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“ IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO”

PROF. BIAGIO GILIBERTI


Università Telematica Pegaso Il procedimento amministrativo

Indice

1 IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO NELLA L. N. 241/1990 ---------------------------------------------- 3


2 TEMPI E FASI DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO ---------------------------------------------------- 8
3 AVVIO E PARTECIPAZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------- 14
4 IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO ------------------------------------------------------------------------- 19
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 22

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 Il procedimento amministrativo nella l. n.


241/1990
Con la legge n. 241/1990, recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo

e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” il legislatore ha introdotto nel nostro

ordinamento una normativa di principio che fissa i criteri fondamentali e di principio ai quali la P.A.

deve attenersi nell’esercizio della propria attività (1).

Tale normativa, pur lasciando discreti margini di discrezionalità ed elasticità alla P.A. nello

svolgimento della propria attività, mira a conformare l’azione pubblica a determinati canoni

rispondenti ai precetti costituzionali.

Fino all’entrata in vigore della legge in commento mancava, nel nostro ordinamento

giuridico, una disciplina generale del procedimento amministrativo. L’assenza di una

regolamentazione generale del procedimento amministrativo comportava un’ampia discrezionalità

della Pubblica Amministrazione in sede di gestione del procedimento e il non riconoscimento del

diritto degli interessati a partecipare attivamente ai procedimenti che portavano all’emanazione di

provvedimenti variamente incidenti nelle loro sfere giuridiche.

E’ a partire dagli anni ’90 che il legislatore ha avviato una serie di riforme sulle quali si è

elaborato, poi, il nuovo concetto di “funzione amministrativa”, ovvero il tramite, attraverso un

insieme di attività ed atti procedimentali, fra due situazioni statiche: i) il potere quale momento

iniziale dell’attribuzione; ii) l’effetto prodotto dal provvedimento quale momento finale di

produzione. In particolare, una prima soluzione al problema dell’assenza di una normativa generale

sul procedimento è stata conseguita solo grazie alla l. n. 241/1990. La legge 7 agosto 1990, n. 241,

novellata dalla l. n. 15/2005 e dalla l. n. 80/2005, nonché di recente dalla legge 18 giugno 2009, n.

(1) Cfr. V. CERULLI IRELLI, Verso un più compiuto assetto alla disciplina generale dell’azione amministrativa
(commento alla legge n. 15/2005 recante modifiche e integrazioni alla legge 241/1990), in Astrid Rassegna, 2005,
http://www.astrid-online.it/static/upload/protected/CERU/CERULLI_L-241_1990-per-Rassegna.pdf.

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69, generali valide per tutti i procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle

amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali.

L’art. 29, della l. n. 241/1990, che definisce espressamente l’ambito di applicazione della

suddetta legge, dispone che anche le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive

competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema

costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come

definite dai princípi stabiliti dalla presente legge.

Note di studio: Il procedimento amministrativo può essere definito come “la serie

coordinata di atti e di operazioni volta a prefigurare un assetto di interessi tali da consentire di

perseguire, per il tramite di un atto conclusivo, il fine pubblico, garantendo le forme di tutela in

seno alla istruttoria ed arrecando il minor pregiudizio possibile agli interessi compresenti”.

I principi cui si ispira la normativa sul procedimento amministrativo sono, essenzialmente, i

principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento, trasparenza che devono

improntare complessivamente l’azione amministrativa.

In tale contesto, il principio di legalità risponde all’esigenza che l’azione amministrativa

sia assoggettata alla legge, quale massima espressione della volontà popolare. Essa indica la

primazia della legge alla quale spetta, fondamentalmente, il compito di indicare i fini e gli interessi

pubblici che la P.A. è tenuta a perseguire2.

Secondo la prevalente dottrina3, il principio di legalità deve essere inteso in senso

sostanziale come “conformità di tutta l’azione amministrativa alle prescrizioni normative

espresse, nonché ai valori di efficacia, efficienza ed adeguatezza che promanano dall’intero

corpus normativo”.

(2) Cfr. F. CARINGELLA, Manuale di Diritto Amministrativo, Milano, 2008, 325.


(3) Cfr. F. CARINGELLA, I Principi di Diritto Amministrativo, Milano, 2016, 436.

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E’ in tale contesto sostanzialistico dell’azione amministrativa che si devono inquadrare le

previsioni di cui all’art. 21-octies della l. n. 241/1990, che, individuando le modalità di sanatoria

degli atti amministrativi affetti da vizi formali e procedurali, si traduce nella rilevanza della

legittimità sostanziale del provvedimento amministrativo.

In altri termini, la legalità sostanziale implica che il legislatore disciplini compiutamente i

pubblici poteri, sovrapponendosi, così, al all’istituto della riserva di legge. Nella materie non

coperte da riserva di legge, il principio di legalità si atteggia in senso formale (nel senso di

conformità dell’atto amministrativo alla legge se positivamente fondato su essa), come necessità

della previa norma di legge attributiva del potere.

Il principio di imparzialità sancito dagli artt. 3 e 97 della Cost. sancisce il dovere

dell’amministrazione di non discriminare la posizione dei soggetti coinvolti nell’esercizio della

sua azione amministrativa e di non abusare della propria posizione quando entra in contatto con

terzi soggetti. Esso si esplicita tanto sul piano dell’organizzazione quanto in quello dell’attività

amministrativa.

Strettamente connesso al principio di imparzialità è quello di buon andamento

dell’amministrazione ex art. 97 Cost. che impone alla P.A. il conseguimento degli obiettivi

legislativamente statuiti nel modo più adeguato e conveniente possibile.

In conformità al citato articolo 97 Cost. il legislatore ha, altresì, introdotto in ossequio al

principio della semplificazione taluni istituti diretti a snellire e rendere più veloce l’azione

amministrativa (si fa riferimento al silenzio assenso, alla segnalazione certificata di inizio attività,

alle conferenze di servizi etc.).

In concreto, sono informati ai suindicati principi i criteri cardine della legge sul

procedimento amministrativo: efficacia, pubblicità e trasparenza.

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Tali principi sono espressione della duplice direzione in cui si è mosso il legislatore, da una

parte rileva l’intento di orientare in senso maggiormente democratico l’azione amministrativa

rendendo noti i meccanismi e, anzitutto, rendendo partecipi i cittadini i quali, così, ben potranno

vigilare a che il procedimento amministrativo si svolga nel rispetto dei loro interessi, in osservanza

al principio di imparzialità; dall’altra emerge la volontà i improntare l’azione dei pubblici poteri a

regole di carattere imprenditoriale che consentano il raggiungimento dell’obiettivo prefissato

attraverso, quindi, lo snellimento dell’iter procedimentale(4).

In attuazione del criterio di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa, il comma 2

dell’art. 1 della l. n. 241/1990, fa divieto alla P.A. di aggravare il procedimento, ossia di compiere

atti procedimentali diversi da quelli legislativamente prescritti e di rinnovare quelli

precedentemente compiuti, se non per straordinarie e motivate esigenze dettate dallo svolgimento

dell’istruttoria procedimentale. L’inosservanza di tale divieto è destinata a viziare gli atti

eventualmente compiuti dall’amministrazione procedente sotto il profilo dell’eccesso di potere per

difetto di motivazione.

Il criterio della pubblicità costituisce un’articolazione del principio di trasparenza

dell’azione amministrativa cui sono da ricondurre: i) l’obbligo di rendere noto il termine entro il

quale deve essere concluso il procedimento; ii) l’obbligo di rendere pubbliche le disposizioni

adottate dalle amministrazioni in merito alle determinazioni dell’unità organizzativa responsabile

dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del

provvedimento finale; iii) l’obbligo di comunicare l’unità organizzativa competente ed il

nominativo del responsabile del procedimento; iv) l’obbligo di consentire agli interessati l’acceso ai

documenti amministrativi.

(4) V. CERULLI IRELLI, Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa, cit..

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Costituisce, altresì, una sub articolazione del principio di trasparenza l’esplicita statuizione

normativa che, in via generale, l’obbligo di motivazione degli atti amministrativi (5).

Note di studio: Il principio di efficacia costituisce un’articolazione del principio di buona

amministrazione di cui all’art. 97 Cost. ed indica il rapporto tra risultati ottenuti ed obiettivi

prestabiliti (6).

(5) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2016, n. 4250 “L'art. 3, l. 7 agosto 1990, n. 241, dispone che ogni
provvedimento amministrativo deve essere motivato e la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria. Tale
obbligo assume una valenza non formale-procedimentale ma sostanziale rappresentando il presupposto, il fondamento,
il baricentro e l'essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo”.
(6) Cfr. F. CARINGELLA, Corso di Diritto Amministrativo, 2005, Milano,1460 ss..

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2 Tempi e fasi del procedimento amministrativo


L’art. 2 della l. n. 241 del 1990 disciplina i termini per la conclusione del procedimento

amministrativo. La pubblica amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento con

un provvedimento espresso, sia nel caso in cui lo stesso consegua ad un’stanza del privato sia

nelle ipotesi in cui debba essere iniziato d’ufficio.

L’azione amministrativa deve essere circoscritta nel tempo, non potendo essere protratta sine

die poiché è necessario assicurare un margine di certezza a coloro che entrano in contatto con la

P.A..

In particolare, la normativa prevede un termine generale di 30 giorni che può essere portato

a 90 giorni per le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali e, sempre in relazione a tali

soggetti, in determinati casi, può arrivare ad un massimo di 180 giorni, previa adozione di un

regolamento ad hoc. Con la circolare del 4 luglio 2010 - Attuazione dell’articolo 7 della legge 18

giugno 2009, n. 69. (10A11680), il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione ed il

Ministro per la semplificazione normativa hanno chiarito che la legge disciplina compiutamente le

conseguenze della mancata adozione dei predetti provvedimenti nei termini di conclusione del

procedimento. Inoltre, secondo tale circolare, dal combinato disposto dell'art. 2, comma 2, della

legge n. 241 del 1990 e dell’art. 7, comma 1, lettera b), n. 4, della legge n. 69 del 2009 si evince

che, in assenza di diversa disciplina regolamentare, tutti i termini superiori a novanta giorni cessino

di avere efficacia e, per i procedimenti interessati, si applichi il termine ordinario di trenta giorni.

Nell’attuale disciplina viene, pertanto, stabilito che, salvo diverso termine, stabilito per legge

o con diverso provvedimento, il termine generale per la conclusione del procedimento è di 30

giorni. Per le amministrazioni statali, possono essere individuati termini non superiori a 90 giorni

per la conclusione dei relativi procedimenti, mediante decreti del Presidente del Consiglio dei

Ministri, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della l. n. 400/1988, su proposta dei Ministri

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competenti e di concerto con il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e, il

Ministro per la semplificazione normativa. In presenza di particolari presupposti e della particolare

complessità del procedimento, il termine di 90 giorni può essere ampliato, fino ad un massimo di

180 giorni, mediante i Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, per la conclusione dei

procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali. Questa

previsione non si applica ai procedimenti di acquisto di acquisto della cittadinanza italiana e a quelli

riguardanti l’immigrazione. Inoltre, la disciplina dei tempi del procedimento, non si applica ai

procedimenti di verifica o autorizzativi concernenti i beni storici, architettonici, culturali,

archeologici, artistici e paesaggistici, per i quali trovano applicazione le disposizioni di legge e di

regolamento vigenti in materia ambientale. Secondo il nuovo disposto normativo, i termini potranno

essere sospesi una sola volta e per un periodo non superiore a 30 giorni quando sia necessario

acquisire informazioni o certificazioni relative a fatti, stati, qualità non attestati in documenti già in

possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche

amministrazioni.

L’art. 2 in esame pone rimedio agli effetti lesivi conseguenti al silenzio procedimentale

posto in essere dall’amministrazione procedente sancendo, da un lato, che la tutela in materia

di silenzio dell’amministrazione è disciplinata dal Codice del processo amministrativo e che le

sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso avverso il relativo silenzio

dell’amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti (art. 2, comma 9,

sostituito dal d.l. n. 5/2012, conv. In l. n. 35/2012); dall’altro si osserva che la mancata o tardiva

emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance

individuale, nonché di responsabilità amministrativo-contabile e disciplinare del dirigente o

del funzionario inadempiente.

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Decorso, inutilmente, il termine per la conclusione del procedimento il privato può

rivolgersi al responsabile del rispetto del relativo termine affinché, entro un termine pari alla metà

di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o la

nomina di un commissario (art. 2, co. 9ter).

L’art. 2bis, l. n. 241/1990, introdotto ad opera della l. n. 69/2009, prevede una specifica

azione risarcitoria per il ristoro del “danno ingiusto” (in primis, ma non esclusivamente, secondo

il paradigma del c.d. “danno da ritardo”, elaborato dalla giurisprudenza (7)) addebitabile alla

pubblica amministrazione che, con dolo o colpa (grave), non ha rispettato i termini di

conclusione del procedimento. Incomberà ovviamente sull’attore la (non facile) prova

dell’ingiustizia del danno e dell’addebito per dolo o colpa grave in capo al funzionario.

Il legislatore, inoltre, ha espressamente previsto l’obbligo per le Regioni e gli Enti locali di

adeguarsi, modificando i propri regolamenti alla tempistica stabilita per le amministrazioni statali e

gli enti pubblici nazionali entro il temine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente

legge (art.7, comma 3, l. n. 69/2009).

(7) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2016, n. 1584 “Ai sensi dell'art. 2-bis l. 7 agosto 1990 n. 241 le Pubbliche
amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto, cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o
colposa del termine di conclusione del procedimento; peraltro l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non
possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio
nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare la sussistenza di
tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova
del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o
colpa del danneggiante); in particolare, in relazione alla colpa, la sua sussistenza non può essere dichiarata in base al
solo dato oggettivo della illegittimità del provvedimento adottato o dell'illegittimo ed ingiustificato procrastinarsi
dell'adozione del provvedimento finale, essendo necessaria anche la dimostrazione che la Pubblica amministrazione
abbia agito con dolo o colpa grave, di guisa che il difettoso funzionamento dell'apparato pubblico sia riconducibile ad
un comportamento gravemente negligente o ad una intenzionale volontà di nuocere, in palese ed inescusabile contrasto
con i canoni di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, di cui all'art. 97, Cost. ; pertanto, ai fini
dell'ammissibilità dell'azione risarcitoria deve in concreto accertarsi se l'adozione o la mancata o ritardata adozione
del provvedimento amministrativo lesivo sia conseguenza di comportamento doloso o della grave violazione delle
regole di imparzialità, correttezza e buona fede, alle quali deve essere costantemente ispirato l'esercizio della funzione,
e se tale comportamento sia stato posto in essere in un contesto di fatto ed in un quadro di riferimento normativo tale
da palesare la negligenza e l'imperizia degli uffici o degli organi dell'amministrazione, ovvero se, per converso, la
predetta violazione sia ascrivibile all'ipotesi dell'errore scusabile, per la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, per
l'incertezza del quadro normativo o per la complessità della situazione di fatto”

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Note di studio: Ai sensi dell’art. 30, co. 4, c.p.a., l’azione risarcitoria deve essere proposta

entro il termine di 120 giorni, il quale non inizia a decorrere fino a che perdura l’inadempimento.

Esso inizia, comunque, a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.

Il sistema delle tutele previste dalla legge sul procedimento amministrativo è stato, di

recente, arricchito da nuove prescrizioni normative.

Come è noto, nel c.d. decreto del fare di cui al d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito in legge

n. 98/2013, è stato inserito, al citato art. 2 bis, l’art. 1bis, che, accanto al risarcimento del danno da

ritardo nella conclusione del procedimento, prevede espressamente che “Fatto salvo quanto previsto

dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di

inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste

l'obbligo di pronunziarsi, l'istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle

condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento

emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal caso le

somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento”.

Sicché, l’indennizzo scatterà conseguentemente al ritardo nella definizione della pratica.

I presupposti per il configurarsi di tale azione sono: i) l’elemento soggettivo del dolo o

colpa; ii) l’elemento oggettivo del ritardo; iii) la sussistenza di un danno derivante dal mancato

rispetto del termine di conclusione del procedimento.

Vale altresì osservare che la disciplina in esame ha inciso sull’efficienza della pubblica

amministrazione. Infatti, il nuovo comma 9 della l. n. 241/1990 prevede che “la mancata

conclusione del procedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità

dirigenziale”.

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Questa norma letta in stretto rapporto con la previsione di cui al comma 1, dell’art. 2 della l.

n. 241/1990 sembra sancire un vero e proprio diritto alla conclusione del procedimento.

Il rispetto dei tempi stabiliti per l’adozione del provvedimento finale assurge ad elemento di

valutazione dei dirigenti sia in senso premiale, in un’ottica meritocratica, che in senso

sanzionatorio, ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato.

Tradizionalmente il procedimento amministrativo si articola in quattro fasi: i) la fase

dell’iniziativa che è quella con la quale la pubblica amministrazione avvia il procedimento; ii) la

fase dell’istruttoria con la quale il responsabile del procedimento analizza la situazione concreta

alla quale si rivolge il provvedimento da emanare, ponendo in essere tutti gli atti che si rendono

necessari al fine della conoscenza dei fatti da porre a fondamento della decisione; iii) la fase

decisoria con la quale viene assunta la determinazione relativa al provvedimento da adottare; iv) la

fase integrativa dell’efficacia solo eventuale che ricorre nelle ipotesi in cui è la legge a non

ritenere sufficiente la perfezione dell’atto, richiedendo pertanto il compimento di successivi od

ulteriori atti.

La fase di iniziativa è la fase diretta ad accertare i presupposti dell’atto da emanare. Si

possono avere procedimenti ad iniziativa privata, vale a dire procedimenti che vengono instaurati

con un atto propulsivo dell’interessato (istanze, denunce, ricorsi, etc.) oppure d’ufficio, cioè ad

impulso della stessa amministrazione competente per l’emissione del provvedimento centrale o

conclusivo.

Una volta aperta tale fase, la l n. 241 del 1990 ha previsto tre obblighi che fanno capo alla

pubblica amministrazione procedente: la previsione di un termine di conclusione dell’iter

procedimentale, la individuazione del responsabile del procedimento e la comunicazione dell’avvio

del procedimento agli interessati.

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Nella fase istruttoria quale sia acquisiscono e si valutano i singoli dati rilevanti ai fini

dell’emanazione dell’atto. Questa fase, peraltro, si caratterizza per un’attiva partecipazione dei

privati all’elaborazione di fatti ed interessi. In questa fase riveste notevole importanza l’istituto della

conferenza di servizi di tipo istruttorio.

La fase decisoria determina il contenuto dell’atto da adottare e si provvede alla formazione

ed alla emanazione dello stesso.

Quando la pubblica amministrazione deve emanare un atto discrezionale, provvede ad

effettuare la comparazione tra gli interessi acquisiti e coinvolti nell’azione amministrativa, mentre

in presenza di un atto vincolato, essa dovrà limitarsi a verificare unicamente la sussistenza dei

presupposti per l’adozione dei provvedimenti.

La fase eventuale integrativa dell’efficacia è un momento solo eventuale che ricorre, come

dianzi evidenziato, nelle sole ipotesi in cui sia la stessa legge a non ritenere sufficiente la perfezione

dell’atto, richiedendo il compimento. La ragione di tale previsione risiede nella necessità di valutare

la legittimità o la congruità del provvedimento adottato, che può richiedere di essere portato a

conoscenza dei destinatari per poter esplicare appieno i propri effetti giuridici.

Rientrano in questa fase, tra gli altri: la comunicazione o pubblicazione, in varie forme,

dell’atto, quando questo è recettizio, ossia quando la sua efficacia è condizionata alla conoscenza da

parte del destinatario; i controlli preventivi nel corso dei quali un organo diverso da quello attivo

(detto organo di controllo) verifica la conformità dell'atto all'ordinamento (controllo di legittimità) o

la sua opportunità (controllo di merito); l’esito positivo di tale verifica è condizione necessaria

affinché l'atto possa divenire efficace.

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3 Avvio e partecipazione
Lo strumento per attivare la partecipazione al procedimento amministrativo è costituito dalla

comunicazione di avvio del procedimento (8) che trova la propria fonte nell’art. 7, l. n. 241/1990 il

quale sancisce che l’amministrazione deve, di norma, comunicare l’avvio del procedimento ai

soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti; a quelli

che per legge debbono intervenirvi; ed, infine, ai soggetti a carico dei quali il provvedimento può

produrre effetti pregiudizievoli.

Nella comunicazione debbono essere indicati: a) l’amministrazione procedente; b) l’oggetto

del procedimento; c) l’ufficio e la persona del responsabile del procedimento; c-bis) la data entro la

quale deve concludersi il procedimento ed i rimedi esperibili in caso di inerzia

dell’amministrazione; c-ter) nei procedimenti ad istanza di parte, la data di presentazione della

relativa istanza; d) l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti.

La ratio di tale previsione normativa è quella di porre il privato nella condizione di poter

effettivamente controllare l’esplicazione del potere amministrativo e, di conseguenza, dotarlo di uno

strumento idoneo a contrastare l’eventuale riscontro negativo.

Sul punto la giurisprudenza ha, invero, affermato che l’istituto della comunicazione di avvio

del procedimento consiste nel “consentire alla parte interessata di partecipare al procedimento

amministrativo fin dal momento del suo concreto avvio, o quantomeno, di inserirsi in una fase che

non sia avanzata o, peggio, conclusiva, altrimenti risultando del tutto eluse le finalità partecipative

di trasparenza dell’azione amministrativa”(9).

(8) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2006, n. 2254, “L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento si fonda
sulla duplice esigenza, da un lato, di porre i destinatari dell’azione amministrativa in grado di far valere i propri diritti
partecipativi, dall’altro, di consentire all’amministrazione di meglio comparare gli interessi coinvolti e di meglio
perseguire l’interesse pubblico principale, a fronte degli altri interessi pubblici e privati eventualmente coinvolti. Sotto
tale profilo, la comunicazione di avvio, ancorché posta all’inizio del procedimento amministrativo, ha una intrinseca
potenzialità di prevenire eventuali motivi di ricorso giurisdizionale, assicurando un contraddittorio trasparente e un
confronto “ad armi pari” tra P.A. e privato”.
(9) Cfr. Cons. Giust. Amm. Sic., 19 maggio 2011, n. 386.

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Inoltre, è utile osservare che la comunicazione deve essere data entro un certo termine

congruo prima dell’adozione del provvedimento finale (10).

In tema di vizi afferenti la comunicazione di avvio del procedimento l’art. 21octies, della

l. 241/1990, stabilisce che “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul

procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia

palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto

adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione

dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del

provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Dopo la novella del 2005 l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento non è,

dunque, ex lege, causa di illegittimità del provvedimento, anche in una serie ulteriore di casi, in

linea di massima riconducibili al principio di “raggiungimento del risultato o scopo”(11), come in

relazione ad attività interamente vincolata dell’amministrazione; o nei casi in cui sia stato in

qualsiasi altro modo realizzato lo scopo della partecipazione; o ancora quando l’interessato abbia

avuto per altra via sicura conoscenza dell’apertura del procedimento (ad esempio, per averlo

attivato con la propria istanza, o perché conseguente ad altro procedimento di sua conoscenza). E’

evidente, tuttavia, che la conoscenza dell’avvio del procedimento aliunde percepta non sempre

potrà essere equiparata alla conoscenza formale (12), dunque spetta al giudice valutare se la fonte

informativa sia idonea a garantire il perseguimento della finalità propria della comunicazione in

senso stretto.

Da ultimo, nonostante non siano espressamente menzionati, si deve ritenere che alcuni

procedimenti siano per loro natura sottratti all’adempimento in oggetto, risultandone in caso

(10) Cfr. T.A.R. Campania, sez. II, 5 febbraio 2008, n. 531.


(11) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2004, n. 1272.
(12) Cfr. Cons. Stato, sez. II, parere 9 giugno 2004.

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contrario del tutto frustrati i relativi obiettivi. Così, per esempio, può supporsi in ordine ai

procedimenti “segreti”, ossia aventi ad oggetto la “segregazione” di atti o documenti perché coperti

dal segreto di Stato (ex l. n. 801/1977). Od ancora rispetto ai procedimenti “riservati”, il cui

risultato pratico verrebbe senz’altro vanificato dalla comunicazione agli interessati, e dalla

susseguente partecipazione al procedimento.

Sul punto parte della più recente giurisprudenza amministrativa (13), ammette la necessità

della comunicazione de qua anche nei confronti dei procedimenti preordinati all’emanazione di atti

vincolati (come ad esempio in materia edilizia ed urbanistica), atteso che comunque si tratta di

provvedimenti destinati ad incidere sfavorevolmente sulla situazione soggettiva del privato il cui

intervento può essere proficuo per l’attività istruttoria posta in essere dalla pubblica

amministrazione.

La mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, laddove non ricorra una delle

ipotesi in cui non è previsto tale obbligo, provoca, l’illegittimità del provvedimento finale per vizio

di violazione di legge, la relativa illegittimità può essere fatta valere solo dal soggetto nel cui

interesse la comunicazione è prevista (invalidità relativa) e non da chiunque ne abbia interesse.

Tuttavia tale regola non ha carattere assoluto. Invero, come dianzi precisato, la disciplina

sulla comunicazione di avvio al citato art. 21 octies, prevede ipotesi parzialmente diverse per il caso

della violazione di norme procedimentali e per la ipotesi della omissione della comunicazione.

La norma dopo aver stabilito al primo comma che è annullabile il provvedimento

amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza,

dispone, in buona sostanza, che il giudice, in sede di esame del vizio sul contenuto del

provvedimento impugnato, non deve procedere all’annullamento laddove emerga che il vizio

non abbia inciso in maniera significativa sull’assetto di interessi contenuto nel dispositivo.

(13) Cfr. T.A.R. Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, 10 giugno 2010, n. 372; T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 5 maggio
2008, n. 869.

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La comunicazione, infine, secondo un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale, non è

dovuta quando il procedimento è attivato ad istanza di parte (14).

La partecipazione al procedimento è da tempo considerata un principio cardine del nostro

ordinamento in considerazione del carattere funzionale della reale dialettica tra privato ed

amministrazione (15).

Note di studio: La partecipazione procedimentale è riconosciuta al fine di assicurare la

trasparenza dell’azione amministrativa a tutti i soggetti ed enti, che, a prescindere dalla

sussistenza di un interesse destinato ad essere sacrificato in virtù del provvedimento finale

(interesse difensivo), siano concretamente interessati a fornire un apporto collaborativo

all’operato dei pubblici poteri (interesse partecipativo).

La disciplina dei diritti di intervento e di partecipazione recata dalla legge 241/1990

concerne due aspetti, non toccati dalla revisione del 2005: soggetti titolari e contenuto. Quanto ai

primi, i soggetti portatori di interessi suscettibili di essere incisi dall’adozione del provvedimento,

individuati, di norma, dalla stessa amministrazione procedente ai sensi dell’art. 7, diventano parti

del rapporto pubblicistico nel quale il procedimento stesso consiste, ed assumono la facoltà di

parteciparvi rappresentando ed esprimendo i propri interessi. La legge 241 del 1990 assegna,

tuttavia, il diritto di partecipare al procedimento, esercitando i diritti elencati all’art. 10, non soltanto

a tali soggetti (coinvolti, come si è detto, doverosamente, dall’amministrazione procedente ai sensi

dell’art. 7), ma anche a coloro che decidono, spontaneamente e di propria iniziativa, di interloquire

col soggetto pubblico in modo da condurlo all’adozione di una decisione in linea con i propri

interessi. La legge, come chiaramente recita l’art. 9, attribuisce, infatti, la facoltà di intervenire nel

procedimento a “qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di

(14) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2012, n. 578.


(15) Cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 8 marzo 2016, n. 520.

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interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal

provvedimento”.

Tale potere di intervento è peraltro subordinato a due specifiche condizioni: i) colui che

interviene nel procedimento può subire un pregiudizio dall’adottando provvedimento; ii)

l’interventore si pone, sul piano giuridico, come portatore di interessi pubblici, ovvero

portatore di interessi privati, od ancora portatore di interessi diffusi costituiti in associazioni o

comitati.

Per quanto concerne le modalità di partecipazione al procedimento, l’art.10 della legge in

commento, disciplina due specifici aspetti. Da un lato, il diritto di prendere visione degli atti del

procedimento, salvi i limiti generali del diritto d’accesso; dall’altro, la rappresentazione scritta di

fatti ed interessi propri (attraverso le “memorie”), anche mediante l’esibizione dei pertinenti

documenti, dei quali l’amministrazione deve tenere conto ai fini della decisione da assumere.

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4 Il responsabile del procedimento


La legge n. 241 del 1990 regolamenta la figura del responsabile del procedimento, a cui

affida la gestione del procedimento amministrativo, nonché il delicato ruolo di autorità guida

(leading authority) di ogni procedimento amministrativo (16).

Con l’introduzione della figura del responsabile del procedimento si è adempito all’esigenza

di dare attuazione ai principi di trasparenza ed efficienza dell’azione amministrativa, unitamente

alla piena responsabilizzazione degli amministratori preposti alla gestione del procedimento.

L’art. 6 della l. n. 241 del 1990 prevede una serie di compiti attribuiti al responsabile del

procedimento, prevalentemente finalizzati alla cura della fase istruttoria del procedimento, nonché,

laddove ne abbia la competenza, all’effettiva adozione del provvedimento finale.

I compiti che gli sono attribuiti sono indicati dall’articolo 6 della citata legge n. 241 sono di:

i) valutare le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano

rilevanti per l’emanazione dei provvedimenti; ii) accertare d’ufficio i fatti, disponendo all’uopo,

ove richiesto, il compimento degli atti od ogni altra misura per l’adeguato e sollecito svolgimento

dell’istruttoria; iii) proporre l’indizione o, avendone la competenza, indire le conferenze di

servizi ex art. 14 l. 241/1990; iv) curare le comunicazioni, le pubblicazioni e le modificazioni

previste dalle leggi e dai regolamenti; vi) adottare, ove ne abbia competenza, il provvedimento

finale, ovvero trasmettere gli atti all’organo competente.

Ai fini dell’individuazione del responsabile del procedimento, l’articolo 5, comma 1, della

richiamata legge n. 241, espressamente prevede che il dirigente di ciascuna unità organizzativa

provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all'unità la responsabilità della istruttoria e

di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell'adozione

del provvedimento finale.

(16) Cfr. F. CARINGELLA, Manuale di Diritto amministrativo, cit., 1023 ss..

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Pertanto, il dirigente assume la veste di responsabile di tutti i procedimenti che rientrano

nella competenza funzionale dell’unità organizzativa, dal loro impulso, alla loro conclusione, alle

relative comunicazioni. Tuttavia, lo stesso dirigente può nominare un funzionario per provvedere

alle relative incombenze, conferendogli la qualifica di responsabile del procedimento, fermo

restando che l’adozione del provvedimento finale è riservata alla sua competenza esclusiva.

Il designato responsabile del procedimento non è tuttavia un mero esecutore materiale delle

direttive impartite dal dirigente, in quanto egli è investito di ampia autonomia operativa tecnico

discrezionale.

Obiettivo principale che il legislatore ha inteso conseguire attraverso l’introduzione e la

regolamentazione della figura del responsabile del procedimento è stato quello della

responsabilizzazione dei funzionari e dipendenti della pubblica amministrazione in caso di

omissioni od inadempienze perpetrate nel corso del procedimento.

La responsabilità può essere di tre tipi penale, civile e amministrativa. Per quanto concerne

la responsabilità penale, è da osservare che il responsabile del procedimento può incorrere nella

fattispecie delineata dall’art. 328, comma 2, c.p., in materia di omissione di atti di ufficio; ciò

secondo dottrina e giurisprudenza (17), sia in caso di omissione ingiustificata di adottare l’atto

conclusivo, sia nella ipotesi in cui non vengano posti in essere gli atti dovuti menzionati nell’art. 6

della l. n. 241 del 1990.

Per quanto riguarda, invece la responsabilità civile, si applica l’art. 28 della Cost. secondo

cui i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili

secondo le leggi civili, penali e amministrative degli atti compiuti in violazione dei diritti e,

dall’altro, dall’art. 22 del d.P.R. n. 3/1957 (T.U. impiegati civili dello Stato), il quale dispone che

(17) Cfr. Segreto-De Luca, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 2010.

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l’impiegato che, nell’esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti,

cagioni ad altri un danno ingiusto con dolo o colpa grave è personalmente obbligato a risarcirlo.

L’azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con

l’azione diretta nei confronti dell’amministrazione qualora in base alle norme ed ai principi vigenti

dell’ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato. Il danneggiato avrà la

facoltà di agire sia nei confronti dell’amministrazione oppure nei confronti del funzionario

responsabile.

Per quanto concerne, infine, la responsabilità amministrativa contabile e disciplinare, sono le

responsabilità nelle quali può incorrere il responsabile sia per i danni cagionati su di lui, secondo

quanto previsto dalle leggi e dai contratti collettivi.

Inoltre, la nuova normativa in materia di lotta alla corruzione, recata dalla l. n. 190/2012, ha

introdotto nel testo della l. 241/1990 la disposizione sul conflitto di interessi e, segnatamente, con

il nuovo art. 6bis della legge 241/1990 è previsto che il responsabile del procedimento, nonché i

titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti

endoprocedimentali ed il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi,

segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.

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Bibliografia
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 F.G. SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, 2014;

 M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2014.

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