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30/9/2020 FiscoOggi.

it - Il reclamo e la mediazione fiscale per diminuire la conflittualità (1)

Articolo pubblicato su FiscoOggi (https:// scooggi.it/)

Analisi e commenti
Il reclamo e la mediazione scale
per diminuire la con ittualità (1)
4 Gennaio 2012

La disciplina è inserita nelle disposizioni sul contenzioso tributario ma la sua


natura è squisitamente amministrativa, tipica degli strumenti de ativi

Tra i molti obiettivi che il legislatore scale


persegue da tempo, alcuni appaiono assai
coerenti e armonici con il più ampio disegno di
mantenere sereno e costruttivo il rapporto tra
Amministrazione nanziaria e contribuente. Ci
si riferisce, in particolare, a quelli volti al
contenimento del numero di cause pendenti
innanzi agli organi della giustizia tributaria e al
recupero di risorse da destinare alla
realizzazione dei compiti propri dello Stato,
come delineati dall’autorità di governo con le politiche di bilancio e dal Parlamento
con la legge di stabilità. Tra tutti gli istituti de ativi del contenzioso, un posto di
rilievo si accinge a occuparlo, anche per la sua strutturale originalità, il combinato
strumento del reclamo e della mediazione.

La norma
Lo strumento è stato introdotto dal comma 9 dell’articolo 39 del Dl 98/2011 n. 98. Si
tratta di un e cace rimedio amministrativo per de azionare il contenzioso per atti,
di valore contenuto, emessi dall’Agenzia delle Entrate: con l’inserimento dell’articolo
17-bis nel Dlgs 546/1992, è ora prevista la presentazione di un reclamo volto
all’annullamento totale o parziale dell’atto o nalizzato al componimento della

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controversia tramite mediazione.

La natura del reclamo


È una manifestazione di tutela amministrativa, per la quale è competente la stessa
PA che ha emanato il provvedimento che si ritiene viziato. La forma è quella del
ricorso, che viene proposto dal destinatario dell’atto. Il reclamo è un procedimento
di “secondo grado”, in quanto viene avviato alla conclusione di un precedente
procedimento amministrativo (quello che si è concluso con l’emanazione dell’atto
ritenuto viziato). Esso de nisce la questione nell’ambito della funzione tipica della
PA, quella amministrativa, senza che alcun organo giurisdizionale (GA o GO) debba
pronunziarsi. Il ricorso (rectius, reclamo) è diretto ad accentuare il contraddittorio,
peraltro già garantito nel procedimento conclusosi con l’emanazione dell’atto del
quale l’interessato chiede il riesame, anche se la generalizzazione del principio di
partecipazione al procedimento amministrativo trova una limitazione in ambito
tributario già nella stessa legge 241/1990 che, all’articolo 13, secondo comma,
esclude l’applicabilità delle disposizioni del Capo III della stessa legge (Partecipazione
al procedimento amministrativo) ai “procedimenti tributari per i quali restano
parimenti ferme le particolari norme che li regolano”.

L’oggetto del reclamo


Il reclamo permette anche di esaminare nuovamente il caso e, sussistendone i
presupposti, di emendare la precedente decisione nonché, in ossequio al principio
di economia dei mezzi giudiziari, di contenere il ricorso agli strumenti di tutela
giurisdizionale, perseguendo l’economicità del fare amministrativo.

L’autotutela amministrativa Per cercare di inquadrare correttamente l’innovativo


istituto del reclamo tributario, è opportuno richiamare la tradizionale distinzione tra
autotutela amministrativa e autodichia o tutela amministrativa giustiziale. Con la
prima, la PA avvia di propria iniziativa un procedimento a sé interno, persegue
l’interesse pubblico, non mantiene una posizione “terza”, ma garantisce imparzialità
in ossequio ai principi dell’azione amministrativa. La PA non ha l’obbligo di
riesaminare il provvedimento di primo grado, pur in presenza di un comportamento
attivo del destinatario dell’atto nella maggior parte dei casi che, appunto, “si attiva”
per ottenerne una riforma o un annullamento. La PA comunque mantiene la
potestà di disporre sull’oggetto del provvedimento, con la produzione di
determinati e etti giuridici (costituire, modi care o estinguere il rapporto giuridico
sottostante), può emanare o meno l’atto di ritiro, in virtù di ampia discrezionalità
mercè la quale vaglia la sussistenza della attualità e della concreta e ettività

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dell’interesse pubblico alla caducazione dell’atto, anche se lo stesso dovesse essere


legittimo o inopportuno, nel rispetto delle norme di cui al Capo IV-bis della legge
241 su “E cacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso”,
con particolare riguardo agli articoli 21 quinquies, octies e nonies.

L’autotutela tributaria. Un primo cenno


Sostanzialmente conforme appare l’autotutela dell’amministrazione nanziaria, che
si identi ca nel potere di salvaguardare l’azione degli u ci nanziari attraverso
strumenti di difesa e di prevenzione del contenzioso, come l’annullamento, la
rinuncia o la revoca dei propri atti riconosciuti illegittimi. Il regolamento sul potere
di autotutela è contenuto nel Dm 37/1997, attuativo dell’articolo 2 quater della legge
656/1994: l’Amministrazione nanziaria, in quanto pubblica amministrazione, ha
così il potere di emanare provvedimenti e, come conseguenza, di annullare,
revocare o sospendere gli stessi, qualora li reputasse illegittimi in base a una
valutazione compiuta ex post, senza necessità di istanza di parte.

L’autodichia
L’autodichia prende le mosse da un ricorso di parte e origina, per formale impulso
dell’interessato, un procedimento amministrativo. Quale potestà di
autogiurisdizione (la PA agisce per motivi di giustizia e non per scopi di proprio
esclusivo interesse), è un procedimento che non si svolge all’interno dell’organo
della PA che ha emanato l’atto (è esterno a quest’ultima anche se si sviluppa
all’interno dell’organo di un’altra PA). L’essere relativo a una controversia esalta
nell’autodichia la garanzia del contraddittorio, che è pur sempre un principio
generale dell’azione amministrativa. Un’altra sua caratteristica è che l’organo della
PA competente a decidere sul ricorso mantiene un ruolo e un atteggiamento terzo e
imparziale rispetto alla controversia. Ancora, la decisione assunta dall’organo è
condizionata e limitata dai vizi di legittimità dell’atto dedotti nel ricorso dal
proponente. In ne, lo stesso organo, una volta emanato il relativo provvedimento,
esaurisce il proprio potere di decisione (“functus est o cio suo”).

Inquadramento sistematico del reclamo. Gli elementi di contatto col ricorso


amministrativo
Il reclamo, così come delineato dall’articolo 17 bis, pur se volto a conseguire la
riforma, la revoca o l’annullamento di un provvedimento amministrativo, non
prende la forma di uno dei ricorsi tipici (opposizione, ricorso straordinario al Capo
dello Stato, ricorsi gerarchici proprio e improprio). Tuttavia, ne assume alcune
caratteristiche tipiche:

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l’ordinarietà. I ricorsi ordinari tendono a ottenere, su di un atto amministrativo


non de nitivo, una pronunzia (riforma, revoca o annullamento dell’atto contro
il quale si è presentato il ricorso) da parte di un organo della PA al di sopra del
quale, per quella materia, non esiste altro organo in grado di assumere
analoga decisione. La decisione che è presa dall’organo al quale il ricorso è
presentato si connota pertanto con il carattere della de nitività, nel senso che
contro tale decisione non è possibile esperire un rimedio amministrativo
ordinario. Quanto alla possibilità di esperire, contro la decisione scaturita dal
reclamo, ricorso straordinario al Capo dello Stato, la giurisprudenza del
Consiglio di Stato, trattandosi di materia prettamente tributaria, demandata
alla competenza di organi giurisdizionali speciali quali le Commissioni
tributarie, ritiene preclusa la possibilità di proposizione del ricorso
straordinario (Sez. III, 3 giugno 2003, n. 2857/02). La questione sembrava porsi
in una nuova prospettiva dopo l’entrata in vigore della disposizione di cui
all’articolo 7, comma 4, della legge 212/2000 (lo Statuto del contribuente): “La
natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia
amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti”. In sede di parere sulla
norma attuativa (posta all’esame del Consiglio di Stato poiché a erente a un
ampliamento delle sue competenze), a suo tempo l’Adunanza generale
(parere n. 1/01 del 22 gennaio 2001) ha reso osservazioni sull’ipotesi di una
speci ca disciplina, la quale avrebbe potuto a erire nello speci co
l’impugnazione di atti tributari de nitivi mediante lo strumento del ricorso
straordinario. Sono stati però costantemente dichiarati inammissibili i ricorsi
straordinari relativi alle controversie attribuite alla competenza delle
Commissioni tributarie

impugnatorietà. Il reclamo ha certamente natura impugnatoria, in quanto


con gura un rimedio contro un atto amministrativo lesivo dell’interesse
sostanziale protetto dalla norma

giustizialità. Sorge da una controversia ed è un mezzo di difesa di una


situazione giuridica che la parte a erma essere stata lesa, per cui la PA si
pronunzia in relazione agli elementi e ai motivi esistenti nella domanda di
parte

non estraneità. Il ricorso (reclamo) non è presentato a un giudice, bensì a un


organo che non si trova in posizione di distacco rispetto a una delle parti in
causa: fa parte infatti della stessa PA alla quale appartiene l’organo che ha
emanato l’atto. Non può, peraltro, essere considerato un ricorso gerarchico
vero e proprio. La norma dispone che la struttura dell’ente impositore
competente al reclamo sia diversa e autonoma da quella che ha emanato

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l’atto reclamabile, anche se non è né sovra né sott’ordinata all’u cio che ha


emanato l’atto: il reclamo va infatti presentato alla direzione provinciale o alla
direzione regionale, che lo a da alle strutture deputate alla gestione del
contenzioso per un esame operato in piena autonomia rispetto alle diverse
strutture che hanno curato l’istruttoria degli atti reclamabili. Il reclamo appare
così come uno strumento “atipico”, ma comunque aderente alle linee
organizzative della PA, ormai irreversibilmente mutate e che sempre più
vedono a evolire il rilievo dell’ordinamento gerarchico al proprio interno.

Di erenze con l’autotutela amministrativa


L’autotutela amministrativa, a di erenza del ricorso la cui presentazione da parte
dell’interessato ne costituisce l’avvio, non è originata dalla parte interessata,
destinataria dell’atto di primo grado. I suoi elementi distintivi sono:

il sorgere per iniziativa e impulso dell’amministrazione e non del privato

lo svolgimento dell’iter procedimentale all’interno della stessa


amministrazione che ha emanato l’atto e che intende ritirarlo

la partecipazione al procedimento del soggetto nei cui confronti l’atto di


secondo grado è destinato a dispiegare i propri e etti diretti, oltre che di
coloro che per legge devono intervenirvi, in ossequio alla legge 241/1990,
articolo 7

la non imparzialità e terzietà nel procedimento della PA, la quale cura


esclusivamente l’interesse pubblico

l’esercizio di un potere discrezionale in seno al procedimento, che si conclude


con il ritiro o meno dell’atto a itto da vizio di legittimità o di merito, previa
valutazione della sussistenza di un interesse pubblico, attuale ed e ettivo

l’organo che aveva emanato l’atto (“ovvero da altro organo previsto dalla
legge”) e che ha esercitato il potere di ritiro mantiene il potere di decidere
nuovamente sul medesimo oggetto del provvedimento di primo grado.

 
 
1 - continua

di

Federica Rachele Badano

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