Sei sulla pagina 1di 16

DIRITTO TRIBUTARIO – PARTE GENERALE

L’ATTIVITA’ CONOSCITIVA

Premessa
La P.A. per potere agire nelle sue molteplici attività deve necessariamente “conoscere”; le regole di
questa attività si pongono in altri settori.
Nel campo del diritto tributario il modo in cui l’amministrazione può acquisire conoscenze ha un
rilievo particolare poiché si pone in un vero e proprio conflitto di interessi nei confronti del
cittadino, e cioè mediante l’esercizio di poteri autoritativi fortemente penetranti.
Questa attività è sostanzialmente vista come una fase del complessivo procedimento tributario, ma
in realtà tale collocazione ha un semplice valore descrittivo e, dal punto di vista giuridico, poco
vincolante; infatti nel tempo è sempre più venuta emergendo la visione secondo cui il vero oggetto
dell’attività conoscitiva è la realtà dei fatti verificatesi e non le rappresentazioni (verbali o scritte)
date dal contribuente.
Inoltre non sempre l’attività conoscitiva si connette all’attività di accertamento, non sempre i poteri
di indagine ed ispezione comportano l’emanazione di accertamenti; tra l’attività conoscitiva e quella
di accertamento vi è solo un nesso mediato ma non necessario.
In realtà l’attività conoscitiva costituisce un vero e proprio settore autonomo e distinto dagli altri
ambiti e tale tematica assume la massima rilevanza in materia di imposte dirette ed in tutti i campi
in cui la legge tende a misurare l’imposta ai fatti economici.

Disciplina
Il DPR 600/73 a partire dall’articolo 32 ci rende in maniera dettagliata la disciplina di indagine
tributaria. In quest’ambito rileva la distinzione tra conoscenze acquisite mediante l’esercizio di
poteri autoritativi e non.
Tali poteri sono:
1) L’invito a comparire o esibire documenti
2) Il questionario tributario
3) La richiesta di chiarimenti
4) Accessi, ispezioni e verifiche
5) Indagini bancarie

INVITO A COMPARIRE O ESIBIRE DOCUMENTI


L’invito a comparire si sostanzia più in un “ordine” che in un vero e proprio invito; è rivolto ai
contribuenti e deve essere motivato e finalizzato alla acquisizione di dati e notizie personali che
abbiano una certa rilevanza fiscale. In occasione della comparizione va redatto un verbale
contenente le richieste fatte e le risposte ricevute e tale verbale va poi sottoscritto anche dal
contribuente.
Tale invito può anche contenere un ordine di esibizione di atti e documenti riguardante soggetti
obbligati alla tenuta delle scritture contabili e dei registri fiscalmente obbligatori; ricordiamo che
tale acquisizione non è estesa al conseguimento di notizie riguardanti “terzi” ma solo di notizie
personali.

IL QUESTIONARIO TRIBUTARIO
E’ un istituto tipico del diritto tributario, introdotto al fine di evitare al contribuente il disagio di
recarsi presso gli uffici per fornire dati e notizie che potrebbero fornirsi per iscritto.
Si tratta di un istituto alternativo all’invito di comparizione mediante il quale il contribuente riceve
per l’appunto i questionari, li compila, li firma e li restituisce agli uffici competenti (di solito uffici
IVA ed uffici imposte dirette).
ACCESSI, ISPEZIONI E VERIFICHE
L’ambito in questione attiene ad attività sostanzialmente volte all’acquisizione di dati e notizie
riguardanti “terze persone”. Si tratta senza dubbio degli strumenti più importanti nell’ambito
dell’attività conoscitiva, in quanto volta a disciplinare i conflitti tra l’interesse “a conoscere” della
P.A. e l’interesse alla riservatezza del cittadino.
In concreto il legislatore ha investito del potere di effettuare accessi, ispezioni e verifiche sia gli
uffici finanziari operativi che la Guardia di finanza, subordinandone l’esercizio in taluni casi ad una
preventiva autorizzazione della Procura della repubblica, e ciò proprio alla salvaguardia delle
esigenze connesse alla tutela della riservatezza.
Per accesso si intende “l’entrare in qualche luogo”; l’ispezione indica “la fase di ricerca di un
quid”; la verifica consiste nel “controllo del materiale rinvenuto”. Si tratta di 3 fasi strettamente
correlate.
La disciplina che emerge dal DPR 600/73 può essere così riassunta:
1) Vi sono locali facilmente accessibili: si tratta di ambienti destinati allo svolgimento di attività
agricole o commerciali. Vi è però un solo limite, e cioè è necessaria la presenza del titolare
dell’esercizio o del capoufficio;
2) Vi sono locali destinati all’esercizio di arti e professioni: l’accesso è indiscriminato, ma
necessita della presenza del professionista. Tale esigenza è dettata dal fatto che negli studi
professionali (si pensi all’avvocato) vi è il problema della tutela del segreto professionale,
problema che coinvolge anche l’interesse di terzi in misura maggiore rispetto ai locali
commerciali ed agricoli. Ovviamente le notizie acquisite in sede di ispezione fiscale possono
circolare all’interno dell’Amministrazione finanziaria, ma non possono uscire all’esterno in
virtù del segreto d’ufficio a cui sono tenuti i membri dell’Amministrazione.
3) Vi sono poi locali destinati promiscuamente ad impresa, esercizio di una professioni ed
abitazione: in tali ipotesi per quanto attiene la sfera del domicilio è necessaria una preventiva
autorizzazione della Procura della Repubblica. Si rende poi necessaria un’altra specifica
autorizzazione quando nel corso dell’attività di indagine tributaria, gli agenti intendono
procedere all’apertura di cassetti, armadi, casseforti,etc. oppure quando il professionista
eccepisca il segreto professionale. In quest’ultimo caso l’autorizzazione della Procura della
Repubblica si ritiene abbia natura amministrativa (e non giurisdizionale).
4) Vi sono locali destinati esclusivamente ad abitazione: in questi casi è sempre necessaria una
preventiva autorizzazione del Procuratore della repubblica, ma solo se vi sono gravi indizi di
violazioni fiscali
5) Vi sono ispezioni inerenti autoveicoli, natanti,etc.: in questi casi se l’autoveicolo è privato si
applicano le disposizioni inerenti le abitazioni private; viceversa se è pubblico.

Passiamo adesso ad analizzare l’esecuzione delle ispezioni fiscali, che rappresenta la fase attuativa
del provvedimento che le ha disposte.
In quanto fase attuativa, l’esecuzione delle ispezioni fiscali si concretizza in attività materiali le
quali soggiacciono a tali principi:
1) non si applicano le regole del codice di procedura penale per le indagini amministrative
2) le ispezioni fiscali riguardano tutti i libri, registri e documenti rinvenuti nei locali
dell’ispezione; i libri, le scritture ed i documenti di cui venga rifiutata l’esibizione in corso di
ispezione non possono fare prova a favore del contribuente in sede contenziosa.
3) Va redatto processo verbale indicante tutte le operazioni eseguite e tutte le richieste fatte al
contribuente e le risposte da lui ricevute; il verbale va poi sottoscritto dal contribuente. Esso è
un atto conclusivo e riassuntivo delle indagini tributarie.
Bisogna osservare che l’area delle ispezioni fiscali è stata di recente innovata dall’articolo 12 della
legge 212/2000 (statuto del contribuente) mediante il quale sono stati riconosciuti al contribuente
non pochi diritti e garanzie che possono così riassumersi:
- Comma 1: il contribuente deve subire la minore turbativa possibile nell’ambito della sua
attività professionale o commerciale
- Comma 2: il contribuente deve essere informato all’inizio della verifica dei motivi della
stessa e può farsi assistere da un avvocato
- Comma 3: su richiesta del contribuente l’esame dei documenti amministrativi e contabili
può essere effettuato nell’ufficio dei verificatori
- Comma 4: le osservazioni del contribuente debbono essere riportate nel processo verbale
- Comma 5: la permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente non può superare i
30 giorni lavorativi (proroga di altri 30 giorni in caso di indagini parecchio complesse)
Se dall’ispezione fiscale emergono irregolarità, questa si conclude con un atto detto “Processo
verbale di constatazione” mediante il quale vengono comunicate al contribuente le violazioni
emerse; questi entro 60 giorni può formulare contro-deduzioni.

LE INDAGINI BANCARIE
Sino alla riforma tributaria degli anni 70 era in vigore il c.d. segreto bancario, istituto volto ad
impedire all’amministrazione finanziaria di acquisire presso le banche informazioni e notizie sui
clienti. Nell’ultimo periodo si è sempre più affermata la possibilità che l’amministrazione
finanziaria possa acquisire dalle banche notizie sui clienti (che ovviamente sono contribuenti).
La soluzione adottata dal legislatore è nel senso di concedere campo libero alle indagini, ma vanno
però precisati due aspetti di tipo particolare inerenti le modalità di acquisizione delle informazioni e
l’utilizzo delle stesse:
1) Modalità di acquisizione delle notizie: l’amministrazione finanziaria ha uno strumento
istituzionale tipico che è quello della “richiesta” ; ma oltre ad invitare le banche a dare
notizie, la Amministrazione può svolgere indagini presso la banca (ovviamente un accesso
finalizzato non al controllo della banca ma del cliente/contribuente della banca). L’oggetto
del controllo sono gli estratto conti, gli assegni e tutti gli altri documenti che tendono a
rivelare importanti informazioni. In questi casi il direttore della banca deve avvisare il
cliente dello svolgimento delle indagini sul suo conto e la banca è responsabile nel tutelare
“terzi” indirettamente coinvolti nell’ispezione bancaria. La legge dispone d’altro canto che il
contribuente deve sempre dichiarare dove ha i conti correnti.
2) Utilizzo di notizie: ci troviamo in un ambito che si segnala per l’iniquità delle norme; vi è
infatti un inversione dell’onere della prova, poiché il contribuente deve dimostrare
l’irrilevanza fiscale dei dati acquisiti.
3) Tutela del contribuente nei casi di esercizio illegittimo dei poteri di indagine: Gli
orientamenti prevalenti in dottrina riconoscono l’ammissibilità diretta alla tutela
giurisdizionale nel caso in cui il contribuente subisca una violazione dei suoi diritti. La
giurisprudenza invece non riconosce forme di tutela dirette bensì indirette.
Ma se l’indagine seppur illegittima si sia comunque svolta, quali risvolti avremo ? E’un
problema su cui la Cassazione non ha trovato una soluzione finale continuando ad oscillare tra
varie soluzioni:
a) illegittimità di qualunque accertamento fondato su di una indagine illegittima (invalidità
derivata)
b) inutilizzabilità delle conoscenze acquisite in maniera illegittima (tesi preferita dal prof.)
c) utilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite ( poiché il divieto di utilizzare prove
illegittimamente acquisite vige espressamente nell’ambito del processo penale, mentre nel
diritto tributario non abbiamo una norma esplicita in tal senso).
DIRITTO TRIBUTARIO – PARTE GENERALE

L’ATTIVITA’ DI INDIRIZZO

Premessa
Grandissimo rilievo assume in ambito tributario l’attività di indirizzo: tale attività si esprime nelle
direttive attraverso le quali gli uffici centrali orientano l’attività degli uffici periferici operativi al
fine di assicurare il buon funzionamento dell’apparato amministrativo ex articolo 97 Cost.
Si tratta di una attività interna alla stessa P.A. ma che ha riflessi esterni sui contribuenti.
Essa ha il suo presupposto di operatività ed l suo fondamento nel rapporto gerarchico che lega gli
uffici superiori (e cioè centrali) con gli uffici periferici; in base a tale rapporto “i superiori” dettano
regole agli “inferiori”
L’attività di indirizzo risulta di fondamentale importanza sia per l’uniformità di condotta che da essa
deriva, sia per una parità di trattamento che essa assicura; infatti i nuovi ordinamenti tributari sono
fondati sul principio di autotassazione e, quindi, risulta necessario che i contribuenti vengano
orientati.

ATTI DI INDIRIZZO INTERNI


Veniamo adesso alla distinzione tra atti di indirizzo meramente interni ed atti che possono avere
rilevanza esterna:
Gli atti aventi rilevanza interna danno vita ad attività che si estrinsecano attraverso gli strumenti
fondamentali delle circolari, note e risoluzioni.
Si tratta di atti emanati dall’amministrazione centrale in forza della supremazia gerarchica che
possono esercitare sugli uffici sott’ordinati.
In particolare:
- le circolari sono atti che l’amministrazione centrale indirizza a tutti gli uffici periferici al
fine di assicurare una uniforme applicazione ed interpretazione di nuove leggi tributarie
- le note e le risoluzioni sono invece atti diretti a singoli uffici con cui l’amministrazione
centrale fornisce istruzioni per la soluzione di specifiche controversie apertesi. Questi due
atti hanno solo efficacia diretta interna verso l’ufficio a cui sono indirizzate e con riguardo
ai problemi specifici da risolvere.
Riguardo questi atti si pongono dei problemi concreti:
1) una circolare emanata “contra legem” deve essere rispettata (posto che si tratta di atti
vincolanti solo all’interno) ? La risposta è NO ! L’ordine illegittimo può essere non eseguito
perché è un atto non vincolante a livello dell’ordinamento generale e comporta, al massimo,
una responsablità dei funzionari che hanno impartito quest’ordine.
2) può il contribuente addurre a proprio favore il fatto che il funzionario non abbia
applicato la circolare ? In ipotesi come questa si configura l’eccesso di potere, tipico del
diritto amministrativo. Nel diritto tributario, invece, non si può configurare l’eccesso di
potere poiché si verte in un settore in cui non abbiamo alcun potere discrezionale; inoltre è
esclusa anche l’impugnabilità in sede giurisdizionale di tali atti di indirizzo meramente
interni poiché ritenuti non lesivi per i cittadini.

ATTI DI INDIRIZZO AVENTI FORMA REGOLAMENTARE


Si tratta di atti a rilevanza esterna che vengono emanati con decreto ministeriale o con decreto
governativo ed infatti hanno forma regolamentare.
A tali atti non può certo negarsi una certa rilevanza esterna e l’orientamento dominante è nel senso
che essi debbano considerarsi atti amministrativi generali anche se vi sono due tipi di problemi da
risolvere:
1) come individuare i criteri di distinzione tra regolamenti aventi efficacia normativa e
regolamenti espressivi della funzione amministrativa ? tale problema viene risolto considerando
regolamenti ad efficacia normativa quelli aventi carattere di astrattezza e generalità, mentre sono da
considerare regolamenti di funzione amministrativa quelli privi dei requisiti di astrattezza e
generalità.
2) come si distinguono i regolamenti aventi funzione amministrativa a seconda che abbiano o
meno attività di indirizzo ? tale problema viene risolto individuando negli atti di indirizzo quelli
riconducibili alla natura dell’interesse pubblico perseguito.
Una volta definita la natura dei regolamenti di indirizzo, sottolineamo che:
a) non sono disapplicabili in sede giurisdizionale poiché hanno incidenza soltanto indiretta sul
rapporto Stato-cittadino
b) sono autonomamente impugnabili da chiunque sia portatore di un interesse giuridicamente
rilevante

I PIU’ IMPORTANTI ATTI AD INDIRIZZO ESTERNO: Criteri selettivi per l’esercizio dei
poteri di controllo ed “il redditometro”.

Gli atti di indirizzo aventi rilevanza esterna più importanti sono :


1) I criteri selettivi
2) Il redditometro
3) Gli studi di settore
4) Il diritto di interpello
Veniamo ai criteri selettivi.
A seguito della legge 146/80 gli uffici delle entrate procedono al controllo delle dichiarazioni
presentate ed all’individuazione dei soggetti che ne hanno omesso la presentazione “sulla base di
criteri selettivi fissati annualmente dal Ministro delle finanzecon apposito decreto ministeriale e
tenendo conto delle capacità operative dei singoli uffici”.
Possiamo discernere nell’ambito dei criteri selettivi 3 profili:
- la predeterminazione del numero totale dei controlli
- l’utilizzazione della capacità operativa dei singoli uffici
- la formazione di apposite liste di contribuenti che si trovano in una situazione di astratta
pericolosità fiscale

Parliamo adesso del redditometro; con tale espressione si fa riferimento ad un provvedimento (un
decreto ministeriale) emesso ai sensi dell’articolo 38 comma 4 del DPR 600/73 e volto ad
orientare l’attività degli uffici periferici nella quantificazione degli imponibili determinabili in sede
di accertamento sintetico del reddito delle persone fisiche; è quindi un atto amministrativo generale
emanato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze con cui si stabiliscono indici e coefficienti al
fine di quantificare in via presuntiva la quantificazione del reddito di ciascuna persona fisica sulla
base di elementi genericamente indicativi di capacità contributiva ma privi di uno specifico rapporto
con le fonti produttive di reddito.
Esso attiene alla valutazione e verifica dei comportamenti di quei contribuenti che abbiano
presuntivamente occultato i loro imponibili.
La sua emanazione da parte del Ministro dell’Economia è stata il frutto dell’evoluzione che si è
avuta con la riforma tributaria degli anni 70; il Ministro stabilisce infatti dei criteri per la
determinazione del “quantum” del reddito (area dei consumi, area degli investimenti, variazione
dell’indice ISTAT,etc.)
Riguardo alla natura ed agli effetti giuridici del redditometro possiamo dire che vi sono state molte
discussioni; secondo alcuni infatti il redditometro ha efficacia normativa (e non amministrativa), ed
addirittura si è ritenuto che sia un provvedimento costituzionalmente illegittimo.
Secondo il prof. La Rosa non debbono sorgere dubbi in tal proposito: il redditometro costituisce
manifestazione di una fondamentale espressione di funzione amministrativa di indirizzo poiché è
volto ad assicurare uniformità ed imparzialità nella difficile attività di determinazione del quantum
dei redditi riferibili ai singoli contribuenti
GLI STUDI DI SETTORE.
Funzione analoga al redditometro hanno gli studi di settore; sono dei veri e propri strumenti di
orientamento dell’attività valutativa degli uffici periferici ma inerenti la determinazione presuntiva
dei ricavi e compensi realizzati da imprese minori o da esercenti arti e professioni.
Il mezzo con cui si rendono gli studi di settore è anche qua un decreto del Ministro delle Finanze,
volto a frenare il diffuso fenomeno dell’evasione riscontrabile presso le categorie economiche
anzidette.
Negli anni questa materia è stata sottoposta a varie modifiche, le quali hanno appunto perfezionato i
criteri volti ad individuare dei veri e propri campioni significativi di contribuenti nell’ambito di
diversi settori economici.
Riguardo infine alla loro natura ed effetti giuridici si può dire che in dottrina sono sorte definizioni
parecchio ambigue; secondo il prof. La Rosa si tratta sempre di atti di indirizzo.

IL DIRITTO DI INTERPELLO
La continua evoluzione del nostro ordinamento ha comportato un avvicinamento a quanto già
previsto da altri ordinamenti (soprattutto anglosassoni) in materia di dialogo preventivo tra Fisco e
contribuente. Mi riferisco all’introduzione del c.d. “Diritto di interpello”.
Questo istituto ha assunto due distinte forme giuridiche delle quali occorre segnalare i tratti
essenziali:
A) La legge 413/91 aveva inizialmente riconosciuto al contribuente il diritto di richiedere un
parere preventivo ad un apposito Comitato consultivo per le norme antielusive costituito
presso il ministero delle Finanze; la richiesta deve riguardare casi concreti e deve contenere
tutti gli elementi utili per la corretta qualificazione della fattispecie.
B) Con la successiva L. 212/2000 (Statuto del contribuente) all’articolo 11, il legislatore è
tornato ad occuparsi dell’interpello con una disciplina di carattere generale, prevedendo la
possibilità per il contribuente di richiedere pareri preventivi su casi concreti e personali in
cui l’applicazione e l’interpretazione delle disposizioni di legge è incerta; inoltre il
legislatore prevede che:

- la risposta scritta e motivata dell’Amministrazione vincola con specifico riferimento al caso


concreto
- se l’Amministrazione non risponde entro 120 giorni, vale il silenzio-assenzo
- è nullo qualsiasi atto emanato in difformità della risposta

Nonostante le non lievi differenze tra le due discipline (la prima di carattere settoriale e la
seconda di carattere generale) possiamo rilevare come oggi l’istituto in questione sia
sostanzialmente “unitario” e caratterizzato dal fatto che
1) al contribuente è riconosciuto un vero e proprio diritto ad ottenere la preventiva indicazione
dall’Amministrazione della soluzione corretta di un caso pratico; ciò comporta che la
risposta dell’Amministrazione ha efficacia vincolante solo con riferimento al caso pratico in
questione
2) l’istanza deve riguardare casi concreti e personali, e non anche astratti dubbi interpretativi di
carattere generale; ciò comporta che il vincolo derivante dalla risposta fornita si esplica
fondamentalmente nei riguardi dell’amministrazione, i cui atti sono dichiarati nulli ove si
discostino dalla risposta preventivamente fornita al contribuente.
DIRITTO TRIBUTARIO – PARTE GENERALE

ATTIVITA’ DI RISCOSSIONE

Premessa
L’attività di riscossione della P.A. si sostanzia nell’emettere veri e propri ordini esecutivi di
pagamento finalizzati all’acquisizione del tributo ed aventi le loro espressioni nell’iscrizione a
ruolo e nell’ingiunzione fiscale.

DISTINZIONE TRA RISCOSSIONE DIRETTA E DELEGATA


L’attività di riscossione diretta (avente ormai ambito limitato e circoscritto)comporta che
l’Amministrazione agisce direttamente alla riscossione; il titolo della riscossione è l’ingiunzione
fiscale (ancora regolata dalla vecchissima legge 639 del 1910) che consiste in un ordine individuale
di pagamento del tributo rivolto al contribuente entro un termine di 30 giorni.
L’amministrazione quindi intima al contribuente di pagare le somme da lui dovute mediante un atto
(per l’appunto l’ingiunzione fiscale) che è redatto dagli stessi uffici finanziari ed è qualificato
giuridicamente come “titolo costitutivo”.
L’ingiunzione fiscale (e quindi il sistema della riscossione diretta) costituivano la forma +
importante per la riscossione coattiva dei tributi; tuttavia col passare del tempo (a partire dagli anni
80) ci si rese conto dell’esigenza di abbandonare la riscossione diretta e di utilizzare il sistema della
riscossione delegata e questo poiché si riteneva che l’amministrazione fosse efficiente sul piano
dell’accertamento e meno efficiente per quanto attiene la fase esecutiva. Tutto ciò portò ad una
profonda trasformazione del sistema esattoriale verso la riscossione delegata, inizialmente per le
imposte dirette e successivamente verso tutte le altre imposte.
La riscossione delegata (costituente tuttora la regola vigente in materia tributaria) si ha laddove gli
uffici finanziari provvedono soltanto all’emissione di un titolo esecutivo, detto ruolo di riscossione,
mentre lo svolgimento delle successive attività di riscossione delle somme dovute dal contribuente è
affidato a soggetti esterni alla P.A. detti concessionari e legati alla P.A. da un rapporto di natura
negoziale (N.B. attualmente in Sicilia il concessionario è la Monte dei paschi di Siena, la quale
riscuote meno di quanto debba esserle pagato dalla Regione siciliana).
Il ruolo di riscossione è un atto collettivo predisposto dall’ufficio competente e contenente
l’indicazione di tutti i contribuenti che debbono versare le somme dovute, le imposte, gli
interessi,etc.; il ruolo diviene titolo esecutivo nel momento in cui viene ad essere sottoscritto da
parte del titolare dell’ufficio; il ruolo viene poi trasmesso all’agente di riscossione che in virtù degli
obblighi negozialmente assunti deve compiere tutti gli atti necessari al conseguimento delle somme
dovute dai contribuenti. Se il concessionario è stato inadempiente, l’Ente impositore può obbligarlo
a versare le somme non riscosse dopo avergli notificato il c.d. decreto di discarico.
Da un punto di vista sostanziale possiamo dire che l’innovazione costituita dalla soppressione del
principio “non riscosso per riscosso” è meno rivoluzionaria di quanto sembrasse inizialmente
poiché all’indiscriminato obbligo di anticipazione si è sostituito un assetto che tutela egualmente
gli interessi dell’Ente impositore.
L’atto che legittima la riscossione è la cartella di pagamento; essa è un atto riproduttivo del ruolo
predisposto dall’agente della riscossione e notificato a ciascun contribuente.
Ma qual è la natura giuridica del ruolo ? tale problema non è stato di facile risoluzione essendo
state molto accese le dispute dottrinarie inerenti la natura non solo processuale ma anche sostanziale
del ruolo; la soluzione di queste discussioni è stata nel senso di riconoscere al ruolo una duplice
natura, sia sostanziale che processuale, potendosi parlare di provvedimenti ablativi che legittimano
l’espropriazione del contribuente il quale a sua volta può far valere in giudizio eventuali vizi interni
all’atto. La Cassazione ha infatti ricordato che bisogna considerare gli atti di riscossione come dei
titoli con effetti processuali e sostanziali idonei a consolidarsi se il contribuente non ne fa valere i
vizi.
RISCOSSIONE A TITOLO PROVVISIORIO E DEFINITIVO
Questa distinzione attiene alle successive vicende del prelievo.
Le riscossioni definitive sono quelle che hanno il loro titolo nelle dichiarazioni dello stesso
contribuente o in sentenze passate in giudicato oppure in provvedimenti sanzionatori non
impugnati. Esse sono caratterizzate dal fatto che in assenza di impugnazione dei relativi atti, le
somme ottenute vengono stabilmente acquisite dall’Ente impositore.
Le riscossioni provvisorie sono quelle fondate su titoli contestati giudizialmente. Consistono in
acquisizioni meramente precarie, previste anche a in pendenza di giudizio. Indipendentemente da
quanto impugnato dal cittadino, l’Amministrazione può riscuotere. Sono previste delle forme di
conguaglio successivo.

PRESUPPOSTI DEL POTERE DI RISCOSSIONE


La legittimazione degli uffici alla riscossione delle imposte postula il verificarsi di determinati
presupposti giuridici del potere di riscuotere.
In materia di imposte dirette ed IVA costituiscono presupposti del potere di riscossione:
1) La dichiarazione: è il fatto costitutivo del potere di riscuotere le imposte da essa risultanti
2) L’avviso di accertamento: si tratta di atti attraverso cui l’Amministrazione ha eventualmente
rettificato dichiarazioni presentate oppure ha proceduto ad accertamenti d’ufficio.
3) Le sentenze

In materia di imposte indirette vi è un presupposto unico: l’avviso di liquidazione

IL PROCEDIMENTO DI RISCOSSIONE
Il procedimento inizia con la notificazione al contribuente della cartella di pagamento contenete
l’ordine di pagare entro 60 giorni. L’iscrizione a ruolo è un titolo esecutivo e quindi se il
contribuente non paga, l’agente di riscossione può procedere in via coattiva.
L’agente può anche adottare nei confronti del contribuente delle misure cautelari (come ad
esempio il fermo del veicolo o l’ipoteca); vi è dunque un’attività esecutiva nei confronti del
contribuente inadempiente.
Il procedimento in via di principio non si differenzia dall’attività esecutiva tra privati, ma le
differenze ci sono e riguardano i soggetti e la struttura (poiché il procedimento si svolge nelle fasi
iniziali in via amministrativa e non in via giurisdizionale).
Il processo esecutivo che troviamo nel codice di procedura civile è infatti giurisdizionale poiché
avviene sotto il controllo del giudice che ne stabilisce i termini e le modalità
In ambito tributario possiamo invece scindere l’attività esecutiva in 2 fasi:
1) tutta l’attività espropriativa tributaria che va dal pignoramento fino alla vendita del bene
è una fase tendenzialmente amministrativa poiché avviene (per ragioni di celerità e
semplicità) senza l’intervento del giudice essendo svolte direttamente dall’agente della
riscossione. Tutto ciò è stato molto discusso davanti la Corte costituzionale, la quale ha
sempre ritenuto legittima questa fase ed ha salvaguardato il diritto di difesa del contribuente
che può agire a riscossione avvenuta contro l’agente di riscossione per il risarcimento danni.
2) La fase satisfattiva invece avviene davanti al giudice; l’agente della riscossione deve
ottenere dal giudice l’assegnazione di quanto ha espropriato. Vediamo cosa accade se vi
sono altre procedure pendenti: se l’agente di riscossione si accorge che i beni sono già stati
eseguiti da altri creditori, egli gode di un vero privilegio, potendo insinuarsi nel processo
pretendendo dal creditore procedente quanto gli spetti, altrimenti la procedura esecutiva
ordinaria si trasforma in procedura esattoriale. Infatti se non gli vengono corrisposte le
somme dovute entro il termine di 10 giorni, si procede in via amministrativa la quale è
caratterizzata dalla presenza di regole particolari. Nel procedimento esattoriale un’altra
caratteristica è che i terzi possono intervenire nella procedura esecutiva da meri spettatori in
quanto hanno il solo diritto di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dai beni
pignorati.
Veniamo adesso ad esaminare qual è LA TUTELA DEL CONTRIBUENTE CONTRO GLI
ATTI DI RISCOSSIONE in quanto nella fase propriamente esecutiva non è più prevista la
possibilità di ricorrere in via amministrativa verso gli atti esecutivi dell’agente della riscossione.
A tal proposito si deve richiamare il D.L. 46/99 che ha disposto:
- l’inammissibilita per il contribuente delle opposizioni all’esecuzione (ex articolo 615 c.p.c.) e
delle opposizioni agli atti esecutivi (ex articolo 617 c.p.c.)
- l’ammissibilità davanti al giudice ordinario delle opposizioni di terzi
Ricapitolando è ammessa l’opposizione avanti le commissioni tributarie; è concesso il ricorso al
giudice ordinario nel caso di impignorabilità dei beni; non è ammessa opposizione circa la
regolarità formale e la notificazione del ruolo. Le opposizioni di terzo sono ammesse anche
nell’esecuzione esattoriale ma entro certi limiti.

SOGGETTI PASSIVI DELLA RISCOSSIONE


Il soggetto passivo della riscossione è colui verso cui è possibile esercitare il potere di riscuotere
e su questo non ci piove.
I problemi sorgono quando vi è la possibilità che la riscossione riguardi più soggetti; vanno
esaminate tre situazioni particolari:
a) Solidarietà paritetica
b) Solidarietà dipendente
c) Responsabilità limitata a beni particolari (caso in cui l’amministrazione può agire per un
debito del contribuente nei confronti di un terzo)

A) Solidarietà paritetica: ricorre quando + soggetti sono, ad eguale titolo, tenuti al pagamento
di un tributo. Ciò dal punto di vista dell’attività di riscossione pone alcuni problemi: può
l’Amministrazione agire nei confronti del coobligato solidale paritario sulla base dei
presupposti della riscossione che si sono verificati in capo all’altro coobligato ? In
passato la risposta a questo quesito era stata sempre affermativa, fino a quando la Corte
Costituzionale non ha emanato la sentenza 48/68 in forza della quale si è affermata nel
nostro ordinamento la tesi dell’inopponibilità, a ciascun coobligato, degli atti posti in essere
dagli altri coobligati. Si è così passati ad un assetto di indipendenza delle posizioni
tributarie. Altro problema è se può l’agente della riscossione può agire nei confronti di un
soggetto diverso da quello risultante dall’iscrizione a ruolo ? Questo resta un problema
ancora aperto; la giurisprudenza ammette questa possibilità ma sottolinea che non compete
all’agente della riscossione quest’ambito poiché non è titolare di un potere impositivo.
B) Solidarietà dipendente: la problematica si pone in termini differenti rispetto a prima. Il
responsabile d’imposta è titolare di un obbligo di garanzia, dipendente dall’esistenza
dell’obbligazione principale. Dalla diversità sostanziale di questi rapporti, la dottrina
classica sosteneva che, una volta definita la posizione del coobbligato principale, si poteva
agire nei confronti del coobbligato dipendente. Sulla base degli atti notificati al solo
coobbligato principale. Oggi questa soluzione è ancora ammessa anche se la Corte
costituzionale ha affermato che il coobbligato dipendente ha la possibilità di contestare non
solo l’esistenza dei presupposti della sua responsabilità personale, ma anche l’ AN ed il
QUANTUM dell’imposta. Si tratta dunque di un diritto di difesa esteso all’AN ed al
QUANTUM.
DIRITTO TRIBUTARIO – PARTE GENERALE

L’ATTIVITA’ SANZIONATORIA

Premessa
La materia sanzionatoria nel diritto tributario è caratterizzata dall’estrema fluidità dei contorni e
dalla grande eterogeneità dei contenuti.
La rilevata varietà delle sanzioni tributarie ha sempre reso assai viva l’esigenza di regole e principi
sistematici di carattere generale; occorre allora, secondo il principio nominalistico, fare riferimento
al “nomen iuris”. Il principio nominalistico è senza dubbio il criterio formale che regge tutto
l’impianto sanzionatorio e che distingue la sanzione penale da quella amministrativa.
Nel 1929 vi era un duplice tipo di sanzione pecuniaria:
1) La sopratassa: era un vero e proprio “quid pluris” rispetto al tributo. Si tratta di una
sanzione fissa costituita ma un multiplo ed un sottomultiplo del tributo evaso, cumulabile
ed invariabile
2) La pena pecuniaria: Altro tipo di sanzione amministrativa che si caratterizza per il fatto di
essere applicata direttamente dalla P.A. e dall’ideazione di contorni parapenalistici. Altro
aspetto è la variabilità a seconda della gravità della violazione.
Tali sanzioni così caratterizzate ed introdotte dal legislatore del 1929 sono state dettate dal fatto che
nel 1929 il potere sanzionatorio era affidato ad un ramo autonomo della P.A. e cioè all’Intendenza
di Finanza (che possiamo definire una sorta di mini-giudice penale), e vi era inoltre l’idea che la
materia tributaria avesse bisogno di modalità punitive del colpevole analoghe a quelle penali. Ciò è
evidente nel fatto che la disciplina del 29 non prevedeva la cumulatività tra sanzioni penali e pene
pecuniarie.

LA RIFORMA DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE TRIBUTARIE


Col passare del tempo l’impianto della legge del 1929 venne inevitabilmente erodendosi, anche se
non dobbiamo dimenticare che tale disciplina ci ha accompagnato fino alle soglie del 2000; si arriva
così ad una riforma generale in materia di sanzioni amministrative e tributarie col Decreto delegato
472/97. Tale riforma si basava sull’idea della necessità di un ridimensionamento dell’intervento del
giudice penale in materia tributaria: la svolta fu quella di limitare l’intervento del giudice penale
alla controversie + gravi e modellare il sistema della sanzione amministrativa in modo ancora +
spiccatamente penalistico.
1) Anzitutto, dal punto di vista formale, viene meno la sopratassa e ciò manifesta un evidente
intento di orientamento para-penalistico delle sanzioni; altra importante svolta è il passaggio
dalla “pena pecuniaria” alla “sanzione pecuniaria”, consistente nel pagamento di una
somma di denaro.
2) Affermazione del principio della personalità; tale principio, in piena sintonia col principio
penalistico “societas delinquere non potest”, comporta che la sanzione venga riferita alla
persona fisica che ha commesso o che ha concorso a commettere la violazione; l’ente,
invece, non si considera soggetto punibile singolarmente poiché della violazione deve
rispondere la persona fisica preposta all’ente; tuttavia si profila una responsabilità solidale
dell’ente. Questo principio ha costituito di sicuro una importantissima innovazione, ma ha
preoccupato non poco i vari amministratori e manager, costretti adesso a pagare direttamente
e personalmente la sanzione in caso di violazioni, e proprio per questo vi sono stati apportati
dei temperamenti, tra cui quello volto ad ammettere che in caso di dolo o colpa grave, l’ente
assume a proprio carico il debito della sanzione.
3) Introduzione di altri principi penali in ambito tributario: a tal riguardo possiamo citare
come principi penalistici introdotti:
a) il principio della in trasmissibilità delle sanzioni agli eredi, volto ad affermare che
l’Amministrazione può pretendere il pagamento dell’imposta da parte degli eredi, ma
non può applicare loro la sanzione
b) il principio della prevalenza della norma successiva + favorevole al reo
c) il principio della improduttività degli interessi da parte delle sanzioni
amministrative, volto ad affermare il fatto che la sanzione è si un debito pecuniario,
ma per l’appunto tale debito è improduttivo di interessi

L’IMPUTAZIONE DELLA VIOLAZIONE E DELLA SANZIONE PECUNIARIA


Veniamo a considerare le norme sull’imputazione soggettiva delle violazioni, le quali sono la più
evidente rappresentazione di un avvicinamento ai principi penalistici.
Veniamo anzitutto a prendere in considerazione il principio della imputabilità, secondo cui “non
può essere assoggettato alla sanzione amministrativa chi, al momento in cui ha commesso il fatto,
non aveva (in base ai criteri dettati dal codice penale) la capacità di intendere e di volere.
Vi è poi il principio della colpevolezza in forza del quale “ciascuno risponde della propria azione
o omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.
Non minore rilievo hanno poi le cause di non punibilità, consistenti nel fatto che non sono punibili
le violazioni:
1) che dipendano da errore sul fatto (sempre che l’errore non sia dipeso da colpa)
2) che dipendano da situazioni di forza maggiore
3) che consistano dal mancato pagamento del tributo, causato da fatti denunciati all’autorità
giudiziaria ed imputabili a terzi.

Rispondono invece all’intento di ampliare l’area di operatività soggettiva della sanzione le


disposizioni dedicate al concorso di persone, all’autore mediato ed ai responsabili per la sanzione
amministrativa.
Riguardo IL CONCORSO DI PERSONE è previsto che “quando più persone concorrono in una
violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta”. Occorre però segnalare
che la definizione in questione prosegue dicendo che “quando la violazione consiste nell’omissione
di un comportamento cui sono obbligati in solido + soggetti, è irrogata una sola sanzione ed il
pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso”. Questo
ci dimostra che l’istituto del concorso di persone in violazioni tributarie finisce con l’essere
riferibile alle sole ipotesi di concorso doloso o colposo nella violazione di obblighi gravanti su un
solo soggetto.
Veniamo alla norma sull’AUTORE MEDIATO. Tale norma dispone che “chi con violenza o
minaccia o inducendo altri in errore incolpevole o avvalendosi di persona incapace di intendere e
volere determina la commissione di una violazione ne risponde in luogo del suo autore materiale”.
Esempio di questa fattispecie è il caso del consulente fiscale che induce in errore incolpevole il
proprio assistito.

QUANTIFICAZIONE DELLA SANZIONE PECUNIARIA


Nella quantificazione della sanzione il legislatore indica che bisogna tener conto:
- della gravità della violazione
- della personalità del trasgressore
- delle condizioni economiche e sociali del trasgressore
Queste indicazioni generali trovano la loro corrispondenza in alcuni istituti volti ad adeguare la
misura della sanzione ai singoli casi concreti; questi istituti sono:
- ravvedimento
- recidiva
- concorso di violazioni
- continuazione

Il RAVVEDIMENTO è un istituto che mira ad incentivare la regolarizzazione spontanea delle


violazioni prevedendo consistenti attenuazioni delle sanzioni nei confronti del trasgressore, purchè
tale regolarizzazione avvenga prima che siano constatate dall’Amministrazione mediante accessi,
ispezioni o verifiche
La RECIDIVA invece consiste nella possibilità che la sanzione venga aumentata fino alla metà nei
confronti di chi nei 3 anni precedenti sia incorso in altra violazione della stessa indole che però non
sia stata regolarizzata in base alle norme sul ravvedimento.
La disciplina del CONCORSO DI VIOLAZIONI risponde all’esigenza di attenuare le sanzioni
nei casi in cui + violazioni risultino legate da uno specifico nesso che rende opportuna la loro
unitaria valutazione ai fini sanzionatori. La legge distingue in proposito 2 ipotesi:
1) Concorso formale: si ha quando con una sola azione o omissioni vengono violate
disposizioni diverse
2) Concorso materiale: si ha quando con + azioni o omissioni vengono commesse + violazioni
formali della medesima disposizione.
Riguardo infine alla CONTINUAZIONE questa corrisponde al comportamento di chi in tempi
diversi commette + violazioni che nella loro progressione pregiudicano la determinazione
dell’imponibile o la liquidazione periodica del tributo.

L’IRROGAZIONE DELLA SANZIONE PECUNIARIA


Il legislatore ha in quest’ambito tenuto fermo il principio dell’attribuzione delle competenze
sanzionatorie ai singoli Uffici periferici competenti all’accertamento del tributo cui le violazioni si
riferiscono.
La disciplina si segnala per la presenza di una norma di carattere generale seguita da un’altra
norma contenente le disposizioni derogatorie alla disciplina generale riguardanti un duplice ordine
di situazioni nelle quali gli uffici possono anche procedere ad “irrogazione immediata” delle
sanzioni.
In pratica viene così ad aversi un triplice tipo di procedimento sanzionatorio e le norme sulla
irrogazione immediata riguardano la parte + significativa delle violazioni tributarie.
Veniamo ad analizzare il campo del procedimento sanzionatorio generale ed i due ambiti
dell’irrogazione immediata.

A) Nel procedimento sanzionatorio generale si prevede che l’ufficio debba anzitutto


notificare l’atto di contestazione della violazione nel quale debbono essere indicati a pena di
nullità i fatti attribuiti al trasgressore, le norme applicate,etc. Tale atto va notificato al
(presunto) trasgressore a pena di decadenza entro il 31 Dicembre del quinto anno successivo
a quello in cui è avvenuta la violazione. Ai destinatari della notificazione viene offerta una
triplice possibilità:
1) definizione della controversia mediante il pagamento di ¼ della sanzione indicata
2) possibilità di produrre deduzioni difensive; in questo caso è assegnato all’Ufficio un termine
di decadenza di 1 anno per procedere all’irrogazione della sanzione
3) possibilità di impugnare l’atto di contestazione in sede giurisdizionale

B) La prima area di operatività dell’irrogazione immediata comporta che la sanzione venga


irrogata senza preventiva notificazione dell’atto di contestazione né possibilità di deduzioni
difensive; la sua principale area di operatività riguarda “le sanzioni collegate al tributo cui
si riferiscono”.
C) La seconda area di operatività dell’irrogazione immediata riguarda le sanzioni per
omesso o ritardato pagamento del tributo per le quali è stata prevista la possibilità di
irrogazione “mediante iscrizione a ruolo senza previa contestazione!”, con espressa
esclusione della possibilità di procedere a definizione agevolata della violazione.

DIRITTO TRIBUTARIO - PARTE GENERALE

DOVERI E DIRITTI TRIBUTARI FONDAMENTALI

Premessa
Bisogna distinguere diritti ed obblighi del contribuente in situazioni soggettive attive e passive che
si racchiudono in 5 categorie:
1) Obblighi di dichiarazione
2) Obblighi di versamento
3) Diritti a detrazioni e deduzioni d’imposta
4) Crediti tributari
5) Opzioni

OBBLIGHI DI DICHIARAZIONE
Gli obblighi di dichiarazione ricorrono nella stragrande maggioranza dei tributi e normalmente si
concretizzano nel fatto che il cittadino ha l’obbligo di dichiarare una situazione fiscalmente
rilevante alla P.A. affinché questa proceda alla verifica del tributo dovuto.
Tale obbligo ricorre in forma e modalità diverse; non sempre riguarda soltanto i fatti fiscalmente
rilevanti in senso stretto ma anche a fatti e circostanze secondari.
Essi sono di vario tipo e si possono distinguere in :
1) dichiarazioni che confermano la loro efficacia nel tempo finchè i fatti non cambiano.
Dipende normalmente dalla tipologia dei tributi, infatti possiamo richiamare a titolo
d’esempio l’ICI ove la dichiarazione si fa una volta e si ripropone quando cambia la
situazione di fatto.
2) Dichiarazioni che vanno presentate annualmente, indipendentemente dalle variazioni.
Esempio classico è la dichiarazione dei redditi che infatti va presentata ogni anno.
Un tema molto dibattuto è poi il problema della natura giuridica dell’atto di dichiarazione; esso si
pone soprattutto nelle ipotesi della irretrattabilità o retrattabilità della dichiarazione da parte del
contribuente nel caso in cui sbagli.
Inizialmente vi era stata una equiparazione alla confessione stragiudiziale in quanto consisteva nella
ammissione di fatti sfavorevoli al dichiarante (quindi irretrattabile); la giurisprudenza degli ultimi
anni si è invece orientata ritenendo che tale dichiarazione costituisce invece una dichiarazione di
scienza (quindi si ammette la ritrattabilità degli errori del dichiarante).
Su questo profilo della ritrattabilità è bene averne chiaro l’oggetto, perché la dichiarazione è si di
scienza ma contiene a volte anche contenuti dispositivi.
Se il contribuente ha esercitato un opzione vi è un contenuto dispositivo e quindi per tale parte non
debbono porsi problemi di retrattabilità poiché l’atto dispositivo è di per sé irretrattabile e si parlerà
semmai di “revoca con efficacia ex nunc”.
Relativamente ai contenuti dichiarativi, la retrattabilità può riconoscersi mentre riguardo le
rettifiche della dichiarazione ammette del tutto la possibilità di far valere eventuali errori ed
omissioni.
Veniamo adesso alla disciplina della dichiarazione dei redditi:
Dalla lettura congiunta degli articoli 1 (commi 1 e 2) 2 ed 8 del D.P.R. 600/73 si possono
estrapolare i 5 principi fondamentali della dichiarazione dei redditi, la quale costituisce l’obbligo di
dichiarazione + importante in assoluto:
1) Generalità: l’obbligo dichiarativo è esteso a tutti i percettori di redditi indipendentemente
dal fatto che si tratti di persone fisiche o giuridiche ed indipendentemente dall’esistenza di
debiti d’imposta o di risultati economici negativi.
2) Unicità: nel duplice senso di avere ad oggetto tutti i redditi di qualsivoglia natura posseduti
dallo stesso contribuente e dall’essere riferita a tutte le imposte che possono gravarli.
3) Annualità: è da intendere come obbligo che l’obbligo di dichiarazione venga assolto ogni
anno, anche se non variano le situazioni fiscalmente rilevanti
4) Analiticità: comporta che l’obbligo di dichiarazione può dirsi pienamente asslto solo se
l’atto contiene l’indicazione di tutti gli elementi attivi e passivi necessari per la
determinazione dell’imponibile.
5) Forma vincolata: è necessario che la dichiarazione dei redditi si faccia solo mediante la
modulistica ufficiale (pena la nullità) adottata con decreto del Ministero delle Finanze

Veniamo infine a prendere in considerazione gli effetti della dichiarazione prendendo in esame 3
situazioni:
a) La legittimazione della P.A. a riscuotere le imposte corrispondenti a quello che il
contribuente ha dichiarato ma che non ha versato spontaneamente; il contribuente deve
infatti dichiarare e poi versare le imposte . La dichiarazione è di per sé fatto costitutivo del
potere della P.A. di iscrivere a ruolo e di riscuotere. La P.A. non ha bisogno di chiedere
alcun decreto ingiuntivo poiché può direttamente agire in via esecutiva.
b) I limiti alle modalità di controllo che l’Amministrazione può effettuare in sede
d’accertamento; se la dichiarazione è stata presentata regolarmente, l’Amministrazione
deve procedere in modo analitico e non con metodi induttivi e presuntivi
c) Solo la dichiarazione può legittimare il sorgere di un credito tributario del
contribuente verso l’Amministrazione finanziaria; le situazioni a cui si fa riferimento
sono quelle del contribuente che ad esempio ha subito delle ritenute alla fonte.

OBBLIGHI DI VERSAMENTO
Il pagamento del tributo corrisponde all’equivalente del pagamento nella disciplina delle
obbligazioni civilistiche e rappresenta l’espressione più rilevante delle situazioni soggettive passive
tributarie.
Si distinguono all’interno degli obblighi di versamento 2 categorie:
1) Obblighi di versamento diretto (AUTO-TASSAZIONE)
2) Obblighi di versamento conseguenti ad attività amministrative (con iscrizione al ruolo
dell’imposta)
Esaminiamo adesso l’ipotesi del versamento diretto nei suoi connotati tipici:
- insussistenza di una preventiva determinazione degli importi dovuti
- l’Amministrazione finanziari è destinataria di somme su cui non ha ancora alcuna pretesa
giuridicamente rilevante
- l’obbligo di versamento può essere posto a carico di soggetti diversi da quelli in capo ai
quali si realizza il presupposto di fatto del tributo (come nelle ritenute alla fonte)
Dal punto di vista formale il versamento diretto si effettua con la delega alla banca di provvedere a
tale versamento; dal punto di vista sostanziale la disciplina dei versamenti diretti è fortemente
permeata dall’intento di avvicinare il più possibile l’acquisizione del tributo al verificarsi dei fatti
che lo giustificano.
Esso viene perseguito con discipline e tecniche differenti:
a) per le Ritenute alla fonte: è previsto che il sostituto d’imposta versi mensilmente le
ritenute relative alle somme erogate nel mese precedente
b) per l’IVA: ogni 15 del mese l’imprenditore versa la differenza tra l’imposta sulle vendite e
l’imposta sugli acquisti riferite al mese precedente
c) per gli Acconti: tale disciplina è volta ad equiparare la situazione dei soggetti tassati x
ritenuta alla fonte agli altri soggetti; infatti il lavoratore dipendente subisce la tassa in corso
d’anno, l’imprenditore avrebbe un vantaggio perché dovrebbe pagare l’imposta a Luglio
dell’anno seguente. Per questo vi è l’obbligo di versare in corso d’anno acconti commisurati
alle risultanze dell’anno precedente.

DIRITTI A DEDUZIONI E DETRAZIONI


I diritti a deduzioni e detrazioni costituiscono situazioni soggettive attive unilaterali del contribuente
la cui autonoma configurabilità è tuttora discussa.
I diritti a deduzioni sono volti a ridurre la base imponibile, mentre i diritti a detrazione sono volti
a ridurre direttamente l’imposta da versare.
Entrambi sono accomunati che sono oggetto di facoltà del contribuente da esercitare formalmente
attraverso la dichiarazione tributaria.
Esaminiamo ancora le due fattispecie:
I diritti a deduzioni creano delle componenti deducibili (soprattutto nell’ambito dei redditi da
lavoro autonomo o redditi d’impresa) che danno la possibilità di riportare le perdite di + esercizi in
deduzione in un altro esercizio.
I diritti a detrazioni hanno la loro manifestazione principale in ambito dell’IVA (col diritto di
detrarre dall’imposta sulle vendite quella riscossa sugli acquisti) e nelle ritenute alla fonte operate
dal sostituto d’imposta. Anche i crediti di imposta sono diritti di detrazione ed anch’essi possono
concorrere a determinare situazioni di credito del contribuente per l’eventuale eccedenza rispetto
all’imposta dovuta.

I CREDITI TRIBUTARI
I crediti tributari danno vita ad una situazione soggettiva attiva del contribuente, il quale può
richiedere all’Amministrazione finanziaria un eventuale rimborso di quanto pagato.
Ci troviamo dunque dinnanzi a veri e propri “diritti da rimborso” che secondo la dottrina precedente
erano da inquadrare nell’ottica dell’indebito oggettivo ex articolo 2033 c.c. Le nuove tesi dottrinarie
invece tendono a sottolineare l’inadeguatezza di questa prospettiva a causa dell’esistenza di molte
ipotesi di credito tributario “non da indebito”
Tali crediti possono distinguersi in 3 grandi aree:
1) Crediti da dichiarazione
2) Crediti per restituzione
3) Crediti da indebito
Analizziamo singolarmente ogni figura.
1) Crediti da dichiarazione: Si tratta di una particolare situazione in cui si viene a trovare il
contribuente quando nel corso dell’anno ha ad esempio subito ritenute alla fonte che sono di
ammontare superiore all’imposta dovuta o ha subito un’imposta sugli acquisti di ammontare
maggiore rispetto all’imposta sulle vendite; insomma vengono ad essere ricompresse tutte
quelle situazioni in cui la componente detraibile è maggiore dell’imposta dovuta. Questi
crediti si qualificano “da dichiarazione” proprio perché hanno il loro presupposto
necessario nella presentazione della dichiarazione annuale. La legge prevede che il
contribuente può richiedere alternativamente il rimborso oppure può richiedere
l’imputazione del credito in diminuzione dell’imposta dovuta l’anno prossimo. Infine
concludiamo ricordando che tali crediti hanno un termine di prescrizione decennale.
2) Crediti per restituzione: sono quei crediti aventi ad oggetto somme che erano dovute in
base alla situazione esistente al momento del pagamento, ma delle quali il legislatore
prevede la restituzione qualora sopraggiungano eventi che fanno venir meno quel prelievo
tributario. Un esempio può essere qualora si paghi un imposta di registro per atti che
vengono poi dichiarati nulli o annullabili con sentenza passata in giudicato e per causa non
imputabile alle parti. La legge consente che il contribuente possa richiedere la restituzione di
ciò che ha pagato entro 3 anni dal giorno in cui è sorto il diritto alla restituzione.
3) Crediti da indebito: sono quelli relativi al recupero delle somme versate in più a causa di
errori o di omissioni commesse sia dal contribuente che dall’Amministrazione finanziaria.
Queste ipotesi risultano essere molto vicine alla figura dell’indebito oggettivo, anche se le
norme tributarie in questione si allontanano parecchio dalla disciplina civilistica per il fatto
che:
a) il rimborso deve essere richiesto entro termini decadenziali brevi
b) il rimborso può essere chiesto ed ottenuto solo gli atti da cui risulta l’indebito sono stati
tempestivamente impugnati davanti al giudice tributario.

OPZIONI
Le opzioni si manifestano nella possibilità data dalla legge al contribuente di scegliere quale
disciplina tributario o, addirittura, regime tributario applicare.
Esse si esercitano in sede di dichiarazione dei redditi; un esempio può essere l’ipotesi in cui il
contribuente in ambito IRPEF può scegliere (ovviamente se ricorrono le ipotesi previste dal
legislatore) tra il regime ordinario e la tassazione separata (ex articolo 16 TUIR).
Vi sono però delle problematiche da osservare: esse riguardano per un verso la retrattabilità
(che è del tutto esclusa) e dall’altro verso il caso in cui il contribuente abbia dimenticato alcuni
aspetti formali (ad esempio barrare una casella). In questa ultima ipotesi si terrà conto del
comportamento concludente del contribuente oppure si valuteranno le modalità di tenuta delle
scritture contabili.
Da quanto detto si osserva come vi sia stato un superamento del formalismo con cui erano
invece risolti in passato questi problemi.

Potrebbero piacerti anche