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LE PROCEDURE CONCORSUALI

L’espressione procedure concorsuali comprende una serie di procedure nelle quali, con la presenza di una
autorità pubblica, viene regolato il rapporto tra un soggetto e il complesso dei suoi creditori.
Nel linguaggio comune vengono indicate con tale espressione vengono indicate le procedure collegate alla crisi
dell’imprenditore commerciale.
L’imprenditore infatti, durante l’esercizio della sua attività, può trovarsi in una particolare situazione di natura
economico-finanziaria, che lo rende incapace di far fronte ai propri debiti. Tale situazione, che può essere
temporanea o duratura, è chiamata stato di insolvenza.

La libertà di iniziativa economica sancita all’art 41 cost, che comprende la libertà di avviare l’attività economia, di
proseguirla on regime di autonomia e di cessarla in base ad una determinazione spontanea dell’imprenditore,
trova un limite proprio nella possibilità che l’imprenditore venga sottoposto ad una procedura concorsuale, che lo
priva della gestione e della disponibilità dell’impresa e dei suoi beni, ovvero viene nominato un soggetto che
opera un controllo sull’esercizio della sua attività.

Il nostro ordinamento prevede una pluralità di procedure concorsuali, ciascuna con le proprie caratteristiche.
Questo perché diverse possono essere le cause della crisi dell’impresa, la gravità, il suo rilievo economico e sociale
e le conseguenti possibilità di superamento, ecco perché la necessità di disporre modelli differenziati di procedure
concorsuali.

1) IL FALLIMENTO  prototipo delle procedure concorsuali. Ad esso sono soggetti gli imprenditori
commerciali insolventi, salvo che ricorrano specifici presupposti soggettivi/oggettivi.
Si tratta di una procedura giudiziaria, che mira a liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente,
opportunamente reintegrato, e a ripartirne il ricavato tra i creditori secondo un principio di par condicio
creditorum.
2) IL CONCORDATO PREVENTIVO
3) LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA
4) L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA
5) L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA SPECIALE (c.d. Decreto Marzano)
Un’ulteriore procedura, l’amministrazione controllata, è stata soppressa dopo la legge di riforma delle procedure
concorsuali nel 2006.

Le procedure concorsuali sono disciplinate da leggi speciali


1) R.d 267/1942, la legge fallimentare. È la legge fondamentale in materia, e ha subito continue e notevoli
modifiche negli ultimi anni. Comprende:
 Fallimento
 Concordato preventivo
 Accordi di ristrutturazione dei debiti
 Liquidazione coatta amministrativa

2) D.lgs. 270/199  amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi

3) Dopo vari tentativi di riforma non pervenuti ad uno sbocco legislativo, si è arrivati ad una profonda
revisione della legge fallimentare con una seria di interventi che si sono susseguiti a partire dal 2005:
 Hanno ridisegnato il concordato preventivo
 Hanno introdotto gli accordi di ristrutturazione dei debiti
 Hanno innovato la disciplina del fallimento
 Hanno soppresso l’istituto dell’amministrazione controllata
4) D.l. 83/2012  modifica nuovamente la disciplina del concordato preventivo e degli accordi di
ristrutturazione dei debiti, al fine di favorirne l’impiego per la salvaguardia del complesso aziendale.

Procedure concorsuali amministrative e giudiziarie


Si fa riferimento alla natura degli organi che gestiscono la procedura.
In ambo le categorie vi sono momenti strettamente giudiziari, nei quali devono esser risolte delle controversie che
hanno ad oggetto diritti soggettivi (es riconoscimento di un diritto di credito da far valere).
 Procedure concorsuali amministrative  sono disposte e gestite dall’autorità amministrativa, in
persona del ministro di volta in volta individuato dalle leggi speciali.
L’autorità amministrativa, quando gestisce una procedura concorsuale, esercita il potere organizzativo e
operativo che normalmente viene esercitato sugli enti strumentali.
1. amministrazione straordinaria
2. liquidazione coatta amministrativa
3. ristrutturazione industriale
Più volte è stata sollevata la questione di legittimità delle procedure amministrative, dato che tendono a
trovare una soluzione che consenta una ricollocazione produttiva e quindi l’interesse dei creditori deve
essere subordinato a tale esigenza. La Corte costituzionale ha però riconosciuto l’esistenza di motivi che
legittimano la subordinazione di diritti di credito ad interessi di rilevanza generale (es problemi
occupazionali)

 Procedure concorsuali giudiziarie  dispone attraverso un provvedimento reso dall’autorità


giudiziaria (tribunale civile), che nomina gli organi della procedura stessa, ne definisce gli indirizzi e ne ha
un superiore controllo.
L’autorità giudiziaria, quando esercita le funzioni di indirizzo, controllo, vigilanza sulle procedure
concorsuali, non svolge quella funzione tipica del giudice civile di risoluzione di controversie (giurisdizione
civile contenziosa), ma una speciale attività qualificata come giurisdizione volontaria.
1. Fallimento
2. Concordato preventivo

 Amministrazione straordinaria  prevede un doppio binario, è prevista una fase preliminare di


competenza dell’autorità giudiziaria a cui segue, se ricorrono le condizioni, l’apertura della procedura
amministrativa su provvedimento del ministro delle attività produttive. In mancanza il tribunale dichiarerà
il fallimento.

Questa doppia tipologia di procedure si spiega con la diversa intensità dell’intervento pubblico, in relazione agli
interessi coinvolti.
 Le procedure giudiziarie hanno essenzialmente cura di attuare l’estinzione della posizione debitoria
 Le procedure amministrative hanno come prima finalità quella di ricollocare o risanare ove possibile le
strutture aziendali dell’imprenditore sottoposto a procedura, in modo da conservarne la funzionalità,
evitare che venga turbato il sistema in cui l’imprenditore opera.

Procedure coattive e volontarie


 Coattive  possono essere disposte su richiesta di terzi anche contro la volontà dell’imprenditore
 Fallimento
 Liquidazione coatta amministrativa
 Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi
Non è esclusa la legittimazione da parte dello stesso imprenditore (tranne che per la LCA), ma la
procedura non è comunque sottratta all’autorità competente la piena e libera valutazione in ordine alla
sussistenza dei presupposti previsti dalla legge.
Nel caso l’iniziativa sia assunta dai terzi, è previsto un potere di resistenza da parte del debitore.

 Volontarie  l’unico soggetto legittimato a proporre la procedura è l’imprenditore.


 Concordato preventivo
 Ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza
IL FALLIMENTO
Il fallimento è una procedura concorsuale giudiziaria che mira a liquidare il patrimonio dell’imprenditore
insolvente ed a ripartire il ricavato fra i creditori, secondo criteri ispirati al principio della parità di trattamento.
La disciplina generale del fallimento è dettata dal R.D. 267/42 (legge fallimentare), ma siccome tale legge si
dimostrava inadeguata alle recenti novità imprenditoriali, ed a seguito dei numerosi interventi della Corte
costituzionale, il legislatore è più volte intervenuto nella materia, in particolar modo con il D.L. vo 5/2006 (riforma
delle procedure concorsuali nel 2006) e con il D.L. vo 169/2007(decreto correttivo nel 2007).

I presupposti del fallimento:


Il presupposto soggettivo del fallimento
Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una
attività commerciale di natura privata. (è presupposto comune anche per concordato preventivo e
amministrazione straordinaria)

Tuttavia:
 gli imprenditori commerciali (non piccoli) di natura privata non sono sempre e necessariamente soggetti al
fallimento in caso di insolvenza, dato che come già abbiamo constatato non si fa luogo a dichiarazione di
fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria
prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila;
 taluni imprenditori di maggiori dimensioni, in presenza di determinati presupposti, possono essere
ammessi alla diversa procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi
 altri imprenditori, individuati da leggi speciali (es banche, assicurazioni, società fiduciarie, imprese
abilitate alla prestazione di servizi di investimento, come le s.i.m., le s.i.c.a.v) sono assoggettabili alla
procedura di liquidazione coatta amministrativa, in generale con esclusione del fallimento

Non sono, invece, soggetti al fallimento:


 gli imprenditori agricoli (e le società agricole, ancorché costituite nella forma di società commerciali), ai
quali però è consentito di accedere agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Dal 2011 sono ammessi agli accordi di ristrutturazione dei debiti (art 182 bis l. fall)
 gli enti pubblici, anche se esercente attività commerciale, ma non le società a partecipazione pubblica o in
mano pubblica, che hanno natura privatistica.
 Il professionista

A norma del c 2 art 1 l. fall, come modificato dalla riforma del 2007, non sono soggetti alle disposizioni sul
fallimento gli imprenditori di cui a primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti
requisiti:
a) aver avuto. nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza fallimento o dall'inizio dell’attività
se di durata inferiore un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a 300.000 e;
b) aver realizzato nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio
dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a
200.000 e
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro 500.000

Sono inoltre esclusi da leggi speciali:


a) debitore che abbia debiti scaduti inferiori a euro 30.000
b) start – up innovative  imprese di nuova costituzione che investono in attività ad alto livello innovazione.
c) Determinati Imprenditori commerciali che utilizzano forme societarie di tipo privato (banche, cooperative,
imprese sociali, SICAV  LCA

È imposta la contestuale presenza di tutti i requisiti, ed è posto a carico del fallendo l‘onere della prova della
loro sussistenza (dal 2007), cosicché l‘imprenditore che, pur in possesso di quei requisiti, non si difende o si
difenda senza farli valere o non riesca a dimostrarli si vedrà assoggettato al fallimento anche se la sua impresa sia
di dimensioni modeste o addirittura minime.
Resta da verificare se il tribunale possa acquisire d’ufficio la prova della sussistenza di quei requisiti oppure no. La
risposta preferibile dovrebbe essere quella negativa, soprattutto se all‘inversione dell‘onere viene data una
valenza sanzionatoria; ma giustamente è stato osservato che nel caso del procedimento per la dichiarazione di
fallimento non sono in gioco diritti di cui le parti possano liberamente disporre.

Rispetto al passato, sia nel primo sia nel secondo comma, è scomparso il riferimento ai piccoli imprenditori
(criterio distintivo ex art 2083 c.c. e fondato sulla prevalenza del lavoro proprio dell’imprenditore e dei suoi
familiari sugli altri fattori produttivi), in precedenza esclusi dal fallimento; ma quello stesso riferimento è rimasto
invece inalterato nell’art. 2221 c.c., secondo cui gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi gli
enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti in caso d ’insolvenza alle procedure del fallimento e del
concordato preventivo, salvo le disposizioni delle leggi speciali.
Non potendo affermarsi con certezza l’abrogazione implicita di quest’ultima norma, occorre chiedersi se l’art.
2083 c.c. abbia una portata più vasta dell’art. 1 l. fall., nel senso che quest’ultima disposizione crei sì una
presunzione assoluta in ordine alla qualità di piccolo imprenditore ai fini del fallimento, ma senza impedire
all’interessato (ove non riesca a dimostrare la contemporanea sussistenza dei tre requisiti di cui al secondo
comma) la possibilità di dare la prova della prevalenza del lavoro dell’imprenditore e dei suoi familiari sugli altri
fattori produttivi (consentendo al giudice di non dichiarare comunque il fallimento in presenza di elementi
sufficienti ad identificare nel fallendo i requisiti di cui all’art. 2083 c.c.).

Detto questo, tuttavia, non può sfuggire l’irrazionalità della scelta di far dipendere la fallibilità dell’imprenditore
(o, se si preferisce, la distinzione fra imprese piccole, sottratte al fallimento, e imprese medio-grandi)
prevalentemente da criteri quantitativi che nulla hanno a che vedere con le dimensioni dell’organizzazione
aziendale (per capitale e lavoro), quali l’ammontare dei ricavi lordi e quello del passivo complessivo; cosicché, ad
esempio, l’imprenditore in possesso dei due requisiti di cui alle lett. a) e b), ma non di quest’ultimo potrebbe
essere indotto a scendere sotto il limite previsto compiendo pagamenti con meni anomali o pagamenti
preferenziali o atti di depauperamento del suo patrimonio che sarebbero poi sottratti ai rigori dell'azione
revocatoria fallimentare.

Gli imprenditori non assoggettabili a fallimento, i professionisti, i consumatori in caso di rilevante difficoltà o
definitiva incapacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni, possono ricorrere alla crisi da
sovraindebitamento (insolvenza civile).

Gli enti pubblici (natura pubblicista espressamente prevista dalla legge istitutiva dell’ente + soggetti di forma
privata a cui si estende la disciplina per via delle loro finalità, la natura dell’attività, alla soggezione al controllo, es
società a partecipazione statale) sono assoggettabili alla disciplina della liquidazione coatta amministrativa, ma
solo se espressamente previsto dalla legge istitutiva di tali soggetti.
Per quelli per i quali manchi tale previsione dovranno applicarsi le norme in tema di liquidazione forzata.
Presupposto oggettivo
Presupposto oggettivo è lo stato di insolvenza del debitore (lo è anche dell’amministrazione straordinaria delle
grandi imprese, della liquidazione coatta amministrativa e del concordato preventivo)  il codice non da una
definizione di insolvenza, ma all’art 2221 cc  gli imprenditori che esercitano attività commerciale, esclusi gli enti
pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti in caso di insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato
preventivo, salve le disposizioni di leggi speciali.

La legge fallimentare da un contenuto più preciso all’art 5 c 2 l. fall  si trova in stato di insolvenza chi non è più
in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
La giurisprudenza ritiene che lo stato di insolvenza di una impresa commerciale al fine della dichiarazione di
fallimento consista in una situazione di impotenza economica, strutturale e non transitoria, che si realizza quando
l’imprenditore chi non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

Lo stato di insolvenza va tenuto distinto dall’inadempimento.


 Lo stato di insolvenza è una situazione del patrimonio del debitore
 L’inadempimento è una manifestazione dello stato di insolvenza e si riferisce ad una singola obbligazione.
Un imprenditore può adempiere a tutti i suoi debiti ma essere pur sempre comunque insolvente, pensiamo ad
esempio al ricorso a prestiti usurai per mascherare l’insolvenza.
Viceversa, l’imprenditore può essere inadempiente senza essere insolvente, pensiamo ad esempio
all’imprenditore che non paga perché ritiene di non dover pagare o trascura per negligenza di pagare un debito.
Fermo restando la differenza fra insolvenza ed inadempimento, in base all’attuale disciplina per aprire il
fallimento devono verificarsi entrambe le circostanze.

Quindi ad escludere lo stato di insolvenza non basta la dimostrazione di una generica capacità di adempimento
delle obbligazioni: il debitore deve essere in grado di adempiere regolarmente.

Il problema è individuare i criteri alla stregua dei quali il soddisfacimento dei creditori possa dirsi regolare.
 Una parte (minoritaria) della dottrina nel ha ritenuto di poter identificare dette regole nelle norme idonee
ad individuare gli atti lesivi della par condicio creditorum e suscettibili di formare, ove il fallimento sia
dichiarato, oggetto di revocatoria  la regolarità dell’adempimento che è necessaria per evitare il
fallimento a norma dell’art. 5 l. fall., dovrebbe essere valutata con lo stesso metro con cui l’attività
negoziale del debitore, a fallimento dichiarato, dovrebbe essere giudicata ai fini dell’esercizio delle azioni
revocatorie fallimentari di cui agli artt. 64 e 67 l. fall.; dimostrerebbe, ad esempio, di non essere più in
grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni il debitore che compisse atti a titolo gratuito, atti
a titolo oneroso in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal medesimo sorpassassero di oltre
un quarto ciò che a lui fosse stato dato o promesso, atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non
effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento…

 Altra parte della dottrina ha preferito riferire la regolarità degli adempimenti alla capacità dell’impresa di
trarre dal suo ordinario esercizio i mezzi necessari per soddisfare le obbligazioni in scadenza 
dovrebbero considerarsi regolari solo quegli adempimenti ai quali il debitore possa far fronte o con mezzi
propri attinti dai redditi dell’impresa o anche con mezzi altrui, ma reperiti in ragione del credito che
l’impresa è in grado di produrre e perciò della fiducia che i terzi ripongono nelle sue concrete potenzialità
economico-produttive.
La tesi è suggestiva, ma non è ciò che stabilisce l’art. 5 1. fall.
Subordinare la regolarità dei futuri adempimenti (solo) alle capacità reddituali dell’impresa significherebbe
dover ammettere il fallimento del debitore che, pur potendo reperire altrimenti i mezzi necessari per
estinguere le sue obbligazioni, non sia in grado di ricondurre l’impresa medesima ad una situazione di
economicità; significherebbe cioè attribuire all’istituto una funzione di eliminazione dal mercato delle
imprese improduttive che il fallimento, de jure condito, non ha, dando al tribunale il compito di
controllare, non solo la generica capacità di adempimento del debitore, ma anche la provenienza dei mezzi
familiari o patrimoniali con cui estinguere le obbligazioni.

Tuttavia, la nozione di insolvenza che emerge dall’art. 5 l. fall. è più generale ed unitaria, applicandosi
ugualmente a colui che non è in grado di soddisfare le sue obbligazioni personali extra-aziendali, pur
essendo titolare di un’impresa floridissima, all’imprenditore defunto, a colui che ha cessato l’esercizio di
ogni attività, ecc., senza distinguere fra chi deve la sua solvibilità alla redditività dell’impresa e chi la deve,
invece, alla consistenza del suo patrimonio personale extra-aziendale o all’intervento dei suoi familiari o di
terzi, ecc.
La prova della risanabilità dell’impresa, che è un quid pluris rispetto al recupero della mera solvibilità del
debitore, è oggetto necessario del giudizio del tribunale solo in sede di apertura dell’amministrazione
straordinaria (art. 27 d.lgs. n. 270 del 1999); mentre ai fini della dichiarazione di fallimento ciò che conta è
esclusivamente la prova della solvibilità, quale che sia la fonte del fabbisogno finanziario del debitore
medesimo.

Non resta che riferire detta regolarità al rispetto dei principi enunciati nel codice civile in tema di adempimento
delle obbligazioni; il giudizio prognostico che il tribunale deve compiere sulla capacità solutoria del debitore,
avendo ad oggetto il futuro comportamento di questo in relazione al carico delle sue obbligazioni, non può non
limitarsi al presumibile rispetto dei tempi e dei modi dell’adempimento, esteso all’intero complesso dei rapporti
obbligatori del debitore, ma considerando che anche un tardivo adempimento o una pluralità di tardivi
adempimenti (così come un singolo inadempimento o una pluralità di inadempimenti), pur non avendo efficacia
costitutiva dell’insolvenza, devono essere sempre valutati, unitamente ad altri elementi, quanto al loro eventuale
valore sintomatico dell’incapacità irreversibile del debitore di soddisfare in futuro le sue obbligazioni: incapacità
che evidentemente non è rilevabile se il ritardo o i ritardi hanno effettivamente un carattere del tutto fisiologico e
se rimangono nei limiti dell’ordinaria tolleranza nell’adempimento delle operazioni commerciali. Secondo la prima
parte dell’art 5, 2° comma I. fall. lo stato d’insolvenza, quale presupposto del fallimento, deve comunque
manifestarsi all’esterno, ma non necessariamente con inadempimenti, ben potendo rilevare a tal fine anche “altri
fatti esteriori”; tuttavia. a nonna dell’ultimo capoverso dell’art. 15 I. fall… “non si fa luogo alla dichiarazione di
fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è
complessivamente inferiore a euro tremila”.

Poiché per dare ingresso alla procedura fallimentare, occorre che al tribunale risultino debiti scaduti e non pagati
e poiché il concetto stesso di pagamento induce a riferire l‘inadempimento alle obbligazioni pecuniarie se ne
dovrebbe dedurre che non c‘è fallimento se lo stato di insolvenza non si manifesta (anche) a mezzo
dell'inadempimento di obbligazioni pecuniarie di importo non inferiore a euro trentamila (importo aggiornato
ogni tre anni con decreto dcl ministro della giustizia sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dci
prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenute nel periodo di riferimento)
Il legislatore ha voluto evitare l'apertura di procedure fallimentari nei casi in cui si possa ragionevolmente
presumere che i loro costi superino i ricavi distribuibili ai creditori, senza interferire sul profilo dell'accertamento
dello stato di insolvenza. quale presupposto oggettivo del fallimento.

Quanto agli inadempimenti poi dottrina e giurisprudenza sono concordi nel considerare superfluo il loro
numero: anche uno solo di essi può avere valore sintomatico dell’insolvenza, così come, all‘opposto, detto valore
possono non averlo più inadempimenti.

Data la genericità dell’espressione, qualsiasi obbligazione, astrattamente, potrebbe essere oggetto di


inadempimento, quale che ne sia la causa.
Esistono poi talune manifestazioni esterne di insolvenza legate all’inadempimento, alle quali dottrina e
giurisprudenza attribuiscono un valore sintomatico particolarmente rilevante; il tribunale dovrebbe trarre la
convinzione dell’incapacità del debitore a soddisfare regolamento le sue obbligazioni da:
 ipotesi elencate nell‘art. 67, 1° comma 1. fall., nelle quali detta norma presume nel terzo convenuto in
revocatoria la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore
 pagamenti di debiti non scaduti
 suicidio o il tentativo di Suicidio (equiparati alla fuga)
 compimento di reati contro il patrimonio (truffa o appropriazione indebita)
 compimento di fatti di bancarotta
 l’alienazione in blocco di tutto il patrimonio;
 licenziamento in massa dei dipendenti;
 la chiusura di reparti o di stabilimenti
 Se poi si tratta di società di capitali, ulteriori elementi di prova possono ovviamente ricavarsi dai bilanci
regolarmente depositati presso l’ufficio del registro delle imprese e, in particolare (trattandosi di verifica
della liquidità della società), dal rendiconto finanziario

Consistenza contabile del patrimonio del fallendo e insolvenza


Sempre a proposito delle manifestazioni esteriori dell’insolvenza occorre verificare:
 se (e a quali condizioni) l’eccedenza delle attività sulle passività emergente dai bilanci del fallendo valga ad
escludere l’insolvenza  si ritiene prevalentemente che l’eventuale eccedenza delle poste attive rispetto
a quelle passive sia indifferente ai fini dell’accertamento dell’insolvenza, nel senso che questa non è
necessariamente esclusa dal fatto che la valutazione del patrimonio del debitore faccia ragionevolmente
ritenere che al termine della liquidazione tutti i creditori saranno integralmente soddisfatti.
L’insolvenza intesa come irreversibile incapacità di adempiere nei tempi e nei modi convenuti è
necessariamente esclusa (solo) se il patrimonio del debitore è suscettibile di essere rapidamente
convertito in danaro in misura non inferiore all’entità globale dei crediti, scaduti o prossimi alla
scadenza.
In tutti gli altri casi non può aprioristicamente escludersi, tenuto conto del fatto che il soddisfacimento
integrale dei creditori nel fallimento è stato ritenuto dal legislatore motivo di chiusura e non di revoca del
fallimento medesimo, a dimostrazione che l’insolvenza esiste ugualmente anche se il patrimonio del
debitore è astrattamente suscettibile, una volta convertito in danaro, di garantire l’estinzione del passivo.
Certo è che allorquando l’attivo sia superiore al passivo e tutti i creditori abbiano la certezza di essere
soddisfatti integralmente, non si profila alcuna lesione del principio di par condicio creditorum, facendo
venir meno i presupposti per l’esercizio di eventuali azioni revocatorie, una volta dichiarato il fallimento.

 se (e a quali condizioni) l’eccedenza delle passività sulle attività (c.d. deficit patrimoniale) valga a costituire
manifestazione esteriore dell’insolvenza medesima  In giurisprudenza è oramai costante la massima secondo
cui lo stato d’insolvenza ricorre quando l’imprenditore, per il venir meno delle condizioni di liquidità e di credito
occorrenti alla propria attività, si trovi in una situazione d’impotenza funzionale e non transitoria, non essendo in
grado di osservare regolarmente, tempestivamente e con mezzi normali gli impegni assunti e, pertanto, non
postula necessariamente il riscontro di un passivo superiore all’attivo.
Nell’ambito di un’attività di impresa, che ha un carattere essenzialmente dinamico, la garanzia per i creditori è
costituita non tanto dalla statica titolarità di cespiti patrimoniali (che possono essere anche estremamente
modesti e spesso non sono neppure di proprietà dell’imprenditore), quanto piuttosto dall’aspettativa o previsione
di acquisto di beni futuri, su cui in definitiva si fonda il credito dell’imprenditore medesimo, cioè la fiducia che egli
ispira nei terzi sia per la sua capacità produttiva, sia per le sue doti morali di correttezza e puntualità, che gli
consentono di ottenere ulteriori dilazioni o ulteriori finanziamenti anche in una situazione di eccedenza delle
passività sulle attività.
Il fallimento dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio dell’impresa
Art. 10, 1° comma 1, l. fall  gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno
dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o
entro l'anno successivo.

Si tratta di una norma (antielusiva) molto importante; infatti, senza di essa. sarebbe facile per l’imprenditore
commerciale insolvente sottrarsi agli effetti del fallimento semplicemente interrompendo la sua attività.

Art 10, 2 comma l. fall.  in caso di impresa individuale o di cancellazione d’ufficio degli imprenditori collettivi, è
fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione
dell‘attività da cui decorre il termine del primo comma.

Il termine di un anno costituisce un limite obiettivo per la dichiarazione di fallimento di chi non è più
imprenditore; non basta che entro quel termine Sia presentata l’istanza per la dichiarazione di fallimento; occorre
che sia tempestivamente depositata in cancelleria la sentenza del tribunale competente; ciò significa che, ove per
qualche motivo, anche indipendente dalla diligenza dell’istante e magari legato a ritardi attribuibili all’organo
giudicante, si superi l’anno, il fallimento non può più essere dichiarato.

Una disposizione analoga è poi prevista nel caso di fallimento di una società in nome collettivo o in accomandita,
semplice o per azioni, con riferimento all’estensione del fallimento sociale ai soci illimitatamente responsabili: il
fallimento del socio, a norma dell’art. 147, 2° comma l. fall.  non può essere dichiarato decorso un anno dallo
scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata anche in caso
di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati.
La dichiarazione di fallimento è possibile solo se l'insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti
esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata.

Il fallimento dell’imprenditore defunto


La morte dell’imprenditore impedisce la sua dichiarazione di fallimento, purché ciò avvenga entro l’anno e
l’insolvenza inerisca ad obbligazioni esistenti già al momento del decesso (non vanno, quindi, prese in
considerazione le obbligazioni eventualmente sorte successivamente in capo agli eredi, ancorché dipendenti dalla
successione).

Art 11 comma 2 l. fall  l’erede può chiedere il fallimento del defunto, purché' l’eredità non Sia già confusa con il
suo patrimonio
Comma 3  con la dichiarazione di fallimento cessano di diritto gli effetti della separazione dei beni ottenuta dai
creditori del defunto a norma del Codice civile.

Occorre distinguere secondo che vi sia stata o no confusione di patrimoni fra quello del defunto e quello
dell’erede.
 Nessun problema si pone allorché non vi sia confusione di patrimoni, cioè sia quando manchi
l’accettazione dell’eredità (eredità giacente), sia quando l’erede abbia accettato con beneficio di
inventario, il cui effetto consiste appunto nel tener distinto il patrimonio del defunto da quello dell’erede
(art. 490 c.c.);
 nel secondo caso l’erede che chiede il fallimento del defunto non è soggetto agli obblighi di deposito nella
cancelleria del tribunale delle scritture contabili e fiscali obbligatorie e degli altri documenti di cui agli
articoli 14 e 16 I. fall.

L’accettazione pura e semplice dell’eredità, con la conseguente confusione dei patrimoni, non impedisce il
fallimento dell’imprenditore defunto; ma impedisce all’erede di chiedere il fallimento del defunto
Anche qui nessun problema si pone allorché l’erede non è (o non diventa) a sua volta imprenditore commerciale.
Ma, se l’erede è (o diventa) imprenditore commerciale insolvente, ci si chiede se il fallimento dell’erede impedisca
il fallimento del defunto o viceversa; oppure se entrambi i fallimenti siano possibili.
L’ultima soluzione appare preferibile: se con la dichiarazione di fallimento del defunto cessano di diritto gli effetti
della separazione dei beni ottenuta dai creditori del defunto a norma del codice civile, ciò significa che rispetto ai
creditori del defunto la dichiarazione di fallimento non può non produrre gli stessi effetti della separazione, la
quale, in particolare, a norma dell’art. 512 c.c.  assicura il soddisfacimento, con i beni del defunto, dei creditori
di lui e dei Legatari che l’hanno esercitata, a preferenza dei creditori dell’erede senza impedire ai creditori e ai
legatari che l’hanno esercitata di soddisfarsi anche sui beni propri dell‘erede, evitando, in definitiva, la confusione
dei patrimoni.

Quanto ai rapporti fra i due fallimenti, dato che i creditori del defunto in nessun caso possono restare pregiudicati
dall’accettazione pura e semplice dell’eredità da parte di un crede che sia a sua volta imprenditore commerciale
insolvente, si può affermare che:
 solo i creditori del defunto possono concorrere nel fallimento del medesimo;
 i creditori dell’erede possono soddisfarsi sul residuo, dopo che i creditori del defunto siano stati
integralmente soddisfatti;
 viceversa, questi ultimi possono concorrere anche nel fallimento dell’erede (ad esempio, nelle forme
dell’ammissione con riserva di cui all’art. 96, 3° comma L fall.) per la parte per cui rimangano (o siano
rimasti) insoddisfatti nel fallimento del defunto medesimo.

Un caso diverso è quello della morte del fallito.

Art. 12 I. fall.  se l'imprenditore muore dopo la dichiarazione di fallimento, la procedura prosegue nei confronti
degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d'inventario. Se ci sono più eredi, la procedura prosegue nei
confronti di quello che è designato come rappresentante. In mancanza di accordo nella designazione del
rappresentante entro quindici giorni dalla morte del fallito, la designazione è fatta dal giudice delegato.

L’erede (o il rappresentante erede) del fallito non è un nuovo fallito, ma si limita ad esercitare tutti i poteri o ad
accollarsi tutti gli oneri che la legge attribuisce al fallito, dato che il fallimento non può restare, dal punto di vista
formale, senza un soggetto passivo.
I patrimoni del fallito e dell’erede (o degli eredi) restano distinti, anche in caso di accettazione pura e semplice
dell’eredità.
Se l'eredità è giacente, la procedura prosegue nei confronti del curatore della medesima.
Le finalità del fallimento
1) Finalità principale: determinazione dei crediti e soddisfacimento dei creditori concorrenti
2) Finalità secondaria: salvaguardia del valore produttivo del complesso aziendale attraverso:
 l’esercizio provvisorio dell’impresa
 vendita in blocco dei beni aziendali

LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
Soggetti legittimati alla richiesta, art 6 l. fall.
La dichiarazione di fallimento può essere pronunciata:
1) Su ricorso di uno o più creditori, anche se non muniti di titolo esecutivo ed anche se vantino un credito
non ancora scaduto o sottoposto a condizione.
La differenza è notevole rispetto ai caratteri dell’iniziativa che spetta ai creditori ai fini dell’esecuzione
forzata individuale, per la quale è necessario che il creditore sia munito di un titolo esecutivo; ciò suppone
che il credito abbia avuto riconoscimento in sede giudiziaria, ovvero risulti da un atto pubblico e da
particolari scritture private. Si richiede inoltre che il credito sia scaduto, liquido ed esigibile.
2) Su ricorso dello stesso debitore, il quale ha l’obbligo (sanzionato penalmente) di chiedere il proprio
fallimento solamente nel caso in cui la mancata richiesta possa provocare l’aggravamento dello stato di
insolvenza. L’art 14 l.fall. impone al debitore di depositare presso la cancelleria del tribunale le scritture
contabili e fiscali obbligatorie concernenti i tre esercizi precedenti ovvero l’intera esistenza dell’impresa se
ha avuto minore durata oltre tutte le notizie utili ai fini della valutazione della sussistenza delle condizioni
per la dichiarazione di fallimento.
3) Su richiesta del Pubblico Ministero, in quanto la dichiarazione di fallimento, mira a tutelare interessi di
natura generale. Il P.M. ha l’obbligo di chiedere il fallimento:
 Quando l’insolvenza risulti durante un procedimento penale a carico dell’imputato da eventi tipici
significativi quali  fuga, irreperibilità, latitanza, chiusura dei locali dell’impresa, diminuzione
fraudolenta dell’attivo ad opera dello stesso imprenditore.
 Quando l’insolvenza dell’imprenditore viene segnalata al P.M. da un Giudice che l’abbia rilevata
durante un procedimento civile in cui l’imprenditore sia parte
La riforma del 2006 ha soppresso la dichiarazione di fallimento per iniziativa d’ufficio del Giudice in base al
principio di terzietà ed imparzialità del Giudice.

Competenza per territorio


La competenza del tribunale è di natura funzionale, in quanto tale inderogabile.
Competente a dichiarare il fallimento è il Tribunale del luogo dove vi è la sede principale dell’impresa.

Talvolta a fronte di una sede principale legale ci si imbatte in sedi di fatto diverse dalle prime, dove effettivamente
è allocato il centro di direzione amministrativa. In tali circostanze si tende ad attribuire rilevanza alla sede legale,
poiché è ella relativa circoscrizione del tribunale che vengono eseguite le pubblicità previste dalla legge.

Se il Tribunale che ha pronunciato il fallimento si dichiara incompetente, deve disporre con decreto l’immediata
trasmissione degli atti al Tribunale dichiarato competente e restano validi tutti gli atti precedentemente compiuti.
Per i giudizi pendenti innanzi al tribunale incompetente viene dato alle parti un termine per la loro riassunzione
innanzi al competente.
Non rileva, ai fini della competenza, il trasferimento della sede dell’impresa intervenuto nell’anno precedente alla
richiesta di fallimento. Si vuole impedire così che il trasferimento della sede dell’impresa serva da espediente
all’imprenditore per ostacolare o ritardare la dichiarazione di fallimento ovvero per scegliere un Tribunale gradito.

Istruttoria prefallimentare
Una volta presentata la richiesta di fallimento Il Tribunale in composizione collegiale con le modalità del
procedimento in camera di consiglio, apre la fase dell’istruttoria prefallimentare. Si tratta di un procedimento di
natura non contenziosa, bensì di volontaria giurisdizione, tendente a valutare l’’esistenza delle condizioni per
adottare una particolare procedura perla liquidazione del patrimonio del debitore.

Il tribunale ha un potere inquisitorio, cioè di raccogliere o sollecitare la prova delle circostanze sulle quali si
fonderà l decisione, a differenza di quanto avviene nel giudizio contenzioso ordinario, dove l’onere della prova
incombe su chi intende trarre vantaggio da un fatto.

L’art 15 l. fall regola il procedimento.


Il debitore ed i creditori istanti debbono essere sentiti in udienza e possono presentare memorie, depositare
documenti, relazioni tecniche, nominare consulenti, richiedere l’assunzione di prove. Il debitore, a cui deve essere
notificato il ricorso e il decreto di convocazione (non inferiore a 15 gg) ha l’obbligo di depositare:
 I bilanci degli ultimi 3 esercizi
 Una situazione patrimoniale economica e finanziaria aggiornata.
Nel procedimento interviene anche il P.M. se sia stata sua l’iniziativa del fallimento.

Il Tribunale, ad istanza della parte che ha assunto l’iniziativa, può emettere anche provvedimenti atipici di natura
cautelare o conservativa, volti a tutelare il patrimonio o l’impresa del debitore, nella pendenza della fase
dell’istruttoria prefallimentare. Se il procedimento non sfocia nella sentenza di fallimento, i provvedimenti
adottati saranno revocati con il decreto che rigetta l’istanza.

La sentenza di fallimento
Il Tribunale terminata la propria istruttoria dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta di fallimento.
1) In caso di non accoglimento della richiesta di fallimento, il Tribunale emette decreto motivato di non
accoglimento. Tale decreto è impugnabile dal creditore istante, dal P.M. richiedente o dallo stesso
debitore, con reclamo avanti la Corte di Appello che se accoglie il reclamo rimette d’ufficio gli atti al
Tribunale.

2) In caso di accoglimento della richiesta di fallimento (mai se dall’istruttoria risulta che l’ammontare dei
debiti scaduti e non pagati è inferiore a 30.000 euro), il Tribunale emette sentenza di accoglimento che
dichiara il fallimento. Il fallimento è pronunciato con sentenza in quanto il provvedimento incide su diritti
soggettivi anche personalissimi del debitore e tale strumento ha capacità di acquisire forza di cosa
giudicata, cioè il carattere di immodificabilità.

La sentenza è immediatamente e provvisoriamente esecutiva tra le parti del processo (quindi eseguita
anche in caso di opposizione), dalla data del deposito in cancelleria. Diventa esecutiva nei confronti dei
terzi invece dalla data di iscrizione nel registro delle imprese.
La sentenza contiene alcuni provvedimenti necessari per lo svolgimento della procedura, in particolare:
 contiene la nomina del Giudice Delegato e del Curatore
 fissa l’udienza per l’accertamento dello stato passivo, con termine perentorio non superiore a 120 gg,
ovvero 180 gg in caso di particolare difficoltà della procedura
 ordina al fallito di depositare, entro 3 giorni dalla notifica della sentenza, i bilanci e le scritture contabili
e fiscali obbligatorie, nonché l’elenco dei creditori
 assegna ai creditori e ai terzi vantanti diritti reali o personali su cose in possesso del fallito un termine
perentorio di 30 gg anteriori alla data dell’adunanza per la presentazione in cancelleria delle domande
di ammissione al passivo e insinuazione.
La sentenza è sottoposta ad un particolare regime di pubblicità, dato che produce significativi effetti nella
sfera patrimoniale e personale del debitore, che si riflettono sulla efficacia dei rapporti giuridici con i terzi:
 notifica al debitore entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, comunicata per estratto
 notifica al PM, al curatore e al richiedente fallimento non più tardi al gg successivo alla sua data

Reclamo e revoca della sentenza di fallimento.


Il fallito e qualsiasi altra persona vi abbia interesse (patrimoniale o morale) possono proporre reclamo nei
confronti della sentenza di fallimento mediante deposito di un ricorso presso la Corte di Appello, entro 6 mesi
dalla pubblicazione della stessa.

Il termine per la proposizione del reclamo è di 30 gg che decorre:


 per il debitore dalla data di notifica della sentenza di fallimento
 per tutti gli altri interessati dalla data di iscrizione della sentenza nel RI

Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza di fallimento impugnata, a meno che non ricorrano gravi
motivi (es evidente errore commesso dal tribunale per omonimia): in questo caso su richiesta del reclamante o
del curatore la Corte di appello può sospendere in tutto o in parte la liquidazione dell’attivo.

La Corte di Appello in seguito al reclamo può emettere:


1) Sentenza di rigetto del reclamo = conferma il fallimento, e il reclamante entro 30 gg può proporre ricorso per
Cassazione
2) Sentenza di accoglimento del ricorso = può revocare il fallimento, ma sul piano patrimoniale quel che è stato è
stato, infatti sul piano patrimoniale restano comunque salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli
organi fallimentari sino al passaggio in giudicato della sentenza.
Tali atti già compiuti possono aver alterato notevolmente la consistenza e composizione del patrimonio del
fallito.
All’ex fallito non resta quindi che chiedere il risarcimento dei danni al creditore istante (possibile se vi sia stata
colpa dello stesso) ottenendo anche il pagamento delle spese processuali e del compenso del Curatore. Spese
processuali e compenso del curatore graveranno sull’ex fallito se all’origine della dichiarazione di fallimento vi
sia stato un suo comportamento colposo. In caso contrario tali spese sono a carico del Tribunale.
GLI ORGANI DEL FALLIMENTO
Il fallimento è un procedimento affidato ad una pluralità di organi, e a ciascuno di essi è affidata la gestione di un
profilo del procedimento con competenza autonome e specifiche, rispetto alle quali può individuarsi un potere di
controllo e verifica da parte degli altri organi, ma non un potere di avocazione e sostituzione nell’esercizio delle
stesse.
È sbagliato dire che tra i vari organi sussiste un collegamento gerarchico, così come è improprio parlare di organi
del fallimento, in quanto tale espressione presuppone una personificazione del fallimento.

Tribunale fallimentare
Il Tribunale che ha dichiarato il fallimento è l’organo investito dell’intera procedura fallimentare: ha una
competenza generale di programmazione, direzione e controllo della stessa.
In particolare, in base alla così detta vis attractiva è giudice naturale competente di tutte le azioni e delle
controversie che derivano dal fallimento, in deroga ai normali criteri di competenza funzionale e per territorio.
Le azioni che derivano dal fallimento possono essere classificate:
 azioni che trovano la loro origine nella dichiarazione di fallimento  azioni revocatorie,
impugnazioni dello stato passivo, revocazione dei crediti…
 azioni che vedono condizionata la propria disciplina alla procedura fallimentare  azioni di
risoluzione di contratti conseguente alla sentenza di fallimento
La competenza è ESCLUSA per le azioni con le quali il curatore faccia valere un credito già compreso nel
patrimonio del fallito.

Inoltre, il Tribunale fallimentare:


a) nomina il Giudice Delegato ed il Curatore, ne sorveglia l’operato e può sostituirli.
Tale potere di nomina però non è esclusivo, essendo consentito ai creditori di proporne la sostituzione, ma
anche in questo caso per giustificati motivi il tribunale conserva il potere di revoca a sostituzione.
b) decide le controversie relative alla procedura (circa le sue modalità di svolgimento, le scelte operative…)
che non sono di competenza del Giudice Delegato. La sua è quindi una competenza residuale.
c) decide sui reclami proposti avverso i provvedimenti del Giudice Delegato  funzione preminente.
d) sostituisce i componenti del Comitato dei Creditori quando sia previsto
e) può in ogni tempo chiedere chiarimenti ed informazioni, al Curatore, al fallito ed al Comitato dei Creditori
Tutti questi provvedimenti sono adottati dal Tribunale con decreto motivato, che è impugnabile con reclamo
avanti la Corte di Appello.

L’art 26 l. fall disciplina la procedura unitaria dei reclami avverso i decreti del giudice delegato e del tribunale.
Legittimati attivi, con termine perentorio di 10 gg:
 curatore  termine perentorio decorre dalla comunicazione o dalla notifica del provvedimento
 fallito  termine perentorio decorre dalla comunicazione o dalla notifica del provvedimento
 comitato dei creditori  termine perentorio decorre dalla comunicazione o dalla notifica del
provvedimento
 chi ha chiesto o nei cui confronti è stato chiesto il provvedimento  termine perentorio decorre dalla
comunicazione o dalla notifica del provvedimento
 chiunque vi abbia interesse  da quando siano state eseguite le formalità pubblicitarie disposte dal
giudice delegato

Giudice Delegato, art 25 l. fall


Il Giudice Delegato viene designato dal tribunale con la sentenza che dichiara il fallimento e ha funzioni di
vigilanza e di controllo sulla regolarità della procedura fallimentare, sul rispetto delle norme di legge da parte
dei soggetti operatori, comitato dei creditori e curatore. Può infatti acquisire ogni informazione sulla condotta
degli altri organi.
Con la riforma del 2006 ha visto modificati i suoi poteri, ha perso il forte potere gestorio e di indirizzo della
procedura, di dirigere le operazioni del fallimento (trasferito al curatore ed al comitato dei creditori) ma ha
comunque mantenuto un ruolo molto importante nell’economia generale della procedura, specialmente sotto il
profilo autorizzativo:
 autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’impresa
 accertamento crediti e diritti reali vantati dai terzi
 autorizzazione al compimento degli atti conformi al programma predisposto dal curatore

In particolare, il Giudice Delegato, art 25 l. fall:


1. nomina e revoca i componenti del Comitato dei Creditori e lo sostituisce nel caso di inerzia, impossibilità
di costituzione o di funzionamento o di urgenza
2. convoca il curatore e il comitato dei creditori, quando lo ravvisi opportuno per il corretto e sollecito
svolgimento della procedura nei casi previsti dalla legge
3. forma lo stato passivo del fallimento e lo rende esecutivo con proprio decreto
4. decide sui reclami proposti contro gli atti del Curatore e del Comitato dei Creditori, entro 15 gg, con
decreto motivato
5. autorizza il Curatore a stare in giudizio come attore o come convenuto e liquida i compensi per i difensori
6. emette o provoca l’emissione di provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio
7. riferisce al tribunale su ogni affare per il quale è richiesto un provvedimento di questo
8. su proposta del curatore liquida i compensi alle persone designate dallo stesso per l’espletamento di
funzioni relative alla procedura
9. altre competenze gli sono attribuite da leggi speciali
Il giudice delegato non può essere giudice nei giudizi che egli ha autorizzato, né può far parte del collegio
che deve decidere sul reclamo proposto contro i suoi atti o i suoi provvedimenti.
Tutti questi provvedimenti sono adottati con decreto motivato, che è impugnabile con reclamo avanti al
Tribunale fallimentare. La procedura è la medesima dettata dall’art 26 l. fall per i reclami avverso i decreti
del tribunale.
È da escludere un rapporto di subordinazione tra curatore e giudice delegato, il che afferma
conseguentemente la piena autonoma responsabilità del curatore per gli atti che compie.

Curatore
Viene nominato dal Tribunale con la sentenza che dichiara il fallimento.
Con decreto motivato il tribunale può revocarlo o sostituirlo
 la revoca costituisce una sanzione per violazione dei doveri mosti dalla legge
 la sostituzione può dipendere da non accettazione dell’incarico, rinuncia motivata, decesso, perdita della
capacità di agire o altri fatti accidentali.
ipotesi tipica di sostituzione è la richiesta, in sede di adunanza dei creditori, da parte dei creditori che
rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi. Devono indicarne le ragioni e un nuovo nominativo, che
verrà valutato dal tribunale.

Art 28 l. fall  requisiti, forte innovazione rispetto al passato, si apre la legittimazione anche a soggetti diversi
dalle persone fisiche. È inoltre superato il principio della unipersonalità della carica, con la possibilità di nomina
di un collegio di curatori, composto da 2 o 3 membri.
 Figure professionali tradizionali  avvocati, dottori commercialisti, ragionieri, ragionieri commercialisti
 Studi professionali associati e società tra professionisti che abbiano le qualifiche professionali
soprarichiamate  la struttura dovrà designare la persona fisica responsabile della procedura
 Categoria del tutto nuova  coloro che abbiano svolto funzione di amministrazione, direzione o controllo
in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali.
Sono esclusi i soggetti che abbiano rapporti di coniugio, parentela o affinità con il fallito o abbiano concorso nella
provocazione del dissesto.
Per assicurare la massima trasparenza nelle nomine giudiziarie è prevista l’istituzione di un Registro delle
procedure di espropriazione forzata immobiliare, delle procedure di insolvenza e degli strumenti di gestione della
crisi (c.l. 59/2016), dove sono collocati provvedimenti di nomina dei curatori, commissari giudiziali e liquidatori
giudiziali, il provvedimento di chiusura del fallimento e di omologazione del concordato, l’ammontar dell’attivo e
del passivo delle procedure chiuse.
Il Curatore ha come compito principale quello dell’amministrazione del patrimonio del fallito e svolge le sue
funzioni sotto la vigilanza del Giudice Delegato e del Comitato dei Creditori. È invece venuto meno il potere di
direzione del giudice delegato previsto dalla normativa anteriore.
 entro 60 gg dall’avvio della procedura è tenuto ad informare il giudice delegato, attraverso una relazione,
delle cause del dissesto, di eventuali azioni, revocatorie o risarcitorie da proporre
 ogni 6 mesi deve redigere un rapporto sull’attività svolta, da trasmettere a giudice delegato, comitato e R.I
È da escludere un potere surrogatorio del Tribunale, del comitato o del giudice delegato in ordine al
compimento di atti di amministrazione di competenza del curatore  AUTONOMIA GESTIONALE DEL CURATORE
E CONSEGUENTE Responsabilità.
Tuttavia, il curatore può delegare talune operazioni o può essere autorizzato a farsi coadiuvare da tecnici.

Si discute molto circa la posizione che il curatore assume nella procedura (pg 1068)
 Come organo della procedura esercita i diritti che fanno capo al fallito
 Come destinatario delle pretese dei terzi nei confronti della procedura agisce come …

Nell’adempiere ai doveri del suo ufficio il curatore deve utilizzare a diligenza richiesta dalla maura dell’incarico,
quindi con la diligenza professionale  in mancanza può subire revoca dell’incarico e subire un’azione di
responsabilità.
Gli atti compiuti dal curatore in conformità alle autorizzazioni del comitato dei creditori e del giudice delegato o
gli atti approvati non escludono il curatore dalla responsabilità per i propri comportamenti.

Per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni ha la qualifica di pubblico ufficiale
 maggiore garanzia di correttezza del suo comportamento  sanzioni penali gravi
 le attestazioni di un pubblico ufficiale possono essere impugnate solo con il particolare procedimento
della querela per falso
 i reati commessi nei suoi confronti sono aggravati

Sono state poste delle cautele per evitare che il curatore abusi delle proprie funzioni:
 il curatore non può stare in giudizio senza l’autorizzazione del giudice delegato (salvo nei giudizi di
opposizione allo stato passivo)  il curatore, nel caso ritenga debba essere instaurato un giudizio,
dovrà riferire al giudice delegato, a cui spetterà autorizzarlo a costituirsi nel giudizio specificando
l’azione che deve essere esercitata o l’eccezione che deve essere sollevata. Nel caso il curatore stia in
giudizio senza la necessaria autorizzazione si configura un difetto di capacità processuale che può essere
sanato dalla sopravvenuta autorizzazione, che ha efficacia retroattiva
 il curatore non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza l’autorizzazione del comitato
dei creditori  per atti dal valore superiore a euro 50.000 dovrà preventivamente informare il giudice
delegato.
Alcuni elencati dall’art 35 l. fall  stipula di transazioni, consenso alla riduzione di crediti, rinunzie alle
liti, consenso a cancellare ipoteche sui beni di terzi, restituzione di pegni, accettazioni di ereditò e
donazioni la richiesta di autorizzazione dovrò specificare gli aspetti di convenienza della prospettata
operazione.
Nel caso l’atto venga compiuto senza la dovuta approvazione/autorizzazione, il curatore ha agisce come
soggetto privo della piena capacità di agire, perciò o l’autorizzazione viene rilasciata a sanatoria dell’atto
prima che il difetto di capacità sia accertato, o il curatore potrà chiedere l’annullamento dell’atto. Può
anche essere sanzionato con la revoca dell’incarico.

Comitato dei Creditori, art 40 l. fall


Uno dei caratteri più innovativi della riforma è proprio il ruolo attribuito a questo organo: da organi nella prassi
ridotto a passivo spettatore è diventato uno dei protagonisti, con pregnanti funzioni in termini di gestione.
Il Comitato dei Creditori è nominato dal giudice delegato entro 30 gg dalla data della sentenza di fallimento, ma in
sede di adunanza di veridica dei crediti i creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi, possono
proporre nuovi nomi in sostituzione di quelli nominati, che il tribunale, on presenza dei requisiti, provvederà a
nominare.
Si tratta di un organo collegiale composto da 3 a 5 membri scelti fra i creditori, e la sua composizione deve essere
rappresentativa in misura equilibrata della quantità del loro soddisfacimento. Si considera costituito con
l’accettazione della nomina, senza necessità di convocazione dinanzi al curatore.

Le funzioni di tale organo sono di tre tipi:


a) Funzione di controllo  vigila sull’operato del curatore, ispezionando tutti i documenti del fallimento
b) Funzioni autorizzative  autorizza gli atti del Curatore soprattutto quelli di straordinaria amministrazione
e approva il programma di liquidazione.
c) Funzioni consultive  esprime pareri obbligatori ma per lo più non vincolanti

In seno al comitato viene eletto il presidente, che lo convoca.


Tutte le decisioni dell’organo sono prese a maggioranza di chi partecipa, e non è previsto dalla legge un quorum
costitutivo. Qualora su una determinata materia un membro si trovi in conflitto di interessi, si deve astenere dalla
votazione sulla decisione da assumere. Il comitato deve esprimere il proprio parere entro 15 gg dalla data in cui è
pervenuta la richiesta su cui deve provvedere.
In caso di inerzia o di urgenza provvede il giudice delegato, previsione che da un lato risponde ad una esigenza di
funzionalità, dall’altro è sintomatica della natura pubblicistica delle funzioni del comitato dei creditori  pur
essendo espressione del ceto creditorio è chiamato ad operare nell’ottica dei complessivi interessi di cui il
fallimento è portatore.

I membri hanno diritto ad un rimborso spese e ad un compenso.


Sussiste in capo agli stessi una responsabilità per comportamenti propri e non per omessa vigilanza su
comportamenti altrui. L’azione di responsabilità può essere promossa solo dal curatore.

Contro gli atti del Curatore o del Comitato dei Creditori, il fallito ed ogni interessato possono proporre reclamo
entro 8 giorni dalla conoscenza dell’atto, al Giudice Delegato che si esprime con decreto ricorribile davanti al
Tribunale sempre nel termine di 8 giorni. Il reclamo deve però riguardare violazione di legge, non valutazioni
comportamentali di opportunità o di convenienza economica.
GLI EFFETTI DELLA SENTENZA DI FALLIMENTO

Effetti della sentenza di fallimento nei confronti del fallito


La Riforma ha volto sopprimere tutte le previsioni afflittive o sanzionatorie per il fallito conseguenti alla sola
circostanza che fosse stato dichiarato fallito  restrizione degli effetti di natura personale alle sole esigenze della
procedura.
 Le norme che prevedono incapacità personali per il fallito troveranno applicazione solo sino al momento in
cui la procedura non sia stata chiusa.
 È stato soppresso il registro dei falliti, dal quale si poteva essere cancellati solo con la riabilitazione (istituto
abrogato); fin tanto che si restava iscritti operavano limitazioni specifiche
 Il fallito non perde la patria potestà e l’esercizio di tutti i poteri legati al rapporto di famiglia.

Effetti di natura Patrimoniale  Con la sentenza di fallimento il fallito:


 Subisce lo spossessamento dei suoi beni, art 42 l. fall  perde nei confronti della massa dei creditori il
potere di amministrare e disporre dei suoi beni (beni che si trovano nella sua disponibilità materiale o
giuridica) data di dichiarazione del fallimento, ma non la proprietà. Ciò significa che gli atti di
amministrazione e disposizione compiuti dal fallito sui beni compresi nel suo patrimonio, esclusi quelli
personalissimi, sono inefficaci rispetto ai creditori  inefficacia relativa.
I beni del fallito passano sotto l’amministrazione del Curatore.
Con lo spossessamento si crea in patrimonio separato, costituito dalla massa fallimentare, dove sono
compresi beni e apporti giuridici attivi e passivi appartenenti al debitore alla data del fallimento. È un
effetto automatico della dichiarazione di fallimento.

Non tutti i beni esistenti nel patrimonio del fallito alla data di dichiarazione di fallimento rientrano nel
patrimonio separato, ci sono delle eccezioni, art. 46 l. fall:
1) Beni e diritti di natura strettamente personale (diritto al nome, diritto di abitazione, all’onore,
all’immagine le azioni relative alla separazione coniugale, al riconoscimento della prole, l
diritto d’autore). Tra tali diritti si ricomprende il contratto di locazione della casa abitativa e i
relativi contratti di somministrazione (energia elettrica, telefono)
2) Assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, le pensioni e ciò che il fallito guadagna con la
sua attività, entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento della famiglia. Se al fallito
vengono a mancare i mezzi può essergli concesso un sussidio a titolo di alimenti.
3) Beni e diritti essenziali per la sua sussistenza
4) I corrispettivi per il proprio lavoro, il fallito può lavorare (stipendi, salari, pensioni)  il giudice
delegato determinerà le somme che può trattenere e quelle che invece saranno ricomprese
nella massa attiva.
5) Beni e diritti esclusi per legge dall’esecuzione forzata (letto, cose sacre)
6) Frutti dell’usufrutto legale sui beni dei figli e i beni costituiti in fondo patrimoniale con i relativi
frutti

Lo spossessamento si estende anche ai beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le
passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei medesimi
Il fallito non perde la capacità di agire, dunque può compiere atti validi anche se inefficaci nei confronti
verso i creditori concorsuali. L’acquisto di nuovi beni può quindi derivare:
 Vincite al gioco
 Opere dell’ingegno e invenzioni industriali
 Disposizioni testamentaria
 Attività lavorativa
Il patrimonio fallimentare è funzionale al soddisfacimento dei creditori concorsuali, perciò spetta agli
organi fallimentari decidere se acquisire o rinunciare ai beni che pervengono al fallito durane la procedura,
qualora i costi da sostenere dell’acquisto siamo superiori al presumibile valore di realizzo.

 Non perde la capacità di agire  Gli atti posti in essere dal fallito nei confronti di terzi sono validi ed
efficaci inter partes, nulla impedisce ad esempio che egli inizi una nuova attività d’impresa.
Se gli atti compiuti dal fallito, però riguardano beni e diritti ricompresi nello spossessamento, sono
inefficaci nei confronti dei creditori.

 Perde la capacità processuale  Nelle cause relative ai rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, non
per le questioni di natura personale, es giudizio di scioglimento matrimoniale. In suo luogo starà in
giudizio il Curatore, ma il fallito può parteciparvi se il giudizio può comportare sanzioni penali a suo carico.
Per quanto riguarda i giudizi in corsi, l’apertura del fallimento ne determina automaticamente
l’interruzione.

Personali  Il fallimento produce anche effetti che colpiscono la persona del fallito, vede limitati alcuni dritti
garantiti dalla Costituzione:
1) Libertà di corrispondenza  relativamente alla corrispondenza indirizzata al fallito:
A. Se quest’ultimo non è persona fisica viene consegnata direttamente al Curatore
B. se invece è persona fisica può aver diritto a ricevere la corrispondenza ma è obbligato a
consegnare al Curatore la corrispondenza riguardante il fallimento
2) Il diritto alla libertà di movimento  Il fallito è tenuto a comunicare al Curatore ogni mutamento della
residenza o del domicilio e deve presentarsi agli organi della procedura fallimentare ogni qualvolta viene
chiamato per fornire informazioni e chiarimenti.
3) Incapacità civili e politiche  Il fallito non può essere amministratore, sindaco, revisore, o liquidatore di
società e non può essere iscritto all’albo degli avvocati, commercialisti né svolgere la funzione di tutore,
arbitro, notaio.
Tali restrizioni cessano tutte automaticamente con la chiusura del fallimento.
4) Libertà di residenza  il fallito è tenuto a comunicare al curatore ogni cambiamento di residenza o del
proprio domicilio

Penali  Il fallito può compiere illeciti penali sia prima della dichiarazione di fallimento che successivamente.
A. Bancarotta fraudolenta  l’imprenditore compie con dolo, una serie di fatti previsti dalla legge come
reato (es. occultamento di beni, falsificazione scritture contabili ecc.)
B. Bancarotta semplice  l’imprenditore compie con colpa, una serie di fatti previsti dalla legge come reato
(es. omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili ecc.…)
C. Ricorso abusivo al credito  l’imprenditore dissimulando il proprio dissesto, ricorre al credito.
Effetti della sentenza di fallimento nei confronti dei creditori
Disciplina contenuta principalmente negli artt. 51-63 l. fall.
Tale disciplina aspira principalmente a soddisfare l’esigenza di favorire l’applicazione del principio di
responsabilità patrimoniale del debitore ( in base al quale egli risponde dell’adempimento delle obbligazioni con
tutti i suoi beni presenti e futuri,) nel rispetto del principio della par condicio creditorum, garantendo cioè pari
condizioni dei creditori sul patrimonio del fallito, in modo più efficace rispetto a quello che avverrebbe con
l’applicazione della disciplina di diritto comune dell’esecuzione forza individuale.

Dalla data della dichiarazione di fallimento, tutti i creditori dell’imprenditore fallito possono chiedere
l’accertamento del proprio creditori solo attraverso la speciale procedura dell’ammissione al passivo, acquistano
così il diritto di partecipare alla ripartizione dell’attivo fallimentare.
Diventano così CREDITORI CONCORSUALI e potranno realizzare il loro credito solo attraverso la procedura
fallimentare, non possono avviare o proseguire azioni esecutive individuali nei confronti del fallito  il divieto
di azioni esecutive individuali (comprese quelle cautelari, come il sequestro conservativo e giudiziario), non è
tuttavia assoluto (leggi speciali).
I creditori garantiti da pegno o assistiti da privilegio, ammessi al passivo, possono essere autorizzati dal giudice
delegato a procedere alla vendita.

Concorso sostanziale  principio in base al quale in caso di insolvenza del debitore comune il soddisfacimento
delle sue obbligazioni deve avvenire tramite applicazione di regole che assicurino la realizzazione della par
condicio creditorum. ECCEZIONI  crediti assistiti da pegno, privilegio con diritto di ritenzione.
Concorso formale  principio in base al quale tutti i creditori che vogliono far valere nei confronti del fallito
devono essere assoggettati ad un accertamento condotto in contemporanea

Dai creditori concorrenti vanno tenuti distinti i creditori della massa cioè quelli che diventano tali dopo la
dichiarazione di fallimento (es. lavoratori che hanno prestato la propria opera nel corso dell’esercizio
provvisorio).
Tali crediti, se non soddisfatti spontaneamente dal curatore, devono essere fatti valere nelle forme della domanda
di ammissione al passivo, il che esclude la possibilità di comporre una mora debendi a carico del fallimento.
I crediti dei creditori della massa vanno soddisfatti in prededuzione cioè prima dei creditori concorrenti, per
intero e quindi senza applicazione della par condicio creditorum.

Tali regole non si applicano a che sia diventato creditore personale del fallito dopo la sentenza di fallimento 
questo potrà sodisfarsi sui beni personali del fallito (non compresi nella massa acquisita dal fallimento) e non
potrà partecipare al concorso fallimentare.

I creditori concorrenti non sono tutti sullo stesso piano ed infatti distinguiamo:
 creditori chirografari (creditori semplici, non muniti di titolo di prelazione)
 creditori privilegiati (il cui credito è munito di un titolo di prelazione cioè garantiti da pegno ipoteca o
privilegio)
Il principio della par condicio creditorum non incide sui diritti dei creditori privilegiati, che quindi restano favoriti
rispetto ai creditori chirografari (semplici).
 I creditori privilegiati  hanno diritto di prelazione sulla vendita del bene oggetto di pegno, ipoteca o
privilegio e successivamente, se non sono soddisfatti integralmente per il residuo, concorrono alla pari con
i creditori chirografari nella ripartizione di ciò che resta dell’attivo fallimentare.
 I creditori chirografari  partecipano solo alla ripartizione dell’attivo fallimentare non gravato da vincoli,
in proporzione del loro credito e sono soddisfatti tutti nella stessa misura percentuale.

Riguardo alla determinazione dei crediti possiamo dire che:


 tutti i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti alla data della dichiarazione di fallimento
 i crediti non pecuniari concorrono per il loro valore alla data di scadenza o, se tale scadenza è successiva
alla data del fallimento, per il loro valore a tale data.
 i crediti chirografari non producono interessi nel corso del fallimento ad eccezione dei crediti privilegiati e
prededucibili. I creditori potranno far valore il proprio credito per gli interessi maturati in pendenza della
procedura solo una volta che il debitore sia tornato in bonis, salvo che il fallimento si sia chiuso con
concordato, ovvero il debitore abbia ottenuto l’esdebitazione.
 I crediti muniti di titolo di prelazione sono incrementati degli interessi che maturano anche dopo la
dichiarazione di fallimento, sino al momento della vendita de bene su cui spetta la prelazione. Tali interessi
hanno a loro volta natura di credito privilegiato.

La compensazione  per i crediti pecuniari è consentita la compensazione tra i debiti che i creditori hanno nei
confronti del fallito e i propri crediti nei confronti dello stesso. esempio, un fornitore di argilla ha venduto ad
una ceramica e poi per rinnovare i suoi uffici acquista dalla stessa delle piastrelle entrambe.
In questa condizione si pone il problema di come regolare la compensazione. Istituto apparentemente banale,
che ha solo funzione di efficienza organizzativa. In realtà non ha solo la funzione di semplificare la gestione
economica dell’impresa, ma racchiude una grande funzione di garanzia: io ti do i 1000 nei limiti in cui mi dai
800, e per essere sicuro te li scalo dai miei mille, quindi rischio solo 200. Ho il diritto di trattenere quello che mi
devi e darti solo la differenza. È come se avessi in garanzia il mio debito, se tu non mi paghi io non ti pago.
Proprio perché la compensazione realizza questo adempimento coattivo, tu non mi paghi e io non ti pago, non
è operabile sempre: postula l’omogeneità dei debiti e dei crediti e la scadenza contemporanea (se devo pagarti
1000 a fine mese e tu devi pagarmi domani, non puoi rifiutare di pagarmi).
SECONDO ALCUNI TALE DISCIPLINA RAPPRESENTA UNA ECCEZIONE DEL PRINCIPIO DEL CONCORSO SOSTANZIALE.
Nel fallimento si favorisce in modo vistoso il creditore del fallito, consentendogli di compensare anche i debiti
fronteggiati da cediti non ancora scaduti alla data del fallimento. Un soggetto fallisce il 28 ottobre. Io non gli
ho pagato una fattura scaduta il 29 settembre. Però ho una fattura nei suoi confronti che scadrà a dicembre. Io
in teoria non posso rifiutarmi di pagare, ma se fallisce tutti i debiti nei suoi confronti diventano
immediatamente esigibili. Questo ha un impatto economico enorme: io vengo pagato al 100%, perché evito di
pagare il mio debito, tutti gli altri vengono pagati il 10%. Si tratta di una eccezione al principio della par
condicio creditorum.
Per evitare frodi si esclude l’applicazione della regola a chi abbia acquistato il credito non scaduto per atto tra vivi
dopo la sentenza di fallimento o nell’anno anteriore. Spesso infatti accade che chi abbia dei debiti verso un
imprenditore fallito, e quindi deve pagarli, se non è stato abbastanza scaltro da avere acquisito nei sui
confronti dei crediti da compensare, li vada a comprare, compra da qualcuno dei crediti verso il fallito. Con il
codice della crisi non sarà più possibile la compensazione con crediti acquistati da 3 in costanza di
fallimento.

Effetti della sentenza di fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori (revocatorie)


Di norma intercorre un certo intervallo di tempo fra il momento in cui si manifesta lo stato di insolvenza e quello
in cui il fallimento è dichiarato. In tale intervallo di tempo, l’imprenditore per far fronte alla crisi o per
mascherarla, può aver compiuto una serie di atti pregiudizievoli nei confronti dei creditori (es. vendita di merci a
prezzi rovinosi) che alterano l’integrità del proprio patrimonio).
Gli artt. da 64 a 70 l. fall disciplinano una serie atti posti in essere dal fallito che possono essere dischiarati
inefficaci nei confronti della generalità dei creditori concorrenti nel fallimento, laddove ne ricorrano i
presupposti, con la duplice conseguenza di porre nel nulla l’attribuzione patrimoniale conseguita dal soggetto
convenuto in revocatoria e di produrre una serie di corrispondenti implementazioni del patrimonio del fallito, e
per esso della percentuale di recuperabilità dei crediti ammessi al passivo.
Queste fattispecie non hanno identica natura, e tanto meno identica disciplina, ma sono riassunte nella
espressione sintetica azione revocatoria fallimentare.

La disciplina dell’azione revocatoria fallimentare riveste carattere centrale (tale rilevanza era notevole prima della
riforma del 2005, successivamente diminuita, ma ora con il nuovo CCI la sta riacquistando nell’ambito della
disciplina dei gruppi) per l’attitudine a condizionare i comportamenti dei soggetti (le banche, i fornitori, i clienti, i
potenziali partners industriali o finanziari) con i quali l’imprenditore allaccia quotidianamente rapporti inerenti
l’esercizio dell’impresa. Una disciplina più o meno severa dell’azione revocatoria fallimentare scoraggia oppure
incoraggia la propensione degli interlocutori dell’imprenditore ad intraprendere, o mantenere, rapporti
commerciali con lo Stesso, oppure a prendere le distanze dalle iniziative rivolte a superare od a comporre le
situazioni di crisi nelle quali l’imprenditore si trovi a versare. A maggiore severità ed a maggiore ambito di
applicazione dell’azione revocatoria fallimentare corrisponde un proporzionale maggior timore della
sopravvenienza del fallimento del proprio interlocutore. Bene si comprende, pertanto, come nelle situazioni di
crisi, anche apparentemente soltanto contingenti, superabili, un formidabile deterrente a sostenere i progetti di
ripresa dell’impresa possa essere costituito, per i terzi interessati, dalla gravosità delle conseguenze revocatorie di
un eventuale fallimento sugli atti posti in essere dall’imprenditore e con l’imprenditore nel perseguire il tentativo
di risanamento.

Il periodo sospetto di revocabilità degli atti comportanti effetti sul patrimonio del fallito
L’aspirazione alla ricostituzione del patrimonio del fallito in funzione della sua liquidazione per il soddisfacimento
dei creditori, che si persegue assoggettando a revocatoria atti che abbiano prodotto effetti pregiudizievoli sulla
sua consistenza (ovvero sulla sua attitudine a consentire il rispetto della par condicio creditorum) deve essere
contemperata con l’aspirazione alla stabilità dei rapporti giuridici, che è evidentemente compromessa dal pericolo
che gli effetti prodotti da un determinato atto possano essere vanificati dal successivo assoggettamento dello
stesso a revocatoria.

Per tale ragione o anche per tale ragione dopo un certo lasso di tempo l’incertezza sulla definitiva stabilità degli
effetti prodotti da un atto giuridico deve essere eliminata  dopo un ceno lasso di tempo l’azione revocatoria
non può più essere proposta e l’atto su considera consolidato. Il curatore fallimentare dovrà verificare se l’atto
rientri nel periodo nel quale il terzo corre il pericolo revocatorio, che per tale ragione si denomina periodo
sospetto  periodo, anteriore alla sentenza di fallimento, nel quale gli atti comportanti effetti pregiudizievoli sul
patrimonio del fallito sono astrattamente soggetti ad essere revocati (ove ne sussistano gli altri presupposti
eventualmente richiesti dalla legge).

I periodi sospetti sono di entità diversa in relazione alla natura degli atti suscettibili di essere revocati e decorrono
a ritroso a far tempo dalla dichiarazione di fallimento. Maggiore e l’anomalia dell’atto compiuto maggiore il
periodo sospetto, comunque mai maggiore di 2 anni (oppure 12 mesi oppure 6)
 individuazione del momento nel quale collocare la dichiarazione di fallimento  secondo l’art 16, c 2,
gli effetti della dichiarazione di fallimento nei confronti dei terzi si producono dalla data di iscrizione
della sentenza nel registro delle imprese, tuttavia parte della giurisprudenza tende ad individuare nel
deposito della sentenza nella cancelleria fallimentare.

Normalmente il legislatore, per aumentare/diminuire l’impatto dell’azione revocatoria, interviene sui due fronti,
anche se con delle modalità non ugualmente trasparenti e dirette.
 perimetro degli atti revocabili  maggiore sarà tale “bolla”, maggiore sarà il numero di atti revocabili.
Oggi le categorie di atti oggetto di esenzione sono numerose.
 periodo sospetto  se il periodo è lungo, gli atti soggetti a revocatoria sono molti di più.
Fino al codice della crisi il legislatore interveniva semplicemente aumentandolo o riducendolo, l’unica tecnica per
rendere l’azione più o meno efficace era questa. Successivamente però con il codice ha utilizzato un altro
strumento, che produce di fatto la stessa conseguenza, e cioè ha cambiato il periodo e il termine di decorrenza a
ritroso della durata del periodo sospetto  decorerebbe a ritroso NON DALLA DATA DI FALLIMENTO MA DALLA
DATA DI DEPOSITO DI ISTANZA DI FALLIMENTO  è un’estensione del periodo sospetto, c’è il periodo
dell’istruttoria prefallimentare che crea un polmone superiore rispetto alla legge previgente, se ad esempio
questa dura 9 mesi i periodi diventano 24+9, 12+9, 6+9.

Tempistiche
Dal punto di vista sistematico si ponte un problema di termini. Quando pensiamo un termine entro al quale fare
valere un’azione, ci viene in mente l’istituto della prescrizione o della decadenza  è possibile promuovere
un’azione di annullamento, ad esempio, ma entro un certo termine, o si decade.
Questo è un profilo presente anche nella revocatoria, ma non c’entra con i termini che abbiamo visto  il periodo
sospetto è l’ambito di applicazione, ci dice nei confronti di quali atti possiamo esercitare l’azione. È come se fosse
un serbatoio fuori dal quale non posso pescare.
Quando poi il curatore interverrà nella procedura, avrà un certo tempo di esercitare l’azione, ed è questo il tempo
con cui si confrontano la decadenza e la prescrizione.

 La prescrizione è un mezzo con cui l'ordinamento giuridico opera l'estinzione dei diritti quando il titolare
non li esercita entro il termine previsto dalla legge (art 2934 e ss cc)  Non tutti i diritti sono soggetti a
prescrizione (es la proprietà, le azioni inerenti la contestazione della paternità e quelle di riconoscimento
filiale, il riconoscimento di eredità ecc)
 La decadenza consiste nella perdita della possibilità di esercitare un diritto per il mancato esercizio in un
termine perentorio (art 2964 e ss cc.)

In termini pratici i due concetti sono molto simili, ma giuridicamente no.


 La prescrizione è stabilita solo dalla legge
 la decadenza può essere frutto di accordi tra due parti.

Gli esempi tipici sono il termine entro cui si devono contestare i vizi sui beni acquistati dai consumatori (due mesi
dalla loro scoperta, la decadenza) ed il termine entro il quale tale diritto puo' essere esercitato, promuovendo
magari una causa (due anni dall'acquisto, la prescrizione)
GLI ATTI REVOCABILI
A quali condizioni posso provocare questa azione? Quali sono le ragioni che stanno alla base della promozione
dell’azione revocatoria e al suo accoglimento?
Un atto compiuto nel periodo sospetto può essere o revocabile verificata la sussistenza di determinate
presupposti, oppure automaticamente, essendo sufficiente l’appartenenza al periodo sospetto (Ciò può portare a
risultati discutibili, l’assenza di motivo può portare ad abusi).

LEGGE FALLIMENTARE HA IMPOSTAZIONE IDENTICA A CODICE.

Articolo Fattispecie Periodo Presupposti


sospetto
64 l fall / Sono atti a titolo gratuito quelli nei 2 anni ASSENZA DI ULTERIORI PRESUPPOSTI OLTRE
163 quali il patrimonio del debitore anteceden ALLA STIPULAZIONE NEL PERIODO SOSPETTO
codice, subisce un sacrificio senza alcun ti alla 
nulla corrispettivo. dichiarazi Tali atti, se compiuti nei due anni anteriori alla
cambia. one di dichiarazione di fallimento, sono dichiarati privi
Sono esclusi: fallimento di effetto nei confronti della massa dei creditori
 i regali d’uso e possono essere acquisiti al fallimento
 gli atti compiuti in mediante trascrizione della sentenza
adempimento di un dovere dichiarativa di fallimento.
morale o a scopo di pubblica Non ha alcun rilievo
utilità, in.  che l’atto sia stato compiuto quando il
quando rientrano in un ambito di debitore non versava in stato di insolvenza
normalità (la liberalità sia  che il debitor fosse o meno fallibile al
proporzionale al patrimonio del compimento dell’atto (era o no piccolo
donante); se eccedono tale limite, imprenditore)
saranno assoggettati alla regola  che il terzo fosse o meno a conoscenza
generale. dell’eventuale stato di insolvenza
 che l’atto di disposizione abbia depauperato
o meno il patrimonio del debitore
 le motivazioni.
La legge fallimentare presume che sarebbe
stato meglio non stipularlo, presume che i
creditori ne siano stati pregiudicati.
È una valutazione molto grossolana, perché dà
per scontato che la revocatoria di un atto a
titolo gratuito non nuocia più di tanto a colui
che ne viene investito, il donatario, perché al
massimo viene privato di un vantaggio che
aveva ricevuto gratis.
Si tratta di una forma di solidarietà forzata nei
confronti dei creditori coinvolti nel fallimento.
Se però investe ciò che aveva ricevuto o lo
spende dopo non ce l’ha più, non lo mantiene
solo per aspettare di restituirlo.
L'assenza di un qualsiasi filtro preventivo, il
tempo brevissimo per il reclamo (8 gg dalla
conoscenza dell’atto), l valutazione grossolana
sopracitata, fanno ritenere che ci si trovi di
fronte ad una norma affetta da un probabile
vizio di incostituzionalità.
Certo si può affermare che in generale non
siano numerosi gli atti a titolo gratuito, ma c’è
una fattispecie molto importante e che fa
discutere circa l’interpretazione della norma, la
prestazione di garanzie per debiti altrui. Se
guardiamo l’operazione dal punto di vista del
donatario, chi ha ricevuto la garanzia ha la
prospettiva di un finanziamento che deve poi
erogare, la garanzia è il corrispettivo del rischio
che assume. Questo tema ha importanza
pratica perché nell’ambito dei gruppi societari è
molto frequente.

Art 65 l. Pagamenti anticipati  pagamenti 2 anni ASSENZA DI ULTERIORI PRESUPPOSTI OLTRE


fall che siano stati eseguiti dal debitore ALLA STIPULAZIONE NEL PERIODO SOSPETTO
(poi fallito) prima della scadenza, per  acquisto immediato come negli atti a titolo
debiti che sarebbero scaduti il giorno gratuito.
della dichiarazione di fallimento o La regola viene dettata dal sospetto del
successivamente. È quindi un debito legislatore, ma si scontra con alcune e
che il fallito avrebbe potuto evitare fattispecie nelle quali l’applicazione della
di pagare. disposizione risulta del tutto irragionevole.
Ciononostante, anche nel codice non si cambia
Il creditore soddisfatto ha avuto un impostazione, evidentemente tali dubbi non
colpo di fortuna, non viene colpito sono sembrati sufficientemente fondati.
dal fallimento. Il legislatore guarda
alla fattispecie con molto sospetto, Alcune volte il pagamento anticipato non ha
si teme che l’imprenditore abbia ragion d’essere se non voler fare un favore a chi
voluto favorirlo: pago in anticipo un viene soddisfatto, ma in altre situazioni
mio amico con cui ho un debito risponde ad una gestione corretta di una
perché non voglio venga coinvolto impresa, ed è un atto che l’imprenditore è
nel fallimento fortemente consigliato di fare. Esempio 
poniamo che un’impresa abbia acquisito un
Esulano da questa fattispecie i mutuo di carattere ventennale nel 2005 e a
pagamenti, eseguiti prima della quel tempo ci fossero tassi di interesse dell’8%.
scadenza, di debiti con scadenza Interviene la crisi, e i tassi sono crollano, per cui
anteriore alla data della sentenza di oggi l’imprenditore potrebbe ottenere un
fallimento; per questi atti si nuovo mutuo con un tasso all’1%. L’imprendere
applicheranno le regole dell'art. 67 I. allora ottiene un altro mutuo in una nuova
fall. banca all’1% e ci paga il vecchio mutuo.
Estingue un debito che sarebbe stato estinto
nel 2025. La banca spesso rifiuta queste
estinzioni anticipate proprio per paura del
fallimento.

Art 66 Non è una nuova fattispecie, ma 5 anni L’azione revocatoria fallimentare è diversa da
fall forma il principio in base al quale quella ordinaria, perché è più facile da vincere,
l’azione revocatoria ordinaria viene gode di presunzioni che non operano nella
esercitata solo dal curatore  seconda. Le ragioni che possono indurre il
Normalmente può proporla solo il curatore ad esercitare tale azione si ritrovano
creditore danneggiato da un atto di nella circostanza che essa può colpire atti non
espropriazione del debitore. aggredibili, per ragioni temporali, con l’azione
La lettera dell’art 66 prevede la revocatoria fallimentare. È un’arma molto
possibilità di esercitare anche nel potente ma con una gettata limitata.
fallimento l’azione revocatoria quale L’azione revocatoria ordinaria può essere
disciplinata dal Codice civile all’art esercitata entro i cinque anni dal compimento
2901 cc. Tale previsione, comunque, dell’atto, mentre la revocatoria fallimentare
vede un’azione revocatoria ordinaria può aggredire solo atti compiuti nei sei mesi,
modificata nell’anno o nel biennio precedente la
dichiarazione di fallimento.
Ulteriore differenza sta nel fatto che il ricavato
dall’azione viene distribuito a beneficio di tutti i
creditori, non solo quelli che siano stati tali alla
data di compimento dell’atto pregiudizievole.
Non si distingue tra creditore vecchio e nuovo,
quelli recenti non avrebbero mai potuto agire
contro quella vendita. Si produce un fenomeno
di massa, in forza del quale in parte vengono
sostituiti coloro che potrebbero promuovere
un’azione, ma in parte vengono beneficiati dei
soggetti che questa azione non avrebbero mai
potuto proporla.
Capita che quando interviene il fallimento sia
pendente una azione revocatoria ordinaria, e in
queste azioni subentra il curatore fallimentare.
Più spesso accade che il creditore abbia
compiuto degli atti teoricamente revocabili ma
le azioni non sono state ancora promosse. In
questo caso il curatore può proporre le azioni, i
creditori non possono più né promuoverle né
continuarle.

Restano invariati l’onere della prova a carico


dell’attore (il curatore) in ordine all’eventus
damni (danno per i creditori) ed al consilium
fraudis (consapevolezza del pregiudizio da
parte del debitore, e per gli atti a titolo
oneroso, anche da parte del terzo)
Art 67 c Atti a titolo oneroso (con diverse Sono previste due diverse discipline,
1 e 2 l. caratteristiche)  Il convenuto in segnatamente per gli atti anomali e gli atti c.d.
fall revocatoria ha dato qualcosa in normali di gestione.
cambio di tale atto e quando In ambo i casi l’azione è proposta dal curatore
l’andiamo a rendere inefficace lui (ovviamente con le dovute autorizzazioni) e
perde quello che aveva dato in tende a far dichiarare inopponibili alla massa
cambio. taluni atti  l’azione incide sull’efficacia degli
La legge fallimentare detta una analitica atti nei confronti dei creditori e non sulla loro
disciplina della fattispecie, la quale gode, validità tra le parti che li hanno posti in essere.
sul piano processuale, di una serie di
vantaggi, derivanti dalla possibilità di
utilizzazione di talune presunzioni.

C1 Atti qualificati come anomali 1 anno Una volta che il curatore abbia fornito la prova
 Atti sproporzionati  le anteriore della loro esistenza e del loro compimento nel
prestazioni eseguite o le alla data periodo sospetto, l'atto sarà revocato salvo la
obbligazioni assunte dal fallito della prova della buonafede, cioè che il terzo
sorpassano ciò che a lui è stato sentenza dimostri di non aver avuto conoscenza dello
dato o promesso. Sia atti di di stato di insolvenza in cui versava il debitore al
disposizione che atti che fallimento momento del compimento dell'atto.
comportano l'assunzione di  L’inversione dell’onere della prova è da
obbligazioni, e colpisce gli atti diminuiti giustificare con il carattere sintomatico
che presentino una sproporzione dalla dell’insolvenza negli atti in discussione.
notevole (fissata riforma La prova può essere fornita, di regola, solo
normativamente nel 25%, 1/4) del provando che lo stato di insolvenza non si sia
Solo un imprenditore in difficoltà 2005/200 manifestato (assenza di protesti cambiari, di
può accettare condizioni 6, prima procedure esecutive, etc.).
pregiudizievoli, vedere era di 2 Quindi la malafede è presunta  la circostanza
sottocosto, comprare ad un anni. che l’atto sia anomalo consente di presumere
prezzo esagerato. che la controparte conosceva che costui era
La controparte deve desumere insolvente, si tratta di atti che hanno
che l’imprenditore è in crisi e a caratteristiche sintomatiche di per sé di una
meno che non dimostri la presumibile condizione di insolvenza.
buonafede l’atto è revocato.

 Pagamenti effettuati con mezzi


anormali  Gli atti estintivi di
debiti pecuniari scaduti ed
esigibili non effettuati con
danaro o con altri mezzi normali
di pagamento (pagherò o
cambiale, carte di credito,
assegni circolari, ma ad esempio
con merca). La mancanza di
liquidità è sintomatica della crisi
dell’impresa, mette la
controparte nella condizione di
percepire situazione di difficoltà.
La norma non dovrebbe trovare
applicazione nel caso
l’adempimento diverso sia stato
contrattualmente previsto in via
alternativa al momento della
costituzione del rapporto.

 Garanzie non contestuali


rispetto al credito garantito 
io ho già ricevuto il credito, ad
esempio un finanziamento e non
ho dato garanzie, e la do a
posteriori. Perché? Forse la
banca ha percepito una difficoltà
e ora ti chiede una garanzia
supplementare. La banca può
provare ad esempio la scadenza
della prima garanzia per evitare
la revoca.

 Garanzie non contestuali per


debiti già scaduti  I pegni, le
anticresi, le ipoteche volontarie
e le ipoteche giudiziali costituiti
entro sei mesi anteriori la
dichiarazione di fallimento per
debiti scaduti. Vengono
considerate meno anomale di
quelle non ancora scadute, è il
corrispettivo di una moratoria.
Riguarda atti compiuti nei sei
mesi (e non nell’anno). Ciò
equipara, ai soli fini temporali,
queste fattispecie a quella del
pagamento, riguardando
appunto debiti scaduti.

Per queste ultime due categorie si fa


riferimento ai debiti propri del
fallito, non a quelli altrui. Infatti, la
costituzione di garanzia successiva
per un debito proprio è sintomatica
di un peggioramento della situazione
economico finanziaria, per debito
altrui a contrario è espressione
semmai della normalità del soggetto,
che addirittura può impiegare
patrimonio a favore di terzi.
C2 Atti qualificati come di normale 6 mesi Sono revocabili purché il curatore provi la
gestione  malafede del creditore circa lo stato di
Sono atti apparentemente privi di insolvenza dell’imprenditore.
anormalità rispetto all’ordinario Spetterà al curatore fornire la prova che il terzo
andamento dei rapporti di impresa, fosse a conoscenza dello stato di insolvenza al
non hanno nulla di riprovevole e non momento del compimento dell’atto, agevolato
sono sintomatici di nessuna dalla presunzione della malafede.
difficoltà, A MENO CHE NON SIANO
INSERITI IN UN CONTESTO Sono soggetti a revocatoria perché di fronte
ANOMALO, OVVERO LO STATO DI all’insolvenza del debitore i creditori
INSOLVENZA. dovrebbero astenersi dal perseguire il
soddisfacimento delle loro pretese tramite
Rientrano: iniziative individuali, avrebbero dovuto
 i pagamenti di debiti liquidi ed provocare l’apertura del fallimento.
esigibili  pagamenti che per il Non si può contrarre con insolvente, è come un
debitore costituivano atti dovuti, soggetto con malattia infettiva. Non viene
che anche la revocatoria rimproverato l’atto, ma il contesto, non è
ordinaria farebbe salvi. Il necessario dimostrare che l’atto sia stato
pagamento viene considerato pregiudizievole e la scusante che l’atto sia stato
come atto di disposizione a sé favorevole non è sufficiente. Anche se hai
stante, non postula la aiutato ammalato non importa, non dovevi
preliminare revocatoria del avere contatti.
contratto in esecuzione del quale
sia stato eseguito.

 gli atti a titolo oneroso  Sono


atti a titolo oneroso quei
rapporti o negozi nei quali al
sacrificio del debitore poi fallito
corrisponde un vantaggio che è
stato acquisito al suo
patrimonio. Questi atti previsti
dal comma 2° dell'art. 67 si
distinguono da quelli disciplinati
nel comma 1°, in quanto le
prestazioni o le obbligazioni
poste a carico del fallito sono
sostanzialmente equivalenti (o
comunque non eccedenti una
sproporzione del 25%) a quanto
egli acquisisce o gli viene
promesso

 gli atti costitutivi di un diritto di


prelazione per debiti
contestualmente creati  il
carattere contestuale della
garanzia si valuta in termini logici
piuttosto che cronologici  è
contestuale la garanzia che ha
costituito il corrispettivo per la
concessione di un credito, in
mancanza della quale quindi il
credito non sarebbe stato
concesso. È giudicato
contestuale anche il pegno
costituti con beni acquistati
attraverso l’utilizzazione dello
stesso credito concesso.

 le garanzie prestate per debiti


altrui

 i pagamenti di debiti scaduti.

Art 67 c ESENZIONI. Le fattispecie Sono La seconda tecnica con cui il legislatore


3 molto maggiori dal punto divista diminuisce o aumenta la potata dell’azione
Nuovo tipologico delle fattispecie revocatoria è aumentando o diminuendo le
comma precedenti, l’impatto della fattispecie esenti dalla stessa.
molto revocatoria è stato di molto svuotato La disciplina dell’istituto è in questo senso stata
esteso dato questo effluvio di eccezioni. profondamente innovata dalla riforma del
2005/2006:
A. Pagamenti in termini d’uso  evitare l’isolamento dell’imprenditore
Benché sussistano i presupposti in difficoltà da parte degli altri
di un possibile fallimento, operatori,
benché l’imprenditore sia  favorire determinate categorie di
insolvente e la controparte ne creditori considerate meritevoli per la
sia consapevole fino a quando gli funzione assolta sul mercato.
atti sono compiuti nell’ordinaria  favorire la prevenzione ed il
attività di impresa, la superamento delle situazioni di crisi
controparte finché si colloca in delle imprese, pone alcuni incentivi per
un rapporto fisiologico può favorire l’accesso alle procedure di
continuare ad avere rapporti con composizione negoziale della crisi
l’imprenditore senza d’impresa  piani di risanamento
preoccuparsi dell’azione attestati, accordi di ristrutturazione,
revocatoria. concordato preventivo.
Si vuole scongiurare il pericolo
che l’imprenditore già in crisi Ci sarebbero i presupposti per l’esercizio
veda la sua posizione dell’azione, però se interviene un certo caso di
ulteriormente aggravata. specie la sanzione non è applicabile.
Es sono fornitore di argilla e il Diventa importante verificare se vi sia chiarezza
contratto di somministrazione o meno nella considerazione del perimetro di
dice che io ti consegno e tu mi queste eccezioni.
paghi 90 gg dopo la consegna.
Emerge la crisi e io piuttosto che tali fattispecie non sono soggette a quale
non darti l’argilla e accelerare il azione revocatoria? problema sul quale il
dissesto continuo la fornitura e nuovo codice prende posizione per dirimere un
la dilazione di pagamento. La conflitto interpretativo. Non è un istituto con
ceramica è insolvente e io ne un carattere unitario, di revocatorie ce ne sono
sono consapevole, ma siccome numerose, con caratteristiche anche molto
mantengo il mio rapporto nei diverse tra loro  cassazione afferma che
termini d’uso, se fallisci, i l’azione revocatoria ordinaria rientri nella
pagamenti non son revocabili. protezione dell’esenzione.
La ratio è chiara ma la In questo caso non ha fatto quello che i giudici
traduzione del principio è hanno fatto da mesi, cioè decidere le questioni
approssimativa  di carattere interpretativo collocandosi in
 L’esenzione si estende anche sintonia con quello che sarà il codice della crisi:
agli atti di ordinaria gestione le esenzioni si applicano anche alla revocatoria
o solo ai pagamenti? Il ordinaria ex cc. Siccome il legislatore nel codice
tenore letterale della norma ha scelto questa soluzione, è logico e
sembra consentirne solo una comprensibile che anche in questa situazione in
interpretazione restrittiva. cui la legge non è ancor applicabile si propenda
la soluzione futura. La cassazione fa il contrario.
B. Rimesse sul conto corrente
bancario Comportanti una
riduzione consistente e
notevole, da confrontare con
art 70 3 c Tema che fino al
2005 aveva enorme importanza,
ha portato ad ampi dibattiti in
dottrina e in giurisprudenza.
Tutte le imprese lavorano con le
banche e hanno conti correnti,
quindi tutte ponevano in
problema di se e in quale misura
fossero revocabili le rimesse sui
conti correnti. Rimesse 
accreditamenti effettuate dal
fallito (o da terzi per lui) sui
conti correnti intrattenuti con le
banche.

Nel corso della movimentazione


di un conto corrente bancario le
rimesse che, azzerando o
riducendo i saldi del debitore
correntista potrebbero essere
qualificate come pagamenti, e
come tali assoggettabili a
revocatoria fallimentare,
possono essere innumerevoli. Di
qui la prospettiva che le banche,
per il timore del fallimento del
correntista in difficoltà,
anticipassero la chiusura dei
rapporti, invece che continuare a
sostenere finanziariamente
l’impresa.

Distinguere quando una rimessa


equivale a un pagamento e
quindi è revocabile è stata una
questione molto spinosa Quando
verso i soldi in banca, delle volte
(come il caso di finanziamenti) lo
faccio in modo definitivo, a volte
il versamento istantaneamente
riduce un mio debito verso la
banca, ma magari poco dopo il
versamento va in bonifico al
fornitore e i soldi vanno a lui non
alla banca. Es io sono con il
conto a – 1000 verso 800 e il
dedito si riduce di 200. Subito
dopo faccio un bonifico al mio
fornitore e quindi la banca mi è
servita solo come tramite per
effettuare un pagamento.

Per tale ragione la riforma della


legge fallimentare ha esonerato
dall’azione revocatoria le
rimesse su conto corrente
bancario, a meno che esse non
abbiano prodotto una riduzione
consistente e durevole della
esposizione debitoria del
correntista poi fallito,
comunque nei limiti della
somma pari alla differenza tra
l’ammontare massimo
raggiunto dalle (sue) pretese
(della banca) e l’ammontare
residuo delle stesse, alla data in
cui si è aperto il concorso.
L’assoggettamento a revocatoria
delle rimesse riguarda solo
quelle accreditate in conto nel
periodo sospetto di sei mesi
anteriori al fallimento, e sempre
che il curatore fallimentare
dimostri che la banca conosceva
lo stato di insolvenza del
correntista poi fallito.

Non sono precisati i criteri in


base ai quali verificare il
presupposto dalla consistenza
della rimessa: ed i primi
interpreti si vanno orientando
verso la soluzione che attribuisce
rilievo al criterio percentuale,
piuttosto che a quello attento
alla considerazione del valore
assoluto della rimessa.
 In giurisprudenza si è
proposto di assumere la
percentuale del 1000 di
quello che risulterà (ma a
posteriori!) il massimo
scoperto descritto dall’art.
70, co. 3
 Altri tribunali giudicano
consistenti le rimesse che
hanno prodotto una
riduzione della esposizione
debitoria superiore alla
media calcolata su tutte le
riduzioni registrate dal conto
corrente nel periodo
sospetto.

Quanto al presupposto della


durevolezza della riduzione
dell’esposizione debitoria del
fallito, che pure condiziona la
revocabilità della rimessa, pare
certa la sussistenza del
presupposto ogniqualvolta la
riduzione in questione perduri
fino alla chiusura del rapporto (o
fino alla dichiarazione di
fallimento).
Non può essere escluso che sia
giudicata durevole la riduzione
dell’esposizione debitoria
prodotta da una rimessa, che sia
seguita da un nuovo prelievo (da
un nuovo utilizzo della provvista
generata dalla rimessa).
Il requisito della durevolezza
della riduzione prodotta dalla
rimessa ricorre dunque quando
la diminuzione dell’esposizione
bancaria si è rivelata duratura:
cioè protratta (in tutto ed in
parte) sino alla chiusura del
conto (dopo di che gli eventuali
accreditamenti non sono più
soggetti alla disciplina speciale
delle rimesse, ma a quella più
generale dei pagamenti di debiti
esigibili), o sino alla
dichiarazione di fallimento. In
questa prospettiva, certamente
revocabili risulteranno le rimesse
che hanno prodotto un rientro
programmato di norma, rateale
da una determinata esposizione
debitoria del correntista nei
confronti della banca.

Quanto sopra esposto deve poi


tenere conto delle esigenze di
coordinare la norma in
commento con la disposizione
dell’art. 70 c 3, l. fall., che
concerne anche la revocatoria
degli atti estintivi di posizioni
passive derivanti da rapporti di
conto corrente bancario, e che
limita la loro revocabilità alla
somma pari alla differenza tra
l'ammontare massimo della
pretesa della banca nel periodo
sospetto e l’ammontare residuo
della stessa alla data
dell’apertura del concorso (c.d.
revoca del rientro).
Le due norme non rendono
peraltro l’una inutile l’altra,
viceversa.
ln realtà, non è possibile che la
somma delle rimesse revocabili,
in quanto produttive della
riduzione (parziale o totale) di
una esposizione debitoria, superi
la differenza tra l’ammontare
complessivo dei versamenti e
l’ammontare complessivo degli
atti di utilizzo nel periodo
sospetto  tale differenza
costituisce esattamente la
somma delle rimesse (o porzioni
di rimessa) accreditate sul conto
corrente bancario e rivelatesi
durevoli (alias durature) perché
sopravvissute (o nella pane in cui
sono sopravvissute) alla chiusura
del conto (o alla dichiarazione di
fallimento).
Per le rimesse su conto corrente
bancario la limitazione della
somma che il terzo revocato
deve restituire al fallimento non
è pari alla differenza tra
l’esposizione massima e
l’ammontare residuo del credito
alla data in cui si è aperto il
concorso, bensì alla differenza
tra il massimo scoperto e il saldo
del conto corrente al momento
della sua chiusura che ben può
essere, e spesso è, anteriore alla
sentenza di fallimento -,
risultando invece i pagamenti
successivi tutti individualmente
revocabili perché non più
riferibili ad un conto corrente.

L’art. 67, comma 3°, lett. b) l. fall.


non precisa a quali condizioni tali
rimesse siano revocabili (se sul
presupposto della dimostrazione
da parte del curatore
fallimentare della conoscenza
dello stato di insolvenza del
fallito da parte della banca; se
sulla base di una presunzione
legale di scientia decoctionis,
superabile dalla banca attraverso
la prova contraria; se di diritto a
prescindere da ogni altro
possibile presupposto).
Dall’art. 70, co. 3, l. fall. si ricava
peraltro che sono rilevanti
soltanto le rimesse accreditate
(complessivamente) nel periodo
per il quale è provata la
conoscenza dello stato di
insolvenza  l’espressione usata
è provata induce a confermare la
conclusione che l’onere relativo
incomba sul curatore agente in
revocatoria.

C. sono revocabili le vendite o i


preliminari di vendita che
abbiano ad oggetto un
immobile o a suo abitativo o la
sede principale dell’impresa, se
fatti al giusto prezzo  La ratio
della norma è la volontà di
tutelare quella particolare forma
di risparmio privato che è
costituita dall’investimento nella
casa di abitazione, e che si iscrive
nel principio costituzionale ex
art. 47 Cost.
La norma resta comunque
approssimativa, alla luce della
formulazione risultano
ugualmente tutelati:
 acquisti di immobili di
ingente valore  anche
la vendita di un castello
non si revoca
 acquisti di immobili che
non costituiscano la
prima casa
dell’acquirente
 acquisti caratterizzati da
una componente
speculativa.
 Sotto il profilo economico,
l’esenzione da revocatoria è
attribuita ai soli acquisti
immobiliari effettuati a giusto
prezzo.

D. Atti di esecuzione di un piano


attestato, degli accordi di
ristrutturazione e del
concordato preventivo (piano di
risanamento nella legge
fallimentare)  tende a renderle
stabili i negozi e gli atti di
adempimento collegati ad
operazioni di ristrutturazione,
finalizzate ad un ripristino
dell’equilibrio finanziario
dell’impresa. In questo caso, si
richiede, come condizione per
l’esonero dalla revocatoria, che il
piano di risanamento sia
asseverato da un esperto ed
abbia una oggettiva attendibilità.

E. Atti pagamenti e garanzie posti


in essere in esecuzione del
concordato preventivo o
accordo di ristrutturazione.
Nel codice non cambia.

F. I pagamenti dei corrispettivi per


prestazioni di lavoro effettuate
da dipendenti ed altri
collaboratori, anche non
subordinati del fallito
 solo il corrispettivo della
prestazione di lavoro, quindi
sono esclusi i pagamenti che
rientrano nel trattamento
economico del lavoratore ma
non hanno tale funzione, es
pagamenti di indennità di
mancato preavviso.
Non era pacifico che i pagamenti
degli stipendi fossero soggetti ad
azione revocatoria, dato che si
tratta di un credito privilegiato,
sarebbero comunque stati
soddisfatti.
Vedi anche art 70. Manca

G. Pagamenti liquidi ed esigibili


eseguiti alla scadenza per
ottenere la prestazione di
servizi strumentali all’accesso
alle procedure concorsuali e al
concordato preventivo 
tipicamente crediti professionali
come il commercialista,
l’avvocato, l’ingegnere… sono
volte a consentire
all’imprenditore di fare la
domanda di accordo o
concordato.

I rapporti patrimoniali tra coniugi


Legge ha dettato una disciplina della revocatoria più severa di quella prevista per gli altri soggetti (art. 69 I. fall.),
supponendo una stretta contiguità economica oltre che frequenti situazioni simulatorie.
Fermo anche per tali atti il termine di decadenza dall'azione fissato dall'art. 69 bis 1. fall., il coniuge del fallito,
per evitare la revoca (salvo per gli atti a titolo gratuito compiuti nel biennio, ove tale presupposto è irrilevante)
dare la prova che ignorava lo stato di insolvenza dell'altro coniuge.
 Atti a titolo oneroso  presunzione di malafede anche per gli atti normali
 Atti a titolo gratuito  esclusi quelli anteriori ai due anni alla dichiarazione di fallimento compiuti tra i
coniugi nel tempo in cui il fallito già esercitava un’impresa commerciale, senza alcun limite temporale (in
relazione all’anteriorità alla dichiarazione di fallimento)
Effetti della revocazione
Art 70 l fall  1 La revocatoria dei pagamenti avvenuti tramite intermediari specializzati, procedure di
compensazione multilaterale o dalle società previste dall'articolo 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1966, si
esercita e produce effetti nei confronti del destinatario della prestazione.
2 Colui che, per effetto della revoca prevista dalle disposizioni precedenti, ha restituito quanto aveva ricevuto è
ammesso al passivo fallimentare per il suo eventuale credito.

Se è revocato un pagamento, il soggetto che lo aveva ricevuto deve restituire la relativa somma, eventualmente
con gli interessi decorrenti dalla data della domanda giudiziale. e potrà chiedere di essere ammesso al passivo per
la somma di cui era originariamente creditore.

3 Qualora la revoca abbia ad oggetto atti estintivi di posizioni passive derivanti da rapporti di conto corrente
bancario o comunque rapporti continuativi o reiterati, il terzo deve restituire una somma pari alla differenza tra
l'ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato
d'insolvenza, e l'ammontare residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso. Resta salvo il diritto del
convenuto d'insinuare al passivo un credito d'importo corrispondente a quanto restituito.
(quali i contratti di somministrazione e di forniture)
 Nel caso venga accolta la domanda In revocatoria, se è revocato un rapporto a prestazioni corrispettive, il
terzo deve restituire il bene ricevuto e, su sua domanda, può essere ammesso al passivo per ciò che aveva
corrisposto al (debitore poi) fallito;
 se è revocato un atto costitutivo di prelazione, il credito relativo sarà ammesso al passivo come
chirografario;

Non è ammessa compensazione tra il debito di restituzione al fallimento ed il credito che dovrà essere
riconosciuto in sede di ammissione al passivo.

Prescrizione e decadenze dell’azione revocatoria


Art 2903 cc  L'azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell'atto.
Rispetto alla disciplina generale dell’istituto pertanto si registra pertanto:
 dimezzamento del termine ordinario
 decorrenza del termine non già dall’incerto e soggettivo momento in cui il diritto può essere fatto valere,
bensì dalla data oggettiva nella quale è stato posto in essere l’atto revocando. La prescrizione dunque
decorre ANCHE SE IL CREDITORE IGNORA INCOLPEVOLMENTE il compimento da parte del debitore di un
atto depauperatore il suo patrimonio.

Art 69 bis l. Fall  Le azioni revocatorie disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse decorsi
tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell'atto
 il termine di proponibilità è espressamente definito come termine di decadenza, quindi insuscettibile di
interruzione e sospensione.
 Tale disciplina non è applicabile alla revocatoria ordinaria, il che porta discussioni sulla individuazione
dell’effettiva natura del regime dell’art 2903 cc, che pur facendo espressamente riferimento alla
prescrizione dell’azione, sarebbe già a sua volta espressivo di un regime di decadenza.
Effetti della sentenza di fallimento sui rapporti giuridici pendenti o preesistenti
La problematica rileva per i rapporti sorti prima della dichiarazione di fallimento che non abbiano avuto completa
esecuzione da ambo le parti, quindi rapporti in corso. Più frequente nei contratti di durata ma possibile anche in
quelli ad esecuzione istantanea. Per verificare la pendenza del rapporto si fa riferimento alle obbligazioni
principali trascurando quelle accessorie (es contratto di vendita, principali sono il pagamento del prezzo, il
trasferimento della proprietà e la consegna; accessoria è la consegna dei documenti relativi al diritto trasferito)
 Se il rapporto non è ancora perfezionato alla data del fallimento, il vincolo giuridico non è ancora
sorto, perciò non si può parlare di rapporto preesistente
 Se il rapporto è stato completamente eseguito dalla parte del creditore, questi dovrà far valere il
proprio diritto alla prestazione da parte del debitore fallito tramite la domanda di ammissione al
passivo.

Art 72 ss. L. fall  REGOLA GENERALE è LA SOSPENSIONE DEL RAPPORTO pendente al momento della
dichiarazione di fallimento, con FACOLTÀ DEL CURATORE DI SUBENTRARE NELL’ESERCIZIO DEL CONTRATTO
OVVERO DI SCIOGLIERE IL RAPPORTO.
IL SUBINGRESSO DEL CURATORE TRASFORMA IL CREDITO DA CONCORSUALE IN PREDEDUCIBILE.
 La valutazione circa l’opportunità di proseguire il rapporto è condizionata all’autorizzazione del comitato
dei creditori, mentre è libero di decidere di non darvi corso.
 Se prima dell’apertura della procedura di fallimento l’altro contraente aveva promosso un’azione
giudiziaria per ottenere la risoluzione del contratto è esclusa la possibilità di prosecuzione del rapporto,
ove sia accertato il pregresso inadempimento del fallito
 Il regime non si applica ai contratti ad effetti reali se sia già avvenuto il trasferimento del diritto (es
trasferimento della proprietà)
 La scelta del curatore non è sottoposta a termine, tuttavia al fine di non protrarre l’incertezza sulla sorte
del rapporto l’altro contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato
un termine non superiore a 60 gg, decorso il quale il contratto si intenderà sciolto.

Nel caso di esercizio provvisorio e di prosecuzione da parte del curatore dell’attività di impresa, la
regola generale è di prosecuzione automatica di tutti i rapporti pendenti, salva la facoltà del curatore
di sciogliersi ovvero sospendere l’efficacia.

Rientrano in tale categoria:


 La vendita a termine o a rate  se la cosa è già passata in proprietà dell’acquirente (poi fallito) ed è stata
consegnata, il sentire potrà solo chiedere di essere ammesso al passivo per il residuo prezzo.
In caso di fallimento dell’acquirente, ove il curatore subentri, dovrà offrire al venditore un’idonea
cauzione, salvo che non intenda pagare immediatamente il residuo prezzo.
Se decide di sciogliersi dovrà restituire la cosa e non pagherà le rate scadute successivamente alla data del
fallimento. Il venditore dovrà restituire le rate già riscosse ed ha diritto a un equo compenso per l’uso della
cosa.
 Il preliminare di vendita di immobili (c.d. compromesso)  ove non vi sia stato il trasferimento della
proprietà del bene. Se il curatore viene autorizzato a subentrare, si obbliga a adempiere la propria
prestazione fuori dal concorso, come debito di massa; qualora decida si sciogliersi se l’acquirente ha già
eseguito in tutto o in parte la propria obbligazione prima del fallimento del venditore, ha diritto di far
valere il proprio credito nel passivo.
 Il leasing finanziario in caso di fallimento dell’utilizzatore  il rapporto è sospeso ovvero in caso di
esercizio provvisorio, la prosecuzione è prevista con facoltà di scioglimento da parte del curatore. Il
curatore dovrà restituire il bene oggetto di locazione finanziaria al concedente, il quale potrà procedere
alla vendita o ad una nuova allocazione ed avrà comunque il diritto di ricevere il pagamento della residua
parte del credito, con ammissione allo stato passivo per l’importo non soddisfatto con il prezzo di vendita
o con i canoni per la nuova concessione. Quindi utilizza i bene come se fosse una garanzia, lo vende e si
appropria del ricavato. Ma qual è il credito del concedente una volta che il contratto si scioglie? È pacifico
che sia rappresentato la somma tra i canoni non pagati già scaduti, quelli a scadere ma privati degli
interessi e la somma del prezzo di opzione.
Nel codice della crisi viene inserita una previsione  il concedente deve vendere il bene. Ma cosa accade
ne frattempo? Mentre cerca un acquirente? Il giudice delegato fa una stima del bene, in base alla quale il
leasing fa i suoi conti e stabilisce quale sia il credito residuo e insinua questa parte, e in proporzione a
quella riceverà il riparto. Eventualmente nei riparti successivi verrà eseguito un conguaglio. Il codice
ripropone la disciplina attuale quindi, ma aggiunge una disciplina transitoria che riguarda il periodo
intercorrente tra lo scioglimento del contratto e la vendita del bene.
 I contratti di esecuzione continuata o periodica come la somministrazione  regole previste per la
vendita. Se però il curatore del percettore della prestazione che sia stato dichiarato fallito chiede che il
contratto sia proseguito è obbligato a pagare il corrispettivo per il futuro e pagare integralmente il prezzo
delle consegne già avvenute e dei servizi ricevuti. (differenza dalla disciplina generale, dove il curatore che
subentra corrisponde in prededuzione solo il corrispettivo maturato dopo che la scelta sia stata operata)
 Il mandato in caso di fallimento del mandante  onere a carico del curatore in caso di subentro di
soddisfare i creditori del mandatario in prededuzione solo per l’attività compiuta dopo il fallimento. Il
mandatario dovrà proporre domanda di ammissione al passivo per i crediti maturati in precedenza.
 La promessa di vendita/acquisto di appartamento da costruire

Tale disciplina generale, anche se non espressamente derogata, deve ritenersi inapplicabile a taluni contratti per i
quali le particolari disposizioni di legge all’uopo dettate sembrano giustificate un diverso regime per il caso di
fallimento di uno dei contraenti:
 Rapporto di lavoro  art 2119 cc esclude che il fallimento costituisca giusta causa di risoluzione del
contratto. Il rapporto è sospeso, salvo determinazione diverse del curatore. La disciplina di questo
contratto è influenzata dalla l n 223/1991, nel caso l’impresa fallita al momento della dichiarazione abbia
più di 15 dipendenti.
Nel caso di fallimento di imprese soggette alla disciplina di intervento straordinario di integrazione
salariale, su domanda del curatore viene concessa la cassa integrazione guadagni per un periodo non
superiore a 12 mesi, prorogabile di 6 nel caso sussistano fondate prospettive di ripresa dell’attività. Il
rapporto non si interrompe, salvo che il curatore collochi i lavoratori in mobilità.

Per altri contratti è invece previsto lo scioglimento de iure, automatico di diritto. L’adozione della risoluzione
deriva forse dal fatto che si tratta di contratti di durata che provocano modifiche nel patrimonio di ciascuna delle
parti in forza di comportamenti o atti posti in essere dall’altra, cioè il fallimento vedrebbe modificata la massa
patrimoniale in forza di atti di soggetti estranei alla procedura.
Lo scioglimento del contratto fa venire meno l’efficacia della clausola compromissoria contenuta nello stesso, con
la quale le parti hanno deferito ad arbitri la risoluzione delle controversie che dallo stesso possano derivare.
Rientrano in tale categoria:
 I contratti di conto corrente ordinario  contratto mediante il quale e parti i obbligano ad annotare in un
conto i crediti derivano da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili ed indisponibili fino alla chiusura
dei medesimi
 Conto corrente bancario
 la commissione  mandato che ha per oggetto l’acquisto o la vendita i beni per conto del committente e
in come del commissario
 il finanziamento destinato ad uno specifico affare
 Il mandato  scioglimento automatico solo per fallimento del mandatario
 L’associazione in partecipazione in caso di fallimento dell’associante  lo scioglimento del rapporto
implica a liquidazione dell’operazione. L’articolo non si occupa del fallimento dell’associato  ex art 2552
cc se al momento della dichiarazione di fallimento abbia conferito per intero il suo apporto il contratto
continua con il curatore. In caso contrario rimane sospeso.
 Società di persone e rapporto del socio nelle società di persone
 I contratti di borsa a termine  dispone I’ art 76 I. fall  se il termine scade dopo la dichiarazione di
fallimento di uno dei contraenti, si scioglie alla data della dichiarazione di fallimento. La differenza fra il
prezzo contrattuale e il valore delle cose o dei titoli alla data di dichiarazione di fallimento è versata nel
fallimento se il fallito risulta in credito, o è ammessa al passivo del fallimento nel caso contrario.
Più che di scioglimento o di risoluzione, si tratta di scadenza anticipata de termine al momento della
dichiarazione di fallimento e di conseguente liquidazione delle differenze; ciò che trasforma in ogni caso
quel contratto in un contratto differenziale, senza scambio effettivo di titoli o di cose.
Se il termine fosse già scaduto prima dell’apertura del procedimento, si tornerebbe all’applicazione
dell’art. 72 l. fall, dato che i contratti di borsa a termine si riconducono sostanzialmente alle figure della
vendita e del riporto.
 L’appalto privato  salvo che il curatore autorizzato non subentri, dandone comunicazione nel termine
di 60 gg dalla dichiarazione. Deve però offrire una cauzione per l’adempimento delle successive
obbligazioni. È facoltà del committente in caso di fallimento dell’appaltatore rifiutare la persecuzione del
rapporto se la qualità soggettiva dell’appaltatore era stata motivo determinante per la conclusione del
contratto
 L’appalto di opere pubbliche

Oltre che nell’ipotesi di esercizio provvisorio dell’attività di impresa, per la quale è prevista la continuazione
generalizzata di tutti i contratti, salvo diversa determinazione del curatore, per talune tipologie di contratti è
prevista la continuazione dell’efficacia, salvo recesso. Tali contratti sono ritenuti vantaggiosi per la massa de
creditori. Rientrano in tale categoria:
 Locazione di immobili  art 80 l. fall. In caso di fallimento del locatore, pur non costituendo di per sé
causa di scioglimento del contratto, il curatore può recedere dal contratto qualora lo stesso sia
superiore a 4 anni, corrispondendo al locatore equo indennizzo in caso di fallimento del conduttore il
curatore può recedere in qualunque tempo.
Per quanto concerne invece l’immobile destinato ad abitazione del fallito, il relativo contratto di
locazione è di natura personale, e quindi non compreso nel fallimento.
 Affitto dell’azienda  il fallimento non è di per sé causa di scioglimento del contratto, ma ciascuna
delle parti ha la facoltà di recesso entro 60 gg, con obbligo di corrispondere un equo indennizzo che, se
dovuto dal curatore, dovrà essere corrisposto in prededuzione.
 Assicurazione contro i danni se fallisce l’assicurato
 Factoring se fallisce il cedente 
 Leasing se fallisce il cedente, art 72 quater l. fall  l’utilizzatore conserva la facoltà di acquistare la
proprietà del bene alla scadenza del contratto verso il pagamento del prezzo pattuito.
Se invece a fallire è l’utilizzatore (vedi prima)
Il concedente consente ad un altro di utilizzare un certo bene e chi lo utilizza e tenuto al pagamento di
un canone. Alla fine del contratto l’utilizzatore può riscattare il bene e quindi diventare proprietario del
bene pagando un prezzo di opzione, ovvero può restituire il bene che torna nel possesso del
concedente.
Avvio della procedura
1. Il cancelliere forma il fascicolo della procedura, dove verranno inseriti tutti gli atti della procedura, ad
eccezione di quelli che devono essere custoditi separate te per motivi di riservatezza. Al fascicolo possono
accedere l comitato dei creditori e il fallito, mentre i terzi e gli altri creditori possono prendere visione e
fare copia solo degli atti per i quali sussista un loro specifico interesse (autorizzazione del giudice delegato
sentito il curatore)

2. Il curatore provvede all’apposizione dei sigilli sui beni che si trovano nella sede principale dell’impresa e
sugli altri beni del debitore (art 84 l. fall). È assistito dal cancelliere del tribunale che ha dichiarato il
fallimento e in caso di difficoltà può chiedere l’intervento della forza pubblica.
Se vi sono beni per i quali non è possibile, il curatore provvede alla loro descrizione nel verbale delle
operazioni redatto dal cancelliere. I sigilli non vengono apposti, e vengono direttamente consegnati al
curatore che provvede alla loro custodia:
 Sul denaro
 Sui titoli di credito
 Sulle scritture contabili

3. Successivamente il curatore con la presenza o dopo aver avvisato il fallito ed il comitato dei creditori, con
l’assistenza del cancelliere procede all’erezione dell’inventario, previa rimozione dei sigilli. In questo
modo acquisisce il possesso dei beni. Per agevolarlo nella ricostruzione dell’attivo e del passivo può
ricercare i beni con le modalità telematiche, accedendo ai contenuti delle banche dati di tutte le PA.
Per i beni immobili o mobili registrati provvede anche alla trascrizione ella sentenza di fallimento nei
pubblici registri.
Durante le operazioni di inventario il giudice delegato può restituire ai terzi che ne facciano richiesta i
beni sui quali vantano diritti reali o personali chiaramente riconoscibili. Tali beni possono non essere
inventariati, mentre vanno compresi beni del fallito che i terzi detengono in ragione di u contratto
opponibile al curatore.

4. Il curatore procede poi alla formazione e al deposito in cancelleria dell’elenco dei crediti con indicazione
dell’ammontare dei crediti e degli eventuali diritti di prelazione e all’elenco dei soggetti titolari di diritti
sui beni in possesso del fallito

5. Se il fallito non vi ha già provveduto il curatore redige il bilancio dell’ultimo esercizio


LE FASI DELLA PROCEDURA FALLIMENTARE
Le fasi della procedura fallimentare sono:

L’accertamento dello stato passivo  si intende l’individuazione dei creditori del fallito (coloro che
vantano una pretesa di carattere pecuniario o convertibile in somma di denaro), con eventuali rispettive cause di
prelazione, e l’individuazione di coloro che vantano diritti reali o personali su beni mobili e immobili di proprietà o
in possesso del fallito.
Lo stato passivo è il relativo elenco di coloro che hanno presentato domanda di ammissione al passivo entro il
termine previsto dalla sentenza di fallimento, con indicazione per ciascuna domanda, del provvedimento assunto
dal giudice delegato.
Funzioni
 Verifica della effettiva sussistenza di creditori interessati a partecipare al concorso su patrimonio del fallito
 Delimitazione dell’attivo liquidabile  i diritti reali e personali vantati da terzi possono consistere in
pretese di rivendica e restituzione di bei mobili e immobili che in un primo tempi potevano essere stati
inventariati come appartenenti al patrimonio del fallito.

Il Tribunale con la sentenza che dichiara il fallimento fissa la data (non eccedente i 120 gg dal deposito della
sentenza), il luogo dove si terrà l’adunanza per l’esame dello stato passivo.
Il curatore subito dopo la dichiarazione deve dare avviso a tutti i creditori e ai titolari di diritti sia personali che
reali su beni di proprietà del fallito e in possesso dello stesso, per posta elettronica certificata o in mancanza per
lettera raccomandata o telefax, informandoli della possibilità di partecipare al concorso trasmettendo la
domanda nei modi e nei termini previsti.

Tutti coloro che vantano una pretesa nei confronti dell’imprenditore fallito devono farla espressamente valere,
non potendo il curatore adempiere autonomamente alle obbligazioni del fallito.
La legge fallimentare si discosta da quanto previsto per banche, assicurazioni… dove l’ammissione al passivo
avviene d’ufficio, è il creditore che viene informato di essere stato qualificato tale e l’ammontare del credito.
Tali pretese vanno fatte valere con la domanda di ammissione al passivo, che può avere ad oggetto sia un credito
pecuniari sia un diritto reale o personale su beni mobili o immobili.

I creditori e gli altri interessati devono presentare con ricorso la domanda di ammissione al passivo, nel termine
perentorio di 30 giorni prima della data dell’adunanza. Le domande devono essere trasmesse al curatore,
tramite posta elettronica certificata anche senza l’assistenza di un legale, e devono avere forma scritta, in
particolare assumono la veste del ricorso al giudice delegato al fallimento
Contenuto:
 Procedura cui si riferisce
 Somma monetaria o il bene di cui si richiede la rivendicazione o la restituzione
 Descrizione del bene
 Elementi di fatto e di diritto alla base della domanda
 Il titolo dell’eventuale prelazione
 Indirizzo di posta elettronica certificata su cui ricevere le comunicazioni relative alla procedura
Con la domanda debbono essere allegati documenti dimostrativi che giustificano il credito e le eventuali ragioni di
prelazione (no pena decadenza)
SE ENTRO IL TERMINE PERENTORIO FISSATO NELLA SENTENZA DI FALLIMENTO NESSUNA DOMANDA DI
AMMISSIONE DI AMMISSIONE AL PASSIVO VIENE PRESENTATA, SI HA CHIUSURA DEL FALLIMENTO (art 118 l.fall)
La domanda di ammissione produce gli effetti della domanda giudiziale per tutta la durata della procedura
fallimentare  interruzione della prescrizione dei diritti vantati nei confronti del fallito. Il termine rimane sospeso
fino alla chiusura del fallimento.

Il Curatore esamina le domande, predispone un progetto di stato passivo (ricavato dai suoi accertamenti in
azienda più le dichiarazioni dei creditori) e lo deposita nella cancelleria del Tribunale almeno 15 giorni prima
dell’udienza di accertamento dello stato passivo, e nello stesso termine viene trasmesso A TUTTI I CREDITORI, per
favorire il contraddittorio (nella pratica non avviene mai) che comporti un reciproco controllo da parte dei
creditori. Nessuno mai mette bocca nella valutazione di crediti altrui, benché sia legittimo.
I creditori ed i terzi titolari di diritti sui beni del fallito ed il fallito stesso possono esaminare il progetto e
presentare osservazioni scritte o documenti integrativi fino al giorno dell’udienza. Tali note sono facoltative.

Il progetto di stato passivo prevede due elenchi, uno per i creditori ed uno per i titolari di diritti sui beni in
proprietà o in possesso del fallito:
 Nell’elenco dei creditori devono essere indicati: i crediti ammessi, i crediti non ammessi, i crediti
ammessi con riserva.
 Nell’elenco dei terzi devono essere indicati: i titolari di diritti sui beni del fallito.

Segue poi la formazione dello stato passivo da parte del giudice delegato , che avviene durante l’udienza a
tal fine fissata dalla sentenza dichiarativa del fallimento. L’adunanza dei creditori può durare anche più sedute.
Il Giudice Delegato esamina le posizioni dei singoli creditori che risultano dal progetto di stato passivo e decide
con provvedimento su ogni singola domanda emettendo decreti motivati con i quali ammette/ non ammette/
ammette con riserva i singoli crediti.
(ammissione al passivo con riserva  adotta una decisione provvisoria, con riserva di confermarla, oppure
riformarla in un momento successivo. In questo modo assicura al creditore interessato effetti analoghi a quelli
attribuiti al creditore ammesso al passivo, così fa non pregiudicare i suoi interessi a causa del differimento della
decisione finale sull’insinuazione al passivo. Le ipotesi di ammissione al passivo con riserva sono tipiche:
 Crediti che non possono essere fatti valere se non previa escussione di un obbligato principale
 Crediti condizionali
 Crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciali non passata in giudicato, pronunciata prima
della dichiarazione di fallimento  non si vuole vanificare il risultato giudiziale ottenuto dal creditore con
l’ottenimento della pronuncia favorevole, a meno che non sussistano ragioni tali da dar considerare la
pronuncia errata.

Il giudice delegato valuta l’esistenza del credito, il suo ammontare, la sua natura chirografaria o privilegiata e
opera una valutazione in ordine alla sua opponibilità al fallimento, e a tal riguardo hanno rilevanza due profili:
 Il curatore, rispetto alle obbligazioni assunte dal debitore, riveste per legge la posizione di terzo  atti e
documenti gli saranno opponibili solo se muniti di data certa ex art 2704 cc; l’inopponibilità per difetto di
data certa preclude la valutazione in ordine alla sua esistenza.
 L’atto deve essere assoggettabile all’esercizio dell’azione revocatoria  tende a far dichiarare inefficace
l’atto revocabile, escludendo quindi che il creditor nascente dallo stesso possa essere fatto valere nei
confronti fallimento.

Lo stato passivo è dunque l’elenco delle pretese dei creditori che il giudice delegato ritiene debbano
essere soddisfatte. Con decreto, lo dichiara esecutivo.
Il curatore comunica lo stato passivo a tutti coloro che abbiano presentatole domande, indicando l’esito e
informandoli del loro diritto di proporre opposizione nel caso di mancato accoglimento.
Contro il decreto di esecutività dello stato passivo emesso dal Giudice Delegato, sono ammessi tre rimendi
processuali, regolati dal medesimo procedimento (art 99 l. fall), per i quali è SEMPRE necessaria l’assistenza di un
legale.
1. Opposizione  contestazione del creditore con riguardo al proprio credito. il titolare del credito o di un
altro diritto contesta che la propria domanda sia stata rigettata o sia stata accolta solo in parte.
SI PROPONE ESCLUSIVAMENTE NEI CONFRONTI DEL CURATORE.
2. Impugnazione  contestazione del credito altrui. I creditori, i titolati di altri diritti che abbiano proposto
domanda e il curatore (ma questo non accade mai, perché il giudice delegato e il curatore sono in
contatto durante tutta la procedura, i provvedimenti sono sempre coerenti. Ciò non dovrebbe succedere,
non dovrebbero esserci consultazioni) contestano il provvedimento con il quale è stata ammessa, in tutto
o in parte, la domanda di un concorrente. Il curatore è parte necessaria del giudizio anche se non lo
propone personalmente. Accade molto raramente, il creditore ne ha già abbastanza per controllare il
proprio credito.
3. Revocazione  rimedio proponibile solo se sono già scaduti i termini per proporre opposizione e
impugnazione. Gli stessi soggetti legittimati a promuovere giudizio di impugnazione tendono alla modifica
del provvedimento di ammissione o rigetto, quando questo sia dipeso da Falsità, DOLO, ERRORE
ESSENZIALE DI FATTO O DI DIRITTO, MANCATA CONSIDERAZIONE DI DOCUMENTI DECISIVI.

Il ricorso deve essere deposito presso la cancelleria del tribunale nel termine perentorio di 30 gg dalla ricezione
della comunicazione del curatore. Contenuto minimo:
 Estremi procedura fallimentare
 Generalità impugnante
 Descrizione dei fatti e delle ragioni di diritto su cui si basa l’impugnazione con relative conclusioni
 Indicazione specifica a pena decadenza delle eccezion processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, dei
mezzi di prova e dei documenti di cui intende avvalersi

Il Tribunale fallimentare in riguardo alle opposizioni ed impugnazioni decide in forma collegiale (3 giudici) in
camera di consiglio (procedura più semplice rispetto a quello generale dei giudizi ordinari), sentite tutte le parti,
che devono costituirsi almeno 10 gg prima dell’udienza. Il tribunale decide con decreto contro cui non è ammesso
ricorso per Cassazione entro 30 giorni, nonostante sia un provvedimento di I grado i gradi di giudizio in sede
fallimentare sono 2 e non 3, quindi non è ammesso appello ma solo ricorso.

Il decreto di esecutività dello stato passivo non preclude la possibilità di presentare nuove domande di
ammissione al passivo (c.d. domande tardive) che possono essere presentate entro 12 mesi dalla data di
deposito del decreto di esecutività dello stato passivo. Decorso tale termine la domanda tardiva è ammessa solo
se il creditore prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile e sempre che l’attivo fallimentare non sia
stato già interamente ripartito.
Possono essere fatte oggetto di insinuazione tardiva solo le pretese che avrebbero potute essere insinuate
anche in via tempestiva e che non siano mai state oggetto di esame in sede di formazione-verificazione del
passivo davanti al giudice delegato.
Il procedimento per la verifica delle domande tardive è identico a quello decritto per le domande tempestive, per
cui viene fissata una apposita udienza di verifica che si conclude con decreto di ammissione o di rigetto, soggetto
agli stessi mezzi di impugnazione.
I creditori tardivi non partecipano alle ripartizioni effettuate prima della loro ammissione, a meno che i crediti non
siano assistiti da diritto di prelazione, qualora i creditori abbiano depositato la domanda oltre i termini per fatti a
loro non imputabili.

La fase di accertamento del passivo può non aversi affatto:


 Mancata presentazione di domande entro il termine
 Patrimonio del fallito non è sufficiente per effettuare distribuzioni a favore di alcuno dei creditori che
hanno presentato domanda di ammissione. Il giudice in tal caso, su richiesta del curatore accompagnata
da una relazione sulle prospettive della liquidazione e il parere del comitato, dispone con decreto di non
procedere all’accertamento del passivo.

La liquidazione dell’attivo  Con la liquidazione dell’attivo si convertono in danaro i beni del fallito ed
esercitare i suoi diritti per soddisfare i suoi creditori.
Le riforme susseguitesi dal 2005 hanno modificato profondamente la disciplina. Obiettivi del legislatore erano:
 Maggiore trasparenza
 Maggiore efficienza, ricercando una compensazione tra esigenza di correttezza nei comportamenti degli
organi della procedura e la necessaria tempestività e flessibilità
 Maggiore efficacia attraverso la creazione delle condizioni atte ad evitare la dispersione dei valori
organizzativi di avviamento insisti nell’impresa

Il Curatore predispone un programma di liquidazione, che rappresenta la sua proposta in ordine alle
modalità, i termini e agli strumenti della liquidazione, è l’atto di indirizzo e pianificazione, la sua strategia. Ha
dunque funzione operativa. La figura è nuova nell’ambito delle procedure concorsuali giudiziarie, mentre è
ampiamente utilizzata in quelle amministrative.
Il programma deve essere redatto entro 60 gg dalla creazione dell’inventario e non oltre 180 dalla sentenza
dichiarativa del fallimento. Il mancato rispetto dei germini senza giustificato motivo è giusta causa di revoca del
curatore.
Deve essere approvato dal Comitato dei Creditori e autorizzato dal Giudice Delegato nei singoli atti, solo
allo scopo di verificare che questi siano coerenti con il programma approvato dal comitato dei creditori (accerta
anche la legittimità in sé degli atti, sia con riguardo agli aspetti formali che sostanziali).
La mancanza di tale autorizzazione preclude l’esecuzione del programma, per cui l’autonomia del curatore è
limitata alla sola fase esecutiva.
Nel nuovo CCI le cose cambieranno perché il curatore, prima di sottoporre il programma di liquidazione al giudizio
dei creditori, deveaverlo approvato dal giudice delegato. Sarà lui a decidere quindi eventuali modifiche, al
contrario di come avviene oggi.

Contiene:
 La segnalazione sull’eventuale possibilità di continuazione dell’esercizio dell’impresa, di rami dell’azienda e
dell’affitto
 La sussistenza di proposte di concordato fallimentare
 Le azioni risarcitorie e revocatorie
 La segnalazione sulla possibilità di cessione unitaria dell’azienda, dei singoli beni, in blocco
 Condizioni di vendita dei singoli cespiti
 I propositi del curatore rispetto alle decisioni di subentrare o meno nei rapporti giuridici pendenti alla data
del fallimento
 NON deve segnalare la mancata acquisizione o la rinuncia a liquidare alcuni beni, qualora la liquidazione
appaia manifestamente inconveniente, a deve essere comunicata ai creditori, che potranno esercitare su
di essi azione esecutiva individuale.
 Termine entro il quale sarà completata la liquidazione dell’attivo, non superiore comunque ai 2 anni dal
deposito della sentenza. Il mancato rispetto dei termini senza giustificato motivo è giusta causa di revoca
del curatore. Per alcuni cespiti per cui ritenga però necessario un termine maggiore è tenuto a motivare.
Art 105 l. fall  il criterio primario nella liquidazione dell’attivo è costituito dalla vendita dell’intero
complesso aziendale ovvero dei beni e dei rapporti in blocco. (l’art parla solo di azienda ma la disciplina si
applica a tutte le ipotesi di vendita di beni non in forma atomistica). GLI ATTI TRASLATIVI DI DIRITTI DEVONO
ESSERE INQUADRATE TRA LE VENDITE COATTIVE.
La liquidazione atomistica (dei beni e dei rapporti singolarmente ovvero in lotti occasionalmente o
funzionalmente creati) avrà luogo solo nell’ipotesi in cui risulti prevedibile che l’altro tipo di vendita non
consenta maggiore soddisfazione. UNICO DATO RILEVANTE IN CASO DI VENDITA DELL’AZIENDA è LA
CONVENIENZA ECONOMICA, NON LA CONSERVAZIONE DEI LIVELLI OCCUPAZIONALI.
Alla vendita aziendale si applicano inoltre i principi ex art 107 l. fall e 2556 cc:
 Doverosità delle consultazioni sindacali in sede di trasferimento di azienda con la possibilità di accordi tra
il curatore e le organizzazioni sindacali in ordine all’eventuale trasferimento solo parziale dei lavoratori
 Esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta
 Il prezzo può essere soddisfatto con l’accollo dei debiti, sempre che ciò non leda la par condicio
creditorum (in tal modo alcuni creditori potrebbero essere soddisfatti per intero, mentre altri dovranno
subire la falcidia fallimentare).

Le vendite sono effettuate dal curatore, che salvo il rispetto delle regole inderogabili può utilizzare gli strumenti di
alienazione che ritiene più opportuni. Può prevedere che quelle di beni immobili e mobili registrati vengano
effettuate dal giudice delegato.
Regola cardine applicazione universale a tutti i tipi di vendita e di atti di liquidazione nel fallimento, qual che sia il
bene oggetto della stessa, è che le vendite e gli atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma
di liquidazione sono effettuati dal curatore tramite procedure competitive, anche avvalendosi di soggetti
specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti
assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati.

Il curatore può procedere alla liquidazione, mediante l’attivazione di operazioni straordinarie di impresa, quale ad
esempio la costituzione di una o più società cui conferire i beni aziendali, con successiva alienazione delle
partecipazioni societarie o con assegnazione di tali partecipazioni ai creditori.

Se la vendita ha ad oggetto beni mobili registrati o immobili su quali vi siano iscrizioni pregiudizievoli, il giudice
delegato una volta stipulato il contratto e pagato il prezzo ne dispone la cancellazione.

Tra le novità della Riforma vi è anche la possibilità, per il curatore, di cedere i crediti, anche se oggetto di giudizio,
nonché le azioni revocatorie per le quali siano stati già iniziati i giudizi: attraverso questi strumenti si vuole evitare
che la procedura di fallimento resti paralizzata sin quando non si concludono tali giudizi.
In alterativa, il curatore può stipulare contratto di mandato per la riscossione dei crediti: alternativa di scarsa
utilità in relazione alle esigenze sopra ricordate ed onerosa, per la necessità di dover liquidare il compenso al
mandatario.

La fase conclusiva del procedimento deve passare al vaglio del giudice delegato e del comitato dei creditori.
Il curatore deve informarli degli esiti della procedura di vendita, e il giudice delegato, su istanza del comitato, del
fallito o di qualunque interessato può sospendere le operazioni di vendita o sospenderne il perfezionamento se
presentata entro 10 gg dal deposito della documentazione, qualora il prezzo risulti inferiore a quello giusto  IL
CURATORE NON PUÒ PROCEDERE AL TRASFERIMENTO DEI BENI OGGETTO DI VENDITA SE NON DOPO 10 GG DAL
DEPOSITO DELLA DOCUMENTAZIONE IN CANCELLERIA.
L’esercizio provvisorio dell’impresa:
Con la dichiarazione di fallimento l’attività di impresa si arresta ed i beni aziendali sono destinati ad essere
liquidati per soddisfare i creditori.
Ex art 104 l. fall però, il tribunale può disporre la continuazione dell’attività di impresa nel suo complesso i di rami
specifici, ma solo quando dalla sua interruzione possa derivare danno grave, SEMPRE A PATTO CHE Può NON
PROVOCHI PREGIUDIZIO AI CREDITORI  la continuazione è quindi condizionata da due elementi, e il secondo
prevale sul primo.

La legge fallimentare al riguardo prevede due casi:


1) Il Tribunale può disporlo nella sentenza con cui dichiara il fallimento
2) Il Giudice Delegato, su proposta del Curatore, previo parere favorevole vincolante del Comitato dei
Creditori, autorizza la continuazione temporanea.

All’esercizio provvisorio dell’attività d’impresa provvede il Curatore che può avvalersi anche dell’opera del fallito.
Durante l’esercizio provvisorio tutti i contratti pendenti proseguono salvo che il Curatore non intenda
sospenderne l’esecuzione o scioglierli.
Le obbligazioni assunte dal Curatore per l’esercizio provvisorio costituiscono debiti della massa da soddisfare in
prededuzione, art 111 l. fall. Questo fa sì che i loro ammontare eroda le somme disponibili per i creditori
concorsuali, da qui la cautela nell’utilizzo dell’istituto.

L’esercizio dell’impresa cessa:


 Con provvedimento del giudice delegato, nel momento in cui il comitato dei creditori si pronunci in tal
senso
 Con provvedimento del tribunale, quanto lo ritenga opportuno, sentiti curatore e comitato dei creditori.

L’affitto d’azienda
L’istituto è nella prassi largamente utilizzato, molto apprezzato, ma va tenuto presente che sovente è stato
utilizzato come strumento elusivo di procedure trasparenti, funzionale a vendite di beni in blocco a trattativa
privata e con riconoscimento di un diritto di prelazione a favore dell’affittuario scelto senza una procedura
competitiva.
Tuttavia, il favore nei confronti dell’istituto è rimarcato dal fatto che può essere utilizzato anche prima che sia
approvato il programma di liquidazione. Ad autorizzarlo è il Giudice Delegato, su proposta del Curatore previo
parere favorevole del Comitato dei Creditori, quando appaia utile ad una più proficua vendita dell’azienda.

Il procedimento per la scelta del contraente è svincolato da forme particolari, è sufficiente che si abbia una
procedura competitiva sulla base della massima informazione.
L’affittuario è prescelto dal Curatore (cosi come il contenuto del contratto di affitto) in base:
 alla entità del canone che corrisponderà
 alle garanzie prestate
 sull’attendibilità del piano di prosecuzione dell’attività
 sul mantenimento dei livelli occupazionali.
La legge però prevede che vengano introdotte nel contratto una serie di clausole nell’interesse della procedura
fallimentare.

Alla fine dell’affitto, che può avvenire anche per recesso anticipato del Curatore dietro corresponsione di un
giusto indennizzo, il complesso aziendale viene liquidato.
L’affittuario rimane però unico debitore per le obbligazioni che assume e quindi i creditori concorsuali sono così al
riparo, almeno in parte, dalle conseguenze di una cattiva gestione da parte dell’affittuario.
La ripartizione dell’attivo
La ripartizione dell’attivo chiude il procedimento fallimentare. È la fase nella quale i creditori concorrono per il
soddisfacimento dei loro diritti nei limiti di quanto realizzato e nel rispetto delle legittime cause di prelazione.
Avviene secondo un ordine tassativo, tramite un progetto di ripartizione predisposto dal Curatore e presentato
ogni 4 mesi al Giudice Delegato, sulla base del prospetto delle somme disponibili frutto dell’attività di
liquidazione. Il termine è puramente teorico, raramente si verifica una liquidazione così veloce.
Il giudice delegato ordina il deposito in cancelleria del progetto di partizione, e il curatore deve informare tutti i
creditori, inviandone copia a mezzo di posta elettronica certificata. Entro il termine perentorio di 15 gg i creditori
possono proporre reclamo:
 se decorso i termini non sono stati proposti il giudice delegato lo approva e lo dichiara esecutivo
 se vi sono dei reclami vengono accantonate (non pagate) le somme corrispondenti alle opposizioni oggetto
del reclamo e pagate le altre. Il provvedimento che deciderà sui reclami deciderà anche sulla destinazione
delle somme accantonate.

Ordine con cui vengono soddisfatti i creditori, art 111 l. fall. Se procede nella graduatoria solo dopo che o primi
sono stati soddisfatti al 100% e così via.

1) crediti prededucibili  sono prededucibili i crediti così qualificati da una specifica norma di legge e quelli
che sorgono in occasione e in funzione delle procedure concorsuali , quindi riferibili agli atti posti in
essere dagli organi del fallimento (compenso del curatore) o riferibili all’attività dei terzi strumentale alle
finalità della procedura (migliorie apportati sui beni del fallimento).

Inoltre, ai sensi dell’art 182 quater sono prededucibili:


 crediti derivanti da finanziamenti erogati in funzione di procedura di concordato o accori di
ristrutturazione
 crediti derivanti da finanziamenti erogati in funzione della prestazione d’una domanda di
concordato o di richiesta di omologazione di un accodo di ristrutturazione, se la prededuzione è
disposta dal provvedimento del tribunale che accoglie la domanda o omologa l’accordo.

Se c’è abbastanza liquidita per tutti vengono pagati tutti, in mancanza anche qui si fa una graduazione.
La legge non pone un criterio, perciò si attua una graduazione similare a quella dei privilegiati  tenuto
conto delle rispettive cause di prelazione

2) crediti privilegiati (muniti di diritto di prelazione)  dipende dal grado di privilegio l’ordine di
soddisfazione.

3) crediti chirografari (in proporzione al loro ammontare)  se rimangono risorse, pagati in percentuale.
Sono tutti sullo stesso piano, manca qui una gradazione.

Dal 2003 è nata un’ulteriore categoria, che di rado prendono qualcosa


1. crediti postergati (anche se non menzionati dalla legge)  crediti che possono essere soddisfatti solo
dopo che sono stati pagato tutti gli altri debiti. Tale postergazione può derivare dalla legge o da un patto
tra creditore e debitore.
2. I soci  a loro volta dei creditori, ma vengono pagati nei limiti in cui tutti gli altri sono stati pagati

La distribuzione delle somme avviene con ripartizioni periodiche parziali, che non possono superare l’80% delle
somme disponibili in quanto il restante 20% viene riservato ad eventuali imprevisti.
Prima della ripartizione finale il Curatore presenta al Giudice Delegato il rendiconto della sua gestione, dove
espone analiticamente tutte e movimentazioni contabili effettuate e descrive l’attività di gestione posta in essere.
Se non sorgono contestazioni, lo stesso Giudice Delegato ordina al Curatore il riparto finale, con cui si distribuisce
anche il restante 20% accantonato con i riparti parziali.

Le somme spettanti ai creditori che non si presentino a riscuotere o che siano comunque irreperibili vengono
ridepositate sul conto del fallimento, ove restano a disposizione dei creditori titolari per 5 anni, dopodiché
vengono devolute allo stato.

La cessazione del fallimento


Il fallimento si chiude per una delle seguenti cause elencate dalla legge fallimentare, elencati all’art 118 l. fall:
1) Mancata presentazione di domande di ammissione al passivo entro il termine fissato dalla sentenza di
fallimento. Ciò si verifica solitamente quando tra fallito e creditori è raggiunto un accordo extragiudiziario
per il pagamento dei crediti.
2) Pagamento integrale dei creditori ammessi al passivo prima che sia compiuta la ripartizione finale
dell’attivo. Ipotesi alquanto rara ma che può avvenire quando in base ad azioni di reintegro del patrimonio
(azioni revocatorie) si determini un notevole incremento della massa attiva.
3) Ripartizione integrale dell’attivo. È l’ipotesi più frequente e lascia i creditori concorrenti parzialmente
insoddisfatti.
4) quando viene accertato che l’attivo realizzabile non sarebbe sufficiente a soddisfare i crediti concorsuali, i
crediti in prededuzione e le spese di procedura (cioè, quando si accerti l’assoluta carenza di attivo). Tale
ultimo accertamento può essere effettuato dal curatore nell'ambito della relazione che, ai sensi dell’art. 33
l. fall., è tenuto a presentare al giudice delegato entro sessanta giorni dalla dichiarazione di fallimento.
Ai suddetti casi di chiusura va aggiunta l’ipotesi di concordato (c.d. fallimentare).

La chiusura del fallimento è dichiarata con decreto motivato del Tribunale, su istanza del Curatore o del fallito o
d’ufficio ed è impugnabile con reclamo dinanzi alla Corte di Appello e successivamente in Cassazione.
Il decreto di chiusura ha effetto quando non è più impugnabile per scadenza dei termini oppure quando
l’eventuale reclamo è stato definitamene rigettato (quindi quando è diventato definitivo).
Con la chiusura del fallimento decadono gli organi preposti alla procedura e cessano gli effetti del fallimento sia
per il fallito che per i creditori.
Nel caso di chiusura del fallimento di una società, il curatore ne chiede la cancellazione dal registro delle imprese.

La chiusura della procedura di fallimento per ripartizione finale dell’attivo non è impedita dalla pendenza di
giudizi, recuperatori e risarcitori intrapresi o proseguiti dal curatore per incrementare la massa attiva, rispetto ai
quali questi può mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi gradi del giudizio (art. 118, comma
3°, 1. fall.). Questa previsione, evidentemente introdotta al fine di evitare le azioni risarcitoria a carico dello Stato
per irragionevole durata delle procedure fallimentari, consente di procedere alla chiusura formale della
procedura, malgrado siano ancora in corso i giudizi. Si tratta di un istituto di dubbia utilità causa di notevoli
problemi applicativi.

Riapertura del fallimento


Con la chiusura del fallimento, escluso il caso di concordato, i crediti che non siano completamente soddisfatti,
anche eventualmente per i soli interessi (il cui corso, ai sensi dell'art. 55 I. fall. era sospeso ai soli fini della
procedura) possono essere azionati nei confronti del debitore tornato in bonis, a meno che il debitore non
ottenga il beneficio della esdebitazione.
Tale principio consente che il fallimento possa essere riaperto entro i cinque anni dal decreto di chiusura, sempre
che risulti la presenza di attivo o di una garanzia che consenta il pagamento di almeno il 10% ai creditori del
fallimento chiuso ed a quelli successivi.

Esdebitazione e Concordato fallimentare


Di regola il fallito anche dopo la chiusura del fallimento rimane obbligato nei confronti dei suoi creditori non
soddisfatti dal Fallimento, i quali riacquistano la possibilità di proporre azioni esecutive individuali contro l’ex
fallito sul patrimonio che andrà in futuro ad accumulare. Se il fallito eredita, i creditori rimasti insoddisfatti
potranno soddisfarsi su tali nuovi beni.
La liberazione del fallito dai debiti residui può aversi soltanto in due casi:

 L’esdebitazione  L’istituto è stato introdotto nella legge fallimentare dalla Riforma.


Dopo la chiusura del fallimento, i creditori non integralmente soddisfatti possono agire nei confronti del
fallito tornato in bonis per tentare di recuperare il proprio residuo credito (ad eccezione, ovviamente, del
caso di chiusura del fallimento per concordato).
Invece, nell’ipotesi in cui l’ex fallito riesca ad ottenere il beneficio della esdebitazione, questi sarà liberato dai
crediti concorsuali concorrenti (ossia dai crediti ammessi al passivo del fallimento) non soddisfatti e dai
crediti concorsuali non concorrenti (ossia dai crediti anteriori al fallimento per i quali non sia stata
proposta domanda di ammissione al passivo), ma per questi solo nei limiti di quanto eccede rispetto alla
percentuale riconosciuta ai creditori di eguale grado in sede concorsuale.

Restano comunque esclusi dalla esdebitazione:


 i debiti di natura alimentare
 i debiti estranei all'esercizio dell’impresa
 i debiti risarcitori per fatto illecito extracontrattuale
 le sanzioni penali e amministrative di carattere pecuniarie
 L’esdebitazione non libera, nei confronti dei creditori, i coobbligati del fallito (ad esempio, i fideiussori).

Tale beneficio può essere concesso solo al fallito persona fisica (non alle società) e solo quando ricorrano
alcuni requisiti di meritevolezza, oggettivi e soggettivi.
 OGGETTIVI  l’imprenditore, nel corso della procedura, deve aver almeno in parte soddisfatto i
creditori ammessi al passivo.
 SOGGETTIVI  l’imprenditore:
 Ha cooperato con gli organi della procedura
 Ha sempre consegnato al curatore la propria corrispondenza;
 Non ha beneficiato di altra esdebitazione nei 10 anni precedenti
 Non abbia ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura
 non abbia distratto attivo, esposto passività inesistenti, cagionato o aggravato il dissesto, o
fatto ricorso abusivo al credito
 non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per
altri delitti connessi all’esercizio dell’attività ’ di impresa.

Il beneficio della esdebitazione è concesso dal tribunale su istanza del fallito, non oltre un anno dalla chiusura
del fallimento. Il tribunale deve preventivamente sentire il curatore ed il comitato dei creditori e verificare la
sussistenza dei requisiti. Il tribunale decide con decreto reclamabile.
I creditori che hanno partecipato al concorso, quindi, non potranno più agire nei confronti del fallito tornato in
bonis per recuperare il residuo credito non soddisfatto, mentre potranno sempre agire nei confronti degli
eventuali coobbligati e fideiussori del debitore.
I creditori che non hanno presentato domanda di ammissione al passivo potranno pretendere il pagamento
solo nei limiti della percentuale pagata ai creditori di pari grado nel fallimento.

 Il concordato fallimentare  accordo raggiunto tra il proponente il concordato ed i creditori, in base


al quale il proponente paga, in percentuale o per intero, i debiti del fallito a fronte dell'acquisto dei beni
costituenti l’attivo fallimentare.
Si tratta quindi di un beneficio rivolto sia al fallito che ai creditori e consiste nel realizzare la soddisfazione
paritaria dei creditori, senza ricorrere alla fase di liquidazione dell’attivo.
 Il fallito si libera dei debiti che eccedono la percentuale concordataria.
 I creditori chirografari rinunciano ad una parte del loro credito, ma vengono compensati dal fatto di
ottenere qualcosa in più e soprattutto più rapidamente di quanto otterrebbero attraverso la normale
liquidazione dell’attivo fallimentare.
Le fasi essenziali del concordato sono:

1. La proposta  La proposta di concordato può essere presentata con ricorso al Giudice Delegato da uno o
più creditori e da un terzo dal fallito. I termini di presentazione variano a seconda del soggetto
Il contenuto della proposta non è tipicamente può perciò essere molto ampio. Può prevedere:
 pagamento dei creditori chirografari in una percentuale uguale per tutti;
 suddivisione dei creditor in classi omogenee (es, lavoratori, fornitori…) e, quindi, un
trattamento economico e/o finanziario diverso a seconda della classe di appartenenza;
 pagamento integrale dei crediti privilegiati;
 pagamento non integrale dei crediti privilegiati; tuttavia, in tale caso, la soddisfazione non
deve essere inferiore a quella realizzabile sul ricavato del bene in caso di liquidazione e,
comunque, il trattamento previsto per le eventuali diverse classi di creditori privilegiati (ad es.
lavoratori, creditori ipotecari, creditori pignoratizi) non può alterare l’ordine delle cause
legittime di prelazione.
 soddisfazione dei crediti attraverso operazioni straordinarie, es cessione dei beni ai creditori,
accollo, attribuzione ai creditori di azioni, quote, obbligazioni, altri strumenti finanziari e titoli
di debito;
 trasferimento al proponente di tutti i beni dell'attivo fallimentare;
 trasferimento al proponente delle azioni della massa (azioni revocatorie, azioni di recupero
crediti, azioni di responsabilità, etc.), solo se però il proponente il concordato siano un terzo o
uno o più creditori;
 assunzione di tutti gli obblighi derivanti dal concordato da parte di un terzo o di creditori, con
liberazione immediata del debitore
 se a proporre il concordato sono un terzo o creditori, questi possono limitare il proprio
impegno di pagamento ai soli crediti già ammessi al passivo o in corso di accertamento. In tale
caso, anche dopo la omologazione del concordato, ed anche se è prevista la liberazione del
debitore, questi continuerà a rispondere nei confronti degli altri creditori anteriori alla
dichiarazione di fallimento che non abbiano presentato domanda di ammissione al passivo, ma
ciò sempre nei limiti della percentuale concordataria (il concordato omologato è obbligatorio
anche per i creditori che non hanno fatto istanza di ammissione) e fermo in ogni caso il diritto
di chiedere ed ottenere, sussistendone i presupposti, il beneficio della esdebitazione.
Tuttavia, il beneficio della esdebitazione, in tale ultima ipotesi, non avrebbe alcun effetto visto
che produce effetti anche nei confronti dei creditori anteriori alla apertura della procedura di
liquidazione che non abbiano presentato la domanda di ammissione al passivo, però, in
relazione alla sola eccedenza rispetto a quanto i creditori avrebbero avuto diritto di percepire
nel concorso: quindi, anche se ottiene l’esdebitazione, il fallito non è liberato nei confronti dei
creditori non concorrenti per la parte di credito che gli stessi avrebbero ottenuto in sede
concordataria.

Soggetti legittimati a presentare la proposta di concordato:


 uno o più creditori
 un terzo
 una società cui esso partecipi o sottoposta a comune controllo.
 Il fallito può presentare la proposta solo decorso un anno dalla dichiarazione di fallimento.
Se il fallito che propone il concordato non è un imprenditore individuale, ma una società, la
proposta, nelle società di persone, deve essere approvata dai soci che rappresentino la
maggioranza assoluta del capitale, e nelle società di capitale, dagli amministratori. Nel caso di
fallimento di società con soci illimitatamente responsabili, ciascun socio dichiarato fallito può
proporre un proprio concordato ai creditori sociali e particolari concorrenti nel proprio
fallimento. Se il concordato è proposto da una società con soci illimitatamente responsabili,
salvo patto contrario, ha efficacia anche personalmente nei confronti dei soci e fa cessare
anche il loro fallimento.

La proposta può essere presentata anche prima del decreto di esecutività dello stato passivo sempre
che la contabilità sia stata tenuta in modo tale che dalla stessa il curatore sia in grado di predisporre
un elenco provvisorio dei creditori da sottoporre all'approvazione del giudice delegato.
Il proponente il concordato deve prestare idonee garanzie per la soddisfazione dei crediti nei limiti
offerti, nonché per il pagamento delle spese di procedura e del compenso al curatore e, talvolta, al
comitato dei creditori.

2. L’approvazione  La proposta di concordato viene presentata con ricorso al giudice delegato, che è
tenuto a chiedere il parere vincolante del Comitato dei Creditori e quello non vincolante del Curatore. In
caso di parere favorevole, dispone che la proposta unitamente al parere del comitato dei creditori e del
curatore sia comunicata ai creditori, che sono chiamati a esprimere il proprio eventuale dissenso entro un
termine non superiore a trenta giorni.
Se la proposta contenga la suddivisione dei creditori in classi, la stessa, con i pareri ora detti, deve essere
sottoposta al giudizio del tribunale che ha un ampio potere di verifica sulla correttezza dei criteri di
formazione delle classi; in tal caso, una volta che il tribunale abbia condiviso la correttezza dei criteri
adottati, il giudice delegato, ordina al curatore di comunicare la proposta ai creditori.

In caso di presentazione di più proposte di concordato, il comitato dei creditori sceglie quale proposta
debba essere sottoposta al voto dei creditori; il giudice delegato, su richiesta del curatore, può anche
disporre che siano sottoposte ai creditori più proposte.

Hanno diritto di voto, come accennato, da esprimersi solo per il caso di dissenso, solo i creditori che non
sarebbero integralmente soddisfatti all’esito del concordato; pertanto, hanno diritto al voto
 i creditori chirografari a favore dei quali non sia previsto il pagamento integrale del credito
 i creditori privilegiati che abbiano rinunciato, anche parzialmente, al diritto di prelazione (in tal caso la
rinuncia ha effetto solo ai fini del concordato), o che in base alla proposta non saranno soddisfatti con
pagamento in danaro ed integralmente.
La proposta è approvata se riporta l’assenso dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti
ammessi al voto.
Ove i creditori sono divisi in classi, il concordato è approvato se, nel maggior numero delle classi, la
proposta riporta anche il voto favorevole dei creditori che rappresentano, in ciascuna classe, la
maggioranza dei crediti ammessi al voto: devono realizzarsi entrambe le maggioranze.

Il curatore relaziona al giudice delegato in merito all’esito del voto e, se la proposta è stata approvata, il
giudice delegato dispone di darne comunicazione al proponente (affinché richieda l'omologazione del
concordato), al fallito ed ai creditori dissenzienti, inoltre con decreto da pubblicarsi nel registro delle
imprese, fissa i termini per la proposizione di eventuali opposizioni.

3. Giudizio di omologazione  Una volta approvato, il concordato deve essere sottoposto al giudizio di
omologazione del Tribunale che ne valuta la legittimità (valuta se ci sono i presupposti) ed emette decreto
di omologazione non ricorribile.
Il concordato omologato vincola sia il fallito che tutti i creditori anteriori all’apertura del fallimento.

4. L’esecuzione e la fine  L’esecuzione del concordato spetta al fallito sotto la sorveglianza del Giudice
Delegato, del Curatore e del Comitato dei Creditori.
Una volta che il concordato sia stato adempiuto, il giudice delegato ordina lo svincolo delle cauzioni e la
cancellazione delle eventuali ipoteche iscritto a garanzia dell'adempimento.

Diversamente, con sentenza del Tribunale, può essere Risolto o Annullato.


 Risolto  Nel caso le garanzie promesse non vengano costituite o non venga regolarmente
adempiuto. Ricorso di un creditore concordatario.
 Annullato  Qualora si scopra che il passivo sia stato dolosamente esagerato ovvero che sia stata
sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo.
Con la risoluzione o l’annullamento del concordato si riapre automaticamente la procedura
fallimentare. L’art. 141 l. fall. prevede la possibilità che anche in questa seconda fase possa essere
formulata una nuova proposta di concordato, ma con deposito delle somme occorrenti per il suo integrale
adempimento ovvero con la prestazione di garanzie equivalenti.
Il fallimento delle società
La legge fallimentare previgente trattava le procedure concorsuali giudiziarie supponendo che il soggetto che vi
fosse sottoposto fosse un imprenditore individuale; da ciò discendeva che gli aspetti delle procedure che
coinvolgono i profili soggettivi fossero impostati con riferimento alla persona fisica.
Con la Riforma, in talune occasioni si menziona unitamente all'imprenditore individuale, l'imprenditore collettivo.

Comunque, l’impostazione generale della legge del 1942, non modificata dalla Riforma, da un lato comporta la
necessità, quando non esplicitato, di verificare se le norme previste in relazione all'imprenditore persona fisica si
applichino anche all'imprenditore collettivo; dall'altro ha imposto al legislatore di dettare un Capo specifico,
nell'ambito della disciplina del fallimento, per le società (artt. 146 ss. I. fall.)
Tuttora però manca una qualche norma di rinvio di portata generale, che sancisca l’applicabilità alle società delle
norme dettate per l'imprenditore. persona fisica. Nonostante ciò, e tenendo conto della circostanza che la
nozione di imprenditore commerciale comprende tanto l'imprenditore individuale che l'imprenditore collettivo, si
devono ritenere applicabili al secondo tutte le norme dettate per il primo, salvo che la peculiarità del riferimento
alla persona fisica renda concettualmente impossibile tale estensione.

Per il fallimento, a differenza di quanto accade per talune procedure concorsuali amministrative (es.
l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi; crisi del gruppo bancario) non assume rilievo
tipico l’appartenenza di una società ad un gruppo (salvo quanto si dirà di qui a poco).

L'azione di responsabilità contro amministratori, etc.


Art 146 c 1 l. fall.  gli amministratori e i liquidatori della società sono tenuti agli obblighi imposti al fallito
dall’art. 49 1. fall. (obbligo di comunicare ogni cambiamento della propria residenza o domicilio e di comparizione
innanzi agli organi del fallimento) e che essi sostanzialmente assumano la medesima posizione del fallito in
ordine a tutte le ipotesi nelle quali questi ha potere di partecipare alla procedura (consultazione, reclami...).

Comma 2°  azione di responsabilità nei confronti di amministratori, sindaci, direttori generali, componenti degli
organi di controllo, liquidatori della società fallita, nonché dei soci delle società a responsabilità limitata. Tali
azioni possono essere instaurate quando ne sussistano i presupposti ai sensi delle norme del Codice civile; esse
sono autorizzate dal giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, e sono esercitate dal curatore.

L'art. 2394 bis cc in tema di società per azioni, prevede espressamente che in caso di fallimento (liquidazione
coatta amministrativa e amministrazione straordinaria) le azioni di responsabilità previste dagli artt. 2393 cc
(responsabilità verso la società), 2393 bis cc (azione sociale di responsabilità esercitata dai soci), 2394 cc
(responsabilità verso i ceditori sociali) spettino in via esclusiva al curatore del fallimento (al commissario
liquidatore, nella liquidazione coatta amministrativa ed al commissario straordinario, nell'amministrazione
straordinaria e nella ristrutturazione industriale).
Altri articoli estendono tali disposizioni ai direttori generali, ai sindaci, ai liquidatori.
Il curatore, inoltre, può esercitare l’azione di responsabilità nei confronti dei soci di società a responsabilità
limitata che abbiano intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società. i soci ed i
terzi.
Gli effetti del fallimento della società nei confronti dei soci
L’ulteriore disciplina speciale prevista dalla legge fallimentare riguarda il rapporto tra società fallita e soci. Profili
rilevanti:
1. La sentenza che dichiara il fallimento della società con soci a responsabilità illimitata produce anche il
fallimento dei soci, anche se non persone fisiche, illimitatamente responsabili.
Se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di soci illimitatamente responsabili,
ovvero se dopo il fallimento di un imprenditore individuale risulta l’esistenza di una società cui è riferibile
l’impresa, il tribunale, su domanda del curatore, di un creditore o di un socio fallito, dichiara il fallimento
dei medesimi, dopo averli sentiti in camera di consiglio. Quindi, tale norma si applica sia con riferimento al
socio occulto di una società già palese, sia con riferimento al caso in cui venga dichiarato dapprima il
fallimento di un imprenditore individuale, e successivamente si scopra che l'attività era esercitata da una
società di fatto tra il socio operante come imprenditore individuale e soci occulti. Tale dichiarazione di
fallimento in estensione per i soci coinvolti, ha però effetto ex nunc e non dalla data della prima sentenza
di fallimento.
L'ex socio illimitatamente responsabile può essere dichiarato fallito entro un anno dallo scioglimento del
rapporto sociale o dalla cessazione della illimitata responsabilità, e solo se al momento dello scioglimento
del rapporto o della cessazione della illimitata responsabilità già esistevano i debiti che poi hanno
determinato (o contribuito a determinare) lo stato di insolvenza.

2. Quando, a seguito del fallimento della società con soci illimitatamente responsabili, viene dichiarato il
fallimento dei soci, se pure con talune peculiarità, le procedure conservano una propria autonomia in
relazione a ciascun soggetto.

3. In caso di fallimento di società con soci a responsabilità limitata, il giudice delegato, su proposta del
curatore, può emettere una ingiunzione di pagamento a carico dei soci che non abbiano completato il
versamento dei conferimenti o di altre somme a cui siano obbligati.

4. La chiusura del fallimento della società determina la chiusura del fallimento dei soci illimitatamente
responsabili, a meno che il socio non sia stato autonomamente dichiarato fallito come imprenditore
individuale.

Il fallimento autonomo del socio


Il fallimento del socio di società a responsabilità limitata non provoca alcun effetto particolare sulla società,
salvo ovviamente, la sostituzione del curatore al socio fallito nella gestione della quota di partecipazione e nel
potere di disporre.

Il fallimento del socio di società con soci illimitatamente responsabili non produce il fallimento della società,
bensì la esclusione di diritto del socio fallito (art. 2288 c.c., dettato per le società semplici, ma applicabile anche
alle società in nome collettivo ed alle società in accomandita semplice).

Il fallimento di società con patrimoni destinati ad uno specifico affare


Nel caso di fallimento di una società per azioni nella quale siano stati costituiti uno o più patrimoni destinati ad
uno specifico affare (art. 2447 bis c.c.), il curatore subentra, in luogo degli amministratori, nella gestione del
patrimonio destinato, al solo fine però di provvedere alla sua immediata cessione, secondo le regole della
liquidazione dell’attivo (art. 155 1. fall.). Il curatore, cioè, salvo il caso che venga autorizzato l’esercizio provvisorio,
deve compiere solo quegli atti conservativi idonei a preservare il valore produttivo del patrimonio fino alla
cessione dello stesso.

Se la cessione non risulta possibile (perché non vi sono acquirenti o perché sussistono impedimenti di fatto o
diritto di qualsiasi genere alla stessa), il curatore deve avviare la liquidazione del patrimonio. Allo stesso modo il
curatore deve procedere se il patrimonio, alla data della dichiarazione di fallimento o successivamente, risulti
incapiente, ossia risulti che l'attivo sia inferiore al passivo. La liquidazione del patrimonio destinato deve essere
eseguita secondo le norme della liquidazione della società (artt. 2489 ss. c.c.) «in quanto compatibili» (artt. 155,
1561. fall.); si deve ritenere che il curatore in questo caso debba garantire, anche nel corso della liquidazione del
patrimonio destinato, e quindi nel pagamento dei creditori particolari di questo, la par condicio creditorum e che i
creditori particolari del patrimonio non possano, nel corso della liquidazione, porre in essere azioni esecutive
individuali sul patrimonio stesso.

I creditori particolari del patrimonio destinato possono presentare domanda di ammissione al passivo del
fallimento della società solo nelle ipotesi in cui sussista, in base alle norme del Codice civile, la responsabilità
illimitata o sussidiaria della società.

L’art. 67 bis 1. fall. prevede la possibilità, per il curatore del fallimento della società, di esercitare l’azione
revocatoria in relazione al compimento di alti Che, incidendo sul patrimonio destinato, abbiano provocato un
pregiudizio al patrimonio della società. È dubbio, invece, che possa essere revocabile la deliberazione di
costituzione del patrimonio destinato adottata.
Quanto ricavato dalla cessione del patrimonio destinato ovvero dalla sua liquidazione è acquisito all'attivo del
fallimento della società, previo pagamento dei debiti del patrimonio destinato, nonché previa deduzione di
quanto dovuto ai terzi che abbiano effettuato apporti ai sensi dell’art. 2447 ter, comma 1°, lett. d), c.c.

Nel caso in cui la società sia in bonis, mentre il patrimonio destinato risulti insolvente, non può essere dichiarato il
fallimento del patrimonio destinato e può essere dichiarato il fallimento della società solo se la insolvenza del
patrimonio determini anche la insolvenza della società; i creditori del patrimonio possono però chiedere alla
società che questo venga posto in liquidazione, secondo le norme del codice civile. Il curatore può esercitare
l’azione di responsabilità. nei confronti degli amministratori e dei componenti degli organi di controllo della
società se non siano state rispettate le regole attinenti alla separazione tra uno o più patrimoni destinati ed il
patrimonio della società.

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