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CRISI DELL’IMPRESA.

L'impresa può attraversare periodi di crisi, che possono mettere l'imprenditore in


situazioni di di coltà economica e nanziaria, sino a giungere all’insolvenza.

Il nostro ordinamento o re al problema diverse soluzioni: quella di valenza generale del


fallimento, quella della liquidazione coatta amministrativa propria delle imprese soggette a
controllo pubblico, quella dell'amministrazione straordinaria delle grandi e grandissime
imprese, alle quali poi vanno aggiunte le cosiddette procedure concorsuali minori, in
particolare quella del concordato preventivo, e quella degli accordi di ristrutturazione dei
debiti, che presuppongono accordi tra l'imprenditore in crisi e i suoi creditori.

IL FALLIMENTO.
La disciplina del fallimento è contenuta nel r.d. n. 267 del 1942, c.d. Legge Fallimentare,
che è stata oggetto di incisive riforme. Il fallimento è:

1) Una procedura concorsuale, perché attribuisce ai creditori dell'imprenditore


insolvente il diritto di concorrervi, e giudiziaria, perché si attua in sede giudiziaria;

2) Universale, perché, salvo eccezioni, interessa tutti i creditori (universalità in senso


soggettivo) e tutti i beni (universalità in senso oggettivo) dell'imprenditore insolvente;

3) Di specie esecutiva, perché il patrimonio dell'imprenditore insolvente viene


forzatamente liquidato, cioè venduto e trasformato in denaro e quindi ripartito tra i
creditori in proporzione delle rispettive ragioni di credito e nel rispetto del principio
della parità di trattamento.

Il fallimento, come procedura concorsuale, si contrappone all'esecuzione individuale, che


interessa invece solo alcuni beni, quelli pignorati dai creditori del debitore, che si sono
attivati.

LA COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO.


La peculiarità dell'insolvenza dell'imprenditore richiederebbe che alla procedura
fallimentare sia sottoposto qualsiasi imprenditore, se insolvente. Per contro, la legge
esclude che da questa procedura, oltre taluni imprenditori per i quali siano applicabili le
procedure della liquidazione coatta amministrativa, l'imprenditore di modeste dimensioni,
l'imprenditore agricolo e gli enti pubblici.

La L. n. 3 del 2012 ha introdotto la disciplina della composizione delle crisi da sovra


indebitamento, così istituendo una procedura per la ristrutturazione dei debiti di coloro
che non rientrando nei presupposti della legge fallimentare, sia perché al di sotto dei limiti
dimensionali previsti, sia perché soggetti non imprenditori commerciali, sia perché non
imprenditori, rimanevano esclusi da ogni possibilità di soluzione globale delle proprie
posizioni debitorie. La nuova disciplina permette, previo consenso di una percentuale pari
al 60% dei creditori interessati e con l'omologa da parte del tribunale del luogo di
residenza del debitore, di accedere ad un accordo di ristrutturazione del debito.

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L’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA DELLE GRANDI IMPRESE.
L. 1979 (c.d. Legge Prodi), denominata amministrazione straordinaria, era riservata alle
grandi imprese in crisi: le grandi imprese venivano sottratte alla procedura fallimentare, e
assoggettate alla nuova procedura, allo scopo di tentare il loro salvataggio. La
circostanza però che tutte le grandi imprese dovessero senz'altro sperimentare il tentativo
di risanamento, salvo in un secondo momento rinunciarvi di fronte all’insuccesso,
comportava costi non solo spesso inutili, ma anche elevatissimi, date le grandi dimensioni
delle imprese.

Così è stata emanata una nuova L.1999 (c.d. Prodi bis), la quale prevede una fase
preliminare che mira ad accertare se le imprese interessate presentino concrete
prospettive di recupero dell'equilibrio economico: solo in questo caso le imprese sono
ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria, mentre in caso contrario sono
dichiarate fallite e sottoposte alla conseguente procedura fallimentare.

I PRESUPPOSTI SOGGETTIVI DELLA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO.


Possono essere dichiarati falliti gli imprenditori commerciali, con alcune eccezioni: ciò
risulta dall'articolo 2221 c.c., per il quale gli imprenditori che esercitano un'attività
commerciale, esclusi gli enti pubblici e piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso di
insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni
delle leggi speciali, e dall’art. 1 L.F. che assoggetta al fallimento e a concordato
preventivo gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.

Però, se entrambi gli articoli escludono dal fallimento e dal concordato preventivo gli enti
pubblici, l'articolo 1 l.f. non esclude dal fallimento i piccoli imprenditori, di cui parla
l'articolo 2221, bensì gli imprenditori che sono nel possesso congiunto dei seguenti
requisiti: a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza del
fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di
ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 300k;

b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di
deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi
per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 200k;

c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro 500.000.

In tal modo l'articolo 1 l.f. consente di a ermare genericamente che il legislatore ha inteso
escludere dal fallimento e dal concordato preventivo gli imprenditori esercenti imprese di
modeste dimensioni, non consente invece di a ermare che il legislatore ha inteso
escludere il fallimento soltanto i piccoli imprenditori (caratterizzati dalla prevalenza del
lavoro proprio e dei componenti della famiglia ex art. 2083 c.c.).

PRESUPPOSTO OGGETTIVO DELLA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO.


L’art. 5 l.f. dispone che è dichiarato fallito l'imprenditore che si trova in uno stato di
insolvenza, e precisa poiché è in stato di insolvenza chi non è più in grado di soddisfare
regolarmente le proprie obbligazioni. Presupposto della dichiarazione di fallimento non è

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un fatto, né una serie di fatti; ma uno stato del patrimonio dell’imprenditore, per il quale le
sue attività patrimoniali non sono su cienti a soddisfare regolarmente le passività.

Normalmente tale situazione patrimoniale si manifesta con l'inadempimento di una o più


obbligazioni; d'altra parte ci può essere stato di insolvenza pur non essendovi alcun
inadempimento, come quando il debitore per mascherare uno stato di insolvenza stipula
prestiti usurari: essi evitano il fatto dell'inadempimento, non lo stato di insolvenza, che
permane, ed è anzi da tali espedienti aggravato. Altri sintomi dello stato di insolvenza
dell'imprenditore sono la fuga, l'irreperibilità, la latitanza dell'imprenditore o la chiusura
dei locali dell’impresa.

SENTENZA DICHIARATIVA DI FALLIMENTO. Occorre che il fallimento sia dichiarato, e


la dichiarazione avviene mediante sentenza del tribunale del luogo dove l’imprenditore ha
la sede principale dell’impresa (9 l.f.). Con tale sentenza, che produce i suoi e etti dalla
data di deposito nella cancelleria del tribunale che l’ha pronunciata e, per i terzi, dalla
data dell’iscrizione nel registro delle imprese, il Tribunale provvede anche a:

- nominare il giudice delegato per la procedura e il curatore;

- ordinare al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e dell’elenco dei
creditori;

- stabilire il luogo, il giorno e l’ora dell’adunanza in cui si procederà all’esame dello stato
passivo;

- ad assegnare ai creditori e ai terzi, che vantino diritti mobiliari su cose in possesso del
fallito, il termine perentorio di 30 giorni prima di questa adunanza per la presentazione
in cancelleria delle domande di insinuazione.

La sentenza è sottoposta a larga pubblicità: va infatti noti cata al debitore, comunicata


per estratto a chi ha richiesto il fallimento, e trasmessa all’u cio del registro delle
imprese, che provvede alla sua annotazione. La dichiarazione di fallimento può avvenire:

1) su ricorso di uno o più creditori, non è necessario che il credito vantato sia di natura
commerciale, ovvero contratto per l'esercizio dell’impresa, ma è legittimato dalla semplice
qualità di creditore. Deve denunciare lo stato di insolvenza e addurre tutte le prove di cui
dispone per dimostrare la insolvenza. Il tribunale, dopo aver accertato che il ricorrente è
e ettivamente creditore, può e deve svolgere le indagini che gli sono consentite al ne di
accertare se lo stato di insolvenza denunziato e ettivamente sussista.

L’istruttoria prefallimentare deve assicurare alle parti, e innanzitutto all’imprenditore,


l’esercizio del diritto di difesa, il rispetto dei principi dell'articolo 24 costituzione sul diritto
alla difesa, e dell'articolo 111 costituzione sul giusto processo (l'imprenditore infatti viene
previamente convocato in camera di consiglio).

2) su richiesta del debitore al Tribunale, può ritenere conveniente sottrarre i propri beni
ad una serie di esecuzioni singolari che siano state iniziate da vari creditori; può temere
che da una continuazione dell’esercizio dell'impresa la sua situazione patrimoniale esca
aggravata; può avere interesse alla c.d esdebitazione (c.d. diritto di fallire). Tuttavia il
Tribunale dovrà ugualmente accertare che l’insolvenza e ettivamente sussista. All’istanza
del debitore devono essere accompagnate le scritture contabili, il bilancio e il conto dei

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pro tti e delle perdite per i 3 anni precedenti, nonché uno stato particolareggiato delle
attività ed un elenco dei creditori.

3) su richiesta del Pubblico Ministero, la propone quando l’insolvenza risulta nel corso
di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza
dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla
sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo, dalla segnalazione di un giudice
che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile. Nel procedimento per la
dichiarazione di fallimento il PM diviene una parte.

4) di U cio, nel caso ad es se durante l’amministrazione straordinaria, risulti che la


stessa non può essere utilmente proseguita.


Il fallimento è dichiarato dal Tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale
dell’impresa (9 l.f.) : si tratta di competenza funzionale, inderogabile. Costituisce poi
indagine di fatto stabilire, in presenza di un’impresa che svolge la sua attività in molteplici
sedi, quale debba considerarsi principale; buon indice sarà quello di accertare dove sia il
centro direttivo e coordinatore. La riforma del 2006, per contrastare trasferimenti di sede
decisi per sfuggire al giudice naturale, ha disposto che il trasferimento della sede
intervenuto nell’anno antecedente all’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di
fallimento non rileva ai ni della competenza.

La sentenza di fallimento può essere impugnata mediante reclamo proposto con ricorso,
da depositare, entro 30 giorni, presso la Corte di Appello competente, dal debitore o da
qualunque interessato. L’Appello di per sé non sospende gli e etti della sentenza
impugnata. Il termine decorre, per il debitore, dalla data in cui la sentenza gli è stata
noti cata, e per tutti gli altri interessati dalla data dell'iscrizione della sentenza nel registro
delle imprese. L’Appello non può più proporsi decorsi 6 mesi dal deposito della sentenza.

L’esame della Corte di Appello deve ritornare sui due punti della qualità di imprenditore
commerciale del fallito e dello stato di insolvenza. Nuovi elementi, oltre a quelli già vagliati
dal tribunale in sede di dichiarazione, possono essere in questa sede considerati, anche
se non prodotti dalle parti; ma l’indagine deve sempre concernere la situazione al
momento della pronuncia dichiarativa. Avverso la sentenza di appello, è proponibile
ricorso per Cassazione nel termine di 30 giorni dalla noti cazione. Se la sentenza è
revocata, restano salvi gli e etti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento.

Se il Tribunale, investito di un’istanza di fallimento, non ritiene che sussistono gli estremi
per la dichiarazione di fallimento provvede con decreto motivato, comunicato alle parti
(debitore, creditori istanti e al pm richiedente) a cura del cancelliere. Entro 30 giorni dalla
comunicazione i creditori ricorrenti e il pm richiedente possono proporre reclamo alla
Corte di Appello, che provvede in Camera di consiglio. Qualora la Corte accolga il ricorso,
non può pronunciare la dichiarazione di fallimento, ma deve rimettere d’u cio gli atti al
tribunale per la dichiarazione di fallimento, ma deve rimettere d'u cio gli atti al tribunale
per la dichiarazione; il Tribunale peraltro è vincolato ad uniformarsi alla decisione della
corte. Il decreto, non essendo suscettibile di passare in giudicato, è ritenuto
paci camente non impugnabile per cassazione .

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GLI ORGANI PREPOSTI AL FALLIMENTO.
Con la dichiarazione di fallimento si apre la procedura esecutiva concorsuale: i beni
sottoposti all’esecuzione devono essere amministrati e liquidati, il ricavato ripartito fra i
creditori. Ma prima occorre che siano determinati i beni da sottoporre all’esecuzione.

Durante tutto questo periodo, i beni devono essere prima amministrati e poi liquidati
mediante vendita; può continuare anche l’esercizio dell’impresa del fallito da parte del
curatore, anche limitatamente a speci ci rami dell’azienda, quando, dapprima, la
sentenza dichiarativa del fallimento ne abbia disposto l’esercizio provvisorio per evitare
che dalla interruzione possa derivare un danno grave, previo parere favorevole del
comitato dei creditori alla proposta del curatore.

In primo luogo si punta sempre a tutelare i creditori dell'imprenditore fallito.

Il TRIBUNALE FALLIMENTARE (il tribunale che ha dichiarato il fallimento) è investito,


come collegio, dell’intera procedura fallimentare. Ha i poteri: di provvedere alla nomina e
alla revoca o sostituzione degli organi della procedura, quando questi provvedimenti non
sono di competenza del giudice delegato; di decidere sulla controversie relative alle
procedure che non sono di competenza del giudice delegato; di decidere sui reclami
contro i provvedimenti del giudice delegato. Inoltre è competente a conoscere tutti i
giudizi che derivano dal fallimento: competenza esclusiva o vis attractiva (forza di
attrazione) del foro fallimentare; si tratta di poteri in parte amministrativi in parte
giurisdizionali .

GIUDICE DELEGATO, esercita funzioni di vigilanza e di controllo sulla regolarità della


procedura, ha i poteri: di nominare il comitato dei creditori; di autorizzare il curatore a
stare i giudizio in rappresentanza del fallimento; di provvedere sui reclami proposti contro
gli atti del curatore e del comitato dei creditori; di formare e di rendere esecutivo lo stato
passivo, di accertare i creditori che hanno diritto di partecipare al riparto dei beni liquidati.

CURATORE, può essere sia una persona sica che uno studio professionale associato ad
una società tra professionisti; investito all’esercizio delle sue funzioni della qualità di
pubblico u ciale; ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare destinatario di
liquidazione, sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori. è
nominato tenuto conto delle risultanze dei rapporti riepilogativi; è istituito , presso il
Ministero della Giustizia, un registro nazionale nel quale far con uire i provvedimenti di
nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali: in questo registro
sono annotati i provvedimenti di chiusura del fallimento e di omologazione del
concordato. Assunta la carica, ed entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario, il
curatore deve predisporre un programma di liquidazione, da sottoporre peraltro
all’approvazione favorevole del comitato dei creditori, nel quale deve speci care le azioni
risarcitorie, recuperatorie e revocatorie da esercitare, le possibilità di cessione unitaria
dell’azienda, di singoli rami, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco. La sua
natura giuridica è ricollegata alle varie concezioni: come rappresentante del fallito,
rappresentante dei creditori e pubblico u ciale come dichiara la legge stessa.

COMITATO DEI CREDITORI, composto di 3 o 5 membri scelti fra i creditori, è nominato


dal giudice delegato, entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento, sentiti il curatore e
accolte le indicazioni provenienti dai creditori.

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Ha funzione di controllo e consultive, dovendo vigilare sull’operato del curatore, potendo
a tal ne sempre ispezionare le scritture contabili e i documenti del fallimento e chiedere
notizie e chiarimenti al curatore e al fallito, dovendo, nei casi ex lege-previsti dal giudice
delegato, autorizzare gli atti del curatore, e fornire pareri sugli atti e a ari della procedura.
Tuttavia il parere del comitato, quand’anche è obbligatorio, non è vincolante, tranne nel
caso di continuazione dell’esercizio dell’impresa del fallito.

I provvedimenti del giudice delegato e del tribunale possono essere impugnati mediante
reclamo al Tribunale e alla Corte di Appello. Legittimati al reclamo sono il curatore, il
fallito, il comitato dei creditori, chi ha chiesto o nei cui confronti è stato chiesto il
provvedimento, nei 10 giorni dalla comunicazione o noti cazione del provvedimento. Al
reclamo è legittimato anche qualsiasi interessato.

EFFETTI DEL FALLIMENTO PER IL FALLITO E PER I CREDITORI.


La sentenza che dichiara il fallimento priva, dalla data del suo deposito, il fallito
dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni; il curatore li prende in consegna
man mano che ne fa l’inventario. Questa è la conseguenza necessaria della procedura di
esecuzione concorsuale alla quale i beni del fallito devono essere sottoposti. La legge
prevede la possibilità che il fallito svolga attività di lavoro e economica, e assuma, durante
il fallimento, obbligazioni. Il fallito perderà, con la liquidazione dell’attivo, la proprietà dei
suoi beni; ma la perderà quando sarà trasferita ad altri soggetti. Non solo per i beni che
esistono alla data di dichiarazione del fallimento, ma anche per quelli che pervengono al
fallito durante il fallimento (c.d. beni sopravvenuti, es donazione, legato).

I beni del fallito che non sono compresi nel fallimento ex 46 l.f.:

1) beni e diritti di natura strettamente personale (es. contratto di locazione);

2) assegni avente carattere alimentare, stipendi, pensioni, salari, entro i limiti di quanto
occorre per il mantenimento suo e della sua famiglia;

3) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei gli, i beni costituiti in fondo
patrimoniale e i frutti di essi;

4) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge ex 514 c.p.c., es.
anelli, vestiti, letti, tavolo.

La perdita dell’amministrazione e della disponibilità fa sì che tutti gli atti compiuti dal
fallito sono ine caci di fronte ai creditori; non può in ne il fallito stare in giudizio né come
attore né come convenuto, starà in giudizio il curatore che ha la legittimazione
processuale.

Gli e etti che la dichiarazione di fallimento produce nei confronti dei creditori sono:

a) dal giorno della dichiarazione di fallimento, nessuna azione individuale esecutiva può
essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento. Questa è la conseguenza
dell'apertura del concorso dei creditori sul patrimonio del fallito, e nell'esecuzione
collettiva che si sostituisce alla singolare. 

b) tutti i debiti pecuniari si considerano scaduti dalla data di dichiarazione del fallimento e
da tale data cessano di produrre interessi.

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L’eccezioni per le due norme è prevista per i crediti pignoratizi e per alcuni crediti
privilegiati. Tali crediti, sempre dopo che siano stati ammessi al passivo, possono essere
realizzati anche durante il fallimento. Seconda eccezione riguarda gli interessi che
decorrono, anche dopo la dichiarazione del fallimento, per i crediti garantiti da ipoteca,
pegno e privilegio.

EFFETTI DEL FALLIMENTO SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI AI CREDITORI.


La massa dei beni sui quali deve attuarsi l'esecuzione collettiva non è costituita solo dai
beni che sono di proprietà del fallito al momento della dichiarazione di fallimento, ma può
essere costituita anche da beni che hanno cessato di far parte del patrimonio del fallito a
seguito di atti di disposizione validamente posti in essere prima della dichiarazione di
fallimento. Il problema non si pone solo in tema di fallimento: il legislatore lo ha a rontato
e risolto anche in sede di esecuzione singolare, con le disposizioni degli articoli
2901-2904 c.c., che regolano l'azione revocatoria c.d. ordinaria o pauliana.

Ai sensi dell'articolo 2901 il creditore può domandare che siano dichiarati ine caci nei
suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio
alle sue ragioni, quando ricorrono 2 condizioni: pregiudizio, che l’atto di disposizione
arrechi o possa arrecare alle ragioni del creditore (c.d. eventus damni), e la frode che è la
consapevolezza del pregiudizio, che l’atto di disposizione del patrimonio ha arrecato o
può arrecare alle ragioni del creditore (c.d. consilium fraudis se c’è un terzo).

Azione revocatoria ordinaria il creditore è messo nelle condizioni di agire esecutiva mente
sul bene che è stato oggetto dell'atto di disposizione. Il debitore può validamente
compiere, pur in presenza di creditori, atti di disposizione del suo patrimonio, se i beni
che residuano nel patrimonio, se i beni che residuano nel patrimonio sono su cienti a
soddisfare agevolmente i suoi creditori.

L’azione revocatoria ordinaria, quando il debitore sia fallito, non può più esercitata dai
creditori, ma può essere esercitata dal curatore, nel rispetto dei termini di 5 anni dal
compimento dell’atto e non oltre 3 anni dalla dichiarazione di fallimento, con la citazione
dinanzi al Tribunale fallimentare del terzo bene ciario dell’atto di disposizione.

AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE


IL legislatore non ha ritenuto su ciente a tutelare i creditori, dopo che si siano veri cati lo
stato di insolvenza e la dichiarazione di fallimento di un imprenditore commerciale,
l’azione revocatoria ordinaria, ma ha concesso al curatore fallimentare di agire in giudizio
per reintegrare la massa attiva del fallimento anche mediante un’altra azione, che si
aggiunge senza sostituirsi all’azione revocatoria ordinaria.

L’azione revocatoria fallimentare intende servire: 1) allo scopo di allargare la portata


dell’azione revocatoria sì da farvi rientrare atti non soggetti alla revocatoria ordinaria,
quando compiuti in un periodo (c.d. periodo sospetto) in cui vi sono elementi per
sospettare che l'imprenditore sia ormai in stato di insolvenza;

2) allo scopo di rendere, rispetto all’azione revocatoria ordinaria, più facile l’esercizio
dell’azione revocatoria; 3) senza però trascurare che signi ca porre un freno agli a ari, e
in più generale allo sviluppo economico del paese.

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In particolare, in caso di atti compiuti nel periodo sospetto, è parso ragionevole al
legislatore assoggettare all’azione revocatoria anche i pagamenti di debiti scaduti,
sottratti a quella ordinaria.

Il legislatore, nel fare questa scelta, sembra aver considerato che il debitore che non sia
imprenditore commerciale non ha, almeno normalmente, molti creditori; e viceversa, che il
debitore che sia imprenditore commerciale ha, almeno normalmente, molti creditori. Ed è
probabilmente per questo motivo che il legislatore non ha preso in considerazione questo
particolare pregiudizio nella disciplina dell'azione revocatoria ordinaria, tipicamente
prevista per il debitore con pochi creditori (2901 infatti precisa che non è soggetto a
revoca l'adempimento di un credito scaduto).

Rendere più o meno facile l'esercizio dell'azione revocatoria è un problema che non
incide solo su interessi privati, quelli del debitore, dei creditori, dei terzi bene ciari dei
suoi atti; può incidere anche su interessi pubblici: il rischio della revocatoria induce chi
opera sul mercato a selezionare con prudenza gli imprenditori con i quali intrattenere
a ari, e quindi può in uire negativamente sullo sviluppo economico del paese.

Vi sono state quindi numerose modi che volte a depotenziare l’istituto creato dal
legislatore con le riforme del 2005-2006, ad esempio con la riduzione del periodo di
sospetto, cioé del periodo di tempo antecedente alla dichiarazione di fallimento entro il
quale gli atti devono essere compiuti per essere soggetti all’azione revocatoria
fallimentare, e l'aumento degli atti che non sono soggetti all’azione revocatoria
fallimentare.

LA DISCIPLINA DELL’AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE.

Sono dunque soggetti alle particolari norme della revocatoria fallimentare gli atti posti in
essere, a seconda dei casi, nell’anno ovvero nei 6 mesi anteriori alla dichiarazione di
fallimento. Costituiscono una categoria a parte gli atti a titolo gratuito, che, se posti in
essere nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento, sono privi di e etto senza
pronuncia del giudice.

Due categorie di atti: i primi in cui la conoscenza dello stato di insolvenza è presunta a
favore del curatore (incombe al terzo provare che non conosceva lo stato di insolvenza
per impedire la revoca), in secondi in cui la presunzione è a favore del terzo (incombe al
curatore provare che il terzo conosceva lo stato di insolvenza del debitore).

1) atti a titolo oneroso, compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui
le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre 1/4 ciò che
a lui è stato dato o promesso; atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili; pegni,
anticresi e le ipoteche volontarie;

2) pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, compresi quelli coattivi, gli atti a titolo oneroso, e
quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente
creati, se compiuti nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento. Si tratta di atti
che attengono perlopiù al normale svolgimento dell'attività dell'imprenditore e che quindi
di per sé non legittimano alcun sospetto circa lo stato di insolvenza di chi li compie; di qui
l'onere della prova addossato al curatore della conoscenza dello stato di insolvenza da
parte del terzo.

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Come l’azione revocatoria ordinaria, anche l’azione revocatoria fallimentare è volta a
conseguire la declaratoria di ine cacia di dati atti dell'imprenditore di poi fallito rispetto
alla massa dei creditori, ferma restando la loro validità ed e cacia fra le parti. Al rigore
della revocatoria fallimentare si sottraggono alcuni atti e alcuni creditori: per evitare che il
rischio allontani i fornitori, impedendo all’impresa in crisi di continuare a produrre; anche
per tutelare soggetti meritevoli in quanto acquirenti di beni essenziali alla vita o alla
propria attività economica; altre esenzioni mirano a rendere appetibile il ricorso alle
procedure concorsuali minori immunizzando gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in
essere in esecuzione del concordato preventivo, nonché dell’accordi di ristrutturazione
dei debiti; altre esenzioni considerano la particolare natura del soggetto della Banca
d’Italia, esonerata dalla revocatoria per il ruolo che essa riveste nel sistema economico e
nanziario e per la conseguente esigenza di salvaguardarne il patrimonio.

Anche l'azione revocatoria fallimentare non può essere promossa decorsi 3 anni dalla
dichiarazione di fallimento e comunque decorsi 5 anni dal compimento dell'atto.

EFFETTI DEL FALLIMENTO SUI RAPPORTI GIURIDICI.


Al momento della dichiarazione di fallimento possono esservi contratti a prestazioni
corrispettive, già perfezionati, ma non ancora eseguiti (rapporti in corso di esecuzione,
c.d. pendenti). Il problema non si pone in modo particolare, quando una delle parti abbia
già del tutto eseguito la propria prestazione; in tal caso vi sarà o un credito o un debito
del fallimento. Ma quando l’una e l’altra parte (il fallito o il contraente in bonis) non hanno
ancora eseguito la loro prestazioni.

La disciplina dei contratti in corso di esecuzione ripartisce i contratti in 3 categorie:

- quelli che si sciolgono ipso iure (automaticamente) a séguito della dichiarazione di


fallimento (contratto di mandato in caso di fallimento del mandatario, contratti di conto
corrente, anche bancario);

- quelli che malgrado la dichiarazione di fallimento continuano (contratti di
assicurazione in caso di fallimento dell'assicurato, di locazione di immobili, di lavoro
subordinato nell’impresa; ispirate a ragioni che intendono essere equitative, ad esempio
l’esigenza di salvaguardare il più possibile i posti di lavoro). Si tratta di contratti il cui
improvviso scioglimento la cui improvvisa sospensione potrebbero causare gravi di coltà
operative e danni ad una delle parti.

- quelli la cui esecuzione, ex art. 72 l.f., a seguito della dichiarazione di fallimento,
resta sospesa, sino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori,
non decida di subentrare nel contratto ovvero di sciogliersi dal medesimo.

Costituisce la disciplina generale. Al ne di evitare di lasciare per troppo tempo


all’incertezza il contraente in bonis, costui può mettere in mora il curatore, facendogli
assegnare dal giudice delegato un termine, non superiore a 60 gg, decorso il quale il
contratto si intende sciolto. Si applica non solo ai contratti de nitivi, ma anche ai contratti
preliminari, e al contratto di compravendita.

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ACCERTAMENTO DEL PASSIVO E DEI DIRITTI REALI DEI TERZI.
Perché i concorrenti da concorsuali divengano concorrenti, è necessario che il loro
credito sia accertato secondo le norme di legge, e con ciò ammesso al passivo.

La sentenza dichiarativa di fallimento stabilisce il luogo, il giorno e l'ora dell'adunanza


(adunanza o udienza di veri ca) in cui si deve procedere all'esame dello stato passivo, da
tenersi nel termine di 120 gg, prorogabile no a 180, dal deposito della sentenza, e
assegna ai creditori il termine perentorio di 30 gg prima dell'udienza di veri ca per la
presentazione al curatore delle domande di ammissione—insinuazione al passivo.

La domanda di ammissione al passivo produce gli e etti della domanda giudiziale, in


primo luogo l'interruzione della prescrizione no alla chiusura del fallimento (la
dichiarazione di fallimento invece non sospende la prescrizione).

Sulla base delle domande presentate e dei documenti esibiti, il curatore predispone e
rendi noto un progetto di stato passivo, nel quale deve precisare le sue conclusioni con
riferimento a ciascuna domanda, considerando tanto la sussistenza del credito, quanto
l'esistenza di cause legittime di prelazione (privilegi, pegni, ipoteche), e operando quindi la
distinzione tra creditori chirografari e privilegiati. Il creditore chirografario è il creditore il
cui credito non è assistito da cause legittime di prelazione, ossia pegno, ipoteca e
privilegio, o da garanzie personali (es. deiussione), e per tale ragione saranno soddisfatti
soltanto dopo creditori privilegiati. Infatti ai sensi dell'articolo 2741 del codice civile i
creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause
legittime di prelazione (privilegi, pegno e ipoteca) —> la norma esprime il principio della
par condicio creditorum, in virtù del quale i creditori hanno uguale diritto di ottenere
soddisfazione delle proprie pretese sui beni del debitore, salve le cause legittime di
prelazione.

Il giudice delegato conferma o modi ca il progetto di stato passivo predisposto dal


curatore, dichiarandolo esecutivo con un altro decreto, e depositandolo in cancelleria.

La scadenza del termine di 30gg prima dell'udienza di veri ca per la presentazione delle
domande di ammissione non preclude però, in modo de nitivo, ai creditori la possibilità di
presentare domande di ammissione al passivo Dopo la scadenza di questo termine, ma
non oltre 12 mesi (prorogabile no al 18) dal deposito del decreto che rende esecutivo lo
stato passivo, i creditori possono presentare domande tardive ed essere ammessi al
passivo.

I Mezzi di Impugnazione dei Decreti che rendono esecutivo lo stato passivo:


— Opposizione da parte dei creditori esclusi per ottenere l’ammissione del loro credito/
per ottenere il riconoscimento della vantata causa di prelazione;

— Impugnazione da parte dei creditori ammessi o dal curatore, contro l'ammissione di


crediti o di cause di prelazione a favore di altri creditori;

— In via straordinaria, decorsi i tempi per avanzare l’opposizione o l’impugnazione,


revocazione a domanda dei creditori ammessi o del curatore, quando si scopra che i
provvedimenti del giudice delegato sono stati determinati da falsità, dolo, errore
essenziale di fatto.

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LIQUIDAZIONE E RIPARTIZIONE DELL’ATTIVO.
La liquidazione dei beni componenti la massa attiva del fallimento completo al curatore;
egli, per evitare che questa avvenga in modo disordinato e per renderla più celere, deve
predisporre, entro 60 gg dalla redazione dell’inventario, e in ogni caso non oltre 180 gg
dalla sentenza dichiarativa di fallimento, un programma di liquidazione, che deve indicare
le modalità e i termini previsti per la realizzazione dell'attivo, da sottoporre
all’approvazione del comitato dei creditori. Il programma di liquidazione deve indicare:

— l'opportunità di disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa ovvero l’opportunità di


a ttare l’azienda del fallito, o singoli rami, al ne della più pro cua vendita dell’azienda o
di singole sue parti;
-  la sussistenza di proposte di concordato;
-  le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare;

-  le possibilità di cessione unitaria dell’azienda, di singoli rami;

-  il termine entro il quale sarà completata la liquidazione dell’attivo.

Il programma di liquidazione deve essere sottoposto all’approvazione del Comitato dei
creditori e, una volta approvato, comunicato al giudice delegato, al quale poi spetta
autorizzare il compimento dei singoli atti ad esso conformi.

Il termine entro il quale dovrà essere completata la liquidazione dell’attivo, non può mai
eccedere 2 anni dal deposito della sentenza di fallimento. Appare già dal contenuto del
programma di liquidazione, l’evidente preoccupazione del legislatore di salvaguardare,
anche nella fase di liquidazione, l’organismo imprenditoriale, posto che il legislatore vuole
che già nel programma di liquidazione si indichino le possibilità di cessione unitaria
dell'azienda o di singoli rami.

La liquidazione dell'attivo avviene mediante la vendita dei beni che lo compongono,


secondo le modalità e cautele stabilite dalla legge; il ricavato è ripartito tra i creditori.

I creditori ammessi tardivamente concorrono soltanto ai riparti posteriori alla loro


ammissione in proporzione del rispetto credito, salvi i diritti di prelazione.

Prima di procedere a qualsiasi ripartizione si deve provvedere al pagamento dei debiti di


massa o prededucibili (sorti in occasione o in funzione della procedura fallimentare, o di
altra procedura concorsuale che l’abbia preceduta), perché assunti nell’interesse della
massa dei creditori, in contrapposizione ai debiti concorsuali, che sono già facenti capo al
fallito al tempo della dichiarazione di fallimento.

La ripartizione nale deve essere preceduta dalla liquidazione del compenso dovuto al
curatore.

CHIUSURA DEL FALLIMENTO.


Compiuta la ripartizione nale dell’attivo, o quando la procedura non può essere utilmente
continuata per insu cienza di attivo, la procedura si chiude, e la chiusura è dichiarata con
decreto del Tribunale. La chiusura può avvenire anche prima che si addivenga al riparto
nale, se con ripartizioni parziali o comunque in altro modo tutti i crediti sono stati estinti
e sono state pagate le spese della procedura; e ancora se nei termini stabiliti non sono
state proposte domande di ammissione al passivo. Con la chiusura del fallimento
cessano gli e etti del fallimento sul patrimonio del fallito e decadono gli organi preposti al
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fallimento; la chiusura della procedura non implica di per sé l’esdebilitazione del debitore
nei confronti dei creditori che non siano completamente soddisfatti. La chiusura fa infatti
cessare il divieto di proseguire azioni individuali sui beni del fallito; ciò che peraltro è vero
solo per imprenditore persona sica, visto che per le società, alla chiusura del fallimento,
segue, su richiesta del curatore, la cancellazione della società dal registro delle imprese, e
con ciò l’impossibilità di agire esecutivamente contro la società.

L’esdebitazione è prevista come bene cio per i falliti, persone siche, meritevoli, che
siano tali per il comportamento tenuto sia nel corso dell’esercizio della loro impresa, per
non avere commesso delitti ad essa connessi, sia nel corso della procedura fallimentare,
per aver collaborato, con gli organi fallimentari, per la migliore e più rapida conclusione
della procedura. Tuttavia l’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano
stati soddisfatti, neppure in parte i creditori concorsuali.

CONCORDATO FALLIMENTARE.
Alla chiusura del fallimento può addivenirsi anche a seguito di Concordato Fallimentare.
Si ha concordato quando uno o più creditori, uno o più terzi, o il fallito o rono ai creditori
di soddisfare in una qualche misura e forma i loro crediti, e tale o erta, approvata dalla
maggioranza dei creditori ammessi, viene altresì approvata o omologata dal tribunale. La
novella del 2006 ne ha facilitato e potenziato l’uso. Per esempio, mentre la disciplina
originaria riservava solo al fallito la facoltà di avanzare proposta di concordato, la nuova
disciplina consente di avanzare la proposta anche ai creditori, nonché a un qualsiasi
terzo. Ancora, mentre la vecchia disciplina stabilita per legge il contenuto minimo della
proposta di concordato, la nuova disciplina lascia praticamente libero il proponente di
stabilire il contenuto della sua proposta (fermo restando che la stessa deve tendere a
soddisfare i creditori in base ad una soluzione da essi condivisa).

La proposta deve o rire la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti


attraverso qualsiasi forma: non deve quindI necessariamente prevedere la soddisfazione
dei creditori mediante denaro, questi possono essere soddisfatti attraverso qualsiasi
forma, ad esempio cessione dei beni, accollo parziale o totale dei debiti del fallito la parte
di un terzo, pagamento dilazionato, o parziale dei debiti.

La proposta presentata con ricorso al giudice delegato il quale, dopo aver chiesto il
parere del curatore e acquisito il parere favorevole e vincolante del comitato dei creditori,
ne valuta senza entrare nel merito, la ritualità (conformità a legge), e se la ritiene rituale ne
dispone la comunicazione ai creditori a mezzo di PEC. La comunicazione della proposta
sia per consentire ai creditori di valutarla e di votare a favore o contro la sua
approvazione: peraltro la votazione avviene secondo modalità studiate per favorirne
l’approvazione. Infatti, il legislatore ssa un termine, non inferiore a 20 gg e non superiore
a 30, perché i creditori facciano pervenire alla cancelleria le loro dichiarazione di dissenso,
e precisa che i creditori che non fanno pervenire il loro dissenso si ritengono consenzienti.
Hanno diritto di voto i creditori chirografari, non possono votare i creditori muniti di
privilegio, pegno o ipoteca, dei quali la proposta di concordato preveda l'integrale
pagamento, a meno che non rinuncino ai loro diritti di prelazione, né il coniuge i parenti e
gli a ni del fallito no al quarto grado.

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Il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la
maggioranza dei crediti ammessi al voto e, ove siano previste diverse classi di creditori,
se riporta la maggioranza dei crediti nelle classi.

Se il curatore accerta che il concordato non è stato approvato, ne prende atto con
decreto.

Se invece il concordato è stato approvato, per acquistare e cacia dovrà essere


sottoposto all'ulteriore vaglio del tribunale, il che può aversi seconda due distinti
procedimenti: il procedimento di approvazione e il procedimento di omologazione.

Se non vi sono opposizioni da parte dei creditori dissenzienti, si apre il procedimento di


approvazione: il tribunale, veri cata la regolarità della procedura e l'esito della votazione,
omologa il concordato, con decreto motivato non reclamabile in appello ma solo
ricorribile in cassazione ex 111 costituzione.

Se vi sono opposizioni da parte dei creditori dissenzienti, si apre il procedimento di


omologazione: il tribunale procede ad un controllo di legalità e di merito (controlla che la
proposta è conveniente o quantomeno non pregiudizievole), e in ne decide, qui però con
decreto motivato reclamabile in appello e successivamente ricorribile in Cass.

La proposta di concordato diviene e cace una volta che il decreto di omologazione sia
diventato de nitivo, con ciò il tribunale dichiarerà chiuso il fallimento; il concordato
omologato è obbligatorio per tutti creditori anteriori all'apertura del fallimento, abbiano un
non aderito al concordato.

E’ in ogni caso preclusa ogni azione individuale dei creditori verso il fallito per la parte non
soddisfatta dei loro crediti: è questa la fondamentale di erenza di e etti tra la chiusura del
fallimento a seguito di concordato e gli altri casi di chiusura del fallimento.

Il concordato, se non viene adempiuto, può essere risolto, e può essere altresì annullato
se si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo, o sottratta o dissimulata una
parte rilevante dell'attivo; in questi casi si riapre la procedura fallimentare.

RIAPERTURA DEL FALLIMENTO.


La legge prevede la possibilità che un fallimento chiuso possa, in momento successivo,
essere riaperto. Il fallimento, chiuso per la ripartizione di tutto l'attivo, o per insu cienza
di attivo, o a seguito di risoluzione o annullamento del concordato, può essere riaperto a
richiesta del debitore o di qualunque creditore quando concorrano i seguenti presupposti:

- non siano trascorsi 5 anni dal decreto di chiusura;

- il fallito o ra garanzie di pagare almeno il 10% ai creditori vecchi e nuovi.

Nei casi di riapertura del fallimento, si ha la continuazione del fallimento chiuso o nuovo
fallimento? Prevale l’opinione che si tratti di un nuovo fallimento, viene reputata decisiva
la considerazione che al fallimento riaperto concorrono non solo i vecchi creditori ma
anche quelli nuovi; ma esistono anche argomenti in senso opposto, infatti sono dichiarati
ine caci nei confronti dei creditori tutti gli atti a titolo gratuito compiuti dal fallito
nell'intervallo fra chiusura e riapertura del fallimento.

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IL CONCORDATO PREVENTIVO.
Il concordato fallimentare non è sempre in grado di scongiurare quella paralisi
dell’impresa del debitore provocata dalla dichiarazione di fallimento. Pertanto è sembrato
al legislatore che potesse essere utile, in presenza di uno stato di insolvenza, di
consentire che la dichiarazione di fallimento venisse evitata, e che i rapporti fra il debitore
e i creditori fossero de niti mediante un concordato, ossia una sistemazione concordata
della situazione debitoria. Si tratta di un concordato di massa e giudiziale, ma si distingue
da quello fallimentare perchè si attua NECESSARIAMENTE PRIMA che intervenga una
dichiarazione di fallimento.

La legge fallimentare nella sua versione originaria considerava il concordato come un


bene cio che poteva essere attribuito solo ad imprenditori insolventi che possedevano
determinati requisiti prova della loro meritevolezza, ma la L. 14 maggio 2005 è intervenuta
mossa dall’intento di potenziare l’istituto eliminando tale presupposto e stabilendo che il
concordato può aversi ancora prima che l’insolvenza si sia prodotta. Il d.l. 83/2012 è
intervenuto per potenziarlo a sua volta portando le seguenti innovazioni : la possibilità per
il debitore di presentare un ricorso in bianco per mezzo del quale ottenere
immediatamente protezione dalle azioni esecutive individuali e dalle azioni cautelari,
nonché un termine entro cui presentare ai creditori il piano concordatario per il loro
soddisfacimento. Tale decreto legge ha previsto inoltre che i contratti in corso di
esecuzione non si risolvono per e etto dell’apertura della procedura del concordato e che
i contratti pubblici possano essere proseguiti dall’imprenditore cessionario. In tema di
concordato preventivo il legislatore è recentemente intervenuto sulla fase di ammissione
introducendo nuovi presupposti di ammissibilità, oltre alla possibilità di presentare nuove
o erte e proposte concorrenti da parte dei creditori.

L’ipotesi più normale è che il concordato preventivo rappresenti un’alternativa al


fallimento, ma possono essere ammessi a questa procedura pure gli imprenditori soggetti
alla liquidazione coatta amministrativa, inoltre il concordato preventivo non è la sola
alternativa al fallimento potendo l’imprenditore ricorrere agli accordi di ristrutturazione di
debiti.

PRESUPPOSTI E DISCIPLINA. Può chiedere di essere ammesso al concordato


preventivo l’imprenditore che versi in uno stato di crisi e che non sia ancora stato
dichiarato fallito (crisi che può consistere nell’insolvenza o in uno stato di di coltà
economica e nanziaria di minore gravità). Con la domanda di concordato preventivo
l’imprenditore chiede di essere ammesso ad o rire ai suoi creditori la ristrutturazione del
debito e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, ossia proporre loro un
piano che preveda di soddisfarli in una certa misura e attraverso una qualsiasi forma,
magari suddividendoli in classi e o rendo a ciascuna classe un trattamento di erenziato.
Questa procedura è stata riformata nel 2015 dal legislatore, e tra i pro li più importanti
dell’intervento gura sicuramente la reintroduzione di una soglia minima di pagamento : si
dispone infatti che la proposta di concordato liquidatorio deve assicurare il pagamento
quanto meno del 20 % dell’ammontare dei crediti chirografari. Tale disposizione mira a
tutelare il ceto creditorio , consentendo l’accesso alla procedura solo in presenza di una
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proposta conveniente e che preveda un soddisfacimento e ettivo e non simbolico. Per
quanto riguarda il calcolo della soglia minima si ritiene che 20% si riferisca al credito
globale e non a quello individualmente vantato da ciascun creditore. Un’altra rilevante
modi ca apportata nel 2015 ha riguardato le modalità di individuazione delle condizioni
concordatarie, imponendo l’esplicitazione del trattamento economico derivante dalla
procedura : è richiesto infatti di indicare nella proposta l’utilità speci camente individuata
ed economicamente valutabile procurata a ciascun creditore, e se la proposta comprende
utilità diverse dal denaro risulta necessario provvedere alla relativa quanti cazione
monetaria. L’indicazione dell’utilità attribuita ai creditori si con gura come condizione di
ammissibilità della domanda, è un presupposto (art. 161 l.f).

La domanda dell’imprenditore deve essere presentata sotto forma di ricorso al tribunale


del luogo dov’è la sede principale dell’impresa, e con la domanda deve essere
presentato, oltre a un documento contenente una serie di dati aziendali, anche un piano
contenente la descrizione delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta
concordataria e la relazione di un professionista appartenente ad una categoria che può
assumere la veste di curatore fallimentare, che attesti la veridicità dei dati e la fattibilità
della proposta. A seguito della riforma del 2015 inoltre la proposta del debitore ha perso il
proprio carattere di esclusività , anche se l’ammissibilità di proposte concorrenti è
doppiamente condizionata : all’e ettiva presentazione della domanda da parte del
ricorrente e al suo contenuto, infatti i creditori possono presentare una domanda
concorrente solo se in quella dell’imprenditore non viene assicurato il pagamento di
almeno il 40 % dei crediti chirografari ; la legittimazione alle domande concorrenti è
attribuita a uno o più creditori che rappresentino una percentuale del credito di almeno il
10 %, è esclusa per terzi, ed esse possono essere presentate dopo il deposito di quella
del debitore.

Per quanto riguarda il procedimento del concordato preventivo, il tribunale deve


procedere a un esame deliberativo circa la sussistenza dei presupposti richiesti dalla
legge per la domanda, esame che si conclude o con il decreto di ammissione alla
procedura non soggetto a reclamo o, qualora il tribunale ritenga non vi siano i presupposti
di ammissibilità , si dichiara inammissibile la domanda con decreto non soggetto a
reclamo e si dichiara con sentenza reclamabile il fallimento del debitore. Con
l’ammissione alla procedura il tribunale nomina un giudice delegato e un commissario
giudiziale, mentre l’amministrazione dei beni e l’esercizio dell’impresa sono conservati al
debitore.

Dopo vi è la procedura vera e propria composta da due fasi. La prima fase è volta a
stabilire se e in quale misura i creditori aderiscono alla proposta di concordato, mentre la
seconda è volta al provvedimento giudiziale, che omologa o respinge il concordato.

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LA FUNZIONE DEI TITOLI DI CREDITO. Funzione precipua dei titoli di credito è quella
della mobilizzazione della ricchezza, cioè di favorire la circolazione di determinati beni
rendendola più semplice e più sicura, e quindi in de nitiva più rapida.

Il diritto prevede, come strumento normale di circolazione dei crediti, l’istituto della
cessione dei crediti (1260-1267 c.c.), che permette la successione di un creditore ad un
altro nello stesso rapporto obbligatorio.

Ma la cessione dei crediti presenta alcuni inconvenienti, in relazione alle esigenze di


sicurezza e di semplicità che i tra ci moderni pongono, infatti:

Sul piano sostanziale: il cessionario può acquistare il credito solo a condizione che il
cedente ne sia e ettivamente il titolare, e lo acquista col preciso contenuto che esso
aveva in testa al cedente; queste regole si riassumono nel principio nessuno può
trasferire ad altri una posizione giuridica maggiore di quella che egli stesso ha. 

Sul piano formale: nché la cessione non è noti cata al debitore ceduto, il debitore si
libera se paga al primo creditore. Quindi no a che non vi è questa noti ca chi acquista il
credito non è sicuro della ricevuta cessione.

CAIO (CREDITORE) (creditore cedente) cede il credito a MEVIO (CESSIONARIO) (nuovo


creditore); TIZIO (DEBITORE) (DEBITORE CEDUTO).

Per contro, la circolazione dei beni mobili è regolata da una disciplina ben più producente
in termini di sicurezza e di semplicità. Invero: 

Sul piano sostanziale: l’art. 1153 c.c. dispone che “colui al quale sono alienati beni
mobili da parte di chi non ne è proprietario, acquista la proprietà mediante il possesso,
purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al
trasferimento della proprietà”; e acquista la proprietà “libera da diritti altrui sulla cosa, se
questi non risultano dal titolo e vi è la buona fede dell’acquirente”. Queste regole sono
espresse con la formula ellittica “possesso vale titolo”, nel senso che il possesso del
bene mobile, conseguito in buona fede e in base a un negozio idoneo a trasferire la
proprietà, supplisce al difetto di titolarità dell’alienante e fa acquistare la proprietà al
possessore.

Sul piano formale: in caso di pluralità di alienazioni dello stesso bene mobile a più
persone, prevale quella che ne consegue il possesso in buona fede.

La funzione dei titoli di credito è quella di neutralizzare i rischi e gli inconvenienti


derivanti dalla disciplina ordinaria della cessione dei crediti, incorporando il diritto di
credito in un titolo, in modo che il credito circoli con le regole proprie dei beni mobili.

L'INCORPORAZIONE. LETTERALITÀ ED AUTONOMIA DEL DIRITTO CARTOLARE.

INCORPORAZIONE: il credito viene rappresentato in un documento in modo che il credito


e documento divengano una cosa sola; il credito può essere esercitato solo esibendo il
documento (il credito circola insieme al documento); chi acquista il documento acquista
anche il credito in esso incorporato.

Il credito incorporato nel documento (credito cartolare), in conseguenza dell’


incorporazione, presenta 2 caratteristiche tipiche:

La letteralità: la prestazione dovuta e tutto ciò è solo ciò che è esplicitato nel titolo.

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Non sono ammissibili pretese o eccezioni non risultanti dal contesto letterale del titolo.

Deve tuttavia tenersi presente, al riguardo, la distinzione fra:

— titoli completi: tutti gli elementi atti ad individuare il diritto cartolare sono contenuti
nella lettera del documento (es. cambiale). Si dice che la letteralità è diretta;

— titoli incompleti: al contrario, tali elementi si desumono non solo dal contesto del
titolo ma anche da altri elementi in questo richiamati (i quali debbono essere soggetti a
pubblicità legale o comunque agevolmente accessibili da parte del portatore), (es.
l’obbligazione e l’azione di società). Si parla di letteralità indiretta.

L’autonomia: chi acquista un titolo e ettua un acquisto a titolo originario e non derivativo
e al cessionario non sono opponibili le eccezioni che avrebbero potuto essere opposte
dal debitore al cedente.

Si suol dire che i titoli di credito sono titoli di presentazione. Con questa formula si vuole
denotare che, per esercitare il diritto cartolare occorre la presentazione del titolo al
debitore da parte di persona che ne abbia il possesso, e che sia legittimata in conformità
della legge di circolazione del titolo (questa persona viene denominata possessore
legittimo).

La previsione dell’esibizione al debitore costituisce una garanzia per il debitore contro il


rischio di pagare due volte.


DISTINZIONE DI TITOLI DI CREDITO IN BASE ALLA LEGGE DI CIRCOLAZIONE.

In base alla legge di circolazione (della legittimazione) i titoli di credito possono


distinguersi in:

• titoli al portatore: la legittimazione si consegue con il semplice possesso del titolo,


e circola in virtù della consegna (cioè del trasferimento del possesso). Al riguardo si
parla di titoli a legittimazione reale, per denotare che in essi la legittimazione è data
dalla situazione obiettiva di possesso, svincolata da qualunque riferimento personale
nominativo.

• titoli all'ordine e nominativi: sono invece titoli a legittimazione nominale, nel senso

che per l’esercizio del diritto occorre non solo il possesso del titolo, ma la
dimostrazione della coincidenza fra la persona indicata nell’intestazione del titolo e
la persona che, possedendolo, lo presenta al debitore.

◦ Titoli all’ordine: il possessore si legittima mediante una serie continua di girate


(2008), e la legittimazione circola mediante la consegna del titolo accompagnata da
girata (2011). La girata è una dichiarazione, scritta sul titolo e sottoscritta, con la
quale un titolare (girante) ordina al debitore cartolare di pagare, anziché a esso
girante, a un altro soggetto (giratario); da ciò la tradizionale formula: “per me pagate
a…”. È ammessa però anche la girata senza indicazione del giratario, detta girata in
bianco e, in tal caso il girante, di norma, si limita ad apporre la propria sottoscrizione,
senza farla precedere da alcuna formula.

◦ Titoli nominativi: il possessore si legittima in virtù della doppia intestazione al suo


nome, risultante sia dal titolo che dal registro dell’emittente, e la legittimazione
circola mediante la doppia annotazione del nome dell’acquirente sul titolo e nel
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registro dell’emittente, oppure mediante il rilascio di un nuovo titolo al nome
dell’acquirente e l’annotazione di tale rilascio nel registro dell’emittente. Il
cambiamento della doppia intestazione (denominato transfert) avviene a cura e sotto
la responsabilità dell’emittente, su richiesta dell’alienante oppure dell’acquirente, ma
in base a diversi presupposti: meno rigorosi nel primo caso, in cui all’alienante
incombe solo di provare la propria identità e la propria capacità di disporre, sia pure
con un mezzo di prova tipico (certi cazione di un notaio o di un agente di cambio);
più rigorosi nel secondo caso, in cui l’acquirente deve provare il suo acquisto (e gli
eventuali acquisti intermedi) mediante atto autentico, cioè atto pubblico o scrittura
privata autenticata. A ni di sempli cazione, la legge prevede che anche per i titoli
nominativi possa farsi ricorso allo strumento della girata, ma è una girata speciale
dal punto di vista formale, poiché deve essere in pieno (non in bianco), deve essere
datata, e la sottoscrizione deve essere autenticata da un notaio o da un agente di
cambio; e speciale anche dal punto di vista degli e etti, poiché il giratario non è
legittimato all’esercizio del diritto cartolare, ma ha solo il diritto di ottenere
l’intestazione a proprio favore nel registro dell’emittente medesimo. In sostanza, la
girata surroga l'annotazione sul titolo, ma non l'annotazione sul registro
dell'emittente; questa però è facilitata, ed è esclusa la necessità dell'annotazione sul
registro dei giratari intermedi.


Vi sono titoli di credito che possono essere al portatore, all’ordine o nominativi (come la
polizza di carico); altri all’ordine o al portatore (come l’assegno bancario); altri al portatore
o nominativi (come le obbligazioni di società, le azioni di risparmio e i titoli del debito
pubblico); altri esclusivamente all’ordine (come la cambiale e l’assegno circolare); altri
esclusivamente nominativi (come le azioni di società in base alla legislazione speciale).

Si noti in ne che si hanno documenti i quali sono retti da una legge di circolazione e di
legittimazione analoga a quella dei titoli di credito (sono al portatore, all'ordine, o
nominativi), ma non sono titoli di credito. Tali sono i documenti di legittimazione e i titoli
impropri, che la legge rispettivamente de nisce come quelli che servono solo «a
identi care l'avente diritto alla prestazione», e a «consentire il trasferimento del diritto
senza l'osservanza delle forme proprie della cessione» (2002). Sulla scia di queste
de nizioni, è opinione seguita che il documento di legittimazione è quel documento (e un
esempio può essere dato dal biglietto di viaggio) che il debitore rilascia per facilitare il
riconoscimento del suo creditore, senza destinarlo alla circolazione, e titolo improprio è
invece quel documento che il debitore rilascia per facilitare, attraverso l'esonero
dall'osservanza delle norme sulla cessione dei crediti, il trasferimento del diritto dal
creditore ad altro soggetto, e che perciò è destinato alla circolazione (e un esempio può
essere dato dalla polizza di assicurazione all'ordine o al portatore).

All'uno e all'altro la legge dichiara espressamente inapplicabile la disciplina generale dei


titoli di credito (2002). Caratteristica comune alle due categorie di documenti, e
di erenziale rispetto ai titoli di credito, è il difetto dell'incorporazione del diritto nel
documento. Funzione esclusiva di questi titoli è, infatti, quella di facilitare la prova
dell'avente diritto alla prestazione, fermo restando che il creditore potrà fornire tale prova

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anche con altri mezzi, e che, in caso di trasferimento del credito, il trasferimento sarà a
titolo derivativo ed esporrà il nuovo creditore, nonostante il possesso del documento, alle
stesse eccezioni che il debitore avrebbe potuto opporre all’originario creditore. Incerta è
invece, nel silenzio della legge, la di erenza di disciplina tra i documenti di legittimazione
e i titoli impropri.

LE CONSEGUENZE DELL’INCORPORAZIONE.

L'incorporazione del diritto di credito nel documento elimina gli inconvenienti, che
abbiamo visto essere collegati alla cessione dei crediti. Infatti:

sul piano sostanziale: trova applicazione il principio possesso vale titolo. L’art. 1994
dispone: “chi ha acquistato in buona fede il possesso di un titolo di credito, in conformità
delle norme che ne disciplinano la circolazione, non è soggetto a rivendicazione.” La
portata sostanziale di questa norma coincide con quella dell'art. 1153 commi 1 e 2, in
tema di possesso di buona fede di beni mobili. Pertanto, l'acquirente resta sottratto al
rischio di non conseguire il diritto per il difetto di titolarità dell’alienante. Inoltre, poiché
l'acquisto del diritto cartolare avviene come un ri esso dell'acquisto della proprietà del
documento, e quindi sempre a titolo originario quand'anche l'acquisto del titolo di credito
sia a titolo derivativo (principio c.d. dell'autonomia del diritto cartolare), è eliminato per
l'acquirente anche il rischio che il debitore possa opporgli eccezioni non conosciute,
derivanti dai rapporti intercorsi con i danti causa dell'acquirente (1993);

sul piano formale: la noti cazione al debitore non è necessaria, perché la legittimazione
ad esercitare il diritto di credito è collegata ad una situazione reale - proprietà del titolo
con il possesso del documento - , la quale esclude che altri (e in primo luogo l'alienante)
possa trovarsi in analoga situazione, e pretenderne il pagamento.

In ne, chi abbia conseguito il possesso del titolo si avvale della tutela che la legge collega
a questa situazione di fatto. In proposito, l'art. 1992¹ dispone che «il possessore di un
titolo di credito ha diritto alla prestazione in esso indicata verso presentazione del titolo,
purché sia legittimato nelle forme prescritte dalla legge». Quindi, il proprietario del titolo di
credito non è tenuto a fornire la prova dell'acquisto della proprietà da parte sua, e dei suoi
danti causa, per potere esercitare il credito cartolare; a tal ne gli è su ciente il possesso
legittimo.

E il debitore che adempie nei confronti del possessore è liberato, anche se questi non è
proprietario del titolo; resta eccettuata solo l'ipotesi in cui il debitore versi in dolo o in
colpa grave. Vale a dire: la situazione di legittimazione è tutelata, e correlativa- mente il
debitore è liberato; peraltro la tutela della legittimazione cessa, e il debitore cartolare che
paga al legittimato non è liberato, se il legittimato non è proprietario del titolo, e il debitore
nel momento del pagamento è al riguardo in dolo o in colpa grave (interpretate, queste
situazioni psicologiche, con criterio restrittivo, come conoscenza, o dovere di conoscenza
in base alla diligenza media, del difetto di titolarità, e in pari tempo disponibilità, o
possibilità di procurarsi e di disporre, di prove agevoli e sicure [cc.dd. certe e liquide] del
difetto di titolarità medesimo). Non altrimenti, in via generale, la tutela del possesso cede
di fronte alla prova della mancanza di proprietà.

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CREAZIONE, EMISSIONE E TRASMISSIONE DEL TITOLO DI CREDITO. CONTRATTO
DI RILASCIO E CONTRATTO DI TRASMISSIONE. IL RAPPORTO FONDAMENTALE.
La creazione del titolo di credito ha luogo con la redazione del documento nei suoi
elementi essenziali, e con la sua sottoscrizione. La circolazione del titolo di credito ha
inizio con la emissione, cioè la fuoriuscita del documento dalla sfera di disponibilità del
sottoscrittore; la circolazione successiva si attua con la trasmissione, con il passaggio
cioè del titolo dalla sfera di disponibilità di uno alla sfera di disponibilità di altro prenditore.

Normale è che la circolazione del titolo di credito sia volontaria (perciò si de nisce
regolare).

Il contratto con il quale si attua l’emissione volontaria si denomina contratto di rilascio; il
contratto con il quale si attua la circolazione volontaria successiva si denomina contratto
di trasmissione. L’uno e l’altro hanno la funzione di attribuire al prenditore la proprietà del
titolo (in via derivativa), e conseguentemente la titolarità del credito cartolare (in via
originaria).

L’attribuzione patrimoniale, rappresentata dal rilascio o dalla trasmissione di un titolo di
credito, ha sempre una sua giusti cazione (una sua causa). È opinione prevalente che
codesta giusti cazione causale si connetta sempre ad un rapporto fondamentale,
intercorrente fra le parti del contratto di rilascio o di trasmissione. Esempio tradizionale è
quello della compravendita con dilazione nel pagamento del prezzo, e cambializzazione
del debito, corrispondente al prezzo: il venditore acquista le cambiali in virtù di un
contratto di rilascio o di trasmissione; rapporto fondamentale è l’obbligazione di
pagamento del prezzo, che discende dal contratto di compravendita. OKK

TITOLI ASTRATTI E TITOLI CAUSALI.


• Titoli causali: sono quelli che si connettono ad un rapporto fondamentale 

determinato, il quale emerge dal contesto del titolo. Esempi: polizza di carico e la
fede di deposito; 


• Titoli astratti: sono quelli che possono connettersi a una pluralità di rapporti
fondamentali, e non ne menzionano alcuno (sono neutri). Esempi: cambiale e
assegno bancario.

ECCEZIONI REALI ED ECCEZIONI PERSONALI.



Le eccezioni, con le quali il debitore cartolare può esimersi dal pagamento, vengono
distinte in due categorie:

• Eccezioni reali: sono le eccezioni opponibili a qualunque portatore del titolo. Hanno
per oggetto circostanza, le quali radicalmente impediscono il sorgere o il permettere
di una valida obbligazione cartolare; esse individuano implicitamente i requisiti di
validità del titolo, nel senso che l’assenza di tali circostanze è condizione perché
sorga una valida ed e cace obbligazione cartolare. L’elenco di tali eccezioni è
contenuto nell’art. 1993 comma 1 (eccezioni di forma: eccezioni fondate sul contesto
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letterale del titolo; eccezioni dipendenti da falsità della rma, da difetto di capacità o
di rappresentanza al momento dell’emissione, da mancanza delle condizioni
necessarie per l’esercizio dell’azione), e si ritiene che sia tassativo. 


• Eccezioni personali: sono le eccezioni opponibili soltanto a un determinato


portatore del titolo. L’individuazione delle eccezioni personali è nella legge (1993)
meno precisa. Si ritiene che la categoria si suddistingua in due sotto- categorie:

◦ Eccezioni “fondate sui rapporti personali”: la gura più importante è quella


dell’eccezione derivante dal rapporto fondamentale; inoltre l’art. 1993 comma 1,
limitatamente derogando al principio dell’autonomia del diritto cartolare, risponde
che esse sono opponibili anche al possessore successivo, rimasto estraneo al
rapporto personale, ma che nell’acquistare il titolo abbia agito intenzionalmente a
danno del debitore. Si parla in proposito di eccezione di dolo.


◦ Eccezioni personali in senso stretto: sono quelle che attengono allo stesso
rapporto cartolare. La gura più importante, se non addirittura l’unica, è quella di
difetto di titolarità: il debitore ri uta il pagamento, perché il possessore legittimo non
ha la proprietà del titolo, e quindi non ha la titolarità del credito. 


PERDITA DEL TITOLO DI CREDITO E REINTEGRAZIONE DELLA LEGITTIMAZIONE


CARTOLARE.

Il principio dell’incorporazione implicherebbe che, perduto il titolo, anche il diritto


dovrebbe ritenersi irrimediabilmente perduto. Ma a queste estreme conseguenze la legge
non giunge.

Per quel che attiene ai titoli al portatore, è previsto che:

• Distruzione: il possessore del titolo, che ne provi la distruzione, ha diritto di 



chiedere all’emittente il rilascio di un duplicato o di un titolo equivalente. 


• Smarrimento o sottrazione: soltanto chi, vittima della sottrazione o della 



smarrimento ne faccia denuncia al debitore e gliene rifornisca la prova, ha 

diritto alla prestazione, decorso il termine di prescrizione del titolo.

Per quel che attiene ai titoli all’ordine e nominativi: 



□ Distruzione, smarrimento e sottrazione: è previsto l’istituto dell’ammortamento.
L’ammortamento si può avere attraverso una procedura che si articola in 2 fasi:

◦ Fase essenziale: il possessore vittima di distruzione, smarrimento o sottrazione deve
farne denunzia al debitore (ma, secondo Cass. 1980, la denunzia non impedisce la
circolazione del titolo, con la conseguenza che il debitore, che dopo la denuncia abbia
pagato al possessore legittimo, è responsabile solo se il pagamento sia stato e ettuato
nelle mani di chi non era titolare del credito, per avere acquistato il titolo in mala fede o in
colpa grave), e in pari tempo chiedere con ricorso l’ammortamento del titolo al presidente
del tribunale del luogo in cui il titolo è pagabile. Il presidente del tribunale, svolti gli
opportuni accertamenti sulla verità dei fatti e sul diritto del possessore, pronunzia
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l’ammortamento con decreto, da pubblicarsi sulla Gazzetta U ciale e da noti carsi al
debitore. Se, nei 30 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta U ciale non viene proposta
opposizione, il decreto di ammortamento diventa de nitivo, il titolo di credito perde
e cacia, e chi ha ottenuto l’ammortamento può esigere il pagamento del titolo e, se
questo non è ancora scaduto, può ottenerne un duplicato. Restano tuttavia salve le
ragioni del detentore verso chi ha ottenuto l’ammortamento.

Deve rilevarsi che la prima fase ha per oggetto esclusivamente la legittimazione del
ricorrente: questi ha l’onere di provare la sua anteriore situazione di possessore legittimo,
e il presidente del tribunale, accertato che abbia tale estremo, con il suo decreto reintegra
il ricorrente nella legittimazione cartolare.

◦ Fase 2 eventuale: il detentore (e solo questi: Cass. 2019), può produrre opposizione
contro il decreto di ammortamento dinanzi il tribunale che lo ha pronunciato, nei 30 giorni
dalla pubblicazione sulla Gazzetta U ciale. L’opposizione va proposta con citazione, e
deve essere accompagnata, a pena di inammissibilità, dal deposito del titolo presso la
cancelleria del tribunale. Se all’esito del giudizio l’opposizione viene accolta, il decreto di
ammortamento perde ogni e cacia; se l’opposizione viene respinta, il titolo deve essere
consegnato alla parte che ha ottenuto l’ammortamento.

La seconda fase, invece, ha per oggetto la proprietà del titolo e di conseguenza la


titolarità del diritto: l’opponente allega, e ha l’onere di provare, la propria qualità di
proprietario, e il tribunale che accoglie l’opposizione con la sua sentenza accerta il diritto
di proprietà dell’opponente.

Questo signi ca che chi è proprietario del titolo non può opporsi e cacemente al decreto
di ammortamento, ma può far valere, anche in difetto di opposizione, il proprio diritto,
ovviamente prevalente rispetto a quello del legittimato, nei confronti di questo, e, si
ritiene, anche nei confronti del debitore.

DISTINZIONE TITOLI DI CREDITO IN BASE A CONTENUTO DIRITTO CARTOLARE.

Sulla base del contenuto del diritto cartolare i titoli di credito si distinguono in:

□ Titoli di credito in senso stretto: sono quelli che incorporano esclusivamente un

diritto di credito. Possono suddistinguersi, in titoli che sono strumenti di credito (ad
esempio la cambiale) e titoli che sono strumenti di pagamento (ad esempio l’assegno
bancario o l’assegno circolare)., a seconda che servano ad attuare o ad estinguere
operazioni di credito.

Non attiene invece alla speci cità del contenuto di un determinato titolo di credito, ma
alla omogeneità di questo contenuto rispetto al contenuto di altri titoli di credito, la
distinzione tra:

◦ Titoli di serie: quando più titoli di eguale contenuto vengono emessi da uno stesso
emittente nel contesto di una stessa operazione giuridica ( per esempio, azioni e
obbligazioni di società per azioni). I titoli di serie prendono il nome di titoli di massa
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quando, emessi in gran numero, sono destinati ad avere di usione tra il pubblico dei
risparmiatori (per esempio le azioni o obbligazioni di società per azioni quotate in mercati

regolamentati).

◦ Titoli individuali: quando i titoli, anche se emessi in gran numero da uno stesso
emittente, non sono necessariamente emessi nel contesto di una stessa operazione e
non hanno necessariamente uno stesso contenuto (per esempio le cambiali).

• □  Titoli rappresentativi di merci: sono quelli che incorporano non solo un diritto
di credito, ma anche una situazione reale. L’art. 1996 dice che essi attribuiscono al
possessore “il diritto alla consegna delle merci che sono in essi speci cate, il
possesso delle medesime e il poter di disporre mediante trasferimento del titolo”. Il
diritto alla consegna è il diritto a una prestazione di dare, che implica il diritto a
un’altra prestazione, funzionale alla prima, di fare (trasporto o custodia). Il soggetto
obbligato alla consegna detiene evidentemente per conto altrui; ne consegue che
l’avente diritto ha il possesso delle merci (possesso mediato), con l’e etto di potere
e ettuare quelle contrattazioni che presuppongono la consegna, e di potere
esercitare nei confronti dei terzi le azioni predisposte a difesa del possesso (azioni di
reintegrazione e di manutenzione). È questa la situazione reale (reale perché consiste
nella relazione con una cosa), che si accompagna al diritto di credito come
contenuto del diritto cartolare. I titoli rappresentativi di merci si suddistinguono in:

◦ titoli di deposito: soprattutto fede di deposito, 


◦ titoli di trasporto: tra i quali i più importanti sono:

•  il duplicato della lettera di vettura all’ordine, 


•  la polizza di carico, 


•  la lettera di trasporto aereo, 


◦ titoli di pegno (nota di pegno). 


• □  Titoli di partecipazione: sono quelli che incorporano il diritto di partecipazione


e di riscuotere. Si tratta essenzialmente delle azioni di società. 


LA CAMBIALE. La cambiale è regolata dal regio decreto n. 1669/1933 (legge cambiaria),


col quale si è data attuazione in Italia alla uni cazione internazionale del diritto cambiario.
La cambiale è un foglietto bollato, sul quale è menzionata l’obbligazione di una
determinata persona di pagare, o l’ordine, impartito ad altra persona, di pagare una
determinata somma ad una determinata persona o al suo ordine. In questa seconda
ipotesi, peraltro, la legge connette alla dichiarazione di ordine l’ulteriore e etto del sorgere
di una obbligazione di pagamento a carico di chi impartisce l’ordine. È cambiale, dunque,
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tanto il titolo che contiene la promessa di pagamento, quanto il titolo che contiene
l’ordine di pagamento : la cambiale che contiene la promessa di pagamento è dalla legge
denominata “vaglia cambiario” o “pagherò cambiario” o “cambiale”; mentre solo con
l’espressione “cambiale” può denominarsi quella che contiene l’ordine di pagamento;
nella pratica, la prima viene indicata come “cambiale propria” o “diretta”; la seconda
come “cambiale tratta”.

Nel vaglia cambiario gurano due persone:

●  Mittente: colui che rilascia la cambiale 


●  Prenditore: colui al quale la cambiale è rilasciata 



Nella cambiale tratta gurano tre persone: 


●  Traente: che dà l’ordine di pagare 


●  Trattario: al quale l’ordine di pagamento è rivolto 


●  Prenditore: a cui favore l’ordine di pagamento è dato

La funzione economica cui può adempiere la cambiale (nella sua duplice forma) può
essere la più varia, per esempio essa nella forma di cambiale propria ha funzione di
garanzia per il creditore quando colui che non può pagare immediatamente una somma
rilascia a suo favore una cambiale. Ma se chi è debitore da un lato, è a sua volta creditore
di altra persona, e se debito e credito hanno la stessa scadenza, egli può, a mezzo della
cambiale, avvalersi del suo credito per estinguere il debito, per cui, darà ordine al suo
debitore (trattario) di pagare al suo creditore (prenditore); i due rapporti traente-trattario e
traente-prenditore, che sottostanno alla cambiale tratta, si dicono rispettivamente di
provvista e di valuta. Le caratteristiche salienti della cambiale sono: 

La cambiale è un titolo all’ordine: è la possibilità di circolazione mediante girata è un
e etto naturale della cambiale. Ciò signi ca che la cambiale può essere trasferita
mediante girata, anche se nel contesto non sia contenuta la clausola “all’ordine”; ma
anche che la trasferibilità per girata può essere esclusa dall’apposizione della clausola
“non all’ordine”, ed in questo caso è dubbio se la cambiale continua ad essere un titolo di
credito.

La cambiale è un titolo formale: per forma si intende un contenuto tipico costituito da una
serie di indicazioni determinate, che è nella cambiale un elemento essenziale per
l’esistenza stessa del titolo.

La cambiale è un titolo astratto: nella cambiale manca qualsiasi menzione del rapporto
fondamentale; l’obbligazione cambiaria vincola il debitore indipendentemente dalle
ragioni per le quali l’obbligazione cambiaria è stata assunta.

Pluralità di obbligazioni: nella cambiale è possibile il con uire di una pluralità di


obbligazioni, aventi il medesimo oggetto, e che, innestandosi le une alle altre, e pur
conservando ciascuna la propria autonomia, ra orzano la situazione del portatore della
cambiale. Così all’obbligazione originaria di farsi pagare, che assume il traente nella

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cambiale tratta, si aggiunge quella dell’accettante allorchè il trattario accetta ; l’avallo,
tipica forma di garanzia cambiaria, determina l’ulteriore obbligazione dell’avallante.

La cambiale è titolo esecutivo: sempre che siano osservate le disposizioni di carattere


scale dalla legge stabilite. Il portatore della cambiale può, cioè, senza bisogno di
intentare un giudizio di cognizione e di ottenere una sentenza di condanna, agire
esecutivamente contro il debitore per ottenere il pagamento della somma cambiaria e
degli accessori;

Processo: La cambiale, in ne, è assistita da un particolare rigore processuale, per


esempio nei giudizi cambiari, se le eccezioni proposte sono di lunga indagine, il giudice
deve emettere sentenza di condanna con riserva, rinviando a un secondo momento la
cognizione delle eccezioni.

REQUISITI DELLA CAMBIALE. A norma degli artt. 1 e 100 l.c., sono requisiti del titolo
cambiario:

La denominazione del titolo (“cambiale” per la cambiale tratta, “cambiale” o “vaglia


cambiario” o “pagherò cambiario” per la cambiale propria), inserita nel contesto del titolo
ed espressa nella lingua in cui esso è redatto. Questo requisito rivela la natura
strettamente formale del titolo, è opportuno che chi si obbliga cambiariamente adotti una
precisa espressione in modo da evitare equivoci e dubbi

L’ordine incondizionato di pagare una somma determinata (per la cambiale tratta) o la


promessa incondizionata di pagare una somma determinata (per la cambiale propria).
L’obbligazione cambiaria non tollera l’apposizione di condizioni; ove una condizione sia
apposta, l’obbligazione cambiaria non sorge. L’apposizione della condizione implica la
nullità dell’obbligazione nel suo complesso. L’obbligazione deve consistere nel
pagamento di una somma e la somma cambiaria deve essere precisamente indicata.

Il nome, il luogo e la data di nascita (o al posto di questi due ultimi dati, il codice scale) di
chi è designato a pagare (trattario). È questo un requisito esclusivo della cambiale tratta.
La legge ammette espressamente che il trattario sia lo stesso traente, ammette cioè la
possibilità che il traente ordini a se stesso di pagare, ma sino a quando non avrà apposto
l’accettazione, egli rimane come qualsiasi altro traente, obbligato cambiario in via di
regresso.

L’indicazione della scadenza. La scadenza può non essere espressamente indicata nel
contesto cambiario, ed in tal caso, la legge presume allora che il pagamento della
cambiale debba avvenire senza termine, che esso possa chiedersi immediatamente dal
portatore della cambiale. Per contro, il sottoscrittore può apporre un termine
all’obbligazione cambiaria, ma unicamente in una delle tre forme consentite dalla legge,
stabilendo cioè che la cambiale scada:

a certo tempo vista,



a certo tempo data,

a giorno sso.

La scadenza della cambiale a certo tempo vista è determinata dalla data dell’accettazione
o del protesto (reclamo). Se la cambiale è a uno o più mesi data o vista, essa scade nel
giorno corrispondente del mese in cui il pagamento deve essere e ettuato. In mancanza

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del giorno corrispondente, la cambiale scade l’ultimo giorno del mese. Cambiali che
contengono indicazioni di scadenze diverse da quelle consentite sono nulle.

L’indicazione del luogo di pagamento. Anche il luogo del pagamento può non essere
indicato espressamente; in tal caso, nella cambiale tratta, il luogo indicato accanto al
nome del trattario si reputa luogo del pagamento; nella cambiale propria si reputa luogo
di pagamento il luogo di creazione del titolo .

Quando la sede indicata per il pagamento è diversa dall’indicato domicilio del trattario o
dell’emittente, si ha la cambiale domiciliata. La domiciliazione dicesi incompleta, se vi è
solo diversità tra residenza del trattario o dell’emittente e sede del pagamento, ma nella
diversa sede il pagamento deve essere fatto dallo stesso trattario o emittente. La
domiciliazione dicesi completa, quando il pagamento deve farsi non solo in luogo diverso
dalla residenza del trattario o emittente, ma da una terza persona, il domiciliatario.

Il nome di colui al quale o all’ordine del quale deve farsi il pagamento (prenditore).

La data, cioè l’indicazione del tempo e del luogo in cui la cambiale è creata. Se non è
indicato il luogo di creazione, la cambiale tratta si presume sottoscritta nel luogo indicato
accanto al nome del traente, e nella cambiale propria nel luogo indicato accanto al nome
dell’emittente.

La sottoscrizione del traente o dell’emittente, e anche l’indicazione del luogo e della data
di nascita (o al posto del luogo e della data di nascita, del codice scale). È questo
l’elemento fondamentale della cambiale; con la sottoscrizione si concreta la volontà di
obbligarsi cambiariamente, o, quanto meno, la volontà di creare la cambiale. Essa deve
essere autentica, scritta cioè di pugno dell’obbligato : ogni altro elemento della cambiale
può essere scritto da un terzo, la sottoscrizione no. La sottoscrizione deve contenere il
nome e il cognome, o almeno la ditta di colui che si obbliga.

Ove manchi anche solo uno dei requisiti, e non soccorrano le presunzioni legislative, il
titolo non vale come cambiale.

LA CAMBIALE IN BIANCO. La cambiale che circola sprovvista di uno o più dei suoi
requisiti essenziali si denomina cambiale in bianco. Essa non vale come cambiale; ma chi
possiede il documento, purché vi sia apposta una rma, ha il potere di riempirlo, di
completare la cambiale. La rma è requisito che non può mancare nel momento in cui la
cambiale entra in circolazione.

Al rilascio di una cambiale in bianco si accompagna, quindi, un contratto di


riempimento, infatti vera e propria cambiale in bianco è quella accompagnata da una
convenzione di riempimento ; mentre si parla di cambiale incompleta se essa entra in
circolazione senza che vi siano accordi di riempimento. Quando la convenzione vi è stata,
il prenditore deve procedere, pertanto, al completamento secondo gli accordi intercorsi
col suo dante causa nel termine pattuito, che non può eccedere i tre anni. Ma poiché gli
accordi relativi al riempimento sono accordi extra-cambiari, così l’inosservanza di essi
(l’abusivo riempimento), a parte l’eventuale responsabilità penale prevista dall’art. 486
c.p., determina un’eccezione che può essere opposta dal debitore cambiario al
prenditore.

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Esempio di cambiale in bianco: se ho acquistato un'autovettura e il venditore pretende il
rilascio di una cambiale a garanzia, sulla cambiale non segnerò né somma, né scadenza;
restando pattuito che il venditore, qualora io non paghi una rata, è autorizzato a riempire
la cambiale, segnando come somma l’ammontare delle rate ancora non pagate e come
scadenza la data in cui la rata doveva essere pagata.

AUTONOMIA DELLE OBBLIGAZIONI CAMBIARIE.


Le dichiarazioni cambiarie e le obbligazioni che ne derivano, sono autonome, l'una di
fronte all'altra ; l’incapacità di uno degli obbligati, la falsità di una rma o l’invalidità di una
delle obbligazioni cambiarie non hanno alcuna in uenza sulle obbligazioni degli altri
rmatari, che restano valide. Il principio dell’autonomia delle obbligazioni cambiarie non è
a confondersi con il principio dell’autonomia del credito cartolare, per il quale il diritto
cartolare è indipendente dai rapporti intercorsi tra il debitore e i precedenti proprietari.

LA RAPPRESENTANZA CAMBIARIA.
La rma cambiaria può essere apposta sia direttamente sia a mezzo di rappresentanza. Il
rappresentante dovrà far precedere la propria rma dalla indicazione del rapporto di
rappresentanza. Il negozio costitutivo di rappresentanza (la procura), non solo è estraneo
al titolo, ma non occorre sia menzionato nel titolo; e, secondo l’opinione preferibile, non è
soggetto ad alcun requisito formale, ben potendo essere posto in essere verbalmente.
Può avvenire peraltro che colui che agisce come rappresentante cambiario, apponendo la
rma cambiaria in nome altrui, non abbia i necessari poteri: o perché egli non ha con la
persona nel nome della quale si è obbligato alcun rapporto di rappresentanza, o perché
ha ecceduto i limiti della procura. In questi casi il rappresentato, qualora non intenda
rati care l’operato del rappresentante sanando così il difetto di procura, non rimane in
alcun modo obbligato per la rma apposta in suo nome; ma il rappresentante senza
poteri è obbligato cambiariamente come se avessi rmato in proprio.

LA GIRATA.
La cambiale si trasferisce, di regola, a mezzo di girata. La trasferibilità a mezzo di girata è
un elemento naturale. La girabilità dunque sussiste anche in mancanza di qualsiasi
dichiarazione apposta in tal senso sul titolo. Solo il traente e l’emittente possono togliere
alla cambiale la girabilità inserendo nel testo cambiario la clausola “non all’ordine”.

Quando alla cambiale è tolta la qualità di titolo all’ordine, essa è trasferibile nella forma e
con gli e etti di una cessione ordinaria: non si produrranno, cioè, gli e etti tipici del
trasferimento per girata. La girata, che si scrive normalmente a tergo della cambiale,
assume la forma di un ordine che il girante rivolge al trattario o all’emittente, di pagare la
somma cambiaria al giratario. Il giratario acquista dal girante la cambiale a titolo
derivativo; il credito cambiario, per contro, si acquista dal giratario in maniera autonoma,
infatti l’art. 18 l.c. stabilisce che la girata trasferisce tutti i diritti inerenti alla cambiale: nel
senso, cioè, che a seguito del diritto acquistato sul titolo a mezzo della girata, il giratario
acquista i diritti cambiari.

Accanto alla funzione essenziale di trasferimento, la girata ha un ulteriore funzione di


garanzia. Girando la cambiale, il girante diviene obbligato cambiario; egli è responsabile
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per l’accettazione e per il pagamento della cambiale. Ma la funzione di garanzia è
funzione normale della girata, non essenziale: il girante può escludere tale funzione
apponendo alla girata la clausola “senza garanzia”.

Se il girante appone alla girata la clausola “non all’ordine” ciò non impedisce che la
cambiale possa essere ulteriormente girata; ma di fronte ai successivi giratari non
sussiste responsabilità del girante che appose la clausola. La di erenza tra questo tipo di
girata e quella “senza garanzia” è che quest’ultima esclude ogni e qualsiasi responsabilità
del girante, mentre quella “non all’ordine” mantiene ferma la responsabilità del girante di
fronte al suo giratario.

La girata deve essere incondizionata: l’apposizione di condizione non rende nulla la


girata, ma si ha per non scritta la condizione; nulla è la girata parziale.

La legge pone un termine alla possibilità di girare la cambiale; o meglio, attribuisce


profonda diversità di e etti alla girata che si veri ca dopo tale termine, la quale produce
solo gli e etti di una cessione ordinaria. Si trasferiscono, cioè, al giratario non i diritti
inerenti alla cambiale, ma i diritti cambiari del cedente : non dunque un diritto autonomo,
ma il diritto quale era presso il girante, esposto a tutte quelle eccezioni che al girante
avrebbero potuto opporsi. Ammette poi che la cambiale venga trasmessa mediante
cessione posta in essere con atto separato, esprimendo così la volontà di escludere
l’attribuzione della legittimazione cartolare all’acquirente : è questo un mezzo non
comune e più che di cessione della cambiale dovrebbe parlarsi in questo caso di
cessione titolo derivativo dei diritti cambiari del cedente.

GIRATA IN BIANCO
La girata in bianco si ha quando non è indicato il nome del giratario, o quando il girante
abbia apposto soltanto la rma.

Il portatore di una cambiale girata in bianco può riempirla col proprio nome o con quello
di un’altra persona; girare la cambiale di nuovo in bianco; trasferire la cambiale a un terzo
senza riempire la girata in bianco e senza girarla. In questo ultimo caso, la cambiale
circola come un titolo al portatore, ossia tramite la semplice consegna, e i successivi
portatori che la trasferiscono senza apporvi la propria rma non assumono garanzia
cambiaria.

GIRATA PER PROCURA E GIRATA IN GARANZIA


Il girante può, aggiungendo alla girata alcune clausole speciali, limitare l’e cacia di
trasferimento che normalmente ha la girata.

Può apporre alla girata la clausola “per procura”, ed allora il giratario assume la gura di
un mandatario. Egli può esercitare tutti i diritti inerenti alla cambiale, ma unicamente quale

mandatario del girante: a lui saranno opponibili tutte e sole le eccezioni opponibili al
girante; ed egli potrà ulteriormente girare la cambiale solo per procura.

Può alla girata apporsi la clausola “valuta in garanzia”; il giratario acquista la cambiale per
garantirsi di un credito; egli assume la posizione di un creditore pignoratizio. Egli può
esercitare tutti i diritti inerenti alla cambiale, e li esercita in nome e per conto proprio.
L’unica limitazione che deriva dalla girata in garanzia è che il giratario non può, a sua
volta, girare la cambiale se non per procura.

LEGITTIMAZIONE DEL PORTATORE DELLA CAMBIALE.


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Il portatore della cambiale, è considerato portatore legittimo se si giusti ca con una serie
continuata di girate.

La continuità delle girate, va considerata da un punto di vista meramente formale. Essa


non viene meno se la rma di un girante è falsa, e non viene meno se la girata è stata
apposta da un falsus procurator. In questi casi chi detiene la cambiale è considerato
portatore legittimo ed il portatore legittimo della cambiale non solo può far valere contro
gli obbligati cambiari i diritti cambiari, ma può vittoriosamente respingere di chi vanti un
diritto sul titolo cambiario.

L'ACCETTAZIONE.
L’accettazione è la dichiarazione del trattario di obbligarsi cambiariamente. Essa deve
essere scritta sulla cambiale, ed è espressa con le parole “accettata”, “visto”, o altre
equivalenti, ed è sottoscritta dal trattario. La semplice sottoscrizione del trattario sulla
faccia anteriore della cambiale vale accettazione. Se la cambiale è a certo tempo vista,
l’accettazione deve anche portare la data.

Fino a quando il trattario non ha accettato, egli non diviene obbligato cambiario. Una
volta prestata l’accettazione egli diviene obbligato cambiario diretto.

La cambiale può essere presentata per l’accettazione dal portatore o anche da un


semplice detentore, in qualsiasi momento precedente quello stabilito per il pagamento. Il
portatore, che è sicuro che il trattario farà onore, alla scadenza, all’ordine di pagamento o
che ha ducia nel traente, e sa che può contare su di lui in caso di mancato pagamento
da parte del trattario, si asterrà dal presentare la cambiale per l’accettazione. Presenterà
la cambiale solo alla scadenza e allora l’accettazione si confonderà col pagamento.
D’altra parte, il traente può vietare che essa sia presentata per l’accettazione. La clausola
di inaccettabilità, apposta dal traente nel testo cambiario, ne vieta la presentazione; il
divieto non può però porsi nel caso di cambiali pagabili a certo tempo vista o di cambiali
domiciliate. Nel primo caso, la presentazione è necessaria per determinare la scadenza.
Nel secondo caso, la presentazione è del pari necessaria, perché il trattario possa
predisporre il pagamento nel luogo o presso la persona indicata.

L’accettazione può essere limitata ad una parte della somma; se il trattario può non
accettare deve essergli concesso di accettare parzialmente.

L’accettazione già apposta dal trattario sulla cambiale può da lui essere revocata no a
che egli non ha restituito il titolo, e la revoca avviene mediante cancellazione
dell’accettazione. Ma se il trattario, dopo aver accettato, dà notizia per iscritto al
portatore o a un rmatario qualsiasi dell’avvenuta accettazione, e successivamente, e
prima di restituire la cambiale,

cancella l’apposta accettazione, egli rimane obbligato cambiariamente verso coloro cui
ha dato notizia dell’accettazione.

Se il trattario ri uta di accettare, il ri uto deve essere accertato mediante protesto; la


mancata accettazione dà luogo all’azione di regresso nei confronti dei giranti e del
traente.

Ma la legge prevede la possibilità che, in caso di mancata accettazione da parte del


trattario, intervenga ad accettare un’altra persona. Si ha allora l’accettazione per
intervento. Può intervenire ad accettare sia una persona già a tale scopo indicata nella

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cambiale dal traente, o da un girante o da un avallante (e tale persona dicesi indicata al
bisogno o bisognatario), sia un terzo non indicato. L’intervento può essere esercitato a
favore di uno qualsiasi degli obbligati cambiari. Se non è dichiarato a favore di chi
l’intervento avviene, esso si reputa fatto per il traente.

Il portatore della cambiale può non accettare l’intervento. L’intervento accettato fa


perdere al portatore l’azione di regresso per mancata accettazione contro colui al quale
l’accettazione è stata data e contro i rmatari susseguenti: se l’interveniente non ispira
ducia, il portatore ha interesse a ri utare l’intervento.

L'AVALLO.
L’avallo è una dichiarazione cambiaria, con la quale taluno garantisce il pagamento della
cambiale per uno degli obbligati cambiari. Si può avallare (e quindi costituirsi con lui
condebitore solidale) il traente, l’emittente, il trattario accettante, o un girante. L’avallo si
attua apponendo sulla cambiale le parole “per avallo” o altre equivalenti, seguite dalla
rma; deve indicarsi altresì per chi l’avallo è dato. In mancanza di questa dichiarazione
s’intende dato per il traente nella tratta, per l’emittente nella cambiale propria.

L’avallo è una garanzia cambiaria; non è però una deiussione. La deiussione ha come
sua caratteristica l’accessorietà; essa accede ad una obbligazione principale e ne segue
le sorti: se l’obbligazione principale è nulla, cade con essa la deiussione. L’avallo,
invece, è indipendente dall’obbligazione cambiaria per cui è dato: se l’obbligazione del
traente o del girante è inesistente o di persona incapace, e purché non sia a etta da un
vizio di forma, resta tuttavia integra l’obbligazione dell’’avallante.

Caratteristica dell’avallo è che esso deve, da un punto di vista formale, appoggiarsi ad


un’altra obbligazione cambiaria; l’autonomia delle obbligazioni cambiarie fa poi sì che
l’avallo sussista anche se l’obbligazione cui si appoggia è nulla.

Poiché l’avallante è tenuto in solido con l’avallato, il portatore della cambiale può
richiedere la prestazione all’avallante senza prima essersi rivolto all’avallato. Il
collegamento formale tra l’obbligazione dell’avallante e quella dell’avallato fa sì che
l’avallante sia obbligato nello stesso modo di colui per il quale l’avallo è stato dato. Se
dunque l’avallo è dato per un obbligato diretto, l’avallante è obbligato anch’egli in via
diretta. L’avallante che paga la cambiale acquista i diritti ad essa inerenti contro l’avallato
e contro coloro che sono obbligati cambiariamente verso quest’ultimo.

FORME DI GARANZIA EXTRA-CAMBIARIA DELL'OBBLIGAZIONE CAMBIARIA.


Il credito può essere assistito –oltre che dall’avallo- da garanzie extra-cambiarie.

In primo luogo, il credito cambiario può essere garantito da ipoteca (e si parla di cambiale
ipotecaria). In tal caso, l’ipoteca deve essere non solo iscritta nei registri immobiliari, ma

anche annotata sulla cambiale così come alla cancellazione dell’iscrizione deve
accompagnarsi l’annotazione della cancellazione sulla cambiale.

In ne, la l. n.48/1934, prevede e disciplina la cessione del credito di provvista spettante al


traente nei confronti del trattario, come garanzia del credito cambiario : a date condizioni
la legge concede che il credito - derivante da fornitura di merci fatta al contrario, e ceduto
mediante clausola inserita nel contesto della cambiale- circoli insieme alla legittimazione
all’esercizio del credito cambiario, in virtù di girata.

IL PAGAMENTO.
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Il diritto di credito menzionato nella cambiale, e consistente nel credito di una somma di
denaro, ha fra le altre caratteristiche quella di essere un credito pagabile presso il
debitore.

Tale caratteristica è collegata sia al fatto che il debitore cambiario ignora chi sia, al
momento della scadenza, il creditore, sia al fatto che, essendo il credito incorporato in un
titolo, il creditore deve legittimarsi esibendo il titolo, presentando cioè la cambiale per il
pagamento.

Il portatore deve dunque presentare la cambiale per il pagamento nel giorno della
scadenza o in uno dei due giorni feriali successivi. La data della scadenza, se cade in un
giorno festivo, è prorogata al primo giorno feriale successivo. Il termine di scadenza della
cambiale è termine essenziale tanto per il creditore che per il debitore cambiario. Né il
creditore può presentare la cambiale per il pagamento prima della scadenza, né il
debitore può pretendere che il portatore accetti il pagamento prima di tale data. Se il
portatore consente a ricevere un pagamento anticipato, il pagamento avviene a rischio e
pericolo del debitore. Per contro, se il pagamento non è richiesto nel termine ssato, il
debitore che, ignorando la persona del creditore, non può avvalersi del mezzo di diritto
comune dell’o erta reale, può depositare la somma presso l’istituto di emissione a spese,
rischio e pericolo del portatore del titolo.

Il debitore può fare un pagamento parziale, e il creditore non può ri utarlo. L’eventuale
ri uto di pagamento parziale recherebbe danno agli obbligati di regresso, senza dare
e ettivo giovamento al creditore.

All’atto del pagamento il debitore ha diritto di chiedere la consegna della cambiale


quietanzata; se esegue un pagamento parziale può esigere che ne sia fatta menzione
sulla cambiale e gliene sia data quietanza. Solo togliendo di circolazione la cambiale il
debitore può essere sicuro che non gli sarà chiesto una seconda volta il pagamento; solo
facendo risultare dallo stesso contesto cambiario l’avvenuto parziale pagamento, può
essere sicuro che non sarà nuovamente escusso (chiamato in causa) per la somma
cambiaria totale, ma soltanto per la di erenza.

Come in caso di mancata accettazione può aversi intervento, in caso di mancato


pagamento alla scadenza può aversi intervento per mancato pagamento. E può
intervenire a pagare sia un bisognatario, sia un terzo non indicato nel testo cambiario.

Il pagamento per intervento deve essere fatto al più tardi nel giorno successivo
all’ultimo giorno consentito per levare il protesto, e può essere fatto per uno qualsiasi
degli obbligati cambiari (se nessuna indicazione viene data si intende fatto per il traente)

L'AZIONE CAMBIARIA.
Tutti coloro che hanno apposto la rma sulla cambiale sono obbligati cambiari, e sono
obbligati solidali. Non sono però tutti obbligati nello stesso modo: alcuni sono obbligati in
via diretta (e sono l’accettante e i suoi avallanti nella tratta; l’emittente e i suoi avallanti
nella cambiale propria), altri sono obbligati di regresso (e sono il traente, i giranti e i loro
avallanti nella tratta; i giranti e i loro avallanti nella cambiale propria).

Nei confronti degli obbligati in via diretta il portatore, nel termine prescrizionale di 3 anni
dalla scadenza, può liberamente esercitare la propria azione.

L’azione di regresso può essere esercitata:

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alla scadenza, se il pagamento non ha avuto luogo;

prima della scadenza:

- se l’accettazione sia stata ri utata in tutto o in parte;

-in caso di fallimento del trattario, abbia o non abbia accettato; di cessazione dei
pagamenti, ancorché constatata con sentenza; di esecuzione infruttuosa sui suoi beni;

- in caso di fallimento del traente di una cambiale non accettabile.

Per esercitare l’azione di regresso, nel caso del fallimento del trattario o del traente basta
al portatore della cambiale la produzione della sentenza dichiarativa di fallimento. Invece,
nel caso di mancato pagamento e di mancata accettazione, l’azione è possibile solo se la
cambiale è stata tempestivamente presentata per il pagamento o per l’accettazione, e per
il mancato pagamento o la mancata accettazione è stato levato protesto; e, nel caso di
cessazione dei pagamenti del trattario o di esecuzione infruttuosa sui suoi beni, solo se la
cambiale è stata presentata al trattario per il pagamento, e per il mancato pagamento è
stato, parimenti, levato protesto.

Il protesto, secondo la legge cambiaria, è un processo verbale, redatto da un notaio, da


un u ciale giudiziario, e in mancanza, dal segretario comunale, nel quale si constata
l’avvenuta presentazione della cambiale e il conseguente ri uto di accettazione o di
pagamento. Il protesto può essere sostituito da una dichiarazione, di ri uto
dell’accettazione o del pagamento, scritta e datata sulla cambiale o sul foglio di
allungamento o su atto separato, rmata dal trattario o dall’emittente, e registrata nei
termini del protesto.

Il protesto non è necessario se la cambiale contiene clausola “senza spese”.

Il portatore è tenuto a dare avviso al proprio girante e al traente della mancata


accettazione o del mancato pagamento entro i 4 giorni feriali successivi al giorno del
protesto, o della presentazione se vi sia la clausola “senza spese”. Ogni girante, nei 2
giorni feriali successivi al giorno in cui ha ricevuto l’avviso, deve informare il precedente
girante dell’avviso ricevuto, e così di seguito, risalendo no al traente. L’obbligo di dare
l’avviso ha comunque una portata ben diversa da quello di levare il protesto : la
mancanza del protesto importa la decadenza dall’azione di regresso; la mancanza
dell’avviso importa unicamente l’obbligo di risarcire i danni eventualmente derivati.

Le disposizioni relative alla presentazione e alla levata del protesto trovano attenuazione
quando è un evento di forza maggiore ad impedire la presentazione o la levata del
protesto nei termini. In tal caso i termini sono prolungati per il periodo di durata della forza
maggiore.

Ma il portatore deve dare avviso del caso di forza maggiore al girante precedente, ed è
tenuto a fare, sulla cambiale, menzione datata e sottoscritta di questo avviso. Cessata la
forza maggiore, deve presentare la cambiale per l’accettazione o per il pagamento e, se
necessario, levare il protesto. Se la forza maggiore dura oltre 30 giorni dalla scadenza, il
regresso può essere esercitato senza bisogno di presentazione e di protesto.

ECCEZIONI CAMBIARIE.
La disciplina delle eccezioni opponibili dal debitore cambiario al creditore che chieda il
pagamento, è meno perfetta di quella contenuta nella sede generale dei titoli di credito.
Nell’articolo 65 l.c è menzionata una sola delle eccezioni reali previste, che è l'eccezione
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di forma, e una sola delle due categorie di eccezioni personali, quella fondata su rapporti
personali, e si subordina l’opponibilità di queste ultime ai possessori successivi, rimasti
estranei rimasti estranei al rapporto personale, al fatto che essi acquistando il titolo
abbiano agito scientemente a danno del debitore. Tuttavia si rileva che l’art 65,
ammettendo l’opponibilità delle “eccezioni non vietate dall’art 21”, usa in realtà una
formula apertissima, che permette di a ancare alle eccezioni di difetto di forma tutte le
eccezioni reali previste dall’art. 1993. Al sistema delle eccezioni cambiarie si può
a ancare quello delle eccezioni cartolari. L’unica di erenza che si ravvisa tra questi due
è che le prime possono essere oggetto di distinzione non solo dal punto di vista del
soggetto a cui possono essere opposte, ma anche dal punto di vista del soggetto da cui
possono essere opposte, a seconda che siano opponibili da qualunque debitore o da un
solo determinato debitore.

L'AZIONE CAMBIARIA SOTTO IL PROFILO PROCESSUALE.


Dal punto di vista processuale la caratteristica della cambiale è quella di avere gli e etti di
titolo esecutivo. Essa consente quindi di procedere con esecuzione forzata sul patrimonio
del debitore.

Solo se il debitore disconosca la propria rma o la rappresentanza, oppure adduca gravi e


fondati motivi, gli atti esecutivi possono essere sospesi in tutto o in parte, previa
imposizione di idonea cauzione.

L’altra caratteristica della cambiale dal punto di vista processuale è che, se le eccezioni
che il debitore è autorizzato a far valere (quelle reali e quelle personali al creditore
procedente) sono di lunga indagine, il giudice, su istanza del creditore, deve emettere
sentenza provvisoria di condanna. Il debitore è, intanto, tenuto al pagamento. Solo in
seguito se, a indagine esperita, l’eccezione proposta risulterà fondata e sarà accolta, egli
avrà diritto alla restituzione della somma pagata. Si ha quindi un’applicazione dell’istituto
della condanna con riserva.

L'AZIONE DERIVANTE DAL RAPPORTO FONDAMENTALE.


L'emissione della cambiale non estingue il suo rapporto fondamentale, e da esso il
debitore può desumere eccezioni personali al creditore cambiario. Ma dal rapporto
fondamentale può anche derivare un'azione a favore dello stesso creditore cambiario, il
quale, viene a trovarsi ad un tempo titolare di due azioni aventi il medesimo contenuto
economico. Per escludere che il creditore possa al tempo stesso far valere l'azione
cambiarie e l'azione che deriva dal rapporto fondamentale, il legislatore ha disposto che il
creditore non può esercitare l'azione derivante dal rapporto fondamentale se non o rendo
al debitore la restituzione della cambiale e depositandola presso la cancelleria del giudice
competente. Occorre inoltre che, se dal rapporto cambiario deriva per il debitore
un’azione di regresso, questa non sia pregiudicata : l’esercizio dell’azione derivante dal
rapporto fondamentale è infatti subordinato all’adempimento delle formalità necessarie
per conservare al debitore stesso le azioni di regresso che possano competergli.

L'AZIONE DI ARRICCHIMENTO.
Il portatore della cambiale può aver perduto, per decadenza o per prescrizione, l'azione
cambiaria. Può, inoltre, non avere l'azione causale.

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Per questi casi, la legge attribuisce al portatore un'azione per la somma di cui il traente, o
l'accettante, o l'emittente, o il girante, si sono ingiustamente arricchiti a suo danno, e che
rappresenta un’azione di arricchimento speciale rispetto a quella prevista dal diritto
comune agli articoli 2041 e seguenti.

AMMORTAMENTO DELLA CAMBIALE.


In caso di smarrimento, sottrazione o distruzione della cambiale, il portatore può chiedere
l'ammortamento, la cui procedura è disciplinata dagli articoli 89 e 93 della legge
cambiaria

PRESCRIZIONE.

Le azioni cambiarie contro l’accettante o l’emittente si prescrivono in 3 anni a decorrere


dalla data della scadenza; le azioni del portatore contro giranti e contro il traente si
prescrivono in 1 anno a decorrere dalla data del protesto levato in tempo utile, o da quella
della scadenza se vi sia la clausola “senza spese”. Le azioni dei giranti gli uni contro gli
altri e quelle contro il traente si prescrivono in 6 mesi a decorrere dal giorno in cui il
girante ha pagato la cambiale o dal giorno in cui l’azione di regresso è stata promossa
contro di lui. L’azione di arricchimento nel termine di 1 anno dal giorno della perdita
dell'azione cambiaria.

L'ASSEGNO BANCARIO. L’assegno bancario è un titolo di credito che contiene l’ordine


incondizionato diretto a un banchiere di pagare a vista una somma determinata all’ordine
di una determinata persona o al portatore.
L’assegno bancario si presenta come una cambiale tratta a vista. Ma dalla cambiali si
di erenzia per la funzione economica.

L’assegno bancario è uno strumento di pagamento, ed è idoneo ad estinguere le


obbligazioni pecuniarie senza che occorra un accordo preventivo tra le parti, anche se il
debitore è liberato solo nel momento in cui i creditore acquista la disponibilità della
somma di denaro; e, detto ciò, subito appare come esso nettamente si di erenzi dalla
cambiale, che è uno strumento di credito.

Dalla struttura e dalla funzione economica dell’assegno risulta che per l’emissione
dell’assegno è necessario:

● che il traente abbia somme disponibili presso il trattario (che di regola deve essere un
banchiere);

● che il traente possa disporre di tali somme a mezzo di assegno bancario in virtù di una
“convenzione” espressa o tacita.

L’assenza di tali presupposti implica l’applicazione di sanzioni di carattere amministrativo,


mentre la legge espressamente dichiara che l’assegno emesso a vuoto vale egualmente
come assegno bancario. Anzi, in aggiunta, l’emittente è tenuto a corrispondere al
portatore dell’assegno una penale del 10%.

L’assegno è un titolo astratto e non muta natura giuridica.

NATURA GIURIDICA DELL'ASSEGNO.


Vi sono molte discussioni in merito alla natura giuridica dell'assegno.

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Infatti, l'astrattezza dell'assegno, porta ad escludere la teoria secondo cui, con
l'emissione dell'assegno si attuerebbe una cessione, da parte del traente e a favore del
prenditore, del credito verso il trattario. Non solo infatti il credito non risulta dal titolo, ma
la sua eventuale mancanza non in uisce sulla validità dell’assegno

Inoltre, con la rma dell'assegno, il traente, non solo autorizza il prenditore ad incassare,
ma ad assumersi un'obbligazione di pagamento, subordinatamente al pagamento da
parte del trattario.

DISCIPLINA. La disciplina giuridica dell’assegno è in gran parte modellata su quella


cambiaria, ma vi sono delle diversità. L’assegno non può essere accettato. Ogni
accettazione apposta sull’assegno si ha per non scritta.

L’assegno è pagabile a vista; esso deve inoltre essere presentato per il pagamento entro
un breve termine dalla legge stabilito (termine che va da un minimo di 8 giorni, se
l’assegno è pagabile nello stesso comune in cui fu emesso, ad un massimo di 60 giorni,
se il luogo di emissione e quello di pagamento siano in diversi continenti). Scaduto questo
termine, l’eventuale ordine di non pagare l’assegno, impartito dal traente, è vincolante per
la banca trattaria. Da ciò s’intende l’importanza dell’apposizione, sull’assegno bancario,
della data di emissione, e che questa sia veridica: la giurisprudenza e la dottrina
prevalenti ritengono nullo l’assegno emesso con la data in bianco. L’assegno bancario
con indicazione di data successiva a quella dell’emissione (assegno post-datato) è invece
ritenuto valido, e immediatamente esigibile (anche se la post-datazione rileverà a ni
amministrativi e scali).

L’assegno bancario si trasferisce mediante girata (salva l’ipotesi di assegno al portatore).


La girata è disciplinata da norme analoghe a quelle stabilite per la girata cambiaria: ma,
mentre la cambiale se viene girata al trattario può di nuovo essere girata, la girata
dell’assegno al trattario vale come quietanza, né il trattario può ulteriormente girare il
titolo: un’eventuale girata del trattario è nulla.

Le deviazioni dalla disciplina cambiaria sono ispirate alla funzione dell’assegno come
strumento di pagamento.

La responsabilità dei giranti è subordinata alla presentazione tempestiva del titolo al


trattario e alla constatazione del ri uto del pagamento mediante protesto o atto
equivalente, mentre quella del traente non viene meno anche se entrambe tali condizioni
non vengono realizzate; ma il fatto della presentazione infruttuosa deve comunque essere
provato, e la responsabilità del traente cessa se la disponibilità della somma sia venuta a
mancare per fatto del trattario dopo decorso il termine di presentazione, come
conseguenza diretta della negligenza del portatore del titolo.

La legge quali ca dunque il girante e il traente come obbligati di regresso.

RISCHIO DELLA FALSIFICAZIONE DELL'ASSEGNO.


Può accadere che la rma del traente sia falsi cata, e può accadere che sia alterata la
somma. Su chi deve ricadere il danno che deriva dal pagamento dell’assegno falsi cato?
La questione non sorge quando è possibile identi care una colpa del traente o del
trattario. Colpa del trattario, quando, per esempio, la falsi cazione è talmente
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appariscente che con la diligenza professionale avrebbe potuto essere accertata; colpa
del traente, quando è sicura la sua negligenza nella custodia del libretto di assegni, onde
ne rese possibile il furto o ne causò lo smarrimento.

Quando non è possibile accertare una colpa né nel traente né nel trattario, il danno
dell’assegno alterato o falsi cato incide immediatamente sul banchiere trattario, e poiché
costui per rivalersi verso il traente dovrebbe poterne provare la colpa (il che, in ipotesi,
non può), il danno dovrà in de nitiva rimanere addossato al banchiere. Si aggiunge, da
alcuni, la considerazione che le banche compiono il servizio degli assegni di massa, con
un’adeguata organizzazione e ricavandone un utile; su di esse deve incombere quindi
anche l’eventuale danno incolpevole. In senso opposto si rileva che la convenzione di
assegno ha sostanzialmente natura di mandato; e che in base all’art. 1720 comma 2 il
mandante deve risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico. La
banca che ha pagato un assegno con rma di traenza falsa non può addebitare l’importo
in base a un’autorizzazione cartolare, perché questa per presupposto è falsa; ma può
chiedere il risarcimento del danno, che così viene a subire incolpevolmente, al traente-
mandante in base all’art. 1720 comma 2.

Il più delle volte la questione è nella pratica risolta con delle clausole che le banche
inseriscono nei contratti con i clienti, e per le quali i clienti si accollano ogni responsabilità
e danno che possono derivare dalla perdita, smarrimento o uso abusivo dei moduli di
assegni.

ASSEGNO SBARRATO, ASSEGNO DA ACCREDITARE, ASSEGNO NON TRASFERIBILE,


ASSEGNO TURISTICO.

La pratica ha introdotto una serie di particolari clausole negli assegni, rivolte sia a tutelare
le parti contro la possibilità di furti o smarrimenti, sia a sempre più di ondere l’abitudine
di avvalersi del servizio degli assegni per i propri pagamenti.

Il traente o il portatore dell’assegno può disporre che l’assegno possa essere pagato
unicamente a un banchiere o a un cliente del trattario; può disporre ancora che il
pagamento possa avvenire solo a un determinato banchiere, o se questi è il trattario, a un
suo cliente. Tale volontà si estrinseca apponendo due sbarre sulla faccia anteriore
dell’assegno; l’assegno allora si chiama sbarrato, e può essere pagato solo a un
banchiere. È questo lo sbarramento generale. Se tra le due sbarre è scritto il nome di un
banchiere, il pagamento può farsi solo al banchiere designato. È questo lo sbarramento
speciale. Il trattario o il banchiere che non ottempera alle disposizioni relative allo
sbarramento risponde del danno nei limiti dell’importo dell’assegno bancario.

Il traente o il portatore può vietare che l’assegno sia pagato in contanti, apponendo sulla
faccia anteriore, in senso trasversale, le parole “da accreditare” o altra espressione
equivalente. In questo caso, l’assegno non può essere regolato dal trattario che a mezzo
di una scrittura contabile (accreditamento in conto, giroconto, compensazione).
L’assegno “da accreditare” può quindi essere presentato alla banca trattaria unicamente
da un suo cliente.

Ma la maggior garanzia contro eventuali furti o smarrimenti si raggiunge apponendo


all’assegno la clausola “non trasferibile”. L’assegno può essere allora unicamente pagato
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o accreditato al prenditore, o pagato a un banchiere cui sia stato girato per l’incasso. Le
girate apposte nonostante il divieto si hanno per non scritte. In ne la legge ha, nell’art. 44,
sancito la pratica dell’assegno turistico (traveller’s check). L’assegno turistico, il cui uso fu
introdotto da banche e agenzie di viaggio per fornire ai viaggiatori la possibilità di portare
in viaggio le somme occorrenti, senza gravi pericoli di furti o si smarrimenti, è un assegno
tratto da una banca sulla propria agenzia o sui propri corrispondenti ed ha la particolare
caratteristica che il pagamento è subordinato all’esistenza sul titolo, al momento della
presentazione, di una doppia rma conforme del prenditore.

Il più delle volte le banche hanno cura che la prima rme del prenditore sia apposta sugli
assegni nel momento stesso in cui viene rilasciato; mentre appone la seconda solo nel
momento in cui incassa l’assegno o lo gira. In tal modo, il rischio di furto è di gran lunga
diminuito, perchè il ladro, per incassare l’assegno, deve riuscire ad apporvi una rma
identica a quella già apposta dal prenditore.

L'ASSEGNO CIRCOLARE NOZIONE E DISCIPLINA.

L’assegno circolare è un titolo di credito all’ordine pagabile a vista presso tutti i recapiti
indicati dall’emittente. Può essere emesso solo dagli istituti di credito a ciò autorizzati
dall’autorità competente, e solo per somme che siano disponibili al momento
dell’emissione.

L’istituto emittente deve costituire, a garanzia degli assegni, cauzione sulla quale i
portatori dei titoli hanno privilegio speciale : si tratta di una garanzia collettiva.

La responsabilità del girante sussiste, ma il possessore decade dall’azione di regresso se


non presenta il titolo per il pagamento entro 30 giorni dall’emissione. Inoltre, decorso il
termine di tre anni il possessore non può più ottenere il pagamento dell’assegno e solo il
richiedente l’assegno potrebbe ripetere la provvista.

……agg

CONTRATTI.
Un primo modo di intendere i contratti di impresa è quello di dire che i contratti di impresa
sono i contratti in cui si ha una parte imprenditore; un altro modo di intendere la categoria
dei contratti di impresa non guarda alla qualità della parte, ma a erma che sono tutti quei
contratti che sono in qualche misura strumentali all'attività di impresa.

Se accettiamo questa seconda de nizione, possiamo elencare ulteriori sottocategorie


della categoria contrattuale. Possiamo distinguere:

1. i contratti per la costituzione e l'organizzazione dell’impresa: se questa è svolta in


modo societario si avrà il contratto di società; contratti parasociali, destinati a regolare
rapporti tra i soci.

2. contratti per l'esplicazione dell'attività economica, che a vario tipo realizzano la


collocazione dei prodotti sul mercato, es compravendita, appalto, somministrazione,
estimatorio.

CONTRATTO DI COMPRAVENDITA (art 1470- 1547 c.c.). La compravendita è il


contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà o di un altro diritto verso il
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corrispettivo di un prezzo (art.1470 c.c.). Esso è inoltre un contratto di alienazione, cioè
realizza una funzione di scambio, è un contratto a prestazioni corrispettive a titolo
oneroso. La compravendita è un contratto traslativo (produttivo di e etti reali) e
consensuale, cioè la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per e etto del
consenso della parte legittimamente manifestato, senza che occorra la consegna della
cosa (art.1376c.c. principio consensualistico). Il principio consensualistico è una regola
estranea al diritto romano, ma appartenente al diritto francese e ri ette l'esigenza di
velocizzazione dello scambio. In ragione del solo accordo, il compratore già acquista la
proprietà del bene e astrattamente può subito rivenderlo legittimamente.

OGGETTO. L’oggetto del contratto di compravendita può essere sia il diritto di proprietà
su di un bene, sia il diritto reale, nonché un diritto di credito (azienda anche).

L’oggetto della compravendita sarà costituito anche dal prezzo, che è un elemento
essenziale; la mancanza di questo dovrebbe determinare la nullità del contratto, ma il c.c.
all'articolo 1474 detta dei criteri suppletivi per colmare questa lacuna: ai sensi di questo
se le parti non hanno determinato il prezzo si presume che abbiano voluto riferirsi a quello
normalmente praticato dal venditore; se si tratta di cose aventi un prezzo di borsa o di
mercato il prezzo si desume dai listini o dalle mercuriali del luogo di consegna.

La determinazione del prezzo può essere a data anche ad un terzo: ipotesi del c.d.
arbitraggio.

EFFETTI. In virtù del principio consensualistico gli e etti traslativi si producono


immediatamente, ma non sempre è cosi: potrebbe accadere che in alcuni casi il
consenso non determina il trasferimento della proprietà. L'e etto reale può non prodursi
immediatamente, per volontà delle parti (vendita condizionata) o perché la cosa
compravenduta non è di proprietà del venditore (vendita di cosa altrui) o perché la cosa
ancora non esiste (vendita di cosa futura) o non è ancora determinata (vendita di cosa
generica) o deve essere scelta (vendita alternativa). Tutte queste ipotesi di compravendita
si de niscono vendite obbligatorie o meglio vendite ad e etti traslativi di eriti (contratti in
cui a nché l'e etto traslativo si veri ca, è necessario l'adempimento di un obbligazione
da parte del debitore).

1465 c.c.: nei contratti che trasferiscono la proprietà di una cosa determinata ovvero
costituiscono o trasferiscono diritti reali, il perimento della cosa per una causa non
imputabile all'alienante non libera l'acquirente dall'obbligo di eseguire la contro
prestazione, ancorché la cosa non gli sia stata consegnata.

L'obbligazione principale del compratore sarà il pagamento del prezzo: il compratore è


tenuto a pagare il prezzo nel termine e nel luogo ssati dal contratto. In mancanza di
pattuizione e salvo gli usi diversi il pagamento deve avvenire al momento della consegna
e nel luogo dove questa si esegue. Nulla esclude che il pagamento si abbia al momento
della conclusione del contratto, le parti si possono accordare a nché il pagamento
avvenga al momento della conclusione del contratto e prima che il venditore consegni il
bene al compratore. Non c'è sinallagmaticità tra l'obbligazione di pagamento del prezzo e

l'obbligazione di consegna.

Gli obblighi del venditore li troviamo disciplinati all'art. 1476. 1) consegnare la cosa al
compratore; 2) fargli acquistare la proprietà o il diritto (esistenza infatti di fattispecie
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obbligatorie o ad e etti traslativi di eriti in cui l’e etto traslativo non è contestuale alla
vendita); 3) garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa (vizi materiali e
giuridici —> quindi dal contratto di compravendita non nascono solo e etti reali
obbligatori, ma anche e etti di garanzia ).

Il fatto che l'obbligazione di consegna non sia sinallagmatica con quella di pagamento del
prezzo fa assumere all'obbligazione di consegna il ruolo di un'obbligazione non primaria,
ma accessoria e strumentale rispetto al trasferimento della proprietà. In alcuni casi è
irrilevante la consegna se non nelle forme simboliche, pensiamo al trasferimento di un
immobile, la consegna acquista un valore simbolico. La cosa deve essere consegnata
insieme con gli accessori, le pertinenze e frutti dal giorno della vendita; il venditore deve
anche consegnare i titoli e i documenti relativi alla proprietà e all'uso della cosa (es. la
vendita di un veicolo deve essere accompagnata da tutti i documenti che lo riguardano).

Vendita di cosa altrui. L'e etto traslativo non si produce col consenso, ma è necessario
che il venditore compia qualcosa; tipicamente si obbliga ad acquistare dal terzo la
proprietà del bene di cui al momento della conclusione del contratto non è titolare.
L'e etto della conclusione del contratto tra il venditore ed il terzo automaticamente è di
trasferire la titolarità del bene al compratore.

La vendita di cosa altrui è valida, ma non signi ca che il compratore non è assistito da
rimedi. La vendita di cosa altrui è una fattispecie che può essere voluta dalle parti (anche
dal compratore) oppure il compratore non voleva. Il c.c. distingue a seconda che si
avesse conoscenza o meno dell'altruità della cosa.

— Se io ne sono consapevole non ho alcun rimedio medio tempore, cioè nel tempo che
va tra la conclusione del contratto e l'adempimento dell'obbligo di acquisto del bene dal
terzo; eventualmente l'inadempimento si potrà pro lare se il venditore non procura
l'acquisto al compratore entro il termine stabilito.

— Altro è il caso in cui il compratore ignori l'altruità della cosa: Se il compratore è in


buona fede soggettiva ed ignorava l'altruità della cosa l'art. 1479 gli consente la
risoluzione immediata del contratto. Alla risoluzione si accompagna l'obbligo di
risarcimento del danno disciplinato sempre dall'art. 1479.

Vendita di cosa futura. La vendita di cosa futura si realizza tipicamente con la vendita
degli immobili ancora da costruire, per esempio. Al momento della conclusione del
contratto non esiste ancora il bene oggetto dello scambio; l'acquisto della proprietà si
veri ca non appena la cosa viene in esistenza. Quindi, il contratto è valido nel limite in cui
la cosa può venire in esistenza; se la cosa non viene in esistenza perché è impossibile
che venga in esistenza il contratto è nullo.

Può succedere che la cosa non venga in esistenza anche se era possibile che venisse in
esistenza, in tal caso il contratto si può risolvere per inadempimento del venditore; la
risoluzione comporta che io mi riprendo il prezzo che eventualmente ho pagato alla
conclusione del contratto.

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Vendita di cosa generica. La vendita di cosa genérica è un altro esempio di vendita in
cui l'e etto traslativo non è al momento del consenso, ma si ha al momento del
compimento di un attività obbligatoria del venditore. La vendita di cosa generica si
perfeziona al momento dell'individuazione della cosa; quindi, c'è un obbligo da parte del
venditore di individuare o coinvolgere il compratore nell'individuazione. Nel momento in
cui viene fatta l'individuazione il codice dice "d'accordo tra le parti" cosa si intende con
questo? bisogna capire se l'individuazione è un atto negoziale o meno. Va esclusa una
natura negoziale dell'individuazione (è un atto giuridico, non negoziale) e ciò lo si ricava
anche dall'art. 1510 che ci dice che nel caso di cose generiche che devono essere
trasportate da un luogo all'altro vale come individuazione la consegna del bene al vettore:
ex art. 1510 il venditore si libera dell’obbligo della consegna rimettendo la cosa al vettore
o allo spedizioniere.

La consegna al vettore, quindi, ha un duplice e etto perché individua e quindi segna il


trasferimento della proprietà e libera il venditore dai fatti determinati e imputabili al
vettore. I fatti non imputabili a nessuna delle parti (incluso il vettore) se li accolla il
compratore, quelli invece imputabili al trasportatore se li dovrebbe accollare il venditore in
quanto il trasportatore è un ausiliario del venditore, ma secondo la regola del 1510
comma II se li accolla lo stesso il compratore.

Rimedi in capo al compratore.

VIZI GIURIDICI DEL BENE. Tra gli obblighi del venditore vi era quello di garantire
l'immunità dai vizi giuridici del bene. Il codice si preoccupa di tutelare il compratore
nell'ipotesi in cui sia compromesso il perfezionamento dell'e etto traslativo sul piano
giuridico. Questo si veri ca nel caso di evizione, il fatto cd.evizionale, che si ha quando il
terzo ottiene una sentenza di rilascio del bene.

Le ipotesi che possono dar vita ad evizione sono molteplici:

Evizione rivendicatoria: si concreta nella condanna giudiziale del compratore al rilascio,


a seguito di un giudizio promosso dal terzo proprietario;

Evizione espropriativa: si concretizza quando il creditore ottiene l'espropriazione del


bene del compratore (oggetto di pignoramento) o quando il compratore subisce un
provvedimento di espropriazione da parte della P.A.;

Evizione risolutoria: si concretizza quando viene meno il titolo in virtù del quale il
compratore ha acquistato il bene (es. annullamento, risoluzione).

A nché si integri l'ipotesi di evizione, è necessario che il fatto evizionale sia preesistente
alla conclusione del contratto. Allo stesso modo, anche il vizio materiale, per dare luogo
alla tutela del compratore, deve essere preesistente alla conclusione del contratto.

Il c.c. detta anche due norme che consentono al compratore di intervenire prima che si
veri chi il fatto evizionale (cd. Tutela cautelare): ad esempio l’art.1481 che disciplina il
pericolo di evizione, il compratore può sospendere il pagamento del prezzo, quando ha
ragione di temere che la cosa possa essere rivendicata da terzi.

VIZI MATERIALI DEL BENE. Ai sensi dell’art. 1490 c.c. Il venditore è tenuto a garantire
che la cosa sia immune da vizi che la rendono inidonea all'uso a cui è destinata o ne
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diminuiscano in modo apprezzabile il valore. Trattasi dei vizi materiali che rendono
inidoneo il bene all'uso, devono essere occulti, ovvero non percepibili al momento in cui
si va a concludere il contratto, e deve essere un vizio preesistente. I rimedi a cui ha diritto
il compratore, a sua scelta sono: la riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto,
fermo restando il risarcimento del danno ex art 1494 cc. Quest'ultimo disciplina ipotesi
diverse del risarcimento del danno: in ogni caso il venditore e' tenuto verso il compratore
al risarcimento del danno, se non prova di avere ignorato senza colpa i vizi della cosa. Il
venditore deve altresi' risarcire al compratore i danni derivati dai vizi della cosa.

Al c1 vi è il danno parametrato sull'interesse positivo, mentre al c2 vi è il risarcimento del


danno che disciplina le ipotesi nelle quali il bene acquistato viziato comporti il
danneggiamento di altri beni o della sfera personale del compratore. Es, il bene viziato
che esplode e provoca un incendio che si propaga nel resto della casa.

Nonostante non ci sia nel cc, molti interpreti reputano che il compratore oltre alle azioni
edilizie, abbiano anche diritto alla eliminazione del difetto da parte del venditore.

Il nostro ordinamento, sotto il pro lo dei vizi materiali, detta una disciplina che in parte è
sovrabbondante e che ha creato molti problemi, ma che, in parte, è risolvibile.

Stiamo parlando della distinzione che il c.c fa tra vizi del bene, mancanza della qualità
essenziali o promesse ex art.1497 c.c. e aliud pro alio (quando viene consegnato un bene
completamente diverso da quello pattuito). Questa Tripartizione comporta una di coltà
nello stabilire in concreto quando si tratti di una o dell'altra gura.

La Mancanza di qualità essenziale invece è tutto ciò che, pur non manifestandosi come
un guasto, comunque impedisce l'assortimento della funzione tipica e oggettiva che quel
bene dovrebbe assolvere; è di cile distinguere se il malfunzionamento sia dovuto alla
mancanza di una qualità essenziale o a un vizio di progettazione.

Secondo una signi cativa parte della Dottrina, la distinzione sarebbe inutile e si dovrebbe
preferire un sistema nel quale i vizi vengono trattati tutti alla stessa maniera. Il cc, invece,
un certo peso giuridico lo dà a questa di erenza e quindi rende complicato questo
ragionamento della dottrina. Il problema si è posto nell'art 1497 cc la norma che
disciplina la mancanza di qualità essenziale o promesse, abilita il compratore soltanto a
ottenere la risoluzione del contratto ex art 1453 cc, e tace sulla riduzione del prezzo e
pure sull'eliminazione del vizio a spese del venditore, neppure dice nulla sul risarcimento
del danno. La norma è incompleta e detta un rimedio unico: il che ha avvalorato la
discussione su cosa sia il vizio e su cosa sia mancanza di qualità. Però è prevalsa
l'opinione prevalente in dottrina di dire che il rigore dell'art 1497 cc sia una struttura e
quindi il compratore ha gli stessi rimedi tanto nel caso di vizio, tanto nel caso di
mancanza di qualità: ha diritto alla riduzione del prezzo e alla risoluzione.

La questione si complica ancora di più con l'aliud pro alio, ad es. ho comprato una
macchina e mi consegni una motocicletta: se la mancanza di qualità compromette l'uso
in modo radicale e lo rende inutilizzabile alla sua destinazione, allora si ha aliud pro alio;
se invece la mancanza consente comunque al bene di funzionare e di assolvere ad un
uso, diverso da quello che avevo programmato, siamo dell'art 1497 cc.

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Altri due esempi signi cativi sono: vendita di un immobile priva del certi cato di
abitabilità-agibilità, non destinato per abitarci: la mancanza del certi cato rende
inutilizzabile quel bene perché non posso proprio utilizzarlo quell'immobile acquistato per
viverci. Siamo quindi nell'aliud pro alio e non nell'art 1497 cc.

C'è una garanzia convenzionale (a discrezione del venditore, per incentivare all'acquisto e
alleviare al compratore l'onere della prova del vizio) tipicamente utilizzata nelle vendite
commerciali, tipicamente prevista per i macchinari, per garantire il loro funzionamento: la
garanzia del buon funzionamento ex art 1512 cc. Il cc prevede che questa sia
siologicamente rilasciata dal venditore, ma non è escluso che possa essere il produttore
stesso del macchinario a rilasciarla.

Dà diritto al compratore alla riparazione del bene, o, nell'ipotesi in cui non dovesse essere
possibile, alla sostituzione del bene, oltre che all'azione di risoluzione e quella di riduzione
del prezzo; in più è prevista la possibilità di richiedere la riparazione, e proprio per questo
motivo si tende a dire che il bene compravenduto deve essere un bene che prevede degli
interventi riparatori, un bene che si presti ad essere riparato per essere poi riusato.

CONTRATTO DI APPALTO. 1665 CC. L'appalto e' il contratto col quale una parte
assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il
compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro.

Oggetto della prestazione è l'esecuzione di un'opera, ma per aversi un appalto non è


necessario avere la realizzazione di un edi cio o altro bene immobile ex novo, vi rientrano
anche i contratti di ristrutturazione-rifacimento degli immobili.

L'appalto è un contratto consensuale ad e etti obbligatori (1376 c.c.) che, se ha ad


oggetto beni immobili, deve avere la forma scritta e deve essere trascritto. Esso si
distingue dalla vendita poichè questa ha ad oggetto un dare, il primo un fare; si di erenzia
dal contratto di lavoro autonomo in cui l'opera o il servizio possono essere compiuti
anche con lavoro proprio o dei propri famigliari, laddove l'appaltatore deve essere un
imprenditore dotato di appositi mezzi. L'appaltatore organizza i mezzi necessari: quindi
deve trattarsi di un imprenditore. Egli, inoltre, sopporta il rischio: ne deriva che su di lui
grava una obbligazione di risultato, in quanto è tenuto non solo a predisporre i mezzi
necessari per realizzare l'opera ma anche a raggiungere quel risultato.

L'appalto d'opera è, ad esempio, quello che ha ad oggetto la costruzione di un


condominio.

Si ha appalto di servizi, ad esempio, per il servizio di catering prestato ai treni o alle navi.

Il contratto di appalto è un contratto a prestazioni corrispettive, sinallagmatico, tra la


prestazione di realizzare l'opera e pagare il prezzo; non è un contratto aleatorio, ancorché,
essendo contratto non di durata, ma ad esecuzione prolungata, ovviamente risente della
possibilità che il valore della prestazione subisca un aumento-decremento (nella
compravendita invece, essendo un contratto istantaneo, è di cile che vi siano variazioni
di prezzo). Nei contratti di appalto ad esempio può succedere che il prezzo dei fattori di
produzione che l'appaltatore deve utilizzare per realizzare l'opera subiscano degli aumenti
di prezzo: l'ordinamento tollera queste oscillazioni che potrebbero avere degli e etti sul
valore della prestazione (è il rischio di impresa).

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La misura della prestazione nel contratto di appalto non viene rimessa ad un evento
esterno e imprevedibile, come nel contratto aleatorio, bensì dalle parti che pattuiscono la
misura della prestazione quando stipulano il contratto.

La caratteristiche del contratto di appalto sono:

1) è un contratto di impresa e si ricava questa quali cazione da due elementi:


l'organizzazione dei mezzi necessari e la gestione a proprio rischio. Si richiede dunque
una struttura imprenditoriale.

2) l’autonomia dell'appaltatore: la realizzazione dell'opera o del servizio è tendenzialmente


estranea alle ingerenze o ai poteri autoritativi del committente. È l'appaltatore che
stabilisce come eseguire l'opera.

3) è un contratto a prestazioni corrispettive e non un contratto aleatorio.

Proprio perché l'appalto è un contratto ad esecuzione prolungata derivano poteri che il


codice assegna al committente (vero è che il committente non può ingerirsi nella fase
esecutiva, ma ha interesse a che la sua opera si realizzi correttamente). Il committente è
un soggetto attivo nel controllare l'andamento dei lavori, avendo interesse a che
l'andamento dei lavori sia congruo dal punto di vista temporale e il secondo interesse
concreto riguarda l'adempimento del progetto pattuito.

Obbligazioni dell’appaltatore:

1) eseguire l'opera o il servizio. Si dice che il contratto di appalto deduce un'obbligazione


di risultato.

2) se non è diversamente stabilito, deve fornire la materia necessaria per eseguire l'opera
laddove sia un contratto di appalto di realizzare di un'opera. È possibile però che il
materiale sia fornito anche dal committente.

Obbligazioni del committente:

1) pagare il corrispettivo, il quale può essere ssato a misura (il committente individua il
prezzo in funzione delle ore di lavoro necessarie e della quantità di materiale necessario
per eseguire l'opera) oppure un corrispettivo a forfait o a corpo (prescinde dalla concreta
quantità di lavoro e di materiali necessari, stabilisco quindi un prezzo complessivo).

Fase esecutiva del contratto di appalto. Nel corso dell'esecuzione dei lavori il
committente ha un potere di controllo sullo svolgimento dei lavori e se accerti che l'opera
non procede secondo quanto pattuito, può assegnare un termine entro il quale
l'appaltatore deve adeguarsi, pena la risoluzione di diritto del contratto, salvo il
risarcimento del danno (il c.d danno di veri ca).

E’ previsto poi un controllo di veri ca nale (veri ca e collaudo) per veri care se l'opera è
eseguita ad arte. È un controllo che viene eseguito alla ne dell'opera. Si controlla qui se
l'opera è stata eseguita in conformità a quanto pattuito. Questa seconda forma di
controllo è chiamata collaudo. Il collaudo deve essere distinto dalla veri ca. Quest'ultima
è quella che svolgo con un architetto ad esempio; è l'indagine tecnica. Il collaudo invece
è l'esito della veri ca. Il controllo di collaudo è disciplinato dall'art. 1665 cc. Si parla qui di
"opera ultimata". Anche questo controllo è facoltativo, ma non è senza conseguenze: è
un onere per il committente eseguire questo collaudo. Può veri carsi che il committente
non e ettui il collaudo presentandosi oppure è possibile che si presenti ma non comunica

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gli esiti del collaudo. Il codice dice che nell'uno o nell'altro caso, l'opera si considera
accettata.

L'accettazione dell'opera determina delle conseguenze:

i. il committente perde la garanzia per i vizi o le di ormità palesi dell'opera che non
siano stati taciuti in male fede dall'appaltatore (art. 1667, 1 comma);

ii. assume su di sé il rischio per il perimento o il deterioramento per causa non


imputabile ad alcuna delle parti (art. 1673 cc;

iii. acquista il diritto alla consegna dell’opera.

iv. l'appaltatore ha il diritto di ricevere il corrispettivo in seguito all'accettazione


dell'opera. È possibile anche che l'appaltatore si faccia pagare il corrispettivo per
ciascuna opera considerata unitaria ma caratterizzata da diverse parti.

Gli e etti traslativi del contratto di appalto.

L'appalto è un contratto ad e etti obbligatori, ma è anche un contratto ad e etti


traslativi? SI. C'è anche un momento di trasferimento della proprietà nel contratto di
appalto. Questo aspetto non è previsto espressamente nel codice. Ci sono varie
possibilità di combinazioni intorno al tema dell'e cacia traslativa dell'appalto.

1. ipotesi che si può porre: materiali sono di proprietà del committente. Se questo
accade, l'opera nasce di proprietà del committente (acquisto a titolo originario dell'opera).
Il contratto di appalto deroga alla possibilità di prevalenza della speci cazione, nel senso
che si può vedere il contratto di appalto nell'ottica che il materiale di per sé non ha valore,
ciò che lo ha è la manodopera. Così facendo, allora la proprietà viene acquistata dal
committente non in via originaria, ma con la realizzazione dell'opera.

2. ipotesi: si costruisce un bene immobile sul suolo di proprietà del committente.


L'acquisto dell'immobile avviene a titolo originario in ragione del principio di accessione
(art. 936 cc)

3. ipotesi in cui avviene in rilievo l'e cacia traslatava\derivativa: accade quando materiali
sono dell'appaltatore oppure quando si costruisce sul suolo dell'appaltatore. Si veri ca
un doppio passaggio: l'appaltatore acquista prima a titolo originario, poi con l'accessione
avviene un acquisto della proprietà a titolo derivato mediante accettazione. Quindi,
quando il committente accetta l'opera si ha l'e etto traslativo.

Un tratto caratteristico dell'esecuzione prolungata è la possibilità che si presenti la


necessità di apportare delle modi che al progetto: occorre distinguere la variazioni in
senso proprio dai lavori prevedibili dell'appaltatore (da reputarsi ricompresi nel progetto) e
dai lavori extracontrattuali.

Il codice distingue tre tipologie di variazioni:

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Variazioni concordate del progetto (art. 1659): sono le variazioni che l'appaltatore reputa
necessarie apportare all'appalto. L'appaltatore unilateralmente non può apportare le
variazioni anche se le reputa necessarie, deve chiedere il consenso e l'autorizzazione del
committente; ecco perché sono concordate, ma di principio è l'appaltatore che prende
l'iniziativa. L'appaltatore in questo caso ha diritto ad un compenso aggiuntivo salvo che il
compenso non sia stato pattuito a corpo.

Variazioni necessarie del progetto (art. 1660): sono quelle variazioni che sono necessarie
per eseguire a regola d'arte l'opera. In mancanza di un accordo tra le parti l'opera non
può essere eseguita a regola d'arte se non apportando quella variazione; se non c'è
l'accordo tra le parti spetta al giudice determinare le variazioni da introdurre e le
correlative variazioni di prezzo. Può accadere che l'appaltatore chieda l'autorizzazione
che gli viene negata, ma se la variazione è necessaria scatta il 1660 ed è il giudice che
determina la variazione e il corrispettivo da adeguare. Se il costo della variazione è
superiore nel suo ammontare ad un sesto del prezzo pattuito l'appaltatore può recedere
dal contratto. Se la variazione è di notevole entità il committente può recedere dal
contratto assegnando all'appaltatore un equo indennizzo.

Variazioni ordinate dal committente (art. 1661): si ha quando il committente vuole


introdurre una modi ca strutturale al progetto nel corso dell'esecuzione dell'opera. In
questo caso è possibile apportare modi che per il committente all'appalto purché il loro
ammontare (il costo della variazione) non superi il sesto del prezzo e non comporti
modi cazioni notevoli all'opera o al lavoro da eseguire.

La revisione del prezzo: art. 1664.

Il c.c. distingue due cause che possono determinare l'alterazione di valore della
prestazione. Una causa è l'aumento (o la diminuzione) dei costi dei materiali, l'altra causa
è data dalle di coltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili (art.
1664 c.c.). L'art. 1664 è una norma speciale rispetto all'art. 1467 c.c. che disciplina la
risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. Le due norme di eriscono nel rimedio
apprestato per la sopravvenienza; mentre la regola generale dell'art. 1467 in caso di
eccessiva onerosità determina la risoluzione del contratto, nel caso dell'appalto l'art.
1664 risolve questa sopravvenienza accollando il costo della sopravvenienza alle parti. È
un rimedio antinomico rispetto alla risoluzione, si cerca un modo di far sì che il contratto
abbia esecuzione: una risoluzione del contratto determinerebbe una dispersione forte
della ricchezza già impiegata nella realizzazione di quell'opera.

L'art. 1664 recita così:

I comma: "qualora per e etto di circostanze imprevedibili si siano veri cati aumenti o
diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera, tali da determinare un aumento
o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore o
il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può
essere accordata solo per quella di erenza che eccede il decimo".

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Quindi non qualunque variazione del costo dei materiali giusti ca la revisione, ma solo
quelle che trovano fondamento in circostanze imprevedibili e che determinano un
aumento o una diminuzione superiore ad un decimo del prezzo convenuto.

La stessa regola c'è al secondo comma, quando l'aumento dei costi dei materiali o della
manodopera si determina non per cause imprevedibili, ma perché l'appaltatore incontra
delle di coltà geologiche, idriche o simili. Anche in questo caso l'appaltatore (non il
committente) ha diritto a chiedere un equo compenso. La norma fa riferimento solo alle
cause geologiche e idriche, ma se le di coltà di esecuzione del comma II che rendono
notevolmente più onerosa la prestazione sono imputabili, ad esempio, ad un fatto di un
terzo o al sopravvenire di una normativa che mi rende più di cile l'esecuzione dell'opera,
questo fatto si può pari care alle cause geologiche o siche? La dottrina è abbastanza
discorde, alcuni reputano di sì; la lettera della legge però fa riferimento solo a cause
geologiche e siche; quindi, non è paci co.

art. 1668 c.c. Se il committente si accorge che l'opera è di orme o presenta dei vizi cosa
può fare? Ai sensi dell'articolo 1668 il committente può chiedere che le di ormità o i vizi
siano eliminati a spese dell'appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente
diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore.se però le
di ormità dell'opera o i vizi sono tali da rendere le tutte inadatta alla sua destinazione, il
committente può chiedere la risoluzione del contratto.

L’art.1669 si occupa invece della rovina o di gravi difetti di cose immobili che, per loro
natura, sono destinati a lunga durata. "Quando si tratta di edi ci o di altre cose immobili
destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento,
l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero
presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei
confronti del committente e dei suoi aventi causa. purché sia fatta la denunzia entro un
anno dalla scoperta."

L'appaltatore risponde anche nei confronti degli aventi causa dal committente:
un'estensione dei legittimati attivi all'azione. Questa estensione, non soltanto quindi
legata alle parti del contratto di appalto ma anche all'acquirente dal committente
(appaltatore e committente), ha posto il problema in Giurisprudenza e dottrina, di quale
sia la natura giuridica di questa responsabilità che grava quanti sull'appaltatore ex art
1669 c.c. —> secondo alcuni è contrattuale (1218) in quanto deriva dal contratto di
appalto, e l'estinzione agli aventi causa a natura eccezionale; secondo altri, tesi
preferibile, è aquiliana (extracontrattuale 2043) in quanto la norma tutela interessi generali
che prescindono dalle parti del contratto e, quindi, può essere fatta valere da terzi.

La Giurisprudenza spende i seguenti elementi per a ermare questa natura


extracontrattuale: indice di natura testuale, se fosse di natura contrattuale non si
spiegherebbe sennò l'estensione agli aventi causa; ma soprattutto la ratio di questa
disposizione non è quella di tutelare l'interesse del committente alla conformità
dell'opera(già disciplinata probabilmente dall'art 1667-8 cc), ma di tutelare l'incolumità

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pubblica, evitare che un edi cio crolli e generi danni a terzi. è l'interesse all'incolumità e
alla salute pubblica e si estende la legittimità ad agire anche a terzi, ai danneggiati. La
inquadra come una responsabilità extracontrattuale particolare, perché è presunta, una
presunzione di responsabilità.

Nelle ipotesi di presunzione di responsabilità vi è una inversione nel dimostrare le prova, e


grava sull'appaltatore dimostrare i fatti negativi o estintivi dei fatti costitutivi, di dimostrare
in senso negativo la mancanza del nesso causale. Una inversione molto favorevole nei
confronti del danneggiato:

Art 1671 cc, disciplina il recesso del committente. Il principio di conservazione del
contratto è guardata dalla prospettiva prevalente dell'interesse del committente. Il punto
di vista privilegiato è sempre quello del committente, sicché se il committente non ha più
interesse alla prosecuzione dell'opera, il codice gli consente di recedere unilateralmente
dal contratto, anche se è stato realizzato in esecuzione dell'opera, purché tenga indenne
l'appaltatore dei lavori eseguiti e del mancato guadagno.

Un aspetto particolare della disposizione è che deroga rispetto alla disciplina generale del
recesso ex art 1373 cc, che può essere esercitato di regola nché il contratto non abbia
avuto un principio di esecuzione.

La seconda particolarità è che l'art 1671 cc può essere utilizzato dal committente non
solo nelle ipotesi in cui non è più di suo gradimento/interesse l'appalto: costringere un
committente ad accettare un'opera che ormai non gli interessa più corrisponderebbe ad
un inutile dispendio di ricchezza.Si tratta quindi di recesso ad nutum, non ha necessità di
essere motivato, può corrispondere a un sopravvenuto disinteresse del committente alla
realizzazione dell'opera. Tuttavia può essere utilizzato dal committente anche nelle ipotesi
in cui l'appaltatore sia inadempiente.

Vediamo adesso la possibilità che l'appaltatore ha di replicare il contratto di appalto.

L’appaltatore non puo' dare in subappalto l'esecuzione dell'opera o del servizio, se non e'
stato autorizzato dal committente.

Il sub-appalto è un contratto replica del contratto di appalto.

Il cc dice che il sub-appalto non può essere concesso se non previa autorizzazione del
committente. Per un certo momento alcuni manuali traggono da questa disciplina una
conferma o un indice che dimostra che il contratto di appalto sarebbe caratterizzato dalla
stretta ducia dell’appaltatore —> ma non è un contratto basato su un rapporto
duciario, di intuitus personae nei confronti dell'appaltatore in quanto persona, ma
semmai rispetto all'organizzazione di impresa che ruota attorno all'appaltatore.

Una conferma la si ritrova nell'art 1674 cc che disciplina le ipotesi dicasi di morte
dell'appaltatore,il contratto di appalto non si scioglie per la morte dell'appaltatore: se
fosse intuitu personae la morte dell'appaltatore dovrebbe estinguere il contratto. Invece
non è così perché l'art 1674 cc dice che, di regola, il contratto non si scioglie per la morte
dell'appaltatore.salvo che la considerazione della sua persona(appaltatore)non sia stato il

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motivo determinante del contratto. per la qualità-capacità speci ca della persona, e non
della sua organizzazione.

L'appalto è anche la realizzazione dei servizi, ma molte norme sembrerebbero pensare


all'appalto principalmente come costruzione d'opera.

Si pone il problema di stabilire: quando un contratto prevede una prestazione continuativa


e periodica di servizi? Es, pulizie/mensa. Siamo nell'ambito del contratto di appalto o
della somministrazione? Si tratta di un annoso problema che la dottrina non risolve
de nitivamente.

Da un lato abbiamo l'appalto che nella nozione ex art 1655 ci dice che anche i servizi
rientrano nell’appalto; il Il dato è che la nozione di somministrazione fa riferimento solo
alla prestazione di cose, di una prestazione di dare, non di fare.

Il contratto di somministrazione è un contratto di durata; mentre sappiamo d'altro canto


che l'appalto non è un contratto di durata.

Poi l'art 1677 cc ci dice che se l'appalto ha per oggetto prestazioni continuative o
periodiche di servizi, si osservano in quanto compatibili le norme di questo capo
(appalto), e quelle relative al contratto di somministrazione.

SUBFORNITURA. Questo tipo di contratto è stipulato tra un'impresa (committente) e


un'altra impresa, di dimensioni minori(subfornitore).
Il committente (ad es. una casa automobilistica) invece di provvedere in proprio a tutte le
fasi di produzione, si avvale di altre imprese per la produzione di parti del prodotto
nale(ad es. la parte elettrica dell'autovettura) impartendo istruzioni ed anche fornendo
materiali al fornitore.

Per evitare abusi da parte dell'impresa committente, che spesso è l'unico cliente del
fornitore, la legge 18 giugno 1998 n. 192 ha regolamentato queste ipotesi di contratti di
subfornitura. Vediamone la disciplina:

il contratto deve essere stipulato in forma scritta a pena di nullità (art.2)


in caso di nullità, il subfornitore ha comunque diritto al pagamento delle
prestazioni già effettuate e al risarcimento delle spese sostenute in buona fede ai
fini dell'esecuzione del contratto (art.2)
il termine di pagamento non può eccedere, di regola, i 60 gg. dalla consegna del
bene o della comunicazione dell'avvenuta esecuzione della prestazione (art.3)
il lavoro affidato in subfornitura non può essere ulteriormente affidato in
subfornitura senza il consenso del committente (art.4)
sono nulli i patti che attribuiscano poteri unilaterali di modifica del contratto,
esclusione del preavviso in caso di recesso in contratti ad esecuzione continuata o
periodica, cessione a favore del committente di di diritti di privativa industriale o
intellettuale (art.6)
La legge cerca di limitare la dipendenza economica del subfornitore prevedendo una serie
di regole da rispettare. 

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Può accadere, però, che nonostante il rispetto della normativa, si veri chi lo stesso
l'abuso di dipendenza economica. Proprio per queste ipotesi,l'art.9 commina la nullità dei
patti dove si realizzi l’abuso. 

La dottrina ha iniziato a introdurre negli anni 80 il concetto di contratto di distribuzione:


tali sono i contratti che, a vario titolo, consentono al produttore di beni di raggiungere il
mercato nale, ad esempio il contratto estimatorio, di somministrazione, d'agenzia.

IL CONTRATTO ESTIMATORIO. Il contratto estimatorio si ha quando una parte


consegna una o più cose mobili all'altra, e questa assume l'obbligazione di pagare il
prezzo pattuito, a meno che non restituisca le cose nel termine stabilito (1556). La prima
delle parti la si vuole denominare il tradens (= colui che consegna), e la seconda
l'accipiens (= colui che riceve).

Il contratto estimatorio è un contratto reale, poiché la legge ne subordina la perfezione


alla consegna della cosa; da esso scaturisce per l'accipiens un'obbligazione con facoltà
alternativa: pagare il prezzo a meno che non restituisca la cosa nel termine stabilito.

E la giurisprudenza sottolinea che questo è un termine necessario ai sensi dell'art. 1183',


ma non un elemento essenziale del contratto, onde, in mancanza di accordo fra le parti, è
rimesso al giudice di stabilirlo.

Le applicazioni del contratto estimatorio nel commercio moderno sono molteplici: nel
commercio degli oggetti preziosi, nel commercio dei rigattieri. Quando si tratta di merci di
prezzo troppo elevato e che il commerciante non potrebbe acquistare senza essere sicuro
della successiva rivendita; quando si tratta di merci particolarmente soggette ai variabili
umori della moda, e di cui è pertanto dubbio l'assorbimento sul mercato, come per gli
articoli di abbigliamento; quando si tratta di merci cui si vuol dare ampia di usione, come
per i libri e i giornali, venduti, questi specialmente, da chi ha scarse possibilità
economiche, è il contratto estima- torio che si adotta. In sintesi, la funzione economica
del contratto estimatorio ricorre ogni qualvolta la capacità economica del commerciante
risulti impari rispetto all'entità dell'alea dell'invenduto, sia ciò per l'ingente valore dei beni
oggetto del commercio, per la dimessa condizione economica del commerciante, oppure
per la particolare variabilità del mercato dei dati beni. Chi vuol vendere la cosa la a da al
commerciante: ne stabilisce il prezzo (l'aestimatio, cioè la stima: donde il termine di
contratto estimatorio); il commerciante cercherà di smerciarla e riuscendovi lucrerà la
di erenza tra l'aestimatio e il prezzo che avrà potuto conseguire (e che, per ragioni
inerenti al diritto della concorrenza, deve essere, per lo più, lasciato alla libera deter-
minazione dell'accipiens) o non riuscendovi restituirà la cosa. Si riduce così la normale
alea del commerciante, che sotto questo pro lo si viene a trovare in condizioni non
diverse dal commissionario: sono solo le spese generali della sua gestione che egli pone
a rischio.

Discussa è stata largamente la natura giuridica del contratto estimatorio, che non ebbe,
no al vigente codice, un'apposita disciplina nella nostra legge.

Vendita, locazione d'opera, commissione, commissione e deposito al tempo stesso,


furono i contratti nei quali si credette di potere identi care il contratto estimatorio: ancora

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oggi che il contratto ha acquistato la dignità di contratto nominato, lo si avvicina con
insistenza alla vendita, e in parti- colare ad una vendita con condizione sospensiva.
L'accipiens acquisterebbe la proprietà se e quando riuscirà a vendere; ma questa
costruzione, per cui la proprietà si acquista proprio nel momento stesso in cui la si perde,
non lascia completamente soddisfatti. D'altra parte, elevato il contratto a contratto
nominato, con una sua autonoma disciplina, viene meno la necessità di inquadrarlo in un
altro dei tipi già esistenti.

L'importante è ssare le obbligazioni che dal contratto scaturiscono e le conseguenze


che ne derivano per i terzi.

L'accipiens è soggetto ad una obbligazione con facoltà alternativa; in obligatione è il


pagamento del prezzo, in facultate solutionis la restituzione della cosa. Vale a dire: dovuto
è unicamente il pagamento del prezzo, e l'accipiens ha solo la facoltà di liberarsi
restituendo la cosa prima della scadenza del termine pattuito. Tale identi cazione
dell'obbligazione dell'accipiens appare più conforme alla funzione del contratto e al
dettato della legge che non l'altra, che ravvisa nell'obbligazione dell'accipiens una
obbligazione alternativa (1285 ss.): la quale opinione è oggi praticamente abbandonata
(altri, pur concordando sull'unicità della prestazione in obligatione, ritiene che la
restituzione della cosa prima del termine con guri non già esercizio di una facoltà
alternativa, ma avveramento di una condizione risolutiva potestativa).

A tale stregua, i rischi di perdita o di deterioramento della cosa inci- dono sull'accipiens;
egli non è liberato dall'obbligo di pagare il prezzo, se la restituzione della cosa è divenuta
impossibile per causa a lui non imputa- bile, anche se abbia dichiarato in tempo non
sospetto di prescegliere questa seconda alternativa (1557). Anzi, un orientamento
dottrinale e giurisprudenziale ritiene che, divenuta impossibile la restituzione della cosa, il
pagamento del prezzo deve seguire immediatamente.

Durante il periodo contrattuale la disponibilità della cosa spetta all'accìpiens ed è


sottratta al tradens: ciò risponde allo scopo del contratto di con- sentire all'accipiens di
vendere la cosa. Si parla al riguardo di un potere di disposizione dell'accipiens frutto di
una autorizzazione del tradens insita nel contratto estimatorio; altri quali ca la
disponibilità come una situazione reale - un diritto reale di disposizione -, la quale
eccederebbe lo scopo che col contratto si persegue, essendo delimitata solo sul piano
obbligatorio secondo lo schema dei negozi duciari. Ma se l'accipiens ha la disponibilità,
non ha però la proprietà della cosa. La proprietà resta, per tutto il periodo contrattuale, al
tradens: e ciò spiega l'ulteriore disposizione per cui, no a pagamento del prezzo
e ettuato, la cosa costituisce garanzia dei creditori del tradens, non dei creditori
dell'accipiens.

CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE. La somministrazione è il contratto con il quale


una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell'altra,
prestazioni periodiche o continuative di cose (c.d. cose generiche, non speci che, che
devono essere determinate nel genere al momento della somministrazione) (1559).

È un contratto tipicamente di durata. Il soddisfacimento di un bisogno durevole (nella


specie: reiterato o continuativo del somministrato) quali ca causalmente il contratto; vi è

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bensì una pluralità di prestazioni che si spiegano nel tempo, ma queste sono dovute, in
corrispondenza della unità della causa, in base a un unico contratto e a un unico
rapporto. Il riferimento alla natura del bisogno giova altresì a distinguere la
somministrazione dalla vendita a consegne ripartite: questa è volta al soddisfacimento
frazionato di un bisogno non già durevole bensì istantaneo; il frazionamento è solo una
modalità della (unica) prestazione, al ne di agevolarne l'esecuzione o il ricevimento.

Deve trattarsi di prestazioni di cose (in proprietà, o in uso). Mentre l'elaborazione


dottrinale e giurisprudenziale precedente al codice del 1942 ricomprendeva nel campo
della somministrazione anche la prestazione di servizi, il codice vigente la delimita
rigorosamente alla prestazione di cose. La prestazione di servizi, ancorché caratterizzata
dai requisiti della periodicità o della continuità, non diviene somministrazione, ma rimane
appalto o contratto d'opera. Si tratta peraltro di appalti particolarmente quali cati dalla
periodicità o dalla continuità (p.e., appalto della nettezza urbana), onde sono ad essi
applicabili (1677), in quanto compatibili, anche le norme relative al contratto di
somministrazione.

Se si tiene presente che ai contratti di somministrazione debbono, poi, per espressa


disposizione di legge applicarsi anche le regole che disciplinano il contratto cui
corrispondono le singole prestazioni (vendita, appalto, locazione, ecc.), ivi comprese
quelle relative alla vendita dei beni di consumo, come speci ca l'art. 128' cod. cons., si
vede come la limitazione della somministrazione alle sole prestazioni di cose sia non solo
di cilmente giusti cabile sul piano teorico, ma anche priva di conseguenze pratiche di
rilievo.

Comunque, e pur così delimitata, la sfera di applicazione del contratto di


somministrazione si estende ad importantissimi rapporti della vita sociale; sono le
forniture dei servizi pubblici basilari ad ogni moderna convivenza sociale: acqua, gas,
energia elettrica, che vengono attuate attraverso contratti di somministrazione.

Raramente nel contratto viene stabilita con precisione l'entità della somministrazione; la
durata relativamente lunga del contratto, la possibilità che varino le esigenze del
somministrato, fa sì che le parti usino indicare i quantitativi minimi e massimi della
fornitura: minimi che il somministrato deve prelevare e, in ogni caso, pagare (il c.d.
minimo garantito); massimi oltre i quali il somministrante non è tenuto ad eseguire la
fornitura, o ha diritto a un sovraprezzo per l'eccedenza. Se nulla è detto nel contratto,
s'intende pattuita quell'entità corrispondente al normale fabbisogno del somministrato al
tempo della conclusione del contratto. Per contro, il contratto può anche concedere al
somministrato la facoltà discrezionale, per il se e per il quanto, di determinare l'entità
delle prestazioni: c.d. somministrazione a piacere, o a richiesta.

Nella somministrazione a carattere periodico il prezzo è corrisposto all'atto delle singole


prestazioni e in proporzione a ciascuna di esse. Per la somministrazione a carattere
continuativo la legge rinvia alle scadenze d'uso.

L'inadempimento di una delle parti relativo a singole prestazioni non giusti ca la


risoluzione per inadempimento: questa può chiedersi solo se l'inadempimento ha
notevole importanza, ed è tale da menomare la ducia nell'esattezza dei successivi

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adempimenti. Si deroga con ciò incisivamente alla disciplina di diritto comune della
risoluzione per inadempimento, prevista dall'art. 1455. Altra deroga è disposta alla
disciplina di diritto comune della eccezione d'inadempimento, prevista dall'art. 1460: se
l'inadempimento del somministrato è di lieve entità, il somministrante non può
sospendere l'esecuzione del contratto senza dare congruo preavviso.

Spesso nei contratti di somministrazione è compresa la cosiddetta clausola d'esclusiva.


Esclusiva a favore del somministrante: il somministrato non può ricevere da altri
prestazioni della stessa natura, né provvedersele somministrante con mezzi propri.
Esclusiva a favore del somministrato: il non può eseguire ad altri, nella zona contemplata,
forniture della stessa natura. Alla clausola di esclusiva non si applicano le limitazioni
previste dall'art. 2596. Non di rado nel medesimo contratto è prevista al tempo stesso
l'esclusiva a favore dei due contraenti.

Altra clausola, rientrante fra le restrizioni negoziali pattizie della concorrenza in senso
ampio, che spesso si riscontra inserita nei contratti di somministrazione, è quella di
preferenza o prelazione. La legge, al ne di tutelare la libertà di concorrenza, ne limita la
validità a cinque anni.

Il contratto di somministrazione può essere a tempo determinato, o a tempo


indeterminato. In questo secondo caso, in conformità dei principi generali, a ciascuna
delle parti è concesso di por ne al contratto, mediante recesso con preavviso.

Entrambi questi contratti (somministrazione ed estimatorio) condividono la non presenza


di un vincolo promozionale la parte del somministrato e dell’accipiens; questo vincolo
promozionale è invece tipico di quei contratti di distribuzione moderni, come la
concessione di vendita e del contratto di franchising. Tuttavia la somministrazione non è
incompatibile con l'obbligo promozionale del somministrato, ma si tratta di una clausola
opzionale.

Come si distingue la concessione di vendita da franchising? In realtà non cambia molto:


lo schema di base è sempre quello di somministrazione; tuttavia la di erenza più marcata
è che il franchisee è ancora più integrato—legato da un vincolo di dipendenza al
franchisor.

CONTRATTO DI FRANCHISING. (A liazione commerciale) L. 129 DEL 2004.

Questa legge de nisce il franchising come il contratto tra due soggetti giuridici
economicamente e giuridicamente indipendenti (imprenditori), in base al quale una parte
concede la disponibilità all'altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà
industriale o intellettuale relativi a marchi, insegne, modelli utilità, diritti di autore, brevetti,
inserendo l'a liato in un sistema costituito da una pluralità di a liati, distribuiti sul
territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi.

Esempio i negozi di intimissimi: non è che intimissimi compra e stipendia tutti i negozi e
commessi, semplicemente stipula contratti di franchising con i piccoli imprenditori che
a ttano o comprano il negozio, intimissimi gli concede l'utilizzo dell'insegna, ma il
piccolo imprenditore è obbligato a rifornirsi da intimissimi, e ad es. a predisporre locali e
vetrine come gli dice intimissimi. Altri esempi Mc Donald, Zara.

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Quindi il franchisee è indipendente giuridicamente, non è un dipendente del franchisor,
ma non ha libertà di movimento, in quanto ad esempio non può decidere come allestire le
vetrine. La funzione del contratto di franchising è quella di commercializzare determinati
beni o servizi. Siccome questo contratto vede un'integrazione molto forte, e quindi uno
squilibrio di posizioni tra le parti, il legislatore ha dettato norme a tutela del franchisee.

L'articolo 6 della L. 129 del 2004 dice che l'a liante deve tenere nei confronti
dell'aspirante a liato un comportamento ispirato a lealtà, correttezza e buona fede, e
deve tempestivamente fornire all'aspirante a liato ogni informazione che ritenga
necessaria o utile ai ni della stipulazione del contratto di a liazione commerciale.

L'articolo 4 invece ssa uno spazio da concedere al franchisee prima di concludere il


contratto, in modo tale da consentire al franchisee, prima di concludere il contratto, di
ricevere tutte le informazioni necessarie e adeguate a valutare la convenienza dell'a are:
30 giorni prima della sottoscrizione del contratto di a liazione commerciale, l'a liante
deve consegnare all'aspirante a liato una copia completa del contratto da sottoscrivere.

L'articolo 3 comma 3 prevede poi che il contratto non può avere una durata inferiore a 3
anni, in modo tale da consentire al franchisee l’ammortamento dei costi di investimento.

L’articolo 3 comma 4 prevede in ne che il contratto sia redatto x iscritto.

Obblighi del franchisee. Il franchisee deve pagare un corrispettivo a fronte del


complesso di cose che gli vengono attribuite; questo è generalmente composto da due
voci, ovvero:

Il diritto di ingresso, che è una cifra ssa che l'a liato versa al momento della stipula del
contratto di a liazione commerciale, rapportata al valore economico e alla capacità di
sviluppo della rete; e le royalties, ossia una % che l'a liante richiede all'a liato sul
fatturato annuo ricavato dalla vendita dei prodotti.

Altri obblighi del franchisee sono quello di commercializzare i beni del franchisor e di
utilizzare la formula commerciale, e obblighi di riservatezza.

CONTRATTO DI AGENZIA.
Si può inserire tra contratti di distribuzione perché anche l'agente ha come missione il
favorire la conclusione di contratti tra il produttore e il terzo. Come il concessionario di
vendita e il franchisee, l'agente promuove i prodotti del preponente.

L'agente però non acquista nessun prodotto del preponente, non corre nessun rischio
dell’invenduto; non è un mediatore perché il mediatore fa gli interessi di entrambe le parti,
mentre l'agente fa gli interessi di una sola delle parti.

Art. 1742 c.c.: col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l'incarico di
promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una
zona determinata. L'incarico, quindi, deve essere stabile ed avvenire in una zona
determinata. Di regola l'agente non stipula direttamente il contratto, ma può accadere che
l'agente sia anche un mandatario.

Infatti, all'art. 1752 c.c. si dice che le disposizioni dettate in tema di agenzia si applicano
anche nell'ipotesi in cui all'agente è conferita dal preponente la rappresentanza per la
conclusione dei contratti.

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Quindi, ci sono due gure che il c.c. prende in considerazione: quella generale è che il
preponente si limita a mettere in contatto la proposta del terzo e l'accettazione del
preponente, ma è contemplata anche la variante che all'agente sia conferito il mandato di
rappresentanza e, in questo caso, l'agente sarà anche un mandatario.

Di regola il contratto di agenzia, a di erenza del contratto di mandato, non obbliga


l'agente a compiere un'attività giuridica, ma è gravato da un'obbligazione di fare, cioè di
promuovere e andare in giro a cercare clienti. Tuttavia, se all'agente gli viene conferito un
mandato con rappresentanza, sarà gravato di due obbligazioni, quella di promuovere e
quella di compiere atti giuridici in nome e per conto del preponente.

L'agente deve svolgere l'incarico stabilmente, cioè professionalmente e non


occasionalmente. Il contratto di agenzia è un contratto oneroso e il corrispettivo che
percepisce l'agente assume le forme della provvigione;

Il contratto di agenzia deve riferirsi ad una zona determinata, inoltre è richiesta la forma
scritta (ma non appena di nullità).

Obbligazioni delle parti: — l’agente, nell'esecuzione dell’incarico, deve tutelare gli


interessi del preponente e agire con realtà e buona fede; in particolare, deve adempiere
l'incarico a datogli in conformità delle istruzioni ricevute.

— Il proponente deve mettere a disposizione dell’agente la documentazione necessaria


relativa a beni o servizi, e fornire all’agente le informazioni necessarie per l'esecuzione del
contratto.

Nel corso del rapporto il proponente non puòav valersi contemporaneamente di più
agenti nella stessa zona; l’agente invece non può assumere l'incarico di trattare nella
stessa zona e per gli stessi a ari per un'altra azienda concorrente.

Quindi, si instaura un diritto di esclusiva per entrambe le parti; questa limitazione


dell'attività dell'agente spesso prosegue anche per un certo periodo di tempo dopo la
conclusione del contratto: infatti le parti spesso stipulano un patto di non concorrenza —
> le parti possono pattuire che l’agente si asterrà dal promuovere nella stessa zona e x la
stessa attività i prodotti di un'impresa concorrente, questo perché l’agente ha un
vantaggio competitivo, ovvero conserva la lista dei clienti.

Il patto di non concorrenza non è ben visto dalla legge, è infatti circondato da una serie di
cautele: 1) deve essere circoscritto terrorialmente;

2) durata max 2 anni dallo scioglimento del contratto;

3) l’agente, se si astiene da fare quello che potrebbe fare senza patto di non concorrenza,
perde guadagni: è infatti prevista un’indennità per l’agente durante il periodo di non
concorrenza.

La provvigione è il corrispettivo che spetta all’agente; ci sono 3 tipologie di provvigione:

1) Provvigione diretta, per tutti gli a ari conclusi x e etto dell’intervento dell’agente;
2) Provvigione indiretta, dovuta all’agente x a ari conclusi dal preponente;

3) Provvigione postuma, ad esempio l’agente ha diritto alla provvigione anche sugli


a ari conclusi dopo la data dello scioglimento del contratto, se la conclusione è da
ricondurre prevalentemente all’attività da lui svolta.

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Lo scioglimento del contratto di agenzia. Se il contratto di agenzia è a tempo
indeterminato ciascuna delle parti può recedere dandone preavviso entro un termine
stabilito: il termine non può essere inferiore a 1 mese per il primo anno di contratto, a 2 x
il secondo, a 3 x il terzo, a 4 x il quarto, a 5 x il quinto, a 6 x il sesto anno e gli anni
successivi.

E’ possibile che il rapporto si sciolga per inadempimento di una delle parti, cioè se esiste
una giusta causa. In linea generale è previsto che l’agente abbia diritto ad un'indennità di
ne rapporto, che prima era parametrata alle provvigioni riscosse nel corso del contratto.

La norma è stata riformulata per dare attuazione alla direttiva 86/653, l’agente ha diritto
ora ad un'indennità quando ha procurato al preponente nuovi clienti o abbia
sensibilmente sviluppato gli a ari con i clienti esistenti, e il proponente riceva ancora
vantaggi derivanti dagli a ari con tali clienti.

CONTRATTO DI MANDATO. 1703-1730 C.C.

Il mandato è il contratto con cui una parte (mandatario) assume l'obbligo di compiere uno
o più atti giuridici per conto dell'altra parte (mandante) (1703 c.c.).

Il mandato si realizza attraverso un interposizione reale di soggetti, nel senso che tra il
mandante e il terzo si inserisce il mandatario.

Vi è la distinzione tra mandato speciale e generale: il mandato speciale riguarda il


compimento di uno o più speci ci atti determinati dal mandante; mentre il mandato
generale è il contratto con il quale si a da al mandatario il compimento di una pluralità di
atti.

Ma la distinzione più importante è quella riguardante la rappresentanza: il mandato può


essere con o senza rappresentanza: nel mandato con rappresentanza il mandatario
agisce in nome e per conto del mandante (quindi ne spende il nome, c.d. contemplato
domini), ossia al mandatario è conferita una procura da parte del mandante; nel mandato
senza rappresentanza il mandatario agisce per conto del mandante, ma in nome proprio
(non spende il nome) , con la conseguenza che i terzi non hanno alcun rapporto diretto
con il mandante. Il mandatario ha poi l'obbligo di trasferire al mandante gli e etti giuridici
e materiali dell'attività svolta in nome proprio, ma nell'interesse del mandante.

Quando si tratta di beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario che
li abbia acquistati in nome proprio, ma nell'interesse del mandante, ne diventa
proprietario, ma ha l’obbligo di trasferirne la proprietà al mandante; in caso di
inadempimento il mandante può chiedere che il giudice attui il trasferimento mediante
sentenza costitutiva.

Il mandato è un contratto presuntivamente oneroso ai sensi del 1709 c.c., ma può essere
anche gratuito. Per quanto riguarda la forma il codice non dice nulla, si presume che sia a
forma libera; ma per quanto riguarda il contratto di mandato che ha ad oggetto l'acquisto
da parte del mandatario di un bene immobile o di un bene mobile registrato, l’opinione
prevalente ritiene che sia richiesta la forma scritta ad substantiam.

Quanto agli obblighi del mandatario, egli deve eseguire il mandato con la diligenza del
buon padre di famiglia, informare il mandante delle circostanze sopravvenute e ad
esempio custodire le cose acquistate e tutelare i diritti del mandante; il mandante è
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invece tenuto a somministrare al mandatario i mezzi necessari per l'esecuzione del
mandato, a pagargli il compenso.

Il mandato è fondato sull'intuitus personae: non si dà l'incarico di svolgere attività


giuridica nel proprio interesse a persona nella quale non si ha ducia; perciò la morte o
l'interdizione o l'inabilitazione del mandante o del mandatario determinano di regola
l'estinzione del mandato.

IL CONTRATTO DI SPEDIZIONE.
Il contratto di spedizione rientra nell'ambito del mandato senza rappresentanza: con
questo contratto una parte (spedizioniere) assume l'obbligo di concludere, in nome
proprio e per conto del mandante, un contratto di trasporto e di compiere le operazioni
accessorie (imballaggio, assicurazione, sdoganamento della merce).

Lo spedizioniere è una gura diversa dal vettore, che si obbliga a trasferire la merce da un
luogo ad un altro e impropriamente nella pratica si scambia l'una gura con l'altra: se
volendo spedire un collo da Roma a Napoli, invece di rivolgermi io alla ferrovia,
trasportare il collo alla stazione, concludere il contratto compilando e presentando la
lettera di vettura, conferisco ad un'im- presa l'incarico di svolgere queste operazioni ed
inoltre di svincolare la merce a Napoli, il contratto che concludo con l'impresa è un
contratto di spedizione; quello che l'impresa conclude con le ferrovie è il vero e proprio
contratto di trasporto.

Peraltro, anche qui può veri carsi l'entrata dello spedizioniere nel contratto di trasporto (il
quale pertanto esegue con mezzi propri, o anche di altri, ma sempre per conto dello
spedizioniere, l'attività materiale di trasporto): si ha in questo caso la gura dello spedizio-
niere vettore, che ha gli obblighi e i diritti del vettore.

Poiché l'oggetto della prestazione dello spedizioniere consiste nel concludere, per conto
del mandante, un contratto di trasporto, egli deve, nella scelta della via, del mezzo e delle
modalità del trasporto della merce, attenersi alle istruzioni del committente (non può far
trasportare con un autocarro la merce, se gli è stato richiesto di inviarla per ferrovia), e in
mancanza agire nel migliore interesse del mandante.

CONTRATTO DI LEASING
Il leasing o locazione nanziaria è uno schema contrattuale che deriva dall'esperienza
anglosassone e che ha avuto in Italia notevolissima espansione, e che è rimasto al lungo
privo di una disciplina tipica, no all’entrata in vigore della L. 124 del 2017, che all’art. 1 ha
normato la gura del leasing nanziario; il modello è così divenuto un contratto tipico.
Per leasing si intende quel contratto con cui la banca o l'intermediario nanziario iscritto
nell'albo degli intermediari nanziari (art.106 TUB) si obbliga ad acquistare o a far costruire
un bene su scelta e secondo le indicazioni dell'utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, e lo
fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo (da parte
dell'utilizzatore)
Quindi nel contratto di leasing si hanno 3 soggetti: il concedente; l'utilizzatore e anche se
la norma non lo nomina un terzo fornitore, al quale il concedente si rivolge per acquistare
o far costruire le cose. Il fornitore può essere tanto un appaltatore quanto un venditore. Il
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concedente acquista o fa costruire da un terzo fornitore una cosa, non nel proprio
interesse ma su indicazione e scelta dell'utilizzatore. Il concedente a questo punto dà il
bene acquistato o fatto costruire dal terzo in godimento all'utilizzatore, dietro pagamento di
un corrispettivo
L'utilizzatore è estraneo al rapporto contrattuale con il fornitore.
Alla scadenza del contratto di leasing, l'utilizzatore può o restituire il bene o esercitare
un'opzione di acquisto. Questo schema è lo schema del leasing cd nanziario, in cui c'è la
presenza di tre soggetti: concedente, utilizzatore, terzo fornitore. Dal leasing nanziario si
distingue, ma è un'ipotesi poco diffusa, il cd leasing operativo, nel quale si hanno solo due
soggetti, perché il concedente e il fornitore coincidono.
La giurisprudenza ha introdotto la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo,
che prima dell'entrata in vigore della legge 124 del 2017 serviva a distinguere i rimedi in
caso di inadempimento dell'utilizzatore, distinzione superata con l'entrata in vigore di tale
legge.
La distinzione tra leasing di godimento e traslativo, a seconda che sia prevalente
l'interesse dell'utilizzatore semplicemente all'uso del bene per un certo periodo o, invece,
all'acquisto della proprietà del bene al termine del periodo di utilizzazione. Ricorre
generalmente la gura del leasing di godimento quando il contratto ha ad oggetto un bene
a rapida obsolescenza, rispetto al quale l'interesse dell'utilizzatore verso il bene si
esaurisce, di solito, con il consumarsi del periodo contrattualmente stabilito per il
godimento. In tale caso l'utilizzatore non ha interesse ad acquistare il bene alla ne del
rapporto, appunto perché il bene ha perso la propria utilità e valore
Viceversa nel leasing traslativo il bene oggetto del contratto conserva, alla data di
cessazione del contratto, una sua rilevante utilità e valore economico, sicché l'utilizzatore,
di solito, a tutto l'interesse ad esercitare l'opzione e acquistare il bene
Dal punto di vista giuridico la tesi prevalente inquadra il contratto di leasing come la
somma di due contratti bilaterali (contratto di fornitura e contratto di godimento locazione)
collegati, e non di un contratto trilaterale.
Vizi della res nel leasing. La suprema corte ha distinto 2 ipotesi, a seconda del momento
dell'emersione dei vizi che rendono la cosa oggetto del leasing inidonea all’uso. Ove i vizi
siano emersi prima della consegna (ri utata dall'utilizzatore), il concedente, in forza del
principio di buona fede, una volta informato della ri utata presa in consegna da parte
dell'utilizzatore, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo di agire per la
risoluzione del contratto di fornitura.
Nel caso invece in cui i vizi siano emersi successivamente alla consegna, perché nascosti
o taciuti in malafede dal fornitore, l'utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per
l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, fermo restando il risarcimento del
danno
Inadempimento dell’utilizzatore. Questa distinzione non vale più per i contratti di leasing
stipulati dopo il 2017, perché il comma 139 della legge 124 detta una disciplina unitaria,
non distinguendo tra leasing traslativo e leasing di godimento per la conseguenza di
inadempimento. Il comma 138 ci dice quando l'inadempimento giusti ca la risoluzione del
contratto: il legislatore ci dice che costituisce grave inadempimento dell'utilizzatore il
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mancato pagamento di almeno 6 canoni mensili o 2 canoni trimestrali anche non
consecutivi con importo equivalente per il leasing immobiliare, ovvero di 4 canoni mensili
consecutivi con importo equivalente per gli altri contratti di locazione nanziari.
Gli effetti che ci dice il comma 139: nel caso di risoluzione il concedente ha diritto alla
restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all'utilizzatore quanto ricavato dalla
vendita o da altra collocazione del bene sul mercato, dedotte la somma pari all'ammontare
dei canoni scaduti e non pagati no alla data di risoluzione, dei canoni a scadere solo in
linea capitale (con l'esclusione degli interessi) e del prezzo pattuito per l'esercizio
dell'opzione d'acquisto, nonché tutte le spese di esecuzione del leasing. Il concedente ha
diritto a un prezzo calcolato così: prezzo di vendita del bene sul mercato meno canoni
scaduti, canoni ancora non scaduti ma senza gli interessi, prezzo pattuito per l'acquisto
nale e spese di leasing

LEASE-BACK
Diverso dal leasing è il contratto di lease back (de nito come "compravendita con
locazione nanziaria al venditore"), che non ha, come il primo, struttura trilaterale, ma solo
bilaterale: il proprietario di un bene (di solito un immobile) lo aliena ad una società che
svolge attività nanziaria, che però lo lascia in godimento all'alienante, contro pagamento
di un canone per il periodo ssato, e con la facoltà per il concessionario, alla scadenza, di
riacquistare la proprietà con il pagamento di un prezzo nale, ovvero di prorogare il
godimento continuando a pagare i canoni per un ulteriore periodo, oppure ancora di
consegnare de nitivamente il bene al concedente

CONTRATTI BANCARI
Il contratto bancario può essere inteso in due accezioni: contratto soggettivamente
bancario e contratto oggettivamente bancario. Il contratto soggettivamente bancario, come
il leasing, è tale in quanto non realizza di regola la funzione di raccolta di risparmio,
semmai rappresenta una funzione creditizia indirettamente
Il contratto oggettivamente bancario è funzionale all'esercizio dell'attività bancaria, sono
indicati all'art 10 del testo unico bancario. Tale articolo ci dice che l'attività bancaria è
costituita dalla raccolta del risparmio tra il pubblico e l'erogazione del credito. Inoltre, ci
dice che questa attività bancaria ha carattere di impresa e che l'esercizio dell'attività
bancaria è riservato alle banche. Ai sensi dell'art 1 le banche sono le imprese autorizzate
all'esercizio dell'attività bancaria.
Norme del TUB che hanno come obiettivo diretto di consentire il funzionamento ordinato e
concorrenziale del mercato bancario; la tutela del corretto funzionamento del mercato
bancario si realizza indirettamente attraverso il riequilibrio di una posizione asimmetrica e
nel caso dei contratti bancari è quella che consiste tra la banca e il cliente. Quindi, la
disciplina dei contratti tipici va integrata con queste norme (gli artt 116 no al 127) dal che
hanno la funzione di formare quella simmetria. Queste norme coinvolgono tanto la fase
precontrattuale, sia la fase di conclusione del contratto, sia la fase esecutiva del contratto.
L'art 116, infatti, disciplina il rapporto cliente-banca nella stipulazione di qualunque
contratto sia esso operazione passiva di raccolta del risparmio, sia esso un contratto con
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cui la banca realizza la funzione di erogazione del credito. L'art 116 guarda la fase
pubblicitario-precontrattuale tra banca e cliente. Le banche rendono noto in modo chiaro ai
clienti tutta una serie di condizioni contrattuali: tassi di interesse, prezzi e altre condizioni
economiche relative alle operazioni e ai servizi offerti ivi compresi gli interessi di mora e le
valute applicate, in particolare viene pubblicizzato il TAEG (tasso annuale effettivo
globale). Quindi, obbligo di informazione attinente al contenuto economico del contratto
che trova una tutela attraverso il disposto dell'art 117 co 6 TUB: si considerano nulle e non
apposte le clausole contrattuali (oltre quelle che violano gli usi dei tassi di interesse) che
prevedono tassi, prezzi e condizioni economico- contrattuali più sfavorevoli per i clienti di
quelle pubblicizzate. L'effettività dell'obbligo informativo che grava sulla banca in sede
pubblicitaria-contrattuale trova poi riscontro in questa previsione che sanzione l'eventuale
clausola peggiorativa rispetto al contenuto di cui è stata oggetto di informazione.
Banalmente, se io dico che il tasso di interesse è del 2% in sede pubblicitaria e poi nel
contratto trovo una clausola che prevede un tasso di interesse del 5%, quindi, difforme
rispetto a quello oggetto dell'informazione, questa difformità è sanzionata dal TUB
attraverso la previsione della nullità di quella pattuizione che ha un contenuto economico
più sfavorevole rispetto a quello oggetto dell'informazione pubblicitaria. Questo è il primo
rimedio

Ulteriore strumento protettivo per evitare lo squilibrio: i contratti bancari sono redatti per
iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. Nel caso di inosservanza della forma
scritta, il contratto è nullo: si tratta di una nullità, come recita l'art 127 col, che opera
soltanto a vantaggio del cliente. Questo regime di nullità che opera a vantaggio del cliente
non si riferisce soltanto all'inosservanza della forma scritta, ma a tutte le nullità previste
dagli artt che vanno dal 116 al 127. Dunque, ulteriore onere per la banca è quello di
redigere contratti scritti, pena la nullità. Ovviante, questa forma risponde alla nalità di
rendere edotto il cliente delle condizioni contrattuali. Tant'è vero che al vincolo della forma
scritta segue il vincolo di contenuto. L'art 117 co.4 dice che i contratti indicano il tasso di
interesse e ogni altro prezzo, condizioni praticati inclusi nei contratti di credito, gli eventuali
maggiori oneri nel caso di ritardo. In caso di inosservanza del comma 4, laddove il
contratto non dovesse menzionare gli elementi obbligatori e nelle ipotesi di nullità indicate
nel comma 6, opera un meccanismo integrativo dell'art 1419 co 2. In questi casi, dice la
norma, si applica il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le
operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o altri titoli
similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle nanze, emessi nei 12
mesi precedenti la conclusione del contratto, o, se più sfavorevole per i clienti, emessi nel
12 mesi precedenti lo svolgimento dell'operazione (...). Ciò che è importante ricordare
nelle ipotesi di nullità è l'art 117 co. 7 che prevede un meccanismo di integrazione: la
conservazione del contratto e l'integrazione

Anche la fase esecutiva di questi rapporti bancari è attinta alla dimensione protezionistica
dalla tutela della parte debole. Vi è l'art 118 che disciplina lo ius variandi laddove il cliente
sia un consumatore. Nel caso in cui non vi sia un consumatore, ma un cliente
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professionista si avrà comunque la disciplina di protezione dell'art 118 volta a limitare il
potere unilaterale di una parte di modi care il contenuto del contratto. Questo ius variandi
nel caso della subfornitura è vietato, nei contratti bancari l'ordinamento non lo vieta, in
quanto spesso è determinato da fattori di mercato, ai quali se non si reagisce attraverso
una modi cazione del contratto, si viene a pregiudicare non solo l'impresa bancaria in
questione, ma tutto il sistema bancario. Soprattutto, la possibilità di variare il contenuto del
contratto all'alterazione di alcuni fattori di mercato consente di realizzare quell'obiettivo
concorrenziale di mantenimento del mercato bancario che è uno degli obiettivi diretti della
disciplina dettata dal TUB. In questo contesto lo ius variandi è comunque ammesso in
quanto risponde ad una necessità siologica dell'impresa bancaria che opera nel mercato
e comunque è circondato da una serie di cautele volte a non far sì che lo ius variandi
determini uno squilibrio, una situazione di pregiudizio eccessiva nei confronti della parte.
La disciplina dello ius variandi dell'art 118 è una disciplina che opera questa duplice
distinzione: distingue lo ius variandi in ragione che sia un contratto a tempo determinato,
ad esecuzione protratta nel tempo o ad esecuzione istantanea differita, comunque altri
contratti di durata. Si distingue, innanzitutto, che si tratti di contratti a tempo determinato o
contratto a tempo indeterminato, e per altro verso, distingue a seconda dell'oggetto dello
ius variandi, se attiene a clausole con contenuto economico o che attiene a clausole dal
contenuto normativo. Diciamo che il 118 procede attraverso questa duplice distinzione e a
seconda della distinzione detta la disciplina

Nei contratti bancari a tempo indeterminato può essere contenuta con la clausola
approvata speci camente dal cliente la facoltà di modi care unilateralmente il contenuto
economico del contratto qualora sussista un giusti cato motivo. Le parti, quindi, possono
conferire alla banca la facoltà di modi care sotto il pro lo economico. Ovviamente, la
facoltà della banca di modi care il contenuto economico del contratto discende dalla
stipulazione di una clausola attributiva dello ius variandi che deve essere speci camente
approvata dal cliente, perché è una clausola vessatoria nel senso dell'art 1340-1341, che
deve essere approvata dal cliente per iscritto. Il giusti cato motivo può, ad esempio,
consistere in una clausola economica sfavorevole che obbliga la banca a modi care il
tasso di interesse, ma è necessario che la banca in maniera chiara, seppur non troppo
gravosa, ha l'onore di motivare la scelta di avvalersi dello ius variandi con riguardo al
contenuto economico come effetto del giusti cato motivo

Negli altri contratti di durata la facoltà di modi ca unilaterale deve essere sempre
convenuta dalle parti, approvata per iscritto, ma può coinvolgere soltanto il contenuto
normativo del contratto ed è necessario che sussista un giusti cato motivo. Ogni modi ca
unilaterale deve essere comunicata prima di essere apportata al cliente con preavviso
minimo di due mesi. Come ulteriore strumento di protezione del cliente, quest'ultimo può
recedere dal contratto se non intende accettare la modi ca proposta dalla banca. O
accetta la modica stando in silenzio o recede, non vi è la possibilità di proseguire il
rapporto alle condizioni precedenti, altrimenti si svuoterebbe lo ius variandi. La modi ca è
accettata se il cliente non recede entro la data ssata per l'applicazione della modi ca. Se
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il cliente recede ha il diritto a regolare il rapporto secondo la disciplina contrattuale, non ha
diritto a far proseguire il rapporto secondo la disciplina previgente, ma ha il diritto di
regolare il rapporto secondo la disciplina contrattuale precedente a quella oggetto della
proposta di modi ca unilaterale proposta al cliente

Il contratto di deposito bancario


Art 1834 cc dà la seguente de nizione di contratto di deposito bancario: "Nei depositi di
una somma di danaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed e' obbligata a
restituirla nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto (deposito
vincolato: il cliente non può ritirare la somma prima della scadenza del termine pattuito per
il prelevamento) ovvero a richiesta del depositante (deposito libero: la banca è obbligata a
tenere immediatamente disponibile la somma alle esigenze del cliente con l'osservanza di
un periodo preavviso necessario per la banca per reperire la somma in questione), con
l'osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle parti o dagli usi"
La somma depositata alla banca è una somma che nella dimensione dell'attività bancaria
viene reimpiegata nelle prestazioni di credito. Tanto è che l'art 1834 cc prevede che la
banca acquista la proprietà della somma di denaro che il cliente deposita, in quanto c'è
una stretta correlazione l'attività di deposito e attività di erogazione del credito. Quindi, è
vero che la banca con il deposito può obbligarsi a rendere esigibile immediatamente la
somma nel deposito libero ma è anche vero che si deve consentire alla banca un minimo
preavviso
Dal punto di vista strutturale, a quali contratti è accostabile
Al contratto di deposito ordinario irregolare in quanto il cliente deposita la somma di
denaro presso la banca. E assomiglia alla forma irregolare in quanto mentre nella forma
regolare il depositario assume l'obbligo di custodire il bene e non ne acquista la proprietà,
nel deposito irregolare colui che assume l'obbligo di custodia assume anche la proprietà
del bene. Quindi da questo punto di vista essendo un tratto tipico del deposito l'acquisto
della proprietà da parte banca è accostabile al deposito irregolare. dell

Al contratto di mutuo, in quanto da un certo punto di vista è come se il depositante


mutuasse in favore della banca la somma di denaro. Con il contratto di mutuo, il
mutuatario acquista la proprietà della somma di denaro data in prestito co
l’obbligo di restituirlo. Quindi, per un certo verso è riconducibile anche al contratto di
mutuo. Ma si distacca anche da questo contatto perché il mutuo si instaura in quanto il
mutuatario ha interesse ad avere la disponibilità di quella somma di denaro e questa
caratteristica non si veri ca nel deposito bancario.
Ma è opinione unanime della dottrina e giurisprudenza che il contratto di deposito bancario
è un contratto autonomo, a sé stante. Nella sentenza 788\2012 si dice il perché del fatto
che il contratto di deposito sia un contratto autonomo e dice che solo il deposito bancario è
un contatto di impresa caratterizzato da pro li speculativi, in cui l’interesse della banca,
alla raccolta e alla gestione del risparmio, concorre con l’interesse privato alla custodia e
alla remuneratività della somma versata. Questo perché il contratto di deposito bancario,
rispetto al contratto di deposito ordinario, quali peculiarità ha? Ha la peculiarità di inserirsi
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nell’attività bancaria e la banca riceve un vantaggio. Invece nel contratto di deposito


ordinario l’interesse tutelato è quello del depositante nel vedersi custodita la somma di
denaro. Quindi, anche nel deposito bancario c’è questa tutela di custodia, ma c’è anche
l’interesse di raccogliere il risparmio per svolgere l’attività di erogazione del credito e
proprio per quest’ultima funzione la banca corrisponde al depositante un interesse sulla
somma depositata, interesse molto basso. Quindi c’è un doppio interesse lucrativo:
l’interesse della banca per erogare il credito e l’interesse del cliente per depositare il
credito ma anche per trarne la remunerabilità costituita dal pagamento di una somma di
interessi. Quindi è un contratto lucrativo da entrambe le parti e in questo si differenzia dal
contratto di deposito ordinario.
Rispetto al mutuo, la differenza è che il mutuo non assicura la permanente disponibilità
della somma. Anzi, il mutuo è un contratto che non è funzionalmente destinato alla
disponibilità immediata della somma nell’interesse del mutuante. Il mutuante quando
concede una somma di denaro a mutuo non ha la possibilità di disporne a suo piacimento.
Quindi, è vero che somiglia a mutuo perché c’è il trasferimento di denaro in proprietà di un
altro soggetto con l’obbligo di restituzione ma la disponibilità immediata che il depositante
ha di avere la somma a richiesta, qualora il deposito sia libero, lo rende inassimilabile per
quanto riguarda la funzione al contratto di mutuo.
Quindi, ha tratti di somiglianza sia con il mutuo sia con il contratto di deposito ordinario ma
si differenzia da questi in quanto il deposito bancario svolge una funzione autonoma, la
quale consiste nel predisporre un contratto di durata nel quale c’è un interesse lucrativo a
carico di entrambe le parti (banca e cliente).
Si distinguono varie tipologie di deposito. Quella più diffusa è il deposito al risparmio (art
1835 cc), la cui particolarità è che si accompagna al deposito presso la banca il rilascio di
un libretto di risparmio. L’art 1835 cc ci dice quale funzione svolge tale libretto. L’art dice
che "le annotazioni sul libretto, rmate dall'impiegato della banca che appare addetto al
servizio, fanno piena prova nei rapporti tra banca e depositante”. Quindi, il libretto
costituisce per un verso un titolo di legittimazione (e non di credito, non circolando) del
portatore e per l'altro fa piena prova sia della annotazione (ossia della somma registrata
sul libretto) sia della provenienza del libretto dalla banca; quindi fa piena prova sia che il
soggetto che lo ha annotato è la banca, sia della autenticità della annotazione. Offre una
prova rafforzata di queste due circostanze. Non è un atto pubblico però il libretto, quindi
l’annotazione non è superabile solo con la querela di falso, ma si può dare la prova
contraria e inoltre, detta una presunzione molto forte di veridicità dell’annotazione e di
imputazione di quella annotazione alla banca. Quindi, sarà la banca a dover fornire la
prova di non veridicità. È sempre possibile la prova contraria ma c’è sempre una forte
presunzione del fatto che il soggetto che annota nel libretto è un soggetto che possiede
tale potere. È la banca che deve dimostrare il contrario.

Il conto corrente bancario.


Non è un contratto né di raccolta di risparmio, né di erogazione del credito. Anzi si può dire
che il codice civile non de nisce il conto corrente bancario come contratto, bensì lo
de nisce come una modalità\clausola accessoria ad altri contratti bancari.

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Se leggiamo l’art 1852 cc ne parla cosi “qualora il deposito, l'apertura di credito o altre
operazioni bancarie siano regolate in conto corrente, il correntista può disporre in qualsiasi
momento delle somme risultanti a suo credito, salva l'osservanza del termine di preavviso
eventualmente pattuito”. Questo articolo parla del conto corrente bancario come modalità
di altri contratti bancari, quindi come una pattuizione che presuppone l’esistenza di altri
contratti bancari. Da questo punto di vista la pattuizione di conto corrente bancario spiega
perché si parla di conto corrente come contratto di secondo grado: presuppone l’esistenza
di altri contratti bancari ai quali accedi. Questa è una declinazione del conto corrente
bancario, come una modalità relativa di altri rapporti.
Da questa prima articolazione si distingue un’altra declinazione che invece assegna al
conto corrente bancario la dignità di un vero contratto autonomo.

Dunque si deve quindi tenere in considerazione che di conto corrente se ne può parlare
sia come contratto bancario autonomo pur sempre collegato ad altri contratti bancari, sia
come clausola accessoria di altri contratti bancari. Questo contratto autonomo di conto
corrente ha una funzione diversa e ulteriore rispetto al conto corrente bancario inteso
come clausole accessoria.
Cos’è il conto corrente civilistico?
Consente di gestire i rapporti commerciali tra due soggetti e di regolare le partite di dare e
avere attraverso una modalità particolare. A quale funzione risponde? Regolare i rapporti
di dare e avere che discendono da altri contratti che vengono gestiti attraverso una
modalità di regolazione, che è il conto corrente ordinario. Essendo sempre esposti
all’attivo e passivo, li regoliamo tramite conto corrente per poi fare un salto nale. Quindi, il
conto corrente è una modalità esempli cativa per annotare le partite di dare e avere
(l’essenza del conto corrente) commerciali per poi stabilire che ad un certo termine le
poste attive e passive si compensano e si capirà chi deve avere e chi deve dare.
L’effetto è quello di imprimere una modi cazione ai rapporti sottostanti: se abbiamo deciso
di fare annotazione delle partite attive e passive, questa consente di modi care l’esigibilità
del dare e dell’avere. Si pensi ad un rapporto di fornitura, in cui i termini di adempimento
dell’obbligazione sono ogni 30 giorni. Se regoliamo in un conto corrente queste partite,
stiamo modi cando i termini della esigibilità posticipandoli. Questo determina che in
costanza di rapporto non posso esigere il saldo favorevole nel conto corrente ordinario.
Quando invece si fa riferimento al conto corrente bancario inteso come modalità di
esecuzione dei contratti bancario stiamo ragionando in una logica analoga alla
precedente, ma quando assumiamo una gestione in conto corrente dei rapporti bancari
abbiamo la deviazione che si possono rendere immediatamente esigibile nel corso del
rapporto la somma che è favore del cliente. Quindi, quando il conto corrente è una
modalità di gestione dei rapporti bancari, si ha una differente regola, ossia NON più quella
di inesigibilità nel caso del rapporto e nella compensazione al termine pattuito con la
liquidazione del saldo, bensì abbiamo la regola secondo la quale vi è una costante
compensazione di attivo e passivo e si ha una costante esigibilità del saldo, in quanto si
può costantemente fare versamenti e prelievi.
Quindi la principale differenza che c’è tra la regolazione in conto corrente dei contratti
commerciali e la regolazione in conto corrente dei contratti bancari è che mentre nei primi
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la regolazione in conto corrente imprime una modi ca al rapporto sottostante rendendo


inesigibile i crediti maturati nel periodo di durata del rapporto in conto corrente, nel
secondo caso invece c’è la regola opposta, ossia continue compensazione di debiti-crediti,
con continui prelevamenti e versamenti.
Fondamentale secondo questa prospettiva è l’art 1857 cc il quale ci dice che il rinvio alle
norme dettate in tema di conto corrente ordinario è residuale, proprio perché la logica è
differente.
La clausola in conto corrente accessoria ai contratti bancari determina una trasformazione
dei contratti bancari perché abbiamo detto che la clausola accessoria dei contratti bancari
determina la possibilità di continui prelevamenti e versamenti, signi ca che la gestione in
conto corrente dei contratti bancari fa sì che quest’ultimi diventano di durata.

Esempio: la gestione in conto corrente di un deposito bancario fa sì che il rapporto non si
limiti al deposito e alla restituzione, ma imprime una sionomia di contratto di durata a
rapporti che per loro natura non lo sono. Questo vale anche rispetto all’apertura di credito
per esempio.
L’apertura di credito è un contratto con il quale la banca mette a disposizione una certa
somma di denaro al cliente, che sarà libero di prelevarla o meno. Di per sé il contratto di
apertura di credito si traduce in questo: ti metto a disposizione una somma di denaro, tu
la prelevi ed hai l’obbligo di restituirla. Ma se questo contratto è regolato in conto corrente
posso prelevare la somma, reintegrarla, riprelevarla, reintegrarla e così via.
Quindi, la regolazione in conto corrente imprima una modi ca al contratto bancario nel
senso che lo rende un contratto di durata in quanto la gestione in conto corrente fa sì che
ci sia quella compensazione costante e progressiva che deriva dalla facoltà di versare e
prestare anche in corso del rapporto.
Questa è la funzione che svolge la clausola di conto corrente, ossia la modalità di
esecuzione dei contratti bancari. A questa modalità, si può aggiungere un vero e proprio
contratto bancario di conto corrente (il c.d conto corrente di corrispondenza) che ha una
funzione in più, ossia questo contratto, che non trova una esplicita disciplina nel codice,
implica la regolazione in conto corrente dei contratti bancari ma ha in più il c.d servizio di
cassa. Ossia dalla stipulazione di un contratto di conto corrente discende non solo la
relazione dei rapporti in conto corrente, ma questo contratto crea questo servizio di cassa
che la banca mette a disposizione del cliente.
Il servizio di cassa.

Questo servizio di cassa consiste nel mandato che si dà alla banca di pagare e
ricevere\accreditare soldi da terzi. Il potere che la banca ha di esigere dal terzo una
somma di denaro e quello di pagare al terzo una somma di denaro sono operazioni
bancarie che integrano il servizio di cassa, che è l’obbligazione principale che la banca
assume tramite la stipula del contratto di conto corrente.

Il conto corrente bancario come contratto autonomo ha in più questo servizio di cassa e ha
anche in sé la regolazione dei rapporti in conto corrente, cioè fare in prelievi e versamenti.

Il codice sembra guardarlo solo come una modalità esecutiva che a differenza del conto
corrente ordinario da quella possibilità costante di esigibilità durante il rapporto. Ma il

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contratto di conto corrente oltre ad essere questo è anche servizio di cassa, cioè ordine di
pagamento e di ricevere pagamenti.

L’apertura di credito (art 1842 ss cc)


È l’unica operazione attiva che studieremo, ossia è un’operazione di erogazione del
credito. È disciplinata dall’art 1842 cc, il quale recita “l'apertura di credito bancario è il
contratto col quale la banca si obbliga a tenere a disposizione dell'altra parte una somma
di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato”.

L’apertura di credito per differenza è accostabile al contratto di mutuo: il contratto di mutuo
è un contratto che si perfeziona con il consegna della somma di denaro, cioè è un
contratto reale e ad effetti reali; il contratto di apertura di credito invece è un contratto
consensuale.
Dal contratto di apertura di credito discende l’obbligo della banca di mettere a disposizione
del cliente una somma di denaro e dalla parte del cliente non l’obbligo di prelevare la
somma, ma il DIRITTO di prelevarla. Una volta prelevata la somma, il cliente ha l’obbligo
di restituirla. Il contratto di apertura di credito non è pensato come contratto a prestazioni
continuative, bensì questo contratto è immaginato nel senso che la banca dispone del
denaro, il cliente sceglie quando prelevarla ed una volta prelevata si estingue.
Ma il contratto di apertura di credito istituito in conto corrente invece si ha la facoltà di
ripetuti prelevamenti e versamenti, ossia l’andamento che nel linguaggio comune si
sostanziale nella formula “sono in rosso” oppure “non sono in rosso”.

L’apertura di credito però non trasferisce la proprietà della somma al cliente, ma l’effetto
primario del contratto di conto corrente è la messa a disposizione della somma di denaro e
il diritto del cliente di prelevare questa somma.
L’apertura di credito semplice è astrattamente possibile ma non è molto frequente; è
l’apertura di credito in conto corrente la forma più diffusa ed il codice civile è consapevole
di questo. Tanto è che l’art 1843 cc recita “se non è convenuto altrimenti (ossia salvo che
le parti non hanno creato un rapporto di apertura semplice), l'accreditato può utilizzare in
più volte il credito, secondo le forme di uso, e può con successivi versamenti ripristinare la
sua disponibilità”. Quindi questo articolo ci dice che di regola l’apertura di conto è in conto
corrente.
È un contratto a prestazioni corrispettive e ci sono due corrispettivi che il cliente è
chiamato a dare alla banca:
• una somma di denaro, una provvigione, una commissione che il cliente deve dare
alla banca in ragione della semplice messa a disposizione della somma di denaro.
Quindi anche qualora il cliente non dovesse usare quella somma, deve alla banca
una remunerazione. Questo perché la banca ha un sacri cio nel tenere pronta per il
cliente una somma di denaro. Quindi, la banca rinuncia tenendo ferma quella soma
a farne un altro utilizzo. 


• in più se il cliente utilizza la somma, la banca ha diritto agli interessi sulla somma di
denaro usata. Questo accade anche nel mutuo. Di questa somma detta una
disciplina l’art 117-bis TUB. Può succedere che la banca metta a disposizione una
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somma di denaro, ma al cliente serve una somma oltre il do autorizzato in origine.


Cosa fa la banca in generale prima di concedere un credito? Prima di concedere
qualunque credito nei confronti di un cliente deve svolgere la valutazione del merito
creditizio. Quindi, anche l’apertura di credito deve passare sotto questa valutazione.
Inoltre, per autorizzare l’extra do la banca stabilisce se può concedere
quell’ulteriore do tramite una valutazione ulteriore, ma è una valutazione del merito
creditizio meno articolata. Per il fatto di svolere questa valutazione merita un
compenso, che si chiama commissione di istruttoria veloce.

Contratto di assicurazione.
Nel contratto di assicurazione c’è il rischio; la base del meccanismo assicurativo è la
protezione dal rischio di un evento percepito negativamente dal soggetto che stipula
l’assicurazione. Questo collegamento che si istituisce tra un accadimento della vita ed una
conseguenza pregiudizievole lo de niamo rischio. Af nché si parli di rischio è necessario
che la potenzialità dannosa dell’evento sia possibile o probabile, non c’è rischio se
l’accadimento negativo è certo o impossibile. Da questo punto di vista, il singolo contratto
di assicurazione svolge la funzione di trasferimento del rischio; il rischio che io ho di dover
subire conseguenze pregiudizievoli lo trasferisco ad un altro soggetto che si accolla il
rischio al posto mio.
Non è però questo il contratto di assicurazione immaginato dal c.c., l’ordinamento non
vuole che il rischio sia semplicemente trasferito, ma vuole che il rischio sia neutralizzato.
Ecco perché il contratto di assicurazione non è stipulabile tra due soggetti privati, ma è
necessario che l’assicuratore sia un’impresa; proprio perché l’assicurazione può essere
stipulata solo con un’impresa, ciò consente di neutralizzare il rischio nel senso che
l’assicuratore in quanto imprenditore che stipula una massa di contratti di assicurazione
riesce a neutralizzare il rischio; se ci fosse un’assicurazione tra soggetti privati ci sarebbe
un semplice trasferimento su un soggetto privato che si accolla il rischio.
L’assicuratore individua una serie di rischi possibili, li isola e, a seconda del rischio,
quanti ca la possibilità di veri cazione di questi eventi e sulla base di ciò calcola il premio
individuale che l’assicurato deve pagare. L’assicuratore gestisce una pluralità di assicurati
e riceve una pluralità di premi, ciò fa sì che l’assicurazione intesa come impresa debba
avere un fondo costituito dai premi capace di far fronte a tutti i sinistri che si verranno a
produrre; il calcolo del premio e l’ammontare dei premi raccolti deve essere in grado di
coprire tutti i potenziali rischi. Nell’ottica imprenditoriale della società di assicurazione il
contratto di assicurazione non trasferisce il rischio, ma attraverso questo meccanismo di
calcolo dei premi che si può realizzare solo gestendo una massa di contratti di
assicurazione consente di neutralizzare il rischio per l’assicuratore.
Questo ha fatto sorgere molte discussioni, soprattutto sulla natura aleatoria o meno del
contratto di assicurazione. Possiamo sicuramente dire che vista sotto il pro lo dell’impresa
di assicurazione è un’attività imprenditoriale non aleatoria, non è possibile che
l’assicuratore non possa coprire tutti i sinistri per i quali si è assunto il
rischio. Il singolo contratto stipulato tra l’assicurazione e il cliente però resta un contratto
aleatorio, perché verso il singolo assicurato non sa se e quanto dovrà corrispondere;
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l’assicuratore rispetto all’assicurato non sa quando e se dovrà pagare, questo dipenderà
dal veri carsi del sinistro, cioè un evento esterno per il quale si è assunto il rischio.
L’impresa di assicurazione deve dotarsi di fondi suf cienti a coprire le perdite; è la legge
che prescrive determinate condizioni alla società di assicurazione:
— Il codice delle assicurazioni private ci dice che ci deve essere una società costituita
nella forma della società per azioni, della società cooperativa o della società di mutua
assicurazione.
— Serve un’autorizzazione per avviare una società di assicurazione.
— Sono richiesti dei requisiti sul management della società.
— L’autorizzazione è subordinata al programma che la società intende svolgere (es. quali
rischi intende coprire)
— Sono richiesti anche requisiti patrimoniali; per esempio, sono previsti rigidi requisiti di
solvibilità, cioè l’obbligo di avere riserve suf cienti a coprire i rischi.

Art. 1882 c.c.: “l’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore verso il pagamento di
un premio si obbliga a rivalere l’assicurato entro i limiti convenuti del danno ad esso
prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al veri carsi di un
evento attinente alla vita umana”.
Ci sono due macro-tipologie di assicurazione, l’assicurazione contro i danni e
l’assicurazione sulla vita.
1. Assicurazione contro i danni: vi rientra anche l’assicurazione sulla responsabilità civile,
che ha la funzione di proteggerci dalle conseguenze pregiudizievoli che il fatto da noi
commesso abbia conseguenze sul nostro patrimonio.
2. Assicurazione sulla vita: ha la funzione di proteggerci contro un rischio sulla vita umana,
ad esempio, l’assicurazione sulla propria vita è spesso una assicurazione sotto la forma di
un contratto con bene cio a terzi. È un’assicurazione sulla vita anche quella di
sopravvivenza ad una certa età, ad esempio, se sopravvivo no a ottanta anni da quell’età
in poi l’assicurazione mi darà mensilmente una certa rendita. Nell’assicurazione sulla vita
l’incertezza attiene al quantum più che al se.
L’assicurazione sotto il pro lo della causa è un contratto aleatorio, però non esiste una
causa aleatoria (nonostante se ne parli spesso non esistono contratti caratterizzati dalla
causa aleatoria); l’assicurazione ha o una causa indennitaria (nell’assicurazione contro i
danni) o una causa previdenziale (nell’assicurazione sulla vita), l’alea è solo un
meccanismo di determinazione della misura della prestazione che non incide sul pro lo
causale.
Da qui una doppia anima dell’assicurazione a seconda che sia contro i danni o sulla vita.
Nell’assicurazione contro i danni c’è una funzione indennitaria, cioè io ho un interesse su
un bene che se leso mi viene ripristinato attraverso una somma di denaro.
Dall’altro lato nell’assicurazione sulla vita c’è una funzione previdenziale, non mi proteggo
contro un danno, ma mi viene data una somma di denaro per l’eventualità che si veri chi
un evento attinente alla vita umana.
Quindi, ci sono queste due funzioni. Si è discusso se l’assicurazione come macro-tipo
potesse essere retta tutta da una causa indennitaria o previdenziale, ma è un tentativo
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fallito, i due sottotipi sono governati da due logiche differenti perché rispondono a due
funzioni differenti.
Rischio.
L’elemento centrale del contratto di assicurazione è il rischio, la prestazione
dell’assicuratore è resa incerta nella sua misura dall’incertezza sul veri carsi del rischio.
Se non c’è il rischio non c’è l’alea, cioè quella modalità di determinazione della prestazione
rimessa ad un evento incerto. Quindi, la centralità del rischio è connaturata al tipo
aleatorio, questa centralità del rischio è evidente nel contratto di assicurazione.
Infatti, il legislatore ci dice che se manca il rischio il contratto è nullo (art. 1895) perché se
il rischio non c’è la funzione che il contratto intende svolgere manca e il contratto è nullo.
Se nel corso del contratto il rischio viene meno invece il contratto si risolve (art. 1896)
Se nel corso del contrato il rischio diminuisce all’assicuratore spetta un premio inferiore,
ma ha comunque la facoltà di recedere dal contratto. Se il rischio invece si aggrava
l’assicurato deve avvertire l’assicurato dell’aggravamento del rischio, il quale ha la facoltà
di recedere dal contratto o possono stabilire condizioni diverse.
L’assicurato deve fornire informazioni accurate e veritiere sul rischio al momento della
stipulazione del contratto di assicurazione, in caso di dichiarazioni inesatte o di omissioni
l’assicuratore ha diritto di domandare entro tre mesi da quando ne ha conoscenza
l’annullamento del contratto se il contraente ha agito con dolo o colpa grave, se invece il
contraente ha agito senza dolo o colpa grave ha il diritto di recedere dal contratto (artt.
1892 e 1893 c.c.). L’art. 1892 è un ipotesi di rilevanza anche del dolo omissivo come
causa di annullabilità.

Premio.
Se l’assicuratore si obbliga a indennizzare l’assicurato per il veri carsi di un danno o a
pagargli un capitale se si veri ca un accadimento sulla vita umana, a carico
dell’assicuratore c’è un premio.
Il premio è indivisibile e deve essere pagato anticipatamente, sono i due principi che
regolano il premio dell’assicurato.
Quindi, secondo il principio di indivisibilità il premio è dovuto anche nell’ipotesi di
scioglimento del contratto per tutto il periodo in cui vige l’assicurazione (solitamente
l’assicurazione ha valenza annuale). Quindi, l’assicuratore ha diritto a far proprio l’intero
premio relativo al contratto di assicurazione anche se il contratto si scioglie dopo un
giorno.
Altro principio è quello per il quale il premio assicurativo va pagato anticipatamente,
questo ce lo dice l’art. 1901; la conseguenza del mancato pagamento anticipato del
premio è che l’assicurazione resta sospesa, ma per le rate successive alla prima, con una
tolleranza di quindici giorni.

Assicurazione contro i danni.


L’assicurazione contro i danni è nulla se nel momento in cui l’assicurazione deve avere
inizio non esiste un interesse dell’assicurato al risarcimento del danno (art. 1904). Quindi,
ci deve essere un interesse dell’assicurato ad ottenere il risarcimento del danno, per
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questo è poco frequente l’assicurazione contro i danni nei confronti di un terzo, è dif cile
pensare ad una dissociazione tra l’assicurato e il terzo bene ciario dell’indennizzo (il terzo
non ha un interesse alla non veri cazione dell’evento dannoso, anzi avrebbe l’interesse
contrario).
L’art. 1808 dice che nell’accertare il danno non si può attribuire alle cose un valore
superiore a quello che avevano al momento del sinistro. Questo perché l’assicurazione
contro i danni ha una funzione indennitaria, cioè di ristorare i danni derivanti da una
perdita, ma l’assicurazione non può andare oltre; quindi, non si può attribuire al bene un
valore superiore a quello che aveva al momento del sinistro, non è compatibile con
l’assicurazione una funzione di lucro. L’art. 1809 dice che una somma che eccede il
valore della cosa non è valida se c’è stato il dolo dell’assicurato, ma se non c’è stato dolo il
contratto ha effetto no alla concorrenza del valore reale della cosa assicurata.

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