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CAPITOLO 6 Il procedimento amministrativo.

L’emanazione del provvedimento finale è di norma preceduta da un insieme di atti, fatti e attività,
tutti tra di loro connessi in quanto concorrono, nel loro complesso, all’emanazione del
provvedimento stesso. tali atti, fatti e attività, caratterizzati dallo scopo comune e unitario testé
richiamato, confluiscono nel procedimento amministrativo. Il provvedimento tipico è il filtro
attraverso cui ciò che avviene nel procedimento diventa rilevante sul piano dell’ordinamento
generale. Accanto a questa concezione (cosa è il procedimento) altre posizioni hanno cercato di
definire come esso deve svolgersi. Pertanto è così stato definito come forma della funzione.
(benvenuti). Il passaggio dall’attribuzione del potere alla concreta produzione dell’effetto finale è
contraddistinto da una serie coordinata di attività e di atti endoprocedimentali che costituisce la
funzione. Il procedimento amministrativo rappresenta appunto la forma esteriore con la quale si
manifesta il farsi dell’azione amministrativa. La materia del procedimento amministrativo è
disciplinata dalla legge 241/1990. Tale legge non contiene una disciplina completa e esaustiva del
procedimento, ma si limita a specificare alcuni principi e a disciplinare gli istituti più importanti.

Per quanto riguarda i principi enunciati dalla legge 241/1990, l’articolo 1 comma 1 afferma che
l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di
efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, nonché dai principi dell’ordinamento
dell’Unione europea. In particolare l’azione è economica quando il conseguimento degli obiettivi
avviene con il minor impiego di mezzi; l’economicità si traduce nell’esigenza del non aggravamento
del procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento
dell’istruttoria (articolo 1 comma 2). Art. 1 comma 2 bis inserito dal d.l 76/2020 afferma che “i
rapporti tra cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione
e della buona fede”.

L’efficacia è il rapporto tra obiettivi prefissati e obiettivi conseguiti ed esprime la necessità che
l’amministrazione, oltre al rispetto formale della legge, miri anche e soprattutto al perseguimento
nel miglior modo possibile delle finalità ad essa affidate. La pubblicità è un carattere che
costituisce diretta conseguenza della natura pubblica dell’amministrazione. Questo modo d’essere
della PA da un lato implica la necessaria preordinazione della sua attività alla soddisfazione di
interessi pubblici e dall’altro richiede la trasparenza dell’amministrazione stessa e della sua azione
agli occhi del pubblico sicchè è strettamente legata all’imparzialità richiamata dal medesimo
articolo 1 qualificandola come criterio mentre in realtà si tratta di un principio: ciò potrebbe
significare che l’amministrazione debba tradurla anche in un criterio. Applicazione concreta dei
criteri di di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza è costituita dal diritto di accesso ai documenti
amministrativi. In senso lato si rapportano alla pubblicità anche gli istituti della partecipazione al
procedimento amministrativo e della motivazione del provvedimento. L’articolo 1 non richiama il
concetto di efficienza ( rapporto tra mezzi impiegati e obiettivi conseguiti); esso compare tuttavia
all’articolo 3 bis là dove si afferma che per conseguire appunto l’efficienza maggiore della loro
attività, le amministrazioni pubbliche agiscono mediante strumenti informatici e telematici, nei
rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati. Disposizione modificata dal d.l
76/2020 (prima incentivano l’uso della telematica.) Assai importante è poi il richiamo ai principi del
diritto dell’Unione europea: si pensi ai principi di proporzionalità, di precauzione e di tutela del
legittimo affidamento.

Il procedimento deve seguire un particolare ordine, in linea di massima prefissato dalla legge, nella
successione degli atti e delle operazioni che lo compongono. Nel procedimento innanzitutto sono
presenti atti che assolvono ad una funzione preparatoria rispetto all’emanazione del
provvedimento finale, confluendo nella c.d. fase preparatoria.

Segue la fase decisoria, in cui viene emanato l’atto o gli atti con efficacia costitutiva, nel senso che
da essi sgorga l’effetto finale sul piano dell’ordinamento generale (denominato appunto efficacia). Il
procedimento si chiude quindi con quegli atti che confluiscono nella fase integrativa dell’efficacia,
che è eventuale in quanto in alcuni casi la legge non la prevede, con la conseguenza che il
provvedimento produrrà comunque la sua efficacia dopo la fase decisoria. Tra i due estremi del
procedimento, l’iniziativa da un lato e l’integrazione dell’efficacia, ove prevista, o l’emanazione del
provvedimento finale dall’altro, trovano posto i c.d. atti endoprocedimentali. L’illegittimità di uno
degli atti del procedimento determina l’illegittimità del provvedimento finale, salvo che operi l’art 21
octies legge 241/1990.

Il procedimento si apre con l’iniziativa, che può essere a istanza di parte oppure d’ufficio.
L’iniziativa a istanza è caratterizzata dal fatto che il dovere di procedere sorge a seguito dell’atto di
impulso proveniente da un soggetto privato oppure da un soggetto pubblico diverso
dall’amministrazione cui è attribuito il potere, o da un organo differente da quello competente a
provvedere. Quando l’istanza consiste in un atto amministrativo si deve parlare di richiesta o di
proposta. Quest’ultima è l’atto di iniziativa con cui si suggerisce l’esplicazione di una certa attività:
essa può essere vincolante o non vincolante. La richiesta in senso proprio è l’atto di iniziativa
consistente in una manifestazione di volontà mediante il quale un’autorità sollecita ad un altro
soggetto pubblico l’emanazione di un determinato atto amministrativo. L’istanza, in senso proprio,
proviene invece dal solo cittadino ed è espressione della sua autonomia privata.

Tutte le ipotesi di atti di iniziativa sopra richiamate, ad eccezione della proposta non vincolante,
sono comunque caratterizzate dal fatto che sorge, quale effetto endoprocedimentale, il dovere per
l’amministrazione di procedere. A fronte dell’istanza, l’amministrazione deve dar corso al
procedimento, ma può anche rilevarne l’erroneità o l’incompletezza. Prima di rigettare l’istanza,
l’amministrazione deve procedere al c.d. soccorso istruttorio provvedimentale e cioè alla
richiesta della rettifica che introduce il principio della sanabilità delle istanze dei privati. Quando
l’ordinamento non riconosce in capo al privato un interesse protetto e un dovere di procedere per
l’amministrazione, il suo atto non si configura come istanza in senso proprio, bensì come mera
denuncia, mediante la quale si rappresenta una data situazione di fatto all’amministrazione,
chiedendo l’adozione di provvedimenti o, più genericamente, di misure da adottare d’ufficio.
L’iniziativa d’ufficio è prevista dall’ordinamento nelle ipotesi in cui l’amministrazione si attivi
autonomamente al ricorrere di alcuni presupposti, indipendentemente dalla sollecitazione
proveniente da soggetti esterni.

L’individuazione del momento in cui il procedimento ha inizio è importante giacché solo con
riferimento ad esso è possibile stabilire il termine entro il quale il procedimento stesso deve essere
concluso. È stabilito dall’articolo 2 comma 6 legge 241/1990 che tale termine decorre dall’inizio di
ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda se il procedimento è a iniziativa di parte.
L’articolo 2 comma 2 legge 241/1990 afferma che entro il termine stabilito (30 giorni) il
procedimento deve essere concluso: in senso proprio il procedimento si dovrebbe concludere con
l’emanazione dell’ultimo atto della serie procedimentale, che non necessariamente coincide con il
provvedimento: si pensi agli atti di controllo o all’accettazione dell’interessato, che seguono
l’emanazione del provvedimento. Tuttavia nel comma 1 dell’articolo 2 il legislatore chiarisce che la
PA ha il dovere di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso:
di conseguenza, il termine si intende rispettato quando l’amministrazione, entro trenta giorni
emani il provvedimento finale. La legge prevede però possibilità ulteriori.

In secondo luogo, con riferimento ai procedimenti ad istanza di parte, è ammessa la possibilità che
il procedimento sia definito mediante silenzio-assenso. Ciò significa che all’inerzia è collegata la
produzione degli effetti corrispondenti a quelli del provvedimento richiesto dalla parte. Il silenzio-
assenso può essere impedito emanando un provvedimento di diniego. È però introdotta
un’importante serie di eccezioni a questa regola. in queste ipotesi, a fronte dell’inutile decorso del
termine senza che l’amministrazione abbia emanato il provvedimento, si forma il c.d. silenzio
inadempimento, che non produce effetti equipollenti a quelli di un provvedimento. Il cittadino ha in
questo caso una vasta serie di rimedi. Intanto vi è lo specifico strumento del ricorso avverso il
silenzio, preordinato ad ottenere comunque un provvedimento espresso.

Il ritardo può poi dar luogo a responsabilità civile a carico dell’amministrazione: ai sensi dell’articolo
2 bis legge 241 del 1990 le pubbliche amministrazioni e i soggetti preposti all’esercizio di attività
amministrative sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato dall’inosservanza dolosa o
colposa del termine di conclusione del procedimento ( cd. danno da ritardo).
Per quanto riguarda le conseguenze del ritardo, va considerato innanzitutto l’istituto dell’indennizzo
da mero ritardo, per cui la PA responsabile del ritardo deve corrispondere all’interessato, a titolo di
indennizzo per il mero ritardo, una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo fino a un
massimo di 2.000 euro.

L’articolo 10 bis, con riferimento ai procedimenti ad istanza di parte, stabilisce che il responsabile
del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento
negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della
domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il
diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La
comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione dei procedimenti, che
ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni, o in mancanza
delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Qualora gli istanti abbiano
presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del
procedimento o l'autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del
provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono
conseguenza delle osservazioni. In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così
adottato, nell'esercitare nuovamente il suo potere l'amministrazione non può addurre per la prima
volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato. Le disposizioni di cui
al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia
previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Non
possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda inadempienze o
ritardi attribuibili all'amministrazione(1). ( disposizione modificata dal d.l 76/2020)

Tale istituto è infatti espressione del principio del giusto procedimento ed è preordinato ad
instaurare un contraddittorio con l’istante che tenta di convincere l’amministrazione a mutare segno
al provvedimento finale. ( prima: questa interrompe i termini che iniziano nuovamente a decorrere
dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di dieci
giorni dal ricevimento della comunicazione attribuito agli istanti per presentare per iscritto le loro
osservazioni)

La legge 241/1990 disciplina la figura del responsabile del procedimento, soggetto che svolge
importanti compiti in relazione allo svolgimento del procedimento. Innanzitutto l’articolo 4 legge 241
del 1990 stabilisce che le PA sono tenute a determinare, per ciascun tipo di procedimento relativo
ad atti di loro competenza, l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro
adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento finale. Adempiuto l’obbligo
di determinare le singole unità organizzative competenti, seguirà l’individuazione, all’interno di
ciascuna unità organizzativa, del responsabile del procedimento, persona fisica che agirà in
concreto. Ai sensi dell’articolo 5 Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare
a sé o ad altri addetti all’unità organizzativa la responsabilità dell’istruttoria e di ogni altro
adempimento relativo al singolo procedimento, nonché eventualmente all’adozione del
provvedimento finale. È previsto dal comma 2 art. 5 inoltre che, fino a quando non venga effettuata
l’assegnazione, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto
all’unità organizzativa determinata a norma dell’articolo 4.

Quanto alle funzioni del responsabile, esse sono quelle di guida del procedimento, di
coordinatore dell’istruttoria e di organo di impulso. Il responsabile inoltre rappresenta
l’essenziale punto di riferimento sia per i privati sia per l’amministrazione procedente e per gli
organi di altre amministrazioni coinvolte dal soggetto procedente. La presenza di un responsabile
chiamato a dialogare con i soggetti coinvolti dal procedimento dovrebbe consentire di superare il
tradizionale limite dell’impersonalità degli uffici.

I compiti del responsabile del procedimento sono più in particolare indicati dall’articolo 6 legge 241
del 1990. Il responsabile valuta le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione e i
presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento. Trattasi dunque in parte, di
attività preliminare rispetto all’esame del merito della domanda e in parte, di delibazione in ordine
alla sussistenza di requisiti condizionanti la scelta finale. Il responsabile svolge, inoltre, funzioni
più propriamente istruttorie: accerta d’ufficio i fatti, acquisisce i documenti già in possesso
dell’amministrazione procedente o di altra amministrazione e adotta ogni misura per l’adeguato e
sollecito svolgimento dell’istruttoria. Il responsabile può anche chiedere il rilascio di dichiarazioni e
la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete. Questo istituto- regolarizzazione delle
domande dei privati e della documentazione prodotta – è molto importante: l’amministrazione può
ammettere il cittadino a correggere gli errori materiali in cui sia incorso nella redazione di istanze o
domande nonché a completare la documentazione incompleta o non conforme alla normativa.
Ancora, egli ha compiti di impulso del procedimento: propone l’indizione o avendone la
competenza, indice le conferenze di servizi. Inoltre, ove non abbia la competenza ad emanare
l’atto finale, egli trasmette gli atti all’organo competente per l’adozione; altrimenti emana egli stesso
tale provvedimento. L’articolo 6 lett. E) specifica che l’organo competente per l’adozione del
provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento non può discostarsi dalle
risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la
motivazione nel provvedimento finale. Dunque è chiaro che il responsabile del procedimento sia il
soggetto dell’amministrazione che instaura il dialogo con i soggetti interessati al procedimento
mediante la comunicazione dell’avvio del procedimento, lo prosegue nella fase della
partecipazione e anche dopo l’emanazione del provvedimento finale, mediante la comunicazione,
la pubblicazione e le notificazioni previste dall’ordinamento.

L’avvio del procedimento deve essere comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il
provvedimento finale è destinato a produrre effetti, a quelli che per legge devono intervenirvi,
nonché ai soggetti che siano individuati o facilmente individuabili qualora dal provvedimento possa
loro derivare un pregiudizio. (articolo 7 legge 241/1990). Per quanto attiene alla identificazione dei
destinatari dell’atto e dei soggetti che debbono intervenire per legge non si pongono particolari
questioni. I destinatari dell’atto sono infatti i soggetti nella cui sfera giuridica è destinata a prodursi
la vicenda giuridica (tipica) determinata dall’esercizio del potere; si tratta dunque dei titolari di
interessi legittimi oppositivi o pretensivi. I soggetti che per legge devono intervenire sono in linea di
massima enti pubblici. Maggiori problemi sorgono in relazione alla categoria dei “soggetti
individuati o facilmente individuabili “ai quali potrebbe derivare un pregiudizio dal provvedimento. In
linea di massima si tratta di quei soggetti che sarebbero legittimati ad impugnare il provvedimento
favorevole (c.d contro interessati sostanziali: Occhiena) nei confronti del destinatario in quanto
pregiudicati dal provvedimento stesso. Ad esempio, il proprietario di un fondo vicino a quello cui
l’istante ha richiesto un permesso edilizio.

La comunicazione dell’avvio è un compito del responsabile del procedimento. In via di norma


essa deve essere fatta mediante comunicazione personale ( notifica, comunicazione a mezzo
messo comunale o ufficiale giudiziario, raccomandata con avviso di ricevimento), ma può essere
fatta anche secondo modalità differenti, stabilite e giustificate di volta in volta dall’amministrazione
quando per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti
particolarmente gravosa. La comunicazione deve contenere i seguenti elementi (articolo 8):
a)l’amministrazione competente;

b)l’oggetto del procedimento;

c)l’ufficio, il domicilio digitale dell’amministrazione (d.l 76/2020) e la persona del responsabile


del procedimento;

c bis) la data entro la quale deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia
dell’amministrazione;

c ter) nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza

d) le modalità con le quali, attraverso il punto di accesso telematico di cui all’articolo 64-bis del
decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 o con altre modalità telematiche, è possibile prendere
visione degli atti, accedere al fascicolo informatico di cui all’articolo 41 dello stesso decreto
legislativo n. 82 del 2005 ed esercitare in via telematica i diritti previsti dalla presente legge;
d-bis) l’ufficio dove è possibile prendere visione degli atti che non sono disponibili o accessibili con
le modalità di cui alla lettera d) (lettera inserita dal d.l 76/2020)

Ai sensi dell’articolo 41 d.lgs, 82/2005 l’amministrazione, all’atto della comunicazione d’avvio,


comunica agli interessati le modalità per esercitare in via telematica i diritti di cui all’articolo 10
l.241 del 1990 e cioè quelli relativi alla partecipazione.

Sono previste delle eccezioni al dovere di comunicare l’avvio del procedimento (art. 13 legge 241
del 1990) Tale dovere non opera con riferimento alle attività della PA dirette all’emanazione di atti
normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, nonché dei procedimenti
tributari. Poi è precisato (art. 7 comma 1) che l’avvio in esame non deve essere comunicato
quando non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del
procedimento. Tali ragioni devono essere evidenziate dall’amministrazione con adeguata
motivazione. Poi, con riferimento ai provvedimenti cautelari (art 7 comma 2), è consentita la loro
adozione da parte della PA anche prima dell’effettuazione della comunicazione dell’avvio del
procedimento. La dottrina ha posto in luce l’esistenza di altri procedimenti c.d. riservati, in ordine
ai quali non dovrebbe essere ammessa la partecipazione, alla quale è preordinata la
comunicazione dell’avvio del procedimento. In questi casi in effetti la comunicazione dell’avvio del
procedimento e la partecipazione potrebbero frustrare gli interessi curati dall’amministrazione
oppure la riservatezza dei terzi.

L’omissione della comunicazione di avvio del procedimento configura un’ipotesi di illegittimità, che
può essere fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista (art. 8
comma 4) In caso di omissione della comunicazione può comunque trovare applicazione l’art 21
octies comma 2 seconda parte (sempre legge 241/1990), ai sensi del quale il provvedimento
amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora
l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto adottato. In sostanza la norma dequota la rilevanza del vizio
di omessa comunicazione quando la partecipazione sarebbe stata inutile.

L’istruttoria è la fase del procedimento funzionalmente volta all’accertamento dei fatti e dei
presupposti del provvedimento e alla acquisizione e valutazione degli interessi implicati
dall’esercizio del potere. Essa è condotta dal responsabile del procedimento, il quale è tenuto a
curare l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria.

Nel nostro ordinamento amministrativo vige il principio inquisitorio, in forza del quale
l’amministrazione non è, in linea di massima, vincolata dalle allegazioni dei fatti contenute nelle
istanze e nelle richieste ad essa rivolte. La sussistenza del principio inquisitorio pone il problema
dell’oggetto dell’attività istruttoria. Sul punto il legislatore individua le situazioni di fatto che
costituiscono i presupposti dell’agire attraverso modalità diverse: talora definendo con precisione i
fatti stessi, in tal caso l’amministrazione dovrà accertare la corrispondenza fra situazione di fatto e
indicazione normativa; in altre ipotesi utilizzando categorie più generiche o indicando il solo
interesse pubblico, in tal caso l’istruttoria dovrà rivolgersi all’individuazione di una realtà di fatto che
appaia idonea a configurare l’esistenza dell’interesse pubblico stesso.

L’attività di selezione e di evidenziazione dei fatti e degli interessi non è priva di limiti e, in quanto
tale, deve essere adeguatamente motivata. Essa deve in primo luogo rispettare il principio di non
aggravamento del procedimento.

Gli interessi rilevanti, quelli cioè che l’amministrazione deve considerare in sede di scelta finale
ponderandoli con quello principale fissato per legge, sono acquisiti al procedimento sia attraverso
l’iniziativa dell’amministrazione procedente, sia a seguito dell’iniziativa dei soggetti titolari degli
interessi stessi. Le vie per la loro rappresentazione nel corso del procedimento sono
essenzialmente tre.

1)L’amministrazione procedente può richiedere all’amministrazione cui è imputato l’interesse


pubblico da acquisire di esprimere la propria determinazione,
2) oppure può indire una conferenza di servizi ai sensi dell’articolo 14 comma 1 legge 241 del
1990; si rileva come in sede istruttoria sia possibile acquisire gli interessi pubblici rilevanti in
un’unica soluzione: l’articolo 14 l.241/1990 prevede che essa può essere indetta
dall’amministrazione procedente anche su richiesta di altra amministrazione coinvolta nel
procedimento o del privato interessato, quando lo ritenga opportuno per effettuare un esame
contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo ( c.d conferenza
istruttoria interna) ovvero in più procedimenti amministrativi connessi riguardanti medesime attività
o risultati ( c.d conferenza istruttoria esterna in quanto interprocedimentale).

Va aggiunto che alla conferenza possono partecipare anche alcuni soggetti privati: ai sensi
dell’articolo 14 legge 241 del 1990 l’indizione della conferenza è comunicata ai soggetti di cui
all’articolo 7 i quali possono intervenire nel procedimento ai sensi dell’articolo 9. La conferenza è
indetta dal responsabile del procedimento e consiste in una riunione di persone fisiche ( ma può
avvenire anche in modalità asincrona anzi è questa la regola art. 14 comma 1) in rappresentanza
delle rispettive amministrazioni ciascuna delle quali esprime il proprio punto di vista, il quale
confluisce in una determinazione conclusiva raccolta in un verbale.

Mediante la partecipazione possono essere rappresentati interessi da parte di soggetti pubblici


solo nel caso in cui dal procedimento possa derivare loro un pregiudizio, mentre la conferenza di
servizi può essere indetta per esaminare gli interessi pubblici coinvolti senza specificazioni ulteriori
e pertanto anche nel caso in cui alcuni dal provvedimento finale possa derivare un indiretto
beneficio.

3) infine, l’amministrazione portatrice dell’interesse pubblico secondario può partecipare al


procedimento ai sensi dell’articolo 9 legge 241 del 1990. Uno degli strumenti più importanti previsti
dalla legge 241 del 1990 per introdurre interessi non solo pubblici ma anche e soprattutto privati
nel procedimento è costituito dalla partecipazione. Ai sensi degli articoli 7 e 9 legge 241 del 1990
sono legittimati all’intervento nel procedimento i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento
finale è destinato a produrre effetti diretti, i soggetti che per la legge devono intervenire nel
procedimento e i soggetti che possono subire un pregiudizio dal provvedimento, purché individuati
o facilmente individuabili. Possono inoltre intervenire nel procedimento i portatori di interessi
pubblici o privati nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati cui possa
derivare un pregiudizio dal provvedimento (art. 9). I soggetti di cui all’articolo 7 acquisiscono
conoscenza della pendenza di un procedimento nel quale intervenire mediante comunicazione
dell’avvio del procedimento; quelli di cui all’articolo 9 attraverso vie differenti. Mentre i soggetti di
cui all’art, 7 sono titolari di un interesse legittimo ( qualificato e differenziato) quelli contemplati
dall’articolo 9 ha un interesse differenziato ma non qualificato.

Ai sensi dell’articolo 13 legge 241 del 1990 le norme contenute nel capo sulla partecipazione al
procedimento amministrativo non si applicano ai procedimenti volti all’emanazione di atti normativi,
amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, nonché a quelli tributari. L’unica
categoria di procedimenti in relazione ai quali l’esclusione della partecipazione non pare creare
particolari problemi è costituita da quelli preordinati all’emanazione di atti normativi. in taluni settori
la normativa ammette la partecipazione anche in ordine a questi procedimenti (campo ambientale).

La partecipazione al procedimento consiste nel diritto di prendere visione dei relativi atti e nella
presentazione di memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha il dovere di valutare ove
siano pertinenti all’oggetto del procedimento (art. 10 legge 241 del 1990). Si tratta dunque
essenzialmente di una partecipazione documentale, anche se non è escluso che le norme
secondarie possano introdurre forme di istruttoria pubblica orale. Si è osservato come non sarebbe
possibile operare una ricostruzione unitaria del fenomeno della partecipazione la quale in taluni
casi avrebbe una funzione di difesa del privato mentre in altri sarebbe uno strumento di
collaborazione. Al riguardo considerando che la funzione del procedimento è quella di consentire
la migliore cura dell’interesse pubblico si deve ritenere che anche la partecipazione sia strumentale
alla più congrua decisione finale in vista dell’interesse pubblico: essa ha cioè funzione
collaborativa.
I fatti rappresentati dagli intervenienti non possono in linea di principio essere accettati
acriticamente: la PA dovrà verificare la pertinenza delle memorie all’oggetto del procedimento,
accertare i fatti introdotti nel procedimento dai privati, identificare altri fatti ignoti ed elaborare le
rappresentazioni dei privati. Mediante la partecipazione è dato introdurre anche ipotesi di
soluzione, le quali vanno ad arricchire il quadro delle possibilità all’interno del quale
l’amministrazione opererà la scelta finale. .La partecipazione offre la possibilità ai soggetti
legittimati di presentare memorie scritte e documenti, nonché di prendere visione degli atti del
procedimento (art. 10 l.241/1990)

ACCESSO AI DOCUMENTI Si tratta infatti di un istituto che si collega non alla sola trasparenza
procedimentale, bensì anche al principio di trasparenza inteso in senso lato. Sotto il profilo
soggettivo un ulteriore ampliamento a chiunque della legittimazione ad accedere è stata realizzata
dal d.lgs 33/2013 che disciplina l’accesso civico. Si può dunque parlare di accesso
endoprocedimentale, esercitato all’interno del procedimento, e di accesso esoprocedimentale,
relativo agli atti di un procedimento concluso.

Per quanto riguarda l’accessocollegato alla partecipazione, i soggetti legittimati ad esercitare il


diritto di accesso sono tutti quelli che abbiano titolo a partecipare al procedimento. Negli altri casi
l’articolo 22 legge 241/1990 indica, quali soggetti legittimati, tutti i soggetti privati, compresi quelli
portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale,
corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è
chiesto l’accesso. Il diritto di accesso si esercita nei confronti delle PA, delle aziende autonome e
speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi, nonché dei privati limitatamente alla loro
attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea ( art. 22 comma
1 lettera e l. 241 del 1990) Sotto il profilo oggettivo, il diritto di accesso riguarda i documenti
amministrativi, di cui all’articolo 22 definiti come ogni rappresentazione grafica,
fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti detenuti da
una PA e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla loro natura
pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.

La richiesta di accesso, rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene


stabilmente, deve essere motivata, indicare gli estremi del documento oppure gli elementi che ne
consentano l’individuazione e far constare l’identità del richiedente. Essa dovrà poi giustificare la
necessarietà del dato quando la sua conoscenza sia strumentale alla difesa dei propri interessi
giuridici o la sua indispensabilità nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari. Il diritto
è esercitabile fino a quando la PA ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si
chiede di accedere. Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l’esistenza di
controinteressati il diritto di accesso può essere esercitato in via informale mediante richiesta,
anche verbale, all’ufficio dell’amministrazione. Ove si riscontri l’esistenza di controinteressati
oppure non sia possibile l’accoglimento immediato della richiesta in via informale, oppure sorgano
dubbi sulla legittimazione del richiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresentativi, sulla
sussistenza dell’interesse alla stregua delle informazioni e delle documentazioni fornite,
sull’accessibilità del documento o sull’esistenza dei controinteressati, l’amministrazione invita
l’interessato a presentare richiesta d’accesso formale.

A seguito della domanda di accesso, l’amministrazione può: invitare il richiedente a presentare


istanza formale; rifiutare l’accesso; differire l’accesso; limitare la portata dell’accesso,
consentendolo solo ad alcune parti del documento; accogliere l’istanza. Mentre il rifiuto, il
differimento e la limitazione all’accesso devono essere motivati, la legge non stabilisce nulla in
ordine all’accoglimento. Con riferimento all’ipotesi in cui l’amministrazione non si pronunci sulla
richiesta di accesso, dispone che trascorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta questa si intende
respinta. In caso di accoglimento, il diritto di accesso si esercita mediante esame gratuito ed
estrazione di copia del documento. L’esame dei documenti avviene presso l’ufficio indicato nell’atto
di accoglimento della richiesta. Non tutti i documenti sono suscettibili di essere conosciuti dai
cittadini. L’articolo 24 legge 241 del 1990 prevede che il diritto non possa essere esercitato nei casi
di documenti coperti da segreto di Stato, di segreto o di divieto di divulgazione espressamente
previsti dall’ordinamento; nei procedimenti tributari; nei confronti dell’attività della PA diretta
all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per
i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; nei procedimenti selettivi,
nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale
relativi a terzi.

Alcuni problemi sorgono in quanto il fatto di ostendere un documento potrebbe incidere sulla
posizione dei terzi. In proposito la legge 241/1990 distingue tra interessati e controinteressati,
ossia soggetti che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla
riservatezza. Con il termine riservatezza si indica quel complesso di dati, notizie e fatti che
riguardano la sfera privata della persona e la sua intimità. L’amministrazione è tenuta a
comunicare ai soggetti controinteressati individuati la richiesta di accesso, e costoro possono
presentare motivata opposizione alla richiesta entro il termine di dieci giorni, decorso il quale
l’amministrazione provvede sulla richiesta. L’amministrazione è tenuta a effettuare una
ponderazione tra interessi contrapposti. La legge 241/1990 dispone al riguardo che ai richiedenti
deve comunque essere garantito l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia
necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici, spettando dunque
all’amministrazione la relativa valutazione. È previsto poi (art. 24 comma 7) che, nel caso di
documenti contenenti dati sensibili (idonei a rilevare l’origine razziale ed etnica, convinzioni
filosofiche e religiose) e giudiziari ( qualità di imputato o indagato), l’acceso è consentito nei limiti
in cui sia strettamente indispensabili. Ove poi si tratti di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la
vita sessuale (c.d. dati super sensibili), il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente
rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango
almeno pari ai diritti dell’interessato, oppure consiste in un diritto della personalità o in un altro
diritto o libertà fondamentale e inviolabile. Spetterà ancora una volta all’amministrazione decidere
in ordine al conflitto tra trasparenza e riservatezza. La disciplina del diritto di accesso è completata
dalla previsione di particolari forme di tutela. È assegnata al giudice amministrativo, in sede di
giurisdizione esclusiva, la tutela giurisdizionale contro le determinazioni concernenti il diritto di
accesso e nei casi di rifiuto.

Nella direzione dell’aumento della trasparenza e della piena garanzia della libertà di accesso si
muove il d.lgs 33/2013 emanato in attuazione di una delega conferita dalla legge 190/2012 che
introduce nel nostro ordinamento il c.d. accesso civico, ampliando considerevolmente il novero
dei legittimati e gli atti e gli elementi conoscibili. Il campo di applicazione dell’istituto è duplice. In
primo luogo esso coincide con l’area dei dati, delle informazioni e dei documenti per cui sussiste
un obbligo di pubblicazione. La richiesta di accesso civico non è sottoposta ad alcuna limitazione
quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente, riconosciuta a chiunque. Si tratta in questo
caso di uno strumento per rafforzare l’obbligo di pubblicazione. In secondo luogo si riconosce a
chiunque il diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti delle PA ulteriori rispetto a quelli
oggetto di pubblicazione, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti.
In entrambe queste ipotesi, l’istanza che identifica i dati, le informazioni o i documenti richiesti, non
richiede motivazione. Nei casi di diniego totale o parziale dell’accesso o di mancata risposta entro
il termine di legge, la normativa prevede rimedi amministrativi e giurisdizionali, sul modello della
disciplina dettata per l’accesso classico.

Anche nell’accesso civico possono sussistere controinteressati, che devono essere coinvolti nel
procedimento. L’ordinamento individua precisi limiti ed eccezioni all’accesso civico, aprendo la via
a delicate valutazioni dell’amministrazione e a scelte, anche ardue di bilanciamento tra interessi.
Innanzitutto l’accesso va rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla
tutela di taluni interessi pubblici (si tratta di quelli inerenti a sicurezza pubblica e ordine pubblico,
sicurezza nazionale, difesa e le questioni militari; relazioni internazionali, politica e stabilità
finanziaria ed economica dello Stato, conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento,
regolare svolgimento di attività ispettive) o privati (protezione dei dati personali, libertà e
segretezza della corrispondenza, interessi economici e commerciali di una persona fisica o
giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali).
L’accesso civico non può essere negato ove, per la tutela degli interessi sopra indicati, sia
sufficiente fare ricorso al potere di differimento. Il diritto è poi escluso nei casi di segreto di Stato e
negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge. Il rifiuto, il differimento e la
limitazione dell’accesso devono essere motivati. Infine, delicati sono i problemi di coordinamento
tra l’accesso classico e l’accesso civico che esorbita dagli obblighi di pubblicazione. I due istituti
possono interessare i medesimi documenti ma, mentre il primo spetta soltanto a chi abbia uno
specifico interesse, il secondo è un vero e proprio diritto di conoscere riconosciuto a tutti. Diversi
sono però i limiti, nel senso che i casi che giustificano un rifiuto dell’accesso civico sono più ampi
rispetto a quelli che consentono di rigettare la richiesta di accesso classico.

Affinché i fatti diventino rilevanti nel procedimento, essi devono essere accertati
dall’amministrazione procedente o da altra amministrazione. L’amministrazione in tal caso pone in
essere atti dichiarativi che sono costituiti da dichiarazioni di scienza che conseguono a un
procedimento costituito da un insieme di atti e operazioni finalizzati ad apprendere. Ricordiamo in
particolare gli accertamenti, i quali sono dichiarazioni relative a fatti semplici meramente constatati.
Quando invece, al fine di operare la qualificazione di un fatto non è sufficiente una semplice attività
di apprendimento ma serve un’attività di valutazione si parla di valutazioni tecniche. Articolo 17
l.241 del 1990 si occupa del caso in cui le valutazioni tecniche previste da una legge o da un
regolamento siano richieste a enti o organi appositi e questi non provvedano entro 90 giorni dal
ricevimento della richiesta o in quello previsto specificamente dalla legge. in questa ipotesi il
responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni ad altri organi
dell’amministrazione pubblica o ad altri enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità
tecnica equipollenti ovvero ad istituti universitari.

La norma tratta del c.d silenzio devolutivo: l’inutile decorso del termine consente al soggetto
pubblico procedente di rivolgersi ad un’altra amministrazione al fine di ottenere una valutazione
tecnica non resa dall’amministrazione alla quale era stata inizialmente richiesta. Non si tratta di un
effetto di assenso bensì nella possibilità di procedere nel farsi del potere.

Tale disciplina non si applica quando si tratta poi di valutazioni che debbano essere prodotte da
amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei
cittadini. A fronte di interessi sensibili il meccanismo devolutivo non opera sicchè in tali casi
l’inerzia non è superabile, e quindi non si può prescindere dalla valutazione espressa dai soggetti
originariamente preposti alla loro tutela.

Poteri istruttori : deve escludersi che l’amministrazione disponga di poteri impliciti che consentano
di indagare la realtà anche incidendo sulla sfera giuridica dei terzi. In presenza di una tale
incidenza vige sempre il principio di tipicità e nominatività dei poteri amministrativi.

Per acquisire la conoscenza della realtà e degli interessi, l’amministrazione si avvale di numerosi
strumenti. Alcuni atti istruttori sono previsti come obbligatori dalla legge. Il principio inquisitorio è
applicabile anche alla scelta dei mezzi istruttori che l’amministrazione può utilizzare per acquisire
la conoscenza di fatti rilevanti ai fini della determinazione finale che incontra il limite costituito dal
principio di non aggravamento del procedimento. Le risultanze emergenti dai mezzi istruttori sono
di norma liberamente valutate dall’amministrazione.

Guardando ai diversi mezzi istruttori, innanzitutto i fatti semplici sono spesso rappresentati nel
procedimento mediante le seguenti attività:- esibizione di documenti di identità in corso di validità;
-acquisizione diretta di documenti e di informazioni : le amministrazioni pubbliche e i gestori di
pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni
sostitutive, di tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle PA, previa indicazione da parte
dell’interesso, degli elementi indispensabili per il loro reperimento. produzione di documenti o di
autocertificazioni

Tra i procedimenti volti ad accertare i fatti possono ricordarsi le inchieste e le ispezioni.


L’inchiesta amministrativa è un istituto che mira ad una acquisizione di scienza relativa ad un
evento straordinario che non può essere conosciuto ricorrendo alla normale attività ispettiva e si
conclude di norma con una relazione. L’inchiesta viene svolta da un organo istituito ad hoc.
Occorre dunque l’emanazione di un provvedimento che disponga l’inchiesta e attribuisca l’incarico.
L’ispezione è un insieme di atti, di operazioni o di procedimenti mirati ad acquisizioni di scienza
che ha ad oggetto situazioni o comportamenti e che avviene in un luogo esterno rispetto alla sede
dell’amministrazione. Strutturalmente l’ispezione ha avvio con un atto indirizzato all’organo o
all’ufficio competente, e non istituito ad hoc, che dovrà compiere l’ispezione stessa.

Una volta acquisiti tutti gli interessi coinvolti nella scelta finale e verificati i fatti rilevanti,
l’amministrazione deve procedere ad una valutazione di siffatto materiale istruttorio. In alcune
ipotesi questa valutazione viene effettuata mediante atti emanati da appositi uffici o organi che
confluiscono in un ulteriore momento della fase istruttoria, costituita dal subprocedimento
consultivo. Si tratta di uffici e organi distinti rispetto a quelli che svolgono attività di
amministrazione attiva e dotati di particolari preparazione e competenza tecnica. Tale attività è
rivolta ma a fornire valutazioni e giudizi su varie questioni in vista delle scelte finali adottate da altri.
Gli atti mediante i quali viene esercitata questa forma di attività, detta appunto consultiva, e aventi
un contenuto di giudizio, sono i pareri. il parere è espressione della funzione consultiva e
comporta di norma un consiglio in ordine agli interessi che l’amministrazione procedente deve
tutelare, tenuto contro della situazione di fatto così come accertata nell’istruttoria.

Si distinguono: Pareri obbligatori, se la loro acquisizione è prescritta dalla legge; si noti che
l’obbligatorietà non attiene al fatto che l’organo consultivo sia tenuto a rendere il parere: ciò accade
in ogni caso. Pareri facoltativi: l’amministrazione può di propria iniziativa richiederli, purché ciò
non comporti un ingiustificato aggravamento del procedimento. Pareri conformi, ossia i pareri
che lasciano all’amministrazione attiva la possibilità di decidere se provvedere o meno; ma se essa
provvede, non può disattenderli. Pareri semivincolanti, che possono essere disattesi sono
mediante l’adozione del provvedimento da parte di un organo diverso da quello che di norma
dovrebbe emanarlo, impegnandone la responsabilità amministrativa o politica. Pareri vincolanti,
ossia pareri obbligatori che non possono essere disattesi dall’amministrazione, salvo che non li
ritenga illegittimi: essi devono essere espressamente qualificati espressamente come vincolanti da
una legge.

Il procedimento consultivo è disciplinato espressamente dall’articolo 16 legge 241 del 1990 su cui
ha inciso il d.lgs 76/2020 conv. in l.120/2020 mediante l’introduzione di un unico regime giuridico
valido sia per i pareri obbligatori che per quelli facoltativi applicabile in ipotesi di mancato rilascio
del parere richiesto. Ai sensi dell’articolo 16 comma 1(rimasto immutato) : Il parere obbligatorio
deve essere reso entro 20 giorni. Qualora siano richiesti di pareri facoltativi, sono tenuti a dare
immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà
reso , che comunque non può superare i venti giorni dal ricevimento della richiesta. Comma 2
articolo 16 modificato dal decreto semplificazioni disciplina le conseguenze per l’amministrazione
richiedente in caso di mancato rilascio del parere . La norma stabiliva in passato che In caso di
decorrenza del termine senza che sia stato comunicato il parere obbligatorio o senza che l'organo
adito abbia rappresentato esigenze istruttorie, è in facoltà dell'amministrazione richiedente di
procedere indipendentemente dall'espressione del parere: primo periodo soppresso ad opera del
d.l 76/2020. Nel caso di parere facoltativo invece sussisteva l’obbligo per la PA di procedere
indipendentemente dall’espressione del parere.

Attuale 2 comma articolo 16 dispone che “In caso di decorrenza del termine senza che sia stato
comunicato il parere o senza che l'organo adito abbia rappresentato esigenze istruttorie,
l'amministrazione richiedente procede indipendentemente dall'espressione del parere. Salvo il
caso di omessa richiesta del parere, il responsabile del procedimento non può essere chiamato a
rispondere degli eventuali danni derivanti dalla mancata espressione dei pareri di cui al presente
comma”. (secondo periodo la parola “facoltativo” è soppressa d.l 76/2020)
La disposizione di cui ai commi 1 e 2 non si applica in caso di parer che debbano essere rilasciati
da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistica, territoriale e della salute dei
cittadini (interessi sensibili) articolo 16 comma 3.

Anche i pareri possono essere acquisiti mediante lo strumento della conferenza di servizi: si
profila così un’ulteriore modalità attraverso la quale l’amministrazione esercita la propria funzione
consultiva nel procedimento
Completata l’istruttoria, il procedimento è maturo per addivenire all’emanazione del provvedimento.
Il procedimento può peraltro concludersi anche con atti differenti, oppure addirittura con un mero
fatto (silenzio). La fase decisoria non segue cioè uno schema unitario. Quando l’amministrazione
procedente deve acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominati di altri
amministrazioni pubbliche, il procedimento deve seguire regole ben precise. L’ordinamento
prevede al riguardo due istituti: quello del silenzio assenso e quello della conferenza di servizi
decisoria obbligatoria. L’articolo 17 bis legge 241 del 1990 introduce il meccanismo del silenzio
assenso endoprocedimentale, esso ha un effetto legittimante per l’amministrazione procedente,
consentendo alla stessa, in caso di inerzia del soggetto che deve esprimere l’assenso, di
procedere verso la conclusione del procedimento. Decorso il termine ( 30 giorni dal ricevimento
dello schema del provvedimento) senza che sia stato comunicato l‘assenso, il concerto o il nulla
osta lo stesso si intende acquisito. (art 17 bis co. 2). Il silenzio assenso opera anche nei confronti
di amministrazioni preposte alla tutela ambientale , paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e
della salute dei cittadini in cui i termini sono semplicemente più lunghi: il termine per far pervenire
l’assenso è di 90 giorni.(comma 3) D.lgs 76 del 2020 ha modificato i commi 1 e 2 dell’art. 17 bis.

Quanto alla fase integrativa dell’efficacia, la produzione dell’efficacia, e cioè l’attitudine ad


essere fonte di vicende giuridiche e a qualificare situazioni giuridiche, del provvedimento
conclusivo del procedimento è spesso subordinata al compimento di determinate operazioni, al
verificarsi di certi fatti o all’emanazione di ulteriori atti. Solo a quel punto si perfeziona la fattispecie,
nel senso che risultano integrate tutte le circostanze che l’ordinamento ha previsto non già per
l’esistenza del provvedimento ma affinchè possa prodursi l’effetto sul piano dell’ordinamento
generale. I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia
diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo. L’efficacia del provvedimento
amministrativo può poi essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo necessario, dallo stesso
organo che lo ha emanato oppure da altro organo previsto dalla legge.

Atti ed operazioni che condizionano l’efficacia del provvedimento e che confluiscono nella fase del
procedimento definita integrativa dell’efficacia sono: alcune forme di pubblicità e di comunicazione,
atti di adesione dei privati quando richieste e gli atti di controllo. Le operazioni di partecipazione
condizionano l’efficacia degli atti recettizi cioè di quegli atti che diventano efficaci solo al momento
in cui pervengono nella sfera di conoscibilità del destinatario. Sono tradizionalmente qualificati
come recettizi gli atti normativi. La legge poi ai sensi dell’articolo 21 bis l.241 del 1990 attribuisce
natura recettizia ai provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati. Tali atti acquistano
efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione personale. La comunicazione è
costitutiva dell’efficacia del provvedimento e apre la via all’esecuzione ai sensi dell’articolo 21
quater. Son previste due eccezioni alla necessità della comunicazione. 1)tali provvedimenti
possono contenere una motivata clausola di immediata efficacia a prescindere dalla conoscenza
che ne abbiano i privati, anche se questa possibilità non vale con riferimento ai provvedimenti a
carattere sanzionatorio, per i quali il principio della comunicazione ai fini dell’efficacia non può
essere derogato. 2) i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere
cautelare e urgente sono immediatamente efficaci.

Nel silenzio della disciplina si ritiene che i provvedimenti ampliativi producano effetti a
prescindere dalla comunicazione fatte salve le specifiche disposizioni di legge. Per gli altri
provvedimenti le misure di partecipazione svolgono una differente funzione consentendo al privato
di avere legale conoscenza dell’atto ai fini della sua impugnazione facendo dunque decorrere i
relativi termini salvo che la conoscenza non sia conseguita in altro modo. I mezzi più comuni
di partecipazione sono: la pubblicazione , la pubblicità , la comunicazione individuale, la
convocazione .Per quanto riguarda i controlli sull’atto, se l’efficacia dell’atto risulta sospesa in
attesa dell’esito del controllo, si versa nell’ipotesi di controllo preventivo. Se invece il controllo si
svolge successivamente alla produzione degli effetti da parte dell’atto controllato allora si parla di
controllo successivo, il quale non impedisce l’efficacia del provvedimento dal momento della sua
emanazione e funge da condizione risolutiva ove a seguito di esso venga pronunciato
l’annullamento. Il potere di controllo deve essere esercitato entro il termine fissato e non può
essere esercitato una seconda volta.

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