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NOTE A SENTENZA

CORTE DI CASSAZIONE, sez. trib., ord. 27 gennaio 2023, n. 2643


Pres. Napolitano – Rel. Cortesi

A.A. c. Agenzia delle entrate

L’autorizzazione all’espletamento di indagini bancarie – esplicando una funzione organizzativa


che incide nei rapporti tra uffici – non richiede alcuna motivazione. Pertanto, ove la stessa
non sia allegata o esibita all’interessato, non si determina alcuna illegittimità dell’avviso di ac-
certamento fondato sulle risultanze di tali indagini; questa, infatti, può derivare unicamente
dalla materiale assenza di un’autorizzazione, e sempre che da ciò sia derivato un concreto pre-
giudizio per il contribuente.

(Omissis). Svolgimento del processo.

1. Il 10 dicembre 2009 l’Agenzia delle entrate notificò ad A.A. un avviso di accerta-


mento con il quale, previa rettifica della base imponibile, riprendeva a tassazione i maggiori
redditi accertati per l’anno 2004.
La rettifica traeva origine da attività ispettive avviate nei confronti della società Fon-
diaria Mercantile S.r.l., della quale la contribuente possedeva quote per il 6,5%; in tale
contesto, l’Amministrazione aveva proceduto ad acquisire i rapporti bancari intrattenuti dai
soci, accertando la sussistenza, nel conto della contribuente, di prelievi e versamenti non
giustificati.
In seguito al deposito di istanza di accertamento con adesione da parte della A.A.,
contenente giustificazioni a versamenti e prelievi, l’Ufficio aveva poi ridotto la propria pre-
tesa con atto in rettifica del 7 aprile 2010.
2. L’impugnazione dell’avviso, proposta dalla contribuente innanzi alla CTP di Latina,
venne respinta.
Il successivo appello, interposto avanti la CTR del Lazio, fu parzialmente accolto, con
rideterminazione del maggior reddito in difetto.
I giudici regionali, in particolare, rilevarono che le prove offerte dalla contribuente a
giustificazione delle movimentazioni bancarie non fossero idonee a sovvertire la presunzio-
ne di riferibilità delle stesse a maggiori entrate della società, eccezion fatta che per un versa-
mento di Euro 37.000,00, ritenuto giustificato in base alla disposta consulenza tecnica.
3. La sentenza d’appello è impugnata dalla contribuente con ricorso per cassazione af-
fidato a tre motivi. Resiste l’amministrazione intimata con controricorso.

Motivi della decisione.

1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione del d.p.r. 31 dicembre 1986, n. 917,
artt. 32, 34 e 55, (d’innanzi: t.u.i.r.).
Dopo aver premesso che – come rilevato dallo stesso Ufficio – essa era imprenditrice
agricola ed esercitava l’attività di coltivazione di fondi, la contribuente si duole del fatto
che la CTR, riconoscendo fondata la pretesa erariale, abbia ricondotto gli importi, che sono
stati accertati a suo carico come ingiustificati, alla categoria del reddito d’impresa commer-
ciale, senza precisare quale fosse l’attività generatrice del contestato maggior imponibile e
senza considerare il dato della produzione, da parte sua, di reddito agrario.

Diritto e pratica tributaria 5/2023


note a sentenza 1829

A tale ultimo riguardo, peraltro, rileva che il reddito agrario viene determinato con
metodo forfetario, in base alle caratteristiche obiettive del fondo, e può essere qualificato
come reddito d’impresa solo se prodotto da società di tipo commerciale e riconducibile alle
attività di cui all’art. 32, comma 2, lett. b) e c), t.u.i.r. che eccedano i limiti di cui all’art. 55,
comma 1, dello stesso testo unico; ipotesi, entrambe, non ricorrenti nella specie.
2. Il secondo mezzo d’impugnazione denunzia violazione del d.p.r. 29 settembre 1973,
n. 600, art. 2697 c.c., e art. 32, comma 1, n. 2), e del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art.
51, comma 1, n. 2); La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rite-
nuto la piena utilizzabilità dei risultati delle indagini bancarie, sul presupposto del fatto che
essa non aveva offerto adeguata prova contraria.
Di tale ragionamento assume l’erroneità, evidenziando che l’Ufficio avrebbe dovuto
quantomeno indicare, a monte, l’esistenza di un’attività dalla quale derivava il maggior red-
dito accertato e la natura giuridica dello stesso; in mancanza, infatti, le richiamate disposi-
zioni configurerebbero una sorta di presunzione legale “in bianco”, in forza della quale
qualunque informazione comunicata da intermediari finanziari nel corso delle indagini as-
sumerebbe valenza impositiva e consentirebbe di ritenere tutti i contribuenti come “im-
prenditori commerciali”, onde affermarne la titolarità di un reddito d’impresa.
3. Infine, con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della
l. 22 luglio 2000, n. 217, art. 7, del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 42, del d.p.r. n. 633 del
1972, art. 56, assumendo che la CTR avrebbe erroneamente disatteso il motivo di gravame
con il quale essa aveva contestato la mancata allegazione, da parte dell’Ufficio, dell’autoriz-
zazione ad acquisire la documentazione relativa ai conti correnti individuali.
Una tale omissione, secondo la contribuente, non consentiva di apprezzare le ragioni
concrete della scelta di utilizzare tale mezzo istruttorio nei suoi specifici riguardi (e non ap-
pena con riferimento alla società sottoposta a verifica), risolvendosi in una violazione delle
sue garanzie difensive e delle prescrizioni in tema di motivazione degli atti impositivi.
4. Le prime due censure, che possono essere scrutinate congiuntamente per la loro
connessione, sono infondate.
4.1. In tema di accertamenti fondati su indagini bancarie, questa Corte ha da tempo e
ripetutamente affermato che il ricorso alla movimentazione bancaria riferibile ad una socie-
tà di capitali, nei casi previsti, onera unicamente il contribuente della dimostrazione del fat-
to che i proventi dalla stessa desumibili non debbono essere recuperati a tassazione, o per-
ché egli ne ha già tenuto conto nelle sue dichiarazioni dei redditi, o perché non sono fiscal-
mente rilevanti in quanto riconducibili ad operazioni non imponibili (cosı̀, fra le numerose
altre, Cass. n. 24402/2022; Cass. n. 20118/2018; Cass. n. 15003/2017; Cass. n. 4829/2015;
Cass. n. 2130/2013; Cass. n. 8041/2008; Cass. n. 28324/2007; Cass. n. 1739/2007).
In tale ottica, non è dunque predicabile un obbligo dell’Ufficio di preventiva indivi-
duazione della fonte del reddito; né, tantomeno, di specifica indicazione dell’attività pro-
duttiva di reddito dalla quale potrebbero trarre origine le movimentazioni oggetto di
esame.
4.2. Tale consolidata impostazione non vale a costituire alcuna “presunzione in bian-
co” nei termini stigmatizzati dalla ricorrente.
Ed anzi, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, l’onere del contri-
buente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti
correnti, giustificata dall’ipotesi che tali conti siano stati messi a disposizione di una società,
non viola il principio praesumptum de praesumpto non admittitur.
Per un verso, infatti, tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile
agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento; per altro verso, ed
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anche a volerne assumere l’esistenza, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di


una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice, e non con una presunzione
legale, come invece avviene nel caso di specie (v. Cass. n. 23860/2020; Cass. n. 15003/
2017).
4.3. Peraltro, in relazione allo specifico caso che qui occupa, questa Corte ha recente-
mente affermato che l’attività di imprenditore agricolo non può essere ricondotta alla previ-
sione di cui all’art. 32, comma 2, lett. b), t.u.i.r. se è esercitata oltre il limite indicato da tale
disposizione; in tal caso, il reddito che eccede detto limite ha natura di reddito d’impresa la
cui entità, predeterminata secondo i criteri di cui all’art. 56, comma 5, del medesimo testo
unico, non preclude all’amministrazione finanziaria di procedere all’accertamento della sua
reale consistenza in presenza di indici di capacità patrimoniale sproporzionata al reddito
stimato in modo forfetario (v. Cass. nn. 16474 e 16475/2022).
5. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
La CTR si è infatti conformata al principio, ormai consolidato in seno alla giurispru-
denza di questa Corte, secondo il quale l’autorizzazione all’espletamento di indagini banca-
rie – esplicando una funzione organizzativa che incide nei rapporti tra uffici – non richiede
alcuna motivazione. Pertanto, ove la stessa non sia allegata o esibita all’interessato, non si
determina alcuna illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze di tali in-
dagini; questa, infatti, può derivare unicamente dalla materiale assenza di un’autorizzazione,
e sempre che da ciò sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente (v. Cass. n.
22754/2020; Cass. n. 13353/2018; Cass. n. 3628/2017), ciò che la ricorrente non ha affatto
dedotto nel caso di specie.
6. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in
dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore im-
porto a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del d.p.r.
n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M. – La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese,


che liquida in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla l. n. 228 del
2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da par-
te della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previ-
sto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto. (Omissis).

L’autorizzazione alle indagini bancarie nella sua evoluzione storico-


normativa: gli interessi sottesi e la sua progressiva svalutazione ad
opera del Legislatore e dei Giudici di legittimità

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La disciplina legislativa attualmente vigente e gli orientamenti


di prassi dell’Amministrazione finanziaria in tema di autorizzazione. – 3. L’evoluzione
storico-normativa del provvedimento autorizzatorio. – 4. Gli interessi sottesi e la fun-
zione dell’autorizzazione gerarchico-amministrativa. – 5. La motivazione dell’autorizza-
zione gerarchico-amministrativa. – 6. L’allegazione all’atto impositivo. – 7. Le informa-
zioni bancarie e finanziarie a disposizione dell’Amministrazione finanziaria in assenza
del rilascio dell’autorizzazione. – 8. Considerazioni conclusive.
note a sentenza 1831

1. – Premessa
La Corte di Cassazione, affermando, con ordinanza 27 gennaio
2023, n. 2643, il principio secondo il quale “l’autorizzazione all’esple-
tamento di indagini bancarie – esplicando una funzione organizzativa
che incide nei rapporti tra uffici – non richiede alcuna motivazione”,
nega al provvedimento qualsiasi funzione di contemperamento di inte-
ressi.
La Suprema Corte, dopo aver individuato quali conseguenze derivanti
da tale qualificazione l’assenza in capo all’Amministrazione finanziaria di
un obbligo di motivazione, di allegazione ed esibizione del provvedimento
autorizzatorio all’interessato, ha ritenuto che l’illegittimità dell’avviso di
accertamento possa derivare unicamente dalla sua materiale assenza, ma
sempre che, da tale mancanza, precisa la Corte, “sia derivato un concreto
pregiudizio per il contribuente”.
Tale principio, seppur frutto di un consolidato orientamento dei Giu-
dici di legittimità, presenta alcune criticità che emergeranno ripercorrendo
l’evoluzione storico-normativa delle indagini bancarie.
Dopo aver individuato nel provvedimento in parola una funzione di
garanzia per il contribuente, a discapito di quanto sostenuto dalla Supre-
ma Corte, non si comprende il motivo per cui vi sia un’ingente mole di
informazioni bancarie e finanziare acquisite dall’Amministrazione finanzia-
ria senza il rilascio di alcun provvedimento autorizzatorio. Si intende in-
dagare, dapprima, l’eventuale valore probatorio delle informazioni cosı̀
ottenute e, infine, le ricadute in tema di riservatezza.
Il presente scritto intende, infine, analizzare i possibili scenari futuri
circa la sorte dell’autorizzazione, vigilando sulla tendenza, a livello nazio-
nale, europeo e OCSE, volta spesso a “trascurare” le garanzie procedi-
mentali, non considerando la loro fondamentale funzione di presidio dei
diritti del cittadino.

2. – La disciplina legislativa attualmente vigente e gli orientamenti di


prassi dell’Amministrazione finanziaria in tema di autorizzazione
L’art. 32, 1˚ comma, n. 7, del d.p.r. n. 600 del 1973 e l’art. 51, 2˚
comma, n. 7 del d.p.r. n. 633 del 1972 subordinano l’esercizio dei
poteri volti all’acquisizione dei dati bancari e finanziari al rilascio di
una autorizzazione del Direttore centrale dell’accertamento dell’Agen-
zia delle entrate o del Direttore regionale della stessa, ovvero, per il
Corpo della Guardia di finanza, del Comandante regionale, su richiesta
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dell’organo ispettivo procedente. La richiesta di autorizzazione deve


indicare (1):
- le motivazioni poste a suo fondamento, ossia le ragioni che, di fatto,
fanno ritenere necessaria, utile o proficua l’attivazione del particolare stru-
mento istruttorio;
- gli estremi del contribuente o dei contribuenti ai quali sono rivolte le
indagini, vale a dire, gli estremi identificativi completi:
a. dell’imprenditore, lavoratore autonomo, società di persone o di
capitali o altro ente rispetto al quale si intende attivare il potere di richiesta
di acquisizione della documentazione detenuta dagli intermediari;
b. dei soggetti terzi verso i quali è ritenuta opportuna l’estensione
dell’accertamento, con l’indicazione dei collegamenti esistenti con il con-
tribuente principale oggetto di attenzione operativa e degli elementi ac-
quisiti, eventualmente anche di carattere indiziario, in ordine all’effettiva
riconducibilità a quest’ultimo di disponibilità fittiziamente intestate (2);

(1) Circolare Guardia di finanza n. 1 del 2008.


(2) La normativa attualmente vigente non fa più riferimento alla possibilità di esten-
sione automatica delle indagini finanziarie ai conti intestati al coniuge non legalmente ed
effettivamente separato e ai figli minori conviventi, come, invece, era previsto dagli abrogati
artt. 35 del d.p.r. n. 600 del 1973 e 51-bis del d.p.r. n. 633 del 1972. La giurisprudenza e
l’Amministrazione finanziaria sono tuttavia concordi nel ritenere che le indagini finanziarie
possano riguardare anche soggetti terzi, rispetto al contribuente sottoposto a controllo,
qualora risultino titolari di rapporti riconducibili a quest’ultimo. L’Agenzia delle entrate,
con circolare n. 32/E del 2006, individua il referente normativo di tale potere nell’art. 32, 1˚
comma, n. 2 del d.p.r. n. 600 del 1973 e nell’art. 51, 2˚ comma, n. 2 del d.p.r. n. 633 del
1972, in quanto, pur riconoscendo, da un lato, la “mancanza di un’espressa previsione
normativa”, ha ritenuto che “risulta ormai fuori di dubbio l’estendibilità delle indagini ai
conti di ‘terzi’, cioè soggetti non interessati dall’attività di controllo, atteso che, le citate
disposizioni, utilizzando la locuzione ‘i dati e gli elementi risultanti dai conti possono essere
posti a base delle rettifiche e degli accertamenti’, legittimano anche l’apprensione di quei
conti di cui il contribuente sottoposto a controllo ha avuto la concreta ed effettiva dispo-
nibilità, indipendentemente dalla formale intestazione”. Un ulteriore referente normativo
che consente di estendere le indagini finanziarie a soggetti terzi può essere individuato, con
riferimento alle imposte dirette, nell’art. 37, 3˚ comma, del d.p.r. n. 600 del 1973 secondo
cui “sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando si è
dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è
l’effettivo possessore per interposta persona”.
La giurisprudenza maggioritaria della Corte di Cassazione e la stessa Agenzia delle
entrate ritengono che le potestà e le presunzioni di cui ai nn. 2 dell’art. 32, 1˚ comma, del
d.p.r. n. 600 del 1973 e dell’art. 51, 2˚ comma, del d.p.r. n. 633 del 1972 trovino applica-
zione unicamente ai rapporti intestati o cointestati al contribuente sottoposto a controllo e
non trovino applicazione con riguardo ai conti bancari intestati esclusivamente a persone
terze, anche se legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali. Con riferimento ai
rapporti familiari si veda: Cass. civ., sez. trib., 29 gennaio 2019, n. 2386 secondo la quale “in
tema di accertamenti bancari, il d.p.r. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 1 e 7 (in
materia di imposte dirette) e il d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, 2˚ comma, nn. 2 e 7 (in
note a sentenza 1833

materia di iva) […] trovano applicazione unicamente ai conti intestati o cointestati al


contribuente, e non con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse,
ancorché legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio op-
ponga e poi provi in sede giudiziale che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque è
superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al
contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti”. Con rife-
rimento alle società di persone si veda: Cass. civ., sez. VI, 20 maggio 2011, n. 11145,
secondo la quale «nel caso di accertamento concernente una società di tale tipo, l’ufficio
finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri ad esso attribuiti dal d.p.r.
26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, 2˚ comma, nn. 2 e 7, le risultanze di conti correnti bancari
intestati ad uno dei soci, purché provi adeguatamente che quei determinati movimenti
risultanti sul conto personale del socio siano in realtà riferibili ad operazioni poste in essere
dalla società».
Le medesime potestà possono, dunque, essere esercitate anche relativamente ai rap-
porti intestati e alle operazioni effettuate esclusivamente da soggetti terzi, specialmente se
legati al contribuente da vincoli familiari o commerciali, a condizione però che l’ufficio
accertatore dimostri che la titolarità dei rapporti come delle operazioni è fittizia. L’intesta-
zione è fittizia tutte le volte in cui l’Amministrazione finanziaria rilevi, nel corso dell’istrut-
toria, che le movimentazioni finanziarie, sebbene riferibili formalmente a soggetti che risul-
tano averne la titolarità, in realtà sono da imputare ad un soggetto diverso che ne ha la reale
paternità con riferimento all’attività svolta. Risulta dunque evidente come l’onere di provare
la riferibilità del rapporto al contribuente gravi sull’Amministrazione finanziaria.
È necessario però rilevare che parte della Giurisprudenza di legittimità ha individuato
dei casi in cui la fittizietà dell’intestazione del rapporto è presunta. Il primo caso è relativo
all’estensione delle indagini ai conti dei prossimi congiunti, con particolare riferimento al
conto del coniuge, sulla base della mera sussistenza del rapporto familiare, in quanto
quest’ultimo sarebbe sufficiente a giustificare, salvo prova contraria, la riferibilità al contri-
buente delle operazioni riscontrate sui conti correnti dei prossimi congiunti. Si veda in tal
senso: Cass. civ., sez. trib., 5 dicembre 2005, n. 26412; Cass. civ., sez. trib., 26 giugno 2009,
n. 15172; Cass. civ., sez. trib., 13 novembre 2012, n. 25475 e, infine, Cass. civ., sez. trib., 4
marzo 2015, n. 4314 secondo la quale limitare l’accesso ai conti intestati al coniuge del
contribuente eluderebbe “lo scopo della stessa previsione normativa: ed infatti premesso che
rappresenta un espediente ‘normale’ l’intestazione a nome del coniuge di un conto corrente
quando il contribuente sia soggetto a verifiche fiscali, non pare esservi dubbio che l’indagine
sul conto corrente cointestato è senz’altro legittimata quando i coniugi sono co-dichiaranti;
ma risulta del pari legittima siffatta indagine in ragione della connessione e della inerenza del
conto intestato al coniuge al (conto intestato al) contribuente”.
Risulta interessante richiamare alcune sentenze della Corte di Cassazione (Cass. civ.,
sez. trib., 1˚ marzo 2002, n. 2980; Cass. civ., sez. trib., 13 settembre 2006, n. 19609; Cass.
civ., sez. trib., 21 gennaio 2008, n. 1168) nelle quali è presunta la fittizietà dell’intestazione
del rapporto con il conseguente utilizzo nei confronti delle società di persone e di capitali a
ristretta base sociale, dei dati desunti dai conti correnti intestati agli amministratori ed ai
soci.
Come si è detto, l’organo procedente, qualora intenda estendere l’indagine a soggetti
terzi, dovrà indicare nell’istanza di autorizzazione gli estremi identificativi dei soggetti terzi
verso i quali è ritenuta opportuna l’estensione dell’accertamento, con l’indicazione dei
collegamenti esistenti con il contribuente principale oggetto di attenzione operativa e degli
elementi acquisiti, eventualmente anche di carattere indiziario, in ordine all’effettiva ricon-
ducibilità a quest’ultimo di disponibilità fittiziamente intestate. È necessario ricordare che,
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- il periodo temporale di riferimento ai fini dello sviluppo degli accer-


tamenti;
- la specificazione dell’oggetto dell’indagine e degli intermediari desti-
natari delle richieste. In particolare, occorre precisare se gli accertamenti:
a. siano orientati alla mera acquisizione delle risultanze presenti nel-
l’Archivio dei rapporti con gli operatori finanziari ovvero estesi ad una più
ampia e definita platea soggettiva;
b. siano volti, ai sensi dei nn. 7) dell’art. 32 d.p.r. n. 600 del 1973 e
dell’art. 51 d.p.r. n. 633 del 1972, a risalire ai soggetti per conto dei quali
le società fiduciarie hanno detenuto o gestito beni, strumenti finanziari e
partecipazioni in imprese, partendo dall’oggetto di una intestazione fidu-
ciaria (3);

non essendo sempre agevole, in particolare nelle fasi iniziali dell’attività ispettiva, disporre di
elementi sufficienti in grado di individuare gli eventuali soggetti interposti, è consentito il
ricorso a presunzioni.
Inoltre, la normativa antiriciclaggio fornisce un ausilio fondamentale ai fini dell’indivi-
duazione dell’effettivo titolare dei rapporti, posto che l’art. 9 del d.lgs. 21 novembre 2007, n.
231 stabilisce che i dati e le informazioni acquisite nell’ambito delle attività svolte sono
utilizzabili ai fini fiscali, secondo le disposizioni vigenti.
(3) Con l’emanazione della l. 30 dicembre 2004, n. 311 assistiamo ad una completa
assimilazione, sotto il profilo delle garanzie previste, della disciplina relativa alla richiesta di
informazioni ad una società fiduciaria alla disciplina prevista per la richiesta di informazioni
alle banche e ad operatori finanziari. Ad opera dell’art. 1, commi 402, n. 4 e 403, n. 4 della l.
30 dicembre 2004, n. 311 (che ha posto modifiche all’art. 32, 1˚ comma, n. 7, del d.p.r. n.
600 del 1973 e art. 51, 2˚ comma, n. 7, del d.p.r. n. 633 del 1972) sono inserite le società
fiduciarie tra i soggetti destinatari della richiesta di “dati, notizie e documenti relativi a
qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi servizi prestati, con i
loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi”. La stessa disposizione precisa che,
limitatamente alle società fiduciarie, può essere richiesto, specificando i periodi temporali
di interesse, di “comunicare le generalità dei soggetti per conto dei quali esse hanno dete-
nuto o amministrato o gestito beni, strumenti finanziari e partecipazioni in imprese, inequi-
vocabilmente individuati”. Da tale modifica discende, innanzitutto, l’estensione della garan-
zia della preventiva autorizzazione, precedentemente non necessaria. In secondo luogo,
diversamente da quanto previsto dalla disciplina precedente, non sarà più possibile effet-
tuare, nei confronti delle società fiduciarie, indagini esplorative, ossia richiedere la comu-
nicazione, anche in deroga a contrarie disposizioni legislative, statuarie o regolamentari, di
dati e notizie relative a soggetti indicati per categorie. L’Agenzia delle entrate, con circolare
19 ottobre 2006, n. 32/E, precisa che “i poteri di indagine consentiti all’Amministrazione
finanziaria nei confronti dell’intestazione fiduciaria di beni, strumenti finanziari e parteci-
pazioni possono essere esercitati a condizione, da un lato, che l’oggetto dell’indagine sia
precisamente (inequivocabilmente) individuato con specifica indicazione sia del bene fidu-
ciariamente intestato che del periodo temporale di interesse per l’indagine e, dall’altro, che
sia precisato il collegamento fra l’intestazione fiduciaria e l’attività di indagine svolta nei
confronti dei soggetti sottoposti o sottoponibili ad accertamento. Non solo la particolare
condizione dell’inequivoca indicazione ma, soprattutto, la natura speciale e complementare
della disposizione in tema di intestazione fiduciaria rispetto alla prima parte della norma,
impongono tale relazione fra l’oggetto della specifica indagine (il bene fiduciariamente
note a sentenza 1835

c. siano volti ad ottenere i dati di dettaglio su singoli rapporti od


operazioni già note ai verificatori.
È necessario ricordare che, nel caso in cui l’indagine riguardi più
soggetti deve essere rilasciata un’autorizzazione distinta per ogni soggetto
passivo (4). Non è previsto un termine entro il quale l’organo legittimato ad
emettere il provvedimento debba pronunciarsi. Come ha chiarito la circo-
lare ministeriale del 10 maggio 1996, n. 116/E è necessario che gli organi
competenti al rilascio dell’autorizzazione provvedano in tempi ragionevol-
mente brevi all’esame delle richieste formulate dai dipendenti degli Uffici,
al fine di non restringere eccessivamente il periodo a disposizione di questi
ultimi per esperire la complessa attività di accertamento.

3. – L’evoluzione storico-normativa del provvedimento autorizzatorio


Ai fini di una migliore comprensione di quale sia la funzione assolta
dall’autorizzazione risulta essenziale ripercorrere brevemente l’evoluzione
storico-normativa delle indagini bancarie dalla quale emerge chiaramente
come la disciplina attualmente vigente costituisca il frutto di un lento
processo di erosione del segreto bancario.
Nel nostro ordinamento non era presente una norma che disciplinasse
il segreto bancario e che dunque ne costituisse fondamento normativo (5).

intestato) e l’oggetto dell’attività di accertamento (il soggetto o i soggetti cui essa è rivolta).
Come la prima parte della norma consente, muovendo dall’indicazione della persona sotto-
posta ad accertamento (elemento noto), di risalire alle operazioni, anche fiduciarie, da
questo posto in essere (elemento ignoto), cosı̀ la seconda parte della norma consente,
muovendo dall’indicazione specifica dell’oggetto dell’intestazione fiduciaria (elemento no-
to), di risalire al soggetto (elemento ignoto) la cui identità è elemento informativo indispen-
sabile al fine dello sviluppo dell’attività istruttoria in corso di svolgimento”. Come precisato
dalla circolare stessa, quanto stabilito vale sia per le società fiduciarie c.d. statiche, disci-
plinate dalla l. 23 novembre 1939, n. 1966, sia per le società fiduciarie c.d. dinamiche, ossia
quelle iscritte nella sezione speciale dell’albo di cui all’art. 20 del Testo unico delle dispo-
sizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.
(4) Cfr. Ministero delle finanze, circ. 10 maggio 1996, n. 116/E.
(5) Una parte della dottrina ha individuato, quale fondamento normativo del segreto
bancario l’art. 1374 c.c. che, nel far riferimento all’integrazione del contratto, stabilisce che “il
contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le
conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”. In
questa direzione Francesco Galgano (cfr. F. Galgano, Trattato di diritto civile, Milano, Cedam,
2010, 62-63), che ricorda che gli usi consistono “nella pratica uniforme e costante di dati
comportamenti (cosiddetto usus), seguita con la convinzione che quei comportamenti siano
giuridicamente obbligatori (opinio iuris atque necessitatis)”. Nell’opera citata viene richiamato
proprio il segreto bancario quale esempio di uso in senso tecnico: “le banche si rifiutano
sistematicamente di fornire alle pubbliche amministrazioni (e, in particolare, al fisco) notizie sui
propri clienti nella convinzione, pur in mancanza di una norma di legge in tal senso, di essere
1836 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

Una definizione la rinveniamo, tuttavia, nella nota sentenza della Corte


Costituzionale, 3 febbraio 1992, n. 51 nella quale è definito come “un
dovere di riserbo cui sono tradizionalmente tenute le imprese bancarie
in relazione alle operazioni, ai conti e alle posizioni concernenti gli utenti
dei servizi da essa erogati” (6).
Fino alla riforma del 1971 (7), il segreto bancario risultava pienamente
operante in relazione alle richieste dell’Amministrazione finanziaria volte
all’acquisizione delle informazioni bancarie del contribuente. Il legislatore,
nel complesso tentativo di contemperare gli interessi coinvolti, conferiva

giuridicamente tenute al segreto; e c’è voluta una legge per consentire al fisco di superarlo per
colpire i ‘grandi evasori’”. Secondo questa prima impostazione dottrinale il segreto bancario
sarebbe da ricondurre agli usi che, a norma dell’art. 1 disp. prel. c.c., sono fonte del diritto, e,
più precisamente, si collocano all’ultimo livello della gerarchia delle fonti.
A sostegno di questa tesi, si veda: Cass. civ., sez. I, 18 luglio 1974, n. 2147 secondo la
quale “sulla base di una pratica costantemente seguita, in ordine al rispetto del c.d. segreto
bancario si è formato un uso vincolante come fonte del diritto (art. 1, n. 4, Preleggi). Tale uso
assume carattere integrativo dei contratti stipulati con la clientela (art. 1374 c.c.), i cui interessi
vengono commessi alla banca nella fiducia che saranno preservati dall’altrui indiscrezione. Ne
deriva, nell’ambito dei rapporti interni fra il cliente e il banchiere, l’obbligo contrattuale di
quest’ultimo di non rivelare agli altri ciò che nel proposito, dichiarato sotto inteso, di chi a lui
si affida, è destinato a rimanere segreto” e, sempre la stessa Corte, ricorda che “la tutela del
segreto bancario, che trova fondamento nell’uso e non nella legge, incontra un limite nelle
previste deroghe all’obbligo di osservarlo, o in disposizioni legislative con esso contrastanti,
attraverso le quali venga imposto all’azienda di credito un comportamento inconciliabile con la
custodia del detto segreto. Ove ciò si verifichi la banca ne è vincolata, non potendo più valere
nell’interesse privato ciò che le viene imposto di svelare in obbedienza a un imperativo di
legge, contro il quale non verrebbe addurre né l’uso, né il patto”.
La Commissione economica, nel Rapporto presentato all’Assemblea Costituente nel 1946,
riteneva essenziale che fosse “sancito con legge o nella Carta costituzionale il mantenimento del
segreto bancario, nelle forme attualmente in essere”. In particolare, la Commissione sottolineò
che “un’eventuale violazione del segreto bancario agli effetti fiscali darebbe un beneficio assai
modesto all’erario in confronto agli svantaggi del minor afflusso di risparmio”. Il suo mante-
nimento rappresentava, dunque, “una generale e sentita necessità di tutte le attività economi-
che”. Ai nostri fini interessa ricordare che, nel medesimo Rapporto, emerge con chiarezza il
richiamo ad un’origine consuetudinaria dell’istituto; infatti, è stabilito che “la banca mantiene il
riserbo su quanto le confida il cliente, non per mera compiacenza, ma, in quanto, in genere,
riconosce un obbligo giuridico di mantenere il segreto […]. In Italia non esistono disposizioni
particolari che autorizzino la violazione del segreto bancario in materia fiscale […]. Del resto
in Italia il segreto bancario riposa sull’uso universalmente accettato”.
La Corte Costituzionale, con sentenza 3 febbraio 1992, n. 51, ha ripreso la tesi della Corte
di Cassazione del 1974 (Cass. civ., sez. I, 18 luglio 1974, n. 2147) circa la natura consuetu-
dinaria del segreto bancario, che è infatti definito come un “tradizionale dovere di riserbo”.
(6) Come rilevato da P. Boria, La dialettica costituzionale del fenomeno tributario, retro,
2004, I, 987 “a partire dagli anni novanta, sembra potersi individuare un indirizzo della
giurisprudenza costituzionale che si muove controcorrente rispetto alla fase garantista pre-
cedente, teso a riportare il pendolo del bilanciamento dei valori verso gli interessi della
collettività piuttosto che in direzione della tutela individuale”.
(7) Legge delega 9 ottobre 1971, n. 825.
note a sentenza 1837

un’assoluta preminenza al riserbo, garantito dal segreto bancario, rispetto


all’interesse pubblico di accertamento della effettiva capacità contributiva.
È con la citata riforma che, nell’introdurre per la prima volta un espresso
riconoscimento legislativo all’istituto, è dato avvio al lungo percorso di
erosione del segreto bancario. In attuazione dei principi contenuti nella
legge delega, l’art. 35 d.p.r. n. 600 del 1973 consentiva all’organo proce-
dente di derogare al segreto a condizione, tuttavia, che fosse stato preven-
tivamente rilasciato il parere favorevole dell’Ispettorato compartimentale
delle imposte dirette e l’autorizzazione da parte del Presidente della Com-
missione tributaria di primo grado territorialmente competente (c.d. dop-
pio filtro). In secondo luogo, il potere d’indagine risultava altresı̀ limitato
alla provata esistenza di gravi forme di evasione, tassativamente determi-
nate nel contenuto e nei presupposti (8).
In merito ai punti di contatto tra la disciplina fiscale e quella penale,
dottrina (9) e giurisprudenza (10) ritenevano che, anche in presenza dell’au-
torizzazione del magistrato competente, non fosse possibile l’utilizzazione
ai fini fiscali dei dati raccolti in sede penale. Alla fine degli anni 70, si era
affermata una prassi in base alla quale i militari della Guardia di finanza
utilizzavano il materiale probatorio acquisito in veste di polizia giudiziaria,
nel corso delle indagini, ai fini fiscali, servendosi cosı̀ del procedimento
penale per aggirare gli stringenti vincoli previsti dal procedimento ammi-
nistrativo. Questa prassi si era ulteriormente consolidata con l’emanazione
del d.p.r. n. 463 del 1982 che, con la modifica all’art. 33, 3˚ comma, d.p.r.
n. 600 del 1973 e art. 63, 1˚ comma, d.p.r. n. 633 del 1972 consentiva alla
Guardia di finanza di trasmettere agli uffici fiscali, previa autorizzazione
dell’autorità giudiziaria, i documenti, i dati e le notizie ottenuti nell’attività
di indagine caratterizzata dall’uso dei poteri di polizia giudiziaria (11). Tale

(8) La disciplina relativa alle indagini bancarie, in origine, si riferiva unicamente alle
imposte dirette, mentre, con riferimento all’iva, non era prevista alcuna possibilità di deroga
al segreto bancario. L’art. 51, 2˚ comma, n. 5, del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 stabiliva che
gli Uffici iva, per l’adempimento dei loro compiti, potevano “richiedere la comunicazione di
dati e notizie alla Guardia di finanza, agli uffici doganali e ad ogni altra Pubblica Ammini-
strazione o ente pubblico, fatta eccezione per gli istituti e le aziende di credito per quanto
attiene ai loro rapporti con i clienti, per l’Amministrazione postale per quanto attiene i dati
relativi ai depositi, conti correnti e buoni postali […]”. La possibilità di ricorrere alle
indagini bancarie anche in materia iva fu introdotta con d.p.r. n. 463 del 1982, che pose
modifiche all’art. 51 e introdusse l’art. 51-bis del d.p.r. n. 633 del 1972.
(9) Cfr. P. Borrelli - G. Ferrante, Gli accertamenti bancari ai fini fiscali, Padova, Cedam,
2004, 293; S. Stufano, Utilizzo di dati bancari acquisiti in sede penale, in Corr. trib., 1994,
2592.
(10) Cfr. Cass. civ., sez. I, n. 10476 del 1992; Cass. civ., sez. I, n. 7581 del 1994.
(11) Con riferimento all’aggiramento dei limiti posti dalla legge fiscale, si veda: G.
1838 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

intervento normativo diveniva necessario a seguito dell’emanazione della l.


7 agosto 1982, n. 516 (12), nota come “legge manette agli evasori” che
sancı̀ l’abolizione della “pregiudiziale tributaria” e configurò quali fatti
penalmente rilevanti condotte che, in precedenza, erano invece qualificati
come illeciti amministrativi.
Venuta meno la pregiudiziale tributaria si rese necessaria la realizza-
zione di una forma di raccordo tra l’istruttoria penale (oggi “indagine
preliminare”) e quella amministrativa che, da quel momento, erano desti-
nate a svolgersi con frequenza simultaneamente. In precedenza, infatti, il
magistrato penale, poteva disporre di tutti gli strumenti di indagine tali da
ottenere, senza particolari vincoli o formalità, ed in tempi relativamente
brevi, un quadro soddisfacente della situazione patrimoniale del contri-
buente; tale attività era tuttavia bloccata dalla necessità di definire, in via
pregiudiziale, il quantum di imposta evasa in sede amministrativa (13) (14).
Proseguendo nell’iter di ricostruzione storica del quadro normativo il
legislatore intervenne in materia con l. 30 dicembre 1991, n. 413, in
ragione di una tendenza dell’Amministrazione finanziaria a ricorrere di
rado a tale mezzo istruttorio. Parte della dottrina (15), nell’indagare quali

Gaffuri, Diritto tributario, Parte generale e Parte speciale, Padova, Cedam, 2016, 128, il quale
ha sottolineato che lo “lo sfruttamento, in sede amministrativa, d’indagini bancarie disposte
dal giudice penale, fosse comunque subordinato, oltre all’autorizzazione dello stesso giudice
a tutela del segreto istruttorio, agli assensi preventivi stabiliti dalle norme fiscali”.
(12) art. 33, 3˚ comma, del d.p.r. n. 600 del 1973 e l’art. 63, 1˚ comma, del d.p.r. n. 633
del 1972, modificati dal d.p.r. n. 463 del 1982, a seguito della eliminazione della pregiudi-
ziale tributaria, posero le basi per un raccordo tra le indagini penali e l’istruttoria fiscale.
(13) Cfr. G. Bersani, L’accertamento tributario nella fase di accesso al domicilio del
contribuente e di deroga al segreto bancario. Aspetti problematici e strumenti di tutela, Torino,
Giappichelli,1995, 54.
(14) Il d.l. 3 maggio 1991, n. 143, convertito con modificazioni dalla l. 5 luglio 1991, n.
197 modificò l’art. 33, 3˚ comma, del d.p.r n. 600 del 1973 e l’art. 63, 1˚ comma, del d.p.r. n.
633 del 1972 conferendo il potere in capo alla Guardia di finanza, previa autorizzazione
dell’autorità giudiziaria in relazione alle norme disciplinanti il segreto istruttorio, di utilizzare
e trasmettere agli uffici delle imposte documenti, dati e notizie relativi all’imputato acquisiti
direttamente, o riferiti ed ottenuti da altre forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia
giudiziaria, anche al di fuori dei casi tassativamente previsti di deroga al segreto bancario. Il
legislatore è intervenuto nuovamente in materia con l. 30 dicembre 1991, n. 413 e, succes-
sivamente, con l’art. 23 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (che ha posto modifiche all’art. 33, 3˚
comma, del d.p.r. n. 600 del 1973 e all’art. 63, 1˚ comma, del d.p.r. 633 del 1972) stabilendo
che la Guardia di finanza utilizza e trasmette agli uffici delle imposte e agli Uffici iva i dati e
le notizie acquisite direttamente o riferiti ed ottenute dalle altre forze di polizia, nell’esercizio
dei poteri di polizia giudiziaria, “previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria, che può
essere concessa anche in deroga all’articolo 329 c.p.p.”. Si è voluto ribadire che l’utilizza-
zione dei dati bancari acquisiti in ambito penale possa avvenire anche nella fase delle
indagini preliminari.
(15) Cfr. C. Consolo, Segreto bancario e sua permeabilità al fisco: recenti evoluzioni
note a sentenza 1839

fossero le problematiche relative a questo scarso utilizzo delle indagini


bancarie, ha ritenuto che le ragioni siano da ricercare nella “ritrosia buro-
cratica dell’Amministrazione finanziaria ad incanalarsi su un percorso av-
vertito come socialmente anomalo e male accetto”.
Il legislatore intervenne in materia, dunque, non solo per superare gli
stringenti vincoli burocratici, ma, altresı̀, al fine di realizzare un procedi-
mento nel quale le indagini bancarie si esplicassero “nel chiaro ambito di
garantistiche certezze, privilegiando la collaborazione fra le parti del rap-
porto giuridico tributario” (16).
L’abolizione del segreto bancario è attribuita alla l. 30 dicembre 1991,
n. 413, entrata in vigore a decorrere dal 1˚ gennaio 1992 che, nell’intro-
durre significative modifiche alla disciplina delle indagini bancarie al tem-
po vigente, ne ha decisamente semplificato l’iter procedimentale. In parti-
colare, è definitivamente superato qualunque riferimento a fattispecie tas-
sative di evasione di imposta (17) e il sistema del c.d. doppio filtro, preve-
dendo un’unica autorizzazione dell’organo gerarchicamente sovraordinato
a quello procedente (18). Il legislatore ha infatti disposto, quale condizione
necessaria, il rilascio di un’unica autorizzazione da parte dell’Ispettore
compartimentale delle imposte dirette ovvero, per la Guardia di finanza,
del Comandante di zona (19) (20).

normative (dal d.p.r. 463/1982 alla legge n. 197/1991, all’epilogo infine segnato oggi dalla l.
413/1991), in Boll. trib., 1992, 486.
(16) Cfr. M.V. Serranò, Indagini finanziarie e accertamento bancario, Torino, Giappi-
chelli, 2012, 14.
(17) L’art. 18, 1˚ comma, lett. h) e 2˚ comma, lett. e) della l. 30 dicembre 1991, n. 413
ha abrogato, rispettivamente, gli artt. 35 del d.p.r. n. 600 del 1973 e 51-bis del d.p.r. n. 633
del 1972 che prevedevano le ipotesi tassative di evasione al verificarsi delle quali si poteva
ricorrere alle indagini bancarie.
(18) Art. 32, 1˚ comma, n. 7 del d.p.r. n. 600 del 1973, sostituito dall’art. 18, 1˚ comma,
lett. c), della l. 30 dicembre 1991, n. 413 e art. 51, 2˚ comma, n. 7, del d.p.r. n. 633 del 1972,
come modificato dall’art. 18, 2˚ comma, lett. c), della l. 30 dicembre 1991, n. 413.
(19) Per le imposte indirette, l’art. 51, 2˚ comma, n. 7, del d.p.r. n. 633 del 1972, come
modificato dall’art. 18, 2˚ comma, lett. c), della l. 30 dicembre 1991, n. 413, ha previsto la
“previa autorizzazione dell’Ispettore compartimentale delle tasse e imposte indirette sugli
affari ovvero, per la Guardia di finanza, del Comandante di zona”.
(20) Cfr. G. Corasaniti, I poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria nei confronti
delle società fiduciarie, retro, 2004, I, 313, il quale sottolinea che, sin dal disegno di legge,
emerge l’intenzione di perseguire “l’obiettivo di superare la cultura del segreto, espressione
di un malinteso senso del diritto alla riservatezza, per passare invece ad una cultura della
trasparenza improntata alla chiarezza del rapporto fisco-contribuente”.
1840 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

4. – Gli interessi sottesi e la funzione dell’autorizzazione gerarchico-


amministrativa
Come anticipato in premessa, individuare la funzione assolta dall’au-
torizzazione non costituisce un mero esercizio fine a sé stesso, ma com-
porta delle precise conseguenze.
Dall’ordinanza in commento, che si inserisce nel solco di un orienta-
mento consolidato, emerge come la Suprema Corte, qualificando l’auto-
rizzazione come “atto privo di rilevanza esterna”, non le riconosca alcun
ruolo di ponderazione di interessi, ma esclusivamente una funzione di
verifica dell’efficienza dell’attività di accertamento.
La Cassazione, con sentenza 3 agosto 2012, n. 14026, individua in
modo preciso i profili relativi alla qualificazione giuridica sopra descritta,
precisando che “l’autorizzazione interviene tra uffici inseriti nella medesi-
ma organizzazione pubblica, collocati in rapporto di subordinazione ge-
rarchica (nella prima fase l’ufficio locale predispone la richiesta e il fun-
zionario svolge il compito assegnatogli dal capo dell’ufficio che all’esito
dispone di sottoporre tale richiesta alla preventiva autorizzazione del Di-
rettore regionale delle entrate; nella seconda fase interviene la valutazione
del Direttore regionale competente a rilasciare o negare l’autorizzazione),
con la conseguenza che, nel caso di specie, non è dato ipotizzare una
diversificazione di interessi pubblici facenti capo a ciascun ufficio, doven-
do invece ravvisarsi un’identità di competenza tra l’ufficio superiore e
quello locale: tanto consente di attribuire alla predetta autorizzazione
una preminente funzione organizzativa, mediante la quale il titolare del-
l’ufficio regionale cui è demandata la competenza di disporre la acquisi-
zione di dati, notizie ed informazioni anche attraverso indagini bancarie,
assolve più agevolmente e speditamente il proprio compito legittimando
l’ufficio inferiore alla relativa attività. La relazione tra i due uffici si attua
pertanto attraverso uno schema di tipo organizzativo riconducibile alla
delega-autorizzazione, nel quale la valutazione rimessa al titolare dell’uffi-
cio delegante si esaurisce nella modalità di attuazione della competenza
attribuita in vista del perseguimento del medesimo interesse pubblico
(all’acquisizione delle entrate patrimoniali dello Stato) e dunque si esauri-
sce nell’ambito del rapporto organizzativo interno tra gli uffici”.
L’autorizzazione non avrebbe come fine la ponderazione di interessi in
conflitto, ma esclusivamente una funzione di verifica dell’efficienza del-
l’attività di accertamento. In particolare, la Corte precisa che la valutazione
dell’organo gerarchicamente sovraordinato circa l’opportunità e proficuità
della indagine “deve essere compiuta in relazione al parametro dell’effi-
cienza cui deve conformarsi l’attività amministrativa, e dunque in base
note a sentenza 1841

all’applicazione del criterio costi-benefici, dovendo tenersi conto a tal fine


sia delle previsioni formulabili in ordine al conseguimento di un risultato
utile, che delle complessive esigenze organizzative degli uffici locali in
relazione alla necessità di impedire ritardi od interruzioni nell’esercizio
delle altre competenze loro affidate, nonché della concreta disponibilità
del personale da destinare a tale indagine e che dovrà essere distolto
durante tale periodo da altri necessari compiti; venendo detta autorizza-
zione ad operare sul piano delle relazioni organizzative tra uffici del me-
desimo ente pubblico, rimane esclusa la natura provvedimentale di tale
atto, in quanto inidoneo a produrre effetti giuridici all’esterno dell’orga-
nizzazione e ad incidere sulla sfera giuridica di terzi” (21).

(21) Cfr. Cass. civ., sez. trib., 3 agosto 2012, n. 14026 ove è precisato che “nel diritto
pubblico, infatti, l’autorizzazione si configura come provvedimento terminale di un auto-
nomo procedimento amministrativo volto alla cura di un interesse (pubblico) distinto da
quello perseguito dal soggetto autorizzato: l’autorizzazione è normalmente diretta alla veri-
fica di presupposti o requisiti o condizioni predeterminati dalla legge in funzione dello
svolgimento di attività (generalmente dei privati), ed assume quindi la funzione di controllo
preventivo di conformità ai requisiti di legge, ovvero la funzione di accertamento della
compatibilità della attività autorizzata con le esigenze di cura o tutela di altri interessi che
potrebbero risultarne pregiudicati. In tali casi il rapporto che si instaura tra il soggetto
autorizzante e il soggetto autorizzato implica una relazione di autonomia degli interessi
che fanno capo a tali soggetti, venendo a comporre la legge attributiva del potere auto-
rizzatorio il potenziale conflitto tra detti interessi, secondo uno schema di subordinazione.
Tali caratteristiche non si rinvengono nella fattispecie in esame in cui: la autorizzazione non
viene ricollegata ad alcun presupposto normativo che individui la esigenza di tutela di
interessi terzi, né alla sussistenza di altri elementi normativamente predeterminati (come
ad esempio la infedeltà della dichiarazione, la anomalia dello scostamento da parametri
reddituali, ecc.); non vi è una distinzione di interessi affidati alle cure del titolare dell’organo
superiore – che autorizza – e del funzionario in organico nell’ufficio locale – in rapporto di
subordinazione gerarchica – che viene autorizzato, inserendosi la delega-autorizzativa nel-
l’esercizio della medesima funzione di controllo fiscale, ed essendo entrambi gli uffici inseriti
nella stessa organizzazione amministrativa per il perseguimento dell’identico interesse pub-
blico alla stessa affidato. Tali elementi confermano il carattere meramente endoprocedimen-
tale della ‘autorizzazione’ che, nella sequenza delle attività e degli atti strumentali alla
emanazione del provvedimento impositivo (avviso di accertamento, rettifica, liquidazione),
si configura quale atto ‘preparatorio’ (in quanto tale insuscettibile di autonoma impugna-
zione) […]. La predetta natura preparatoria, e non provvedimentale, della ‘autorizzazione’
in questione, sottrae, pertanto, tale atto (i cui effetti, come si è visto, riverberano esclusiva-
mente sul piano della efficienza organizzativa degli uffici) dalla categoria delle manifestazioni
di volontà della PA che sono espressione di potestà discrezionale in quanto implicano, ai fini
del perseguimento dell’interesse pubblico, una ponderazione tra interessi potenzialmente
contrastanti ed una scelta tra le diverse modalità di composizione di tali interessi, con la
conseguenza che il requisito formale della motivazione – cosı̀ come definito per ‘ogni
provvedimento amministrativo’ dalla l. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, 1˚ comma – deve
ritenersi ad esso estraneo, tanto più trattandosi di atto che, nella disciplina normativa
tributaria, attiene alla funzione del ‘controllo fiscale’ (che deve essere tenuta distinta da
quella di accertamento impositivo, potendo anche esaurirsi il controllo con la verifica della
1842 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

Premesso che l’attività istruttoria incide inevitabilmente su posizioni


soggettive del privato ed in particolare sulle sue libertà (22), il fatto che il
provvedimento in commento assolva un ruolo di bilanciamento di interessi
contrapposti emerge, oltreché dagli atti dell’Amministrazione finanziaria,
anche dall’analisi dell’evoluzione storico-normativa in materia di indagini
bancarie (23).
La Circolare dell’Agenzia delle entrate 19 ottobre 2006, n. 32/E pre-
cisa che l’autorizzazione adempie, sicuramente, al duplice ruolo di prov-
vedimento legittimante l’esercizio del potere istruttorio e di controllo in-
terno circa il corretto utilizzo della medesima potestà, ma, costituisce,
inoltre, l’equo compromesso tra il principio costituzionale di capacità
contributiva e quello, ritenuto di rango inferiore, della riservatezza dei dati
creditizi e finanziari (24).
Tali considerazioni trovano riscontro, come si anticipava, nell’evoluzione
storico-normativa delle indagini bancarie. L’autorizzazione, in origine, unita
alla provata esistenza di gravi forme di evasione, tassativamente determinate
nel contenuto e nei presupposti, creava un procedimento di difficile espe-
ribilità volto proprio a contemperare, da un lato, l’esigenza di accertamento
e, dall’altro, un ulteriore interesse, individuato, al tempo, non tanto nella
tutela della riservatezza, quanto più nella tutela del risparmio (25). Nella

regolarità della posizione del contribuente, senza che segua la fase accertativa) in ordine alla
quale (esame delle dichiarazioni, acquisizione di elementi di riscontro, richiesta di informa-
zioni e documenti, invio di questionari) non è prevista alcuna specifica motivazione, espres-
samente richiesta invece con riferimento alla adozione degli atti impositivi (l. n. 212 del
2000, art. 7)”.
(22) Con riferimento a questo aspetto si veda: G. Melis, Manuale di diritto tributario,
Torino, Giappichelli, 2022, 308.
(23) Cfr. G. Ingrao, Teoria e tecnica dell’imposizione tributaria, Messina, SB, 2021, 351,
il quale, in merito alla ratio dell’autorizzazione, afferma che il legislatore con tale provvedi-
mento ha inteso “escludere l’esercizio concreto del potere qualora esso determini un’irra-
gionevole lesione dei diritti di libertà dei contribuenti (l’autorizzazione non è, quindi, posta
a tutela di interessi a contenuto patrimoniale dei contribuenti). L’esistenza delle autorizza-
zioni, peraltro, consente di scongiurare un esercizio improprio o abusivo da parte dei singoli
funzionari degli Uffici fiscali”, assolvendo, in questo modo, una funzione di “garanzia per il
contribuente”.
(24) In particolare, precisa la circolare, l’organo deputato al rilascio dell’autorizzazione
dovrà operare un controllo di legittimità, riscontrando l’esistenza dei seguenti requisiti: una
congrua motivazione, i dati identificativi del contribuente interessato dall’accertamento e
degli eventuali soggetti terzi coinvolti, la delimitazione temporale dell’indagine, l’oggetto
della richiesta, l’identificazione dei destinatari e, limitatamente all’ipotesi di preventiva ri-
chiesta al contribuente ai sensi dell’art. 32 del d.p.r. n. 600 del 1973 e art. 51, nn. 6-bis del
d.p.r. 633 del 1972 che sia in corso un accertamento, ma anche di merito, ossia dovrà
valutare le ragioni che fanno ritenere “necessaria, utile o proficua” l’indagine bancaria.
(25) La Commissione economica, nel Rapporto presentato all’Assemblea Costituente
note a sentenza 1843

Relazione governativa allo schema del d.p.r. n. 600 del 1973 emerge, infatti,
che “la formazione del risparmio e il suo afflusso al sistema creditizio co-
stituiscono un interesse di carattere generale; ma è evidente che costituisco-
no interessi di carattere generale anche la corretta applicazione dei tributi e
l’esatta ripartizione degli oneri tributari secondo i principi stabiliti dalla
legge” con la precisazione che, in questo modo, si realizzava “l’equilibrio
e il contemperamento fra questi due ordini di interessi”.
Al provvedimento è conferita, dunque, una funzione fondamentale,
ossia quella consistente nel bilanciamento del binomio di valori autorità/
libertà, sotteso all’esercizio di poteri di indagine decisamente invasivi della
sfera giuridica del contribuente (26).
Sia che si individui quale interesse sotteso all’allora vigente segreto
bancario (oggi all’autorizzazione gerarchico-amministrativa) la riservatezza
o la tutela del risparmio, ciò che rileva, in questa sede, è l’aver accertato
che il provvedimento assolva ad una funzione di bilanciamento (27).

nel 1946, individuò, quale interesse sotteso al segreto bancario, la tutela del risparmio. La
Commissione riteneva indispensabile che il segreto bancario fosse mantenuto e rispettato
scrupolosamente rappresentando quest’ultimo “un fondamento essenziale della raccolta del
risparmio del sistema bancario nella sua attuale struttura”. Essa auspicava, altresı̀ che fosse
“sancito con legge o nella Carta costituzionale il mantenimento del segreto bancario, nelle
forme attualmente in essere”.
(26) Cfr. R. Miceli, Ingiustificata deviazione delle indagini finanziarie dai principi dell’i-
struttoria tributaria, in GT SYMBOL Riv. giur. trib., 2015, 702, in cui si rileva che “l’eser-
cizio dei poteri istruttori in materia tributaria costituisce, sempre, una invasione della sfera
giuridica privata del contribuente. Tali poteri nascono, infatti, in ogni loro estrinsecazione,
con l’obiettivo di acquisire dati, notizie e documenti relativi ai comportamenti fiscali, alle
attività esercitate, alle operazioni economiche effettuate, ai presupposti di imposta realizzati
da parte dei contribuenti. La necessità di controllare il contribuente, invadendo la sua sfera
giuridica attraverso l’esercizio di poteri autoritativi, trova una giustificazione nell’art. 53
Cost., vale a dire nella necessità di attuare il dovere di concorso alle spese pubbliche in
ragione della capacità contributiva (autorità); tale principio deve essere bilanciato e contem-
perato con altri fondamentali valori costituzionali o di rilievo generale del nostro ordina-
mento giuridico, che sono compromessi dall’esercizio dei poteri istruttori (libertà)”.
(27) In merito all’autorizzazione, si veda: G. Zizzo, Le autorizzazioni nelle indagini
tributarie, in Corr. trib., 2009, 3566, il quale rileva che l’intenzione del legislatore è stata
quella di “graduare l’intensità della tutela apprestata dallo strumento dell’autorizzazione in
ragione della rilevanza dell’interesse privato che è minacciato dall’utilizzo dei poteri istrut-
tori. Maggiore è la sua rilevanza, più forte, infatti, si rivela l’esigenza di assicurare la presenza
di un controllo preventivo, da parte di un soggetto collocato in posizione di indipendenza e
imparzialità, sull’esercizio di tali poteri”. Qualora, dunque, siano minacciati i diritti fonda-
mentali della persona, il compito a rilasciare l’autorizzazione è attribuito all’Autorità giudi-
ziaria; qualora, invece, siano “in gioco interessi giudicati di rango meno elevato (come quello
a tutela del segreto bancario) […], il compito di rilasciare l’autorizzazione è assegnato ad un
organo gerarchicamente sovra-ordinato (quindi ad un organo non imparziale e non indi-
pendente, ma comunque diverso da quello procedente)”.
1844 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

5. – La motivazione dell’autorizzazione gerarchico-amministrativa


La circolare ministeriale 10 maggio 1996, n. 116/E afferma “la natura
prevalentemente discrezionale dell’autorizzazione” e, le medesime consi-
derazioni emergono dai documenti di prassi dell’Amministrazione finan-
ziaria (28).
L’autorizzazione non costituisce, dunque, l’atto terminale dell’esercizio
di un potere vincolato, bensı̀ discrezionale, e ne discende, quale conse-
guenza, una necessaria e congrua motivazione circa l’opportunità e utilità
di ricorrere al mezzo istruttorio. In particolare, l’indicazione dei motivi
consente al soggetto portatore degli interessi lesi di verificare che il loro
sacrificio sia avvenuto nel rispetto delle condizioni di legge: in assenza di
motivazione, si ridurrebbe l’autorizzazione ad una semplice formalità (29).
Sebbene l’art. 7 della l. 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del
contribuente) preveda che “gli atti dell’Amministrazione finanziaria” siano
motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n.
241, ossia indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che
hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, la Corte di Cassa-
zione ritiene, con giurisprudenza costante (30), e ne costituisce conferma
l’ordinanza in commento, che l’autorizzazione in parola non necessiti di
alcuna specifica motivazione.
In particolare, la Suprema Corte (31) ha ritenuto che “l’autorizzazione
necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve
essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perché in relazione
ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, ma anche in
quanto la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplica una fun-
zione organizzativa, incidente solo nei rapporti tra uffici, ed ha natura di
atto meramente preparatorio, con la conseguenza che non è qualificabile
come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali è
previsto, rispettivamente, dall’art. 3, comma 1, della l. n. 241 del 1990 e
dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000, un obbligo di motivazione”. In merito a
quest’ultimo aspetto, la Corte (32), in un’ulteriore sentenza, ha ritenuto che

(28) L’Agenzia delle entrate, nella circolare 19 ottobre 2006, n. 32/E stabilisce che
valgono le precisazioni già fornite con “circolare n. 116/E in ordine alla natura discrezionale
della predetta autorizzazione”.
(29) Cfr. G. Zizzo, Le autorizzazioni nelle indagini tributarie, in Corr. trib., 2009, 3568.
(30) Cfr. Cass. civ., sez. trib., 6 dicembre 2011, n. 26173; Cass. civ., sez. trib., 13 aprile
2012, n. 5849; Cass. civ., sez. trib., 26 settembre 2014, n. 20420; Cass. civ., sez. trib., 14
luglio 2017, n. 17457.
(31) Cfr.Cass. civ., sez. trib., 24 luglio 2018, n. 19564.
(32) Cfr. Cass. civ., sez. trib., 3 agosto 2012, n. 14026; si veda, inoltre, D. Mazzagreco,
note a sentenza 1845

l’autorizzazione, (cosı̀ come la “richiesta” di dati, notizie e documenti


indirizzata dall’Ufficio locale all’ente che intrattiene rapporti con il clien-
te-contribuente) “non integra un elemento costitutivo degli effetti del
provvedimento impositivo, rimanendo estranea alla valutazione dei ‘pre-
supposti di fatto e delle ragioni di diritto’ che fondano la pretesa tributa-
ria, ed in quanto non provvede alla cura di uno specifico interesse, ma
coincide con il generale interesse all’esercizio della funzione pubblica di
controllo fiscale, né viene a disporre in ordine alla sfera giuridica di terzi,
non richiede, pertanto, di essere motivata” (33).

6. – L’allegazione all’atto impositivo


L’impostazione della Cassazione sopra richiamata trova origine nella
sentenza del Consiglio di Stato, 19 aprile 1995, n. 264, avente ad oggetto il
diritto di accesso all’autorizzazione.
A seguito di un’impugnazione di un silenzio-rifiuto opposto alla ri-
chiesta volta ad ottenere copia dell’autorizzazione, il T.a.r. aveva qualifi-
cato quest’ultima non quale atto endoprocedimentale, e dunque avente
natura istruttoria, ma come un vero e proprio provvedimento amministra-
tivo ed in quanto tale immediatamente conoscibile e impugnabile, poiché
in grado di incidere su posizioni giuridiche soggettive (34).
Il Consiglio di Stato ha qualificato, invece, l’autorizzazione come atto
preparatorio, che “si inserisce all’apice di un subprocedimento interno”, il

Questioni attuali in tema di motivazione degli atti, in Riv. dir. trib., 2008, 375 secondo il
quale “le ragioni che hanno indotto autorevole dottrina a ritenere applicabile l’obbligo della
motivazione anche all’autorizzazione alle indagini bancarie ancor prima che fosse entrato in
vigore lo Statuto dei diritti del contribuente” sono le seguenti: si è ritenuto che “il contenuto
sostanzialmente provvedimentale dell’autorizzazione consentisse di estendere l’obbligo di
motivazione di cui all’art. 3 della legge generale sul procedimento amministrativo anche a
tale atto, con la conseguenza che è stata ritenuta necessaria l’indicazione delle ragioni e dei
presupposti che fanno ritenere opportuna e conveniente la scelta di tale mezzo istruttorio
rispetto agli altri di cui dispongono gli uffici accertatori, previsti dall’art. 32 del d.p.r. n. 600
del 1973”. Una volta entrato in vigore lo Statuto dei diritti del contribuente, il cui art. 7
estende l’obbligo di motivazione a tutti gli atti dell’Amministrazione finanziaria, rende priva
di ogni rilievo la illustrata querelle relativa al contenuto sostanzialmente provvedimentale
dell’autorizzazione. Seppure, infatti, si dovesse accedere alla tesi secondo cui l’autorizzazio-
ne alle indagini bancarie avrebbe natura di ‘mero atto’ e non invece di provvedimento,
perché priva di discrezionalità “non si potrebbe concludere per l’insussistenza dell’obbligo
di motivazione, ormai espressamente sancito dall’art. 7, comma 1, dello Statuto per ‘tutti gli
atti dell’amministrazione finanziaria’”.
(33) In merito alla necessaria motivazione dell’autorizzazione, si veda: G. Ingrao, Teoria
e tecnica dell’imposizione tributaria, Messina, SB, 2021, 351.
(34) T.a.r. Emilia Romagna, sez. II, 19 novembre 1994, n. 1630.
1846 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

quale potrà sfociare in un avviso di accertamento, costituente il provvedi-


mento impugnabile. Solo in questo momento scompare la limitazione al
diritto di accesso (35) e il contribuente potrà ottenere copia dell’autorizza-
zione per controllarne la legittimità e sindacare in via derivativa l’atto di
accertamento (36) (37).
La Cassazione (38), come si è detto, si è inserita nel solco di tale
indirizzo e, qualificando l’autorizzazione come atto privo di rilevanza ester-
na, ha individuato, quale conseguenza, oltre alla non necessaria motiva-
zione, anche l’assenza di un obbligo di allegazione del provvedimento
all’atto impositivo. Una volta accertata la non impugnabilità immediata
dell’autorizzazione, la tutela del contribuente risulta differita alla notifica
dell’avviso di accertamento e alla sua impugnazione.
Un’ultima questione da richiamare riguarda le (eventuali) conseguenze
in punto di legittimità dell’atto impositivo emesso in assenza del rilascio
dell’autorizzazione.
L’ordinanza in commento si pone in linea con un consolidato orienta-
mento della Corte di Cassazione (39), secondo il quale la mancanza del-

(35) L’art. 22 della l. n. 241 del 1990 prevede il diritto di accesso, ossia il diritto di
prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi, mentre l’art. 24, 1˚
comma, lett. a) a seguito della modifica avvenuta ad opera della l. 11 febbraio 2005, n.
15 stabilisce che il diritto di accesso è escluso nei procedimenti tributari, per i quali restano
ferme le particolari norme che li regolano.
(36) In merito alla tutela immediata e non differita dinanzi agli atti istruttori, si veda: G.
Melis, Manuale di diritto tributario, Torino, Giappichelli, 2022, 309, il quale ritiene che
debbano essere sempre esperibili forme di tutela immediata e diretta in considerazione
dell’innegabile “idoneità degli atti istruttori a ledere immediatamente diritti soggettivi”.
(37) Il Consiglio di Stato, con sentenza 31 luglio 2014, n. 4046 ribadisce il principio per
cui, una volta emanato l’avviso di accertamento, l’Amministrazione, su istanza della parte
privata interessata, abbia il dovere di rendere disponibili tutti gli atti di riferimento. In
particolare, è affermato che “il principio di inaccessibilità agli atti del procedimento tribu-
tario deve essere interpretato alla luce delle modifiche apportate dalla l. 27 luglio 2000, n.
212, recante ‘Statuto dei diritti del contribuente’, per effetto delle quali il ruolo del soggetto
passivo dell’obbligazione nell’ambito dell’accertamento tributario è passato da una posizione
di mera soggezione passiva ad un ruolo di attiva partecipazione, con conseguente progres-
siva valorizzazione dei canoni di collaborazione e di contraddittorio fra le parti del rapporto
tributario; di conseguenza l’inaccessibilità agli atti che concernono il contribuente deve
essere temporalmente limitata alla fase di pendenza del procedimento tributario, non emer-
gendo esigenze di segretezza nella fase che segue la conclusione del procedimento di ado-
zione dell’accertamento definitive”. Nella Circolare n. 32/E del 19 ottobre 2006, l’Agenzia
delle entrate chiarisce che, una volta emanato l’avviso di accertamento, “diviene esercitabile
il diritto di accesso all’atto di autorizzazione”.
(38) Cfr. Cass. civ., sez. trib., 15 giugno 2007, n. 1403; Cass. civ., sez. trib., 25 marzo
2015, n. 5963; Cass. civ., sez. trib., 14 luglio 2017, n. 17457.
(39) Cfr. Cass. civ., sez. trib., 14 luglio 2017, n. 17457 e Cass. civ., sez. trib., 31 luglio
2020, n. 16499 ove è stabilito che “in base all’orientamento di questa Corte (tra varie, si
note a sentenza 1847

l’autorizzazione non determina alcuna inutilizzabilità delle prove acquisite,


a meno che da tale mancanza sia derivato un concreto pregiudizio per il
contribuente; tali conclusioni derivano, ancora una volta, dalla qualifica-
zione dell’autorizzazione come atto privo di rilevanza esterna e, dunque,
non incidente su una posizione giuridica del contribuente.
Questo orientamento discende altresı̀ dalla mancata esistenza in ambi-
to amministrativo di un principio previsto, invece, in ambito penale dal-
l’art. 191 c.p.p. secondo cui “le prove acquisite in violazione dei divieti
stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate” (40). La Cassazione, pur
in assenza di un simile principio in ambito tributario, ha ritenuto che
unicamente le irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini del-
l’accertamento in cui venga in discussione la tutela di diritti fondamentali
di rango costituzionale comportano l’inutilizzabilità delle prove acquisi-
te (41); in questi casi, l’atto potrà essere annullato, se non autonomamente
giustificato da altre informazioni legittimamente acquisite (42).

7. – Le informazioni bancarie e finanziarie a disposizione dell’Ammini-


strazione finanziaria in assenza del rilascio dell’autorizzazione
Un tema meritevole di approfondimento riguarda i possibili scenari
futuri circa il mantenimento della preventiva autorizzazione gerarchico-
amministrativa in tema di indagini bancarie.

veda Cass. civ., 10 febbraio 2017, n. 3628), secondo cui l’autorizzazione prescritta ai fini
dell’espletamento delle indagini bancarie esplica una funzione organizzativa, incidente nei
rapporti tra uffici, e non richiede alcuna motivazione, sicché la sua mancata allegazione ed
esibizione all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato
sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che può derivare solo dalla sua
materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente”.
(40) In tal senso, si veda: Cass. civ., sez. trib., 2 febbraio 2002, n. 1383 ove è stabilito
che “l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non com-
porta la inutilizzabilità degli stessi in mancanza di una specifica previsione in tal senso […].
Non sarebbe giusto che una prova oggettivamente ammissibile, non possa essere utilizzata a
causa della negligenza di chi l’ha acquisita. Questo ne dovrà rispondere nelle sedi compe-
tenti, mentre la prova non subisce gli effetti della illegittimità, come conseguenza necessaria
della eventuale illiceità dell’acquisizione”.
(41) Cfr. Cass. civ., sez. trib., 16 dicembre 2011, n. 27149 secondo la quale “non
qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento comporta,
di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, ed
esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango
costituzionale (l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio ecc. (Cass. civ., nn. 8344
del 2001; 1543 del 2003; 19689 del 2004; 14058 del 2006)”.
(42) Cfr. G. Melis, Manuale di diritto tributario, Torino, Giappichelli, 2022, 338.
1848 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

Come emerso dalla disciplina fin qui analizzata l’autorizzazione rap-


presenta una garanzia per il contribuente sia che si individui quale inte-
resse sotteso la tutela del risparmio, sia che si individui la riservatezza.
Una volta riconosciuto all’autorizzazione un ruolo di bilanciamento tra
interessi contrapposti (riservatezza/tutela del risparmio ed esigenze di ac-
certamento) risulta interessante notare come vi siano una serie di informa-
zioni bancarie e finanziarie del contribuente conoscibili dall’Amministra-
zione senza la necessità che sia rilasciata alcuna autorizzazione (come
invece prevede la procedura ordinaria di acquisizione di cui agli artt. 32,
1˚ comma, n. 7, del d.p.r. n. 600 del 1973 e 51, 2˚ comma, n. 7, del d.p.r.
n. 633 del 1972).
Sarà dato rilievo, in primo luogo, alle problematiche relative alla ri-
servatezza delle informazioni cosı̀ acquisite e, in secondo luogo, al loro
eventuale valore probatorio ai fini dell’emissione dell’atto impositivo.
L’analisi riguarderà le informazioni a disposizione dell’Amministrazio-
ne finanziaria mediante consultazione dell’Archivio dei rapporti con gli
operatori finanziari e mediante la procedura di scambio automatico adot-
tata a livello europeo ed internazionale.
L’Archivio dei rapporti con gli operatori finanziari è stato istituito dal
d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (43), il quale ha posto modifiche all’art. 7, 6˚
comma, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 605 (44).
Per meglio mettere a fuoco le problematiche che si è inteso evidenziare
nelle pagine che seguono, è necessario richiamare la posizione dell’Ammi-
nistrazione finanziaria che, in modo chiaro e inequivocabile, ha stabilito,
fin dall’origine, che la consultazione e l’utilizzo dei dati contenuti nell’Ar-
chivio dei rapporti finanziari, è riservato al caso in cui sia stata avviata
un’indagine finanziaria e dunque sia stata rilasciata l’apposita autorizzazio-
ne preventiva dell’organo gerarchicamente sovraordinato (45). Quanto pre-

(43) Convertito dalla l. 4 agosto 2006 n. 248.


(44) Con l’emanazione del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 si è assistito al passaggio dall’Ana-
grafe dei conti e dei depositi (istituita con l. 30 dicembre 1991, n. 413) all’Archivio dei
rapporti con gli operatori finanziari. La prima aveva, quale finalità, almeno in origine, quella
di facilitare e rendere più celere l’attività istruttoria dell’Amministrazione finanziaria. Infatti,
in mancanza di tale strumento, il personale dell’Agenzia delle entrate, o della Guardia di
finanza, dopo aver ottenuto la necessaria autorizzazione, doveva interpellare per iscritto tutti
gli istituti che praticavano attività bancaria al fine di comprendere presso quale di questi
istituti il soggetto sottoposto a controllo intrattenesse rapporti.
(45) La circolare 19 ottobre 2006, n. 32/E precisa che l’autorizzazione è necessaria
“anche per accedere alla nuova anagrafe dei rapporti, istituita dal 4˚ comma del d.l. n. 233
del 2006, in quanto il suo utilizzo avviene esclusivamente ai sensi e per gli effetti di cui ai
numeri 7, dell’art. 32 del d.p.r. n. 600 del 1973 e art. 51 del d.p.r. n. 633 del 1972.
note a sentenza 1849

cede risulta coerente con la disciplina fin qui analizzata, senonché il go-
verno Monti, in un contesto di grave crisi economica, ha emanato il d.l. 6
dicembre 2011, n. 201 (46) che, oltre ad aver comportato un ampliamento
del complesso di informazioni che gli intermediari finanziari sono tenuti a
comunicare all’Archivio dei rapporti con gli operatori finanziari (47), ha
previsto (48), con una norma di chiusura, che le informazioni in esso pre-

L’autorizzazione rilasciata a tali fini varrà ovviamente anche per l’inoltro delle specifiche
richieste agli intermediari individuati attraverso detta anagrafe”. La circolare della Guardia
di finanza n. 1 del 2008, precisa che in campo fiscale “la consultazione dell’Archivio dei
rapporti è possibile solo in quanto sia stata ritualmente e preventivamente autorizzata
l’esecuzione di un’indagine finanziaria, che, conseguentemente, costituisce il titolo di legit-
timazione dell’interrogazione della base dati residente”.
(46) Il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 recante “Disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” è stato convertito, con modificazioni, dalla
l. 22 dicembre 2011, n. 214.
(47) È necessario ricordare che, seppur in capo agli operatori finanziari, sussisteva già
un obbligo di comunicazione all’apposita sezione dell’Anagrafe circa l’esistenza e la natura
dei rapporti finanziari, con l’art. 11 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 è stabilito che gli
operatori finanziari, a partire dal 1˚ gennaio 2012, sono obbligati a comunicare periodica-
mente le movimentazioni relative ai rapporti di cui all’art. 7, 6˚ comma, del d.p.r. n. 605 del
1973, ogni informazione relativa agli stessi necessari ai fini dei controlli fiscali e l’importo
delle operazioni finanziarie indicate nella predetta disposizione.
Il provvedimento direttoriale 25 marzo 2013 nell’individuare la normativa di dettaglio,
prevede un obbligo di comunicazione di una serie di dati relativi alla tipologia di rapporti
indicati all’allegato 1. A titolo meramente esemplificativo, si tratta delle seguenti informa-
zioni: i dati identificativi del rapporto (compreso il codice univoco del rapporto, riferito al
soggetto persona fisica o non fisica che ne ha la disponibilità); i dati relativi ai saldi del
rapporto (distinti in saldo contabile alla fine dell’anno precedente e saldo contabile alla fine
dell’anno cui è riferita la comunicazione); i dati relativi agli importi totali delle movimenta-
zioni distinte tra dare ed avere per ogni tipologia di rapporto; per i rapporti accesi nel corso
dell’anno il saldo contabile alla fine dell’anno precedente deve essere valorizzato con il saldo
alla data di apertura; per i rapporti chiusi nel corso dell’anno, il saldo alla fine dell’anno deve
essere valorizzato con il maggiore tra:
- il saldo contabile iniziale del giorno in cui è stato effettuato l’ultimo addebito prima
della chiusura del rapporto;
- il saldo contabile risultante al momento della estinzione, inteso quale sommatoria del
saldo alla chiusura e relativi addebiti e accrediti per competenze.
In base al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate 28 maggio 2015, n.
73782, gli operatori finanziari devono comunicare all’Archivio dei rapporti con gli operatori
finanziari, a decorrere dal 2014, la giacenza media annua, il cui calcolo è definito dal
medesimo provvedimento, successivamente modificato dal provvedimento direttoriale 23
maggio 2022, n. 176227.
(48) L’art. 11, 4˚ comma, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, nella sua formulazione origi-
naria, prevedeva un ulteriore utilizzo dei dati che alimentano l’Archivio, consistente nella
creazione di “liste selettive per l’analisi del rischio di evasione”. Il legislatore, con l’art. 1,
314˚ comma della l. 23 dicembre 2014, n. 190 “Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)” ha posto modifiche all’art. 11, 4˚
comma, prevedendo che le informazioni contenute nell’Anagrafe finanziaria siano utilizzate
“per l’analisi del rischio di evasione”.
1850 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

senti possano essere utilizzate, oltreché per gli scopi già definiti dalla
norma (49), anche “per la individuazione dei contribuenti a maggior rischio
di evasione da sottoporre a controllo” (50).
Il 28 giugno 2022, in attuazione delle esigenze di riforma enunciate nel
PNRR (51), viene emanato il Decreto del Ministero dell’economia e delle
finanze attuativo dell’art. 1, 682˚ e 683˚ comma, della l. 27 dicembre 2019,
n. 160 (52), con il fine di individuare i criteri utili a far emergere le posi-
zioni da sottoporre a controllo con i tradizionali poteri istruttori; per

(49) L’art. 7, 11˚ comma, del d.p.r. n. 605 del 1973 stabilisce che le informazioni
comunicate sono utilizzate: ai fini delle richieste e delle risposte in via telematica di cui
all’art. 32, 1˚ comma, n. 7), del d.p.r. n. 600 del 1973 e all’art. 51, 2˚ comma, n. 7), del d.p.r.
n. 633 del 1972; per le attività connesse alla riscossione mediante ruolo; dai soggetti di cui
all’art. 4, 2˚ comma, lett. a), b), ed e), del regolamento di cui al Decreto del Ministro del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica 4 agosto 2000, n. 269, ai fini
dell’espletamento degli accertamenti finalizzati alla ricerca e all’acquisizione della prova e
delle fonti di prova nel corso di un procedimento penale, sia ai fini delle indagini prelimi-
nari, sia nelle fasi processuali successive, ovvero ai fini degli accertamenti di carattere
patrimoniale per le finalità di prevenzione previste da specifiche disposizioni di legge e
per l’applicazione delle misure di prevenzione; in sede di controllo sulla veridicità dei dati
dichiarati nella medesima dichiarazione. Le stesse informazioni sono inoltre utilizzate dalla
Guardia di finanza per le medesime finalità, anche in coordinamento con l’Agenzia delle
entrate, nonché dal Dipartimento delle finanze, ai fini delle valutazioni di impatto, della
quantificazione e del monitoraggio dell’evasione fiscale.
(50) Il Garante dei dati personali, con provvedimento 17 aprile 2012, n. 145 chiarisce
che “la normativa di cui lo schema di provvedimento in esame è attuativo pone rilevanti
problematiche di carattere generale relative alla protezione dei dati personali sia con riferi-
mento all’eccezionale concentrazione presso l’anagrafe tributaria di un’enorme quantità di
informazioni personali, sia in relazione alle finalità di classificazione degli interessati cui la
raccolta di tali informazioni risulta preordinata”.
(51) Il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), conferisce rilevanza alla materia
fiscale stabilendo che “le linee di investimento devono essere accompagnate da una strategia
di riforme orientata a migliorare le condizioni regolatorie e ordinamentali di contesto e a
incrementare stabilmente l’equità, l’efficienza e la competitività del Paese”. In particolare, si
precisa che, per perseguire con determinazione la lotta all’evasione fiscale, è richiesto, da un
lato, un rafforzamento ulteriore dei meccanismi di incentivazione alla compliance e, dall’al-
tro, è necessario aumentare l’efficacia dell’attività di controllo attraverso una migliore sele-
zione preventiva delle posizioni da sottoporre ad accertamento.
(52) La l. 27 dicembre 2019, n. 160 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno
finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022” ha stabilito, all’art. 1,
682˚ comma, in attuazione di quanto previsto dall’art. 11, 4˚ comma, del d.l. 6 dicembre
2011, n. 201 che l’Agenzia delle entrate disporrà “delle elaborazioni e delle interconnessioni
con le altre banche dati”, allo scopo di individuare criteri di rischio utili per far emergere
posizioni da sottoporre a controllo e incentivare l’adempimento spontaneo. Nel comma
successivo è stabilito che, con Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentito
il Garante per la protezione dei dati personali e l’Agenzia delle entrate, sono definite le
disposizioni di dettaglio nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati.
note a sentenza 1851

raggiungere questa finalità è disposto un incrocio di informazioni con le


altre banche dati esistenti.
Nonostante il legislatore e gli atti dell’Amministrazione finanziaria
siano chiari nello stabilire che i dati ottenuti abbiano come fine l’indivi-
duazione del soggetto da sottoporre a controllo e non possano costituire
l’oggetto della rettifica e dell’accertamento (53), rimanendo necessaria l’at-
tivazione del procedimento previsto dagli artt. 32, 1˚ comma, n. 7, del
d.p.r. n. 600 del 1973 e 51, 2˚ comma, n. 7, del d.p.r. n. 633 del 1972 (54),
è anche vero che l’Amministrazione viene a conoscenza di tali informazioni
in un momento precedente rispetto al rilascio del provvedimento auto-
rizzativo, incidendo, inevitabilmente, sul diritto alla riservatezza del con-
tribuente (55).
Quanto precede assume particolare rilevanza in considerazione di
quanto espresso dal Garante dei dati personali con parere sullo schema
di Decreto attuativo dell’art. 1, 683˚ comma della l. 27 dicembre 2019, n.
160 in merito alla tecnica di pseudonimizzazione (56), affermando che

(53) Cfr. Guardia di finanza circolare del 2018, n. 1 ove è precisato che “i dati
integrativi previsti dal c.d. ‘Archivio rafforzato dei rapporti’ non sono assistiti dalle presun-
zioni legali: tali informazioni non possono, in altri termini, essere utilizzate direttamente per
operare accertamenti o rettifiche”; l’utilizzo di tali dati è riservata al caso in cui sia stata
avviata un’indagine finanziaria e, dunque, sia stata rilasciata l’apposita autorizzazione pre-
ventiva dall’organo gerarchicamente sovraordinato.
(54) Come rilevato da G. Ingrao, Teoria e tecnica dell’imposizione tributaria, Messina,
SB, 2021, 345 “al fine di individuare i contribuenti a più alto rischio di evasione si è di
recente assegnata al Fisco la possibilità di accedere ad archivi detenuti dagli intermediari
finanziari, senza acquisire preventivamente specifiche autorizzazioni (che invece sono previ-
ste qualora l’Ufficio utilizzi le indagini bancarie e finanziarie, non per selezionare, ma per
rideterminare i redditi imponibili del contribuente)”.
(55) Come rilevato da G. Melis, Manuale di diritto tributario, Torino, Giappichelli,
2022, 322, l’indagine finanziaria non è più impiegata, come in origine, per completare un
accertamento già avviato, bensı̀ anche “per reperire elementi alla luce dei quali avviare un
accertamento”.
(56) Il Garante per la protezione dei dati personali si è espresso con parere favorevole,
con provvedimento 22 dicembre 2021, n. 453 sullo schema di Decreto attuativo dell’art. 1,
683˚ comma, della l. 27 dicembre 2019, n. 160. Il Garante ha richiesto che sia posta una
particolare attenzione circa l’utilizzo delle tecniche di pseudonimizzazione, affermando che:
“il ricorso alla pseudonimizzazione al fine di impedire, in presenza di dati finanziari, l’iden-
tificazione diretta degli interessati deve fondarsi su tecniche efficaci rispetto all’ingente mole
di informazioni detenute dall’Agenzia delle entrate nelle proprie banche dati, mascherando
adeguatamente l’identità delle persone fisiche e riducendo effettivamente i rischi di re-
identificazione degli interessati. Infatti, la semplice modifica dell’identità di una persona
non impedisce la sua identificazione se l’insieme di dati continua a contenere i c.d. ‘quasi-
identificatori’ o se altre informazioni ad essi riferibili ivi contenute consentono comunque di
re-identificare l’interessato”. Il Garante, con provvedimento 30 luglio 2022, n. 276, dopo
un’attenta valutazione delle misure predisposte dal Decreto ministeriale e dopo aver indi-
1852 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

quest’ultima, per essere pienamente efficace, deve necessariamente scon-


giurare una serie di rischi. Innanzitutto, non deve essere possibile re-iden-
tificare l’interessato all’interno del dataset (c.d. identity disclosure) ed inol-
tre, precisa il Garante, non può comportare che “una conoscenza parziale
di informazioni di un interessato presente nel dataset consenta, anche
attraverso l’utilizzo di altre informazioni, di effettuare un’inferenza, acqui-
sendo altre informazioni su quella stessa persona (c.d. attribute disclosu-
re)”. Scenari che, nel contesto in esame, a parere del Garante “hanno
un’elevata probabilità di verificarsi in considerazione della presenza nei
dataset di numerose informazioni che, nonostante l’eliminazione dei dati
anagrafici e del codice fiscale e l’adozione di tecniche di perturbazione dei
dati, continuano ad avere un elevato potere identificativo”.
Un ulteriore tema che merita approfondimento riguarda le informa-
zioni bancarie e finanziarie oggetto di scambio automatico di informazioni
in ambito comunitario e in ambito OCSE, la cui acquisizione, anche in
questo caso, non risulta subordinata ad alcun un iter autorizzativo (57). Le

viduato i criteri di rischio, ha stabilito che “si ritiene che la valutazione di impatto in esame
individui misure tecniche e organizzative adeguate a gestire i rischi elevati presentati dai
trattamenti, al fine di garantire il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali degli
interessati in tale contesto”. Nei predetti termini, il Garante autorizza l’Agenzia delle entrate
ad avviare i trattamenti oggetto della valutazione di impatto sulla protezione dei dati in
esame, effettuati al fine di “analizzare rischi e fenomeni evasivi/elusivi tramite l’utilizzo dei
dati presenti nell’archivio dei rapporti finanziari e l’incrocio degli stessi con le altre banche
dati di cui dispone l’Agenzia delle entrate”, a condizione che siano adottate “efficaci tecni-
che di pseudonimizzazione dei dati nell’ambito dei trattamenti in esame”, volti a ridurre, in
modo adeguato, i rischi di re-identificazione degli interessati.
(57) L’emanazione di uno standard globale per lo scambio automatico di informazioni è
avvenuta il 15 luglio 2014 da parte del Consiglio dell’OCSE, in risposta alle richieste
avanzate al G20. Lo Standard for Automatic Exchange of Financial Account Information è
composto da due sezioni, la prima denominata Competent Autority Agreement (CAA), che è
un modello di accordo intergovernativo sullo scambio automatico di informazioni, mentre la
seconda è il Common reporting Standard e riguarda le regole per l’adempimento degli
obblighi di comunicazione (reporting) e gli obblighi di verifica ed identificazione (due
diligence), cui devono attenersi gli intermediari ai fini dello scambio automatico di informa-
zioni. Tale standard è stato reso operativo con un accordo multilaterale, il c.d. Multilateral
Competent Authority Agreement (MCCA), sottoscritto da 51 giurisdizioni. L’Unione euro-
pea, con la direttiva 2014/107/UE, ha recepito gli standard promossi dall’OCSE nel CRS.
L’emanazione da parte del Congresso statunitense, nel 2010, della normativa FATCA
(“Foreign Account Tax Compliance Act”) proposta dall’Amministrazione Obama, quale
modello di scambio automatico di informazioni finanziarie in risposta alla univoca necessità
di ricostituire la finanza pubblica statunitense post crisi finanziaria e l’elaborazione da parte
dell’OCSE del CRS (“Common Reporting Standard”) hanno indotto l’Unione Europea ad
intervenire con la direttiva 2014/107/UE (DAC2), la quale ha esteso lo scambio automatico
di informazioni ai dati di natura finanziaria allineandosi agli standard promossi dall’OCSE
(cfr. G. Marino, Verso un’Agenzia delle Entrate europea?, Accademia Nazionale dei Lincei,
note a sentenza 1853

medesime considerazioni varranno altresı̀ per le informazioni acquisite in


forza dell’accordo intergovernativo con gli Stati Uniti (c.d. FATCA) sti-
pulato il 10 gennaio 2014 e ratificato con legge 18 giugno 2015, n. 95 (58).
L’approdo ad un sistema europeo e internazionale improntato alla
trasparenza finanziaria è avvenuto grazie alla revisione dell’art. 26 del
Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, compiuta
nel 2005, che ha comportato l’introduzione del par. n. 5, il quale stabilisce
che uno Stato non può rifiutarsi di comunicare le “informazioni prevedi-
bilmente rilevanti” perché in possesso di banche, altre istituzioni finanzia-
rie, delegati, agenti e fiduciari (59). Dunque, il fatto che la legislazione
nazionale tuteli il segreto bancario non può più costituire un ostacolo allo
scambio di informazioni.

Convegno del 27 maggio 2022 dal Titolo “Una nuova politica economica e tributaria per
l’Unione Europea”).
In attuazione dello standard elaborato dall’OCSE e della normativa europea è stato
emanato il Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 28 dicembre 2015 rubricato
“Attuazione della l. 18 giugno 2015, n. 95 e della direttiva 2014/107/UE del Consiglio, del 9
dicembre 2014, recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scam-
bio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale” e il provvedimento del
Direttore dell’Agenzia delle entrate 4 luglio 2017, prot. n. 125650. Il Decreto prevede un
obbligo in capo agli intermediari finanziari italiani di raccogliere e trasmettere all’Agenzia
delle entrate, automaticamente e con cadenza annuale, le informazioni relative ad ogni conto
finanziario intrattenuto da soggetti residenti in uno Stato estero (o dell’Unione europea o
con cui è stata stipulata una Convenzione) con gli intermediari finanziari italiani; allo stesso
modo lo Stato italiano riceverà le informazioni relative alle attività finanziarie detenute
all’estero da soggetti residenti in Italia. In relazione al conto finanziario sono forniti tutti
gli estremi identificativi della persona oggetto di comunicazione (nome, indirizzo, stato di
residenza, codice fiscale), nonché del conto stesso (ossia numero di conto ed estremi iden-
tificativi dell’intermediario finanziario), e devono essere comunicati non solo i redditi di
capitali (interessi e dividendi), ma anche i saldi di conto e i corrispettivi delle vendite degli
strumenti finanziari. Il provvedimento direttoriale n. 125650 del 4 luglio 2017 stabilisce
norme di dettaglio per quanto riguarda le modalità di comunicazione: i dati devono essere
trasmessi all’Agenzia delle entrate mediante l’infrastruttura informatica S.I.D.
(58) A riguardo, si veda: G. Marino, Osservazioni in tema di residenza nel contesto dello
scambio automatico di informazioni, retro, 2018, 4, in cui si rileva quanto segue: “la norma-
tiva FATCA rappresenta un significativo punto di svolta per lo scambio di informazioni a
livello internazionale ed anche in questo caso il legislatore americano ‘propone’ alle istitu-
zioni finanziarie una sorta di ‘scambio’. In specie, si prevede una ritenuta sostanzialmente
punitiva del 30% su tutti i pagamenti di fonte statunitense effettuati alle istituzioni finan-
ziarie estere che non abbiano accettato di condividere con il fisco americano le informazioni
riguardanti i contribuenti statunitensi e non collaborino ad eventuali indagini. Si tratta di un
prelievo ulteriore rispetto a quelli previsti ordinariamente dalla normativa statunitense […],
la ratio non è quella di raccogliere gettito tramite le ritenute operate, bensı̀ di ottenere un
alto numero di informazioni circa i depositi offshore dei contribuenti americani potenzial-
mente sfuggiti al fisco”.
(59) Disposizione analoga è prevista dall’art. 18, 2˚ comma, della direttiva 2011/16/UE.
1854 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

I poteri di richiesta di informazioni agli intermediari finanziari e


l’accesso presso i locali degli stessi di cui agli artt. 32, 1˚ comma, n. 2
e 7, del d.p.r. n. 600 del 1973 e 51, 2˚ comma, n. 2 e 7, del d.p.r. n. 633
del 1972 trovano applicazione unicamente entro i confini nazionali (60).
Nonostante sia definitivamente venuto meno il segreto bancario nei rap-
porti tra le Autorità fiscali nel contesto internazionale, per acquisire la
documentazione detenuta presso la filiale estera di una banca italiana o
presso un ente creditizio all’estero, deve essere attivata una normale
procedura di cooperazione, con la relativa richiesta di informazioni (61).
Nell’ipotesi in cui sia attivata in Italia un’indagine finanziaria, innescata
dall’autorità competente di un altro Stato, essa sarà possibile solo nel
rispetto delle procedure interne e a condizione che un’analoga richiesta,
ove inoltrata dal nostro paese, possa essere concretamente soddisfatta
dallo Stato interpellato (62).
A differenza della procedura di cooperazione sopra descritta, poiché
l’Amministrazione finanziaria acquisisce, mediante lo scambio automatico,
i dati del contribuente residente senza il rilascio di alcun provvedimento
autorizzatorio, si pone, anche in questo caso, un problema di lesione della
riservatezza (63). In merito a quest’ultimo aspetto, la Corte di Giustizia,
negli ultimi anni, ha ritenuto indispensabile, nella prospettiva di un cor-
retto bilanciamento tra esigenze di contrasto all’evasione fiscale e tutela del

(60) Si veda: G. Melis, Manuale di diritto tributario, Torino, Giappichelli, 2022, 124, il
quale ha sottolineato che “il fondamento dei limiti all’esercizio di poteri pubblici nel terri-
torio di un diverso Stato viene tradizionalmente ricondotto al principio di sovranità di ogni
Stato membro della comunità internazionale”.
(61) Cfr. Guardia di finanza circolare del 2008, n. 1 ove è chiarito che “per ottenere la
documentazione intrattenuta presso una filiale estera di una banca italiana o presso un
istituto creditizio di diritto straniero occorre attivare gli strumenti di cooperazione in essere
rispetto al paese interessato”.
(62) Cfr. P. Valente, L. Vinciguerra, Scambio di informazioni, profili applicativi nelle
verifiche, Milano, Ipsoa, 2013, 303.
(63) Cfr. Corte di giustizia UE, Grande sez., 22 novembre 2022, n. 37/20, in ordine al
bilanciamento tra diritto alla privacy ed esigenze di trasparenza nell’interesse pubblico. La
Corte, in merito alla quinta direttiva antiriciclaggio 2018/843(UE) che allargò al pubblico
l’accesso al registro dei titolari effettivi, ha ritenuto che tale estensione non risultasse pro-
porzionata rispetto all’obiettivo perseguito, potendo comportare una lesione non giustificata
dei diritti fondamentali sanciti agli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea (cfr. M. Pappalardo, Lotta al riciclaggio e privacy: la Corte di Giustizia alla ricerca di
un punto di equilibrio tra esigenze di trasparenza e protezione dei dati personali, in Le Società,
1 giugno 2023, pp. 667 e ss.). Cfr. altresı̀ F. Noseda, EU Playing Politics With Fundamental
Rights Over FATCA and Public Registers, in Tax Notes International, 108, 10 ottobre 2022,
109 e ss., in merito alle problematiche in tema di privacy relative alla normativa FATCA.
note a sentenza 1855

diritto alla protezione dei dati personali in materia fiscale, che siano ri-
spettati i principi di proporzionalità e necessità (64).
Accertata una lesione della riservatezza (65), ci si domanda se tali in-
formazioni abbiamo un qualche valore probatorio al fine di fondarvi un
avviso di accertamento; in particolare se siano o meno idonee ad integrare
le presunzioni legali relative previste dagli artt. 32, 1˚ comma, n. 2, del
d.p.r. n. 600 del 1973 e 51, 2˚ comma, n. 2, del d.p.r. n. 633 del 1972 (66).

(64) Cfr. A. Contrino, Banche dati tributarie, scambio di informazioni fra autorità fiscali
e “protezione dei dati personali”: quali diritti e tutele per i contribuenti?, in Riv. dir. trib.
online, 29 maggio 2019, ove viene rilevato che importanti indicazioni generalizzabili, in tema
di tutela dei dati personali, possono essere ricavate dalle sentenze della Corte di Giustizia
nelle materie non tributarie. La Corte di Giustizia, con le sentenze “Digital Rights Ireland”
(8 aprile 2014, cause riunite C-293/12 e C-594/12) e “Tele-2-Sverige AB” (21 dicembre
2016, C-203-15), ha ritenuto che l’ingerenza nei diritti fondamentali al rispetto della vita
privata e alla tutela dei dai personali (artt. 7 e 8 della Carta europea) fosse di particolare
gravità, e non limitata a quanto strettamente necessario al conseguimento degli obiettivi di
interesse pubblico perseguito, ponendosi cosı̀ in contrasto con il “principio di proporziona-
lità”. Cfr., altresı̀, “First Report of the Commission AEFI expert group on the implementation
of Directive 2014/107/EU for automatic exchange of financial account information, March
2015”, ove emerge il richiamo al “principio di causa sufficiente”, in base al quale è necessario
che l’elaborazione dei dati personali riferiti ad un soggetto sia subordinata all’esistenza di
indizi di un comportamento “non-compliant”. In particolare, è rilevato che “DAC2 must
respect the principle of sufficient cause, i.e. the verification of indicia for a non-compliant
behavior of tax payers. In its current version, DAC2 might be challenged because it does
not request the existence of such sufficient cause or indicia of unlawful behavior”.
Risulta, infine, interessante richiamare l’adozione del provvedimento n. 61 del 24
maggio 2023 da parte del Garante dei dati personali belga, con il quale è disposto il divieto
di trasferimento delle informazioni bancarie e finanziarie alle Autorità fiscali statunitensi per
violazione, da parte della normativa FATCA, della disciplina europea in tema di riservatezza.
(65) Se si dovesse accogliere la tesi della Cassazione che qualifica l’autorizzazione quale
atto privo di rilevanza esterna, con un’esclusiva funzione di verifica dell’attività di accerta-
mento, non si porrebbe alcun problema relativo ad una eventuale lesione della riservatezza.
(66) Con riferimento alla natura delle presunzioni, la dottrina maggioritaria (G. Melis,
Manuale di diritto tributario, Torino, Giappichelli, 2022, 323; P. Boria, Diritto tributario,
Torino, Giappichelli, 2016, 406) e la giurisprudenza sono concordi nel qualificarle quali
presunzioni legali relative: “legali”, in quanto creano un collegamento predeterminato dalla
legge (e non come avviene per le presunzioni semplici in cui è realizzato caso per caso), fra
fatto noto (movimentazione bancaria o finanziaria) e fatto ignoto (operazione rilevante per la
determinazione del reddito od operazione imponibile ai fini dell’iva) e “relative”, in quanto
il contribuente può fornire la prova contraria disinnescandone l’operatività.
L’art. 32, 1˚ comma, n. 2, del d.p.r. n. 600 del 1973, prevede due presunzioni, la prima,
stabilisce che i versamenti che non risultino giustificati, equivalgono a ricavi non dichiarati e
trova applicazione nei confronti dell’intera platea dei contribuenti. La seconda presunzione
riguarda invece i prelievi che, in assenza di giustificazione, sono qualificati come ricavi. La
norma prevede dei limiti quantitativi per individuare la linea di demarcazione tra ambito
personale o familiare e lavorativo. Quest’ultima presunzione ha un ambito di applicazione
soggettivo più ristretto, in quanto, a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale,
risulta applicabile esclusivamente agli imprenditori. La Corte è intervenuta con sentenza 6
1856 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

Le presunzioni legali relative, avendo quale fine la funzione di controbi-


lanciare la posizione di inferiorità conoscitiva dei verificatori rispetto a fatti
riconducibili al contribuente (67), comportano un’inversione dell’onere

ottobre 2014, n. 228 dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, 1˚ comma, n. 2, del
d.p.r. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 1, 402˚ comma, lett. a), n. 1, della l. 30
dicembre 2004, n. 311 limitatamente alle parole “o compensi”. La Corte, pur riconoscendo
delle affinità tra la figura dell’imprenditore e del lavoro autonomo nel diritto interno e nel
diritto comunitario, sottolinea che vi sono alcune specificità della categoria del libero pro-
fessionista che giustificano la diversità di trattamento circa l’operatività della presunzione di
redditività. La presunzione è dunque ritenuta lesiva del principio di ragionevolezza e di
capacità contributiva “essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti
correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento
nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un
reddito”. L’imprenditore è tenuto dunque alla prova contraria sia con riferimento ai versa-
menti, sia con riferimento ai prelievi. Per un approfondimento si veda: P. Boria, Un leading
case della Corte Costituzionale in materia di presunzioni bancarie, in Riv. dir. trib., 2014, 228.
Con riferimento alla presunzione in materia iva, la norma chiarisce che si debba aver
riguardo all’aliquota “in prevalenza applicata”; al riguardo, come emerge dalla Circolare n. 1
del 2018 della Guardia di finanza, nel caso di contribuenti che commercializzino beni
sottoposti a differenti aliquote, si deve tener conto, ai fini della determinazione dell’aliquota
“prevalente”, dell’incidenza sul volume d’affari delle operazioni realizzate più che del nu-
mero delle operazioni stesse.
(67) La Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ., sez. trib., 16 maggio 2014, n. 10767; Cass.
civ., sez. trib., 24 luglio 2013, n. 17953; Cass. civ., sez. trib., 15 luglio 2022, n. 22451; Cass.
civ., sez. trib., 3 marzo 2010, n. 5051) è costante nel ritenere che le presunzioni operino a
prescindere dall’instaurazione del contraddittorio che si realizza mediante l’invito a compa-
rire; in particolare, secondo tale indirizzo, è dato rilievo alla formulazione letterale della
norma, da cui emergerebbe la facoltatività in capo all’Amministrazione finanziaria circa la
sua instaurazione. Secondo tale impostazione (cfr. Cass. civ., sez. trib., 16 febbraio 2006, n.
8253), dal mancato esercizio di tale facoltà non può derivare alcuna illegittimità dell’atto
impositivo. Inoltre, sempre secondo tale orientamento, la mancata instaurazione del con-
traddittorio non degrada la presunzione legale a presunzione semplice, fermo restando,
quindi, l’onere probatorio contrario in capo al contribuente. Il contribuente, dunque, potrà
svolgere le proprie difese soltanto in fase contenziosa e l’ufficio, se le riterrà soddisfacenti,
ritirerà l’atto in autotutela.
Di opinione diversa risulta l’Agenzia delle entrate che ritiene il contraddittorio endo-
procedimentale “essenziale nella fase prodromica dell’accertamento” ed “un passaggio op-
portuno per provocare la partecipazione del contribuente, finalizzata a consentire un eser-
cizio anticipato del suo diritto di difesa, potendo lo stesso fornire già in sede precontenziosa
la prova contraria, rispondente alle esigenze di economia processuale, al fine di evitare
l’emissione di avvisi di accertamento che potrebbero risultare immediatamente infondati
alla luce delle prove di cui il contribuente potesse disporre”.
In favore della subordinazione dell’operatività della presunzione legale all’esperimento
nella fase procedimentale del contraddittorio, milita la dottrina maggioritaria (si veda al
riguardo: F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Parte Generale, Milano, Utet, 2020,
173, secondo il quale “il contraddittorio è da considerare obbligatorio anche in caso di
accertamenti fondati su indagini bancarie, perché le presunzioni operano solo se il contri-
buente non prova il contrario”; L. Salvini, La cooperazione del contribuente e il contraddit-
torio nell’accertamento, in Corr. trib., 2009, 44, 3570; G. Falsitta, Manuale di Diritto Tribu-
tario, Parte generale, Padova, Cedam, 2008, 476; G. Melis, Manuale di diritto tributario,
note a sentenza 1857

della prova ed esonerano l’ufficio dal dimostrare, relativamente agli ele-


menti medesimi, la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., ossia i
requisiti di gravità, precisione e concordanza (68).

Torino, Giappichelli, 2022, 326; e, infine, P. Boria, Diritto tributario, Torino, Giappichelli,
2016, 406, secondo il quale “il contribuente dovrebbe essere cosı̀ messo in condizione di
dimostrare, prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, la natura o la destinazione
delle somme rinvenute nei conti. In questo modo gli accertamenti basati sui dati bancari
risulterebbero meno automatici e più allineati alla posizione effettiva del contribuente”;
M.V. Serranò, Indagini finanziarie e accertamento bancario, Torino, Giappichelli, 2012, 94).
L’orientamento della Cassazione, che risulta non condiviso dalla dottrina maggioritaria,
non può non tener conto dei principi enunciati dalla Corte di giustizia UE, poi recepiti,
limitatamente ai tributi armonizzati, dalla sentenza delle Sezioni Unite del 9 dicembre 2015,
n. 24823 (per un approfondimento si veda: G. Ragucci, Il contraddittorio come principio
generale del diritto comunitario, in Rass. trib., 2009, 569).
Risulta evidente che, in assenza di un intervento del legislatore, si assiste ad una
assoluta asimmetria a seconda che l’indagine riguardi il settore dell’iva o dell’imposta sui
redditi. L’atto impositivo ai fini delle imposte dirette non può subire alcun pregiudizio, se
l’ufficio non ha espletato alcun contraddittorio con il contribuente, prima di emettere
l’avviso di accertamento. La questione, invece, cambia radicalmente, se la si considera ai
fini iva, che, come noto, è un tributo armonizzato, per il quale varrebbe un principio
generalizzato al contraddittorio.
(68) Il contribuente per neutralizzare la presunzione dovrà giustificare in modo anali-
tico, ossia dovrà riferirsi alla singola movimentazione, dimostrando la provenienza dell’im-
porto versato e la destinazione dei prelievi effettuati. L’orientamento della Cassazione è stato
costante nel ritenere che la prova debba essere analitica e non generica e debba riguardare
ogni singolo versamento (o prelevamento), dimostrando che gli elementi desumibili dalle
movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili e sono prive di rile-
vanza fiscale; ciò vale anche in tema di iva, al fine di superare la presunzione di imponibilità
delle operazioni confluite nelle movimentazioni bancarie poste a carico del contribuente
secondo l’art. 51, 2˚ comma, n. 2, del d.p.r. n. 633 del 1972. La Cassazione (cfr. Cass. civ.,
sez. trib., 11 marzo 2015, n. 4829) ha precisato che “al fine di superare la presunzione posta
a carico del contribuente non è sufficiente una prova generica, ma è necessario che il
contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle
operazioni già evidenziate nella dichiarazione ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua
attività”. Il contribuente, dunque, dovrà dimostrare che il singolo versamento o il prelievo,
è stato indicato in dichiarazione, oppure che si tratta di una movimentazione in entrata o in
uscita priva di rilevanza fiscale. In merito ad una necessaria prova analitica e non generica si
veda: P. Boria, Necessaria la probatio diabolica del contribuente per superare la presunzione
legale bancaria, in GTSYMBOL Riv. giur. trib., 2022, 55.
Risulta necessario richiamare un orientamento della Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ.,
sez. trib., 22 ottobre 2010, n. 21695) secondo cui le dichiarazioni rese dai terzi, finalizzate a
giustificare le movimentazioni, non hanno alcuna valenza probatoria, ai fini di giustificare
l’operazione di conto corrente, in quanto “le presunzioni legali in favore dell’erario derivanti
dagli accertamenti bancari determinano in capo al contribuente un preciso ed analitico
onere della prova contraria che non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiara-
zioni di terzi, non potendo queste ultime assurgere né a rango di prova esclusiva della
provenienza del reddito accertato, né essere idonee, di per sé, a fondare il convincimento
del Giudice”.
1858 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

Mentre per quanto riguarda le informazioni tenute presso l’Archivio


dei rapporti con gli operatori finanziari, sono gli stessi orientamenti di
prassi dell’Amministrazione ad escludere che possano integrare le presun-
zioni in commento, in assenza del rilascio dell’apposita autorizzazione
gerarchico-amministrativa (69), per quanto attiene alle informazioni ogget-
to di scambio automatico nulla è disposto.
Queste ultime, in assenza di un intervento legislativo, sono da consi-
derarsi inidonee ai fini dell’integrazione delle presunzioni di redditività per
i motivi di seguito illustrati; ossia si rivelano carenti da un punto di vista
qualitativo e sono acquisite mediante poteri atipici.
In ordine alla prima questione, anche qualora in ambito europeo e
internazionale si dovesse assistere ad un incremento da punto di vista
qualitativo dei dati oggetto di scambio automatico non sarebbe rispettato
l’ulteriore requisito consistente nell’acquisire tali informazioni mediante
poteri tipici (70). La lettera della legge è chiara nello stabilire che unica-
mente i dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti e
rilevati attraverso i poteri tipici possano essere “posti a base delle rettifiche
e degli accertamenti” (71). È anche vero che, qualora si dovesse inserire tali
informazioni nel dato normativo, si finirebbe per sottoporre la loro con-
sultazione al provvedimento autorizzatorio.
Nonostante l’inidoneità, in assenza di un intervento legislativo, dei dati
oggetto di scambio automatico a fondare una presunzione legale relativa,
per le ragioni sopra esposte, tali informazioni possono tuttavia configurarsi
come fattori indiziari idonei a fondare presunzioni semplici (72).

(69) Cfr. nota n. 53.


(70) Le modalità di acquisizione menzionate dagli artt. 32, 1˚ comma, n. 7, del d.p.r. n.
600 del 1973 e 51, 2˚ comma, n. 7 del d.p.r. n. 633 del 1972 sono: il potere di richiesta,
previa autorizzazione del Direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate o
del Direttore regionale della stessa, ovvero, per la Guardia di finanza, del Comandante
regionale; il potere di accesso, previa autorizzazione del Direttore regionale delle entrate
o, per la Guardia di finanza, del Comandante di zona, presso gli enti creditizi e gli uffici
postali; la trasmissione agli uffici finanziari, da parte della Guardia di finanza, previa auto-
rizzazione dell’autorità giudiziaria, dei documenti, dati e notizie acquisiti nell’esercizio dei
poteri di polizia giudiziaria e l’acquisizione di dati e documenti bancari a seguito di richiesta
della Guardia di finanza, previa autorizzazione del Comandante regionale, alle banche o alla
società Poste italiane S.p.A., secondo le modalità e i termini previsti dall’art. 18 della l. n.
413 del 1991, nell’ambito dell’attività di controllo ai fini delle imposte indirette sulla pro-
duzione e sui consumi di cui al d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504.
(71) In linea con la teoria secondo cui unicamente le informazioni acquisite mediante
poteri tipici sono idonee a fondare le presunzioni legali relative, si veda G. Melis, Manuale di
diritto tributario, Torino, Giappichelli, 2022, 323.
(72) Cfr. circolare della Guardia di finanza, n.1 del 2018 ove è precisato che le infor-
mazioni ottenute mediante modalità atipiche (ossia non mediante i poteri di cui agli artt. 32,
note a sentenza 1859

8. – Considerazioni conclusive
Il legislatore, a partire dalla riforma del 1991, è andato in una dire-
zione volta a considerare preminente l’interesse all’accertamento della ca-
pacità contributiva rispetto al riserbo sui dati bancari e finanziari del
contribuente. Nel ripercorrere l’evoluzione storico-normativa delle indagi-
ni bancarie emerge come l’autorizzazione rappresenti l’ultimo argine a
salvaguardia della riservatezza, senonché l’orientamento descritto della
Corte di Cassazione, ne ha comportato una svalutazione della sua reale
ed originaria funzione (73).
Quanto scritto non intende esprimere un giudizio in merito al bilan-
ciamento tra un diritto alla privacy del contribuente e le esigenze di ac-
certamento, non potendo prescindere da quanto sancito dalla Corte Co-
stituzionale nel 1992 (74) che, con chiarezza, ha disposto che i valori col-

1˚ comma, n. 2, del d.p.r. n. 600 del 1973 e 51, 2˚ comma, n. 2, del d.p.r. n. 633 del 1972)
possano essere legittimamente utilizzate fiscalmente, ma con il valore proprio degli elementi
indiziari che potranno condurre ad una rettifica del reddito del contribuente, ancorché
senza alcuna inversione dell’onere probatorio. Detta documentazione potrà integrare, dun-
que, a seconda dei casi, presunzioni semplicissime ovvero gravi, precise e concordanti,
secondo le regole generali che sovrintendono alle metodologie di accertamento analitico,
analitico – induttivo o induttivo extracontabile. Si pensi alla documentazione acquisita nel
corso di accessi, ispezioni e verifiche presso la sede di un’azienda, o presso il domicilio del
contribuente (ove potrebbero rinvenirsi, ad esempio, estratti di conto corrente, ordini di
prelevamento, libretti di risparmio, ecc.); si pensi inoltre alla documentazione ottenuta
attraverso consegna spontanea da parte del soggetto interessato o degli stessi operatori
finanziari, a seguito di trasmissione da Amministrazioni finanziarie di Stati esteri, previa
richiesta ovvero nell’ambito dello scambio spontaneo ed automatico dei dati, secondo le
procedure stabilite dalle vigenti Direttive comunitarie o dalle Convenzioni bilaterali contro
le doppie imposizioni. La Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ., sez. trib., 15 aprile 2015, n.
7584), invece, ritiene che il regime presuntivo di imponibilità previsto dalle norme in tema
di accertamento delle imposte dirette ed iva prescinde del tutto dal “modus procedendi” e
cioè dal tipo di attività istruttoria prescelto nel caso concreto dalla Amministrazione finan-
ziaria ed attraverso il quale è stato possibile rinvenire ed acquisire la documentazione, in
considerazione della natura facoltativa della procedura stessa (in questa direzione si veda:
Cass. civ., sez. trib., 30 novembre 2009, n. 25142).
(73) Sul “depotenziamento” del provvedimento autorizzativo si veda: G. Melis, Ma-
nuale di diritto tributario, Torino, Giappichelli, 2022, 321.
(74) La Corte Costituzionale, con sentenza 3 febbraio 1992, n. 51, precisa che, al
dovere di riserbo cui sono tradizionalmente tenute le imprese bancarie, non corrisponde
in capo ai singoli clienti “una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, né,
men che meno, un diritto della personalità, poiché la sfera di riservatezza con la quale
vengono tradizionalmente circondati i conti e le operazioni degli utenti dei servizi bancari
è direttamente strumentale all’obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici
commerciali”. La Corte afferma, inoltre, che “le scelte discrezionali del legislatore, ove si
orientino a favore della tutela del segreto bancario, non possono spingersi fino al punto di
fare di questo ultimo un ostacolo all’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà,
primo fra tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità
1860 diritto e pratica tributaria n. 5/2023

legati al dovere di riserbo sui dati bancari sono “sicuramente recessivi di


fronte a quelli riferibili al dovere inderogabile imposto dall’art. 53 della
Costituzione” (75), ma piuttosto ha come fine quello di fornire alcuni
spunti in merito alle incoerenze di sistema evidenziate. Risulta infatti evi-
dente che le informazioni acquisite mediante consultazione dell’Archivio
dei rapporti (ai fini dell’individuazione del contribuente da sottoporre a
controllo) e mediante scambio automatico eludano il “normale” procedi-
mento, maggiormente garantista, di cui agli artt. 32, 1˚ comma, n. 7, del
d.p.r. n. 600 del 1973 e 51, 2˚ comma, n. 7, del d.p.r. n. 633 del 1972.
Risulta, infine, necessario vigilare sugli interventi futuri, in ambito
OCSE e unionale, sempre più tendenti a “depotenziare” le garanzie pro-
cedimentali, ignorando la loro propedeutica funzione di tutela dei diritti
individuali e, da ultimo, su quale sia la sorta dell’autorizzazione, ultimo
baluardo dell’ormai sepolto segreto bancario.
Come si è detto, l’Amministrazione finanziaria dispone oggi di nume-
rose banche dati e sistemi di interoperabilità delle stesse che le consento-
no, con maggiore facilità e minore dispendio di energie rispetto al passato,
di avere a disposizione un’ingente mole di informazioni. Risulta evidente
che il potere di indagine bancaria, il cui esercizio è ancora vincolato ad un
iter fondato sulla “richiesta” di informazioni e sul rilascio dell’apposita
autorizzazione, è destinato a cadere in desuetudine, per chiare ragioni di
diseconomia procedimentale.
Se è vero che, fino alla riforma sopra citata il segreto bancario era
ancora operante nei confronti del Fisco, è altresı̀ vero che, all’epoca,
l’istruttoria era svolta secondo modalità “artigianali”. Non è dunque da

contributiva (art. 53 della Costituzione), ovvero fino al punto di farne derivare il benché
minimo intralcio all’attuazione di esigenze costituzionali primarie, come quelle connesse
all’Amministrazione della giustizia e, in particolare, alla persecuzione dei reati”. La Corte,
infine, afferma che “i valori collegati al dovere di riserbo sui dati bancari sono sicuramente
recessivi di fronte a quelli riferibili al dovere inderogabile imposto dall’art. 53 della Costi-
tuzione e, a maggior ragione, di fronte all’esigenza costituzionale primaria collegata alla
persecuzione dei reati”.
Si veda: G. Falsitta, Per un fisco “civile” – casi, critiche e proposte, Milano, Giuffrè,
1996, 328 il quale osserva che la Corte costituzionale, con sentenza 3 febbraio 1992, n. 51,
ha inteso promanare un insegnamento in base al quale “il potere di richiedere informazioni
alle banche venga disciplinato in guisa tale da evitarne, in futuro, un esercizio arbitrario ed
indiscriminate”.
(75) Cfr. G. Ingrao, Teoria e tecnica dell’imposizione tributaria, Messina, SB, 2021, 350,
il quale osserva che “dall’esame delle norme oggi in vigore in tema di poteri istruttori degli
Uffici, contenute nel d.p.r. n. 600/73, emerge che il legislatore ha inteso privilegiare l’inte-
resse fiscale della collettività, piuttosto che quello della riservatezza del singolo contribuente
[…]. Detti poteri si giustificano per l’esigenza di colmare il gap informativo del Fisco […]”.
note a sentenza 1861

escludere che, qualora l’Amministrazione avesse fin da subito disposto


delle tecnologie e banche dati ad oggi esistenti, il processo di erosione
del segreto bancario sarebbe stato probabilmente più celere e la tutela del
riserbo sarebbe stata posta, fin dall’origine, in secondo piano.
Se in passato, il segreto bancario e l’autorizzazione avevano come fine
la tutela del risparmio individuale, oggi il sistema ha subito una concet-
tuale inversione di tendenza, in virtù della quale la sua tutela è demandata
ad apposite Autorità di vigilanza (Consob, Banca d’Italia) le cui attività
sono finanziate attraverso le spese pubbliche, il cui gettito, ai sensi dell’art.
23 della Costituzione, l’Amministrazione finanziaria tutela esercitando i
penetranti poteri di indagine volti ad acquisire le informazioni bancarie
e finanziarie, cioè proprio il risparmio individuale del contribuente.

ANDREA MONACI

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