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DIRITTO COMMERCIALE
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IL CONCETTO ECONOMICO DI IMPRENDITORE
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Il concetto di imprenditore è, prima ancora che un concetto giuridico, un elaborato
dell’economia: nella teoria economica classica ci sono i capitalisti, che mettono a disposizione
il capitale per ricevere, come corrispettivo, quella remunerazione fissa che si chiama
“interesse”, e ci sono i lavoratori che, anch’essi in cambio di una remunerazione fissa, offrono
le proprie energie di lavoro; l’imprenditore si vale dei servizi di queste due categorie e
trasforma i fattori della produzione (appunto capitale e lavoro) in un prodotto idoneo a
soddisfare quanti richiedono beni o servizi, i consumatori. Egli in questo senso svolge una
funzione creativa di ricchezza.
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Altrettanto essenziale, per identificare la figura dell’imprenditore, è il concetto di rischio
economico: l’imprenditore si obbliga a corrispondere un compenso fisso ai capitalisti e ai
lavoratori; su di lui incombe, perciò, il rischio di non riuscire a coprire, con i profitti, il costo
dei fattori produttivi impiegati.
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IL CONCETTO GIURIDICO DI IMPRENDITORE
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Imprenditore e commerciante:
La figura dell’imprenditore prende il posto che nel diritto anteriore era occupato da una
diversa figura: quella del commerciante, che era il portato di una plurisecolare tradizione
giuridica, all’origine della quale si colloca il mercante del diritto medievale.
Al giorno d’oggi il commerciante è solo una specifica figura di imprenditore, la cui attività
consiste nello scambio di beni. In passato invece il rapporto si presentava rovesciato:
l’imprenditore era solo una delle possibili figure di commerciante.
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L’imprenditore oggi:
Il concetto di imprenditore è introdotto nel diritto privato odierno dall’art. 2082: “è
imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata, al fine della
produzione o dello scambio di beni o servizi”. Il fatto che l’attività dell’imprenditore sia
preordinata alla “produzione o scambio di beni o servizi” costituisce una delle più importanti
differenze rispetto all’antica figura del commerciante: Questi era colui che compiva, per
professione, operazioni speculative; l’imprenditore si presenta, all’opposto, come produttore: è
colui che produce beni o servizi o si interpone nel loro scambio, svolgendo un’attività creativa
di ricchezza.
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Lo speculatore di borsa:
Le conseguenze di questa mutata prospettiva appaiono in tutta evidenza relativamente ad una
figura, quella dello speculatore di borsa, che era sicuramente commerciante per l’abrogato
codice di commercio, e che non è invece imprenditore per il vigente codice civile. Gli viene
negata, sulla base dell’art. 2082, la qualità di imprenditore, sulla base della considerazione che
egli non pone in essere una vera e propria interposizione nello scambio dei titoli in borsa, e
non può essere considerato un “produttore”, non svolgendo alcuna attività “creativa di
ricchezza”.
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IMPRENDITORE E PROFESSIONISTA INTELLETTUALE
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Lo svolgimento professionale di un’attività definibile come produttiva di ricchezza è
condizione necessaria per l’assunzione della qualità di imprenditore, ma non sufficiente:
esistono infatti attività che, pur consistendo nella produzione di beni o servizi, non danno
luogo ad una impresa. Tali sono le attività dei professionisti intellettuali e degli artisti: ad esse
si applicano le norme regolatrici dell’impresa solo se l’esercizio della professione non è altro
che un elemento di un’attività organizzata in forma di impresa. E’ il caso del medico che
gestisca una casa di cura o del professore che gestisca un istituto di istruzione privata.
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Si è asserito che le opere e i servizi intellettuali non danno luogo a prestazione di servizi, dal
punto di vista giuridico, perché si tratta di attività squisitamente intellettuali. Tuttavia se una
stessa attività intellettuale, ad esempio una consulenza in materia di riorganizzazione
aziendale, è offerta non singolarmente dal suo stesso artefice, ma da un soggetto che assume
alle proprie dipendenze diversi ingegneri specializzati in questo campo e offre alle imprese i
servizi del proprio “istituto di riorganizzazione aziendale”, questo soggetto si può definire
imprenditore. Dunque non è imprenditore chi offra in prima persona prestazioni intellettuali,
ma lo è chi offra quelle altrui.
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PROFESSIONI PROTETTE E NON PROTETTE
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All’interno del ceto dei professionisti intellettuali occorre tracciare una generale distinzione,
quella fra professioni “protette” e “non protette”. L’esercizio delle prime è subordinato
all’iscrizione in appositi albi o elenchi e sottostà a principi inderogabili come quello
dell’esecuzione “personale” dell’incarico o della retribuzione adeguata al “decoro della
professione”.
Ma ci sono altre attività, ugualmente definibili come “professioni intellettuali”, l’esercizio
delle quali non è protetto: ad esempio gli agenti di pubblicità, gli esperti di ricerche di mercato,
gli esperti di riorganizzazione aziendale. Gli esercenti queste professioni intellettuali non
debbono, necessariamente, regolare il loro rapporto con il cliente secondo lo schema del
contratto d’opera intellettuale: essi sono liberi di adottare lo schema contrattuale che
preferiscono, anche implicante la spersonalizzazione della prestazione, o una remunerazione
determinata secondo criteri mercantili. Questi professionisti possono ad esempio scegliere,
come schema contrattuale, quello del contratto di appalto, e possono anche assumere su di sé il
rischio del proprio lavoro (come l’agente pubblicitario che pattuisca il corrispettivo in base al
successo del lancio pubblicitario da lui ideato), vale a dire che possono scegliere di agire come
imprenditori.
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LA PROFESSIONALITA’ DELL’IMPRENDITORE
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Il concetto di professionalità in rapporto all’imprenditore cambia significato; non designa più
uno stato personale, ma solo e semplicemente la stabilità e non occasionalità dell’attività
esercitata. Non deve trattarsi necessariamente di un’attività ininterrotta: anche l’attività
stagionale, come quella alberghiera, dà luogo ad un’impresa. Ciò che conta è l’abitualità, il
costante ripetersi dell’attività economica, anche se ad intervalli imposti dalla sua natura ciclica
o stagionale. Non deve neanche essere l’unica attività svolta dal soggetto, o la sua attività
principale: può trattarsi di un’attività svolta in via del tutto accessoria.
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Imprenditore pubblico:
Anche l’impresa pubblica trova la propria definizione nell’art. 2082, dunque anche ad essa si
riferisce il requisito della professionalità. Esso non può pertanto, a maggior ragione, essere
inteso come attinente ad uno stato personale, o come escludente le attività svolte in modo
accessorio o marginale.
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L’affare isolato:
Incompatibile con il concetto di professionalità è solo il compimento occasionale di un affare.
S’intende però che, in alcuni casi, anche un singolo affare può implicare lo svolgimento di
un’attività protratta nel tempo (si pensi alla costruzione di una diga o di un’opera pubblica), e
integrare il requisito della professionalità.
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Lo scopo di lucro:
Soprattutto in passato era convinzione diffusa che l’estremo della professionalità richiedesse
un ulteriore carattere: lo scopo di lucro. In base a questa concezione è imprenditore soltanto
colui che interviene nell’attività produttiva, o si interpone nella circolazione dei beni, allo
scopo di ricavarne un lucro o un profitto personale, perciò non eserciterebbe
“professionalmente” un’attività economica chi eroghi beni o servizi a titolo gratuito, con intenti
di liberalità o dovendo adempiere una funzione assistenziale.
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Al giorno d’oggi, invece che far riferimento a ciò che l’imprenditore doveva porsi come
obiettivo, cioè il lucro personale (“scopo di lucro” appunto), si giudica più corretto parlare di
attività “astrattamente lucrativa”, cioè potenzialmente tale, ammettendo che il soggetto possa
essere animato da uno scopo diverso, anche di natura ideale. Altrimenti non si spiegherebbe
l’esistenza di imprese che hanno uno scopo mutualistico, non assimilabile allo scopo di lucro.
Allo stesso modo non si capirebbe perché il codice civile annoveri tra gli imprenditori anche
gli enti pubblici, sebbene tali enti non si propongano intenti speculativi, bensì finalità di
interesse sociale.
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L’ATTIVITA’ ECONOMICA
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E’ opinione accolta che il concetto di “attività economica”, elemento base della definizione
legislativa di imprenditore, altro non significhi se non attività produttiva in senso lato, cioè
attività creativa di ricchezza. Tuttavia l’espressione “attività economica” evoca qualcosa in più;
questo qualcosa è espresso dalla disciplina degli enti pubblici economici, secondo la quale: “lo
svolgimento professionale di attività economica importa che chi la compie ritragga dalla
cessione dei beni e dei servizi prodotti quanto occorre per compensare i fattori produttivi
impiegati. In pratica produrre con “criteri di economicità” (come è richiesto alle imprese
pubbliche) significa produrre in condizioni di pareggio di bilancio: l’attività produttiva deve
alimentarsi con i suoi stessi ricavi e non comportare erogazioni “a fondo perduto”.
Questa è, in ultima analisi, la nozione di impresa che la giurisprudenza ha finito con
l’accogliere anche per l’imprenditore privato, decidendo che “ad integrare il requisito della
professionalità nell’esercizio dell’impresa è sufficiente l’obiettiva economicità”. Affinché si

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possa parlare di impresa, dunque, basta che l’attività produttiva si presenti come di per sé
idonea a rimborsare i fattori della produzione impiegati
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L’impresa per conto proprio:
Si pone il problema se sia definibile come impresa quella di chi produce beni o servizi per sé
stesso, e non per il mercato. Effettivamente non si può negare che questa sia un’attività
produttrice di nuova ricchezza, tuttavia non è possibile definirla come attività economica
professionalmente esercitata, poiché non si può dire che remuneri con i ricavi il costo dei
fattori produttivi impiegati. Quasi tutti gli autori sono perciò concordi nel non ritenere
ammissibile l’impresa per conto proprio.
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L’ORGANIZZAZIONE
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Altro requisito dell’attività d’impresa è quello dell’organizzazione: deve trattarsi di un’attività
economica “organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”.
Si riteneva che il senso da attribuire a questo requisito fosse quello della “organizzazione
intermediatrice”, cioè quell’opera di coordinamento che, ponendosi come tramite fra i
fattori produttivi (capitale e lavoro) e la distribuzione dei beni, costituisce l’apporto tipico
dell’imprenditore (e riceve come remunerazione il profitto). Tuttavia si fa notare che può
essere imprenditore anche chi non utilizzi affatto il lavoro altrui, ad esempio perché abbia
automatizzato completamente il processo di produzione; ne deriva che lo svolgimento di una
funzione intermediatrice del lavoro non può essere considerato un elemento essenziale per
delimitare la figura dell’imprenditore.
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Esclusa la rilevanza di una organizzazione intermediatrice del lavoro, qualcuno continua a
sostenere che debba essere presente almeno un’organizzazione di “elementi reali”, ossia
una “azienda”, quale “complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa”. Proponendo
questo requisito ci si ribella all’idea che possano essere considerati imprenditori anche i
lavoratori autonomi, il cui mestiere non richiede la predisposizione di alcun apparato
produttivo, bastando valersi della propria ingegnosità, destrezza o forza muscolare.
Tuttavia l’art. 2083 espressamente qualifica come piccolo imprenditore anche l’artigiano, i
cui prodotti sono frutto essenzialmente del suo lavoro personale, palesando che la mancanza di
collaboratori o macchinari, ossia di una “organizzazione”, non è incompatibile col concetto di
imprenditore. La figura dell’artigiano finisce per coincidere con quella del “prestatore d’opera
manuale”, e la nozione di impresa finisce per comprendere anche i lavoratori autonomi (non
intellettuali).
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Il requisito dell’organizzazione si rivela dunque fondamentalmente inutile, dal momento che
né l’organizzazione intermediatrice del lavoro, né l’organizzazione di elementi reali possono
dirsi essenziali alla figura dell’imprenditore; la sua presenza serve semmai a distinguere il
piccolo imprenditore (nella cui organizzazione, se ce l’ha, i fattori di produzione assumono un
ruolo secondario rispetto al suo lavoro), dall’imprenditore non piccolo.
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IMPRENDITORE COMMERCIALE VS
IMPRENDITORE AGRICOLO
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In passato il coltivatore non era considerato un imprenditore, pur se egli mirasse, con la
vendita dei prodotti del suo fondo, a conseguire un profitto. La coltivazione non era
considerata attività d’impresa e la vendita a scopo di profitto non era sufficiente ad attribuirgli
la qualifica di “commerciante”. Oggi invece l’agricoltura è considerata impresa, poiché i
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coltivatori producono beni e svolgono un’attività creativa di ricchezza, tuttavia l’imprenditore
agricolo non è sottoposto agli importanti oneri che fanno capo all’imprenditore commerciale
(soggezione al fallimento, obbligo di tenere scritture contabili ecc.), perciò si può dire che la
condizione giuridica dei coltivatori è rimasta pressoché immutata.
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Le specie dell’imprenditore agricolo e di quello commerciale sono legislativamente identificate
in modo positivo: l’art. 2135 precisa quali attività sono da considerarsi agricole, mentre l’art.
2195 elenca le cinque attività che si considerano “attività commerciali”. Dal momento che la
definizione di entrambe queste categorie è positiva (non si dice: “è attività agricola tutto ciò
che non è attività commerciale”, o viceversa), e stilata tramite un preciso elenco, ci si trova a
volte nella difficoltà di collocare determinate attività che sono senz’altro definibili come
imprese, ma non rientrano nei casi previsti dall’art. 2135 né in quelli elencati all’art. 2195.
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L’impresa civile:
Da queste difficoltà di classificazione è sorta la proposta di configurare, accanto alle due specie
positivamente definite dal codice, una tipologia definibile come “impresa civile” e
determinabile in base a criteri negativi, come impresa diversa sia dall’impresa agricola sia da
quella commerciale. Questa terza specie sarebbe soggetta alla disciplina generale dell’impresa,
ma sottratta alle discipline di specie dell’impresa agricola o commerciale.
Si constaterà più avanti come ci sia scarso spazio, nel sistema del codice civile, per una terza
tipologia di impresa.
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L’IMPRENDITORE COMMERCIALE
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Sono “attività commerciali” quelle elencate dall’art. 2195:
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1. Un’attività industriale, diretta alla produzione di beni o servizi;
2. Un’attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3. Un’attività di trasporto per terra, acqua o aria;
4. Un’attività bancaria o assicurativa;
5. Altre attività ausiliarie delle precedenti.
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1 - L’attività industriale:
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L’attività industriale sembrerebbe contrapporsi a quella commerciale, nel senso che la prima è
l’attività produttiva di nuovi beni, mentre la seconda è l’attività di interposizione nella
circolazione dei beni. Tuttavia nel codice civile l’attività industriale è ricompresa fra le attività
commerciali; si considera infatti che l’industriale utilizza beni preesistenti (le materie prime),
che acquista sul mercato e trasforma in nuovi beni (i prodotti finiti), questa sarebbe la
“interposizione” che lo rende definibile come imprenditore commerciale. Ma come la
mettiamo, ad esempio, con l’attività estrattiva? Chi estrae sostanze minerali esercita un’attività
produttiva di beni, tuttavia è assente quell’attività contrattuale precedente, come l’acquisto
delle materie prime, che consenta di qualificare l’imprenditore minerario come soggetto che si
interpone nella circolazione dei beni.
E l’esempio è valido in molti altri casi; la categoria comprende infatti tutte le attività produttive
c.d. “primarie”, ossia che prevedano la diretta utilizzazione delle risorse naturali (e che non
siano agricole). In questi casi si prescinde allora dall’estremo dell’intermediazione nella
circolazione dei beni, e si ammette certamente che tali imprese rientrino fra le attività
industriali, essendo quindi senza dubbio qualificabili anche come “attività commerciali”.
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Inoltre se si considera l’espressione “attività industriali” nella sua accezione economica, che
prevede un processo di trasformazione della materia, resterebbero fuori dal novero delle
attività industriali tutte quelle attività di produzione di servizi che non abbiano questi caratteri
(si pensi ad una casa di cura, ad un albergo, ad un istituto di istruzione privato…); e
resterebbero fuori, di conseguenza, anche dal novero delle “attività commerciali”, non potendo
rientrare nelle tipologie previste dai punti successivi (2,3,4,5) dell’art. 2195.
Occorre, perciò, modificare la premessa ed escludere che l’aggettivo “industriale” sia stato
adoperato nel suo significato economico; il suo senso è qui assai più generico, e vuole
esprimere una semplice differenziazione dall’attività agricola.
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2 - Attività intermediarie nella circolazione dei beni:
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L’attività prevista al punto 2 dell’art. 2195 è la “attività commerciale” nel senso corrente
dell’espressione: l’attività cioè di acquisto e successiva rivendita di beni, senza alcuna
trasformazione.
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L’attività bancaria si scompone in una duplice funzione: “la raccolta di risparmio fra il
pubblico e l’esercizio del credito”. In questo senso l’attività bancaria si presenta come
un’attività di intermediazione nella circolazione del denaro e, di conseguenza, come un’attività
commerciale collocabile all’interno del n. 2. Si rivela dunque superflua la sua espressa
previsione al n. 4 dello stesso articolo.
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Anche l’attività di finanziamento può essere collocata all’interno del n. 2. In questo caso non
si può parlare di funzione intermediatrice, perché la società di finanziamenti eroga prestiti
attingendo dal proprio patrimonio, senza ricorrere alla raccolta di risparmio, e quindi senza
interporsi nella circolazione del denaro. Tuttavia l’erogazione di prestiti e finanziamenti è una
prestazione di “dare”, che in quanto tale costituisce un atto di scambio
permettendo di annoverare questo tipo di attività al n. 2 dell’art. 2195, nonostante la mancanza
di una vera e propria “intermediazione”.
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5 - Le attività ausiliarie:
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Sono attività ausiliarie quelle del mediatore, dell’agente di commercio, ma anche le agenzie di
pubblicità, di viaggi, e tutte quelle attività caratterizzate dal fatto di essere esercitate da un
imprenditore a vantaggio di altri imprenditori.
La lettera dell’art. 2195 prende in considerazione solo le attività ausiliarie “delle precedenti”,
ma non c’è motivo di ritenere che debba essere escluso dalla qualità di imprenditore
commerciale chi svolga, ad esempio, attività ausiliaria all’imprenditore agricolo. L’attività di
agente di commercio o di mediatore non muta la propria natura per il fatto di riguardare
prodotti agricoli piuttosto che industriali, perciò non c’è ragione di attribuire una condizione
giuridica diversa a chi, come agente o mediatore, tratta granaglie, rispetto a chi tratta prodotti
industriali.
Anche il punto n. 5 si rivela superfluo, poiché l’attività ausiliare dell’imprenditore
commerciale può essere benissimo considerata un’attività di produzione di servizi, trovando
dunque spazio sub n. 1.
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In conclusione, delle cinque attività elencate dall’art. 2195, quelle contrassegnate dai n. 3, 4 e 5
non fanno altro che identificare specifici settori delle attività ai n. 1 e 2. Sarebbero bastati, in
realtà, questi primi due numeri: le imprese di trasporti, di assicurazioni e quelle ausiliarie sono
imprese che producono servizi e, perciò, rientrano nel n. 1, la banca svolge un’attività di
intermediazione nella circolazione di denaro, e quindi si colloca sub n. 2.
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Le holding:
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Ci si è posti l’interrogativo se possa essere considerata come “attività commerciale d’impresa”
quella consistente nel dirigere in forma organizzata una serie di società, delle quali si ha il
controllo azionario. Nel rispondere affermativamente, si è talvolta addotto che l’attività della
holding altro non è se non un’attività di produzione di servizi; tuttavia poiché questi servizi
sono diretti ad “agevolare l’attività di singole imprese commerciali” (le controllate), si
giungerebbe alla paradossale conclusione che la holding sia in realtà nient’altro che un’
impresa ausiliaria.
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Per trovare una soluzione più plausibile occorre tener presente che l’oggetto di una società può
essere immediato (società operante), ma anche indiretto e mediato (come nel caso della
holding). Il carattere imprenditoriale della holding, perciò, non deriva dalla sua attività di
coordinamento e organizzazione delle controllate (in questo caso sarebbe classificabile sub n.
5), bensì dalla specifica attività di produzione o di scambio che forma oggetto delle società
operanti.
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LE ATTIVITA’ ESSENZIALMENTE AGRICOLE E
AGRICOLE PER CONNESSIONE
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L’art. 2135 definisce come imprenditore agricolo quello che esercita una delle seguenti attività:
“coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”. Le prime tre
specie si sogliono definire come “essenzialmente agricole”: l’esercizio di una sola di esse è
sufficiente per attribuire a chi la esercita la qualità di imprenditore agricolo. Le attività della
quarta specie, invece, sono attività agricole solo quando siano esercitate da chi eserciti, al
tempo stesso, una delle attività essenzialmente agricole.
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La coltivazione del fondo:
La coltivazione del fondo è lo sfruttamento dell’energia genetica della terra. Non basta la mera
raccolta dei frutti naturali del suolo: occorre, perchè vi sia impresa, l’attività di coltivazione,
ossia un’attività definibile come attività di “produzione di beni”.
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La silvicoltura:
La silvicoltura è la coltivazione del bosco; è l’attività agricola volta alla riduzione di quello
specifico bene che è il legname. Non è silvicoltura l’attività meramente estrattiva del legname,
che non preveda la coltivazione del bosco; quella sarà un’attività industriale.
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Colture artificiali:
L’attività di coltivazione deve avere per oggetto il “fondo”, tuttavia l’espressione non va presa
alla lettera: la coltivazione del fondo infatti, precisa la norma, consiste nelle attività dirette alla
cura e allo sviluppo di un ciclo biologico vegetale, “che possono utilizzare o meno il fondo”.
Oggi si praticano tecniche che riproducono artificialmente, all’interno di stabilimenti, le
condizioni che permettono ai vegetali di svilupparsi: la pianta affonda le proprie radici, anziché
nella terra, in soluzioni chimiche nutritive, e parametri quali temperatura, umidità e luce sono
regolati artificialmente.
All’epoca della codificazione non si conosceva altra possibile coltivazione, se non quella
attuata sul fondo. Successivamente si è imposta la considerazione che il fattore caratteristico
dell’attività agricola non è tanto la terra in sé, quanto piuttosto la natura: Anche nelle colture

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artificiali, l’imprenditore si limita a porre la natura in condizione di esplicare la propria
spontanea attitudine produttiva.
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Allevamento degli animali:
L’ultima attività essenzialmente agricola è l’allevamento degli animali. Prima della riforma del
2001 la norma si riferiva all’allevamento del “bestiame”, ed erano bestiame gli animali da
carne, da latte, da lana, da lavoro (o, in termini zoologici, i bovini, li equini, i suini, gli ovini, i
caprini), le specie, cioè, tradizionalmente legate al fondo per la loro attitudine ad essere
alimentate con i prodotti della terra. La riforma, che rende solo eventuale l’utilizzazione del
fondo, comporta che l’allevamento non cessa di essere attività agricola quando non sia
praticato sul fondo ma “in batteria”.
La sostituzione del concetto di bestiame con quello di “animali” permette anche di
ricomprendere nell’ambito dell’impresa agricola quelle attività zootecniche non riducibili alla
nozione di “allevamento del bestiame”, come la bachicoltura, l’apicoltura, gli allevamenti di
animali da cortile. La riforma prevede anche che la cura e lo sviluppo di un ciclo biologico
animale possa utilizzare “le acque dolci, salmastre o marine”, con la conseguenza che è oggi
attività agricola anche l’itticoltura.
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Le attività agricole per connessione:
Il produttore agricolo esercita non di rado, congiuntamente all’attività agricola, ulteriori
attività che, in sé considerate, hanno natura commerciale. Può accadere, ad esempio, che il
viticoltore provveda egli stesso alla trasformazione dell’uva in vino, e alla vendita di
quest’ultimo. Se questa ulteriore attività può considerarsi “attività connessa” all’agricoltura,
l’imprenditore non perde la qualità di imprenditore agricolo; altrimenti diventa imprenditore
commerciale.
Sono considerate “connesse” all’agricoltura le attività dirette alla “manipolazione,
conservazione, trasformazione, commercializzazione, valorizzazione” dei prodotti agricoli.
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Occorre, anzitutto, una connessione soggettiva: L’attività commerciale deve essere svolta
dal medesimo soggetto che esercita la coltivazione. (chi trasforma in vino l’uva prodotta da
altri non esercite, ovviamente, una attività agricola per connessione).
Occorre poi una connessione oggettiva: l’attività industriale, per essere connessa
all’agricoltura, deve avere per oggetto prodotti ottenuti “prevalentemente” dalla coltivazione
del fondo (o del bosco o dell’allevamento).
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Alienazione dei prodotti:
Nel prevedere la “connessione all’agricoltura” di quelle attività dirette alla “valorizzazione e
commercializzazione” dei prodotti agricoli, non ci si riferisce all’alienazione in sé, che non
rappresenta nemmeno attività ulteriore rispetto all’attività produttiva, si considera invece
l’ipotesi in cui l’imprenditore agricolo organizzi un’ulteriore attività per la vendita al pubblico
dei suoi prodotti, ad esempio allestendo un negozio in centro città.
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Agriturismo:
L’agriturismo è una vera e propria attività alberghiera, svolta sul fondo utilizzando le
costruzioni ivi esistenti, ed avvalendosi, per la preparazione dei pasti, dei prodotti del fondo. In
questo caso è la legge a qualificare espressamente l’agriturismo come attività connessa
all’agricoltura, precisando che esso dà luogo ad un’impresa agricola se esercitato in
connessione con un’attività essenzialmente agricola.
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L’ENTE PUBBLICO COME IMPRENDITORE COMMERCIALE
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Per l’imprenditore individuale e per le società l’assunzione della qualità di imprenditore
commerciale dipende solo dalla natura dell’attività esercitata (deve trattarsi di un’attività
definibile come “commerciale” ex art. 2195), nel caso degli enti pubblici invece è necessario un
ulteriore requisito: che l’esercizio dell’attività commerciale costituisca l’oggetto esclusivo, o
comunque principale, dell’ente.
Restano fuori dalla qualifica di “impresa commerciale” quegli enti che esercitano attività
commerciali in via solo accessoria, come nel caso di Stato ed enti territoriali (le attività
commerciali esercitate da questi enti infatti, per quanto vaste e molteplici, sono comunque
accessorie rispetto ai loro compiti istituzionali). Gli enti pubblici per i quali l’esercizio
dell’attività commerciale sia soltanto uno scopo secondario, rivestono la qualifica di
imprenditori ma non quella di imprenditori commerciali, sono sottratti dunque alle norme
riguardanti questi ultimi, in particolare all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese e alla
tenuta dei libri contabili.
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IL PICCOLO IMPRENDITORE
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Il piccolo imprenditore è sottoposto alle norme sull’imprenditore in genere; è invece sottratto
(come l’imprenditore agricolo) all’applicazione delle norme sull’imprenditore commerciale,
anche se esercita un’attività definibile come commerciale. Non è soggetto, in particolare,
all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, né alla tenuta delle scritture contabili, né al
fallimento.
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A norma dell’art. 2083 sono piccoli imprenditori “gli artigiani, i piccoli commercianti e tutti
coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente col lavoro proprio
e dei componenti della famiglia”.
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L’ARTIGIANO
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Perché un imprenditore sia definito come “artigiano” occorre che eserciti l’impresa
“personalmente” e che, inoltre, il suo lavoro abbia misura prevalente nel processo produttivo.
E’ ammesso il ricorso alla “prestazione d’opera di personale dipendente”, ma a condizione
che questo sia “sempre personalmente diretto dall’imprenditore artigiano”; a condizione altresì
che il numero dei dipendenti, compresi i familiari, non superi determinati limiti:
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- 18 dipendenti se l’impresa non lavora in serie;
- 9 se l’impresa produce in serie;
- 8 se l’impresa presta servizi di trasporto.
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Per l’impresa che “svolga attività nel settore dei lavori artistici, tradizionali e
dell’abbigliamento su misura” è posto un limite di ben 32 dipendenti; attività di questo genere,
tuttavia, sono essenzialmente fondate sulla destrezza personale dell’artigiano, perciò il numero
dei dipendenti, per quanto elevato, non influisce in questo settore sulla natura artigiana
dell’impresa.
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Il capitale:
Oltre che sul lavoro dei dipendenti, il lavoro personale dell’artigiano deve prevalere sul capitale
investito. Questo principio non è enunciato in modo molto chiaro, solo una norma relativa
all’impresa sociale artigiana prevede esplicitamente che “il lavoro dei soci debba avere

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funzione preminente sul capitale”. Comunque il principio espresso per l’ipotesi degli artigiani
in società, è chiaramente destinato a valere anche per l’artigiano singolo.
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L’albo delle imprese artigiane:
La legge prevede e regola un apposito “albo delle imprese artigiane”, l’iscrizione al quale è
“condizione necessaria per la concessione delle agevolazioni a favore delle imprese artigiane”,
consistenti in agevolazioni creditizie, contributi a fondo perduto, diverse forme di assistenza
tecnica ecc.
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L’AZIENDA
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I termini “impresa” e “azienda” assumono nel linguaggio giuridico significati nettamente
differenti. L’impresa è un’attività, è “l’attività economica organizzata al fine della produzione o
dello scambio di beni o servizi”; l’azienda è invece un complesso di beni, in particolare “il
complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”; il concetto
identifica dunque dei fattori di produzione. Tra azienda e impresa c’è perciò un rapporto da
mezzo a fine.
L’imprenditore non è necessariamente proprietario degli strumenti di produzione: la
semplice proprietà di questi dà luogo alla figura del “capitalista”, l’imprenditore è colui che
utilizza a proprio rischio gli strumenti di produzione (propri o altrui) per creare o scambiare
beni o servizi.
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LA CIRCOLAZIONE DELL’AZIENDA
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L’azienda è presa in considerazione dal codice essenzialmente in vista della sua circolazione,
ossia per le ipotesi in cui l’imprenditore ceda ad altri la propria azienda, o la dia in usufrutto o
in affitto: secondo l’art. 2556: “per le imprese soggette a registrazione, i contratti che hanno
per oggetto il trasferimento dell’azienda devono essere provati per iscritto; le forme da
osservare sono quelle stabilite per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda”.
La forma scritta è dunque richiesta solo per la prova del contratto, e non per la sua validità,
ed è richiesta solo per le imprese soggette a registrazione, con esclusione cioè delle imprese
agricole e delle piccole imprese. Le forme richieste per la validità del trasferimento sono quelle
necessarie, secondo i principi generali, per il trasferimento dei singoli beni che compongono
l’azienda. Questo significa, in primo luogo, che l’azienda non ha, giuridicamente, una propria
“legge di circolazione”; ma significa anche che il termine “azienda” non designa un bene a sé
stante, distinto dai singoli beni aziendali, bensì una semplice pluralità di beni. Trasferire
un’azienda non significa altro se non trasferire una somma di beni.
!
Non occorre la specificazione dei singoli beni che si vogliono trasferire: i beni che si
trasferiscono sono quelli identificabili come “beni aziendali” (essi costituiscono l’oggetto –
determinabile- del contratto). E’ invece necessaria la menzione espressa di quei beni aziendali
che vengano esclusi dal trasferimento per volontà delle parti: in difetto di una espressa
esclusione, l’intero complesso aziendale si trasferisce all’acquirente.
La possibilità di escludere singoli beni dal trasferimento dell’azienda sottostà ad un preciso
limite: il trasferimento infatti può essere qualificato come “trasferimento d’azienda” solo
quando il complesso dei beni trasferiti “possa essere, di per sé solo, idoneo ad un esercizio
d’impresa”; al di sotto di questo limite la vicenda traslativa non può essere qualificata come
“trasferimento d’azienda”, e si presenta come trasferimento di una mera pluralità di beni.
!
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LA SUCCESSIONE NEI CONTRATTI
RELATIVI ALL’AZIENDA CEDUTA
!
L’imprenditore può anche utilizzare beni dei quali non abbia la proprietà, ma soltanto il
godimento. Il trasferimento dell’azienda importa anche la cessione di quei contratti che
assicuravano all’imprenditore il godimento di quei beni aziendali, dei quali non era
proprietario. Secondo l’art. 2558: “se non è pattuito diversamente, l’acquirente subentra in
tutti i contratti stipulati per l’esercizio dell’impresa, che non abbiano carattere personale”;
questa formula è comprensiva di altri contratti oltre a quelli che assicurano il godimento dei
beni di cui l’imprenditore non è proprietario; la successione nei contratti perciò, si presenta
come un fenomeno più ampio del trasferimento d’azienda, che opera una generale sostituzione
dell’acquirente nelle posizioni contrattuali dell’imprenditore alienante.
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Contratti di lavoro:
Applicazione specifica di questo fenomeno è quella relativa ai contratti di lavoro: “in caso di
trasferimento dell’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario, ed il lavoratore
conserva tutti i diritti che ne derivano”.
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Contratti aziendali e contratti d’impresa:
Rientrano nell’ampia formula, prevista dall’art. 2558, dei “contratti stipulati per l’esercizio
dell’impresa”, da un lato i “contratti aziendali”, che hanno per oggetto il godimento di beni
aziendali non di proprietà dall’imprenditore; dall’altro i contratti che non hanno per oggetto
beni aziendali ma attengono ai rapporti con fornitori, concessionari, agenti di commercio,
definibili come “contratti d’impresa”.
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Il contratto di locazione:
Come previsto dall’art. 2558 la successione nei contratti può essere esclusa dalle parti, tuttavia
questa possibilità illimitata vale solo per i “contratti d’impresa”, non per i “contratti aziendali”.
La successione in questi ultimi è parte integrante del trasferimento dell’azienda, perciò la
possibilità di escludere la loro successione è subordinata alla medesima condizione cui è
subordinata la possibilità di escludere il trasferimento dei singoli beni aziendali.
!
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Superfluità del consenso del contraente ceduto:
La cessione del contratto è permessa, secondo i principi generali, “purché l’altra parte vi
consenta”. A questo principio generale deroga la disciplina dell’azienda: qui la successione nei
contratti si attua indipendentemente dalla volontà del terzo contraente; quest’ultimo potrà
“recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, ma solo in presenza di
una giusta causa.
In poche parole egli si troverà ad essere vincolato, indipendentemente dalla sua volontà, ad
un soggetto diverso dall’originario contraente. Le esigenze di protezione dell’autonomia
individuale vengono in questo caso sacrificate di fronte ad altre esigenze, legislativamente
giudicate come prevalenti.
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I contratti personali:
“L’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa, che
non abbiano carattere personale”. La successione nei contratti è dunque esclusa nei casi in cui,
ad esempio, l’imprenditore alienante si fosse assicurata la consulenza stabile di un esperto
tributario, o si avvalesse in modo continuativo di uno psicologo per la selezione del personale;
questi contratti non passano all’acquirente dell’azienda, cui deve ritenersi garantita la facoltà
!11
di poter scegliere un professionista di sua fiducia. Assumono qui rilievo la “identità” e le
“qualità personali” del terzo contraente (il consulente, lo psicologo ecc.), determinanti per il
consenso dell’imprenditore alienante.
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Recesso del terzo contraente:
Se invece sono l’identità o le qualità personali dell’imprenditore a dimostrarsi determinanti per
il consenso del terzo contraente, quest’ultimo è tutelato e, se non voglia trovarsi legato al
nuovo imprenditore (sulle cui qualità personali può anche dubitare), ha il diritto di recedere
dal contratto entro tre mesi dal trasferimento.
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CESSIONE DI CREDITI E DEBITI
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Crediti:
La cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta è automatica, e si verifica per il solo fatto della
cessione dell’azienda, indipendentemente da un’espressa pattuizione delle parti sulla sorte di
quei crediti. La cessione ha effetto dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro
delle imprese.
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Debiti:
L’accollo, da parte dell’acquirente, dei debiti relativi all’azienda ceduta è previsto anch’esso
come conseguenza automatica della cessione, ma solo per i debiti che “risultano dai libri
contabili obbligatori”.
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L’AVVIAMENTO E IL DIVIETO DI CONCORRENZA
!
L’avviamento:
L’avviamento è, in linea generale, l’attitudine del complesso aziendale a produrre un reddito, la
sua capacità di profitto. E’ avviamento oggettivo quello intrinseco all’azienda: l’acquirente
lo consegue automaticamente, per il solo fatto di aver acquistato l’azienda. L’avviamento
soggettivo invece dipende dalle doti personali dell’imprenditore: dal rapporto di fiducia che
lega i consumatori a quel dato imprenditore, dalla conoscenza che questi ha delle loro
abitudini e dei loro gusti, dalla sua capacità, insomma, di attirare la clientela.
Questo avviamento l’acquirente non lo può conseguire per il solo fatto di aver acquistato il
complesso aziendale: occorre che l’alienante si astenga, per un certo periodo, dal fare
concorrenza all’azienda ceduta, come gli impone l’art. 2557: “Chi aliena l’azienda deve
attenersi, per il periodo di cinque anni, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto,
l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dall’azienda ceduta”. Nel caso di
usufrutto o di affitto dell’azienda, il divieto vale “per la durata dell’usufrutto o dell’affitto”.
!
A tutela dell’avviamento commerciale infine, per le attività che abbiano rapporti diretti
con il pubblico (e per le quali dunque assume grande importanza l’ubicazione) è prevista una
particolare tutela nel caso in cui il locatore decida di non rinnovare il contratto di affitto
all’imprenditore: a quest’ultimo dovrà essere corrisposta, per la perdita dell’avviamento che
l’azienda subisce, una somma pari a 18 mensilità del canone d’affitto; somma che raddoppia se
l’immobile viene nuovamente adibito all’esercizio della medesima attività. Questo compenso
non è dovuto se il contratto non viene rinnovato per volontà dell’imprenditore/locatario.
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IL TRASFERIMENTO DI AZIENDA AGRICOLA
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Le norme sul trasferimento dell’azienda sono dettate in termini generali, con riferimento ad
ogni sorta di imprese; tuttavia, occorre notare che la possibilità di applicare queste norme
risulta notevolmente ridotta in rapporto all’impresa agricola.
L’imprenditore agricolo, che non sia proprietario del fondo che coltiva, non può trasferire a
terzi il contratto di affitto, né dare in subaffitto o subconcessione il fondo. Gli atti di
disposizione dell’azienda agricola diventano ammissibili solo quando l’imprenditore sia anche
il proprietario del fondo.
Il diritto di proprietà conserva, nel settore dell’agricoltura, la propria tradizionale posizione
di preminenza: nel rapporto fra proprietà e impresa, in questo campo, prevale ancora la prima.
!
IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ D’IMPRESA
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Fra i diversi soggetti che intervengono nel processo produttivo, come si identifica
l’imprenditore? A prima vista si risponderebbe che l’imprenditore è colui che, nell’attività di
produzione o scambio, rischia la propria ricchezza; ma questo criterio non può essere
accettato, se non altro perché il più delle volte, in ambito giuridico, si domanda chi è
l’imprenditore proprio per stabilire chi debba sopportare il rischio di quella attività.
Il criterio utile per identificare l’imprenditore non può essere, dunque, l’incidenza del rischio
d’impresa, che è invece la conseguenza in vista della quale si procede alla sua identificazione.
Si potrebbe dire, ancora in termini economici, che l’imprenditore è colui che si procura i mezzi
di produzione, e dirige l’attività produttiva, appropriandosi dei suoi frutti.
In sede giuridica, tuttavia, si è soliti applicare un criterio differente, che è quello secondo il
quale è imprenditore il soggetto nel nome del quale l’impresa è esercitata.
!
L’IMPRENDITORE OCCULTO
!
Accade talvolta che un soggetto decida di interporre, fra sé e i terzi, un prestanome: a costui
egli eroga il denaro necessario per l’esercizio dell’impresa, gli impartisce direttive, si fa
consegnare gli utili dell’impresa. In questo caso ogni atto d’impresa è compiuto, in nome
proprio, dal prestanome; i terzi ignorano l’esistenza e l’identità dell’imprenditore occulto, per
essi l’imprenditore è colui che si presenta come tale ai loro occhi, cioè il prestanome.
!
La principale ragione per cui ci si astiene dall’esercitare l’impresa sotto il proprio nome è
l’intento di sottrarsi ai rischi che ne derivano: si sceglie allora come prestanome un
nullatenente e si trasferisce, così facendo, tutto il rischio sui creditori (in primo luogo fornitori
e dipendenti); infatti questi ultimi, in caso di insolvenza, chiederanno al tribunale la
dichiarazione di fallimento solo per venire a scoprire che il loro debitore è nullatenente. Il
fallito, appunto perché nullatenente, non ha niente da perdere, e a rimetterci saranno soltanto
i creditori.
Fra imprenditore occulto e prestanome c’è un rapporto di mandato, senza rappresentanza. Si
applica perciò l’art. 1705: “il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti e assume
gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, questi ultimi non hanno alcun rapporto col
mandante”. Solo il mandatario, cioè il prestanome, potrà essere considerato responsabile degli
atti d’impresa compiuti con i terzi, l’imprenditore occulto, invece, non potrà neppure essere
considerato un imprenditore, in senso giuridico; la vigenza dell’ art. 1705 comporta infatti che
sia considerato imprenditore, agli effetti giuridici, il soggetto nel nome del quale l’impresa è
esercitata.
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Socio occulto:

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In senso opposto opera l’art. 147 legge fall., secondo cui: “se dopo la dichiarazione di fallimento
della società viene scoperta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale
dichiara anche il loro fallimento”. Ecco una incongruenza: non fallisce l’imprenditore occulto,
fallisce invece il socio occulto.
!
Qualcuno (Bigiavi) ha ritenuto che l’art. 147 possa essere applicato, per analogia, anche
all’imprenditore occulto, attuando una sostituzione, in materia d’impresa, del principio
dell’art. 1705; in giurisprudenza però non ci si sente ancora di poter compiere il superamento
del principio codificato nell’art. 1705.
!
L’IMPRENDITORE INCAPACE DI AGIRE
!
Molti fra gli atti d’impresa presentano il carattere di atti giuridici e, in particolare, di contratti.
Se ne dovrebbe concludere che chi non ha la capacità di agire, come in particolare i minori,
non possa acquistare la qualità di imprenditore. In realtà opera il principio secondo il quale i
genitori “rappresentano i figli minori in tutti gli atti civili, e ne amministrano i beni”; diventa
perciò possibile che il minore acquisti la qualità di imprenditore, in virtù dell’attività d’impresa
svolta, con i suoi beni, dall’esercente la patria potestà.
!
L’impresa del minore:
Il tribunale può autorizzare i genitori a portare avanti, in nome del figlio, l’esercizio di
un’impresa commerciale; essi non possono però iniziare da zero, coi beni del figlio, l’esercizio
dell’impresa. L’applicazione di questa regola è dunque circoscritta all’ipotesi in cui il minore
abbia ricevuto, per successione ereditaria o per donazione, un’azienda commerciale.
L’impresa è esercitata dai genitori, che assumono la qualifica di capi d’impresa (essi inoltre,
godendo dell’usufrutto legale sui beni del figlio, ne faranno propri gli utili), tuttavia essi
agiscono in rappresentanza del figlio, al quale viene perciò giuridicamente imputato ogni atto
d’impresa. Sarà il figlio ad assumere la qualità di imprenditore e a subirne tutte le
conseguenze, fra cui le perdite: Nell’ipotesi estrema di insolvenza, ad esempio, il figlio sarà
dichiarato fallito.
Questa dichiarazione comporta conseguenze molto gravi anche sul piano personale: il fallito
viene iscritto all’ ”albo dei falliti” e soggiace a una serie di incapacità che durano per tutta la
sua vita. Evidentemente queste sanzioni sono state previste sul presupposto che l’imprenditore
fallito fosse, come di regola è, anche il capo dell’impresa; ma quando si verifichi una
dissociazione fra la qualità di imprenditore (spettante al figlio) e quella di capo dell’impresa
(che appartiene ai genitori), allora bisognerà applicare separatamente all’imprenditore gli
effetti patrimoniali del fallimento e al capo d’impresa gli effetti personali.
!
Una situazione pressoché analoga si verifica per il minore sottoposto a tutela. L’unica
differenza è che il tutore non ha usufrutto legale sui beni del minore, perciò non potrà
impossessarsi degli utili d’impresa, che apparterranno al minore stesso. Identica a
quest’ultima è la situazione dell’infermo di mente interdetto.
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!
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L’impresa dell’emancipato e dell’inabilitato:
Il minore emancipato può ottenere dal tribunale l’autorizzazione ad “esercitare un’impresa
commerciale”, anche ex novo. L’inabilitato invece può essere autorizzato solo a continuare
l’esercizio di un’impresa commerciale. Posta la domanda se, in seguito a questa autorizzazione,
l’inabilitato abbia ancora necessità dell’assistenza del curatore, si ritiene di rispondere che
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valga ancora, nell’ambito dell’impresa, la differenza fra atti di ordinaria e straordinaria
amministrazione, e che l’intervento del curatore sia richiesto per i secondi. Qualcuno ha
sostenuto che non si possa distinguere, nella gestione di un’impresa, fra i due tipi di atti, e che
perciò il curatore sia sempre necessario, o non lo sia mai. Quest’ultimissimo caso sarebbe in
netta disarmonia con l’evidenza che l’inabilitato è un infermo di mente, di cui si accerta
l’inidoneità ad amministrare il proprio patrimonio; figuriamoci allora se ad egli si possa
permettere di amministrare quello di un’azienda, con tutti i rischi e le responsabilità connesse.
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L’impresa dell’interdetto:
Anche per l’interdetto vale il principio che limita la possibilità di autorizzazione alla sola
continuazione dell’impresa. Tuttavia, a differenza dell’inabilitato, che viene autorizzato ad
esercitare l’impresa, l’interdetto resta titolare solo in teoria, ma è sostituito dal tutore
nell’esercizio dell’impresa.
!
L’impresa agricola:
Le norme fin qui esaminate fanno riferimento all’esercizio di “imprese commerciali”, il codice
civile tace, invece, riguardo alle imprese agricole. La conseguenza da trarre è che l’azienda
agricola sarà trattata alla stregua di ogni altro bene dell’incapace; l’esercizio dell’impresa sarà
considerato come una forma di amministrazione dei beni, in niente diversa
dall’amministrazione di ogni altro bene dell’incapace. È evidente la concezione dell’attività
agricola che ha ispirato il codice civile, vista più nell’ottica del diritto di proprietà che non in
quella dell’impresa.
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La piccola impresa:
Si discute se interdetti e inabilitati possano esercitare piccole imprese, assumendo la qualità di
artigiani o di piccoli commercianti. La piccola impresa, basata com’è sul lavoro personale del
titolare, non può tollerare una dissociazione fra titolarità ed esercizio dell’impresa. Il tutore del
piccolo imprenditore interdetto non potrà dunque essere autorizzato ad esercitare,
nell’interesse dell’interdetto, un’impresa artigiana.
Diverso è il caso dell’inabilitato, che può essere autorizzato a continuare la gestione personale
dell’impresa.
!
ALTRI CASI DI SOSTITUZIONE NELL’ESERCIZIO DELL’IMPRESA
!
Si verificano situazioni analoghe, ad esempio, nel caso di sequestro giudiziario di azienda, o in
caso di fallimento, con l’esercizio provvisorio dell’impresa da parte del curatore fallimentare.
Anche in questi casi l’impresa sarà esercitata dal custode, ma l’imprenditore sostituito
continuerà a risultare il titolare dell’attività d’impresa (con tutte le conseguenze). Quest’ultimo
farà suoi gli utili conseguiti dal custode, dovrà pagare i debiti assunti da quello, e sarà
dichiarato fallito anche qualora il dissesto sia attribuibile alla cattiva gestione del custode.
Diversa da tutti questi casi appare l’ipotesi dell’imprenditore che decida di preporre un
institore all’esercizio della sua impresa. Così facendo egli non si priva del potere di dirigere
l’impresa, anzi ne resta a capo, mentre l’institore è semplicemente un lavoratore subordinato.
!
Talvolta accade, quando l’imprenditore sia insolvente, che i suoi creditori gli promettano di
astenersi dal chiedere il suo fallimento a condizione che egli trasferisca loro la direzione
dell’impresa. In questo caso, similmente alle ipotesi considerate in precedenza, l’impresa
finisce per essere diretta da soggetti che non ne subiscono in prima persona il rischio, che
rimane sulle spalle dell’imprenditore sostituito. Può ritenersi valida una simile pattuizione? Le
norme sulla preposizione institoria prevedono che l’imprenditore conservi la direzione
dell’impresa e non possono, perciò, essere invocate in questo caso.
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Inoltre, nei casi in cui si attua, per legge, una dissociazione fra direzione e rischio d’impresa
intervengono specifiche disposizioni (il tutore agisce sotto il controllo del tribunale, il curatore
fallimentare sotto il controllo del giudice delegato ecc.); al contrario, nel caso qui considerato,
il soggetto al quale viene ceduta per contratto la direzione dell’impresa agisce, senza alcun
rischio personale, al di fuori di ogni controllo esterno.
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Un simile contratto dunque non potrà dirsi volto a realizzare “interessi meritevoli di tutela”, e
dovrà considerarsi nullo.
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INIZIO DELL’IMPRESA
!
Qual è il momento a partire dal quale l’attività d’impresa può dirsi esercitata? Unanimemente
si considera che, per acquistare la qualità di imprenditore, sia sufficiente il compimento anche
di un solo atto d’impresa, purché accompagnato da circostanze che non lascino dubbi sul fatto
che esso sia il primo di una serie di atti, idonei a formare un’attività “professionalmente”
esercitata.
!
Resta da stabilire cosa debba intendersi per “primo atto d’impresa”. Sarà tale l’atto di affittare
un locale o acquistare il mobilio per l’esercizio, ad esempio, di un negozio? Oppure sarà
considerato tale l’acquisto delle materie prime da porre in vendita? O ancora bisognerà
aspettare il primo atto di vendita al pubblico? Si ritiene che l’attività commerciale vera e
propria debba ritenersi incominciata con l’acquisto delle merci, cioè con “l’acquisto
accompagnato dalla volontà di rivendere, provata da circostanze obiettive quali la
predisposizione di una organizzazione per la vendita.” Altrettanto può dirsi per le attività
industriali, nel cui caso sarà sufficiente l’acquisto delle materie prime. L’esito delle successive
operazioni di lavorazione o vendita, che potrà essere positivo o negativo, rientra nell’alea di
quello che si definisce rischio d’impresa, e non è indicativo in questa sede.
!
Per quanto riguarda gli atti di organizzazione, prodromici rispetto all’inizio della vera e propria
attività d’impresa (es. allestimento dei locali del negozio), essi sono comunque importanti per
far acquistare la qualità di imprenditore. Come si è visto infatti il primo atto d’impresa deve
essere accompagnato dalla prova che sussista una reale volontà di intraprendere
professionalmente l’attività economica, e questa prova è data spesso proprio dalla presenza di
un’organizzazione, approntata preliminarmente a questo scopo.
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FINE DELL’IMPRESA
!
L’impresa può dirsi cessata solo quando sia avvenuta la disgregazione del complesso aziendale,
cioè quando sia terminata la fase della liquidazione. Quest’ultima sarà ancora da considerarsi,
perciò, come attività d’impresa.
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LO “STATUTO” DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE
!
L’ISCRIZIONE NEL REGISTRO DELLE IMPRESE
!
Le norme destinate all’imprenditore commerciale si trovano nel capo III del titolo II, e
costituiscono il c.d. “statuto dell’imprenditore commerciale”. Il c.c. prevede, per gli
imprenditori commerciali, un sistema di pubblicità legale da attuarsi mediante l’apposito
registro delle imprese. Ogni imprenditore che esercita un’attività commerciale deve chiedere la
propria iscrizione a questo registro entro 30 giorni dall’inizio dell’impresa, indicando

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cognome, nome, ditta, oggetto dell’impresa, sede; dovrà anche, successivamente, chiedere
l’iscrizione delle modificazioni relative a quegli elementi.
Il registro delle imprese è tenuto dalla camera di commercio, sotto la vigilanza di un giudice
delegato dal tribunale.
!
I soggetti tenuti all’iscrizione sono:
1. Gli imprenditori (anche piccoli o agricoli);
2. Le società;
3. I consorzi;
4. Gli enti pubblici che abbiano per oggetto principale l’esercizio di un’attività
commerciale;
5. Le società estere trovanti in Italia il proprio oggetto principale.
!
LA TENUTA DELLE SCRITTURE CONTABILI
!
Agli imprenditori commerciali è imposto di documentare in modo continuativo la propria
attività, mediante la tenuta di apposite scritture contabili. Questa documentazione costituisce
uno strumento di controllo sull’attività dell’imprenditore e, pur essendo tenuta principalmente
nell’interesse dei suoi creditori, è affidata allo stesso imprenditore al di fuori di ogni controllo
esterno.
Le uniche sanzioni previste per l’inadempimento sono destinate ad operare solo in caso di
dissesto (l’imprenditore fallito, che non abbia tenuto regolarmente le scritture contabili, o che
le abbia distrutte o falsificate per procurarsi un ingiusto profitto, sarà punito rispettivamente
per i reati di bancarotta semplice o bancarotta fraudolenta). Nel corso della ordinaria attività
d’impresa manca invece qualsiasi forma di controllo esterno.
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Le scritture contabili che l’imprenditore deve tenere sono:
!
· Il libro giornale: Esso deve indicare, giorno per giorno, tutte le operazioni relative
all’esercizio dell’impresa. Le registrazioni non riguardano ogni singola operazione, ma
possono riguardare globalmente le operazioni omogenee di un medesima giornata (es.
nei negozi ci si limita a registrare l’incasso delle vendite nella giornata).
· Il libro degli inventari: Deve essere redatto ogni anno e contenere l’indicazione delle
attività e passività relative all’impresa, oltre a quelle relative all’imprenditore (anche se
estranee all’impresa); quest’ultima necessità si pone perché l’imprenditore risponde
delle obbligazioni con tutto il suo patrimonio.
!
La documentazione contabile dell’impresa, così come il bilancio, non è soggetta ad alcuna
forma di pubblicità; un obbligo in tal senso vige solo per le società di capitali e per le società
cooperative.
I terzi acquistano un preciso diritto a conoscere i fatti interni all’impresa (e anche le sue
scritture contabili) solo nel corso di un giudizio, cioè solo quando le scritture contabili si
presentano quali mezzi di prova di una specifica pretesa o eccezione. La comunicazione
integrale delle scritture contabili può essere ordinata dal giudice solo in determinati casi, ossia
per controversie relative:
!
- Allo scioglimento della società;
- Alla comunione dei beni;
- Alla successione per causa di morte.
!
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In ogni altro caso il giudice può ordinare che vengano esibite le registrazioni concernenti la
controversia in corso.
!
Le scritture contabili possono fungere non solo come prove contro l’imprenditore, ma anche
come prove a suo favore: Ciò accade solo nelle controversie fra imprenditori, quando uno dei
due si veda opporre scritture contabili altrui; egli potrà controbattere sulla base delle proprie
scritture contabili. Le scritture non hanno invece alcuna efficacia probatoria in favore
dell’imprenditore, nei rapporti con i non imprenditori.
!
LA RAPPRESENTANZA DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE
!
Secondo i principi generali, per poter trattare in nome e per conto di qualcun altro occorre
essere muniti di una rappresentanza con procura; in questi casi può risultare difficoltoso, per il
terzo che tratti con l’altrui rappresentante, accertarsi che quest’ultimo sia effettivamente
dotato di procura (specie nei casi in cui questa non risulti da atto scritto o sia, addirittura,
tacita).
Tutto ciò costituisce una remora alla conclusione degli affari, perciò si comprende come i
principi generali sulla rappresentanza cedano il posto, nel campo delle imprese commerciali, a
speciali forma di rappresentanza regolate dal quinto libro. Determinati ausiliari
dell’imprenditore (institori, procuratori, commessi) sono investiti in quanto tali del potere di
rappresentanza, commisurato, quanto ad ampiezza, alle mansioni loro affidate.
!
Institore:
L’institore è descritto dall’art. 2203 come “colui che è preposto dal titolare all’esercizio di
un’impresa commerciale”. E’ quel dirigente che l’imprenditore colloca al vertice della gerarchia
dei suoi dipendenti; egli non riceve direttive che dall’imprenditore, e non risponde del proprio
operato se non nei confronti dell’imprenditore.
L’institore “può compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa cui è preposto” (art.
2204), esclusa solo l’alienazione dei beni immobili e la costituzione di ipoteche su di essi. Egli
infine può stare in giudizio in nome del preponente. L’imprenditore può comunque porre dei
limiti ai poteri di rappresentanza dell’institore, indicandoli nella procura. Gli institori preposti
ad una medesima impresa possono essere più d’uno; in tal caso essi agiscono disgiuntamente,
salvo che la procura disponga in modo diverso. L’institore deve “far conoscere al terzo che egli
tratta per il preponente”, altrimenti egli “è personalmente obbligato nei confronti del terzo”.
!
Procuratori:
I procuratori sono coloro che “abbiano il potere di compiere per l’imprenditore atti pertinenti
all’esercizio dell’impresa, pur non essendo preposti ad essa”. Ci si riferisce, in questo caso, al
potere di decidere il compimento di tali atti, e perciò a quei dirigenti che siano investiti di una
certa autonomia decisionale in determinati ambiti. La rappresentanza del procuratore è
proporzionata ai suoi poteri decisionali, sussiste dunque in relazione a quelle operazioni per le
quali egli dispone di autonomia decisionale.

Commessi:
I commessi sono quei dipendenti dell’imprenditore, privi di funzioni direttive, i quali sono
adibiti a mansioni che li pongono a stretto contatto con la clientela. Anche per essi i poteri di
rappresentanza sono commisurati alle mansioni.
!
!
I CONSORZI
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!
Nascono quando un’impresa economicamente unitaria opera frazionandosi, a livello giuridico,
in una pluralità di autonome “fasi”, ciascuna delle quali fa capo a un distinto soggetto di
diritto; alcune fasi restano di pertinenza delle singole imprese, altre invece vengono esercitate
collettivamente in forma consortile. Anche i gruppi di società sono organizzate in forma
consortile: la “fase” della direzione tecnico-finanziaria fa capo alla società holding, mentre le
varie fasi di produzione e scambio sono svolte dalle società operanti.
!
Prima della riforma attuata con la legge n. 377 del 1976, i consorzi erano, come i cartelli, una
pratica oligopolistica restrittiva della concorrenza; davano vita ad una organizzazione comune
cui era affidato il compito di coordinare, con deliberazioni economiche assunte a maggioranza,
l’attività economica dei singoli consorziati. In tempi più recenti il contratto di consorzio si è
rivelato invece uno strumento di collaborazione importante, specie per le imprese di piccole e
medie dimensioni, capace di rafforzare la loro posizione sul mercato (e perciò idoneo a
svolgere, all’opposto di come era in origine, una funzione antimonopolistica). Di qui il mutato
atteggiamento legislativo nei confronti di questo contratto: le originarie norme del c.c. ,
ispirate ad un atteggiamento restrittivo, sono state riformulate dalla legge n. 377 del 1976, e
sostituite con norme di favore.
!
CONSORZI PER L’ASSUNZIONE DI APPALTI E FORNITURE
!
In questo tipo di consorzi lo scopo consortile consiste nella “assunzione, da privati o enti
pubblici, di lavori, opere o forniture da affidare, per la relativa esecuzione, alle imprese
aderenti. Il consorzio svolge dunque, per le imprese consorziate, un servizio commerciale
consistente nell’assunzione dei contratti di appalto, oltre che servizi di assistenza tecnica,
economica, finanziaria.
Il consorzio potrebbe agire in nome, oltre che per conto, delle imprese delle imprese
aderenti, ponendo così queste in diretto rapporto contrattuale con gli appaltanti; di solito però
si preferisce fare in modo che sia il consorzio ad assumere l’appalto in nome proprio, per poi
“assegnarlo” internamente ad una delle imprese consorziate (il consorzio dunque stipula in
nome proprio, ma per conto delle imprese aderenti). Questa metodologia operativa è volta
anche ad offrire ai terzi la più estesa garanzia costituita dal nome e dal patrimonio dell’intero
consorzio.
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LA RESPONSABILITA’ ESTERNA DEI CONSORZIATI
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Secondo l’art. 2615 “per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio, per conto dei singoli
consorziati, rispondono questi ultimi solidalmente col fondo consortile”. La norma deroga al
principio generale relativo al mandato senza rappresentanza: il consorziato infatti sarà
personalmente responsabile nei confronti del terzo, quantunque gli organi consortili non
abbiano contrattato in suo nome, bensì in nome del consorzio. Rilievo decisivo è attribuito al
fatto che le obbligazioni siano state assunte nell’interesse dell’impresa aderente; non basta
dunque la semplice appartenenza al consorzio, occorre identificare l’impresa nell’interesse
della quale il consorzio ha contrattato. La responsabilità è limitata al fondo consortile solo per
le “obbligazioni schiettamente consortili”, cioè quelle assunte per assicurare l’esistenza del
consorzio (spese per impianti, uffici, personale ecc.).
!
CONSORZI NON OMOGENEI
!
Esistono formazioni consortili, emblematiche a questo proposito, che hanno per oggetto lo
smaltimento dei rifiuti industriali; peculiarità di queste formazioni è a volte la disomogeneità,
!19
quanto all’oggetto, delle imprese consorziate: alcune di esse sono solo produttrici di propri
rifiuti industriali, altre invece provvedono allo smaltimento di rifiuti industriali altrui. Per le
prime dunque, lo smaltimento dei rifiuti è solo una fase accessoria, per le seconde invece
costituisce l’oggetto principale.
Prima della riforma questa disomogeneità appariva in contrasto con la stessa nozione di
consorzio (che si riferiva a “contratti fra più imprenditori, esercenti una medesima attività
economica o attività economiche connesse”), oggi però può dirsi che “tutti gli accordi di
cooperazione interaziendale rientrano nella nozione dell’art. 2602”, anche quelli che si
instaurano fra imprese operanti in settori diversi e non connessi fra loro.
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IL CONSORZIO COME IMPRENDITORE COMMERCIALE
!
Si è discusso se riconoscere o meno ai consorzi la qualità di imprenditori (il che li renderebbe
soggetti al fallimento), considerato che essi svolgono soltanto una o più “fasi” di un’attività
imprenditoriale. Si è risposto affermativamente, adducendo che laddove un’impresa si fraziona
in più fasi, svolte da soggetti giuridicamente distinti, la qualità di imprenditore è assunta da
ciascuno di questi non in ragione della singola “fase” esercitata, ma dell’impresa di cui quella
fase costituisce elemento.
Si è talvolta negata ai consorzi per l’assunzione di appalti la qualità di imprenditore,
adducendo che essi non assumono il rischio d’impresa, poiché lo trasferiscono sulle imprese
consorziate. In questo modo però si dimentica che il consorzio ha contrattato per conto
dell’aderente, ma pur sempre in nome proprio (il che lo rende responsabile, salva rivalsa
interna sull’impresa consorziata, nei confronti dell’appaltante); l’insolvenza dell’impresa
consorziata dunque può esporre a rischio anche il consorzio stesso.
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LA JOINT VENTURE
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La joint venture, o “associazione temporanea d’imprese”, prefigura un “collegamento
temporaneo di più imprese in funzione del compimento di un’opera, nell’esecuzione della
quale ciascuna conserva la propria individualità”. Lo strumento utilizzato consiste nel
conferimento, da parte delle imprese “associate”, di un mandato con rappresentanza ad una
impresa capogruppo incaricata di formulare l’offerta; tale mandato non determina
organizzazione o associazione fra le imprese riunite, ognuna delle quali conserva la propria
autonomia.
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IL CONCETTO DI SOCIETA’
!
Le norme sulle società sono poste all’interno del libro V c.c. Nel titolo V si indicano gli elementi
che debbono necessariamente essere presenti nei vari tipi di società, e si configura la chiusura
del sistema: “Le società commerciali devono costituirsi secondo uno dei tipi previsti dal c.c. ”.
Le parti dunque non possono dar vita a tipi di società diversi da quelli espressamente previsti
(inammissibilità di società atipiche, in deroga ai principi generali sull’autonomia contrattuale).
E’ ammissibile l’inserimento di clausole atipiche, purché non snaturino gli elementi
essenziali del tipo prescelto. In quel caso la clausola sarà nulla, e la nullità potrà estendersi a
tutto il contratto di società.
La società si costituisce, per l’appunto, tramite un contratto, avente un contenuto specifico
determinato dall’art. 2247: Con questo contratto due o più persone 1. conferiscono beni o
servizi 2. per l’esercizio in comune di un’attività economica 3. allo scopo di dividerne gli utili.

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L’elemento dell’”esercizio di un’attività economica” è anche uno degli elementi proprio della
nozione di imprenditore, il contratto di società si presenta dunque come il vincolo che unisce
più persone le quali esercitano, collettivamente, un’attività d’impresa.
I conferimenti sono le prestazioni alle quali le parti si obbligano, e non paiono dissimili da
ogni altra prestazione contrattuale; mentre però nei contratti di scambio la prestazione di una
parte realizza subito ed in modo definitivo l’interesse dell’altra parte, in questo caso le
prestazioni (cioè i conferimenti) sono solo preordinate allo svolgimento di quella attività
d’impresa che dovrebbe avere come risultato la soddisfazione dell’ interesse delle parti, e cioè
la divisione degli utili. I conferimenti di servizi sono un’obbligazione di fare: il socio si impegna
a prestare la propria opera lavorativa, quelli di beni sono obbligazioni di dare: nel termine
“beni” rientrano denaro, beni mobili o immobili e, in senso lato, qualsiasi entità
economicamente valutabile che sia utilizzabile per lo svolgimento dell’attività sociale. Chi
conferisce dei beni in società opera una modificazione della loro condizione giuridica. Infatti
non potrà più disporne individualmente secondo le normali regole sulla proprietà (art. 832),
ma solo collettivamente, secondo le regole espressamente previste per ogni tipo di società.
L’insieme dei beni conferiti costituisce il “patrimonio sociale”. La società ha come scopo
l’esercizio in comune di un’attività economica; “in comune” significa che più persone si
assumono (dal lato passivo) il rischio d’impresa, dal lato attivo però tutte concorrono al potere
di direzione dell’impresa stessa.
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LE SOCIETA’ OCCASIONALI
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Requisito dell’imprenditore è che la sua attività economica sia esercitata professionalmente,
cioè in modo abituale e sistematico, per viverci. L’art. 2247 invece ammette che siano società
anche quelle aventi carattere occasionale (e quindi, in base a quanto detto, non definibili come
imprese). Esse saranno dunque sottoposte alle norme sulle società ma non a quelle
sull’impresa, in particolare non saranno soggette a fallimento in caso di insolvenza.
!
Non è invece una società, neppure occasionale, l’accordo fra più persone per compiere un
singolo atto economico (come acquistare insieme una certa quantità di azioni). E’ necessario
infatti, per qualificarsi come società, che venga svolta un’attività vera e propria.
Anche un solo affare può implicare lo svolgimento di un’attività vera, e dar così vita a una
società; o addirittura ad un’impresa, se questo affare richiede lo svolgimento di un’attività
prolungata nel tempo che si può dire dunque sia “professionalmente” esercitata (ad es.
costruzione di un mega-ponte).
Sul tema delle società occasionali, a dispetto di quanto detto finora, la dottrina prevalente
sostiene che ogni società sia effettivamente titolare di un’impresa. Il requisito della
professionalità si ravvisa nel fatto che l’attività della società, anche se destinata a non protrarsi
nel tempo, costituisce pur sempre la sua persistente ragione di vita. Dietro questa
interpretazione c’è la volontà di assoggettare anche le società occasionali alle norme
sull’impresa e in particolare al fallimento.
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LE SOCIETA’ IMMOBILIARI DI COMODO
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Una comunione costituita al solo scopo del godimento di una o più cose non può essere
qualificata come società (art. 2248).
La norma si propone, fra l’altro, di sventare un abuso molto diffuso, consistente nel creare
una società di comodo e conferire in essa dei beni per sottrarli ai creditori (fra cui il fisco),
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approfittando della condizione giuridica di patrimonio autonomo propria dei beni conferiti in
una società. Naturalmente quei beni non sono esposti ad alcun rischio, non svolgendo la
società alcuna attività economica. Questo trucco funziona particolarmente bene nel caso si
conferiscano beni immobili, dichiarando nel contratto che la società intende esercitare
un’attività di compravendite immobiliari. Questo contratto indiretto (indiretto perché realizza
uno scopo diverso da quello dichiarato) sarà da considerarsi nullo, in quanto costituisce il
mezzo per eludere una norma imperativa.
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E’ stato posto il problema, per la verità più tecnico-giuridico che pratico, se le società di
comodo siano o meno soggette al fallimento. Si tratta di stabilire se siano sottoposte alle
procedure concorsuali in ragione del loro oggetto dichiarato o in ragione dell’attività
effettivamente esercitata. E’ più condivisibile il secondo orientamento.
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LE SOCIETA’ FRA PROFESSIONISTI INTELLETTUALI
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· Professioni protette:
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Ci sono professioni l’esercizio delle quali è subordinato all’iscrizione in appositi albi. In questo
caso il carattere della prestazione professionale è rigorosamente personale (ovviamente se io
mi rivolgo, per essere assistito, ad un grande specialista, pretendo la prestazione proprio da lui
e da nessun altro), l’art. 2232 c.c. impone espressamente al professionista di “eseguire
personalmente l’incarico assunto”. Come si vede ciò rende inammissibile una società fra
professionisti.
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E’ invece lecito costituire una “associazione professionale”. Il vincolo di associazione può
riguardare la comunione dei mezzi (locazione in comune di un medesimo locale, assunzione in
comune dei medesimi impiegati…) ma può anche riguardare la collaborazione vera e propria
fra gli associati nell’esercizio della professione e la successiva divisione dei guadagni (più
avvocati studiano in collaborazione le cause che ciascuno riceve e dividono i compensi).
Questa forma di vincolo associativo è valutata dalla legge come compatibile con il carattere
personale della prestazione intellettuale. Il cliente infatti continua ad avere come controparte il
solo professionista al quale ha affidato il lavoro, pur sapendo che egli potrà avvalersi,
nell’espletamento dell’incarico, dei suoi colleghi associati.
Nella pratica si ha comunque un unico rapporto fra cliente e professionisti associati, i quali si
presentano e operano come un’unica parte contrattuale. Si può dire perciò che i clienti sono
clienti dello studio più che del singolo, e che la facoltà di sostituzione reciproca tra i
professionisti associati rende ormai superato il principio della personalità della prestazione.
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· Professioni non protette:
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Esistono altre professioni intellettuali l’esercizio delle quali non è “protetto”. Per esercitarle
non occorre essere iscritti a nessun albo e per esse non valgono principi come quello
dell’esecuzione personale dell’opera. I professionisti di questa categoria (consulenti,
pubblicitari ecc.) non devono, necessariamente, regolare il loro rapporto con il cliente secondo
lo schema del contratto d’opera intellettuale, ma possono adottare altri schemi contrattuali,
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anche implicanti la spersonalizzazione della prestazione, come nel caso in cui si uniscano in
società.
Conferendo la propria opera in società questi soggetti cessano di essere “professionisti
intellettuali” nel senso del codice civile, e la loro prestazione d’opera diventa un semplice
conferimento di servizi in società, uguale a ogni altro conferimento di servizi. L’attività esterna
della società non si distacca dall’attività di qualsiasi altra società.
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· Società fra capitalisti:
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Esistono anche società fra capitalisti per l’esecuzione di (altrui) prestazioni intellettuali. Qui gli
intellettuali non sono i soci, bensì i dipendenti della società. Società di questo tipo sono
ammissibili solamente quando offrono servizi che non corrispondono a quelli delle professioni
“protette” (come quella legale o medica).
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LUCRO OGGETTIVO E SOGGETTIVO
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Si osserva che il requisito dello scopo di lucro, richiesto per le società dall’art. 2247 (“allo scopo
di dividerne gli utili”) non è un invece richiesto per la qualificazione di un’attività d’impresa, la
quale può anche essere esercitata con scopi di natura ideale, o comunque non economica.
Perché si possa parlare di società deve pertanto ravvisarsi l’obiettivo del perseguimento di un
fine lucrativo (lucro oggettivo), e la divisione degli utili fra i soci (lucro soggettivo). Non
saremo dunque in presenza di una società neanche se parliamo di un’impresa che ha sì scopo
di lucro oggettivo, ma che non re-distribuisce gli utili, impiegandoli invece per lo svolgimento
di un’ulteriore attività, che magari realizza lo scopo ideale del gruppo.
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SOCIETA’ E ASSOCIAZIONE
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Il Codice Civile non postula in termini positivi il concetto di associazione, semplicemente c’è
fra più persone un rapporto di associazione se mancano, nel contratto, gli estremi perché si
abbia una società. Dal momento che l’art. 2247 propone due elementi di identificazione della
società: - L’esercizio di un’attività economica e – Lo scopo della divisione degli utili, si hanno
due possibili soluzioni:
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1. L’elemento che qualifica e distingue la società è l’esercizio stesso di un’attività
economica.
Oppure
2. L’elemento che qualifica la società è l’avere come scopo esclusivo la
divisione degli utili.
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Nel primo caso il campo d’azione delle associazioni viene relegato all’ambito non economico,
perciò è società qualunque entità si dedichi ad un’attività economica (anche se con obiettivi di
natura ideale).
Nella seconda ipotesi invece si ammette che le associazioni svolgano un’attività economica
purché non abbiano come fine la divisione degli utili, mentre si qualifica come società solo
quella che abbia come fine la divisione degli utili.
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Riteniamo più accettabile questa ultima soluzione, non si vede infatti su quali basi si vorrebbe
ignorare la seconda parte dell’art. 2247 che prevede come elemento chiave per qualificare una
società proprio lo scopo della divisione degli utili.
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L’INTERESSE SOCIALE
!
Definire la causa del contratto di società significa identificare lo scopo comune cui sono
preordinate le prestazioni eseguite dalle parti. In base all’art. 2247 i conferimenti hanno la
duplice finalità dello svolgimento di un’attività economica e della divisione degli utili. Da
un’ulteriore analisi emerge un triplice ordine di interessi sociali:
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· Che la ricchezza conferita sia trasformata in un’efficiente organizzazione
imprenditoriale (interesse sociale preliminare).
· Che siano realizzati degli utili, i più consistenti possibile (interesse sociale
intermedio).
· Che questi utili vengano distribuiti fra i soci nella misura più alta possibile.
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Mentre nelle società di persone ogni socio ha un vero e proprio diritto alla divisione annuale
degli utili, nelle società per azioni è l’assemblea che decide, a maggioranza, se e in quale misura
distribuire l’utile ai soci. L’amministrazione potrebbe decidere di non distribuirlo, ad esempio
per poter reinvestire sul potenziamento l’azienda.
Ciò non significa che lo scopo di divisione dei profitti dell’art. 2247 perda vigore nel caso
delle s.p.a. e in effetti non è lecito inserire clausole che vietino la distribuzione degli utili.
Tuttavia in determinate condizioni possono acquistare preminente importanza altri aspetti
dell’interesse sociale, ed è noto che molte s.p.a. rinunciano anche per lunghi periodi ad una
politica di massimizzazione dell’utile per perseguire altri obiettivi (consolidare la popolarità
della società, fronteggiare la concorrenza, conquistare nuovi mercati ecc.)

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L’ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE
!
Questo tipo di contratto va tenuto distinto dal contratto di società. Anzi, a dispetto del nome,
non è neppure un contratto associativo bensì un contratto di scambio: con esso un
imprenditore (associante) riceve da un altro soggetto (associato) un determinato apporto e
gli attribuisce in cambio la facoltà di partecipare agli utili di uno o più affari.
L’apporto dell’associato consiste solitamente in una somma di denaro, che egli si vedrà
restituita, assieme alla percentuale di utili pattuita, alla conclusione del contratto. L’associato è
dunque un finanziatore esterno dell’impresa, è un investitore che espone il proprio apporto al
rischio dell’impresa: se l’affare risulta in perdita, infatti, egli vi concorre nella stessa
percentuale in cui partecipa agli utili, fermo restando che le perdite dell’associato non possono
superare il valore del suo apporto.
Oltre che in una somma di denaro, l’apporto può consistere anche nel godimento di un bene
o in una prestazione lavorativa (nel qual caso il rischio per l’associato è di lavorare senza
retribuzione).
Nei casi in cui l’associato assolva, a titolo di apporto, a compiti di gestione dell’impresa,
diventa complicato distinguere l’associato in partecipazione dal socio vero e proprio. Per
riuscirci si dovrà accertare se l’associato gestore abbia, rispetto all’impresa, una posizione
corrispondente a quella di un dipendente oppure ne valichi i limiti.
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SOCIETA’ E COMUNIONE
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Come abbiamo visto la differenza fra queste due tipologie sta nella modalità di utilizzo dei
beni. Nella comunione lo scopo è il semplice godimento dei beni, nella società è l’esercizio di
un’attività economica. Me se più persone ereditano o acquistano dei beni in comunione e poi,
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senza che sia intervenuto un esplicito contratto di società, intraprendono l’esercizio di
un’impresa, si può parlare di società?
Secondo alcuni si, perché nel momento in cui i comproprietari destinano i beni all’esercizio
di un’attività economica essi li conferiscono a tutti gli effetti in società, anche in assenza di un
contratto esplicito. E’ valido infatti anche un contratto tacito, ossia desumibile dal
comportamento delle parti.
Secondo altri invece il conferimento dei beni in società non può che essere l’effetto di una
esplicita dichiarazione di volontà delle parti. Non basta che più persone utilizzino i beni
comuni per l’esercizio di una impresa, occorre che essi abbiano esplicitamente inteso
modificare la condizione giuridica di quei beni conferendoli in società.
Questa visione, che ammette dunque la comunione d’impresa nel caso di utilizzo dei beni
comuni per un’attività economica in assenza di un contratto di società, muove dal principio che
nessuno può subire modificazioni all’interno della sua sfera giuridica contro la propria volontà.
Tuttavia nel momento stesso in cui il soggetto decide di destinare i beni ad un’attività
economica egli esclude automaticamente, a norma dell’art. 2248, l’applicazione delle regole
sulla comunione ( che dev’ essere “di solo godimento”) e richiama l’applicazione di quelle sulle
società. Il mutamento della condizione giuridica dei beni dunque avviene anche se non voluto
delle parti, per il solo fatto di averli destinati ad un’attività economica. La c.d. comunione
d’impresa è, a tutti gli effetti, una società di fatto.
!
L’unica eccezione si ha se due coniugi (che non siano in regime di separazione dei beni)
esercitano di fatto un’impresa in comune. Questa attività si qualifica come “azienda
coniugale” e sottostà alle norme sulla comunione legale fra coniugi, non a quelle sulle
società. La figura della comunione d’impresa è in questo caso ammessa.
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SOCIETA’ DI PERSONE E SOCIETA’ DI CAPITALI
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Queste due tipologie hanno caratteristiche speculari. La società si persone si distingue per:
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1. La responsabilità illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali. Il socio
risponde all’adempimento delle obbligazioni sociali, solidalmente con gli altri soci,
“con tutti i suoi beni presenti e futuri”.
2. Il potere di amministrazione inerisce direttamente alla qualità di socio. Ciascun
socio è anche, per il solo fatto di essere socio, amministratore della società.
!
Dunque nella società di persone il socio è a tutti gli effetti un imprenditore, sia dal lato
attivo (amministra l’impresa) che da quello passivo (sopporta il rischio d’impresa). Il
socio è assoggettato alle conseguenze giuridiche derivanti dall’assunzione della qualifica
di imprenditore (ad es. in caso di insolvenza).
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3. La qualità di socio non è trasferibile senza il consenso degli altri soci. Per vendere, o
anche lasciare in eredità, la propria quota è necessario che gli altri soci siano
d’accordo.
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Per quanto riguarda le società di capitali invece:
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1. La responsabilità dei soci è limitata. Essi rischiano soltanto il denaro o i beni che
hanno conferito.

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2. Il socio non è, in quanto tale, amministratore. La qualità di socio gli conferisce solo
il potere di concorrere alla scelta degli amministratori.
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Nelle società di capitali perciò la qualità di imprenditore è spersonalizzata e ripartita fra
assemblea dei soci e consiglio di amministrazione. Tuttavia, di fatto, i soci di
maggioranza nominano sé stessi o propri fiduciari come amministratori con il risultato
di assommare in sé tutte le prerogative del “capo d’impresa”. La peculiarità che va a
loro vantaggio è che essi godono pur sempre del beneficio della responsabilità limitata,
perciò hanno un potere attivo di amministrazione pari a quello di un imprenditore vero
e proprio, a cui però corrisponde un lato passivo (il rischio d’impresa) limitato ai loro
conferimenti.
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3. La qualità di socio è trasferibile liberamente.
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LA PERSONALITA’ GIURIDICA DELLE SOCIETA’
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Si parla poi di un’altra distinzione, coestensiva a quella fra società di persone e società di
capitali: Le prime sono considerate prive di personalità giuridica, risolvendosi semplicemente
nella pluralità dei soci. Le seconde sono ritenute provviste di personalità giuridica, esse
costituiscono un soggetto distinto dalle persone dei soci, e sono perciò entità “terze” rispetto a
questi.
Sennonché anche le società di persone mostrano sotto molti aspetti una certo grado di
“distinzione” rispetto ai loro stessi soci. Ad esempio dal punto di vista processuale è la società
che “sta in giudizio”, e non le persone dei singoli soci. Anche il patrimonio sociale, se fosse una
semplice comunione di diritti reali, sarebbe attaccabile dai creditori del singolo socio, cosa che
è invece espressamente vietata. Anche le società considerate prive di personalità giuridica
mostrano dunque un notevole grado di “alterità” rispetto ai propri soci (In altri ordinamenti,
ad esempio in Francia, tutte le società acquistano la personalità giuridica all’atto stesso
dell’iscrizione al registro di commercio).
Alcuni autori hanno sostenuto, in difesa della concezione che vede le società di persone
sprovviste della personalità giuridica, che esse sono dotate di semplice autonomia
patrimoniale, ma non di una vera e propria personalità giuridica, la quale compete solo alle
società di capitali.
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Altri ammettono che le società di persone siano soggetti di diritto, ma ritengono opportuno
stabilire una differenza di ordine quantitativo, definendole soggetti di diritto “di secondo
grado”, dotati quindi di una “semi-personalità”. La Cassazione ha accettato questa teoria
statuendo che “tutte le società, anche quelle non dotate (secondo le legge) di personalità
giuridica, sono in effetti dei soggetti di diritto. A questi soggetti è riferibile la proprietà del
patrimonio che non è una mera comunione tra i soci, ma giuridicamente appartiene alla
società come soggetto”.
Si è obiettato che la soggettività o ce l’hai o non ce l’hai, non è cioè suscettibile di una
valutazione quantitativa. Essendo però la soggettività delle persone giuridiche niente più che
un traslato di quella delle persone fisiche, operare una valutazione quantitativa può avere
senso perché significa, in effetti, alludere al maggiore o minore grado di somiglianza delle
situazioni giuridiche della società con quelle delle persone fisiche.
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SOCIETA’ CIVILI E SOCIETA’ COMMERCIALI
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Sono “commerciali” tutti i tipi di società (sia di persone che di capitali) fatta eccezione per la
sola società semplice la quale è destinata, esclusivamente, all’esercizio di attività non
commerciali e si definisce perciò “società civile”.
Se le parti non hanno optato per uno specifico tipo di società, il loro rapporto sarà regolato
dalle norme sulla società semplice. Anche se abbiano optato per una delle forme di società
commerciale bisogna considerare l’attività economica svolta. Se questa ha natura non
commerciale, la società si qualifica comunque come società civile (in forma commerciale) e
tanto vale ad escludere sia la soggezione al fallimento che l’applicazione delle norme sulla
rappresentanza commerciale.
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LE SOCIETA’ ARTIGIANE
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L’art. 1 legge fall. esclude dal fallimento i piccoli imprenditori, ma aggiunge che “in nessun caso
sono considerati piccoli imprenditori le società commerciali”. In poche parole si sta dicendo
che il concetto di piccolo imprenditore, e la conseguente esclusione dal fallimento, è destinato
ad operare solo nel campo delle imprese individuali. Secondo la legge artigianale viceversa
anche una società commerciale, che sia però un’impresa artigiana, non è soggetta al
fallimento.
Una società è considerata artigiana se la maggioranza dei soci partecipa personalmente al
lavoro e, nell’impresa, il lavoro abbia funzione preminente sul capitale. Per stabilire quando
ricorra questa caratteristica bisogna osservare il bilancio confrontando:
!
1. Il valore delle immobilizzazioni tecniche, in cui rientrano macchinari, impianti,
attrezzature.. è escluso il valore degli immobili entro cui si svolge il lavoro.
2. Il costo complessivo sostenuto dall’impresa per tutti i posti di lavoro, compreso il
lavoro dei soci.
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Si potrà parlare di impresa artigiana solo se il valore di cui sub 1 risulta inferiore al valore sub
2.
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SOCIETA’ DI CAPITALI SOCIE DI SOCIETA’ DI PERSONE
L’ipotesi normale presupposta dal codice è che nelle società di persone i soci siano persone
fisiche. Tuttavia si tratta di stabilire, poiché non è espressamente escluso, se la qualità di socio
possa essere assunta anche da persone giuridiche.
Spesso la partecipazione di una società di capitali ad una società di persone è solo un mezzo
per eludere la responsabilità illimitata: Se ci si voglia servire delle forme più agili e meno
onerose delle società di persone, assicurandosi però il beneficio della responsabilità limitata
proprio delle società di capitali, si fondano due o più società di capitali e poi si costituisce, fra
queste, una società di persone.
Le nuove norme dispongono che una partecipazione in società di persone da parte di una
società di capitali non può essere assunta semplicemente dagli amministratori, una decisione
in tal senso dovrà essere deliberata dall’assemblea dei soci e bisognerà darne informazione in
modo esplicito nella nota integrativa al bilancio.
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LA SOCIETA’ SEMPLICE
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E’ negativamente qualificata come “semplice” quella società che non presenta alcun elemento
di identificazione ulteriore rispetto a quelli previsti per la società in genere dall’art. 2247.
Una società è regolata dalle norme sulla società semplice quando le parti non abbiano
adottato una specifica forma societaria o quando, pur avendolo fatto, l’attività economica della
società si presenta come non commerciale.
!
Il contratto di società semplice non deve per forza nascere in una certa forma, può liberamente
formarsi anche oralmente, o addirittura tacitamente, in seguito al comportamento concludente
delle parti. Proprio in quest’ultimo caso si parla di società di fatto. Da questa va tenuta
distinta la società occulta, in cui il contratto è di solito stipulato per iscritto ma viene tenuto
segreto. Ancora diversa è la società apparente, che ricorre quando più persone, non
vincolate fra loro da alcun contratto di società, si comportano in modo tale da ingenerare nei
terzi l’idea che siano soci, per indurli a fare affidamento sull’esistenza della società.
!
CONFERIMENTI
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Nelle società di persone “si presume che i soci siano tenuti a conferire in parti uguali quanto è
necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale”. Bisogna capire se ci si riferisce a quanto
appare necessario nel momento del contratto, oppure se i soci siano tenuti a effettuare, ogni
qualvolta se ne ravvisi la necessità, gli esborsi necessari per la gestione della società. E’ da
preferire quest’ultimo orientamento. Può accadere infatti che non sia necessario alcun iniziale
conferimento di beni all’avvio della società, tuttavia nel contratto i soci conferiscono la propria
responsabilità illimitata.
!
Un conferimento di beni può essere poi in proprietà o in godimento. Nel primo caso la
società acquista sul bene conferito un vero e proprio diritto di proprietà, nel secondo caso
proprietario resta il socio mentre la società acquista un mero diritto di godimento, regolato
dalle norme sulla locazione. Ovviamente conferire in godimento rappresenta un rischio
minimo per il socio, poiché alla peggio avrà perso la rendita del bene per la durata della
società, ma nulla di più. Per distinguere fra queste due modalità, il conferimento dovrà
ritenersi in proprietà solo se per il conseguimento dell’oggetto sociale appaia necessario che
quel bene sia parte del patrimonio sociale.
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Può accadere che alcuni soci effettuino un conferimento in capitale mentre altri in opera
lavorativa. In epoca pre-capitalistica i beni conferiti diventavano a tutti gli effetti patrimonio
comune, perciò allo scioglimento della società il socio d’opera entrava ingiustamente in
possesso di una parte di beni conferiti dal socio i capitale. Oggi si precisa che il socio capitalista
ha diritto all’integrale rimborso del suo conferimento, mentre solo gli eventuali utili sono divisi
anche col socio d’opera.
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MODIFICAZIONI DEL CONTRATTO SOCIALE
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A norma dell’art. 2252: “il contratto sociale può essere modificato soltanto con il consenso di
tutti i soci, se non è convenuto diversamente”. Il requisito richiesto è dunque l’unanimità,
tuttavia l’articolo precisa, come si vede, che è possibile disporre diversamente, e in particolare
si potrà convenire che il contratto possa essere modificato a maggioranza (al contrario, nelle
società di capitali il contratto è sempre modificabile a maggioranza).
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USO PERSONALE DEI BENI SOCIALI
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“Il socio non può servirsi, senza il consenso degli altri soci, delle cose appartenenti al
patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società” (art. 2256). La norma stupisce più
che altro perché in ultima analisi ammette un uso personale dei beni sociali, pur con il
consenso degli altri soci. Ciò si giustifica considerando la struttura proto-capitalistica delle
società di persone, in rapporto alle società di capitali sarebbe una norma inconcepibile.
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INVALIDITA’ DEL CONTRATTO SOCIALE
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Il contratto di società è nullo o annullabile negli stessi casi in cui lo è un normale contratto, più
problematico è individuare le conseguenze che ne derivano. Per quanto riguarda le società di
capitali si ritiene pacificamente che le cause di nullità del contratto siano altrettante cause di
scioglimento della società. Per le società di persone invece è più sensato dare adito alla tesi
opposta: il contratto di società nullo non produce particolari effetti, tranne di mettere in capo a
ognuno dei soci il diritto di ritirare i suoi conferimenti.
L’opinione tradizionale poi era nel senso di vietare l’azione di simulazione nel contratto di
società. Recentemente tuttavia si è deciso che la simulazione di una società è ammissibile, e le
esigenze di protezione dei terzi sono soddisfatte semplicemente dai comuni principi validi per
ogni contratto.
Discorso a parte merita il caso in cui la nullità non colpisca l’intero contratto, bensì il vincolo
relativo ad uno solo dei soci. La nullità che colpisce il vincolo di una sola parte non importa
nullità del contratto, salvo che la partecipazione di essa debba considerarsi essenziale.
!
!
L’AMMINISTRAZIONE DELLA SOCIETA’
!
L’esecuzione del contratto sociale si concreta nell’attività di amministrazione, diretta a
realizzare l’interesse per il quale il contratto sociale è stato concluso.
Nelle società di persone, in cui ogni socio è (in quanto tale) anche amministratore, il potere
di amministrazione spetta disgiuntamente a ciascun socio, il che significa che egli può
intraprendere qualsiasi operazione rientri nell’oggetto della società senza bisogno
dell’approvazione degli altri soci. Ad essi è tuttavia possibile opporsi, arrestando così
l’iniziativa del singolo e sottoponendola al giudizio di tutto il gruppo, che a maggioranza
deciderà sull’opposizione. Ovviamente se esiste un socio le cui quote siano maggioritarie egli
potrà, con la sua opposizione, impedire agli altri soci il compimento di determinate azioni
sociali, e viceversa non avrà da temere l’opposizione di nessuno contro sue iniziative. Questo
sistema di amministrazione disgiuntiva può essere derogato, si può infatti pattuire una
forma di amministrazione congiuntiva: in questo caso i singoli soci non possono compiere
da soli nessun atto, salvo che vi sia urgenza di evitare un danno alla società, e le decisioni sulle
operazioni sociali sono prese all’unanimità (ma si può anche decidere che sia sufficiente il
consenso della maggioranza).
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In deroga al principio secondo cui tutti i soci sono anche amministratori, l’atto costitutivo
può riservare il potere di amministrazione soltanto a uno o più soci determinati. In questo caso
ci si domanda quale rapporto intercorra fra i soci amministratori e gli altri: Alcuni
concepiscono questo rapporto come un mandato, ma in realtà il socio amministratore non può
essere considerato un mandatario poiché quest’ultimo agisce secondo le istruzioni del
mandante, mentre gli amministratori esercitano con piena autonomia le loro funzioni. I soci
hanno il potere di nominarli e revocarli e hanno un certo controllo sul loro operato, ma non
possono impartire loro istruzioni su atti di gestione. Essi intervengono in modo attivo solo
!29
quando, in regime di amministrazione disgiuntiva, un socio-amministratore si sia opposto
all’iniziativa di un altro socio-amministratore sottoponendo così la questione al giudizio di
tutto il gruppo.
Ci si chiede poi se sia possibile attribuire compiti di amministrazione anche a non soci. Per
chi considera l’amministratore come un mandatario questa via è senz’altro praticabile, ma in
realtà così facendo si trasferirebbe il potere di direzione d’impresa e la stessa qualifica di “capo
d’impresa” ad un estraneo. E il legislatore in effetti ha ritenuto “non opportuno affidare
l’amministrazione a chi non ha responsabilità personale” considerando che di solito “chi più ha
da perdere compie un’amministrazione più attenta e oculata”; il potere economico infatti deve
trovare necessario contrappeso nel rischio economico. Il non socio al quale sia affidata la
gestione dell’impresa sociale, anche se qualificato dalle parti stesse come amministratore, non
sarà tale in senso tecnico: altro non sarà se non un mandatario, privo comunque del potere di
direzione dell’impresa.
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Per quanto riguarda la nomina e revoca degli amministratori si ritiene che la regola sia
quella dell’unanimità dei consensi, salvo che per contratto non si sia adottato il principio di
maggioranza. Si distingue il caso in cui la facoltà di amministrare sia stata conferita nel
contratto sociale da quello in cui il conferimento sia avvenuto con atto separato. In questo caso
sia per la nomina che per la revoca degli amministratori è necessario il consenso unanime dei
soci (nel caso della revoca si esclude, ovviamente, il consenso del socio-amministratore
interessato). Per revocare amministratori nominati per contratto è necessario ugualmente il
consenso unanime dei soci, ma lo si può fare solo in presenza di una giusta causa. E’ giusta
causa ogni evento, anche non imputabile all’amministratore, che renda impossibile
l’assolvimento dei compiti d’amministrazione; la revoca per giusta causa può anche essere
chiesta giudizialmente da ciascun socio: se non tutti i soci sono d’accordo nel riconoscere la
giusta causa e deliberare la revoca, ciascuno di essi può chiedere che lo faccia il giudice.
IL RENDICONTO
!
Pensando alla loro responsabilità illimitata si capisce perché ai soci non amministratori
spettano ampi poteri di controllo sull’operato dell’amministrazione. In particolare essi hanno il
diritto di “avere dagli amministratori notizia dello svolgimento degli affari sociali, di consultare
i documenti relativi all’amministrazione e di ottenere un rendiconto al termine di ogni anno”.
Col termine “rendiconto” si vuole in realtà alludere a un vero e proprio bilancio, che offra un
quadro completo della situazione patrimoniale della società. Anzi, per essere più precisi si
tratterà di un progetto di bilancio, da sottoporsi all’approvazione dei soci. Si capisce che
l’approvazione dovrà avvenire all’unanimità; a maggioranza infatti un amministratore che
fosse in possesso della maggioranza delle quote frustrerebbe il diritto dei soci non
amministratori all’approvazione del rendiconto.
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FORMAZIONE DELLE DELIBERAZIONI
!
Nelle società di persone non è previsto il metodo assembleare per la formazione delle
decisioni. Anzi, è perfino possibile non mettere al corrente tutti i soci, essendo sufficiente
ottenere il consenso di quanti bastano a formare la maggioranza.
Anche se la legge prevede come “default” un sistema di amministrazione disgiuntiva, si può
prevedere con una clausola l’adozione del metodo assembleare, per tutte o solo per
determinate deliberazioni. Molti autori sono dell’avviso che la discussione dei problemi
all’interno di un’assemblea offra notevoli vantaggi, conducendo a deliberazioni più sagge e
consentendo di tutelare anche i diritti delle minoranze.
!
LA RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI
!30
!
Si è detto del potere di controllo che i soci non amministratori hanno sull’operato
dell’amministrazione. Questo potere prevede, oltre alla revoca dall’incarico, una vera e propria
azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, attuabile se ricorre un
inadempimento degli obblighi imposti loro dalla legge o dal contratto, collegato ad un danno
subito dalla società in conseguenza di quel inadempimento.
La responsabilità investe solidalmente tutti gli amministratori, poiché ciascuno di essi ha il
dovere di vigilare sull’operato degli altri, tuttavia se il singolo amministratore dimostra che il
fatto si è verificato nonostante egli avesse diligentemente vigilato, e dimostra quindi di essere
“esente da colpa”, egli è liberato da ogni responsabilità.
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LA RIPARTIZIONE DI GUADAGNI E PERDITE
!
Nelle società di persone ciascun socio ha un vero e proprio diritto alla divisione degli utili,
all’opposto nelle società di capitali è l’assemblea che decide se e in che misura distribuirli.
Nelle società di persone è concesso non distribuire gli utili (conservandoli ad esempio per
necessità di autofinanziamento) solo col consenso di tutti i soci, oppure della maggioranza se
previsto da una clausola del contratto. La ripartizione dei guadagni e delle perdite si presume
proporzionale ai conferimenti, tuttavia le parti sono libere di stabilire diversamente,
incontrando il solo limite del divieto di patto leonino: “E’ nullo il patto con il quale uno o più
soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”. Si discute se la nullità del
patto leonino debba estendersi all’intero contratto di società; è preferibile però negare questa
ipotesi e procedere semplicemente all’automatica sostituzione del patto nullo coi criteri fissati
dalla legge.
La parte spettante al socio d’opera è determinata dal giudice secondo equità. Il divieto di
patto leonino vale anche in questo caso, il giudice non potrà quindi escludere del tutto la
partecipazione del socio.
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LA RAPPRESENTANZA DELLA SOCIETA’
!
La società “acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che hanno la
rappresentanza”. Essa si definisce come il potere di agire in nome e per conto della società e
non richiede alcun espresso conferimento, spettando a ciascun socio amministratore. Essa vale
anche a livello processuale: la società “sta in giudizio” nella persona di coloro che ne hanno la
rappresentanza (cioè tutti i soci amministratori). Se il contratto ha instaurato un sistema di
amministrazione congiuntivo, anche la rappresentanza deve essere esercitata con le stesse
modalità, cioè con la partecipazione di tutti i soci.
Il contratto sociale può dissociare il potere di rappresentanza da quello di amministrazione,
assegnando il primo solo ad uno, o ad alcuni, dei soci amministratori; può inoltre stabilire che,
pur in regime di amministrazione disgiuntiva, il potere di rappresentanza debba essere
esercitato congiuntamente. Le “diverse disposizioni” in materia di rappresentanza presenti nel
contratto non vanno obbligatoriamente portate a conoscenza dei terzi con mezzi particolari,
viceversa le successive modificazioni o estinzioni di poteri di rappresentanza vanno rese note
con mezzi idonei.
Possono agire come rappresentanti anche soggetti esterni alla società, come mandatari ad
hoc per singoli affari o dipendenti muniti del potere di rappresentanza. Se normalmente il
potere di rappresentanza si estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, in questo
caso esisteranno delle limitazioni in virtù del fatto che ai soggetti esterni non spetta il potere di
direzione d’impresa, proprio dei soci amministratori.
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LE OBBLIGAZIONI SOCIALI
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Come sappiamo nelle società di persone i creditori possono rifarsi sul patrimonio sociale ma
anche illimitatamente e solidalmente su tutti i soci. Quella dei soci è una responsabilità diretta:
il creditore può agire direttamente nei loro confronti senza doversi prima rivolgere alla società
e senza dover dimostrare l’insufficienza del patrimonio sociale. Il socio può tuttavia chiedere la
preventiva escussione del patrimonio sociale, indicando i beni sui quali il creditore possa
agevolmente soddisfarsi, cioè beni di pronta e facile convertibilità in denaro.
!
La responsabilità illimitata e solidale incombe su tutti coloro che sono soci al momento della
richiesta del pagamento (anche se non lo erano ancora quando l’obbligazione sorse), o che
erano soci al momento del sorgere dell’obbligazione (anche se non lo sono più quando viene
richiesto il pagamento).
!
Sono obbligazioni sociali ovviamente quelle sorte da contratto, ma anche quelle originate da
fatto illecito o da qualsiasi altro atto o fatto idoneo a produrle. E’ ammesso il patto sociale di
limitazione della responsabilità o di esclusione dalla solidarietà, ma questo patto deve essere
messo a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. In ogni caso il patto non vale per i soci che
hanno agito in nome e per conto della società.
!
IL CREDITORE PARTICOLARE DEL SOCIO
!
Il creditore particolare del socio non può agire sul patrimonio sociale, può però:
!
- Far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al suo debitore.
- Compiere atti conservativi (fra cui il sequestro conservativo) sulla quota
spettante al suo debitore.
- Chiedere la liquidazione della sua quota, se i beni del debitore sono
insufficienti a soddisfare i suoi crediti (non se siano semplicemente beni
inidonei ad una “agevole soddisfazione”, devono proprio essere insufficienti).
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Secondo l’art. 2271 non è permesso compensare un debito che un terzo ha verso la società
con un credito che egli vanti nei confronti di un socio. Se così fosse si produrrebbe l’effetto di
far pagare alla società il debito del socio. L’ipotesi inversa, cioè che un debito del terzo nei
confronti del socio possa essere compensato da un credito che egli vanti verso la società, è
ammissibile quando si tratti di un socio a responsabilità illimitata.
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SCIOGLIMENTO DEL RAPPORTO SOCIALE
(DI UN SOLO SOCIO)
!
Morte del socio:
“In caso di morte di uno dei soci gli altri devono liquidare la sua quota agli eredi”, cioè versare
loro una somma corrispondente al valore della quota. I soci superstiti possono decidere in
alternativa di sciogliere la società oppure di continuarla con gli eredi se questi acconsentono.
(art. 2284)
E’ fatta salva la contraria disposizione del contratto sociale, nel quale si possono inserire
specifiche clausole di continuazione della società con gli eredi:
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1. Clausola di continuazione facoltativa: Gli eredi conservano la facoltà, se i soci
superstiti desiderano continuare la società con loro, di decidere se aderire o no al
contratto sociale.

!32
2. Clausola di continuazione obbligatoria: Il contratto sociale impone ai soci e
anche agli eredi l’obbligo di continuare la società.
3. Clausola di successione: Simile alla precedente, in questo caso addirittura
l’accettazione dell’eredità comporta l’immediata assunzione della qualità di socio.
!
E’ molto dubbio se le clausole 2 e 3 debbano ritenersi lecite. L’erede infatti, diventando socio
anche in mancanza di una espressa dichiarazione di volontà in tal senso, sarà comunque
chiamato a rispondere senza limiti delle obbligazioni sociali sorte prima del suo arrivo.
!
Recesso:
Il socio può recedere dalla società solo quando questa sia contratta a tempo indeterminato. Se
la società è contratta a tempo determinato il socio potrà recedere solo per giusta causa o
quando ricorra un caso previsto dal contratto sociale come causa di recesso (tutto questo a
tutela della libertà di iniziativa economica e in deroga al principio generale secondo cui un
contratto non può essere sciolto se non per mutuo consenso).
Il recesso per giusta causa si esercita tramite domanda giudiziale: la sussistenza di una giusta
causa dovrà essere accertata dal giudice. Il recesso da una società a tempo indeterminato è
invece subordinato al solo onere del preavviso di almeno 3 mesi. Qualora si vogliano
accorciare i tempi si può sempre addurre una giusta causa e procedere al recesso per via
giudiziale, anche nel caso di società a tempo indeterminato.
Esclusione:
L’estromissione di un socio per volontà degli altri e subordinata alla ricorrenza di determinate
cause:
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1. Gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale.
Qui viene in considerazione anche l’obbligo di collaborazione spettante ai soci.
Non è infatti sufficiente che essi conferiscano i beni, devono anche agire con spirito di
collaborazione per consentire l’esercizio dell’attività sociale, quantomeno evitando
comportamenti che la ostacolino, pregiudicando gli scopi della società.
2. L’interdizione o inabilitazione del socio.
3. La sopravvenuta inidoneità del socio a svolgere l’opera conferita, o il perimento della
cosa conferita in godimento, o conferita in proprietà ma non ancora acquistata dalla
società.
!
L’esclusione è deliberata dalla maggioranza (calcolata escludendo il socio interessato),
basandosi però sui capi e non sulle quote. La deliberazione produce effetto decorsi 30 giorni
dal momento in cui viene comunicata all’interessato. Egli può, entro i 30 giorni, opporsi
davanti al tribunale, che può sospendere l’esecuzione.
Si parla di esclusione di diritto in caso di dichiarazione di fallimento del socio e in caso di
liquidazione della quota del socio al suo creditore particolare (vedi pagina precedente). In
questi casi lo scioglimento del rapporto sociale si determina in modo automatico senza
necessità di una deliberazione degli altri soci.
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Liquidazione della quota:
In tutti i casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi (o i suoi eredi
in caso di morte) hanno diritto “ad una somma di denaro che rappresenti il valore della loro
quota” determinata in base alla “situazione patrimoniale della società al giorno in cui si verifica
lo scioglimento del rapporto”. Il socio uscente non ha perciò diritto alla restituzione materiale
dei beni conferiti. La quota dev’essere liquidata entro 6 mesi dal giorno dello scioglimento.
!
SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA’
!33
!
Il verificarsi di una causa di scioglimento non determina semplicemente la cessazione del
rapporto contrattuale; dà luogo invece ad un’ulteriore fase di esecuzione del contratto, diretta
alla liquidazione del patrimonio sociale, solo al termine della quale la società potrà dirsi
estinta. Sono cause di scioglimento:
!
1. Il decorso del termine, sempre che i soci non abbiano deliberato una proroga. Questa
può essere espressa oppure tacita, risultante cioè dal comportamento concludente dei
soci. Quest’ultima è per sua natura indeterminata, nella proroga espressa invece può
essere indicato un nuovo termine di durata della società.
!
2. Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo.
!
3. La volontà di tutti i soci: sarà sufficiente la volontà della maggioranza quando il
contratto sociale abbia introdotto il principio maggioritario per le sue modificazioni.
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4. Il venire a mancare della pluralità dei soci, se entro 6 mesi questa non è ricostituita:
Se entro questo termine il socio superstite trova un nuovo socio, la causa di
scioglimento non opera. Ci si chiede: Il penultimo socio (o i suoi eredi in caso di morte),
uscendo dalla società, avrà diritto alla semplice liquidazione della sua quota o potrà
invocare lo scioglimento della società chiedendo di partecipare alla ripartizione
dell’attivo sociale? Questa seconda soluzione è più vantaggiosa per il socio perché gli
consente di riacquistare fisicamente la sua parte di patrimonio sociale, e non
semplicemente una somma di denaro che ne rappresenti il valore.
!
5. Altre cause previste dal contatto sociale: ad esempio la clausola secondo la quale la
società si scioglie per morte del singolo socio.
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La Liquidazione:
Quando si verifica una causa di scioglimento il vincolo contrattuale fra i soci non si estingue
immediatamente; esso permane ma avrà come oggetto, anziché l’esercizio dell’attività
economica, la liquidazione del patrimonio sociale (che rimane in questa fase ancora autonomo
rispetto a quello dei soci). Gli amministratori conservano il potere di amministrare fino a che
non sia avviato il processo di liquidazione, ma limitatamente agli affari urgenti e solo in vista
della conservazione del patrimonio sociale.
Se il contratto non indica modalità determinate di liquidazione si applica il procedimento
previsto dal Codice Civile, il quale prevede che i soci nominino all’unanimità (se non sono
d’accordo provvederà il giudice) dei liquidatori, che possono essere soci o anche gli stessi
amministratori. Essi dovranno redigere l’inventario della società, dal quale risulti il quadro
completo delle attività e passività del patrimonio sociale. I liquidatori prendono in pratica il
posto degli amministratori, i loro poteri sono ovviamente limitati agli atti necessari per la
liquidazione ed essi rispondono nei confronti della società: i soci possono revocarli
all’unanimità e ciascun socio può chiederne la revoca per una giusta causa. Gli amministratori
decadono anche da ogni potere di rappresentanza; essa, anche in giudizio, spetterà ancora una
volta ai liquidatori.

Quando tutti i creditori sociali saranno soddisfatti la società potrà finalmente dirsi estinta. In
quel momento verrà meno l’autonomia del patrimonio sociale e i soci potranno ripartire i beni
rimanenti secondo le norme sulle divisione delle cose comuni. Potranno altresì decidere di
restare comproprietari dei beni superstiti.
!34
!
!
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!
!
LA SOCIETA’ IN NOME COLLETTIVO
!
Per aversi società in nome collettivo è sufficiente che siano presenti i requisiti di base del
contratto di società richiesti dall’art. 2247, con l’ulteriore elemento dato dallo svolgimento di
un’attività economica di natura commerciale. Anche in questo tipo di società i soci rispondono
solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali, ma con una differenza rispetto alla
società semplice: il patto di limitazione della responsabilità o di esclusione dalla solidarietà
non ha, in questo caso, effetti nei confronti dei terzi, pur essendo valido nei rapporti interni fra
i soci. Il socio che goda di questo beneficio potrà essere chiamato dai creditori sociali a
rispondere delle obbligazioni illimitatamente col proprio patrimonio, ma avrà poi azione di
regresso per l’intero nei confronti degli altri soci.
La società in nome collettivo, essendo una società commerciale, sottostà all’obbligo di
pubblicità legale tramite iscrizione nel registro delle imprese; il mancato adempimento di
quest’obbligo non influisce sulla validità del contratto sociale e sull’esistenza della società, si
parlerà in questo caso di società in nome collettivo “irregolare”.
SOCIETA’ IRREGOLARE
!
Società regolare e irregolare sono sottoposte a una medesima disciplina per ciò che attiene ai
rapporti interni, ma a una disciplina differenziata per quanto riguarda i rapporti fra la società e
i terzi. Nella società irregolare questo campo è regolato dalle norme relative alla società
semplice, fatta eccezione per:
!
- La norma che ammette il patto di limitazione della responsabilità o di
esclusione della solidarietà con effetti verso terzi (vedi sopra).
- La disposizione secondo cui i patti di limitazione della rappresentanza sono
opponibili a terzi anche se questi non ne erano a conoscenza. Nella società in
nome collettivo le limitazioni della rappresentanza sono inopponibili ai terzi
in buona fede. Sono opponibili solo ai terzi che ne erano a conoscenza.
!
Le società in nome collettivo irregolari sono molto diffuse. Il contratto di società irregolare può
essere, e spesso è, stipulato per iscritto, solo che non viene depositato presso l’ufficio del
registro delle imprese.
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SOCIETA’ REGOLARE
!
La opposta condizione di società in nome collettivo regolare offre un triplice ordine di
vantaggi:
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1. E’ esclusa la possibilità, per il creditore particolare del socio, di chiedere la liquidazione
della sua quota. C’è quindi, rispetto alla società semplice (e a quella irregolare) una più
intensa autonomia patrimoniale.
2. La responsabilità illimitata e solidale dei soci non è diretta, ma sussidiaria. I creditori
della società non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo
l’escussione del patrimonio sociale. Nella società semplice (e irregolare) il socio aveva
una responsabilità diretta e poteva salvaguardare il suo patrimonio personale solo
!35
indicando i beni del patrimonio sociale sui quali il creditore avrebbe potuto
agevolmente soddisfarsi. In questo caso invece è il creditore che deve dimostrare
l’insufficienza del patrimonio sociale (inversione dell’onere della prova) per potersi
rifare sul singolo socio.
3. Si è detto che nella società in nome collettivo le limitazioni della rappresentanza sono
opponibili solo ai terzi che ne erano a conoscenza, e non ai terzi in buona fede. Ma
mentre sulla società irregolare incombe l’onere di portare queste limitazioni a
conoscenza dei terzi, per le società regolari l’iscrizione nel registro delle imprese basta a
provare che le limitazioni erano conoscibili dai terzi.
!
L’atto costitutivo:
L’atto costitutivo di società regolare dev’essere redatto in forma di scrittura privata autenticata
o di atto pubblico. Questo requisito è necessario per l’iscrizione al registro delle imprese, è
quindi indispensabile per le società che aspirano ad essere regolari. L’atto costitutivo deve
contenere:
!
1. Le generalità dei soci
2. La ragione sociale, che è il nome della società e consta di almeno due elementi: il nome
di almeno un socio la qualifica di società in nome collettivo, anche espressa dalla
dicitura “e C.”; la società può conservare nella ragione sociale il nome di un socio
defunto o receduto,nel caso in cui questo nome funga da collettore di clientela.
La società ha diritto all’uso esclusivo della propria ragione sociale, e può impedire che
altri adottino successivamente una ragione sociale uguale o simile che possa generare
confusione.

3. I soci che hanno l’amministrazione e la rappresentanza, nel caso siano riservate a uno o
più soci soltanto.
4. La sede della società ed eventuali sedi secondarie. La determinazione della sede è
importante per stabilire in quale ufficio territoriale provvedere all’iscrizione al registro
delle imprese e ai fini della determinazione del foro competente. Per sede della società
deve intendersi quella in cui si svolge l’amministrazione. Eventuali sedi secondarie
sono quelle filiali o succursali in cui esista una rappresentanza stabile della società.
L’istituzione di una sede secondaria comporta la conseguenza che un estratto dell’atto
costitutivo deve essere depositato anche presso l’ufficio del registro delle imprese del
luogo in cui si trova la sede secondaria.
5. L’oggetto sociale, ossia il tipo di attività economica che le parti si propongono di
esercitare.
6. I conferimenti di ciascun socio e il valore ad essi attribuito.
7. Le prestazioni a cui sono obbligati i soci d’opera, sempre che ve ne siano.
8. Le regole per la ripartizione degli utili e la quota di ciascun socio negli utili e nelle
perdite.
9. La durata della società.
!
Da quest’ultimo punto della norma si desume che la fissazione di un termine di durata sia
indispensabile per la regolarità della società. D’altra parte l’art. 2307 contraddice questa
deduzione prevedendo che la società possa essere tacitamente prorogata a tempo
indeterminato.
I poteri dell’ufficio del registro delle imprese sono limitati alla verifica della regolarità formale
e della completezza dell’atto costitutivo.
!
Il capitale sociale:
!36
Il capitale sociale è il valore in denaro dei conferimenti eseguiti, quale risulta dalla valutazione
contenuta nell’atto costitutivo. E’ una nozione diversa da quella di patrimonio sociale, il quale
è formato dai beni e dai rapporti giuridici attivi (come i crediti) facenti capo alla società.
Inizialmente questa due entità coincidono ma poi nel corso della società il capitale sociale
rimane inalterato, mentre il patrimonio sociale varia di giorno in giorno.
Gli artt. 2303 e 2306 tendono ad assicurare che il patrimonio sociale sia sempre superiore al
capitale sociale, poiché di quest’ultimo i creditori hanno conoscenza attraverso il registro delle
imprese. E’ vietata la ripartizione di somme tra i soci se non per utili realmente conseguiti; per
attuare una ripartizione a titolo di rimborso dei conferimenti bisogna operare una riduzione
del capitale sociale, tramite una modificazione dell’atto costitutivo. La deliberazione di
riduzione del capitale può essere eseguita soltanto dopo tre mesi dal giorno dell’iscrizione al
registro delle imprese.
Se il patrimonio sociale scende al di sotto del capitale sociale non si può procedere a
ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato. In alternativa si può operare una
riduzione del capitale sociale (modificando dunque l’atto costitutivo) corrispondente alla
perdita.
!
IL DIVIETO DI CONCORRENZA DEL SOCIO
!
In applicazione del dovere di collaborazione, è posto al socio il divieto di esercitare un’attività
che sia concorrente con quella della società, per evitare che egli si avvalga delle conoscenze e
notizie acquisite all’interno della società per trarne un profitto personale come concorrente. Il
divieto non è inderogabile: gli altri soci possono consentirgli di esercitare l’attività concorrente.
La violazione del divieto comporta un duplice conseguenza: Il socio può essere condannato a
risarcire il danno, e può inoltre essere escluso dalla società.
Inoltre è previsto che chi aliena l’azienda deve astenersi per un periodo di cinque anni
dall’iniziare una nuova impresa che per oggetto, ubicazione o altre circostanze sia idonea a
sviare la clientela dell’azienda ceduta. La Cassazione si è ripetutamente pronunciata in senso
contrario a questo assunto.
!
SCIOGLIMENTO ED ESTINZIONE DELLA SOCIETA’
!
Lo scioglimento della società in nome collettivo è regolato dalle norme sulla società semplice,
integrate da alcune disposizioni. Si aggiunge ad esempio fra le cause di scioglimento il
“provvedimento dell’autorità governativa nei casi stabiliti dalla legge” (liquidazione coatta
amministrativa) e la dichiarazione di fallimento della società.
In caso di proroga della società il creditore particolare del socio (poiché nelle società regolari
non può chiedere la liquidazione della quota del socio suo debitore) può fare opposizione alla
proroga della società entro 3 mesi dalla deliberazione di proroga; il giudice accoglie la richiesta
se la proroga della società rechi effettivamente pregiudizio al creditore particolare.
!
Liquidazione:
La liquidazione della società in nome collettivo è regolata dalle norme sulla società semplice,
integrate dalla norma che prevede l’iscrizione nel registro delle imprese della nomina dei
liquidatori. Conclusa la loro opera essi devono redigere un rendiconto del loro operato e un
piano di riparto, che si intendono approvati se non sono impugnati entro due mesi dalla
comunicazione. L’approvazione determina un duplice effetto: i liquidatori devono chiedere la
cancellazione della società dal registro delle imprese e allo stesso tempo sono liberati nei
confronti dei soci.
In seguito alla cancellazione dal registro delle imprese i beni sociali non costituiranno più un
patrimonio autonomo, ma saranno oggetto di semplice comunione fra i soci, col risultato che i
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creditori sociali verranno a trovarsi sullo stesso piano dei creditori particolari dei soci stessi. A
livello giurisprudenziale si è affermato l’orientamento secondo cui ai creditori sociali è
riconosciuto il diritto di agire nei confronti della società (nella persona dei liquidatori) anche in
questa fase, ai liquidatori spetta l’obbligo di ricostruire il patrimonio sociale distribuito ai soci
per permettere ai creditori sociali di soddisfarsi con precedenza rispetto ai creditori particolari
dei soci.
!
FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ E DEI SINGOLI SOCI
!
Nelle società di persone la qualifica di imprenditore (e quindi la possibilità di fallire) spetta sia
alla società, ossia al gruppo dei soci, sia a ciascuno di essi singolarmente preso. In particolare
la sentenza che dichiara il fallimento della società con soci a responsabilità illimitata produce
automaticamente il fallimento dei singoli soci. I creditori particolari dei soci potranno rivalersi
sul patrimonio personale di ognuno di essi, i creditori della società invece sia sul patrimonio
sociale sia su quello personale dei soci illimitatamente responsabili.
Fallimento del socio cessato:
“L’imprenditore che abbia cessato l’esercizio dell’impresa può essere dichiarato fallito entro un
anno dalla cessazione dell’attività.” (art. 10 legge fall.) Questa norma è senz’altro applicabile
anche alle società, ponendo come momento di cessazione dell’attività quello in cui il bilancio
finale di liquidazione viene approvato. La stessa norma si può applicare inoltre al socio cessato,
sicché egli potrà essere dichiarato fallito entro un anno dalla sua cessazione.
!
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LA SOCIETA’ IN ACCOMANDITA SEMPLICE
!
Questo tipo di società si distingue per la presenza, accanto ad uno o più soci (accomandatari)
aventi gli stessi diritti ed obblighi dei soci in nome collettivo, di uno o più soci accomandanti,
la posizione dei quali ha determinate caratteristiche. Essi:
!
1. Non partecipano all’amministrazione della società
2. Godono del beneficio della responsabilità limitata
3. Quanto al conferimento, devono per forza essere soci di capitale
!
I soci accomandanti rispondono per le obbligazioni sociali limitatamente alla quota conferita.
In caso di fallimento della società l’unica cosa che il giudice può ingiungere loro è di eseguire i
versamenti ancora dovuti, anche se il termine stabilito per il pagamento non fosse ancora
scaduto. Per ciò che riguarda le sopravvenienze passive i creditori sociali non soddisfatti dalla
liquidazione della società potranno far valere i loro crediti nei confronti dei soci accomandanti
limitatamente alla loro quota.
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LA RAGIONE SOCIALE DELLA S.A.S.
!
La ragione sociale dev’essere costituita dal nome di almeno un socio accomandatario, seguito
dall’indicazione di società in accomandita semplice.
L’accomandante il quale acconsente che il suo nome compaia nella ragione sociale, risponde
di fronte ai terzi per le obbligazioni sociali, illimitatamente e solidalmente coi soci
accomandatari (il consenso a che il suo nome comparisse è desumibile anche dalla sua
tolleranza). Generalmente si ritiene che questa norma sia posta principalmente a tutela
dell’affidamento dei terzi, in realtà osserviamo che essa opera anche se i terzi sapevano di

!38
avere a che fare con un socio accomandante, e addirittura vale per le obbligazioni sorte da fatto
illecito, per le quali il problema dell’affidamento del terzo non si pone nemmeno. Ciò che la
norma si propone dunque è di reprimere l’abuso con cui il socio assume una posizione
corrispondente a quella di un socio in nome collettivo, pur usufruendo del beneficio della
responsabilità limitata, datogli dal contratto nel momento in cui lo indica come socio
accomandante. Allo stesso scopo è prevista una norma che rende illimitatamente responsabile
l’accomandante che compia anche un solo atto di amministrazione.
L’accomandante che decade dal beneficio della responsabilità limitata non si trasforma per
questo in accomandatario, formalmente rimane un accomandante. Tuttavia il principio di
diritto comune che svincola il giudice, nell’ interpretazione del contratto, dal nomen iuris
deciso dalle parti, gli consente di trattare come socio accomandatario un sedicente
accomandante, o come società in nome collettivo una apparente società in accomandita
semplice.
!
ACCOMANDANTI E AMMINISTRAZIONE DELLA SOCIETA’
!
In fatto di amministrazione tutto ciò che l’atto costitutivo può concedere ai soci accomandanti
è la facoltà di “dare autorizzazione e pareri per determinate operazioni e compiere atti di
ispezione e sorveglianza”. Ove il contratto permetta ai soci accomandanti una partecipazione
all’amministrazione eccedente i limiti fissati, il nomen iuris di “accomandante” farà fede fino a
un certo punto, dato il principio che svincola il giudice, nell’interpretare il contratto, dalle
indicazioni e denominazioni date dalle parti.
!
Ingerenza dell’accomandante:
Agli accomandanti è vietato di ingerirsi nell’amministrazione della società, pena la perdita del
beneficio di responsabilità limitata. Il divieto si pone innanzitutto a tutela dell’interesse dei
soci a che l’impresa sia amministrata da chi, esposto a un rischio illimitato, offra la garanzia di
un’amministrazione responsabile.
Gli accomandanti possono agire in nome della società solo in forza di una procura speciale
per singoli affari, non gli può venir concessa una procura generale. Ciò si pone a tutela dei
terzi, i quali potrebbero l’accomandante dotato di procura generale per accomandatario, e fare
affidamento sulla sua personale responsabilità.
Le limitazioni per i soci accomandanti tutelano infine l’interesse generale ad un responsabile
esercizio dell’attività economica: “se il freno di una corrispondente responsabilità non rendesse
oculati coloro che si accingono al commercio, si vedrebbero ogni giorno le più azzardate
imprese porre a rischio l’intero sistema economico”.
!
Il divieto di ingerirsi nell’amministrazione si estende fino al limite delle modificazioni del
vincolo contrattuale: Se si va a toccare quello la posizione dei soci accomandanti cessa di
essere discriminante, essi vengono in considerazione come parti del rapporto contrattuale di
società e partecipano alle deliberazioni su un piede di parità.

Come abbiamo visto l’accomandante che compia anche un solo atto di amministrazione
decade dal beneficio della responsabilità limitata, ma trova invariata la sua posizione
contrattuale, che rimane quella di socio accomandante. Se tuttavia la sua ingerenza
nell’amministrazione dell’impresa si manifesti con carattere e intensità tali da apparire come
un vero e proprio dominio della società, allora si porrà anche un problema di qualificazione del
rapporto contrattuale, e il sedicente accomandante potrà essere qualificato dal giudice come
accomandatario.
!
!39
L’accomandante può operare sotto la direzione degli amministratori, la sua qualità non è
incompatibile con quella di lavoratore subordinato. Egli può inoltre agire in forza di una
procura speciale per singoli affari, nel qual caso gli atti da lui compiuti impegnano la società,
gli accomandatari e lo stesso accomandante (nel caso abbia agito tramite una procura non
speciale ma generale, perdendo così il beneficio della responsabilità limitata).
Se l’accomandante ha agito senza procura l’atto da lui compiuto sarà da considerarsi nullo e
la società non ne sarà vincolata, eventualmente ne risponderà l’accomandante a titolo di
risarcimento del danno. Con questa mossa però (come in tutti gli altri casi in cui egli “tratti”
affari della società, anche senza che si producano effetti vincolanti per quest’ultima)
l’accomandante si è ingerito a tutti gli effetti nell’amministrazione, assumendosi responsabilità
illimitata per tutte le obbligazioni sociali.
!
!
Controllo degli accomandanti:
Gli accomandanti non partecipano all’approvazione del bilancio, tuttavia hanno diritto che
questo gli sia comunicato annualmente e possono controllarne l’esattezza, esaminando libri
contabili e documenti della società. Essi possono impugnare il bilancio per falsità o violazione
di norme di legge o disposizioni contrattuali.
!
Nomina e revoca degli amministratori:
Per la nomina e la revoca degli amministratori con atto separato è necessario “il consenso di
tutti gli accomandatari e l’approvazione di tanti accomandanti che rappresentino la
maggioranza del capitale da essi sottoscritto”. La regola poi secondo cui “la revoca per giusta
causa può essere chiesta giudizialmente da ciascun socio” include anche i soci accomandanti.
!
S.A.S. IRREGOLARE
!
La S.a.s. che non sia iscritta al registro delle imprese assume la condizione giuridica si Società
in accomandita semplice irregolare; è regolata dalle norme sulla Società in nome collettivo
irregolare, con alcune modifiche per ciò che attiene alla posizione dei soci accomandanti. In
questo campo si richiamano le norme sulla S.a.s. regolare, fra queste l’unica che si può ritenere
invalida è quella che consente all’accomandante di agire in forza di procura speciale per singoli
affari conservando il beneficio della responsabilità limitata.
!
LA QUOTA DEL SOCIO ACCOMANDANTE
(TRASMISSIONE E CESSIONE)
!
La partecipazione del socio accomandante non viene in considerazione per le sue qualità
personali o capacità imprenditoriali, ma solo in ragione del capitale conferito. Ciò spiega
perché il subentrare di una persona ad un’altra nella posizione di socio accomandante non
importi una modificazione del contratto sociale. La quota del socio accomandante può essere
ceduta con il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale. In caso di morte
dell’accomandante invece la trasmissione della sua quota agli eredi è automatica, senza
necessità di consenso né dei soci superstiti né degli eredi. Occorrerà invece una modificazione
del contratto, e quindi il consenso di tutti i soci, per permettere agli eredi del defunto di
occupare ciascuno un’autonoma posizione di socio accomandante; in caso contrario gli eredi
succederanno nella quota come gruppo unico.
Il contratto può derogare a queste disposizioni, ad esempio rendendo intrasmissibile la
quota dell’accomandante o all’opposto rendendola cedibile anche mancando il consenso della
maggioranza. Può infine essere previsto un diritto di prelazione dei soci in caso di cessione
della quota dell’accomandante.
!40
!
SCIOGLIMENTO DELLA S.A.S.
!
Oltre che per le cause di scioglimento comuni alla società semplice e alla società in nome
collettivo la S.a.s. si scioglie “quando rimangono soltanto soci accomandanti o accomandatari,
sempre che entro sei mesi non si sia trovato un socio dell’altro tipo”. Se sono rimasti solo
accomandatari la società può trasformarsi tacitamente in società in nome collettivo. Se invece
rimangono solo accomandanti essi nominano per il periodo di sei mesi un amministratore
provvisorio, che potrà essere uno dei soci accomandanti o un non socio, il quale compirà solo
atti di ordinaria amministrazione, senza assumere la qualità di accomandatario.
!
!
LA SOCIETA’ PER AZIONI
!
La società per azioni è la tipologia-prototipo di tutti i tipi societari rientranti nella categoria
delle società di capitali. Caratteristica principale della società per azioni è la limitazione della
responsabilità dei soci alla somma o al bene conferiti; un altro carattere consiste nella
circostanza che “la partecipazione sociale è rappresentata da azioni”. Formalmente il beneficio
della responsabilità limitata ha carattere di eccezione (“le limitazioni della responsabilità
personale sono ammesse solo nei casi previsti dalla legge”), tuttavia nella realtà il rapporto fra
regola ed eccezione si presenta capovolto: nella maggioranza dei casi il creditore si trova di
fronte debitori che godono del beneficio della responsabilità limitata.
!
IL CAPITALE MINIMO
!
Un correttivo della responsabilità limitata, che si pone a garanzia dei creditori, è il capitale
sociale minimo stabilito per legge. Oggi il capitale minimo di una società per azioni è fissato in
120 mila euro, quello della società a responsabilità limitata è di 10.000 euro. Se si verifica una
riduzione del capitale sociale che lo porti al di sotto di questi limiti, la società è destinata allo
scioglimento. Negli ultimi decenni è emersa una tendenza alla riduzione dei minimi di capitale
necessari, che tende a favorire le piccole-medie iniziative economiche e ad assecondare la
propensione dei grandi capitali a frazionare la propria attività in una pluralità di società per
azioni, tante quanti sono i rami o settori dell’impresa, ciascuna delle quali non può avere un
elevato capitale. Così facendo si opera un’efficace diversificazione del rischio: le diverse
società, giuridicamente distinte, risponderanno solo per quello che è il loro patrimonio,
cosicché il dissesto di una di esse lascerà indenne le altre.
!
LA TRASLAZIONE DEL RISCHIO D’IMPRESA
!
La responsabilità limitata produce una traslazione del rischio d’impresa, che è corso dai soci
solo nel limite del loro conferimento. Oltre questo limite il rischio si trasferisce sui creditori, i
cui crediti possono restare insoddisfatti. Questo effetto si verifica soprattutto a danno dei
creditori economicamente più deboli (come i piccoli fornitori, i dipendenti ecc.), mentre quelli
più forti sono in condizione di esigere forme supplementari di garanzia, come fideiussioni da
parte dei soci o ipoteche sui loro beni.
!
Società con capitale irrisorio:
Fenomeno tipico è quello di alcune società che si costituiscono con un capitale talmente esiguo
da apparire sproporzionato rispetto al tipo di attività oggetto della società. Essa viene
finanziata sistematicamente col prestito dei soci, che le erogano fondi ad ogni necessità. Allo

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stesso tempo i soci si rendono garanti dei debiti della società nei confronti dei grandi creditori
come banche o imprese. Questo meccanismo pone in svantaggio i creditori più deboli, che non
beneficiano delle ulteriori garanzie offerte personalmente dai soci ai grossi creditori, e devono
così accontentarsi per soddisfare i propri crediti dell’esiguo patrimonio societario. Nei
confronti dei creditori forti i soci vengono a trovarsi in posizione equivalente a quella di un
socio a responsabilità illimitata.
!
La stessa cosa accade nell’ambito di gruppi di società: la capogruppo presterà denaro alle
società controllate e fungerà da garante per le obbligazioni assunte da queste, ma solo nei
confronti dei grandi creditori.
!
CAPITALE E PATRIMONIO
!
Abbiamo già visto la differenza fra patrimonio e capitale sociale (il primo varia nel corso della
vita della società, il secondo è il valore monetario dei conferimenti e si può cambiare solo
modificando l’atto costitutivo). Per costituire validamente una società per azioni occorre che
sia stato sottoscritto per intero il capitale sociale, tuttavia è sufficiente che sia stato versato il
25% dei conferimenti in denaro.
Una volta che la società sia stata costituita gli amministratori effettuano il cosiddetto
“richiamo” dei contesimi mancanti, ingiungendo ai soci di eseguire la restante parte del
conferimento. Se il socio non adempie gli amministratori effettueranno la c.d. “vendita in
danno”, liquidando le sue azioni. Se non si trova un acquirente il socio sarà dichiarato
decaduto e si procederà a ridurre il capitale sociale per una quota corrispondente alle sue
azioni.
!
In linea di principio il valore del patrimonio sociale non potrà scendere al di sotto di quello del
capitale sociale. La legge prevede che il primo possa scendere anche al di sotto del secondo, ma
per non più di un terzo di quest’ultimo. Il capitale sociale è dunque la principale garanzia che
rassicura i creditori, poiché essi sanno che il patrimonio effettivo della società sarà, nella
peggiore delle ipotesi, corrispondente ai 2/3 del valore di quello.
!
LE AZIONI
!
L’azione rappresenta una frazione del capitale sociale, ma è un bene mobile a sé stante che può
formare oggetto di diritti e del quale si può disporre come di un qualsiasi altro bene mobile (la
si può vendere, permutare, donare e quant’altro..).
Essa può avere un proprio valore nominale (un euro, dieci euro ecc.), oppure può non
averlo, nel qual caso il suo valore è pari al capitale sociale diviso per il numero delle azioni
circolanti. Il valore dell’azione può variare nel corso della vita della società, in base alle
fluttuazioni del patrimonio sociale, cioè in base all’andamento della società. L’azione
“incorpora” la quota di partecipazione del socio; essa è un titolo di credito, in particolare
rientra fra i titoli di credito causali, cioè che fanno menzione del rapporto causale che ha
dato luogo all’emissione del titolo.
Per effetto del fenomeno di incorporazione i diritti derivanti dal contratto di società si
presentano come diritti inerenti all’azione: è questa che “attribuisce il diritto a una parte
proporzionale degli utili”, ed è sempre l’azione che “attribuisce il diritto di voto”. Allo stesso
modo anche le obbligazioni derivanti dal contratto si presentano come connesse alle azioni: si
parla ad esempio di “azioni liberate” o “non liberate”, con riferimento alla circostanza che il
socio abbia eseguito o non abbia ancora eseguito il conferimento.
!
Circolazione:
!42
La proprietà dell’azione, e quindi anche la qualità di socio, si acquista secondo i modi di
acquisto dei beni mobili; le quote di partecipazione alla società circolano così secondo la più
rapida e sicura legge di circolazione che l’ordinamento conosca, quella dei beni mobili.
!
!
PATRIMONI PER AFFARI SPECIFICI
!
L’aspirazione alla responsabilità limitata può spingersi fino al punto di desiderare che la
responsabilità sia limitata, per ogni affare intrapreso, allo specifico patrimonio ad esso
destinato. Può accadere che una società si proponga di perseguire la realizzazione di una
specifico obiettivo, a cui destinare apposite risorse; può trattarsi:
!
1. Di un obiettivo il cui perseguimento espone a rischi elevati.
2. Di un obiettivo perseguibile a costi particolarmente elevati, per cui si debba far
ricorso a terzi finanziatori, e offrire loro adeguate garanzie.
!
Sub 1.
Normalmente in questi casi si procedeva alla costituzione di un’apposita società controllata,
naturalmente con un suo patrimonio autonomo da destinarsi al perseguimento dell’obiettivo
in questione.
La riforma del 2003 ha previsto la possibilità di separare, all’interno del proprio patrimonio
(e quindi senza bisogno di creare ulteriori società), uno o più patrimoni particolari “destinati in
via esclusiva a specifici affari”, di entità massima pari al dieci per cento del proprio patrimonio
netto. Si realizzano in questo modo effetti equivalenti a quelli conseguibili con la costituzione
di una nuova società, poiché:
!
- Delle obbligazioni contratte per la realizzazione dello specifico affare
risponde solo il patrimonio ad esso destinato, purché il vincolo di
destinazione sia conosciuto ai terzi creditori.
!
- Viceversa, per rispondere alle obbligazioni sociali non potrà essere intaccato
il patrimonio destinato allo specifico affare.
!
La responsabilità della società è comunque illimitata nei confronti dei creditori involontari le
cui ragioni di credito derivino da fatto illecito della società, anche se compiuto nel
perseguimento dell’affare specifico.
!
Il patrimonio separato si costituisce con apposita deliberazione da iscriversi al registro delle
imprese, e che produce effetto se i creditori anteriori non abbiano fatto opposizione entro 60
giorni. Per ogni patrimonio di destinazione dovranno essere tenuti separatamente libri e
scritture contabili, ed essi dovranno essere oggetto di separato rendiconto in allegato al
bilancio. Quando sia stato realizzato la specifico affare, o quando questo sia divenuto
impossibile o quando si verifichi qualsiasi altra causa di cessazione della destinazione dovrà
essere redatto un rendiconto finale da depositarsi presso l’ufficio del registro delle imprese.
!
Sub 2.
Può essere previsto un accordo fra la società ed un finanziatore, per cui i proventi di un certo
affare siano in tutto o in parte destinati al rimborso del finanziamento. In questo caso il
patrimonio separato è formato dai proventi dell’affare.
Ne deriva che:
!
!43
- I creditori della società, diversi dal finanziatore in parola, non avranno
azione sui proventi dell’affare.
- La garanzia del finanziatore è costituita esclusivamente da quei proventi, con
esclusione di ogni potere d’azione sul residuo patrimonio della società.
!
I CONSORZI
!
I consorzi sono le uniche entità che, pur costituite in forma societaria, possono esimersi dai
requisiti dell’art. 2247, e in particolare da quello che richiede come scopo il profitto e la
divisione degli utili. I soci di un consorzio istituiscono una organizzazione comune per lo
svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese, essi sono al contempo produttori del
servizio (collettivamente) e utenti dello stesso (individualmente). Nello statuto viene indicato
l’oggetto consortile, ossia la specie di attività economica che la società svolge a favore dei soci;
può inoltre essere prevista l’esclusione di ogni divisione di utili fra i soci. Appositi regolamenti
disciplineranno le condizioni, i limiti e le modalità di fruizione del servizio prodotto da parte
dei singoli soci.
!
LA FUNZIONE IMPRENDITORIALE NELLE S.p.A.
!
Come sappiamo nelle società per azioni il socio non è, in quanto tale, amministratore; la
qualità di socio gli conferisce soltanto il potere di concorrere, con il proprio voto, alla nomina
degli amministratori. La prerogativa di “capo d’impresa” non spetta, come nelle società di
persone, a ciascun socio, né spetta a tutti i soci per intero: essa è invece ripartita fra assemblea
dei soci e consiglio di amministrazione che la esercitano, ciascuno, nei limiti della propria
competenza.
L’assemblea dei soci delibera a maggioranza, beninteso che si tratta di una maggioranza di
capitale: formano maggioranza i soci che detengono una maggior frazione di capitale, cioè a
dire un maggior numero di azioni. Per le deliberazioni ordinarie è sufficiente che voti a favore
la maggioranza del capitale presente in assemblea, questa regola è giustificata da esigenze di
funzionalità: si vuole evitare che l’assenteismo dei soci – frequente e comprensibile in società
dal capitale polverizzato in decine di migliaia di azioni – impedisca il funzionamento
dell’assemblea; allo stesso tempo però questa regola fa sì che anche una frazione esigua di
capitale possa trasformarsi, in assemblee semideserte, in una stabile maggioranza, sufficiente a
garantire l’effettivo controllo dell’impresa.
!
Il capitale di comando:
Si pone anche una distinzione di tipo qualitativo e terminologico fra azionisti di maggioranza e
di minoranza: Per quanto riguarda i primi si parla di “capitale di comando”, mentre ai
secondi ci si riferisce parlando di “capitale di risparmio”. Chi sottoscrive azioni infatti lo fa
o per esercitare un controllo sulla società, oppure al solo scopo di effettuare un investimento,
ed esistono a seconda dei casi due operazioni distinte: Nel primo caso si sottoscrivono
“pacchetti azionari” di controllo, che assicurano la partecipazione al controllo della società
(ma a fronte di un prezzo per azione notevolmente più alto, che include anche il c.d. premio di
maggioranza). A fini di mero investimento invece si sottoscrivono piccole tranches di azioni,
che non danno la possibilità di accedere all’area di comando della società.
Come “terza via” si può decidere di rastrellare sul mercato quantità molto ingenti di azioni,
anche se estranee al “pacchetto” di comando della società, al fine di tentare una “scalata” e
inserirsi nell’area di comando della società. Preordinate a questo scopo sono le offerte
pubbliche di acquisto (c.d. Opa), con cui si dichiara di voler acquistare azioni di una data
società, da chiunque le offra, ad un certo prezzo solitamente superiore a quello di mercato.
!
!44
!
La distinzione fra capitale dirigente e monetario non trova riscontro nella legge: la regola
infatti è che le azioni sono “di valore uguale e conferiscono a chi le possiede gli stessi diritti, in
particolare il diritto ad una parte proporzionale degli utili e il diritto di voto”. La distinzione
tuttavia, pur su un piano non giuridico – formale ma solo conoscitivo, assume notevole
rilevanza.
!
LE S.p.A. CHE RICORRONO AL PUBBLICO RISPARMIO
!
Le Società quotate sui mercati fanno ricorso al pubblico risparmio e al capitale di rischio dei
risparmiatori, per questo è stato proposto (originariamente, in Italia, nel 1974) di adottare una
condizione giuridica differenziata per questo tipo di società. Alcuni modelli (come quello
inglese) prescindevano, nell’applicazione della disciplina differenziata, dalla effettiva
quotazione dei titoli basandosi invece sulla scelta statutaria; questa tendenza è andata
rafforzandosi anche in Italia, tanto che la riforma del 2003 include fra le “società che fanno
ricorso al capitale di rischio” non solo le società quotate ma anche quelle le cui azioni, sebbene
non quotate, sono “diffuse fra il pubblico in misura rilevante”. Rientrano in questa categoria
“gli emittenti dotati di un patrimonio netto non inferiore a cinque milioni di euro e con un
numero di azionisti superiore a duecento”.
!
Tutela del risparmio:
Alla base dello statuto speciale c’è l’esigenza di proteggere adeguatamente il risparmio
investito in azioni. Gli interessi protetti appaiono:
!
- In primo luogo l’interesse dei risparmiatori.
- L’interesse delle imprese ad attingere direttamente dal risparmio, evitando
l’onerosa intermediazione delle banche.
- L’interesse generale alla trasformazione del risparmio in capitale produttivo
di nuova ricchezza.
!
Le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio si caratterizzano per i seguenti
fattori:
!
1. Maggior grado di imperatività delle norme rispetto alle società per azioni: ciò che in
queste ultime è lasciato all’autonomia statutaria, non sempre è consentito nelle società
che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
2. Maggior protezione del diritto all’informazione spettante all’azionista.
3. Maggiore garanzia sulla veridicità dei bilanci e controlli più rigorosi sulla rigorosità
della gestione (ad es. controllo contabile affidato a società di revisione).
4. Previsione di strumenti di tutela delle minoranze, come la legittimazione ad esercitare
un’azione di responsabilità bastando solo un ventesimo del capitale sociale.
5. Adozione, al contrario, di correttivi atti a garantire la funzionalità dell’attività sociale e
la certezza e stabilità delle decisioni, data la presenza di un numero elevato di soci.
!
L’investimento del risparmio in azioni è protetto e incoraggiato in vario modo. Si può fare
riferimento ad un triplice ordine di strumenti volti a questo scopo:
!
1. Una informazione più estesa resa agli azionisti e al pubblico in generale
2. Una intensa garanzia di veridicità del bilancio, sottoposti alla vigilanza della Consob e
delle società di revisione.

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3. La possibilità di emettere azioni di risparmio al portatore: Trattandosi di azioni prive
del diritto di voto, inidonee ad influire sui rapporti di comando della società, viene
rimossa una possibile remora del capitale di comando all’emissione di titoli.
!
L’INTERESSE DELLA SOCIETA’
!
Alcune norme del codice civile fanno riferimento all’ “interesse della società”. Sulla definizione
di questo concetto si scontrano da sempre teorie opposte: Quella istituzionalistica e quella
contrattualistica.
!
Teoria istituzionalistica:
Per essa l’interesse della società trascende l’interesse personale dei soci e si identifica
nell’interesse dell’impresa vista come entità a sé. Questa teoria prevede che l’azienda sia dotata
di un esecutivo forte, sottratto al potere dell’assemblea e capace di interpretare in modo
autonomo le esigenze di amministrazione volte a perseguire il “superiore interesse” della
“impresa in sé”. Questo interesse diventa perciò comune ai soci e ai dipendenti, e addirittura
arriva a riguardare la collettività nazionale. Sotto quest’aspetto la teoria istituzionalistica
riflette una visione dirigistica dell’economia, tuttavia è necessario precisare che la teoria resta
compatibile con una concezione liberista, poiché le scelte aziendali di base sono ancora rimesse
al libero gioco delle forze di mercato. Il controllo pubblico mira soltanto a garantire il rispetto
delle regole di funzionamento del sistema produttivo.
!
Teoria contrattualistica:
La teoria opposta vede l’ “interesse sociale” non come l’interesse dell’impresa in sé, bensì come
l’interesse comune dei soci. Questa dicitura è piuttosto equivoca poiché all’interno di una
società per azioni non esiste un interesse veramente “comune” a tutti i soci, essendo i soci di
maggioranza e di minoranza portatori di interessi molto diversi.
!
Per alcuni autori parlando di interesse comune ci si riferisce anche all’interesse di lungo
termine dei soci attuali, e anche all’interesse di eventuali soci futuri. Così concepita la teoria
contrattualistica conduce agli stessi risultati della teoria istituzionalistica, della quale diventa
una mera variante terminologica.
!
Per altri invece l’interesse sociale va riferito al gruppo dei soci attuale. La maggioranza è libera
di votare a proprio piacimento, scegliendo ad esempio se perseguire una politica di efficienza
produttiva sacrificando i dividendi o viceversa.
!
L’INIZIATIVA DEL PUBBLICO MINISTERO
!
Tracce di accoglimento della versione istituzionalistica nel nostro ordinamento già si
rinvengono nel c.c. del ’42, a cominciare dai poteri di iniziativa riconosciuti al pubblico
ministero di fronte a “gravi irregolarità”. La norma mostra come l’interesse al regolare
adempimento dei propri doveri da parte degli amministratori non sia da intendersi come
interesse esclusivo dei soci. C’è infatti un generale interesse a che la società per azioni sia
regolarmente amministrata.
L’IMPUGNAZIONE DI AMMINISTRATORI E SINDACI
!
Un’altra manifestazione “istituzionalistica” presente nel nostro ordinamento è nella norma che
legittima ad impugnare deliberazioni invalide anche gli amministratori e sindaci, oltre che i
soci. La norma mostra che l’interesse alla legalità delle deliberazioni assembleari non riguarda
esclusivamente l’interesse dei soci. Anche se costoro non impugnano una deliberazione, essa
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può (anzi deve) essere impugnata dagli amministratori o dai sindaci. Questo dovere è parte
dell’obbligo a loro carico di vigilare sull’osservanza delle leggi e dello statuto da parte
dell’assemblea. Si ravvisa dunque un interesse superiore alla legalità delle deliberazioni
assembleari, amministratori e sindaci hanno la funzione di tutori di questo interesse.
!
Bisogna comunque tener presente che il controllo opera solo in presenza di effettive violazioni
di legge o statuto. Amministratori e sindaci non possono operare sindacati di merito sulla
convenienza o opportunità delle deliberazioni, così come il pubblico ministero può intervenire
a carico degli amministratori solo in presenza di gravi irregolarità.
Tutto ciò che l’assemblea e gli amministratori decidono nel rispetto della legge e dell’atto
costitutivo è sottratto a ogni esterna censura.
!
LA SOCIETA’ PER AZIONI UNIPERSONALE
!
L’aspirazione alla responsabilità limitata ha condotto all’ammissione legislativa della società
per azioni unipersonale, la cui “assemblea” sarà composta da un unico socio limitatamente
responsabile. Egli può essere il fondatore della società oppure il socio nelle cui mani si
concentra, in un secondo momento, la totalità delle azioni. L’atto unilaterale alla base di
questo tipo di società è suscettibile di diventare un contratto, qualora il fondatore abbia ceduto
ad altri parte delle proprie azioni.
!
Perché l’unico azionista possa fruire del beneficio della personalità limitata occorre:
!
1. Che siano stati eseguiti per intero i conferimenti in denaro.
2. Che siano depositate all’ufficio del registro delle imprese le generalità dell’unico socio.
Anche negli atti e nella corrispondenza della società dev’essere indicato che si tratta di
una società unipersonale, terzi devono essere in grado di saperlo e di conoscere
l’identità dell’unico socio. (questo tipo di società non è, come normalmente la società
per azioni, anonima).
!
Se queste condizioni non vengono adempiute l’unico socio non godrà del beneficio della
responsabilità limitata.
!
I contratti della società con l’unico socio e le operazioni sociali a favore dell’unico socio non
sono opponibili ai creditori, a meno che non risultino da atto scritto avente data certa anteriore
all’esecuzione. Su queste operazioni (che sono in fin dei conti operazioni del socio con sé
stesso) grava il sospetto che egli le abbia artatamente poste in essere per sottrarre beni sociali
alle pretese esecutive dei creditori.
!
!
COSTITUZIONE DELLA SOCIETA’
!
ATTO COSTITUTIVO E CONFERIMENTI
!
Il contratto di società per azioni risulta da due separati documenti: l’atto costitutivo, nel
quale è manifestata la volontà di dar vita al rapporto sociale, e lo statuto, contenente le norme
di funzionamento della società. Le disposizioni dell’uno e dell’altro documento compongono
tuttavia un unitario atto giuridico, lo statuto infatti costituisce parte integrante dell’atto
costitutivo. La società per azioni deve costituirsi per atto pubblico.
!
!47
L’atto costitutivo deve indicare:
!
1. Le generalità dei soci e il numero di azioni sottoscritte da ognuno di essi.
2. La denominazione della società, i comuni dove sono poste la sede principale ed
eventuali sedi secondarie. La determinazione della sede sociale è importante per
stabilire qual è l’ufficio del registro presso il quale iscriversi, e qual è il tribunale
competente per le controversie e per le procedure fallimentari. Infine è importante per
determinare gli usi applicabili nell’interpretazione del contratto.
Per “sede della società” deve intendersi quella in cui ha luogo l’amministrazione della
società. Sedi secondarie sono quelle filiali o succursali della società nelle quali esista
una “rappresentanza stabile”, un estratto dell’atto costitutivo deve essere depositato
presso l’ufficio del registro del luogo in cui è istituita la sede secondaria.
3. L’oggetto sociale, ossia la specie di attività economica che ci si propone di esercitare.
La determinazione dell’oggetto sociale vale a limitare la sfera dei poteri degli
amministratori, che devono compiere “le operazioni necessarie per l’attuazione
dell’oggetto sociale”, e anche dell’assemblea, la quale non può deliberare su operazioni
estranee all’oggetto sociale.
4. L’ammontare del capitale sottoscritto e di quello versato. Occorre, come abbiamo
visto, che sia sottoscritto tutto il capitale sociale e che sia versato almeno il 25% dei
conferimenti in denaro. Una volta iscritta la società nel registro delle imprese, gli
amministratori potranno prelevare i conferimenti già versati e ingiungere ai soci di
versare la restante parte dei conferimenti. Fino a quando essi non siano stati
integralmente versati le azioni, che si dicono “non liberate”, possono comunque essere
vendute ma dovranno recare menzione dell’ammontare dei versamenti effettivamente
eseguiti.
5. Il numero e l’eventuale valore nominale delle azioni, oltre alle modalità di loro
emissione e circolazione.
6. Il valore dei crediti e dei beni conferiti. Di regola, nelle società per azioni, il
conferimento è da farsi in denaro, tuttavia conferimenti di beni o di crediti possono
essere consentiti dall’atto costitutivo, al quale, in questo caso, si deve accompagnare
una stima giurata di un esperto designato dal tribunale. Fino a quando le valutazioni di
questi conferimenti non siano state controllate, le azioni relative ad essi sono
inalienabili. Per quanto riguarda i beni, può essere conferita qualsiasi entità che sia
utile al perseguimento dell’oggetto sociale, poiché oltre al valore di scambio conta
anche il valore d’uso. Quanto al conferimento di crediti, il socio che ha conferito un
credito risponde della insolvenza del debitore.
!
Prestazioni accessorie:
L’atto costitutivo può prevedere delle prestazioni accessorie, ulteriori rispetto al conferimento,
di cui dev’essere determinato il contenuto (somministrazione periodica di beni, prestazione di
determinati servizi), la durata, le modalità e il compenso, le sanzioni in caso di
inadempimento. L’obbligazione di prestazioni accessorie non ha carattere personale, ma è
inerente alle azioni sottoscritte dal socio, azioni che sono necessariamente nominative, e
possono essere alienate solo col consenso degli amministratori.
Si discute se le prestazioni accessorie formino oggetto di un rapporto contrattuale separato
rispetto a quello di società o se invece ineriscano a quello. Fanno preferire quest’ultima ipotesi
il fatto che sia richiesto, per le modificazioni degli obblighi in questione, il consenso di tutti i
soci, e anche il fatto che queste prestazioni siano direttamente collegate alle azioni.
E’ da ritenere perciò:
!
!48
- Che le modificazioni di questi obblighi siano materia di delibera
assembleare.
- Che l’inadempimento da parte del socio agli obblighi in questione(anche per
l’impossibilità sopravvenuta) produca effetti sulla partecipazione sociale,
legittimando anche la sua esclusione dalla società.
!
7. Le norme secondo cui gli utili debbono essere ripartiti; necessarie soltanto se
si intende derogare al principio secondo cui è l’assemblea che approva il bilancio a
decidere se e come distribuire gli utili.
8. I benefici eventualmente accordati ai promotori o ai soci fondatori. Ai
promotori (coloro che hanno assunto l’iniziativa della costituzione della società) può
essere riservato un unico beneficio: una partecipazione privilegiata agli utili, per non
più di cinque anni, la quale comunque dev’essere inferiore a un decimo degli utili netti
di bilancio. I soci fondatori invece (coloro che stipulano l’atto costitutivo) possono
riservare a proprio vantaggio anche altri benefici, fra cui il più consistente è
l’attribuzione di più voti per ogni loro azione; anche questo privilegio ha una durata
limitata nel tempo ( Max 10 anni).
9. Il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori, i loro
poteri, e l’indicazione di quelli dotati di potere di rappresentanza.
10. La durata della società o, se essa è a tempo indeterminato, il periodo (che non può
essere superiore a un anno) decorso il quale il socio può recedere.
!
LA PUBBLICA SOTTOSCRIZIONE
!
La formazione dell’atto costitutivo può avvenire anche per “pubblica sottoscrizione”. In
questo caso l’iniziativa è assunta dai promotori, i quali firmano e rendono pubblico il
programma della costituenda società, programma che deve indicare l’oggetto, il capitale, le
principali disposizioni dello statuto, eventuali privilegi riservati ai promotori e il termine entro
il quale deve essere stipulato l’atto costitutivo. Il contratto poi si va formando
progressivamente attraverso le successive sottoscrizioni di azioni, effettuate per atto pubblico e
contenenti data, generalità del sottoscrittore e numero di azioni sottoscritte.
!
I promotori non sono, in quanto tali, parti del contratto, hanno un ruolo simile a quello del
mediatore che mette in relazione più persone per la conclusione di un affare. Diventano parti
del contratto solo se, a loro volta, sottoscrivono delle azioni. Quando l’intero capitale sociale è
stato sottoscritto, il contratto potrà dirsi formato: i promotori chiederanno ai sottoscrittori il
versamento del 25% dei conferimenti in denaro e convocheranno l’assemblea.
L’assemblea costituente:
Essa è validamente costituita con la presenza di metà dei sottoscrittori e delibera a
maggioranza di numero (non di quote). Se il contenuto del contratto era stato integralmente
determinato dal programma, l’assemblea si limita ad accertare la presenza delle condizioni
necessarie per la costituzione della società, e proclama formalmente che questa si è costituita.
E’ tuttavia possibile che il programma si limiti ad enunciare alcuni elementi del contratto, ed è
rimesso all’assemblea decidere su tutti gli altri punti (quelli già decisi non possono essere
messi in discussione dall’assemblea). Qualora l’assemblea vada deserta, o si riveli impossibile
la formazione di una maggioranza, il contratto sarà nullo.
!
La costituzione di una società per pubblica sottoscrizione è oggi molto rara.
!
!
FASI CONCLUSIVE DELLA COSTITUZIONE DELLA SOCIETA’
!49
!
Il notaio che riceve l’atto costitutivo deve effettuare un controllo di legittimità sulle clausole
dell’atto e, entro venti giorni, provvedere a depositarlo presso l’ufficio del registro delle
imprese, allegando i documenti che provano l’avvenuto versamento del 25% dei conferimenti
in denaro, la stima del valore dei beni conferiti in natura e dei crediti, la sussistenza delle
eventuali autorizzazioni necessarie per la costituzione della società. L’ufficio del registro,
verificata la regolarità formale della documentazione, iscrive la società nel registro. Mentre per
la società di persone il mancato adempimento dell’obbligo di iscrizione non pregiudica
l’esistenza della società (che nasce comunque in forma irregolare), la società per azioni esiste,
giuridicamente, solo se iscritta nel registro delle imprese; l’iscrizione ha efficacia costitutiva.
!
I PATTI PARASOCIALI
!
Atto costitutivo e statuto vanno interpretati secondo i normali criteri di interpretazione dei
contratti, tuttavia il contratto di società per azioni è nel novero di quelli che non hanno solo
efficacia fra le parti, ma producono effetti anche verso terzi. Spesso la stipulazione dell’atto
costitutivo è accompagnata dalla formazione di separati accordi, detti patti parasociali, che
hanno invece efficacia limitata ai soli soci stipulanti, con esclusione anche degli eredi e dei
successivi acquirenti delle azioni. Il fine del patto parasociale deve risiedere, a norma dell’art.
2341 bis, nell’esigenza di “stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società”. Fra i
molti tipi possibili di contratti parasociali assumono importanza:
!
1. Il sindacato di voto: ha a che fare con la governabilità della società; con esso i
contraenti si obbligano a concordare, prima di ogni assemblea, una posizione di voto
comune, attraverso una semplice consultazione o anche ponendo un vero e proprio
vincolo a votare come preventivamente abbia deciso la maggioranza. Il vincolo può
anche riguardare solo determinate materie, come ad esempio la nomina degli
amministratori. I contraenti possono altrimenti obbligarsi a rilasciare un procura
irrevocabile ad uno di essi (o ad un terzo) astenendosi così dal partecipare alle
assemblee. Al sindacato di voto si ricorre di solito quando nessun azionista sia in grado
di controllare, da solo, l’assemblea: si formano allora delle coalizioni, analogamente a
quanto accade in parlamento fra i partiti politici di dimensioni più ridotte.
2. Il sindacato di blocco: Concerne la stabilizzazione degli assetti proprietari, è il patto
mediante il quale i contraenti si obbligano a non vendere le proprie azioni o a venderle
solo a determinate condizioni.
3. Il patto di concertazione: Si ha quando più soggetti concordano l’acquisto di
partecipazioni di una società, in modo che nessuno di loro possa esercitarne da solo il
controllo, ma allo scopo di guadagnare un’influenza dominante in assemblea.
!
Il fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società delimita l’ambito di
applicazione delle norme relative ai patti parasociali, queste non si applicano agli accordi fra i
soci non riconducibili al fine predetto.
!
I patti parasociali hanno un limite di durata di cinque anni nelle società non quotate e di tre
anni per le società quotate, essi sottostanno inoltre al principio di trasparenza, specie per
quanto riguarda le società che fanno ricorso al capitale di rischio. Per le società quotate i patti
aventi per oggetto l’esercizio del diritto di voto devono essere comunicati alla Consob, alla
stampa quotidiana e al registro delle imprese. In caso di inosservanza i patti in questione sono
nulli, e le deliberazioni prese votando secondo le regole di quei patti saranno annullabili, anche
su iniziativa della Consob.
!
!50
Per le società non quotate invece non sussiste l’obbligo di pubblicità, è necessario tuttavia
comunicare i patti all’assemblea e agli organi di amministrazione, e dovranno ritenersi nulli i
patti parasociali segreti. Altri patti da ritenersi nulli sono quelli che impegnano i soci a votare a
nocumento dell’interesse sociale e quelli che producono degli effetti al di fuori della cerchia dei
contraenti (i patti parasociali debbono infatti avere, come si è detto, efficacia puramente
interna).
!
LA NULLITA’ DELL’ATTO COSTITUTIVO
!
L’art. 2332 pone norme particolari per l’ipotesi di nullità dell’atto costitutivo di società per
azioni, accertata successivamente all’iscrizione al registro delle imprese; queste norme in parte
derogano ai principi generali:
!
art. 2332 Principi Generali
Una volta avvenuta l’iscrizione della società La dichiarazione di nullità del contratto
nel registro delle imprese la dichiarazione di dovrebbe travolgere i diritti acquistati, anche
nullità dell’atto costitutivo “non pregiudica in buona fede, dai terzi.
l’efficacia degli atti compiuti in nome della
società”.
“I soci non sono liberati dall’obbligo di Normalmente, essi sarebbero invece sciolti
conferimento fino a quando non siano da ogni obbligazione derivante dal contratto.
soddisfatti i creditori sociali”.
La nullità non può essere dichiarata quando Normalmente è escluso che, in questo caso, il
la causa di questa nullità sia stata eliminata, contratto possa essere convalidato.
e di tale eliminazione sia stata data
pubblicità nel registro delle imprese.
!
!
Solo in tre casi le cause di nullità dell’atto costitutivo si trasformano in cause di scioglimento
della società:
!
1. Mancata stipulazione dell’atto costitutivo nella forma di atto pubblico
2. Illiceità dell’oggetto sociale
3. Mancanza nell’atto costitutivo o nello statuto di ogni indicazione riguardante la
denominazione della società, o i conferimenti, o l’ammontare del capitale sociale, o
l’oggetto sociale.
!
Riguardo all’oggetto sociale, alla “mancanza di ogni indicazione” che lo riguardi va equiparata
l’indicazione presente ma “priva di valore determinativo”, come quella troppo generica che
faccia riferimento all’industria, commercio o agricoltura senza l’indicazione di categorie
specifiche. Ogni anomalia dell’atto costitutivo diversa dalle tre indicate è sanata con l’iscrizione
della società nel registro delle imprese.
!
S.p.A. E PERSONALITA’ GIURIDICA
!
Con l’iscrizione nel registro delle imprese la società acquista la “personalità giuridica”. Alla
base di questa norma c’è la distinzione che si suole instaurare fra società di persone, concepite
come non aventi personalità giuridica, e società di capitali, che ne sarebbero dotate. Questo

!51
modo di vedere si espone in realtà a molte critiche: effettivamente la condizione delle società di
persone non appare sempre coerente con l’idea che esse, in quanto prive di personalità
giuridica, si risolvano nella pluralità dei loro soci; d’altra parte anche la società di capitali non
sempre è regolata in modo da risultare terza rispetto ai soci (basti pensare ai soci
accomandatari, illimitatamente responsabili). Queste antinomie si spiegano tenendo presente
che, come ha ribadito anche la Cassazione, le persone giuridiche sono “persone” solo in senso
traslato, la loro condizione giuridica non può essere esattamente assimilabile a quella di una
persona fisica.
In giurisprudenza si è cercato di arginare il fenomeno della utilizzazione di società di capitali
come “meri schermi di copertura” dell’attività imprenditoriale personale di uno solo dei soci; è
il c.d. “socio tiranno”, che usa la società come cosa propria e ne dispone a suo piacimento
perpetrando la c.d. “confusione dei patrimoni”, ossia prelevando dalle casse sociali per spese
personali e, all’opposto, pagando sistematicamente con denaro proprio i debiti sociali. In
questo caso è chiaro che la società –persona giuridica è stata costituita al solo scopo di
frapporre fra sé e terzi lo “schermo” di un nuovo soggetto di diritto, e fruire così del beneficio
della responsabilità limitata.
!
Un altro abuso della personalità giuridica è la c.d. “finzione di gruppo”, con la quale si dà
vita a più società, le cui azioni o quote appartengono ai medesimi soggetti, al solo scopo di
eludere norme imperative. Ad esempio se sono previste norme più restrittive, in materia di
licenziamenti, per le società aventi più di un certo numero di dipendenti, si costituiscono più
società e si frazionano i dipendenti fra di esse, sottraendosi alla legge. Oppure volendo
licenziare un dato numero di dipendenti si costituisce una nuova società, cui si cede un ramo
d’azienda con i dipendenti da licenziare, successivamente si delibera lo scioglimento di questa
nuova società, rendendo così possibile il licenziamento in massa di quei dipendenti per
cessazione dell’impresa.
!
LE AZIONI
!
Come sappiamo l’azione è un titolo di credito che incorpora la partecipazione sociale, ossia la
qualità di socio. Un’azione corrisponde alla frazione minima di capitale sociale che occorre
sottoscrivere per acquistare la qualità di socio, ed è perciò indivisibile. Se più persone sono
comproprietarie di una medesima azione, costoro debbono esercitare i diritti inerenti ad essa
mediante un rappresentante comune, e sono solidalmente responsabili delle obbligazioni
derivanti da essa.
Possono essere emesse azioni recanti indicazione del loro valore nominale (un euro, 10 euro
ecc.) determinato dallo statuto; in questo caso tutte le azioni debbono essere emesse per il
medesimo valore. Possono anche essere emesse azioni che non riportano il loro valore
nominale, ma indicanti l’entità del capitale sociale e il numero complessivo di azioni emesse,
percui il valore nominale di ciascun azione è facilmente ricavabile.
!
A ciascun socio è assegnato un numero di azioni proporzionale alla parte di capitale
sottoscritta e per un valore non superiore al valore del suo conferimento. L’azione deve
contenere:
!
1. La denominazione e la sede della società.
2. La data dell’atto costitutivo e della sua iscrizione, e l’indicazione dell’ufficio del registro
dove la società è iscritta.
3. Il suo valore nominale o, se sono azioni emesse senza valore nominale, l’ammontare del
capitale sociale e il numero totale di azioni emesse.

!52
4. Se si tratta di azione non interamente liberata, l’ammontare dei versamenti parziali
eseguiti.
5. Eventuali diritti ed obblighi particolari ad essa inerenti, ad esempio se si tratta di
azione cui è connesso l’obbligo di prestazioni accessorie.
!
Le azioni possono essere nominative oppure al portatore. Il Codice Civile, principalmente per
ragioni di ordine fiscale, predilige la nominatività, essa è obbligatoria nella circostanza in cui le
azioni non siano completamente liberate e qualora sia previsto dallo statuto o da leggi speciali. La
nominatività obbligatoria non vige invece per quella “nuova” categoria di azioni che sono le azioni
di risparmio, prive di diritto di voto, che la società può emettere anche come azioni al
portatore.
!
Nel caso dei titoli al portatore il possessore del titolo è legittimato all’esercizio del diritto in
esso menzionato in base alla semplice presentazione del titolo.
Il possessore di un titolo nominativo invece è legittimato all’esercizio del diritto in esso
menzionato per effetto dell’intestazione a suo favore contenuta nel titolo e nel registro
dell’emittente (nel libro dei soci, se si tratta di azioni nominative).
In questo secondo caso la legittimazione si può conseguire in tre modi:
- Mediante annotazione, da parte dell’emittente, del nome dell’acquirente sul
titolo stesso e nel registro.
- Mediante rilascio, da parte dell’emittente, di un nuovo titolo intestato
all’acquirente e successiva annotazione del rilascio nel registro.
- Il titolo viene trasferito mediante girata. Il giratario ha poi diritto di
ottenere l’annotazione del trasferimento nel registro dell’emittente, sempre
che questo non abbia valide ragioni per eccepire al giratario un difetto di
titolarità. La girata non vale, da sola, ad attribuire la legittimazione, il
giratario è investito della legittimazione solo a seguito dell’iscrizione nel
registro dell’emittente.
!
Coerentemente per quanto riguarda le azioni (che sono anch’esse titoli di credito) accade che:
Le azioni al portatore si trasferiscono con la mera consegna del titolo. Le azioni nominative si
possono trasferire nei tre modi anzidetti. Il più usato è il trasferimento mediante girata, che
qui deve essere autenticata dal notaio; è prevista inoltre una piccola differenza in deroga alla
disciplina generale dei titoli di credito: per evitare che l’esercizio dei diritti sociali resti sospeso
nell’intervallo di tempo fra la girata del titolo e l’iscrizione del giratario nel libro dei soci, è
stabilito che chi si dimostra possessore del titolo mediante una serie continua di girate sia
legittimato da subito, anche prima dell’annotazione nel libro dei soci. Questa legittimazione
tuttavia vale solo per il primo atto di esercizio dei diritti sociali, al momento di questo primo
atto la società emittente deve provvedere a verificare la regolarità delle girate e aggiornare il
libro soci.
!
I progressi della telematica spingono verso la smaterializzazione degli strumenti finanziari,
portando a sostituire la circolazione della tradizionale “chartula” con il trasferimento
elettronico di un documento solo virtuale. Oggi i titoli quotati in borsa, e parte di quelli non
quotati ma a larga diffusione, sono depositati presso le società di gestione accentrata (Monte
titoli), e vige il principio per effetto del quale la scritturazione sul conto “equivale alla girata”.
!
LA CIRCOLAZIONE DEI TITOLI AZIONARI
!
!53
Il trasferimento di azioni, e quindi della qualità di socio, si attua liberamente da un soggetto
all’altro senza necessità del consenso della società. L’annotazione del trasferimento nel libro
soci è, una volta accertate le condizioni di legittimazione dell’acquirente, un atto dovuto da
parte della società. Lo statuto però può sottoporre a “particolari condizioni” il
trasferimento di azioni nominative, queste condizioni possono consistere nella previsione di
determinate condizioni personali per l’appartenenza alla società, come una data cittadinanza, o
la residenza in un dato luogo, o l’appartenenza a determinate categorie professionali ecc.
!
Nelle “particolari condizioni” rientrava la circostanza che l’acquirente fosse gradito alla società
(clausola di gradimento). Gli amministratori esaminavano di volta in volta l’identità
dell’acquirente ed esprimevano un parere; in questo modo il capitale di comando della società
teneva sotto controllo i mutamenti nell’azionariato, assicurando stabilità alla propria posizione
di comando. La validità della clausola di gradimento è stata vivacemente contestata, con la
riforma del 2003 la disciplina in proposito è stata temperata prevedendo l’efficacia di clausole
di gradimento solo se prevedono l’obbligo di acquisto a carico della società, oppure il diritto di
recesso in capo all’alienante.
!
Le particolari condizioni per il trasferimento della proprietà dei titoli, devono essere in realtà
riferite all’assunzione della legittimazione da parte dell’acquirente: le azioni infatti possono
essere validamente alienate anche a favore di persone che non rispettino le condizioni
richieste. Il mancato rispetto delle condizioni vale solo ad impedire che l’acquirente ottenga
l’iscrizione nel libro dei soci e quindi la legittimazione ad esercitare i diritti sociali. Si
preoccuperà perciò di ottenere il gradimento della società solo chi sia intenzionato a esercitare
i diritti relativi alle azioni acquistate, non avrà problemi invece chi le acquista al solo scopo di
investire risparmio o di speculare.
!
Clausola di intrasferibilità:
L’azione è, per sua natura, destinata alla circolazione; una clausola statutaria che ne sancisca
l’intrasferibilità è inammissibile. E’ ammessa per le azioni nominative solo una clausola di
temporanea intrasferibilità, per un periodo non superiore ai cinque anni. L’effetto e le
motivazioni di una clausola di questo tipo sono simili a quelle del patto parasociale di blocco.
Se la clausola viene inserita nello statuto però diventa anche opponibile ai terzi, il patto
parasociale d’altre parte ha il vantaggio di essere rinnovabile, mentre il rinnovo non è
ammesso per la clausola statutaria.
!
Clausola di prelazione:
Altra clausola frequente è quella di prelazione, che impone al socio il quale voglia vendere le
sue azioni di offrirle agli altri soci prima che a terzi, alle stesse condizioni cui il terzo sarebbe
disposto ad acquistarle.
!
La prelazione in questo caso è considerata alla stregua di una prelazione disposta per legge, ed
è perciò opponibile ai terzi (la prelazione disposta per contratto non è solitamente opponibile);
la vendita di azioni ai terzi, in violazione della clausola, è inefficace; e l’avente diritto alla
prelazione può riscattarle presso il terzo acquirente.
E’ opportuno fare menzione anche della c.d. prelazione impropria (o con vincolo di
prezzo), che può altresì essere prevista come clausola. Essa prevede che l’offerta ai soci debba
avvenire non alle stesse condizioni previste per i terzi, ma al contrario che sia sufficiente per i
soci offrire un “prezzo congruo”, a fronte del quale devono essere preferiti. Il “prezzo congruo”
equivale di solito al valore “di libro” dell’azione, quale frazione del patrimonio diviso per il
numero delle azioni emesse; in questo modo tuttavia non si tiene conto del maggior valore che
le azioni possono assumere sul mercato grazie al contributo di fattori non presenti in bilancio,
!54
come ad esempio l’avviamento. La prelazione con vincolo di prezzo pregiudica quindi il diritto
del socio ad alienare le sue azioni a prezzo di mercato; egli è costretto infatti a vendere agli altri
soci ad un prezzo “calmierato”, inferiore a quello risultante da una libera negoziazione.
!
DIRITTI ED OBBLIGHI DELL’AZIONISTA
!
Per quanto riguarda i diritti si suole distinguere fra diritti patrimoniali e diritti amministrativi:
!
- Diritti patrimoniali sono il diritto agli utili e alla quota di liquidazione, il
diritto di opzione, il diritto di recesso.
- Diritti amministrativi sono invece il diritto di intervento in assemblea, il
diritto di voto, quello ad impugnare le deliberazioni assembleari, il diritto di
prendere visione del bilancio e del libro dei soci.
!
Unico obbligo inerente all’azione è, salva la previsione statutaria di prestazioni accessorie,
quello di eseguire il conferimento nei modi e nei tempi stabiliti. Il socio in mora nei versamenti
non può esercitare il diritto di voto, ma non gli è interdetto l’esercizio degli altri diritti sociali.
!
LE SPECIALI CATEGORIE DI AZIONI
!
La regola è che “le azioni devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori
uguali diritti”. Questa regola, che già assume valore puramente formale (basti pensare al
maggior potere che hanno gli azionisti di maggioranza rispetto agli altri), può essere derogata
anche creando “categorie di azioni fornite di diritti diversi”, col solo vincolo che “le azioni
appartenenti alla medesima categoria conferiscono uguali diritti”. Per queste categorie speciali
di azioni vale il principio di atipicità: lo statuto può determinarne liberamente il contenuto,
entro i limiti imposti dalla legge (per esempio è vietata in ogni caso l’emissione di azioni a voto
plurimo).
Le azioni ordinarie attribuiscono, fondamentalmente, il diritto ad una parte proporzionale
degli utili, ed il diritto di voto in assemblea; le azioni appartenenti a categorie speciali possono
differenziarsi:
!
6. Come privilegiate sotto l’aspetto dei diritti patrimoniali: ai loro possessori è
riconosciuta una più elevata partecipazione agli utili oppure una minore incidenza delle
eventuali perdite.
!
In quest’ultimo caso si parla di “azioni postergate”, cioè azioni a cui, in caso di scioglimento
della società, viene data precedenza nel rimborso del capitale e che, in caso di riduzione del
capitale sociale, non vengono intaccate fino a quando non siano state annullate tutte le azioni
ordinarie.
!
7. Come azioni senza diritto di voto, o con diritto di voto limitato a particolari argomenti,
o con diritto di voto subordinato al verificarsi di determinate condizioni.
!
Queste azioni senza diritto di voto, o con diritto di voto limitato, non possono superare
complessivamente la metà del capitale sociale. Se si tratta di società che fanno ricorso al
capitale di rischio, possono essere emesse azioni con diritto di voto limitato se un soggetto
possiede più di un certo numero di azioni (ad es. se non è possibile, quale che sia la quota
posseduta, concentrare più del 2% dei voti nelle mani di un medesimo soggetto, le azioni che
gli consentirebbero di andare oltre questa soglia sono rilasciate senza diritto di voto), oppure si
può procedere a scaglioni (ad es. da 5 fino a 100 azioni si ha un voto ogni cinque azioni, da 101
!55
a 300 un voto ogni dieci azioni, e così via…). In questo modo si cerca di instaurare una sorta di
democrazia assembleare.
!
8. Come azioni che combinano i caratteri di cui sub a) con quelli di cui sub b): ad esempio
azioni con privilegio patrimoniale e senza voto.
!
Azioni per i dipendenti:
Un’altra speciale categoria di azioni può essere quella delle azioni rivolte ai prestatori di lavoro,
con norme particolari riguardo alla forma, al modo di trasferimento e ai diritti spettanti agli
azionisti. (il trasferimento, ad esempio, può essere ammesso solo a favore di altri prestatori di
lavoro, e solo previa autorizzazione del consiglio di amministrazione)
!
Le assemblee speciali:
L’esistenza di speciali categorie di azioni importa una modificazione della interna
organizzazione della società: gli azionisti appartenenti alle diverse categorie sono organizzati in
altrettante assemblee speciali, che debbono essere convocate ogni qualvolta una deliberazione
dell’assemblea generale pregiudichi i diritti della categoria. Si noti che formano una categoria
di azioni anche le azioni ordinarie, perciò la deliberazione che, ad esempio, aumenti il
privilegio riconosciuto alle azioni privilegiate, dovrà essere approvata dall’assemblea speciale
degli azionisti ordinari.
!
ALTRI STRUMENTI FINANZIARI
!
Le azioni come sappiamo rappresentano una frazione del capitale sociale, tuttavia la società
può emettere altri strumenti finanziari partecipativi, diversi dalle azioni e slegati da ogni
rapporto con il capitale sociale. Questi strumenti vengono emessi a fronte di un determinato
apporto di denaro o di servizi, e attribuiscono ai loro possessori diritti di ordine patrimoniale o
amministrativo; essi non rappresentano la qualità di socio, bensì quella di associato in
partecipazione. I diritti patrimoniali possono consistere in una partecipazione agli utili
genericamente considerati oppure agli utili che la società tragga da uno specifico affare. I diritti
amministrativi possono includere il diritto di voto su argomenti specificamente indicati e, in
particolare, per la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione.
Lo statuto determina le modalità con le quali i portatori di questi strumenti esercitano il voto.
Le deliberazioni dell’assemblea generale, che pregiudichino i diritti dei portatori di strumenti
finanziari dotati di diritti amministrativi, debbono essere approvate dalla loro assemblea
speciale.
Diversi sono gli strumenti finanziari, non partecipativi, che attribuiscono il diritto di
sottoscrivere azioni ad un prezzo determinato, come le c.d. stock options, offerte agli
amministratori o ai dirigenti della società.
!
LE PARTECIPAZIONI E I GRUPPI DI SOCIETA’
!
L’acquisto di azioni proprie:
Una società può acquistare azioni proprie solo a determinate condizioni. La finalità può essere
quella di esercitare una funzione di sostegno e di stabilizzazione delle quotazioni in borsa.
L’acquisto delle proprie azioni è sottoposto ad un limite, pari alla decima parte del capitale
sociale, ed è subordinato ad una triplice condizione:
!
- Che esso sia autorizzato dall’assemblea.
- Che sia fatto con somme prelevate da utili distribuibili o da riserve
disponibili, risultanti dall’ultimo bilancio approvato (non si possono
!56
utilizzare le riserve statutarie, né i fondi iscritti in bilancio a fronte di debiti o
rischi.
- Che si tratti di azioni interamente liberate.
!
L’acquisto deve essere “autorizzato” dall’assemblea, che fissa le modalità dell’operazione, il
numero massimo e minimo delle azioni, il prezzo massimo e minimo. Si può considerare uno
dei rari casi in cui l’assemblea delibera su atti di gestione, anche se non si tratta di una vera e
propria delibera; l’assemblea si limita ad autorizzare l’acquisto da parte degli amministratori,
perciò esso resta in ultima analisi un atto di gestione proprio di questi ultimi.
!
L’autorizzazione vale per un periodo massimo di diciotto mesi, trascorso il quale gli
amministratori dovranno chiedere una nuova autorizzazione.
!
L’acquisto di azioni proprie deve essere effettuato mediante offerta pubblica di acquisto.
!
Il diritto di voto inerente alle azioni è sospeso finché restano di proprietà della società, il voto
sarebbe altrimenti esercitato dagli amministratori, che verrebbero ad acquistare una posizione
di potere in assemblea utilizzabile a loro vantaggio (potrebbero riconfermarsi allo scadere del
mandato, aumentarsi lo stipendio, approvare i bilanci da loro stessi predisposti ecc.). Per la
stessa ragione gli amministratori non possono disporre delle azioni senza la previa
autorizzazione dell’assemblea (potrebbero altrimenti cederle a propri fiduciari ed esercitare il
voto tramite quelli), inoltre la società non può ricevere in pegno le proprie azioni, né fare
prestiti a terzi per acquistare le proprie azioni. Il voto delle azioni ricevute in pegno sarebbe
infatti esercitato dagli amministratori, mentre il prestito a terzi consentirebbe loro di far
acquistare a terzi compiacenti, con soldi della società, azioni destinate ad assicurare posizioni
di potere agli amministratori.
!
Divieto di sottoscrizione:
A differenza dell’acquisto, che a determinate condizioni è legittimo, la sottoscrizione di azioni
proprie è vietata. Il divieto non comporta nullità della sottoscrizione, bensì qualificazione di
questa come effettuata, pur sotto il nome della società, dai soci fondatori (se all’atto della
costituzione) o dagli amministratori (in sede di aumento del capitale), con la conseguenza che
spetterà a costoro di liberare le azioni sottoscritte.
!
Riscatto:
Le limitazioni all’acquisto non si applicano se questo avvenga in esecuzione di una
deliberazione assembleare di riduzione del capitale, da attuarsi mediante riscatto e
annullamento di azioni. La riduzione del capitale può avvenire infatti in due modi: o riducendo
il valore nominale di ciascuna azione, e rimborsando ai soci la differenza, oppure mantenendo
inalterato il valore nominale di ciascuna azione annullando, contro il rimborso del loro valore,
il numero di azioni corrispondente al capitale in eccedenza. Il riscatto è appunto il mezzo
forzoso mediante il quale la società acquisisce le azioni da annullare. Il criterio di
individuazione delle azioni da riscattare (criterio che la norma non specifica) deve per forza
essere quello che impone di esercitare il riscatto nei confronti di tutti i soci, proporzionalmente
al numero di azioni possedute; questo è l’unico criterio rispondente al principio della parità di
trattamento fra i soci. Il criterio del sorteggio delle azioni da riscattare o altri criteri analoghi
violano questo principio.
Qualora una clausola statutaria preveda il riscatto delle azioni alle quali siano connesse
prestazioni accessorie, per l’ipotesi di inadempimento di queste prestazioni o di sopraggiunta
impossibilità della loro esecuzione, il riscatto delle azioni equivale ad esclusione del socio dalla
società; il riscatto differisce dalla decadenza del socio moroso per il fatto che non implica
!57
l’estinzione delle azioni, con conseguente riduzione del capitale sociale, bensì il loro acquisto
da parte della società. Le limitazioni all’acquisto di azioni proprie non si applicano quando
questo avvenga a titolo gratuito o in sede di esecuzione forzata per realizzare un credito della
società.
!
PARTECIPAZIONI IN ALTRE SOCIETA’
!
L’acquisto di azioni di altre società non solo è permesso, ma è anche un fenomeno
caratterizzante l’economia contemporanea. L’acquisto di azioni di altre società è limitato solo
quando fra le due società si instaura un rapporto di partecipazione reciproca; questo
situazione, che può produrre effetti equivalenti all’acquisto di azioni proprie, è perciò
sottoposta alla medesima disciplina prevista in quel caso, e alle stesse identiche condizioni (v.
sopra). Se la società controllata avesse potuto acquistare liberamente azioni della controllante,
gli amministratori di quest’ultima si sarebbero trovati nella situazione di chi controlla sé
stesso.
Inoltre, come la società non può sottoscrivere azioni proprie, così alla controllata è del tutto
vietato sottoscrivere azioni della controllante.
!
Il controllo:
L’art. 2359 ha cura di stabilire cosa debba intendersi per società controllata:
!
- Quella in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili in
assemblea.
- Quella in cui un’altra società dispone dei voti sufficienti per esercitare una influenza
dominante nell’assemblea.
- Le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari
vincoli contrattuali con essa.
!
La prima ipotesi è quella del c.d. controllo “di diritto”, quella cioè in cui una società disponga
del 50% più uno del capitale di un’altra società. La seconda ipotesi è il controllo azionario “di
fatto”, la terza è il cosiddetto controllo esterno.
La catena del controllo non conosce limiti e può alternare società con controllo di diritto a
società con controllo di fatto; se lungo la catena ci si imbatte in una società che abbia poteri di
controllo su un’altra in virtù di particolari vincoli contrattuali, la catena viene in un certo senso
spezzata.
Se la società C controlla D in virtù di particolari vincoli contrattuali, C controllerà anche i
successivi anelli della catena E, F ecc. anche se fra questi intercorrano rapporti di controllo
basati sulla partecipazione azionaria. Tuttavia il vincolo contrattuale fra C e D spezza la catena
nel senso che A e B, controllanti di C, non avranno alcun potere su D.
La catena del controllo genera il c.d. “effetto telescopio”, grazie al quale chi detiene quote
anche irrisorie di ricchezza riesce a governare enormi colossi societari dotati di ricchezze
sterminate. Per es. A possiede il 51% di B, la quale possiede il 51% di C e così via, la quota di A
all’interno della società F per esempio sarà veramente irrisoria, ciononostante A sarà in grado
di nominare i suoi amministratori.
!
Limite sull’oggetto sociale:
L’assunzione di partecipazioni in altre imprese non è consentita se vale a modificare l’oggetto
sociale determinato dallo statuto. Questa norma si propone di evitare che gli amministratori
possano attuare, tramite l’assunzione di partecipazioni in società aventi un oggetto diverso,
una modificazione di fatto dell’oggetto sociale.
!
!58
I FONDI COMUNI D’INVESTIMENTO
!
Il fondo comune di investimento è uno strumento in cui si attua la concentrazione dei risparmi
di una pluralità di investitori, che li affidano a un gestore perché li investa, secondo il criterio
della massima diversificazione volta a ridurre il più possibile il rischio.
Il fenomeno presenta alcuni tratti caratteristici, vi compaiono sempre tre categorie:
!
- Gli investitori depositanti
- La banca depositaria
- La società di gestione
!
I primi depositano un importo presso la banca e conferiscono un duplice mandato: Al gestore
perché amministri le somme depositate e disponga le operazioni da eseguire su di esse, e alla
banca stessa perché esegua sul denaro depositato le operazioni disposte dal gestore.
Quest’ultimo ha pieni poteri di gestione: occupa, rispetto ai partecipanti, la posizione di un
mandatario senza rappresentanza, perciò dispone l’acquisto e la vendita dei titoli per conto dei
partecipanti ma in nome proprio, obbligandosi personalmente nei confronti dell’altro
contraente; conformemente alla norma sul mandato senza rappresentanza, i creditori della
società di gestione non potranno rivalersi sul fondo. La società infatti non è proprietaria dei
titoli che acquista per conto dei partecipanti, e tuttavia essa è il solo soggetto legittimato ad
esercitare i diritti sociali inerenti a tali titoli; si ha dunque qui la più completa dissociazione fra
proprietà e controllo della ricchezza: la prima, riservata ai partecipanti, è una proprietà del
tutto inerte, priva di ogni funzione dirigente; il controllo della ricchezza è invece attribuito ad
un soggetto (la società di gestione) che non ne è proprietario.
!
La condizione giuridica del fondo è quella di un patrimonio del tutto autonomo, distinto dal
patrimonio della società di gestione e da quello di ciascun partecipante. I creditori della società
di gestione non possono rivalersi sul fondo. I creditori dei singoli partecipanti possono invece
agire solo sulle quote di partecipazione dei loro debitori.
!
Sebbene si tratti di fondo “comune” d’investimento, esso non è tecnicamente oggetto di una
comproprietà. Nessuna delle caratteristiche giuridiche della comunione si rispecchia nella
condizione dei fondi d’investimento: I partecipanti non concorrono all’amministrazione, non
sono responsabili delle obbligazioni inerenti alla negoziazione dei titoli, non possono chiedere
la divisione del fondo (ma solo il rimborso delle loro quote).
L’istituzione del fondo, che parte su iniziativa del gestore, vale come offerta al pubblico: il
regolamento del fondo determina le condizioni generali dei contratti intercorrenti fra i
partecipanti e la società di gestione, e fra i partecipanti e la banca. All’atto del deposito presso
la banca di somme destinate all’acquisto di una o più quote quei contratti si perfezionano:
l’investitore accetta la proposta della società di gestione.
!
Le quote:
Le quote di partecipazione al fondo sono tutte di uguale valore e attribuiscono uguali diritti. I
diritti del partecipante sono tutti di natura patrimoniale, escluso ogni diritto amministrativo di
concorso nella gestione del fondo, e in linea di massima comprendono:
!
- Il diritto di esaminare il rendiconto della gestione del fondo e il prospetto
della sua composizione.
- Il diritto ai proventi derivati dalla gestione, nella misura indicata dal
regolamento (sempre che non si tratti di un fondo di accumulazione, il quale
escluda la periodica ripartizione dei proventi).
!59
- Il diritto, come si diceva, al rimborso delle quote.
!
I fondi chiusi differiscono da quelli ordinari per il fatto che il fondo è di un ammontare
determinato e non è consentito il rimborso delle quote prima della scadenza.
!
I GRUPPI DI SOCIETA’
!
Quando un’impresa raggiunge dimensioni consistenti ed estende la sua azione a vari mercati,
essa assume inevitabilmente la configurazione di una pluralità di società distinte, operanti
sotto la direzione unificante di una holding, una capogruppo.
A ciascuna delle società che compongono il gruppo corrisponde, quale oggetto sociale, un
distinto settore di attività, ma le azioni di tutte queste società appartengono in maggioranza ad
una diversa entità, la holding, alla quale spetta la direzione e il coordinamento dell’intero
gruppo.
!
Il primo dei vantaggi di questa forma deriva dalla distinta soggettività giuridica delle società
operanti sotto il controllo della holding, sicché coloro che abbiano acquistato ragioni di credito
nei loro confronti non hanno titolo per invocare la responsabilità della capogruppo. Nelle
holding spesso le due principali funzioni imprenditoriali, quella direttiva e quella di
produzione o di scambio, vengono definitivamente separate: si dà luogo cioè ad una società
capogruppo (definita holding “pura”) che non svolge alcuna attività di produzione o scambio
ma si limita ad amministrare le società del gruppo.
Altra caratteristica risiede nella trasformazione dell’antico rapporto gerarchico che poneva
l’imprenditore a capo dell’impresa. Questa gerarchia aziendale viene spezzata ed è attribuita
una autonomia decisionale ai manager dei diversi settori o dei diversi mercati entro i quali
l’impresa opera, essendo essi elevati alla condizione di amministratori di società separate, e in
quanto tali anche investiti delle proprie responsabilità civili e penali.
!
All’attività di direzione si associano nelle holding attività di assistenza alle società che
compongono il gruppo, questa assistenza può essere tecnica o finanziaria: La prima fa sì
che determinate funzioni imprenditoriali vengano accentrate presso la holding. Così ad
esempio un’apposita divisione interna alla holding può occuparsi di elaborare, per tutte le
società del gruppo, le tecniche di redazione del bilancio, un’altra divisione opera quale centro
specializzato nell’innovazione tecnologica ecc.
L’assistenza finanziaria riguarda la provvista dei mezzi finanziari necessari alla controllata,
può consistere anche nel rilascio di fideiussioni da parte della holding, o di lettere di patronage
per assicurare credito bancario alla controllata.
C’è propriamente un gruppo solo quando una pluralità di società viene ricondotta ad unità
dalla guida che una di esse esercita sulle altre, questa unità di direzione non deve essere
provata: si presume che la società controllante si avvarrà della propria posizione di supremazia
per determinare la condotta delle controllate.
!
E’ definita holding l’entità che, in forza della propria partecipazione di controllo, esercita
un’attività di direzione e coordinamento nei confronti di altre società, ponendosi così a capo
del gruppo. Normalmente la holding è una società di capitali, ma può essere anche una società
di persone, o un qualsiasi ente (associazione, fondazione ecc.); al limite può essere holding
anche una persona fisica. Bisogna però accertare che questa sia più di un semplice azionista
che semplicemente gestisca il suo portafoglio azionario, egli deve svolgere, per il tramite del
controllo azionario, la vera e propria funzione imprenditoriale di coordinamento del gruppo.
!
!60
L’oggetto sociale della holding:
L’esistenza di una norma che vieta “la partecipazione in altre imprese, se per le caratteristiche
di tale partecipazione risulti modificato l’oggetto sociale” dimostra che la partecipazione in una
società di oggetto diverso può effettivamente comportare una modificazione dell’oggetto della
società partecipante. L’oggetto sociale infatti può essere individuato come oggetto immediato
(società operante) ma anche come oggetto mediato (holding), l’oggetto della holding deriva
dalla attività di produzione o di scambio che forma oggetto delle società operanti.
!
IL POTERE DI DIREZIONE E COORDINAMENTO
!
Alla holding spetta l’attività di direzione e coordinamento del gruppo; essa attua questa
funzione esercitando il voto di socio di maggioranza nelle assemblee delle controllate, e anche
facendo valere il rapporto fiduciario che lega gli amministratori all’azionista di controllo. Non
si tratta di una trasmissione formale di decisioni: gli amministratori delle società controllate
occupano una posizione autonoma, come un qualunque amministratore di società per azioni.
L’assemblea non può imporre loro di compiere determinati atti di gestione, perché
l’amministrazione è materia di esclusiva responsabilità degli amministratori. E’ vero tuttavia
che al rapporto formale fra assemblea e amministratori sottostà un interno rapporto fiduciario
fra il capitale di comando e gli amministratori, essendo il primo che provoca la nomina, ed
eventualmente la revoca, dei secondi. Il rapporto fiduciario si manifesta in direttive
“confidenziali” del capitale di comando, alle quali gli amministratori spontaneamente si
adeguano. L’influenza dominante resta comunque una mera situazione di fatto, le direttive di
cui sopra non possono essere imposte dalla controllante; gli amministratori, se vi si
conformano, lo fanno sotto la propria responsabilità, assumendo come proprie le conseguenze
delle relative decisioni. La mancata esecuzione della direttive influisce pertanto solo sul
rapporto di fiducia fra gli azionisti di controllo e l’amministrazione, che potrà non essere
riconfermata al termine della carica, o addirittura essere revocata.
!
L’INTERESSE DEL GRUPPO
!
La condizione giuridica di un gruppo è molto diversa da quella di una singola società; già in
passato la giurisprudenza se ne era resa conto, in particolare la Cassazione aveva provveduto a
chiarire che, per quanto riguarda la società controllante:
!
- La remissione di un debito, a favore di una controllata, da parte della
holding, non è un atto di liberalità, essendo quest’ultima mossa da un
proprio interesse (anche se indiretto e per così dire mediato) a ridurre il
passivo della controllata e magari a salvarla dal rischio di fallimento.
- Non è un atto di liberalità neanche la cessione gratuita di crediti da una
società all’altra del medesimo gruppo, trattandosi di un atto che ubbidisce
alla logica del gruppo.
- Neppure è atto di liberalità la fideiussione infra-gruppo, per lo stesso motivo.
!
Per la Cassazione, in poche parole, la società del gruppo che agisce in ausilio di una società-
sorella non soddisfa un interesse altrui, bensì un proprio interesse, pur se in modo “mediato ed
indiretto”.
!
Del pari, sul versante delle società controllate:
!
- Il fatto di ubbidire alle direttive della holding non implica una
“subordinazione degli interessi sociali ad interessi estranei”, giacché le
!61
controllate appartengono al gruppo, perciò gli interessi del gruppo non
possono dirsi a loro estranei.
- Attività, da parte di una controllata, volte a perseguire interessi del gruppo,
anche non direttamente legati alla controllata, sono del tutto ammissibili.
!
I limiti posti alla controllante sono:
!
6. Non può, tramite le sue direttive, indurre gli amministratori della controllata a
deliberare arrecando pregiudizi alla loro società, dovendosi gli amministratori in ogni
caso “astenere dall’eseguire delibere o indirizzi che possano danneggiare la società”.
7. Il sacrificio di una società in favore di una sorella non può essere fine a sé stesso, deve
sempre corrispondere ad un interesse, ancorché indiretto e mediato, della società che lo
mette in atto.

Nella legge di riforma del diritto delle società (2003) si dà atto che “la collocazione all’interno
di un gruppo muta le condizioni di esercizio dell’impresa, perciò nelle decisioni di una
controllata il calcolo del rapporto fra costi e benefici può essere molto diverso da quello
ipotizzabile per una società isolata, poiché si deve tener conto anche dei costi e benefici
generali relativi al gruppo.
Per questo le decisioni della società controllata, specie quelle che sacrificano un suo interesse
in virtù di un interesse generale del gruppo, devono essere analiticamente motivate; bisogna
spiegare, con elementi di valutazione convincenti, quale interesse generale si è voluto
privilegiare, anche a danno degli interessi particolari della società.
!
Per lo stesso motivo inoltre si è stabilito che non sussiste responsabilità della controllante per
la lesione di interessi della controllata “quando il danno risulta mancante alla luce del risultato
complessivo del gruppo”; il pregiudizio recato al patrimonio della controllata non è dunque
fonte di responsabilità per la holding (ma neanche per gli amministratori della controllata
stessa), se trova compensazione nei vantaggi, conseguiti o fondatamente prevedibili, che alla
controllata derivano dall’appartenenza al gruppo.
!
RESPONSABILITA’ DELLA HOLDING
!
La reciproca autonomia fra le società componenti il gruppo produce l’effetto di trasformare in
rapporti di scambio tra società quelli che costituiscono, in sostanza, semplici spostamenti di
risorse interni al medesimo gruppo. E’ ben nota, al riguardo, la prassi di alcune multinazionali:
dalle società figlie trasferiscono utili alla società madre sotto le sembianze di corrispettivi per
forniture di consulenza, licenze ecc., che nei bilanci delle società figlie sono iscritti come costi,
così riducendo l’utile d’esercizio sottoposto a tassazione o da distribuire agli azionisti di
minoranza. Questa prassi si collega spesso alla collocazione della società madre in un paese
che offra il più vantaggioso regime fiscale.
La prima a considerare queste fattispecie è stata la legislazione tedesca, la quale prevede, per
i contratti intervenuti fra società del gruppo, che gli amministratori indichino chiaramente la
prestazione e la controprestazione, la congruità di quest’ultima, l’utilità e convenienza dei
contratti. Inoltre, è stabilito che “l’impresa dominante non può usare la sua influenza per
indurre una controllata a prendere provvedimenti pregiudizievoli per lei, a meno che i danni
non vengano compensati”. In caso contrario la società è tenuta al risarcimento del danno, ed è
responsabile anche verso gli azionisti della controllata, nella misura in cui questi siano stati
danneggiati.
!
!62
La riforma italiana prevede che “gli amministratori debbano indicare, nella relazione sulla
gestione, i rapporti intercorsi con la società madre e con le altre società del gruppo, nonché
l’effetto che tale attività ha avuto sull’esercizio dell’impresa e sui suoi risultati”. Gli elementi di
valutazione da fornire non riguardano, come per le legge tedesca, le singole operazioni e la loro
congruità, quanto piuttosto il complesso dell’attività economica svolta dalla società figlia.
Sotto il profilo della responsabilità per danni la nuova normativa prevede: “la società
che, esercitando la sua attività di direzione e coordinamento, agisce in violazione dei principi
di corretta gestione delle controllate, è direttamente responsabile nei confronti dei loro soci e
dei creditori sociali”. Questa norma ricalca lo schema della responsabilità da fatto illecito ex
art. 2043 (fatto colposo – danno ingiusto). La responsabilità della holding vale nei confronti
dei soci e creditori della controllata, non verso la controllata stessa. Com’è ovvio infatti non
sarà la controllata a dolersi con la sua controllante, poiché è governata da questa perciò
agirebbe, in definitiva, contro sé stessa; interessati saranno invece gli azionisti e i creditori
della controllata.
!
I diritti del socio che la norma protegge sono:
!
· Il diritto agli utili, cioè la sua legittima aspettativa alla redditività della sua
partecipazione. La controllata è pur sempre una società, e il suo fine ex art. 2247
dev’essere la realizzazione e divisione di utili. La gestione sociale deve essere condotta
in modo da permettere la remunerazione del capitale investito.
· Il diritto al valore della partecipazione, cioè il diritto del soci al mantenimento del
valore di scambio della sua partecipazione, qualora decidesse di venderla.
!
La scorretta gestione sta nell’avvalersi dei poteri di direzione e coordinamento per realizzare
l’interesse proprio a danno delle controllate, o l’interesse di una controllata a danno di
un’altra; non c’è violazione dei principi di corretta gestione quando l’interesse perseguito
risulta essere riferibile non già alla sola controllante, bensì all’intero gruppo, per cui sia
destinato a tradursi in un indiretto vantaggio per tutte le società che al gruppo appartengono.
Non c’è pregiudizio risarcibile, inoltre, quando a fronte del danno subito dalla controllata le sia
offerta una specifica compensazione.
!
Trattandosi di responsabilità da fatto illecito, incomberà sui danneggiati l’onere di provare la
colpa della holding, ed il rapporto di causalità fra la sua condotta e il lamentato danno. Un
simile onere probatorio è tutt’altro che agevole, specie considerando che spesso il pregiudizio a
soci e creditori deriva da operazioni della controllata, poste in essere su direttiva della holding,
e che queste direttive sono il più delle volte “confidenziali”, e non risultanti da alcun atto
formale. Talvolta i commissari straordinari o i curatori fallimentari rinvengono ugualmente
tracce scritte di queste direttive, in caso contrario potrà essere ammissibile una prova per
presunzioni, qualora risulti che gli amministratori della controllata si sono sempre comportati
quali meri esecutori di superiori istruzioni. In solido con la holding rispondono coloro che
abbiano preso parte al fatto lesivo, ossia gli amministratori della holding, quelli della
controllata (quali esecutori della direttiva pregiudizievole), e, nei limiti del vantaggio
conseguito, chiunque ne abbia tratto consapevolmente beneficio (come la società sorella a cui
siano state trasferite le risorse, che potrà essere condannata a restituirle).
L’azione esecutiva dovrà essere promossa prima nei confronti della controllata e solo dopo,
se il patrimonio di questa non fosse sufficiente, si potrà attaccare il patrimonio della holding.
!
Non sempre è la stessa controllata di cui i danneggiati sono soci o creditori ad aver provocato il
danno con la complicità della holding: quest’ultima potrebbe aver indotto, ad esempio, una
controllata (A) ad interrompere le commesse destinate ad un’altra controllata (B), portando
!63
questa alla rovina. Qui le direttive pregiudizievoli si rivolgono ad una controllata diversa da
quella danneggiata. In questo caso risponderanno, in solido con la holding, gli amministratori
di A, e non quelli di B, che sono immuni da colpa.
!
Altro rimedio a favore del socio danneggiato dalla mala gestio della holding è il diritto di
recesso; può accadere anche che il socio receda da una società non colpevole di scorrettezze
gestionali attuate in complicità con la holding, come nel caso appena esposto.
!
Ci si domanda se la holding possa liberarsi da responsabilità dimostrando di aver adottato
modelli di gestione idonei a prevenire gli illeciti, e che le persone che li hanno commessi hanno
eluso quei modelli fraudolentemente. La risposta deve essere positiva. Si tratta, infatti, di una
prova liberatoria simile a quella di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
L’illecito sarà quindi da imputare alle persone fisiche che lo hanno commesso, e non alla
holding.
!
L’UNITA’ DELL’IMPRESA DI GRUPPO
!
L’unità dell’impresa di gruppo si manifesta sotto molteplici aspetti:
!
Il gruppo è trattato come unica impresa dalla norma che impone alla controllante di redigere
annualmente il bilancio del gruppo.
La circolazione endogruppo di partecipazioni azionarie non vale come negoziazione di
mercato, è considerata vicenda interna all’impresa ed è perciò sottratta all’obbligo di offerta
pubblica.
Per il diritto della concorrenza il gruppo di società si presenta come unica “unità
concorrenziale”.
Il marchio del quale sia titolare la holding può essere liberamente utilizzato dalle controllate,
senza necessità di un’apposita licenza.
!
La riforma del 2003 ha colto ulteriori aspetti:
!
Ha imposto la esteriorizzazione del rapporto di gruppo: Esige cioè che sia rivelata negli atti e
nella corrispondenza, nonché nel registro delle imprese, la natura di società appartenente a un
gruppo. La holding sarà iscritta in un’apposita sezione nel registro delle imprese, con l’elenco
delle società controllate.
Gli amministratori che non abbiano dato la prescritta pubblicità del rapporto di gruppo
potranno essere chiamati a risarcire i terzi eventualmente danneggiati da questa
mancanza.
!
Ha aggiunto nuove cause di recesso attinenti alla holding, accanto a quelle ordinarie: Se la
controllante delibera un mutamento dello scopo sociale che la conduca ad operare in un
settore di mercato profondamente diverso da quello originario, il mutamento delle condizioni
di rischio che ne deriva legittima a recedere anche i soci della controllata.
!
!
L’ASSEMBLEA
!
L’assemblea dei soci può essere ordinaria o straordinaria. La distinzione non attiene a
caratteri propri della riunione assembleare, né al tempo della sua convocazione, attiene invece
alla materia da trattare: l’assemblea è ordinaria o straordinaria a seconda del carattere,

!64
ordinario o straordinario, degli oggetti posti in deliberazione. Per l’assemblea straordinaria
sono previsti quorum costitutivi e deliberativi diversi, inoltre il verbale deve essere redatto da
un notaio.
!
Le competenze dell’assemblea ordinaria variano a seconda che sia istituito o meno un consiglio
di sorveglianza all’interno dell’impresa. L’assemblea ordinaria di società prive del consiglio di
sorveglianza:
!
Approva il bilancio.
Nomina e revoca gli amministratori.
Determina il compenso degli amministratori e dei sindaci.
Delibera sulla responsabilità di amministratori e sindaci.
Delibera sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell’assemblea.
!
Più ristretta è la competenza dell’assemblea ordinaria nelle società che abbiano optato per
il sistema dualistico, nel quale spetta al consiglio di sorveglianza di nominare e revocare gli
amministratori, promuovere azioni di responsabilità nei loro confronti e approvare il
bilancio. In questo caso l’assemblea:
!
Nomina e revoca i consiglieri di sorveglianza.
Determina il compenso ad essi spettante.
Delibera sulla loro responsabilità.
Delibera sulla distribuzione degli utili.
Nomina il revisore.
!
L’assemblea straordinaria delibera:
!
- Sulle modificazioni dello statuto.
- Sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori, e su ogni altra
materia attribuita dalla legge alla sua competenza.
!
L’assemblea non è dotata di una competenza generale (in passato lo era). Può deliberare solo
nelle materie che siano espressamente attribuite alla sua competenza, ogni materia che esuli
da questo elenco tassativo è appannaggio degli amministratori. In linea di massima sono
riservati all’assemblea solo i supremi atti di governo della società.
!
Tra assemblea e amministratori si stabilisce una vera e propria divisione di poteri: la gestione
dell’impresa sociale è riservata agli amministratori, l’assemblea non può impartire loro
direttive circa il compimento degli atti di gestione. Gli amministratori, una volta nominati,
esercitano dunque in piena autonomia le proprie funzioni.
!
Prima della riforma era consentito che lo statuto riservasse alla competenza dell’assemblea
materie attinenti alla gestione della società, e quindi normalmente appannaggio
dell’amministrazione. La riforma ha invece rafforzato l’autonomia degli amministratori,
rendendo più rigida la divisione dei poteri fra gli organi sociali. Ora nemmeno lo statuto può
più attribuire compiti di gestione all’assemblea, al massimo può essere prevista la
“autorizzazione” dell’assemblea per determinati atti di gestione. L’autorizzazione non obbliga
gli amministratori a compiere l’atto in questione, esso resta atto proprio degli amministratori
stessi, che ne sono responsabili.
!
REGOLE DI FUNZIONAMENTO DELL’ASSEMBLEA
!65
!
La convocazione dell’assemblea spetta agli amministratori. In alcuni casi essi devono
convocarla: Almeno una volta all’anno, quando sia venuta a mancare la maggioranza degli
amministratori, quando il capitale sociale è diminuito di oltre un terzo, quando si è verificato
un fatto che determina lo scioglimento della società. Fuori da questi casi, l’iniziativa della
convocazione è rimessa all’apprezzamento degli amministratori, ma si intende che la mancata
convocazione, nel caso in cui era invece opportuna, potrà essere considerata violazione del
dovere di diligenza.
!
Iniziativa dei soci:
Oltre che agli amministratori, l’iniziativa della convocazione è riconosciuta agli azionisti;
occorre però che la richiesta, rivolta all’organo amministrativo, provenga da tanti soci che
rappresentino almeno un decimo del capitale sociale (o la percentuale eventualmente minore
prevista dallo statuto). Inoltre occorre che nella richiesta siano indicati gli argomenti da
trattare. Gli amministratori hanno, in questo caso, l’obbligo di convocare l’assemblea senza
ritardo: se essi non provvedono la convocazione è disposta dal tribunale.
!
La convocazione è fatta mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, o in almeno un
quotidiano indicato nello statuto, con quindici giorni d’anticipo, e deve contenere indicazione
di giorno, ora e luogo dell’adunanza, nonché l’elenco delle materie de trattare. Per le società
che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio è ammessa la convocazione mediante
avviso comunicato ai soci.
!
Il rinvio dell’adunanza (non oltre cinque giorni) può essere chiesto dai soci che rappresentino
almeno un terzo del capitale, se ritengono di non essere sufficientemente informati sugli
oggetti posti in deliberazione. Questo diritto può essere esercitato solo una volta per lo stesso
oggetto.
!
Seconda convocazione:
Si distingue fra assemblea di prima convocazione e, per l’ipotesi in cui questa sia andata
deserta, assemblea di seconda convocazione; la distinzione rileva per i diversi quorum previsti
per l’una e per l’altra. E’ consentito che nell’avviso di prima convocazione sia indicato anche il
giorno della seconda convocazione.
!
L’INTERVENTO IN ASSEMBLEA
!
Possono intervenire in assemblea solo coloro ai quali spetti il diritto di voto. Non possono
intervenire estranei, come legali o consulenti dei soci, né azionisti privi di diritto di voto. Gli
azionisti possono anche far intervenire in assemblea propri rappresentanti, cui abbiano
rilasciato procura scritta.
!
Prima del 1974 la rappresentanza del socio in assemblea era ammessa senza limiti, ma questo
dava luogo a fenomeni problematici:
!
L’azionista assenteista, di norma, è un risparmiatore che ha acquistato le azioni e le ha, quindi,
depositate presso una banca “in amministrazione”, cioè con l’incarico di esercitare per suo
conto i diritti ad esse inerenti. Fra le condizioni che la banca faceva sottoscrivere al cliente
c’era anche la procura che quest’ultimo conferiva alla banca per il voto in assemblea. La massa
di procure, che gli azionisti disinteressati alla gestione affidavano alle loro banche, si
trasformavano così in un enorme serbatoio di voti a disposizione della banca.
!
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Le riforme del ’74 e del 2003 hanno vietato il conferimento di una rappresentanza generale in
assemblea, ossia quella riguardante, senza limiti di tempo e di oggetto, tutte le riunioni
assembleari: la rappresentanza può essere conferita solo per singole assemblee. E’, in secondo
luogo, vietata la procura in bianco: il nome del rappresentante deve essere indicato nella
delega, non può essere lasciato in bianco. Infine, per arginare l’incetta di procure, sono stati
imposti limiti quantitativi: la stessa persona non può rappresentare in assemblea più di un
certo numero di soci (gli scaglioni dipendono dal capitale sociale).
La rappresentanza non può essere conferita né agli amministratori né a dipendenti della
società; la norma vale anche a prevenire il rischio che gli amministratori possano, con
un’incetta di procure, affrancarsi da ogni controllo dell’assemblea.
!
IL PRESIDENTE
!
“L’assemblea è presieduta dalla persona indicata nello statuto, o eletta dall’assemblea stessa
con il voto della maggioranza dei presenti; il presidente è assistito da un segretario designato
allo stesso modo”. Qualsiasi presidente di assemblea ha il potere di:
!
- Dichiarare aperta la seduta.
- Porre in discussione le materie all’ordine del giorno.
- Dare la parola, moderare le discussione e, in generale, assicurarne l’ordinato
svolgimento.
- Proclamare il risultato delle votazioni.
- Dichiarare chiusa la seduta.
!
La riforma del 2003 aggiunge poteri più estesi a questo minimum di facoltà, in particolare il
presidente può:
!
- Verificare qual è la quota di capitale presente in assemblea.
- Accertare l’identità dei presenti e la loro legittimazione all’intervento in
assemblea.
- Regola lo svolgimento dell’assemblea, ponendo in discussione e votazione le
varie materie all’ordine del giorno, ed esige il rispetto del regolamento di
assemblea.
- Accerta il risultato delle votazioni.
!
IL VOTO E LA DELIBERAZIONE
!
Il voto è la dichiarazione unilaterale di volontà espressa dal socio in assemblea sugli oggetti
posti in deliberazione. La deliberazione differisce dai voti che concorrono a formarla
quantitativamente, non qualitativamente; consiste in una molteplicità di dichiarazioni
unilaterali, quante occorrono per formare la maggioranza richiesta. E’ necessaria una
distinzione fra quorum costitutivo e deliberativo: il primo è la quota di capitale che deve
essere presente perché l’assemblea possa validamente operare, il secondo è la quota di capitale
rispetto alla quale si calcola la maggioranza richiesta per deliberare. Nel determinare il
quorum costitutivo si conteggiano anche le azioni per le quali non può essere esercitato il
diritto di voto, queste non vengono invece considerate per determinare il quorum deliberativo.
Coloro che, pur potendo votare, hanno deciso di astenersi, vengono invece inclusi nel computo
del quorum deliberativo, ed equiparati a chi ha espresso voto contrario.
!
Tipo di assemblea Quorum costitutivo Maggioranza richiesta

!67
Ordinaria 1° convocazione Metà del capitale sociale Maggioranza assoluta del
quorum deliberativo
Ordinaria 2° convocazione Non richiesto Maggioranza assoluta del
quorum deliberativo
Straordinaria 1° conv. Non richiesto Maggioranza assoluta del
capitale sociale
Straordinaria 2° conv. Un terzo del cap. soc. Due Terzi del capitale
presente
!
Il sistema di votazione, se non è stabilito dallo statuto, è deciso volta per volta
dall’assemblea stessa o dal presidente: Si può votare per alzata di mano, per acclamazione, per
schede. Si considera che lo scrutinio segreto non sia permesso, poiché esistono norme che
prevedono la manifestazione palese del voto. Questo può essere esercitato anche per
corrispondenza, se l’atto costitutivo lo consente, inoltre, sempre statuto permettendo, è
possibile partecipare all’assemblea per tele o videoconferenza.
!
Verbale:
Le deliberazioni debbono constare di verbale, che dev’essere sottoscritto dal presidente e dal
segretario e, se si tratta di assemblea straordinaria, deve essere redatto dal notaio. Secondo la
riforma del 2003 è nulla la deliberazione presa in assenza del verbale, esso tuttavia non può
dirsi mancante se contiene quantomeno la data della deliberazione, il suo oggetto e la
sottoscrizione del presidente dell’assemblea o del notaio se necessario. La nullità è inoltre
sanata se la verbalizzazione viene eseguita prima della successiva riunione assembleare. Il
verbale infine deve essere analitico: deve indicare l’identità dei partecipanti, il capitale
rappresentato da ciascuno, e consentire l’individuazione dei soci favorevoli, contrari e astenuti.
!
Voto divergente:
Ci si interrogava sull’ammissibilità del cosiddetto voto divergente: può l’azionista votare con
alcune delle sue azioni in un modo, e in modo diverso con altre? Il problema emerge, ad
esempio, nell’ipotesi di azioni intestate ad una società fiduciaria, che abbia ricevuto istruzioni
di voto diverse dai vari sfiducianti. In casi simili la tesi dell’ammissibilità del voto divergente
appare convincente.
!
NULLITA’ E ANNULLABILITA’
DELLE DELIBERAZIONI ASSEMBLEARI
!
L’invalidità delle deliberazioni assembleari, come quella degli altri atti giuridici, può essere di
due specie: nullità e annullabilità. Si assiste tuttavia a questa inversione: Se normalmente
l’azione di nullità è un’azione generale, basata sul fatto che l’atto è “contrario a norme
imperative”, mentre è speciale l’azione di annullamento, esperibile solo nei casi stabiliti dalla
legge; qui, all’opposto, è generale l’azione di annullamento e speciale quella di nullità.
In caso di nullità l’azione spetta dunque solo a determinati soggetti: agli amministratori, al
consiglio di sorveglianza, al collegio sindacale, al rappresentante comune degli azionisti di
risparmio, ai soci assenti o dissenzienti o astenuti, se posseggono almeno l’uno per mille del
capitale per le società che ricorrono al capitale di rischio, o il cinque per cento nelle altre.
L’esercizio dell’azione di annullamento è sottoposto ad un termine di novanta giorni, trascorsi i
quali l’invalidità è sanata. L’annullamento della deliberazione inoltre non pregiudica i diritti
acquistati dai terzi in buona fede.

!68
!
Impugnazione:
L’azione di annullamento si propone con atto di citazione: l’autorità competente è il tribunale
del luogo dove ha sede la società. La società è convenuta in giudizio nella persona degli
amministratori (è chiaro che, se ad impugnare la deliberazione siano stati gli amministratori,
sarà necessario nominare un curatore speciale). Se, nel corso del giudizio, il socio impugnante
aliena delle azioni, facendo venir meno il numero minimo di azioni necessario per impugnare,
il giudice non potrà pronunciare l’annullamento della deliberazione, ma eventualmente la sola
condanna della società al risarcimento del danno.
!
Sospensione:
L’impugnazione di norma non sospende l’esecuzione della deliberazione, la sospensione può
essere concessa, in caso di eccezionale e motivata urgenza, dal presidente del tribunale, ma il
giudice designato per la causa di merito deve poi pronunciarsi per confermare o revocare il
provvedimento. Anche per le deliberazioni che siano immediatamente operanti, e che quindi al
momento del processo abbiano già procurato i loro effetti, vale la sospensione per quel che
riguarda la loro efficacia; così ad esempio l’amministratore nominato con deliberazione la cui
efficacia è stata sospesa perde ogni legittimazione.
!
Sostituzione e revoca:
L’annullamento della deliberazione non può avere luogo se questa è revocata dall’assemblea, o
sostituita con un’altra che sia conforme alla legge e allo statuto.

I casi di nullità:
La deliberazione è nulla solo nei tre casi tassativamente indicati:
!
Mancata convocazione di alcuni soci in assemblea.
Mancanza del verbale.
!
La mancata convocazione non può essere fatta valere da chi abbia, anche successivamente,
dichiarato il suo assenso allo svolgimento dell’assemblea; la mancanza di verbale può essere
sanata da una verbalizzazione successiva, purché anteriore alla seguente riunione assembleare.
!
Impossibilità o illiceità dell’oggetto.
!
Invalidità del voto:
L’invalidità della deliberazione può anche derivare da eventi che concernono un singolo voto,
che può essere nullo ad esempio per violenza fisica, inefficace per mancanza di procura del
rappresentante del socio in assemblea e così via. In questi casi la deliberazione regge solo se
supera la c.d. “prova di resistenza”: Essa è invalida solo se, senza il voto affetto da causa di
invalidità, non si sarebbe raggiunta la maggioranza.
!
Prescrizione dell’azione di nullità:
L’azione di nullità è sottoposta al termine di prescrizione di tre anni, che decorre dall’iscrizione
della deliberazione nel registro delle imprese o, se questa non è richiesta, dalla trascrizione nel
libro delle adunanze.
Le deliberazioni aventi per oggetto l’aumento o la riduzione del capitale invece non possono
essere impugnate dopo che siano trascorsi 180 giorni.
!
Abuso del diritto di voto, conflitto d’interessi:

!69
Normalmente il sindacato giudiziario sulle deliberazioni si riferisce esclusivamente alla loro
legittimità, esclusa ogni valutazione sulla opportunità o convenienza della deliberazione.
Tuttavia il merito della deliberazione può venire in rilievo quando sia collegato alla sua
legittimità: il giudice può ad esempio, in ossequio ad una massima anglosassone, annullare
una deliberazione che “nessuna persona ragionevole potrebbe considerare utile per la società”.
Ciò è assunto presuntivamente come prova di un abuso che è espressione di un principio
generale, quello commesso dalla maggioranza la quale abbia utilizzato la sua posizione di
potere per conseguire propri vantaggi particolari non riferibili, ed anzi opposti, agli interessi
della società.
!
!
Se un socio è portatore di un interesse personale in conflitto con quello della società, dovrebbe
astenersi dal voto. Se vota comunque la deliberazione è impugnabile, ma solo se:
!
- Senza il voto di quel socio la maggioranza necessaria sarebbe venuta meno.
- Ne derivi un danno per la società: Se il socio vota sacrificando il suo interesse
personale in favore di quello sociale, la deliberazione non è annullabile.
!
GLI AMMINISTRATORI
!
Gli amministratori costituiscono il potere esecutivo della società. Il loro potere, ulteriormente
rafforzato dalla riforma del 2003, ha carattere generale: esso si estende ad ogni sorta di atti i
quali non siano espressamente rimessi alla competenza dell’assemblea. Oltre che autonomi
poteri decisionali, gli amministratori hanno poteri di iniziativa sull’attività dell’assemblea:
spetta a loro infatti convocare l’assemblea e fissarne l’ordine del giorno. Infine hanno il vero e
proprio potere esecutivo di dare attuazione alle deliberazioni assembleari. Quanto alla
composizione, l’organo amministrativo può essere formato da una sola o più persone, soci o
non soci, ma che debbono essere necessariamente persone fisiche.
La nomina degli amministratori spetta all’assemblea, fatta eccezione per i primi
amministratori, che sono nominati dall’atto costitutivo. Essi sono nominati per un periodo non
superiore a tre esercizi, ma sono rieleggibili alla scadenza del periodo. L’assemblea può in ogni
momento revocarli, senza bisogno di motivare le ragioni della revoca; se tuttavia, questa
avviene senza giusta causa, l’amministratore revocato ha diritto al risarcimento del danno.
L’amministratore può in qualsiasi momento rinunciare all’incarico, dandone comunicazione al
consiglio di amministrazione e al presidente del collegio sindacale.
!
Cooptazione:
Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, ma senza che venga
meno la maggioranza dei consiglieri nominati dall’assemblea, si dà luogo alla c.d. cooptazione,
per cui gli amministratori rimasti sostituiscono i mancanti fino alla successiva assemblea. Se
invece viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall’assemblea, i superstiti
devono convocare immediatamente una nuova seduta affinché l’assemblea provveda alla
nomina degli amministratori mancanti.
Per attribuire all’assemblea il potere di rinnovare l’intero consiglio, invece che solo gli
amministratori mancanti, si può prevedere in statuto la clausola “simul stabunt simul
cadent”, implicante la decadenza di tutti gli amministratori superstiti e la ricostituzione
dell’intero consiglio.
Nel caso in cui vengano a mancare tutti gli amministratori spetterà al collegio sindacale di
convocare l’assemblea e di compiere, nel frattempo, gli atti di ordinaria amministrazione. La

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cessazione degli amministratori per qualsiasi causa deve essere iscritta nel registro delle
imprese entro trenta giorni.
!
Compenso:
Il compenso spettante agli amministratori è determinato unilateralmente dall’assemblea,
questo punto dunque non è oggetto di un contratto fra i soci e l’amministratore; egli potrà solo
decidere se accettare o meno l’incarico considerando l’entità dell’offerta, ma non ha voce in
capitolo nella sua determinazione.
Il compenso può consistere in una somma fissa corrisposta periodicamente, o in un “gettone
di presenza” per ogni riunione del CdA. Può inoltre essergli riconosciuta una partecipazione
agli utili o possono essergli assegnate stock options, che prevedono la possibilità di
sottoscrivere azioni della società (anche di futura emissione) a un prezzo determinato.
!
Indipendenza degli amministratori:
Lo statuto può richiedere, per l’assunzione della carica di amministratore, il possesso di
speciali requisiti di onorabilità (come la mancanza di precedenti penali), professionalità (il
possesso di un certo titolo di studio) e di indipendenza: rispetto agli azionisti di comando,
rispetto alla società controllante o, per gli amministratori non esecutivi, rispetto agli esecutivi.
!
La fonte di poteri e doveri degli amministratori:
Sappiamo che l’assemblea non può impartire direttive agli amministratori, né ingerirsi in
alcun modo nella loro attività di gestione. E’ chiaro dunque che gli amministratori non sono
vincolati alla società da alcun contratto di mandato, né tanto meno di lavoro subordinato; i
loro poteri, indisponibili da parte dell’assemblea, hanno carattere originario e discendono in
modo diretto dal contratto di società (del quale gli amministratori sono esecutori), allo stesso
modo con cui derivano da esso i poteri dell’assemblea dei soci.

La collegialità dell’organo amministrativo:


Il numero dei componenti il consiglio di amministrazione è determinato dallo statuto o
dall’assemblea, il consiglio agisce collegialmente: esso è validamente costituito se è presente la
maggioranza degli amministratori in carica (sempre che lo statuto non richieda un quorum più
elevato), e delibera a maggioranza assoluta dei presenti. La richiesta collegialità dell’organo
amministrativo si giustifica con l’esigenza di ponderare al massimo ciascuna operazione di
gestione della società.
La collegialità non è richiesta solo per quelle funzioni che consistono nel vigilare sul generale
andamento della società (ricordiamo infatti che gli amministratori sono i tutori della legalità
delle deliberazioni assembleari); l’esercizio di una simile attribuzione, non implicando scelte
discrezionali, non rende necessaria la ponderazione collegiale.
!
Poteri individuali:
La vigilanza spetta dunque a ciascun amministratore, che è singolarmente responsabile se,
essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non ha fatto quanto in suo potere per impedirne
il compimento o attenuarne le conseguenze dannose. Si intende che non potrà da solo
prendere i provvedimenti necessari, e non sarà ritenuto responsabile per non averli presi
singolarmente, dovrà però riferire i fatti al consiglio di amministrazione. Eventuali
provvedimenti o denunce all’autorità giudiziaria saranno decise dal consiglio.
!
!
INVALIDITA’ DELLE DELIBERAZIONI CONSILIARI
!
!71
In passato le deliberazioni consiliari godevano di una sorta di immunità rispetto al diritto
comune, una violazione di legge o statuto non dava luogo ad azioni di nullità o di
annullamento. L’azione di annullamento era esperibile solo nell’ipotesi di socio in conflitto
d’interessi, il cui voto fosse stato determinante per l’esito della votazione, fuori da questa
ipotesi le deliberazioni consiliari erano inimpugnabili.
La riforma del 2003 ha colmato questa carenza: le deliberazioni consiliari non conformi alla
legge o allo statuto possono essere impugnate dal collegio sindacale e dagli amministratori
assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della deliberazione.
!
Interesse dell’amministratore:
Un particolare regime vige se un amministratore abbia interessi legati a una operazione in
ordine del giorno (ad esempio perché coniuge dell’amministratore della società controparte):
!
4. L’amministratore deve dare notizia al consiglio dell’interesse che ha nell’operazione,
precisandone la natura, i termini, l’origine, la portata;
5. L’amministratore delegato deve astenersi dal compiere l’operazione, investendo di questo
compito l’organo collegiale;
6. Il consiglio di amministrazione in questi casi deve motivare adeguatamente la
deliberazione, indicando le ragioni della scelta e la convenienza per la società;
7. La deliberazione e impugnabile, qualora possa recare danno alla società, se:
- L’amministratore non ha rivelato il suo interesse nell’operazione
- Il consiglio non ha motivato adeguatamente la deliberazione
- L’amministratore interessato ha votato, e il suo voto è stato determinante
(non gli è vietato votare, ma qualora abbia sacrificato l’interesse della società
in favore del suo personale, contribuendo in modo determinante ad
approvare una deliberazione dannosa per la società, quella sarà annullabile)
8. L’impugnazione può essere impugnata dal collegio sindacale o dagli amministratori assenti
o dissenzienti entro novanta giorni.
!
PRESIDENTE
!
Il presidente del consiglio di amministrazione ha un minimo di compiti: convoca il consiglio
(fissandone l’ordine del giorno), regola i lavori consiliari, dichiara l’esito delle votazioni,
sottoscrive i verbali delle sedute. Infine spetta al presidente di provvedere, nell’imminenza
delle sedute, affinché tutti i consiglieri ricevano adeguate informazioni sulle materie
dell’ordine del giorno. Lo statuto può poi attribuirgli ulteriori poteri, ad esempio la legale
rappresentanza della società, anche in giudizio.
!
DELEGHE
!
Nelle grosse società, di solito, il consiglio di amministrazione non attende in modo
continuativo alla gestione sociale: esso può dar vita a un più ristretto comitato esecutivo
oppure conferisce ad uno o più amministratori la qualità di consiglieri delegati, cui delega
appunto le proprie attribuzioni, conservando una funzione di generale sovrintendenza
sull’amministrazione.
!
!
Questa è una delega globale, comprensiva di tutti i poteri di amministrazione, eccettuate solo
quelle attribuzioni che sono indelegabili: l’emissione di obbligazioni, la redazione del bilancio,
le deliberazioni di aumento del capitale o di riduzione dello stesso sotto il limite legale,
eventuali progetti di fusione o di scissione.
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La differenza fra il comitato esecutivo e una pluralità di consiglieri delegati sta nel fatto che il
primo è un organo collegiale, mentre gli altri agiscono svincolati dal metodo collegiale (come
amministratori di una società di persone).
!
Il consiglio non è spogliato delle funzioni che delega: può impartire istruzioni all’organo
delegato, revocarne gli atti o sostituirsi ad esso (l’organo delegato infatti non ha poteri
originari come il CdA, ma solo derivati da quest’ultimo) esamina i piani strategici elaborati
dagli organi delegati e valuta il generale andamento della gestione.
Gli amministratori esclusi dall’organo delegato sono, da un lato, esentati da responsabilità
per le azioni od omissioni compiute dall’organo delegato stesso; d’altro canto però sono
chiamati a vigilare sul suo operato e sono responsabili se non fanno quanto possibile per
evitare il compiersi di fatti pregiudizievoli.
!
I DIRETTORI GENERALI
!
Sono dipendenti della società, investiti di mansioni di alta gestione. Godono di supremazia
gerarchica nei confronti di tutti gli altri dipendenti, ed hanno sopra di sé solo l’autorità del
consiglio d’amministrazione. Essi, in quanto dipendenti, non godono di poteri originari, ma
solo derivati dal contratto di lavoro, tuttavia a volte acquistano un’importanza simile o
addirittura superiore a quella degli stessi amministratori. Rappresentano il management della
società, e sono veri e propri tecnici della direzione aziendale.
L’autorità di fatto dei direttori aziendali diventa anche di diritto se essi sono nominati
dall’assemblea o per disposizione dello statuto. In tal caso, sono soggetti alle medesime norme
che regolano la responsabilità degli amministratori.
!
LA RAPPRESENTANZA DELLA SOCIETA’
!
La rappresentanza della società spetta, istituzionalmente, agli amministratori. Ma può anche
spettare ai direttori generali, nel limite dei compiti a loro affidati, o persino a dipendenti della
società e mandatari ad hoc per singoli affari.
Quando la rappresentanza spetta a più amministratori deve essere stabilito se possano agire
disgiuntamente o debbano, invece, operare in modo congiunto. Il potere di rappresentanza
degli amministratori è “generale”, e le limitazioni a tale potere non sono opponibili ai terzi, a
meno che non si provi che essi hanno agito in malafede a danno della società.
Si pone il dubbio se l’invalidità di una deliberazione incida anche sul potere di
rappresentanza, invalidandolo nei confronti dei terzi, o se invece il difetto di deliberazione
riguardi solo i rapporti interni, rendendo il potere di rappresentanza illecito nei confronti della
società ma comunque valido nei confronti dei terzi. Il codice precisa che:
!
- L’atto compiuto dal rappresentante in esecuzione di una deliberazione
invalida, è invalido.
- Tuttavia questa invalidità non può essere opposta ai terzi di buona fede.
!
Si può dire dunque che il valido esercizio del potere di rappresentanza è subordinato al previo
conforme esercizio del potere di deliberazione, tuttavia la legge tutela la buona fede del terzo,
che non può ogni volta verificare se il contratto che sta per firmare sia stato validamente
deliberato.
Mancanza di potere rappresentativo:
E’ questa l’ipotesi, già considerata, del rappresentante in mancanza di previa valida
deliberazione, ma è anche il caso dell’amministratore con rappresentanza, la cui nomina sia

!73
invalida. Anche in questo caso la mancanza di nomina valida pregiudica l’esercizio del potere
di rappresentanza, ma non i suoi effetti su terzi di buona fede.
!
Eccesso di potere rappresentativo:
E’ l’ipotesi degli atti eccedenti i limiti del potere rappresentativo. In questo caso vale la regola
della inopponibilità ai terzi.
!
Abuso di potere rappresentativo:
E’ l’ipotesi di atti posti in essere sfruttando il proprio potere di rappresentanza per realizzare
un interesse extrasociale, personale o di terzi. Questo abuso è opponibile solo ai terzi in
malafede.
!
RESPONSABILITA’ DEGLI AMMIISTRATORI
!
A) Verso la società:
!
“Gli amministratori devono adempiere i doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto con la
diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalla loro specifica professionalità e
competenza”.
Dal momento che gli amministratori sono scelti in base alle loro competenze professionali
(avvocati, commercialisti, ingegneri) o tecniche (chimici, biologi ecc.), il loro grado di
diligenza, prudenza, perizia va rapportato alla loro particolare competenza professionale o
tecnica. Ogni amministratore deve dotarsi di una preparazione adeguata alla carica ricoperta, o
altrimenti rinunciarvi anche se fosse il maggiore azionista, poiché sono in gioco ci sono gli
interessi degli altri soci e dei creditori sociali.
!
La responsabilità degli amministratori ha natura di responsabilità contrattuale, ma non per
inadempimento di un inesistente “contratto di amministrazione”, bensì per violazione dello
statuto della società. Perché sorga responsabilità occorre che si sia verificato un danno alla
società, che agli amministratori possa essere imputato un inadempimento di un obbligo
derivante dal contratto di società, e che sussista un nesso di causalità fra l’inadempimento e il
danno. La responsabilità investe anche gli amministratori che non abbiano partecipato
direttamente all’atto dannoso, ma che abbiano omesso di fare quanto in loro potere per
impedirne il compimento o evitare il danno. Al fine di liberarsi dalla responsabilità per gli atti
o le omissioni degli altri, un amministratore (che abbia fatto tutto ciò che poteva per evitare o
limitare le conseguenze dannose) deve far annotare il suo dissenso nel libro delle adunanze.
!
L’azione di responsabilità:
L’azione sociale di responsabilità è deliberata dall’assemblea. Questa deliberazione comporta
l’automatica revoca degli amministratori (e loro sostituzione da parte dell’assemblea stessa),
solo se presa con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale.
L’azione è esercitata in giudizio da un curatore o, se i vecchi amministratori sono stati
revocati, dai nuovi amministratori; la società dovrà provare solo l’inadempimento degli
amministratori e il danno che ne è conseguenza immediata e diretta, mentre incombe sugli
amministratori l’onere di provare ciò che varrebbe ad escludere la loro responsabilità.
E’ ammessa l’azione di responsabilità della minoranza, promossa da tanti soci che
rappresentino un quinto del capitale sociale (un ventesimo nelle società quotate).
B) Verso i creditori sociali:
Gli amministratori sono responsabili nei confronti dei creditori sociali “per l’inosservanza degli
obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale”. A differenza dell’altra, che è
responsabilità contrattuale, questa è responsabilità da fatto illecito: è applicazione del
!74
principio enunciato dall’art. 2043, e il danno ingiusto è la lesione dell’aspettativa di
prestazione dei creditori sociali.
Gli obblighi degli amministratori inerenti alla conservazione del patrimonio sociale sono
posti a tutela di una duplice serie di interessi: l’interesse della società, che ha azione
contrattuale nel caso di loro violazione, e quello dei creditori, che al danno ingiusto reagiscono
con azione da fatto illecito. La loro è un’azione autonoma, non surrogatoria, infatti è
chiaramente disposto che “gli amministratori rispondono verso i creditori sociali” (se si
trattasse di azione surrogatoria, la responsabilità degli amministratori sarebbe ancora nei
confronti della società); inoltre lo si evince dal fatto che “la rinuncia all’azione da parte della
società non ne impedisce l’esercizio da parte dei creditori”.

C) Verso singoli soci o terzi:


L’azione spetta anche ai soci o terzi che siano stati danneggiati direttamente da atti dolosi o
colposi degli amministratori. Non spetta invece a coloro che siano stati danneggiati di riflesso;
cioè che abbiano subito, sul loro patrimonio, effetti negativi in conseguenza di un danno
causato (dagli amministratori) alla società.
!
!
SISTEMI DI CONTROLLO
(CONSIGLI SINDACALI, DI SORVEGLIANZA, REVISORI CONTABILI)
!
I SINDACI E LE LORO FUNZIONI
!
Il collegio sindacale è l’organo di controllo della società, al quale spetta la verifica della legalità
ed efficienza della società. Deve cioè vigilare “sull’osservanza della legge e dello statuto e sul
rispetto dei principi di corretta amministrazione”. L’organo è nominato dall’assemblea, si
compone di tre o cinque membri effettivi (più due membri supplenti) e opera collegialmente
deliberando a maggioranza assoluta.
Per garantire l’imparzialità del collegio sindacale, sono ineleggibili alla carica di sindaco:
!
Il coniuge, i parenti e gli affini degli amministratori, entro il quarto grado.
Coloro che sono legati o interessati alla società (o ad altre società con cui abbia vincoli di
controllo) da un rapporto di lavoro o da altri rapporti che ne compromettano l’indipendenza.
!
Non c’è invece motivo di proibire, nei gruppi di società, la contemporanea carica di sindaco in
società del medesimo gruppo. Per assicurare che la carica sia affidata a persone preparate,
almeno uno dei sindaci effettivi e un supplente devono essere scelti fra gli iscritti a determinati
albi professionali (avvocati, commercialisti, ragionieri) o fra professori universitari in materie
economico-giuridiche.
!
Per garantire una certa indipendenza dei sindaci, anche rispetto alla maggioranza assembleare
che li ha nominati, è garantita la stabilità della carica: I sindaci restano in carica minimo per
tre esercizi, e non possono essere revocati dall’assemblea se non per giusta causa. Inoltre la
retribuzione dei sindaci deve essere stabilita all’atto della nomina per l’intero periodo di durata
dell’ufficio (per evitare che la maggioranza possa, promettendo un aumento di retribuzione,
indurre i sindaci a tenere sotto silenzio le irregolarità scoperte).
!
Altre norme mirano a garantire l’effettività della funzione sindacale: il collegio ad esempio
deve riunirsi almeno ogni novanta giorni. Inoltre il sindaco che, senza giustificato motivo, non
partecipi a due riunioni del consiglio, o due assemblee, o adunanze dell’organo

!75
amministrativo, decade dall’ufficio. La decadenza non è, come invece la revoca, rimessa al
giudizio dell’assemblea, ma opera automaticamente.
!
Le funzioni dei sindaci:
I sindaci dispongono di vari strumenti di indagine: Essi devono assistere alle adunanze del
consiglio di amministrazione ed alle assemblee, e hanno diritto di ricevere in anticipo il
bilancio predisposto dagli amministratori, con la loro relazione e i documenti giustificativi; il
collegio sindacale può formulare giudizi di merito sul progetto di bilancio, e anche fare
osservazioni e proposte circa il bilancio stesso e la sua approvazione. I singoli sindaci possono
inoltre procedere ad atti di ispezione e controllo, mentre il “collegio sindacale” può chiedere
agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni sociali, anche con riferimento alle
controllate, prendere diretto contatto con i corrispondenti collegi delle controllate, per
scambiare informazioni, e convocare in ogni momento l’assemblea o il consiglio di
amministrazione.
I provvedimenti che i sindaci possono assumere, sulla base dei controlli effettuati, sono di
varia portata: essi possono innanzitutto impugnare le deliberazioni di assemblea e consiglio di
amministrazione che siano contrarie alla legge o allo statuto; possono, per fatti di rilevante
gravità, farne denuncia al tribunale per ottenere la revoca degli amministratori e possono
convocare l’assemblea ponendo in ordine del giorno i provvedimenti di cui ravvisano l’urgenza.
!
Fruitrice delle prestazioni dei sindaci non è tanto la maggioranza assembleare, la quale è in
grado di esercitare sugli amministratori, che sono una sua emanazione, controlli ben più
penetranti; piuttosto è la minoranza a beneficiare dei suoi servizi: essa è infatti priva di
strumenti di informazione e controllo sull’operato degli amministratori (questi strumenti
vengono dunque affidati al collegio sindacale), si pensi che i soci di minoranza non possono
nemmeno prendere visione delle scritture contabili, né del libro delle adunanze e delle
deliberazioni del CdA.
Nelle S.p.A. infatti, circolando le azioni liberamente fra un elevato numero di soci, si tende a
tutelare il segreto industriale: Sopprimendo ogni diritto di informazione e di controllo del
socio (potrebbe essere un concorrente che ha acquistato azioni solo per carpire informazioni
riservate), e vincolando i sindaci al “segreto sui fatti e documenti di cui hanno conoscenza per
ragione del loro ufficio”.
Gli azionisti di minoranza debbono quindi confidare nella veridicità di quanto i sindaci
riferiscono in assemblea; peraltro essi sono “responsabili della veridicità delle loro
attestazioni”.
LE RESPONSABILITA’ DEI SINDACI
!
La diligenza che si richiede ai sindaci è proporzionata alla natura dell’incarico, senza dubbio
impegnativo. Essi sono responsabili verso la società, verso i creditori sociali, e anche verso
singoli soci o terzi, similmente agli amministratori; le azioni di responsabilità nei loro
confronti sono regolate dalle corrispondenti norme relative agli amministratori.
!
I sindaci, in effetti, sono responsabili “solidalmente con gli amministratori per i fatti o le
omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato
conformemente agli loro obblighi”. I sindaci non rispondono per il fatto in sé, ma in quanto sia
configurabile, a loro carico, la violazione di un obbligo inerente alla loro funzione; del danno
essi rispondono solo se c’è rapporto di causalità fra violazione dei loro doveri di vigilanza e
fatto dannoso.
!
IL CONTROLLO CONTABILE
!
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La riforma del 2003 ha separato il controllo contabile da quello di legalità, in precedenza
riuniti in capo al collegio sindacale. Ora il controllo contabile deve essere esercitato da un
revisore contabile o da una società di revisione; tuttavia se si tratta di società che non ricorre al
capitale di rischio lo statuto può, come in passato, attribuire questa funzione al collegio
sindacale. Al contrario, per le società che fanno ricorso al capitale di rischio, il controllo deve
essere esercitato sempre da una società di revisione (è escluso il revisore singolo).
Non può essere revisore contabile il sindaco della società, né un sindaco di società che
abbiano rapporti di controllo con quella. Alla revisione contabile inerisce un triplice ordine di
funzioni:
!
La verifica, con cadenza almeno trimestrale, della regolare tenuta della contabilità sociale.
La verifica che il bilancio corrisponda alle risultanze delle scritture contabili.
La formulazione di un giudizio sul bilancio.
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I SISTEMI DI GOVERNO ALTERNATIVI
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Il sistema dualistico:
Se lo statuto opta per il sistema dualistico, non c’è collegio sindacale. Questo sistema consiste
nella interposizione, fra l’assemblea e l’organo amministrativo, di un organo intermedio di
nomina assembleare, il consiglio di sorveglianza, che riunisce in sé alcune attribuzioni
proprie dell’assemblea dei soci (es. nomina e revoca degli amministratori, approvazione del
bilancio), e alcune normalmente proprie del collegio sindacale (es. il controllo di legalità).
Il sistema dualistico si confà alle società per azioni sprovviste di un forte capitale dirigente,
perché hanno capitale polverizzato fra tanti piccoli azionisti, oppure concentrato nelle mani di
investitori professionisti, non interessati alla funzione dirigente. Questo sistema dispensa
l’assemblea da attribuzioni, quali la scelta degli amministratori e l’approvazione del bilancio,
che presuppongono la volontà e la capacità di effettuare scelte imprenditoriali, rimettendole
invece ad un organo che, oltre a queste valutazioni, esercita anche un controllo di legalità ed
efficienza.
!
Il consiglio di sorveglianza si compone di tre o più membri che restano in carica per tre
esercizi; almeno una di essi deve essere scelto fra gli iscritti al registro dei revisori contabili. Le
garanzie di indipendenza e imparzialità sono meno rigorose di quelle adottate per i sindaci:
L’assemblea li può revocare, anche senza giusta causa, col voto favorevole di un quinto del
capitale.
L’approvazione del bilancio e la deliberazione sulla distribuzione degli utili, funzioni che
normalmente spettano all’assemblea, qui si dissociano: la prima spetta al consiglio di vigilanza,
la seconda all’assemblea.
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Il sistema monistico:
Questo sistema concentra sia la funzione amministrativa che quella di controllo nelle mani di
un medesimo organo, il consiglio di amministrazione. Un terzo dei suoi componenti deve
possedere i rigorosi requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci; tra questi il consiglio di
amministrazione nomina i componenti del comitato di controllo (altro requisito è che non
siano investiti di deleghe o altre funzioni di gestione).
Il comitato di controllo è provvisto di poteri simili a quelli del consiglio di sorveglianza, i suoi
componenti però siedono nel consiglio di amministrazione, il che consente loro di svolgere più
efficacemente il loro compito. La verifica sulla legalità ed efficienza è infatti contemporanea
all’adozione delle deliberazioni consiliari e permette di prevenire le illegalità e le inefficienze.
!
CONTROLLO GIUDIZIARIO
!77
!
Alla protezione attuata indirettamente dal collegio sindacale (o dal consiglio di sorveglianza, o
dal comitato di controllo), il codice aggiunge forme di autotutela a disposizione delle
minoranze, contro gli illeciti degli amministratori:
!
Denuncia al collegio sindacale:
Una prima, blanda forma di autotutela consiste nel potere riconosciuto a ciascun socio di
sollecitare l’attività di controllo del collegio sindacale su specifici fatti di cui egli è a
conoscenza. Il collegio dovrà tener conto della denuncia, anzi, nel caso questa provenga da
almeno un ventesimo del capitale sociale, esso dovrà “indagare senza ritardo sui fatti
denunciati e presentare le sue conclusioni all’assemblea”.
!
Denuncia al tribunale:
Se vi è fondato sospetto che gli amministratori abbiano commesso gravi irregolarità, i soci che
rappresentino un decimo del capitale (un ventesimo nelle società che ricorrono a capitale di
rischio) possono denunziare i fatti al tribunale. Essi non hanno l’onere di provare l’effettiva
sussistenza delle “gravi irregolarità”, è sufficiente che documentino l’esistenza di elementi di
“fondato sospetto”. Il tribunale può disporre un’ispezione, ma non lo farà (ed anzi sospenderà
il procedimento) se l’assemblea ha nel frattempo sostituito gli amministratori, ed i nuovi si
siano attivati senza indugio per accertare se le violazioni sussistano; le risultanze
dell’ispezione, o la relazione dei nuovi amministratori, diranno se le irregolarità sussistano, nel
qual caso il tribunale può:
Disporre gli opportuni provvedimenti cautelari, e convocare l’assemblea per le necessarie
deliberazioni (revoca degli amministratori, azione di responsabilità nei loro confronti ecc.).
Nei casi più gravi, revocare esso stesso gli amministratori e nominare un amministratore
giudiziario. Questo non può compiere che atti di ordinaria amministrazione, ed è in ogni
tempo revocabile dal tribunale; ha la rappresentanza processuale della società e può proporre
azione di responsabilità contro gli amministratori e sindaci.
Gli estremi di particolare gravità richiesti al punto 2 risiedono nella provata esistenza di
una collusione fra maggioranza assembleare e amministratori. In questo caso l’assemblea
non conserva i suoi pieni poteri, ma solo le funzioni che appaiono compatibili col
provvedimento del tribunale.
!
Si è già rilevato come l’interesse al regolare adempimento dei doveri degli amministratori
(specie di società a larga base azionaria) non sia concepito come interesse esclusivo dei
soci, ma piuttosto come un interesse generale. Per questo se i soci non reagiscono alle
irregolarità commesse dagli amministratori, può prendere l’iniziativa il pubblico
ministero.
!
!
!
IL BILANCIO
!
Il bilancio d’esercizio comprende tre documenti; due di questi sono veri e propri documenti
contabili: lo stato patrimoniale e il conto economico; il terzo è la nota integrativa, ed
ha carattere esplicativo dei primi due. Il bilancio deve essere redatto al termine di ogni
esercizio annuale, ed ha la funzione di rappresentare “la situazione patrimoniale e
finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio”. Il bilancio deve essere steso
con chiarezza, ed in modo veritiero e corretto.
!
!78
Il codice introduce però una serie di eccezioni, che si traducono in deroghe al principio di
verità del bilancio. Così, ad esempio, gli immobili, gli impianti, i macchinari debbono
essere iscritti per il cosiddetto “valore storico”, cioè il prezzo di costo, che può essere
nettamente inferiore al valore attuale (Solo se il valore attuale risulti inferiore al valore
storico, il cespite dovrà essere iscritto per il valore attuale). Si torna invece a privilegiare la
verità “reale” su quella “legale” se, in casi del tutto eccezionali, l’applicazione delle deroghe
previste sia del tutto incompatibile con una rappresentazione veritiera e corretta. Ad
esempio, se un terreno agricolo acquistato per dieci ha assunto un valore di mercato di
mille, essendo diventato edificabile, si è in presenza di un eccezionale caso di
incompatibilità fra verità legale e verità reale, eventualità che esige l’adeguamento della
prima alla seconda.
!
Prudenza, competenza, coerenza:
Altri principi generali da tener presente nella redazione del bilancio sono:
!
Il principio di prudenza nella valutazione delle singole voci: Quando una voce appare
suscettibile di valutazioni diverse la prudenza imporrà, se si tratta di voci all’attivo, di iscriverle
per le valutazione più bassa, se sono voci passive per quella più alta.
Il principio di competenza stabilisce che il bilancio deve rappresentare la situazione
patrimoniale della società e il risultato economico quali emergono alla data di chiusura
dell’esercizio annuale, e ciò quantunque il bilancio venga redatto in epoca successiva, quando
le poste di bilancio possono aver subito variazioni. Ad esempio un cespite esistente alla
chiusura dell’esercizio, dovrà essere iscritto anche se non più esistente alla data di redazione
del bilancio (e viceversa).
La coerenza esige, infine, che i criteri di valutazione non possono essere modificati da un
esercizio all’altro.
!
RISERVE OCCULTE E RISERVE TACITE
!
Valutando prudentemente i cespiti attivi secondo la stima più bassa, e quelli passivi secondo la
più alta, e iscrivendo inoltre le immobilizzazioni per il loro valore storico, e non attuale, si può
creare una differenza anche consistente fra la valutazione iscritta in bilancio e il reale valore
delle poste considerate; questa differenza va a costituire un vero e proprio accantonamento di
utili, una forma di finanziamento tacito che non emerge neppure dal bilancio.
Se una società, che ha poste passive per 500.000 euro, ha denaro in cassa per 450.000 euro e
merci in magazzino che, a prezzo di costo, sono valutabili 60.000 euro, chiuderà ufficialmente
con un utile di 10.000 euro, e proprio su questa cifra si discuteranno i dividendi. Considerando
però che il valore di mercato di quelle merci è di 100.000 euro, l’utile realizzato sarà in realtà
di 50.000 euro.
!
Una forma illecita di finanziamento tacito si manifesta invece nella formazione di riserve
occulte. Queste sono il risultato di una volontaria sopravvalutazione delle poste passive, o
sottovalutazione di quelle attive, o addirittura derivano dall’iscrizione in bilancio di poste
passive fittizie o dalla omissione di poste attive. La sopra o sottovalutazione deve superare il
“limite di ogni ragionevolezza”, cioè oltrepassare decisamente quelli che sono i comuni principi
di prudenza (entro questi limiti si parlerà ancora di lecite “riserve tacite”).
Nonostante le riserve palesi possano essere iscritte in bilancio senza alcuna limitazione, si
tende a preferire le riserve occulte perché si vuole tenere nascosta la prosperità di cui gode la
società agli occhi degli azionisti, bramosi di dividendi, e dei sindacati, che potrebbero
rivendicare maggiori aumenti salariali.
!
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LO STATO PATRIMONIALE
!
Esso è la rappresentazione della situazione economica e finanziaria della società, deve essere
redatto in conformità dello schema legislativamente predisposto e con la massima chiarezza:
L’importo di ogni voce deve essere accompagnato dall’importo della stessa voce nell’esercizio
precedente, inoltre sono illegittime poste del tipo “partite varie” e simili. E’ vero che simili
diciture possono essere chiarificate nella nota integrativa, tuttavia il principio di chiarezza si
riferisce anzitutto ai documenti contabili che devono consentire il “facile e rapido reperimento
dei dati”. La nota ha solo il compito di fornire le “chiavi di lettura” dei documenti contabili che
formano il bilancio.
!
Le immobilizzazioni:
Questa voce comprende “gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente”,
cioè le entità patrimoniali stabilmente destinate all’esercizio dell’impresa sociale. Sono di tre
specie:
!
- Immobilizzazioni immateriali: comprendono licenze, brevetti, marchi ecc.
- Immobilizzazioni materiali: terreni, edifici, macchinari ecc.
- Immobilizzazioni finanziarie: titoli, obbligazioni, partecipazioni in altre
società.
!
Se le partecipazioni sono state acquistate non per concorrere a gestire l’impresa che le ha
emesse, ma come semplici valori i scambio, a fini speculativi, queste partecipazioni saranno
qualificate come “attivo circolante” e collocate sotto la voce “attività finanziarie che non
costituiscono immobilizzazioni”. Come si è già detto tutte le immobilizzazioni sono valutate in
base al loro costo storico.
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Ammortamenti:
Molte immobilizzazioni materiali sono suscettibili di progressivo deperimento per l’usura,
oppure di obsolescenza tecnologica e così via. Il loro decremento di valore nel tempo deve
essere valutato: “il costo delle immobilizzazioni la cui utilizzazione è limitata nel tempo, deve
essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio, in relazione alla loro residua
possibilità di utilizzo. Gli ammortamenti danno luogo ad apposite voci nel conto economico,
ma anche nello stato patrimoniale devono essere considerati, riducendo in ogni esercizio la
valutazione dei cespiti in misura pari alla relativa quota di ammortamento.
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Riserva legale:
Il codice prevede la costituzione di una riserva legale, accumulata deducendo ogni anno dagli
utili netti un somma pari ad almeno un ventesimo di essi, fino a raggiungere un quinto del
capitale sociale.
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Riserve facoltative:
Alla riserva legale possono aggiungersi altre riserve: quelle previste dallo statuto, e quelle
facoltative, create con deliberazione assembleare ed eliminabili allo stesso modo. Possono
avere la funzione di salvaguardare il capitale sociale, ma anche funzioni più specifiche, come
l’accantonamento di una quota di utili per scopi determinati (es. ampliamento dello
stabilimento).
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Fondi:

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I fondi per rischi ed oneri sono invece destinati a coprire perdite o debiti di determinata
natura, che si prevedono come certi o probabili, ma dei quali non è ancora possibile
determinare l’ammontare o la data di sopravvenienza.
!
Debiti e crediti:
Debbono essere indicati distintamente, nel passivo e nell’attivo, sono infatti vietati i compensi
di partite.
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Patrimonio netto:
La somma di capitale più riserve più utili conseguiti dà come risultato il patrimonio netto della
società. A questa entità numerica si fa riferimento, oltre che a specifici effetti di legge, ogni
qualvolta si voglia determinare il valore di un pacchetto azionario, dapprima espresso come
proporzione rispetto al patrimonio netto della società.
!
Valuta:
Ricavi, proventi, costi ed oneri relativi ad operazioni in valuta debbono essere determinati al
cambio corrente nella data dell’operazione. Per le attività e passività in valuta bisogna operare
con criteri di assoluta prudenza.
!
Bilancio in forma abbreviata:
Le società non quotate possono redigere il bilancio in forma abbreviata quando, per due
esercizi consecutivi, non abbiano superato due di questi tre limiti:
!
a) Totale dell’attivo: 3.125.000 euro.
b) Ricavi: 6.250.000 euro.
c) Numero di dipendenti: 50 unità.
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LA NOTA INTEGRATIVA
!
Ha una duplice funzione: offre le chiavi di lettura dei documenti contabili che formano il
bilancio, illustrando i criteri applicati nella valutazione delle varie voci; fornisce inoltre
informazioni ulteriori come l’elenco delle partecipazioni, il numero dei dipendenti, i compensi
degli amministratori ecc. Non si può invece ritenere che la nota integrativa possa essere
utilizzata per correggere o rettificare le poste dello stato patrimoniale; la nota è “integrativa”
proprio perché “chiarisce e illustra” quanto risulta dai documenti contabili, non già perché
consente di variarli o correggerli.
!
LA RELAZIONE
!
Gli amministratori hanno l’obbligo di illustrare analiticamente l’andamento della gestione nei
vari settori in cui la società ha operato, anche attraverso società controllate, con particolare
riguardo agli investimenti, ai costi e ai ricavi, e con indicazione dei fatti di rilievo verificatisi
dopo la chiusura dell’esercizio; dalla relazione deve anche risultare “l’evoluzione prevedibile
della gestione”. Dalla relazione devono risultare:
!
- Le attività di ricerca e sviluppo.
- I rapporti con imprese controllate, collegate e controllanti ecc.
- Il numero e il valore nominale delle azioni proprie e delle quote possedute di
altre società.
- L’elenco delle sedi secondarie della società.
- L’evoluzione prevedibile della gestione.
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!
Per le società quotate sui mercati regolamentati è anche prevista una relazione di metà
esercizio.
!
L’APPROVAZIONE DEL BILANCIO
!
Ciò che gli amministratori redigono è solo un progetto di bilancio, perché questo assuma
efficacia giuridica è necessario che sia approvato dall’assemblea. Almeno trenta giorni prima
dell’assemblea che dovrà discuterlo, il bilancio deve essere comunicato al collegio sindacale, il
quale deve esaminarlo ed elaborare osservazioni e proposte da sottoporre all’assemblea.
L’assemblea può non approvare il bilancio, nel qual caso gli amministratori dovranno
riformarlo e presentarlo nuovamente all’assemblea per l’approvazione. E’ dubbio che
l’assemblea abbia il potere di modificare essa stessa il bilancio: molti interpreti riconoscono
all’assemblea il potere di apportarvi modificazioni, Galgano tuttavia ritiene preferibile
l’opinione contraria, sostenendo che l’assemblea non è più, come in passato, l’organo sovrano
della società, ma ha competenza speciale, limitata alle specifiche materie ad essa attribuite. Le
è consentito perciò di approvare o disapprovare in blocco il bilancio proposto dagli
amministratori, ma non di perseguire un propria politica di bilancio.
!
Nelle società che adottano il sistema dualistico, il bilancio predisposto dagli amministratori
viene approvato dal consiglio di sorveglianza, senza che l’assemblea possa pronunciarsi su di
esso.
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Invalidità:
Il bilancio redatto dagli amministratori può essere un bilancio falso, nel quale cioè siano state
inserite fittizie poste attive o passive; in questo caso gli amministratori incorrono in
responsabilità penale. Può essere inoltre un bilancio irregolare, redatto cioè in violazione dei
principi che presiedono alla formazione del bilancio.
LA DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI
!
La stessa assemblea che approva il bilancio delibera sulla distribuzione degli utili ai soci. Utile
distribuibile è l’eventuale eccedenza attiva risultante dal bilancio, cioè la differenza aritmetica
risultante dalla sottrazione fra attivo e passivo. Non si tratta necessariamente di disponibilità
liquide, la prevalenza dell’attivo sul passivo può derivare infatti da altre voci, diverse
dall’eccedenza di cassa. In questo caso gli amministratori si procureranno le somme occorrenti
per eseguire la deliberazione facendo ricorso al credito.
L’utile distribuibile diventa dividendo solo nella misura in cui la maggioranza assembleare
decida di ripartirlo tra i soci, un preciso diritto dell’azionista al dividendo nasce solo dalla
deliberazione assembleare che disponga la distribuzione degli utili. La maggioranza non è
tenuta a motivare le ragioni della eventuale mancata distribuzione degli utili, essa si limiterà a
deliberare che gli utili o parte di essi siano “riportati a nuovo”.
!
Acconti sul dividendo:
La possibilità, per gli amministratori, di distribuire ai soci acconti sui futuri dividendi, è
ammessa solo in presenza di particolari condizioni:
!
- Deve trattarsi di società il cui bilancio è assoggettato a controllo da parte di
società di revisione iscritte all’albo speciale.
- La distribuzione di acconti è subordinata all’approvazione, da parte del
revisore, di un prospetto contabile dal quale risulti che la situazione

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patrimoniale, economica e finanziaria della società ne consente la
distribuzione.
- Il bilancio dell’esercizio precedente deve essere già stato approvato, con
giudizio positivo della società di revisione.
- Da esso non devono risultare perdite.
!
Clausole statutarie sulla ripartizione degli utili:
Il codice riconosce, da un lato, autonomia statutaria in fatto di ripartizione degli utili (“l’atto
costitutivo deve indicare le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti”), d’altro lato
attribuisce esplicitamente all’assemblea il potere di disporre dell’utile annualmente realizzato
ed accertato (“l’assemblea delibera sulla distribuzione degli utili ai soci”); di qui il problema di
raccordo fra le due leggi.
In realtà le norme statutarie sono necessarie soltanto se si intende stabilire che una data
percentuale degli utili sia sempre destinata alla distribuzione fra i soci, oppure sia sempre
trattenuta nelle casse della società. Per il resto spetta all’assemblea, ogni anno, deliberare il
“se” e il “quanto” distribuire ai soci.
!
REGOLE DI TRASPARENZA
!
I libri sociali obbligatori:
La società per azioni deve tenere i libri e le altre scritture contabili prescritti per ogni
imprenditore commerciale; deve inoltre tenere:
Il libro dei soci.
Il libro delle obbligazioni.
I libri delle adunanze e deliberazioni di:
- Assemblea;
- Consiglio di amministrazione;
- Collegio sindacale (o del consiglio di sorveglianza o del comitato di
controllo).
Il libro degli strumenti finanziari emessi.
La consultazione dei libri sociali è preclusa ai terzi, i quali possono attingere notizie sulla
società solo attraverso la pubblicità dei fatti societari offerta dal registro delle imprese. Per
permettere a chiunque di accertare, consultando il registro delle imprese, chi siano i soci di
una società, quante azioni posseggano ecc. , la legge sulla trasparenza prevede che “entro
trenta giorni dall’approvazione del bilancio le società sono tenute a depositare presso il
registro delle imprese l’elenco dei soci riferito alla data di approvazione del bilancio, con
indicazione del numero di azioni da essi possedute.
!
IL DIRITTO DI INFORMAZIONE DEL SOCIO
!
L’ordinamento tutela l’interesse dei soci ad avere “notizia dello svolgimento degli affari
sociali”, e dei fatti societari diversi dalla gestione dell’impresa. La consultazione dei libri
sociali è consentita ai soci, i quali possono così apprendere l’identità dei co-azionisti,
l’entità dei loro possessi azionari, e seguire i lavori assembleari le deliberazioni.
L’informazione vale a porre il socio nella condizione di esercitare consapevolmente i propri
diritti (tra cui in primis il diritto di voto), e di trarre elementi di valutazione circa il valore e
le condizioni di rischio della sua partecipazione. Il socio può ricorrere a forme di autotutela
del proprio diritto all’informazione (può chiedere notizie di persona agli amministratori e
consultare i documenti sociali); altre volte intervengono, nell’interesse di tutti, prescrizioni
legislative di “eterotutela”, che impongono la pubblicità di determinati fatti sociali.
!
!83
IL BILANCIO CONSOLIDATO
!
Le società che abbiano il controllo di altre società sono tenute a redigere anche il bilancio
consolidato, sempre che le quote della controllata siano possedute per l’esercizio
dell’impresa (e quindi iscritte in bilancio di esercizio come immobilizzazioni) e non a mero
scopo speculativo (in bilancio sotto la voce “attivo circolante”).
La funzione del bilancio consolidato è di rappresentare la situazione patrimoniale e
finanziaria, e il risultato economico, del “complesso delle imprese costituito dalla
controllante e dalle controllate”. Sono esonerati dalla redazione del bilancio consolidato i
gruppi di piccole dimensioni, che non abbiano superati, per due esercizi consecutivi, due
dei seguenti limiti:
!
- Attivo complessivo non superiore ai 12,5 milioni di euro.
- Fatturato non superiore a 25 milioni di euro.
- Numero di dipendenti non superiore a 250 unità.
!
Il bilancio consolidato è redatto, secondo principi generali corrispondenti a quelli del bilancio
dei esercizio (ma con criteri differenti, come vedremo), dagli amministratori della controllante
e consta, come il bilancio di esercizio, di stato patrimoniale, conto economico e nota
integrativa; è inoltre corredato da una relazione sulla situazione complessiva del gruppo.
!
I criteri di redazione del bilancio consolidato sono differenti da quelli applicati nella redazione
del bilancio di esercizio, perché nel primo caso non si deve tenere conto dei rapporti
endogruppo: nel bilancio di esercizio della holding si indicano i crediti e debiti verso società
controllate, oltre a proventi ed oneri relativi ad operazioni effettuate fra di esse; è chiaro che il
bilancio consolidato dovrà essere epurato dagli interni rapporti di dare e avere instauratisi fra
società appartenenti al gruppo, in modo da offrire una informazione veritiera della situazione
economico-finanziaria del gruppo, considerato nel suo complesso.
MODIFICAZIONI DELLO STATUTO
!
Si ha modificazione dello statuto quando:
!
- I patti stabiliti al momento della costituzione della società vengano
modificati o sostituiti con altre pattuizioni.
- Quando vengano introdotte clausole statutarie destinate ad aggiungersi alle
pattuizioni originarie.
!
Nelle società per azioni le modificazioni dello statuto richiedono una deliberazione
assembleare adottata con le elevate maggioranze e le speciali formalità dell’assemblea
straordinaria. Non sono ammissibili né modificazioni “di fatto” dello statuto, né deroghe
speciali (pur se prese con tutte le formalità richieste) che modifichino le condizioni per singoli
casi determinati, lasciando operante la clausola originale per ogni altro caso.
!
Omologazione e iscrizione:
Prima della riforma le deliberazioni che modificavano lo statuto erano sottoposte ad un
procedimento di omologazione, ossia di verifica della legittimità da parte del tribunale. Dopo la
riforma, l’omologazione è divenuta una fase solo eventuale: qualora il notaio che verbalizza la
deliberazione ritenga non adempiute le condizioni stabilite dalla legge, ne dà comunicazione
agli amministratori, che possono convocare l’assemblea per gli opportuni provvedimenti

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oppure ricorrere al tribunale affinché, se tutto è in regola, ordini l’iscrizione della deliberazione
nel registro delle imprese.
!
DIRITTO DI RECESSO
!
In passato era opinione concorde che la modificazione del contratto di società richiedesse il
consenso unanime di tutti i soci che vi avevano originariamente aderito. Oggi, in deroga ai
principi comuni sui contratti, lo statuto è modificabile a maggioranza (sia pure qualificata). La
tutela delle minoranze si attua oggi solo con il riconoscimento agli azionisti non consenzienti
del diritto di recesso dalla società. Le cause di recesso possono essere:
!
- Indisponibili, cioè non eliminabili con clausola statutaria: Cambiamento
dell’oggetto sociale, trasformazione della società, trasferimento della sede
sociale all’estero, modificazioni statutarie concernenti il diritto di voto.
- Disponibili, cioè eliminabili per clausola statutaria: La proroga del termine
di durata della società, l’introduzione o la rimozione di vincoli alla
circolazione delle azioni.
!
Nelle società a tempo indeterminato, che non siano emittenti di azioni quotate, il socio può
sempre recedere, con un preavviso di 180 giorni.
!
Per giustificare il recesso occorre un cambiamento significativo dell’attività della società, tale
da modificare radicalmente le condizioni di rischio in presenza delle quali l’azionista aveva
aderito alla società. Il recesso è una dichiarazione unilaterale del socio, che non richiede alcuna
accettazione da parte della società; deve essere spedita alla società entro quindici giorni dalla
data dell’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese.
!
!
!
Liquidazione delle azioni:
Il recesso del socio comporta la liquidazione delle azioni per le quali esercita il recesso, ossia il
loro rimborso; il che depaupera il patrimonio sociale. Questa era la ragione per la quale, nel
diritto previgente, si era limitato il diritto di recesso del socio a poche tassative ipotesi. Con la
riforma del 2003 si sono invece dilatati notevolmente i casi di recesso, ma a protezione
dell’integrità del patrimonio sono stati previsti:
!
L’inefficacia del recesso ove la società revochi le deliberazione che lo legittima.
L’offerta in opzione delle azioni del socio recedente agli altri soci, in proporzione al numero
delle azioni possedute.
Il collocamento presso terzi, ad opera dell’organo amministrativo, delle azioni non acquistate
dai soci.
Il rimborso delle azioni, se né soci né terzi le acquistano, mediante l’acquisto da parte della
società a fronte di riserve disponibili.
Come estrema ratio, se mancano utili o riserve disponibili, la convocazione dell’assemblea
straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale.
!
Il valore delle azioni, ai fini della loro liquidazione, è determinato dall’organo amministrativo,
sentito il parere del collegio sindacale e del revisore contabile.
!
L’AUMENTO DEL CAPITALE
!
!85
Aumento gratuito:
L’aumento del capitale sociale può essere gratuito oppure a pagamento. Il primo è quello
che si attua senza un corrispondente aumento del patrimonio sociale, può conseguire ad
una imputazione a capitale della parte disponibile delle riserve e dei fondi. L’aumento
gratuito di capitale determina l’effetto di immobilizzare risorse che sarebbero altrimenti
disponibili, allo scopo di aumentare il prestigio ed il credito della società. Per l’aumento
gratuito di capitale il codice prevede o l’emissione di nuove azioni, da assegnarsi
gratuitamente agli azionisti in proporzione a quelle già possedute, oppure l’aumento del
valore nominale delle azioni in circolazione.
!
Aumento a pagamento:
L’aumento a pagamento è l’ordinario strumento per l’acquisizione di nuovo capitale di
rischio: con esso vengono effettuati nuovi conferimenti, che accrescono il patrimonio
sociale.
L’aumento del capitale non deve per forza essere deliberato dall’assemblea, può essere
deliberato anche dagli amministratori; essi possono aumentarlo solo se non siano passati
più di 5 anni dall’iscrizione della società nel registro delle imprese, e fino a un ammontare
determinato.
!
Soprapprezzo:
Le azioni di nuova emissione possono essere emesse con soprapprezzo, ossia per un prezzo
superiore al loro valore nominale. Il soprapprezzo è giustificato dal fatto che il patrimonio
della società può essere più elevato del capitale sociale (per effetto di utili realizzati e non
distribuiti né imputati a capitale, o per effetto del valore di avviamento dell’impresa ecc.) e i
nuovi azionisti devono, perciò, pagare questo plusvalore.
!
Iscrizione:
La deliberazione di aumento del capitale sociale deve, come ogni deliberazione modificativa
dello statuto, essere iscritta nel registro delle imprese, anche se si tratta di deliberazione
presa dal consiglio di amministrazione.
Sottoscrizione e versamenti:
Ai nuovi conferimenti si applica disciplina analoga a quella prevista per i conferimenti
originari: I sottoscrittori delle azioni di nuova emissione debbono, all’atto della
sottoscrizione, versare almeno il venticinque percento del valore nominale delle azioni
sottoscritte. Unitamente all’intero importo dell’eventuale soprapprezzo.
!
Aumento scindibile e inscindibile:
La deliberazione di aumento del capitale deve determinare l’ammontare del capitale in
aumento ed il termine entro il quale l’aumento può essere eseguito.
!
L’aumento può essere scindibile o inscindibile: nel primo caso la deliberazione di aumento
conserva efficacia anche se l’aumento sia stato solo parzialmente sottoscritto, nel secondo
caso invece l’aumento perde efficacia se non è completamente sottoscritto. In caso di
aumento scindibile, scaduto il termine per le sottoscrizioni, l’assemblea prenderà atto della
sottoscrizione parziale e, tramite una nuova deliberazione stabilirà l’ammontare
dell’aumento, pari all’importo effettivamente sottoscritto. Questa deliberazione è
meramente dichiarativa, infatti l’aumento può dirsi eseguito già allo scadere del termine
previsto, o quando tutte le azioni di nuova emissione siano state collocate.
In caso di aumento inscindibile invece l’assemblea revocherà la precedente deliberazione,
con conseguente restituzione ai sottoscrittori delle somme da essi versate. L’ordinamento

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prevede “di default” l’inscindibilità, la scindibilità è un’eccezione e deve essere
espressamente prevista dalla deliberazione.
!
IL DIRITTO DI OPZIONE DEI VECCHI AZIONISTI
!
In caso di aumento di capitale a pagamento spetta ai vecchi azionisti, in proporzione al
numero di azioni possedute, il diritto di opzione; gli estranei potranno sottoscriverle solo dopo
che sia scaduto il termine indicato nell’offerta di opzione. Si cerca così di proteggere
l’interesse dell’azionista a mantenere inalterato il rapporto fra la sua quota di partecipazione e
il capitale sociale, rapporto che determina il suo voto e la partecipazione agli utili.
!
L’azionista è privato del diritto di opzione solo in tre ipotesi:
!
La prima si verifica se le azioni di nuova emissione debbano essere liberate mediante
conferimenti in natura; la ragione è evidente: solo chi è proprietario del bene da conferire
potrà sottoscrivere le azioni di nuova emissione; anzi, in questi casi l’aumento di capitale è
solitamente preordinato allo scopo di procurare alla società quel determinato bene, che risulta
vantaggioso acquisire a titolo di conferimento. Ne deriverà un sacrificio per i vecchi azionisti,
che vedranno ridursi la loro quota di partecipazione in società.
La seconda si ha quando, con deliberazione di assemblea straordinaria, si decida di offrire le
azioni di nuova emissione (comunque non più di un quarto di esse) in sottoscrizione ai
dipendenti della società.
Un’ipotesi generica, nella quale il diritto di azione può essere escluso, è quando lo esiga un
interesse della società. In questo caso il diritto di opzione può essere escluso, dalla stessa
deliberazione di aumento di capitale, col voto favorevole di tanti soci che rappresentino la metà
del capitale sociale. La norma non dice che il diritto di opzione deve essere escluso, se
l’interesse della società lo impone, lascia invece la maggioranza arbitra di decidere se escludere
o limitare il diritto di opzione oppure no, nonostante la presenza di un interesse sociale che lo
esiga.
Normalmente le deliberazioni assembleari si presumono conformi all’interesse della
società, e l’eventuale prova contraria deve essere data da chi impugna la deliberazione. Qui
si assiste invece ad una inversione dell’onere della prova: è la maggioranza dover
dimostrare che l’esclusione o la limitazione del diritto di opzione è giustificata da specifiche
esigenze della società; deve inoltre motivare la deliberazione, indicando quale interesse
sociale intende perseguire e fornendo, in tal modo, la prova che l’esclusione o limitazione
del diritto di opzione non è ispirata da interessi extrasociali.
!
LA RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE
!
La riduzione del capitale sociale, come detto, è obbligatoria in alcuni casi particolari:
!
- Esclusione dell’azionista moroso
- Recesso dell’azionista
- Diminuzione del capitale sociale di oltre un terzo a causa di perdite
!
In quest’ultimo caso, se il capitale si riduce al di sotto del minimo legale, gli amministratori
devono convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo
aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al minimo di legge, oppure la trasformazione
del tipo di società, o lo scioglimento della società.
!
Capitale esuberante:
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Il c.c. prevede anche l’ipotesi di riduzione facoltativa del capitale sociale, che permette alla
società di ristabilire il rapporto fra volume degli investimenti e dimensione dell’impresa,
liberando risorse finanziarie poco utili in quella impresa e rendendole disponibili per il re-
investimento, da parte dei soci, in altre attività produttive. La riduzione del capitale esuberante
si attua o mediante liberazione dei soci dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti, o mediante
rimborso dei conferimenti già eseguiti (mediante riscatto e annullamento delle azioni).
!
AZZERAMENTO E RICOSTITUZIONE
DEL CAPITALE PERDUTO
!
Norme equivalenti valgono nell’ipotesi di perdita totale del capitale sociale: l’assemblea può
azzerare il capitale sociale e, contestualmente, deliberare la sua ricostituzione. In dottrina si è
obbiettato che in tal caso è irrimediabilmente integrata una causa di scioglimento della società:
l’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, o l’impossibilità di funzionamento della società.
In realtà la perdita del capitale sociale non può considerarsi, di per sé sola, una causa di
scioglimento; potrà dare luogo a una delle cause sopra citate solo se la società non si riveli in
grado di ricostituire il capitale perduto.
L’azzeramento e contestuale ricostituzione del capitale sono stati considerati lesivi
dell’azionista di minoranza, il quale si troverebbe di fronte all’alternativa se concorrere
all’aumento del capitale sociale (con onere di nuovo conferimento, cui non può essere tenuto)
oppure essere escluso dalla società. Alcuni, per questo motivo, sostengono che una
deliberazione di questo genere debba richiedere l’unanimità.
!
LE OBBLIGAZIONI
!
Le obbligazioni sono, come le azioni, titoli di credito. Dalle azioni differiscono per il fatto che
non rappresentano quote di partecipazione al capitale e non attribuiscono la qualità di socio:
gli obbligazionisti sono semplici creditori della società; Il rapporto sottostante al titolo infatti
altro non è che un mutuo, mentre il diritto di credito che il titolo rappresenta è quello alla
percezione periodica dell’interesse stabilito e, alla scadenza, alla restituzione del capitale.
Una figura in posizione intermedia fra obbligazioni e azioni è quella delle obbligazioni
convertibili in azioni, che offrono il tempo per decidere, in rapporto all’evolversi della
situazione di mercato, se restare nella condizione di obbligazionista oppure diventare
azionista.
!
LE MODALITA’ DEL PRESTITO OBBLIGAZIONARIO
!
La possibilità di emettere obbligazioni è riservata alle società per azioni e in accomandita per
azioni. La loro emissione è subordinata ad una serie di condizioni:
!
Le obbligazioni non possono essere emesse per un ammontare eccedente il doppio della
somma fra capitale sociale, riserva legale e riserve disponibili.
Il predetto limite può essere superato se le obbligazioni in eccedenza sono destinate alla
sottoscrizione da parte di investitori qualificati, che rispondono della solvenza della società
emittente nei confronti dei successivi acquirenti, a cui vengono cedute le obbligazioni (le
banche in questo caso corrispondono agli acquirenti un tasso minore di quello che pretendono
dalla società emittente, e lucrano la differenza).
Il predetto limite non opera se le obbligazioni sono garantite da ipoteca sugli immobili di
proprietà sociale.
Il predetto limite non si applica alle società con azioni quotate.

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!
L’emissione di obbligazioni è deliberata dagli amministratori, e il verbale della deliberazione,
redatto dal notaio, deve essere depositato presso il registro delle imprese entro 30 gg.
!
Ciascuna obbligazione, a norma dell’art. 2414, deve indicare:
!
La denominazione, l’oggetto e la sede della società.
L’entità del capitale sociale e delle riserve al momento dell’emissione.
La data della deliberazione di emissione e della sua iscrizione nel registro delle imprese.
L’ammontare complessivo delle obbligazioni emesse, il valore nominale di ciascuna, i diritti
con essa attribuiti, il rendimento previsto e le modalità di pagamento e di rimborso.
La garanzia da cui sono eventualmente assistite.
La data di rimborso del prestito.
!
Il rimborso non deve essere contemporaneo per tutte le obbligazioni, una cosa del genere
potrebbe essere insostenibile per le casse della società. Di solito si adotta un sistema di
rimborso graduale, secondo un “piano di ammortamento” fondato sulla periodica estrazione a
sorte delle obbligazioni da rimborsare. I tempi e l’entità dei pagamenti possono variare in
dipendenza di criteri oggettivi, anche connessi all’andamento economico della società.
L’ASSEMBLEA DEGLI OBBLIGAZIONISTI
!
L’obbligazionista, dal momento stesso in cui sottoscrive l’obbligazione, diventa
automaticamente membro dell’assemblea degli obbligazionisti, regolata con rinvio alle norme
sull’assemblea straordinaria della società per azioni. La coattiva costituzione degli
obbligazionisti in un gruppo organizzato è giustificata dall’esistenza di interessi comuni a tutti
loro, per cui, in una vasta serie di rapporti con la società emittente, l’obbligazionista non viene
in considerazione come singolo creditore di quest’ultima, ma come membro del gruppo
organizzato di creditori.
All’assemblea spetta di deliberare sulle condizioni del prestito e, più in generale, sugli altri
oggetti di interesse comune degli obbligazionisti. Il singolo obbligazionista non può
individualmente opporsi, come farebbe qualsiasi altro creditore della società, alla
modificazione delle condizioni dal prestito; egli può solo dare voto contrario in assemblea, ma
poi sarà vincolato dalla deliberazione presa dalla maggioranza.
Alla società emittente è assicurata una certa facoltà di ingerenza nell’assemblea degli
obbligazionisti: Essa infatti può essere convocata, oltre che dal rappresentante comune degli
obbligazionisti, anche dagli amministratori della società, quando lo ritengano necessario.
All’assemblea possono inoltre assistere gli amministratori e i sindaci, ovviamente con la sola
facoltà di parola (senza diritto di voto).
!
LE OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI
!
Differiscono dalle comuni obbligazioni perché il loro possesso non attribuisce solo il diritto al
rimborso, con i relativi interessi, del valore nominale del titolo, ma attribuisce un ulteriore
diritto esercitabile, a discrezione del possessore, in via alternativa al rimborso: il diritto di
sottoscrivere azioni, da liberare con la somma già versata all’atto della sottoscrizione
dell’obbligazione.
L’emissione di obbligazioni convertibili richiede una duplice deliberazione dell’assemblea
straordinaria:
!
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Una deliberazione di emissione, che determina anche il rapporto di cambio con le azioni, il
periodo entro il quale le obbligazioni sono convertibili in azioni e le modalità della
conversione.
Una deliberazione contestuale di aumento del capitale sociale, per un ammontare
corrispondente al valore nominale delle obbligazioni convertibili.
!
La prima deliberazione è subito eseguibile, la seconda potrà, invece essere eseguita solo se e
nella misura in cui gli obbligazionisti si avvalgono della facoltà di conversione.
Il rapporto sottostante all’obbligazione convertibile è duplice. C’è, come per le comuni
obbligazioni, un mutuo concesso dall’obbligazionista alla società emittente e c’è, al tempo
stesso, un patto di opzione che ha per oggetto la novazione del rapporto di mutuo in rapporto
di società.
!
Diritto di opzione:
Ai portatori di obbligazioni convertibili è esteso il diritto di opzione spettante ai soci nel caso in
cui la società operi un aumento di capitale a pagamento, con l’emissione di nuove azioni. Dal
momento che l’emissione di nuove azioni influisce negativamente sul rapporto di cambio,
poiché riduce il valore intrinseco delle singole azioni (cioè la quota di capitale che ciascuna di
esse rappresenta), si vuole, estendendo il diritto di opzione, sventare un possibile inganno
della società a danno dei risparmiatori: quello di allettarli con l’emissione di obbligazioni
convertibili ad un buon rapporto di cambio, per poi frustrare le loro aspettative deliberando un
aumento di capitale.
Nel caso in cui la società aumenti il capitale mediante imputazione di riserve o che, all’opposto,
debba ridurre il capitale per perdite, il rapporto di cambio è semplicemente modificato in
proporzione alla misura dell’aumento o della riduzione.
!
Le obbligazioni convertibili con procedimento indiretto:
Si ha questa ipotesi nel caso in cui le obbligazioni convertibili siano emesse da una società
diversa da quella le cui azioni sono destinate alla conversione. Al procedimento indiretto si
suole fare ricorso:
!
- Nei gruppi di società: la società controllante emette proprie obbligazioni
(potendo offrire maggior prestigio e garanzie di solvibilità), convertibili in
azioni di una sua controllata.
- Da parte di banche o società finanziarie: Queste emettono obbligazioni
convertibili in azioni di una società da esse finanziata. In questo caso la
banca lucra la differenza fra il maggior tasso che esige dalla società
finanziata e il minor tasso che corrisponde ai sottoscrittori delle sue
obbligazioni.
!
LO SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA’
!
LE CAUSE DI SCIOGLIMENTO
!
Occorre preliminarmente distinguere fra scioglimento ed estinzione della società: Il verificarsi
di una causa di scioglimento non determina senz’altro la cessazione del rapporto sociale; dà
luogo invece ad un’ulteriore fase di esecuzione del contratto, diretta alla liquidazione del
patrimonio sociale, solo al termine della quale la società potrà dirsi estinta. Le cause di
scioglimento della società, previste dall’articolo 2484, sono:
!
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Il decorso del termine di durata.
Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo.
L’impossibilità di funzionamento o la prolungata inattività dell’assemblea.
La riduzione del capitale al di sotto del minimo legale.
L’incapacità patrimoniale della società di procedere alla liquidazione della quota del socio
recedente.
La deliberazione dell’assemblea di scioglimento anticipato della società.
Altre cause previste dallo statuto.
!
Incombe sugli amministratori, una volta che si sia verificata una delle cause di scioglimento, di
procedere al suo accertamento, ed alla iscrizione presso il registro delle imprese di una
dichiarazione che la attesti; se gli amministratori non provvedono, l’accertamento e l’iscrizione
sono eseguiti dal tribunale su istanza dei soci o del collegio sindacale. Dalla data di iscrizione di
questa dichiarazione si determinano gli effetti dello scioglimento, la pubblicità nel registro
delle imprese assume quindi un vero e proprio valore costitutivo dello stato di liquidazione.
!
Nuove operazioni:
I primi effetti dello scioglimento si producono a carico degli amministratori: essi debbono
astenersi dall’intraprendere nuove operazioni e limitare la gestione sociale ai soli fini della
“conservazione del patrimonio sociale”. Per effetto dello scioglimento della società sorge in
capo all’azionista il preciso diritto ad una parte proporzionale del patrimonio da liquidare. Gli
amministratori non possono rischiare di pregiudicare questo diritto con il compimento di
nuovi atti d’impresa, suscettibili di esporre a nuovi rischi il patrimonio sociale.
!
LA LIQUIDAZIONE
!
I liquidatori sono nominati dall’assemblea straordinaria, che provvede anche a determinarne i
poteri e le modalità di esercizio, essi sono in ogni momento revocabili e sostituibili dalla stessa
assemblea straordinaria o dal tribunale su istanza dei soci o del p.m. Con la nomina dei
liquidatori gli amministratori cessano dalla loro carica e debbono consegnare ai liquidatori i
beni sociali.
Assemblea e collegio sindacale sopravvivono allo scioglimento della società, ma con funzioni
ridotte a ciò che è compatibile con lo stato di liquidazione (nominano i liquidatori e regolano il
loro operato, approvano le modificazioni dello statuto necessarie ai fini della liquidazione,
deliberano eventualmente sulla responsabilità degli amministratori).
!
Entro i limiti fissati dall’assemblea straordinaria che li nomina, i liquidatori hanno il potere di
compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società, e rispondono per il loro operato
secondo le norme sulla responsabilità degli amministratori. Se i fondi acquisiti con la vendita
dei beni sociali risultano insufficienti a pagare i debiti, i liquidatori possono chiedere ai soci i
versamenti ancora dovuti sulle azioni non liberate; se la società si rivela insolvente, dovranno
chiedere al tribunale che la dichiari fallita.
Conclusa la liquidazione, i liquidatori redigono un bilancio finale del loro operato, che deve
essere depositato presso il registro delle imprese, ed è tacitamente approvato se i soci non
sporgono reclamo entro novanta giorni; scaduto il termine i liquidatori sono liberati di fronte
ai soci.
!
ESTINZIONE
!
Ultimo adempimento che grava sui liquidatori è la richiesta di cancellazione della società dal
registro delle imprese; la cancellazione segna il momento dell’estinzione della società. Dopo la
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cancellazione non esiste più un patrimonio sociale distinto dal patrimonio personale dei soci: i
creditori sociali non ancora soddisfatti non potranno agire nei confronti della società, ma solo
nei confronti dei singoli soci (pur se limitatamente alla loro quota di liquidazione) o dei
liquidatori (solo in presenza di una loro colpa).
!
REVOCA DELLO STATO DI LIQUIDAZIONE
!
Non di rado accade che i soci, anche a notevole distanza dalla data di scioglimento (non di
estinzione, ovviamente..), decidano di riattivare la società, revocando lo stato di liquidazione; è
possibile farlo con una deliberazione di assemblea straordinaria, previa eliminazione della
causa di scioglimento, che ha effetto dopo 60 gg dalla iscrizione al registro delle imprese. Al
socio non consenziente è garantito, a fronte del suo interesse alla liquidazione della sua quota,
il diritto di recesso.
!
SOCIETA’ CON AZIONI QUOTATE IN BORSA
!
LA CONSOB
!
Il Testo Unico dell’intermediazione finanziaria attribuisce alla Consob poteri finalizzati a
tutelare sia gli investitori, sia l’efficienza e la trasparenza del mercato. Gli emittenti quotati, e
anche quelli non quotati i cui titoli siano “diffusi fra il pubblico in maniera rilevante”, hanno
precisi obblighi di comunicazione al pubblico e alla Consob; debbono rendere noti i fatti che
accadono nella loro sfera di attività e in quella delle società controllate. Le modalità dell’
informazione al pubblico sono determinate dalla Consob, che può anche richiedere la
pubblicazione di specifiche notizie necessarie per l’informazione del pubblico.
Alla Consob infine spetta di vigilare sulla correttezza delle informazioni fornite al pubblico,
ed a tal fine può assumere notizie dagli amministratori, dai sindaci, dai dirigenti e dalle società
di revisione, oltre a eseguire ispezioni presso emittenti, controllanti e controllate.
!
Partecipazioni sociali, partecipazioni reciproche:
Vengono in considerazione due particolari rapporti di partecipazione, nei quali è interessata,
dal lato attivo o da quello passivo, una società con azioni quotate in borsa:
!
Una società o un qualsiasi altro soggetto partecipa in una società con azioni quotate in borsa,
per una misura superiore al due percento di questa;
Una società con azioni quotate in borsa partecipa in una società per azioni non quotata in
misura superiore al dieci percento del capitale di questa.
!
Il verificarsi di una delle due situazioni sopra indicate determina questo effetto: la società che
ha acquistato la partecipazione in misura superiore al limite fissato deve darne comunicazione
scritta all’altra società ed alla Consob.
Nel caso di partecipazioni reciproche, eccedenti i limiti stabiliti da entrambi i lati, la società
che ha superato il limite successivamente non può esercitare il diritto di voto inerente alle
azioni eccedenti, e deve provvedere ad alienarle entro 12 mesi; in caso di mancata alienazione
la sospensione del diritto di voto si estende all’intera partecipazione. Se non è possibile
stabilire quale delle due società ha superato il limite prima, la sospensione del voto e l’obbligo
di alienazione si applica ad entrambe.
!
LA REVISIONE CONTABILE
!
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Le società di revisione, contrariamente alla Consob che è un ente pubblico, sono soggetti
privati; all’ente pubblico sono attribuite le funzioni destinate a svolgersi necessariamente per
atti autoritativi, oppure che richiedono un unico soggetto operante su tutto il territorio
nazionale; laddove invece non è richiesta altro che un’idonea qualificazione professionale,
competenza tecnica e indipendenza, il controllo è esercitato da una società privata
(liberamente scelta fra le società di revisione iscritte all’apposito albo presso la Consob, e
sottoposte alla vigilanza di quest’ultima). L’incarico ha durata di tre esercizi e può essere
rinnovato per non più di due volte, all’assemblea spetta di fissare il corrispettivo spettante alla
società di revisione. La società di revisione è chiamata a svolgere due tipi di funzioni:
!
Funzione di controllo:
Il controllo riguarda la regolare tenuta della contabilità, la corrispondenza di stato
patrimoniale e conto economico alle risultanze delle scritture contabili, l’osservanza delle
norme stabilite per la valutazione del
patrimonio sociale.
Funzioni referenti:
Esse si svolgono in quattro direzioni:
!
Nei confronti degli azionisti, con il deposito di relazioni o pareri presso la sede della società
affinché gli azionisti possano prenderne visione.
Nei confronti, più in generale, del pubblico; con il deposito delle medesime relazioni e pareri
presso il registro delle imprese.
Nei confronti del collegio sindacale, cui la società di revisione deve riferire sui fatti che
ritiene censurabili, affinché il collegio indaghi.
Nei confronti della Consob, cui la società di revisione deve riferire immediatamente, ove
abbia ritenuto di dover esprimere un giudizio negativo sul bilancio o si sia trovata
nell’impossibilità di esprimere un giudizio.
!
GIUDIZIO SUL BILANCIO E SUOI EFFETTI
!
La società di revisione esprime un giudizio sul bilancio di esercizio e su quello consolidato.
Essa accerta che:
!
- Il bilancio e il conto dei profitti e delle perdite corrispondano alle risultanze
delle scritture contabili
- Gli stessi siano conformi alle norme sulla redazione e sul contenuto del
bilancio.
- I fatti di gestione siano esattamente rilevati dalle scritture contabili, secondo
corretti principi di contabilità.
!
La relazione è depositata presso la sede della società, insieme al bilancio, durante i quindici
giorni precedenti l’assemblea che dovrà approvare il bilancio stesso. La società di revisione
può:
!
a) esprimere un giudizio senza rilievi;
b) esprimere un giudizio con rilievi;
c) esprimere un giudizio negativo;
d) dichiarare l’impossibilità di esprimere un giudizio.
!
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Il giudizio sul bilancio offre agli azionisti, ai risparmiatori ed ai terzi la garanzia di un alto
grado di attendibilità, inducendoli a fare più sicuro affidamento sulla corrispondenza al vero
del bilancio; la società ne trae il vantaggio di vedere accresciuto il proprio credito sul mercato.
!
LE AZIONI DI RISPARMIO
!
Le azioni di risparmio al portatore possono essere emesse solo da società, con azioni ordinarie
quotate nei mercati regolamentati, i cui titoli siano già largamente negoziati e oggetto di vasto
interesse da parte dei risparmiatori.
Le azioni al risparmio nominative, invece, si ritiene possano essere emesse, quali titoli atipici,
anche da società con azioni non quotate in borsa.
!
Le azioni di risparmio di società abilitate ad emetterne di entrambi i tipi, possono essere
nominative o al portatore, a scelta dell’azionista; esse sono favorite nella ripartizione degli
utili, ma del tutto prive di diritto di voto, e anzi dello stesso diritto di intervenire in assemblea
e di chiederne la convocazione. Il livello di “privilegio”, sulla ripartizione degli utili, delle azioni
al risparmio, è determinato dall’atto costitutivo.
Le azioni al risparmio, insieme con quelle a voto limitato, non possono superare
complessivamente la metà del capitale sociale; se, in conseguenza alla riduzione del capitale
per perdite, questo limite è superato, il rapporto dev’essere ristabilito entro due anni con
l’emissione di nuove azioni ordinarie altrimenti la società si scioglie.
!
L’assemblea degli azionisti di risparmio:
Le azioni di risparmio sono una vera e propria “categoria di azioni”: perciò la deliberazione di
assemblea generale che ne pregiudichi i diritti dovrà essere approvata dall’assemblea speciale
degli azionisti di risparmio.
Essi, tramite la loro assemblea, devono costituire un fondo per le spese necessarie alla tutela
degli interessi di categoria, e nominano un rappresentante comune, che ha la funzione,
innanzitutto, di tutelare gli interessi degli azionisti al risparmio nei confronti della società, e di
dare esecuzione alle deliberazioni dell’assemblea speciale; ma gli spetta anche il diritto di
impugnare le deliberazioni sociali, di assistere alle assemblee, e di esaminare il libro dei soci e
il libro delle adunanze assembleari. Tutti questi diritti sono sottratti agli azionisti di risparmio
come singoli e restituiti loro solo collettivamente, come diritti del loro rappresentante comune.
!
LA SOCIETA’ IN ACCOMANDITA PER AZIONI
!
La società in accomandita per azioni è una società per azioni modificata dalla presenza di soci
accomandatari, illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali, in via
sussidiaria rispetto alla società.
!
I SOCI ACCOMANDATARI
!
La qualità di socio accomandatario è, nell’accomandita per azioni, strettamente legata alla
carica di amministratore: non si può essere amministratori senza essere soci accomandatari,
né si può essere accomandatari senza essere amministratori.

I nomi dei soci accomandatari sono indicati nello statuto; queste persone assumono di diritto
ed in modo automatico la carica di amministratori, e la conservano fino a quando l’assemblea
straordinaria non li abbia revocati, o non abbiano rinunciato alla carica, oppure abbiano
cessato, per qualsiasi ragione, di appartenere alla società. La nomina dei nuovi amministratori

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richiede una modificazione dello statuto, e quindi una deliberazione di assemblea
straordinaria, e deve essere una nomina approvata dai soci accomandatari superstiti (gli
accomandatari hanno un generale diritto di veto sulle deliberazioni modificative della statuto).
Per contro gli accomandatari non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la nomina e
la revoca dei sindaci, questo per garantire all’organo di controllo un’indipendenza dagli
amministratori maggiore di quella che si ha nelle società per azioni, data la quasi inamovibilità
di questi ultimi.
!
L’accomandatario che, per rinuncia o per revoca, cessa dalla carica di amministratore,
conserva la qualità di socio ma diventa automaticamente socio accomandante.
!
Responsabilità degli accomandatari:
La società in accomandita per azioni è nel novero della società dotate di personalità giuridica.
Ma come si concilia questa personalità con la responsabilità illimitata degli accomandatari? Si
è ritenuto che per gli accomandatari valga lo stesso principio vigente per “l’unico azionista”, il
quale risponde illimitatamente delle sole obbligazioni sorte nel periodo in cui risulta essere
stato l’unico socio, mentre continua a godere di responsabilità limitata per le obbligazioni sorte
quando esisteva ancora la pluralità dei soci (pur se tuttora esigibili). Allo stesso modo gli
accomandatari non sono responsabili per “tutte le obbligazioni sociali” (sono escluse quelle
sorte prima della loro nomina), perciò si può dire che la loro non sia una vera responsabilità
illimitata, ma che lo sia solo in senso tecnico.
!
LE NORME APPLICABILI ALLA
SOCIETA’ IN ACCOMANDITA PER AZIONI
!
“Alla società in accomandita per azioni sono applicabili le norme relative alla società per
azioni, se compatibili con le disposizioni seguenti (artt. 2455-2461)”. Nessun esplicito richiamo
è fatto dunque alle norme sulla società in accomandita semplice, tuttavia alcuni principi
vigenti per le società di persone dovranno essere richiamati di fronte alle lacune non colmabili
applicando le norme sulla società per azioni.
Problemi di incompatibilità fra le norme sulle società per azioni e la realtà delle società in
accomandita per azioni sorgono, ad esempio, per quanto riguarda la disciplina degli
amministratori. Il consiglio di amministrazione delibera a maggioranza oppure, vista la
responsabilità illimitata di ciascun amministratore, sarà richiesta l’unanimità? Bisogna
ricordare che è richiesta compatibilità solamente fra le norme sulla società per azioni e il
contenuto degli artt. 2455-2461, e in questo caso le norme sulla società per azioni riguardanti
le deliberazioni del C.d.A. a maggioranza non sono incompatibili con nessuna delle
disposizioni agli artt. 2455-2461. Le normali regole relative alla società per azioni devono
quindi ritenersi vigenti.
!
I SOCI ACCOMANDANTI
!
La posizione dei soci accomandanti risulta in tutto e per tutto equiparata a quella degli
azionisti. Ogni riferimento alle norme relative agli accomandanti di società in accomandita
semplice è da escludere. L’accomandante che si ingerisca nell’amministrazione
sistematicamente potrà venire in considerazione quale amministratore di fatto, perciò, poiché
l’amministratore di fatto è equiparato all’amministratore regolarmente nominato, e poiché in
questo tipo di società esiste un nesso necessario fra carica di amministratore e qualità di socio
accomandatario, si potrà qualificare l’amministratore di fatto anche come accomandatario di
fatto.
!
!95
LA S.R.L.
!
La società a responsabilità limitata si presta ad essere considerata come un tipo intermedio fra
le società di persone e le società per azioni, comunque essa è dotata di personalità giuridica, ha
un patrimonio autonomo e i suoi soci rispondono delle obbligazioni sociali solo nei limiti della
loro quota (al pari dell’unico azionista, l’unico socio di S.r.l. decade dalla responsabilità
limitata per le obbligazioni sorte nel periodo in cui è stato unico socio). Simili alla società per
azioni sono anche le norme sul procedimento costitutivo della società, sull’efficacia
dell’iscrizione nel registro delle imprese (efficacia costitutiva), sui soci fondatori.
La principale differenza invece, è che per questo tipo di società viene richiesto un capitale
minimo di gran lunga inferiore a quello di una S.p.A. , e precisamente pari a diecimila euro.
Altro elemento di differenziazione sta nel fatto che “le quote di partecipazione dei soci non
possono essere rappresentate da azioni, né costituire oggetto di sollecitazione
all’investimento”; non potendo emettere azioni, la S.r.l. non può fare ricorso al mercato del
capitale di rischio, il che vale a porre evidenti limiti massimi alle dimensioni di questo tipo di
società. E’ ammessa soltanto l’emissione di titoli di debito simili alle obbligazioni, che possono
però essere sottoscritti esclusivamente da investitori qualificati, i quali a loro volta li
collocheranno presso il pubblico dei risparmiatori rispondendo in prima persona della
solvenza della società.
!
L’ORGANIZZAZIONE DELLA SOCIETA’
!
Conferimenti:
La costituzione della società e i conferimenti sono regolati da norme sostanzialmente
corrispondenti a quelle della società per azioni. La S.r.l. tuttavia presenta due particolarità:
!
Il versamento presso una banca del 25% del conferimento può essere sostituito da una
fideiussione o da una polizza di assicurazione;
Il conferimento può consistere (come nelle società di persone) in una prestazione d’opera o di
servizi; la relativa obbligazione, tuttavia, deve essere garantita per l’intero valore ad essa
assegnato da una fideiussione o da una polizza d’assicurazione.
!
Amministrazione:
Per l’organizzazione interna della società è attribuita dalla riforma una grande autonomia allo
statuto. L’atto costitutivo può:
!
Concentrare tutti i poteri in capo ai soci ed attribuire ad essi anche l’amministrazione della
società, congiuntiva o disgiuntiva, come è nelle società di persone;
Attribuire l’amministrazione a uno o più soci soltanto, nominati dall’assemblea (alla quale
peraltro lo statuto può riservare competenza su determinate materie).
!
Anche se l’amministrazione è riservata a uno o più soci, lo statuto può determinare se essi
debbano esercitarla congiuntamente o disgiuntamente; nel silenzio dello statuto i soci
designati compongono il consiglio di amministrazione, che delibera collegialmente. Il potere di
rappresentanza è, come nelle società di persone, inerente alla carica di amministratore.
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Decisioni riservate ai soci:

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Sono riservate in ogni caso ai soci le deliberazioni di approvazione del bilancio e distribuzione
degli utili, le modificazioni dell’atto costitutivo e le decisioni che comportano una sostanziale
modificazione dell’oggetto sociale o dei diritti dei soci.
Le deliberazioni, eccetto quelle modificative dello statuto che richiedono il metodo
assembleare, possono anche essere prese, come nella società di persone, con la raccolta di
adesioni scritte alla proposta di deliberazione.
Le decisioni sono prese col voto favorevole dei soci che rappresentino almeno la metà del
capitale sociale.
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Soci non amministratori:
I soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritti analoghi a quelli dei soci non
amministratori nelle società di persone: hanno diritto di avere notizie dagli amministratori
sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri sociali, possono esercitare l’azione di
responsabilità contro gli amministratori e chiederne, in caso di gravi irregolarità, la revoca con
provvedimento cautelare. La costituzione di un collegio sindacale può essere prevista dallo
statuto, ed è anzi obbligatoria se il capitale sociale è superiore al capitale minimo della società
per azioni.
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Bilancio:
Il progetto di bilancio, da redigere secondo i principi validi per il bilancio delle S.p.A. , deve
essere presentato ai soci entro 120 gg dalla chiusura dell’esercizio; la decisione dei soci che
approva il bilancio decide anche sulla ripartizione degli utili, ma non si possono distribuire
utili se il capitale è in perdita. Almeno fino a quando non sia stato reintegrato.
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LA QUOTA SOCIALE
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A differenza di quanto accade nelle S.p.A. , dove le quote sono rappresentate da azioni, qui la
qualità di socio non è incorporata in un titolo di credito idoneo a circolare come cosa mobile,
tuttavia la riforma del 2003 considera espressamente la quota alla stregua di un bene mobile,
ammettendo anche che possa costituire oggetto di pegno, usufrutto o sequestro.
Mentre le azioni sono tutte di uguale valore, e la potenza di ciascun socio dipende dal numero
delle azioni possedute, qui le quote possono essere di diverso ammontare, ciascun socio è
titolare di una sola quota e la sua potenza è determinata dalla consistenza di questa in rapporto
al capitale. Le quote dei soci, proprio perché non esprimono altro se non la percentuale di
partecipazione alla società, si adattano automaticamente, nel caso di aumento o di riduzione
del capitale, in proporzione ad esso.
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Recesso del socio:
Le quote, in linea di principio, sono trasferibili, ma lo statuto può vietarne il trasferimento,
accentuando il carattere personalistico di questo tipo di società ed elevando l’identità del socio
ad elemento determinante, come accade nelle società di persone. La possibilità di prevedere
questo divieto, e la difficoltà nel trovare compratori anche laddove il divieto non sussista,
possono generare una sorta di perpetuità soffocante del vincolo societario, tenendo il socio
“prigioniero” della propria quota per tutta la durata della società. A ciò ha ovviato la riforma
del 2003, prevedendo nuove e più agevoli cause di recesso:
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Se la società è stata contratta a tempo indeterminato, il socio può in ogni momento recedere
con un preavviso di centottanta giorni.
Se la società è contratta a tempo determinato, e il trasferimento delle quote è vietato o
subordinato al gradimento degli organi sociali, il socio ha diritto di recedere in qualsiasi
momento.
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Il socio ha comunque diritto di recedere nelle ipotesi previste dall’atto costitutivo.
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Liquidazione della quota:
L’ampliamento dei casi si recesso pone problemi di tutela dell’integrità del capitale, che
costituisce la sola garanzia per i creditori sociali. Di qui una serie di cautele: Innanzitutto è
previsto il rimborso della quota mediante acquisto da parte degli altri soci o di un terzo; se poi
ciò non fosse possibile le somme necessarie vengono prelevate da riserve disponibili, e infine,
se anche queste non siano sufficienti, si riduce il capitale sociale, sempre che nessun creditore
si opponga. In quest’ultimo caso la società è messa in liquidazione.
In nessun caso la società può acquistare proprie quote (diversamente dalle S.p.A.), né può
(questa volta similmente alle S.p.A.) riceverle in pegno o dare garanzie o accordare prestiti per
la loro sottoscrizione.
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Esclusione del socio:
L’affinità con le società di persone, per quanto riguarda i rapporti interni, emerge anche dalla
possibilità di esclusione di un socio per giusta causa. L’esclusione non può però essere
deliberata se, per rimborsare la quota del socio escluso, occorrerebbe ridurre il capitale sociale.
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Il trasferimento della quota:
Il trasferimento della quota si attua tramite documento scritto, con firme autenticate dal
notaio, il quale deve provvedere, entro trenta giorni, all’iscrizione dell’atto presso il registro
delle imprese. Perché il trasferimento acquisti efficacia nei confronti della società, ossia perché
l’acquirente sia a tutti gli effetti considerato socio, occorre l’iscrizione del trasferimento nel
libro dei soci.
Altro problema sorge nel caso di doppia alienazione della medesima quota; in questo caso
fra i due acquirenti prevale quello che abbia per primo effettuato, in buona fede, l’iscrizione del
proprio acquisto nel registro delle imprese. Il criterio è differente da quello valido per i
trasferimenti immobiliari: mentre in quel caso ha la meglio il primo che trascrive, anche se in
mala fede, in questo chi ha iscritto per primo prevale solo se è in buona fede.
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Espropriazione forzata:
i creditori particolari del socio possono espropriare la sua quota, che viene sottoposta alla
vendita forzata o viene assegnata al creditore procedente, il quale subentra all’espropriato nella
qualità di socio. Le cose si complicano nel caso in cui la quota sia trasferibile con il gradimento
della società o previa offerta in prelazione agli altri soci: in questo caso creditore, debitore e
società devono tentare un accordo sulla vendita della quota, altrimenti essa verrà venduta
all’asta, e la società potrà annullare l’aggiudicazione presentando un altro acquirente disposto
a pagare lo stesso prezzo.
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LA S.R.L. UNIPERSONALE
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La società a responsabilità limitata con un unico socio è ammessa. A tutela dei terzi, la
fruizione della responsabilità limitata da parte dell’unico socio è subordinata a specifiche
condizioni:
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Le generalità dell’unico socio devono essere rese pubbliche mediante iscrizione nel registro
delle imprese, e dagli atti e dalla corrispondenza della società deve risultare che si tratta di
società con un unico socio;
I conferimenti in denaro dell’unico socio devono essere interamente versati.
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Se queste condizioni non vengono adempiute opera il principio secondo il quale l’unico socio
risponde illimitatamente delle obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui l’intero capitale si è
trovato nelle sue mani.
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TRASFORMAZIONE, FUSIONE, SCISSIONE
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TRASFORMAZIONE
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Trasformazione omogenea:
E’ omogenea la trasformazione da un tipo all’altro di società di persone, o di capitali, e anche
da una società di persone a una di capitali e viceversa. In tutti questi casi infatti la
trasformazione si attua entro l’unità della causa del contratto di società: la funzione economico
sociale del contratto resta sempre quella descritta nell’art. 2247.

La più rilevante fra queste trasformazioni è quella di una società di persone in una società per
azioni, che si attua mediante una deliberazione modificativa dell’atto costitutivo, adottata a
maggioranza; la deliberazione dovrà risultare da atto pubblico e contenere le indicazioni
prescritte dalla legge per l’atto costitutivo della società per azioni, e dovrà essere iscritta al
registro delle imprese con le forme prescritte per l’atto costitutivo di società per azioni.
I soci a responsabilità illimitata non sono liberati dalla responsabilità per le obbligazioni
anteriori alla trasformazione, e in ogni caso i creditori sociali devono acconsentire alla
trasformazione (anche tacitamente, non opponendosi alla trasformazione entro 60 giorni).
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Quando invece sia una società di capitali a trasformarsi in una società di persone, varranno le
maggioranze previste per le modificazioni statutarie e occorrerà il consenso dei soci che, a
seguito della trasformazione, assumeranno responsabilità illimitata. Si dovrà fare capo alle
indicazioni e forme prescritte per il tipo di società di persone scelto, e la trasformazione non
troverà ostacolo nel fatto che la società abbia perduto il capitale giacché i soci assumeranno
responsabilità illimitata anche per i debiti anteriori alla trasformazione.
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Trasformazione eterogenea:
In origine, il codice civile non conosceva altro se non la trasformazione endosocietaria, da un
tipo all’altro di società. La trasformazione da società lucrativa ad associazione, ad esempio, o a
società cooperativa, era ritenuta inammissibile, valendo ad escluderla la differenza di causa fra
i due tipi di contratto (scopo di lucro per le società, scopi mutualistici per le altre tipologie).
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La riforma del 2003, superando ogni ostacolo, ha introdotto la figura della trasformazione
eterogenea, che è stata prevista a tutto campo: Perciò una società, di persone o di capitali, può
trasformarsi in un consorzio, in una cooperativa, in un’associazione non riconosciuta, in una
fondazione. Occorre però una maggioranza qualificata, superiore a quella richiesta per la
trasformazione omogenea, pari ai due terzi degli aventi diritto al voto. Occorre inoltre il
consenso dei soci che assumeranno responsabilità illimitata.
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Si noti che una società di capitali non può trasformarsi direttamente in associazione
riconosciuta, poiché non è detto che abbia “un patrimonio congruo al conseguimento dello
scopo statutario”; potrà diventare associazione non riconosciuta e in seguito chiedere il
riconoscimento. Al contrario un’associazione che voglia trasformarsi in società di capitali
dovrà essere per forza riconosciuta, per poter offrire la garanzia di una accertata consistenza

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patrimoniale; in questo caso, se non è riconosciuta, dovrà prima chiedere il riconoscimento e
poi operare la trasformazione.
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La trasformazione eterogenea ha effetto trascorsi sessanta giorni dall’ultimo degli
adempimenti pubblicitari previsti, entro questo termine i creditori possono fare opposizione.
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LA FUSIONE
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La fusione è il fenomeno per il quale una società prende vita da due o più società preesistenti,
può avvenire in due modi: o mediante la costituzione di una nuova società, oppure mediante
incorporazione in una società di una o più altre società.
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Il procedimento di fusione si attua mediante una triplice fase:
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Gli amministratori delle società che partecipano alla fusione redigono un progetto di fusione,
dal quale risulti l’atto costitutivo della nuova società e il rapporto di cambio delle azioni o
quote, inoltre, redigeranno una relazione che illustri e giustifichi il progetto di fusione,
accompagnata da una relazione di esperti sulla congruità dei rapporti di cambio.
Le assemblee delle società partecipanti approvano il progetto di fusione, con le maggioranze
richieste per le modifiche statutarie. Le relative deliberazioni devono essere depositate presso
il registro delle imprese, e la fusione non può essere attuata prima che siano trascorsi sessanta
giorni dall’ultima iscrizione, in questo periodo i creditori hanno la facoltà di opporsi.
gli amministratori, congiuntamente, redigono l’atto di fusione, per il quale è richiesta la forma
dell’atto pubblico, oltre che l’iscrizione nel registro delle imprese.
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I diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione non si estinguono: “la società che
risulta dalla fusione (o quella incorporante) assume i diritti e gli obblighi delle società
partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla
fusione”. Si è con ciò voluto escludere che la fusione comporti un’interruzione del processo in
cui sia parte una società partecipante alla fusione stessa, ed escludere l’assimilazione della
fusione alla morte della parte persone fisica.
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Natura della fusione:
Il fenomeno della fusione non è descrivibile come un contratto fra società, dal quale prenda
vita una nuova società, piuttosto si riferisce al rapporto intercorrente fra i soci delle società
partecipanti: Essi modificano i rispettivi contratti sociali in modo da portarli a coincidere con il
contenuto del contratto sociale risultante dalla fusione. A questa configurazione del fenomeno
si può pervenire solo se si cessa di considerare la fusione come vicenda inerente alle società
come soggetti di diritto, ma come vicenda che riguarda i contraenti delle società partecipanti.
Si tratta in effetti di una integrazione reciproca dei contratti preesistenti (che, lungi
dall’estinguersi, conservano intatta la loro efficacia) e non di un nuovo contratto.
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Dal momento che non c’è costituzione di un nuovo contratto di società, ma solo unificazione di
quelli che originariamente erano contratti separati, nessun trasferimento della posizione di
socio appare configurabile: chi era parte degli originari contratti di società conserverà questa
qualità nel contratto risultante dalla loro unificazione.
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Incorporazione di società controllata:
Più semplificate sono le procedure nel caso in cui una società avente il controllo di un’altra
incorpori quest’ultima: Sarà superfluo che il progetto di fusione menzioni il rapporto di
cambio, saranno superflue le relazioni degli amministratori e degli esperti. La fusione potrà
inoltre essere deliberata dai rispettivi organi amministrativi, salvo che il cinque percento del
capitale della incorporante non richieda una deliberazione assembleare.
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LA SCISSIONE
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Anche la scissione può attuarsi in due forme: mediante il trasferimento del patrimonio (o di
parte di esso) di una società ad una o più società preesistenti, oppure mediante il suo
trasferimento a società di nuova costituzione. In ogni caso si assiste alla contemporanea e
proporzionale assegnazione delle nuove partecipazioni ai soci della società che si scinde. La
scissione opera su un duplice piano: in senso oggettivo scinde un unico patrimonio in due o più
patrimoni sociali, sul piano soggettivo moltiplica una società in due o più società. La scissione
è possibile, al pari della fusione, anche per le società in liquidazione, purché non sia iniziata la
distribuzione dell’attivo.
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La scissione, così come la fusione, è vicenda che agisce sul rapporto contrattuale costituito
dall’originario contratto di società; essa non estingue l’originario contratto per dare vita a
contratti nuovi, bensì modifica il primo attuando una ramificazione in più rapporti contrattuali
del rapporto contrattuale originariamente unitario.
La scissione soddisfa l’esigenza di una più razionale organizzazione aziendale, per le società
che esercitano, mediante distinti rami d’azienda, una pluralità di attività economiche. Con la
scissione ciascun ramo d’azienda farà capo ad una distinta società, con il conseguente
vantaggio della diversificazione dei rischi delle diverse attività economiche.
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L’OFFERTA PUBBLICA DI ACQUISTO (OPA)
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Secondo l’ordinamento le azioni “sono tutte di uguale valore e conferiscono ai loro possessori
uguali diritti”. Questo uguale valore è il valore nominale delle azioni, quale frazione del
capitale sociale, diverso può essere il valore di mercato delle azioni
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IL PREMIO DI MAGGIORANZA
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Dal punto di vista del valore di mercato, le azioni non sono tutte di uguale valore. Quelle che
compongono il “pacchetto” di comando della società hanno un valore di mercato superiore a
quello delle altre azioni. Il pacchetto dell’azionista di maggioranza vale di più perché
attribuisce al compratore il controllo della società, e questo surplus di prezzo, definito come
premio di maggioranza, è proprio il prezzo del controllo della società.
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Per le società con azioni diffuse fra il grande pubblico si può operare questa tripartizione:
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Da un lato c’è il capitale di comando;
Dal lato opposto c’è il c.d. capitale flottante, suddiviso fra una moltitudine di piccoli azionisti;

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In una posizione intermedia possono esserci consistenti pacchetti azionari, che rappresentano
una frazione apprezzabile del capitale sociale, ma che appartengono ad azionisti estranei al
gruppo di comando. Questi pacchetti sono spesso il frutto di operazioni di “rastrellamento” in
borsa dei titoli disseminati fra i piccoli risparmiatori, e sono formati in vista di un più
ambizioso obiettivo, la “scalata” al comando della società. Per indicare i detentori di questi
pacchetti si usa l’espressione “azionisti di riferimento”.
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OPA OBBLIGATORIA
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In tempi recenti è maturato il convincimento che il principio dell’uguale diritto di tutti gli
azionisti debba essere imposto anche in sede di negoziazione dei titoli, prevedendo che il
maggior prezzo che è disposto a sborsare chi intende impossessarsi di un pacchetto di
controllo, o di riferimento, vada a vantaggio di tutti gli azionisti.
Il mezzo attraverso cui questo principio si attua è l’offerta pubblica di acquisto obbligatoria,
per la quale sono previste due ipotesi:
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Opa totalitaria:
Chi abbia conseguito una partecipazione superiore alla soglia del trenta percento deve
promuovere una offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni quotate, per un
prezzo non inferiore alla media aritmetica fra il prezzo medio di mercato degli ultimi 12
mesi e quello più elevato pattuito nello stesso periodo per azioni della medesima categoria.
Tutto ciò costituisce un incentivo all’Opa preventiva: chi voglia acquistare una
partecipazione rilevante in una società quotata, effettuerà un’offerta pubblica di acquisto
per la totalità delle azioni ordinarie; altrimenti potrà trovarsi costretto, ad acquisto
effettuato, a procedere ad ulteriori acquisti in sede di Opa obbligatoria.
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Opa residuale:
Ricorre nell’ipotesi di chi abbia acquistato il controllo di una società provocando l’effetto di
ridurre il flottante ad una misura inferiore al 10%: in tal caso egli deve promuovere un’Opa
sulla totalità dei titoli al prezzo fissato dalla Consob, se non ripristina entro quattro mesi un
flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni. Qui l’offerta
pubblica è giustificata dalla considerazione che l’acquisto di un controllo esteso oltre il 90%
del capitale riduce considerevolmente gli spazi di negoziazione del titolo; perciò ai piccoli
azionisti è riconosciuto il diritto di realizzare il controvalore in denaro della loro,
difficilmente negoziabile, partecipazione.
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