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ALBERTO ASQUINI
Sommario
1. — Nei primi contatti della pratica col nuovo codice civile sul tema dell’im-
presa si è creato un certo disorientamento. Non è piaciuto a molti che il codice non
abbia dato una definizione giuridica dell’impresa. Meno incoraggiante è sembrata
la posizione discordante presa al riguardo dai commentatori del codice (1), la quale
si è prestata alle solite facili ironie sull’opera dei giuristi: Bisogna superare questo
stato d’animo di insoddisfazione, vedendo le cose come sono.
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commerciale), di diritto dell’impresa agricola (diritto agrario), si considera l’im-
presa nella sua realtà economica unitaria (materia di diritto). Ma quando si parla
dell’impresa in relazione alla sua disciplina giuridica, occorre operare con nozioni
giuridiche diverse, secondo i diversi aspetti giuridici del fenomeno economico.
L’interprete può correggere talune incertezze di linguaggio del codice; però alla
sola condizione di non confondere i concetti che occorre tener distinti e special-
mente quelli che il codice ha voluto tener distinti. Per arrivare a ciò il concetto
economico di impresa deve essere il punto di partenza; ma non può essere un punto
di arresto.
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Anche nell’economia di scambio la funzione dell’imprenditore è dunque una
funzione creativa di ricchezza e non soltanto intermediaria. Vero è che attraver-
so l’attività dell’imprenditore trovano impiego il lavoro e i capitali disponibili sul
mercato e viene soddisfatta la domanda di beni o servizi da parte del mercato.
Ma nei beni o servizi forniti dall’imprenditore al mercato sono incorporati non
solo il lavoro esecutivo e i capitali impiegati, ma anche il lavoro organizzativo e
creativo dell’imprenditore. Ciò vale qualunque sia l’oggetto dell’impresa; consista
esso nella trasformazione di beni preesistenti in nuovi beni o servizi, come av-
viene nell’attività agricola e industriale, o nell’accrescimento dell’utilità di beni
preesistenti, mediante la loro distribuzione al mercato di consumo, come avvie-
ne nell’attività commerciale (intermediaria) in senso stretto; operi l’impresa sul
mercato delle merci, come avviene nel campo dell’attività agricola, industriale o
commerciale, oppure operi sul mercato dei capitali, come avviene nel campo del-
l’attività bancaria e assicurativa. La funzione organizzatrice dell’imprenditore è
più evidente nelle imprese di maggiori dimensioni — grandi e medie imprese — in
cui il lavoro organizzativo dell’imprenditore si distacca nettamente dal lavoro dei
suoi dipendenti; ma sussiste anche nella piccola impresa, in cui la prestazione del
lavoro personale dell’imprenditore e dei suoi famigliari prevale bensı̀ sull’impiego
del lavoro altrui, oltre che sull’impiego di capitale, ma non esclude che, in scala
ridotta, un impiego di lavoro altrui e di capitale ci sia.
Nel codice del 1865, che ricalcava il codice napoleone, impresa era nella locatio
operis (contrat d’entreprise) la prestazione del conductor operis (imprenditore)
(art. 1627, n. 3); mentre nella locatio operarum impresa era uno dei possibili
termini di riferimento per la determinazione delle operae dovute dal locator ope-
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rarum (art. 1628), nel qual caso appariva come imprenditore il datore di lavoro
(conductor operarum).
Nel codice di commercio il concetto di impresa era bensı̀ adottato in senso eco-
nomico, come organizzazione della produzione per lo scambio, però solo sotto il
profilo di atto obiettivo di commercio (prescindendo quindi dall’elemento profes-
sionale) (6) e solo nel limitato settore della produzione industriale, con esclusione
dell’artigianato (art. 3, n. 6, 7, 8, 9, 10, 13, 21); mentre la professionalità del-
l’attività dell’imprenditore diveniva rilevante solo per conferire all’imprenditore la
qualità di commerciante (art. 18).
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economica di impresa sia immediatamente utilizzabile come nozione giuridica. La
relazione al nuovo codice ha assolto il suo compito politico definendo i termini
economici secondo i quali il concetto di impresa è entrato nel nuovo codice. Tra-
durre i termini economici in termini giuridici è compito dell’interprete, come ha
rettamente avvertito SANTORO-PASSARELLI nel precedente fascicolo di questa
Rivista. Ma poiché di fronte al diritto il fenomeno economico dell’impresa si pre-
senta come un fenomeno avente diversi aspetti, in relazione ai diversi elementi che
in esso concorrono, l’interprete non deve operare con il preconcetto che il fenomeno
economico dell’impresa debba per forza entrare in uno schema giuridico unitario.
Al contrario, occorre adeguare le nozioni giuridiche dell’impresa ai diversi aspet-
ti del fenomeno economico. Dove per indicare un particolare aspetto giuridico
dell’impresa economica il codice ha adottato un particolare nomen iuris, questo
deve essere rispettato. Negli altri casi, dove la parola impresa è usata dal codice
— per comodità pratica di linguaggio o per povertà di vocabolario — in diverso
significato giuridico, spetta all’interprete chiarire il diverso significato. In questo
senso sono dettate le note che seguono, rivolte a fermare l’attenzione sui diversi
profili giuridici sotto cui il codice considera il fenomeno economico dell’impresa.
Si vedrà, almeno spero, che questi profili non sono riducibili a quelli del tempo e
dello spazio, come vorrebbe il sistema dualistico di CARNELUTTI (8), né tanto
meno ad un problema di dimensione, come vorrebbe SANTORO-PASSARELLI.
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finizione (malgrado qualche imperfezione, inevitabile come in tutte le definizioni) il
puntuale riferimento della nozione giuridica d’imprenditore alla nozione economica
di impresa, come sopra delineata.
Dall’analisi della definizione dell’art. 2082 risulta infatti che, secondo il codice,
è imprenditore:
nuovo codice civile (art. 2083) chiunque eserciti un’attività organizzata, anche se
di modeste dimensioni, è imprenditore, sia pure con uno statuto speciale: quello
di piccolo imprenditore: il coltivatore diretto del fondo, l’artigiano, il piccolo com-
merciante, ne sono esempi. Il piccolo imprenditore si distingue dall’imprenditore
ordinario solo per la prevalenza che nell’organizzazione della piccola impresa ha il
coefficiente rappresentato dal lavoro proprio dell’imprenditore e dei suoi familiari,
rispetto al coefficiente rappresentato dal lavoro altrui o dal capitale proprio od
altrui. In questo senso la precisazione contenuta nell’art. i della legge fallimentare
ha carattere interpretativo, non innovativo, rispetto all’art. 2083 (10).
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ciò l’essenziale riferimento della nozione di imprenditore al concetto- economico
di impresa operante per il mercato (n. 2) (11). Ma qualunque organizzazione
produttiva ai fini dello scambio dà luogo a un’attività imprenditrice. La distinzione
tra produzione (per lo scambio) e scambio puro e semplice, fatta dall’art.
2082, è una distinzione empirica, in relazione alla tradizionale distinzione dei due
momenti economici della produzione e della distribuzione dei beni. Ma anche
la distribuzione dei beni, cioè il loro avvicinamento al mercato di consumo, è una
forma di accrescimento della loro utilità, cioè una forma di produzione. In sostanza
con le parole al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi il codice
intende dire che il concetto di imprenditore va riferito ad ogni settore dell’economia;
agricola, industriale, commerciale, creditizia, ecc., salvo il raggruppamento delle
diverse figure dell’imprenditore, in relazione all’oggetto dell’attività imprenditrice,
nei due fondamentali tipi di imprenditore agricolo e imprenditore commerciante ai
fini del loro diverso statuto legislativo;
Nel concetto di professionalità entra come elemento naturale, non però essen-
ziale, il fine di rimunerazione (profitto) come motivo dell’attività dell’imprenditore
(n. 2). Ciò è in perfetta armonia anche con i principii della carta del lavoro, che
riconosce espressamente il servizio sociale prestato dall’imprenditore (Dich. VII).
L’abrogato codice di commercio distingueva tra semplice fine di produzione per
lo scambio (fine di intermediazione) essenziale all’impresa come atto oggettivo di
commercio (art. 3) (12) e fine di speculazione, essenziale al concetto di imprendito-
re professionale, cioè di commerciante (art. 8). Il nuovo codice si è però staccato da
queste posizioni. Esso annovera infatti tra gli imprenditori anche gli enti pubblici,
che esercitano un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello
scambio di beni o servizi (art. 2093, 2201), indipendentemente dalla circostanza se
essi si propongano o meno un fine di profitto, a rimunerazione della loro attività
imprenditrice. È dunque certo che secondo il nuovo codice il concetto della pro-
fessionalità dell’attività imprenditrice si riduce al concetto della sua continuità,
mentre l’elemento del fine di profitto entra in tale concetto solo come elemento
naturale, non essenziale (13).
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7. — B) Profilo funzionale: l’impresa come attività imprenditrice. Poiché
l’impresa economica è un’organizzazione produttiva che opera per definizione nel
tempo, guidata dall’attività dell’imprenditore, dal punto di vista funzionale o dina-
mico l’impresa appare come quella particolare forza in movimento che è l’attività
imprenditrice diretta a un determinato scopo produttivo.
non è facile resistere contro l’uso della parola impresa in tale senso, purché non
sia un uso monopolistico. Comunque, a parte la questione di parole, è indubbio che
il concetto di attività imprenditrice ha una notevole rilevanza nella teoria giuridica
dell’impresa; anzitutto perché per arrivare alla nozione di imprenditore bisogna
partire dal concetto di attività imprenditrice (n. 6); in secondo luogo perché dalla
diversa natura dell’attività imprenditrice — agricola o commerciale — dipende la
qualificazione dell’imprenditore, come imprenditore agricolo o commerciale (art.
2135, 2195); in terzo luogo per l’applicazione delle norme particolari relative ai
rapporti di impresa.
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all’organizzazione del lavoro e del capitale e le operazioni attive rivolte allo scam-
bio dei beni e servizi raccolti o prodotti; e come operazioni accessorie d’impresa le
operazioni ausiliarie alle precedenti. Il collegamento di queste diverse operazioni
veniva posto nel fine o motivo di organizzare la produzione per lo scambio (fine di
intermediazione) (15). Quest’analisi conserva tutto il suo valore anche in relazione
all’ampio concetto di impresa adottato dal nuovo codice civile; cosı̀ vale anche nei
riguardi dell’imprenditore agricolo, che in tanto è imprenditore in quanto orga-
nizza capitale e lavoro, o almeno lavoro altrui, e in quanto dirige la produzione
ai fini dello scambio. L’attività imprenditrice si risolve dunque in una serie di
operazioni (fatti materiali e atti giuridici) succedentisi nel tempo, e collegati fra
loro da un fine comune. La professionalità dell’attività imprenditrice importa, in
più, l’elemento della costanza nel tempo di tale serie di operazioni e normalmente
il loro preordinamento al fine di profitto, connaturale se non essenziale all’impresa
economica (n. 6 d ).
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iettato sul terreno patrimoniale, dà luogo ad un patrimonio speciale distinto per
il suo scopo dal rimanente patrimonio dell’imprenditore (tranne se l’imprenditore
è una persona giuridica, costituita per l’esercizio di una determinata attività im-
prenditrice, nel quale caso l’intero patrimonio della persona giuridica serve quello
scopo).
È noto che non sono mancate dottrine tendenti a personificare tale patrimo-
nio speciale e a identificare in esso l’impresa come soggetto di diritto (persona
giuridica) distinto dall’imprenditore (18). Ma queste tendenze non hanno trovato
accoglimento né nel nostro, né in altri ordinamenti giuridici. Il nuovo codice (art.
2362) ha adottato anzi particolari misure per contenere il fenomeno della società
per azioni con un solo azionista, al fine di evitare che questo mezzo indiretto serva a
sdoppiare la personalità dell’imprenditore: quella fisica e quella giuridica, costitui-
ta dal suo patrimonio per l’esercizio della sua attività professionale. È noto altresı̀
che il nostro ordinamento giuridico ha sempre escluso ed esclude ogni costruzione
tendente a fare del patrimonio speciale, di cui si parla, un patrimonio giuridica-
mente separato dal rimanente patrimonio dell’imprenditore (patrimonio allo scopo;
Sondervermogen; Patrimoine d’affectation) (19). Vale in proposito il principio ge-
nerale per cui ciascuno risponde delle obbligazioni con tutti i propri beni presenti e
futuri, salve le limitazioni della responsabilità ammesse dalla legge (art. 2740 cod.
civ.); né vi è alcuna norma generale che deroghi a tale principio per l’imprenditore.
Anche nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali dell’imprenditore, concor-
rono tutti i suoi creditori, qualunque sia la causa del loro credito, inerente o non
inerente all’esercizio delle attività professionali dell’imprenditore (nel fallimento vi
è certo un fenomeno di separazione di patrimonio, ma secondo un diverso criterio)
(19 bis).
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un patrimonio risultante da un complesso di rapporti giuridici eterogenei (reali,
obbligatori,, attivi e passivi) e aventi oggetti eterogenei (beni materiali, immobili
e mobili, beni immateriali, servizi); che il contenuto di tale patrimonio speciale è
separabile, per modo che nei rapporti giuridici che lo riguardano e nei quali non
opera la legge (come nei casi di gestione coatta), ma la volontà privata (gestione
volontaria, trasferimenti, ecc.) questa può allargare e restringere il contenuto di
tale patrimonio a sua discrezione (patrimonio lordo; patrimonio netto da debiti o
da alcuni debiti, ecc.); che infine la caratteristica eminente di tale patrimonio è
di risultare da un complesso di rapporti organizzati da una forza in movimento
— l’attività dell’imprenditore — la quale ha la capacità di staccarsi dalla persona
dell’imprenditore e di acquistare in se stessa un valore economico (organizzazio-
ne, avviamento); cosicché tale patrimonio appare come un’entità dinamica, non
statica.
11. — Non intendo in questa sede prendere posizione rispetto a queste diverse
teorie, dal punto di vista dogmatico. Mi limito a rilevare che la nozione di azienda,
data dal codice, complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa (art. 2555), considera certamente l’azienda come res. Però è vero
che sotto il titolo dell’azienda e in altre disposizioni (es. art. 2112) il co-
dice non dà solo la disciplina dell’azienda, come definita nell’art. 2555, ma dà
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anche sotto certi riflessi la disciplina del patrimonio aziendale, come complesso
di rapporti giuridici facenti capo all’imprenditore per l’esercizio della sua attività
imprenditrice. I due concetti di patrimonio aziendale (complesso di rapporti giu-
ridici) e di azienda res (complesso di beni) risultano pertanto acquisiti al nuovo
codice.
Ma non par dubbio che, sulla base del codice, la distinzione già fatta dalla
dottrina precedente tra il concetto di patrimonio aziendale e di azienda in senso
stretto conservi tutto il suo valore. Del resto la distinzione risponde alla realtà
delle cose, la quale insegna che nei diversi rapporti giuridici (di gestione, di tra-
sferimento, ecc.) può essere dedotta sia l’azienda come res, sia l’azienda come
patrimonio aziendale (compresi quindi i debiti). La disciplina data dal codice nel
titolo VIII del libro del lavoro ha in proposito solo questa portata: che il codi-
ce considera normalmente implicito nel trasferimento dell’azienda come res anche
il trasferimento, in certi limiti, del patrimonio aziendale; ma il codice lascia in
materia all’autonomia privata i più larghi margini di libertà.
Comunque entrato nel codice il nomen iuris d’azienda, per designare il feno-
meno economico dell’impresa sotto il profilo oggettivo, questo nomen iuris vincola
l’interprete a non usare in senso giuridico la parola impresa nel significato
che il codice dà alla parola azienda ; anche perché la titolarità del diritto
sull’azienda, per quanto normalmente spettante all’imprenditore, può disgiunger-
si dall’imprenditore, come nel caso di usufrutto e di affitto dell’azienda, in cui
imprenditore — colui che esercita l’attività imprenditrice — è l’usufruttuario o
il conduttore, pur conservando il nudo proprietario e il locatore la titolarità del
proprio diritto sull’azienda. In questo senso non potremmo seguire il MOSSA, che
usa le parole impresa o azienda come sinonimi (28). Meno che meno possiamo
seguire SANTORO-PASSARELLI, che considera l’impresa come una particolare
species del genus azienda, nel senso che l’azienda si riferirebbe a qualsiasi organiz-
zazione economica (azienda domestica, azienda del piccolo imprenditore, azienda
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professionale del non imprenditore) e l’impresa si riferirebbe invece solo all’orga-
nizzazione economica dell’imprenditore ordinario, cioè sarebbe l’azienda del medio
e grande imprenditore (29).
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laboratori in relazione alla struttura dell’impresa (art. 2095), e in numerose
altre disposizioni (art. 2145, 2173, ecc.) (30).
Solo sotto questo profilo si coglie inoltre il sostanziale significato del principio
corporativo che vuole considerato il lavoro come soggetto, e non come oggetto del-
l’economia; perché se l’azienda appartiene all’imprenditore, dell’impresa, in senso
corporativo, formano parte come soggetti di diritto tanto l’imprenditore, quanto
i suoi collaboratori. Solo sotto questo profilo si spiega infine l’orientamento della
legislazione corporativa verso la considerazione dei prestatori di lavoro nell’impre-
sa come associati dell’imprenditore per un fine comune, donde la tendenza a
favorire la partecipazione dei prestatori di lavoro ai benefici dell’ impresa e a
creare adeguati organi corporativi, anche nell’interno dell’impresa, che permettano
ai prestatori di lavoro di partecipare all’esame degli interessi comuni dell’impresa.
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Il fenomeno giuridico della istituzione ha interessato particolarmente la scienza
del diritto pubblico, perché è nel campo del diritto pubblico dove — a parte la
considerazione dello Stato come istituzione — il fenomeno ha le sue manifestazioni
più eminenti (il Partito, l’esercito, la scuola, ecc.). Ma anche nel dominio del diritto
privato, e specialmente in quei settori che sono al confine col diritto pubblico,
il fenomeno della istituzione ha già richiamato l’interesse della scienza: esempio
tipico di istituzione è certamente la famiglia.
14. — Ora l’impresa, sotto il profilo corporativo, offre un esempio tipico di isti-
tuzione. Nell’impresa come organizzazione di persone, comprendente l’imprendito-
re e i suoi collaboratori, ricorrono infatti tutti gli elementi caratteristici dell’istitu-
zione: il fine comune, cioè il conseguimento di un risultato produttivo socialmente
utile, che supera i fini individuali dell’imprenditore (intermediazione, profitto) e dei
prestatori di lavoro (salario); il potere ordinatore dell’imprenditore rispetto ai pre-
statori di lavoro subordinati; il rapporto di cooperazione tra di essi; la conseguente
formazione di un ordinamento interno dell’impresa, che conferisce al rapporto di
lavoro, oltre l’aspetto contrattuale e patrimoniale, un particolare aspetto istitu-
zionale (34). Certamente la configurazione dell’impresa come istituzione prende
rilievo solo nelle imprese di maggiori dimensioni: ma ciò non impedisce di conside-
rate come istituzione anche la piccola impresa a base familiare; si può dire solo che
in tal caso l’impresa come istituzione tende a coincidere con l’istituzione familiare.
È merito dei cultori del diritto del lavoro di avere per primi esaminato il fe-
nomeno dell’impresa sotto il profilo istituzionale, in Italia soprattutto di GRECO
(35). Le conclusioni di GRECO meritano però qualche riserva per quanto riguarda
i rapporti fra il concetto di impresa come istituzione e quello di azienda. Secondo
GRECO l’azienda rientrerebbe nel concetto di impresa-istituzione come parte del
tutto. Ora, se con questo si vuol dire che l’impresa come istituzione non è un’or-
ganizzazione di persone campata in aria; ma un’organizzazione di persone nella
quale l’imprenditore opera con i beni che costituiscono l’azienda, si dice una verità
ovvia. Ma ciò non vuol dire che il rapporto tra il concetto di impresa-istituzione e
il concetto di azienda sia quello del tutto rispetto a una parte . Si tratta di
aspetti diversi del fenomeno economico dell’impresa. L’azienda è oggetto di diritti,
rispetto all’imprenditore; l’impresa-istituzione è un’organizzazione di persone, che
non ha diritti propri sull’azienda. L’azienda interessa soprattutto i rapporti ester-
ni dell’imprenditore con i terzi; l’impresa-istituzione interessa i rapporti interni
tra l’imprenditore e i prestatori di lavoro. Il concetto di impresa-istituzione e di
azienda stanno cioè su piani diversi.
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me, in senso giuridico, titolarità del patrimonio aziendale e titolarità del potere di
comando nell’impresa-istituzione. Cosicché col trasferimento dell’azienda si tra-
sferiscono normalmente non solo i rapporti patrimoniali dell’imprenditore con i
prestatori di lavoro (art. 2112), ma anche il potere ordinatore dell’imprenditore
(attraverso una specie di investitura). Ma il complesso dei rapporti patrimoniali e
il potere di comando, che fanno capo all’imprenditore, precisamente perché hanno
un contenuto diverso — l’uno attinente all’aspetto patrimoniale, l’altro all’aspet-
to istituzionale dell’impresa — non hanno nulla da guadagnare ad essere confusi.
Comunque il codice non ha inteso confonderli mantenendo distinti il concetto di
impresa da quello di azienda e di patrimonio aziendale (36).
Poiché la materia più viva e più ricca di contenuto nella teoria giuridica dell’im-
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presa è data dall’impresa commerciale, la costruzione di questa teoria è soprattutto
compito — il nuovo compito — della scienza del diritto commerciale (38).
ALBERTO ASQUINI
(1) SOPRANO, Il libro del lavoro nel nuovo codice civile, Torino, 1942 Impresa è l’esercizio
professionale di un’attività economica organizzata ai fini di produzione o di scambio (pag. 65);
l’azienda è parte dell’impresa che può staccarsi dal tutto (pag. 67); MOSSA, Trattato del
nuovo diritto commerciale, Milano, 1942 ( Impresa è l’organismo vivente di lavoro e di cose
materiali ed immateriali destinato, in comunione di uomini e di capi, agli scopi dell’economia
sociale (pag. 165); Noi impieghiamo il termine unico d’impresa, perché azienda non vuol dire
nulla di diverso (pag. 337, nota 3); CARNELUTTI, Le nuove posizioni del diritto commerciale,
in questa Rivista, 1942, I, 67. L’impresa è un atto, l’azienda in atto; l’azienda è un ente,
l’impresa in quiete (pag. 68); GRECO, Profilo dell’impresa economica, Torino, 1942, L’impresa
è istituzionale in quanto organizzazione costitutiva di un nucleo sociale (pag. 14) e l’azienda
è una parte dell’impresa (pag. 48); SANTORO PASSARELLI, L’Impresa nel codice civile,
in questa Rivista, 1942, I, 376. L’impresa è la stabile azienda produttiva di grande e inedia
dimensione (pag. 390).
(3) Codice della navigazione, Libro I, Tit. III, da cui risulta che il concetto di impresa di
navigazione ha riguardo al fatto tecnico dell’armamento della nave indipendentemente dallo
scopo economico dell’esercizio della navigazione.
(4) Sul concetto di fischio dell’impresa vedi CARNELUTTI, Il concetto di impresa nella legge
sugli infortuni, Studi sugli infortuni, I, pag. 74; ASQUINI, Il contratto di trasporto di persone,
1915, pag. 23; WIELAND, Handelsrecht, I, pag. 145.
(5) Il fenomeno economico dell’impresa è stato particolarmente studiato dalla scienza econo-
mica nel sistema dell’economia liberale, che ha avuto nel secolo XIX — il secolo della rivoluzione
industriale — il suo apogeo, ed ha segnato il definitivo passaggio dalla fase dell’economia artigia-
na alla fase delle ’grandi concentrazioni di capitale e di lavoro moderne (grande industria, grande
commercio, grandi organizzazioni bancarie, ecc.). Ma l’impresa è la cellula fondamentale di qua-
lunque tipo di economia organizzata. Diverso ne è solo l’ordinamento . Nel sistema dell’economia
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liberale l’iniziativa privata nell’impresa era soggetta solo alle leggi naturali del mercato; mentre lo
Stato si riservava essenzialmente la funzione di garantire l’ordine nella concorrenza (che, di fronte
alle dimensioni assunte dalle crisi economiche nella moderna produzione di massa, aveva finito col
divenire, in realtà, disordine). Dove, come in Russia, il crollo dell’economia capitalistica priva-
ta ha portato all’instaurazione di un’economia capitalistica collettivizzata, l’impresa è divenuta
parte dell’organizzazione monopolistica della produzione da parte dello Stato e come tale opera
sulla base di piani politici più o meno mastodontici, imposti dallo Stato, arbitro del mercato.
Nella maggior parte dei paesi, anche di quelli sedicenti liberali, in cui il superamento dell’econo-
mia del secolo scorso ha portato all’instaurazione di un’economia controllata, qualunque ne sia
il sistema, l’impresa è rimasta di regola affidata all’iniziativa privata, però sulla base di piani
individuali coordinati dallo Stato nell’interesse collettivo. A questi principi è particolarmente
informato il nostro sistema di economia corporativa, secondo la Carta del lavoro, che considera
l’impresa privata come lo strumento efficace e più utile nell’interesse della Nazione (Dich.
VII). Solo quando manchi o sia insufficiente l’iniziativa privata o quando siano in gioco interessi
politici dello Stato l’impresa privata viene sostituita dall’impresa pubblica in gestione diretta
dallo Stato (Dich. IX). Non è vero dunque che in regime di economia corporativa l’imprenditore
privato si trasformi in un pubblico funzionario della macchina economica burocratica dello Stato
senza proprio rischio. Anche in regime di economia corporativa l’impresa privata gode di una
propria sfera di autonomia e l’imprenditore svolge una propria iniziativa a proprio rischio, che
implica un lavoro creativo e organizzativo, avente nel profitto la sua specifica rimunerazione.
Solamente, l’applicazione del principio del rischio e del profitto non resta più rimessa al solo gioco
meccanico delle leggi economiche, in funzione delle condizioni di concorrenza e di monopolio in
cui operi l’impresa, ma viene moderata politicamente dallo Stato, in relazione ai fini superiori
di interesse nazionale. In relazione a questi fini ha in particolare assunto nuove forme o almeno
nuovi atteggiamenti l’organizzazione del lavoro nell’impresa, considerandosi i prestatori di lavoro
nell’impresa come collaboratori dell’imprenditore a servizio di un interesse comune. Ciò può in-
fluire sulla stessa struttura giuridica del rapporto di lavoro, che può assumere forme associative
in luogo della forma di un rapporto di scambio (come avviene nell’organizzazione dell’impresa
agricola a mezzadria); ma influisce comunque sull’aspetto istituzionale della impresa e quindi
del rapporto di lavoro, anche quando questo conserva sotto l’aspetto patrimoniale la struttura
di un rapporto di scambio (salariato) (n. 14). In questo senso l’impresa corporativa perde quel
carattere individualistico e speculativo che ha l’impresa capitalistica nell’economia liberale, per
assumere una funzione non solo economica, ma anche politica ed etica (cfr. PAPI, op. cit., pag.
108; VITO, op. cit. pag. 60; DE FRANCISCI GERBINO, op. cit., pag. 353).
(6) L’impresa come atto obiettivo di commercio era prevalentemente considerata sotto il
profilo di atto di intermediazione nello scambio del lavoro. BOLAFFIO, Commentario, I, n. 40;
ROCCO, Principii, n. 46; CARNELUTTI, Il concetto d’impresa, cit., pag. 67, nota 2.
(8) CARNELUTTI, Teoria generale del diritto, 1940. La forza e la debolezza della Teoria di
CARNELUTTI stanno nel suo modo di concepire il diritto, che fa più credito alla logica che alla
storia. Metodo a certi effetti certamente semplificatore, quando è usato da un grande maestro
come CARNELUTTI; ma metodo che nasconde la relatività storica dei concetti giuridici, che
pure è essenza del diritto. Il concettualismo di CARNELUTTI, fondato sulle categorie del tempo
e dello spazio, è lineare e avvincente; ma postula un ordinamento giuridico staccato dalla storia,
cioè.... fuori dal tempo e dallo spazio.
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loc. cit.
(10) L’interpretazione del concetto di piccolo imprenditore data dalla legge fallimentare (nel
senso che viene presunto piccolo imprenditore, iuris et de iure, colui che dimostri di trovarsi nelle
condizioni — sufficienti, non necessarie — ivi previste) spiega quindi la sua efficacia anche oltre
i limiti dell’istituto fallimentare. Conf. BIGIAVI, Sulla nozione di piccolo imprenditore, Dir.
fall., 1942, II, pag. 188. Allo stesso risultato giungono GRECO, Profilo, pag. 25; MOSSA, Foro
it., 1942, I, 1129; FERRARA j., Gli imprenditori e le società, 1942, pag. 26, 27; SANTORO
PASSARELLI, in questa Rivista, 1942, I, pag. 384, pur considerando la disposizione della
legge fallimentare derogatrice, non interpretatrice del codice civile. Dissenzienti nel senso che
il concetto di piccolo imprenditore dato dalla legge fallimentare spiegherebbe il suo effetto solo
nei limiti di applicazione della legge fallimentare: ANDRIOLI, Sul piccolo imprenditore, Foro
it., 1942, 796-797; SATTA, Istituzioni di diritto fallimentare, 1943, pag. 28; JAEGER, Il piccolo
imprenditore, in questa Rivista, 1942, II, 290; VALERI, Brevi note, in questo fascicolo pag. 51.
(11) Il dubbio manifestato in proposito da SANTORO PASSARELLI, cit., pag. 387, nota
49, non ha ragione d’essere, tenuto conto dell’art. 2070, di cui appresso sub d).
(14) CARNELUTTI, Le nuove posizioni, cit., pag. 68. Conf. NAVARRINI, Tratt., I,
pag. 228, nota 3. La distinzione di CARNELUTTI tra impresa e azienda corrisponderebbe alla
distinzione che si fa nella dottrina germanica tra Die Unternelmung e Das Unternehmen.
(17) Dalla natura commerciale dell’attività imprenditrice, come oggetto della società, deriva
poi la natura commerciale della società, con il rilievo che per le società di fatto la commercialità è
in funzione di un’attività imprenditrice commerciale anche occasionale. In questo senso VALERI
(Brevi note, in questo fascicolo, pag. 46), acutamente osserva che l’atto obiettivo di commercio
sopravvive a certi effetti anche nel nuovo codice civile.
(19) BEKKER, Pandekten, I, 40, app. I, pag. 134; Zweckvermogen, ecc., in Zeits.f. das
Handelsrecht, IV, pag. 499; VALERY, loc. cit.
(19 bis) La sola ipotesi in cui il patrimonio aziendale trova forse nel nuovo Codice una
speciale disciplina come patrimonio separato è quella dell’amministrazione giudiziale prevista
dall’art. 2091.
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(20) FADDA e BENSA, Note alle Pandette di WINDSCHEID, I, 2, pag. 491 e seg.; LA
LUMIA, Trattato di dir. commerc., pag. 222; ASCARELLI, Istituzioni, pag. 40; WIELAND,
Handelsrecht, pag. 244; PISKO, Lehrbuch des Oest. Handelsrecht, pag. 55.
(22) Vedi autori citati a nota 20. Confr. GRECO, Profilo, pag. 51. Nello stesso senso
SOPRANO parla dell’azienda come entità patrimoniale (op cit., n. 75).
(23) SCIALOJA, Foro it., 1883, I, 1906; BARASSI, Diritti reali, pag. 151; MESSINEO, Ist.,
§ 28; ASCARELLI, Ist., pag. 41.
(24) In questo senso la dottrina dominante: VIVANTE, Tratt., II, n. 842; NAVARRINI,
Tratt., II, n. 1418; COVIELLO, Manuale, pag. 259; ROCCO, Principi, pag. 275; ROTONDI,
Diritto industriale, n. 29.
(25) In questo senso FERRARA, Trattato dir. civ., n. 17o, considera l’azienda come or-
ganizzazione di cose o istituzione (aderente VALERI, in questa Rivista, 1928, II, pagina 108);
CASANOVA, Studi sull’azienda, pag. 105, considera l’azienda come un collegamento di beni a
destinazione complementare; BARBERO, Le università patrimoniali, n. 103, vede nell’azienda
un particolare modo di considerare i beni che la compongono a particolari effetti; CARNELUT-
TI, Le nuove posizioni, pag. 62, sembra voler considerare l’azienda come una sintesi sui generis
di due universitates rerum et personarum.
(26) ISAY, Das Rechts des Unternehmens, pag. 10, 23, 27; PISKO, Lehrbuch, pag. 56;
MULLER-ERZBACH, Deutsches Handelsrecht, I, pag. 72; THALLER-PERCEROU, Traité I,
n. 79 e seg.
(27) SANTORO PASSARELLI, op. cit., pag. 14-15. La novità della tesi di SANTORO
PASSARELLI starebbe in questo: che ciò che egli chiama centro di riferimento di soggetto di
diritto (n. 15). E ciò perché col concetto di patrimonio e di successione nella titolarità del patri-
monio non si spiegherebbe la permanenza della proposta, dell’accettazione, del mandato, della
rappresentanza, malgrado il mutamento della persona dell’imprenditore, e non si spiegherebbe
neppure quale sia il bene tutelato dalla legge nella repressione della concorrenza sleale. Sono due
argomenti poco probanti. La successione nella proposta, nell’accettazione, nel mandato, nella
rappresentanza, già ammessa da molte legislazioni straniere come principio generale, indipenden-
temente da ogni riferimento all’azienda, è stata sempre giustificata anche da noi (BONFANTE,
La successione nella promessa, in questa Rivista, 1927, I, 1) operando col concetto di successione
nel patrimonio. La epressione della concorrenza sleale, d’altra parte, tutela l’organizzazione e
l’avviamento dell’azienda, che la dottrina più moderna sull’azienda (aut. cit., nota 26) considera
come il nucleo essenziale dell’azienda, autentico bene immateriale oggetto di diritto.
(29) SANTORO PASSARELLI, op. Cit., n. 9. Conf. MESSINEO, Ist., § 28; LA LUMIA,
Tratt., n. 150. La distinzione tra azienda e impresa, corrisponderebbe alla distinzione che si fa
nella letteratura germanica tra Betrieb e Unternehmen. Però secondo la terminologia germanica,
i concetti di Betrieb e di Unternehmen non differiscono per ragione di dimensioni, ma stanno su
due piani diversi. Betrieb è l’organizzazione produttiva in rapporti giuridici si troverebbe in
una zona intermedia tra il puro oggetto e il puro relazione a suoi fini tecnici (uno stabilimento, un
ufficio); Unternehmen è l’organizzazione produttiva in relazione ai suoi fini economici (HUECK,
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NIPPERDEY-DIETZ, Kommentar alla legge germanica sull’ordinamento del lavoro, 3a ediz.,
pag. 96, 97).
(30) È giusto il rilievo di SANTORO PASSARELLI (pag. 386) che la disciplina del rapporto
di lavoro dipendente è unitaria, sia che si svolga nell’impresa o fuori dell’impresa. Il codice
non dice nulla di diverso, perché pure avendo collocato — per ragioni di opportunità — tale
disciplina sotto il titolo dell’impresa, alla stessa disciplina si richiama anche per i rapporti di
lavoro estranei all’impresa (art. 2238, 2339). Però dove c’è l’impresa il mezzo proprio in cui si
svolge il rapporto di lavoro è, per definizione, l’impresa. Che poi i rapporti di lavoro relativi
all’impresa, sotto l’aspetto patrimoniale, entrino nel concetto di azienda, in senso ampio (rectius:
di patrimonio aziendale), è un altro modo di considerarli.
(33) HAURIOU, Principes de droit public, 1916, pag. 48; Précis de droit constitutionnel
1929, I, 2, § 3; RENARD, La théorie de l’institution, 1930.
(34) SANTORO PASSARELLI, pag. 385 e nota 44, don si nasconde questo profilo dell’impre-
sa, che anche nell’ordinamento germanico del lavoro ha acquistato un rilievo eminente, secondo
la nozione della Betriebsgemeinschaft (HUECK-NIPPERDEY-DIETZ. Komm. cit., pag. 23),
da non confondersi col generico concetto di Gemeinschaft applicato alle situazioni contrattua-
li. La Betriebsgemeinschaft corrisponde precisamente al nostro concetto di impresa-istituzione.
Ma allora non vedo perché SANTORO PASSARELLI, pag. 380, ritenga che il concetto di
impresa-istituzione sia un’artificiale nozione legislativa, senza aderenza con la realtà .
(35) GRECO, Contratto di lavoro, n. 24, 26; Profilo, pag. 14 e autori ivi citati, nota 2.
Aggiungi ora VALERI, in questo fasc., pag. 33.
(36) Un istituto che nel suo contenuto economico e sociale sta all’estremo opposto dell’im-
presa corporativa, ma che può essere tuttavia utilmente evocato per intendere i due aspetti
istituzionale e patrimoniale dell’impresa (impresa-istituzione e azienda), è l’istituto medioevale
del feudo terriero, la cui titolarità importava oltre che la titolarità di un complesso di diritti
patrimoniali, la titolarità di un complesso di poteri sovrani. In questo senso si potrebbe dire che
anche nell’impresa vi è una sfera di signoria (Herrschaftsbereich) (impresa in senso stretto) e una
sfera di patrimonialità (azienda). Alcuni autori germanici, operando con questi concetti, vor-
rebbero bensı̀ unificarli nel concetto di Unternehmen (cosı̀ FEHR, Unternehmen, in Handw. der
Rechtswissenschaft, VI, pag. 246, richiamandosi agli studi di OPPIKOFER). Ma, come riconosce
lo stesso OPPIKOFER (Das haufmannische Unternehmen in Rechtsvergleichendes Handw., VII,
pag. 24), anche nel diritto germanico, il concetto di Unternehmen, come azienda, è usato solo
nel suo contenuto patrimoniale.
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