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CAPITOLO VI: IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

1.introduzione: il provvedimento è l’atto amministrativo che, in quanto efficace sul piano dell’ordinamento
generale, produce vicende giuridiche in ordine alle situazioni giuridiche di soggetti terzi. L’emanazione del
provvedimento finale è di solito preceduta da un insieme di atti, fatti ed attività, tutti connessi in quanto
concorrono, all’emanazione del provvedimento stesso. Tali atti, fatti ed attività confluiscono nel
procedimento amministrativo. i casi di provvedimenti emanati senza porre in essere un procedimento sono
pochissimi (es atto di urgenza). Il passaggio dall’attribuzione del potere alla concreta produzione
dell’effetto finale è contraddistinto da una serie coordinata di attività e di atti “endoprocedimentali” che
costituisce la funzione. Il procedimento trova la sua ragion d’essere in una serie di esigenze e di
caratteristiche peculiari del diritto pubblico:
a)la necessità di dare evidenza alle modalità di scelta effettuate dall’amministrazione in vista dell’interesse
pubblico;
b)l’importanza di individuare i vari passaggi che conducono alla determinazione conclusiva ai fini del
sindacato operato dal giudice amministrativo;
c)l’esistenza di norme giuridiche (norme di azione) alle quali è soggetta l’amministrazione.
d)poiché la “funzione” costituisce essenzialmente esercizio del potere discrezionale, il procedimento deve
essere strutturato in modo da consentire che la scelta discrezionale possa proficuamente avvenire.
la scelta legislativa comporta evidenti vantaggi sul piano della semplificazione amministrativa, riducendo
tempi e oneri gravanti sui privati la cui attività sia assoggettata a distinti poteri amministrativi.
3.l’esperienza italiana: la legge del 7 agosto 1990, n. 241 e il suo ambito di applicazione: la legge 241/90
reca “nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi”. La legge italiana non contiene una disciplina completa ed esaustiva del procedimento, ma
si limita a specificare alcuni principi e a disciplinare gli istituti più importanti; essa si occupa anche di diritto
di accesso. Secondo l’ART 29, le disposizioni della legge si applicano alle amministrazioni statali e agli enti
pubblici nazionali. Il comma 2 stabilisce che gli enti locali regolano le materie previste da questa legge nel
rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così
come definite dai principi stabiliti dalla presente legge. Si percepisce lo sforzo operato dall’art 29 nella
prospettiva dell’allargamento del campo di applicazione della disciplina. La norma, infatti, dopo aver
precisato al comma 1 che la legge si applica all’esercizio delle funzioni amministrative, chiarisce che gli
articoli relativi alle conseguenze del ritardo nella conclusione del procedimento, agli accordi, alla tutela in
materia di accesso, si applicano a tutte le PA. Il comma 2 bis, citando ora istituti, stabilisce che attengono ai
livelli essenziali delle prestazioni e dunque devono trovare applicazione le disposizioni che riguardano gli
obblighi per la PA di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento e di concluderlo entro il
termine prefissato. Comma 2 ter: “attengono altresì ai livelli essenziali delle prestazioni le disposizioni
concernenti la prestazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni e il silenzio assenso, salva la possibilità
di individuare casi ulteriori in cui tali disposizioni non si applicano. I livelli essenziali possono essere
incrementati: ai sensi del 2 quater, regioni ed enti locali, nel disciplinare procedimenti amministrativi di loro
competenza, non possono stabilire garanzie inferiori a quelle assicurate ai privati, ma possono prevedere
livelli ulteriori di tutela. Infine, ai sensi del comma 2 quinquies, le regioni a statuto speciale e le province
autonome adeguano la propria legislazione alle disposizioni dell’art 29.
4.i principi enunciati dalla legge 241/1990: l’ART 1 afferma che l’attività amministrativa persegue i fini
determinati dalla legge (principio di legalità) ed è retta da “criteri” di economicità, efficacia, imparzialità, di
pubblicità e trasparenza secondo le modalità previste dalla legge medesima. L’azione è economica quando
il conseguimento degli obiettivi avvenga con il minor impiego possibile di mezzi personali, finanziari, e
procedimentali. L’economicità si traduce nell’esigenza di non aggravamento del procedimento se non per
straordinarie e motivate esigenze derivanti dall’istruttoria. All’interno del procedimento si trovano atti
previsti dalla legge. In applicazione del principio in esame, devono essere ritenuti illegittimi gli atti superflui,
in particolare le duplicazioni ingiustificate di pareri e di momenti istruttori.
L’efficacia è il rapporto tra obiettivi prefissati e obiettivi conseguiti ed esprime la necessità che
l’amministrazione miri al raggiungimento degli obiettivi nel miglior modo.
La pubblicità è un carattere che costituisce conseguenza diretta della natura pubblica dell’amministrazione
(legata alla soddisfazione di interessi pubblici) e dall’altro si fa riferimento alla trasparenza
dell’amministrazione stessa e della sua azione agli occhi del “pubblico”. Applicazione concreta dei criteri di
imparzialità, di pubblicità e di trasparenza è costituita dal diritto di accesso ai documenti amministrativi. Si
rapportano alla pubblicità anche gli istituti della partecipazione al procedimento amministrativo e della
motivazione del provvedimento: art 3 La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le situazioni
giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione in relazione alle risultanze
dell’istruttoria; deve risultare la situazione di fatto che riguarda il soggetto, o i soggetti, coinvolti nel
procedimento.
La fase istruttoria consente di comprendere:
- Quale sia la disciplina di fatto
- Quale disciplina applicare
- Come può svolgersi la partecipazione al procedimento.
Fortissimo impulso alla trasparenza è derivato dall’applicazione del d.lgs 33/2013 che impone la
pubblicazione di un’ampia categoria di atti e informazioni.
L’art 1 non richiama il concetto di efficienza, ma compare nell’art 3 bis, dove si afferma che per conseguire
appunto un’efficienza maggiore della loro attività, le amministrazioni incentivano l’uso della telematica.
Ancora, esistono principi di proporzionalità, precauzione, di tutela del legittimo affidamento (cioè
affidamento consolidatosi in capo al privato come conseguenza di un atto favorevole. Un ulteriore principio
che deriva dalla legge 241 è quello dell’azione in via provvedimentale: ai sensi dell’art 2, l’amministrazione
deve infatti concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso (eccezioni:
silenzio assenso).
5. le fasi del procedimento: il procedimento deve seguire un particolare ordine nella successione degli atti e
delle operazioni che lo compongono:
a) nel procedimento sono presenti atti che assolvono ad una funzione preparatoria rispetto all’emanazione
del provvedimento finale cd fase preparatoria.
b) segue la fase decisoria, in cui viene emanato l’atto o gli atti con efficacia costitutiva, nel senso che da essi
sgorga l’effetto finale sul piano dell’ordinamento generale. (denominato “efficacia”).
c) il procedimento si chiude con quegli atti che confluiscono nella fase integrativa dell’efficacia, che è
eventuale, in quanto in alcuni casi la legge non la prevede.
La decisione avviene in modo graduale; già nella fase preparatoria vengono poste in essere scelte che
possono condizionare la decisione finale. La legge formalizza alcuni dei passaggi endoprocedimentali, l’art
11 prevede che gli accordi che l’amministrazione conclude con i privati siano preceduti da una
“determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento”, l’art 10 bis nel
caso di procedimenti ad istanza di parte, impone di comunicare agli istanti i “motivi che ostano
all’accoglimento della domanda”. La disposizione introduce un’ulteriore fase di partecipazione entro il
termine di 10 giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto
le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. Del mancato accoglimento deve essere data
motivazione.
Questo art. trova applicazione nella conferenza di servizi.
Meccanismo del preavviso di rigettose l’amministrazione esercita il potere (= adotta un nuovo
provvedimento) non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emersi durante la prima istruttoria
del provvedimento che è stato adottato.
Queste disposizioni dell’art.10 bis. non si applicano ai concorsi e ai procedimenti in materia provvidenziale
e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali.
L’importanza di questa disposizione è che ha introdotto una nuova partecipazione ma limitatamente al caso
in cui l’amministrazione abbia
Tra i due estremi del procedimento, l’iniziativa e l’efficacia o emanazione del provvedimento finale, trovano
posto i cd atti endoprocedimentali. Essi sono destinati a produrre effetti rilevanti nell’ambito del
procedimento. Questi atti contribuiscono anche a condizionare la scelta discrezionale finale, ovvero la
produzione dell’effetto sul piano dell’ordinamento generale. Importanti sono anche gli atti di controllo,
successivi al provvedimento che ne condizionano l’efficacia. La conoscenza delle fasi in cui si articola il
procedimento è importante, in quanto l’illegittimità di uno degli atti del procedimento determina
l’illegittimità del provvedimento finale. Pure la mancata adozione di un atto dovuto dà luogo a una
illegittimità. Inoltre, un atto endoprocedimentale può produrre effetti di per sé esterni, e se è lesivo di
situazioni giuridiche soggettive, possa essere impugnato. Il fenomeno è spiegabile ricorrendo all’idea della
pluriqualificazione degli atti.
6.rapporti tra procedimenti amministrativi: talora il rapporto deriva dal fatto che alcuni procedimenti
costituiscono una fase di un procedimento principale. Questi procedimenti sono detti “sub procedimenti”. I
procedimenti si dicono invece connessi allorchè l’atto conclusivo di un autonomo provvedimento,
condiziona l’esercizio del potere che si svolge nel corso di un altro procedimento (connessione funzionale).
La connessione più importante è costituita dalla presupposizione: al fine di esercitare legittimamente un
potere, occorre la sussistenza di un certo atto che funge da presupposto. In altri casi, l’assenza di un
provvedimento, ovvero la conclusione con un atto di diniego di un procedimento impedisce la legittima
conclusione di un altro procedimento.
7.l’iniziativa del procedimento amministrativo: il procedimento si apre con l’iniziativa, che può essere ad
istanza di parte, o d’ufficio. L’iniziativa ad istanza è caratterizzata dal fatto che il dovere di procedere sorge
a seguito (e solo a seguito) dell’atto di impulso che proviene da un soggetto privato o pubblico diverso
dall’amministrazione. L’istanza può consistere in un atto amministrativo: si deve parlare di richiesta o
proposta. La proposta è l’atto di iniziativa, avente anche contenuto valutativo, con cui si suggerisce
l’esplicazione di una certa attività. essa può essere vincolante o non vincolante. se vincolante, la proposta
comporta il dovere dell’amministrazione procedente di conformarsi alla stessa. Ove si tratti di proposta non
vincolante, l’amministrazione può valutare l’opportunità di esercitare il potere o di non seguirla. La
richiesta è l’atto di iniziativa, consistente in una manifestazione di volontà, mediante il quale un’autorità
sollecita ad un altro soggetto pubblico l’emanazione di un determinato atto amministrativo. un esempio di
richiesta che proviene da un organo di amministrazione attiva e si rivolge ad un organo di amministrazione
consultiva è la richiesta di parere, oggi disciplinata dall’art 16. Dalla richiesta si distingue la designazione, la
quale consiste nell’indicazione di uno o più nominativi all’autorità competente a provvedere ad una
nomina: tale atto, al pari della proposta, identifica il contenuto dell’atto finale, ma al contrario di questa
non è atto di iniziativa procedimentale. L’istanza invece proviene dal solo cittadino ed è espressione della
sua autonomia privata. Ai sensi dell’art 18 bis, dell’avvenuta presentazione di istanze, è rilasciata
immediatamente (anche telematica) una ricevuta che attesta l’avvenuta presentazione dell’istanza, della
segnalazione e della comunicazione e indica i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta a rispondere.
Le amministrazioni gestiscono i procedimenti amministrativi usando tecnologie dell’informazione; esse
raccolgono in un fascicolo informatico tutti i dati e i documenti. Tutte le ipotesi sopra richiamate, ad
eccezione della proposta non vincolante, sono comunque caratterizzate dal fatto che sorge, quale effetto
endoprocedimentale, il dovere per l’amministrazione di procedere. A fronte dell’istanza, l’amministrazione
può anche rilevarne l’erroneità o la incompletezza. L’amministrazione può chiedere all’interessato info o
documenti solo in caso di mancata corrispondenza del contenuto dell’istanza. La PA, prima di rigettare
l’istanza, deve procedere al cd ar e, cioè, alla richiesta della rettifica. Le istanze illegali o emulative, invece,
non generano alcun dovere così come il dovere di agire non sussiste in caso di silenzio significativo. Il
dovere sorge nelle fattispecie nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongono l’adozione di un
provvedimento anche su sollecitazione di un privato. Quando l’ordinamento non riconosce in capo al
privato un interesse protetto e un dovere di procedere per l’amministrazione, il suo atto non si configura
come istanza in senso proprio, bensì come mera denuncia, mediante la quale si rappresenta una data
situazione, chiedendo all’amministrazione l’adozione di provvedimenti e/o misure. L’iniziativa d’ufficio è
prevista dall’ordinamento nelle ipotesi in cui il tipo di interessi pubblici affidati alla cura di
un’amministrazione, esiga che questi si attivi automaticamente al ricorrere di alcuni presupposti,
indipendentemente dalla sollecitazione proveniente da soggetti esterni.
8. il dovere di concludere il procedimento: l’individuazione del momento in cui il procedimento ha inizio è
importante in quanto solo con riferimento ad esso si stabilisce il termine entro il quale il procedimento
deve essere concluso. L’art 18 bis specifica che nel caso di istanza, segnalazione o comunicazione
presentate ad un ufficio diverso da quello competente, i termini per la segnalazione certificata di inizio
attività o quelli per la formazione del silenzio decorrono dal ricevimento dell’istanza. L’art stabilisce che il
termine decorre dall’inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda. Tale art sancisce
che la PA ha il dovere di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Il
termine quindi si intende rispettato quando l’amministrazione, entro 30 gg emani il provvedimento finale.
La legge prevede possibilità ulteriori: se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità
o infondatezza della domanda, le PA concludono il procedimento con un provvedimento espresso in forma
semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto
ritenuto risolutivo”, si precisa quanto di seguito:
L’istanza è irricevibile se mancano gli elementi/le caratteristiche per poterla definire come istanza e se, ove
previsto a pena di decadenza un termine per la sua proposizione, questo non venga rispettato. L’istanza è
inammissibile se, inizialmente o in corso di procedimento, manca la situazione giuridica soggettiva, sottesa
all’istanza, suscettibile di essere tutelata. Tale situazione giuridica soggettiva è l’interesse legittimo, cioè la
situazione giuridica soggettiva di vantaggio, direttamente connessa ad un bene della vita, che il soggetto
conseguirebbe dall’adozione dell’atto richiesto. L’istanza è improcedibile se mancano gli elementi
nell’istanza necessari per comprendere quale tipo di procedimento debba essere iniziato. L’istanza è
infondata nel caso in cui sussista la situazione giuridica soggettiva ma non sussistano le ragioni che
giustificherebbero l’avvio del procedimento per tutelarla.
La disposizione parla di provvedimento semplificato e non di procedimento, perciò dovrebbero ad esso
applicarsi tutte le garanzie previste dalla legge 241.
Con riferimento ai procedimenti ad istanza di parte, l’art 20 ammette la possibilità che il procedimento sia
definito mediante silenzio assenso. Vuol dire che all’inerzia è collegata la produzione degli effetti. Il silenzio
assenso può essere impedito emanando un provvedimento di diniego. Posto che l’art 20 prevede un
ulteriore strumento per evitare il formarsi del silenzio (indizione conferenza di servizi), può osservarsi che
l’amministrazione ha il dovere di attivarsi qualora ritenga che la situazione che si realizzerebbe a seguito
della formazione del silenzio assenso risulti in contrasto con l’interesse pubblico. L’art 20 tuttavia introduce
un’importante serie di eccezioni a questa regola. La norma richiama gli atti e procedimenti che riguardano il
patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, ecc.. in tali
ipotesi, a fronte dell’inutile decorso del termine senza che l’amministrazione abbia emanato il
provvedimento, si forma il cd silenzio inadempimento, che non produce effetti equivalenti a quelli di un
provvedimento. Il cittadino ha a disposizione diversi rimedi (vi è lo strumento del ricorso avverso il silenzio,
preordinato a ottenere comunque un provvedimento espresso. Inoltre, anche se l’amministrazione non
decade dal potere di agire, il ritardo può causare a suo carico una responsabilità civile: ai sensi dell’art 2 bis
le amministrazioni pubbliche e i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrativa devono
effettuare un risarcimento del danno ingiusto cagionato dall’inosservanza del termine di conclusione del
procedimento. CONSEGUENZE PER IL RITARDO DELL’AMMINISTRAZIONE NELLA CONCLUSIONE DEL
PROCEDIMENTO: Quando c’è tutto questo: c’è da risarcire il danno (compito della PA). La PA risarcisce un
soggetto terzo che si è interfacciato con lei stessa; dopo si rivarrà sul dipendente (in quanto la
responsabilità è personale).
La responsabilità spesso è solidale tra PA e il soggetto che ha effettuato questo comportamento doloso o
colposo. Ci si può rivalere su entrambi, ma tendenzialmente sulla PA perché ha la possibilità di risarcire il
danno. Comma 1 bis: fatto salvo l’obbligo di risarcire in caso di danno ingiusto, il silenzio e l’inerzia hanno
un significato non rispetto i termini ma il mio silenzio ha un significato e ci sono ipotesi in cui l’inerzia
equivale a un provvedimento. Ha una disciplina a parte. L’inosservanza in sé del termine di conclusione del
procedimento comporta l’obbligo di indennizzo per il mero ritardo = Non c’è un danno ingiusto, ma il
comportamento di aver ritardato l’adozione, deve essere indennizzata.
Risarcimento e indennizzo sono diversi. L’indennizzo non è legato a un danno ingiusto.
Il mero ritardo in sé, che non comporta un danno ingiusto, rende il soggetto titolare di diritto di ricevere un
indennizzo.
Se viene riconosciuto un danno ingiusto e un indennizzo, questo viene sottratto dalla somma del
risarcimento per il danno ingiusto.
Solo dal 2009 si prevede l’obbligo di risarcire il danno ingiusto e l’indennizzo per il mero ritardo.
L’art 2 disciplina poi importanti poteri sostitutivi, delineando un meccanismo che può sfociare in un
“commissariamento”. L’organo di governo individua, nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione, il
soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Decorso inutilmente il termine per la
conclusione del procedimento, il privato può rivolgersi al responsabile perché entro un termine pari alla
metà di quello originariamente previsto, concluda direttamente il procedimento attraverso le strutture
competenti. Considerando le ipotesi dell’esercizio dei poteri sostitutivi, si nota che il provvedimento tardivo
emanato dal sostituto è in tali casi legittimo. In sintesi: la scadenza fissata dalla legge può non essere
rispettata dall’amministrazione, e il provvedimento tardivo è legittimo, ma neppure esso può essere
emanato oltre un termine ragionevole. Si pensi all’annullamento d’ufficio che deve avvenire entro un
termine ragionevole. In caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo,
corrispondono all’interessato, a titolo di indennizzo, una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo
con decorrenza dalla data di scadenza del termine del procedimento. Per quanto attiene alla tutela, nel
caso in cui anche il titolare del potere sostitutivo non emani il provvedimento nel termine, l’istante può
proporre ricorso avverso il silenzio, oppure chiedere un provvedimento ingiuntivo. Si è detto che il ritardo
nell’emanazione dell’atto amministrativo rileva anche sotto il profilo della responsabilità del dipendente.
L’art 2 stabilisce che la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di
valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile
del dirigente e del funzionario inadempiente. L’ordinamento prevede altresì la responsabilità civile a carico
dell’agente: il privato può chiedere il risarcimento dei danni conseguenti all’omissione o al ritardo nel
compimento di atti. A tal fine, l’interessato, quando siano decorsi 60 gg dalla data di presentazione
dell’istanza, deve notificare una diffida all’amministrazione e all’impiegato; decorsi inutilmente 30 gg dalla
diffida, egli può proporre l’azione volta a ottenere il risarcimento. Il termine di 30 gg coincide con quello
che risulta fissato dalla legge 241; la disciplina si integra con altre regole:
-gli enti pubblici nazionali stabiliscono secondo i propri ordinamenti, i termini entro i quali devono
concludersi i procedimenti di propria competenza.
-il termine stabilito con decreto o dagli enti non può essere superiore a 90 gg.
-ove sussistono “casi particolari” il termine massimo è fissato a 180 gg.
-i procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e quelli riguardanti l’immigrazione possono sforare.
-un termine specifico è dettato dall’art 21 nonies, in relazione all’annullamento d’ufficio, che può essere
posto in essere entro un termine ragionevole, comunque non superiore a 18 mesi dal momento
dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione. L’art 10 bis stabilisce che con riferimento ai
procedimenti ad istanza di parte, prima della formale adozione di un provvedimento negativo,
l’amministrazione comunica agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda: questa
comunicazione interrompe i termini che iniziano a decorrere nuovamente dalla data di presentazione delle
osservazioni. Tale disciplina non si applica alle procedure concorsuali. L’art 2 dispone inoltre che possono
essere sospesi per una sola volta e per un periodo non superiore a 30 gg, per l’acquisizione di informazioni,
stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente
acquisibili presso altre amministrazioni.
9.il responsabile del procedimento: il responsabile del procedimento è colui che svolge compiti sia in
relazione alla fase di avvio dell’azione amministrativa, che allo svolgimento del procedimento nel
complesso. L’art 4 stabilisce che le PA sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento, l’unità
organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché
dell’adozione del provvedimento finale. Dopodichè c’è l’individuazione all’interno di ogni unità, del
responsabile del procedimento. Ai fini dell’art 5, il dirigente di ciascuna unità provvede ad assegnare la
responsabilità dell’istruttoria, nonché dell’adozione del provvedimento finale. Inoltre, fino a quando non
venga effettuata l’assegnazione, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario
preposto alla unità organizzativa. Comma 3l’unità organizzativa competente, il domicilio digitale (è legato
alla digitalizzazione della PA) e nominativo del responsabile di procedimento sono comunicati ai soggetti
dell’art.7 (soggetti a cui deve essere comunicato l’avvio del procedimento, destinatari) e, a richiesta, a
chiunque vi abbia interesse.
Nell’oggetto della comunicazione dal 2020 è stato introdotto anche il domicilio digitale.
Funzioni del responsabile: guida del procedimento, coordinatore dell’istruttoria e organo di impulso. Il
responsabile rappresenta anche il punto di riferimento sia per i privati, sia per l’amministrazione
procedente e per gli organi di altre amministrazioni. Il responsabile può anche chiedere il rilascio di
dichiarazioni. Questo istituto, regolarizzazione delle domande dei privati è importante: l’amministrazione
può ammettere il cittadino a correggere gli errori materiali in cui sia incorso nella redazione di istanze,
nonché a completare la documentazione incompleta. Il responsabile ha compiti di impulso del
procedimento: indice la conferenza di servizi. Inoltre, ove non abbia la competenza ad emanare l’atto
finale, egli trasmette gli atti all’organo competente per l’adozione, altrimenti emana egli stesso tale
provvedimento. Ai sensi dell’art 10 bis, la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento prima della
formale adozione di un provvedimento negativo, va effettuata dal responsabile del procedimento. L’art 6
dice che “l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del
procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del
procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale. È evidente dunque che il
responsabile del procedimento è il soggetto dell’amministrazione che instaura il dialogo con i soggetti
interessati al procedimento tramite la comunicazione dell’avvio del procedimento, lo prosegue nella fase
della partecipazione e anche dopo l’emanazione del provvedimento finale. Occorre stabilire che cosa si
intenda per “unità organizzativa responsabile”: una nozione così generica, vuol consentire l’applicabilità
della norma a tutte le amministrazioni. Altro problema deriva dal fatto che l’art 4 dispone che le PA devono
individuare, per ogni tipo di procedimento, le unità organizzative responsabili dell’istruttoria nonché
dell’adozione del provvedimento finale. Si tratta cioè di capire se ci debba essere o meno identità tra unità
organizzative responsabili dell’istruttoria e unità che si occupano di emanare il provvedimento finale. Un
conto è l’individuazione delle unità organizzative responsabili dell’istruttori, altro è determinare l’organo
competente ad adottare il provvedimento: la competenza ad emanare l’atto finale è prevista in modo
vincolante dalla legge cui spetta stabilire gli organi aventi rilevanza esterna. Si deve allora concludere che il
responsabile del tipo di procedimento coincide con l’organo competente a emanare l’atto nei casi in cui
non si individua l’unità organizzativa da parte dell’amministrazione.
Diverso problema è capire se c’è la necessità di coincidenza tra responsabile del singolo procedimento e
organo competente a emanare il provvedimento finale. La risposta è negativa: l’art 6 dispone che il
responsabile del procedimento identificato adotti il provvedimento finale solo ove ne abbia la competenza.
L’individuazione del responsabile non comporta l’automatica attrazione in capo ad esso della responsabilità
civile, penale e disciplinare. Queste responsabilità rimangono soggette alle norme vigenti. Ove il
responsabile abbia correttamente agito, dovrebbe potersi individuare il soggetto che ha effettivamente
rallentato o bloccato il procedimento. L’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove
diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal
responsabile del procedimento, se non indicandone la motivazione del provvedimento finale. Se
l’istruttoria è corretta, il dirigente non dovrebbe discostarsene., altrimenti si avrebbe un provvedimento
emanato sulla base di un non corretto accertamento dei fatti. Si può discutere se una tale valorizzazione del
ruolo del responsabile del procedimento abbia ripercussioni sotto il profilo della sua responsabilità. Sembra
però più corretto rivalutare la circostanza che pur nel quadro di un rafforzamento della figura del
responsabile, chi decide e risponde è il dirigente.
Art 6: compiti del responsabile del procedimento: sono stabiliti dalla legge, dalla disposizione dell’art. 6.
Comma 1 Soccorso istruttorio = chiedere correzioni di dichiarazioni già rese, svolge ulteriori accertamenti
tecnici. Tutti gli aspetti relativi a documenti che possono essere completati o corretti perché l’istruttoria
possa continuare. Devono essere aspetti legati ai documenti che possono essere corretti.
La ratio è fare in modo che un procedimento possa concludersi nel modo migliore.
È ammesso in più ambiti.
Tutti gli aspetti relativi a dichiarazioni che possono essere controllati e corretti. Possono, inoltre, essere
fatte ispezioni e richiedere documenti. Tra i compiti: -Valuta l’istanza sotto i profili dell’ex art.2 = condizioni
di ammissibilità (così che il procedimento non inizi nemmeno se è inammissibile), i requisiti di
legittimazione (= il fatto di avere un interesse concreto, attuale) e di presupposti che siano rilevanti per
l’emanazione del provvedimento valuta tutti questi aspetti per iniziare il procedimento.
- Accerta d’ufficio i fatti = deve farlo senza istanza o domanda che provenga da altre parti. Deve accertare la
situazione di fatto = quella che la motivazione ci richiama.
-dirigere e indire la conferenza di servizi (art.14) se ne ha la competenza  è una riunione di persone
(asincrona) con dei termini di scadenza; quando ci siano più interessi pubblici collegati o anche un interesse
pubblico che riguarda più amministrazioni.
Il suo compito principale è la comunicazione dell’avvio del procedimento.
Può adottare, se ne ha competenza, il provvedimento finale; se non ha la competenza di farlo, allora dovrà
trasmettere gli atti all’organo competente ad adottare il provvedimento finale.
- colui che deve adottare il provvedimento finale può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria solo se
motiva le razioni (altrimenti non può discostarsi)
Organo d’impulso = perché l’istruttoria possa iniziare e svolgersi nei tempi richiesti
10.la comunicazione dell’avvio del procedimento: ART 7 l’avvio del procedimento deve essere
comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, a
quelli che per legge devono intervenire, e soggetti diversi dai diretti destinatari, che siano individuati o
facilmente individuabili (i quali possono subire un pregiudizio). I destinatari dell’atto sono soggetti nella cui
sfera giuridica è destinata a prodursi la vicenda giuridica: si tratta di titolari di interessi legittimi oppositivi o
pretesivi. I soggetti che per legge devono intervenire sono in linea di massima enti pubblici. soggetti
individuati o facilmente individuabili: si tratta di quei soggetti che sarebbero legittimati a impugnare il
provvedimento favorevole (cd controinteressati); essi sono portatori di un interesse legittimo.
Art 7 comma 2: Resta salva la facoltà dell’amministrazione di adottare provvedimenti cautelari. In questo
caso non deve, una fase come quella di avvio, essere omessa, ma per rispondere immediatamente, si
consente che prima della comunicazione di avvio si adottino misure cautelari. La comunicazione di avvio ha
un contenuto.
La comunicazione dell’avvio è un compito del responsabile del procedimento. Normalmente essa deve
essere fatta mediante comunicazione personale (notifica, raccomandata con avviso di ricevimento…); può
anche essere effettuata in modi diversi, stabiliti dall’amministrazione, quando per il numero dei destinatari
la comunicazione personale non sia possibile o risulti gravosa. La legge non stabilisce entro quale termine la
comunicazione deve essere effettuata (deve essere però effettuata entro un termine ragionevole).la
comunicazione deve contenere i seguenti elementi: ART 8: amministrazione competente, oggetto del
procedimento, ufficio e persona del responsabile del procedimento, la data entro la quale deve concludersi
il procedimento e i rimedi in caso di inerzia dell’amministrazione; nei procedimenti ad iniziativa di parte
anche la data di presentazione della relativa istanza e l’ufficio in cui si possono osservare gli atti. L’istituto
della comunicazione è strettamente collegato alla partecipazione al procedimento, nel senso che consente
agli interessati di essere posti a conoscenza della pendenza di un procedimento. Nella comunicazione deve
anche essere fatta menzione del diritto all’indennizzo. L’art 13 stabilisce che le disposizioni dall’art 7 al 12
non si applicano nei confronti della PA diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di
pianificazione e programmazione nonché ai procedimenti tributari. La giurisprudenza ha ritenuto che si
possa legittimamente derogare l’obbligo di comunicazione nel caso di procedimenti finalizzati
all’occupazione d’urgenza di aree destinata alla costruzione di opere pubbliche. L’art 7 al comma 2 si
occupa di provvedimenti cautelari e consente all’amministrazione la loro adozione anche prima della
effettuazione della comunicazione dell’avvio del procedimento. Questi provvedimenti sono posti a garanzia
della futura determinazione contenuta nel provvedimento finale. Esistono poi provvedimenti “riservati”. La
giurisprudenza ha interpretato in senso restrittivo la norma che configura l’obbligo di comunicare l’avvio
del procedimento: essa ha escluso la sussistenza dell’obbligo nelle ipotesi di attività vincolata. La
partecipazione però può essere utile anche in caso di attività vincolata.
L’omissione della comunicazione di avvio del procedimento configura una ipotesi di illegittimità che può
essere fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista.
L’art 21 sancisce che il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata
comunicazione di avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
11.l’istruttoria procedimentale: l’istruttoria è la fase del procedimento che si occupa di accertare fatti (sono
eventi, situazioni) e presupposti del provvedimento e acquisizione e valutazione degli interessi (aspirazioni
a beni della vita) implicati dall’esercizio del potere. Essa è condotta dal responsabile del procedimento (l’art
6 infatti riconosce tra gli obblighi del responsabile anche quello di curare l’adeguato svolgimento
dell’istruttoria). La decisione amministrativa finale deve essere preceduta da una conoscenza della realtà
esterna, che avviene appunto con l’istruttoria.
l’attività conoscitiva, volta ad acquisire la conoscenza dei fatti, si svolge con operazioni i cui risultati
vengono attestati da dichiarazioni di scienza. Gli interessi invece vengono introdotti nel procedimento
attraverso l’iniziativa dell’amministrazione procedente.
11.1 l’oggetto dell’attività istruttoria: nel nostro ordinamento vige il principio inquisitorio:
l’amministrazione non è vincolata dalle allegazioni delle parti, quindi può svolgere legittimamente la
propria attività conoscitiva a patto che l’intera attività rispetti il principio di non aggravamento del
procedimento. il principio inquisitorio pone il problema dell’oggetto dell’attività istruttoria e dunque,
nell’individuazione della porzione di realtà. Il legislatore, per risolvere il problema, individua situazioni di
fatto che costituiscono i presupposti dell’agire attraverso modalità diverse: talora definendo con precisione
i fatti stessi, in altre ipotesi utilizzando categorie più generiche o indicando il solo interesse pubblico.
Qualora la norma identifica esattamente la situazione di fatto, l’amministrazione dovrà accertare la
corrispondenza tra situazione di fatto e indicazione normativa. Qualora invece la norma indichi solo
l’interesse pubblico da soddisfare, l’istruttoria dovrà rivolgersi alla individuazione di una realtà di fatto che
appaia idonea a configurare l’esistenza dell’interesse pubblico. L’attività di selezione e evidenziazione dei
fatti e degli interessi non è priva di limiti e, in quanto tale, deve essere adeguatamente motivata (essa deve
rispettare ad esempio il principio di non aggravamento del procedimento).
11.2 le modalità di acquisizione degli interessi e la conferenza di servizi istruttoria: vedi paragrafo su
conferenza decisoria.
11.3. la partecipazione procedimentale: uno degli strumenti previsti dalla legge 241 per introdurre interessi
è la partecipazione. Gli artt 7 “comunicazione di avvio del procedimento” e 9 “intervento nel
procedimento” specificano che possono intervenire nel procedimento i soggetti nei confronti dei quali il
provvedimento finale deve produrre effetti, i soggetti che per legge devono intervenire e i soggetti che
possono subire un pregiudizio dal provvedimento (individuati o facilmente individuabili). Possono anche
intervenire i portatori di interessi pubblici e privati e i portatori di interessi diffusi (art 9).
La differenza principale tra le categorie indicate dall’art 7 e 9 riguarda la modalità in cui i soggetti
acquisiscono la conoscenza della pendenza di un procedimento nel quale intervenire: quelli dell’art 7,
mediante la comunicazione dell’avvio del procedimento; quelli dell’art 9 mediante vie diverse. Inoltre, i
soggetti dell’art 7 sono titolari di un interesse legittimo, quelli dell’art 9 hanno un interesse differenziato
ma non qualificato. L’art 9 inoltre non ritiene necessario che i soggetti che intervengono siano individuati o
facilmente individuabili. L’art 7 prevede un dovere dell’amministrazione di comunicare l’avvio del
procedimento; mentre la partecipazione disciplinata dall’art 9 è indipendente dal ricevimento dell’avviso
del procedimento. gli statuti degli enti locali possono ampliare la cerchia di soggetti che possono
intervenire. La disciplina degli enti locali prevede numerosi strumenti e istituti di partecipazione ulteriori:
consultazioni, istanze, referendum, petizioni, ecc. nell’analisi del tema della partecipazione, la dottrina ha
usato la nozione di “parti del procedimento”. si sono così individuate parti necessarie (previste dall’art 7) e
parti eventuali (art 9).
14. l’ambito di applicazione della disciplina sulla partecipazione procedimentale: art 13 “Ambito di
applicazione delle norme sulla partecipazione”: “Le disposizioni contenute nel presente capo (artt dal 7 al
12) non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti
normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione e procedimenti tributari, per i
quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione”. In ordine agli atti amministrativi
generali, i quali si rivolgono a una pluralità di soggetti, essi non vanno a pregiudicare qualcuno in
particolare. L’unica categoria di procedimenti in relazione ai quali l’esclusione della partecipazione non crea
particolari problemi è costituita da quelli preordinati all’emanazione di atti normativi.
11.5 aspetti strutturali e funzionali della partecipazione: si tratta essenzialmente di una partecipazione
documentale (ma non è escluso che le norme secondarie possano introdurre forme di istruttoria pubblica
orale. Parte della dottrina ha ritenuto che le manifestazioni consistano in uno strumento di difesa a favore
del privato, da altri si è parlato di collaborazioni. Si deve però ritenere che anche la partecipazione sia
strumentale alla più congrua decisione finale in vista dell’interesse pubblico: essa ha cioè funzione
collaborativa. Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento, prima della formale
adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano
all’accoglimento della domanda. Tra i motivi che ostano non possono essere usati i ritardi attribuibili
all’amministrazione. Si tratta di una sorta di “seconda comunicazione”: entro il termine di 10 gg dal
ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni.
Tornando all’istituto in generale, i fatti rappresentati dai soggetti che intervengono non possono essere
accertati senza controllo: l’autore della rappresentazione infatti potrebbe avere maliziosamente alterato la
realtà. La PA in ogni caso dovrà verificare la pertinenza delle memorie all’oggetto del procedimento,
accertare i fatti introdotti nel procedimento dai privati. Anche in ordine ai provvedimenti vincolati la
partecipazione può essere utile: in questo caso essa sarà usata dalla PA per meglio individuare la
sussistenza dei fatti e presupposti che devono comunque essere accertati o valutati al fine di provvedere.
Mediante la partecipazione è possibile introdurre ipotesi di soluzione, le quali vanno ad arricchire il quadro
delle possibilità all’interno del quale l’amministrazione opererà la scelta finale.
11.6 partecipazione al procedimento, interessi procedimentali e loro tutela: è attribuita al cittadino una
serie di facoltà che possono essere esercitate già nel corso del procedimento. si fa riferimento alla nozione
di interessi procedimentali, interessi strumentali ad altre posizioni soggettive, che attengono a fatti
procedimentali. È importante capire come vengono tutelati tali interessi sia nel corso del procedimento, sia
al termine dello stesso, in quanto la loro lesione si può tradurre nella illegittimità del provvedimento finale.
Nell’ipotesi della lesione dell’interesse a partecipare, l’annullamento del provvedimento finale potrebbe poi
rappresentare una reazione successiva. Per quanto riguarda l’omissione della comunicazione, l’art 8
prevede che la stessa possa essere fatta valere dal solo soggetto nel cui interesse la comunicazione è posta.
Non si può però ritenere privo di conseguenze il comportamento dell’amministrazione lesivo di interessi
procedimentali. La soluzione forse più apprezzabile, ma al momento non recepita dal legislatore, sarebbe
quella di prevedere per gli interessi procedimentali forme di tutela immediate, non per forza giurisdizionali.
La legge in ogni caso si è mossa nel senso della limitazione dell’incidenza della violazione delle norme
procedimentali, stabilendo all’art 21 octies che non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento qualora, per la natura del provvedimento, sia palese che il suo contenuto non
avrebbe potuto essere diverso da quello effettivamente adottato. Il provvedimento poi non è comunque
annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in
giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato.
11.7 il diritto di accesso ai documenti amministrativi: la partecipazione offre la possibilità ai soggetti
legittimati di “presentare memorie scritte e documenti” nonché “di prendere visione degli atti del
procedimento” (art 10). L’accesso ai documenti è una delle facoltà dei partecipanti. La partecipazione
svolge e realizza due funzioni:
- Funzione difensivaOttica di difesa della mia posizione;
- Funzione collaborativa la partecipazione però a volte può avere un’utilità per la PA, che in alcuni
frangenti, potrebbe anche essere in difetto di conoscenza della situazione di fatto e la partecipazione del
soggetto può colmare questa cosa.
È anche vero però che il diritto di accesso può essere esercitato anche a procedimento concluso, quindi non
è unicamente usato solo per prendere conoscenza di documenti amministrativi rispetto alla partecipazione.
Si tratta di un istituto che si collega al principio di trasparenza. Si può parlare di accesso
endoprocedimentale, esercitato all’interno del procedimento, e di accesso esoprocedimentale, relativo agli
atti di un procedimento concluso. Accesso collegato alla partecipazione: diritto di accesso per chi può
partecipare. L’art 22 indica proprio i soggetti legittimati, ossia “tutti i soggetti privati, compresi quelli
portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente
ad una situazione giuridica tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. Ai sensi dell’art
24 “Esclusione dal diritto di accesso”, non sono ammissibili istanze di accesso preordinate a un controllo
generalizzato dell’operato delle PA. Il testo unico inoltre si occupa dell’accesso a documenti di enti locali: è
previsto un obbligo per tali enti di dettare norme per assicurare ai cittadini l’informazione sullo stato degli
atti, progetti e provvedimenti che li riguardano. Le autorità pubbliche sono tenute a rendere disponibili le
informazioni relative all’ambiente a chiunque ne faccia richiesta. Il diritto di accesso inoltre si esercita nei
confronti delle PA, aziende autonome e speciali, enti pubblici e gestori di pubblici servizi, nonché dei privati
limitatamente alla loro attività di pubblico interesse. l’art 22 cita anche i controinteressati (soggetti che
vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza) e interessati (soggetti privati che abbiano un
interesse diretto, concreto e attuale collegato al documento per cui si chiede l’accesso).
Il diritto di accesso riguarda i documenti amministrativi, di cui l’art 22 fornisce una definizione: è
considerata tale ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, o di qualunque altra specie del
contenuto di atti, detenuti da una PA o concernenti attività di pubblico interesse. La richiesta di accesso
deve essere motivata, indicare gli estremi del documento. Il diritto è esercitabile fino a quando
l’amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti ai quali si chiede di accedere. Vi è la possibilità di
esercitare l’accesso telematico. Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l’esistenza di
controinteressati, il diritto di accesso può essere esercitato in via informale mediante richiesta, anche
verbale, all’ufficio dell’amministrazione. Ove si riscontri la presenza di controinteressati, o ancora,
sussistono dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità, l’amministrazione invita
l’interessato a presentare richiesta d’accesso formale. A seguito della domanda di accesso,
l’amministrazione può: invitare il richiedente a presentare istanza formale; rifiutare l’accesso(es in caso di
carenza di legittimazione del richiedente); differire l’accesso; limitare la portata dell’accesso
(consentendolo solo ad alcune parti del documento); accogliere l’istanza. Mentre per il rifiuto, il
differimento e la limitazione devono essere motivati, nulla viene detto per l’accoglimento. Con riferimento
all’ipotesi in cui l’amministrazione non si pronunci sulla richiesta di accesso, l’art 25 dispone che trascorsi
inutilmente 30 gg dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di accoglimento, il diritto di accesso si
esercita mediante estrazione e copia del documento. Non tutti i documenti possono essere osservati dai
cittadini. L’art 24 sancisce che il diritto di accesso non possa essere esercitato per documenti che
riguardano il segreto di stato, procedimenti tributari (vale la regola del criterio di specialità. Non si
applicano le norme della 241 e restano ferme le norme speciali previste per i procedimenti tributari),Tutti i
documenti della PA adottati per adottare atti normativi, amministrativi, generali, di pianificazione e
partecipazione, per i quali restano ferme le norme specifiche; Nei procedimenti selettivi per i documenti
amministrativi che contengono informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi. Si scrive nei bandi
di concorsi pubblici; Le singole pubbliche amministrazioni individuano delle categorie di documenti che
esse stesse formano o di cui hanno la disponibilità sottratti all’accesso, ma devono rientrare nelle previsioni
del c.1. Resta fermo che il governo (=i vari ministeri), con decreti, può prevedere dei casi ulteriori di
sottrazione:
- Altra categoria è la previsione della esclusione dell’accesso quando, nel caso in cui si tratta di
documenti pubblicati, ne derivi un pericolo per la sicurezza e la difesa della nazione.
Per ragioni di correttezza e continuità di relazioni internazionali.
- Quando l’accesso potrebbe pregiudicare aspetti legati alla politica monetaria e valutaria.
- Quando si tratta di documenti che riguardano la tutela di alcuni interessi particolari: reprimere
criminalità, ordine pubblico, attività di polizia giudiziaria, indagini in corso, ecc.
- Tutela della privacy di persone fisiche ma anche giuridiche, gruppi, imprese e associazioni. Quando
ci siano interessi sanitari, epistolari, professionali, finanziari, industriali e commerciali.
- Documenti inerenti alla contrattazione collettiva nazionale di lavoro.
L’art 24 al comma 6 rinvia ad un regolamento governativo di delegificazione per l’individuazione dei casi di
esclusione dell’accesso per esigenze di tutela della sicurezza.
Come detto i controinteressati sono soggetti che potrebbero vedere compromesso il loro diritto alla
riservatezza. La riservatezza è da tempo presidiata tramite l’istituzione del garante della privacy. 2 diritti
importanti non trovano applicazione nel settore pubblico: diritto alla portabilità dei dati (solo quelli trattati
con il consenso dell’interessato) e del diritto all’oblio. La disciplina ha un forte impatto non solo sui privati,
ma anche sulle amministrazioni. Si disciplinano le figure del titolare del trattamento (determina finalità e
mezzi del trattamento), responsabile del trattamento (colui che tratta i dati per conto del titolare);
obbligatoriamente vi è la figura del responsabile della protezione dei dati, soggetto chiamato a fornire info
a titolare e dipendenti, verificare la tenuta dei registri, rendere pareri, segnalare fenomeni di data breach
(violazione regole sul trattamento). il trattamento deve essere sempre orientato alla tutela del titolare dei
dati. Per le attività rischiose è importante la risk evaluation: un tipo di trattamento può portare rischi al
titolare dei dati in termini di limitazioni dei diritti di libertà (es in caso di profilazione); prima di effettuare il
trattamento occorre fare una valutazione di impatto dei trattamenti dei dati. Vengono riconosciute anche
sanzioni amministrative (risarcimento per danno del trattamento). Per garantire un monitoraggio da parte
del garante, i soggetti pubblici titolari del trattamento devono tenere un registro delle attività di
trattamento e delle categorie di attività. Il titolare dei dati ovviamente gode di un diritto di accesso ai dati
personali che lo riguardano.
Tornando alla legge, è molto importante la disciplina posta dalla legge breve, posto che, come visto,
l’accesso ai documenti la cui conoscenza potrebbe confliggere con le esigenze di riservatezza di dati
personali di soggetti terzi, il codice della privacy fa rinvio ai principi contenuti in tale legge, richiedendo
all’amministrazione di effettuare una “ponderazione tra interessi contrapposti”. La legge 241 dispone
comunque che ai richiedenti debba essere garantito l’accesso ai documenti la cui conoscenza sia necessaria
per curare o difendere i propri interessi giuridici. L’art 24 a comma 7 prevede poi che nel caso di documenti
contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito solo se strettamente indispensabile. Ove poi si
tratti di documenti contenenti dati supersensibili l’accesso è consentito solo se la situazione che si intende
tutelare con la richiesta di accesso è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un
diritto della personalità. La legge 241 prevede diversi tipi di accesso:
-accesso esoprocedimentale volto alla conoscenza dei soli dati del richiedente
-accesso esoprocedimentale volto alla conoscenza di dati personali di soggetti terzi rispetto all’istante
-accesso esoprocedimentale volto alla conoscenza di dati sensibili e giudiziari
-accesso esoprocedimentale volto alla conoscenza di dati supersensibili
-accesso endoprocedimentale.
A questo elenco deve aggiungersi l’accesso civico. L’art 25 (con riferimento ai casi di rifiuto) consente al
richiedente di chiedere di riesaminare la determinazione negativa nel termine di 30 gg al difensore civico
(se agisce contro enti locali) o, se agisce contro amministrazioni statali, alla commissione per l’accesso ai
documenti amministrativi. Scaduto inutilmente tale termine, il ricorso si intende respinto. Ove invece tali
organi ritengano illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano
all’autorità disponente, e, ove questa non emani il provvedimento confermativo motivato entro 30 gg dal
ricevimento della comunicazione, l’accesso è consentito. La disciplina sulla privacy affida invece la tutela del
diritto di accesso al Garante del trattamento dei dati personali. Nella direzione dell’aumento della
trasparenza e della piena garanzia della libertà di accesso, si muove il d.lgs 33/2013, che introduce nel
nostro ordinamento la nozione di accesso civico. Il campo di applicazione dell’istituto è duplice. In primo
luogo esso coincide con l’area dei dati, info e documenti per cui sussiste un obbligo di pubblicazione. In
secondo luogo, è possibile prendere visione anche di documenti dati che vengono resi pubblici ma senza
obbligo di pubblicazione. In entrambe le ipotesi, l’istanza non richiede motivazione; può essere trasmessa
per via telematica in alternativa all’ufficio che detiene i dati, o altro ufficio. Il rilascio di dati e documenti in
qualsiasi formato è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto dall’amministrazione per
la riproduzione su supporti materiali. Il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento
espresso e motivati nel termine di 30 gg dalla presentazione dell’istanza con la comunicazione al
richiedente e agli eventuali controinteressati. In caso di accoglimento, l’amministrazione provvede a
trasmettere al richiedente i documenti richiesti, o pubblicare tali dati e documenti tempestivamente sul
sito. Nei casi di diniego totale o parziale dell’accesso o di mancata risposta entro il termine di legge, la
normativa prevede rimedi amministrativi: il richiedente ha la possibilità di presentare richiesta di riesame al
responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, che decide con provvedimento
motivato, entro 20 gg. Qualora si tratti di atti delle amministrazioni delle regioni o degli enti locali, il
richiedente può altresì presentare ricorso al difensore civico competente. L’inadempimento degli obblighi
di pubblicazione o il ritardo possono costituire danno all’immagine. I principali problemi applicativi si
pongono per l’accesso che concerne dati ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione. Per essi
possono sussistere controinteressati che devono presentare una motivata opposizione alla richiesta di
accesso. L’ordinamento individua limiti all’accesso civico. L’accesso è rifiutato se il diniego è necessario per
evitare un pregiudizio concreto alla tutela di taluni interessi pubblici (inerenti alla sicurezza pubblica) o
privati (dati personali, libertà). Il diritto è poi escluso IN ASSOLUTO nei casi di segreti di Stato, negli altri casi
di divieti di accesso previsti dalla legge, tra questi casi sono previsti quelli dell’art 24 detti
precedentemente. Poiché la legge non dice niente per il caso dell’inerzia, deve ritenersi che valga la regola
del silenzio inadempimento. Il rifiuto, l’inadempimento all’accesso devono essere motivati con riferimento
ai casi e limiti appena esaminati. Assai delicati sono i problemi di coordinamento tra l’accesso “classico” e
l’accesso civico. I 2 istituti possono interessare i medesimi documenti: mentre il primo spetta solo a chi
abbia un interesse specifico, il secondo è un vero e proprio diritto di conoscere riconosciuto a tutti. Solo
l’accesso civico costituisce una forma diffusa di controllo. I casi che giustificano un rifiuto dell’accesso civico
sono più ampi rispetto a quelli che consentono di rigettare la richiesta di accesso “classico”.
Presumibilmente l’interessato opterà per l’accesso civico, visto che si tratta di un diritto riconosciuto a
chiunque e che non richiede istanza motivata.
11.8 procedimento, atti dichiarativi e valutazioni: affinché i fati diventino rilevanti nel procedimento, essi
devono essere accertati dall’amministrazione procedente o da altra amministrazione. L’amministrazione
pone in essere atti dichiarativi (sono costituiti da dichiarazioni di scienza). Gli accertamenti in particolare
sono dichiarazioni relative a fatti semplici costatati. Tali atti dichiarativi hanno la funzione di attribuire
certezze legali che valgono per tutti (si parla di atti di certazione). Al fine di operare la qualificazione di un
fatto, spesso non è sufficiente effettuare una semplice attività di apprendimento, ma è richiesta un’attività
di valutazione. Le valutazioni tecniche a differenza degli accertamenti, riguardano fatti complessi. Tali
valutazioni sono frutto di “discrezionalità tecnica”.
Dal punto di vista della dinamica giuridica, gli atti in questione producono solo effetti endoprocedimentali,
che attengono cioè al procedere dell’azione verso la sua conclusione. Sotto il profilo della disciplina
procedimentale, l’art 17 si riferisce alle valutazioni tecniche. Qui è abbastanza simile alla struttura dell’art
16 sui pareri. La differenza sostanziale è che in questo caso le valutazioni VANNO CHIESTE. Entrano in gioco
soggetti sostituti Se è previsto che per adottare un provvedimento serve una valutazione tecnica, e anche
qui gli organi o gli enti a cui è stata chiesta non l’abbiano resa o non abbiano rappresentato che ci sono
esigenze istruttorie nei termini che le singole disposizioni possono aver previsto, il responsabile del
procedimento deve chiedere le valutazioni tecniche ad latri organi o enti che possiedano qualificazione e
capacità tecnica equipollenti o ad istituti universitari.
Per le valutazioni ci sono anche enti specifici, al di là degli organi.
Se si tratta di procedimenti preordinati alla tutela di particolari interessi (sensibili), non si applicano le
disposizioni del primo comma.
Nel caso in cui l’ente o l’organo abbia rappresentato esigenze istruttorie, si applica il comma 4 dell’art 16.
La norma si occupa del caso in cui esse siano richieste ad enti o organi appositi e questi non provvedano
entro 90 giorni dal ricevimento della richiesta. In questa ipotesi la legge prevede che il responsabile del
procedimento deve chiedere le suddette valutazioni ad altri organi dell’amministrazione pubblica o altri
enti pubblici dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollente, o a istituti universitari. Questa
disciplina non si applica in caso di valutazioni che devono essere prodotte da amministrazioni preposte alla
tutela ambientale, paesaggistico (interessi sensibili). Il comma 3 dell’art 17 sancisce che i precedenti commi
si applicano anche nei casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi o pareri (come previsto dall’art 16). La
scelta dell’art 17 è chiara nell’imporre di procedere in ogni caso alla valutazione tecnica, senza introdurre
meccanismi che conducano comunque alla conclusione del procedimento. ciò segna una differenza rispetto
a quanto previsto per il caso di pareri, in ordine ai quali, in particolari circostanze è consentito all’autorità
procedente di proseguire indipendentemente dalla loro acquisizione. Nell’ambito della dinamica giuridica
norma-potere-effetto si configura in tal modo una sorta di riserva di valutazione in capo ad alcuni organi ed
enti: la valutazione non è sostituibile né dalla parte privata, né dall’amministrazione decidente. L’art 2 al
comma 4 conferma la sussistenza della riserva.
11.9 le attività istruttorie dirette all’accertamento dei fatti: come visto, l’istruttoria è governata dal
responsabile del procedimento, che è chiamato ad accertare i fatti. Spesso il responsabile usa uffici o servizi
tecnici di altre amministrazioni. L’ordinamento consente in alcuni casi, che l’attività istruttoria sia svolta da
privati. Controversa è la soluzione al problema della natura dei poteri istruttori: si tratta di capire se essi
siano necessariamente implicati dalla titolarità del potere di provvedere. Deve comunque escludersi che
l’amministrazione disponga di poteri “impliciti” (ossia non espressi), che consentono di indagare la realtà
anche incidendo sulla sfera giuridica dei terzi. In presenza di tale incidenza, vige sempre il principio di
tipicità e nominatività dei poteri amministrativi. Quindi i poteri il cui esercizio potrebbe comportare una
incisione nella sfera giuridica del terzo debbono essere espressamente conferiti dalla legge. Per acquisire
conoscenza della realtà e interessi, l’amministrazione usa diversi strumenti. alcuni atti istruttori sono
previsti come obbligatori dalla legge. L’amministrazione può però porre in essere ulteriori atti
indipendentemente dall’attribuzione di specifici poteri da parte dell’ordinamento.
Il principio inquisitorio è applicabile anche alla scelta dei mezzi istruttori (perizie, ispezioni, ecc) che
l’amministrazione può usare per acquisire la conoscenza di fatti rilevanti ai fini della determinazione finale.
L’ampia possibilità di decisione in ordine alla natura dei mezzi istruttori incontra il limite del non
aggravamento del procedimento. le risultanze che emergono dai mezzi istruttori sono di norma
liberamente valutate dall’amministrazione. Ciò trova conferma nelle disposizioni che consentono alla stessa
di verificare la veridicità delle dichiarazioni presentate dalla parte (art 21). Eccezioni sono costituite dalle
certificazioni, che creano certezze erga omnes. I fatti semplici sono spesso rappresentati nel procedimento
mediante le seguenti attività delle parti: -esibizione di documenti di identità; -acquisizione diretta di
documenti e informazioni: le PA e gestori di pubblici servizi devono acquisire le informazioni oggetto delle
dichiarazioni sostitutive e tutti i dati in possesso delle PA (l’art 2 dice che i termini procedimentali possono
essere sospesi per una sola volta per l’acquisizione di info relative a fatti non attestati in documenti già in
possesso della PA).; -produzione di documenti o autocertificazioni (i certificati relativi a stati, qualità
personali o fatti non possono essere usati nei rapporti con le PA: il cittadino usa infatti dichiarazioni
sostitutive). Va ricordato che l’amministrazione non può fare richiesta di informazioni o documenti ulteriori
(può chiedere solo documenti in caso di mancata corrispondenza del contenuto dell’istanza). Tra i
procedimenti volti ad accertare i fatti si ricordano le inchieste e le ispezioni: esse sono destinate a
raccogliere informazioni necessarie per provvedere e danno luogo ad atti di accertamento. L’inchiesta
amministrativa mira ad acquisizione di scienza relativa a un evento straordinario che non può essere
conosciuto usando la normale attività ispettiva. L’ispezione è un insieme di atti, operazioni mirati ad
acquisire scienza che ha ad oggetto situazioni o comportamenti e che avviene in un luogo esterno rispetto
alla sede dell’amministrazione.
11.10. la fase consultiva: una volta acquisiti tutti gli interessi coinvolti nella scelta finale e verificati i fatti
rilevanti, l’amministrazione deve procedere a una valutazione del materiale istruttorio. In alcune ipotesi
questa valutazione viene effettuata mediante atti emanati da appositi uffici o organi (di norma collegiali).
Gli atti mediante i quali viene effettuata questa attività sono i pareri. I pareri sono diversi da “pareri-note”,
che hanno la funzione di rappresentare il punto di vista dell’amministrazione che li emana. Solo il parere è
espressione della funzione consultiva. Inoltre, non devono essere conclusi con i pareri gli atti resi da
consulenti o esperti privati, i quali non svolgono funzioni di amministrazione consultiva. I pareri si
distinguono come segue:
-pareri obbligatori: se la loro acquisizione è prescritta dalla legge.
-pareri facoltativi: essi non sono previsti dalla legge; l’amministrazione può di propria iniziativa richiederli, a
patto che questo non comporti un ingiustificato aggravamento del procedimento.
-pareri conformi: pareri che lasciano all’amministrazione attiva la possibilità di decidere se provvedere o
meno (se provvede, non può disattenderli).
-pareri semivincolanti: possono essere disattesi solo mediante l’adozione del provvedimento, da parte di un
organo diverso da quello che di norma dovrebbe emanarlo.
-pareri vincolanti: pareri obbligatori che non possono essere disattesi dall’amministrazione, salvo che essa
non li ritenga illegittimi.
Il parere va ad arricchire il quadro istruttorio: il subprocedimento consultivi inizia con la richiesta di pareri,
prosegue con lo studio del problema, discussione, e si conclude con la comunicazione all’autorità
richiedente.
Il procedimento consultivo è disciplinato dall’art 16 (attività consultiva): il parere obbligatorio deve essere
reso entro 20 gg. In caso di pareri facoltativi, gli organi devono comunicare alle amministrazioni richiedenti
il termine entro il quale il parere sarà reso, comunque non superiore a 20 giorni dal ricevimento della
richiesta. La disciplina comunque distingue a seconda che si tratti di parere obbligatorio o facoltativo.
Decorso il termine previsto senza che sia stato comunicato quello obbligatorio, il termine non decorre di
nuovo per intero, ma vengono sacrificati 5 giorni sull’altare della semplificazione. Se il parere richiesto era
facoltativo, l’amministrazione richiedente ha il dovere di procedere indipendentemente dall’espressione
del parere.
In ogni caso, salvo il caso di omessa richiesta del parere, il responsabile del procedimento non può essere
chiamato a rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri. Questa
disciplina non si applica nel caso di interessi sensibili.
Pareri resi dal consiglio di Stato: sono effettuati dagli organi di governo che esercitano le funzioni di
indirizzo politico-amministrativo.
Non è sempre facile distinguere tra pareri, valutazioni tecniche e nullaosta. Dal punto di vista teorico:
pareri: espressione della funzione consultiva; valutazioni tecniche: attengono a uno o più presupposti
dell’agire che debbono essere valutati nel corso dell’istruttoria; nullaosta: atto di amministrazione attiva
che viene emanato in vista di un interesse differente da quello curato dall’amministrazione procedente.
12. la fase decisoria: rinvio (art 17 bis: alla prof questa disposizione non piace tanto). Il procedimento può
chiudersi anche con un silenzio. In ogni caso l’amministrazione procedente quando deve acquisire intese,
concerti, nullaosta di altri PA, il procedimento deve seguire regole precise. L’ordinamento prevede al
riguardo 2 istituti: quello del silenzio assenso e quello della conferenza di servizi decisoria obbligatoria. L’art
17 bis introduce il meccanismo del silenzio assenso endoprocedimentale: esso consente
all’amministrazione endoprocedimentale, in caso di inerzia del soggetto che deve esprimere l’assenso, di
procedere verso la conclusione del procedimento. nelle ipotesi in cui, nella fase decisoria, sia prevista
l’acquisizione di assensi, nullaosta, le amministrazioni li comunicano entro 30 gg dal ricevimento dello
schema di provvedimento. Decorso il termine senza che sia stato comunicato l’assenso, lo stesso si intende
acquisito. Il termine è interrotto qualora siano rappresentate esigenze istruttorie. L’interruzione opera
anche in caso di richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale. Ove sia espresso un dissenso
e siano coinvolte amministrazioni statali, la norma introduce un altro strumento per superare l’ostacolo: in
caso di mancato accordo tra le amministrazioni statali coinvolte, il presidente del consiglio dei ministri
decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento.
Il silenzio assenso si forma anche nelle ipotesi in cui sia prevista l’acquisizione di assensi, concerti o
nullaosta di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili. Il termine entro il quale le
amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso è di 90 gg dal ricevimento della richiesta da
parte dell’amministrazione procedente. Trascorsi questi giorni senza comunicazione dell’assenso, lo si
intende acquisito.
Diverso regime degli interessi sensibili: ove essi siano curati da amministrazioni chiamate a rendere pareri o
esprimere valutazioni tecniche, a fronte dell’inerzia dell’amministrazione il procedimento non può
comunque avanzare. Viceversa, nei casi in cui le amministrazioni chiamate a tutelare quegli interessi
debbano partecipare al procedimento rilasciando assensi, concerti, l’inerzia protratta per 90 gg equivale
all’acquisizione dell’atto di assenso.
13. la fase integrativa dell’efficacia: la produzione dell’efficacia (cioè attitudine a produrre vicende
giuridiche e a qualificare situazioni e rapporti) è spesso subordinata al compimento di determinate
operazioni, al verificarsi di certi fatti. Il provvedimento può dunque essere perfetto (completo di tutti gli
elementi prescritti), ma non ancora efficace. Secondo l’art 21 quater, i provvedimenti amministrativi
efficaci sono eseguiti immediatamente. L’efficacia (esecuzione) del provvedimento può essere sospesa, per
gravi ragioni e per il tempo necessario, dallo stesso organo che l’ha emanata o da altro organo previsto
dalla legge. Il termine della sospensione può essere prorogato o differito per una sola volta. L’efficacia va
distinta dalla esecutorietà (attitudine dell’atto a essere portato a esecuzione dall’amministrazione anche
coattivamente). Ancora, diversa dall’efficacia è la validità, che dipende dalla conformità al paradigma
normativo dell’atto. Il provvedimento invalido può spiegare effetti in quanto: sul piano positivo, è la
disciplina sul processo amministrativo che, chiarendo che il ricorso non ha effetto sospensivo dell’efficacia
del provvedimento invalido, mostra che i 2 concetti sono disgiunti; in generale, tutti gli atti pubblici
producono effetti anche se invalidi, a conferma del fatto che per l’efficacia si richiede qualcosa di diverso
rispetto alla classica legittimità.
Operazioni di partecipazione: esse condizionano l’efficacia degli atti recettizi (che diventano efficaci solo nel
momento in cui pervengono nella sfera di conoscibilità del destinatario). Sono qualificati così gli atti
normativi. La legge, ai sensi dell’art 21 bis “Efficacia del provvedimento limitativo della sfera giuridica dei
privati”, attribuisce natura recettizia ai provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati. Si dispone
che tali atti acquistano efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione personale. I
provvedimenti ampliativi si ritiene producano effetti a prescindere dalla comunicazione, fatte salve le
specifiche disposizioni di legge.
Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati può contenere una motivata clausola di
immediata efficacia. Questa regola però non vale per i provvedimenti a carattere sanzionatorio. I
provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere cautelare ed urgente sono
immediatamente efficaci.
I vizi o le irregolarità delle operazioni di partecipazione non si trasmettono all’atto: esso però non produrrà i
suoi effetti, salva la possibilità di rinnovare la fase di comunicazione. Se l’efficacia risulta sospesa in attesa
dell’esito del controllo, si versa nell’ipotesi di controllo preventivo. Il controllo può anche svolgersi dopo la
produzione degli effetti dell’atto controllato: in tal caso si parla di controllo successivo, il quale non
impedisce l’efficacia del provvedimento dal momento della sua emanazione. Il controllo dà luogo
normalmente a un subprocedimento. Occorre anche ricordare, per completezza, altre misure di
partecipazione: esse sono previste non solo con riferimento agli atti limitativi della sfera giuridica dei privati
di cui all’art 21 bis: per gli altri provvedimenti, le misure di partecipazione svolgono una differente funzione,
consentendo al privato di avere legale conoscenza dell’atto ai fini della sua impugnazione, facendo dunque
decorrere i relativi termini. I più comuni mezzi di partecipazione sono: la pubblicazione, la pubblicità, la
comunicazione individuale, la convocazione. Talune di queste operazioni sono effettuate secondo
procedure formali ad opera di particolari soggetti: si tratta delle notificazioni (caratterizzate
dall’interposizione, tra autore e destinatario dell’atto, di un soggetto terzo che documenta il ricevimento
dell’atto. Le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni sono curate dal responsabile del
procedimento. l’art 3 stabilisce l’obbligo per l’amministrazione di indicare in ogni atto notificato al
destinatario il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere. La violazione di tale art, comporta una
irregolarità (insuscettibile di determinare l’illegittimità dell’atto. Tale violazione consente l’applicazione
dell’errore scusabile.
Art.21 ter ESECUTORIETÀ
Comma 1 il provvedimento amministrativo può chiedere a un soggetto di adempiere, se questo non
avviene c’è l’intervento dell’autorità. L’amministrazione coattivamente impone l’adempimento.
Il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità dell’esecuzione da parte del soggetto
obbligato.
Comma 2Se le obbligazioni hanno ad oggetto somme di denaro lo Stato ha delle vie per ottenere il
pagamento (compensazione o di fronte a un giudice).
14. la semplificazione procedimentale: l’esigenza di semplificare è sentita anche e soprattutto in materia
procedimentale. L’art 20, consente di affermare che la semplificazione comporta la riduzione delle fasi
procedimentali, adeguamento alle nuove tecnologie, accorpamento e regolamentazione uniforme dei
procedimenti che attengono alle stesse attività. la legge 241, agli artt 14 e seguenti, definisce come istituti
di semplificazione la conferenza di servizi, gli accordi tra amministrazioni, la prefissione di termini e
meccanismi procedurali per consentire di ottenere certi pareri o valutazioni tecniche, l’autocertificazione, il
silenzio assenso (anche tra amministrazioni). La semplificazione può certo favorire i privati, ma solo quelli
interessati all’effetto finale, mentre pregiudica spesso gravemente gli interessi dei terzi controinteressati.
Inoltre, non tutti gli interessi (in particolare quelli sensibili) tollerano una disciplina procedimentale che
comporti una semplificazione.
CAPITOLO VII: LA CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO: IL PROVVEDIMENTO E GLI
ACCORDI AMMINISTRATIVI: 1.GLI ATTI DETERMINATIVI DEL CONTENUTO DEL PROVVEDIMENTO, L’ATTO
COMPLESSO, IL CONCERTO E L’INTESA.
L’amministrazione conclude il procedimento emanando una decisione.
La fase decisoria può essere costituita da:
- Una serie di atti
- Un atto proveniente da un unico organo (monocratico o collegiale)
- Un fatto
- Un accordo

1. Nel momento in cui la fase decisoria consiste nell’emanazione di atti (monocratici) o deliberazioni
(collegiali) preliminari determinativi del contenuto del provvedimento finale, si assiste all’adozione,
da parte di un organo, che per produrre effetti deve essere esternato ad opera di un altro organo.
Atto del primo organo = determinativo del contenuto del provvedimento finale, ma non produce effetti.
2. Altro modello  decisione su proposta = atto di impulso procedimentale, necessario per far si che
il provvedimento finale sia emanato e indicativo del contenuto dello stesso. L’organo al quale si
rivolge la proposta ha sempre il potere di rifiutare l’adozione dell’atto finale, ma non può
modificare il contenuto della proposta.
3. Modello dell’atto complesso  a differenza dei casi in cui i due atti (determinazione preliminare e
atto finale) restano separati, qui le manifestazioni di volontà, di pari dignità si fondono in un atto
unico. L’interdipendenza tra le parti dell’atto complesso fa sì che basti l’illegittimità di una di esse
per determinarne l’annullabilità.
Questo atto è imputabile alle amministrazioni partecipanti, quindi, deve essere impugnato nei loro
confronti. Quindi, l’atto complesso comprende gli accordi tra amministratori.
Simili a quest’ultimo sono il concerto e l’intesa:
- Concerto  istituto che si riscontra di norma nelle relazioni tra organi dello stesso ente 
l’autorità concertante (unica ad essere titolare di potere di iniziativa) elabora uno schema di
provvedimento e lo trasmette all’autorità concertata. Il consenso della autorità concertate
condiziona l’emanazione del provvedimento  consenso = atto che non si fonde con quello
dell’amministrazione procedente, l’unica a poter adottare l’atto finale.
Nel caso in cui l’inerzia si protragga oltre i 30gg il concerto si intende acquisito ai sensi dell’art.17 bis.
- Intesa  raggiunta tra enti differenti ai quali si imputa l’effetto. Allo stesso modo del concerto,
un’amministrazione deve chiedere l’intesa ad altra autorità, il cui consenso condiziona l’atto finale.
Esistono altri casi in cui la legge mette in risalto dei momenti endoprocedimentali collegati con la decisione
finale, influenzandola sotto il profilo del dovere di motivazione.
Art. 11 accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento gli accordi vedono due parti: PA e privati.
Privati = destinatari dei provvedimenti o degli accordi.
Prevede che gli accordi che l’amministrazione conclude coi privati siano preceduti da una determinazione
dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento, al fine di giustificare l’adozione
dell’accordo stesso Accordi di programma  tra PA. art. 15. Sono accordi di programma, pianificazione.
Atto = c’è un soggetto pubblico
Provvedimento = prima c’è stato un procedimento.
.
Art. 10 diritti di coloro che possono partecipare al procedimento  nel caso di procedimenti ad istanza di
parte impone di comunicare agli istanti i motivi che ostano (= si oppongono) all’accoglimento della
domanda.
 equipara i soggetti che possono partecipare e quelli destinatari della comunicazione. Soggetti del art. e
dell’art.9. partecipazione scritta.
La partecipazione da parte del soggetto si traduce nella presentazione di memorie scritte. I soggetti hanno
diritto a prendere visione degli atti del procedimento.
Rientra nell’ambito dell’accesso documentale, ma in questo caso è un accesso procedimentale e non
endoprocedimentale.
Art.6 compiti del responsabile del procedimento  e) l’organo che emana il provvedimento finale, se
diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria, se non
indicandone le motivazioni nel provvedimento finale.

Art. 14 CONFERENZA DI SERVIZI (paragrafo 2)


Gli interessi rilevanti, quelli cioè che l’amministrazione deve considerare in sede di scelta finale
ponderandoli con quello principale fissato per legge, sono acquisiti al procedimento sia attraverso:
1. l’iniziativa dell’amministrazione procedente,
2. sia a seguito dell’iniziativa dei soggetti titolari degli interessi stessi.
Per quanto attiene agli interessi affidati alla cura di amministrazioni pubbliche, talvolta essi devono essere
necessariamente acquisiti, perché così dispone la legge.
Acquisizione degli interessi pubblici  Le vie per la loro rappresentazione nel corso del procedimento sono
essenzialmente tre:
1. L’amministrazione procedente può richiedere all’amministrazione cui è imputato l’interesse
pubblico da acquisire di esprimere la propria determinazione;
2. Può indire una conferenza di servizi per l’esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti nel
procedimento, ai sensi dell’art. 14, c. 1, 1. 241/1990;
3. L’amministrazione portatrice dell’interesse pubblico secondario può partecipare al procedimento
ai sensi dell’art. 9, 1. 241/1990, che consente di intervenire nel corso del procedimento anche ai
soggetti portatori di interessi pubblici.
Per quel che riguarda la conferenza di servizi, è possibile rilevare come in sede istruttoria sia possibile
acquisire gli interessi pubblici rilevanti in un’unica soluzione: l’art. 14, comma 1, 1. 241/1990 prevede,
infatti, che la conferenza può essere indetta dall’amministrazione procedente anche su richiesta di altra
amministrazione coinvolta nel procedimento o del privato interessato, quando lo ritenga opportuno
per effettuare un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento
amministrativo (c.d. conferenza istruttoria interna), oppure in più procedimenti amministrativi
connessi e riguardanti medesime attività o risultati (c.d. conferenza istruttoria esterna, in quanto
interprocedimentale).
La conferenza è indetta dal responsabile del procedimento (art. 6, 1. 241/1990). Può avvenire anche in
modalità asincrona, anzi, è questa la regola: art. 14, c. 1  all’inizio era una riunione in presenza ma
l’uso della telematica, la semplificazione amministrativa e l’accelerazione dei procedimenti hanno
portato a questa innovazione. Consiste in una riunione di persone fisiche rappresentanti delle
amministrazioni pubbliche a cui appartengono, ciascuna delle quali esprime il punto di vista
dell’amministrazione rappresentata, il quale confluisce, poi, in una determinazione conclusiva raccolta
in un verbale.
La determinazione conclusiva sostituisce l’insieme delle manifestazioni dei vari interessi pubblici
coinvolti che le amministrazioni potrebbero introdurre utilizzando lo strumento della partecipazione di
cui agli artt. 7 e ss., 1. 241/1990. Va osservato che le tre possibilità sopra indicate di acquisizione degli
interessi pubblici coinvolti dal procedimento in itinere non sono perfettamente equivalenti quanto al
tipo di interessi 3 che consentono di introdurre nel corso del procedimento. Mediante la
partecipazione, infatti, possono essere rappresentati interessi da parte di soggetti pubblici soltanto nel
caso in cui dal procedimento possano subire un pregiudizio (e ciò in ossequio all’art. 9, 1. 241/1990),
laddove la conferenza di servizi può essere indetta per esaminare gli interessi pubblici «coinvolti»,
senza specificazioni ulteriori e pertanto anche nel caso in cui dal provvedimento finale possa derivare
un indiretto beneficio.
Il modello di conferenza di servizi introdotto dall’art. 14, c. 2, 1. 241/1990, differisce dalla conferenza
istruttoria: si tratta della conferenza decisoria. Il legislatore, rendendola obbligatoria, la circoscrive a
due casi in cui sia necessario acquisire più «pareri, intese, concerti, nullaosta o assensi comunque
denominati di altre amministrazioni pubbliche». Secondo quanto dispone la norma, la conferenza di
servizi decisoria “è sempre indetta”:
A) quando la conclusione positiva del procedimento è subordinata all’acquisizione di più pareri, intese,
concerti, nulla osta o altri atti di assenso, comunque denominati, resi da diverse amministrazioni,
inclusi i gestori di beni o servizi pubblici;
B) quando l’attività del privato sia subordinata a più atti di assenso, comunque denominati, da adottare
a conclusione di distinti procedimenti, di competenza di diverse amministrazioni pubbliche; in tal caso
la conferenza di servizi è convocata da una delle amministrazioni procedenti.
La prima ipotesi è definita conferenza decisoria interna, mentre la seconda è detta conferenza di
servizi decisoria esterna.
In ordine, in particolare, alla conferenza «istruttoria»  la determinazione conclusiva sostituisce
manifestazioni di interesse con cui le amministrazioni rappresentano il proprio punto di vista.
La determinazione motivata di conclusione della conferenza decisoria  ai sensi dell’art. 14 quater, 1.
241/1990, sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle
amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati.
Con riguardo alla conferenza di servizi decisoria  non pregiudica il ruolo dei privati: questi possono
richiedere l’indizione della conferenza quando l’attività che dagli stessi sarà svolta sia subordinata a più
atti di assenso, ovvero possono comunque richiedere che si proceda con modalità sincrona; l’indizione
della conferenza è comunicata ai soggetti di cui all’art. 7, l. 241/1990, i quali possono intervenire nel
procedimento ai sensi dell’art. 9, l. 241/1990 = si tratta dei destinatari, quelli che per legge possono
intervenire e i controinteressati, ossia tutti quei soggetti individuati o individuabili che dall’indizione del
procedimento possono subire un pregiudizio.
L’eventuale determinazione negativa di conclusione del procedimento produce gli effetti di cui all’art.
10 bis (preavviso di rigetto).
La legge disciplina il procedimento della conferenza di servizi individuando due distinte modalità: la
conferenza semplificata e la conferenza simultanea.
1. la conferenza semplificata, che costituisce il modulo preferenziale; A carattere necessario e
ordinario, è organizzata in modalità asincrona, dunque, consentendo che la volontà si formi in
modo non simultaneo. È evidente lo sforzo di semplificare al massimo l’azione amministrativa,
evitando l’unità di luogo e di tempo in cui confrontarsi e la presenza fisica (o la partecipazione in via
telematica). Le comunicazioni, tra l’altro, avvengono mediante l’utilizzo della posta elettronica o in
cooperazione applicativa. In sostanza, la conferenza semplificata è la sede destinata ad assumere
decisioni semplici, al contempo mirando ad acquisire gli assensi anche implicitamente. La
conferenza è indetta dall’amministrazione procedente entro 5 giorni lavorativi dall’inizio del
procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.
L’amministrazione procedente comunica alle altre amministrazioni interessate una serie di dati:
a. l’oggetto della determinazione da assumere,
b. l’istanza,
c. la relativa documentazione ovvero le credenziali per l’accesso telematico alle informazioni e ai
documenti utili ai fini dello svolgimento dell’istruttoria;
d. il termine perentorio, non superiore a 15 giorni, entro il quale le amministrazioni coinvolte possono
richiedere integrazioni documentali o chiarimenti relativi a fatti, stati o qualità non attestati in
documenti, già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre
pubbliche amministrazioni;
e. il termine perentorio, comunque non superiore a 45 giorni, entro il quale le amministrazioni
coinvolte devono rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della
conferenza, fermo restando l’obbligo di rispettare il termine finale di conclusione del
procedimento.
Se tra le suddette amministrazioni vi sono amministrazioni preposte alla tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, o alla tutela della salute dei cittadini, ove
l’ordinamento non preveda un termine diverso, il suddetto termine è fissato in 90 giorni; infine,
l’amministrazione procedente comunica la data della eventuale riunione in modalità sincrona, da
tenersi entro 10 giorni dalla scadenza del termine di cui alla lettera c) [= 45 gg], fermo restando
l’obbligo di rispettare il termine finale di conclusione del procedimento.
Le amministrazioni coinvolte rendono le proprie determinazioni (nel termine di 45 giorni o, in
presenza di interessi sensibili, 90 giorni), relative alla decisione oggetto della conferenza; le
determinazioni motivate, sono formulate in termini di assenso o dissenso e indicano, ove
possibile, le modifiche eventualmente necessarie ai fini dell’assenso. Il dissenso, dunque, deve
essere tempestivo, motivato, costruttivo e pertinente rispetto all’oggetto.
Si ammettono 3 tipologie che le PA possono rendere:
1. determinazione di assenso
2. determinazione di dissenso
3. determinazione di dissenso condizionato a
diventare assenso  proposta di modifiche
necessarie perché dal dissenso si passi
all’assenso
Anche in seno alla conferenza di servizi si possono avere situazioni di inerzia dei soggetti coinvolti
 La legge introduce vari meccanismi volti a superare l’inerzia dei soggetti pubblici coinvolti o altri
ostacoli, o, comunque, ad agevolare la conclusione del procedimento rafforzando la natura di
meccanismo decisionale dell’istituto.
A) inerzia o partecipazione non collaborativa  fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto
dell’Unione europea richiedono l’adozione di provvedimenti espressi, la mancata comunicazione
della determinazione entro il termine di legge, o la comunicazione di una determinazione priva
dei requisiti sopra indicati (esprimere un assenso; esprimere un dissenso; indicare le modifiche
necessarie ai fini dell’assenso), equivalgono ad assenso senza condizioni.
B) mancato rispetto dei termini  scaduto il termine perentorio entro cui deve essere concluso il
procedimento della conferenza di servizi, l’amministrazione procedente adotta, entro 5 giorni
lavorativi, la determinazione motivata di conclusione positiva della conferenza se ricorrono due
ipotesi:
1. qualora abbia acquisito esclusivamente atti di assenso non condizionato, anche implicito;
2. qualora ritenga, sentiti i privati e le altre amministrazioni interessate, che le condizioni o le
prescrizioni o le proposte di modifica che sono state indicate ai fini dell’assenso possano
essere accolte senza necessità di apportare modifiche sostanziali alla decisione oggetto
della
conferenza.
C) Soltanto qualora abbia acquisito uno o più atti di dissenso che non ritenga superabili,
l’amministrazione procedente adotta, entro il medesimo termine, la determinazione di
conclusione negativa della conferenza che produce l’effetto del rigetto della domanda. Nei
procedimenti ad istanza di parte la suddetta determinazione di conclusione negativa produce gli
effetti della comunicazione di cui all’art. 10 bis. L’amministrazione procedente trasmette alle altre
amministrazioni coinvolte le eventuali osservazioni presentate nel termine di cui al suddetto
articolo e procede a indire nuovamente la conferenza. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali
osservazioni è data ragione nell’ulteriore determinazione di conclusione della conferenza.
2. la conferenza di servizi in forma simultanea e in modalità sincrona  Qualora, tuttavia, sorgano
difficoltà, in ragione della complessità originaria della questione, è possibile utilizzare questa forma
che implica la partecipazione - presenza fisica o partecipazione in via telematica - dei
rappresentanti delle amministrazioni coinvolte. Si possono avere tre casi in cui si deve passare dalla
modalità asincrona a quella sincrona:
a) Fuori dei casi in cui abbia ricevuto solo atti di assenso oppure abbia ritenuto il dissenso
insuperabile, l’amministrazione procedente, ai fini dell’esame contestuale degli interessi
coinvolti, svolge, nella data fissata e comunicata al momento dell’indizione, la riunione
della conferenza in modalità sincrona. La data rimane la stessa ma cambia la modalità. In
questa ipotesi la conferenza in modalità sincrona è uno sviluppo di quella semplificata. Si
rende necessaria una fase di conferenza istruttoria= la complessità sorta nella fase
decisoria porta a una fase di conferenza istruttoria.
b) Tuttavia, ove necessario, “in relazione alla particolare complessità della determinazione da
assumere” (che si evince fin da subito), l’amministrazione procedente può procedere ab
origine direttamente in forma simultanea e in modalità sincrona. In tal caso,
l’amministrazione indice la conferenza, comunicando alle altre amministrazioni oggetto
della determinazione e termine perentorio e convocando la riunione entro i successivi 45
giorni. Qualora siano coinvolte amministrazioni preposte alla tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale dei beni culturali e della salute dei cittadini, il termine è fissato in
90 giorni, restando fermo l’obbligo di rispettare il termine finale di conclusione del
procedimento.
c) L’amministrazione procedente può infine procedere in forma simultanea e in modalità
sincrona su richiesta motivata delle altre amministrazioni o del privato interessato
avanzata entro il termine perentorio. In tal caso la riunione è convocata nei successivi 45
giorni. I lavori della conferenza si concludono non oltre 45 giorni.
c.5  Ciascun ente o amministrazione convocato alla riunione è rappresentato da un unico
soggetto abilitato ad esprimere definitivamente e in modo univoco e vincolante la posizione
dell’amministrazione che rappresenta su tutte le decisioni di competenza della conferenza,
anche indicando le modifiche progettuali eventualmente necessarie ai fini dell’assenso.
c.6  Alle riunioni della conferenza possono essere invitati gli interessati, inclusi i soggetti
proponenti il progetto eventualmente dedotto in conferenza.
c.7  All’esito dell’ultima riunione, e comunque non oltre il termine di 45 (o 90) giorni,
l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione della
conferenza sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla
conferenza tramite i rispettivi rappresentanti: dunque, non necessariamente sulla base del
mero criterio della maggioranza, ma in ragione della qualità delle posizioni. Non è escluso,
perciò, che l’amministrazione procedente segua la posizione minoritaria ove la ritenga più
convincente.
Art. 14-quater  Circa gli effetti della conferenza, giova ribadire ancora una volta che la determinazione
motivata di conclusione della conferenza, adottata dall’amministrazione procedente all’esito della stessa,
sostituisce a ogni effetto tutti gli atti di assenso, comunque denominati, di competenza delle
amministrazioni e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati.
In caso di approvazione unanime, la determinazione è immediatamente efficace.
Nell’ipotesi di approvazione sulla base delle posizioni prevalenti, l’efficacia della determinazione è sospesa
ove siano stati espressi dissensi qualificati ai sensi dell’art. 14 quinquies e per il periodo utile
all’esperimento dei rimedi ivi previsti.
Art.14 quater c.2  Le amministrazioni i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di
conclusione della conferenza possono sollecitare con congrua motivazione l’amministrazione procedente
ad assumere, previa indizione di una nuova conferenza, determinazioni in via di autotutela in ordine alla
determinazione motivata di conclusione della conferenza (annullamento d’ufficio della stessa). Possono
altresì sollecitarla, purché abbiano partecipato, anche per il tramite del rappresentante, alla conferenza di
servizi o si siano espresse nei termini, ad assumere determinazioni di revoca della determinazione motivata
di conclusione della conferenza.
Art. 14 quinquies  introduce poi una disciplina speciale evidentemente fondata sulle esigenze di
proteggere alcuni interessi sensibili e di rispettare l’autonomia costituzionalmente garantita ad alcuni enti.
Più nel dettaglio, avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza, entro 10 giorni dalla
sua comunicazione, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni
culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini possono proporre opposizione al
Presidente del Consiglio dei ministri a condizione che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio
motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. Per le amministrazioni statali
l’opposizione è proposta dal Ministro competente.
c.2  Possono altresì proporre opposizione le amministrazioni delle regioni o delle province autonome di
Trento e di Bolzano, il cui rappresentante, intervenendo in una materia spettante alla rispettiva
competenza, abbia manifestato un dissenso motivato in seno alla conferenza.
c.3  La proposizione dell’opposizione sospende l’efficacia della determinazione motivata di conclusione
della conferenza. A questo punto si tenta, prima, un’intesa e, in caso di ulteriore stallo, si apre la via alla
decisione finale da parte del Governo.

3.SILENZIO SIGNIFICATIVO, SILENZIO-INADEMPIMENTO, SILENZIO-RIGETTO E SILENZIO DEVOLUTIVO


Silenzio = inerzia dell’amministrazione.
Nel nostro ordinamento ci sono varie forme di silenzio:
1. Silenzio-rigetto
2. Silenzio significativo
3. Silenzio-inadempimento
4. Silenzio devolutivo
La regola da applicare, salvo disposizione contraria, quando l’amministrazione è inerte = silenzio assenso,
una tipologia di silenzio significativo.
Silenzio-significativo  l’ordinamento collega, al decorso del termine, la produzione di un effetto
equivalente all’emanazione di un provvedimento favorevole (= silenzio assenso) o di diniego (= silenzio
diniego) a seguito di istanza del privato titolare di un interesse pretensivo.
Sono pochi i casi di silenzio diniego espressamente previsti per legge  un esempio art. 25 l.241/90 in
materia di accesso ai documenti amministrativi.

Silenzio assenso (art.20)  costituisce oggi la regola, nel nostro ordinamento, per i procedimenti ad istanza
di parte, anche se temperata da eccezioni.
Art.20 dispone che “fatta salva l’applicazione dell’art.19 (che attiene alla dichiarazione di inizio attività), nei
procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio
dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda (30 gg), se la
medesima amministrazione non comunica all’interessato il provvedimento di diniego.
I termini di conclusione del procedimento decorrono dalla data di ricevimento della domanda del privato.
Il campo di applicazione di questo istituto coincide con i procedimenti ad istanza di parte.
Al c.4  eccezioni in ordine alle quali il silenzio non può valere come assenso, ma, salvi i casi di silenzio
rigetto, va qualificato come silenzio inadempimento. Non si applica agli atti e procedimenti riguardanti il
patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione,
l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità, i casi in cui la normativa comunitaria impone
l’adozione di provvedimenti amministrativi formali [..]
Queste eccezioni corrispondono all’area in ordine alla quale l’amministrazione dovrebbe provvedere
espressamente su domanda del privato.
Eccezioni:
1- Interessi sensibili
2- È la legge a dire che un silenzio non vale come assenso
3- Espressa richiesta di
4- Quando vi siano dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su richiesta dei singoli ministri
degli atti o che si svolgano dei procedimenti
il legislatore delegato ha avviato la mappatura dei casi assoggettati a SCIA il d.lgs. 222/2016 ha elencato
le attività soggette a SCIA e a comunicazione in alcuni importanti settori (commercio, edilizia e ambiente),
spingendosi a definire ipotesi di silenzio assenso.
Per evitare la formazione del silenzio, l’amministrazione competente può agire in 3 modi (due previsti
all’art.20):
1. Può provvedere espressamente, a patto che rimanga fermo il principio di cui all’art.2 in forza del
quale l’amministrazione ha il potere-dovere di provvedere con un atto espresso. Però, è evidente
che il meccanismo del silenzio sia un forte disincentivo nei confronti dell’adozione di provvedimenti
espressi di accoglimento dell’istanza. Comunque, ai sensi dell’art.21 c.2 ter, la formazione del
silenzio assenso non esclude la responsabilità del dipendente che non ha agito tempestivamente
nel caso in cui l’istanza non fosse conforme alle norme vigenti.
2. Art.20 c.1, può comunicare all’interessato il provvedimento di diniego entro 30 gg, in assenza di
diversa determinazione.
3. Può indire, entro 30 gg dalla presentazione dell’istanza di cui al c.1, una conferenza di servizi, anche
tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati.
Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione
competente può assumere determinazioni in via di autotutela (potere discrezionale) ai sensi degli artt. 21
quinquies (revoca del provvedimento) e 21 nonies (annullamento d’ufficio).
La sussistenza di questi poteri espone l’attività del privato, assentita mediante silenzio, a una certa
instabilità. A seguito della formazione del silenzio assenso, secondo la giurisprudenza, l’amministrazione
può comunque provvedere tardivamente in modo espresso.
In caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni  il dichiarante è punito con la sanzione. La
dichiarazione mendace o falsa impedisce la formazione del silenzio.
Restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da
parte di PA previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attività ai sensi degli artt. 19 e 20.
In virtù dell’art.20 (silenzio assenso)  silenzio = provvedimento favorevole.
La circostanza che l’amministrazione disponga di un potere amministrativo (sebbene non lo eserciti
emanando un provvedimento) ha come conseguenza che il privato, autorizzato a svolgere un’attività a
seguito del formarsi del silenzio, trovi il titolo legittimante dell’attività stessa negli effetti collegati al silenzio
e non nella legge.

Silenzio devolutivo  relativo ai rapporti endoprocedimentali tra amministrazioni.


Artt. 16 e 17 (attività consultiva e valutazioni tecniche – rispettivamente)  l’inutile decorso del termine
consente al soggetto pubblico procedente di completare il procedimento anche in assenza di un parere
obbligatorio (art.16 – entro 20 gg dalla richiesta devono rendere i pareri obbligatori), o può rivolgersi ad
un’altra amministrazione al fine di ottenere una valutazione tecnica non resa dall’amministrazione alla
quale inizialmente era stata richiesta (art.17 – art.17 bis entro 30 gg dal ricevimento dello schema di
provvedimento, le amministrazioni comunicano il proprio assenso, concerto o nullaosta).
Il meccanismo del silenzio devolutivo non opera a fronte di interessi sensibili perché in questi casi l’inerzia
non è superabile.
[L’ipotesi prevista dal comma 1 dell’art. 17 della l. 241 del 1990 relativo all’acquisizione di valutazioni
tecniche di organi od enti appositi integra un’ipotesi di silenzio devolutivo. Infatti, il silenzio della Pubblica
Amministrazione (organi od enti appositi) determina l’attribuzione della competenza ad altra autorità che
sia dotata di qualificazione e capacità tecnica equipollenti ovvero ad istituti universitari. Tale disposizione
non è applicabile alle valutazioni tecniche che debbano essere prodotte da amministrazioni preposte alla
tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini (art. 17, comma 2).]

Silenzio assenso  ammesso anche nei rapporti tra amministrazioni e tra amministrazioni e gestori di
pubblici servizi con riferimento agli:
- Atti di consenso
- Concerti
- Nullaosta
L’art.17 bis consente l’acquisizione endoprocedimentale per silentium di questi assensi. Ciò vale anche se
sono relativi a interessi sensibili  il termine in questo caso è di 90 gg.

Silenzio inadempimento (o silenzio rifiuto)  è un fatto.


Il suo campo di applicazione si rileva dall’art. 2 (conclusione del procedimento) combinato con l’art.20
(silenzio assenso)  è quello in cui operano le eccezioni al silenzio assenso (anche alla dichiarazione di
inizio attività) e fa riferimento all’ipotesi secondo cui l’amministrazione, che ha il dovere giuridico di agire
emanando un atto amministrativo a seguito dell’istanza, ometta di provvedere a conclusione di
“procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico [..] (c.4 art.20), nei casi in cui la normativa
comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, anche in relazione ai procedimenti
individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per la
funzione pubblica, di concerto con i ministri competenti.
Si tratta di ipotesi rilevanti che attengono in gran parte a interessi critici  il silenzio inadempimento
continua a essere un istituto centrale nel diritto amministrativo.
La disciplina dell’istituto si ricava dall’art.2 (conclusione del procedimento)  trascorso il termine fissato
per la conclusione del procedimento, il silenzio può ritenersi formato.
A partire da questo momento, senza bisogno di un’ulteriore diffida, decorre il termine per proporre ricorso
giurisdizionale, volto ad ottenere una pronuncia con cui il giudice ordina all’amministrazione di provvedere
di norma entro un termine non superiore a 30gg (così che possa spingersi a conoscere la fondatezza
dell’istanza).
Il ricorso può essere proposto fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla
scadenza del termine di conclusione del procedimento  sembrano, quindi, ammessi provvedimenti
tardivi, anche perché non c’è stato alcun esercizio del potere, salvi profili di eventuale responsabilità
dell’amministrazione (art.2 bis – conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del
procedimento).

Silenzio rigetto  si forma nei casi in cui l’amministrazione (alla quale è stato indirizzato un ricorso
amministrativo) rimanga inerte.
Disciplinato dal d.p.r. 1199/1971  il ricorso si ritiene respinto trascorsi 90 gg dalla presentazione del
ricorso gerarchico.

4.LA SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITA’ E LA COMUNICAZIONE PREVIA


Silenzio assenso  partecipa del meccanismo di dinamica giuridica caratterizzato dalla scansione norma-
potere-effetto.
Totalmente differente era, inizialmente, la dinamica giuridica realizzata attraverso l’istituto della
segnalazione di inizio attività (SCIA) art.19 – all’origine faceva riferimento alla denuncia.
Infatti, con questa denuncia (poi trasformata in dichiarazione e ora in segnalazione) di inizio attività si
eliminava l’intermediazione di un potere amministrativo che desse avvio a un’attività privata, con la
conseguenza che quest’ultima trovava diretto titolo di legittimazione nella legge, chiamata a fissarne
direttamente il regime.
La denuncia di inizio attività, al contrario del silenzio assenso, non costituiva una forma di conclusione del
procedimento, appunto mancante, in assenza di un potere abilitativo.
Oggi l’art.19  pur prevedendo poteri di intervento in capo all’amministrazione, conferma la natura privata
della dichiarazione. Inoltre, l’istituto viene rinominato segnalazione di inizio attività (SCIA).
Art.19  prevede un meccanismo di sostituzione con una segnalazione di ampio spettro di provvedimenti
= ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nullaosta comunque
denominato, comprese la domanda per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività
imprenditoriale, commerciale o artigianale, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di
requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi di contenuto generale, e non sia previsto
nessun limite o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli stessi.
Segnalazione deve essere corredata da dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà
(ecco perché segnalazione certificata).
Il d.lgs.126/2016  ha previsto che le amministrazioni statali, con decreto del ministro competente,
adottino moduli unificati e standardizzati che definiscano, per tipologia di provvedimento, i contenuti tipici
e la relativa organizzazione dei dati delle istanze, delle segnalazioni, delle comunicazioni e della
documentazione da allegare.
La stessa norma disciplina anche nel dettaglio le modalità di presentazione della segnalazione e di
protocollazione.
Nella prospettiva della semplificazione  art. 19 bis  sul sito istituzionale di ogni amministrazione è
indicato uno sportello unico (telematico) al quale si presenta la SCIA.
Se per lo svolgimento di un’attività soggetta a SCIA sono necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni,
asseverazioni e notifiche, l’interessato presenta allo sportello un’unica SCIA.
Art.19 bis  si occupa anche dei casi in cui l’attività oggetto di SCIA sia condizionata all’acquisizione di atti
di assenso comunque denominati o pareri di altri uffici e amministrazioni, oppure all’esecuzione di verifiche
preventive. In questo caso l’interessato presenta allo sportello la relativa istanza, a seguito della quale è
rilasciata ricevuta.
La legge evidenzia l’istituto della conferenza di servizi, il termine per la cui convocazione decorre la data di
presentazione dell’istanza.
La SCIA è un meccanismo che opera con riferimento a fattispecie permissive.
Limiti della SCIA  sono previste delle eccezioni (art.19 c.1):
- Casi in cui sussistono vincoli di natura ambientale, culturale o paesaggistica
- Degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte:
1. alla difesa nazionale
2. Alla pubblica sicurezza
3. All’immigrazione
4. All’asilo
5. Alla cittadinanza
6. All’amministrazione della giustizia
7. All’amministrazione delle finanze
- Atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco
- Atti previsti dalla normativa comunitaria
Non è contemplata la salute.
La disciplina dell’art.19 non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, comprese
quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia e dal testo unico in materia di
intermediazione finanziaria.
L’assenza di un elenco con i casi soggetti a SCIA ha creato, in passato, diverse incertezze applicative. Per
rimediare a questo la l.124/2015 ha delegato il Governo a operare una mappatura di casi assoggettati a
SCIA (anche dei procedimenti soggetti a silenzio assenso, ad autorizzazione espressa e a comunicazione
preventiva).
Funzionamento della SCIA  quando si ha la necessità di ottenere un provvedimento di consenso che
abbia i caratteri sopra indicati, il privato può limitarsi a presentare una segnalazione, iniziando
immediatamente l’attività = unico onere del privato  non deve a avanzare la domanda ma deve porre in
essere un’attività informativa cui è subordinato l’esercizio del diritto.
Il ruolo dell’amministrazione è diverso rispetto a quello che ha nei procedimenti autorizzatori  qui non
esercita il potere permissivo, ma è chiamata a svolgere una funzione di controllo successivo, cioè in un
momento in cui l’attività già si svolge in maniera lecita.
L’amministrazione competente dispone di diverse tipologie di poteri per ripristinare la legalità:
1. In caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, nel termine di 60 gg dal ricevimento
della segnalazione (30 gg in materia di SCIA edilizia), adotta motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell’attività e della rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa.
Nel caso sia possibile confermare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla norma vigente,
l’amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere prescrivendo le
misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore ai 30 gg per l’adozione di queste
misure.
Se non vengono adottate queste misure, decorso il suddetto termine, l’attività si intende vietata.
2. C’è un secondo potere di intervento (divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli
eventuali effetti), esercitabile decorso il termine di 60 gg, in presenza delle condizioni previste
all’art.21 nonies (annullamento d’ufficio) e, dunque, entro 18 mesi.
Questo potere può essere esercitato se sussistono ragioni di interesse pubblico, tenendo conto
degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Nel caso di segnalazione presentata ad un ufficio diverso da quello competente, i termini
decorrono dal ricevimento della segnalazione da parte dell’ufficio competente.
3. Restano ferme le attribuzioni di vigilanza, controllo e prevenzione su attività soggette ad atti di
assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio
all’attività tramite lo strumento della segnalazione.
4. Art. 21 c.1  in caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni, non è ammessa la
conformazione dell’attività e dei suoi effetti o la sanatoria prevista dagli artt. medesimi e il
dichiarante è punito con sanzione prevista dall’art.483 c.p., salvo che il fatto costituisca un reato
più grave.
5. Non è chiaro se si applichi alla SCIA il più rigoroso art.21 nonies c.2 bis (il cui campo di applicazione
è delimitato con riferimento ai provvedimenti), il quale dice che “i provvedimenti amministrativi
conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione
e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con
sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la
scadenza del termine di 18 mesi, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali [..]”. Questa
disposizione dovrebbe essere coordinata con l’art.21; essa, inoltre, sembra aprire la via a verifiche
anche molto lontane nel tempo, che richiedono la sussistenza di un giudicato.

Decorsi i 60 gg (30 in materia edilizia) si restringe la possibilità di avere un ripristino della legalità  il
privato può però attivare i poteri inibitori, ma solo in presenza delle condizioni previste dall’art.21 nonies
sull’annullamento d’ufficio; in questo modo si allarga l’area di discrezionalità dell’amministrazione e,
dunque, non è più possibile ripristinare la legalità sul mero presupposto dell’assenza dei requisiti di legge.
La Corte costituzionale, sentenza 45/2019  chiarisce che, decorsi i due termini (60 gg e 18 mesi – in
riferimento al potere discrezionale), l’amministrazione rimane senza poteri. Rimane la possibilità di
rivolgersi al giudice ordinario per la tutela dei rapporti interprivati, di sollecitare i poteri pubblicistici di
vigilanza e repressivi di settore o di agire in via risarcitoria contro l’amministrazione o il dipendente per il
mancato esercizio del potere di verifica.

La SCIA per essere compatibile con l’ordinamento dell’UE deve risolversi in una dichiarazione privata che
apre la via a controlli successivi. In ogni caso la nuova formulazione dell’art.19 ha respinto la tesi del
provvedimento di formazione tacita confermando che sussiste, invece, un mero atto privato non
direttamente impugnabile.

Accanto all’autorizzazione, al silenzio, alla SCIA si era menzionato il modello dello svolgimento dell’attività
previa mera comunicazione  la disciplina di questo istituto è posta dal d.lgs. 222/2016: prevede una serie
di attività in ordine alle quali la comunicazione produce effetto con la presentazione all’amministrazione
competente o allo sportello unico

5. L’atto amministrativo e il provvedimento: osservazioni: l’atto amministrativo è definito come qualsiasi


manifestazione di volontà, desiderio, giudizio, conoscenza proveniente da una PA. Importante è però il
provvedimento, atto con cui si chiude il procedimento amministrativo. il provvedimento è emanato
dall’organo competente. Solo il provvedimento è dotato di effetti sul piano dell’ordinamento generale. La
distinzione quindi tra provvedimenti e altri atti amministrativi corrisponde a quella fra atti aventi gli effetti
ora descritti e atti incapaci di produrli. Gli atti (pareri, proposte, valutazioni tecniche) hanno funzione
strumentale rispetto ai provvedimenti. L’amministrazione pone in essere comportamenti rilevanti che non
sono atti amministrativi in senso proprio: si tratta di operazioni materiali (sopralluoghi, misurazioni) e
misure di partecipazione. Gli effetti dei provvedimenti non sono retroattivi. Inoltre, sussiste il problema
della interpretazione del provvedimento, mediante la quale si perviene alla giuridica qualificazione del
provvedimento stesso, del contenuto e suoi effetti. L’atto è composto di solito da intestazione, nella quale
è indicata l’autorità emanante, un preambolo (dove sono enunciate le circostanze di fatto e quelle di
diritto), motivazione e dal dispositivo (contiene la concreta statuizione posta in essere
dall’amministrazione). Il provvedimento è poi datato e sottoscritto. Non è ammissibile l’interpretazione
autentica vincolante per i terzi da parte dell’amministrazione autrice dell’atto.
6.provvedimento amministrativo e incisione sulle situazioni soggettive: componente fondamentale del
provvedimento è la volontà. Il provvedimento è un atto di “disposizione” in ordine all’interesse pubblico
che l’amministrazione deve perseguire e che si collega con l’incisione di altrui situazioni soggettive.
L’autoritatitivtà è cioè connotazione del potere comunque rivolto alla cura di interessi pubblici, ed è propria
di ogni provvedimento amministrativo, indipendentemente dalla natura favorevole o sfavorevole degli
effetti.
7. unilateralità, tipicità e nominatività del potere: caratteri provvedimento: il provvedimento è sempre
caratterizzato dal perseguimento unilaterale di interessi pubblici e dalla produzione unilaterale di vicende
giuridiche sul piano dell’ordinamento generale. Tipicità del provvedimento: diretta espressione del
principio di legalità. La PA, per conseguire gli effetti tipici, può inoltre ricorrere solo agli schemi individuati
in generale dalla legge. Questo è il principio di nominatività. L’art 1 comma 1 bis dispone che la PA
nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge
disponga diversamente. La norma ha suscitato molteplici riflessioni in dottrina, alcune delle quali favorevoli
a ritenere come atti non autoritativi quelli che sono in grado di produrre effetti solo dietro consenso
(accettazione o richiesta) del destinatario. Al contrario, sarebbero veri provvedimenti autoritativi solo quelli
limitativi della sfera giuridica dei privati. La locuzione “atti non autoritativi” dunque dovrebbe essere
identificata con la categoria degli atti non provvedimentali. In conclusione, gli atti non autoritativi sono
quelli che non costituiscono espressione di un potere amministrativo.
8. gli elementi essenziali del provvedimento e le clausole accessorie: ai sensi dell’art 21 septies è nullo il
provvedimento amministrativo che manchi degli elementi essenziali. Non c’è un elenco di tali elementi. La
loro individuazione è rimessa all’elaborazione della dottrina. Si tratta di quegli elementi al cui assenza
impedisce al provvedimento di venire in vita. Si possono individuare gli elementi del provvedimento
tradizionalmente considerati essenziali: si tratta del soggetto, del contenuto dispositivo, dell’oggetto, della
finalità e della forma.
Soggetto: organo che emana il provvedimento. L’art 21 septies afferma che è nullo l’atto viziato da difetto
assoluto di attribuzione. Il potere consiste nella possibilità di produrre una determinata vicenda giuridica: è
questo il contento dispositivo del potere. La dottrina distingue tra contenuto necessario e accidentale
contenuto implicito o naturale del provvedimento. L’insieme delle disposizioni, dette anche clausole
accessorie, che l’amministrazione può introdurre in aggiunta, costituisce il contenuto eventuale o
accidentale dell’atto. Inoltre, in ordine al “termine” va notato che la limitazione temporale all’efficacia di un
atto deriva direttamente dalla legge.
Oggetto: esso deve essere lecito, possibile, determinato o determinabile. L’oggetto può essere il bene, la
situazione giuridica o l’attività, destinati a subire gli effetti giuridici prodotti dal provvedimento.
Finalità: interesse pubblico che deve essere perseguito.
Forma: di norma si tratta della forma scritta. Non si deve confondere la forma dell’atto con la forma di
pubblicità, costituita ad esempio della documentazione o verbalizzazione.
Gli atti amministrativi devono anche essere predisposti tramite documenti informatici.
9.difformità del provvedimento e del paradigma normativo: la nullità e l’illeceità del provvedimento
amministrativo: il provvedimento emanato in violazione delle norme attributive del potere è nullo; ove
invece sia difforme dalle norme di azione che disciplinano l’esercizio del potere va qualificato come
annullabile, fatta salva l’applicazione dell’art 21 octies.
Nullità strutturale: è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali.
L’atto amministrativo emanato in assenza di potere è da qualificare come nullo ed è, di norma, sindacabile
dal giudice ordinario. Posto che esso è emanato in una situazione in cui manca il potere si può aggiungere -
ed è questo il criterio di riparto adottato dalla giurisprudenza - che il giudice ordinario ha giurisdizione nei
casi in cui l’amministrazione abbia agito in carenza di potere, ponendo in essere un atto nullo e, cioè, non
produttivo di effetti. Tale impostazione trova corrispondenza con quanto disposto dall’art. 21 septies, 1.
241/1990: «È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da
difetto assoluto di attribuzione» (la norma richiama poi gli «altri casi espressamente previsti dalla legge»;
l’art. 133, d.1gs. 104/2010 contempla invece le ipotesi di atto nullo adottato in violazione o elusione del
giudicato, devolvendoli alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ai sensi dell’art. 31, comma
4, d. lgs. 104 del 2010, c.d. Codice del processo amministrativo, «La domanda volta all’accertamento delle
nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto
può sempre essere opposta dalla parte resistente. o essere rilevata d’ufficio dal giudice (…)». Il codice del
processo amministrativo ha, quindi, previsto la «declaratoria di nullità» (art. 31, co. 4) disponendo che la
relativa domanda debba essere proposta entro il termine di decadenza di 180 giorni avanti al giudice
amministrativo, mentre la nullità può essere sempre eccepita nonché rilevata d’ufficio dal giudice. L’art 21
septies dice inoltre che è nullo il provvedimento che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, e ancora,
se è stato adottato in violazione o elusione del giudicato (la sentenza passata in giudicato obbliga a tenere
un certo comportamento e la PA viola o elude il comportamento che avrebbe dovuto tenere. Spesso si
parla anche di illeceità, anche se l’art 21 septies non ne fa cenno (si ritiene compresa nell’annullabilità). Si
parla inoltre di “carenza di potere”(mancanza di potere: coincide con l’incompetenza assoluta). Il potere
non esiste e l’effetto non si produce quando l’amministrazione agisce violano una norma attributiva del
potere. La carenza di potere può presentarsi come carenza in astratto che come carenza in concreto (qui il
potere non manca totalmente, ma è ridotto; magari la PA ha violato le norme in tema di giusto
procedimento amministrativo). Comporta nullità il provvedimento adottato in violazione o elusione del
giudicato. Altre ipotesi di nullità sono individuate dal giudice amministrativo. Il problema della
qualificazione dell’atto non conforme al paradigma normativo non si pone ogniqualvolta la nullità sia
prevista espressamente dalla legge, si riferisce infatti l’art 21 septies dicendo che l’atto è pure nullo “negli
altri casi espressamente previsti dalla legge”.
10. segue l’illegittimità del provvedimento amministrativo: l’atto emanato nel rispetto delle norme
attributive del potere ma in difformità di quelle di azione è affetto da illegittimità ed è sottoposto al regime
dell’annullabilità. L’atto annullabile rispetta le norme che riconoscono la possibilità di produrre effetti e
infatti produce gli stessi effetti dell’atto legittimo; sono però effetti precari, nel senso che l’ordinamento
prevede strumenti giurisdizionali per eliminarli. L’atto illegittimo è inoltre annullabile dalla stessa
amministrazione in via di autotutela. L’illegittimità può essere di 4 tipi: originaria, sopravvenuta, derivata,
parziale.
-illegittimità originaria: atto difforme dal modello delineato dalla legge.
-illegittimità sopravvenuta: ?
-illegittimità derivata: quando l’atto, di per sé valido, subisce le conseguenze della invalidità di altro atto
precedente. È incerto se l’annullamento dell’atto presupposto travolga automaticamente gli atti successivi.
Vi sono poi casi in cui i due atti non hanno la stessa natura: è l’ipotesi dell’annullamento giurisdizionale
degli atti di gara e delle conseguenze che ciò comporta sul contratto stipulato dall’amministrazione.
Dall’illegittimità caducante (ora descritta) si distingue l’illegittimità meramente invalidante.
-illegittimità parziale: si riscontra quando solo una parte del contenuto è illegittimo, e solo essa sarà
oggetto di annullamento, salvo che eliminandola non sia più possibile configurare come tale l’atto
amministrativo. La restante parte (se configurabile come atto amministrativo) resta in vigore.
L’elenco delle cause di annullabilità si ricava dall’art 21 octies, ai sensi del quale è annullabile il
provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da
incompetenza. L’art 21 nonies invece si occupa dell’annullamento d’ufficio. Ci possono essere casi in cui il
provvedimento non è annullabile: in generale ci si riferisce ai vizi formali per indicare i casi in cui venga
violata una norma il cui rispetto non avrebbe assicurato una decisione diversa. Il provvedimento
amministrativo inoltre non è annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, qualora
l’amministrazione dimostri che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da
quello in concreto adottato. Vi è una differenza tra le due ipotesi disciplinate dal comma 2 dell’art 21
octies: la prima riguarda vizi procedimentali e di forma, richiede che l’attività sia vincolata e che sia palese
che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; la
seconda, consente di salvare il provvedimento dall’annullamento a seguito della dimostrazione in sede
processuale dell’immutabilità del suo contenuto dispositivo quando sia mancata la comunicazione
dell’avvio del procedimento.
Slide prof: Abbiamo trattato delle norme che disciplinano le modalità di esercizio dei poteri
amministrativi (norme azione). Poiché l’azione amministrativa è legittimamente svolta quando sia
posta in essere nel rispetto di esse e poiché l’interesse legittimo è la pretesa alla legittimità dell’azione
amministrativa, si può concludere che l’interesse legittimo è anche la pretesa all’osservanza delle
norme di azione. Sotto il profilo processuale la tutela dell’interesse legittimo è affidata al giudice
amministrativo: atteso che l’interesse legittimo è leso dalla inosservanza di una norma di azione, è
possibile asserire che il giudice amministrativo sindaca la violazione delle norme di azione.
Si è osservato che l’azione amministrativa che non rispetti le norme di azione è sicuramente
illegittima: tuttavia, ove siano rispettate le norme di relazione che attribuiscono il potere, l’atto
finale non è nullo, proprio perché sussiste per esso la giuridica possibilità di produrre effetti. Gli
effetti così prodotti sono tuttavia precari, nel senso che l’ordinamento non può tollerare che siano
equiparati in tutto a quelli che scaturiscono da un’azione legittima.
L’atto è cioè emanato in una situazione in cui il potere sussiste, ma è stato esercitato in modo
non corretto: si può allora concludere che la giurisdizione del giudice amministrativo si individua in
base al canone del cattivo esercizio del potere amministrativo. Il giudice che accerti la violazione
delle norme di azione dovrà eliminare sia 1’atto, sia i suoi effetti, emanando una decisione di
annullamento. Il regime dell’atto posto in essere in violazione di norme di azione e quindi illegittimo
è dunque l’annullabilità.
L’art. 21 octies, 1. 241/1990 dispone infatti che è «annullabile il provvedimento amministrativo adottato in
violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza», pur
prevedendo, al comma 2, importanti casi di non annullabilità. Si consideri in ogni caso che l’atto
illegittimo può essere annullato in via di autotutela anche dalla stessa amministrazione che lo ha
emanato, la quale ha altresì normalmente il potere di convalidarlo (art. 21 nonies, 1. 241/1990).
L’atto illegittimo, inoltre, può essere disapplicato dal giudice ordinario, annullato
dall’amministrazione in sede di decisione di ricorso amministrativo, in sede di controllo e in
autotutela (annullamento d’ufficio). La giurisprudenza comunitaria ammette pure la disapplicabilità
dell’atto contrastante con la disciplina comunitaria, ancorché divenuto inoppugnabile.
Si ritiene normalmente che le cause di nullità impediscono all’atto di produrre effetti e non
sono sanabili; l’azione di nullità è imprescrittibile; il vizio che determina la nullità può essere fatto
valere da chiunque vi abbia interesse ed è rilevabile d’ufficio dal giudice. Al contrario l’annullabilità,
la quale consente all’atto di produrre effetti medio tempore sino all’intervenuto annullamento, è vizio
sanabile; la relativa azione è soggetta a prescrizione o decadenza e può essere proposta solo da taluni
soggetti a tal fine legittimati.
11.i vizi di legittimità del provvedimento amministrativo: i vizi di legittimità degli atti, ossia le cause della
illegittimità degli stessi sono: l’incompetenza, la violazione di legge e l’eccesso di potere. I vizi conseguono
alla violazione delle norme di azione, cioè delle disposizioni che attengono alla modalità di esercizio di un
potere. Si definisce incompetenza, il vizio che consegue alla violazione della norma di azione (a tale vizio
non si applica l’art 21 octies). Incompetenza  incompetenza assoluta + grave e determina la nullità.
L’incompetenza può aversi per materia, per valore, per grado o per territorio. L’incompetenza per territorio
ricorre solo quando un organo eserciti una competenza di un altro organo dello stesso ente che disponga
però di diversa competenza territoriale, mentre ove si eserciti la competenza spettante ad organo di altro
ente territoriale, la conseguenza sarà la nullità dell’atto.
Il vizio di violazione di legge sussiste quando si viola una qualsiasi altra norma di azione generale e astratta
che non attenga alla competenza, e sempre che, in caso di attività vincolata, non trovi applicazione l’art 21
ocites. La violazione di legge abbraccia molte situazioni: in particolare sono importanti le violazioni
procedimentali, i vizi di forma, la violazione delle norme sulla formazione della volontà collegiale. La
violazione di legge può ricorrere sia nel caso di mancata applicazione della norma, sia nell’ipotesi di falsa
applicazione della stessa. Il vizio di eccesso di potere sussiste quando la facoltà di scelta che spetta
all’amministrazione non è correttamente esercitata. L’eccesso di potere Veniva definito come il risvolto
patologico della discrezionalità amministrativa (non corretto esercizio della discrezionalità amministrativa).
Si parla dunque di logicità-congruità applicata al caso concreto e la loro violazione è evidenziata dal giudice
amministrativo in occasione del sindacato dell’eccesso di potere. Il giudizio di logicità-congruità va
effettuato tendendo conto dell’interesse primario da perseguire, degli interessi secondari, e della
situazione di fatto. Così può essere illegittimo un provvedimento quando la misura adottata dal contenuto
dispositivo sia proporzionata rispetto al fine da perseguire. Il principio di logicità-congruità racchiude anche
quello di proporzionalità. L’eccesso di potere è dichiarabile solo con riferimento ad atti discrezionali.
Classica forma dell’eccesso di potere è lo sviamento, che ricorre quando l’amministrazione persegue un fine
differente rispetto da quello per il quale il potere le è stato attribuito. La giurisprudenza ha poi evidenziato
una serie di figure, dette sintomatiche, le quali sono il sintomo del non corretto esercizio del potere in vista
del suo fine. Esse forniscono quindi una sorta di catalogo delle situazioni in cui l’atto può risultare viziato
per eccesso di potere. Tipi di figure sintomatiche: violazione della prassi, manifesta ingiustizia (sproporzione
tra sanzione e illecito), contraddittorietà tra più parti dello stesso atto (il preambolo e la motivazione dello
stesso atto dicono due cose diverse) o tra più atti, disparità di trattamento tra situazioni simili (un
provvedimento che prevede un determinato comportamento e per una situazione simile impone un
comportamento opposto o diverso), travisamento dei fatti (si assume a presupposto dell’agire una
situazione che non sussiste in realtà), incompletezza e difetto dell’istruttoria, inosservanza dei limiti, vizi
della motivazione e la violazione delle circolari e delle norme interne. In particolare, ricorre eccesso di
potere quando la motivazione è insufficiente, incongrua, contraddittoria, dubbiosa. In tali ipotesi si parla di
difetto di motivazione. L’assenza di motivazione oggi dà luogo al vizio di violazione di legge. Costituiscono
figure di eccesso di potere anche le violazioni di circolari, di ordini e istruzioni di servizio e il mancato
rispetto della prassi amministrativa. La circolare è un atto mediante il quale l’amministrazione fornisce
indicazioni in via generale e astratta in ordine alle modalità con cui dovranno comportarsi in futuro i propri
dipendenti e i propri uffici e, dunque, essenzialmente trasmette indicazioni, istruzioni o regole interne. La
prassi amministrativa è il comportamento costantemente tenuto da un’amministrazione nell’esercizio di un
potere. L’inosservanza della prassi non dà luogo a violazioni di legge, ma può essere sintomo di eccesso di
potere. Analogo discorso può essere condotto in relazione alle norme interne: la loro violazione non dà
luogo a violazioni di legge ma ad eccesso di potere.
12.la motivazione di provvedimenti e atti amministrativi: un importante requisito di validità è la
motivazione. Nel nostro ordinamento non era stabilito un dovere generale di motivazione degli atti
amministrativi, e alla dottrina e alla giurisprudenza spettava il compito di individuare quali atti dovessero
essere motivati (si tratta degli atti discrezionali) e quali non la richiedessero. Questo dovere è stato
introdotto dall’art 3 il quale sancisce che “ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti
l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere
motivato”. Fanno eccezione gli atti normativi e a contenuto generale. La motivazione comunque deve
indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione amministrativa, in
relazione alle risultanze dell’istruttoria. In ogni caso la motivazione dovrebbe esprimere “sostanzialmente”
l’interesse pubblico che ha guidato l’azione dell’amministrazione e non limitarsi a indicare solo norme e
fatti. Ai sensi dell’art 3, il dovere di motivare è soddisfatto se il provvedimento richiama un altro atto che
contenga esplicita motivazione e questo sia reso disponibile. Secondo parte della giurisprudenza è
sufficiente che il documento richiamato sia reso disponibile (tramite accesso). Se la legge ha risolto il
problema del “se” motivare, rimane aperta la questione del “come” motivare: al riguardo, la motivazione
deve risultare sufficiente per sottrarsi alle censure di accesso di potere sopra individuate. L’esclusione del
dovere di motivazione degli atti a contenuto generale non impedisce peraltro che, quando in essi siano
contenute clausole specifiche di peculiare applicazione, queste possano essere considerate
provvedimentali e quindi debbano essere motivate.
13. i vizi di merito: merito amministrativo: insieme delle soluzioni compatibili con il canone di congruità-
logicità che regola l’azione discrezionale. Il regime dell’atto viziato per vizi di merito è tradizionalmente
considerato l’annullabilità. Non si può però rilevare che la legge 241 nel disciplinare l’annullamento
d’ufficio, tace della possibilità di annullare atti viziati nel merito e, anzi, ammette l’annullabilità dei soli atti
illegittimi. Il provvedimento viziato nel merito, che sia a efficacia durevole e che non sia un’autorizzazione o
un atto di attribuzione di vantaggi economici, è piuttosto assoggettato alla disciplina di cui all’art 21
quinquies, in forza del quale è revocabile il provvedimento a seguito di una nuova valutazione dell’interesse
pubblico originario.
14. PROCEDIMENTI DI RIESAME DELL’ATTO ILLEGITTIMO: CONFERMA, ANNULLAMENTO, RIFORMA,
CONVALIDA.
I provvedimenti di secondo grado  caratterizzati dal fatto di essere espressione di autotutela e di avere
ad oggetto altri e precedenti provvedimenti amministrativi o fatti equipollenti.
Secondo diversa tesi  essi sarebbero svolgimento del medesimo potere esercitato con l’emanazione del
provvedimento di primo grado.
Impiegando un criterio funzionale si distinguono:
1. Poteri di riesame di precedenti provvedimenti o di fatti equipollenti (sotto il profilo della validità);
può avere esiti differenti:
a) Conferma della legittimità
b) Riscontro dell’illegittimità (ma sanabile) dell’atto
c) Riscontro dell’illegittimità non sanabile dell’atto.
2. Poteri di revisione che incidono sull’efficacia e sull’esecuzione di precedenti atti.
Indipendentemente dalla misura adottata, l’amministrazione deve dar conto della sussistenza di un
interesse pubblico specifico che la giustifichi  l’autotutela è pur sempre esercizio di amministrazione
attiva e quindi rivolta alla tutela di un interesse pubblico.
Il provvedimento adottato nel momento in cui l’amministrazione verifica l’insussistenza di vizi nell’atto
sottoposto a riesame viene definito atto confermativo o atto di conferma.
L’annullamento d’ufficio o annullamento in sede di autotutela  è il provvedimento, espressione di un
potere generale, attraverso il quale si elimina un atto invalido e vengono rimossi ex tunc (retroattivamente)
gli effetti prodotti.
Secondo quanto dispone l’art.21 nonies, il provvedimento illegittimo ai sensi dell’art.21 octies può essere
annullato d’ufficio, quando sussistono le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole (non
superiore a 18 mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di
vantaggi economici, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Differenza dall’annullamento posto in essere dal giudice amministrativo (previsto in via della tutela delle
situazioni giuridiche dei privati) l’annullamento d’ufficio ha la funzione di tutelare l’interesse pubblico.
Dal punto di vista procedimentale, ai sensi della l.241/90  al fine di agire legittimamente occorre
comunicare agli interessati dell’avvio del procedimento di autotutela. Il potere è esercitabile d’ufficio ma,
nella prassi, è preceduto dall’invito all’autotutela da parte del privato.
Secondo quanto dispone l’art.21 nonies  rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al
mancato annullamento del provvedimento legittimo.
Presupposti per esercitare il potere di annullamento d’ufficio  illegittimità del provvedimento e
sussistenza di ragioni di interesse pubblico. Quindi, l’amministrazione deve valutare se l’eliminazione del
provvedimento invalido sia conforme all’interesse pubblico, anche tenendo conto degli interessi sorti nel
frattempo in capo ai destinatari dell’atto, sia in capo ai controinteressati.
La legge esclude che possa essere annullato un atto al quale si applichi il 21 octies c.2.
Importante è la precisazione secondo cui l’annullamento va posto in essere entro un termine ragionevole,
decorso il quale i suoi effetti vanno considerati consolidati.
La legge, inoltre, sottolinea che il termine non può essere superiore a 18 mesi dal momento dell’adozione
dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, confermando per questa
categoria di atti la rilevanza del valore della stabilità del rapporto con l’amministrazione e del principio
dell’affidamento.
Scaduto il termine è da considerarsi consumato il potere, perciò l’amministrazione non può provvedere
tardivamente.
L’affidamento che giustifica la limitazione temporale del potere di annullamento esiste soltanto in caso di
buona fede.
Infatti, dispone l’art.21 nonies “i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false
rappresentazioni di fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o
mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono
essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di 18 mesi, fatta salva
l’applicazione delle sanzioni penali.
Termine ragionevole l’eccessivo decorso del tempo, rapportato all’affidamento innato nei terzi, può
dunque causare l’illegittimità del relativo atto. In questa ipotesi ricorre la figura della convalescenza
dell’atto per decorso del tempo  questa impedisce l’annullamento d’ufficio di atti illegittimi qualora essi
abbiano prodotto effetti per un periodo adeguatamente lungo.
La produzione degli effetti retroattivi dell’annullamento potrebbe essere impedita dall’esistenza di
situazioni già consolidate non suscettibili di rimozione o la cui rimozione confliggerebbe con il principio di
buona fede o affidamento innato in capo a chi, sul presupposto delle legittimità dell’atto, vi abbia dato
esecuzione.
Titolarità del potere di annullamento  il potere spetta all’organo che lo ha emanato o da altro organo
previsto dalla legge.
Il potere governativo di annullamento  l’ordinamento prevede il potere del governo di procedere in ogni
tempo all’annullamento degli atti di ogni amministrazione. La possibilità del governo di procedere a questo
annullamento rispecchia la sua posizione di vertice nell’apparato amministrativo.
Questo potere ha carattere straordinario e può essere esercitato a tutela dell’unità dell’ordinamento,
occorre però un vizio particolarmente grave dell’atto, la cui permanenza in vita sia giudicata incompatibile
con il sistema nel suo complesso e non solo con gli interessi della PA che lo ha emanato.
Riforma ove la parte annullata sia sostituita da un altro contenuto si ha la figura della riforma, che ha
efficacia ex nunc. Questa è la riforma sostitutiva, ma esiste anche la riforma aggiuntiva = consiste
nell’introduzione di altri contenuti aggiuntivi rispetto a quello originario.
Convalida  è un provvedimento di riesame a contenuto conservativo: ai sensi dell’art.21 nonies
l’amministrazione ha la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di
interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. Il relativo potere è applicazione del principio della
conservazione dei valori giuridici.
L’amministrazione rimuove il vizio che rende invalido il provvedimento di primo grado e pone in essere una
dichiarazione che espressamente riconosce il vizio ed esprime la volontà di eliminarlo, sempre che tale vizio
sia suscettibile di essere rimosso. Es. è convalidabile l’incompetenza ma non è convalidabile l’atto emanato
in assenza di presupposti che ne avrebbero consentito la legittima adozione.
Gli effetti della convalida retroagiscono al momento dell’emanazione dell’atto convalidato.
Sanatoria  non richiamata dall’art.21 nonies. Ricorre quando il vizio dipende dalla mancanza, nel corso
del procedimento, di un atto endoprocedimentalela cui adozione spetta a soggetto diverso
dall’amministrazione competente ed emanante il provvedimento finale.
L’atto può essere sanato da un intervento tardivo che dà luogo ad un’inversione dell’ordine del
procedimento: questo vale per le istanze degli interessati, per i nullaosta e per le autorizzazioni, mentre è
da ritenere che il parere non possa intervenire successivamente, considerato che la sua funzione è quella di
fornire valutazioni prima della decisione finale.
15. CONVERSIONE, INOPPUGNABILITA’, ACQUIESCENZA, RATIFICA, RETTIFICA E RINNOVAZIONE DEL
PROVVEDIMENTO
Conversione  istituto che riguarda gli atti nulli: dove c’è un atto nullo è da considerare esiste un altro
atto, purchè sussistano tutti i requisiti di questo e risulti che l’agente avrebbe voluto questo secondo atto
se fosse stato a conoscenza del mancato venire in essere del primo.
Questo istituto opera ex tunc (effetti retroattivi).
La dottrina e la giurisprudenza ammettono la conversione anche di atti annullabili  in questi casi c’è un
annullamento dell’atto originario (e perdita di efficacia degli effetti) e una sostituzione con un altro atto di
cui sussistono nel primo tutti i requisiti. Gli effetti di questo atto opererebbero ex tunc ma questa
retroattività non corrisponde ad alcun principio giuridico. Si può parlare di retrodatazione degli effetti.
Inoppugnabilità  condizione in cui l’atto viene a trovarsi ove siano decorsi i termini per impugnarlo.
Va distinto dall’atto convalidato  la differenza deriva dal fatto che, nel caso dell’inoppugnabilità, questa
opera solo sul piano giustiziale; di conseguenza, l’atto inoppugnabile è comunque annullabile d’ufficio e
disapplicabile dal giudice ordinario.
L’inoppugnabilità non è un carattere assoluto del provvedimento  l’atto non può essere più impugnato da
un certo soggetto perché sono decorsi i termini nei suoi confronti ma è ancora impugnabile per altri che
non ne sono venuti a conoscenza.
Art.21 nonies fissa un termine finale per l’esercizio dei poteri di autotutela che l’amministrazione può
esercitare. Esso risponde alle stesse esigenze di certezza, operando soprattutto a favore anche del privato
beneficiato dall’atto.
Il termine è fisso per tutti: non può superare i 18 mesi.
Acquiescenza  accettazione spontanea e volontaria delle conseguenze dell’atto e quindi della situazione
da esso determinata (da parte di chi potrebbe impugnarlo). Il comportamento acquiescente deve
desumersi da fatti univoci, chiari e concordanti. Il comportamento presuppone la conoscenza del
provvedimento e dell’avvenuta emanazione.
L’acquiescenza produce effetti erga omnes.
Ratifica  ricorre quando sussiste una legittimazione straordinaria di un organo ad emanare a titolo
provvisorio, e in una situazione di urgenza, un provvedimento che rientra nella competenza di un altro
organo, il quale, ratificando, fa proprio quel provvedimento originariamente legittimo. Es. non più
contemplato dall’attuale disciplina  il potere della giunta comunale di sostituirsi in via d’urgenza al
consiglio.
Rettifica per la maggior parte della dottrina non interessa provvedimenti viziati, ma atti irregolari.
Consiste nell’eliminazione dell’errore. È ammissibile nei limiti in cui sia configurabile l’irregolarità.
Rinnovazione  diversa dalla convalida. Rinnovazione del provvedimento annullato = emanazione di un
nuovo atto avente effetti ex nunc (a partire da ora), con la ripetizione della procedura a partire dall’atto
endoprocedimentale viziato. La rinnovazione è possibile sempreché l’atto precedente non sia stato
annullato per ragioni di ordine sostanziale (es. manca un presupposto).
16. EFFICACIA DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO: LIMITI SPAZIALI E LIMITI TEMPORALI.
3 principi generali:
- I provvedimenti che producono effetti si chiamano efficaci;
- Di norma, ove non si decida per la sospensione o il differimento e salvo diversa indicazione
contenuta nella legge o nel provvedimento, essi vanno eseguiti immediatamente
dall’amministrazione o dal destinatario (ci sono comunque atti che non necessitano l’esecuzione
materiale);
- Nel momento in cui sia necessario superare la mancata cooperazione del privato, possono essere
portati a esecuzione direttamente dall’amministrazione (esecutorietà).
Oggi alcuni istituti che venivano considerati caratteri generali dei provvedimenti trovano una disciplina
specifica e articolata nella legge.
La produzione di effetti sul piano dell’ordinamento generale (efficacia) è subordinata all’esistenza di tutti gli
elementi rilevanti per tale produzione (elementi che non coincidono per forza con quelli di esistenza del
provvedimento).
In linea di massima  è efficace il provvedimento che rispetta le condizioni di esistenza dettate
dall’ordinamento generale, salvo che quest’ultimo non stabilisca uno scollamento tra esistenza ed efficacia
stabilendo ulteriori condizioni di efficacia.
L’efficacia incontra dei limiti territoriali (limiti spaziali) corrispondono, di norma, a quelli della
competenza dell’autorità. Ci sono comunque delle eccezioni come il passaporto rilasciato dalla questura
(organo a circoscrizione provinciale) ed efficace su tutto il territorio nazionale.
L’efficacia del provvedimento può essere subordinata al:
a) Compimento di determinate condizioni
b) Verificarsi di alcune circostanze
c) Emanazione di ulteriori atti rispetto
all’adozione del provvedimento in sé.
L’atto può dunque essere perfetto ma non efficace, oppure annullabile ma efficace, in quanto pur
ricorrendo tutti i requisiti di efficacia, l’atto o il procedimento che lo precede non è conforme al paradigma
normativo.
L’efficacia incontra anche dei limiti temporali  nonostante sussista il principio secondo cui gli atti, di
norma, producono effetti al momento in cui sono venuti in essere, esistono degli esempi di atti ad efficacia
differita o retroattiva.
Atti ad efficacia differita  la loro operatività è subordinata al completarsi della fattispecie operativa = le
circostanze, gli avvenimenti, le operazioni che condizionano l’efficacia del provvedimento esistente sono
già stati esaminati analizzando gli atti che confluiscono nella fase integrativa dell’efficacia (= alcune forme
di pubblicità, atti di decisione dei privati, atti di controllo).
Atti ad efficacia retroattiva L’atto amministrativo di regola è irretroattivo. Si riconosce, però, che
l’efficacia di alcuni atti si spieghi prima del fatto che ne è causa e, cioè, del perfezionarsi della fattispecie.
Esistono atti, come quelli che incidono sulla fattispecie, retroattivi per natura (annullamento, annullamento
parziale, convalida). Al di fuori di queste ipotesi, la retroattività, in quanto mira a soddisfare un interesse
del singolo, è ammessa solo se l’atto produce effetti favorevoli al destinatario e non sussistano
controinteressati, oppure se c’è il consenso dell’interessato.
Retrodatazione  diversa dalla retroattività. È un istituto che ha a che fare con il tema del contenuto del
provvedimento. La retrodatazione è conferita ad atti adottati “ora per allora” = atti che l’amministrazione
sarebbe stata tenuta ad emanare, ma che non adottò tempestivamente, in un contesto o in una situazione
di fatto diversi da quello attuale. Quindi, l’amministrazione procede a riportare la decorrenza degli effetti
dell’atto al momento in cui essi avrebbero dovuto dispiegarsi, anche se l’atto stesso è stato emanato in
seguito.
Sempre tra i limiti temporali  atti ad efficacia istantanea = l’effetto si produce esaurendosi in un dato
momento e riguarda un singolo accadimento o fatto storico o una situazione isolata.
Atti ad efficacia durevole o prolungata = caso dei piani urbanistici e delle concessioni di servizio e di alcune
autorizzazioni, che attengono a una pluralità di comportamenti considerati come una categoria unitaria. Si
proiettano così nel tempo, spesso instaurando un rapporto tra il privato e l’amministrazione.
È importante distinguerli perché solo per questi ultimi si pone il problema delle vicende, che non possono
riguardare l’efficacia durevole. Questa può venir meno per diversi motivi (= estinzione dell’oggetto,
maturare del termine finale, realizzarsi della condizione risolutiva, ecc.).
Art. 21 quinquies  atti ad efficacia istantanea. Indica per questi la modalità di calcolo di indennizzo ove
revocati perché originariamente incompatibili con l’interesse pubblico.
17. PROCEDIMENTI DI REVISIONE: PROROGA, REVOCA E RITIRO DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO
L’efficacia può essere condizionata anche dall’adozione di provvedimenti amministrativi posti in essere a
conclusione di procedimenti, detti procedimenti di revisione, di secondo grado, che hanno ad oggetto
l’efficacia di altri provvedimenti.
Eseguibilità  effettiva attitudine del provvedimento ad essere eseguito.
Il provvedimento è poi eseguito attraverso l’esecuzione. Ai sensi dell’art.21 quater, i provvedimenti
amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo se diversamente stabilito dalla legge o dal
provvedimento medesimo.
Sospensione amministrativa  tipico atto che incide sull’eseguibilità e sull’efficacia. In particolare, la
sospensione, espressione di un potere di autotutela, è il provvedimento con il quale viene
temporaneamente paralizzata l’efficacia e l’eseguibilità di un provvedimento efficace, sia ampliativo o
limitativo della sfera del destinatario.
Il c.2 dispone che l’efficacia (= esecuzione) del provvedimento può essere sospesa per gravi ragioni o per il
tempo strettamente necessario dallo stesso organo che lo ha emanato oppure dall’organo previsto dalla
legge.
Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o
differito una sola volta, e anche ridotto per sopravvenute esigenze. La sospensione non può comunque
essere disposta o perdurare oltre i termini per l’esercizio del potere di annullamento.
La norma parla di efficacia ed esecuzione  l’amministrazione può sospendere l’efficacia dei
provvedimenti che non richiedono esecuzione, o la cui esecuzione non sia ancora iniziata, oppure
sospendere le eventuali procedure esecutive dei provvedimenti la cui esecuzione sia già stata avviata ma
non sia stata ancora portata a termine.
Proroga  provvedimento con cui si protrae ad un momento successivo il termine finale dell’efficacia di un
provvedimento durevole. La proroga in senso proprio va adottata prima della scadenza del provvedimento
di primo grado.
Nel caso in cui sia emanata successivamente (nell’ipotesi in cui la legge lo consente), si tratta di
rinnovazione (non confondere con la rinnovazione dell’atto annullato) = consiste in un nuovo atto identico
a quello precedente scaduto, autonomamente impugnabile, la cui legittimità va valutata al momento della
sua adozione.
Revoca  provvedimento (espressione di un potere generale) che fa venire meno la vigenza degli effetti di
un atto, a conclusione di un procedimento volto a verificare se i risultati cui si è pervenuti attraverso il
provvedimento precedente meritino di essere conservati.
Art.21 quinquies  per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, o nel caso di mutamento della situazione
di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento, o salvo che per i provvedimenti di
autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell’interesse pubblico
originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato.
Alla radice del potere generale di revoca si profilano, quindi, due situazioni:
1. Sopravvenuti motivi di interesse pubblico
2. Mutamento delle circostanze di fatto
Esistenti al momento dell’adozione del provvedimento di primo grado, cosicché non appare conforme
all’interesse pubblico il perdurare della sua vigenza (revoca per sopravvenienza)  l’amministrazione
valuta nuovamente la stessa situazione (quasi un ripensamento/pentimento).
La legge intende rafforzare la posizione del privato:
1. se questi ha ottenuto vantaggi economici o autorizzazioni quel ripensamento della PA non è
possibile.
2. Il mutamento della situazione di fatto deve essere “non prevedibile” al momento del rilascio del
provvedimento favorevole.
3. A fronte di pregiudizi è previsto un indennizzo.
La revoca incide sull’efficacia dell’atto e non sull’atto stesso.
Differenze rispetto l’annullamento d’ufficio  nella revoca l’atto revocato è originariamente legittimo, non
c’è il limite di agire entro un termine ragionevole, ma vi è la previsione di un indennizzo ove essa comporti
pregiudizi.
Se la revoca comporta dei pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha
l’obbligo di provvedere al loro indennizzo.
Art. 21 quinquies c.1 bis  quantificazione dell’indennizzo con specifico riferimento ai casi in cui la revoca,
di un atto ad efficacia durevole o istantanea, riguardi un atto originariamente non compatibile con
l’interesse pubblico e incida su rapporti negoziali.
L’indennizzo è parametrato al solo danno emergente. Si esclude comunque il lucro cessante, che può
essere conseguito solo dimostrando la presenza di un illecito.
L’indennizzo, inoltre, tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della
contrarietà dell’atto amministrativo all’interesse pubblico.
Queste indicazioni sembrano limitare il campo di applicazione della norma ad un atto originariamente
contrario a interesse pubblico escludendo il tema delle sopravvenienze.
La legge al momento di individuare i beneficiari dell’indennizzo fa un generico riferimento agli “interessati”
e accenna al concorso di “altri soggetti”.
È ammessa la revocabilità dell’efficacia degli atti dai quali siano sorti diritti soggettivi.
Competenza in materia di revoca  la competenza di disporre la revoca spetta all’organo che ha emanato
l’atto, o ad altro organo previsto dalla legge.
Figura simile alla revoca è quella del recesso dagli accordi, mentre è differente l’ipotesi disciplinata dall’art
21 sexies secondo cui il recesso unilaterale dai contratti della PA è ammesso nei casi previsti dalla legge e
dal contratto.
Nella prassi amministrativa e nel linguaggio comune si parla di revoca anche per indicare la diversa ipotesi
(definita rimozione o abrogazione) in cui con un provvedimento vincolato viene fatta cessare la
permanenza della vigenza di atti legittimi ad efficacia prolungata nel momento in cui venga meno uno dei
presupposti specifici sul cui fondamento tali atti erano stati emanati. La rimozione non esclude la revoca e
ha efficacia a partire dal momento in cui si realizza la situazione di contrarietà al diritto della perdurante
vigenza dell’atto di primo grado.
Art.123 cost.  lo statuto delle regioni regola l’esercizio del referendum su provvedimenti amministrativi
della regione: l’esito del referendum può consistere nel ritiro del provvedimento con efficacia ex nunc.
La dottrina e la giurisprudenza conoscono più in generale la figura del mero ritiro dell’atto non efficace 
esso potrebbe essere giustificato sia da motivi di legittimità, sia da motivi di inopportunità o da fatti
sopravvenuti e, diversamente dall’annullamento d’ufficio e dalla revoca, non è subordinato all’esistenza di
un interesse pubblico, concreto e attuale o alla considerazione delle posizioni soggettive coinvolte.

18. ESECUTIVITA’ ED ESECUTORIETA’ DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO


Esecutività  idoneità del provvedimento a produrre automaticamente ed immediatamente i propri effetti
nel momento in cui l’atto sia divenuto efficace.
Art. 21 quater  indica col termine esecutività il carattere dell’eseguibilità e, cioè, la sua idoneità a essere
eseguito senza necessità di precostituire titoli esecutivi giudiziari. La norma disciplina poi l’esecuzione del
provvedimento, stabilendo che, se efficace, esso va eseguito immediatamente, salvo che sia diversamente
stabilito dalla legge o dal provvedimento stesso.
Esecutorietà  si indica la possibilità che essa sia compiuta, in quanto espressione di autotutela,
direttamente e coattivamente dalla PA senza dover ricorrere previamente a un giudice.
Nel rispetto del principio di legalità, nel momento in cui il contenuto del provvedimento da portare a
esecuzione comporti la diretta incisione della sfera del soggetto e l’obbligo di dare o consegnare, o
comunque richieda un’attività esecutiva alla quale deve presentare la propria collaborazione il privato, a
fronte di un suo rifiuto l’amministrazione può conseguire il risultato pratico Es. spossessamento del bene
oggetto di un’occupazione d’urgenza.
Art.21 ter  nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge, le PA, previa diffida, possono imporre
coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro confronti.
L’esecutorietà è rimessa alla scelta del soggetto pubblico  in mancanza di determinazione in questo
senso, l’attuazione del provvedimento potrà avvenire in sede giurisdizionale.
Richiamando il principio di legalità, la norma riduce la discrezionalità in ordine alle modalità di esercizio di
tale potere e esclude che l’esecutorietà costituisca una facoltà generale dell’amministrazione o un riflesso
dell’autoritatività dell’atto.
Art.21 ter dispone anche che il provvedimento costitutivo di obblighi indica il termine e le modalità
dell’esecuzione da parte del soggetto obbligato.
Nel nostro ordinamento sono diversi i mezzi attraverso cui si manifesta l’esecutorietà.
Nell’ipotesi in cui il provvedimento costituisca obblighi di fare infungibili (dotato di una specifica
individualità economico-sociale/non sostituibile con altri), l’amministrazione può procedere alla coercizione
diretta o può minacciare e infliggere sanzioni per ottenere esecuzione spontanea. Ove l’obbligo di fare
consiste in una prestazione fungibile può essere prevista l’esecuzione d’ufficio = l’amministrazione esegue
direttamente, con i propri mezzi ma a spese del terzo, l’attività richiesta.
Nei casi di obblighi di dare relativi a somme di denaro, l’ordinamento riconosce due ipotesi:
1. Esecuzione forzata tramite ruoli
2. Procedimento caratterizzato dall’ingiunzione.
19. GLI ACCORDI AMMINISTRATIVI. OSSERVAZIONI GENERALI
Gli accordi nella l.241/90  questa legge consente che le PA possano sempre concludere tra loro accordi
per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.
Inoltre, la legge sul provvedimento amministrativo dispone all’art 11  in accoglimento di osservazioni o
proposte presentate a norma dell’art.10, l’amministrazione procedente può concludere senza pregiudizio
dei diritti dei terzi e, in ogni caso, nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al
fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo.
L’accordo si caratterizza per il necessario coinvolgimento di profili diversi da quello patrimoniale.
20. GLI ACCORDI TRA AMMINISTRAZIONI E PRIVATI EX. ART. 11 L.241/90
Ci sono due tipologie di accordi tra amministrazione e privati:
1. Accordi sostitutivi  tiene luogo del provvedimento (il provvedimento è in corso).
Solo gli accordi sostitutivi sono soggetti ai medesimi controlli previsti per i provvedimenti.
2. Accordi integrativi  non elimina la necessità del provvedimento nel quale confluisce.
Il controllo, ove previsto, avrà ad oggetto il provvedimento finale.
Il regime giuridico dell’accordo  l’interesse affidato alla cura di una delle due parti (il soggetto pubblico)
assume all’interno dell’accordo un ruolo differente da quello del privato = l’accordo deve essere stipulato in
ogni caso nel perseguimento dell’interesse pubblico e per sopravvenuti motivi di pubblico interesse
l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo.
La validità dell’accordo e la sua vincolatività sono subordinate alla compatibilità con l’interesse pubblico, il
quale ne diventa elemento definitorio.
In particolare, l’istituto della revoca si profila assolutamente inconciliabile con l’idea del contratto.
Gli accordi devono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga
diversamente.
Devono essere motivati e le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione sono
riservate alla giurisdizione esclusiva. La PA può recedere unilateralmente dall’accordo per sopravvenuti
motivi di pubblico interesse corrispondendo un indennizzo.
Il regime è complessivamente pubblicistico, ma agli accordi si applicano, ove non diversamente stabilito
dalla legge, i principi del Codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili.
Le regole sull’annullabilità sono applicabili alla formazione del consenso del cittadino ma risultano
incompatibili con l’esercizio del potere amministrativo.
L’accordo è strettamente legato al tema della partecipazione  esso può essere concluso in accoglimento
di osservazioni e proposte (art.11).
Art. 11 c.4 bis a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, in tutti i casi
in cui una PA conclude accordi, la stipulazione è preceduta da una determinazione dell’organo che sarebbe
competente per l’adozione del provvedimento.
Recesso pubblicistico dell’accordo  la PA può recedere unilateralmente, salvo obblighi di provvedere alla
liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato.
Il recesso dall’accordo corrisponde in parte alla revoca del provvedimento  nella misura in cui potrebbe
trovare applicazione l’art.21 quinquies (sulla revoca), questa norma potrebbe essere impiegata per il
calcolo dell’indennizzo.
Ai sensi dell’art.11 il recesso è ammissibile soltanto per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, per tanto
si profila insufficiente una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico. A seguito della stipulazione
dell’accordo scaturisce un rafforzamento della situazione giuridica della parte privata rispetto a quella in cui
verserebbe nell’ipotesi di azione unilaterale (caratterizzata da un più ampio potere di revoca).
Il recesso incide sui rapporti (invece che sugli atti) l’atto originario non diventa illegittimo ma illegittima e
inopportuna è la permanenza del rapporto da esso costituito.
Caratteri dell’accordo sostitutivo e dell’accordo integrativo:
- Accordo integrativo = accordo endoprocedimentale destinato a riversarsi nel provvedimento finale.
È ammissibile soltanto nell’ipotesi in cui il provvedimento sia discrezionale e fa sorgere un vincolo
tra le parti. In particolare, l’amministrazione è tenuta a emanare un provvedimento corrispondente
al tenore dell’accordo. Tuttavia, l’effetto finale è da rapportare solo al provvedimento.
Il provvedimento non è revocabile (almeno per la parte che corrisponde all’accordo, in ordine alla
quale si può esercitare il potere di recesso).
- Accordo sostitutivo = elimina la necessità di emanare un provvedimento ed è soggetto agli stessi
controlli previsti per il provvedimento sostituito. Con questa figura non è più necessaria la
previsione di legge delle ipotesi in cui è possibile concluderlo.
tra i pochi esempi di accordo sostitutivo previsti dalla legislazione italiana  accordo di cessione
che produce effetti del decreto di esproprio.
21. I CONTRATTI DI PROGRAMMA E GLI ACCORDI TRA AMMINISTRAZIONI
Contratto di programma  ha più significati: può indicare gli atti mediante i quali soggetti pubblici e privati
raggiungono intese mirate al conseguimento di obiettivi comuni. In questo senso il contratto di programma
si contrappone all’accordo di programma che, essendo una tipologia di accordo tra amministrazioni,
coinvolge soltanto soggetti pubblici.
Alla prima forma di contratti, stipulati con privati, si accostano altre figure introdotte dalla recente
normativa:
- Programmazione negoziata = coinvolge una molteplicità di soggetti pubblici e privati; individua le
intese istituzionali di programma, gli accordi di programma quadro, i patti territoriali, i contratti di
programma e i contratti d’area.
Gli accordi tra amministrazioni  sono usati come strumenti per concordare lo svolgimento di attività in
comune, in un contesto in cui la frammentazione dei poteri richiede costantemente misure di raccordo e di
semplificazione.
Infatti, la norma che stabilisce il potere di concludere accordi tra amministrazioni è inserita nel capo
relativo alla semplificazione procedimentale art. 15 prevede che le amministrazioni pubbliche possano
sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse
comune.
Per quanto riguarda la normativa concernente tale figura e, quindi, al regime giuridico a cui essa è
sottoposta, l’articolo in esame soggiunge che si osservano le disposizioni dell’art.11 c.2-3-5.
Gli accordi sono sottoscritti con firma digitale, con firma elettronica avanzata, o con altra firma elettronica
qualificata, pena la nullità degli stessi.
Tipologie di accordi tra amministrazioni  distinzione tra accordi che si inseriscono all’interno di un
procedimento amministrativo che sfocia nell’adozione di un formale atto finale e quelli che invece hanno
rilevanza autonoma:
- Nella prima tipologia di accordi l’ordinamento solitamente si preoccupa di prevedere strumenti per
superare il mancato raggiungimento dell’intesa, atteso che esiste un’amministrazione procedente
titolare di un interesse primario;
- Nel secondo caso, nel momento in cui manchi un’amministrazione titolare di un interesse primario,
lo stallo va superato soprattutto sul piano dei rapporti politici tra soggetti.
22. IN PARTICOLARE: GLI ACCORDI DI PROGRAMMA
Particolari accordi tra PA, destinati ad essere approvati da un provvedimento amministrativo formale, sono
gli accordi di programma  da questi derivano obblighi reciproci alle parti interessate e coinvolte nella
realizzazione di complessi interventi.
La figura è prevista da molteplici normative, alcune delle quali ammettono il coinvolgimento dei privati, ma
trova un importante esempio di disciplina nell’art.34 t.u. enti locali  per la definizione e l’attuazione delle
opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione,
l’adozione integrata e coordinata di comuni, provincie e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti
pubblici, o comunque di due o più tra i soggetti predetti, il presidente della regione o il presidente della
provincia o il sindaco, in relazione alla competenza primaria o prevalente sull’opera o sugli interventi o sui
programmi di intervento, promuove la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o
più dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinare i tempi, le
modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento.
Secondo la norma base dell’art.15, gli accordi di programma di cui al t.u. enti locali si caratterizzano per:
- La specificità dell’oggetto,
- Il carattere fortemente discrezionale che li permea
- Il loro contenuto di regolamentazione dell’esercizio dei poteri delle amministrazioni interessate.
L’art.34 t.u. enti locali  prevede la fase obbligatoria della conferenza di servizi, convocata per verificare la
possibilità di raggiungere l’accordo, e si occupa dell’approvazione dell’accordo stesso, della possibilità che
l’accordo preveda procedimenti arbitrali e interventi surrogati in caso di inadempienze, degli effetti
dell’accordo, ma anche della vigilanza sulla sua esecuzione.

CAPITOLO VIII: OBBLIGAZIONI DELLA PA E DIRITTO COMUNE


2. i contratti della PA: gli enti pubblici godono della capacità giuridica di diritto privato e possono utilizzare
gli strumenti di diritto comune, e quindi pure il contratto, per svolgere la propria azione e per conseguire i
propri fini. In particolare, l’amministrazione ha la capacità giuridica di stipulare contratti di diritto privato.
L’attività contrattuale, che è uno degli strumenti più diffusi mediante i quali l’amministrazione persegue i
propri interessi pubblici, è disciplinata in primo luogo dal diritto privato, ma è altresì sottoposta a regole di
diritto amministrativo.
L’interesse pubblico, rileva con una serie di importanti conseguenze sul piano del procedimento che segna
la formazione della volontà dell’amministrazione: l’espressione “evidenza pubblica”, usata per descrivere il
procedimento amministrativo che accompagna la conclusione dei contratti della PA, indica appunto il fatto
che questa fase deve svolgersi in modo da esternare l’iter seguito dall’amministrazione, anche al fine di
consentirne il sindacato alla luce del criterio della cura dell’interesse pubblico. Tale procedura prevede atti
amministrativi mediante i quali l’amministrazione rende note le ragioni di pubblico interesse che
giustificano in particolare l’intenzione di contrattare, la scelta della controparte e la formazione del
consenso. Attualmente trova applicazione il d.lgs 50/2016 che ha abrogato il 163/2006; tale decreto è stato
emanato in attuazione delle direttive 2014/23/UE sulle concessioni, 2014/24/UE in tema di appalti pubblici
e 2014/25/UE sugli appalti nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e servizi postali. Il “codice dei
contratti pubblici” è una disciplina che recepisce le direttive europee e opera il “riordino” della disciplina sui
contratti pubblici. Il decreto “sblocca cantieri” (d.l 32/2019) ne ha sospeso in parte l’applicazione fino al
31/12/2020.
Per altro verso, a fronte dell’abrogazione del precedente regolamento, un ruolo rilevantissimo era stato
riconosciuto non solo a decide tra decreti ministeriali e dpcm attuativi, ma anche alle linee guida emanate
dall’Anac. L’attuale disciplina ha però previsto il ritorno al regolamento unico recante disposizioni di
esecuzione, attuazione e integrazione del codice (art 216 comma 27 octies), ridimensionando lo spazio
regolativo concesso all’Anac. Nelle more dell’emanazione del regolamento, “rimangono in vigore o restano
efficaci fino alla data di entrata in vigore del regolamento unico” le linee guida e i decreti attuativi di una
serie di disposizioni del codice. L’Anac poi gestisce il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e
delle centrali di committenza; esprime parere relativamente a questioni sorte durante lo svolgimento delle
procedure di gara.
Il d.l 66/2014 impone l’obbligo per le amministrazioni statali centrali e periferiche (ad esclusione degli
istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e universitarie), per le regioni, gli enti
regionali, gli enti locali, consorzi e associazioni, e per gli enti del servizio sanitario, di ricorrere a Consip o
altri soggetti aggregatori per determinare categorie merceologiche ed entro certi importi, da definire con
dpcm entro il 31/12 di ogni anno. La disciplina è stata completata dal d.lgs 50/2016, prevedendo per
acquisti superiori a una certa soglia, un sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti con riferimento a
tutti i casi in cui l’amministrazione potrebbe agire autonomamente, senza ricorrere a una centrale di
committenza. Il codice fissa le soglie di rilevanza comunitaria (art 35 d.lgs 50/2016: euro 5.225.000 per gli
appalti pubblici di lavori e per le concessioni, euro 135.000 per gli appalti pubblici di forniture, servizi e per i
concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità
governanti. Sotto la soglia di 40.000 euro per servizi e forniture e quella di 150.000 per i lavori,
l’amministrazione, fermi restando gli obblighi di utilizzo di strumenti di acquisto e di negoziazione, anche
telematici, può procedere autonomamente senza necessità di essere qualificata. Sopra specifiche soglie
occorre la qualificazione, quindi occorre distinguere:
-se l’amministrazione ha la qualificazione potrà procedere all’acquisto autonomo;
-se non dispone della qualificazione dovrà ricorrere a centrali di committenza o procedere ad aggregazioni
con altre stazioni appaltanti dotate di qualifica;
-ai comuni non capoluogo, riserva la possibilità di procedere autonomamente (o ricorrere alle unioni di
comuni).
Il sistema di qualificazioni interessa le stazioni appaltanti e le centrali di committenza inserite in un elenco
gestito da ANAC. La qualificazione, che dura 5 anni, si ottiene dimostrando il possesso di requisiti che
attengono a capacità di programmazione e progettazione; capacità di affidamento, capacità di verifica
sull’esecuzione e controllo dell’intera procedura, ivi incluso il collaudo e la messa in opera.
L’art 1 del codice individua il proprio campo di applicazione: si applica ai contratti di appalto e concessione
delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi,
forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione. Gli appalti pubblici sono i contratti a
titolo oneroso, stipulati per iscritto tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici, aventi
per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi. Quelli di lavori hanno a
oggetto l’esecuzione di lavori relativi a una delle attività specificate in apposito allegato (costruzione,
demolizione, recupero, ristrutturazione urbanistica…) e l’esecuzione di un’opera. gli appalti pubblici di
servizi sono contratti tra una o più stazioni appaltanti e uno o più soggetti economici, aventi per oggetto la
prestazione di servizi diversi da quello oggetto degli appalti di lavori. Gli appalti pubblici di forniture hanno
per oggetto l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l’acquisto a riscatto di prodotti. l’affidamento
dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di
applicazione oggettiva del codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità,
parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente e efficienza energetica.
2.1 le principali scansioni del procedimento ad evidenza pubblica: la deliberazione di contrattare: il codice
ha introdotto una fase preliminare facoltativa di consultazione preliminare di mercato. Assai rilevante è il
principio della programmazione. Si prevede un programma biennale obbligatorio per acquisti di beni e
servizi di importo unitario pari o superiore a 40.000 euro e un programma di servizi di importo unitario pari
o superiore a 100.000 euro. Il procedimento ad evidenza pubblica, volto ad assicurare l’imparzialità e la
trasparenza nella scelta del miglior contraente, si apre con la determinazione di contrattare; tale atto
predetermina il contenuto del contratto e la spesa prevista e individua le modalità di scelta del contraente.
2.2 la scelta del contraente: le procedure (dal bando all’aggiudicazione): la seconda fase del procedimento
ad evidenza pubblica è costituita dalla scelta del contraente. Il d.lgs 50/2016 si occupa di procedura aperta
o ristretta. Una fase importante è quella della pre-informazione , con cui le stazioni appaltanti rendono
nota entro il 31/12 di ogni anno, l’intenzione di bandire per l’anno successivo appalti, pubblicando un
avviso sul proprio profilo di committente. La struttura della gara, nelle due ipotesi più frequenti (procedura
aperta e procedura ristretta), è caratterizzata dalla presenza del bando di gara, dall’invito indirizzato solo
agli interessati. Tali atti devono indicare le caratteristiche del contratto, il tipo di procedura seguita per
l’aggiudicazione, i requisiti per essere ammessi, i termini e le modalità da seguire per la presentazione delle
offerte. Ai fini di limitare la discrezionalità nella scelta della rosa dei possibili concorrenti e di superare i
limiti di conoscenza del mercato da parte dell’amministrazione, la legge ha introdotto da tempo una fase di
preselezione nelle procedure ristrette: l’amministrazione non procede direttamente all’invito, ma pubblica
un avviso; le imprese interessate, purchè in possesso dei requisiti, possono far richiesta di partecipare alla
procedura; soltanto a questo punto l’amministrazione procede con l’invito. Nella procedura competitiva
con negoziazione (è una procedura ristretta), qualsiasi operatore economico può presentare una domanda
di partecipazione in risposta a un avviso di indicazione di gara. La normativa sui contratti, da tempo
contiene una serie di regole volte a garantire che l’operatore economico che si affaccia alla gara (e che
potrebbe risultare prima aggiudicatario e poi contraente) possieda sia peculiari capacità tecniche,
professionali, economiche e finanziarie in grado di garantire l’esatta esecuzione dei contratti (cd requisiti di
qualificazione), sia taluni requisiti soggettivi (requisiti di ordine generale). Questi ultimi tutelano l’elemento
fiduciario e attengono a situazioni societarie (es fallimento), alla sussistenza di procedimenti penali dei
legali rappresentanti, gravi infrazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, nonché delle norme
ambientali, a pendenze con il fisco, a false dichiarazioni. Il difetto di questi requisiti di ordine generale,
“morali”, accertati in qualunque momento della procedura porta all’esclusione dell’offerente dalla gara
(“cause di esclusione”).
Per quanto attiene ai criteri di scelta, il d.lgs 50/2016 all’art 95 prevede vari meccanismi:
1) L’offerta può essere individuata sulla base del criterio del minor prezzo o sulla base del minor
costo.
2) Il codice prevede poi il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in ragione del miglior
rapporto qualità/prezzo.
Il codice lascia in linea di principio la discrezionalità in capo all’amministrazione circa la scelta del
criterio, ma pone 2 paletti. Il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo è obbligatorio in taluni casi
(contratti, non assegnati con affidamento diretto, relativi a servizi sociali e ristorazione ospedaliera,
assistenziale e scolastica…); il criterio del minor prezzo è meramente consentito (e non imposto) per i
servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate.
L’aggiudicazione è l’atto amministrativo con cui viene accertato e proclamato il vincitore. Prima
dell’aggiudicazione definitiva vi è la proposta di aggiudicazione che, non impugnabile autonomamente,
deve essere approvata dall’organo competente (termine di 30 gg e opera il silenzio assenso). Ciò porta
a escludere che essa abbia un valore negoziale, da attribuire invece alla successiva stipulazione.
2.3 stipulazione, approvazione, controllo ed esecuzione del contratto: le altre fasi della procedura ad
evidenza pubblica: stipulazione i contratti della PA debbono sempre essere conclusi per iscritto. Il
vincolo sorge soltanto con la stipula del contratto, che avviene entro 60 gg dall’aggiudicazione
definitiva, fatti Salvi i poteri dell’amministrazione di agire in via di autotutela secondo quanto previsto
dall’ordinamento. La regola generale è quella secondo cui la stipulazione del contratto ha luogo entro il
termine di 60 gg dal momento in cui l’aggiudicazione diventa efficace, salvo diverso termine previsto
nel bando o nell’invito a offrire, oppure salva l’ipotesi di differimento espressamente concordata con
l’aggiudicatario. L’esecuzione del contratto può essere subordinata ad approvazione da parte della
competente autorità.
Successivamente alla conclusione e al perfezionamento degli eventuali procedimenti di approvazione e
controllo, il contratto è efficace e viene eseguito dai contraenti nel rispetto delle norme civilistiche.
Alcune vicende che possono verificarsi nel corso dell’esecuzione sono legate al potere di revoca del
contratto, al ricevimento di informazione antimafia interdittiva del Prefetto. Specifiche norme del d.lgs
50/2016 si riferiscono alle modifiche possibili senza una nuova gara in corso di esecuzione, modifiche
non sostanziali. La durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di
esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara l’opzione di proroga. La proroga è limitata al
tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure richieste per l’individuazione di un
nuovo contraente. Il d.lgs 50/2016 riconosce alla parte pubblica che abbia stipulato contratti relativi
all’esecuzione di contratti di appalto una serie di poteri peculiari e tassativi. L’art 108 d.lgs: in tema di
lavori pubblici, l’amministrazione può risolvere il contratto ove ricorrano alcune specifiche condizioni
(es grave inadempimento). In materia di lavori pubblici è contemplato all’art 109 d.lgs:
l’amministrazione può recedere in qualunque tempo dai contratti, previo il pagamento dei lavori
eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguiti nonché del valore dei materiali utili
esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo
dell’importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite.
2.4 concessioni e appalti nei settori speciali: il codice dei contratti pubblici disciplina anche la
concessione (e questa è una novità rispetto al passato) e gli appalti nei settori cd speciali. La
concessione, di lavori o di servizi, si caratterizza tradizionalmente per l’affidamento della gestione (a
titolo di corrispettivo), per il trasferimento del rischio operativo (che l’appaltatore invece non
sopporta). Si considera che il concessionario assuma il rischio operativo nel caso in cui non sia garantito
il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi
oggetto della concessione. Quanto alle procedure di aggiudicazione, la scelta del codice è quella di
richiamare i principi generali sui contratti, che vanno integrati con le regole espressamente dettate per
le concessioni dalla parte III.
La concessione può essere annullata in via di autotutela e, per vizi originari o sopravvenuti
tassativamente indicati, cessa quando: - il concessionario avrebbe dovuto essere escluso per carenza di
requisiti di ordine generale; -la stazione appaltante ha violato il diritto dell’UE con riferimento al
procedimento di aggiudicazione; -la concessione ha subito una modifica che avrebbe richiesto una
nuova procedura di aggiudicazione. La concessione può poi essere risolta per inadempimento
dell’amministrazione aggiudicatrice, revocata per motivi di pubblico interesse, risolta per cause
imputabili al concessionario.
2.5 interessi legittimi, vizi del procedimento amministrativo e riflessi sulla validità del contratto: la
delibera a concludere un contratto a trattativa privata, che pregiudica l’interesse protetto
dell’imprenditore il quale aspira a partecipare alla gara, e l’aggiudicazione o l’approvazione del
contratto, possono quindi essere lesivi di interessi legittimi e di conseguenza venire autonomamente
impugnati. A seguito dell’annullamento (giurisdizionale o in via di autotutela) degli atti amministrativi e
dei loro effetti si producono conseguenze che si riverberano sulla validità del contratto. L’annullamento
in via di autotutela dell’aggiudicazione dopo la stipula del contratto incida sul contratto medesimo.
4 la responsabilità civile dell’amministrazione e dei suoi agenti: l’art 28 cost. e la responsabilità
extracontrattuale: Il pubblico dipendente nell’esercizio delle proprie funzioni può incorrere in cinque
tipologie di responsabilità: responsabilità civile, responsabilità amministrativo-contabile, responsabilità
penale, responsabilità disciplinare e responsabilità dirigenziale.
La responsabilità civile si configura se il dipendente della pubblica amministrazione arreca un danno a
terzi, interni o esterni all’amministrazione, o alla stessa amministrazione.
La responsabilità amministrativo-contabile si configura se il dipendente pubblico arreca un danno
erariale alla pubblica amministrazione. Il danno erariale è il danno sofferto dallo Stato o da un altro
ente pubblico a causa dell’azione o dell’omissione di un soggetto che agisce per conto della pubblica
amministrazione in qualità di funzionario, dipendente o, comunque, di soggetto inserito in un suo
apparato organizzativo; il danno di tipo erariale può essere diretto quando è causato all’ente
direttamente dal dipendente o indiretto quando il pregiudizio non è causato all’ente direttamente dal
dipendente, ma deriva dal risarcimento che lo Stato ha dovuto corrispondere ad un terzo che è stato
danneggiato da attività poste in essere dal dipendente. La responsabilità penale si configura se il
dipendente pubblico delinque, tenendo una condotta delittuosa con effetti pregiudizievoli per
l’amministrazione alla quale appartiene. La responsabilità disciplinare si configura se il dipendente
pubblico viola obblighi previsti dalla legge, dal contratto collettivo nazionale di lavoro o dal codice di
comportamento. La responsabilità dirigenziale riguarda solo il personale dirigenziale e si configura ove
il dirigente non raggiunga i risultati prefissati dal vertice politico o si discosti dalle direttive dell’organo
politico. La norma che costituisce il fondamento del principio della responsabilità del dipendente
pubblico è l’art. 28 della Costituzione che stabilisce che «i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli
enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti
compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti
pubblici». Tale regola si basa sulla teoria dell’immedesimazione organica, in virtù della quale il
dipendente e l’amministrazione cui lo stesso appartiene possono essere chiamati in solido, cioè
entrambi, a rispondere dei danni causati a terzi, laddove la condotta sia stata posta in essere dal
dipendente nell’ambito delle proprie attribuzioni e risulti comunque rivolta alla realizzazione dei fini
istituzionali dell’ente di appartenenza. Le tipologie di responsabilità richiamate non sono tra loro
alternative o incompatibili, ma possono concorrere, potendo la medesima condotta dar luogo alla
violazione di distinti precetti e, quindi, essere fonte di distinte e concomitanti responsabilità ed il suo
autore essere assoggettato a più sanzioni di natura diversa (penale o disciplinare) o chiamato a
rispondere del danno a diverso titolo (civile o erariale). A titolo di esempio si può pensare alla condotta
del dipendente che si allontani ingiustificatamente dal proprio ufficio dopo la timbratura del cartellino
di presenza, condotta che potrà dare origine sia ad un reato di truffa ai danni dell’ente di appartenenza,
sia ad un danno di tipo erariale, derivante dalla erogazione del trattamento economico non
accompagnato dalla controprestazione lavorativa, nonché ad una ipotesi di danno all’immagine
dell’ente di appartenenza. Con riguardo a quest’ultima ipotesi va precisato che il danno all’immagine
della pubblica amministrazione, secondo la dottrina, pur rientrando nell’alveo del danno erariale, si
caratterizza perché “lede il buon andamento dell’amministrazione, la quale, a causa della condotta
illecita perpetrata dai dipendenti infedeli, perde la credibilità e la fiducia dei cittadini amministrati,
poiché ingenera in questi ultimi la convinzione che il comportamento illecito posto in essere dal
dipendente rappresenti il modo in cui l’ente agisce ordinariamente”. Tale tipologia di danno va ad
incidere sul prestigio e sulla credibilità dell’amministrazione. Da ultimo, la condotta descritta
nell’esempio rileva anche come illecito di natura disciplinare.
La responsabilità civile della pubblica amministrazione e dei suoi dipendenti: L’amministrazione
pubblica ed il proprio personale dipendente possono incorrere nelle forme di responsabilità civile. La
responsabilità civile viene definita come quella forma di responsabilità (distinta da quella penale,
amministrativo-contabile, disciplinare e dirigenziale) che comporta il dovere di risarcire il danno
arrecato per la lesione della sfera giuridica di un altro soggetto. Sotto il profilo normativo,
giurisprudenziale e dottrinale si distingue all’interno del genere della “responsabilità civile” tra
“responsabilità extracontrattuale”, “responsabilità contrattuale” e “responsabilità precontrattuale”.
La responsabilità extracontrattuale viene anche definita responsabilità aquiliana e sorge a fronte della
produzione, con dolo (cioè la volontà di commettere il fatto) o colpa grave (cioè la violazione
particolarmente grossolana delle regole di diligenza, prudenza e perizia che il caso concreto avrebbe
richiesto di osservare), di un danno ingiusto (ingiusto perché è stata violata una norma giuridica) ad
altri, senza violazione di una preesistente obbligazione, ma a causa della mera inosservanza del
generale dovere del neminem laedere (obbligo generico di non recare danno a nessuno), inosservanza
che obbliga a risarcire il danno, ai sensi dell’art. 2043 ss. del Codice civile, attraverso la corresponsione
di una somma di denaro al danneggiato. E’ importante ricordare che affinché si configuri la
responsabilità extracontrattuale in capo alla pubblica amministrazione o ad un suo dipendente è
richiesta la colpa grave; in altri termini, non è sufficiente, ove si tratti di pubblica amministrazione e
dipendenti della stessa, a far sorgere la responsabilità aquiliana o extracontrattuale la colpa lieve, che si
configura quando non venga usata la diligenza, la prudenza e la perizia propria dell’uomo medio, ed è,
invece, sufficiente a far sorgere tale forma di responsabilità nei rapporti tra privati.
La responsabilità contrattuale si configura invece come inadempimento di una preesistente
obbligazione tra le parti, la quale comporta l’applicazione delle regole dettate dagli art. 1218 ss. del
Codice civile e fa sorgere l’obbligo di risarcire il danno a meno che non si provi che l’inadempimento o il
ritardo siano stati determinati da impossibilità della prestazione per cause non imputabili alla parte.
La responsabilità precontrattuale ricorre nelle ipotesi di violazione del dovere di non ledere l’altrui
libertà negoziale, ovvero delle norme che regolano la fase delle c.d. trattative negoziali la cui
inosservanza si traduca in un danno per la controparte vanamente impegnatasi nella negoziazione,
danno che va risarcito ai sensi degli artt. 1337 e 1338 del Codice civile.
La principale peculiarità dell’illecito extracontrattuale (l’illecito extracontrattuale si configura nel caso di
violazione del generico obbligo di non ledere l’altrui sfera giuridica) e dell’illecito civile (l’illecito civile
sorge nelle ipotesi di violazione di un obbligo che scaturisce da un contratto o dalla legge), qualora
l’autore del danno sia una pubblica amministrazione, è rappresentata, rispetto alla generale evenienza
di una condotta illecita posta in essere dai soggetti privati, dal meccanismo della c.d. solidarietà
passiva, delineata dall’art. 28 Cost., e dagli artt. 22 seg., d.P.R. n. 3 del 1957, la quale comporta il fatto
che, se a produrre un danno a terzi è un pubblico dipendente nell’esercizio di compiti istituzionali, del
danno risponda anche l’ente di appartenenza. La ratio del coinvolgimento “pecuniario” della pubblica
amministrazione in caso di danni arrecati a terzi da propri dipendenti va ricercata nella evidente
circostanza che lo Stato e gli altri enti pubblici non possono agire che a mezzo dei propri organi, il cui
operato deve essere considerato come l’operato posto in essere dagli stessi enti nei quali gli organi si
immedesimano; è in virtù di tale rapporto organico che la responsabilità derivante dalla attività posta in
essere dagli organi risale appunto alle persone giuridiche pubbliche (enti) delle quali essi sono
espressione. L’art. 22 del d.P.R. n. 3 del 1957 dispone che l’azione di risarcimento nei confronti
dell’impiegato può essere esercitata congiuntamente con l’azione diretta nei confronti
dell’amministrazione, qualora sussista anche la responsabilità di questa. In questo caso l’azione può
essere esperita alternativamente o congiuntamente sia contro l’impiegato sia contro l’amministrazione.
L’alternatività non è assoluta poiché i dipendenti pubblici rispondono per i danni arrecati a terzi solo
per dolo o colpa grave. La legge prevede la possibilità che la pubblica amministrazione eserciti l’azione
di rivalsa nei confronti del dipendente per ottenere dal dipendente quanto la stessa ha dovuto
corrispondere ai terzi a titolo di risarcimento del danno cagionato dal dipendente.
La responsabilità amministrativo-contabile del dipendente pubblico: La responsabilità amministrativo-
contabile del dipendente pubblico trova oggi la sua disciplina, sostanziale e processuale, nelle leggi 14
gennaio 1994 n. 19 e 20, come novellate dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639 che ha apportato
significative modifiche alla materia, anche con riguardo al giudice di tale responsabilità, ovvero la Corte
dei conti. La responsabilità amministrativocontabile si configura qualora il dipendente pubblico (o
soggetti legati alla pubblica amministrazione da rapporto di servizio) provochi un danno patrimoniale
alla propria amministrazione o ad altro ente pubblico (ivi compresa l’Unione Europea). Essa, dunque,
non differisce sostanzialmente dalla ordinaria responsabilità civile, se non per la particolare
qualificazione del soggetto autore del danno (pubblico dipendente o soggetto legato alla pubblica
amministrazione da rapporto di servizio), per la natura del soggetto danneggiato (ente pubblico) e per
la causazione del danno nell’esercizio di pubbliche funzioni. In caso di danni arrecati alla pubblica
amministrazione da un proprio dipendente, l’ente danneggiato potrebbe recuperare il risarcimento
attraverso l’esercizio dell’azione di rivalsa nei confronti del dipendente innanzi al giudice ordinario.
La responsabilità penale: La responsabilità penale si configura quando la trasgressione dei doveri
d’ufficio dà luogo ad un reato. La responsabilità penale è personale. Nel titolo II del libro II del Codice
penale sono disciplinati i delitti contro la pubblica amministrazione. La disciplina di tali reati è stata
oggetto di intervento ad opera della l. 6-11-2012, n. 190, c.d. legge anticorruzione, con la quale il
legislatore ha inteso potenziare la risposta punitiva dello Stato a fronte di condotte illecite poste in
essere dai soggetti nell’esercizio di funzioni pubbliche. I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica
amministrazione presuppongono, in primo luogo, che vi sia un soggetto che rivesta una determinata
qualifica: si tratta delle figure del pubblico ufficiale, dell’incaricato di pubblico servizio nonché
dell’esercente un servizio di pubblica necessità. Per quanto concerne, invece, le singole figure
delittuose, bisogna ricordare, tra le altre, le figure già analizzate nella Prima Parte delle Dispense di
Diritto Amministrativo quali: il peculato, che si configura come un’appropriazione indebita del pubblico
funzionario, avente la disponibilità di determinati oggetti per ragioni del suo ufficio (artt. 314 e 323 bis
Codice penale); — la concussione, che ricorre quando il pubblico ufficiale, abusando della sua qualità o
dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere utilità, in maniera indebita (artt. 317 e 323 bis
Codice penale); — la corruzione, che si sostanzia, in genere, nella condotta propria del pubblico
ufficiale che riceve, per sé o per altri, denaro o altre utilità per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi
poteri (artt. 318- 322 Codice penale). Altri due delitti contro la pubblica amministrazione che possono
essere ricordati sono: — l’abuso di ufficio, che si realizza quando un pubblico ufficiale o un incaricato di
un pubblico servizio, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di
regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo
congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio
patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto (art. 323 Codice penale); — la rivelazione ed
utilizzazione di segreti d’ufficio (art. 326 Codice penale).
La responsabilità disciplinare: La responsabilità disciplinare sorge in caso di violazione degli obblighi di
condotta cui il pubblico dipendente deve attenersi. Tali obblighi sono previsti dalla legge, dai codici di
comportamento e/o dal contratto collettivo nazionale di lavoro.
5.la disciplina posta dal legislatore ordinario: il t.u degli impiegati civili dello Stato (dpr 3/1957): il
legislatore ordinario che in precedenza mai si era occupato della disciplina della responsabilità dei
funzionari e dipendenti pubblici, ha incluso un intero capo, dedicato alla responsabilità, nel testo unico
dello statuto degli impiegati civili dello Stato. Così sotto la rubrica “responsabilità” verso i terzi, l’art 22
del citato decreto del 1957 sancisce la personale responsabilità dell’impiegato “che cagioni ad altri un
danno ingiusto”, definendo “ingiusto” il danno “derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi
commessa con dolo o colpa grave”. Questa disciplina è rivolta ad alleggerire la responsabilità civile dei
funzionari e dipendenti pubblici, discostandosi da quella comune attraverso la sostituzione del requisito
della colpa con quello della colpa grave. In ordine alla legittimità costituzionale, la Corte cost. ha
statuito che se una norma legislativa sulla responsabilità del funzionario o dipendente non la “nega
totalmente” o non “esclude del tutto” quella dello Stato, essa è conforme alla costituzione, con ciò
ammettendo che qualsiasi legge, possa sancire una disciplina diversa da quella delle “Leggi civili”.
6.i riflessi di tale disciplina su dottrina e giurisprudenza: la responsabilità diretta della PA e la
responsabilità dei suoi funzionari e dipendenti: visto che era ormai consentito limitare mediante leggi
amministrative la responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici, altrettante limitazioni avrebbero
dovuto applicarsi alla responsabilità degli enti pubblici. In tal modo, la tutela dei diritti dei terzi, si
sarebbe ridotta a livelli inferiori a quelli esistenti prima di essa. Fu rafforzata la tesi della cd
responsabilità diretta, da ricondursi a una fattispecie d’illecito diversa rispetto a quella sulla
responsabilità della persona fisica agente. in questo caso l’elemento soggettivo non è quello della colpa
grave, bensì la colpa dell’uomo medio che è un grado più attenuato di colpa. Non solo: questa veniva
richiesta solo ove si trattasse di attività materiale dell’ente pubblico. È affermato che il giudice dovrà
effettuare una indagine estesa alla valutazione della colpa, non del funzionario agente, ma della PA
intesa come apparato che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto
illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona
amministrazione. Appare evidente come la fattispecie di illecito dei primi presenti rilevanti differenze
nei confronti della seconda. Per essi è richiesta la colpa grave.

11.obbligazioni e servizi pubblici: il servizio pubblico è la complessa relazione che si instaura tra
soggetto pubblico, che organizza un’offerta pubblica di prestazioni, rendendola doverosa, e utenti. Tale
relazione ha ad oggetto le prestazioni di cui l’amministrazione, predefinendone i caratteri attraverso la
individuazione del programma del servizio, garantisce, direttamente o indirettamente, l’erogazione, al
fine di soddisfare in modo continuativo i bisogni della collettività di riferimento, in capo alla quale sorge
di conseguenza una aspettativa giuridicamente rilevante. Il servizio è dunque “pubblico” in quanto reso
al pubblico degli utenti per la soddisfazione dei bisogni della collettività. Il servizio pubblico è “assunto”
dal soggetto pubblico con legge o con un atto generale, rendendo doverosa la conseguente attività. Alla
fase dell’assunzione del servizio segue quella della sua erogazione, cioè la concreta attività volta a
fornire prestazioni ai cittadini. In proposito, l’ordinamento prevede forme tipizzate di gestione. accanto
alla gestione diretta (o indiretta a mezzo di enti pubblici) è contemplato spesso l’intervento di soggetti
privati. Di recente, si è introdotto l’impiego del “contratto di servizio” quale strumento per disciplinare i
rapporti tra amministrazione e soggetto esercente: il d.lgs 422/1997, ad esempio, dispone che
l’esercizio dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale, con qualsiasi modalità effettuati e in
qualunque forma affidati, è regolato “mediante contratti di servizio di durata non superiore a 9 anni”.
Molteplici sono le classificazioni che possono essere operate in relazione ai servizi pubblici. già s’è fatto
cenno alla distinzione tra servizi a rilevanza economica (per i quali sussiste un mercato e dunque la
competenza legislativa statale esclusiva in materia di concorrenza; esercitabili in forme imprenditoriali,
essi rilevano per il diritto europeo e vanno affidati ai privati con procedure concorsuali: si pensi a
trasporti ed energia) e servizi privi di rilevanza economica (fuori del mercato: si pensi ai servizi sociali).
la costituzione parla di “servizi pubblici essenziali”. Gli artt. 33, 34 e 38 cost. ostano invece alla
nazionalizzazione e, cioè all’instaurazione di un monopolio pubblico per i servizi di istruzione (la
repubblica deve garantire a tutti “la scuola è aperta a tutti”, possibilità di fruizione) e di assistenza. Con
riferimento agli enti locali, la legge si riferisce ai servizi indispensabili e a quelli “ritenuti necessari per lo
sviluppo della comunità” (art 149 TU enti locali). Essi son finanziari dalle entrate fiscali.
I servizi sociali sono caratterizzati dai seguenti elementi: finalizzazione alla tutela e alla promozione del
benessere della persona, doverosità della predisposizione degli apparati pubblici necessari per la loro
gestione e, nella prospettiva della sussidiarietà orizzontale, assenza del divieto per i privati di svolgere
siffatta attività. di recente, è emersa la categoria di servizio universale, “insieme minimo definito di
servizi di qualità determinata, accessibili a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica
e a un prezzo accessibile” nel settore delle telecomunicazioni. Nozione diversa è quella di servizi di
pubblica utilità (settori dell’energia elettrica, del gas e delle telecomunicazioni): qui l’accento va posto
sul pubblico cui possono essere rese le prestazioni. Si distingue infine tra servizi a fruizione collettiva (si
pensi all’illuminazione) e servizi a fruizione individuale, erogati sulla base di un rapporto giuridico
specifico con l’utente (si pensi al trasporto e biglietto). Una specifica menzione meritano i servizi
pubblici locali che rientrano nella titolarità di comuni e province.
Tornando ai servizi pubblici in generale, la dottrina si è impegnata a nell’individuazione dei principi
giuridici applicabili al settore: accanto a quelli sopra analizzati, della doverosità, della continuità, della
parità di trattamento, della tipicità dei modelli di gestione e di eguaglianza, sono stati indicati i principi
dell’economicità, quelli della qualità, tutela e partecipazione. La norma da ultimo citata prevede che i
casi e le modalità di adozione delle carte dei servizi (le quali esplicitano i caratteri dei servizi offerti al
pubblico); da rimarcare anche il nesso con la trasparenza. Ulteriori principi: universalità e accessibilità.
Il d.l 332/1994 stabilisce che le dismissioni delle partecipazioni azionarie dello Stato e degli enti pubblici
nelle società in mano pubblica operanti nel settore della difesa, trasporti, telecomunicazioni, fonti di
energia sono subordinate alla creazione di organismi indipendenti per il controllo della qualità dei
servizi di rilevante interesse pubblico.

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