I creditori dell’imprenditore sono allora volta in gran parte imprenditori (fornitori, banche)
la mancata realizzazione del credito concesso può provocare di riflesso la crisi economica
delle loro imprese
Per il dissesto dell’imprenditore commerciale non piccolo furono previste nel codice del 42
procedure diversamente articolate denominate procedure concorsuali.
Solo nel 2012 sono state introdotte specifiche procedure concorsuali utilizzabili dai debitori
diversi dall’imprenditore commerciale non piccolo:
- piccoli imprenditori,
- imprenditori agricoli,
- professionisti
- e consumatori
è stata introdotta da una legge del 79 e riformata successivamente nel 99 in seguito nel
2003 che aggiunto al catalogo una speciale amministrazione straordinaria accelerata per le
imprese di maggiori dimensioni.
Con la riforma del diritto fallimentare del 2006 è stata soppressa un ulteriore procedura
prevista dalla legge fallimentare: l’amministrazione controllata
Sono generali perché coinvolgono tutto il patrimonio dell’imprenditore e non solo i singoli
beni.
Sono collettive perché coinvolgono tutti creditori dell’imprenditore alla data in cui il
dissesto è accertato e mirano ad assicurare la parità di trattamento degli stessi.
LE PROCEDURE CONCORSUALI
DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE NON PICCOLO
IL FALLIMENTO
Il fallimento è il prototipo delle procedure concorsuali.
Ad esso sono assoggettati tutti gli imprenditori commerciali insolventi salvo che ricorrano
gli specifici presupposti soggettivi e oggettivi stabiliti per le procedure concorsuali.
AMMINISTRAZIONE CONTROLLATA
Si inserisce in questo disegno il nuovo concordato preventivo che non presuppone più
necessariamente l’insolvenza dell’imprenditore bensì solo una situazione di crisi
dell’impresa.
L’attuale disciplina dispone che il concordato preventivo può avere come fine:
- sia la liquidazione di tutto il patrimonio
- sia il ritorno in Bonis del debitore e la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte
dello stesso.
In questo secondo caso il concordato preventivo assorbe la funzione della soppressa
amministrazione controllata.
ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI
Le medesime finalità possono avere anche gli accordi di ristrutturazione dei debiti che si
differenziano del concordato preventivo per il modo in cui viene raggiunto l’accordo e per
una maggiore libertà delle parti nel determinarne il contenuto.
È al pari del fallimento una procedura concorsuale che porta all’eliminazione dell’impresa
dal mercato e alla disgregazione del complesso produttivo, assicurando nel contempo il
soddisfacimento paritario dei creditori.
Si differenzia dal fallimento perché è una procedura amministrativa e non giudiziaria, può
essere disposta dall’autorità di vigilanza anche per cause diverse dall’insolvenza per
esempio gravi regolarità nella gestione.
Punto critico era l’eccessiva complessità della fase di apertura che conseguiva una notevole
ritardo nell’insediamento del commissario straordinario e quindi un impedimento alla
tempestiva messa in campo di efficaci misure per fronteggiare la crisi.
Nell’emergenza scaturita dall’insolvenza del gruppo Parmalat il decreto legislativo del 2003
ha introdotto regole speciali per la ristrutturazione delle imprese di grandissime dimensioni.
C) Gli enti pubblici sono esonerati dal fallimento restando soggetti alla liquidazione
coatta amministrativa in base a leggi speciali
D) Le start-up innovative sono soggette solo le procedure concorsuali delle crisi da sovra
indebitamento.
Regole specifiche valgono per l’estensione del fallimento delle società ai soci
illimitatamente responsabili.
STATO DI INSOLVENZA
Primo presupposto oggettivo del fallimento è lo stato di insolvenza dell’imprenditore.
L’imprenditore può infatti aver soddisfatto tutti suoi debiti ed essere ciononostante
insolvente se lo ha fatto:
- con mezzi anormali,
- ricorso a prestiti usurai,
- vendite sottocosto diretti a mascherare l’insolvenza
Questi espedienti aggravano il dissesto e intervenuto il fallimento sono puniti come reati di
bancarotta semplice.
Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non
pagati risultanti dagli atti di istruttoria fallimentare è complessivamente inferiore a
30.000€.
Qualora il fallimento non venga dichiarato per insufficienza degli inadempimenti il debitore
resterà esposto alle azioni individuali dei creditori.
Infine perché possa essere dichiarato il fallimento è necessario che il debitore abbia
superato i limiti patrimoniali e reddituali fissati dall’articolo uno del secondo comma legge
fallimentare
Basta aver superato anche solo uno degli indicati limiti dimensionali per essere esposti a
fallimento.
L’onere della prova del loro rispetto è a carico del debitore sicché nel dubbio il fallimento
sarà comunque dichiarato.
È necessario che lo stato di insolvenza si sia manifestato prima di tali eventi o entro l’anno
successivo.
Il fallimento dell’imprenditore defunto può essere chiesto anche dall’erede purché l’eredità
non si sia già confusa nel suo patrimonio in quanto accettata senza beneficio di inventario.
LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
Il fallimento può essere dichiarato:
3) Su istanza del pubblico ministero il quale può fare istanza di fallimento laddove nel
corso di un procedimento penale emergono
elementi di insolvenza di una società
Il primo punto è quello più frequente, non è necessario che il credito vantato riguardi
l’attività di impresa del debitore, né che il ricorso provenga da più creditori.
L’insufficienza delle prove adottate non giustifica il rigetto della domanda, il processo di
fallimento è un processo speciale a carattere inquisitorio, il giudice non incontra perciò
limitazioni processuali nell’acquisizione delle relative prove.
INIZIATIVA DEL DEBITORE
L’Iniziativa del debitore costituisce di regola una facoltà dello stesso, l’imprenditore può
avere interesse a provocare il proprio fallimento per sottrarsi ad una serie di azioni
esecutive individuali.
La richiesta del proprio fallimento diventa obbligo, penalmente sanzionato, quando
l’inerzia provoca l’aggravamento del dissesto.
Ciò al fine di promuovere l’azione penale anche prima che il fallimento sia dichiarato.
La relativa condanna può essere pronunciata solo dopo che il debitore è stato dichiarato
fallito.
È tuttavia orientamento consolidato che in caso di discordanza fra sede legale e sede
effettiva competente è il tribunale del luogo dove effettivamente si trova il centro
amministrativo della società.
Per effetto della dichiarazione di incompetenza la procedura è immediatamente trasferita
d’ufficio al tribunale competente e tutti gli atti precedentemente compiuti restano validi.
La dichiarazione di fallimento conserva perciò efficacia ancorché pronunciata da un giudice
incompetente.
Se la sede principale è all’estero il fallimento può essere dichiarato in Italia laddove
l’imprenditore ha sede secondaria più importante.
ISTRUTTORIA PREFALLIMENTARE
Il procedimento per la dichiarazione di fallimento era uno dei profili più problematici della
vecchia disciplina.
Questa privilegiava l’esigenza di speditezza nell’apertura della procedura e prevedeva che il
tribunale decideva sulla domanda di fallimento in camera di consiglio e con rito sommario.
Il tribunale aveva solo la facoltà, non l’obbligo, di sentire debitore in camera di consiglio.
Dopo la dichiarazione di fallimento il debitore poteva far valere le sue difese presentando
opposizione davanti al medesimo tribunale che lo aveva dichiarato fallito.
Peraltro se l’opposizione era accolta e del fallimento revocato sul piano patrimoniale
restavano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi fallimentari.
Con molte scuse per il debitore il cui patrimonio è stato ingiustamente sottoposta a
liquidazione.
Sul punto è intervenuta nel 1970 la corte costituzionale rendendo obbligatoria l’audizione
dell’imprenditore già durante l’istruttoria prefallimentare al fine di consentirgli l’esercizio
del diritto di difesa.
Tale diritto sussisteva solo nei limiti compatibili con la natura sommaria del procedimento e
con le esigenze di celerità della procedura fallimentare.
La riforma del 2006 ha introdotto una più dettagliata disciplina per l’istruttoria
prefallimentare.
Resta fermo rispetto al passato che il tribunale decide sulla richiesta di fallimento con uno
speciale procedimento in camera di consiglio caratterizzato da maggiore semplicità di forme
rispetto al rito ordinario .
Può delegare lo svolgimento dell’istruttoria a un giudice relatore ma la decisione finale deve
essere assunta collegialmente.
Il debitore e i creditori istanti per il fallimento devono essere sentiti in udienza, la
convocazione è comunicata all’ufficio al debitore tramite PEC o in mancanza è notificata a
cura del ricorrente con congruo preavviso. Per consentirgli di preparare la difesa.
- Ordina all’imprenditore di depositare i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi nonché
una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata.
RECLAMO
Contro tale provvedimento di respinta della domanda di fallimento
- il creditore istante,
- il pubblico ministero richiedente
- e lo stesso debitore
possono proporre reclamo alla corte d’appello.
Se il ricorso è accolto, la corte d’appello non può pronunziare direttamente la dichiarazione
di fallimento ma deve rimettere di ufficio gli atti al tribunale perché quest’ultimo vi
provveda dopo aver accertato che non siano nel frattempo venuti meno i presupposti del
fallimento.
SENTENZA
Il fallimento è dichiarato con sentenza, la sentenza contiene alcuni provvedimenti
necessari per lo svolgimento della procedura:
- nomina il giudice delegato e il curatore preposti al fallimento,
- ordina al fallito il deposito del bilancio, delle scritture contabili e fiscali obbligatorie,
- l’elenco dei creditori entro tre giorni;
- fissa i termini relativi al procedimento di accertamento dello stato passivo;
- conferma o revoca i provvedimenti cautelari o conservativi e messi nel corso
dell’istruttoria prefallimentare.
La sentenza di fallimento è immediatamente esecutiva tra le parti del processo dalla data
di deposito in cancelleria.
A differenza del passato che invece gli effetti nei riguardi dei terzi si producevano solo dalla
data di iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese.
Sono così tutelati terzi di buona fede che vengono in contatto con l’imprenditore fallito
durante il periodo in cui la dichiarazione di fallimento non era stata ancora data notizia.
In considerazione del maggior spazio concesso il diritto di difesa nella fase dell’istruttoria
prefallimentare, la riforma del 2006 ha soppresso un grado di giudizio.
Oggi pertanto la sentenza che dichiara il fallimento va impugnata mediante reclamo alla
corte d’appello.
Possono proporre reclamo Il fallito e qualsiasi interessato.
Il ricorso deve essere depositato presso la corte d’appello entro 30 giorni che decorrono per
il fallito dalla data di notificazione della sentenza che dichiara il fallimento e per tutti gli
interessati dalla data di iscrizione della stessa nel registro delle imprese.
Anche per il reclamo la legge delinea un procedimento speciale semplificato al fine di
accelerare i termini della decisione.
L’impugnazione non sospende gli effetti della dichiarazione di fallimento.
La corte di appello può disporre la temporanea sospensione della liquidazione dell’attivo
qualora sussistano gravi motivi e gliene faccia richiesta una parte o il curatore.
Il fallimento deve essere revocato qualora si accerti che l’imprenditore non era insolvente
al momento della dichiarazione di fallimento pur se lo è attualmente.
Contro la sentenza che decide il reclamo si può proporre ricorso per cessazione nel termine
abbreviato di 30 giorni dalla notificazione d’ufficio del fallimento.
Il provvedimento è pubblicato nel registro delle imprese ma sul piano patrimoniale restano
salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi fallimentari.
All’ex fallito non resta che rivolgersi nei confronti del creditore istante per ottenere la
condanna al risarcimento dei danni possibili se vi sia stata colpa dello stesso nella richiesta
della dichiarazione di fallimento e a carico del creditore istante sono anche le spese di
procedura e il compenso al curatore.
Allo svolgimento di questa attività sono preposti quattro organi, ciascuno investito di
proprie specifiche funzioni:
- il tribunale fallimentare,
- il giudice delegato,
- il curatore,
- il comitato dei creditori
IL TRIBUNALE FALLIMENTARE
Il tribunale fallimentare è lo stesso tribunale che ha dichiarato il fallimento ed è investito
dell’intera procedura fallimentare e sovrintende al corretto svolgimento della stessa.
In particolare:
A) Nomina il giudice delegato e il curatore, ne sorveglia l’operato e può sostituirli per
giustificati motivi
B) Sostituisce i componenti del comitato dei creditori, su richiesta dei creditori stessi
C) Decide le controversie relative alla procedura che non siano di competenza del
giudice delegato, nonché i reclami contro i provvedimenti dello stesso giudice
delegato
D) Può in ogni tempo chiedere chiarimenti informazioni al curatore, al fallito e al
comitato dei creditori.
Tutti questi provvedimenti sono adottati dal tribunale con decreto salvo che non sia
diversamente disposto.
La disciplina attuale stabilisce che contro i decreti del tribunale fallimentare possono
presentare reclamo alla corte d’appello:
- il curatore,
- il fallito,
- il comitato dei creditori
- e chiunque vi abbia interesse.
In nessun caso può essere proposto decorsi 90 giorni dal deposito del provvedimento in
cancelleria.
IL GIUDICE DELEGATO
Il giudice delegato vigila sulle operazioni del fallimento e controlla la regolarità della
procedura.
Con la riforma del 2006 ha perso la funzione di dirigere le operazioni del fallimento,
essendosi riconosciuta al curatore maggiore autonomia di gestione.
In particolare il giudice delegato:
A) Nomina il comitato dei creditori e nel caso di
inerzia,
impossibilità di costituzione o funzionamento
o di urgenza
pone in essere gli atti che rientrano nella competenza di tale organo
B) Forma lo stato passivo del fallimento e lo rende esecutivo con proprio decreto
C) Autorizza il curatore a stare in giudizio
D) Decide sui reclami proposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori
E) Emette o provoca dalle competenti autorità i provvedimenti urgenti per la
conservazione del patrimonio
I provvedimenti del giudice delegato sono adottati con DECRETO MOTIVATO.
Contro i decreti del giudice chiunque vi abbia interesse può proporre reclamo dinanzi al
tribunale fallimentare ma il reclamo non sospende l’esecuzione.
Il giudice delegato è un organo che svolge l’attività di vigilanza e controllo
IL CURATORE FALLIMENTARE
Il curatore viene nominato dal tribunale con la sentenza che dichiara il fallimento o ,in caso
di successiva sostituzione o revoca, con decreto del tribunale.
Il tribunale può in ogni tempo su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato
dei creditori o di ufficio revocare il curatore.
Rispetto a questi altri organi il curatore ha un autonomo potere decisionale entro i limiti
fissati dalla legge.
In particolare è necessaria l’autorizzazione del comitato dei creditori per gli atti che
eccedono l’ordinaria amministrazione:
- riduzione dei crediti,
- transazioni,
- ricognizioni di diritti di terzi,
- rinuncia alle garanzie,
- accettazione di eredità.
È necessaria l’autorizzazione del giudice delegato perché il curatore stia in giudizio come
attore o convenuto.
La delega ad altri è ammessa solo per singole operazioni e previa autorizzazione del
comitato dei creditori.
Non è consentita per atti particolarmente rilevanti.
L’onere per il compenso del delegato è detratto dal compenso del curatore.
Il curatore deve adempiere con diligenza ai doveri del proprio ufficio osservando l’articolata
serie di cautele specificate dalla legge fallimentare.
È tenuto a risarcimento dei danni causati dalla sua gestione anche se si tratta di atti
compiuti previa autorizzazione del giudice delegato e del comitato dei creditori.
Il curatore gode di autonomo potere decisionale e deve astenersi dal compiere atti pure
autorizzati che lo espongono a responsabilità nei confronti del fallimento o direttamente
nei confronti del fallito o dei singoli creditori.
Contro gli atti del curatore il fallito e ogni interessato può proporre reclamo al giudice
delegato entro 8 giorni dalla conoscenza dell’atto.
Il reclamo è concesso solo per violazione di legge pertanto il giudice delegato non potrà
entrare nel merito delle scelte del curatore.
È ammesso ricorso al tribunale contro il decreto del giudice delegato sempre entro il
termine di 8 giorni.
È nominato dal giudice delegato entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento, sentiti il
curatore e i creditori che hanno dato disponibilità ad assumere l’incarico o hanno segnalato
altri nominativi aventi requisiti previsti dalla legge.
I creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi possono effettuare nuove
designazioni in ordine ai componenti del comitato dei creditori, in tal caso il tribunale,
valutate le ragioni della domanda, provvede alla nomina dei soggetti designati dei creditori
verificato che sia mantenuto il requisito di equilibrata rappresentatività.
funzionamento
Il comitato dei creditori delibera maggioranza dei votanti.
Non possono votare i componenti che si trovano in conflitto di interessi in una data
deliberazione.
Il comitato, convocato per la prima volta dal curatore, nomina maggioranza al suo interno
un presidente.
Il comitato devi adottare i provvedimenti di propria competenza entro 15 giorni da quando
la richiesta è pervenuta al presidente
Contro gli atti e le omissioni del comitato dei creditori è possibile fare ricorso al giudice
delegato.
Se accoglie il reclamo il giudice provvede in sostituzione del comitato.
Il comitato deve essere inoltre informato dal curatore nei casi previsti dalla legge.
I suoi componenti sono a loro volta soggetti a responsabilità secondo le regole previste per i
sindaci delle società per azioni.
L’attuale disciplina riconosce ai componenti il diritto a rimborso delle spese
Prima della riforma il comitato aveva compiti meramente consultivi adesso invece ha poteri
di autorizzazione e controllo dell’operato del curatore e ampia partecipazione all’attività
gestoria.
La sentenza di fallimento produce inoltre effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori e sui
contratti in corso.
Lo spossessamento colpisce tutti beni e i diritti esistenti nel patrimonio del fallito alla data
della dichiarazione di fallimento, eccezion fatta per quelli elencati dall’articolo 46 della
legge fallimentare che sono sottratti all’esecuzione fallimentare, cioè:
1) I beni e i diritti di natura strettamente personale
2) Gli assegni a carattere alimentare, stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito
guadagna con la propria attività nei limiti di quanto occorre per il mantenimento suo
e della sua famiglia
3) I frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli ed i beni costituiti in fondo
patrimoniale con i loro frutti
4) Le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge: vestiti, strumenti
di lavoro eccetera
Se proprietario della propria abitazione, il fallito ha diritto di continuare ad abitarla fino alla
vendita, nei limiti in cui è necessario a lui e alla sua famiglia.
Se privo di mezzi di sussistenza, il fallito può ottenere dal giudice delegato, sentito il
curatore e il comitato dei creditori, la concessione di un sussidio a titolo di alimenti per se e
per la sua famiglia.
Lo spossessamento si estende ai beni che pervengono al fallito durante il fallimento:
- a titolo gratuito o oneroso,
- eredità,
- donazioni vincite di lotterie
- eccetera.
Per i beni sopravvenuti vanno però dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la
conservazione degli stessi, vale a dire l’amministrazione fallimentare deve adempiere le
relative passività per intero.
Il curatore previa autorizzazione del comitato dei creditori può decidere di non acquistare i
beni sopravvenuti quando ritenga che il loro valore sia inferiore alla passività da soddisfare
e ai costi per la loro conservazione e non avrebbe alcun vantaggio per la massa.
Del pari il curatore può decidere di non acquistare un bene esistente nel patrimonio se
l’attività di liquidazione appaia antieconomica.
In questo caso il bene ritorna nella disponibilità del fallito e i creditori possono esercitare
su di esso azioni esecutive individuali.
Ne consegue che tutti gli atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento sono
validi e vincolano lo stesso.
Con la dichiarazione di fallimento il fallito vede limitati alcuni diritti civili garantiti dalla
costituzione:
- il segreto epistolare
- e il diritto alla libertà di movimento.
La corrispondenza del fallito che non sia persona fisica è infatti consegnata direttamente al
curatore.
Trova invece un temperamento questa regola nel caso di fallimento di una persona fisica
per evitare che il curatore prenda visione anche della corrispondenza a carattere privato e
personale in questo caso la corrispondenza continua perciò ad essere recapitata al fallito il
quale però l’obbligo di consegnare al curatore quella riguardante i rapporti compresi nel
fallimento.
Il fallito è quindi tenuto a comunicare al curatore ogni cambiamento della propria residenza
o del proprio domicilio e deve presentarsi agli organi della procedura ogni qualvolta è
chiamato per fornire informazioni.
INCAPACITA’ CIVILI
Un secondo gruppo di indicazioni riguardano la capacità civile del fallito previste dal codice
e da leggi speciali.
Il fallito non può essere:
- amministratore,
- sindaco,
- revisore
- o liquidatori di società,
- non può essere iscritto nell’albo degli avvocati o dei dottori commercialisti,
- non può svolgere la funzione di tutore, arbitro, notaio
1) Bancarotta fraudolenta,
che comprende una serie di fatti caratterizzati dal dolo dell’imprenditore, per
esempio:
occultamento di beni,
distruzione o falsificazione delle scritture contabili,
pagamenti eseguiti per favorire alcuni creditori a danno di altri
2) Bancarotta semplice,
reato punito con pene più lievi, riguardo a fatti commessi dall’imprenditore solo con
colpa. Esempio:
spese personali eccessive rispetto alla condizione economica,
omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili nei tre anni precedenti il
fallimento.
3) Il ricorso abusivo al credito,
reato di chi ricorre al credito dissimulando il proprio dissesto.
Il fallimento quindi apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito ed ogni credito,
anche se munito di diritto di prelazione, deve essere accertato secondo le regole stabilite
dalla legge fallimentare.
I creditori cioè per poter partecipare alla procedura concorsuale devono fare domanda di
ammissione al passivo e hanno diritto a partecipare alla procedura se e nella misura in cui il
loro diritto è accertato dal giudice delegato o in presenza di contestazioni dal tribunale.
Il principio della par condicio creditorum non incide sui diritti specifici dei creditori
privilegiati.
Questi hanno infatti diritto di prelazione sul ricavato della vendita del bene oggetto della
loro garanzia, per il capitale, gli interessi e le spese.
I creditori privilegiati hanno quindi il diritto di soddisfarsi sul prezzo di vendita dei beni
oggetto del privilegio con preferenza rispetto agli altri creditori, solo se ricavato della
vendita non è sufficiente a soddisfare integralmente essi concorrono per quanto ancora
dovuto con i creditori chirografari.
I creditori chirografari invece partecipano solo alla ripartizione dell’attivo fallimentare non
gravato da vincoli, in proporzione al loro credito e sono soddisfatti tutti nella stessa misura
percentuale.
Dai creditori concorrenti, chirografari o privilegiati, vanno tenuti distinti i creditori della
massa.
- creditori della massa: sono tali coloro i cui crediti devono essere soddisfatti in
prededuzione: prima dei creditori concorrenti per intero.
Per i titolari di crediti prededucibili non opera la par condicio
creditorum nei confronti dei creditori concorrenti.
Sono crediti prededucibili quelli qualificati da una specifica disposizione di legge, nonché le
obbligazioni sorte in occasione o in funzione delle procedure
concorsuali.
Sono creditori della massa coloro che diventano creditori del fallito dopo la dichiarazione
del fallimento per atti compiuti dagli organi fallimentari.
In particolare rientrano fra i crediti prededucibili:
le spese della procedura fallimentare,
le obbligazioni contratte dal curatore per l’amministrazione
del fallimento
e per la continuazione dell’esercizio dell’impresa.
Fatte queste distinzioni vediamo gli effetti che il fallimento produce per i creditori
concorsuali.
Il curatore si sostituisce ai creditori per le azioni volte a ricostituire il patrimonio del fallito:
- azioni revocatorie,
- azione di simulazione,
- azioni per il risarcimento danni.
Il divieto di azioni esecutive individuali subisce alcune eccezioni:
1) I creditori garantiti da pegno o assistiti da privilegio speciale su mobili possono essere
autorizzati dal giudice delegato alla vendita dei beni vincolati una volta ammessi al
passivo con prelazione.
2) Le banche possono iniziare o proseguire l’azione esecutiva individuale sugli immobili
ipotecati a garanzia .
- Tutti i debitori pecuniari del fallito si considerano scaduti alla data di dichiarazione del
fallimento.
Resta fermo il diritto dei creditori del fallito di far valere la compensazione con i loro debiti
verso lo stesso, sottraendosi al concorso, ed è ammessa anche se il credito verso il fallito
non è scaduto prima della dichiarazione di fallimento.
Entrambi i crediti devono però essere anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Per evitare possibili abusi la compensazione non ha luogo se il credito non scaduto verso il
fallito è stato acquistato dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore.
Vi è in tal caso una presunzione assoluta che l’acquisto sia avvenuto al fine di sottrarsi con
la compensazione al pagamento del proprio debito.
Di regola intercorre un certo intervallo di tempo tra il momento in cui si manifesta lo stato
di insolvenza e quello in cui il fallito è dichiarato.
In tale periodo l’imprenditore, nel tentativo di far fronte alla crisi può aver compiuto una
serie di atti di disposizione, ad esempio vendita di merci a prezzo rovinoso, che alterano
l’integrità del proprio patrimonio ed arrecano pregiudizio ai creditori.
Intervenuto il fallimento sorge perciò l’esigenza di tutelare la massa dei creditori contro tali
atti neutralizzando il pregiudizio loro arrecato.
AZIONE REVOCATORIA
Normalmente non è che un soggetto oggi si trova in uno stato di insolvenza domani viene
dichiarato fallito, dalla manifestazione dello stato di insolvenza al momento in cui viene
dichiarato fallito intercorre un lasso di tempo entro cui il debitore può compiere atti
dispositivi con le quali fa uscire dal suo patrimonio determinati beni.
È chiaro come questi atti dispositivi arrechino pregiudizio alla massa dei creditori e quindi il
legislatore si è posto il problema di porre rimedio e tutelare le esigenze dei creditori.
Nella disciplina di diritto comune il legislatore pone rimedio a questa esigenza da parte dei
creditori con una particolare azione l’AZIONE REVOCATORIA ORDINARIA: un istituto
disciplinato dagli articoli 2901 e seguenti , è una azione compiuta dal creditore al fine di far
dichiarare inefficace un atto dispositivo effettuato dal debitore che ha arrecato pregiudizio
al creditore medesimo.
Esempio : se compro una macchina a rate contraggo un debito con la finanziaria, sono
anche proprietario di un immobile, se lo vendo riduco la mia garanzia patrimoniale e arreco
un pregiudizio alla finanziaria a cui devo le rate per l’acquisto dell’auto.
- CONSILIUIM FRAUDIS tale requisito sussiste qualora l’atto dispositivo sia a titolo
oneroso e quindi in questo caso il pregiudizio che tale atto arreca alle
ragioni del creditore deve essere noto sia al debitore sia al terzo .
torniamo all’esempio della finanziaria, ho un debito nei confronti
della finanziaria , vendo un bene immobile affinché quest’atto possa
essere fruttuosamente aggredito con una azione revocatoria ordinaria,
e che quindi tale azione venga accolta deve sussistere l’eventus damni
e vi deve essere la consapevolezza di tale pregiudizio sia in capo a me
debitore sia in capo al terzo che ha ricevuto tale bene immobile perché
si tratta di un atto a titolo oneroso.
questa è la disciplina dell’azione revocatoria ordinaria, che è un istituto di diritto comune
quindi non è una azione esercitabile solo nel caso in cui il debitore sia stato dichiarato
fallito.
Tuttavia la procedura fallimentare oltre a tale azione prevede un altro strumento tipico e
specifico finalizzato ad ottenere la reintegrazione della garanzia patrimoniale del fallito:
L’AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE.
Durante il fallimento e nella maggior parte dei casi il momento finale di un periodo più o
meno lungo di difficoltà economiche, l’imprenditore proprio per sottrarre i suoi beni
all’eventuale fallimento può compiere atti che pregiudicano la massa dei creditori una
parità di un trattamento dei creditori.
Il curatore cioè nell’interesse di tutti creditori può chiedere al tribunale fallimentare che
siano dichiarati inefficaci alcuni atti compiuti dall’imprenditore prima del fallimento in un
periodo di tempo, definito periodo sospetto, stabilito dalla legge e che varia seconda del
tipo di atto, da sei mesi a 1 anno anni.
In questo modo chi ha ricevuto il bene o denaro dall’imprenditore è tenuto a restituire al
curatore quanto ha ricevuto e potrebbe eventualmente chiedere di essere ammesso al
passivo affinché il suo diritto sia soddisfatto nell’ambito della procedura fallimentare.
Prima della riforma il periodo sospetto era più ampio andava da un anno a due anni, il
motivo per cui si è ridotto il periodo sospetto è sempre riconducibile a quell’esigenza di
tutelare il valore in se rappresentato dall’impresa e dunque di fare tutto il possibile
affinché quest’ultima possa ottenere un proprio risanamento.
Perché? Prima proprio l’ampiezza della portata dell’azione revocatoria fallimentare, creava
nei confronti degli imprenditori in crisi una sorta di cordone sanitario, cioè tutti i soggetti
che avevano rapporti con l’imprenditore in area di insolvenza nell’incertezza
interrompevano bruscamente qualsiasi tipo di rapporto con lui perché temevano che l’atto
compiuto potesse essere revocato.
Il legislatore per evitare che l’imprenditore in area di crisi venisse affossato ha dimezzato i
periodi e ha previsto una serie di esenzioni, atti, non soggetti ad azione revocatoria
fallimentare.
Il patrimonio del fallito viene quindi reintegrato e viene ristabilita la parità di trattamento
dei creditori.
Quindi il curatore ha due diversi strumenti per ottenere la reintegrazione della garanzia
patrimoniale del fallito a seguito di atti dispositivi compiuti da quest’ultimo prima della
dichiarazione di fallimento:
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- Azione revocatoria ordinaria (che può essere promossa anche prima della
dichiarazione di fallimento)
- Azione revocatoria fallimentare (solo a seguito della dichiarazione di fallimento)
Nonostante queste due azioni perseguano lo stesso fine sono differenti i presupposti cui è
subordinato il loro accoglimento.
1. Un requisito oggettivo :
lo stato di insolvenza dell’imprenditore,
l’atto revocando sia stato compiuto in un determinato arco temporale che a
seconda dei casi va da 6 mesi ad 1 anno prima della dichiarazione di fallimento.
2. Un requisito soggettivo:
presupposto soggettivo è la cosiddetta scientia decoctionis (conoscenza dello
stato di insolvenza) dunque nel corso del giudizio deve emergere che il terzo
avente causa al momento della stipulazione dell’atto revocando fosse a
conoscenza dello stato di insolvenza del suo dante causa.
DIFFERENZA TRA LE DUE AZIONI REVOCATORIE
ORDINARIA FALLIMENTARE
Bisogna dimostrare l’eventus damni, È sufficiente che l’atto sia stato compiuto
il creditore che agisce o il curatore qualora nell’arco di tempo da sei mesi a un anno
venga promossa nell’ambito della procedura prima della dichiarazione di fallimento e che
fallimentare deve dimostrare che i creditori il terzo fosse consapevole dello stato di
hanno esibito un documento per quell’atto insolvenza
Perciò spetterà tutta più a quest’ultimo provare che l’atto non ha recato alcun danno alla
massa dei creditori alla revocatoria fallimentare.
Nella revocatoria fallimentare la posizione del curatore è agevolata sotto un duplice profilo
in quanto:
1) Gli atti posti in essere dall’imprenditore in un certo periodo anteriore alla
dichiarazione di fallimento (sei mesi o un anno) si presumono compiuti in stato di
insolvenza, cosiddetta retro datazione dell’insolvenza, sicché sarà il terzo a dover
provare che in concreto l’imprenditore non era già insolvente.
2) Per alcuni atti particolarmente sintomatici dello stato di insolvenza è posta anche una
presunzione relativa di conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo.
Sicché sarà ancora una volta questi a dover provare che in concreto ignorava lo stato
di insolvenza dell’imprenditore
Il curatore avrà bisogno di ricorrere all’azione revocatoria ordinaria solo se intende colpire
atti compiuti in epoca anteriore a quella coperta dalla revocatoria fallimentare assumendosi
però l’onere di provare eventus damni e consilium fraudis
Effetti
Identici sono gli effetti sia dell’azione revocatoria esercitata nel fallimento sia dell’azione
revocatoria fallimentare.
L’atto di disposizione revocato resta valido ma è inefficace nei confronti della massa dei
creditori.
Il terzo che ha subito la revocatoria dovrà perciò restituire al fallimento quanto in
precedenza ricevuto dal fallito o l’equivalente in denaro se la restituzione in natura è
impossibile.
Nel contempo il creditore sarà ammesso al passivo del fallimento per il suo eventuale
credito verso il fallito e parteciperà alla ripartizione dell’attivo in concorso con gli altri
creditori
Tutte le azioni revocatorie esercitate dal curatore devono essere promosse a pena di
decadenza entro 3 anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque non oltre 5 anni dal
compimento dell’atto.
Revocatoria di diritto
Vi è una categoria di atti che senz’altro è priva di effetti nei confronti dei creditori, per il
sul fatto della sopravvenuta dichiarazione di fallimento.
Rientrano in tale categoria:
1) Gli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di
fallimento:
donazioni,
garanzie concesse dal fallito a titolo gratuito.
Sono esclusi i regali d’uso degli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a
scopo di pubblica utilità, purché proporzionati al patrimonio del donante.
Per questi atti il curatore non ha bisogno di agire in giudizio per l’accertamento della loro
efficacia.
Il terzo è senz’altro tenuto a restituire al fallimento quanto ricevuto, irrilevante è la sua
ignoranza dello stato di insolvenza.
1) quelli per i quali la conoscenza dello stato di insolvenza si presume, sicché spetterà al
terzo provare la sua ignoranza;
2) quelli per i quali il curatore è a dover provare che il terzo conosceva lo stato di
insolvenza.
La prima categoria comprende gli ATTI ANORMALI DI GESTIONE, compiuti nell’anno o nei
sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
- ATTI ANORMALI indicati nel primo comma dell’articolo 67
(in cui si presume la conoscenza dello stato di insolvenza da parte
del terzo ma è una presunzione relativa, il terzo potrà e dovrà
dunque dimostrare che non ne era a conoscenza al momento in cui
è stato compiuto l’atto revocando)
Essi sono:
Si noti anzitutto come in tutti gli atti anormali l’arco temporale è più ampio, devono essere
compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento dunque il periodo sospetto è
di un anno .
Per tutti questi atti spetterà al terzo convenuto in revocatoria dare la prova che ignorava lo
stato di insolvenza.
ATTI NORMALI
La situazione processuale si ribalta per la seconda categoria di atti sottoposti a revocatoria
giudiziale.
È il curatore a dover provare che il terzo conosceva lo stato di insolvenza quando l’atto fu
compiuto trattandosi di atti che rientrano nella normale svolgimento dell’attività
dell’imprenditore.
Rientrano in tale categoria purché compiuti nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di
fallimento:
1) I pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati con mezzi normali
2) Gli atti costitutivi di diritti di prelazione, ipoteca, pegno, eccetera, per i debiti sorti
contestualmente
3) Ogni altro atto a titolo oneroso
Tali atti vengono revocati se compiuti nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento
dell’imprenditore ed è il curatore a dover provare che il terzo conosceva lo stato di
insolvenza quando l’atto fu compiuto, trattandosi di atti che rientrano nel normale
svolgimento dell’attività dell’imprenditore.
Il pagamento di un debito o l’iscrizione di una ipoteca contestualmente alla contrazione di
un debito, potrà essere revocato pur essendo un atto normale se compiuto nei sei mesi
anteriori alla dichiarazione di fallimento ma sarà il curatore a dover dimostrare la
conoscenza dello stato di insolvenza al momento in cui commette l’atto revocando in capo
al terzo.
ESENZIONI
sono previste delle esenzioni dall’azione revocatoria fallimentare, cioè ci sono degli atti che
non possono essere aggrediti dall’azione revocatoria fallimentare, disciplinati dall’art 67
terzo comma, l’introduzione di questo terzo comma che nella legge originaria mancava
nasce proprio dall’esigenza che tali azioni comportassero l’affossamento dell’imprenditore,
e che quindi comportasse l’interruzione brusca dei rapporti con i terzi.
In particolare non sono revocabili i pagamenti e le garanzie concesse su beni del fallito posti
in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento
dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della situazione
finanziaria.
La veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano devono essere attestati da un
professionista indipendente designato dal debitore iscritto nel registro dei revisori legali ed
appartenente ad una delle categorie indicate dalla legge:
- avvocati,
- dottori commercialisti,
- ragionieri
- e ragionieri commercialisti
- anche organizzate in forma di studi professionali o società.
Il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore.
Le azioni revocatorie affrontate fino ad ora non possono essere promosse decorsi tre anni
dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi 5 anni dal compimento dell’atto
(articolo 69 bis).
RAPPORTI FRA I CONIUGI
Il coniuge di un imprenditore difficilmente ignora lo stato di solvenza di questo, anzi è quasi
sempre il primo che ne viene a conoscenza.
Non è raro ché il coniuge si presti a far da tramite per il compimento di atti pregiudizievoli ai
creditori nell’approssimarsi della dichiarazione di fallimento.
La legge fallimentare detta dunque una disciplina particolarmente rigorosa per gli atti di
disposizione intercorsi fra il fallito e il coniuge.
La disciplina della revocatoria fallimentare è resa più drastica quando i relativi atti di
disposizione sono posti in essere fra i coniugi. Ciò sotto un duplice aspetto:
1) È eliminato il limite temporale dettato in via generale, un anno o sei mesi, e possono
essere revocati tutti gli atti di disposizione fra coniugi a partire dal momento in cui il
fallito aveva iniziato l’esercizio di un’impresa commerciale.
Ne consegue che intervenuto il fallimento di uno dei due coniugi, si applicherà la disciplina
del coniuge:
“la comunione legale tra i coniugi si scioglie e l’attività e le passività facenti parte della
stessa sono divise in parti uguali perciò nella massa attiva del coniuge fallito oltre i beni
personali lo stesso resterà la metà dei beni della comunione”.
Nel contempo nella massa passiva sarà ricompresa anche la metà dei debiti gravanti sui
beni della comunione.
Al di la degli atti aggredibili con azione revocatoria ordinaria o fallimentare, ci sono degli atti
INEFFICACI EX LEGE, cioè degli atti con riferimenti ai quali non è neanche necessario che il
curatore promuova una azione al fine di ottenere una dichiarazione di efficacia perché sono
inefficaci di diritto, questi atti sono indicati negli articoli 64-65.
Stabilire quale sia la sorte di tali contratti non è un problema di facile soluzione.
Si sciolgono?
rimangono in vita?
A chi spetta decidere in un senso o nell’altro?
La risposta che la legge dà il problema non è unitaria. Le soluzioni possono raggrupparsi in
tre categorie.
Scioglimento ex lege
Vi è innanzitutto un gruppo di contratti che si scioglie di diritto a seguito della dichiarazione
di fallimento con conseguente definizione delle posizioni reciproche a tale momento.
Rientrano in tale categoria:
entro 60 giorni dal fallimento il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori,
può dichiarare di voler subentrare nel contratto offrendo idonee garanzie.
Il committente in Bonis si può opporre alla prosecuzione quando la considerazione della
qualità soggettiva dell’appaltatore è stato un motivo determinante del contratto
Per intenderci, se c’è un contratto di appalto pendente in cui nessuna delle due parti ha
eseguito integralmente le proprie prestazioni e una delle parti viene dichiarata fallita,
secondo la norma di riferimento quel contratto si scioglie ex lege
Vi è poi un secondo gruppo di contratti che continua nonostante il fallimento in quanto per
legge tali contratti sono ritenuti vantaggiosi per la massa di creditori perciò il curatore
subentra nel contratto che dovrà adempiere per intero e in prededuzione le relative
obbligazioni.
Rientrano in tale categoria:
1) Il contratto di locazione di immobili.
In caso di fallimento del conduttore, il curatore può recedere in ogni momento dal
contratto corrispondendo al locatore un giusto indennizzo per l’anticipato recesso.
L’indennizzo è determinato dal giudice delegato.
Il curatore può recedere anticipatamente anche in caso di fallimento del locatore.
Il recesso deve essere dichiarato entro un anno dal fallimento ed ha effetto solo dopo
quattro anni dall’apertura della procedura saldo che la scadenza naturale del
contratto sia più breve.
2) L’affitto di azienda.
Entrambe le parti possono recedere entro 60 giorni corrispondendo alla controparte
un equo indennizzo
3) Il contratto di assicurazione contro i danni in caso di fallimento dell’assicurato, salvo
patto contrario.
L’assicuratore può tuttavia recedere dal contratto adducendo che dal fallimento
deriva un aggravamento del rischio
4) Il contratto di edizione,
che però si risolve se entro un anno il curatore non continua l’esercizio dell’impresa
editoriale o non la chiede ad altro editore.
5) Il contratto di cessione dei crediti d’impresa (factoring),
in caso di fallimento del cedente.
Il curatore può recedere dal contratto, ma il recesso opera solo per i crediti non
ancora sorti alla data della dichiarazione di fallimento.
In caso di recesso il curatore dovrà restituire al cessionario quanto da questi già
pagato per tali crediti.
6) Il leasing finanziario in caso di fallimento del concedente
Sospensione del contratto
Vi è infine un terzo gruppo di contratti la cui sorte non è prefissata dalla legge.
Essi restano sospesi in seguito al fallimento di una delle parti e sarà il curatore con
l’autorizzazione del comitato dei creditori a decidere se sciogliere il contratto o continuarlo.
In questo secondo caso tutte le relative obbligazioni dovranno essere adempiute dal
curatore in prededuzione.
Il contraente in buona fede può chiedere al giudice delegato di fissare un termine non
superiore a 60 giorni decorso il quale il contratto si intende sciolto se curatore non opta per
la continuazione.
Non è consentito pattuire fin dall’inizio che in caso di fallimento il contratto si risolve di
diritto.
La riforma del 2006 ha stabilito che questa elastica soluzione sia regola residuale e si
applichi quindi a tutti i contratti pendenti per i quali la legge non prevede diversamente.
Dopo la riforma del 2006 rimane in sospeso anche il mandato in caso di fallimento del
mandante ma con una peculiarità: se il curatore subentra nel contratto, i crediti del
mandatario sono si da soddisfare in prededuzione ma solo per l’attività compiuta dopo il
fallimento.
Per quanto riguarda infine il rapporto di lavoro subordinato trova applicazione la disciplina
specifica in materia di licenziamento.
L'AFFITTO DI AZIENDA
Si può tuttavia avere una continuazione seppur provvisoria dell’attività quando ciò è
funzionale ad una migliore liquidazione del complesso aziendale o si spera di vendere in
blocco.
Due sono le Ipotesi al riguardo previste della legge fallimentare
Durante l’esercizio provvisorio tutti contratti pendenti proseguono salvo che il curatore non
intenda sospendere l’esecuzione o scioglierli.
Le obbligazioni assunte dal curatore per la continuazione dell’esercizio dell’impresa
costituiscono debiti della massa da soddisfare in prededuzione.
D’altro canto le obbligazioni assunte dal curatore sono e restano imputabili al fallito.
Dovranno perciò essere da questi soddisfatte dopo la chiusura del fallimento se non
trovano capienza nell’attivo fallimentare.
La continuazione è perciò provvedimento eccezionale che si giustifica solo se tende a una
migliore liquidazione del patrimonio del fallito.
Non può essere usata ai fini di conservazione dei posti di lavoro o a tentativi di
risanamento dell’impresa.
Per tale ragione l’attuale disciplina dispone che durante l’esercizio provvisorio il curatore
informi il comitato dei creditori sull’andamento della gestione, affinché quest’ultimo si
pronunci sull’opportunità di continuare l’esercizio.
Se il comitato non ravvisa l’opportunità di continuare, il giudice delegato ne ordina la
cessazione.
La cessazione può essere ordinata anche dal tribunale in qualsiasi momento laddove ne
ravvisi l’opportunità, con decreto non soggetto a reclamo.
AFFITTO D’AZIENDA
La conservazione del complesso aziendale può essere realizzata anche attraverso l’affitto
dell’azienda.
Soluzione preferita nella prassi in quanto presenta il vantaggio di non far gravare sulla
massa fallimentare i debiti contratti dall’affittuario nell’esercizio dell’impresa.
L’attività di impresa è infatti imputabile all’affittuario che la gestisce personalmente ed
assume in proprio le relative obbligazioni mentre dovrà corrispondere al fallimento il
canone pattuito.
L’affittuario è prescelto dal curatore, tenuto conto non solo dell’ammontare del canone
offerto ma anche delle garanzie offerte sulla prosecuzione dell’attività imprenditoriale e
sulla conservazione dei livelli occupazionali.
L’affitto non deve però intralciare o ritardare la liquidazione dei beni: la legge prescrive
pertanto che di tale esigenza si tenga conto nel determinare la durata del contratto.
L’affittuario subentra in tutti contratti aziendali che non abbiano carattere personale e non
si siano sciolti in seguito al fallimento.
Non deve accollarsi i debiti pregressi salvo quelle derivanti da rapporti di lavoro
subordinato.
Alla fine dell’affitto, il complesso aziendale viene retrocesso al fallimento.
Il fallimento non assume alcuna responsabilità per i debiti sorti durante l’affitto.
L’affittuario pertanto rimane unico debitore per le obbligazioni che assume e i creditori
concorsuali sono così posti al riparo.
Sui rapporti pendenti al momento della retrocessione si producono invece gli effetti
normalmente connessi alla dichiarazione di fallimento.
Rimangono pertanto sospesi finché il curatore non decide se scioglierli o subentrare salvo
che sia diversamente disposto.
I beni e le cose elencate dall’articolo 86 della legge fallimentare devono essere consegnati al
curatore senza la previa apposizione di sigilli:
- si tratta in particolare del denaro contante,
- che deve poi essere depositato dal curatore,
- delle cambiali e degli altri titoli compresi quelli scaduti,
- delle scritture contabili
- e di ogni altra documentazione richiesta o acquisita dal curatore che non sia stata
ancora depositata in cancelleria
Successivamente il curatore rimossi i sigilli deve fare l’inventario dei beni del fallito nel più
breve tempo possibile.
Il curatore ma mano che fa l’inventario prende in consegna i beni insieme con le scritture
contabili e documenti del fallito.
Il curatore sulla base delle scritture contabili del fallito e delle altre notizie che può
raccogliere deve predisporre:
- un elenco dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti e dei diritti di
prelazione,
- un elenco di tutti coloro che vantano diritti reali e personali, mobiliari e immobiliari,
su cose in possesso o nella disponibilità del fallito, con l’indicazione dei titoli relativi.
Gli elenchi sono depositati in cancelleria.
L’accertamento del passivo è diretto ad accertare quali creditori hanno diritto di
partecipare alle ripartizioni dell’attivo, l’ammontare dei loro crediti e le eventuali cause di
prelazione.
DOMANDA DI AMMISSIONE
La procedura di accertamento del passivo si apre con la domanda di ammissione dei
creditori, a tal fine sollecitati dal curatore con apposito avviso.
Tutti i creditori che vogliono prender parte al concorso devono depositare l’istanza di
ammissione al passivo
Sul creditore incombe anche l’onere di provare che il suo credito è anteriore alla
dichiarazione di fallimento.
1) La prima, necessaria, ad opera del curatore e del giudice delegato, consiste nella
predisposizione dell’elenco dei crediti ammessi alla procedura, nonché dei diritti
spettanti a terzi su beni della massa,
Riguardo alla prima fase in passato si prevedeva che il giudice delegato esaminasse le
domande per formare uno Stato passivo provvisorio poi durante l’udienza di verificazione lo
stesso giudice delegato apportava le necessarie modifiche e integrazioni rendendolo
definitivo con decreto.
Se contro tale decreto fossero stati presentati impugnazioni era sempre il giudice delegato
ad istituirle per il tribunale andando pure a comporre il collegio giudicante.
Sulla base dell’attuale disciplina, in base alle domande presentate, il curatore predispone un
progetto di stato passivo nel quale deve indicare:
In un separato elenco sono poi inclusi i titolari di diritti sui beni di proprietà o in possesso
del fallito.
Per ciascun diritto riconosciuto o non riconosciuto, il curatore deve motivare le proprie
conclusioni, e suo onere sollevare le eccezioni come
- la compensazione,
- l’annullabilità,
- l’inefficacia dell’atto da cui sorge la pretesa.
E può sollevare tali eccezioni anche se è prescritta la relativa azione.
Il progetto di stato passivo è depositato in cancelleria almeno 15 giorni prima di quello
fissato per l’udienza di esame, è trasmesso nello stesso termine ai creditori e ai titolari di
diritti sui beni della massa.
Costoro ed il fallito possono presentare al curatore eventuali osservazioni e documenti
integrativi fino a cinque giorni prima dell’udienza.
Si apre così la fase di esame dello stato passivo che coinvolge il curatore e tutti creditori che
desiderano parteciparvi.
Il fallito può chiedere di essere sentito.
Nell’udienza il giudice delegato esamina le posizioni dei singoli creditori quali risultano dal
progetto di stato passivo del curatore.
Ogni decisione spetta al giudice delegato, nei limiti delle conclusioni formulate ed avuto
riguardo alle eccezioni rilevabili d’ufficio nonché a quelli sollevati dal curatore e dagli altri
interessati.
Il curatore deve comunicare a tutti i creditori insinuati l’avvenuto deposito dello stato
passivo affinché questo possa essere dagli stessi esaminato.
Il curatore deve inoltre informare i creditori non ammessi o ammessi parzialmente del
diritto di proporre opposizione.
Dopo tale termine il creditore tardivo è ammesso soltanto se prova che il ritardo è dipeso
da causa a lui non imputabile e sempre che l’attivo fallimentare non sia già stato
interamente ripartito.
Opposizioni e impugnazioni
Contro lo stato passivo possono essere proposte opposizioni e impugnazioni
- Le opposizioni possono essere proposte dai creditori esclusi contro il curatore al fine
di ottenere l’ammissione del loro credito o il riconoscimento di una causa
di prelazione disconosciuta dal giudice delegato.
Possono inoltre proporre opposizione i creditori che contestano la loro
ammissione con riserva per ottenere l’ammissione definitiva, nonché i
titolari di diritti sui beni della massa per ottenere l’accoglimento delle
domande di restituzione rivendica.
- Le impugnazioni possono essere invece proposte dai creditori ammessi, dai titolari di
diritti sui beni della massa nonché dallo stesso curatore, e sono
diretti ad ottenere l’eliminazione della massa passiva di uno o più
crediti o della relativa causa di prelazione.
Il ricorso deve a pena di decadenza indicare le prove di cui ricorrente intende avvalersi e
documenti prodotti.
Il tribunale decide in camera di consiglio con decreto.
La decisione viene comunicata dall’ufficio le parti che possono ricorrere direttamente in
cassazione entro 30 giorni
Infine contro l’ammissione definitiva, cioè dopo che sono decorsi i termini per impugnare
ed opporsi al decreto, è possibile solo il rimedio della REVOCAZIONE, proposta al tribunale
fallimentare qualora si scopra che l’ammissione di un credito è stata determinata da dolo o
falsità oppure qualora si rinvengono documenti decisivi prima ignorati.
LIQUIDAZIONE
La liquidazione dell’attivo è rivolta a convertire in denaro i beni del fallito per soddisfare i
creditori.
Le ipotesi di liquidazione sono :
- Vendita di beni mobili
- Vendita di beni immobili
- Vendita di azienda
- Realizzo di crediti
Nel sistema previgente le vendite dei beni erano regolate da norme del codice di procedura
civile la riforma del 2006 ha optato per una maggiore libertà di forme e per il
riconoscimento al curatore di una maggiore autonomia.
La vendita dei beni mobili e immobili avviene secondo le modalità indicate dal curatore
nel programma di liquidazione.
Si richiede soltanto che siano prescelte procedure competitive e sia data massima
informazione.
Resta ferma la possibilità di avvalersi del procedimento di vendita disciplinato dal codice di
procedura civile se ciò è previsto nel programma di liquidazione.
Con le stesse modalità il curatore può cedere i crediti del fallimento compresi quelli futuri
o di natura fiscale, nonché le azioni revocatoria già proposte. Il che consente di pervenire
più speditamente alla chiusura del fallimento.
La vendita dei singoli beni è infatti disposta solo quando risulta prevedibile che la vendita
dell’intera azienda, di suoi rami, o di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco, non
consente un maggiore soddisfacimento dei creditori.
Il giudice delegato su istanza del fallito, il comitato dei creditori o degli altri interessati, può
sospendere le operazioni di vendita qualora ricorrano gravi e giustificati motivi:
- la presentazione di una proposta di concordato fallimentare con concessioni di beni
ad un assuntore
Può inoltre impedire il perfezionamento della vendita quando ritiene che il prezzo offerto
sia notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato.
RIPARTIZIONE DELL''ATTIVO
Le somme che si rendono via via disponibili sono ripartite fra i creditori.
Prima di procedere a qualsiasi ripartizione fra i creditori concorrenti si deve provvedere al
pagamento dei crediti prededucibili.
Le somme necessarie per soddisfarli vengono prelevate dalle disponibilità liquide, con
esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la
parte destinata ai creditori garantiti.
I crediti prededucibili non contestati vengono soddisfatti ma mano che diventano esigibili
con l’autorizzazione del comitato dei creditori e del di giudice delegato.
Se però l’attivo non è presumibilmente sufficiente soddisfare tutti creditori prededucibili gli
stessi sono soddisfatti nell’ambito del procedimento di riparto, secondo i criteri di della
graduazione fra i crediti e della par condicio fra i creditori di parigrado.
Il ricavato della vendita dei beni oggetto di pegno e ipoteca viene devoluto per il pagamento
dei creditori a cui spetta la relativa garanzia.
Quanto residua dopo il pagamento dei crediti prededucibili e di quelli assistiti da garanzia
reale è destinato al pagamento degli altri creditori privilegiati rispettando l’ordine dei
privilegi stabilito dal codice e dalle leggi speciali.
Le somme che spettano ai creditori sono assegnate loro con periodiche ripartizioni parziali,
cui segue una ripartizione finale.
Per le ripartizioni parziali, ogni quattro mesi a partire dalla data di esecutività dello stato
passivo, il curatore presenta al giudice delegato
- un prospetto delle somme disponibili
- ed un progetto di ripartizione delle medesime.
Per ordine del giudice delegato il progetto di ripartizione viene depositato in cancelleria e
trasmesso in via telematica a tutti creditori che possono presentare reclamo davanti allo
stesso giudice delegato.
Esaurita la liquidazione dell’attivo, il curatore rende al giudice delegato il conto della sua
gestione.
Questo è approvato dal giudice delegato in un apposita udienza nella quale i creditori e del
fallito possono presentare osservazioni.
La somma dovuta ai creditori incerti è depositata nei modi stabiliti dal giudice delegato
perché possa essere versata ai creditori a cui spetta. Se invece l’evento non si verifica se ne
fa oggetto di riparto supplementare fra gli altri creditori
La somma dovuta ai creditori che non si presentano o sono i reperibili è depositata presso
l’ufficio postale o una banca.
Decorsi 5 anni possono essere reclamate dagli altri creditori rimasti insoddisfatti altrimenti
sono incamerate dallo Stato.
LA CESSAZIONE DEL FALLIMENTO
Oltre che per concordato fallimentare, il fallimento si chiude per una delle seguenti cause
elencate dall’articolo 118 della legge fallimentare.
La chiusura del fallimento è dichiarata con DECRETO MOTIVATO del tribunale, su istanza
del curatore, del fallito o di ufficio.
- Il decreto di chiusura è pubblicato nelle forme previste per la sentenza dichiarativa di
fallimento
- ed è reclamabile dinanzi alla corte d’appello e successivamente in cassazione.
Il decreto di chiusura ha effetto quando non è più impugnabile per scadenza dei termini o
quando il reclamo è stato definitivamente rigettato.
Con la chiusura del fallimento decadono gli organi preposti alla procedura e cessano gli
effetti del fallimento, sia per il fallito, sia per i creditori.
Di regola il debitore rimane obbligato verso creditori concorsuali non interamente
soddisfatti attraverso il fallimento.
Questi ultimi riacquistano la possibilità di proporre azioni esecutive individuali contro l’ex
fallito.
La liberazione del fallito dai debiti residui può aversi soltanto in due casi:
- quando il fallimento si chiude per concordato
- o quando il debitore ottiene l’esdebitazione dal tribunale fallimentare
L’ESDEBITAZIONE
L’esdebitazione è un beneficio concesso al fallito persona fisica, non dunque alle società né
agli imprenditori collettivi, in presenza di particolari condizioni soggettive e oggettive.
Con il decreto che concede o nega esdebitazione qualunque interessato può presentare
reclamo alla corte d’appello.
L’esdebitazione opera di regola su tutti i debiti anteriori all’apertura del fallimento, anche
quelli per i quali non è stata presentata domanda di insinuazione al passivo.
Fanno eccezione particolari categorie di reddito rispetto alle quali tale istituto non opera ed
il debitore resta quindi pienamente obbligato:
- gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da
rapporti estranei all’esercizio dell’impresa,
- La responsabilità extracontrattuale e le sanzioni pecuniarie penali ed amministrative
che non siano accessorie a debiti estinti.
ESDEBITAZIONE
introdotto dal legislatore della riforma ispiratosi ad una disciplina estera che è la disciplina
del DISCHARGE statunitense, disciplina finalizzata a rendere inesigibili i crediti vantati dai
creditori del fallito soddisfatti solo in parte all’esito della procedura concorsuale.
Quale e il fine che si propone tale istituto?
Quello di garantire un FRESH START , negli Stati Uniti ci si era resi conto già da parecchio
tempo che conclusa la procedura fallimentare anche se non erano stati soddisfatti
integralmente i creditori concorsuali non aveva senso proibire all’ex fallito di svolgere una
nuova attività di impresa o fargli gravare ancora questi crediti rimasti insoddisfatti dalla
procedura concorsuale fallimentare, proprio in virtù del fatto che l’attività d’impresa
rappresenti un valore in se da tutelare per ogni sistema economico, si voleva garantire all’ex
fallito all’esito della procedura concorsuale e in presenza di determinate condizioni un
FRESH START cioè gli si voleva consentire di iniziare , di riprendere a svolgere attività di
impresa quindi di riprodurre ricchezza.
Questo istituto del discharge statunitense è stato importato nel nostro ordinamento e il
nostro legislatore oltre ad aver aggiunto questo nuovo istituto ha anche coniato un nuovo
termine: ESDEBITAZIONE, tale istituto è contenuto negli articoli 142 e seguenti della legge
fallimentare.
Quindi nel momento in cui il tribunale dichiara chiusa la procedura fallimentare con decreto
su richiesta del debitore ex fallito il tribunale in presenza di determinate condizioni, dichiara
inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti
integralmente, inesigibili cioè al pari di obbligazioni naturali, sono incoercibili, cioè i
creditori non possono agire per pretendere e ottenere quel pagamento ma se il debitore lo
dovesse compiere non potrà poi più chiedere la ripetizione.
La riapertura del fallimento può anche essere richiesta dal debitore o da qualsiasi creditore
anche nuovo. Non può essere disposta d’ufficio.
La riapertura è rimessa alla valutazione discrezionale del tribunale che potrebbe ritenerla
non conveniente per i creditori anche quando venga garantito il pagamento.
Il termine per l’esercizio delle azioni revocatoria relative ad atti compiuti dal fallito dopo la
chiusura del fallimento sono compiuti dalla data di sentenza della riapertura.
Nel contempo sono privi di effetti nei confronti dei creditori gli atti a titolo gratuito
posteriore alla chiusura e anteriori alla riapertura del fallimento.
Lo stesso vale per gli atti di disposizione tra i coniugi che quindi tutti sono revocate di
diritto.
In sostanza è un accordo tra il fallito i suoi creditori in base al quale il primo si impegna a
soddisfare integralmente, o comunque in misura non inferiore a quella realizzabile sul
ricavato in caso di vendita, i creditori privilegiati e a pagare una percentuale ai creditori
chirografari ed in cambio ottiene la chiusura del fallimento.
Il fallito si libera definitivamente dei propri debiti per la parte che eccede la percentuale
concordataria.
I creditori chirografari a loro volta rinunciano ad una parte del proprio credito o accettano
modi di soddisfazione diversi dall’adempimento, ma questo sacrificio è compensato dalla
possibilità di ottenere qualcosa di più e più rapidamente.
Il concordato può essere conveniente dunque per i creditori chirografari i quali evitano di
attendere tempi molto lunghi della procedura fallimentare e sperano di ottenere almeno la
percentuale del loro credito promessagli dal fallito.
La riforma del 2006 ha ampliato l’ambito dei soggetti legittimati a presentare la proposta di
concordato e sono state ridotte anche le maggioranze necessarie per l’approvazione ed
anticipato il momento a partire dal quale si può proporre il concordato.
- Si può prevedere altresì che i creditori siano soddisfatti attraverso forme diverse
dall’adempimento:con la cessione di beni, attribuzione di partecipazioni sociali,
obbligazioni o altri strumenti finanziari.
L’assuntore può
- obbligarsi in solido con il fallito: accollo cumulativo,
- oppure restare il solo obbligato, se si prevede la liberazione immediata del fallito da
ogni debito: accollo liberatorio.
- limitare il proprio impegno ai soli creditori ammessi al passivo o il cui credito è in
corso di accertamento al tempo della proposta. In questa ultima ipotesi verso tutti gli
altri creditori continua rispondere il fallito sempre che lo stesso non ottenga
l’esdebitazione
La proposta che prevede la suddivisione dei creditori in classi richiede un controllo più
penetrante per evitare abusi e perciò deve essere sottoposta al tribunale che verifica il
corretto utilizzo dei criteri di formazione e di trattamento delle classi.
Se sono state presentate più proposte viene sottoposta all’approvazione dei creditori solo
quella prescelta dal comitato dei creditori, salvo che il giudice delegato, su richiesta del
curatore, disponga che ne vengano comunicate anche altre ritenute parimenti convenienti.
In tal caso si considera approvata la proposta che ha conseguito il maggior numero di
consensi in caso di parità la proposta presentata prima.
Diritto di voto
- Hanno diritto di voto i creditori chirografari ammessi al passivo anche se con riserva
se la votazione ha luogo prima che sia stato reso esecutivo lo stato passivo
- hanno diritto di voto i creditori chirografari che risultano dall’elenco provvisorio.
- I creditori privilegiati di cui la proposta di concordato prevede la soddisfazione non
integrale sono equiparati ai creditori chirografari e quindi possono votare per la
residua parte del credito
Non possono votare i creditori privilegiati se ad essi si offre l’integrale pagamento, a meno
che non rinuncino al privilegio.
Per l’approvazione della proposta di concordato è richiesto il consenso dei creditori che
rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto.
Se sono previste classi di creditori è necessario il consenso di tanti creditori che
rappresentano la maggioranza dei crediti inclusi in ciascuna classe e quindi è necessario che
il concordato sia approvato dalla maggioranza delle classi.
Omologazione del concordato
Se il concordato è approvato, su istanza del proponente si apre il giudizio di omologazione
del quale è investito il tribunale fallimentare.
Nel contempo il comitato dei creditori o in mancanza il curatore deposita una relazione col
suo parere definitivo.
È preclusa ogni azione dei creditori verso il fallito o la assuntore per la parte non soddisfatta
del loro credito.
Esecuzione
Dopo l’omologazione ha inizio l’esecuzione del concordato,
- liquidazione dei beni
- e pagamento dei creditori.
Gli effetti del concordato possono cessare per risoluzione o per annullamento
La risoluzione non può essere pronunziata quando gli obblighi del concordato sono stati
assunti da un terzo, con liberazione immediata del fallito.
In tal caso i creditori potranno agire solo contro l’assuntore, provocando il fallimento
qualora ricorrano i presupposti.
Annullamento
L’annullamento è disposto dal tribunale su istanza del curatore o qualsiasi creditore,
quando si scopre che il passivo era stato dolosamente esagerato o che una parte rilevante
dell’attivo era stata sottratta o dissimulata.
Al fallimento delle società in via di principio è applicabile la disciplina fin qui esposta.
Sia pure con adattamenti imposti dal dato che non si è in presenza di un imprenditore
individuale.
La legge fallimentare non specifica a chi, nell’ambito della società, compete l’iniziativa per
la dichiarazione di fallimento il punto è controverso.
Preferibile è l’opinione che ritiene legittimati gli amministratori sia nelle società di persone
sia in quelle di capitali.
Ed è pacifico per contro che in queste ultime gli amministratori siano legittimati a proporre
reclamo contro la dichiarazione di fallimento.
Nei confronti di
- amministratori
- sindaci
- direttori generali
- e liquidatori
sono applicabili le sanzioni penali per i reati di bancarotta semplice e fraudolenta.
- nella società di persone dai soci che rappresentano la maggioranza del capitale;
Il fallimento è causa legale di scioglimento delle società di persone dopo la riforma del
2003 non lo è più invece per le società di capitali.
Il fallimento dunque continua configurare una causa estintiva della società quando
conduce all’integrale liquidazione del patrimonio sociale non quando al termine del
fallimento residua un attivo da liquidare o la società è tornata in Bonis ed è perciò possibile
che la società ritorni al normale esercizio dell’attività d’impresa previa revoca dello stato di
liquidazione delle società di persone.
LA POSIZIONE DEI SOCI NEL FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ
Il fallimento della società non è senza effetto per i soci. Sono nettamente diversi a seconda
del tipo di società e del regime di responsabilità dei soci.
Il fallimento di una società non determina il fallimento dei singoli soci che godono del
beneficio della responsabilità limitata.
Il giudice delegato però può ordinare con decreto ai soci e ai precedenti titolari delle quote
o delle azioni di eseguire versamenti ancora dovuti anche se non è scaduto il termine
stabilito per il pagamento.
Il fallimento di una snc quindi determina il fallimento di tutti soci mentre il fallimento di una
società in accomandita semplice o di una società in accomandita per azioni determina il
fallimento di tutti soci accomandatari.
Il fallimento dei soci consegue automaticamente al fallimento della società senza che sia
necessario accertare la loro personale insolvenza.
I soci possono sottrarsi al fallimento solo contestando l’esistenza della società o la sua
insolvenza o la qualità di soci a responsabilità illimitata della stessa.
Lo stesso vale per i soci occulti in quanto il tribunale su istanza del curatore o di un
creditore o di un socio dichiara il fallimento dei medesimi.
L’estensione del fallimento ai soci occulti può essere richiesta
- dai soci già dichiarati falliti,
- dei creditori della società
- o dal curatore.
L’estensione del fallimento ai soci occulti si produce infine anche se dopo il fallimento
dell’imprenditore individuale è riferibile ad una società di cui il fallito è socio limitatamente
responsabile.
Così la riforma del 2006 si sancisce la soggezione al fallimento della società occulta.
Falliscono perciò:
- i soci, palesi o occulti, della società in nome collettivo,
- gli accomandatari dell’accomandita semplice e dell’accomandita per azioni,
- l’accomandante di società in accomandita semplice che ha violato il divieto di
immistione .
I soci illimitatamente responsabili falliscono anche se hanno cessato di far parte della
società per
- morte,
- recesso
- o esclusione,
dato che in tal caso persiste la responsabilità illimitata per le obbligazioni anteriori.
Il fallimento può però essere dichiarato solo se non è trascorso più di un anno da quando
sono state realizzate le formalità necessarie per rendere noti ai terzi tali fatti: vale a dire
- l’iscrizione nel registro delle imprese della cessazione del singolo rapporto sociale per
le società registrate,
- e la pubblicità con mezzi idonei per le società irregolari.
È inoltre necessario che lo stato di insolvenza della società attenga in tutto in parte a debiti
esistenti alla data di cessazione della responsabilità illimitata
Il tribunale nomina un solo giudice delegato e un solo curatore per i diversi fallimenti ma
possono essere nominati distinti comitati di creditori.
- Al fallimento della società partecipano solo i creditori sociali.
- Al fallimento dei singoli soci concorrono invece sia i creditori i sociali sia i rispettivi
creditori particolari.
I crediti verso la società assistiti da privilegio conservano il privilegio anche nel fallimento
dei soci.
I creditori sociali hanno diritto di partecipare alle ripartizioni dell’attivo di tutti fallimenti
fino all’integrale pagamento.
Il concordato fallimentare della società ha efficacia anche per i soci e fa chiudere anche i
loro fallimenti.
Ciascuno dei soci falliti può concludere un concordato particolare con i creditori sociali e i
creditori personali del proprio fallimento. Tale concordato fa cessare solo il fallimento di
quel socio.
Nell’ipotesi inversa:
- patrimonio destinato operativo capiente
- ma patrimonio generale insolvente,
viene dichiarato il fallimento e la gestione del patrimonio destinato compete al curatore.
Non viene meno la separazione patrimoniale fra patrimonio generale quello destinato.
I creditori del patrimonio destinato operativo non possono perciò insinuarsi al passivo del
fallimento se non nei limiti in cui la società fallita ha prestato garanzia con il suo patrimonio
generale al loro favore.
Il curatore può esercitare l’azione revocatoria contro gli atti pregiudizievoli per i creditori
del patrimonio generale che incidono sul patrimonio destinato.
È un mezzo che la legge accorda al debitore per evitare la procedura fallimentare, prima
della dichiarazione di fallimento.
L’imprenditore commerciale
- che si trova in stato di difficoltà economica
- e che supera anche uno solo dei limiti dimensionali fissati dall’articolo uno della legge
fallimentare,
può evitare che la crisi sfoci in fallimento regolando i propri rapporti con i creditori
mediante un concordato preventivo.
L’intervento del 2005 ha modificato il presupposto oggettivo del concordato preventivo che
non è più solo lo stato di insolvenza ma in generale lo stato di crisi economica
dell’imprenditore.
Lo stato di crisi è un concetto più ampio dell’insolvenza ricorre anche in presenza di una
situazione di difficoltà temporanea e reversibile di adempiere regolarmente i propri debiti.
Il concordato preventivo è una procedura concorsuale alla quale attualmente può essere
riconosciuta una duplice finalità:
- Se la crisi è temporanea e reversibile, il concordato mira a superare tale situazione
attraverso il risanamento economico e
finanziario dell’impresa.
L’imprenditore non subisce lo spossessamento e conserva sia pure con particolari cautele
l’amministrazione dei beni della gestione dell’impresa.
Il concordato preventivo non deve più condurre necessariamente alla liquidazione del
patrimonio del debitore insolvente per il soddisfacimento dei creditori bensì può essere
impiegato per il risanamento dell’impresa.
Non è più richiesto che l’imprenditore sia in grado di garantire il pagamento di una
percentuale non esigua ai creditori chirografari che prima era almeno il 40%.
Non è neppure necessario soddisfare per intero i creditori privilegiati il quale devono essere
soddisfatti in misura non inferiore a quanto gli stessi potrebbero conseguire, in ragione
della loro collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione.
A tal fine il valore di mercato del bene o del diritto sul quale sussiste la causa di prelazione
deve essere stimato da un esperto, designato dal debitore fra gli iscritti nel registro dei
revisori contabili appartenente alle categorie professionali Indicate dalla legge (avvocati,
dottori commercialisti, ragionieri, ragionieri commercialisti, anche organizzate in forma di
studi professionali società); e devono essere in possesso dei requisiti di indipendenza
richiesti per l’attestazione del piano di risanamento.
Contenuto della proposta
Il concordato può perseguire la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti
attraverso qualsiasi forma:
- può consistere in una dilazione dei termini di pagamento,
- nel soddisfacimento parziale dei creditori,
- in entrambe le soluzioni.
AMMISSIONE AL CONCORDATO
Quando viene presentata una domanda incompleta il giudice fissa un termine per la
formulazione della proposta fra un minimo di 60 ed un massimo di 120 giorni prorogabile in
presenza di giustificati motivi.
Entro questo termine il debitore può presentare
- una proposta di concordato
- oppure la richiesta di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti.
Il tribunale stabilisce anche obblighi informativi periodici a carico del proponente la cui
violazione comporta l’inammissibilità della domanda.
Può inoltre nominare un commissario giudiziale in funzione di vigilanza.
Istruttoria
Ricevuta la domanda completa della proposta e gli allegati il tribunale svolge un controllo
preliminare volto ad accertare se ricorrano i presupposti di legge per l’ammissione alla
procedura:
- qualità di imprenditore commerciale non piccolo,
- esistenza dello stato di crisi.
Verifica inoltre il rispetto dei limiti fissati dalla legge riguardo al contenuto della proposta:
- trattamento da riservare ai creditori privilegiati,
- correttezza dei criteri di formazione delle classi.
In base all’attuale disciplina il tribunale non può più entrare nel merito della convenienza
della proposta per i creditori.
Se invece ritiene ammissibile la proposta, il tribunale con decreto non soggetto a gravame,
dichiara aperta la procedura di concordato preventivo.
Con lo stesso provvedimento il tribunale designa gli organi della procedura:
Dalla data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese i creditori anteriori:
Il concordato preventivo in linea di principio non incide sui rapporti contrattuali in corso
dato che l’imprenditore conserva il potere di amministrare il suo patrimonio.
Qualora la proposta di concordato prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa tutti i
contratti in corso di esecuzione proseguono e sono inefficaci i patti contrari.
Il debitore può chiedere di essere autorizzato a sciogliersi dai contratti in corso di
esecuzione alla data di presentazione del ricorso.
Può essere autorizzata la sospensione dei medesimi rapporti per un periodo non superiore
a 60 giorni prorogabili una sola volta.
Le relative autorizzazioni sono rilasciate dal tribunale nella fase di apertura o dal giudice
delegato
In tale adunanza ciascun creditore può esporre le ragioni per le quali non ritiene
ammissibile o accettabile la proposta di concordato-
Il debitore può rispondere e contestare a sua volta i crediti e ha il dovere di fornire al
giudice i chiarimenti ritenuti opportuni.
Valgono regole analoghe a quelle esposte per il concordato fallimentare per quanto
riguarda l’esclusione dal voto
- dei crediti privilegiati,
- del coniuge, parenti e affini al debitore
- nonché dei cessionari dei crediti di costoro.
Se il concordato non viene approvato dai creditori perché non sono state raggiunte le
maggioranze richieste, la maggioranza si può formare successivamente con altro mezzo,
attraverso un meccanismo di silenzio assenso, introdotta con la riforma del 2012.
I creditori che non hanno esercitato il loro voto possono far pervenire il loro dissenso per
corrispondenza nei 20 giorni successivi alla chiusura dell’adunanza in mancanza si ritengono
consenzienti.
Chi ha votato contro in adunanza può mutare opinione e far pervenire la propria adesione
negli stessi termini.
Giudizio di omologazione
In sede di omologazione il tribunale effettua un controllo sulla regolarità della procedura e
sul risultato della votazione.
L’attuale disciplina non prevede più un controllo di merito sulla convenienza economica del
concordato per i creditori.
Fa eccezione l’ipotesi che la convenienza del concordato sia contestata mediante
opposizione.
in tal caso il tribunale può omologare ugualmente la proposta ove ritenga che il credito
dell’opponente possa risultare soddisfatto dal concordato.
Se i risultati del controllo sono positivi il tribunale omologa con decreto il concordato
altrimenti lo respinge e su istanza di un creditore o del pubblico ministero previo
accertamento dei presupposti dichiara il fallimento con sentenza.
Qualora il concordato consista nella cessione dei beni ai creditori, se non è previsto
diversamente, il tribunale nomina uno o più liquidatori ed un comitato di tre o cinque
creditori per assistere alla liquidazione.
Il concordato con cessione non comporta il trasferimento della proprietà dei beni ai
creditori ma solo il conferimento ai creditori di un mandato a liquidare i beni e ripartirne il
ricavato fra di loro.
Nel concordato con cessione dei beni ai creditori le percentuale di soddisfacimento indicate
nella proposta sono considerate indicative del possibile risultato della liquidazione e non
costituiscono un’obbligazione del proponente a meno che non le abbia espressamente
garantite.
Pertanto non si può chiedere la risoluzione qualora il ricavato si riveli in concreto inferiore
alle attese anche di molto.
Si tende ad ammettere che il concordato con cessione possa essere risolto quando risulta
prevedibilmente impossibile corrispondere una qualsiasi percentuale ai creditori
chirografari.
Il concordato può essere annullato negli stessi casi previsti per il concordato fallimentare su
ricorso di ciascun creditore o del commissario giudiziale.
Sono prededucibili i crediti derivanti da atti legalmente compiuti dal debitore nella fase di
apertura della procedura che intercorre dalla presentazione di domanda al decreto di
ammissione.
Il beneficio della prededucibilità è riconosciuto a favore dei nuovi finanziamenti concessi al
debitore concordatario seppure a condizioni e con cautele diverse a seconda che i prestiti
siano erogati prima, durante o dopo la procedura:
- Non sono giudiziali perché non sono raggiunti per il tramite di organi giudiziari bensì
mediante trattative dirette fra debitore e creditori, il tribunale interviene
sull’accordo già concluso solo in funzione di controllo mediante
l’omologazione.
- Non sono di massa perché parte dell’accordo sono esclusivamente i creditori che lo
accettano e che proprio per questo possono acconsentire a ricevere
trattamenti non conformi al principio della par condicio creditorum: gli
altri sono qualificati dalla legge come creditori estranei e devono essere
soddisfatti per intero entro i termini massimi stabiliti dalla legge.
Benché il punto sia controverso l’essenza dell’istituto non si esaurisce in un mero accordo
negoziale: gli accordi di ristrutturazione danno origine ad una procedura che è pur sempre
una procedura concorsuale.
Ai creditori che non aderiscono all’accordo deve invece essere assicurato l’integrale
pagamento.
Dopo la riforma del 2012 però il pagamento di costoro deve essere integrale e non più
regolare la differenza non è meramente terminologica, dato che oggi la legge permette di
stabilire dilazione di pagamento anche a carico per i creditori non aderenti.
All’accordo devono aderire i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti.
Durante la fase delle trattative l’imprenditore può chiedere al tribunale di essere posto al
riparo dalle azioni cautelari o esecutive individuali dei creditori.
A tal fine deve presentare un’istanza corredata della documentazione volta ad attestare
l’esistenza di trattative in corso e ritualità della proposta.
Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato non
sono soggetti ad azione revocatoria in caso di successivo fallimento.
In caso di annullamento o risoluzione dei crediti conservano le garanzie ricevute e non sono
tenuti a restituire quanto già hanno riscosso in base all’accordo caducato.
L’autorità competente a disporre la liquidazione coatta non è mai l’autorità giudiziaria bensì
l’autorità amministrativa individuata dalle singole leggi speciali.
Ad esempio,
- il ministro dell’economia e delle finanze per le banche, la società di intermediazione
mobiliare e le società di gestione del risparmio;
- il ministro dello sviluppo economico per le imprese di assicurazione e così via
Obiettivo costante della liquidazione coatta è l’eliminazione dal mercato dell’impresa, non
necessariamente insolvente, colpita dal relativo provvedimento.
In alcuni casi come per le società cooperative la legge invece ammette entrambe le
procedure e risolve il possibile conflitto fra le stesse secondo il criterio della prevenzione:
IL PROVVEDIMENTO DI LIQUIDAZIONE.
L’ACCERTAMENTO DELLO STATO DI INSOLVENZA
La liquidazione coatta amministrativa è disposta con decreto del autorità governativa che
alla vigilanza sull’impresa.
Entro 10 giorni dalla sua data il decreto deve essere pubblicato nella gazzetta ufficiale e
comunicato per l’iscrizione all’ufficio del registro delle imprese.
La stessa autorità governativa nomina gli organi della procedura che sono
- il commissario liquidatore
- e il comitato di sorveglianza.
La sentenza che accerta lo stato di insolvenza è comunicata a quest’ultima entro tre giorni
perché disponga la liquidazione che costituisce un atto dovuto della pubblica
amministrazione.
L’accertamento dello stato di insolvenza di un’impresa, anche pubblica, che già si trova in
liquidazione coatta può essere richiesto al tribunale
- solo dal commissario liquidatore
- o dal pubblico ministero
- non invece dei creditori.
Effetti
Gli effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa sono in parte diversi a
seconda che sia stato meno accertato lo stato di insolvenza.
Entrambi casi trovano applicazione gli effetti del fallimento sul patrimonio del debitore
(spossessamento) e se l’impresa è una società restano sospese le funzioni degli organi
sociali.
Si applicano integralmente le norme che regolano gli effetti del fallimento per i creditori e
quelle sui rapporti giuridici in corso di svolgimento.
Solo se è stato accertato lo stato di insolvenza trovano applicazione le norme della legge
fallimentare relative agli atti pregiudizievoli ai creditori e le sanzioni penali disposte per il
fallimento
Se lo stato di insolvenza è stato accertato e possibile promuovere l’azione revocatoria
fallimentare per reintegrare il patrimonio dell’imprenditore.
IL PROCEDIMENTO
La liquidazione coatta amministrativa si sviluppa, come il fallimento, attraverso le fasi:
Tutte queste fasi si svolgono però in sede amministrativa, anche se non mancano possibili
interventi dell’autorità giudiziaria.
Manca inoltre una fase di verifica dello stato passivo, è sempre il commissario liquidatore
che entro 90 giorni dalla data del provvedimento di liquidazione forma lo stato passivo
definitivo, lo deposita nella cancelleria del tribunale e lo trasmette tramite posta elettronica
certificata a coloro la cui pretesa non sia stata in tutto in parte riconosciuta.
A questo punto si può aprire una fase contenziosa davanti all’autorità giudiziaria, con la
proposizione di opposizioni e impugnazioni da parte dei creditori.
Per la ripartizione dell’attivo valgono criteri analoghi a quelli dettati in tema di fallimento.
Prima dell’ultimo riparto, il commissario liquidatore deve
- sottoporre all’autorità amministrativa di vigilanza il bilancio finale di liquidazione
- con il conto della gestione
- e il piano di riparto fra i creditori,
- accompagnati da una relazione del comitato di sorveglianza.
Chiusura
in mancanza di contestazioni, bilancio finale e il piano di riparto si intendono approvati.
Il commissario provvede alla ripartizione finale fra i creditori e se del caso, alla cancellazione
della società nel registro delle imprese.
I creditori possono far valere le loro ragioni solo mediante opposizione presentata al
tribunale prima dell’approvazione.
Contro il decreto del tribunale che approvo respinge il concordato si può proporre reclamo
alla corte d’appello
- Il fallimento,
- il concordato preventivo
- e la liquidazione coatta amministrativa
sono procedure concorsuali che di regola conducono alla disgregazione del complesso
aziendale con conseguente perdita dei posti di lavoro per i dipendenti, di qui l’esigenza
avvertita negli anni 70 di una nuova procedura concorsuale idonea conciliare:
- il soddisfacimento dei creditori
- con il salvataggio del complesso produttivo in crisi
- e la conservazione dei posti di lavoro.
Presupposti
Il tribunale può affidare la gestione dell’impresa al commissario giudiziale e solo in tal caso
l’imprenditore perde l’amministrazione e la disponibilità di tutto il suo patrimonio.
Ogni credito deve essere accertato secondo le norme che regolano la formazione dello
stato passivo.
Se è dichiarata insolvente una società con soci a responsabilità illimitata gli effetti della
dichiarazione dello stato di insolvenza si estendono ai soci limitatamente responsabili,
compresi i soci ceduti, esclusi solo se la dichiarazione di insolvenza è pronunciata entro
l’anno successivo alla data in cui lo scioglimento del rapporto sociale è divenuto opponibile
APERTURA DELL’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA
Il commissario giudiziale deve redigere una relazione contenente una motivata valutazione
circa l’esistenza di tali condizioni e depositarla in cancelleria entro 30 giorni dalla
dichiarazione dello stato di insolvenza.
La relazione viene trasmessa ai creditori per via telematica ed il ministero dello sviluppo
economico esprime il proprio parere non vincolante.
Entro 30 giorni dal deposito della relazione il tribunale assume le sue determinazioni,
tenuto conto
- del parere del ministero
- delle eventuali osservazioni dell’imprenditore,
- dei creditori
- e di ogni interessato.
Se ritiene che sussistono concrete prospettive di risanamento, con decreto motivato
dichiara aperta la procedura di amministrazione straordinaria.
Si producono perciò
- per l’imprenditore,
- ai creditori
- e ai terzi
gli stessi effetti della dichiarazione di fallimento che conseguono alla liquidazione coatta
amministrativa.
Il divieto di azioni esecutive individuali a carico dei creditori ha carattere assoluto e non
soffre le eccezioni consentite in caso di fallimento da leggi speciali.
Fanno eccezione i contratti di lavoro subordinato per i quali restano ferme le disposizioni
vigenti in tema di licenziamento.
Col programma di cessione dei complessi aziendali si avvia una fase di liquidazione
destinata a soddisfare i creditori con il ricavato delle cessioni, mentre l’attività di impresa
sarà eventualmente continuata dai cessionari.
Il programma deve tendere a salvaguardare l’unità operativa dei complessi aziendali tenuto
conto degli interessi dei creditori.
Il programma deve perciò indicare
- le modalità della cessione,
- segnalando le offerte pervenute o acquisite,
- nonché le previsioni in ordine alla soddisfazione i dei creditori
L’esecuzione del programma è autorizzato dal ministero dello sviluppo economico sentito il
comitato di sorveglianza entro 30 giorni dalla presentazione.
Nel contempo sono previste particolari misure per consentire la realizzazione del
programma e per preservare l’unità dei complessi aziendali e i livelli occupazionali.
Fermo restando che i debiti contratti dal commissario durante l’esercizio dell’impresa sono
debiti di massa da soddisfare in prededuzione, per evitare che vengano chiusi canali di
finanziamento bancario è prevista la concessione della garanzia dello Stato a favore delle
banche che erogano finanziamenti per la gestione corrente e per la riattivazione e il
completamento di impianti, immobili attrezzature industriali.
Evidente però che anche il peso di questi debiti si scarica sui creditori anteriori: lo Stato
interviene come semplice garante e diviene a sua volta creditore di massa per il recupero
delle somme pagate a chi ha concesso tali finanziamenti.
Può essere concesso un consistente sconto sul valore del complesso aziendale a chi acquista
aziende non ancora risanate è perciò che continuano a produrre perdite.
L’acquirente si deve però impegnare a continuare l’esercizio dell’impresa per almeno due
anni e mantenere per lo stesso periodo livelli di occupazione stabiliti all’atto di vendita e si
specifica che l’acquirente deve essere scelto tenendo conto anche delle garanzie di
mantenimento dei livelli occupazionali.
L’acquirente non risponde dei debiti aziendali anteriori al trasferimento.
Gli acconti possono essere disposti dal commissario straordinario in qualsiasi momento
della procedura, hanno carattere provvisorio e sono ripetibili.
Possono essere distribuiti indipendentemente dal tipo di programma adottato e nella
distribuzione è data preferenza ai crediti di dei lavoratori subordinati e degli imprenditori
per le vendite su amministrazione dei beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei sei
mesi precedenti la dichiarazione dello stato di insolvenza.
I riparti possono essere effettuati solo dopo che lo stato passivo è stato reso esecutivo con
l’osservanza della disciplina al riguardo dettata dalla legge fallimentare, sono definitivi e
non revocabili.
Sono possibili solo quando il programma adottato prevede la cessione dei complessi
aziendali, dato che in quel programma di ristrutturazione i creditori vengono soddisfatti
secondo i tempi e con le modalità previste dal programma.
Avvenuta l’integrale cessione dei complessi aziendali il tribunale dichiara con decreto la
cessazione dell’esercizio dell’impresa.
A partire da tale momento l’amministrazione straordinaria perde la propria funzione ed è
considerata mera procedura concorsuale liquidatoria.
Non potrà essere continuata l’attività di impresa mentre la liquidazione dei beni residui
prosegue secondo la disciplina dell’amministrazione straordinaria
CESSAZIONE DELLA PROCEDURA
L’amministrazione straordinaria termina
- per conversione in fallimento
- o con la chiusura della procedura.
La conversione in fallimento può essere disposta nel corso della procedura quando risulta
che la stessa non può essere utilmente proseguita.
È disposta la scadenza del programma di cessione o di ristrutturazione quando la cessione
non sia ancora avvenuta in tutto o in parte, oppure l’imprenditore non abbia recuperato la
capacità di soddisfare le proprie obbligazioni
La proposta di concordato deve essere autorizzata dal ministero dello sviluppo economico
ed è assoggettata alla stessa disciplina prevista per il concordato nella liquidazione coatta
amministrativa.
- Per l’imprenditore agricolo dal più accentuato rischio di impresa insito nello
sfruttamento di fattori produttivi biologici: l’agricoltore è esposto come tutti gli
imprenditori al rischio di non coprire i costi con i ricavi
per non corrette scelte di gestione
o per la situazione di mercato
ma in più e anche esposto al rischio di calamità naturali che possono
compromettere o distruggere la produzione.
Tutti soggetti non imprenditori sono per traduzione estranei all’ambito del fallimento in
quanto istituto nato storicamente per comporre il dissesto dei mercati.
L’esenzione dal fallimento è un vantaggio e un privilegio per il debitore vuol dire non essere
esposto a gravi effetti personali e penali della procedura, al discredito commerciale.
Per altro verso però vuol dire che il debitore resta perennemente esposto alle azioni
esecutive individuali dei creditori senza la possibilità di liberarsi dei debiti con una
procedura di concordato oppure con un provvedimento di esdebitazione.
Per questo motivo sono diffuse in altri paesi procedure che consentono a tutti soggetti il
diritto di ripianare la propria situazione debitoria tramite un accordo con i creditori oppure
mediante la liquidazione concorsuale dell’intero patrimonio.
Si dà così la possibilità di un nuovo inizio a chi si ritrova ormai indebitato oltre le proprie
capacità di adempiere.
Di fronte alla grave crisi economica di questi anni anche l’Italia ha deciso di dotarsi di simili
strumenti per regolare la crisi dei debitori che si trovano in stato di sovra indebitamento e
possono usufruire di altra procedura concorsuale.
Il sistema delle procedure concorsuali destinate a soggetti non fallibili si articola in tre
istituti:
1) una procedura di liquidazione giudiziaria di tutti beni del debitore: procedura di
liquidazione del patrimonio;
2) una procedura in cui la crisi viene superata mediante un piano predisposto dal
debitore e accettati dalla maggioranza dei creditori: accordo di composizione della
crisi da sovra indebitamento;
3) una procedura riservata solo ai consumatori incolpevoli del proprio stato di solvenza
in cui il piano predisposto dal debitore viene omologato il reso effettivo dal giudice
senza bisogno di accettazione da parte dei creditori: piano del consumatore
- e viceversa il soggetto che possiede molti beni ma non riesce a far fronte alle
obbligazioni in scadenza perché non ha redditi sufficienti e il patrimonio non è
facilmente liquidabile resta in stato di sovraindebitamento.
Gli effetti per il debitore inoltre sono meno gravosi e non sono previste speciali azioni
revocatoria contro gli atti dallo stesso compiuti prima della domanda di liquidazione.
Possono presentare domanda di liquidazione del patrimonio i debitori non soggetti ad altre
procedure concorsuali.
Più incerto è se la procedura si può applicare anche all’imprenditore agricolo dato che
questa categoria può essere sottratta al fallimento e ammessa ad una procedura
concorsuale diversa da quelle disciplinate dalla legge.
L’imprenditore agricolo può presentare un accordo di ristrutturazione dei debiti secondo la
disciplina della legge fallimentare.
La risposta è dunque affermativa in quanto l’imprenditore agricolo è espressamente incluso
fai soggetti che possono presentare richiesta di accordo di composizione della crisi da
sovraindebitamento.
Non può presentare domanda di ammissione il debitore che ha fatto ricorso nei precedenti
5 anni ad un’altra procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento o di
liquidazione del patrimonio.
La domanda si propone come ricorso al tribunale del luogo dove il debitore ha la residenza
o la sede principale ad essa vanno allegati una serie di documenti:
- l’inventario di tutti beni del debitore,
- l’elenco dei creditori,
- l’elenco degli atti di disposizione compiuti negli ultimi 5 anni,
- la dichiarazione dei redditi degli ultimi 3 anni,
- la certificazione del nucleo familiare del debitore
- con l’elenco delle spese correnti necessarie per il sostenimento suo e della famiglia.
Se il debitore svolge attività di impresa devono essere allegate anche le scritture contabili
degli ultimi 3 esercizi.
Nella presentazione della domanda il debitore deve farsi assistere da un organismo di
composizione della crisi.
Tali organismi sono iscritti in un albo tenuto presso il ministero della giustizia.
In alternativa i compiti e le funzioni di organismo di composizione della crisi possono essere
svolti da un professionista in possesso dei requisiti per la nomina come curatore
fallimentare o da un notaio, nominati dal tribunale
Tale organismo deve verificare i dati contenuti nella domanda di ammissione e negli allegati
ed esprime un giudizio sulla completezza e attendibilità della relativa documentazione
mediante una relazione che va allegata alla domanda nel quale l’organismo riferisce:
- le cause della crisi,
- la diligenza del debitore nell’assumere obbligazioni,
- la sua capacità di adempiere in passato
- nonché l’eventuale esistenza di atti impugnati dei creditori.
Nel corso del procedimento il giudice verifica l’esistenza dei requisiti di ammissibilità della
domanda e accerta l’esistenza di atti di frode ai danni dei creditori negli ultimi 5 anni.
Può anche assumere poteri inquisitori, come l’accesso alle banche dati pubbliche e private.
Il giudice ordina la consegna o il rilascio al liquidatore dei beni facenti parte del patrimonio
di liquidazione.
Il decreto di ammissione è espressamente equiparato all’atto di pignoramento perciò gli atti
di disposizione del debitore, riguardanti beni e diritti inclusi nel patrimonio di liquidazione,
sono inefficaci nei confronti dei creditori concorsuali, analogamente a quanto si verifica con
lo spossessamento del fallito.
La liquidazione ha ad oggetto l’intero patrimonio del debitore, compresi gli accessori, le
pertinenze e i frutti dei beni, con le seguenti eccezioni:
A) Gli assegni a carattere alimentare, stipendi, pensioni, salari e ciò che il debitore
guadagna con la propria attività, nei limiti di quanto occorre per il mantenimento suo
e della famiglia determinati dal giudice con decreto di apertura della procedura
B) I frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli e i beni costituiti in fondo
patrimoniale con i loro frutti.
C) I crediti e le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge: vestiti,
strumenti di lavoro eccetera.
L’esercizio delle azioni recuperatorie dirette a reintegrare la massa attiva deve essere
riservato agli organi della procedura perché vadano a vantaggio di tutti creditori concorsuali
e non di singoli creditori.
A carico del debitore ammesso alla procedura di liquidazione non si producono gli effetti
personali e quelli penali del fallimento.
Gli atti pregiudizievoli per i creditori potranno essere impugnati solo con gli strumenti di
diritto comune.
Sui contratti in corso di esecuzione l’apertura della liquidazione non ne determina
automaticamente la sospensione o lo scioglimento
Effetti per i creditori
I creditori concorsuali devono far valere le loro pretese esclusivamente nell’ambito della
procedura concorsuale per tutta la durata del procedimento non possono, sotto pena di
nullità, iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive né acquistare diritti di prelazione
sul patrimonio oggetto di liquidazione.
Se durante l’apertura del liquidazione sono pendenti procedure esecutive, il liquidatore può
subentrare.
Il deposito della domanda sospende il corso degli interessi fino alla chiusura della
liquidazione.
Non viene richiamata la regola secondo cui tutti debiti pecuniari del fallito si considerano
scaduti alla data di apertura della procedura.
Può trovare applicazione analoga la corrispondente disciplina del fallimento.
I creditori con causa o titolo posteriore al momento in cui è eseguita la pubblicità del
decreto di apertura sono esclusi dal concorso potranno pertanto avviare azioni esecutive
individuali anche durante lo svolgimento della procedura ma soltanto sui beni non facenti
parte del patrimonio di liquidazione.
La procedura rimane aperta sino alla completa esecuzione del programma di liquidazione
e per una durata minima di 4 anni successivi al deposito della domanda di ammissione.
In presenza di questi requisiti l’esdebitazione viene concessa dal giudice su richiesta del
debitore da presentare entro 1 anno dalla chiusura della procedura e sentiti i creditori non
integralmente soddisfatti.
Il provvedimento può essere impugnato dei creditori mediante reclamo al tribunale ed è
sempre revocabile se risulta che il debitore ha compiuto attivo frode ai creditori, violato la
par condicio creditorum, oppure ha con dolo o colpa grave rappresentato infedelmente il
proprio stato patrimoniale.
Per effetto del decreto di esdebitazione, tutti crediti concorsuali ancora non integralmente
soddisfatti sono dichiarati inesigibili.
accomunate dalla circostanza che la crisi economica del debitore viene superata mediante
l’attuazione di un piano proposto dal debitore stesso.
Possono proporre un accordo di composizione della crisi tutti debitori, consumatori inclusi,
- in stato di sovraindebitamento,
- i quali non siano soggetti ad altre procedure concorsuali.
- Possono avvalersi della procedura anche gli imprenditori agricoli.
Si possono inoltre suddividere i creditori in classi, allo scopo di offrire a ciascuna classe un
trattamento differenziato
La proposta deve prevedere scadenze e modalità di pagamento dei creditori ed indicate le
eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti.
Può inoltre prestabilire modalità per la liquidazione dei beni.
Il contenuto della proposta deve osservare i seguenti limiti:
A) Per i crediti impignorabili per legge:
alimenti,
stipendi,
TFR,
deve essere assicurato il regolare pagamento.
Nessuna dilazione o riduzione o modalità alternativa di adempimento è perciò
ammessa
C) Per i tributi costituenti risorse proprie dell’unione europea, l’Iva e le ritenute operate
e non versate si può prevedere esclusivamente una dilazione di pagamento.
Il debitore che intende presentare una proposta di accordo deve rivolgersi a un organismo
di composizione della crisi.
L’organismo assume:
- ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano
- e dopo l’omologazione, all’esecuzione dello stesso,
- verifica la veridicità dei dati contenuti della proposta e negli allegati
- e attesta la fattibilità del piano
Qualora i beni e i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità
dell’accordo la proposta deve essere sottoscritta anche da uno o più terzi che consentono
il conferimento anche in garanzia di redditi o beni sufficienti per assicurarne l’attuabilità.
Alla proposta il debitore deve allegare una documentazione analoga a quella della domanda
di ammissione nella procedura di liquidazione del patrimonio.
Insieme alla proposta deve essere presentata anche l’attestazione dell’organismo di
composizione della crisi sulla fattibilità del piano.
La proposta è inammissibile quando il proponente non rientra in una delle categorie di
debitori ammessi a presentarle ed inoltre quando il debitore:
1) Ha fatto ricorso nei 5 anni precedenti a una procedura di composizione della crisi o di
liquidazione del patrimonio
L’esame si conclude con un decreto di apertura della procedura oppure di rigetto contro il
quale è possibile presentare ricorso al tribunale anche in questo caso l’impugnazione viene
decisa da un Collegio del quale non può far parte il giudice che ha emanato il
provvedimento impugnato.
La proposta e il decreto di apertura sono soggetti a pubblicità con le forme stabilite dal
giudice e pubblicate nel registro delle imprese se il proponente svolge attività di impresa.
- In mancanza si ritiene che gli stessi abbiano prestato consenso alla proposta nei
termini in cui è stata loro comunicata. Opera un meccanismo di silenzio-assenso:
tutti creditori che non hanno mai manifestato volontà contraria sono considerati
consenzienti.
- L’accordo deve essere raggiunto dai creditori che rappresentano almeno il 60% dei
crediti, è questa l’unica maggioranza richiesta.
- Sono esclusi dall’approvazione dal calcolo della maggioranza il coniuge del debitore, i
suoi parenti ed affini fino al quarto grado, nonché i cessionari o aggiudicatari dei loro
crediti da meno di un anno prima della proposta.
- All’udienza il giudice verifica che non vi siano state iniziative o atti in frode ai
creditori. Altrimenti dispone immediatamente la revoca del decreto di ammissione e
la cessazione delle forme di pubblicità dello stesso.
- Se l’accordo è stato raggiunto l’organismo di composizione della crisi avvia una serie
di attività primi preliminari all’omologazione.
- Il giudice può omologare ugualmente l’accordo qualora ritenga che il credito possa
essere soddisfatto dall’esecuzione dello stesso in misura non inferiore all’alternativa
di una procedura di liquidazione del patrimonio.
- I pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell’accordo sono
inefficaci nei confronti dei creditori concorsuali e in ogni caso il giudice può
sospendere gli atti di esecuzione dell’accordo qualora ricorrano gravi motivi.
Il ricorso per la risoluzione deve essere proposto entro 6 mesi dalla scoperta e comunque
entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto
sull’accordo.
In base a questa procedura il piano predisposto dal debitore viene omologato e reso
vincolante dal giudice senza necessità di ottenere l’approvazione dei creditori.
Per consumatore si intende la persona fisica che ha assunto obbligazioni per scopi estranei
all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
La disciplina del piano del consumatore è in larga parte coincidente con quella degli accordi
di composizione della crisi vediamo quindi le differenze.
Valgono gli stessi vincoli di quelli previsti per la previsti per la proposta di accordo di
composizione della crisi in merito ai crediti per i quali non può essere previsto un
pagamento ridotto o dilazionato.
Nella stessa relazione l’organismo esprime un giudizio sulla probabile convenienza del
piano per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria.
Il giudice
- verifica l’esistenza dei presupposti di ammissibilità della domanda
- verifica l’assenza di frodi
- Fissa l’udienza per la convocazione dei creditori per l’udienza di omologazione.
- Il decreto e il piano vengono comunicati ai creditori almeno 30 giorni prima della data
fissata per l’udienza.
Omologazione
All’udienza il giudice risolve in via preliminare le contestazioni sollevate dei creditori e prima
di omologare deve verificare:
- la fattibilità del piano
- e la meritevolezza del debitore.
Il piano non può essere omologato quando
- il consumatore ha assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle
adempiere
- o quando ha colposamente determinato il sovraindebitamento anche per mezzo di un
ricorso al credito non proporzionato le proprie capacità patrimoniali.
Solo con l’adempimento delle formalità pubblicitarie del decreto di omologa si ritiene la
distinzione tra creditori concorsuali e non concorsuali.
Per creditori concorsuali il piano omologato è obbligatorio e della data di omologazione gli
stessi non possono iniziare o proseguire azioni esecutive cautelari individuali né possono
acquistare diritti di prelazione sul patrimonio del debitore
I creditori non concorsuali non sono soggetti al divieto di azioni esecutive individuali però
non possono procedere sui beni che formano oggetto del piano.
Gli effetti dell’omologazione vengono meno di diritto oppure possono essere revocati dal
giudice su istanza dei creditori negli stessi casi previsti per la revoca, annullamento o
risoluzione degli accordi di composizione della crisi.