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L’evoluzione del processo tributario

L’attuale processo tributario è disciplinato dal decreto legislativo 546 del 1992, entrato in vigore il 1°aprile
1996. La giurisdizione tributaria è esercitata in 1°grado dalla commissioni tributarie provinciali, ed in
2°grado dalle commissioni tributarie regionali. Il giudizio di legittimità è affidato alla suprema corte di
cassazione.
L’attuale struttura del processo tributario è frutto di una evoluzione secolare.
Il punto di partenza è costituito dalla legge 20marzo 1865 allegato E, la quale abolì gli organi del
contenzioso amministrativo e le relative controversie furono attribuite all’autorità giudiziaria ordinaria.
Questo sistema trovò una compiuta realizzazione con la riforma degli anni 1936-1937: il processo tributario
si articolava in ben 6 gradi di giudizio, di cui i primi 3 davanti ad organi amministrativi ed i rimanenti davanti
al giudice civile.
Nel 1972 i gradi di giudizio vennero ridotti a 4: il 1° dinnanzi alla commissione tributaria di 1°grado; il 2°
dinnanzi alla commissione tributaria di 2°grado; il 3° alternativamente o innanzi alla commissione tributaria
centrale od innanzi alla corte di appello. Seguiva naturalmente il giudizio di legittimità innanzi alla corte di
cassazione.
Nel 1992 infine il legislatore con il decreto legislativo n. 546 prende atto della trasformazione delle
commissioni da organi amministrativi a giurisdizionali, infatti l’art. 1 afferma che la giurisdizione tributaria è
esercitata dalle commissioni.
Tale evoluzione normativa spiega la distonia del processo tributario. Esso è strutturato fondamentalmente
come un giudizio di impugnazione di un provvedimento amministrativo, tuttavia si applicano le norme del
546 e, per quanto applicabili, quelle del codice di procedura civile.

Giurisdizione in materia tributaria


In materia tributaria esistono 3 differenti giurisdizioni:
-la giurisdizione delle commissioni tributarie su tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni
genere e specie. Ai sensi dell’art. 2 appartengono altresì alla giurisdizione delle commissioni tributarie le
controversie catastali, quelle attinenti l’imposta o il canone comunale sulla pubblicità ed il diritto sulle
pubbliche affissioni
-la giurisdizione del giudice ordinario riguardo le controversie su atti dell’esecuzione forzata tributaria
successivi alla notifica della cartella di pagamento e dell’avviso di mora, quindi le controversie ai sensi
dell’art. 615 c.p.c. (opposizione all’esecuzione) e 617 c.p.c. (opposizione agli atti esecutivi). Inoltre
appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le eventuali controversie in materia di risarcimento dei
danni sofferti dal contribuente nell’eventualità di un procedimento tributario illegittimo
-la giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie relative all’impugnazione degli atti
amministrativi generali in materia tributaria (ad es. i regolamenti).
Soltanto il giudice amministrativo ha il potere di annullare (ovvero espungere dall’ordinamento normativo)
un atto amministrativo generale. Tuttavia, ai sensi dell’art. 7, il giudice tributario ha il potere di disapplicare
un atto amministrativo generale che ritenga illegittimo ai fini della singola decisione.
Ai sensi dell’art. 2, il giudice tributario ha il potere di risolvere ogni questione pregiudiziale. Tuttavia alcune
questioni per legge non possono essere risolte dal giudice tributario: si tratta delle questioni relative alla
querela di falso nonché alle controversie relative allo stato ed alla capacità delle persone
Difetto di giurisdizione
L’art. 3 disciplina i casi in cui una delle parti del processo si sia rivolta ad un giudice che non ha giurisdizione
nella fattispecie. La norma afferma che il difetto di giurisdizione può essere rilevato sia su eccezione di
parte, sia dallo stesso giudice. Tale eccezione può essere sollevata in ogni stato e grado del giudizio, anche
in cassazione.
Nel processo tributario è ammesso il cosiddetto regolamento preventivo di giurisdizione previsto dall’art.
41 c.p.c. Si tratta di uno strumento mediante il quale una parte può rivolgersi alla corte di cassazione per
ottenere una sentenza che dichiari in via definitiva il giudice che ha giurisdizione nella fattispecie.

La competenza
La competenza è quella parte della funzione giurisdizionale che è svolta dal singolo organo. Nel processo
tributario la competenza è regolata dall’art. 4 che disciplina la competenza per territorio. E’ competente la
commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio o l’ente che ha emesso o che
avrebbe dovuto emettere l’atto impugnato. La commissione tributaria regionale ha invece competenza per
i giudizi di impugnazione delle sentenze emesse dalle commissioni tributarie provinciali che hanno sede nel
territorio della regione.
l’art. 5 afferma che il difetto di incompetenza può essere sollevato su eccezione di parte o d’ufficio, ma solo
nel grado al quale il vizio si riferisce. La sentenza che ha dichiarato il difetto di incompetenza rende
incontestabile l’incompetenza dichiarata se la causa viene riassunta davanti al giudice dichiarato
competente entro il termine di 6 mesi dalla comunicazione della sentenza oppure nel diverso termine
indicato nella sentenza medesima. Se la causa non viene riassunta nel termine previsto, il processo si
estingue. Non è ammesso il regolamento d’incompetenza.

Azioni esperibili
Il processo tributario è fondamentalmente un processo di impugnazione di un atto amministrativo
particolare, individuato nell’elenco tassativo dell’art. 19. Essendo un processo di impugnazione teso a
dimostrare l’illegittimità o infondatezza dell’atto, la domanda che deve essere rivolta al giudice è quella di
annullamento del provvedimento. Tuttavia, anche nel processo tributario in alcuni casi è configurabile
un’azione di condanna con la quale si chiede al giudice di condannare la parte pubblica al pagamento di una
somma di denaro: è il caso dei rimborsi per somme che si ritengono essere state indebitamente versate.
Prima di proporre ricorso, la legge prevede che la parte presenti all’amministrazione un’istanza volta alla
restituzione dell’indebito. Questa istanza deve essere proposta nel termine sancito dalle singole leggi di
imposta, oppure nel termine di 2 anni dal pagamento. L’amministrazione può rimborsare la somma,
emanare un espresso provvedimento di rifiuto o rimanere inerte (silenzio-rifiuto).
Il ricorrente può chiedere entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento di rifiuto la condanna al rimborso
della somma. In caso di silenzio-rifiuto il termine per rivolgersi al giudice inizia da 90 giorni dalla
presentazione dell’istanza e si prescrive in 10 anni dal pagamento della somma indebitamente versata.
Dalla natura impugnatoria del processo tributario nascono alcuni postulati:
-sono escluse le cosiddette azioni di mero accertamento, ovvero le azioni con le quali si vorrebbe
riconosciuto un diritto a prescindere dall’emanazione di un provvedimento amministrativo
-le questioni giuridiche che possono essere sollevate dal ricorrente sono quelle che emergono dall’atto
impugnato
-lo stesso vale per l’amministrazione che non può far emergere in sede processuale ulteriori questioni
ultronee a quelle che emergono dall’atto.
L’articolo 19
L’art. 19 elenca in via tassativa una serie di atti impugnabili:
-l’avviso di accertamento;
-l’avviso di liquidazione;
-il provvedimento con cui l’amministrazione irroga la sanzione;
-l’iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento: se si impugna unicamente la cartella di pagamento per vizi
propri, il ricorso dovrà essere proposto unicamente all’agente della riscossione. Se si impugna unicamente
l’iscrizione a ruolo emessa dall’ente impositore, e contenuta nella cartella di pagamento, il ricorso deve
essere proposto all’ente impositore. Se si impugna sia il ruolo che la cartella di pagamento, il ricorso va
proposto all’agente ed all’ente impositore;
-l’avviso di mora, denominato intimidazione a procedere;
-l’iscrizione di ipoteca sugli immobili ed il fermo sui beni mobili registrati;
-gli atti relativi alle ipoteche catastali;
-il rifiuto espresso o tacito di restituzione di tributi, sanzioni ed interessi;
-il provvedimento di diniego o revoca di agevolazioni fiscali, nonché il provvedimento di rigetto di domande
di definizione agevolata;
-ogni altro atto previsto dalla legge come impugnabile

Il secondo comma dell’art. 19 impone all’autorità amministrativa che emette uno degli atti impugnabili di
indicare il termine entro il quale l’atto può essere impugnato, la commissione tributaria competente, le
regole procedurali per l’impugnazione dell’atto. La norma non pone alcuna sanzione di nullità dell’atto
privo di tali requisiti, ma parte della giurisprudenza, in considerazione dell’art. 24 cost., ha sancito la nullità
degli atti carenti di tali indicazioni.

Ai sensi del 3°comma gli atti lesivi della situazione personale e patrimoniale di un soggetto diversi da quelli
indicati nel 1°comma (es. autorizzazioni amministrative per effettuare indagini bancarie o per ispezioni,
accessi e verifiche), non sono impugnabili autonomamente ma in via differita, cioè insieme
all’impugnazione di uno degli atti indicati nel 1°comma.
Ogni atto autonomamente impugnabile può essere impugnato unicamente per vizi propri. Ciò comporta
che, se precedentemente a questo atto, è stato notificato altro atto autonomamente impugnabile, e tale
atto non è stato impugnato, in sede di impugnazione dell’atto successivo non possono essere proposti vizi
relativi all’atto precedente. Tuttavia, se la legge impone una precisa catena procedimentale, per cui prima
della notifica di un atto deve essere notificato un atto ad esso preliminare, la mancata notifica dell’atto
preliminare consente al contribuente di proporre, in sede di impugnazione dell’atto successivo, i vizi che si
sarebbero potuti proporre avverso l’atto che non è stato notificato.

Le commissioni tributarie
Nel nostro sistema le commissioni tributarie si distinguono in provinciali e regionali. La magistratura
tributaria è una magistratura onoraria, in quanto non esiste un ruolo di giudici tributari di mestiere. Il
collegio giudicante è composto da 3 soggetti: un presidente, che viene nominato tra i magistrati
appartenenti ad altre magistrature; un avvocato o comunque un esperto in materie giuridiche; un
commercialista o comunque un esperto di materie economiche.
Ogni commissione tributaria è divisa in sezioni. Ogni sezione è composta da un presidente, un vice
presidente, ed almeno 4 componenti.
I giudici formalmente sono nominati con decreto presidenziale, su proposta del ministro delle finanze. La
scelta è operata dal consiglio di presidenza della giustizia tributaria, il quale sceglie a seguito di apposito
concorso a punteggio.
Percepiscono un fisso mensile inferiore a 1.000,00 euro e vengono retribuiti a cottima (per ogni sentenza)

Le parti nel processo tributario


Nel processo tributario è un processo che si svolge tra 3 soggetti: il giudice e 2 parti, la pubblica e la privata.
Nel processo di 1°grado la parte privata è sempre la ricorrente, nel giudizio di 2°grado, a seconda della
soccombenza, l’appellante può essere sia la parte privata che la parte pubblica.
La parte pubblica può essere: l’ufficio dell’agenzia delle entrate; l’ufficio dell’agenzia delle dogane; l’ufficio
dell’agenzia dei monopoli; i comuni e le provincie; l’agente della riscossione.

Capacità di stare in giudizio


L’art. 11 disciplina la capacità di stare in giudizio.
Il 1°comma è rivolto unicamente alla parte privata. In particolare, la legge dispone che tale parte può stare
in giudizio sia personalmente che tramite un apposito procuratore nominato espressamente per le liti. La
procura deve risultare da atto pubblico e può essere sia generale, cioè rivolta a tutte le liti intraprese dal o
nei confronti del soggetto che rilascia la procura, oppure speciale per una specifica lite. Il medesimo comma
prevede un’eccezione: ove la procura speciale sia conferita al coniuge o ad un parente prossimo, e sia
rivolta unicamente alla partecipazione alla pubblica udienza, è ammesso che venga conferita con una
semplice scrittura privata non autenticata.
Il secondo comma è rivolto all’agenzia delle entrate, delle dogane e dei monopoli, nonché all’agente della
riscossione. In particolare, gli uffici dei soggetti posso stare in giudizio sia direttamente che tramite la
struttura territoriale sovraordinata.
Il 3°comma riguarda l’ente locale parte del processo. Può stare in giudizio tramite il legale rappresentante
pro tempore oppure mediante il dirigente dell’ufficio tributi.

Assistenza tecnica
La parte privata deve essere assistita in giudizio da un difensore tecnico. La parte pubblica non ha lo stesso
obbligo ma le agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli possono essere assistite dall’avvocatura
dello stato.
Gli unici 2 casi in cui la parte privata può stare in giudizio senza assistenza tecnica sono: le controversie di
valore inferiore a 3,000 euro al netto di interessi e sanzioni (si guarda solo l’importo del tributo. Nel caso di
provvedimenti che irrogano solo sanzioni, il valore della lite è costituito dall’importo delle sole sanzioni);
quando la parte privata è in possesso dei requisiti richiesti per essere nominato difensore tributario.
L’incarico all’assistenza tecnica è ben diverso dalla procura che riguarda la capacità di stare in giudizio. Può
essere rilasciato con atto pubblico, con scrittura privata autenticata, in calce o a margine di un atto del
processo, oralmente in udienza pubblica.
I soggetti abilitati all’assistenza tecnica sono: gli avvocati; i dottori commercialisti e gli esperti contabili
iscritti nella sezione A commercialisti dell’albo; i consulenti del lavoro; i periti e gli esperti iscritti nell’elenco
delle camere di commercio ed in possesso di laurea in giurisprudenza od economia (limitatamente ad alcuni
tributi); i dipendenti delle associazioni di categoria rappresentati nello CNEL; i dipendenti delle imprese
limitatamente alle controversie nelle quali sono parti le imprese se in possesso di laurea in giurisprudenza
od economia oppure dell’abilitazione di ragioneria; i dipendenti dei CAF in possesso di laurea in
giurisprudenza od economia o dell’abilitazione di ragioneria, ma limitatamente alle controversie dei propri
assistiti originate da adempimenti per il quale il CAF ha prestato assistenza.
Inoltre, limitatamente alle controversie catastali, sono abilitati all’assistenza tecnica, se iscritti negli albi, gli
ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti industriali, i dottori agronomi.
Trova applicazione l’art. 182 c.p.c.: se il giudice rileva un difetto di rappresentanza o di assistenza fissa un
termine perentorio per sanare il vizio rilevato.

Requisiti del ricorso (art. 18)


Tali requisiti sono tassativamente indicati nell’art. 18. Innanzitutto, nel ricorso devono essere indicati i 3
soggetti del processo. Pertanto, innanzitutto deve essere indicata la CTP competente a decidere la
controversia. Inoltre, deve essere indicata sia la parte ricorrente, sia l’ufficio nei cui confronti è proposto il
ricorso.
Con riferimento alla parte ricorrente bisogna distinguere se si tratta di una persona fisica o giuridica. Se si
tratta di persona fisica occorre indicare la generalità, residenza, e il codice fiscale; se tale persona fisica ha
rilasciato una apposita procura alle liti si indica anche il legale rappresentante. Se il ricorrente è persona
giuridica occorre ricordare la denominazione, la sede, il legale rappresentante ed il codice fiscale. E’ altresì
richiesto l’indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente.
Il ricorso deve anche contenere le indicazioni su l'atto impugnato ed oggetto della domanda; sui motivi.
Se manca una delle indicazioni elencate (ad eccezione di quella relativa al codice fiscale e all'indirizzo di
posta elettronica certificata) o la sottoscrizione del difensore (la quale deve contenere l’indicazione della
categoria di appartenenza del difensore; dell’incarico e dell’indirizzo di posta elettronica certificata del
difensore),il ricorso è inammissibile .

Presentazione del ricorso


La presentazione del ricorso è disciplinata dagli artt. 20, 21 e 22.
Consta di due fasi distinte:
-la proposizione del ricorso effettuata mediante notifica dello stesso a controparte
- la costituzione in giudizio, con la quale il ricorrente porta a conoscenza del giudice il ricorso notificato a
controparte.

Proposizione del ricorso


Il ricorso viene proposto mediante notifica alla controparte. La notifica può avvenire in 3 modi:
-tramite ufficiale giudiziario, il quale segue le norme del c.p.c. tese ad assicurare la conoscenza legale
dell'atto. In particolare il ricorrente consegna all'ufficiale giudiziario due copie identiche del ricorso da
notificare. L'ufficiale giudiziario collaziona le due copie, ovvero verifica la conformità di esse.
Successivamente l'ufficiale giudiziario si reca presso il soggetto destinatario della notifica, e appone su
entrambe le copie la c.d. Relata di notifica. nella relata devono essere indicate la data e l'orario della
notifica, nonché il luogo di notificazione; inoltre la relata deve essere sottoscritta dall'ufficiale giudiziario e
dal soggetto destinatario della notifica.
Effettuate queste formalità, l'ufficiale giudiziario consegna una copia dell'atto con la relata al destinatario
della notifica e successivamente l'altra copia del ricorso con la relata al notificante.
Secondo la giurisprudenza la data di proposizione del ricorso viene identificata con la data di consegna delle
copie dal ricorso all'ufficiale giudiziario.
-tramite consegna diretta del ricorso al soggetto destinatario. In questo caso il ricorrente si reca fisicamente
presso l'ufficio protocollo del soggetto destinatario, dove consegna il ricorso ricevendo una attestazione di
consegna dalla quale risulta la data di consegna e la firma dell'impiegato addetto.
-tramite spedizione postale, la quale deve avvenire con plico raccomandato senza busta con ricevuta di
ritorno. La data di proposizione del ricorso è quella che risulta dalla ricevuta di spedizione.
Termine per la proposizione del ricorso
Il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla data di notifica dell'atto che viene impugnato. Tale
termine è previsto a pena di inammissibilità. Il termine di 60 giorni può essere sospeso per un periodo di 90
giorni a seguito della presentazione di un'apposita istanza di accertamento con adesione.

Costituzione in giudizio del ricorrente


Il ricorrente si costituisce in giudizio entro il termine fissato a pena di inammissibilità di 30 giorni dalla
notifica del ricorso. Tale costituzione in giudizio avviene tramite il deposito presso la segreteria della
commissione tributaria provinciale competente del fascicolo di parte. In tale fascicolo di parte deve essere
contenuto:
-l'originale del ricorso depositato, oltre a due copie dello stesso. Se il ricorso è stato notificato tramite
ufficiale giudiziario, basta il deposito della copia del ricorso contenente la relata di notifica in originale. Se
invece il ricorso è stato notificato tramite consegna diretta o tramite spedizione postale, deve essere
apposta in calce al ricorso depositato una attestazione di conformità del ricorso depositato al ricorso
notificato a controparte.
-la copia dell'atto impugnato, oppure la copia dell'istanza di rimborso presentata all'ente impositore;
-la prova della notifica del ricorso a controparte, che viene fornita mediante l’inserimento nel fascicolo
delle fotocopie della ricevuta di spedizione postale oppure della ricevuta consegnata dall’impiegato a
seguito di consegna diretta;
-eventuali documenti presentati a sostegno della propria domanda. In realtà i documenti possono essere
presentati in sede di costituzione in giudizio, ma possono altresì essere presentati entro il termine massimo
di 20 giorni liberi prima dell'udienza;
-la nota di iscrizione a ruolo. In essa vengono sintetizzati tutti i dati relativi al ricorso ed in particolare,
l'indicazione delle parti, del difensore, dell'atto impugnato, della materia del contendere, della data di
notificazione del ricorso. Inoltre nella nota di iscrizione a ruolo deve essere indicato il valore della
controversia. Dal valore della controversia dipende l'importo del contributo unificato tributario il quale
deve essere allegato alla nota di iscrizione a ruolo. In particolare tale contributo è una tassa richiesta per
poter permettere l'iscrizione della controversia nel ruolo della commissione tributaria.

La costituzione in giudizio oltre che con il deposito fisico del fascicolo presso la segreteria della
commissione tributaria, può avvenire anche tramite spedizione postale del fascicolo alla segreteria stessa.

Costituzione in giudizio del resistente


A seguito della proposizione del ricorso la parte cui il ricorso è stato notificato ha la FACOLTA' di costituirsi
in giudizio. Se non si costituisce in giudizio tale parte è in contumacia.
Se invece si costituisce in giudizio, diventa parte resistente.
L'art. 23 stabilisce che il termine per la costituzione in giudizio del resistente è di 60 giorni dalla data in cui il
ricorso è stato ricevuto dalla parte stessa. Tale termine, a differenza di quello previsto per la costituzione in
giudizio del ricorrente, è meramente ordinatorio, in quanto nell'art. 23 non è previsto l'inciso “a pena di
inammissibilità”. La giurisprudenza ha sancito che comunque il termine ultimo per la costituzione in giudizio
della parte resistente è quella di 10 giorni liberi prima della data di trattazione.
La costituzione in giudizio del resistente avviene tramite deposito presso la segreteria della commissione
tributaria del fascicolo di parte nel quale vengono inserite le controdeduzioni in tante copie quante sono le
parti.
Nelle controdeduzioni in particolare l'ufficio prende posizione sui motivi esposti nel ricorso, propone le
eccezioni che non sono rilevabili d'ufficio ed eventualmente chiama il terzo in causa (art.14).
Produzione di documenti
Il processo tributario è un processo fondamentalmente documentale, in quanto la commissione decide
sulla base di prove scritte. Ai sensi dell’art. 24 i documenti prodotti dalle parti devono essere
specificatamente elencati negli atti cui sono allegati. Tuttavia, la legge ammette che i documenti possano
essere presentati anche con un’apposita nota produzione documenti, la quale deve essere sottoscritta in
originale e depositata in quante copie quante sono le parti.
Il termine finale per la produzione dei documenti è dettato dall’art. 32 e consiste in 20 giorni liberi prima
della data di trattazione.

Integrazione dei motivi


I motivi, a pena di inammissibilità, devono essere contenuti nel ricorso; pertanto in linea generale non è
ammessa l’indicazione di motivi nuovi nel corso del processo.
L’unica eccezione è costituita dalla cosiddetta integrazione dei motivi, ai sensi dell’art. 24 comma 2. La
norma stabilisce che l’integrazione dei motivi è ammessa soltanto nell’ipotesi in cui controparte nel corso
del processo abbia depositato documenti non conosciuti prima dalla parte. L’integrazione dei motivi è
ammessa entro il termine perentorio di 60 giorni dalla data in cui la parte ha conosciuto i documenti.

Iscrizione della causa a ruolo e formazione del fascicolo d’ufficio


Al momento della costituzione in giudizio del ricorrente, la segreteria della commissione tributaria iscrive il
ricorso nel registro generale sulla base della nota d’iscrizione a ruolo contenuta nel fascicolo.
Inoltre, la segreteria provvede a formare il cosiddetto fascicolo d’ufficio, nel quale inserisce il fascicolo del
ricorrente e successivamente quello del resistente, i documenti, i verbali d’udienza, i decreti, le ordinanze e
le sentenze emesse dal giudice.
Le parti hanno l’obbligo di rivolgersi al segretario per ottenere copia autentica dei documenti depositati
dalla controparte e dei provvedimenti dei giudici.
Il segretario, dopo avere formato il fascicolo d’ufficio, lo sottopone all’attenzione del presidente della
commissione tributaria.
Il presidente della commissione, ricevuto il fascicolo d’ufficio, assegna la controversia ad una delle sezioni.

Provvedimenti del presidente di sezione


Il presidente della sezione, scaduti i termini per la costituzione delle parti, esaminato il ricorso, può
dichiararlo inammissibile. Inoltre dispone i provvedimenti necessari in ordine alla eventuale sospensione,
interruzione ed estinzione del processo.
In tali casi, la parte può proporre reclamo innanzi alla stessa commissione. Il reclamo si propone
notificandolo a controparte, nel termine perentorio di 30 giorni dalla comunicazione del decreto. La
costituzione in giudizio deve avvenire nel termine di 15 giorni dalla notificazione del reclamo. La
controparte può presentare memorie nel termine di 15 giorni dalla notifica del reclamo.
La commissione se dichiara l’inammissibilità del ricorso o l’estinzione del processo, emette sentenza
impugnabile innanzi alla commissione tributaria generale. Se dispone in materia di sospensione o
interruzione del processo, emette ordinanza non impugnabile, fissando un termine per la riassunzione del
giudizio.
Il presidente della sezione può disporre la riunione di ricorsi quando hanno stesso oggetto, o quando siano
oggettivamente e soggettivamente connessi.
Il collegio con ordinanza può disporre la separazione dei ricorsi nel caso in cui la riunione ritardi o renda più
gravosa la trattazione.
Processo ordinario
Il presidente della sezione, nei casi ordinari, scaduti i termini per la costituzione delle parti, fissa la
trattazione della controversia e nomina il giudice relatore (art. 30). La segreteria dà comunicazione alle
parti della data di trattazione almeno 30 giorni liberi prima (art. 31). Ai sensi dell’art. 32 le parti possono
depositare documenti fino a 20 giorni liberi prima della data di trattazione. Le memorie possono essere
presentate entro 10 giorni liberi prima. Nel solo caso di trattazione della controversia in camera di consiglio
sono consentite brevi repliche scritte fino a 5 giorni liberi prima della data di camera di consiglio.
La controversia è trattata in camera di consiglio salvo che almeno una delle parti non abbia chiesto la
discussione in pubblica udienza, con apposito istanza da depositare in segreteria e notificare alle altre parti
entro 10 giorni dalla data di trattazione. Il relatore espone al collegio, senza presenza delle parti, i fatti e le
questioni della controversia. Della trattazione in camera di consiglio è redatto processo verbale dal
segretario (art. 33).
All’udienza pubblica il relatore espone al collegio i fatti e le questioni della controversia e quindi il
presidente ammette le parti presenti alla discussione. Il segretario redige verbale. La commissione può
disporre il differimento della discussione a udienza fissa, su istanza di parte quando la sua difesa tempestiva
è resa particolarmente difficile a causa dei documenti prodotti o delle questioni sollevate dalle altre parti
(art. 34).
Il collegio giudicante, subito dopo la discussione in pubblica udienza o, se questa non vi è stata, subito dopo
l’esposizione del relatore, delibera la decisione in segreto nella camera di consiglio. La deliberazione può
essere rinviata di non oltre 30 giorni.

Sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato


La proposizione del ricorso non sospende automaticamente la possibilità che l’agente della riscossione
possa procedere ad esecuzione forzata nei confronti del contribuente. Prima dell’entrata in vigore del 546
la sospensione poteva essere concessa solo dall’amministrazione finanziaria. Con il 546, oltre alla
sospensione amministrativa, viene concessa al contribuente la facoltà di proporre al giudice un’istanza di
sospensione giudiziale.
L’art. 47 però limitava tale facoltà al 1°grado di giudizio, lasciando prive di tutela cautelare le fasi di
impugnazione (appello, ricorso per cassazione, revocazione).
Nel 2010 una sentenza della corte costituzionale ha dichiarato espressamente la possibilità di applicare nel
processo tributario l’art. 373 c.p.c., ovvero l’articolo che disciplina la sospensione della sentenza del giudice
di 2°grado in caso di proposizione del ricorso per cassazione. Analogicamente, gli interpreti ritengono che
era altresì prevista la possibilità di applicare l’art. 337 c.p.c. che riguarda il potere di sospensione
discrezionale del giudice.
Pertanto a partire dal 2010 alcune sezioni delle commissioni tributarie regionali disponevano la
sospensione dell’esecuzione della sentenza. Altre rimanevano ancorate alla lettura dell’art. 47.
Finalmente col decreto legislativo 156 del 2015 è stata introdotta la possibilità di sospensione
dell’esecuzione anche nelle fasi di gravame.

Procedimento della sospensione giudiziale


Ai sensi dell’art. 47 la sospensione giudiziale può essere concessa se sussistono 2 requisiti: il fumus boni
iuris (la parvenza di fondatezza del ricorso) ed il periculum in mora (pericolo di un danno grave ed
irreparabile nelle more di un processo).
L’istanza di sospensione può essere inserita in seno al ricorso oppure può essere proposta con atto
separato. In questo secondo caso l’istanza è prima notificata a controparte e successivamente depositata
presso la segreteria della commissione.
Il presidente della sezione fissa la trattazione dell’istanza per la prima camera di commercio utile, onerando
la segreteria di darne comunicazione almeno 10 giorni liberi prima della trattazione. In casi eccezionali di
necessità ed urgenza, il presidente può disporre immediatamente con decreto la sospensione
dell’esecuzione; in tal caso col decreto è contestualmente fissata la data in cui il collegio dovrà convalidare
o meno la provvisoria esecuzione disposta dal presidente. La decisione del collegio non è impugnabile
innanzi alla commissione tributaria regionale.
L’istanza di sospensione deve essere decisa dal collegio entro 180 giorni dalla data di presentazione della
stessa. Nei casi in cui il collegio accolga l’istanza di sospensione, la successiva trattazione del merito deve
essere fissata non oltre 90 giorni dall’ordinanza di sospensione.
Gli effetti della sospensione cessano dalla data in cui è pubblicata la sentenza di 1° grado.
Per le altre fasi di gravame il procedimento è analogo.

La conciliazione
La conciliazione è un istituto gemello dell’accertamento con adesione. Entrambi sono stati introdotti con il
decreto legislativo 218 del 1997 ed hanno una finalità deflattiva del contenzioso.
La linea di distinzione tra i 2 istituti è costituita dalla data di presentazione del ricorso: se il ricorso non è
stato presentato si può addivenire ad un accertamento con adesione; altrimenti si può avere l’applicazione
dell’istituto conciliativo.
Il campo di applicazione principale dell’accertamento con adesione e della conciliazione riguarda le
questioni di fatto e quelle cosiddette estimative, sono pertanto escluse le questioni di diritto.
Nella conciliazione il giudice ha un ruolo peculiare in quanto non può entrare nel merito dell’accordo, ma
soltanto valutare le condizioni di ammissibilità dell’istituto (ad es. se il ricorso è ammissibile e se la
questione è conciliabile).
Nel 2015 sono stati introdotti i nuovi artt. 48-bis e 48-ter e due fondamentali novità: la prima è che l’istituto
della conciliazione può essere applicato anche nel secondo grado di giudizio; la seconda è che l’accordo
conciliativo si perfeziona unicamente con la sottoscrizione delle parti, non è più necessario il pagamento
integrale della somma o della prima rata di essa.
L’art. 48 disciplina la conciliazione fuori udienza. Le parti, prima della fissazione della data di trattazione
dell’udienza, possono raggiungere un accordo conciliativo presentando un’apposita istanza firmata
congiuntamente dalle parti o dai difensori. La conciliazione può essere totale o parziale. Se il presidente
aveva già fissato una data di trattazione, valuta le condizioni di ammissibilità e la commissione emana una
sentenza che dichiara l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere. Se invece la trattazione
non era stata fissata, il presidente dichiara con decreto l’estinzione del giudizio.
L’art. 48-bis disciplina la conciliazione in udienza. Il termine ultimo per la presentazione dell’istanza di
conciliazione è di 10 giorni liberi prima dell’udienza. Inoltre, in udienza lo stesso presidente può invitare le
parti a conciliare, rinviando eventualmente la trattazione ad un’udienza successiva. Se la conciliazione si
perfeziona in udienza, essa viene redatta nel verbale di udienza a cura del segretario, contestualmente
sottoscritto da entrambe le parti.
L’art. 48-ter disciplina la misura della riduzione delle sanzioni in caso di perfezionamento dell’accordo,
nonché la misura dell’eventuale rateazione.
Se la conciliazione interviene nel 1°grado di giudizio, la sanzione verrà applicata al 40% del minimo. Se
invece l’accordo interviene in grado di appello, la sanzione viene ridotta al 50% del minimo.
La somma può essere rateizzata in 8 rate trimestrali se inferiore a 50.000 euro, in 12 rate trimestrali se
superiore.
Il versamento dell’intera somma o della prima rata deve avvenire entro 20 giorni dal perfezionamento della
conciliazione. In caso di mancato versamento nei termini, l’amministrazione provvederà all’iscrizione a
ruolo della somma, applicando altresì una ulteriore sanzione aumentata della metà.

Reclamo e mediazione
L’art. 17 bis disciplina l’ipotesi in cui l’atto impugnabile abbia valore inferiore a 20.000 euro.
Il contribuente deve notificare il reclamo (che deve avere tutti i requisiti del ricorso) entro 60 giorni dalla
notifica dell’atto impugnabile. Dalla notifica del reclamo scatta un termine di 90 giorni entro il quale si
dovrebbe concludere la procedura relativa all’eventuale mediazione. Se la mediazione non viene conclusa
nel termine predetto, il reclamo si trasforma in ricorso, ed il ricorrente deve costituirsi in giudizio entro 30
giorni dalla decadenza dei 90 giorni precedenti.
L’organo destinatario del reclamo ha 3 possibilità: accogliere integralmente il reclamo; rigettare il reclamo,
ma accogliere la eventuale proposta di mediazione contenuta; proporre una mediazione diversa da quella
eventualmente contenuta nel reclamo.
Nella pratica finora l’agenzia delle entrate si è limitata a presentare delle proposte di mediazione il cui
contenuto è relativo alla riduzione delle sole sanzioni o a rigettare unicamente il reclamo.
L’eventuale mediazione si perfeziona con il versamento entro il termine di 20 giorni dalla sottoscrizione
dell’accordo delle somme dovute o della prima rata. Unicamente nelle controversie che hanno ad oggetto il
rimborso, la mediazione si conclude con la sottoscrizione dell’accordo nel quale però viene determinato il
termine per il pagamento.
La legge prevede che le sanzioni, in caso di mediazione, si applicano nella misura del 35% del minimo
previsto dalla legge.

Sospensione del processo


Secondo la norma generale contenuta nell’art. 295 c.p.c., il processo deve essere sospeso quando la
decisione della causa dipende dalla decisione di altra causa che pende innanzi al giudice civile, penale e
amministrativo. Questa norma non riguarda il processo tributario, a cui si applica invece l’art. 39.
Il processo tributario si sospende unicamente nelle ipotesi in cui davanti al giudice civile penda una causa
relativa a una querela di falso o allo stato ed alla capacità delle persone. In caso di pendenza di causa
pregiudiziale innanzi ad un altro giudice tributario, va sospeso il processo tributario che dipenda dalla
decisione dell’altro processo tributario.
Il processo è sospeso fino a quando non cessi la causa della sospensione. Da quel momento scatta il
termine per la riassunzione in giudizio.

Interruzione del processo


Il processo viene interrotto in 2 ipotesi: se muore o viene meno una delle parti; se muore il difensore di una
delle parti. Nel primo caso il processo si estingue soltanto se il difensore dichiara in giudizio la causa di
estinzione. Nel secondo caso il processo si interrompe automaticamente e dovrà essere riassunto nei
termini previsti dalla legge o dal giudice.

Estinzione del giudizio


Si ha in 3 ipotesi: rinunzia al ricorso da parte di chi l’ha proposto; estinzione per inattività delle parti;
cessazione della materia del contendere.
Poteri istruttori
Il processo tributario è informato al cosiddetto principio dispositivo. Secondo tale principio possono essere
ammesse in giudizio soltanto le prove richieste dalle parti. Ciò è sancito nell’art. 115 c.p.c. e si applica anche
al processo tributario con le eccezioni stabilite nei primi due comma dell’art. 7 che stabiliscono dei poteri
d’ufficio del giudice. In ogni caso le prove ammesse devono vertere unicamente sui fatti dedotti dalle parti.
L’art. 115 c.p.c. fissa anche il principio di non contestazione. Secondo tale principio si considerano provati i
fatti dedotti da una parte e non contestati dalla controparte nella prima difesa utile. Il secondo comma fissa
anche il principio per cui il giudice può porre a fondamento della decisione i cosiddetti fatti notori, ovvero le
nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.
Ai sensi dell’art. 7 le prove ammesse d’ufficio sono: la possibilità di accedere presso luoghi del
contribuente; la possibilità di richiedere dati, informazioni e chiarimenti; la possibilità di chiedere ad organi
tecnici dello stato ed alla guardia di finanza relazioni tecniche su argomenti di particolare complessità; la
possibilità di disporre consulenza tecniche d’ufficio. L’art. 210 inoltre permette che il giudice possa ordinare
ad una parte l’esibizione di documenti su istanza di controparte.
L’art. 7 comma 4 indica le prove vietate nel processo tributario. In particolare, non sono ammessi né il
giuramento né la prova testimoniale. Il divieto di prova testimoniale trova la sua ratio nella circostanza che
il processo tributario è un processo scritto e pertanto essenzialmente documentale. Per testimonianza si
intende l’indicazione di fatti od opere di un terzo davanti al giudice ed in presenza del difensore, quindi le
informazioni latamente testimoniali contenute negli atti istruttori dell’amministrazione finanziaria non sono
tecnicamente testimonianza e pertanto sono ammesse nel processo tributario.
La cassazione e la corte costituzionale hanno tuttavia chiarito che tali informazioni testimoniali contenute
negli atti istruttori hanno una mera valenza di indizi e, come tali, non costituiscono vere e proprie prove.
Inoltre la cassazione in applicazione del principio di parità delle parti ha affermato che anche la parte
privata può introdurre nel processo documenti contenenti informazioni testimoniali, le quali naturalmente
assumono valore di meri indizi.
Riguardo alla problematica delle prove acquisite illegittimamente, la giurisprudenza adotta 3 orientamenti
differenti:
-quello del male captum, bene retentum per cui una prova, anche se acquisita illegittimamente, può essere
utilizzata nel processo (es lista falciani)
-la prova acquisita illegittimamente non invalida l’atto impugnabile. Essa non può essere utilizzata nel
processo ma l’atto impugnato può trovare fondamento anche in altre prove acquisite legittimamente
-teoria procedimentale dell’atto amministrativo: il provvedimento amministrativo è l’atto finale di una
catena di atti che trovano fondamento in quelli precedenti. Per cui, se si dimostra l’illegittimità del
procedimento in uno qualsiasi dei suoi passaggi istruttori, l’atto finale è illegittimo.

Litis consorzio
Nel processo tributario è ammesso sia il ricorso collettivo che quello cumulativo. Il ricorso è collettivo
quando più parti impugnano il medesimo provvedimento; cumulativo quando un’unica parte impugna più
provvedimenti connessi tra di loro.
L’art. 14 disciplina le ipotesi di cosiddetto litis consorzio. Esso si distingue in necessario e facoltativo. Il litis
consorzio necessario è quello che riguarda cause inscindibilmente connesse tra di loro. In questi casi si deve
celebrare un unico processo a pena di nullità. Gli esempi di scuola sono quelli degli avvisi di accertamento
notificati alla società di persone ed ai suoi soci ed alle società convalidate (gruppi di società).
Se il litis consorzio non viene rispettato, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio. Oltre al
litis consorzio necessario, esiste anche un litis consorzio facoltativo, in virtù del quale la parte privata che
ritenga di avervi interesse può intervenire nel processo introdotto da altra parte a sostegno o contro le sue
ragioni.
Istituto connesso è quello della chiamata in causa, in relazione al quale una delle parti del processo può
chiamare a sostegno del proprio operato altro soggetto estraneo al processo.

Le impugnazioni
L'impugnazione è il rimedio che le parti hanno a disposizione per far modificare una sentenza o un
provvedimento sfavorevole che si ritiene errato.
I mezzi di impugnazione sono:
1. APPELLO: contro le sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali si può ricorrere proponendo
appello alla Commissione Tributaria Regionale competente. L’appello deve contenere :
l'indicazione dell'appellante, delle altre parti nei cui confronti è proposto e della Commissione Tributaria a
cui è diretto; gli estremi della sentenza impugnata; l'esposizione sommaria dei fatti; l'oggetto della
domanda; i motivi specifici dell'impugnazione; la sottoscrizione del difensore; indirizzo PEC e codice fiscale
del difensore; indirizzo PEC e codice fiscale del ricorrente; la dichiarazione del valore della causa.
 Nel giudizio di appello non si possono proporre nuove domande e, se proposte, si dichiarano inammissibili
d'ufficio. Non possono inoltre proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili d’ufficio ed è precluso
introdurre nuove prove, a meno che esse non siano ritenute necessarie ai fini della decisione o che la parte
dimostri di non averle potuto fornire nel precedente grado di giudizio per cause ad essa non imputabili. È
prevista, invece, l'ammissibilità di nuovi documenti.
2. APPELLO INCIDENTALE: è un istituto giuridico che permette all'appellato di impugnare le disposizioni a se
sfavorevoli della sentenza. La possibilità di proporre appello incidentale in sede di controdeduzioni, anche
nel processo tributario, risponde all'esigenza di rendere unitario il processo di appello e di evitare il rischio
di giudicati contrastanti.  L'appello incidentale deve essere proposto, a pena di inammissibilità, all'atto della
memoria difensiva di costituzione in giudizio, ossia entro 60 giorni dalla ricezione dell'appello principale.
L'atto deve contenere i motivi specifici su cui si fonda l'impugnazione.
3. RICORSO PER CASSAZIONE:  le sentenze pronunciate dalle Commissioni Tributarie Regionali possono
essere impugnate con ricorso per Cassazione.
Il ricorrente deve presentare alla Commissione Tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata una
istanza con cui chiede la trasmissione del fascicolo alla corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione può:
-rigettare il ricorso con ordinanza;
-dichiarare con ordinanza il ricorso inammissibile o improcedibile;
-dichiarare l'estinzione del giudizio;
-accogliere il ricorso con sentenza (con o senza rinvio alla commissione che ha emesso il provvedimento).
 4. REVOCAZIONE: l'impugnazione per revocazione può essere straordinaria o ordinaria.
La revocazione ordinaria si fonda su vizi emergenti dalla sentenza stessa o riguardanti elementi conosciuti o
conoscibili dalla parte e va proposta entro i termini di impugnazione ordinari. I motivi di revocazione
ordinaria sono: l'errore revocatorio (errore di fatto, ossia falsa percezione della realtà risultante dagli atti o
documenti della causa) e il conflitto teorico tra giudicati.
La revocazione straordinaria può invece avere luogo per i seguenti motivi: dolo della parte, prove false,
rinvenimento di documenti, dolo del giudice. Essa può essere proposta entro 60 giorni dalla scoperta del
vizio revocatorio, anche successivamente alla scadenza dei termini per le impugnazioni ordinarie.
Anche le sentenze emesse in un unico grado (in esito al cd ricorso per saltum) possono essere oggetto di
ricorso per revocazione  straordinaria, in  quanto i motivi di revocazione ordinaria possono essere fatti
valere con l'appello.
La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il ricorso per Cassazione.

Il giudizio di ottemperanza
Ai sensi dell’art. 70 cit., chiunque abbia interesse ad instaurare un giudizio di ottemperanza dovrà
depositare il ricorso in doppio originale, presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale,
qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata, e, in ogni altro caso, presso la
segreteria della Commissione tributaria regionale.
Il ricorso è proponibile solo dopo la scadenza del termine, entro il quale è prescritto dalla
legge l’adempimento dell’Ufficio o dell’Ente locale oppure, in mancanza di tale termine, dopo trenta giorni
dalla messa in mora, a mezzo di ufficiale giudiziario, e fino a quando l’obbligo non sia estinto.
Inoltre, tale atto introduttivo deve essere indirizzato al Presidente della Commissione con la precisa
indicazione, a pena di inammissibilità, della sentenza passata in giudicato di cui si chiede l’ottemperanza,
che deve essere prodotta in copia unitamente all’originale e alla copia autenticata dell’atto di messa in
mora notificato, se necessario.
La segreteria della Commissione  provvederà, poi, a comunicare uno dei due originali al Ministero delle
finanze o all’ente locale obbligato all’esecuzione della sentenza, il quale entro venti giorni dalla
comunicazione può trasmettere le proprie osservazioni, allegando la documentazione dell’eventuale
adempimento.
Il Presidente della Commissione, scaduto il termine di cui sopra, assegna il ricorso alla stessa sezione che ha
pronunciato la sentenza e fissa il giorno per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, non oltre
novanta giorni dal deposito dello stesso, data che viene comunicata alle parti, a cura della segreteria,
almeno dieci giorni liberi prima.
Il collegio, sentite le parti in contraddittorio ed acquisita la necessaria documentazione, adotta con
sentenza i provvedimenti indispensabili per l’ottemperanza, in luogo del Ministero delle finanze o dell’ente
locale e, per questo, se lo ritiene opportuno, può delegare un proprio componente o nominare un
commissario ad acta, al quale fissa un termine congruo per i necessari provvedimenti attuativi e determina
il compenso a lui spettante, secondo le disposizioni della legge 8 luglio 1989, n. 319, e successive
modificazioni ed integrazioni.
Il collegio, eseguiti i provvedimenti suesposti, preso atto di quelli emanati ed eseguiti dal componente
delegato o dal commissario nominato, dichiara la chiusura del procedimento con ordinanza.
I provvedimenti emessi nel giudizio di ottemperanza sono immediatamente esecutivi.
In ultimo, si deve osservare che avverso la sentenza emessa, ex art. 70, comma 7, cit., si può proporre
ricorso per cassazione per inosservanza delle norme sul procedimento.

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