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CAPITOLO II.

LE TECNICHE DI TUTELA DEI CREDITORI IN

PROSSIMITA’ DELLO STATO DI CRISI. I MODELLI STRANIERI

1. GLI ORDINAMENTI DI COMMON LAW. IL LABILE CONFINE TRA

GESTIONE E PREVENZIONE

Gli ordinamenti appartenenti al cluster del common Law sono caratterizzati da

un paradigma economico-giuridico definibile Outsider system1. In tale modello la

proprietà azionaria risulta ‘atomizzata’, i mercati azionari sono di notevoli dimensioni,

le linee di investimento vengono generalmente erogate dal mercato stesso. L’organo

deputato al management delle società adotta, potenzialmente, il criterio di tipo

monistico – il cd. one-tier system -, che prevede una gestione e un controllo ‘endogeno’,

scil. in seno all’organo amministrativo2 . In termini di contrasto agent-principal i primi

potranno perseguire scopi personali a detrimento della base azionaria. La nostra

indagine si focalizzerà sul conflitto di agency che potrebbe insorgere tra shareholders

e stakeholders, in prossimità dello stato di crisi; situazione foriera di non poche

problematiche. Ci si è chiede, infatti, se durante tale fase prevalgano gli interessi degli

1
Termine utilizzato da F. CHIAPPETTA, nel Diritto del governo societario: la corporate
governance delle società quotate, Padova, 2007, pp. 9 e ss., con cui intende indicare un sistema
‘aperto’ in cui la compagine azionaria e la titolarità della società appartiene a tanti piccoli investitori,
in antitesi con gli insider system, composto da compagini azionarie ristrette.
2
Gli amministratori esecutivi saranno competenti a gestire l’attività d’impresa, gli
amministratori indipendenti e i non esecutivi svolgeranno compiti di audit, verificando la correttezza
dell’operato della componente esecutiva del board societario. Così F. BONELLI, in Gli
amministratori di s.p.a. dopo la riforma del 2003, Torino, 2013.
azionisti o quelli dei creditori, poiché entrambe le categorie potrebbero patire dei

pregiudizi a seguito di deliberazione del board societario. Una politica di investimenti

eccessivamente aggressiva è in grado di pregiudicare l’interesse dei creditori al

soddisfacimento delle pretese creditorie portando l’impresa in una fase recessiva;

d’altra parte, comportamenti ‘timidi’ e poco avvezzi al rischio potrebbero ridurre i

rendimenti delle partecipazioni societarie, nuocendo agli azionisti. Rebus sic stantibus

occorre valutare che direzione debbano seguire i doveri degli amministratori; inoltre,

non va dimenticato che tali tecniche di tutela esibiscono delle sfumature tali, fatto che

non agevola la comprensione delle finalità perseguite (preventive o di gestione della

situazione critica).

1.1 IL MODELLO AMERICANO. DIRECTORS’ DUTIES TO CREDITORS

IN THE VICINITY OF INSOLVENCY E LA DEEPENING INSOLVENCY

Negli Stati Uniti il ‘partito’ dottrinale-giurisprudenziale ‘maggioritario’ ritiene

che i fiduciary duties degli amministratori - nel caso di Solvent Corporation – siano a

beneficio degli azionisti per un duplice obiettivo: a) realizzare lo shareholder value

maximization; b) incrementare il valore delle azioni sul mercato. Mancando “an

existing property right or an equitable interest”3 a vantaggio dei creditori, si argomenta

3
Nel caso Simons v. Cogan 549 A.2d 300, 304, la Corte Suprema del Delaware stabilì che la
società in bonis non ha alcun dovere nei confronti dei creditori, “in assenza di un esistente diritto di
proprietà o di un apprezzabile interesse per cui si rende necessaria la tutela da parte dei duties”.
che l’egida garantita dai doveri non possa estendersi nei loro confronti. Siffatta tutela

potrà attuarsi in virtù di altri strumenti tra cui spicca l’autonomia privata. Laddove,

invece, la società versi in stato di insolvenza le istanze dei creditori verranno

sufficientemente difese: a) dalle procedure di diritto concorsuale4; b) dall’istituzione di

un Trustee in sostituzione del board; c) da rigidi provvedimenti in materia di

amministrazione.5 Per quanto concerne i management’s duties inerenti a situazioni

bordeline, generalmente viene indicato come riferimento giuridico fondamentale il

principio enunciato dalla Corte Suprema del Delaware sul caso Credit Lyonnais Bank

Nederland N.V. v. Pathe Communications Corp. La relativa sentenza identificò quale

scaturigine degli officia non già l’avvenuta insolvenza ma la sua prossimità: “Where a

corporation in operating in the vicinity of insolvency, a board director owes its duties

to the corporate enterprise”. Si delinea, così, una funzione oscillante tra prevenzione

e gestione delle situazioni recessive. Secondo tale ricostruzione gli amministratori

dovranno rilevare, tempestivamente, lo status di crisi; successivamente dovranno

allestire tutte le necessarie misure per tutelare i creditori. Ha destato non poche

perplessità la locuzione ‘vicinity of insolvency’, caratterizzata da eccessiva vaghezza

ed indeterminatezza circa la fase ‘aurorale’ di una crisi societaria. Facendo retroagire

l’effettività di tale espressione, può essere considerata in termini di ‘crisi’ anche il

4
Non bisogna dimenticare che il diritto societario è ad appannaggio esclusivo dei singoli
Stati Americani, mentre il Bankruptcy Code è di competenza federale, accompagnato dalla
istituzione di Tribunali specializzati.
5
Risulta importante la distinzione tra Chapter Eleven e il Chapter Seven. Il primo, utilizzabile
da qualunque soggetto debitore (è assente la distinzione a seconda che il debitore eserciti l’attività
d’impresa o meno), permettendo la riorganizzazione ed il risanamento della impresa. Il secondo,
all’opposto, si serve dell’ausilio di un Trustee, il quale liquiderà il patrimonio societario e distribuirà
il ricavato ai creditori.
financial distress6, ossia la mancanza di liquidità - eventualmente anche temporanea -

inidonea ad instaurare un vero e proprio shifting duties. Come ha sottolineato

autorevole dottrina, più che individuare dei management’s duties verso i creditori, il

caso Credit Lyonnais pone l’accento sulla good faith, sul duty of care e sulle decisioni

assunte secondo i parametri della diligenza e della ragionevolezza, esentando da

responsabilità gli amministratori7. Seguendo tale approccio, è possibile inferire che i

doveri degli amministratori siano preordinati alla tutela dello shareholder interest,

tanto per le società in bonis, quanto in prossimità di una situazione recessiva o,

addirittura, di crisi conclamata: “When a solvent corporation is navigating in the

vicinity of insolvency, directors must continue to discharge their fiduciary duties to its

shareholders, by exercising their business judgment in the best interest of the

corporation for the benefit of its shareholder owners”8. Risulta chiaro che, tutelando

gli interessi degli azionisti, indirettamente verrà tutelato anche l’interesse dei creditori

alla soddisfazione della loro fix claimant; in questa soluzione risulta assente qualsiasi

margine di manovra teso a realizzare il trasferimento dei doveri in capo ai creditori.

Gli amministratori sono tenuti ad esercitare i loro doveri fiduciari secondo buona fede

e correttezza; dovranno assumere scelte gestionali solo dopo aver acquisito tutte le

6
Come analizzato nei precedenti paragrafi, la nozione di crisi d’impresa in senso
aziendalistico si compone una fase iniziale caratterizzata da crisi finanziaria, una fase intermedia
caratterizzata da crisi economica, una terza fase, temporalmente più vicina alla insolvenza, indicata
come crisi patrimoniale. Sul punto si rimanda a M. PANELLI, Ibidem, pp.231 e ss.
7
Utilizzando la regola della Business Judgment Rule. Sul punto F. BRIZZI, Op. cit., pp. 122 e
ss.
8
L’estratto del caso Gheewalla conferma quanto scritto in precedenza: la tutela dei creditori
non può essere tale da limitare il margine di rischio necessario ai fini della conduzione di una impresa,
specie se si tratti di decisione assunta secondo le accortezze del caso.
informazioni utili alla massimizzazione del valore dell’impresa in modo da tutelare

indirettamente anche gli interessi dei creditori.9 Accanto ai doveri conoscitivi-

preliminari urge rammentare lo specifico officium di attivarsi per ridurre l’esposizione

debitoria, onde evitare la distruzione degli assets favorevoli ai creditori. Si tratta di un

dovere desumibile dalla responsabilità per deeping insolvency10, configurato per

eliminare gli incentivi che mantengono in vita la società al punto da ‘inaridire’ l’attivo

patrimoniale. Al riguardo, è possibile considerare tale responsabilità come uno

strumento latu sensu informativo-preventivo: esso si traduce nel dovere, in capo agli

amministratori, di valutare il quadro della situazione (finanziaria, economica,

patrimoniale) al fine di scongiurare il proseguimento della vita della società,

procrastinandola senza prospettive di recupero e a detrimento dei creditori. Non sono

mancate critiche nei confronti della suddetta responsabilità, soprattutto se la si

confronta col Chapter Eleven, il cui target è il risanamento della firm e il ritorno al

going concern. In questa prospettiva teorica, si sostiene che la deliberazione circa il

proseguimento o la liquidazione dell’attività d’impresa rientri nel perimetro della

Business Judgment Rule; ne consegue che gli amministratori - in ossequio ai criteri

sottostanti alla regola - sarebbero esenti da responsabilità per mala gestio. Tali critiche

hanno trovato terreno fertile nelle Corti statunitensi che hanno statuito l’esenzione da

9
Si pensi alla ‘At risk doctrine’, secondo cui man mano che la società si avvicini alla
insolvenza, gli amministratori sono legittimati ad adottare scelte d’investimento rischiose, potendo
arrecare anche noncumento alle ragioni creditorie, poiché divenuti nuovi residual claimants. Sul
punto F. RAFFAELE, Ivi, pp.12 e ss.
10
Come vedremo nel proseguo della trattazione, la deepening insolvency è una responsabilità
simile a quella britannica, denominata wrongful trading. L’unica differenza risiede nella
legittimazione passiva, rendendo possibile azionare tale responsabilità anche nei confronti di soggetti
diversi dai Directors e ne quantum del risarcimento eventualmente imposto.
responsabilità - tipica della B.J.R.- anche nell’ipotesi in cui gli amministratori abbiano

determinato aumenti dell’esposizione debitoria, ponendo l’attenzione sulla scarsa

efficacia pratica dell’istituto. In tale contesto ermeneutico è possibile considerare la

responsabilità per deeping insolvency uno strumento operante ex post, a condotta

attuata dagli amministratori, avente intesa a colmare le lacune di tutela dovute

all’assenza di misure ex ante (idonee a garantire livelli minimi di tutela verso i

creditori).11 Risulta evidente come la mancanza di precise regole ex ante (come, ad

esempio, la disciplina del capitale sociale) induca a delineare clausole e principi

altamente indeterminati, includenti fattispecie eterogenee, che costituiscono un sistema

di preavviso ai fini della emersione dello stato critico.

1.2 IL MODELLO INGLESE. THE DUTY TO TAKE INTO ACCOUNT

CREDITORS’ INTERESTS E LA RESPONSABILITA’ DA WRONGFUL

TRADING (INSOLVENCY ACT SECT. 214)

In maniera parzialmente analoga rispetto a quello statunitense anche

l’ordinamento inglese contempla il dovere (informativo-preventivo) di garantire gli

interessi creditizi in due fasi: a) la concretizzazione dell’insolvenza; b) la

11
Favorevole ad una combinazione tra tutele ex ante e tutele ex post è M. MIOLA, Capitale
sociale e tecniche di tutela dei creditori, in Le società per azioni oggi, Milano, 2007, pp. 452 e ss.,
sostenendo inoltre che la pervasività e la forza dei rimedi ex ante è inversamente proporzionata alla
debolezza dei rimedi ex post e viceversa. Ad esempio, quanto più vengano aumentati i limiti del
capitale sociale, tanto più sarà ridimensionata la tutela risarcitoria a favore dei creditori ed in danno
agli amministratori.
denominazione di crisi mediante una valutazione previsionale sull’irreversibilità della

situazione.12 “The duty to take into account creditors’ interests” è caratterizzato da un

arretramento della tutela riservata ai creditori realizzando una velata coincidenza tra

interessi societari e interessi creditizi A rigor di logica i fiduciary duties - concepiti a

favore degli shareholders - in ‘certain circumstances’ risulteranno idonei a garantire

anche gli interessi creditizi, agendo come deterrente verso operazioni ‘azzardate’ del

board, soprattutto nelle ipotesi di difficoltà (finanziarie o economiche) reversibili. Tale

ricostruzione se, prima facie, appare ‘soddisfacente’ – sotto il profilo di una riduzione

dei perverse incentives - solleva alcune perplessità che occorre considerare. In primo

luogo, la locuzione ‘in certain circumstances’ rende ‘vaga’ la nozione di crisi

d’impresa; infatti, non delucida se i management’s duties ‘impattano’ sui creditori già

durante le ‘avvisaglie’ della crisi oppure siano riferibili ad una situazione societaria più

complicata. In secondo luogo, risulta poco chiaro se “il dovere di prendere in

considerazione gli interessi dei creditori” si atteggi quale longa manus della

stakeholder Theory, oppure quale shareholder primacy Theory. Nel primo caso gli

amministratori nell’esercitare i loro poteri dovranno, necessariamente, contemperare

diversi interessi in gioco, a prescindere da una situazione di solvenza o di insolvenza.

Nel secondo caso, si recuperebbero le considerazioni svolte analizzando il modello

statunitense: prevarranno gli interessi degli azionisti e gli amministratori dovranno

astenersi dal perseguire obiettivi suscettibili di compromettere gli interessi creditizi. A

12
M.MIOLA, Op. cit., pp. 417 e ss., come vedremo nel proseguo della trattazione, l’A. colloca
il Wrongful Trading nell’istituto dei solvency Tests, sottolineando la necessità delle analisi
prognostiche sugli andamenti societari.
motivo di tale complessità le applicazioni giurisprudenziali di suddetto principio sono

state esigue; agli amministratori sono stati riconosciuti margini di discrezionalità,

eventualmente da vagliare attraverso la responsabilità da wrongful trading. La sec. 214

dell’Insolvency Act introduce una particolare ipotesi di responsabilità nei confronti

degli amministratori13, che coincide col verificarsi di tre condizioni: “the company has

gone into insolvent liquidation”, “at some time before the commencement of the

winding up of the company, that person knew or ought to have concluded that there

was no reasonable prospect that the company would avoid going into insolvent

liquidation”14, and “that person was a director of the company at that time”. Qualora

gli amministratori abbiano disatteso l’officium conoscitivo-prognostico della

situazione (economico, finanziaria, patrimoniale) della società; qualora abbiano

negletto di attivare una procedura concorsuale a tutela dei creditori (in condizioni di

irreversibilità societaria)15, costoro saranno responsabili “to make such contribution”.16

Come si evince da quanto esposto, sottesa a tale responsabilità è una serie di doveri in

13
Per quanto riguarda la quantificazione del risarcimento dei danni a seguito di accertamento
di responsabilità per wrongful trading, viene utilizzato il criterio “dell’increase in net deficiency”,
dovendosi raffrontare la situazione patrimoniale alla data di inizio della liquidazione, con la data della
ipotetica liquidazione della attività, nel caso in cui gli amministratori avessero agito ragionevolmente.
14
I Company voluntary agreements, a differenza dell’administration, utilizza, quale
presupposto per la sua applicazione, la situazione di crisi reversibile, ponendosi nell’ottica di
salvaguardare il valore aziendale e la continuità dell’impresa. Sul punto M. MIOLA, La tutela dei
creditori, in Riv. soc., 2012, pp 276 e ss.
15
È importante sottolineare come il dovere di tutela dei creditori, in tale fattispecie, nasce con
“la probabile manifestazione della insolvenza, non ad insolvenza manifestata, come nell’ordinamento
tedesco. Sul punto F. BRIZZI, Responsabilità gestorie in prossimità dello stato di insolvenza e tutela
dei creditori, in Riv. dir. comm, 2008, pp. 1040 e ss.
16
Contribuire alla reintegrazione del patrimonio, non risarcire il danno. Si ricordi inoltre che
il legittimato attivo è il liquidator, ossia “an insolvency practitioner whose functions on either a
compulsory or voluntary liquidation are to collect in the company’s assets, realise them and distribute
them to the company’s creditors and, if there is a surplus, to the persons entitled to it.”
capo agli amministratori, di cui si assume il mancato ossequio. In prima battuta, ci

troviamo in presenza di una palese violazione: quella relativa all’obbligo di assumere

la decisione più opportuna – mediante valutazioni previsionali e prognostiche - qualora

non sussistano sufficienti margini di recupero del going concern. La seconda

violazione imputabile agli amministratori consiste nel mancato dovere di tutelare gli

interessi creditizi conservazione l’integrità patrimoniale, onde evitare un loro ulteriore

pregiudizio. Una delle maggiori critiche avanzate nei confronti di tale rimedio rileva

come tale noxa emerga esclusivamente nell’ipotesi di omesso utilizzo di una procedura

liquidatoria. Ciò implicherebbe un’eccessiva proiezione del raggio d’azione

vanificando l’emersione di situazioni recessive il cui ritorno al going concern risulti

ancora possibile.17 In secondo luogo, parte della dottrina ritiene ‘indeterminata’ la

‘finestra temporale’ entro cui valutare la condotta degli amministratori, ritenendo

l’espressione ‘prossimità dell’insolvenza’ come un criterio eccessivamente aleatorio,

foriero di dubbi e interpretazioni eterogenee. Anche nell’esperienza anglofona si può

evidenziare come l’assenza di regole ex ante - capaci di segnalare, tempestivamente,

situazioni di difficoltà (finanziarie, economiche, patrimoniali) reversibili - abbia

comportato l’impiego di rimedi e clausole caratterizzate da vaghezza ed

indeterminatezza. Si tratta, dunque, di strumenti ‘calibrati’ sulla fattispecie concreta

tramite l’interpretazione dell’Autorità giudiziaria.

17
In caso si irreversibilità della situazione, le possibili opzioni saranno le seguenti: attivare
una procedura di liquidazione, attivare la procedura di administration, atta a riorganizzare l’impresa,
qualora sia possibile, oppure continuare l’attività d’impresa, salvo poi incorrere in eventuale
responsabilità per wrongful trading.
2. GLI ORDINAMENTI DI CIVIL LAW

Il secondo sistema giuridico in esame è caratterizzato da una serie di elementi

che lo situano in chiara antitesi con gli ordinamenti di common Law18. Tale modello

viene, generalmente, denominato insider system. Qui la proprietà rimane concentrata

nelle mani di esigui azionisti di riferimento; i mercati azionari sono di dimensioni

inferiori rispetto a quelli anglo-americani; i finanziamenti vengono, solitamente,

erogati dagli istituti di credito bancario (sistemi banked oriented). La gestione, dunque,

18
Negli ordinamenti di common Law vengono maggiormente utilizzati rimedi ex post,
risarcitori o ripristinatori, mentre nei sistemi di civil Law, in cui a dominare erano i sistemi ex ante di
tutela, si assiste ad un lento ma progressivo avvicinamento verso il modello anglo-americano. Sul
punto L. RENNEBOOG ET ALIIS, Is the German system converging towards the Anglo-American
model? pp. 54
‘esprimerà’ la volontà e gli interessi degli azionisti maggioritari, mediante l’eventuale

impiego del “two-tier system”,19 dove amministrazione e controllo della gestione

spettano a organi differenti. È palese che in tali assetti societari frequenti risultino i

conflitti tra azionisti di maggioranza e di minoranza: i primi, infatti, potranno contare

su managers nominati da loro eletti, generando problemi di agency. Non si devierà dal

tema in esame considerando come i creditori ricevano tutela in prossimità della crisi o

a crisi conclamata. In altri termini, si tratta di stabilire se la fattispecie sia riconducibile

alla famiglia giuridica shareholder oriented o a quella stakeholder oriented.

2.2 L’ESPERIENZA RENANA. LA RESPONSABILITA’ PER VERSAMENTI

ESEGUITI DAGLI AMMINISTRATORI DOPO L’AVVERARSI DEI

PRESUPPOSTI DEL FALLIMENTO

Nell’ordinamento tedesco vengono generalmente utilizzate tecniche che

incentivano gli amministratori ad una condotta improntata alla ragionevolezza e alla

razionalità, attraverso la previsione di responsabilità in caso di condotte

opportunistiche, in danno dei creditori, in situazioni di passaggio dal diritto societario

al diritto delle procedure. Differentemente dal wrongful trading inglese, l’ordinamento

renano indica, attraverso una precisa rules, l’obbligo per gli amministratori di ricorrere,

non oltre tre settimane dal verificarsi della situazione di insolvenza, alla procedura

19
Il nostro sistema giuridico, dopo la riforma del diritto societario di cui al Decreto legislativo
numero 6 del 17 gennaio 2013, ha introdotto la possibilità di scegliere il sistema di amministrazione
tra modello tradizionale, modello monistico e modello dualistico.
fallimentare (Insolvenzantragspflicht).20 Netta è dunque la differenza rispetto alla

responsabilità per wrongful trading: nel sistema di diritto inglese, il rimedio si attiva

ad insolvenza non ancora avvenuta, mentre nel sistema renano è necessario che vi siano

i presupposti ai fini della apertura di una procedura concorsuale. Risulta implicito

dunque il dovere di informarsi in merito alla situazione finanziaria e patrimoniale della

società, incentivando gli amministratori ad evitare la realizzazione della liquidazione,

favorendone il risanamento, qualora possibile, attraverso il dovere di gestione della

crisi d’impresa con l’utilizzo delle misure più idonee. Nel caso in cui la richiesta di

apertura della liquidazione non sia stata proposta nei termini previsti, gli amministratori

saranno responsabili del pregiudizio arrecato ai creditori21. Gli scetticismi nei confronti

di tale rimedio riguardano soprattutto il presupposto della “insolvenza già realizzatasi”,

non allargando dunque le sue potenzialità a condizioni di squilibrio economico,

finanziario e patrimoniale meno gravi. Per rendere più flessibile il sistema, allineandosi

con gli orientamenti europei, il legislatore tedesco ha introdotto il ricorso al diritto

concorsuale facoltativo, in funzione preventiva, prevedendo che qualora ricorra una

‘minaccia di insolvenza’ (drohende Zahlungsunfahigkeit), gli amministratori avranno

la facoltà di accedere o meno alla liquidazione giudiziale, introducendo dunque il

20
Antragspflicht bei juristischen Personen und Gesellschaften ohne Rechtspersönlichkeit.
“Wird eine juristische Person zahlungsunfähig oder überschuldet, haben die Mitglieder des
Vertretungsorgans oder die Abwickler ohne schuldhaftes Zögern, spätestens aber drei Wochen nach
Eintritt der Zahlungsunfähigkeit oder Überschuldung, einen Eröffnungsantrag zu stellen.” Con il §
15a, InsO, tale disciplina viene generalizzata, poiché in precedenza la disposizione era applicabile
esclusivamente alle s.r.l. tedesche (§64 GmbHG). Sul punto A. LUCIANO, La gestione delle s.p.a
nella crisi pre-concorsuale, Milano, 2016, pp. 44 e ss., nota 148.
21
“Mit Freiheitsstrafe bis zu drei Jahren oder mit Geldstrafe wird bestraft, wer entgegen
Absatz 1 Satz 1, auch in Verbindung mit Satz 2 oder Absatz 2 oder Absatz 3, einen Eröffnungsantrag:
1. nicht oder nicht rechtzeitig stellt oder
2. nicht richtig stellt.”
dovere di monitorare costantemente la situazione societaria, in modo tale da prevedere

se vi sia la possibilità di non garantire i pagamenti quando verranno a scadenza. Una

importante funzione preventiva, a tutela dei creditori, viene svolta dalla responsabilità

degli amministratori per versamenti compiuti nelle tre settimane successive alla

emersione dei presupposti oggettivi del fallimento (Zahlungverbot), salvo che essi

siano effettuati “da un dirigente d’impresa coscienzioso”22, prevedendo il dovere di

reintegrare il patrimonio societario23. È importante sottolineare come presupposto della

suddetta responsabilità non sia l’apertura della liquidazione, ma l’avverarsi dei

presupposti della insolvenza, pertanto la responsabilità per non aver tempestivamente

aperto la liquidazione e la responsabilità per versamenti effettuati ad insolvenza

avvenuta, operano su due piani differenti tra loro. Il primo implica il mancato rispetto

del dovere di monitorare costantemente l’andamento dell’attività societaria, violando

dunque il dovere conoscitivo-previsionale primario ed imponendo il risarcimento del

danno. Il secondo opera sulla falsariga del mancato rispetto del dovere di gestione

conservativa, qualora i presupposti della insolvenza si siano realizzati, imponendo la

reintegrazione del patrimonio. Un particolare dovere a carico degli amministratori è

nato dalla invenzione giurisprudenziale renana della responsabilità per distruzione

della esistenza della società (Existenzvernichtungshaftung), giungendo ad indicare il

22
Anche in questa ipotesi, ricorre la nozione della “diligenza dell’uomo d’affari”, presente nel
nostro ordinamento giuridico, di cui all’articolo 1176 del Codice civile.
23
§ 92 AktG: “Nachdem die Zahlungsunfähigkeit der Gesellschaft eingetreten ist oder sich
ihre Überschuldung ergeben hat, darf der Vorstand keine Zahlungen leisten. Dies gilt nicht von
Zahlungen, die auch nach diesem Zeitpunkt mit der Sorgfalt eines ordentlichen und gewissenhaften
Geschäftsleiters vereinbar sind. Die gleiche Verpflichtung trifft den Vorstand für Zahlungen an
Aktionäre, soweit diese zur Zahlungsunfähigkeit der Gesellschaft führen mussten, es sei denn, dies
war auch bei Beachtung der in § 93 Abs. 1 Satz 1 bezeichneten Sorgfalt nicht erkennbar.”
dovere di garantire assetti adeguati nell’esercizio della impresa, evitando

comportamenti e decisioni che possano pregiudicare il valore della società. 24 È

possibile dunque constatare come nell’ordinamento giuridico renano, la bilancia tra

interessi degli azionisti ed interessi dei creditori risulti equilibrata dall’utilizzo

combinato di tecniche ex ante ed ex post, unitamente alla interpretazione dei doveri

degli amministratori, attraverso la prevenzione dell’aggravarsi dello stato di

insolvenza, prevedendo la liquidazione del patrimonio societario in un momento in cui

gli eventuali azzardi morali possono pregiudicare ulteriormente le pretese creditorie.

Sembra infine potersi desumere che i doveri degli amministratori durante la fase di

solvenza, siano gli stessi anche durante la fase di emersione della crisi e di crisi

conclamata, poiché le responsabilità introdotte dal legislatore tedesco operano ad

insolvenza avvenuta.25

24
Sul punto M. MIOLA, Riflessioni sui doveri degli amministratori in prossimità della
insolvenza, in Studi in onore di U. Belviso, Bari, 2011, pp. 620 e ss.
25
Anche nell’ordinamento spagnolo è prescritto il dovere di attivare la liquidazione giudiziale
entro il termine di due mesi dalla manifestazione dello stato di insolvenza, accompagnato da una certa
rigidità verso la mancata attivazione della procedura, nei confronti degli amministratori. Nella
fattispecie, in caso di inadempimento di tale dovere e lo stato di insolvenza o il suo peggioramento
nasce d tale inadempimento, gli amministratori potranno essere obbligati a soddisfare i creditori del
concurso non soddisfatti. Sul punto A. SARCINA, J.A. GARCIA CRUCES ET ALIIS, Il trattamento
giuridico delle crisi d’impresa. Profili di diritto concorsuale italiano e spagnolo, Bari, 2008, pp. 27
e ss.
2.3 L’ESPERIENZA FRANCESE. L’AZIONE DI RESPONSABILITA’ PER

INSUFFICIENZA DELL’ATTIVO (L. 651-2 CODE COMM.)

L’ action en responsabilité pour insuffisiance d’actif, disciplinata dall’articolo

L.651-2 Code de Commerce 26 dispone la responsabilità dell’amministratore in caso di

mala gestio, condannandolo al pagamento dei debiti sociali. È importante sottolineare

come nelle ipotesi di mera ‘negligence du dirigeant’, l’azione non potrà essere

esercitata, rendendo necessaria la verifica del nesso causale, ossia il collegamento tra

26
"Lorsque la liquidation judiciaire d'une personne morale fait apparaître une insuffisance d'actif, le tribunal
peut, en cas de faute de gestion ayant contribué à cette insuffisance d'actif, décider que le montant de cette
insuffisance d'actif sera supporté, en tout ou en partie, par tous les dirigeants de droit ou de fait, ou par
certains d'entre eux, ayant contribué à la faute de gestion. En cas de pluralité de dirigeants, le tribunal peut,
par décision motivée, les déclarer solidairement responsables. Toutefois, en cas de simple négligence du
dirigeant de droit ou de fait dans la gestion de la société, sa responsabilité au titre de l'insuffisance d'actif ne
peut être engagée.”
comportamento dell’amministratore e perdita del patrimonio societario. 27 Tale azione

viene esercitata nelle more della liquidation judiciaire ed è idonea ad estendere il suo

ambito di accertamento all’intera vita della società, comportando la circoscrizione del

perimetro cognitivo nelle fasi subito antecedenti alla situazione di insolvenza. In tale

fattispecie, autorevole dottrina ha constatato come non fosse possibile desumere alcun

dovere in capo agli amministratori28, per via del suo carattere meramente risarcitorio.

Tuttavia, ad una diversa analisi corrisponde la constatazione secondo cui non mancano

ipotesi in cui si riscontra il dovere informativo-preventivo in capo agli amministratori,

dovendo assumere tutte le informazioni del caso, agendo in modo da allontanare lo

spettro della dispersione patrimoniale. In secondo luogo, è possibile ricavare il dovere

di tenere conto anche degli interessi dei creditori nella conduzione della società, specie

se manchino disposizioni ad hoc in grado di tutelare gli interessi dei suddetti. Il

rafforzamento dei doveri previsionali in capo agli amministratori, idonei a prevenire la

crisi d’impresa e a fronteggiarla, è realizzato attraverso l’introduzione di alcuni misure

squisitamente anticipatorie e preventive. Si parla al riguardo della Loi de sauvegarde

des entreprises, attribuendo al collegio sindacale francese (commissaires au comptes)

27
Tale azione ha sostituito l’action en comblement du passif di cui all’articolo L. 652-1 Code
de Commerce, la quale era finalizzata ad essere applicata verso le condotte degli amministratori poste
in essere nel corso della vita della società, che abbiano pregiudicato il patrimonio della società nel
corso di tutta la vita della società, non solo nel momento di insolvenza. Sul punto M. MIOLA, Capitale
sociale e tecniche di tutela dei creditori, pp. 429 e ss.
28
M.MIOLA, Ibidem.
il compito di incentivare la tempestiva soluzione della crisi 29 e della procedure de

sauveguarde, valorizzando la soluzione anticipata della crisi.

Da come si evince dal paragrafi precedente, i rimedi in esame hanno il comune

obiettivo di garantire, seppur indirettamente, la tutela dei creditori, per via della

generalizzata assenza di strumenti ex ante chiari e precisi, finalizzati a prevenire il

dissesto societario30. Ne è esempio l’assenza della disciplina del capitale sociale,

istituto che permette di prevenire le situazioni di crisi e di insolvenza e che, utilizzato

in combinazione con gli strumenti che permettono la valutazione prognostica della

situazione societaria, risulta essere in grado di tutelare efficientemente gli interessi dei

creditori. Ne sono esempio la volontaria indeterminatezza dei principi espressi dalla

giurisprudenza del common Law, volontaria in quanto più sfumati sono i contorni,

maggiori saranno le possibilità di espungere qualche misura favorevole ai creditori.

29
Sono le cosiddette procedure di allerta, introdotte anche nel nostro ordinamento giuridico,
su esempio di quello francese. Sul punto L. BENEDETTI, Le procedure di allerta. Mieux vaut prevenir
que guerir.
30
È possibile individuare un iter logico che parta dai squilibri del patrimonio sociale, misure
di risanamento o scioglimento della società, infine apertura della procedura concorsuale. Sul punto
M. MIOLA, Op. cit., pp. 308 e ss.
CAPITOLO III. LE TECNICHE DI TUTELA DEI CREDITORI IN

PROSSIMITA’ DELLO STATO DI CRISI. IL MODELLO ITALIANO

Valutati comparativamente gli ordinamenti giuridici anglo-americano e franco-

renano, senza pretesa di esaustività, occorre analizzare in che modo il sistema giuridico

italiano garantisca la tutela dei creditori durante i primi sintomi di crisi e in condizione

di crisi conclamata, cercando di comprendere se nel nostro ordinamento giuridico sia

possibile rinvenire quegli elementi ravvisati nelle esperienze giuridiche trattate. Esso

si caratterizza per essere più affine agli insider system ma nonostante ciò, presenta delle

caratteristiche atipiche, difficilmente riscontrabili in altri sistemi. Ne è esempio la


copiosa presenza di piccole e medie imprese a conduzione familiare, una base azionaria

ristretta (rispetto alle basi azionarie nordamericane), grandi imprese a conduzione

familiare, generalmente organizzate in gruppi di imprese, un mercato azionario ridotto,

con finanziamenti erogati in prevalenza dagli istituti bancari, Stato ed enti regionali,

provinciali, locali che possedevano, in passato, importanti partecipazioni azionarie1.

Tale sistema economico-sociale influenzerà inevitabilmente il sistema di corporate

governance, caratterizzato da problemi di agency tra azionisti di maggioranza e di

minoranza, tra amministratori e creditori. Sarà necessario comprendere che tipo di

tutele l’ordinamento giuridico italiano offra, a garanzia delle pretese creditorie,

analizzando se venga adottata la teoria della stakeholder value maximitation, in modo

che la condotta della società prenda in considerazione interessi ‘alieni’ rispetto a quelli

societari, oppure se si propenda in favore della shareholder value maximitation.

1. LA PREVENZIONE IN ITALIA ALLA LUCE DEL DECRETO

LEGISLATIVO 12 GENNAIO 2019 N.14 (CODICE DELLA CRISI

D’IMPRESA E DELLA INSOLVENZA)

1
La liberalizzazione dei mercati è spesso accomunata alle privatizzazioni, ma non bisogna
dimenticare che sono due fenomeni diversi. Nulla toglie, ad esempio, che in un mercato altamente
concorrenziale vi siano società partecipate dallo Stato o da enti locali, senza che ciò comporti una
presunzione assoluta di pregiudizio alla concorrenza. In Italia le prime liberalizzazioni avvennero nei
primi anni duemila, su spinta del processo di armonizzazione del sistema interno con quello europeo
e non può dirsi ancora concluso. Sul punto M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Bologna,
2013, pp. 102 e ss.
Le spinte riformiste inerenti all’attività di impresa sono state recepite dal nostro

ordinamento giuridico con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto

legislativo numero 14 del 12 gennaio 2019, meglio conosciuto come “Codice della crisi

d’impresa e della insolvenza”. Si tratta, a tutti gli effetti, di una riforma strutturale e

dogmatica di quel modo di concepire e di atteggiarsi del diritto concorsuale, se si

effettua una comparazione di opzioni politico legislative tra vecchio e nuovo sistema

delle procedure. Con la emanazione del regio decreto numero 267 del 1942, oltre alla

assenza di possibili scenari di soluzioni privatistiche della insolvenza, seppur allo stato

embrionale, contenuti nel Codice di commercio del 18652, venne definitivamente

confermata la netta funzione afflittiva e sanzionatoria del fallimento, attraverso una

concezione ‘pubblicistica’ delle procedure, caratterizzata dallo svilimento del ruolo del

ceto creditorio e dalla enfatizzazione della posizione del Tribunale e del giudice

delegato.3 Ciò non dovrebbe sorprendere, se si pensi alle svolte autoritarie e repressive

delle politiche nazionali del primo novecento. La funzione pubblicistica veniva

realizzata attraverso la estromissione, la eliminazione dal tessuto economico e sociale

dell’impresa, incapace di soddisfare le pretese creditorie. Una marginale alternativa al

fallimento era prevista dalla rara applicazione del concordato fallimentare, il quale

poteva essere esperito esclusivamente da quei debitori ‘sfortunati’, la cui esposizione

debitoria era dovuta per cause a lui non imputabili. Le finalità della legge fallimentare

2
Da molti i Codici dell’Ottocento vengono considerati alquanto attuali, poiché caratterizzati
da spinte liberalistiche, a tutela dei creditori e dei debitori, valorizzando le loro posizioni all’interno
delle procedure. Così M. FABIANI, in Diritto fallimentare, un profilo organico, Bologna, 2011, p.
23.
3
Ciò non dovrebbe sorprendere, se si pensi alle svolte autoritarie e repressive delle politiche
nazionali del primo Novecento. Sul punto M. FABIANI, Ibidem, p. 23.
erano dunque meramente liquidatorie, assenti erano le possibilità di un ritorno alla

prosecuzione dell’attività. Con la promulgazione della Costituzione nel 1947 e con

l’affermazione dei principi del contraddittorio, del diritto alla difesa e del giusto

processo, il seppur duro ma tutto sommato coerente sistema procedurale, fu

caratterizzato da una serie di modifiche, con l’obiettivo di coordinare la legge

fallimentare con il mutato contesto costituzionale (ciò contribuì a creare un sistema

contraddittorio e poco coerente, allungando i tempi della soddisfazione da parte dei

creditori). In questa cornice appena tracciata, si innesta il nuovo Codice della crisi

d’impresa e della insolvenza, non tanto per i suoi istituti, ma per i suoi contenuti

riformisti. La sostituzione del termine ‘fallimento’ con la locuzione ‘liquidazione

giudiziale’4, elimina definitivamente qualsiasi rimando al anacronistico modo di vedere

il debitore insolvente. Non più un soggetto da eliminare, da accantonare perché

pregiudizievole per l’intera economia, ma bensì un soggetto da reintegrare nel tessuto

sociale, dopo aver estinto la sua posizione debitoria. L’istituto in esame, perdendo

quella centralità caratterizzante all’interno della vecchia legge fallimentare, si è

trasformato in uno strumento marginale, quale extrema ratio in caso di alternative

infruttuose. Il concordato fallimentare si trasforma in concordato liquidatorio, viene

definitivamente codificata la nozione di “crisi d’impresa”, di conseguenza lo scenario

si apre a soluzioni negoziali. Con tale espressione, si indica la scelta di uno strumento

ad hoc tra diverse opzioni percorribili, in base al grado di difficoltà in cui versa la

4
Nella legge delega numero 155 del 2017, all’articolo 2, lettera a, indica come obiettivo la
sostituzione del termine fallimento e i suoi derivati con l’espressione liquidazione giudiziale,
riprendendo quanto fu già previsto dalla Commissione Trevisanato.
società, in modo tale da giungere ad una rapida definizione della difficoltà in cui versa

l’impresa. Frutto dei lavori della ‘Commissione Rordorf’, il nuovo Codice, ad una

lettura iniziale, sembra rispondere ai tre macro-obiettivi indicati nella legge delega

numero 155 del 19 ottobre 2017, realizzando l’ammodernamento del diritto

concorsuale, garantendo un sistema coerente ed organico, colmando le lacune presenti

nel nostro sistema, giungendo a concludere sulla necessità del passaggio da una fase di

gestione delle situazioni di crisi e di insolvenza, ad una fase di generale prevenzione.

1.1 I PRECEDENTI TENTATIVI DI RIFORMA DEL SETTORE. LA

COMMISSIONE TREVISANATO E LA SUCCESSIVA

IPERTROFICA LEGISLAZIONE

L’innesto di un nuovo sistema (organico e razionale) - capace di agevolare la

definitiva transizione da vecchie a nuove posizioni - fu tentato dalla Commissione

presieduta da Sandro Trevisanato. Istituita con decreto del 2001 essa lavorò alla stesura

di un disegno di legge delega per la riforma del diritto fallimentare.5 Sebbene assenti gli

strumenti di prevenzione della crisi d’impresa il documento prevedeva una modifica

organica e razionale della disciplina, attraverso alcune ‘novità’ lessicali: ad esempio, la

locuzione ‘liquidazione concorsuale’ avrebbe soppiantato il termine ‘fallimento’,

neutralizzandone la semantica negativa. Inoltre, il testo progettuale mutava,

topologicamente, l’assetto delle procedure negoziate e liquidatorie. Le aspettative erano

5
I lavori partorirono due progetti, uno di maggioranza ed uno di minoranza, producendo un
vero e proprio empasse politico, superato attraverso la nomina di una nuova Commissione in forma
ristretta, col compito di redigere una legge ordinaria. Sul punto M. FABIANI, Ivi, p. 35.
elevate ma vennero eluse per l’omessa presentazione del disegno in Parlamento. I

successivi interventi legislativi vanno necessariamente intesi come decretazioni

d’urgenza che rettificanti, settorialmente, la legge del 1942 ma inidonei a indicare un

nuovo modo di atteggiarsi delle procedure concorsuali6. Nel decreto legge 35 del 2005,

ad esempio, viene concessa maggiore autonomia al debitore nella composizione

negoziale della crisi, amplificando i poteri del creditore (una simile impostazione era

presente nel Codice di commercio del 1865). Tale progressione normativa, tuttavia, non

fu lineare ma risultò caratterizzata da successive riforme legislative disorganiche.

6
In aperta ostilità con la legislazione d’urgenza, si legga M. FABIANI, in L’ipertrofica
legislazione concorsuale fra nostalgie ed incerte contaminazioni ideologiche, Crisi d’impresa e
fallimento, 2015.
2. LE NUOVE PROCEDURE DI ALLERTA E DI COMPOSIZIONE

ASSISTITA DELLA CRISI. IL MODELLO FRANCESE COME

PUNTO DI PARTENZA

La fonte ispiratrice delle “procedure di allerta e di composizione assistita della

crisi” pongono le loro radici nella Raccomandazione dell’Unione Europea numero 135

del 2014. Tali procedure si pongono nell’ottica di prevenire l’insolvenza,

ristrutturandosi in una fase precoce degli squilibri, in modo tale da garantire gli

interessi degli shareholders ed indirettamente quello degli stakeholders. Se autorevole

dottrina, sull’assunto che la twilight zone possa essere disciplinata con gli strumenti già

previsti dall’ordinamento, come ad esempio il dovere di corretta amministrazione in

capo agli amministratori, sostiene che le procedure di allerta non semplificano il

marasma legislativo, non può negarsi il tentativo di uniformarsi agli indirizzi forniti in

ambito europeo. Ancora, ulteriori dubbi nascono dalla constatazione secondo cui tali

procedure si pongano in contrasto con l’articolo 41 della Costituzione, dovuti

all’eccessivo arretramento dell’ambito applicativo di tali nuovi istituti, ad una fase


caratterizzata da primissimi segnali di incertezza.7 Scetticismi che non convincono,

specie se si tenga presente che al secondo comma dell’articolo 41 della Costituzione, è

disposto che l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale,

pertanto l’allerta sembra imporre l’assunzione di iniziative idonee per scongiurare

reazioni a catena, utilizzando discrezionalmente la composizione assistita della crisi o

altri strumenti idonei. Ai fini della efficacia operativa dell’istituto di allerta, è

necessaria l’individuazione del momento esatto in cui l’impresa si trovi nella

possibilità di incorrere in una crisi8. La valutazione circa la futura situazione di crisi

avverrà attraverso la ricostruzione dei flussi di cassa prospettici e la valutazione della

futura dinamica gestionale, utilizzando una nozione aziendalistica-contabile di crisi

d’impresa. Ancora, l’articolo 13 del Codice, individua come indicatori di crisi “gli

squilibri di carattere patrimoniale, reddituale, finanziario, rapportato alle specifiche

caratteristiche dell’impresa”. Utilizzando esclusivamente un criterio finanziario, sarà

resa più complicata l’efficacia pratica delle nuove procedure, poiché l’impresa si

compone anche di una dimensione economica e patrimoniale, secondo la dottrina

aziendalistica. Da non dimenticare la possibilità di valutare in maniera eccessivamente

positiva i flussi di cassa della impresa, prospettando una situazione migliore di quanto

non lo sia. Anche il sistema francese, nel disegno di legge sulle procedure di allerta

7
Obiezioni che tra l’altro non tengono conto dell’obiettivo di scongiurare le ipotesi di crisi,
tipico dell’istituto di allerta, affidando la gestione della crisi a strumenti che permettano il ritorno
all’equilibrio societario.
8
Tra le varie definizioni di crisi, è possibile distinguere tra ‘crisi finanziaria’, ossia lo
squilibrio tra incassi e pagamenti, ‘crisi economica’, vale a dire risultati d’esercizio negativi ed infine
‘crisi patrimoniale’, il momento più vicino alla situazione di insolvenza. Sul punto, M. PANELLI, La
prevenzione della crisi d’impresa, I lavori della Commissione Rordorf e gli scenari futuri, pp. 231,
232, 233.
utilizza la nozione di compromissione della ‘continuité de exploitation’, assimilabile

al criterio aziendalistico del going concern inglese. Strettamente collegata alla nuova

nozione di crisi, è l’articolo tre del nuovo Codice, dove dispone dei doveri in capo agli

amministratori già espunti a livello interpretativo dalla dottrina, ossia il dovere

informativo-previsionale ed il dovere di attivarsi tempestivamente, per evitare che la

situazione si aggravi. La novità risiederebbe nella disposizione che prevede il dovere

di attivare le misure di allerta in capo alle società di revisione, ai creditori qualificati e

ai collegi sindacali. Lo stesso dicasi per l’ordinamento francese dove sono stati

responsabilizzati i commissaires au comptes, attraverso l’obbligo di esercitare il potere

di allerta, così come concesso al Tribunale francese. Tale potere può essere esercitato

quando il presidente del tribunale di commercio venga a conoscenza di un possibile

pregiudizio alla continuité d’exploitation (art L611-2 C.comm.). Il coinvolgimento del

Tribunale, nel sistema francese, risulta essere anticipato rispetto alla previsione italiana

di cui all’articolo 21, dove presupposto per l’attivazione del Tribunale è il mancato

raggiungimento di un accordo all’esito del procedimento di composizione assistita

della crisi. Nonostante alcune differenze tra gli ordinamenti, è possibile comunque

constatare come il leit motiv, delle nuove opzioni polittico legislative sia quello di

prevenire, piuttosto che gestire una situazione di crisi e di insolvenza. Ne sono esempio

i doveri degli amministratori verso la società, quali strumenti in grado di tutela diversi

interessi in gioco, ne sono esempio le istanze provenienti a livello europeo, circa la

previsione di strumenti previsionali. “Mieux vaut prévenir que guérir”.


1. DOVERE DI GARANTIRE ADEGUATI ASSETTI ORGANIZZATIVI,

AMMINISTRATIVI, CONTABILI (ART 2086 2° COMMA)

Nel marzo del corrente anno sono entrate in vigore alcune modifiche al Codice

civile ‘inaugurate’ dal decreto legislativo numero 14 del 12 gennaio del 20199, recante

un’importante riforma del diritto delle procedure. La novità di rilievo è l’introduzione

di opzioni politico-legislative antitetiche all’anteriore legge fallimentare. In

particolare, l’articolo 2086 del Codice civile - intitolato “Direzione e gerarchia

nell’impresa” - è stato rubricato con la dizione “Gestione della impresa”; suddetta

norma, inoltre, è stata integrata da un secondo comma che dispone la seguente

disciplina: “l’obbligo per l'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, di

istituire un assetto organizzativo, amministrativo, contabile adeguato alla natura ed alle

dimensioni dell'impresa anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e

della perdita della continuità aziendale”10. Sotto un profilo ‘diacronico’ è possibile

constatare come la nozione ‘gerarchica’ di impresa11 (l’imprenditore quale dominus

delle attività) – invalsa nel XX secolo e avente natura meramente programmatica - sia

9
Al contrario, il nuovo Codice della crisi d’impresa e della insolvenza entrerà in vigore a
partire dal quindici agosto del 2020.
10
Articolo 2086 secondo comma del Codice civile (il primo comma resta invariato):
“L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto
organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche
in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità
aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti
previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
11
Il vecchio articolo 2086 del Codice civile così recitava: “L’imprenditore è il capo della
impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”.
affiancata da un dovere preliminare: mettere, cioè, la firm nelle condizioni di conoscere

e di informarsi circa gli elementi concernenti l’esercizio dell’attività d’impresa,

estendendo l’adeguatezza degli assetti (amministrativi, organizzativi, contabili) a tutte

le tipologie imprenditoriali. Così tale requisito non riguarda più, in via esclusiva, le

società per azioni12 ma è divenuto un principio societario generale. L’imprenditore che

operi in forma societaria o collettiva sarà sì punta di diamante dell’impresa ma, al

contempo, potrà contare su strumenti onde riscontrare eventuali problemi; in tal modo

esplicherà una fondamentale funzione informativa/preventiva. Originariamente, nello

schema di proposta di decreto attuativo della legge delega numero 155 del 2017 era

previsto l’obbligo per l’imprenditore tout court13 di adottare idonei assetti. Tuttavia, le

modifiche attuate in sede parlamentare produssero la Relazione illustrativa al decreto

legislativo numero 14 del 2019; nel documento venne precisato che il secondo comma

dell’articolo 2086 del Codice civile avrebbe obbligato “gli imprenditori diversi da

quello individuale”, capovolgendo, dunque, le iniziali previsioni. Così, in base

all’articolo tre del Codice della crisi d’impresa e della insolvenza14, l’imprenditore

individuale dovrà ricorrere alle “misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di

crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte”.

12
L’articolo di cui all’articolo 2381, quinto e sesto comma del Codice civile, risulta essere una
disposizione esclusivamente settoriale, escludendo dunque qualsiasi portata generale.
13
Lo schema di proposta di decreto attuativo così recitava: “L’imprenditore, che operi in
forma individuale, societaria o in qualunque altra veste (…)”.
14
Secondo M. SPIOTTA, in Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, 2017, pp. 29 e
ss., la scelta sugli adeguati assetti organizzativi, significa concedere agli amministratori una
“discrezionalità tecnica o limitata”, poiché saranno comunque vincolati, nella scelta latu sensu
organizzativa, al perseguimento dell’adeguatezza.
Resta da capire il contenuto degli “assetti amministrativi, organizzativi e

contabili”. Come rileva autorevole dottrina, l’adeguatezza si riferisce alla capacità della

impresa di rilevare la crisi e di risolverla celermente; essa non concerne, invece, le

condotte degli amministratori valutate secondo i criteri della diligenza e di corretta

gestione15 Ancora: è previsto l’obbligo per l’imprenditore di attivarsi senza indugio per

risolvere la crisi, impiegando uno degli strumenti predisposti dall’ordinamento

giuridico. Si tratta di un vero e proprio officium in capo al management qualora risultino

reversibili le condizioni societarie.

1.1DOVERI DI CORRETTA INFORMAZIONE SOCIETARIA (ART 2381,

6°CO, CC.)

15
Così P. MONTALENTI, Diritto dell’impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto
societario della crisi: appunti, in Giur. comm., 2018, p. 78.
Appurato che gli imprenditori esercitanti attività d’impresa in forma societaria

e/o collettiva, debbano fruire di adeguati assetti (organizzativi, amministrativi,

contabili), occorre verificare la seguente condizione: scil., se l’officium di corretta

informazione societaria sia capace di tutelare i creditori ‘indirettamente’, ai sensi

dell’articolo 2381, sesto comma del Codice civile16. Il contenuto di questo specifico

obbligo informativo risulta essere alquanto ampio; infatti, si ritiene che possa essere

acquisita qualsiasi informazione idonea a perseguire l’oggetto sociale, evitando che gli

amministratori operino inconsapevolmente. Tramite un flusso informativo

qualitativamente significativo17 il board amministrativo potrà rilevare, in virtù di una

valutazione prognostica, l’allestimento di una organizzazione societaria in grado di

scorgere gli eventuali prodromi o ‘indizi’ di un incipiente declino societario; in

particolare, verificando se sia stato eroso il capitale sociale18. Tale stima - espressione

dell’acquisizione di informazioni ‘adeguate’ e di un costante monitoraggio dei dati

(statico-dinamici) contabili – permetterà, inoltre, di valutare - nel medio e lungo

periodo - la sostenibilità dell’andamento programmato19. Non sembra, dunque,

16
L’articolo 2381, sesto comma de Codice civile così recita: “Gli amministratori sono tenuti
ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio
siano fornite informazioni relative alla gestione della società”.
17
Un simile requisito è rinvenibile nel Duty to monitor, espressione del più ampio Duty of
care, il quale pone l’accento non sulla quantità di informazioni ottenute, ma sulla qualità delle stesse.
Sul punto F. GHEZZI, I fiduciary duties degli amministratori nei Principles of Corporate
Governance, in Riv. soc., 1996.
18
Ad esempio, attraverso un adeguato flusso informativo ed un adeguato monitoraggio, sarà
possibile rispettare gli obblighi relativi alla capitalizzazione o alla liquidazione, a seguito di perdita
del capitale sociale al di sotto del minimo legale, come si vedrà nel proseguo della trattazione.
19
Nelle imprese di notevoli dimensioni, risulteranno fondamentali i piani industriali, i piani
finanziari ed i piani strategici, i quali consentiranno di acquisire un costante flusso informativo,
garantendo dunque il rispetto degli adeguati assetti amministrativi, organizzativi, contabili. Sul punto
F. BRIZZI, Doveri degli amministratori, Torino ,2015, pp. 208 e ss.
azzardato ritenere che il dovere di corretta informazione societaria si traduca nel

costante monitoraggio in merito all’adeguatezza patrimoniale della società e in merito

ai flussi finanziari societari20. Del resto, costanti valutazioni informativo-previsionali21

sono previste per: a) il going concern societario (articolo 2423-bis, comma 1° numero

1); b) l’evoluzione della gestione (articolo 2381, 5° comma); c) l’indicazione dei rischi

cui la società si espone (articolo 2428, 1° e 2° comma); d) ciò che concerne la

valutazione del bilancio societario, una palese espressione di controllo ex ante – svolto

nella compagine societaria – circa il corretto esercizio del potere gestionale.22 Ne deriva

che, quando più esatta, continua e qualitativamente elevata sia l’adeguatezza

dell’informazione societaria posseduta dagli amministratori non esecutivi 23: a) più

efficace e tempestiva risulterà l’accertamento della crisi; b) più cospicue saranno le

possibilità di conservare un alto valore dell’attività imprenditoriale; c) meno

agevolmente si potranno individuare la responsabilità per violazione dell’articolo

2381, 6°comma del codice civile.

20
Come sottolinea P. MONTALENTI, in I doveri degli amministratori, degli organi di
controllo e della società di revisione nella fase di emersione della crisi, in Diritto societario e crisi
d’impresa, 2014, p. 35, l’accento viene posto sulla informazione e sulla trasparenza della
informazione.
21
Trib. Milano, con sentenza del 2011 dispone che “Restano a capo degli amministratori
l’obbligo di corretta tenuta delle scritture contabili, di corretta redazione dei bilanci, di agire
informato”.
22
Il dovere conoscitivo preliminare, che si estrinseca nel dovere di monitoraggio costante
dell’andamento societario, è rinvenibile, come verificato nei precedenti paragrafi, anche negli
ordinamenti anglo-americani, quale logico presupposto del wrongful trading e della deeping
insolvency, così come nell’esperienza tedesca, dove il continuo monitoraggio è funzionale alla
conoscenza della insolvenza. Lo stesso dicasi per l’Action pour l’insuffisiance d’actif francese.
23
Ai sensi dell’articolo 2381 del Codice civile, se presenti deleghe gestorie, gli aspetti
puramente esecutivi del dovere di corretta informazione societaria spettano alla componente delegata,
mentre la valutazione della gestione, delle informazioni e dell’andamento spetta al consiglio di
amministrazione.
1.2 IL PARAMETRO DELLA CONTINUITÀ AZIENDALE

Col chiaro intento di favorire il tempestivo accertamento dello stato recessivo o

dei prodromi di uno squilibrio finanziario risulta cruciale il dovere (informativo-

preventivo) di monitorare la continuità aziendale della società.24 Nello specifico, gli

amministratori sono tenuti a valutare la situazione finanziaria e patrimoniale redigendo

un accurato bilancio di esercizio come disposto dall’articolo 2423-bis del Codice civile

e nei Principi IAS25. Non solo: l’accertamento della continuità aziendale deve

proiettarsi nei dodici mesi successivi alla redazione del bilancio, verificando

l’eventuale insorgenza di squilibri (finanziari, economici, societari). In tale ipotesi gli

amministratori devono provvedere sine mora al risanamento dell’impresa. Inoltre, ai

sensi dell’articolo 2428 del Codice civile, gli amministratori hanno il dovere di fornire

le informazioni relative all’evoluzione prevedibile della gestione, descrivendo anche i

rischi e le incertezze a cui la società si espone. Con l’ossequio dei doveri informativi-

previsionali sarà possibile valutare l’andamento societario nel medio-lungo termine,

24
Un ruolo fondamentale nel valutare la continuità aziendale è svolto dai liquidity tests, a
seguito dei quali seguirà l’accertamento della solvibilità e la corresponsione o meno di dividendi.
Così M. MIOLA, in Riflessioni sui doveri degli amministratori in prossimità della insolvenza, in Studi
in onore di Umberto Belviso, Bari, 2011, p. 623
25
“Nella fase di preparazione del bilancio, la direzione aziendale deve effettuare una
valutazione sulla capacità dell’entità di continuare ad operare come entità in funzionamento”. Così
IAS 1, numero 23.
scongiurando eventuali crisi d’impresa26. Suddetti officia, tutelanti gli interessi

societari e, indirettamente, quelli creditizi, sono caratterizzati un’intensità maggiore

qualora siano in fase conclusiva operazioni straordinarie (ad esempio, l’acquisizione

di un competitor dello stesso mercato), onde valutare l’adeguatezza dei flussi finanziari

futuri a ripagare l’operazione.27 In sede giudiziaria l’eventuale accertamento relativo

alle condotte degli amministratori si baserà sul presupposto della continuità aziendale,

accertando se le scelte gestionali mirino alla conservazione del valore e della continuità

aziendale. Viceversa, in situazioni di insolvenza, la stima del giudice si baserà su

presupposti liquidatori. La prognosi sulla mancanza di continuità aziendale,

comporterà la redazione del bilancio in ottica conservativa, con l’obiettivo di ritornare

in una situazione di equilibrio sostanziale, se non addirittura in ottica liquidatoria, in

condizioni di irreversibilità.28 Tutto ciò conferma l’essenzialità della valutazione della

continuità aziendale, attraverso cui è possibile valutare il grado di accortezza degli

amministratori nell’esercitare i loro doveri informativi-previsionali, in secondo luogo

consentirà di confermare o meno l’approssimarsi della situazione di crisi o addirittura

26
Accanto agli obblighi degli amministratori, si affiancano gli obblighi dei revisori legali, i
quali dovranno “valutare l’appropriato utilizzo da parte della direzione del presupposto della
continuità aziendale nella redazione del bilancio, e nel considerare se vi siano delle incertezze
significative sulla continuità aziendale dell’impresa tali da doverne dare informativa in bilancio”.
Così S. FORTUNATO, in Intervento, A.A.V.V., Le soluzioni concordate delle crisi d’impresa. Atti del
Convegno, a cura di A. Jorio, Milano, 2011, p.177.
27
Significativa risulta la disciplina ai sensi dell’articolo 2501-bis del Codice civile, la quale
richiede l’indicazione delle risorse finanziarie per soddisfare le obbligazioni nascenti dalla operazione
straordinaria.
28
Da non dimenticare la non assoluta coincidenza tra mancanza di continuità aziendale e
insolvenza; in alcuni casi, la mancanza di going concern può tradursi in “minaccia di insolvenza”.
Sul punto A. MAZZONI, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della
prospettiva di continuità aziendale, in A.A.V.V. Amministrazione e controllo nel diritto delle società.
Liber amicorum Antonio Piras, 2010, p. 833.
di insolvenza, stimolando in capo agli amministratori il dovere di attivarsi per la

risoluzione della crisi29.

2. L’OBBLIGO DI CONSERVAZIONE DELL’INTEGRITA’ DEL

PATRIMONIO SOCIALE. L’AZIONE EX ART 2394 DEL CODICE CIVILE

E LA QUESTIONE DELLE S.R.L.

Tra le diverse tecniche concepite in guisa di egida dei creditori sociali

rivestono un ruolo fondamentale le modalità organizzative della società. Esse

implicano un obbligo conoscitivo-previsionale – in ottica di continuità aziendale -

a carico dell’organo gestorio, onde limitare la discrezionalità degli amministratori

nel perseguimento dello scopo sociale. Tale vincolo, si è constatato, tutelerà, sia pur

indirettamente, i terzi estranei al corpo societario, rispettando la teoria dello

shareholder model. La nostra disamina, ora, intende appurare se una ‘garanzia’ più

29
È importante sottolineare come ancora una volta, secondo autorevole dottrina, in una
situazione di continuità aziendale i doveri fiduciari non saranno diretti ai creditori sociali, ciò viene
confermato dall’articolo 2394 del Codice civile il quale, come vedremo successivamente, dispone
l’azione di responsabilità in favore dei creditori solo in caso di pregiudizio al patrimonio sociale,
inidoneo a soddisfare i creditori. Sul punto A. ZOPPINI, in Emersione della crisi e interesse sociale
(spunti dalla teoria dell’emerging insolvency), in Osservatorio di diritto civile e commerciale, p. 35.
stringente - in condizioni recessive o di imminente insolvenza - sia riconosciuta

dall’ordinamento giuridico italiano. Nella fattispecie, una disciplina applicabile

esclusivamente alle società per azioni è rinvenibile nell’articolo 2394 del Codice

civile, prescrivente “l’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio

sociale”30. Suddetta disciplina permette di inferire l’esistenza di un ubi consistam

normativo applicabile a vantaggio dei creditori sociali31. Tuttavia, tale argomento

presta i fianchi a un’obiezione: esso, infatti, implica un ‘ribaltamento’ dello status

quo, poiché – occorre evidenziare - l’obbligo di cui all’articolo 2394 del Codice

civile inerisce esclusivamente alle società per azioni; dunque, va esclusa la sua

elevazione a disciplina di rango generale, estensibile a tutte le species di società di

capitali. Tale lacuna normativa, come ha puntualizzato una copiosa dottrina, si

riverbera soprattutto sulle società a responsabilità limitata, strumento densamente e

tradizionalmente impiegato nel ‘tessuto’ socio-economico nostrano, caratterizzato

30
L’articolo 2394 del Codice civile dispone che: “Gli amministratori rispondono verso i
creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del
patrimonio sociale. L'azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta
insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all'azione da parte della società non
impedisce l'esercizio dell'azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata
dai creditori sociali soltanto con l'azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi”.
31
Ampio è il dibattito sulla natura contrattuale o extracontrattuale dell’azione, così come sulla
sua natura autonoma o surrogatoria rispetto all’azione sociale. Se parte della dottrina, da un lato,
propende per la natura contrattuale dell’azione, da cui discende la necessità di provare la violazione
dell’obbligo (imposto ex lege), il danno prodotto ed il nesso causale tra condotta ed evento, i fautori
della tesi della natura extracontrattuale basano le loro motivazioni del principio neminem laedere, ex
articolo 2043 del Codice civile. Per quanto attiene invece alla natura autonoma o surrogatoria, i primi
sostengono che in caso di rinuncia all’azione della società, non viene travolta l’azione dei creditori
sociali, Inoltre il curatore esercita entrambe le azioni ex articoli 2393 e 2394 del Codice, ponendo
l’accento sull’autonomia delle stesse, così come la collocazione diversa delle prescrizioni delle due
azioni. Tra i diversi Autori che hanno trattato la materia, si veda M. FABIANI, Fondamento e azione
per la responsabilità degli amministratori di s.p.a. verso i creditori sociali nella crisi dell’impresa,
in Riv. soc., 2015.
da piccole e medie imprese – generalmente, a conduzione familiare. Analizzando la

disposizione in esame si può constatare come la ratio essendi dell’azione non sia la

tutela delle singole pretese creditorie ma la garanzia patrimoniale idonea a

soddisfare le istanze dei creditori32. In secondo luogo, il dovere di gestione

conservativa ‘declina’ un diverso modus operandi del più generale obbligo di

conduzione ‘razionale’ della società; officium adempiuto con diligenza e funzionale

a un duplice telos: a) realizzare l’obiettivo di lucro per gli azionisti; b) evitare

perdite capaci di deprimere il patrimonio sociale a detrimento dei creditori33. Poiché

in situazioni di piena solvenza della società gli interessi degli azionisti e dei

creditori, tendenzialmente, coincidono, il dovere di assicurare un sagace

management societario si traduce: a) nell’officium di perseguire lo scopo prefissato;

b) nell’obbligo di non dissipare il patrimonio sociale ‘centrando’ il target

societario.34 Tali doveri comportano valutazioni prognostiche sulla fattibilità di atti

gestori atti a conseguire l’oggetto sociale. Così essi si atteggiano alla stregua di

obblighi informativi-previsionali indispensabili per scongiurare la depressione del

patrimonio sociale e del suo valore.35 Come precedentemente accennato un analogo

32
Tale ricostruzione rispecchia il principio del neminem laedere, implicante la natura
extracontrattuale dell’azione. Se si fosse asserita la violazione di uno specifico obbligo previsto ex
lege, si parlerebbe di natura contrattuale.
33
Bisogna sottolineare come la violazione dell’obbligo di gestione conservativa, nell’ottica
creditoria, si realizza esclusivamente quando la società subisce perdite del patrimonio sociale,
escludendo dunque una eventuale violazione per il mancato realizzo di profitto in favore dei soci.
34
Non si dimentichi che i creditori potranno agire solo in caso di insufficienza patrimoniale,
tale da non garantire la soddisfazione delle pretese creditorie. Sul punto G.F. CAMPOBASSO, Diritto
commerciale. Diritto delle società, A.A.V.V., a cura di M. CAMPOBASSO, Utet giuridica, Milano,
pp. 381 e ss.
35
Sul punto F. BRIZZI, La mala gestio degli amministratori in prossimità dello stato di
insolvenza e la quantificazione del danno risarcibile, in Riv. dir. comm, 2008, p. 2450.
obbligo di conservazione del patrimonio sociale – introdotto dalla riforma del diritto

societario del 2003 - non è contemplato nella disciplina della s.r.l. riservante la

tutela esclusivamente alla società, al socio ed al terzo direttamente danneggiato.36

Una prima soluzione prospettata dalla dottrina ‘adotta’ la responsabilità interna

degli amministratori verso la società qualora gli interessi dei soci e dei creditori

coincidano37. Una seconda soluzione indica come possibile strumento di tutela i

rimedi provenienti dall’area dell’autonomia privata.38 La querelle dottrinaria ha

sollecitato il ‘nomoteta’ ad allestire una disciplina specifica per le s.r.l.; ciò ha

prodotto la disposizione di cui all’articolo 14, 1° comma, lettera a della legge delega

numero 155 del 2017. Essa sancisce l’applicabilità dell’articolo 2394 del Codice

civile alle società a responsabilità limitata ponendo fine alle tensioni ermeneutiche

e alle pregresse ricostruzioni. Queste ultime, tuttavia, consentono di desumere come

l’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale - nonostante la sua

diversa formulazione nelle ipotesi di s.p.a. e di s.r.l. - costituisca un importante

incentivo, una ‘misura di profilassi’ che mira a prevenire situazioni recessive o di

36
Nel testo originale del Codice civile del 1942, la disciplina delle società a responsabilità
limitata richiamava totalmente la disciplina delle società per azioni. Nella fattispecie, l’articolo 2487
del Codice civile, relativo alle s.r.l., rinviava alle responsabilità previste per le s.p.a., neutralizzando
di conseguenza i dibattiti in tema di azione dei creditori. Così M. MOZZARELLI, Responsabilità degli
amministratori e tutela dei creditori nella s.r.l., Torino, 2007, pp.3 e ss.
37
La differenza di disciplina in materia di responsabilità a tutela dei creditori tra s.p.a. e s.r.l.,
sta nella considerazione secondo cui nelle s.r.l., i rapporti tra le parti avvengono in un’ottica di
vicinanza comune, laddove invece nelle s.p.a., il rapporto tra board e creditori si realizza attraverso
l’analisi del patrimonio sociale. Sul punto F. BRIZZI, Doveri degli amministratori nel diritto
societario della crisi e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, p. 178.
38
M.MOZZARELLI, Responsabilità degli amministratori e tutela dei creditori nella s.r.l.,
Torino, 2007, pp.17 e ss., auspica un correttivo alla insufficienza della Binnenveranwortung,
attraverso la esplicita previsione dell’azione di responsabilità in favore dei creditori, oltre ai costosi
rimedi self help.
insolvenza – o, addirittura, a gestirle. Il cardine resta il dovere di evitare atti gestori

dannosi per il patrimonio sociale con l’obbligo di ripianare le perdite patrimoniali,

in caso di pregiudizio dello stesso39.

3.L’OBBLIGO DI RIDUZIONE O DI REINTEGRAZIONE DEL CAPITALE

SOCIALE (ART 2446 e 2447 cc.) E L’APPLICAZIONE DELL’ART 182-SEXIES L.

FALL.

Come prospettato nei precedenti paragrafi, una efficace tutela (indiretta) dei

creditori sociali è rinvenibile nel costante monitoraggio della situazione economica,

finanziaria e patrimoniale della società, attraverso il raffronto dei dati contabili-

aziendali con il parametro della continuità aziendale. Nel momento in cui viene meno

il presupposto del going concern, emerge inevitabilmente il dovere per gli

amministratori di attivarsi per la soluzione della crisi d’impresa, ed in tale ottica

vengono in rilievo gli articoli 2446 e 2447 del Codice civile40 (per le s.r.l. gli articoli

39
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 2004, ha sancito che “in sede di azione sociale di
responsabilità incombe sull’attore la prova articolata su tre elementi: inadempimento
dell’amministratore di uno o più obblighi, nesso causale tra condotta e danno, danno (danno
emergente e lucro cessante), commisurandolo al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un
determinato comportamento illegittimo non fosse stato compiuto.”
40
Articolo 2446 del Codice civile: “Quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo
in conseguenza di perdite, gli amministratori o il consiglio di gestione, e nel caso di loro inerzia il
collegio sindacale ovvero il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare l'assemblea
per gli opportuni provvedimenti. All'assemblea deve essere sottoposta una relazione sulla situazione
2482-bis e 2482-ter del Codice civile), prevedendo l’obbligo per gli amministratori di

convocare senza indugio l’assemblea per deliberare gli opportuni provvedimenti,

depositando inoltre una relazione sulla situazione patrimoniale della società.41 Tale

relazione, di fondamentale importanza, conterrà tutti quegli elementi necessari a

verificare se vi siano margini di continuità aziendale, analizzando se la depressione

patrimoniale della società sia temporanea o destinata a prolungarsi anche in futuro.

L’articolo 2447 del Codice civile non pone molti dubbi nel ritenere che in caso di

perdite tali da ridurre il capitale al di sotto del minimo legale, due saranno le possibilità:

ricapitalizzare oppure trasformare la società in una forma diversa. Risulta labile il

confine tra funzione preventiva e funzione di gestione della situazione di crisi, poiché

da un lato, tali strumenti sono idonei ad evitare l’aggravarsi della situazione societaria,

d’altro canto sono idonei a gestire la situazione di crisi, valutando la possibilità di

patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato per il controllo
sulla gestione. La relazione e le osservazioni devono restare depositate in copia nella sede della
società durante gli otto giorni che precedono l'assemblea, perché i soci possano prenderne visione.
Nell'assemblea gli amministratori devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione
della relazione. Se entro l'esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo,
l'assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve
ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza gli amministratori e i sindaci o
il consiglio di sorveglianza devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale
in ragione delle perdite risultanti dal bilancio. Il tribunale provvede, sentito il pubblico ministero, con
decreto soggetto a reclamo, che deve essere iscritto nel registro delle imprese a cura degli
amministratori (…)”

Articolo 2447 del Codice civile: “Se, per la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si
riduce al disotto del minimo stabilito dall'articolo, gli amministratori o il consiglio di gestione e, in
caso di loro inerzia, il consiglio di sorveglianza devono senza indugio convocare l'assemblea per
deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non
inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società”.

41
Il deposito della situazione patrimoniale delle società indica chiaramente che la disposizione
in discussione opera in un momento in cui la crisi possa essere considerata “grave”, operando dunque
su un terreno contiguo alla insolvenza.
risanare la società o di procedere inevitabilmente alla liquidazione. 42 Poiché la perdita

del capitale sociale non necessariamente comporta la perdita della continuità aziendale,

con il decreto legge del 22 giugno del 2012, numero 83, è stata introdotta la possibilità

di posticipare gli obblighi inerenti alla riduzione o all’aumento del capitale sociale,

attraverso l’articolo 182-sexies legge fallimentare, disposizione borderline tra diritto

delle società e diritto delle procedure, qualora sia stata proposta istanza di concordato

preventivo43 o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Tale

strumento permette di garantire la continuità aziendale qualora sia ancora possibile,

generando una sospensione dell’obbligo di gestione conservativa di cui all’articolo

2486 del Codice civile (a seguito di perdita del capitale), permettendo la realizzazione

di una serie di piani e opzioni imprenditoriali altrimenti precluse. 44 Viene dunque

consentita la ristrutturazione societaria, ma contemporaneamente, secondo autorevole

dottrina, viene introdotto un vulnus al sistema del capitale sociale quale “condicio sine

qua non” ai fini del perseguimento dell’oggetto sociale45. In realtà, può risultare

conveniente un piano di ristrutturazione idoneo a perseguire interessi diversi, purché il

laissez faire concesso agli amministratori sia controbilanciato da una serie di doveri in

42
Non si dimentichi che ai sensi dell’articolo 2484, 1°comma, numero 4 del Codice civile, la
riduzione del capital al di sotto del minimo legale è causa di scioglimento della società.
43
Attraverso il concordato con continuità aziendale, di cui all’articolo 186-bis legge
fallimentare, ora articolo 84 del Codice della crisi d’impresa e della insolvenza.
44
Attraverso la legge delega numero 155 del 2017, all’articolo 14 1° comma, lettera d, ha
esteso la possibilità di sospensione degli obblighi a seguito di perdita del capitale sociale al di sotto
del minimo legale, in caso di attivazione delle misure protettive previste nell’ambito delle procedure
di allerta e di composizione assistita della crisi, in aggiunta agli accordi di ristrutturazione dei debiti
e del concordato preventivo.
45
Sostenitore della teoria del vulnus all’istituto del capitale sociale è A. ROSSI, in La
governance dell’impresa in fase di ristrutturazione, in Fall., 2015.
favore dei creditori, da esplicare durante la fase di esecuzione della ristrutturazione.46

Attraverso la sospensione degli obblighi a seguito di riduzione del capitale al di sotto

del minimo legale, due saranno gli obiettivi da perseguire: in primo luogo, bisognerà

evitare che la crisi si trasformi in insolvenza vera e propria, in secondo luogo

predisporre la riorganizzazione e la pianificazione societaria, in modo da tutelare gli

interessi della società ed indirettamente gli interessi dei creditori.

3.1 LA REGOLA ‘RICAPITALIZZA, LIQUIDA O TRASFORMA’

Poiché i recenti orientamenti a livello internazionale propendono a conservare il

valore dell’impresa47, occorre esaminare i parametri della regola “ricapitalizza,

trasforma o liquida”, consona più alla tutela dei creditori che a quella di interessi

eterogenei. Qualora si verifichi una riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo

46
Diverse sono le opinioni in merito ai doveri degli amministratori nell’attuazione della fase
di ristrutturazione; una prima tesi sostiene che attraverso l’articolo 182-sexies legge fallimentare, si
ritorni all’obiettivo di perseguire il lucro. Tale ricostruzione, tuttavia, sconta il paradosso che consiste
nel riattivare un meccanismo che ha contribuito alla crisi. Una seconda tesi sostiene che l’obbligo di
gestione conservativa pervada anche la fase di ristrutturazione, attraverso la garanzia del “miglior
soddisfacimento dei creditori”, ma che purtroppo non tiene conto delle finalità di recupero della
continuità aziendale. Come sostiene A. ROSSI, Ivi, in Fall., 2015, una posizione intermedia si avrebbe
attraverso la ‘gestione sostitutiva’, ossia in una gestione non innovativa, ma che permetta il ritorno
all’equilibrio originario, non pregiudicando i creditori.
47
In modo da evitare crisi d’imprese a catena, tali da deprimere un intero settore economico.
Così A. MAZZONI, in La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della
prospettiva della continuità aziendale, in A.A.V.V., Amministrazione e controllo nel diritto delle
società. Liber amicorum Antonio Piras, 2010, pp. 831 e ss.
legale, le opzioni individuate dal legislatore del 1942 risultano essere poco ‘flessibili’

rispetto al going concern; è preferibile, dunque, tramite riferimento all’articolo 182-

sexies legge fallimentare, l’impiego di strumenti negoziali. Questa opzione non

comporta una preventiva ricapitalizzazione della società con la sospensione degli

obblighi sottesi alla regola in esame. Nella fattispecie, ripristinando il capitale minimo

- ma senza un efficiente piano di riordino aziendale - si otterrebbe la mera

procrastinazione della futura liquidazione; lo stesso dicasi per la trasformazione in un

diverso tipo societario. In caso di liquidazione della società risulta quantomeno palese

il contrasto tra finalità ‘continuative’ e finalità liquidatorie, al massimo potendosi

ammettere una persistenza dell’attività per soddisfare al meglio le pretese creditorie.48

Ancora, onde evitare operazioni spericolate tra l’avverarsi della causa di scioglimento

ed il deposito di una istanza di soluzione negoziale della crisi, rimane ferma

l’applicazione dell’articolo 2486 del Codice civile, imponente agli amministratori una

gestione conservativa dell’impresa. In tal modo si cerca di non pregiudicare

ulteriormente i creditori49. Presentata la domanda di concordato o la domanda di

omologazione dei piani attestati di risanamento – adempiendo ai doveri di corretta

48
Come ha sottolineato autorevole dottrina, risulta poco comprensibile la sospensione
dell’articolo 2446 del Codice civile, in quanto dispone esclusivamente l’adeguamento del capitale
nominale a quello reale. Lo stesso dicasi per l’articolo 2482 del Codice civile, ponendosi dunque non
in contrasto con gli strumenti negoziali di risoluzione della crisi. Sul punto V. CALANDRA BONAURA,
in La gestione societaria della società in crisi, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società.
Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, pp. 2600 e ss.
49
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 2001, dispone che il curatore fallimentare,
nell’esercitare le azioni di responsabilità “Il danno provocato dagli amministratori di società di
capitali attraverso la prosecuzione delle attività in un periodo successivo alla perdita del capitale
sociale, deve essere individuato nella differenza tra i patrimoni netti all’inizio ed alla fine del periodo
in esame”, ritenendosi favorevole all’applicazione della ‘Teoria dei netti patrimoniali’, in
contrapposizione alla Teoria equitativa del “deficit fallimentare”, il quale individua la somma nella
differenza tra attivo e passivo della liquidazione giudiziale.
amministrazione societaria - la sospensione degli obblighi opererà fino a conclusione

della procedura. Successivamente si prospettano tre ipotesi: a) ritorno alla continuità

aziendale: gli strumenti negoziali avranno raggiunto i risultati sperati; b) se l’esito delle

procedure sarà negativo si procederà alla ricapitalizzazione della società, qualora sia

possibile; c) quando la situazione risulta talmente compromessa da non consentire la

ricapitalizzazione si procederà a liquidazione.50 Pertanto, più che parlare di mera

ricapitalizzazione o liquidazione, dovrebbe discutersi di risanamento,

ricapitalizzazione o liquidazione per ritornare al going concern.

3.2 IL DOVERE DI CONSERVAZIONE DEL VALORE DELL’IMPRESA

(Art. 2486 cc.) IN CONDIZIONI DI SQUILIBRIO PATRIMONIALE. DAL

PERSEGUIMENTO DEL PROFITTO ALLA GESTIONE CONSERVATIVA

Nel momento in cui si delinea, etiologicamente, lo scioglimento della società ex

articolo 2484, 1° comma, numero 4, (scil., per riduzione del capitale al di sotto del

minimo legale) occorre tutelare i creditori onde scongiurare evitare che lo sbilancio

50
Sulla “prosecuzione dell’attività d’impresa funzionale al soddisfacimento dei creditori”, si
legga C. CINCOTTI, F. NIEDDU ARRICA, in Continuità aziendale, capitale e debito. La gestione del
risanamento nelle procedure di concordato preventivo, in Impresa e mercato tra concorrenza e regole,
2013.
patrimoniale traligni anche in squilibrio, disavanzo finanziario51. Ora, nel nostro

ordinamento giuridico lo stato di insolvenza si manifesta con adempimenti a carattere

esclusivamente finanziario; pertanto è possibile che, pur verificandosi una perdita di

capitale sociale, la società sia capace di adempiere alle proprie obbligazioni. I creditori

saranno esposti al rischio di assistere a un ulteriore declino societario, implicante

l’inadeguatezza dei flussi di cassa per ‘coprire’ le obbligazioni. Per tali ragioni,

l’ordinamento nostrano predispone l’obbligo di gestione conservativa52 - di cui

all’articolo 2486 del Codice civile - in caso di riduzione al di sotto del minimo legale

del capitale sociale onde garantire “l’integrità ed il valore del patrimonio sociale”.53 La

norma intende soddisfare i creditori tramite la funzione (preventivo-informativa) della

riduzione del capitale sociale, scongiurando una progressiva distruzione degli assets

societari. Tale disciplina, introdotta con la riforma del 2003, ha sancito addirittura la

doverosità della prosecuzione dell’attività di impresa - in caso di manifestazione di una

causa di scioglimento ed in fase di liquidazione della società - a condizione che tale

prosecuzione assicuri la preservazione dei valori dell’impresa 54, a beneficio dei

51
Già attraverso la disciplina dello scioglimento della società, viene svolta una efficiente
tutela preventiva dei creditori, in modo tale da evitare che, in caso di riduzione del capitale al di sotto
del limite legale, non venga prodotto lo sbilancio societario ed in caso di scioglimento per
impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale, non venga realizzata l’ipotesi di illiquidità. Così
F. BRIZZI, Doveri degli amministratori nel diritto societario della crisi e tutela dei creditori nel
diritto societario della crisi, Torino, 2015 p. 291.
52
Oltre a tale obbligo, gli amministratori dovranno porre in essere gli adempimenti pubblicitari
necessari, ai sensi dell’articolo 2485 del Codice civile.
53
Ai sensi dell’articolo 2486 del Codice civile, “Al verificarsi di una causa di scioglimento e
fino al momento della consegna di cui all'articolo 2487 bis, gli amministratori conservano il potere di
gestire la società, ai soli fini della conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale
(…)”
54
Sul punto, approfonditamente, F. BRIZZI, Responsabilità gestorie in prossimità dello stato
di insolvenza e le quantificazioni del danno risarcibile, in Riv. dir. comm., 2008. La vecchia
disciplina, al contrario, prevedeva il divieto di effettuare e di intraprendere nuove operazioni.
creditori. Tale disposizione, esito della recente riforma, contiene elementi che già

precedentemente la giurisprudenza era riuscita ad estrapolare, prescrivendo il divieto

di quelle operazioni finalizzate al lucro55. Tuttavia, è bene ricordare che tale officium

comporta un’applicazione meramente transitoria; infatti, in maniera complementare,

gli amministratori sono tenuti ad attivarsi per la ristrutturazione, - qualora la società

versi in condizioni di reversibilità – impiegando gli strumenti negoziali di risoluzione

della recessione56.

Quando la crisi è conclamata si passerà dai doveri informativi-preventivi a

obblighi gestori, con l’intento di ‘ripristinare’ le condizioni di piena solvibilità,

contribuendo a rimuovere le cause di scioglimento sopravvenute. Tale officium,

presupporrà la conoscenza dello stato recessivo57, previa raccolta di tutte le

informazioni utili a predisporre decisioni efficaci da parte del management. Si

procederà, poi, a definire un programma di risanamento inteso a superare le difficoltà

economiche58. Suddetti doveri, è bene rammentare, sono funzionali al perseguimento

L’Autore risulta dunque favorevole ad una concezione dinamica del dovere di conservazione
dell’integrità patrimoniale.
55
La mera prosecuzione dell’attività amministrativa in presenza di una causa di scioglimento
della società, non può essere di per sé considerata quale causa di aggravamento del dissesto
finanziario della società poi fallita, poiché le condotte compiute dagli amministratori potrebbero, in
base ad un giudizio ex ante, essere del tutto neutre, se non addirittura positive per evitare alla società
perdite ancora più gravi. Così il Tribunale di Ivrea, 2006.
56
Nella legge delega numero 155 del 2017, l’articolo 14, 1 °comma, numero c, ha indicato
come causa di scioglimento delle società di capitali l’accesso alla procedura di liquidazione
giudiziale, pertanto la gestione degli amministratori dovrà essere improntata alla conservazione del
valore dell’impresa, in favore dei creditori sociali, eventualmente autorizzando operazioni che la
consentano.
57
F. BRIZZI, in Proposte concorrenti nel concordato preventivo e governance della impresa
in crisi, in Giur. comm., 2017, p 343 I, parla della doverosità degli amministratori di realizzare le
prospettive di risanamento, quale espressione del principio di corretta amministrazione.
58
A. NIGRO, D. VATTERMOLI, in Disciplina delle crisi dell’impresa societaria, doveri degli
amministratori e strumenti di pianificazione. L’esperienza italiana, in Crisi d’impresa ed insolvenza,
degli interessi dei soci; infatti, solo nelle ipotesi di insolvenza prevalgono gli interessi

dei creditori59. D’altro canto, qualora il risanamento aziendale abbia felice esito,

indirettamente ne beneficeranno anche i creditori. Merita particolare attenzione la

diatriba dottrinaria sulle differenze e analogie tra il concordato in continuità aziendale

ed il concordato meramente liquidatorio; querelle ‘stimolata’ dall’assenza di un netto

discrimen tra le due species. Nonostante le diverse speculazioni a riguardo, autorevole

dottrina60 distingue le due fattispecie di concordato in ordine al perseguimento di

finalità conservative o lucrative. In merito al concordato in continuità aziendale, in

prossimità di insolvenza, previo parere favorevole dei creditori, la gestione della

società – e, conseguentemente, i doveri degli amministratori - potranno essere

considerati risk-oriented. Così potrà essere perseguita la finalità di lucro. Viceversa, in

caso di concordato meramente liquidatorio la gestione dell’impresa si conformerà al

dettato dell’articolo 2486 del Codice civile, effettuando una gestione che miri a

garantire il valore dell’impresa61.

2018, indicano come potenziali strumenti di soluzione negoziale della crisi, in base al grado di
difficoltà dell’impresa, il piano attestato di risanamento (accordi negoziali stragiudiziari, non soggetto
ad omologazione), gli accordi di ristrutturazione dei debiti (accordi negoziali stragiudiziari che
necessitano di omologazione), infine il concordato preventivo.
59
In una pronuncia della Cassazione del 2008, numero 4728, si parlava di “spossessamento
attenuato”, in riferimento al concordato preventivo, indicando dunque la necessità di un equo
contemperamento di interessi sociali e dei creditori.
60
È la ricostruzione di E. BARCELLONA, in Concordato con continuità aziendale: quale il
quid dell’istituto?, bozza, 2014, pp. 5 e ss.
61
Si tenga presente che, come affermato da F. BRIZZI, in Proposte concorrenti nel concordato
preventivo e governance dell’impresa in crisi, Giur. comm., 2017, pp.363 e 364, nelle more delle fasi
inerenti alle trattative, gli amministratori avranno il dovere di garantire una gestione conservativa,
ulteriore rispetto all’articolo 2486 del Codice civile, mentre nelle fasi successive alle trattative, la
gestione sarà improntata alla riorganizzazione o alla liquidazione, in base all’accordo raggiunto.
4. DOVERE DEGLI AMMINISTRATORI DI ATTIVARSI PER LA

SOLUZIONE DELL’AGGRAVAMENTO DELLA CRISI D’IMPRESA (ART 323

C.C.I.)

Qualora gli strumenti negoziali di soluzione della crisi d’impresa siano ‘falliti’,

occorre verificare se il nostro ordinamento giuridico contempli una disposizione che

imponga agli amministratori di attivare una procedura liquidatoria62 onde evitare un

duplice incommodum: a) la dispersione totale del valore patrimoniale societario; b) il

nocumento ai creditori sociali. Al riguardo, nel nuovo Codice della crisi d’impresa e

dell’insolvenza, è possibile rinvenire un ‘timido’ e parziale tentativo di configurare tale

obbligo. Ad esempio, l’articolo 4, 2° comma lettera b di suddetto Codice dispone che

il debitore ha il dovere di “assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida

definizione della procedura, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori”.

Risulta chiara la funzione preventiva esplicata da tale disciplina, intesa a realizzare il

massimo valore dei beni societari nell’interesse dei creditori. In secondo luogo,

l’articolo 37 del Codice della crisi d’impresa indica come legittimato attivo alla

proposizione del ricorso il debitore-imprenditore, non chiarendo tuttavia se si tratti di

una facoltà o di un diritto soggettivo.63 In terzo luogo, dall’esame dell’articolo 323 del

C.C.I., 1°comma, lettera d, si evince che il debitore realizza la fattispecie della

62
Dovere che spetta agli amministratori, senza necessità di approvazione da parte
dell’assemblea degli azionisti, in base all’articolo 2380-bis del Codice civile.
63
Due sono le teorie al riguardo: c’è chi sostiene che si tratti di un mero atto di impulso
processuale, mentre chi sostiene che si tratti dell’esercizio processuale della realizzazione del diritto
soggettivo. Sul punto F. BRIZZI, Doveri degli amministratori nel diritto societario della crisi e tutela
dei creditori nel diritto societario della crisi, Torino, 2015, p. 318, nota 469.
bancarotta semplice quando “abbia aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal

richiedere la dichiarazione di apertura della propria liquidazione giudiziale o con altra

colpa grave”. Attraverso il combinato disposto delle norme in esame ci si è chiesti se

spetti agli amministratori l’obbligo di richiedere l’accesso ad uno strumento di

liquidazione giudiziale – qualora la società versi in condizioni di irreversibilità - oppure

se un siffatto dovere non sussista.64 Poiché un esplicito rinvenimento normativo a tale

officium risulta, attualmente, assente - nonostante la recente riforma del diritto delle

procedure - occorre esaminare gli articoli 2394 e 2486 del Codice civile. In altri

termini, si parte dal presupposto di evitare l’acuirsi degli squilibri societari determinata

da una condotta risk-oriented – in assenza di prospettive ‘valetudinarie’ -, tramite un

duplice obbligo: a) scongiurare l’ulteriore erosione del patrimonio societario; b)

attivarsi per la soluzione del dissesto onde garantire le pretese creditizie. 65 Più

precisamente, nelle ipotesi di insolvenza imputabile a grave riduzione degli assets

patrimoniali, la gestione dell’impresa dovrà perseguire il massimo incremento dei

valori societari a soddisfazione dei creditori. In caso di insolvenza addebitabile a

carenza dei flussi finanziari - unitamente allo sbilancio patrimoniale – si dovrà proporre

senza esitazione il concordato liquidatorio o la liquidazione giudiziale.66

64
L. STANGHELLINI, in La crisi d’impresa tra diritto ed economia, Bologna, 2007, p. 42 è
favorevole alla introduzione di un siffatto obbligo, indicando come negli ordinamenti stranieri, specie
in quello spagnolo (articolo 5 della Ley Concursal 22/2003), sia già prevista tale regola.
65
D’altro canto, il dovere di corretta amministrazione impone di evitare che, dal passaggio
dalla corporate governance alla bankruptcy governance, i creditori siano privi della garanzia
patrimoniale, il che comporterebbe una sconfitta non solo per i suddetti, ma anche per il sistema di
tutele, inadatto a garantire la soddisfazione degli interessi in gioco.
66
In caso di carenza di liquidità, ma con l’assenza dello sbilancio patrimoniale, l’insolvenza
potrà essere evitata attraverso una apposita programmazione che permetta di valutare se ci si trovi in
4.1 I DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI IN ESECUZIONE DI TALI MISURE

Le precedenti conclusioni ci consentiranno di ‘profilare’ gli officia spettanti agli

amministratori quando si apre una procedura liquidatoria prevista dal diritto

concorsuale. In primo luogo, si verifica la transizione dalla corporate governance -

espressione del diritto societario applicato a situazioni di solvibilità e di crisi

(finanziaria, economica e, talora, patrimoniale) -67, alla bankruptcy governance, che

punta a conservare la garanzia patrimoniale su cui gli stakeholders potranno rivalersi.

Risulta palese come gli interessi dei creditori – costituenti, in principio, un limite alla

prassi amministrativa -, diventino, nel corso del passaggio, l’obiettivo da perseguire

(attraverso lo strumento della liquidazione), imponendo una gestione che valorizzi gli

elementi (finanziari e patrimoniali) della società. Ciò implicherà, dunque, lo shifting

da una gestione risk-oriented ad una creditor-oriented, tramite lo ‘spossessamento’

della ‘direzione’ a beneficio del curatore, nominato con provvedimento di apertura

condizioni di reversibilità o meno, dunque previo ‘test di risanabilità’, così come prospettato da A.
LUCIANO, La gestione delle s.p.a. nelle crisi pre-concorsuale, Milano, 2016, p. 158.
67
Sarà applicata la governance delle società solvibili a situazioni di sbilancio patrimoniale
qualora vi siano buone prospettive di recupero del going concern, altrimenti si passerà al sistema
liquidatorio.
della procedura liquidatoria. L’indagine, infine, si focalizzerà sul rapporto

(processuale) tra Autorità giudiziaria ed amministratori, in particolare sulla

sindacabilità o meno delle scelte gestionali effettuate dal management. Nello specifico,

valuteremo se la B.J.R. possa trovare applicazione anche nel nostro ordinamento; in

secondo luogo, appureremo se la regola - di matrice statunitense – sia ‘invocabile’ nelle

opzioni degli amministratori circa l’applicabilità di uno degli strumenti risolutivi della

crisi previsti dall’ordinamento giuridico italiano.

5. LA BUSINESS JUDGMENT RULE NELLE SITUAZIONI DI CRISI E DI

INSOLVENZA
L’impiego ‘sinergico’ di rimedi eterogenei - appartenenti al diritto societario e a

quello delle procedure concorsuali - permette una discreta tutela degli interessi

creditizi nell’attivazione di una procedura giudiziale. Viceversa, in condizione di piena

solvibilità, gli interessi dei suddetti ‘funzioneranno’ come ‘demarcazioni’ esterne al

management. A questo punto del discorso occorre considerare l’estensione e i limiti

relativi all’applicazione della Busines Judgment Rule68; nello specifico, si tratterà di

analizzare la seguente alternativa: a) se gli amministratori, selezionando lo strumento

più idoneo a garantire la risoluzione della crisi, siano sottoposti al criterio valutativo

della B.J.R.; b) se, l’ordinamento giuridico sia, sostanzialmente, indifferente alla scelta

tra uno o l’altro rimedio. Successivamente, bisognerà valutare se l’accertamento

giudiziale sia estensibile anche al merito delle decisioni, dilatando, conseguentemente,

la cognizione riservata all’Autorità giudiziaria.

Dottrina e giurisprudenza concordano sull’esonero di responsabilità degli

amministratori in caso di ‘flop’ economico della firm, onde evitare l’eccessivo

irrigidimento del sistema. Questo approccio impedirà la sovrapposizione di valutazioni

riferibili al giudice e all’amministratore; più specificamente, l’accertamento del

giudice riguarderà, esclusivamente, profili di diritto, non indugiando a ‘sottigliezze’ e

‘tecnicismi’; la prudenza degli amministratori nella conduzione della società non

68
Per una rapida ricostruzione storica dell’istituto, si rimanda a D. SEMEGHINI, Il dibattito
statunitense sulla Business Judgment Rule. Spunti per una rivisitazione del tema, in Riv. dir. soc.,
2013, pp. 206 e ss. In particolare, si ricordi come nell’ordinamento giuridico americano, stretta è la
correlazione tra B.J.R. e il duty of care in capo agli amministratori di società.
tralignerà in condotte pavide o inerti69. Costoro, dunque, potranno sbagliare in merito

alle scelte gestionali, purché si tratti di errori non macroscopici, parametrati mediante

il criterio della diligenza70. Solo dopo la valutazione della condotta tramite il criterio

della diligenza, si potrà inferire se una scelta sia insindacabile o meno, purché non

risulti palesemente irrazionale. In tal senso, il ricorso al requisito della diligenza

consentirà di stimare l’iter procedurale funzionale all’adozione di una certa decisione,

“assumendo tutte quelle cautele, verifiche ed informazioni preventive che la diligenza

professionale71, in relazione ad una determinata decisione, normalmente richiede”72.

Ad esempio, nell’ipotesi in cui un piano di risanamento non abbia ‘centrato’ il target

prognosticato, l’eventuale danno verrà accertato considerando la mancata o deficitaria

diligenza degli amministratori sulla scelta dello strumento più idoneo alla risoluzione

della crisi, non avendo acquisito le informazioni necessarie. Se la diligenza sarà

rispettata – adempiendo al dovere di agire informato – si applicherà la Business

69
Concetto che venne espresso dalla giurisprudenza della Cassazione del 1970, numero 558,
per cui “il giudice investito dell’azione di responsabilità sociale contro gli amministratori non può
contestare gli addebiti che rientrino nella categoria degli atti di gestione, sulla base di criteri
discrezionali di opportunità e convenienza, poiché in tal modo sostituirebbe ex post il proprio
apprezzamento soggettivo a quello espresso o attuato dall’organo all’uopo legittimato”.
70
Se nell’ordinamento giuridico statunitense viene generalmente utilizzata la B.J.R. quale
strumento di eventuale esenzione della responsabilità da parte degli amministratori, nell’ordinamento
giuridico italiano è possibile pervenire alle medesime conseguenze attraverso ‘strade differenti’. Si
parla a tal punto del criterio della diligenza, dell’adeguatezza degli assetti societari, della
ragionevolezza e della diligenza dell’iter decisionale e della decisione finale. Vasta è la letteratura sul
tema, tra i tanti Autori, si rimanda a C. ANGELICI, in Diligentia quam in suibus e business judgment
rule, in Riv Dir. Comm., 2006, I, pp. 675 e ss.
71
La Corte di Cassazione, con sentenza del 2009, numero 18231, dispone che “resta valutabile
la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da
intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite, altrimenti prevenibili.”. Lo stesso secondo la
Cassazione numero 3409 del 2013.
72
Ciò avverrà attraverso la costante realizzazione del duty to monitor, il quale permetterà di
assumere tutte quelle informazione idonee ai fini della emanazione di una decisione corretta. Così F.
GHEZZI, I fiduciary duties degli amministratori nei Principles of Corporate Governance, in Riv. soc.,
1996, p. 492.
Judgment Rule; diversamente verrà addebitata agli amministratori la noxa del danno

cagionato alla società o ai creditori. Lo stesso vale nell’ipotesi in cui siano state

acquisite tutte le informazioni necessarie, ma la decisione finale risulti ‘dissennata’:

ciò implicherà la non applicazione della B.J.R. Più in generale, parte della dottrina

ritiene che la condotta degli amministratori sia esente da responsabilità allorché la

decisione persegua l’interesse sociale; tale posizione, tuttavia, non considera che la

nozione di interesse sociale può essere ‘colmata’ da contenuti eterogenei, specialmente

quando gli interessi degli amministratori e degli azionisti (di minoranza) non

collimano73. Un altro approccio teorico la teoria ritiene che una scelta - basata su

informazioni qualitativamente elevate - sia la diretta conseguenza di adeguati assetti

(organizzativi, amministrativi e contabili); ciò configura il dovere, in capo agli

amministratori, di predisporre una struttura idonea a collazionare i dati indispensabili

alla decisione74. Suddetta formulazione, come ha obiettato autorevole dottrina, esibisce

un ‘punto debole’: trascura, infatti, il presupposto secondo cui la selezione di un

determinato modello organizzativo non implica l’assunzione di rischio imprenditoriale,

trattandosi di discrezionalità puramente tecnica. Ora, l’esenzione della responsabilità

amministrativa può essere ricostruita nei seguenti termini: in primis occorre una

adeguata struttura organizzativo-procedimentale – ‘plasmata’ da discrezionalità

tecnica e da corretta gestione imprenditoriale – in grado di comunicare tutte le

73
Sul punto C. ANGELICI, in Interesse sociale e Business Judgment Rule, in Riv. dir. Comm.,
2012, I, pp. 532 e ss., in cui indica l’interesse sociale come una ‘variabile’ di difficile identificazione,
poiché plasmabile di contenuti diversi in base al contesto economico-giuridico in cui si trovi.
74
Così M. IRRERA, in Gli obblighi degli amministratori di società per azioni tra vecchie e
nuove clausole generali, in Riv. dir. soc., 2011, pp. 358 e ss.
informazioni ‘strategiche’ alla conduzione della società. Successivamente, ovvero in

fase decisionale, si dovranno assumere i dati qualitativamente significativi onde

valutare la decisione finale nell’ottica della ragionevolezza/razionalità rispetto

all’obiettivo prefissato. I criteri di accertamento adottati possono orientare,

agevolmente, la scelta dello strumento giuridico impiegato per risolvere la crisi o lo

stato di insolvenza.75 La scelta effettuata dagli amministratori, inoltre, dovrà tener

conto di due fattori: il livello e la gravità della crisi. In caso di iniziale incertezza,

suddetto ‘discernimento’ consentirà l’utilizzo dei piani attestati di risanamento –

trascendenti i limiti giudiziali ed esigenti solo l’attestazione di un professionista

indipendente. Verrà attuato il rimedio degli accordi di ristrutturazione debitoria, con

successivo deposito dell’accordo in Tribunale ai fini della omologazione. Infine, il

concordato preventivo, in funzione continuativa o liquidatoria, sarà utilizzato

nell’ipotesi di una grave situazione recessiva, risultando gli strumenti privatistici

inadatti alla sua risoluzione. Costituirà, pertanto, motivo di responsabilità in capo agli

amministratori l’eventuale erronea individuazione di uno strumento inteso a perseguire

obiettivi ‘alieni’ rispetto a quelli teleonomici dell’istituto, poiché l’inadeguatezza della

misura prescelta esibirà sostanziali carenze informative76.

75
A. MAZZONI, in La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della
prospettiva di continuità aziendale, in A.a.V.v., Amministrazione e controllo nel diritto delle società.
Liber amicorum Antonio Piras, 2010 p. 831, indica come esempio di honest Business Judgment Rule
le decisioni assunte nella prospettiva della continuità aziendale, salvo l’ipotesi di irreversibilità della
situazione societaria, dove non resterà altro da fare che gestire la società in ottica di soddisfacimento
dei creditori, esentando gli amministratori da responsabilità se tale obiettivo sarà perseguito.
76
Sarà chiaramente sottoposta ad accertamento, da parte dell’Autorità giudiziaria, anche la
decisione degli amministratori se risanare, ricapitalizzare o liquidare la società, a seguito della
valutazione di tutte le informazioni necessari ai fini della suddetta scelta. Così A. MAZZONI, Ivi,
pp. 830 e ss.
Considerando, ora, il ‘dilemma’ tra concordato preventivo e procedura

liquidatoria77, tali opzioni si inseriscono in quelle considerazioni effettuate dagli

amministratori, secondo cui lo squilibrio patrimoniale o il flusso finanziario carente

risultino non momentanei, dunque ci si trovi in una condizione di irreversibilità non

superabile attraverso strumenti privatistici o para-privatistici78. Poiché nell’attuale

Codice della crisi d’impresa e della insolvenza la liquidazione giudiziale è considerata

la extrema ratio, sarà inevitabile condurre, da parte degli amministratori, una

valutazione circa la possibilità di utilizzare il rimedio del concordato preventivo. In

caso di esito negativo, non resterà che scegliere la liquidazione giudiziale.79 A livello

giudiziario, l’accertamento riguarderà la valutazione degli amministratori, verificando

in primis se sia stata depositata istanza di concordato, nonostante l’inevitabilità della

liquidazione giudiziale. In tale ipotesi, gli amministratori non potranno essere ritenuti

responsabili per erronea decisione poiché, impiegando gli strumenti disponibili,

avrebbero comunque perseguito l’interesse dei creditori. La situazione si complica nel

caso in cui sia stata depositata immediata istanza di apertura della liquidazione

giudiziale, senza valutare la possibilità di utilizzo del concordato. In tale ipotesi, gli

amministratori potranno essere ritenuti responsabili per anticipata richiesta di

77
Il concordato liquidatorio, ai sensi dell’articolo 240 del nuovo Codice, presuppone
l’apertura della liquidazione giudiziale, pertanto il raffronto si concentrerà tra concordato preventivo
e procedura liquidatoria giudiziale.
78
Da non dimenticare la giurisprudenza di merito del 2013, ad opera del Tribunale di Milano,
secondi cui “Contrarre debiti superiori al capitale non costituisce attività vietata né negligente, poiché
i debiti sono funzionali all’attività produttiva e trovano riscontro nei ricavi in vista dei quali sono
contratti.”
79
Come sostiene autorevole dottrina, il concordato preventivo ha il compito di prevenire
l’utilizzo della liquidazione giudiziale, avvalorando dunque il raggiungimento di un agreement tra la
classe dei creditori e il debitore. Sul punto F. BRIZZI, Doveri degli amministratori nel diritto
societario della crisi e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Torino, 2015, p.426.
liquidazione, qualora sarebbe stato possibile il raggiungimento di un accordo tra

creditori e debitori.80

CONCLUSIONI

I risultati a cui siamo pervenuti consentono di rinvenire un sistema – compreso

tra il diritto societario ed il diritto concorsuale - in grado di garantire le istanze di tutela

riferibili ai creditori sociali, senza necessariamente arretrare il raggio d’azione degli

strumenti a difesa degli interessi degli stakeholder, come sovente è stato prospettato

nella disciplina anglo-americana. Se, dunque, in situazioni di completa solvibilità,

l’obiettivo sarà valorizzare gli interessi della società, nelle condizioni borderline – note

in letteratura giuridica come situazione di crisi d’impresa – è impossibile rinvenire un

sistema concepito a tutela degli interessi creditizi. Un simile dispositivo sarebbe

attuabile solo nell’ipotesi di insolvenza dell’impresa che risulta irreversibile sotto il

profilo del going concern. Sarà compito del ‘diritto societario della crisi’ - un settore

80
Questa la ricostruzione prospettata da F. BRIZZI, Ivi, p.428.
con fisionomia e i limiti ancora ‘sfumati’ - realizzare il contemperamento degli

interessi tra società e creditori, tenendo presente che, in situazioni di crisi d’impresa,

gli interessi dei creditori potranno essere considerati quali limiti alla prassi

amministrativa, non in guisa di interessi da promuovere. Su tale piano sono - e

risulteranno utili - gli strumenti predisposti dagli ordinamenti di common Law e di civil

Law – segnatamente, l’istituto del capitale sociale e i solvency Tests – in grado di

agevolare l’emersione dello stato recessivo della firm. In questa prospettiva gli

ordinamenti giuridici, secondo un general trend, si focalizzano sui sistemi di

allerta/prevenzione delle situazioni di crisi, onde conseguire ‘traguardi’ che - previo

ossequio dei doveri in capo agli amministratori, e grazie ad una gestione societaria

‘virtuosa’ - evitino opzioni manageriali ‘pindariche’ e dissennate. Pertanto, se nei

sistemi giuridici del Novecento, appariva palese la tendenza a ‘sopprimere’ l’impresa

economicamente inefficiente - estromettendola dal tessuto sociale di riferimento -, le

nuove istanze riformatrici pongono l’accento sul risanamento delle firm in situazioni

‘difficili’ (sotto il profilo finanziario, economico e patrimoniale), purché la ‘prognosi’

degli amministratori induca a ritenere la situazione come ‘reversibile’. Diversamente,

la scelta dovrà essere, inevitabilmente, orientata verso opzioni liquidatorie.

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