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L’attuale processo tributario è disciplinato dal decreto legislativo 546 del 1992, entrato in vigore il 1°aprile
1996. La giurisdizione tributaria è esercitata in 1°grado dalla commissioni tributarie provinciali, ed in
2°grado dalle commissioni tributarie regionali. Il giudizio di legittimità è affidato alla suprema corte di
cassazione.
L’attuale struttura del processo tributario è frutto di una evoluzione secolare.
Il punto di partenza è costituito dalla legge 20marzo 1865 allegato E, la quale abolì gli organi del
contenzioso amministrativo e le relative controversie furono attribuite all’autorità giudiziaria ordinaria.
Questo sistema trovò una compiuta realizzazione con la riforma degli anni 1936-1937: il processo tributario
si articolava in ben 6 gradi di giudizio, di cui i primi 3 davanti ad organi amministrativi ed i rimanenti davanti
al giudice civile.
Nel 1972 i gradi di giudizio vennero ridotti a 4: il 1° dinnanzi alla commissione tributaria di 1°grado; il 2°
dinnanzi alla commissione tributaria di 2°grado; il 3° alternativamente o innanzi alla commissione tributaria
centrale od innanzi alla corte di appello. Seguiva naturalmente il giudizio di legittimità innanzi alla corte di
cassazione.
Nel 1992 infine il legislatore con il decreto legislativo n. 546 prende atto della trasformazione delle
commissioni da organi amministrativi a giurisdizionali, infatti l’art. 1 afferma che la giurisdizione tributaria è
esercitata dalle commissioni.
Tale evoluzione normativa spiega la distonia del processo tributario. Esso è strutturato fondamentalmente
come un giudizio di impugnazione di un provvedimento amministrativo, tuttavia si applicano le norme del
546 e, per quanto applicabili, quelle del codice di procedura civile.
La competenza
La competenza è quella parte della funzione giurisdizionale che è svolta dal singolo organo. Nel processo
tributario la competenza è regolata dall’art. 4 che disciplina la competenza per territorio. E’ competente la
commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio o l’ente che ha emesso o che
avrebbe dovuto emettere l’atto impugnato. La commissione tributaria regionale ha invece competenza per
i giudizi di impugnazione delle sentenze emesse dalle commissioni tributarie provinciali che hanno sede nel
territorio della regione.
l’art. 5 afferma che il difetto di incompetenza può essere sollevato su eccezione di parte o d’ufficio, ma solo
nel grado al quale il vizio si riferisce. La sentenza che ha dichiarato il difetto di incompetenza rende
incontestabile l’incompetenza dichiarata se la causa viene riassunta davanti al giudice dichiarato
competente entro il termine di 6 mesi dalla comunicazione della sentenza oppure nel diverso termine
indicato nella sentenza medesima. Se la causa non viene riassunta nel termine previsto, il processo si
estingue. Non è ammesso il regolamento d’incompetenza.
Azioni esperibili
Il processo tributario è fondamentalmente un processo di impugnazione di un atto amministrativo
particolare, individuato nell’elenco tassativo dell’art. 19. Essendo un processo di impugnazione teso a
dimostrare l’illegittimità o infondatezza dell’atto, la domanda che deve essere rivolta al giudice è quella di
annullamento del provvedimento. Tuttavia, anche nel processo tributario in alcuni casi è configurabile
un’azione di condanna con la quale si chiede al giudice di condannare la parte pubblica al pagamento di una
somma di denaro: è il caso dei rimborsi per somme che si ritengono essere state indebitamente versate.
Prima di proporre ricorso, la legge prevede che la parte presenti all’amministrazione un’istanza volta alla
restituzione dell’indebito. Questa istanza deve essere proposta nel termine sancito dalle singole leggi di
imposta, oppure nel termine di 2 anni dal pagamento. L’amministrazione può rimborsare la somma,
emanare un espresso provvedimento di rifiuto o rimanere inerte (silenzio-rifiuto).
Il ricorrente può chiedere entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento di rifiuto la condanna al rimborso
della somma. In caso di silenzio-rifiuto il termine per rivolgersi al giudice inizia da 90 giorni dalla
presentazione dell’istanza e si prescrive in 10 anni dal pagamento della somma indebitamente versata.
Dalla natura impugnatoria del processo tributario nascono alcuni postulati:
-sono escluse le cosiddette azioni di mero accertamento, ovvero le azioni con le quali si vorrebbe
riconosciuto un diritto a prescindere dall’emanazione di un provvedimento amministrativo
-le questioni giuridiche che possono essere sollevate dal ricorrente sono quelle che emergono dall’atto
impugnato
-lo stesso vale per l’amministrazione che non può far emergere in sede processuale ulteriori questioni
ultronee a quelle che emergono dall’atto.
L’articolo 19
L’art. 19 elenca in via tassativa una serie di atti impugnabili:
-l’avviso di accertamento;
-l’avviso di liquidazione;
-il provvedimento con cui l’amministrazione irroga la sanzione;
-l’iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento: se si impugna unicamente la cartella di pagamento per vizi
propri, il ricorso dovrà essere proposto unicamente all’agente della riscossione. Se si impugna unicamente
l’iscrizione a ruolo emessa dall’ente impositore, e contenuta nella cartella di pagamento, il ricorso deve
essere proposto all’ente impositore. Se si impugna sia il ruolo che la cartella di pagamento, il ricorso va
proposto all’agente ed all’ente impositore;
-l’avviso di mora, denominato intimidazione a procedere;
-l’iscrizione di ipoteca sugli immobili ed il fermo sui beni mobili registrati;
-gli atti relativi alle ipoteche catastali;
-il rifiuto espresso o tacito di restituzione di tributi, sanzioni ed interessi;
-il provvedimento di diniego o revoca di agevolazioni fiscali, nonché il provvedimento di rigetto di domande
di definizione agevolata;
-ogni altro atto previsto dalla legge come impugnabile
Il secondo comma dell’art. 19 impone all’autorità amministrativa che emette uno degli atti impugnabili di
indicare il termine entro il quale l’atto può essere impugnato, la commissione tributaria competente, le
regole procedurali per l’impugnazione dell’atto. La norma non pone alcuna sanzione di nullità dell’atto
privo di tali requisiti, ma parte della giurisprudenza, in considerazione dell’art. 24 cost., ha sancito la nullità
degli atti carenti di tali indicazioni.
Ai sensi del 3°comma gli atti lesivi della situazione personale e patrimoniale di un soggetto diversi da quelli
indicati nel 1°comma (es. autorizzazioni amministrative per effettuare indagini bancarie o per ispezioni,
accessi e verifiche), non sono impugnabili autonomamente ma in via differita, cioè insieme
all’impugnazione di uno degli atti indicati nel 1°comma.
Ogni atto autonomamente impugnabile può essere impugnato unicamente per vizi propri. Ciò comporta
che, se precedentemente a questo atto, è stato notificato altro atto autonomamente impugnabile, e tale
atto non è stato impugnato, in sede di impugnazione dell’atto successivo non possono essere proposti vizi
relativi all’atto precedente. Tuttavia, se la legge impone una precisa catena procedimentale, per cui prima
della notifica di un atto deve essere notificato un atto ad esso preliminare, la mancata notifica dell’atto
preliminare consente al contribuente di proporre, in sede di impugnazione dell’atto successivo, i vizi che si
sarebbero potuti proporre avverso l’atto che non è stato notificato.
Le commissioni tributarie
Nel nostro sistema le commissioni tributarie si distinguono in provinciali e regionali. La magistratura
tributaria è una magistratura onoraria, in quanto non esiste un ruolo di giudici tributari di mestiere. Il
collegio giudicante è composto da 3 soggetti: un presidente, che viene nominato tra i magistrati
appartenenti ad altre magistrature; un avvocato o comunque un esperto in materie giuridiche; un
commercialista o comunque un esperto di materie economiche.
Ogni commissione tributaria è divisa in sezioni. Ogni sezione è composta da un presidente, un vice
presidente, ed almeno 4 componenti.
I giudici formalmente sono nominati con decreto presidenziale, su proposta del ministro delle finanze. La
scelta è operata dal consiglio di presidenza della giustizia tributaria, il quale sceglie a seguito di apposito
concorso a punteggio.
Percepiscono un fisso mensile inferiore a 1.000,00 euro e vengono retribuiti a cottima (per ogni sentenza)
Assistenza tecnica
La parte privata deve essere assistita in giudizio da un difensore tecnico. La parte pubblica non ha lo stesso
obbligo ma le agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli possono essere assistite dall’avvocatura
dello stato.
Gli unici 2 casi in cui la parte privata può stare in giudizio senza assistenza tecnica sono: le controversie di
valore inferiore a 3,000 euro al netto di interessi e sanzioni (si guarda solo l’importo del tributo. Nel caso di
provvedimenti che irrogano solo sanzioni, il valore della lite è costituito dall’importo delle sole sanzioni);
quando la parte privata è in possesso dei requisiti richiesti per essere nominato difensore tributario.
L’incarico all’assistenza tecnica è ben diverso dalla procura che riguarda la capacità di stare in giudizio. Può
essere rilasciato con atto pubblico, con scrittura privata autenticata, in calce o a margine di un atto del
processo, oralmente in udienza pubblica.
I soggetti abilitati all’assistenza tecnica sono: gli avvocati; i dottori commercialisti e gli esperti contabili
iscritti nella sezione A commercialisti dell’albo; i consulenti del lavoro; i periti e gli esperti iscritti nell’elenco
delle camere di commercio ed in possesso di laurea in giurisprudenza od economia (limitatamente ad alcuni
tributi); i dipendenti delle associazioni di categoria rappresentati nello CNEL; i dipendenti delle imprese
limitatamente alle controversie nelle quali sono parti le imprese se in possesso di laurea in giurisprudenza
od economia oppure dell’abilitazione di ragioneria; i dipendenti dei CAF in possesso di laurea in
giurisprudenza od economia o dell’abilitazione di ragioneria, ma limitatamente alle controversie dei propri
assistiti originate da adempimenti per il quale il CAF ha prestato assistenza.
Inoltre, limitatamente alle controversie catastali, sono abilitati all’assistenza tecnica, se iscritti negli albi, gli
ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti industriali, i dottori agronomi.
Trova applicazione l’art. 182 c.p.c.: se il giudice rileva un difetto di rappresentanza o di assistenza fissa un
termine perentorio per sanare il vizio rilevato.
La costituzione in giudizio oltre che con il deposito fisico del fascicolo presso la segreteria della
commissione tributaria, può avvenire anche tramite spedizione postale del fascicolo alla segreteria stessa.
La conciliazione
La conciliazione è un istituto gemello dell’accertamento con adesione. Entrambi sono stati introdotti con il
decreto legislativo 218 del 1997 ed hanno una finalità deflattiva del contenzioso.
La linea di distinzione tra i 2 istituti è costituita dalla data di presentazione del ricorso: se il ricorso non è
stato presentato si può addivenire ad un accertamento con adesione; altrimenti si può avere l’applicazione
dell’istituto conciliativo.
Il campo di applicazione principale dell’accertamento con adesione e della conciliazione riguarda le
questioni di fatto e quelle cosiddette estimative, sono pertanto escluse le questioni di diritto.
Nella conciliazione il giudice ha un ruolo peculiare in quanto non può entrare nel merito dell’accordo, ma
soltanto valutare le condizioni di ammissibilità dell’istituto (ad es. se il ricorso è ammissibile e se la
questione è conciliabile).
Nel 2015 sono stati introdotti i nuovi artt. 48-bis e 48-ter e due fondamentali novità: la prima è che l’istituto
della conciliazione può essere applicato anche nel secondo grado di giudizio; la seconda è che l’accordo
conciliativo si perfeziona unicamente con la sottoscrizione delle parti, non è più necessario il pagamento
integrale della somma o della prima rata di essa.
L’art. 48 disciplina la conciliazione fuori udienza. Le parti, prima della fissazione della data di trattazione
dell’udienza, possono raggiungere un accordo conciliativo presentando un’apposita istanza firmata
congiuntamente dalle parti o dai difensori. La conciliazione può essere totale o parziale. Se il presidente
aveva già fissato una data di trattazione, valuta le condizioni di ammissibilità e la commissione emana una
sentenza che dichiara l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere. Se invece la trattazione
non era stata fissata, il presidente dichiara con decreto l’estinzione del giudizio.
L’art. 48-bis disciplina la conciliazione in udienza. Il termine ultimo per la presentazione dell’istanza di
conciliazione è di 10 giorni liberi prima dell’udienza. Inoltre, in udienza lo stesso presidente può invitare le
parti a conciliare, rinviando eventualmente la trattazione ad un’udienza successiva. Se la conciliazione si
perfeziona in udienza, essa viene redatta nel verbale di udienza a cura del segretario, contestualmente
sottoscritto da entrambe le parti.
L’art. 48-ter disciplina la misura della riduzione delle sanzioni in caso di perfezionamento dell’accordo,
nonché la misura dell’eventuale rateazione.
Se la conciliazione interviene nel 1°grado di giudizio, la sanzione verrà applicata al 40% del minimo. Se
invece l’accordo interviene in grado di appello, la sanzione viene ridotta al 50% del minimo.
La somma può essere rateizzata in 8 rate trimestrali se inferiore a 50.000 euro, in 12 rate trimestrali se
superiore.
Il versamento dell’intera somma o della prima rata deve avvenire entro 20 giorni dal perfezionamento della
conciliazione. In caso di mancato versamento nei termini, l’amministrazione provvederà all’iscrizione a
ruolo della somma, applicando altresì una ulteriore sanzione aumentata della metà.
Reclamo e mediazione
L’art. 17 bis disciplina l’ipotesi in cui l’atto impugnabile abbia valore inferiore a 20.000 euro.
Il contribuente deve notificare il reclamo (che deve avere tutti i requisiti del ricorso) entro 60 giorni dalla
notifica dell’atto impugnabile. Dalla notifica del reclamo scatta un termine di 90 giorni entro il quale si
dovrebbe concludere la procedura relativa all’eventuale mediazione. Se la mediazione non viene conclusa
nel termine predetto, il reclamo si trasforma in ricorso, ed il ricorrente deve costituirsi in giudizio entro 30
giorni dalla decadenza dei 90 giorni precedenti.
L’organo destinatario del reclamo ha 3 possibilità: accogliere integralmente il reclamo; rigettare il reclamo,
ma accogliere la eventuale proposta di mediazione contenuta; proporre una mediazione diversa da quella
eventualmente contenuta nel reclamo.
Nella pratica finora l’agenzia delle entrate si è limitata a presentare delle proposte di mediazione il cui
contenuto è relativo alla riduzione delle sole sanzioni o a rigettare unicamente il reclamo.
L’eventuale mediazione si perfeziona con il versamento entro il termine di 20 giorni dalla sottoscrizione
dell’accordo delle somme dovute o della prima rata. Unicamente nelle controversie che hanno ad oggetto il
rimborso, la mediazione si conclude con la sottoscrizione dell’accordo nel quale però viene determinato il
termine per il pagamento.
La legge prevede che le sanzioni, in caso di mediazione, si applicano nella misura del 35% del minimo
previsto dalla legge.
Litis consorzio
Nel processo tributario è ammesso sia il ricorso collettivo che quello cumulativo. Il ricorso è collettivo
quando più parti impugnano il medesimo provvedimento; cumulativo quando un’unica parte impugna più
provvedimenti connessi tra di loro.
L’art. 14 disciplina le ipotesi di cosiddetto litis consorzio. Esso si distingue in necessario e facoltativo. Il litis
consorzio necessario è quello che riguarda cause inscindibilmente connesse tra di loro. In questi casi si deve
celebrare un unico processo a pena di nullità. Gli esempi di scuola sono quelli degli avvisi di accertamento
notificati alla società di persone ed ai suoi soci ed alle società convalidate (gruppi di società).
Se il litis consorzio non viene rispettato, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio. Oltre al
litis consorzio necessario, esiste anche un litis consorzio facoltativo, in virtù del quale la parte privata che
ritenga di avervi interesse può intervenire nel processo introdotto da altra parte a sostegno o contro le sue
ragioni.
Istituto connesso è quello della chiamata in causa, in relazione al quale una delle parti del processo può
chiamare a sostegno del proprio operato altro soggetto estraneo al processo.
Le impugnazioni
L'impugnazione è il rimedio che le parti hanno a disposizione per far modificare una sentenza o un
provvedimento sfavorevole che si ritiene errato.
I mezzi di impugnazione sono:
1. APPELLO: contro le sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali si può ricorrere proponendo
appello alla Commissione Tributaria Regionale competente. L’appello deve contenere :
l'indicazione dell'appellante, delle altre parti nei cui confronti è proposto e della Commissione Tributaria a
cui è diretto; gli estremi della sentenza impugnata; l'esposizione sommaria dei fatti; l'oggetto della
domanda; i motivi specifici dell'impugnazione; la sottoscrizione del difensore; indirizzo PEC e codice fiscale
del difensore; indirizzo PEC e codice fiscale del ricorrente; la dichiarazione del valore della causa.
Nel giudizio di appello non si possono proporre nuove domande e, se proposte, si dichiarano inammissibili
d'ufficio. Non possono inoltre proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili d’ufficio ed è precluso
introdurre nuove prove, a meno che esse non siano ritenute necessarie ai fini della decisione o che la parte
dimostri di non averle potuto fornire nel precedente grado di giudizio per cause ad essa non imputabili. È
prevista, invece, l'ammissibilità di nuovi documenti.
2. APPELLO INCIDENTALE: è un istituto giuridico che permette all'appellato di impugnare le disposizioni a se
sfavorevoli della sentenza. La possibilità di proporre appello incidentale in sede di controdeduzioni, anche
nel processo tributario, risponde all'esigenza di rendere unitario il processo di appello e di evitare il rischio
di giudicati contrastanti. L'appello incidentale deve essere proposto, a pena di inammissibilità, all'atto della
memoria difensiva di costituzione in giudizio, ossia entro 60 giorni dalla ricezione dell'appello principale.
L'atto deve contenere i motivi specifici su cui si fonda l'impugnazione.
3. RICORSO PER CASSAZIONE: le sentenze pronunciate dalle Commissioni Tributarie Regionali possono
essere impugnate con ricorso per Cassazione.
Il ricorrente deve presentare alla Commissione Tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata una
istanza con cui chiede la trasmissione del fascicolo alla corte di Cassazione.
La Corte di Cassazione può:
-rigettare il ricorso con ordinanza;
-dichiarare con ordinanza il ricorso inammissibile o improcedibile;
-dichiarare l'estinzione del giudizio;
-accogliere il ricorso con sentenza (con o senza rinvio alla commissione che ha emesso il provvedimento).
4. REVOCAZIONE: l'impugnazione per revocazione può essere straordinaria o ordinaria.
La revocazione ordinaria si fonda su vizi emergenti dalla sentenza stessa o riguardanti elementi conosciuti o
conoscibili dalla parte e va proposta entro i termini di impugnazione ordinari. I motivi di revocazione
ordinaria sono: l'errore revocatorio (errore di fatto, ossia falsa percezione della realtà risultante dagli atti o
documenti della causa) e il conflitto teorico tra giudicati.
La revocazione straordinaria può invece avere luogo per i seguenti motivi: dolo della parte, prove false,
rinvenimento di documenti, dolo del giudice. Essa può essere proposta entro 60 giorni dalla scoperta del
vizio revocatorio, anche successivamente alla scadenza dei termini per le impugnazioni ordinarie.
Anche le sentenze emesse in un unico grado (in esito al cd ricorso per saltum) possono essere oggetto di
ricorso per revocazione straordinaria, in quanto i motivi di revocazione ordinaria possono essere fatti
valere con l'appello.
La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il ricorso per Cassazione.
Il giudizio di ottemperanza
Ai sensi dell’art. 70 cit., chiunque abbia interesse ad instaurare un giudizio di ottemperanza dovrà
depositare il ricorso in doppio originale, presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale,
qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata, e, in ogni altro caso, presso la
segreteria della Commissione tributaria regionale.
Il ricorso è proponibile solo dopo la scadenza del termine, entro il quale è prescritto dalla
legge l’adempimento dell’Ufficio o dell’Ente locale oppure, in mancanza di tale termine, dopo trenta giorni
dalla messa in mora, a mezzo di ufficiale giudiziario, e fino a quando l’obbligo non sia estinto.
Inoltre, tale atto introduttivo deve essere indirizzato al Presidente della Commissione con la precisa
indicazione, a pena di inammissibilità, della sentenza passata in giudicato di cui si chiede l’ottemperanza,
che deve essere prodotta in copia unitamente all’originale e alla copia autenticata dell’atto di messa in
mora notificato, se necessario.
La segreteria della Commissione provvederà, poi, a comunicare uno dei due originali al Ministero delle
finanze o all’ente locale obbligato all’esecuzione della sentenza, il quale entro venti giorni dalla
comunicazione può trasmettere le proprie osservazioni, allegando la documentazione dell’eventuale
adempimento.
Il Presidente della Commissione, scaduto il termine di cui sopra, assegna il ricorso alla stessa sezione che ha
pronunciato la sentenza e fissa il giorno per la trattazione del ricorso in camera di consiglio, non oltre
novanta giorni dal deposito dello stesso, data che viene comunicata alle parti, a cura della segreteria,
almeno dieci giorni liberi prima.
Il collegio, sentite le parti in contraddittorio ed acquisita la necessaria documentazione, adotta con
sentenza i provvedimenti indispensabili per l’ottemperanza, in luogo del Ministero delle finanze o dell’ente
locale e, per questo, se lo ritiene opportuno, può delegare un proprio componente o nominare un
commissario ad acta, al quale fissa un termine congruo per i necessari provvedimenti attuativi e determina
il compenso a lui spettante, secondo le disposizioni della legge 8 luglio 1989, n. 319, e successive
modificazioni ed integrazioni.
Il collegio, eseguiti i provvedimenti suesposti, preso atto di quelli emanati ed eseguiti dal componente
delegato o dal commissario nominato, dichiara la chiusura del procedimento con ordinanza.
I provvedimenti emessi nel giudizio di ottemperanza sono immediatamente esecutivi.
In ultimo, si deve osservare che avverso la sentenza emessa, ex art. 70, comma 7, cit., si può proporre
ricorso per cassazione per inosservanza delle norme sul procedimento.