimonio separato è quella dell’amministrazione giudiziale prevista
dall’art. 2091.

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(20) FADDA e BENSA, Note alle Pandette di WINDSCHEID, I, 2, pag. 491 e seg.; LA
LUMIA, Trattato di dir. commerc., pag. 222; ASCARELLI, Istituzioni, pag. 40; WIELAND,
Handelsrecht, pag. 244; PISKO, Lehrbuch des Oest. Handelsrecht, pag. 55.

(21) FADDA e BENSA, loc. cit.

(22) Vedi autori citati a nota 20. Confr. GRECO, Profilo, pag. 51. Nello stesso senso
SOPRANO parla dell’azienda come entità patrimoniale  (op cit., n. 75).

(23) SCIALOJA, Foro it., 1883, I, 1906; BARASSI, Diritti reali, pag. 151; MESSINEO, Ist.,
§ 28; ASCARELLI, Ist., pag. 41.

(24) In questo senso la dottrina dominante: VIVANTE, Tratt., II, n. 842; NAVARRINI,
Tratt., II, n. 1418; COVIELLO, Manuale, pag. 259; ROCCO, Principi, pag. 275; ROTONDI,
Diritto industriale, n. 29.

(25) In questo senso FERRARA, Trattato dir. civ., n. 17o, considera l’azienda come or-
ganizzazione di cose o istituzione (aderente VALERI, in questa Rivista, 1928, II, pagina 108);
CASANOVA, Studi sull’azienda, pag. 105, considera l’azienda come un collegamento di beni a
destinazione complementare; BARBERO, Le università patrimoniali, n. 103, vede nell’azienda
un particolare modo di considerare i beni che la compongono a particolari effetti; CARNELUT-
TI, Le nuove posizioni, pag. 62, sembra voler considerare l’azienda come una sintesi sui generis
di due universitates rerum et personarum.

(26) ISAY, Das Rechts des Unternehmens, pag. 10, 23, 27; PISKO, Lehrbuch, pag. 56;
MULLER-ERZBACH, Deutsches Handelsrecht, I, pag. 72; THALLER-PERCEROU, Traité I,
n. 79 e seg.

(27) SANTORO PASSARELLI, op. cit., pag. 14-15. La novità della tesi di SANTORO
PASSARELLI starebbe in questo: che ciò che egli chiama  centro di riferimento di soggetto di
diritto (n. 15). E ciò perché col concetto di patrimonio e di successione nella titolarità del patri-
monio non si spiegherebbe la permanenza della proposta, dell’accettazione, del mandato, della
rappresentanza, malgrado il mutamento della persona dell’imprenditore, e non si spiegherebbe
neppure quale sia il bene tutelato dalla legge nella repressione della concorrenza sleale. Sono due
argomenti poco probanti. La successione nella proposta, nell’accettazione, nel mandato, nella
rappresentanza, già ammessa da molte legislazioni straniere come principio generale, indipenden-
temente da ogni riferimento all’azienda, è stata sempre giustificata anche da noi (BONFANTE,
La successione nella promessa, in questa Rivista, 1927, I, 1) operando col concetto di successione
nel patrimonio. La epressione della concorrenza sleale, d’altra parte, tutela l’organizzazione e
l’avviamento dell’azienda, che la dottrina più moderna sull’azienda (aut. cit., nota 26) considera
come il nucleo essenziale dell’azienda, autentico bene immateriale oggetto di diritto.

(28) MOSSA, Trattato, I, n. 387 e seg.

(29) SANTORO PASSARELLI, op. Cit., n. 9. Conf. MESSINEO, Ist., § 28; LA LUMIA,
Tratt., n. 150. La distinzione tra azienda e impresa, corrisponderebbe alla distinzione che si fa
nella letteratura germanica tra Betrieb e Unternehmen. Però secondo la terminologia germanica,
i concetti di Betrieb e di Unternehmen non differiscono per ragione di dimensioni, ma stanno su
due piani diversi. Betrieb è l’organizzazione produttiva in rapporti giuridici  si troverebbe in
una zona intermedia tra il puro oggetto e il puro relazione a suoi fini tecnici (uno stabilimento, un
ufficio); Unternehmen è l’organizzazione produttiva in relazione ai suoi fini economici (HUECK,

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NIPPERDEY-DIETZ, Kommentar alla legge germanica sull’ordinamento del lavoro, 3a ediz.,
pag. 96, 97).

(30) È giusto il rilievo di SANTORO PASSARELLI (pag. 386) che la disciplina del rapporto
di lavoro dipendente è unitaria, sia che si svolga nell’impresa o fuori dell’impresa. Il codice
non dice nulla di diverso, perché pure avendo collocato — per ragioni di opportunità — tale
disciplina sotto il titolo dell’impresa, alla stessa disciplina si richiama anche per i rapporti di
lavoro estranei all’impresa (art. 2238, 2339). Però dove c’è l’impresa il mezzo proprio in cui si
svolge il rapporto di lavoro  è, per definizione, l’impresa. Che poi i rapporti di lavoro relativi
all’impresa, sotto l’aspetto patrimoniale, entrino nel concetto di azienda, in senso ampio (rectius:
di patrimonio aziendale), è un altro modo di considerarli.

(31) ROMANO, L’ordinamento giuridico, 1917, § 6; RASPONI, Il potere disciplinare, 1942,


pag. 57; ORIGONE, Su di una combinazione fra la teoria del diritto naturale e quella dell’isti-
tuzione, in Scritti in onore di ROMANO, I, pag. 367.

(32) GIERKE, Deutsches privatrecht, I, § 15, 19, 59.

(33) HAURIOU, Principes de droit public, 1916, pag. 48; Précis de droit constitutionnel
1929, I, 2, § 3; RENARD, La théorie de l’institution, 1930.

(34) SANTORO PASSARELLI, pag. 385 e nota 44, don si nasconde questo profilo dell’impre-
sa, che anche nell’ordinamento germanico del lavoro ha acquistato un rilievo eminente, secondo
la nozione della Betriebsgemeinschaft (HUECK-NIPPERDEY-DIETZ. Komm. cit., pag. 23),
da non confondersi col generico concetto di Gemeinschaft applicato alle situazioni contrattua-
li. La Betriebsgemeinschaft corrisponde precisamente al nostro concetto di impresa-istituzione.
Ma allora non vedo perché SANTORO PASSARELLI, pag. 380, ritenga che il concetto di
impresa-istituzione sia  un’artificiale nozione legislativa, senza aderenza con la realtà .

(35) GRECO, Contratto di lavoro, n. 24, 26; Profilo, pag. 14 e autori ivi citati, nota 2.
Aggiungi ora VALERI, in questo fasc., pag. 33.

(36) Un istituto che nel suo contenuto economico e sociale sta all’estremo opposto dell’im-
presa corporativa, ma che può essere tuttavia utilmente evocato per intendere i due aspetti
istituzionale e patrimoniale dell’impresa (impresa-istituzione e azienda), è l’istituto medioevale
del feudo terriero, la cui titolarità importava oltre che la titolarità di un complesso di diritti
patrimoniali, la titolarità di un complesso di poteri sovrani. In questo senso si potrebbe dire che
anche nell’impresa vi è una sfera di signoria (Herrschaftsbereich) (impresa in senso stretto) e una
sfera di patrimonialità (azienda). Alcuni autori germanici, operando con questi concetti, vor-
rebbero bensı̀ unificarli nel concetto di Unternehmen (cosı̀ FEHR, Unternehmen, in Handw. der
Rechtswissenschaft, VI, pag. 246, richiamandosi agli studi di OPPIKOFER). Ma, come riconosce
lo stesso OPPIKOFER (Das haufmannische Unternehmen in Rechtsvergleichendes Handw., VII,
pag. 24), anche nel diritto germanico, il concetto di Unternehmen, come azienda, è usato solo
nel suo contenuto patrimoniale.

(37) SOPRANO, Il libro del lavoro, n. 39.

(38) Fondamentale per la storia della dottrina commercialistica dell’impresa è il recente


appassionato volume di MOSSA (Trattato del nuovo diritto commerciale, Milano, 1942), di cui
ho potuto tener conto solo parzialmente in questo scritto.

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